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Sicilia occidentale Studi, rassegne, ricerche a cura di Carmine Ampolo EDIZIONI DELLA NORMALE

29 Sicilia occidentale - unipa.it · 2019. 11. 12. · Questo volume, che si affianca a quello dedicato al tema dell’agorà (Agora greca e agorai di Sicilia, 2012), ... BMC = Catalogue

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Sicilia occidentaleStudi, rassegne, ricerche

a cura di Carmine Ampolo

EDIZIONI DELLA NORMALE

AGGIUNGERE CODICE A BARRE

e 40,00

Gli studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nell’antichità

sono per la Scuola Normale Superiore una tradizione ormai

consolidata. Questo volume, che si affianca a quello dedicato

al tema dell’agorà (Agora greca e agorai di Sicilia, 2012), offre

un quadro assai ricco delle più recenti ricerche archeologiche

e novità epigrafiche di un’area fortemente multiculturale e

multietnica.

Sono qui raccolti anche i risultati delle ricerche e delle attività

condotte dal Laboratorio di Scienze dell’Antichità della

Scuola Normale, integrati da un CD con i posters presentati in

occasione delle Settime Giornate Internazionali di Studi sull’area

elima e la Sicilia Occidentale.

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SEMINARI E CONVEGNI

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Laboratorio di Scienzedell’Antichità

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Redazione a cura di Chiara Michelini, Maria Adelaide Vaggioli

Il volume contiene:Atti delle settime giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo Erice, 12-15 ottobre 2009Workshop «G. Nenci» diretto da Carmine AmpoloVol. II

Altri studi sulla Sicilia occidentale non presentati in tale occasione

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Sicilia occidentale.Studi, rassegne, ricerche

a cura di Carmine Ampolo

EDIZIONI DELLA NORMALE

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© 2012 Scuola Normale Superiore Pisaisbn 978-88-7642-451-9

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Indice

Abbreviazioni ix

Rassegne e comunicazioni archeologiche ed epigrafiche

Rassegna d’archeologia: scavi nel territorio di Palermo (2007-2009)Francesca Spatafora 13

Palermo. Uno scavo d’emergenza nell’area di Piazza MarinaFrancesca Spatafora, Carla Aleo Nero, Lucio Calcagnile, Gianluca Quarta, Marisa D’Elia, Giuseppe Montana, Luciana Randazzo, Francesca Terranova 23

Un nuovo documento epigrafico da SoluntoAlba Maria Gabriella Calascibetta, Laura Di Leonardo 37

Scavi nella necropoli occidentale di Himera, il paesaggio e le tipologie funerarieStefano Vassallo, Matteo Valentino 49AppendiceAnforoni corinzi di età arcaica rinvenuti nelle necropoli di HimeraMatteo Valentino 59

Primi dati antropologici dalla necropoli occidentale di HimeraPier Francesco Fabbri, Norma Lo Noce, Serena Viva 73

Un graffito punico su anfora tardo-arcaica dalla necropoli di HimeraRossana De Simone 85

L’insediamento di Monte Presepio nella Valle del Fiume Torto: un comprensorio della chora di HimeraRosa Maria Cucco 87

Monte Iato: scavi 2007-2008Hans Peter Isler 91

Il teatro alto-ellenistico di Montagna dei Cavalli/IppanaStefano Vassallo, Donata Zirone 105

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vi Indice

Il sito fortificato medievale del Castellaccio di CampofioritoRoberto Graditi, Stefano Vassallo 113

Contessa Entellina: foto aeree 1955-2000. Persistenze e mutamenti nel paesaggio naturale ed antropicoAlessio Arnese, Alessandro Corretti, Antonino Facella, Chiara Michelini, Maria Adelaide Vaggioli 121

Materiali fenici, punici e di tradizione punica da Rocca d’Entella (PA). Un bollo e due graffitiMariela Quartararo 129

Contessa Entellina (Palermo). Indicatori di attività siderurgica secondaria nel Medioevo da Entella e dal territorioAlessandro Corretti, Laura Chiarantini 137

I bolli sulla Terra Sigillata Italica dalle ricognizioni nel territorio comunale di Contessa EntellinaAurora Maccari 151

Dinamiche commerciali e di approvvigionamento ceramico nel territorio di Contessa Entellina in età imperiale e tardoantica: riflessioni preliminari su quattro siti-campioneAntonino Facella, Marianna Perna, Paola Puppo, Maria Adelaide Vaggioli, Donata Zirone 155

Attività della Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani: triennio 2007-2009Rossella Giglio Cerniglia 179

Scavi e restauri dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ a Mozia, 2007-2009: il Tempio del Kothon, il Temenos Circolare, il Sacello di Astarte e il TofetLorenzo Nigro 207

Il restauro e la valorizzazione del tofet di MoziaRossella Giglio Cerniglia 219

Lilibeo (Marsala). Risultati della campagna 2008Rossella Giglio Cerniglia, Paola Palazzo, Pierfrancesco Vecchio, Emanuele Canzonieri 225

Nuove Ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo 239

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vii Indice

Monte d’Oro di Montelepre. La necropoli di Manico di Quarara. Nuovi datiGianclaudio Ferreri 251

Per un riesame della documentazione materiale dello scarico di Grotta Vanella a SegestaMonica de Cesare, Alfonsa Serra 261

Segesta. Agora: la stratigrafia dell’ala Ovest della stoaAngela Clara Infarinato 275

Le attività dell’Institute of Fine Arts - NYU sull’Acropoli di Selinunte (2006-2010)Clemente Marconi 279

La Soprintendenza del Mare alla ricerca del luogo esatto della Battaglia delle Egadi (241 a.C.)Sebastiano Tusa, Jeff Royal, Cecilia Albana Buccellato 287

Altre ricerche della Scuola Normale Superiore

Tyndaris: per uno status quaestionis sulle ipotesi di ubicazione dell’agora/foroMaria Ida Patrizia Gulletta 297

Per un’analisi della figura di Eracle in Sicilia: dal VII sec. a.C. all’età romana Michela De Bernardin 305

Il santuario e la dea di Erice: una vocazione politica?Beatrice Lietz 313

Ei[rgesqai ajgora`~: l’allontanamento degli omicidi dallo spazio pubblicoIrene Salvo 319

La colonisation grecque de la Sicile dans les fragments de Diodore Aude Cohen-Skalli 325

Presentazione di strumenti informatici

SNS-Greek & Latin 6.1 per Mac OS X SNS-Greek & Latin 2.1 per WindowsAntonella Russo 333

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viii Indice

Mnamon: Portale delle Antiche Scritture del MediterraneoAntonella Russo, Anna Santoni 335

MNHMHS cARIN

Commemorazione di Vincenzo TusaHans Peter Isler 343

Vincenzo Tusa: un ricordo sempre vivoFrancesca Spatafora 345

Vincenzo TusaSebastiano Tusa 349

Illustrazioni 353

Allegato CD con posters

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Abbreviazioni

Autori antichi

Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Oxford Classical Dictionary, Oxford-New York 19963 o del dizionario di H.G. Liddell, R. Scott, Oxford 19689, e del Thesaurus Linguae Latinae. Index, ed. Teubner, Lipsiae 1904, ad eccezione dei seguenti casi: Apoll. Rhod., Diod., Demosth., Mythogr., Plato.

Opere generali

BÉ = Bulletin Épigraphique, in «Revue des Études Grecques».BMC = Catalogue of the Greek Coins in the British Museum.BTCGI = Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle

Isole Tirreniche (fondata da G. Nenci e G. Vallet, diretta da C. Ampolo), Pisa-Roma 1977-1994, Pisa-Roma-Napoli 1996-2012.

CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin 1863-CIS = Corpus Inscriptionum Semiticarum, Paris 1881-EAA = Enciclopedia dell’Arte Antica, Classica ed Orientale, Roma 1958-FGrHist = Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923-ICO = M.G. Guzzo Amadasi, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in

Occidente, Roma 1967 (Studi Semitici, 28).ICret = M. Guarducci, Inscriptiones Creticae, I-IV, Roma 1935-1950.IG = Inscriptiones Graecae consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae

Borussicae editae, Berolini 1873-IGDS = L. Dubois, Inscriptions grecques dialectales de Sicile: contribution à

l’étude du vocabulaire grec colonial, Rome 1989.IGRRP = R. Cagnat (a cura di), Inscriptiones graecae ad res romanas pertinentes,

I-IV, Parigi 1906-1927.IGUR = L. Moretti (a cura di), Inscriptiones Graecae Urbis Romae, Roma

1968-1990.ILAlg = Inscriptiones Latinae de l’Algerie, Paris-Alger 1922-ILS = H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berlin 1892-1916.LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologie Classicae, Zürich-München 1981-LSCG = F. Sokolowski, Lois sacrées des cités grecques, Paris 1969.LSS = F. Sokolowski, Lois sacrées des cités grecques. Supplément, Paris 1962.RE = Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft (neue

bearb.), Stuttgart-München 1893-1972.RIC = H. Mattingly, E.A. Sydenham and other, Roman Imperial Coinage,

1923-1967.SEG = Supplementum Epigraphicum Graecum, Leiden 1923-SNR = Sylloge Nummorum Romanorum.

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x Abbreviazioni

Periodici

Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Année Philologique, ad eccezione delle seguenti e dei titoli riportati per esteso:

AnnInst = Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica.ArchMed = Archeologia Medievale.BCA Sicilia = Beni Culturali e Ambientali. Sicilia.BCSFLS = Bollettino del Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani.QuadAMessina = Quaderni dell’Istituto di Archeologia della Facoltà di Lettere

e Filosofia dell’Università di Messina.QuadMusSalinas = Quaderni del Museo Archeologico Regionale «A. Salinas».SicA = Sicilia Archeologica.

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1. Introduzione

Nella primavera del 2008 la Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani e l’Università degli Studi di Palermo hanno intrapreso un nuovo progetto con-giunto di ricerche sul campo a Monte Castellazzo di Poggioreale nella Valle del Belice (fig. 398). A distanza di circa 25 anni sono così ripresi gli scavi (interrotti nel lontano 1982) in questo importante insediamento indigeno dell’età del Ferro, che sul pia-no storico-culturale è stato in genere attribuito alla civiltà elima della Sicilia occidentale. L’iniziativa è stata avviata dal Servizio archeologico della Soprin-tendenza trapanese che ha promosso un nuovo ciclo di indagini a Castellazzo grazie all’assegnazione di un cospicuo contributo europeo1.

L’Ateneo palermitano dal canto suo ha contribuito mediante l’istituzione di un campo-scuola al quale ha partecipato un folto gruppo di studenti e allievi per lo più iscritti ai corsi di laurea di indirizzo archeologico che sono oggi attivati nella sede decentrata di Agri-gento2. Si è così ripristinata la tradizione, grazie alla quale, proprio a Poggioreale, per quasi un decennio (1974-1982) aveva operato annualmente una simile struttura, uno dei primi campi-scuola con finalità di-dattiche creati in Sicilia3.

La campagna del 2008 ha avuto una durata di cir-ca due mesi e mezzo (aprile-giugno 2008) e ha in-teressato due nuovi settori, che – in continuità con gli scavi precedenti – sono stati denominati ‘Campo IV’ e ‘Campo V’ (figg. 400, 405)4. Nel Campo IV, si-tuato nella ‘città bassa’ lungo il limite Sud-SudEst del monte, sono stati portati alla luce i resti di un edificio di età tardo-arcaica, contenente interessanti reperti di produzione locale e di importazione che attestano stretti contatti fra mondo indigeno e mondo colonia-le. Nel Campo V (fig. 400)5, situato nella ‘città alta’ a ridosso della cima, si è invece portata alla luce una poderosa costruzione a pianta rettangolare, caratte-

rizzata da alcuni muri a telaio, risalente al VI-V sec. a.C. In entrambi i cantieri sono anche emersi contesti più antichi di minore entità, che comunque gettano nuova luce sulla cultura materiale dell’insediamento indigeno di Monte Castellazzo nell’età del Ferro, in un periodo antecedente il contatto col mondo greco coloniale.

Una seconda campagna è stata inoltre intrapresa nel maggio-giugno 20096. In assenza di ulteriori fi-nanziamenti, si è continuata l’indagine soltanto nel Campo IV ad opera della componente universitaria. Numerosi studenti universitari hanno partecipato al campo-scuola svolgendo il lavoro manuale sul can-tiere di scavo senza l’aiuto di manodopera retribui-ta. Nella detta campagna del 2009, oltre allo studio e alla catalogazione dei reperti, si sono realizzati per lo più saggi stratigrafici di controllo in alcuni punti se-lezionati del settore di scavo, allo scopo di verificare la consistenza del deposito archeologico e affinare la cronologia delle strutture emerse.

Il presente contributo, oltre a passare brevemente in rassegna le ricerche precedenti e a riassumere la sequenza cronologica del sito, comprende una re-lazione dettagliata dello scavo nel Campo IV a cura della dott.ssa Paola Sconzo. La relazione di scavo re-lativa al Campo V sarà pubblicata in altra sede.

Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone

2. Cenni sulla storia delle ricerche

2.1 TopografiaIl Monte Castellazzo è situato sul lato orientale dei

Monti di Gibellina, una bassa catena montuosa che termina ad Est in prossimità della confluenza dei due rami del fiume Belice, le cui acque scorrono verso Sud Ovest e sfociano nei pressi di Selinunte7. Il mon-

Nuove ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009

a Albert Leonard Jr.

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240 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

te (m 615 s.l.m.), di forma tronco-conica, è costituito da un’ampia piattaforma inclinata di calcarenite, ter-razzata ed esposta a mezzogiorno, digradante sensi-bilmente verso SudOvest (figg. 398-400). Proprio su questo lato, nel punto più basso della piattaforma (m 520 ca.) più facilmente accessibile, gli scavi hanno portato alla luce la porta urbica principale dell’anti-co centro, detta ‘Porta Sud’ (fig. 402). Sugli altri tre lati il Castellazzo è circondato da pareti precipiti e da pendii scoscesi. Alle pendici meridionali insistono i ruderi del vecchio abitato di Poggioreale distrutto dal sisma del 1968 (fig. 398).

La forma dell’antico insediamento è quella tipica dei siti di altura, che caratterizzano i centri indige-ni dell’età del Ferro in Sicilia: arroccati su una cima montuosa dai lati scoscesi, per natura ben difesi e quindi spesso quasi imprendibili, questi siti stavano in una posizione strategica dominante a comando di una importante via di comunicazione fluviale e/o terrestre. Questo era appunto il ruolo di Monte Ca-stellazzo, che oltre a controllare il corso del fiume, faceva da sentinella al vicino passo di ‘Portella di Abita’, che tuttora (come in antico) attraversa la ca-tena di monti e consente il transito carrozzabile dalla bassa valle del Belice e dalla chora di Selinunte verso la piana di Alcamo e la valle del Fiume Freddo nel territorio segestano.

2.2 Le prime scoperteLa scoperta del sito si fa risalire al 1876, quando

Mons. Vincenzo Di Giovanni, membro della Socie-tà Siciliana di Storia Patria e docente universitario, riportava una tradizione locale pseudo-dotta secon-do la quale su Monte Castellazzo era ubicata l’antica Elima8. In seguito segnalava i primi rinvenimenti di superficie a noi noti, due arule fittili con scene di ani-mali in lotta (oggi disperse)9.

Nel 1956 la scoperta casuale della Pietra di Poggio-reale, una notevole epigrafe arcaica in dialetto dorico selinuntino con dedica ad Eracle10, attirava l’atten-zione degli archeologi verso l’antico sito. Questo ve-niva prima ricognito in superficie da Vincenzo Tusa, allora giovane Ispettore della Soprintendenza alle Antichità: egli attribuiva giustamente il centro ad età arcaica, ma lo considerava la primitiva sede dell’an-tica Entella, che sarebbe stata poi distrutta e quindi trasferita sulla vicina Rocca omonima nel corso del IV secolo a.C.11. Qualche anno dopo l’archeologo

rumeno Dinu Adamesteanu effettuava una ricogni-zione aerea e dava utili indicazioni sulla topografia e urbanistica del sito, come anche sulla viabilità antica proponendone l’identificazione con l’antica Alicie12. Per ragioni che ho già spiegato altrove ambedue que-ste ipotesi sono oggi da abbandonare, mentre resta ancora in piedi – anche se non suffragata da dati con-creti – la vecchia teoria della tradizione locale relativa alla leggendaria Elima (città forse mai esistita)13.

I primi scavi a Monte Castellazzo iniziarono nel 1967, quando il Soprintendente V. Tusa eseguiva al-cuni saggi in una breve campagna sul monte e scopri-va una dozzina di tombe nella necropoli di Madon-na del Carmine, sita alle sue pendici orientali14. Nel 1969-1970 egli proseguiva le ricerche portando alla luce due diversi monumenti: il primo, la c.d. ‘Casa del Muro a telaio’, situata nella zona alta a NordO-vest in prossimità della cima, è un piccolo edificio a pianta quadrangolare, composto da due vani in parte scavati nella roccia (figg. 400-401); il secondo, venuto alla luce nella zona bassa dell’abitato al di sotto di un ripido costone (quota m 530 s.l.m.) e definito dallo scopritore ‘Area Sacra’, è un ampio edificio pluricel-lulare, la cui destinazione resta tuttora incerta: non si può escludere cioè che almeno in parte fosse adibito ad uso domestico. A parte concise notizie date dallo scopritore, questi scavi restano purtroppo inediti15. La presenza di una struttura a telaio tipica del mon-do punico nel primo edificio e l’impiego saltuario di grandi conci squadrati nelle fondazioni del secondo suggeriscono che entrambi si possono assegnare al periodo di maggiore sviluppo del centro indigeno (cioè, in senso lato, al VI-V sec. a.C.).

2.3 Gli scavi degli anni SettantaNegli anni 1976-1982 sette campagne di ricerche

sistematiche sul campo venivano realizzate ad opera della Missione congiunta delle Università del Mis-souri-Columbia (USA) e di Palermo, co-diretta dallo scrivente e da Albert Leonard Jr. Quest’ultimo, for-matosi alla scuola dell’Oriental Institute di Chicago, aveva acquisito grande esperienza partecipando per varie campagne agli scavi della Missione americana a Gezer in Palestina16. Negli scavi di Poggioreale ven-ne pertanto adottato il manuale in cui la Missione di Gezer aveva raccolto una serie di nozioni metodolo-giche e pratiche che costituivano un notevole avan-zamento sul piano della tecnica e documentazione di

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241 Nuove ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009

scavo17. Questa metodologia, applicata allora per la prima volta in Sicilia, oggi si può definire ‘metodo del Belice’18.

Alle campagne annuali di scavo condotte dal-la Missione italo-americana si affiancò una ‘field-school’ alla quale parteciparono numerosi volontari italiani (per lo più studenti delle Università siciliane) e stranieri, soprattutto provenienti dagli Stati Uniti, ma anche dalla Gran Bretagna, Svizzera e perfino dal Bangladesh19.

A Castellazzo vennero in quegli anni indagati tre diversi cantieri di scavo, detti Campo I, II e III20. Il primo, situato nella zona mediana del sito al di sopra del costone di quota 540, fu affidato alla componente statunitense. Furono individuate tre fasi di occupa-zione, separate da lunghi periodi di abbandono. La più antica (Fase A), di epoca preistorica, compren-deva i resti di una grande capanna ovale (provvista all’interno di vari arredi, tra cui una piastra fittile quadripartita), verosimilmente usata come focola-re o piano-cottura (fig. 404). La ceramica bigia con decorazione plastica a nervature tipica dello stile di Thapsos permetteva di datare la struttura all’età del Medio Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.). Sui resti preisto-rici fu impiantato in seguito un largo edificio a pianta rettangolare (fig. 403), risalente ad età tardo-arcaica (Fase C: seconda metà VI-inizi V). L’occupazione più recente, di età arabo-normanna (Fase F), è rap-presentata da una rozza costruzione monocellulare di forma rettangolare avente muri assai spessi, di mi-nore interesse (fig. 403, in alto).

Nel Campo II, situato nella zona più bassa al di so-pra di una ripida balza che delimita il sito sul lato meridionale, si mise in luce la Porta Sud che costitui-va l’accesso principale della città (fig. 402). Sul lato a monte era fiancheggiata da un robusto muro in opera quadrata, che rivestiva il taglio nella roccia. Un muro parallelo sul lato opposto era andato distrut-to. All’interno si apriva una piazzola a cielo aperto, anch’essa incassata nella roccia, delimitata da muri di rivestimento e provvista di un pozzo, di panchine e di canalette per lo scolo delle acque.

La Porta venne incendiata e distrutta nella prima metà del V secolo. Più tardi, verso la fine dello stesso secolo, venne rioccupata per alcuni decenni (Fase D), fino a quando il sito non fu abbandonato. Seguì una terza fase molto povera in epoca bizantina (Fase E).

Nel 1978 si decise di aprire una terza area di scavo, il Campo III, che distava circa 70 m a Est della Porta

Sud. L’obiettivo di questo scavo era di verificare l’esi-stenza di un muro di cinta possibilmente impostato lungo il ciglio della ripida balza che delimita il lato meridionale del sito. Una piccola trincea trasversale dimostrò subito che sulla balza non c’era traccia di opere fortificatorie e che si raggiungeva facilmente la roccia vergine, data la scarsa profondità del deposito archeologico (inferiore a 1 m). A differenza delle al-tre aree di scavo ove, relativamente all’età del Ferro, non c’erano strati anteriori alla metà del VI secolo, lo scavo del Campo III risultò tuttavia assai interes-sante in quanto si identificarono tracce di uno stan-ziamento protostorico più antico (Fase C-1). Nella parte centrale si misero in luce i resti frammentari di un impianto capannicolo e di un largo cortile la-stricato, con focolare e altre istallazioni, delimitato a Est da un lungo muro rettilineo di recinzione. A questi resti era associata ceramica indigena ornata dalla tipica decorazione geometrica incisa/impressa e dipinta e ceramica greca di importazione (corin-zia, ionica, East Greek, coloniale, ecc.), databile a un periodo compreso tra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C.

Si veniva così a documentare a Castellazzo una pri-ma fase di contatto e di scambio pacifico tra indigeni e coloni che iniziava apparentemente subito dopo la fondazione di Selinunte (628 a.C.). Si rinvenivano inoltre in alcuni punti dello scavo lembi di strati più antichi, purtroppo piuttosto labili, risalenti a una fase indigena pre-contatto, Fase B, e a più remote epoche preistoriche (cultura Conca d’Oro (?), Medio Bronzo).

2.4 PeriodizzazioneAlla luce delle scoperte sopra sommariamente de-

scritte, si può dire che gli scavi a Monte Castellazzo hanno rivelato una lunga storia dell’insediamento, che si sviluppa attraverso sette fasi o livelli principali di occupazione, che a loro volta si alternano ad altret-tante fasi più o meno lunghe di deserzione. Questi periodi sono stati designati mediante una sequenza di lettere e si possono brevemente riassumere come segue.

Fase A. Età preistorica. Comprende due diverse epoche o sotto-fasi. Le più

antiche tracce di vita a Castellazzo, purtroppo as-sai scarse, forse risalgono al tardo III millennio a.C. (Fase A.1). Ceramica di impasto, per lo più inornata

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242 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

e quindi non facilmente diagnosticabile, compren-dente grandi fruttiere e tazze carenate talora ornate di bugne, come pure schegge di selce e ossidiana era-no associate a un piano di pietre e cocci stante al di sopra della roccia nel Campo III, in prossimità del ciglio del costone meridionale21. Qualche altro fram-mento ceramico sporadico, rinvenuto in contesti più tardi nello scavo del Campo I, è stato attribuito da Leonard alla cultura Conca d’Oro22. Alla stessa epoca potrebbe risalire un’ascia litica (anch’essa sporadica) di eccellente fattura, di tipo campignano23.

Fase A.2. Età del Bronzo Medio (1400-1250 a.C.). A questo periodo, meglio documentato, appartengo-no la capanna circolare e le altre istallazioni scoperte nello scavo del Campo I. Sulla base della ceramica, tipica dello stile di Thapsos, questa fase si può asse-gnare all’età del Medio Bronzo.

Fase B. Età protostorica. Dopo un lungo periodo di abbandono la vita ripre-

se sul monte nel I millennio durante l’età del Ferro. La fase più antica (Fase B.1), databile all’VIII-VII sec. a.C., si riferisce a uno strato indigeno pre-contatto, di cui si sono identificate scarse tracce di occupazione nel Campo III.

Fase C. Età arcaica (625-470 a.C. circa). Anche questa fase abbraccia due diversi livelli di

occupazione della tarda età del Ferro. Il più antico, Fase C1, databile al 625-550 a.C., segna la fase ini-ziale di contatto in cui si registrano i primi intensi scambi col mondo greco coloniale. Alla ceramica locale a decorazione incisa/impressa e dipinta si as-socia quella greca importata in grande quantità. L’ar-chitettura domestica è ancora di tradizione locale, con abitazioni sub-circolari e cortili esterni lastricati.

Nella fase successiva, C2 (550-470 a.C.), si ebbe una ristrutturazione urbana sotto l’impeto della cultura ellenica. Le abitazioni sono ora a pianta rettangolare, internamente suddivise in più vani, con cortile, for-se raggruppate a formare blocchi di case separate da vie. In quest’epoca viene costruita la Porta Sud (fig. 402), collegata ad una strada di accesso carrozzabi-le che tagliava trasversalmente il costone inferiore ed era provvista di una piazzuola, da cui si diparte la rete viaria del centro urbano. Questa fase termina con una violenta distruzione. La Porta fu incendiata e la città sembra essere stata abbandonata per almeno mezzo secolo.

Fase D (410- 370 a.C.).Sul finire del V secolo il sito venne rioccupato per

alcuni decenni, forse subito dopo la distruzione di Selinunte nel 409 a.C. Si trattò probabilmente di una occupazione effimera, forse ad opera di una qualche guarnigione militare (Punici vittoriosi? fuggiaschi selinuntini? mercenari campani?), di cui restano poche tracce nell’area della Porta Sud. La città non raggiunse più l’antico splendore e fu definitivamente abbandonata durante i primi decenni del IV sec. a.C.

Fase E. Età bizantina (VI-VIII sec. d.C.). Questa fase è documentata solo nello scavo della

Porta Sud, ove nei livelli superiori si sono rinvenuti scarsi avanzi associati a ceramica bizantina (decorata al pettine).

Fase F. Età arabo-normanna (IX-XII secolo). La ceramica corrugata – acroma o dipinta a bande

rosso-brune – e quella invetriata, sparsa in superfi-cie in vari punti del sito, sembra indicare una estesa occupazione in epoca medievale. Quale fosse la vera natura dell’insediamento resta però ancora oscuro, poiché, fatta eccezione per la rozza struttura mo-nocellulare scavata nel Campo I, non si sono finora trovati altri resti architettonici risalenti a quest’epo-ca. È molto probabile che l’occupazione iniziale sia avvenuta in epoca araba antecedente la conquista normanna della Sicilia.

Fase G. Età moderna. A quest’epoca appartengono i numerosi muri di

contenimento, terrazzamenti, costoni artificiali, cu-muli di pietrame, come pure i muretti a secco che de-limitano i campi, che hanno determinato la forma at-tuale del sito. Tutte queste strutture sono certamente dovute ad attività agricole di età recente, soprattutto intensificatesi dopo la fondazione del paese di Pog-gioreale (datata al 1642).

Gioacchino Falsone

3. Lo scavo del Campo IV

3.1 Cenni topografici e finalità della ricercaIl Campo IV è situato lungo il limite meridionale

del sito di Monte Castellazzo, un centinaio di metri a Est dalla Porta Sud, venuta alla luce negli scavi degli

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243 Nuove ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009

Anni Settanta, e attiguo al Campo III, scavato negli stessi anni (fig. 400).

La nuova area di scavo, generalmente coperta – come tutto il monte – da una fitta vegetazione spon-tanea, è caratterizzata da un possente e ripido costo-ne alto oltre 5 m (figg. 405-406): questo è orientato in senso Est-Ovest, sta a una quota di m 540 s.l.m. e, spezzando il pendio naturale, viene a separare un pianoro inferiore da un terrazzo superiore. Il piano-ro inferiore (fig. 405), apparentemente in dolce decli-vio NordOvest-SudEst, presenta un dislivello di circa 5 m, è di forma approssimativamente trapezoidale ed è delimitato a SudEst dalle balze ripide e scoscese del Monte, che sovrastano a valle il vecchio abitato di-ruto di Poggioreale. Il terrazzo superiore si presenta invece relativamente pianeggiante (probabilmente in seguito al continuo accumulo di terreno causato dal-la presenza di strutture di contenimento sepolte) nel tratto più basso lungo il ciglio del costone, mentre più a monte è in forte pendenza.

La scelta di questo nuovo settore di scavo è stata dettata dalla possibilità che proprio lungo il costone – che attraversa da Est a Ovest quasi tutta la zona bas-sa del monte – si potessero conservare ancora resti di una cinta interna di fortificazione dell’abitato indi-geno. Va ricordato infatti al riguardo che in nessun punto del sito finora si è mai rinvenuta traccia di cor-tine murarie: la spiegazione più plausibile è che que-sto fosse per lo più difeso naturalmente, grazie alla sua conformazione geo-topografica, dai suoi fianchi scoscesi lungo quasi tutto il perimetro. Una seconda ragione di interesse era l’adiacenza al Campo III, ove nelle ricerche precedenti erano venute alla luce le fasi protostoriche più antiche finora individuate nel sito. Uno degli obiettivi dello scavo del Campo IV è stato quindi quello di individuare contesti relativi alla fase di contatto fra il mondo indigeno e quello coloniale, come pure eventualmente strati indigeni puri, pre-contatto.

Lo scavo del Campo IV è iniziato nell’aprile 2008 e ha avuto una durata di circa due mesi. Piccoli inter-venti di verifica sono stati poi effettuati nella prima-vera dell’anno seguente. All’inizio della prima cam-pagna, come operazione preliminare, si è proceduto alla scerbatura dei due pianori e del costone e alla rimozione del pietrame sparso in superficie. Lo sca-vo è stato condotto applicando il ‘metodo Belice’, già introdotto negli scavi degli anni Settanta (v. supra): inizialmente si è realizzata una griglia di quadrati di

m 10 di lato, i cui assi risultavano grosso modo per-pendicolari al costone 540.

Sono poi state selezionate tre aree di intervento, una lungo il costone (Aree 15 e 25) e due al centro del pianoro inferiore (Aree 13 e 12).

3.2. L’esplorazione del costone (Aree 15 e 25)Come accennato in precedenza, la prima indagine

è stata volta ad esplorare il costone con l’obiettivo di indagarne natura e consistenza e di appurare se in antico questo avesse avuto una funzione difensiva. In seguito ad una pulitura superficiale sono venuti subi-to alla luce una serie di muretti di terrazzamento co-struiti a secco e crolli di pietrame che emergevano in più punti, a diverse quote nel tratto interessato (fig. 406). Più significativo è stato comunque il rinveni-mento di una poderosa struttura in pietra affiorante alla sommità, che per un lungo tratto delimitava il ciglio del costone. Questa era costituita da una corti-na a doppio paramento lunga circa 10 m (figg. 407-408). L’allineamento del paramento interno era chia-ramente visibile in superficie, mentre quello esterno era obliterato e coperto a valle da cumuli di pietrame (fig. 407, in alto).

Il corpo murario era inoltre caratterizzato da una serie di blocchi affioranti ancora in situ che sembra-vano fiancheggiare un’apertura o passaggio centrale. Asportato il riempimento di pietrame gettato alla rinfusa (fig. 409), è emersa una scalinata lapidea, larga circa un metro, fiancheggiata su ambo i lati da grandi blocchi squadrati di reimpiego, che separava la cortina muraria in due tronchi ed evidentemente doveva servire ad agevolare l’accesso al terrazzo su-periore. La scala (fig. 410) era costruita a regola d’ar-te mediante una rampa di sei gradini ben incastrati nelle fiancate dei muri e costituiti da conci e/o da la-stroni di calcarenite locale ben tagliati in facciavista. I gradini, al di sotto dei lastroni di copertura, erano inzeppati mediante sottili filari di lastrine, tegole e grossi cocci di giare (fig. 415).

L’indagine ha appurato la presenza di almeno due fasi d’uso della struttura, di cui la più tarda era rap-presentata da una superficie intermedia, associata ai due gradini più alti (figg. 407, 412). Su tale superficie è stata rinvenuta una moneta moderna, una Lira del 1942, recante sul verso l’effigie del re d’Italia, Vittorio Emanuele III di Savoia. Anche se altre possibilità non sono del tutto da escludere, è pertanto probabile che

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244 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

l’ultimo uso della rampa risalga al XX secolo, anzi al periodo della II guerra mondiale24.

Oltre alla rimozione del riempimento della scala si sono eseguiti tre saggi: uno a monte, lungo il para-mento interno del muraglione (fig. 411); il secondo sul lato Est; il terzo all’esterno, sul lato a valle della cortina muraria (figg. 407, 416).

Nel sondaggio alla sommità (trincea Nord), di m 5,5 x 1,5, si è portato a vista parte del paramento in-terno del muro. Questo è caratterizzato da filari gros-solani, realizzati con blocchi di calcarenite e pietre sbozzate che danno un aspetto rudimentale a tutta la struttura (figg. 413-414).

Un piccolo saggio in profondità (m 1,30 x 1,30), effettuato inoltre nella primavera del 2009, ha per-messo di individuare – poco al di sotto dei filari di fondazione – dei muretti a secco e strati più antichi, la cui natura rimane ancora da chiarire (fig. 414). Il rinvenimento alla base di ceramica arabo-normanna e di un interessante gettone di vetro iscritto in arabo suggerisce inoltre che la costruzione della muraglia con la scala risalga ad un’epoca successiva al periodo dei Musulmani in Sicilia.

Il paramento esterno, più rovinato, è stato messo in luce nella trincea a Sud (fig. 415). Esso compren-deva un alzato di sei filari costruiti con l’impiego di blocchi più grandi talora squadrati, o comunque ben lavorati in facciavista, spesso disposti per taglio, che si alternano a strati più sottili di lastre e tegole. Tale facciata si interrompeva poco al di sotto del gradino più basso della scala per cedere il passo ad un para-mento di fondazione più grezzo, ma in una tecnica assai simile a quella già descritta (figg. 415-416).

Nella stessa trincea lo scavo a ridosso della fonda-zione ha inoltre evidenziato la presenza di una serie di strati abbastanza compatti di pietrame grezzo che si alternano a terriccio bruno piuttosto sciolto: ma mai è emerso un vero e proprio piano di calpestio né tantomeno la continuazione della scala o tracce di strutture mobili che dovessero consentire dal basso l’accesso ad essa.

Approfondendo lo scavo della trincea si è infine messo in luce un muro in pietrame grezzo di picco-lo taglio disposto in senso ortogonale al muraglione (fig. 416): ma negli strati ad esso associati non si sono raccolti materiali sufficienti per una sicura datazione.

Altresì incerta resta anche la funzione e cronologia della cortina muraria, aspetti questi che solo il pro-sieguo dello scavo potrà chiarire. In ogni caso, visti i

dati raccolti e la tecnica edilizia impiegata, non sem-bra si possa assegnare ad un’epoca anteriore al perio-do medievale25.

3.3 Area 13L’Area 13 è un quadrato di 10 m di lato situato

nella parte centrale del pianoro inferiore; immedia-tamente al di sotto dello strato di humus agricolo sono emersi cumuli sparsi di pietrame grezzo misti a ceramica invetriata e/o corrugata di periodo medie-vale che a loro volta coprivano i resti di un edificio a pianta rettangolare, orientato in senso NordEst-SudOvest e leggermente terrazzato a causa della pen-denza naturale (fig. 417).

Allo stato attuale il corpo di fabbrica è costituito da una fila di almeno tre ambienti (vani A, B, C), sepa-rati da due tramezzi correnti verso Est e delimitati sul lato Ovest da un lungo muro perimetrale che costeg-gia quella che probabilmente era una via urbica (fig. 429). Il muro, che chiaramente prosegue verso Nord oltre i limiti dello scavo, è in parte tagliato da una fossa verso Sud all’altezza del Vano C.

Queste strutture murarie si conservavano pur-troppo soltanto nei primi due filari di fondazione in quanto l’edificio in questione si presentava in uno stato precario sia a causa dell’erosione nel corso dei secoli che di rimaneggiamenti in età medievale: ap-punto per questa ragione non c’è traccia di murature consistenti in tutto il settore orientale del quadrato, eccetto che per un lacerto di muro e la sua trincea di spoliazione, l’unico indizio stante ad indicare che l’intera fabbrica si doveva estendere ancora più ad Est, oltre il limite dello scavo.

All’interno delle tre stanze mancano inoltre chiare tracce dei piani pavimentali e delle soglie di ingresso, che si dovevano trovare ad una quota più alta delle strutture conservate.

Nonostante la scarsa potenza del deposito archeo-logico (in media 40 cm), lo scavo dell’Area 13 è risul-tato assai fruttuoso di dati e di reperti che ci consen-tono di ricostruire un quadro abbastanza interessan-te dell’impianto urbano e della cultura materiale in età arcaica a Castellazzo di Poggioreale.

Di particolare interesse è risultato l’ambiente cen-trale, il vano B (fig. 418): qui, nello strato di terra argillosa color senape che forse doveva fungere da strato di preparazione del piano pavimentale, sono infatti venuti alla luce una gran quantità di piccoli

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reperti (figg. 420-421): una trentina di pesi da telaio fittili di varia forma e dimensione (fig. 427), una doz-zina di laminette di bronzo talora ripiegate o accar-tocciate (figg. 420, 421, 426a), chiodi e altri utensili di bronzo (figg. 423, 425), una cinquantina di fram-menti di manufatti o di metallo grezzo e scorie di fer-ro. Altri oggetti più rari e ancor più interessanti sono: alcuni vasetti di formato miniaturistico, sia acromi (kantharoi e tazzine monoansate) che dipinti, come i kotyliskoi di stile tardo-corinzio (fig. 428,4), una ro-setta fittile a otto petali in rilievo con foro centrale per il fissaggio (fig. 426b)26, un elemento di palmetta fittile frammentaria (forse parte di un’antefissa), e un oggetto oblungo in pietra dura traslucida di color beige rosato (agata?) di pregevole fattura (fig. 422). È probabile che quest’ultimo servisse per la brunitura di oggetti in metallo27.

Sembra che tutti questi reperti siano stati inten-zionalmente deposti e disposti talora in piccoli grup-pi nella fascia di terra a ridosso e/o direttamente a contatto con il paramento interno dei muri Sud ed Ovest e costituiscono molto probabilmente una sorta di deposito di fondazione. Va inoltre specificato che nessun ritrovamento simile è stato fatto all’interno dei vani limitrofi. Il vano B viene pertanto a confi-gurarsi come l’ambiente principale dell’edificio, che doveva avere una particolare destinazione. A parte la quantità di strumenti per attività tessile e metallur-gica e il materiale grezzo che indica una qualche for-ma di tesaurizzazione, una possibile funzione votiva o rituale è anche suggerita dagli altri reperti, quali, ad esempio, i quattro vasetti miniaturistici deposti a ridosso del muro Est: questi ultimi appartengono ad una classe tipologica ben nota e spesso si rinvengono in contesti votivi e luoghi di culto di età arcaica in Si-cilia, come ad esempio nel santuario di Demetra Ma-lophoros nella vicina Selinunte, ove esemplari simili furono rinvenuti a centinaia28.

Venendo alla datazione dell’edificio, o meglio, della sua fondazione, i materiali ceramici rinvenuti nello strato argilloso, consistenti in ceramica attica a figure nere (figg. 424, 428,14-15), ceramica colonia-le per lo più selinuntina, ceramica corinzia e coppe ioniche del tipo B2 (fig. 428,5-12) suggeriscono una datazione alla seconda metà/fine del VI sec. a.C.29. Appartengono quindi alla fase C2 della sequenza del sito già individuata negli scavi degli anni Settanta (v. supra).

Nella zona esterna all’edificio, sul lato Ovest dell’A-rea 13, è emersa invece una superficie piuttosto com-patta, costituita da pietrisco, cocciame vario e ossa di animali, che verosimilmente doveva costituire parte del piano di calpestio di una via urbica adiacente all’e-dificio e orientata nello stesso senso (fig. 419). Su tale piano, nel tratto più settentrionale, si sono rinvenuti ancora in situ alcuni elementi di un certo interesse: la metà inferiore di un arto di animale ancora in con-nessione, una singolare e rara statuetta fittile raffigu-rante un negro accosciato e una brocchetta-attingi-toio acroma (fig. 430); poco distante, all’interno di una chiazza di terra bruciata mista ad ossa combuste, sono emersi quattro elementi di una catena di ferro.

Se la brocchetta, in stato frammentario, risulta poco significativa sul piano cronologico30, la statuet-ta di negro accosciato richiama una classe abbastanza distintiva della coroplastica rodia (fig. 431)31. Il con-fronto più vicino comunque ci è dato da un esempla-re in identica posa rinvenuto nella necropoli punica di Predio Ibba a Cagliari32. Il pezzo, inquadrabile alla metà del V secolo, costituisce il terminus ante quem per l’abbandono della strada e dell’intero edificio33.

Una serie di piccoli sondaggi, infine, effettuati nel corso della campagna 2009 all’interno dei vani A e B, prova la presenza di una più antica fase di occupa-zione caratterizzata da brandelli di muretti in pietra a secco con andamento lievemente diverso rispetto a quello dell’edificio soprastante e da almeno un paio di fosse semicircolari, del diametro di oltre 2 m, che tagliano lo strato di argilla vergine e la roccia natura-le. Il materiale, molto scarso, è costituito primaria-mente da ceramica indigena a motivi incisi e impres-si, del tutto simile ai ritrovamenti dell’Area 12, che discuteremo più avanti.

Per ricapitolare, lo scavo dell’Area 13 ha portato alle luce resti di attività risalenti a tre diverse epoche:a) rimaneggiamenti di età medievale (Fase F);b) un edificio a pianta rettangolare, fiancheggiato

da una strada e costituito finora da una fila di tre vani di età tardo-arcaica (Fase C2). Il materiale rinvenuto all’interno del vano centrale suggerisce una datazione alla seconda metà del VI sec. a.C., mentre altri reperti da contesti vicini indicano che l’edificio dovette rimanere in uso anche nel corso del V sec. a.C. avanzato;

c) tracce di una frequentazione precedente di età arcaica (Fase C1).

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246 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

3.4 Area 12Passando all’Area 12, situata più a valle, l’elemento

principale portato alla luce è una struttura ad anda-mento curvilineo ipoteticamente interpretabile come l’arco di una capanna a pianta ovale (fig. 432)34. Del suo alzato si conservava purtroppo solo un filare di fondazione.

La capanna presenta almeno due fasi di occupazio-ne. Nella fase più recente la struttura sembra fosse chiusa a Est da una sorta di muretto rettilineo, costi-tuito da pietrame minuto, e presentava al suo interno una piastra d’argilla con funzione di focolare; alla fase d’uso precedente va attribuita invece una seconda piastra di argilla concotta, questa volta quadripartita, di forma pressoché quadrangolare, circondata su di un lato da pietre di piccole dimensioni (fig. 434). La piastra si legava ad una larga lente di bruciato su cui poggiava un alare in terracotta a forma di rocchetto con foro centrale longitudinale. Un simile rocchetto è stato rinvenuto più a Sud anche all’esterno della ca-panna (fig. 438).

Nella fascia immediatamente a Sud della capanna, al di sopra di un piano battuto in stato piuttosto pre-cario, si sono rinvenute alcune macine a sella e altre due piastre di concotto di forma pressoché circolare. Le numerose piastre-focolari trovano strette analo-gie in istallazioni coeve scoperte negli scavi del vici-no centro di Monte Maranfusa (Roccamena)35, ove talora ricorrono in associazione con rocchetti fittili molto simili ai nostri e a vasi da cucina36. Le piastre si possono interpretare come una sopravvivenza in epoca arcaica di una tradizione molto più antica che ha origine nella media età del Bronzo in Sicilia: que-sta tradizione è ben attestata nel sito di Castellazzo, come dimostrano le strutture del II millennio a.C. a suo tempo scoperte nel Campo I (fig. 404)37.

Lo scavo del 2009 si è concentrato nel tratto a Sud-Est del quadrato. Due file parallele di pietre, questa volta rettilinee, potrebbero fare parte di una seconda struttura (fig. 433). Anche in questo caso, al di sopra di un piano piuttosto compatto e ricco di frammenti ceramici giacenti di piatto, è venuta alla luce una lar-ga piastra pressoché circolare (fig. 435). A differenza delle altre quattro rinvenute più a Ovest, quest’ulti-ma è costituita da tre strati sovrapposti – di cui quello mediano, più consistente (forse una teglia capovolta) –, collegabili probabilmente a varie fasi di rifacimen-to e riparazione. A contatto della piastra era deposta capovolta una singolare coppa indigena a decorazio-

ne incisa e impressa, caratterizzata da una compo-sizione quadripartita con motivi a ramoscello che si alternano a motivi a zig-zag contenuti in ognuno dei quattro scomparti (fig. 436). Molto interessante è an-che un altro frammento di coppa a brunitura rossa fatta a mano che presenta una peculiare composizio-ne a tremoli e cerchielli (fig. 437).

Vanno altresì ricordati pochi frammenti residuali di ceramica di impasto più antica, talora dipinta, che almeno in un caso richiama la cosiddetta ‘classe piu-mata’ (fig. 439,1)38.

Sul piano cronologico, i materiali rinvenuti in asso-ciazione con i resti della capanna consistono in mas-sima parte di ceramica indigena dipinta ed impressa e di ceramica protocorinzia di stile sub-geometrico o ad imitazione coloniale: prevalgono soprattutto le coppe a filetti con orlo distinto, le kotylai e le coppe ioniche di tipo B1, che si possono attribuire a un arco temporale compreso tra gli ultimi decenni del VII e l’inizio del VI sec. a.C. (fig. 439,16-19)39. La ceramica locale consiste in prevalenza di forme chiuse qua-li anfore, brocche ed olle, decorate con motivi geo-metrici incisi e/o impressi quali: teorie di triangoli, ‘clessidre’ e spazi metopali campiti con tremuli (fig. 439,2-4); cerchielli concentrici sparsi o racchiusi in fila entro bande (fig. 439,5-6), bande riempite con motivo a ‘sigma’ (fig. 439,7). Forme e motivi trovano i paralleli più prossimi nella produzione del vicino insediamento di Monte Maranfusa40. Con materiali da questo sito, come anche da Entella e Segesta, van-no confrontati anche i recipienti della classe a deco-razione dipinta, fra cui vanno ricordate sia le scodel-le carenate con fasci di linee e bande ondulate sia le forme chiuse ornate da una tipica sintassi metopale (fig. 439,9-13)41.

La quasi assoluta assenza di materiale di impor-tazione nei contesti adiacenti ma stratigraficamente anteriori alla capanna sul lato Est suggerisce inoltre la presenza di una fase indigena pre-contatto, prece-dente l’arrivo dei greci.

Ricapitolando, lo scavo dell’Area 12 ha portato alle luce resti di attività risalenti a tre diverse epoche:a) tracce di qualche attività di età medievale (Fase F),

simile a quelle identificate nel deposito dell’Area 13;

b) fase di contatto iniziale (C1), caratterizzata dai resti di una capanna semicircolare e varie installazioni ad essa annesse, con ceramiche locali e greche di importazione.

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247 Nuove ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009

c) Tracce di un orizzonte indigeno pre-contatto (Fase B).

3.5 ConclusioneRiassumendo, le due campagne di scavo nel Cam-

po IV a Poggioreale hanno restituito una serie di nuovi dati e una dovizia di reperti estremamente interessanti che aggiungono un nuovo tassello alla ricostruzione storico-archeologica dell’antico centro indigeno di Monte Castellazzo.

La fase di vita più antica emersa nella nostra inda-gine si può attribuire alla piena età del Ferro (Perio-do B), epoca a cui risalgono i resti appena descritti sul lato Est dell’Area 12.

Continuità di vita è inoltre attestata nella stessa area dalla presenza di ceramiche d’importazione che compaiono in associazione a quella indigena negli strati connessi ai resti di una capanna, suggerendo una datazione tra la fine del VII-prima metà del VI sec. a.C. A questa fase vanno probabilmente anche associati le fosse e le strutture fatiscenti messi in luce nell’adiacente Area 13.

Alla seconda metà/fine del VI secolo si possono invece attribuire le vestigia dell’edificio a pianta ret-tangolare dell’Area 13 che, con la via adiacente, getta nuova luce sul tessuto urbano di un quartiere perife-rico del centro indigeno. Tale datazione è suggerita dalla ceramica di importazione già descritta, rinve-nuta insieme a quella indigena in contesti ben sigilla-ti. Come già sottolineato, la vita dell’edificio dovette continuare nel corso del V sec. a.C.

Dopo una lunga fase di abbandono, il pianoro inferiore venne in qualche modo frequentato in età arabo-normanna (Fase F). Ad un’epoca successiva al momento non meglio precisabile (forse Fase G) dovrebbe risalire la cortina muraria che sormonta il costone a monte, con la bella scalinata centrale di accesso.

Lo scavo del Campo IV viene pertanto a conferma-re l’importanza del sito, non soltanto per lo studio della cultura indigena ‘elima’, ma soprattutto per la fase di contatto e acculturazione con il mondo greco coloniale. La presenza di alcuni frammenti intrusivi di ceramica protostorica di impasto negli strati più profondi del pianoro inferiore del Campo IV lascia infine pensare all’esistenza di frequentazioni più an-tiche, ben antecedenti l’arrivo dei Greci nel centro indigeno del Castellazzo di Poggioreale.

Paola Sconzo

Sentiti ringraziamenti vanno a tutte le istituzioni e persone che a vario titolo hanno dato sostegno all’iniziativa archeologica di Poggioreale. Va ricordato anzitutto il Soprintendente BB.CC. AA. di Trapani arch. G. Gini che ha sostenuto il progetto scienti-fico e con estrema lungimiranza e liberalità ha approvato la col-laborazione della struttura universitaria di Palermo, come pure il personale della Soprintendenza, in particolare l’Assistente Luigi Lentini e il geom. Filippo Occhipinti, che hanno dato un con-tinuo e insostituibile aiuto sul piano organizzativo ai lavori sul campo. Passando all’Ateneo palermitano e agli altri Enti, si rin-graziano altresì vivamente il Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Prof. Giuseppe Silvestri e il suo successore Roberto Lagalla; il direttore del Centro di Gestione del Polo Didattico di Agrigento, prof. Antonino Giuffrida e il vice-dirigente dott. Ettore Castorina; il Consorzio Universitario per la provincia di Agrigento (CUPA) e l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario (ERSU) e il Presidente del C.d.A. Prof. Antonino Bono che hanno erogato – rispettivamente per l’anno 2008 e 2009 – un contributo a favore degli studenti partecipanti. Si rin-graziano infine il Sindaco di Poggioreale dott. Leonardo Salvag-gio e il suo predecessore ing. Pietro Vella per la fattiva collabora-zione: il Comune ha offerto ospitalità gratuita ai partecipanti nei locali dell’ex-scuola elementare; nel 2009 ha fornito inoltre un mezzo di trasporto e altre attrezzature utili alla conduzione del programma di lavoro.

1 Soprintendenza di Trapani, perizia 1/2006. Finanziamento P.O.R. Sicilia 2000/2006. Responsabile Unico del Procedimento: Arch. V. Vaiarello. Direzione dei Lavori: Dott.ssa R. Giglio. Ditta aggiudicataria: Donato S.r.l. Alcamo (TP).

2 Gli studenti partecipanti alla campagna 2008, quasi tut-ti iscritti ai corsi di Laurea in Beni Culturali e in Archeologia dell’Università di Palermo, sono stati: Simona Arrabito, M. Elena Barbera, Giuseppe Cinquemani, Fabiola Frasca, Carmelo Ilario, Sebastiano Muratore, Sergio Spoto, Barbara Stagno, Giovanni Tempra, Olga Vitale. Nel 2009 hanno partecipato: Silvia Collovà, Marco Eusepi (Università della Tuscia) e Sebastiano Muratore (in qualità di supervisori di area); Simona Arrabito (disegnatri-ce); Maria Elena Barbera (coordinamento siglatura e lavaggio ceramica); Teresa Arena, Alfonsa Avanzato, Stefania Candeo, Valentina Ciotta, Giovanna Compagno, Andrea Fesi, Valentina Gargano, Maria Giarratana, Carmelo Ilario, Alice Loria, Elisa-betta Lupo, Chiara Messana, Flavia Messina, Domenica Randisi, Barbara Stagno, Giovanni Tempra, Rosaria Tummarello, Stefa-nia Vella, Olga Vitale (studenti).

3 Cfr. Falsone 1976; Falsone, Leonard 1978; Iid. 1980.4 Nella campagna 2008 lo scavo del Campo IV è stato eseguito

con responsabilità scientifica nella qualità di ‘field-director’ dalla dott.ssa Paola Sconzo, ricercatore a contratto dell’Università di

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248 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

Tubinga, Germania. I lavori nel cantiere del Campo V sono stati seguiti con identiche mansioni dal dott. Ferdinando Lentini. En-trambi i ricercatori sono stati coadiuvati dal dott. arch. Giuseppe Verde, che ha eseguito la topografia del sito e mappatura delle aree di scavo. Infine Francesca Minervini ha partecipato al cam-po-scuola in entrambe le campagne e ha svolto con la consueta competenza e a titolo gratuito il lavoro di pulitura e di restauro dei reperti: a lei vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.

5 Il Campo V fu inizialmente denominato come Area A, vedi fig. 3.

6 Come l’anno precedente, la conduzione dello scavo è stata affidata alla dott.ssa Paola Sconzo.

7 Per una completa rassegna bibliografica sul sito di M. Ca-stellazzo, si rimanda a Falsone 1992. Ulteriori contributi ap-parsi in seguito sono: Fresina 1993; Spatafora 1993; Falsone 1996 e recentemente Spatafora 2010.

8 Di Giovanni 1876. Una città di nome Elima è tramandata in Dion. Hal., 1,52,4.

9 Di Giovanni 1886. L’Autore era originario della vicina Sa-laparuta.

10 Manni Piraino 1959.11 Tusa 1957, 89-91, figg. 12-13; Id. 1958, 157-158.12 Adamesteanu 1962. Alcune notizie sulla toponomastica e

sulla viabilità antica sono talora imprecise, mentre l’ipotetica di-stribuzione dell’impianto urbano non è stata ancora confermata dagli scavi.

13 Oltre alla ceramica incisa/impressa e dipinta di stile geo-metrico detta ‘elima’, l’unico significativo documento a favore di tale ipotesi, anche se non certamente determinante, è costituito da un graffito in lingua elima scoperto a Castellazzo negli scavi della Porta Sud: esso trova stretti confronti nei graffiti su cera-mica da Segesta. Cfr. Calascibetta 1990. Sul problema dell’i-dentificazione dell’antico insediamento indigeno, cfr. Falsone 1988-1989.

14 Alcuni dei corredi funerari inediti trovati nella necropoli sono stati di recente concisamente pubblicati e ben illustrati nel catalogo di una mostra: cfr. Spatafora 2010.

15 Tusa 1972.16 Dever 1993 (ivi altra bibliografia).17 Seger 1971.18 Cfr. Falsone 1976. Questo metodo è stato poi anche adot-

tato nelle ricerche in altri siti in Sicilia, come quelli coevi dell’U-niversità di Palermo a Mozia, e quelli della Soprintendenza di Palermo a Monte Maranfusa e Marineo (Spatafora 2003, 19).

19 Al Campo-scuola diede un notevole contributo il Centro di ricerche Archeologiche Antropologiche del Belice (CRAAB), di cui facevano parte vari giovani di Salaparuta e Poggioreale, che parteciparono anch’essi come volontari alle ricerche.

20 Cfr. Falsone, Leonard 1978; Iid. 1979; Falsone et al. 1980-1981.

21 Campo III, Area 65, Loci 6512 e 6517. Relazione inedita della campagna 1981.

22 Falsone et al. 1980-1981, 945.23 L’ascia (oggi dispersa) fu trovata da alcuni ragazzi del vil-

laggio ancor prima dell’inizio dei nostri scavi.24 Va ricordato che il gradino più alto, costituito da una lastra

ben squadrata, era impostato sulla nuda terra al livello del piano di campagna e sporgeva rispetto alla faccia interna della struttura lapidea: è probabile quindi che tale gradino sia stato aggiunto in tempi recenti.

25 I pesi da telaio sono per lo più della solita forma tronco-piramidale, parallelepipeda o cubica e recano incisi o dipinti su una o più facce motivi a ‘X’ e altri segni. Per simili reperti, cfr. De Simone 2003, 347-357, fig. 287-290 (ivi altra bibliografia).

26 Per ‘borchiette di rame’ della stessa forma, trovate in una tomba della necropoli rodia di Camiro, cfr. Iacopi 1931,158-159, fig. 158.

27 Si ringraziano i proff. Guenter Hoelbl, Monica de Cesare, Martine Fourmont e Caterina Ferro per alcuni utili suggerimenti relativi ai reperti venuti alla luce nelle Aree 12 e 13.

28 Cfr. Dehl 1995, 412, tav. 71: 4701-4802 e 4803-4902 (va-setti acromi); tav. 54: 2765, 299-2991 (kotyliskoi tardo-corinzi).

29 Il pezzo più recente e di maggiore spicco è l’orlo di una coppa skyphoide a figure nere appartenente alla ‘Heron Class’, databile alla fine VI sec. a.C.: Cfr. Beazley 1956, 617 sgg. Per la classificazione delle coppe ioniche, cfr. Villard, Vallet 1955; vd. anche Boldrini 1994, in cui è raccolta la letteratura più re-cente e sono discusse le varie problematiche relative a questa produzione.

30 Dehl 1995, 407, tav. 70: 4277.31 Cfr. Blinkenberg 1931, col. 573-577, nn. 2381-2382, 2384;

Higgings 1954, tavv. 45-46: 261-266, e – soprattutto per la posa – 46: 268-269.

32 Taramelli 1912, coll. 134-135, fig. 43 (dalla Tomba 38).33 Per la datazione, cfr. Higgings 1954, 93 sgg.34 Nel 2008 nell’Area 12 si è operato solo nella metà meridio-

nale; nel 2009 lo scavo è stato esteso anche alla parte settentrio-nale, ove si è arrivati ad asportare solo lo strato di terra bruna superficiale.

35 Spatafora 2003, 50-51, figg. 67-69; Valentino 2003, 266-267 (ivi altri confronti).

36 De Simone 2003, 360-363, figg. 295-296, 299.37 Falsone, Leonard 1978, 49, fig. 21 (da Castellazzo); Iid.

1976, fig. 17 (da Ulina). Per ulteriori confronti, cfr. Valentino 2003, 266-267.

38 La ceramica di impasto e a decorazione piumata è stata rin-

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249 Nuove ricerche a Castellazzo di Poggioreale. Campagne 2008-2009

venuta, nell’area del Belice, sia a Monte Maranfusa che a Mon-te Iato: cfr. Spatafora 2003, fig. 122, n. 86 e anche Leighton 1993, pl. 142: 562; pl. 143: 563.

39 Per le coppe a filetti concentrici, cfr. Dunbabin 1962, 75 sgg., tav. 29; Vallet, Villard 1964, 38, tav. 20: 1-3. V. anche Dehl 1995, tavv. 71, 85: 4587-4590. Per le coppe ioniche vd. su-pra, nota 29.

40 Spatafora 2003, figg. 142; fig. 144: 90-91; 145-146; 150: 119 (triangoli o clessidre campite a tremuli ); fig. 150: 120, 122 (spazi metopali a tremuli orizzontali); fig.130: 10, 18; 131: 29; 133: 47-49; 134: 53 (decorazione a cerchielli concentrici).

41 Campisi 2003, figg. 163, 164:107, 186-188; Gargini 1995, nn. 14-16.

Bibliografia

Adamesteanu 1962 = D. Adamesteanu, Note su alcune vie siceliote di penetrazione, in «Kokalos», VIII, 1962, 199-209.

Beazley 1956 = J.D. Beazley, Attic Black-Figure Vase-Painters, Oxford 1956.

Blinkenberg 1931 = C. Blinkenberg, Lindos. Fouilles de l’Acropole 1902-1914. I. Les petits Objets, Berlino 1931.

Boldrini 1994 = S. Boldrini, Gravisca. Scavi nel santuario greco, 4. Le ceramiche ioniche, Bari 1994.

Calascibetta 1990 = A.M.G. Calascibetta, Un graffito elimo da Monte Castellazzo di Poggioreale, in «ASNP», s. III, XX, 1990, 19-22.

Campisi 2003 = L. Campisi, La ceramica indigena a decorazione geometrica dipinta, in Spatafora 2003, 157-228.

Dehl 1995 = C. Dehl von Kaenel, Die Archaische Keramik aus dem Malophoros Heiligtum in Selinunt, Berlin 1995.

De Simone 2003 = R. De Simone, Oggetti fittili, terrecotte, metalli, oggetti in pietra, astragali d’osso, in Spatafora 2003, 347-378.

Dever 1993 = W.G. Dever, s.v. Gezer, in E. Stern, A. Lewinson-Gilboa, J. Aviram (eds.), The New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land. II, Jerusalem 19932, 496-506.

Di Giovanni 1876 = V. Di Giovanni, Della regione degli Elimi nella Sicilia Occidentale, in «Nuove Effemeridi Siciliane», III, 1876, 160-169.

Di Giovanni 1886 = V. Di Giovanni, Piccolo basso rilievo in terracotta scoverto presso Poggioreale, in «ASS», n.s., XI, 1886, 85-86.

Dunbabin 1962 = T. J. Dunbabin, Perachora II. Pottery, Ivories, Scarabs and Other Objects from the Votive Deposit of Hera Limenia, Oxford 1962.

Falsone 1976 = G. Falsone, Archeologia a Poggioreale. Un esempio di ricerca sperimentale sul campo, in «SicA», IX, 30, 1976, 61-78.

Falsone 1988-1989 = G. Falsone, Elima e Monte Castellazzo di Poggioreale, in G. Nenci, S. Tusa, V. Tusa (a cura di), Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica. Atti del Seminario di Studi (Palermo-Contessa Entellina, 25-28 maggio 1989), in«ASS», s. IV, XIV-XV, 1988-1989 [1990], 301-312.

Falsone 1992 = G. Falsone, s.v. Monte Castellazzo di Poggioreale, in BTCGI, X, 1992, 307-312.

Falsone 1996 = G. Falsone, s.v. Poggioreale, in «EAA», Suppl. II, IV, 1996, 395.

Falsone, Leonard 1976 = G. Falsone, A. Leonard jr., La Ulina. Un insediamento preistorico nel Belice, in «SicA», IX, 32, 1976, 49-68.

Falsone, Leonard 1978 = G. Falsone, A. Leonard, Missione archeologica a Monte Castellazzo di Poggioreale, in SicA», XI, 37, 1978, 38-53.

Falsone, Leonard 1979 = G. Falsone, A. Leonard, La seconda campagna a M. Castellazzo, in «SicA», XII, 39, 1979, 59-78.

Falsone, Leonard 1980 = G. Falsone, A. Leonard, Il campo-scuola e gli scavi di Poggioreale, in «BCA Sicilia», I, 1980, 109-112.

Falsone et al. 1980-1981 = G. Falsone, A. Leonard, A. Fresina, C. Johnson, V. Fatta, Quattro campagne di scavo a Castellazzo di Poggioreale, in «Kokalos», XXVI-XXVII, 1980-1981, 931-972.

Fresina 1993 = A. Fresina, Alcuni frammenti di ceramica corinzia rinvenuti nelle campagne di scavo 1978-79 eseguite a Monte Castellazzo di Poggioreale, in Studi sulla Sicilia Occidentale in onore di Vincenzo Tusa, Padova 1993, 61-66.

Gargini 1995 = M. Gargini, La ceramica indigena a decorazione geometrica dipinta, in G. Nenci (a cura di), Pisa 1995, 111-168.

Leighton 1993 = R. Leighton, The Protostoric Settlement on the Cittadella, Princeton 1993 (Morgantina Studies, IV).

Manni Piraino 1959 = M.T. Manni Piraino, Iscrizione inedita di Poggioreale, in «Kokalos », V, 1959, 159-173.

Higgings 1954 = R.A. Higgings, Catalogue of the Terracottas in the Department of Greek and Roman Antiquities, British Museum, I, London 1954.

Iacopi 1931 = G. Iacopi, Esplorazione archeologica di Camiro I. Scavi nelle necropoli camiresi 1929-1930, in Clara Rhodos IV, 1931.

Seger 1971 = J.D. Seger, Handbook for Field Operations (Gezer Phase II Excavations), Jerusalem 1971.

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250 Rossella Giglio Cerniglia, Gioacchino Falsone, Paola Sconzo

Spatafora 1993 = F. Spatafora, Un gruppo di macine da Monte Castellazzo di Poggioreale, in Studi sulla Sicilia Occidentale in onore di Vincenzo Tusa, Padova 1993, 165-171.

Spatafora 2003 = F. Spatafora, Monte Maranfusa. Un insedimento nella media Valle del Belice: l’abitato indigeno, Palermo 2003.

Spatafora 2010 = F. Spatafora, La necropoli di Monte Castellazzo di Poggioreale, in F. Spatafora, S. Vassallo (a cura di), L’Ultima Città. Rituale e spazi funerari nella Sicilia nord-occidentale di età arcaica e classica. Catalogo della mostra (Palermo, 30 aprile-20 giugno 2010), Palermo 2010, 27-30.

Taramelli 1912 = A. Taramelli, La necropoli punica di Predio Ibba S. Avendrace, Cagliari (Scavi del 1908), in «MAL», XXI, 1912, coll. 45-224.

Tusa 1957 = V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia Occidentale, in «Kokalos», III, 1957, 79-93.

Tusa 1958 = V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia Occidentale-II, in «Kokalos», IV, 1958, 151-162.

Tusa 1972 = V. Tusa, La zona archeologica di Poggioreale, in «SicA», V, 18-20, 1972, 57-60.

Valentino 2003 = M. Valentino, La ceramica da fuoco e da cucina, in Spatafora 2003, 255-267.

Vallet, Villard 1964 = G. Vallet, F. Villard, Mégara Hybalaea, 2. La céramique archaïque, Paris 1964 (MEFRA, Suppl. I,2).

Villard, Vallet 1955 = F. Villard, G. Vallet, Lampes du VIIe siècle et chronologie des coupes ioniennes, in «MEFRA», LXVII, 1955, 7-34.

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ILLUSTRAZIONI

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M. Castellazzo.398. Il vecchio abitato di

Poggioreale, da Sud.399. Veduta aerea (da

Google Earth).400. Rilievo planimetrico

del sito, campagna 2008 (a cura di G. Verde).

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M. Castellazzo.401. La ‘Casa del muro a telaio’ (scavi 1967-1970), da Sud.402. Porta Sud, da Est/SudEst.403. Lo scavo del Campo I. Veduta generale, da Sud (foto A. Leonard).404. Campo I. Piastra fittile quadripartita, da Sud (foto A. Leonard).405. Campo IV. Veduta panoramica, da Sud.406. Campo IV. Pulitura superficiale del costone 540, da Sud.

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M. Castellazzo.407. Aree 15 e 25. Rilievo della

muraglia e della scala (dis. P. Sconzo): in alto fase tarda e crollo; sotto: pianta e sezione.

408. Campagna 2008. Fase di lavoro, da Sud.

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M. Castellazzo.409. Area 25. La scala prima dello sgombero, da Sud.410. La scala nella fase inizale, da Sud.411. Saggi all’interno del muraglione, da Ovest.412. La scala (seconda fase), da Sud.413. Trincea Nord: fase iniziale di scavo (campagna 2008), da Nord.414. Trincea Nord: fase finale (campagna 2009), da Nord.415. Facciata esterna del muro con la scala, campagna 2008.416. Saggio all’esterno del muro, campagna 2009.

409410 411

412

413 414

415 416

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M. Castellazzo.417. Area 13. Veduta generale

dell’edificio e della strada, da Ovest.

418. Ambiente B, da SudEst.419. Veduta della strada e del

muro perimetrale dell’edificio, da NordOvest.

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M. Castellazzo.420. Area 13. Vano B. Particolare dei reperti in situ (cocci, lamina di bronzo).421. Vano B. Particolare dei reperti in situ (cocci, chiodi e pezzetti di ferro).422. Vano B: strumento di agata.423. Vano B: chiodo di bronzo.424. Vano B: orlo di coppa skyphoide a figure nere.425. Vano B: borchia in lamina metallica con ribattini.426. Vano B: a) lamina metallica; b) rosetta fittile a otto petali (dis. S. Arrabito).

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M. Castellazzo.427. Area 13. Vano B: pesi da telaio fittili dal vano B (dis. S. Arrabito).428. Ceramica dal vano B: vasetti acromi (1-3) e tardo-corinzi (4); kotylai corinzie (5-6); coppe ioniche di tipo B2 (7-12);

lucerna a v.n. (13); frr. di vasi a figure nere (14-15).

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M. Castellazzo.429. Area 13. Pianta

dell’edificio della fase C2 (dis. P. Sconzo).

430. Particolare del ritrovamento della statuetta di negro accosciato.

431. Statuetta fittile di negro accosciato.

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M. Castellazzo.432. Area 12. Capanna semicircolare, da Ovest.433. Resti di strutture lapidee sul lato Est, campagna 2009, da NordEst.434. Capanna, particolare della piastra quadripartita e macina.435. Il ritrovamento della piastra in argilla e della coppa indigena.

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M. Castellazzo.436. Area 12. Coppa a decorazione incisa e impressa.437. Frammento di coppa a decorazione incisa e

impressa.438. Rocchetti fittili (dis. S. Arrabito).

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M. Castellazzo.439. Area 12. Fase C1. Ceramica di impasto (1); indigena impressa (2-7); indigena dipinta (8-15); pignatte (14-15); kotylai e

coppe a filetti (16-19) dalla capanna.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2012presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A.

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