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Bartolomeo Vivarini Il polittico della Madonna con il Bambino tra quattro santi 175 x 75 cm. (Vergine con il Bambino), 171 x 68 cm (ogni lato), 104 x 75 cm. (pinnacolo) Santa Maria la Gloriosa dei Frari, Cappella Bernardo, 1487 Tempera su tavola Nel “sestiere” di San Polo è ancora oggi ricca di vita l’insula dei Frari, che ha come centro artistico e spirituale la maestosa Basilica di Santa Maria la Gloriosa dei Frari, adossata all’antico convento dei Frati Minori Conventuali, convertito in Archivio di Stato dopo la soppressione napoleonica.

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Bartolomeo Vivarini

Il polittico della Madonna con il Bambino tra quattro santi

175 x 75 cm. (Vergine con il Bambino), 171 x 68 cm (ogni lato), 104 x 75 cm.

(pinnacolo)

Santa Maria la Gloriosa dei Frari, Cappella Bernardo, 1487

Tempera su tavola

Nel “sestiere” di San Polo è ancora oggi ricca di vita l’insula dei Frari, che ha

come centro artistico e spirituale la maestosa Basilica di Santa Maria la Gloriosa dei

Frari, adossata all’antico convento dei Frati Minori Conventuali, convertito in Archivio

di Stato dopo la soppressione napoleonica.

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La storia della basilica ha inizio verso il secondo decennio del XIII secolo, ma,

nell’ambito artistico, e soprattutto per quanto riguarda la pittura, sono tre le opere più

importanti che vi si trovano: vi è la Pala dell’Assunta di Tiziano (che il Canova definiva

il più bel quadro del mondo); dello stesso autore troviamo anche la Madonna di Ca’

Pesaro, definita come “uno dei capolavori dell’arte tizianesca”, “una delle pietre militari

nel cammino della pittura veneziana”, “...un miracolo della pittura” per “la genialità

della prospettiva, lo splendore del colore, la perfezione del disegno e la potenza

espressiva dei ritratti”. La terza perla si può gustare nella sagrestia della basilica: nella

bellissima cornice lignea, intagliata da Jacopo da Faenza, lo sguardo è attratto

dall'incantevole trittico di Giovanni Bellini, posto sull'altare. E' firmato e datato Joannes

Bellinus F. 1488. Presenta una Madonna con il bambino e, nei due scomparti laterali,

quattro santi. Due bellissimi e riccioluti angioletti sembrano allietare la composizione

pittorica con i loro strumenti musicali L’immagine della maternità è definita come

"...l'opera piu' dolce che sia stata fatta per gli altari".

La basilica possiede 17 altari abbelliti da pale di artisti illustri, dove spiccano,

oltre le citate, il Trittico della cappella di San Marco (1474) ed il polittico della cappella

Bernardo (1487) dipinti da Bartolomeo Vivarini, opere di "...forte stilizzazione e di

vigorosa policromia".

Questo, l’ultimo polittico prodotto da Bartolomeo Vivarini, si trova nell’ultima

delle cappelle absidali, quella data in concessione alla famiglia Bernardo nel 1482, e

raffigura la Vergine in trono con il Bambino sulle ginocchia attorniata da quattro santi:

S. Andrea e S. Nicola di Bari a sinistra, S. Paolo e S. Pietro a destra; in alto, tra due

angeli dorati e policromi, scolpiti sopra la cornice forse di Jacopo da Faenza, una

tavoletta lignea effigia il "Cristo Passo".

Il Vivarini dipinse questo polittico nel 1487, anche se, erroneamente, molti

leggono nel cartiglio dipinto nel gradino l'anno 1482. Precisamente il cartiglio

riporta: «BARTOLOMEUS VIVARINUS DE MURIANO PINXIT 1487». Nonostante la

maturità raggiunta dal Vivarini gli abbia fatto abbandonare tante spigolosità

tardogotiche che caratterizzavano la sua precedente produzione (forse per merito anche

delle suggestioni che potrebbe aver ricevuto da Giovanni Bellini), noi in questa

composizione vediamo un classico trittico con tre finestre che si aprono nell'ancona

lignea con due gruppi di santi, uno ad ogni lato. La Madonna con il Bambino in mezzo,

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in posizione sopraelevata, ed in alto una quarta finestrella, come aggiunta, con il Cristo

morto a mezza figura che mostra le sue piaghe redentrici. Sembrano quadri a se stanti,

collegati assieme solo da un'unica cornice, che resta estranea ed indipendente dalle

composizioni pittoriche che racchiude.

I tre scomparti sono legati tra loro solo da uno scalino dipinto in basso su cui

poggiano i santi ed il trono della Madonna. Un altro elemento da sottolineare in

quest'opera del Vivarini è proprio il trono, ove la Madonna è assisa. Questi elementi

sono da tenere in conto quando ci si trova ad ammirare un altro capolavoro, la Madonna

con il Bambino di Giovanni Bellini, nella sacrestia.

In confronto al disegno compartimentato del trittico di San Marco della cappella

Corner, la pala d'altare del 1487 (fatta 13 anni dopo), mostra più chiaramente la logica

spaziale del Rinascimento. Qui si è ormai perduta, nella classicità composta delle forme,

ogni traccia di quei residui tardogotici che ancora rendevano duri e aguzzi i tratti delle

figure nella pala precedente. Sartori (1949) ha suggerito la possibilità, e così Humfrey,

della collaborazione di Jacopo da Faenza, anche perché egli aveva già lavorato con

Vivarini nel polittico di Sant’Ambrogio, datato 1477.

L’architettura della cornice, che si apre come un loggiato davanti alle figure dei

santi e della Madonna, rimane completamente indipendente dal dipinto, dove lo scalino

già menzionato appare continuo, ai piedi dei santi. E del trono della Vergine, creando il

nuovo ed autonomo spazio della scena sacra. D’altra parte, il tessuto posto dietro la

Madonna blocca la visione sul fondo, formando, per effetto ottico, quasi una nicchia, e

consente anche ai santi ai lati di ricostruire, nella disposizione dei corpi, uno spazio

absidale intorno alla Vergine.

Nonostante la sua struttura, la pala d'altare presenta uno sfondo e un basamento

unitario al cielo al di là della cornice, in cui gli archi a tutto sesto del telaio

classicheggiante si aprono come finestre al mondo sacro della pittura.

Significativamente, non l'iconografia, ma il suo formato e in particolare, il disegno del

telaio di legno e la doratura sono molto simili al trittico di Ca’ Pesaro di Giovanni

Bellini. Per questo si è proposto che il trittico di Vivarini possa essere stato suggerito

dai frati minori sulla scorta di questo modello, adottato anche nei successivi trittici dei

Frari. Ciò evidenzierebbe la consapevolezza dei frati circa gli sviluppi stilistici del

momento. Si può anche sottolineare il loro desiderio di integrare una novità compositiva

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alla tradizione riconosciuta della loro chiesa, fornendo così una solida immagine

pubblica della loro istituzione e risultando funzionale alle esigenze devozionali della

congregazione laicale.

Per quanto concerne i quattro Santi, di tradizione chiaramente mantegnesca,

bisognerebbe ricordare l’identificazione di ognuno: San Pietro porta le chiavi, e San

Paolo la spada a destra; mentre, a sinistra, ci sono Sant’Andrea con la croce del martirio

e San Nicola da Bari con il libro e le tre palle d’oro, legate alla leggenda del soccorso a

un padre in miseria che, non potendo maritare le sue tre figlie, aveva deciso di farle

prostituire.

Per quanto riguarda la Madonna, è interessante confrontarla con la Madonna con

Bambino del Museo Civico Correr del 1475. Qui, la Vergine con una veste rossa e un

manto azzurro che le ricopre anche il capo, è seduta su un trono dal cui dossale scende

un rosso drappo d’onore, e regge il Bambino, in piedi, aggrappato con ambedue le mani,

poggiante sul braccio sinistro della madre. Hanno scritto di quest`opera Romualdi

(1901), Mariacher (1957) e Lucco (1989).

Dal punto di vista iconografico la Vergine che presenta, davanti a sè, il

Bambino, si riconnette al tipo bizantino dell’Hodigitria; il drappo che ricopre lo

schienale del trono, motivo mutuato dal mondo pagano e assai diffuso nelle Madonne

trecentesche (di cui farà ampio uso nel Quattrocento Giovanni Bellini), diviene simbolo

di regalità e, nel caso specifico di Maria, anche di trionfo ultraterreno, qualificandola

come Regina Coeli (Goffen 1975).

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Nel dipinto la doratura ha interessato il fondo e le aureole, ma anche il manto

della Vergine e la veste del Bambino, ridotti alla sola velatura preparatoria, la quale

appare comunque di mano di Vivarini.

L’arte di Bartolomeo Vivarini si riconosce nel tratto fisionomico, il volto

dolcissimo velato da un atteggiamento mesto. Altri elementi probatori sono le pieghe

delle vesti, trattate con tagliente precisione, e disegnate accuratamente con indicazioni

chiaroscurali, a volte persino incise, come appare dalle analisi riflettoscopiche, e il

modo di trattare certi particolari come, ad esempio, le mani, quasi squadrate, ma dalle

lunghissime e mobili dita affusolate.

È anche con queste Madonne che Bartolomeo afferma la propria indipendenza

dal fratello Antonio, al quale lo legavano lunghi anni di collaborazione, aprendosi alle

innovazioni di cui erano stati promotori, a Padova, il Mantegna e gli altri seguaci dello

Squarcione.

Nella parte superiore, tra due angeli, si vede l’immagine del Cristo in Gloria con

la corona di spine, che mostra le ferite delle mani e del fianco e sul fondo vi è la croce.

Bellissima è l’anatomia del Cristo, con una plasticità che lo mette in contatto diretto con

le due sculture degli angeli in adorazione. Interessante è l’iconografia del polittico, la

medesima della versione ricostruita della Pala Pesaro di Bellini (completa della cimasa

con il Cristo Passo).

Occorre anche sottolineare la maniera che utilizza Bartolomeo Vivarini per

firmare questa opera, con un cartiglio che anticipa il genere del trompe l’oeil, come

Giovanni Bellini. Rona Goffen, nell’articolo “Signatures: Inscribing Identity in Italian

Renaissance Art” analizza questo aspetto specificamente nel San Giovanni da

Capistrano.

La cornice di stile rinascimentale che divide le scene del polittico è un altro

punto d’unione con Bellini, specialmente con il trittico dei Frari, dove si può vedere una

chiara dipendenza nello schema compositivo. Bellini aveva comunque già introdotto

questo tipo di architettura, ed è quindi Bartolomeo a farne uso come di una novità.

In ultimo caso, prima di mettere in rapporto questa opera con altre, bisognerebbe

anche trattare degli elementi che troviamo nella parte inferiore del polittico: nei due

estremi si vede lo stemma della famiglia Bernardo, il quale si ripete molte volte in tutta

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la cappella (e due volte nel trittico), e, nel mezzo, sotto la figura della Madonna con il

Bambino, si vedono, in piccoli tondi, l’immagine di San Francesco d’Assisi a sinistra

(un’allusione alla chiesa, che è francescana), e a destra, in un altro tondo, il torso nudo

di San Sebastiano, che fa pensare, ancora una volta, al magnifico San Sebastiano di

Mantegna.

Troviamo lo stesso schema iconografico nel trittico di Bellini situato in questa

chiesa; anche se la tridimensionalità di Bellini è superiore di quella di Vivarini (che ha

ancora utilizzato l’antico telo dietro la Vergine), è interessante stabilire una diretta

connessione tra le due opere, che furono eseguite con un anno di differenza (prima

l’opera di Bartolomeo e poi quella di Bellini).

Si potrebbe anche stabilire una diretta relazione di questa opera di Vivarini con il

polittico di San Vincenzo Ferrer, sempre di Giovanni Bellini (1464-1470): la

rappresentazione di Cristo con il torso nudo nella parte superiore, l’architettura della

pala totalmente di stile rinascimentale e persino la ripetizione del San Sebastiano.

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Appare anche chiaro il rapporto di dipendenza col Polittico di San Zeno di

Mantegna (1457-1460), opera fondamentale nella seconda metà del Quattrocento anche

per Bartolomeo Vivarini, che, dagli anni ’60, opera un cambio stilistico rispetto a

quanto praticava con suo fratello Antonio. Dopo questa svolta, si osserva una

coincidenza stilistica tra Bartolomeo e il suo nipote Alvise, fino al momento in cui

questi lasciò la bottega, come è stato riconosciuto da parte della critica.

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Nel periodo di maturità della pittura di Bartolomeo (tra gli anni 1465-1470) si

vede il notevole influsso di Mantegna. Bartolomeo fu un grande colorista, anche se non

seppe affrancarsi dallo stile arcaico appreso dalla bottega familiare. Ci sono volte che

segna le sue opere con un emblema in forma di vivarino, un uccello, (jilguero,

goldfinch, chardonneret).

È stato detto che Bartolomeo avrebbe formato parte della “folle generazione del

30”, cioè di quelli che aderirono ai modi dello Squarcione e del Mantegna. L’influsso

della scuola padovana è molto chiaro nella figura di Bartolomeo; si è parlato anche del

suo vibrante ed energico plasticismo, cromaticamente risolto.

I toni dei colori, virati su sfumature di rosso diverse, da quello laccato sulla veste

della Madonna a quelli aranciati dei santi, ma mescolati ai verdi ed al giallo del

mantello di San Paolo, evidenziano in questa opera uno straordinario senso di equilibrio

che l’artista, forse suggestionato anche dal fare di Giovanni Bellini, ha ormai

completamente raggiunto.

Bartolomeo Vivarini è originario di Murano, e appare documentato dal 1450 al

1499. Era il fratello minore di Antonio Vivarini; si formò nella bottega di questi durante

il soggiorno a Padova accanto al fratello (che fra il 1448 e il 1450 iniziò la decorazione

della Cappella Ovetari nella Chiesa degli Eremitani). Bartolomeo venne a contattto con

il vigoroso linguaggio del giovane Mantegna, da cui derivò una plasticità tesa e aspra,

sorretta da un contorno marcato e incisivo. Ma il gusto del colore vivacissimo e acceso,

di una ricerca naturalistica di sapore talora ancora gotico e un certo raccolto naturalismo

lo qualificano in modo squisitamente veneziano.

Assieme al fratello Antonio firma opere tra il 1450 e il 1458. Del 1459 è la

prima opera firmata dal solo Bartolomeo e cioè il San Giovanni da Capistrano (oggi nel

Louvre).

Nell’ultimo periodo della sua vita, Bartolomeo comincia a fare strutture più

semplici, ma continua con parte di quella antica tradizione. Questo suo stile nasce tra gli

anni 1464 e 1465, a Venezia e Napoli. In questa linea, iniziata da Mantegna e dallo

Squarcione, egli continua con la sua enfatica linearità, però le sue figure si allungano e

si trasformano in monumenti concettuali ma anche un pò meccanici negli ultimi anni

(esempio nei Santi Cosma e San Damiano dello Stedelijk Museum, ad Amsterdam).

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L’ottavo decennio del Quattrocento segna il culmine e insieme l’inizio della

decadenza dell’arte del maestro. I primi anni appaiono comunque fervidi di ricerche,

che vanno dall’espressionismo nordico (interpretato nei modi di Carlo Crivelli) nel

trittico di Santa Maria Formosa (Venezia 1471-1473), fino alla ricerca di una più

stringata semplificazione formale di cui sono capolavori i santi del polittico di San

Zanipolo a Venezia, e quello del Metropolitan Museum of New York, assegnabili

all’inizio del decennio. Un periodo di ancor valido un equilibrio, rappresentano le opere

tra 1474 e 1476, e poi segue una fase di sempre maggiore stanchezza, che finisce in una

continua decadenza.

Le sue pitture possono trovarsi in famose istituzioni di tutto il mondo come

The Getty Museum a Los Angeles, Harvard University Art Museums, l’Honolulu

Museum of Art, il Louvre, il Museum of Fine Arts, Boston, la National Gallery of

Art (Washington D.C.), la National Gallery a Londra, il New Orleans Museum of Art,

il Philadelphia Museum of Art, la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, la Pinacoteca

Nazionale di Bologna, il Rijksmuseum d’Amsterdam e nella Galleria degli Uffizi.

Dicono che fu il primo artista veneziano che sperimentò una pittura ad olio in

1473, tecnica che avrebbe imparato direttamente da Antonello di Messina, il quale

risiedeva in quel tempo a Venezia.

Per quanto riguarda la storia e lo stato attuale dell’opera, la bibliografia non

solamente tratta Bartolomeo Vivarini come un artista secondario, e come il meno

importante dei tre Vivarini, ma specialmente questo polittico, che mostra un cambio nel

modo di fare di Bartolomeo, risulta poco studiato e appena menzionato dalla critica.

È vero che, da un secolo fa ad oggi, la maniera di guardare questo artista è

leggermente cambiata. Testi parlava dello squarcionismo metallico ed esagerato di

Bartolomeo e lo nominava come un pittore mediocre. Oggi la critica non propone un

giudizio così negativo di Bartolomeo: più che disdegno, si legge indifferenza. È vero

che, in Santa Maria la Gloriosa dei Frari, tanto Tiziano quanto Bellini eclissano lo

sguardo del turista, ma non pare giusto sottovalutare questo polittico come mediocre e

secondario.

MARIA JOSÉ ARJONA PERIS

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