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2^ GIORNATA 2015/16 TASSAZIONE DEI REDDITI NON LEGATI ALLE SCRITTURE CONTABILI Sessione di aggiornamento

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2^ GIORNATA

2015/16

TASSAZIONE DEI REDDITI NON LEGATI ALLE SCRITTURE CONTABILI

Sessione di aggiornamento

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GRUPPO EUROCONFERENCE S.P.A. Via E. Fermi, 11 37135 Verona Tel. 045/8201828 Fax 045/583111 Sito internet: www.euroconference.it e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo. Editing e impaginazione: Erica Cestaro Stampa a cura di Officina Grafica Editoriale Gli autori, pur garantendo la massima affidabilità dell’opera, declinano ogni responsabilità per eventuali errori e/o inesattezze relative all’elaborazione dei presenti contenuti. Chiuso per la stampa il 22/10/2015

DIREZIONE SCIENTIFICA E ORGANIZZATIVA Sergio Pellegrino, Giovanni Valcarenghi e Paolo Meneghetti DIREZIONE ORGANIZZATIVA Sergio Pellegrino COORDINAMENTO DIDATTICO E ORGANIZZATIVO Marta Calegaro UFFICIO STUDI Alessandro Bonuzzi, Laura Mazzola LOGISTICA CONGRESSUALE Delia Rosso, Cristina Galavotti, Serena Carletti, Ilaria Gutoni SERVIZIO CLIENTI Barbara Adami, Laura Roma MARKETING Irene Rebonato ASSISTENZA E WEB MASTER Federica Dal Corso

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INDICE

Contributi di approfondimento

6 PLUSVALENZE IMMOBILIARI: REDDITI DIVERSI

31 I REDDITI DIVERSI DA CAPITAL GAIN

47 GLI ALTRI REDDITI DIVERSI

63 REDDITI DI CAPITALE

82 REDDITI FONDIARI: ASPETTI CRITICI E CASISTICHE PARTICOLARI

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Schemi operativi di sintesi

98 REDDITI DIVERSI: LE PLUSVALENZE IMMOBILIARI

105 REDDITI DIVERSI DA CAPITAL GAIN

113 ALTRI REDDITI DIVERSI

119 REDDITI DA CAPITALE

127 REDDITI FONDIARI

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Contributi di aggiornamento

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PLUSVALENZE IMMOBILIARI: REDDITI DIVERSI

Nell’ambito dei redditi diversi, la fattispecie delle plusvalenze “immobiliari” costituisce senza dubbio una delle situazioni più frequenti, sia per quanto riguarda i terreni, sia per quanto concerne i fabbricati. Nel presente lavoro si intende offrire una panoramica completa delle fattispecie previste nell’articolo 67 Tuir che realizzano plusvalenze qualificabili come redditi diversi derivanti dalla cessione di beni immobili da parte di persone fisiche al di fuori dell’esercizio di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Particolare attenzione è dedicata ai terreni edificabili, per i quali non mancano gli aspetti critici, sia collegati alla possibilità di rivalutazione del costo che in questi anni è stata più volte proposta, sia per la determinazione del costo di acquisto laddove il bene sia pervenuto per successione o donazione. A differenza della cessione di beni immobili, per i quali la plusvalenza è rilevante solo se tra l’acquisto e la cessione non sono intercorsi più di cinque anni, la vendita di terreni qualificati come edificabili produce in ogni caso plusvalenza tassabile, a prescindere dal periodo di possesso dello stesso.

1. Premessa

L’articolo 67 Tuir contiene un’elencazione dei redditi che sono qualificati come “diversi”, ossia che non rientrano nelle altre categorie reddituali (fondiari, di capitale, di lavoro dipendente ed autonomo, d’impresa). Si tratta quindi di una categoria residuale destinata ad accogliere tutte quelle fattispecie che non sono state disciplinate nelle altre categorie, e riguardano tipologie reddituali variegate, eterogenee e prive di collegamento fra di loro, in quanto derivanti da eventi diversi il cui denominatore comune è costituito solamente dalla circostanza che tali redditi determinano un incremento di ricchezza e non sono presenti gli elementi tipici delle altre categorie reddituali disciplinate nel Tuir (abitualità, determinabilità catastale, ecc.). È tuttavia evidente che deve pur sempre trattarsi di “redditi” e che gli stessi debbono poi costituire “incrementi patrimoniali” imputabili ad una fonte produttiva. Per quanto interessa in questa sede, i redditi diversi di natura immobiliare sono disciplinati nell’articolo 67, comma 1, lett. a) e b), per quanto riguarda la nozione di reddito, mentre nel successivo articolo 68, commi 1 e 2, sono individuate le modalità di determinazione dei predetti redditi diversi. Nella tabella che segue, si illustra il quadro normativo delle fattispecie reddituali e la determinazione del reddito, rimandando ai successivi paragrafi l’approfondimento delle singole fattispecie.

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Plusvalenze immobiliari: redditi diversi

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Tipologia reddituale Norma Tuir Norma Tuir

determinazione reddito Plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni

articolo 67,

comma 1, lett. a)

articolo 68, commi 1 e 2

Plusvalenze realizzate mediante opere intese a rendere edificabili i terreni Plusvalenze realizzate mediante la cessione di immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni

articolo 67, comma 1, lett. b)

Plusvalenze realizzate mediante la cessione di terreni edificabili Come si desume anche dal contenuto della tabella, il reddito diverso di natura immobiliare è costituito da una plusvalenza, ossia dalla differenza tra corrispettivo e costo fiscale del bene. Mentre per l’individuazione del primo dei due parametri è sufficiente verificare gli accordi tra le parti, per il costo di acquisto non sempre l’individuazione dello stesso è del tutto agevole, in quanto il titolo di origine del bene può essere diverso: acquisto, donazione e successione. Inoltre, per quanto riguarda il possesso di terreni, è possibile che il contribuente abbia proceduto alla rivalutazione del costo, sfruttando una delle numerose opportunità offerte dal legislatore in questi anni, con conseguente aggiornamento del costo al valore indicato nella perizia giurata. Nei successivi paragrafi si vedrà che in base al titolo di provenienza, possono essere diverse le modalità di determinazione del reddito, o addirittura escludere qualsiasi ipotesi di tassazione. 2. Lottizzazione ed opere intese a rendere edificabili i terreni

Secondo quanto previsto dall’articolo 67, comma 1, lett. a), Tuir, costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, ovvero tramite la realizzazione di opere intese a rendere edificabili i terreni stessi, con successiva cessione, anche parziale, dei terreni e degli edifici. È opportuno osservare che, come sostenuto da autorevole dottrina, il mancato riferimento ad eventuali piani regolatori o a programmi di fabbricazione, risultano imponibili anche le operazioni effettuate in contrasto o al di fuori degli strumenti urbanistici. 2.1 Lottizzazione di terreni

Nella lett. a) dell’articolo 67, comma 1, Tuir, la prima fattispecie di plusvalenza imponibile è costituita dalla lottizzazione di terreni, la cui nozione tecnica è contenuta nell’articolo 8 L. 765/1967, il cui comma 1 stabilisce che la lottizzazione è subordinata all’approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione espressamente disciplinato dall’articolo 34 L. 1150/1942. Il Ministero dei lavori pubblici, con la circolare n. 3210 del 1967, ha chiarito che costituisce lottizzazione non il mero frazionamento dei terreni, bensì qualsiasi utilizzazione del suolo che, a prescindere dal frazionamento e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, con conseguente predisposizione delle opere di urbanizzazione (primarie e secondarie) necessarie per l’insediamento.

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Ulteriori indicazioni utili arrivano anche dalla lettura dell’articolo 30 D.P.R. 380/2001 (Testo Unico in materia urbanistica), che definisce lottizzazione qualsiasi trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni, realizzata anche “attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto agli elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”. Nell’ambito della normativa fiscale non vi è una definizione di lottizzazione utile per verificare la presenza del reddito diverso in questione, ed è discussa la vicenda riferita alla possibilità di individuare una fattispecie impositiva per il solo fatto che sussista un’attività meramente amministrativa. Più precisamente, alcune sentenze (di legittimità e di merito) hanno ritenuto necessario anche l’esistenza di una fase esecutiva di realizzazione delle opere (Cassazione sentenza n. 2880/1977, e n. 2469/1979, CTC sentenza n. 3212/1995 e n. 3857/1995), mentre più recentemente la Corte di Cassazione (sentenza n. 26275/2007) ha rilevato che la lottizzazione di un’area si completa e si perfeziona con la stipula della convenzione che diviene condizione di efficacia del provvedimento di autorizzazione alla lottizzazione. Sul punto, con la Risoluzione n. 319/E/2008, è intervenuta l’Agenzia delle entrate, precisando che “una cessione di terreni lottizzati può configurarsi, ai fini dell’applicazione dell’art. 67, lett. a), del TUIR, quando il Comune abbia approvato il piano di lottizzazione, dato che questa, con la previsione degli oneri a carico del privato relativi all’urbanizzazione dell’area, completa l’iter amministrativo”. In ogni caso, l’autorizzazione comunale alla lottizzazione va assunta come momento di “inizio” della lottizzazione stessa, ed a tale momento va riferito il costo del terreno quale parametro di confronto con il prezzo di cessione per la determinazione della plusvalenza (si vedano i paragrafi successivi). 2.2 Esecuzione di opere intese a rendere edificabili i terreni

La seconda fattispecie disciplinata dall’articolo 67, comma 1, lett. a), Tuir, riguarda la plusvalenza realizzata mediante la vendita, anche parziale, dei terreni dopo che su di essi sono state eseguite opere intese a renderli edificabili. È bene osservare sin da subito che l’ipotesi in questione si concretizza laddove si ponga in essere un’attività diretta alla realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o commerciale/industriale, a prescindere dall’avvenuta approvazione di un piano di lottizzazione, o dell’autorizzazione da parte del comune. Infatti, la trasformazione di un terreno in area edificabile non passa necessariamente tramite un piano di lottizzazione, poiché il possessore di un fondo può comunque eseguire dei lavori sul fondo che ne aumentino il valore di mercato. 2.3 Vendita del terreno

Nelle due ipotesi descritte nei paragrafi precedenti, affinché possa sussistere un componente reddituale rilevante quale reddito diverso, è necessario che successivamente alla lottizzazione, ovvero all’esecuzione di opere finalizzate a rendere edificabile il terreno, lo stesso sia oggetto di cessione, anche parziale (quest’ultima fattispecie potrebbe riguardare la lottizzazione che porta ad un frazionamento del terreno ed alla suddivisione in particelle oggetto di cessione separata), poiché solo la vendita consente il realizzo di una plusvalenza. Di particolare interesse è il contenuto della sentenza n. 6836/2001, della Corte di Cassazione, secondo cui “la norma che prevede la tassabilità della plusvalenza speculativa ha ad oggetto proprio la trasformazione nella natura del terreno, attuata o attraverso procedure formali previste dalle

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Plusvalenze immobiliari: redditi diversi

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norme o attraverso attività che di fatto rendono possibile una utilizzazione urbanistica per terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione”.

Articolo 67, lett. a), Tuir Fattispecie Caratteristiche

Lottizzazione del terreno

Lottizzazione subordinata alla approvazione del piano regolatore Presenza di un piano di lottizzazione approvato L’autorizzazione comunale alla lottizzazione costituisce il momento di inizio della lottizzazione stessa

Esecuzione di opere intese a rendere edificabile il terreno

Presenza di un’attività diretta alla realizzazione di una pluralità di edifici Si prescinde dalla presenza di un procedimento di lottizzazione o di un’autorizzazione comunale Terreno compreso in zone edificabili

3. Plusvalenze immobiliari

Le ulteriori fattispecie che generano plusvalenze “immobiliari” sono contenute nella lett. b) dell’articolo 67 Tuir, che annovera le seguenti fattispecie: - plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non

più di cinque anni; - plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione

edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. Nella stessa disposizione sono poi contenute delle fattispecie di esclusione, o comunque delle precisazioni in relazione ad alcune particolari situazioni, che di seguito si indicano, rinviando ai successivi paragrafi per l’approfondimento: - sono escluse da tassazione le plusvalenze che derivano dalla cessione di immobili pervenuti per

successione, nonché quelle che derivano dalla vendita di unità immobiliari che per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto o la costruzione e la vendita sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari;

- per gli immobili ricevuti per donazione, il calcolo del quinquennio di possesso tiene conto anche del periodo di possesso del donante.

Di seguito, si descrivono le fattispecie principali di tassazione delle plusvalenze immobiliari, nonché le ipotesi di esclusione, tenendo conto sia dei numerosi chiarimenti di prassi che sono intervenuti in questi anni, sia delle Circolari del Notariato, ed in particolare dello studio n. 45-2011/T e n. 21-2012/T. 3.1 Cessione infraquinquennale di immobili

Come anticipato, la prima fattispecie di plusvalenza rilevante è costituita dalla cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da meno di cinque anni. Il termine temporale di cinque anni inserito nella norma intende attrarre a tassazione solamente le cessioni che essendo eseguite in tempi relativamente stretti dall’acquisto o costruzione, si presume siano effettuate con intento speculativo, escludendo per converso le vendite operate dopo il decorso del predetto termine.

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Si precisa sin da subito che gli immobili oggetto della presente disposizione sono da intendersi in modo ampio, nel senso che si prescinde dalla categoria catastale di appartenenza, ricomprendendo sia quelli abitativi, sia quelli strumentali (capannoni, laboratori, garage, ecc.), fermo restando che deve trattarsi di beni posseduti al di fuori dell’esercizio d’impresa o di lavoro autonomo. Per la verifica del termine quinquennale non si pongono particolari problemi in ipotesi di acquisto a titolo oneroso, poiché si deve aver riguardo alla data indicata nell’atto notarile di trasferimento della proprietà. Nella tabella che segue si schematizzano le modalità di computo del quinquennio nelle diverse fattispecie che si possono presentare.

Computo del quinquennio di possesso dell’immobile

Immobili acquisiti mediante usucapione La rivendita entro 5 anni di immobili acquisiti per usucapione non rappresenta un’operazione speculativa (risoluzione n. 78/E/2003)

Immobili costruiti

Occorre aver riguardo alla data in cui la costruzione è stata ultimata (risoluzione n. 231/E/2008). In linea di principio si deve quindi tener conto della data di ultimazione dei lavori rilasciata dal tecnico competente, ma se da altre circostanze (ad esempio la locazione a terzi) si desume che i lavori sono stati ultimati si deve tener conto di tale momento (analogo principio è stato espresso anche in ambito Iva nella circolare n. 12/E/2007 secondo cui il fabbricato si intende ultimato nel momento in cui l’immobile è idoneo ad espletare la sua funzione, ovvero ad essere destinato al consumo.

Immobile non ancora ultimato

La plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile non ancora ultimato ma esistente, ai sensi dell’articolo 2645-bis, comma 6, cod. civ. (completamento delle mura perimetrali e della copertura) ha ad oggetto un immobile, con la conseguenza che se lo stesso è posseduto da oltre cinque anni la plusvalenza non è rilevante ai fini fiscali (risoluzione n. 23/E/2009)

Cessione di aree su cui insistono immobili da demolire

Si dibatte sulla classificazione delle plusvalenze realizzate dalla vendita di fabbricati e delle relative aree di pertinenza a soggetti (di norma, imprese di costruzione) che dopo l’acquisto provvedono alla demolizione del fabbricato stesso per costruire sull’area un nuovo fabbricato, solitamente di maggiori dimensioni di quello preesistente. Di particolare interesse sono le sentenze della Corte di Cassazione n. 4150/2014 e n. 15629/2014. In sintesi, il principio che si ricava da tali sentenze

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è che se esiste un fabbricato (censito come tale al catasto fabbricati), l’oggetto della cessione è sempre un terreno già edificato, senza alcuna possibilità di riclassificare l’operazione quale cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria. E ciò anche nel caso che il fabbricato oggetto di cessione insorga su un terreno che abbia potenzialità edificatorie maggiori rispetto alla situazione esistente e che nelle intenzioni delle parti il fabbricato sia destinato a futura demolizione. Da ciò consegue che in caso di cessione di un fabbricato, oggetto della cessione rimane sempre il fabbricato, senza alcuna possibilità di riclassificare l’operazione in cessione di area suscettibile di utilizzazione edificatoria. Tuttavia l’Amministrazione finanziaria continua a classificare le suddette plusvalenze tra quelle realizzate dalla vendita di terreni edificabili (risposte date dal Ministero dell’economia e delle finanze a delle interrogazioni parlamentari il 4.05.2011 e il 31.07.2014). La tesi espressa nelle richiamate risposte è che la cessione di un immobile potenzialmente demolibile va riclassificata in cessione di area edificabile nelle seguenti ipotesi: - cessione di un fabbricato rientrante in una

area oggetto di piano di recupero approvato in via definitiva (con conseguente possibilità di sviluppare, in termini incrementativi, le cubature esistenti), ciò in quanto, a detta dell’Amministrazione finanziaria, in tale ipotesi oggetto della compravendita non risulterebbe più essere il fabbricato (ormai privo di effettivo valore economico), bensì l’area su cui insiste, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatoria in corso di definizione (il che era già stato affermato nella risoluzione n. 395/E/08);

- presenza di un permesso di demolizione già rilasciato;

- possibilità di desumere dal contratto di vendita la destinazione dell’immobile ad essere demolito (anche parzialmente) e ricostruito con sviluppo di cubatura, anche

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per effetto di autorizzazione amministrativa rilasciata all’impresa acquirente;

- cessione dell’immobile ad una impresa di costruzioni che, sulla base di concessione edilizia già esistente o in corso di ottenimento, demolisca successivamente all’acquisto il fabbricato e ne costruisca un altro avente caratteristiche diverse da quello preesistente;

- prezzo di cessione del fabbricato superiore al valore venale dello stesso ed in linea con il prezzo di mercato delle aree edificabili.

In favore della tesi della riclassificazione tra le aree edificabili dei fabbricati potenzialmente demolibili si è espressa anche una parte della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità. Si citano, tra quelle richiamate anche nell’interrogazione parlamentare del 31.07.2014, le sentenze della CTR Milano n. 10/14/08, della CTR Roma n. 37/2012 e della Cassazione n. 7613/2014.

Rent to buy

L’articolo 23 D.L. 133/2014 ha inserito nel nostro ordinamento il contratto di rent to buy, quale accordo misto di locazione e successiva vendita dell’immobile. La circolare 19.2.2015, n. 4/E, ha precisato che le quote del canone imputate ad acconto prezzo, costituendo parte del corrispettivo di cessione, diventano imponibile in capo al cedente non durante il periodo di godimento, bensì all’atto della successiva cessione dell’immobile. Il termine quinquennale si computa dalla data dell’acquisto e fino alla data di cessione dell’immobile, a nulla rilevando il periodo in cui lo stesso è concesso in locazione.

Immobile adibito ad abitazione principale L’articolo 67, comma 1, lett. b), esclude da tassazione le plusvalenze derivanti dalla cessione dell’immobile, anche entro il termine quinquennale, quando per la maggior parte del periodo di possesso lo stesso è stato adibito ad abitazione principale da parte del proprietario o dei suoi familiari. In tale ipotesi, infatti, si esclude l’intento speculativo in funzione del particolare utilizzo dell’immobile, e gli aspetti da tenere in considerazione sono i seguenti: - non occorre che l’immobile sia stato abitato dal proprietario, ma è possibile che sia stato abitato

anche da un familiare dello stesso, individuato a norma del comma 5 dell’articolo 5 Tuir (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo);

- l’utilizzo quale abitazione principale non deve riferirsi all’intero periodo di possesso, bensì alla maggior parte del periodo che intercorre tra l’acquisto e la successiva vendita, con la conseguenza

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che si deve ritenere esclusa da tassazione la plusvalenza di un immobile venduto ed acquistato da quattro anni ed utilizzato da tre anni come abitazione principale (sul punto, si veda anche la risoluzione n. 213/E/2007);

- per abitazione principale si intende quella in cui il contribuente ha la dimora abituale, a prescindere dalla circostanza del trasferimento della residenza anagrafica nell’immobile, anche se in linea di massima tali due dati dovrebbero coincidere (circolare n. 12/E/1980). Come precisato ulteriormente nella risoluzione n. 218/E/2008, il contribuente può provare che l’immobile è stato adibito ad abitazione principale a prescindere dal trasferimento della residenza, essendo rilevanti ai tal fine le intestazioni delle utenze relative all’energia elettrica, telefono, gas, ecc.;

- l’immobile deve avere destinazione abitativa, e come tale classificato in categoria A, esclusa A/10. Trasferimenti tra coniugi a seguito di accordi si separazione L’articolo 19 L. 74/1987, dispone che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”. La riportata disposizione normativa è stata oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale (11 giugno 2003), riportata dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare n. 49/E/2000, con cui i giudici hanno affermato che l’esenzione prevista nell’articolo 19 L. 74/1987 torna applicabile non solo ai casi di scioglimento del matrimonio e cessazione degli effetti civili dello stesso, bensì anche ai procedimenti di separazione personale dei coniugi. A parere della Cassazione, come si legge anche nella citata circolare n. 49/E/2000, “il fondamento del giudizio di legittimità poggia sulla riconosciuta omogeneità delle situazioni poste a raffronto (divorzio-separazione) che non consente di differenziare ragionevolmente il trattamento fiscale degli atti relativi ai due procedimenti”. Tale aspetto è stato ripreso anche nella recente Risoluzione n. 65/E/2015, in cui è stato evidenziato che l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica l’esenzione fiscale negli atti del giudizio divorzile, è altresì presente anche nel giudizio di separazione, poiché quest’ultimo è finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento degli obblighi che gravano sul coniuge non affidatario della prole. Con la circolare n. 18/E/2013, l’Agenzia delle entrate ha fornito interessanti chiarimenti in merito agli atti agevolabili, precisando che l’esenzione prevista dall’articolo 19 L. 74/1987 deve ritenersi applicabile non solo agli accordi di natura patrimoniale perfezionati tra i coniugi (come quelli che ad esempio contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili o immobili tra i coniugi stessi), ma anche agli accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali a favore dei figli. Tale estensione, tuttavia, è condizionata dalla circostanza che il testo dell’accordo patrimoniale omologato da parte del Tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda in modo esplicito che l’accordo patrimoniale a favore dei figli sia un elemento funzionale ed indispensabile per ottenere la risoluzione della crisi coniugale. È opportuno ricordare che il D.L. 132/2014, ha introdotto significative novità volte ad inserire in sede stragiudiziale delle procedure alternative all’ordinaria risoluzione delle controversie nel processo. Nel dettaglio, è stato introdotto un nuovo istituto volto a favorire la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale, ossia una procedura di negoziazione assistita da un avvocato. Secondo quanto previsto dall’articolo 2 del predetto Decreto, la negoziazione assistita da uno o più avvocati si concretizza in un accordo con il quale le parti (i coniugi) convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia con l’assistenza di avvocati iscritti all’albo. Il successivo articolo 6, comma 1, D.L. 132/2014 stabilisce inoltre che la convenzione

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di negoziazione assistita da almeno un avvocato per ciascuna delle parti può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio. L’accordo concluso tra i coniugi deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente che, in assenza di irregolarità, concede il nulla osta per procedere agli adempimenti di competenza, ovvero, laddove vi siano figli minori, incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, rilascia apposita autorizzazione quando ritiene che l’accordo corrisponda all’interesse dei figli. In buona sostanza, l’accordo concluso tra i coniugi secondo le descritte regole esplica i medesimi effetti giudiziari dei procedimenti di separazione e di divorzio, poiché se ritenuti regolari dal Procuratore della Repubblica possono essere effettuate le dovute annotazioni negli atti dello stato civili riguardanti i coniugi. Alla luce di quanto descritto, l’Agenzia delle entrate, nella citata risoluzione n. 65/E/2015 ritiene che, stante la parificazione degli accordi conclusi a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui all’articolo 6 D.L. 132/2014 ai provvedimenti giudiziali di separazione e divorzio, deve ritenersi applicabile anche ai predetti accordi il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 L. 74/1987, a condizione tuttavia che dal testo dell’accordo stesso (regolarmente vagliato dal Procuratore della Repubblica) emerga che le disposizioni patrimoniali ivi contenute siano funzionali ed indispensabili per la risoluzione della crisi negoziale. Tale conclusione, afferma l’Agenzia, è coerente con quanto già espresso dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati in sede di esame del D.L. 132/2014, secondo cui l’agevolazione fiscale prevista dall’articolo 19 L. 74/1987 trova applicazione anche per il nuovo procedimento essendo questo una parte del procedimento di separazione e divorzio al quale il regime di favore viene applicato. L’esenzione di cui all’articolo 19 L. 74/1987 si applica anche agli accordi patrimoniali aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli, e non soltanto a quelli direttamente riferibili ai coniugi. E’ quanto affermato dall’Agenzia delle entrate nella Circolare n. 27/E/2012, in cui è contenuto il richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 11458/2005 secondo cui il regime di esenzione disposto dal predetto articolo 19 L. 74/1987 si rende applicabile anche agli atti i cui effetti siano favorevoli ai figli, come già a suo tempo espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 176/1992 e successivamente anche con la sentenza n. 202/2003. Secondo l’Agenzia delle entrate, l’estensione delle agevolazioni anche agli atti in favore dei figli trova la sua ragione nella circostanza che tali accordi, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono spesso l’unica soluzione per dirimere le controversie di natura patrimoniale. L’Agenzia ha poi precisato che il trasferimento dell’immobile acquistato dai coniugi con l’agevolazione prima casa, prima del decorso dei cinque anni, non produce alcuna decadenza dai benefici “prima casa”, in quanto il regime di esenzione di cui all’articolo 19 L. 74/1987 deve ritenersi prevalente. L’esclusione dalla decadenza, tra l’altro, prescinde dalla circostanza che il coniuge provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile entro l’anno seguente. In relazione alla fattispecie in questione, è bene segnalare che lo studio del Notariato n. 45-2011/T ritiene che, alla luce del tenore letterale dell’articolo 19 D.L. 74/1987, si ritiene che i trasferimenti di immobili anche detenuti da meno di cinque anni tra i coniugi in sede di accordi di separazione non configurino ipotesi plusvalenti ai sensi dell’articolo 67 Tuir. La ratio della norma, infatti, è quella di non penalizzare i trasferimenti eseguiti per risolvere conflitti matrimoniali, poiché in tali casi non sembra potersi ravvisare alcun intento speculativo da parte del coniuge cedente. Acquisto della nuda proprietà e successivo acquisto dell’usufrutto Una particolarità riguarda l’ipotesi in cui il contribuente sia titolare della nuda proprietà di un immobile, e successivamente acquisisca anche l’usufrutto dello stesso, con conseguente possesso

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della piena proprietà del bene. In tali ipotesi, è necessario verificare le modalità di computo del quinquennio quale presupposto per assoggettare o meno a tassazione la plusvalenza che deriva dalla cessione, ed in particolare se lo stesso decorra dalla data di acquisto della nuda proprietà o al successivo momento in cui è stato acquisito anche l’usufrutto, e quindi la piena proprietà. La questione è stata affrontata nella risoluzione n. 188/E/2009, secondo cui è necessario distinguere due ipotesi: • la nuda proprietà e l’usufrutto sono stati acquistati a titolo oneroso in due periodi differenti, nel

qual caso, ai fini dell’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lett. b), Tuir, è necessario considerare il bene come acquistato in due tempi diversi. Conseguentemente, sostiene l’Agenzia, il quinquennio deve essere computato distintamente per l’acquisizione della nuda proprietà e per l’usufrutto, e l’unico corrispettivo pattuito per la cessione dell’immobile deve essere riferito alla cessione della nuda proprietà e dell’usufrutto applicando o coefficienti di cui al D.P.R. 131/1986 (in relazione all’età del cedente). Ciò potrebbe determinare una plusvalenza rilevante solamente per la quota parte di corrispettivo riferito, ad esempio, alla cessione dell’usufrutto, in quanto avvenuta entro i cinque anni antecedenti, e non anche per la quota parte riferita alla nuda proprietà, in quanto l’acquisto di tale diritto è avvenuto da oltre cinque anni;

• la proprietà dell’immobile si è consolidata in capo al nudo proprietario a seguito della morte dell’usufruttuario, nel qual caso ai fini del computo del quinquennio si deve aver riguardo alla data di acquisto della nuda proprietà, essendo irrilevante il consolidamento dell’usufrutto. In tal caso, infatti, alla morte dell’usufruttuario il nudo proprietario non acquista un nuovo diritto (l’usufrutto), ma espande il proprio diritto di proprietà già presente senza necessità di porre in essere alcun atto giuridico.

Tale distinzione, come emerge dalla posizione dell’Agenzia, appare giuridicamente ineccepibile, anche se all’atto pratico può determinare più di qualche difficoltà operativa, soprattutto nella necessità di dover “splittare” il corrispettivo nelle due componenti (nuda proprietà ed usufrutto), laddove tali diritti siano stati acquisiti in epoche diverse ed a titolo oneroso. Risulta altrettanto evidente la necessità di dover conoscere la storia del bene immobile, anche da parte del professionista che assiste il contribuente, al fine di evitare una non corretta gestione della tassazione derivante dalla cessione del bene immobile. 3.2 Immobili acquisiti per successione o donazione

Oltre alla fattispecie dell’immobile adibito ad abitazione principale del contribuente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di possesso, l’articolo 67, comma 1, lett. b), Tuir, esclude da tassazione anche le cessioni di beni immobili pervenuti al contribuente per successione. Risulta del tutto evidente infatti, che a prescindere dal periodo di possesso temporale del bene, in tale ipotesi è del tutto assente l’intento speculativo, poiché il bene è stato acquisito con modalità particolari e del tutto involontarie. A differenti conclusioni, invece, si perviene per gli immobili acquisiti a titolo gratuito (donazione), per i quali fino al 2006 sussisteva la medesima fattispecie di esclusione da tassazione prevista per quelli pervenuti per successione. Tuttavia, tale fattispecie è stata utilizzata a scopi elusivi, poiché era sufficiente donare l’immobile ad un famigliare (ipotesi non tassabile in quanto non onerosa) il quale successivamente rivendeva lo stesso in un periodo immediatamente successivo alla donazione stessa. Per evitare tale elusione, il D.L. 223/2006 ha integrato la lett. b) dell’articolo 67 Tuir stabilendo che nell’ipotesi di donazione dell’immobile il donatario per verificare il periodo di possesso (e quindi il quinquennio) deve tener conto anche del periodo di possesso da parte del

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donante. In altre parole, la donazione del bene, ai fini del conteggio del quinquennio, è del tutto trasparente, eliminando in tal modo alla radice la questione elusiva descritta in precedenza. Per completezza, si segnala che nulla è precisato in ipotesi di donazioni ripetute, nel qual caso si tratta di verificare se anche per i successivi donatari, come sembra potersi desumere, il computo del quinquennio decorra dalla data di acquisto da parte del donante. Sul punto, posto che nessuno dei passaggi avvenuti a titolo gratuito ha comportato arricchimento in capo al donatario-donante, pare potersi concludere che il computo del quinquennio inizi per tutti i donatari successivi dalla data di acquisto del primo donante, ossia colui che lo aveva acquisito a titolo diverso dalla donazione. 3.3 Vendita di terreni edificabili

Secondo quanto stabilito dall’ultimo periodo dell’articolo 67, comma 1, lett. b), Tuir, producono in ogni caso plusvalenze imponibili le cessioni di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. La precisazione che tali cessioni sono “in ogni caso” plusvalenti comporta che le cessioni in questione sono potenzialmente produttive di redditi diversi senza eccezione alcuna, poiché il legislatore presume la sussistenza dell’intento speculativo. Per tali terreni, quindi, il periodo di possesso (più o meno di cinque anni) non assume alcun rilievo ai fini della rilevanza reddituale della plusvalenza, mentre per i terreni non edificabili (agricoli) si rendono applicabili le medesime regole già analizzate per gli immobili, con conseguente rilevanza della plusvalenza solo se tra l’acquisto e la vendita non intercorrono più di cinque anni. Per quanto riguarda la nozione di area edificabile, è necessario rifarsi al contenuto dell’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006 secondo cui, quale norma avente carattere interpretativo, “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. La circolare n. 28/E/2006, dopo aver confermato la natura interpretativa della norma, ha precisato che la stessa estende la nozione di area edificabile già presente ai fini ICI anche negli altri settori impositivi (imposte sui redditi, Iva e registro). La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25506/2006) ha sposato la tesi dell’Amministrazione Finanziaria confermando che la norma ha carattere interpretativo, con conseguente utilizzabilità retroattiva. Va segnalato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 41/2008, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006, sulla base delle seguenti argomentazioni: - non sussistono lesioni dei principi di uguaglianza e ragionevolezza laddove si afferma che la

qualificazione di area edificabile si realizza sin dalla prima previsione nello strumento generale, anche se l’iter urbanistico non può dirsi ancora completato;

- la norma ha carattere interpretativo perché attribuisce alla disposizione un significato compatibile son la sua formulazione letterale;

- il carattere interpretativo comporta che la stessa sia applicabile anche retroattivamente; - l’applicazione retroattiva non comporta violazione dei principi di ragionevolezza e di

affidamento dei cittadini nella certezza giuridica, in quanto la norma denunciata si limita ad attribuire alla disposizione interpretata uno dei significati già ricompresi nell’area semantica della disposizione stessa, e pertanto sotto tale profilo non può definirsi irragionevole;

- alle conclusioni indicate non osta il contenuto dell’articolo 1, comma 2, dello Statuto del contribuente, secondo cui “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali tutte le disposizioni di interpretazione autentica”. Infatti, l’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006 ha la

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stessa forza delle Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), ragion per cui la Legge ordinaria ha il potere di abrogare implicitamente lo Statuto del contribuente.

Vincoli all’edificabilità del terreno Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza in più occasioni, ciò che rileva ai fini della qualificazione come edificabile dell’area è la sussistenza di una potenzialità edificatoria, derivante dalla previsione di un piano regolatore generale. Pertanto, la sussistenza di eventuali vincoli che condizionano l’edificabilità in concreto del suolo assume rilevanza ai soli fini dell’individuazione del valore del terreno e non sulla circostanza della rilevanza della plusvalenza che deriva dalla vendita dello stesso (Cassazione n. 19619/2008 e Cassazione SS.UU. n. 25506/2006). Sul punto, la Risoluzione n. 460/E/2008, ha chiarito che la cessione di terreni che sulla base della normativa regionale di approvazione dei Piani Paesaggistici Regionali (PPR) sono considerati non edificabili, non genera alcuna plusvalenza imponibile. In merito alla qualificazione dei terreni, assume rilievo lo studio del Notariato n. 24/2012 in cui è stato evidenziato che permangono tuttora numerose questioni in relazione alla corretta qualificazione di terreni inseriti in piani regolatori generali. Nella tabella che segue si descrivono le principali fattispecie oggetto di studio.

CENTRO SPORTIVO

Il vincolo di destinazione di una zona ad attività sportiva impedisce la qualificazione di tale area come “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, in quanto preclude al soggetto di eseguire tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione

IMPIANTO DI CARBURANTE

Un terreno agricolo su cui è stato edificato un impianto per la distribuzione del carburante che al momento della cessione ricade in zona di preminente interesse agricolo, non ha acquisito una nuova destinazione urbanistica e non è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico

APPROVAZIONE DEL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE DELLA RETE

DI DISTRIBUZIONE DEL CARBURANTE

Deve ritenersi mutata la destinazione urbanistica di un terreno, anche al di fuori di un formale procedimento di modifica del piano regolatore, laddove l’approvazione del piano di ristrutturazione della rete di distribuzione dei carburanti abbia naturalmente ad incidere sulle zone prima adibite al verde pubblico. L’approvazione del piano, infatti, comporta un adeguamento del piano regolatore generale, senza necessità di adottare gli ordinari procedimenti modificativi dello stesso. La possibilità di rilascio immediato di provvedimenti che consentono l’utilizzazione edilizia del terreno rende l’area edificabile.

IMPIANTO FOTOVOLTAICO

La costruzione dell’impianto fotovoltaico sul terreno non determina una variazione della destinazione urbanistica del terreno stesso, e pertanto non si assiste ad alcuna automatica classificazione del terreno tra quelli edificabili

FASCE DI RISPETTO FERROVIARIE E STRADALI

Sono qualificabili come aree agricole i terreni edificabili compresi nella fasce di rispetto ferroviario o stradale, in quanto sprovvisti delle possibilità di edificazione legale.

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3.4 Cessione di diritti reali immobiliari

Accade sovente che i proprietari di beni immobili procedano alla vendita di un diritto reale relativo al bene posseduto, ed in tale ambito si deve tener conto che l’articolo 9, comma 5, Tuir dispone che “ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”. In buona sostanza, la norma riportata pone sullo stesso piano, ai fini reddituali, la cessione della piena proprietà con la vendita di un diritto reale, attribuendo rilevanza reddituale anche a tale ultima operazione. Nella tabella che segue si illustrano alcune indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria e dalla giurisprudenza in relazione ad alcune fattispecie.

CESSIONE DI DIRITTI DI CUBATURA

Con la risoluzione n. 250948/E/1976, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che l’atto mediante il quale il proprietario di un terreno edificabile sulla base di un piano regolatore con diritto di cubatura cede a favore di un terzo proprietario di un altro terreno dietro corrispettivo tale diritto consentendo al terzo di utilizzare la predetta cubatura, realizza una plusvalenza tassabile ai sensi dell’articolo 67 del Tuir. Tale impostazione è stata confermata anche dalla sentenza della Cassazione n. 10979/2007, in cui è stato affermato che la cessione di cubatura è una facoltà attinente al diritto di proprietà, con produzione di effetti analoghi a quelli propri dei trasferimenti di diritti reali immobiliari. Con la Norma di comportamento n. 189, l’Aidc (Associazione Italiana Dottori Commercialisti) ha confermato tale impostazione, evidenziando che l’eventuale cessione del terreno “spogliato” della volumetria rientra tra le cessioni di terreni non edificabili, con conseguente rilevanza della plusvalenza solo se tra l’acquisto e la vendita non sono intercorsi più di cinque anni.

RINUNCIA ALLA SERVITÙ

Con la Risoluzione n. 210/E/2008, l’Agenzia delle entrate si è occupata di analizzare il trattamento fiscale derivante dalla rinunci dietro corrispettivo da parte di una persona alla servitù non edificandi, perdendo in tal modo il diritto reale a vantaggio del proprietario del terreno confinante. Si tratta di una servitù prediale che è un diritto reale consistente, ai sensi dell’articolo 1207 cod. civ., nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un altro soggetto. Il vantaggio ed il corrispondente onere ineriscono direttamente ai suoli, limitando i poteri di godimento di utilizzazione del fondo servente e attribuendo corrispondentemente vantaggi al contiguo fondo dominante. L’operazione in questione rientra quindi nella fattispecie dei redditi diversi di cui all’articolo 67, lett. b), Tuir.

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COSTITUZIONE VOLONTARIA DI SERVITÙ

DI PASSAGGIO

La Risoluzione n. 379/E/2008, si è occupata di analizzare il trattamento fiscale della costituzione si servitù di passaggio su un fondo rustico, a seguito del quale il proprietario del terreno percepisce un compenso. Secondo l’Agenzia delle Entrate, ricordando che anche la costituzione volontaria di una servitù di passaggio rappresenta una servitù prediale rientrante tra i diritti reali di cosa altrui, ha chiarito che se il terreno è di proprietà del concedente da meno di 5 anni, l’operazione configura una plusvalenza tassabile in quanto assimilata alla vendita di beni immobili di cui all’articolo 67, lett. b), Tuir. Inoltre, se il terreno sul quale viene costituita la servitù è edificabile, la plusvalenza rileva a prescindere dal periodo di possesso del bene.

CESSIONE DEL DIRITTO DI RILOCALIZZAZIONE

Con la risoluzione n. 233/E/2009, l’Agenzia delle entrate ha chiarito il trattamento fiscale della somma incassata da parte di una persona fisica a fronte della cessione del “diritto di rilocalizzazione” previsto da una legge regionale dell’Emilia Romagna (Legge 38/1998), che consente ad un cittadino proprietario di un edificio da demolire o la cui esistenza è incompatibile con il realizzo di opere pubbliche, di procedere alternativamente con la ricostruzione in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso Comune, ovvero di trasferire a terzi il diritto previo consenso del Comune. In tale ultima ipotesi, il terzo acquirente può ricostruire l’edificio demolito o utilizzare la relativa superficie edificabile per ampliare altri fabbricati in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso Comune. Secondo l’Agenzia delle entrate, la fattispecie in questione è assimilabile alla cessione di cubatura, e come tale plusvalente ex articolo 67, lett. b), Tuir, in quanto l’attribuzione del diritto è di mantenere inalterata la potenzialità edificatoria del terreno sul quale l’edificio insisteva.

4. Determinazione della plusvalenza

Dopo aver analizzato le fattispecie che determinano plusvalenze immobiliari qualificabili come redditi diversi, è ora necessario verificare come la plusvalenza stessa sia determinata, ed in tale ambito è necessario far riferimento alle disposizioni contenute nell’articolo 68 Tuir, con particolare riguardo ai commi 1 e 2. Rinviando ai successivi paragrafi l’analisi dettagliata delle modalità di determinazione della plusvalenza nelle singole fattispecie, di seguito si illustrano schematicamente le regole previste nel TUIR: - in linea generale, la plusvalenza “immobiliare” (generata ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett.

a) e b), Tuir) è determinata dalla differenza tra corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e costo di acquisto o di costruzione del bene (aumentato di ogni altro onere inerente al bene medesimo);

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- per gli immobili acquisiti per donazione, si assume quale costo di acquisto da contrapporre al prezzo di cessione quello sostenuto dal donante;

- per i terreni acquistati oltre 5 anni prima dell’inizio della lottizzazione o delle opere, si assume quale costo di acquisto il valore normale nel quinto anno anteriore;

- per i terreni acquisiti gratuitamente, e per i fabbricato costruiti sui terreni acquisiti gratuitamente, il costo è determinato tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere, ovvero a quella di inizio della costruzione;

- per i terreni edificabili, si assume quale costo il prezzo pagato per l’acquisto aumentato di ogni altro onere inerente;

- per i terreni acquisiti per successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente.

Per quanto riguarda i terreni, soprattutto quelli edificabili, il costo di acquisto può essere influenzato dalle numerose occasioni che in questi anni si sono succedute per la rivalutazione del costo di acquisto. In particolare, l’articolo 7 L. 448/2001 (più volte prorogata, e da ultimo dalla Legge di stabilità 2015 che ha previsto la possibilità di rivalutazione dei terreni posseduti alla data del 1° gennaio 2015 entro il 30 giugno 2015) ha consentito alla persona fisica, previo versamento di un’imposta sostitutiva del 4% (8% per la rivalutazione effettuate nel 2015) di rivalutare il costo di acquisto dei terreni posseduti, tramite redazione di una perizia giurata di stima ed il pagamento di un’imposta sostitutiva. Il valore risultante dalla perizia costituisce il nuovo costo fiscale del bene da contrapporre al corrispettivo per la vendita dello stesso nella determinazione della plusvalenza rilevante quale reddito diverso. Come si vedrà nei prossimi paragrafi, coloro che hanno operato la rivalutazione in questione devono porre particolare attenzione in sede di successiva vendita, in quanto sono previsti particolari obblighi e vincoli il cui mancato rispetto può portare a spiacevoli conseguenze. 4.1 Modalità di tassazione

Come già anticipato, l’articolo 68 Tuir prevede che la determinazione della plusvalenza dipenda da due parametri: corrispettivo e costo di acquisto. Relativamente al primo dei due parametri è previsto che il corrispettivo rilevi solo se è stato percepito nel corso del periodo d’imposta con la conseguenza che si rende applicabile il principio di cassa. La regola prevede che la plusvalenza sia soggetta a tassazione ordinaria, confluendo nel reddito complessivo Irpef del contribuente, anche se non mancano le relative eccezioni, di seguiti elencate: - per la cessione di aree edificabili è previsto che la tassazione naturale sia quella separata

(articolo 17, comma 1, lett. g-bis, Tuir) con applicazione dell’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto alla percezione (articolo 21, comma 1, Tuir), fatta salva l’opzione per la tassazione ordinaria;

- per la cessione di aree non edificabili (plusvalenti solamente se tra l’acquisto e la cessione intercorrono non più di cinque anni) è possibile chiedere l’applicazione dell’imposta sostituiva del 20% sulla plusvalenza stessa, tramite dichiarazione resa al notaio all’atto della cessione. Secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 496, L. 266/2005, l’imposta sostitutiva deve essere applicata e versata a cura del notaio stesso sull’intero importo della plusvalenza, anche in presenza di incasso frazionato del corrispettivo. Lo stesso notaio rogante, entro 30 giorni dalla stipula della compravendita, deve procedere in via telematica al versamento dell’imposta sostitutiva ed alla presentazione di un apposito modello contenente i dati relativi alla cessione

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per la quale ci si è avvalsi dell’imposta sostitutiva (la trasmissione va fatta unitamente all’invio del contratto di compravendita per la registrazione). In presenza dell’opzione per l’imposta sostitutiva, l’Amministrazione finanziaria non può procedere alla rettifica della dichiarazione e la plusvalenza non deve essere dichiarata nel modello Unico. La circolare n. 6/E/2006 ha precisato che in presenza di più venditori, l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva può essere chiesta solo da chi ne abbia interesse e non necessariamente da tutti i venditori.

Si segnala, infine, che l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 143/E/2007, ha chiarito che la plusvalenza derivante dalla vendita di immobili situati all’estero e posseduti da meno di cinque anni, può scontare l’imposta sostitutiva del 20% in luogo della tassazione ordinaria nel modello Unico. A tal fine, il notaio deve ricevere la provvista da parte del venditore e compilare la modulistica indicando il codice dello Stato estero in cui è ubicato l’immobile e la sigla EE in luogo della provincia, foglio 999 e particella 9999, specificando “immobile non classato”. Va tuttavia evidenziato che nel caso in cui il cedente dell’immobile situato all’estero opti per la tassazione sostitutiva, perde il diritto al credito per le imposte pagate all’estero, posto che i redditi soggetti ad imposta sostituiva non concorrono alla formazione del reddito complessivo quale condizione necessaria per fruire del credito d’imposta (si veda anche la circolare. n. 9/E/2015). 5. Determinazione del corrispettivo

Come anticipato, il primo dei due parametri rilevanti per la determinazione della plusvalenza è costituito dal corrispettivo percepito, e quindi dal prezzo che le parti hanno pattuito per la cessione del bene (immobile o terreno). Il termine “corrispettivo” utilizzato nell’articolo 68 è da intendersi nell’accezione più ampia, poiché se la regola ordinaria è costituita dalla presenza di un prezzo pagato in denaro, è tuttavia possibile che la vendita avvenga mediante permuta con un altro bene, o quale datio in solutum con l’estinzione di un debito, ovvero ancora tramite conferimento in società. In tutti questi casi, soccorre il cd. “valore normale” del bene, così come definito dall’articolo 9, comma 3, Tuir, come “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito o beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”. 6. Determinazione del costo per i terreni

Come visto nel precedente paragrafo, l’individuazione del primo dei due parametri per la determinazione della plusvalenza (corrispettivo) è quasi sempre agevole, mentre altrettanto non può dirsi per l’individuazione del costo di acquisto o di costruzione. Infatti, come si vedrà in seguito, non sempre rileva il costo di acquisto sostenuto dal contribuente, in quanto sussistono diverse fattispecie in cui il parametro di riferimento è differente. 6.1 Usucapione

La prima fattispecie interessante riguarda il terreno acquisito per usucapione, tenendo conto che tale situazione richiede la presenza di una sentenza dichiarativa soggetta ad imposta di registro, con conseguente individuazione di un valore dichiarato e liquidato, costituito dal valore venale del bene alla data in cui è passata in giudicato la sentenza definitiva di usucapione. Tale importo, secondo

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quanto precisato nella risoluzione n. 78/E/2003, costituisce il costo da raffrontare con il prezzo di cessione per la determinazione della plusvalenza tassabile. 6.2 Terreni lottizzati

Per i terreni oggetto di lottizzazione, anche se è stato pagato un prezzo all’atto dell’acquisto, per la determinazione della plusvalenza non assume alcun rilievo il costo sostenuto. Infatti, secondo quanto stabilito dall’articolo 68, comma 2, Tuir, in caso di plusvalenza realizzata tramite la cessione di un terreno oggetto di lottizzazione acquistato e posseduto da oltre cinque anni prima dell’inizio della lottizzazione, o delle opere intese a renderlo edificabile, si deve assumere quale costo di acquisto, da contrapporre al corrispettivo, il valore normale che il terreno medesimo aveva nel quinto anno anteriore l’inizio della lottizzazione o dell’esecuzione delle opere. Il metodo illustrato può risultare particolarmente favorevole laddove nel quinto anno anteriore il terreno era già edificabile, poiché in tale ipotesi il valore di mercato è generalmente elevato, con conseguente riduzione della plusvalenza tassabile. Ulteriore particolare regola è prevista nel caso in cui il terreno lottizzato sia stato acquisito per donazione o successione, nel qual caso di deve aver riguardo al valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere intese a renderlo edificabile. Pertanto, a differenza di quanto accade per gli immobili o per i terreni agricoli ricevuti per donazione, per i quali assume rilievo il costo sostenuto dal donante, nel caso di acquisizione a titolo gratuito di terreno oggetto di lottizzazione si fa riferimento in ogni caso al predetto valore normale. Nel caso di successione, può accadere che dopo il decesso del proprietario le attività di lottizzazione, nonché l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, siano poste in essere dai coeredi, nel qual caso la plusvalenza deve essere soggetta a tassazione pro-quota. Infine, lo stesso comma 2 dell’articolo 68 Tuir stabilisce che, nell’ipotesi in cui siano stati costruiti fabbricati su terreni acquisiti gratuitamente, si deve assumere come costo del terreno il valore normale dello stesso all’inizio della costruzione del fabbricato. 6.3 Terreni edificabili

Per quanto riguarda i terreni edificabili di cui all’articolo 67, lett. b), Tuir, per i quali la plusvalenza rileva in ogni caso a prescindere dal periodo di possesso, l’articolo 68, comma 2, Tuir, dispone che il costo fiscalmente rilevante è il prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta dal momento dell’acquisto a quello della successiva cessione, nonché dell’eventuale INVIM (abrogata dal 1° gennaio 2002). Relativamente alle spese inerenti l’acquisto, che aumentano il relativo costo da contrapporre al prezzo di cessione, si deve aver riguardo ai seguenti oneri: - imposta di registro; - imposte ipotecarie e catastali; - compensi e spese notarili; - spese per la liberazione dell’immobile da servitù o ipoteche; - spese per la demolizione di costruzioni preesistenti su aree utilizzate a fini edificatori; - spese per la realizzazione di opere di urbanizzazione. Terreni edificabili pervenuti per successione Nell’ipotesi in cui il terreno sia pervenuto al contribuente per successione, è previsto che si debba assumere quale costo fiscalmente rilevante il valore dichiarato nelle relative denunce di successione,

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o in seguito definito o liquidato, aumentato di ogni altro onere inerente e sostenuto successivamente, rivalutato in base all’indice ISTAT, nonché dell’imposta di successione e dell’abolita INVIM. Ai fini dell’imposta di successione, il valore rilevante è quello venale alla data di apertura della successione. Secondo quanto sostenuto nella circolare n. 73/E/1994, nell’ipotesi di terreni pervenuti per successione non si ha diritto alla rivalutazione ISTAT, anche se successivamente l’Amministrazione finanziaria ha dovuto adeguarsi alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 328/2002, ha stabilito che è possibile rivalutare il costo dei terreni sulla base della variazione ISTAT, anche se gli stessi sono pervenuti al contribuente tramite successione o donazione. Pertanto, con la circolare n. 6/E/2006, l’Agenzia delle entrate, prendendo atto dei precetti della Corte Costituzionale, ha definitivamente confermato la possibilità di applicare al costo l’indice ISTAT. Si segnala, inoltre, che il comma 2 dell’articolo 68 Tuir precisa che sono soggetti alla rivalutazione ISTAT anche i costi inerenti l’acquisto del terreno. Terreni edificabili ricevuti per donazione Qualche criticità sussiste per la determinazione del costo fiscalmente rilevante per i terreni acquisiti per donazione, in quanto sussistono due disposizioni “concorrenti”: - l’articolo 68, comma 1, Tuir, come modificato dal D.L. 223/2006, prevede che per gli immobili

pervenuti per donazione si debba assumere il costo sostenuto dal donante, applicando quindi una sorta di “trasparenza” dell’atto di donazione ai fini della determinazione del costo del terreno;

- l’articolo 68, comma 2, Tuir, prevede invece (al pari di quanto già visto per i terreni acquisiti per successione), che in caso di donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati.

La differenza tra le due disposizioni è sostanziale, poiché l’assunzione del costo sostenuto dal donante è un dato più “storico” rispetto a quello dichiarato nell’atto di donazione, nel qual caso l’articolo 14 D.Lgs. 346/1990 indica come valore ai fini dell’imposta di donazione quello venale in comune commercio alla data dell’avvenuta donazione, evidenziando che tale valore rileva anche se non è corrisposta alcuna imposta di donazione, in quanto non viene superata la franchigia di 1.000.000 di euro a favore del coniuge o dei parenti in linea retta. Sul punto, è intervenuto anche il Notariato con lo studio 265-2007/T, in cui pur non prendendo una posizione netta, ha precisato che “sul piano letterale sembrerebbe che la novella di cui al D.L. n. 223/2006 non abbia inciso sul criterio specifico per i terreni edificabili, ragione per la quale resterebbe tutt’ora in vigore il criterio di determinazione del valore iniziale dichiarato nell’atto di donazione. E questo, nonostante un’ermeneutica, più legata a (comprensibili) esigenze di equità sostanziale che ad una reale esegesi delle fonti, induca a ritenere implicitamente abrogata la disposizione dell’art. 68, co. 2, siccome incompatibile con la novellata disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. b)”. In merito alla questione, si ritiene che la posizione più corretta sia quella di individuare, quale costo fiscale, quello denunciato ai fini dell’imposta di donazione, poiché tale disposizione pare “speciale” rispetto alla norma generale contenuta nel comma 1 dell’articolo 68 Tuir, che riferendosi più ampiamente alla categoria degli immobili si deve ritenere applicabile per gli immobili diversi dai terreni edificabili. Un’ulteriore questione critica con riguardo ai terreni edificabili prevenuti per donazione, e collegata alla determinazione del costo fiscale, riguarda possibili profili elusivi che si ravvisano nell’operazione di donazione del terreno edificabile al figlio o al coniuge ed immediata successiva cessione del terreno da parte del donatario, il quale può avvalersi di un costo fiscale “aggiornato” (valore del terreno indicato nell’atto di donazione), con conseguente azzeramento (o quasi) della plusvalenza

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derivante dalla vendita. Se il valore del terreno non eccede la franchigia di 1.000.000 di euro, l’atto di donazione non sconta alcuna imposta di donazione. Risulta del tutto evidente che l’operazione in questione potrebbe essere elusiva in quanto la donazione è funzionale alla “rivalutazione” gratuita del costo del terreno al fine di mitigare, o addirittura annullare, la plusvalenza in capo al donatario-cedente. In merito a tale questione, la Corte di Cassazione è intervenuta più volte bollando come elusiva l’operazione di donazione e successiva cessione immediata con azzeramento della plusvalenza (ordinanza n. 22716/2011, sentenza n. 12788/2012 e sentenza n. 449/2013), in quanto configura abuso del diritto. In particolare, rileverebbe a tal fine il breve lasso temporale che intercorre tra la donazione e la successiva vendita, circostanza che potrebbe far presumere l’obiettivo di ottenere esclusivamente un risparmio d’imposta. Si segnala tuttavia che con la sentenza n. 11357/2012, la Corte di Cassazione ha respinto in toto le richieste dell’Agenzia delle entrate che aveva ritenuto elusiva l’operazione posta in essere da un contribuente che aveva donato ai figli due terreni e questi ultimi avevano successivamente permutato tali beni con due immobili da costruire su detti terreni. La Cassazione ha ritenuto legittima l’operazione in questione e non elusiva, in quanto finalizzata a garantire al padre l’anticipazione della successione ereditaria con l’ottenimento da parte dei figli di due abitazioni. 6.3 Terreni agricoli

Per quanto riguarda i terreni agricoli (e più in generale quelli non edificabili), per i quali come già detto la plusvalenza derivante dalla vendita è rilevante ai fini reddituali solo se tra l’acquisto e la vendita sono intervenuti meno di cinque anni, l’articolo 68 Tuir non contiene regole particolari, ragion per cui si deve aver riguardo al costo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente. Laddove il terreno agricolo sia pervenuto al contribuente per successione, non si configura alcuna plusvalenza tassabile all’atto della successiva vendita, anche se lo stesso viene ceduto entro 5 anni dall’acquisto. 6.5 Terreni rivalutati

Come anticipato nei precedenti paragrafi, l’articolo 7 L. 448/2001 (più volte prorogata, e da ultimo dall’articolo 1, comma 627, L. 190/2014), ha previsto che, ai fini della determinazione della plusvalenza, il contribuente può assumere, in luogo del costo di acquisto o del valore di acquisto, il valore del terreno rideterminato sulla base di una perizia giurata di stima, con contestuale versamento di un’imposta sostituiva del 4% (8% per la rivalutazione eseguita entro il 30 giugno 2015 ex L. 190/2014). La rivalutazione in questione, quindi, consente di aggiornare il costo fiscale del terreno ad un valore pari a quello indicato nella perizia asseverata, con la conseguenza che, in sede di successiva vendita, l’eventuale plusvalenza tassata sarà pari alla differenza (positiva) tra prezzo di cessione e costo rivalutato, con evidenti vantaggi in termini di carico fiscale. In merito alla facoltà in esame, nel corso degli anni sono emersi alcuni aspetti critici che meritano di essere approfonditi e legali a: - la prassi dell’Agenzia delle entrate che ha sempre richiesto la perizia giurata necessariamente in

un momento antecedente a quello in cui è venduto il terreno, poiché nell’atto deve essere indicato il valore periziato (in particolare si veda la circolare n. 16/E/2005);

- l’articolo 7, comma 6, L. 448/2001 che stabilisce che la rideterminazione del valore di acquisto costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale.

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Relativamente alle due questioni proposte, l’Agenzia delle entrate è intervenuta con la risoluzione n. 53/E/2015, in cui ha formulato importanti precisazioni. Per quanto riguarda la prima delle due questioni proposte, l’Agenzia delle entrate ricorda in primo luogo che l’articolo 7, comma 4, L. 448/2001 richiede che la perizia, unitamente ai dati dell’estensore della stessa ed al codice fiscale del titolare del bene oggetto di perizia, nonché delle copie delle ricevute di versamento dell’imposta sostitutiva, deve essere conservata dal contribuente ed esibita o trasmessa a richiesta dell’Amministrazione finanziaria. Successivamente, con la Circolare n. 16/E/2005, l’Agenzia delle entrate ha precisato che il valore rideterminato (indicato in perizia) non può essere utilizzato prima della redazione e del giuramento della perizia, in quanto nell’atto di vendita deve essere indicato il valore periziato del bene. Ciò sta a significare che necessariamente deve intervenire prima la perizia e solo successivamente l’atto di vendita, e non viceversa. Su tale presa di posizione, è intervenuta più volte la Corte di Cassazione (ordinanza n. 26714/2013, ordinanza n. 10561/2014, ordinanza n. 23660/2013, ordinanza n. 11062/2013, ordinanza n. 22990/2012 e sentenza n. 30729/2011), precisando che le indicazioni della prassi dell’Agenzia delle entrate non trovano alcun riscontro normativo, con la conseguenza che la perizia asseverata può intervenire anche in un momento successivo a quello della vendita del terreno. Prendendo atto dell’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, l’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione n. 53/E/2015 ritiene che l’asseverazione della perizia in una data successiva alla cessione non comporta alcuna decadenza dall’agevolazione, fermo restando che la stessa perizia, ancorché non asseverata e giurata, deve essere redatta prima del rogito, stante l’obbligo di indicare nel medesimo il relativo valore periziato. Relativamente al secondo aspetto, come già anticipato il valore indicato in perizia, in base a quanto disposto dall’articolo 7, comma 6, L. 448/2001, costituisce il valore minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale. L’ambito applicativo di tale disposizione è stato oggetto di numerosi documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate, la quale: - con la circolare n. 15/E/2002 ha precisato che qualora il venditore intenda discostarsi dal valore

indicato in perizia, in quanto il bene si è deprezzato rispetto al momento in cui era stato oggetto di rivalutazione per cause naturali o per effetto dell’adozione di nuovi strumenti urbanistici, ai fini delle imposte gravanti sul trasferimento si rendono applicabili le regole ordinarie (tassazione quindi in base al valore del bene) e ai fini del calcolo della plusvalenza ex articolo 68 del Tuir si deve assumere quale costo fiscale quello risultante prima della rivalutazione, ossia il costo storico di acquisto e non quello rivalutato;

- con la risoluzione n. 111/E/2010, è stata riconosciuta la possibilità di rideterminare al ribasso il valore di un terreno, a condizione tuttavia che sia predisposta una nuova perizia di stima, con la possibilità quindi di utilizzare un nuovo e più ridotto valore normale minimo di riferimento all’atto della successiva vendita;

- con la circolare n. 1/E/2013, confermando quanto già sostenuto nella predetta circolare n. 15/E/2002, l’Agenzia delle entrate ha precisato che, laddove il contribuente intenda avvalersi del valore rivalutato, deve necessariamente indicare tale valore nell’atto di cessione, pur in presenza di un corrispettivo inferiore. Laddove invece sia indicato un valore inferiore (ad esempio pari al minor corrispettivo di vendita), si rendono applicabili le regole ordinarie di determinazione della plusvalenza tassabile previste dall’articolo 68 Tuir (rilevanza del costo storico di acquisto e non del valore rivalutato).

In buona sostanza, in base al contenuto di tale ultimo documento di prassi, l’Agenzia delle entrate consente al contribuente di “sdoppiare” la questione, nel senso di riconoscere al contribuente la

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facoltà di cedere il terreno ad un corrispettivo più basso rispetto al valore periziato, a condizione tuttavia che il valore (rilevante ai fini delle imposte d’atto) sia almeno pari al valore indicato in perizia. Con la risoluzione n. 53/E/2015, innovando rispetto al passato, l’Agenzia delle entrate evidenzia che la necessità di contrastare l’occultamento della base imponibile ai fini delle imposte indirette viene meno nei casi in cui, pur non menzionando nell’atto di vendita il valore rivalutato, lo scostamento tra prezzo di cessione e predetto valore di perizia sia poco significativo e tale da doversi imputare più ad un mero errore che non alla volontà di conseguire un indebito vantaggio fiscale mediante sottrazione di base imponibile. Del pari, l’Agenzia delle entrate ritiene che la predetta esigenza di evitare l’occultamento della base imponibile non deve considerarsi disattesa nell’ipotesi in cui il contribuente, pur avendo dichiarato nell’atto di vendita un corrispettivo anche sensibilmente inferiore a quello periziato, abbia comunque indicato nell’atto di vendita il valore rideterminato. Nei casi illustrati, quindi, l’Agenzia delle entrate conclude precisando che per il calcolo della plusvalenza tassabile ai sensi dell’articolo 68 Tuir potrà farsi comunque riferimento al valore rivalutato, che assumerà rilievo anche quale valore normale minimo per la determinazione delle imposte indirette collegate alla vendita (imposte di registro, ipotecarie e catastali). L’Agenzia delle entrate conclude invitando gli uffici a riprendere in esame le controversie pendenti e ad abbandonare l’attività accertativa se non conforme a quanto appena indicato. Per completezza, si ricorda che il contribuente deve esporre nel modello Unico dell’anno in cui si è perfezionata la rivalutazione del terreno gli elementi per determinare l’imposta sostitutiva dovuta (il valore indicato nella perizia), ed è tenuto a conservare, unitamente alla perizia stessa, i dati relativi all’estensore, il codice fiscale del titolare del bene periziato, nonché le ricevute di versamento dell’imposta sostitutiva. Tale documentazione dovrà essere esibita ed eventualmente trasmessa se richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria. Con la circolare n. 1/E/2013, l’Agenzia delle entrate ha tuttavia ricordato che la mancata indicazione del valore rivalutato nel modello Unico (quadro RM) non fa venir meno gli effetti della rivalutazione, dovendosi considerare una mera irregolarità formale sanzionata in misura fissa da euro 258 a euro 2.065. Nella tabella che segue si schematizzano i principali chiarimenti dell’Agenzia delle entrate.

POSSESSO DI PIÙ TERRENI Non occorre rivalutare tutti i terreni posseduti, potendo scegliere da parte del contribuente quali terreni rivalutare

PIÙ COMPROPRIETARI Anche uno solo dei comproprietari può eseguire la rivalutazione, fermo restando che la perizia di stima deve essere eseguita sull’intera proprietà

TERRENI IN PROPRIETÀ INDIVISA Ogni comproprietario può scegliere o meno di rivalutare la propria quota

NUDO PROPRIETARIO

Il nudo proprietario può procedere con la rivalutazione della nuda proprietà, data dalla differenza tra il valore della piena proprietà e quello dell’usufrutto concesso a terzi

USUFRUTTUARIO Il valore dell’usufrutto può essere oggetto di rivalutazione applicando le disposizioni contenute nell’articolo 48 D.P.R. 131/1986

TERRENI PARZIALMENTE EDIFICABILI Per i terreni parzialmente edificabili si può procedere alla rivalutazione dell’appezzamento

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solo per la parte edificabile, senza dover procedere al frazionamento dell’area

NUOVA RIVALUTAZIONE

In più occasioni, l’Agenzia delle entrate ha confermato la possibilità di procedere ad una seconda rivalutazione del terreno già rivalutato in passato, scomputando l’imposta pagata in occasione della prima rivalutazione dall’imposta sostitutiva dovuta sulla nuova rivalutazione

Da ultimo, vanno evidenziati gli effetti della rivalutazione operata dal de cuius o dal donante e della trasferibilità del valore rivalutato in capo agli eredi o al donatario. Nel caso di successione, in particolare, il valore di perizia a suo tempi indicato dal de cuius non può essere assunto quale costo fiscale da parte degli eredi, poiché ai sensi dell’articolo 68, comma 2, Tuir, la plusvalenza conseguita dall’erede tramite la cessione di un terreno edificabile (anche se già rivalutato dal de cuius) deve essere determinata sottraendo al corrispettivo il valore dichiarato nella denuncia di successione. Pertanto, il valore di perizia rileva solamente se è stato indicato quale valore del bene nella predetta denuncia di successione. A differenti conclusioni si deve invece pervenire nell’ipotesi di donazione, poiché come già visto in precedenza, l’articolo 68, comma 1, Tuir, dispone che in caso di immobili pervenuti per donazione, il donatario assume in ogni caso il costo sostenuto dal donante, con la conseguenza che se quest’ultimo aveva eseguito la rivalutazione prima della donazione trasferisce al donatario anche il valore indicato nella perizia. 6.6 Indennità di esproprio

La L. 413/1991, ha introdotto tra le fattispecie impositive comprese tra i “redditi diversi” anche l’ipotesi di plusvalenze relative alla percezione d’indennità di esproprio. Più precisamente, l’articolo 11 della menzionata Legge, ed, in particolare, il quinto comma, qualifica come plusvalenza le somme “conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all'interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni […]”. Il tenore letterale della norma disciplina, dunque, come tassabili le sole plusvalenze derivanti da terreni collocati all’interno di determinate zone omogenee, a nulla rilevando l’eventuale edificabilità delle stesse (come invece è previsto nel caso di cessione di aree fabbricabili). In altri termini, non conta la suscettibilità edificatoria del terreno espropriato, essendo necessaria, invece, la sola circostanza che esso rientri effettivamente in una delle zone omogenee richiamate dalla norma. Si tratta, nello specifico, delle zone omogenee di tipo A (centri storici o di pregio ambientale), B (zone diverse da quelle di cui al punto A, totalmente o parzialmente edificate), C (zone di espansione inedificate o quasi totalmente inedificate) e D (zone per nuovi insediamenti industriali) di cui al D.M. 2 aprile 1968. Per contro, devono assolutamente ritenersi escluse dalla tassazione, in quanto non esplicitamente menzionate dal legislatore, le indennità per espropri in zona F, ossia all’interno delle aree destinate

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ad attrezzature ed impianti di interesse generale. D’altro canto, se il legislatore avesse voluto rendere tassabili le plusvalenze indiscriminatamente, non avrebbe, di certo, specificato, elencandole tassativamente, solo le zone interessate. Tale logica deduzione è stata, del resto, più volte confermata pure dall’Amministrazione finanziaria nei vari documenti di prassi emanati (risoluzione n. 111/E/1996, risoluzione n. 30/E/1997 e circolare n. 194/E/1998). In particolare, a parere dell’Amministrazione finanziaria, la norma de qua “non fa alcun riferimento alla suscettibilità edificatoria del terreno, bensì alla collocazione dello stesso all'interno delle zone omogenee espressamente richiamate (zone omogenee di tipo A, B, C, D). Ai fini dell’imponibilità, quindi, è necessario verificare se il terreno rientri in una delle zone omogenee richiamate dalla norma e non, invece, se esso sia suscettibile di edificabilità”, (risoluzione n. 111/E/1996). Inoltre, con esplicito riferimento alle indennità relative ai terreni ricadenti nella zona omogenea F, la stessa Amministrazione precisa che “non sono da assoggettare a ritenuta; ciò in quanto la lettera F era stata inserita, dall'art. 3, comma 1, lettera a), del decreto legge 28 febbraio 1992, n. 174, decreto legge 27 aprile 1992, n. 269, e decreto legge 25 giugno 1992, n. 319, tutti non convertiti”, (risoluzione n. 111/E/1996). È pur vero, come anche osservato in dottrina, che, sebbene nella maggior parte dei casi i due concetti coincidano, può verificarsi eccezionalmente che nelle zone omogenee previste dal legislatore rientrino non soltanto terreni suscettibili di edificabilità, ma anche quelli non edificabili. In tal caso, quanto percepito a titolo di indennità di esproprio è tassato per il semplice fatto che il terreno rientra in una delle zone omogenee definite dagli strumenti urbanistici. In buona sostanza, è possibile che un terreno non edificabile rientri in una delle zone omogenee per le quali il legislatore dispone la tassazione e viceversa. Sul punto, in realtà, si è espressa più volte anche la Corte di Cassazione, sancendo che “in tema di imposte sui redditi, l'art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sottopone a tassazione le plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio in relazione alla mera collocazione dei suoli nelle zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al D.M. 2 aprile 1968, senza operare alcuna distinzione tra aree aventi vocazione edificatoria e terreni agricoli, sicché, ai fini dell'assoggettamento ad imposizione, è irrilevante che l'area espropriata si trovi, secondo le previsioni del locale piano regolatore, all'interno di zone altrimenti definite (nella specie "zona agricola normale" e "zona di rispetto infrastrutturale e urbanistico"), poiché ciò che rileva è la destinazione effettiva del bene (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Napoli, 07/03/06)” (Cassazione, sentenza n. 652/2012).

Tabella riassuntiva – Cessione terreni

Tipologia di terreno

Modalità di acquisizione

Periodo di possesso

Costo fiscalmente riconosciuto

Criterio di tassazione

Agricolo Acquisto oneroso < 5 anni

Prezzo pagato + oneri inerenti +

rivalutazione ISTAT

Tassazione ordinaria o

sostituiva 20% su richiesta al notaio

Agricolo Successione Plusvalenza non

rilevante

Agricolo Donazione < 5 anni (a partire acquisto donante)

Valore indicato nell’atto di donazione

Tassazione ordinaria o

sostituiva 20% su

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richiesta al notaio

Edificabile Acquisto oneroso Qualsiasi

Prezzo pagato + oneri inerenti +

rivalutazione ISTAT

Tassazione separata o

opzione per tassazione ordinaria

Edificabile Successione Qualsiasi Valore denuncia di successione

Tassazione separata o

opzione per tassazione ordinaria

Edificabile Donazione Qualsiasi Valore atto di

donazione

Tassazione separata o

opzione per tassazione ordinaria

Lottizzato Acquisto oneroso > 5 anni dall’inizio della lottizzazione

Valore normale nel quinto anno

inizio lottizzazione

Tassazione ordinaria

Lottizzato Acquisto oneroso < 5 anni dall’inizio della lottizzazione

Prezzo pagato + oneri inerenti +

rivalutazione ISTAT

Tassazione ordinaria

Lottizzato Donazione o successione

Qualsiasi Valore normale

data inizio lottizzazione

Tassazione ordinaria

Esecuzione opere intese a rendere

edificabile Acquisto oneroso

> 5 anni prima dell’inizio delle

opere

Valore normale quinto anno

anteriore inizio esecuzione opere

Tassazione ordinaria

Esecuzione opere intese a rendere

edificabile Acquisto oneroso

< 5 anni prima dell’inizio delle

opere

Prezzo pagato + oneri inerenti +

rivalutazione ISTAT

Tassazione ordinaria

Esecuzione opere intese a rendere

edificabile

Donazione o successione

Qualsiasi Valore normale

inizio opere Tassazione ordinaria

7. Determinazione del costo per i fabbricati

Per quanto riguarda la cessione di fabbricati, per i quali come si è detto la plusvalenza rileva quale reddito diverso solo se tra l’acquisto e la vendita sono intercorsi meno di cinque anni, la plusvalenza è determinata in misura pari alla differenza tra corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e il costo di acquisto o di costruzione del bene, aumentato di ogni altro onere inerente all’immobile stesso (costi notarili, ristrutturazioni, commissioni, spese di registrazione, ecc.).

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Per quanto riguarda gli immobili pervenuti a titolo gratuito, ossia per successione o donazione, si ricorda che: - quelli pervenuti per successione non sono rilevanti ai fini reddituali; - quelli pervenuti per donazione, invece, rilevano per il costo sostenuto dal donante, ed il periodo

di cinque anni tiene conto anche del periodo di possesso da parte del donante stesso.

In breve: 1. Le plusvalenze derivanti dalla cessione di beni immobili (terreni e fabbricati) da parte di

persone fisiche possono generare redditi diversi solo se la vendita avviene al di fuori dell’esercizio d’impresa o arte e professione.

2. La cessione di beni immobili e di terreni non edificabili realizza plusvalenza tassabile quale reddito diverso solo se sussiste l’intento speculativo, che la norma individua laddove il periodo temporale tra l’acquisto e la vendita del bene non eccede 5 anni.

3. La cessione di terreni edificabili realizza plusvalenza tassabile quale reddito diverso in ogni caso, a prescindere dal periodo di possesso.

4. Nella determinazione del costo di acquisto si deve tener conto anche degli oneri inerenti l’acquisto stesso (spese notarili, intermediazioni, ecc.).

5. Nell’ipotesi di fabbricati pervenuti per donazione, nel computo del periodo di possesso da parte del donatari - cedente si deve tener conto anche del periodo di possesso da parte del donante.

6. Le persone fisiche che hanno rivalutato il costo di acquisto dei terreni edificabili devono indicare il valore periziato nell’atto di vendita, pena la perdita della rivalutazione anche ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile. Con la risoluzione n. 53/E/2015 l’Agenzia delle entrate ha consentito in alcuni casi la cessione del terreno ad un prezzo inferiore, purchp comunque sia indicato il valore del terreno nell’atto.

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I REDDITI DIVERSI DA CAPITAL GAIN

Il percorso corretto per individuare il trattamento fiscale del cosiddetto capital gain è in primo luogo valutare se la partecipazione o il diritto oggetto di cessione rientri tra quelli citati dall’articolo 67 Tuir. Il secondo passaggio è determinare l’imponibile ed in questo senso è fondamentale distinguere la partecipazione qualificata da quella non qualificata e considerare che il principio che domina la tassazione del capital gain è quello di cassa. L’imponibile da capital gain parte dal concetto di costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, la cui determinazione costituisce un passo fondamentale per il confronto con il corrispettivo incassato per la cessione. In questa indagine occorre distinguere la partecipazione in società di capitali da quella in società di persone, atteso che sono essenzialmente diversi i metodi per valorizzarne il costo fiscalmente riconosciuto.

1. I redditi diversi da capital gain

Il primo approccio per esaminare la qualificazione dei redditi diversi da capital gain è certamente analizzare l’articolo 67, lett. c), Tuir, nella quale norma si stabilisce che sono considerate cessioni di partecipazioni qualificate le cessioni a titolo oneroso di azioni e ogni altra partecipazione al capitale di: 1) società di persone ed equiparate residenti nel territorio dello Stato di cui all’articolo 5 Tuir, ad

esclusione delle associazioni tra artisti e professionisti. Questa esclusione determina di fatto la domanda se sia oggetto di qualche altra forma di tassazione la cessione di quote o partecipazioni in associazioni professionali. In altri termini occorre capire se siamo di fronte ad un vuoto normativo, che renderebbe non tassata la cessione di partecipazioni in associazione professionale, oppure se tale cessione debba essere qualificata con qualche altra forma di tassazione di reddito diverso. Al riguardo sembra doversi segnalare che cedendo una quota di partecipazione in associazione professionale in ogni caso viene ceduto un bene immateriale per cui parrebbe incongruo ricomprendere questa fattispecie in qualche altro reddito diverso, come ad esempio l’obbligazione di fare non fare o permettere. È evidente tuttavia che difficilmente l’Agenzia delle entrate possa avallare una tesi di detassazione della cessione quote di associazione professionale, laddove fosse interpellato esplicitamente sulla questione.

2) società ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato di cui all’articolo 73, comma 1, lett. a) e b), Tuir;

3) società ed enti non residenti nel territorio dello Stato di cui all’articolo 73, comma 1, lett. d), Tuir.

Per quanto riguarda il concetto di cessione di partecipazione “qualificata” è noto che occorre analizzare due parametri: il primo è rappresentato da una partecipazione che rappresenti una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2% o 20%

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rispettivamente nel caso di società quotata o società non quotata, il secondo è una partecipazione al capitale della società superiore al 5% o 25% a seconda che si tratti di società quotata o non quotata. Vale la pena ricordare che, al fine di individuare la qualificazione della partecipazione, occorre tener conto delle cessioni effettuate nell’arco di 12 mesi; quindi, se sommando più partecipazioni cedute si supera la soglia del 20 o 25%, allora tutte le cessioni eseguite sempre nell’arco di 12 mesi sono considerate cessioni qualificate e, se eventualmente fosse stata versata l’imposta sostitutiva del 26% sulla prima cessione eseguita nel periodo d’imposta precedente, l’intera operazione verrebbe riqualificata come cessione di partecipazione qualificata scontando dalla imposta dovuta quella pagata a titolo di sostitutiva nel periodo d’imposta precedente. Ad integrazione di quanto finora detto va ricordato che la norma dell’articolo 68, comma 7, lett. b), Tuir, stabilisce che, qualora siano superate le percentuali che denominano una partecipazione come non qualificata, i corrispettivi percepiti anteriormente al periodo d’imposta nel quale si è verificato il superamento delle percentuali si considerano percepiti nello stesso periodo del superamento. Ad esempio, se un contribuente avesse ceduto nel dicembre del 2014 il 10% di una partecipazione sottoponendo a tassazione la plusvalenza come cessione di partecipazione non qualificata nel modello Unico relativo allo stesso 2014 e poi ad ottobre del 2015 avesse ceduto il 15% della partecipazione nella stessa società, l’operazione verrebbe riqualificata come cessione di partecipazioni qualificata del 25% del capitale sociale della società ceduta, individuando nel 2015 il periodo d’imposta in cui l’intero corrispettivo delle due cessioni è stato incassato . È chiaro che la plusvalenza sottoposta ad imposta sostitutiva nel periodo d’imposta 2014 genera un credito di imposta nel 2015 pari alla medesima imposta sostitutiva versata l’anno prima. La circolare n. 4/E/2006 dell’Agenzia delle entrate ha chiarito che questa sommatoria di più cessioni va eseguita solo a condizione che almeno per un giorno il contribuente abbia detenuto una partecipazione qualificata, poiché in caso contrario, anche se sommando le partecipazioni cedute in tempi diversi si raggiungesse un ammontare superiore alla soglia di qualificazione le cessioni resterebbero non qualificate. Ad esempio se un contribuente avesse acquistato il 20 gennaio 2014 una partecipazione pari al 10% in una Srl e il 25 gennaio dello stesso anno avesse ceduto la medesima partecipazione, per poi acquistare il 16% della medesima società il 20 febbraio cedendo il 25 febbraio il medesimo 16% avremmo si una sommatoria che in termini assoluti supera la soglia della qualificazione (10% +16% uguale 26%), ma non detenendo mai una partecipazione superiore alla soglia di qualificazione in nessun giorno viene meno l’obbligo della sommatoria. Sempre in relazione alla fattispecie di acquisto di partecipazioni avvenuto in più momenti vale la pena ricordare la disposizione dell’articolo 67, comma 1-bis, Tuir secondo la quale devono intendersi cedute per prime le partecipazioni più recentemente acquistate. Tale regola si applica anche con riferimento all’eventuale quota di partecipazione sottoposta a rivalutazione ai sensi dell’articolo 5 L. 448/2001, e successive proroghe, quindi in pratica cedendo una sola parte di una partecipazione societaria soggetta a parziale rivalutazione saremo di fronte alla cessione proprio della parte rivalutata. Le regole sopra ricordate per distinguere la partecipazione qualificata da quella non qualificata ammettono, tuttavia, una eccezione rappresentata dal conferimento dell’unica azienda detenuta da parte dell’imprenditore individuale in società. La partecipazione ricevuta dal conferente (che avendo conferito l’unica azienda la riceve a titolo di persona fisica) è da intendersi sempre e comunque partecipazione qualificata nel senso che, qualora essa sia venduta, determina sempre la tassazione della plusvalenza come se fosse partecipazione qualificata. Questa disposizione è contenuta nell’articolo 176, comma 2-bis, Tuir che a prima lettura potrebbe sembrare un refuso, atteso che non necessariamente la partecipazione a seguito del conferimento supera le soglie sopra citate per la denominazione di partecipazione qualificata. In realtà non si tratta affatto di un refuso,

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come ha avuto modo di chiarire la circolare n. 52/E/2004 dell’Agenzia delle entrate secondo la quale la previsione normativa serve a fare in modo che qualunque sia la partecipazione ricevuta a seguito del conferimento, la successiva cessione sconti una tassazione uguale a quella che si sarebbe applicata se la partecipazione fosse stata ceduta dall’imprenditore individuale. Un caso particolare nella individuazione della qualificazione o meno della partecipazione è rappresentato dalla quota detenuta dai coniugi in regime di comunione legale dei beni. L’Agenzia delle entrate, rispondendo ad un interpello, ha esaminato la questione con la risoluzione n. 131/E/2002 con la quale si è manifestato il caso di Tizio che, avendo acquistato una partecipazione del 30% in una Srl, ha successivamente inserito tale partecipazione nel regime di comunione legale con il coniuge. Cedendo la partecipazione veniva richiesto se si doveva applicare il regime della cessione qualificata o non qualificata. L’Agenzia delle entrate, esaminando la questione, è giunta alla conclusione che applicando l’articolo 4 Tuir, secondo cui i beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli articoli 177 e seguenti codice civile sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare, conclude che la cessione va considerata come sommatoria di due cessioni non qualificate ciascuna pari al 15% di partecipazione al capitale della società. Tale tesi può generare certamente dei vantaggi fiscali (o meglio poteva generare vantaggi fiscali quando l’imposta sostitutiva da applicarsi alle cessioni non qualificate era il 12,5%) motivo per il quale in conclusione della Risoluzione l’Agenzia cita l’articolo 37-bis D.P.R. 600/1973 come norma antielusiva applicabile quando si scopre che l’intera operazione è stata eseguita con intenti meramente di risparmio di imposta. Prendendo atto della tesi dell’Agenzia delle entrate, occorre aggiungere che tale posizione sembra non considerare il disposto dell’articolo 2468 codice civile secondo cui i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un comune rappresentante; pertanto, sia con riferimento alla percentuale dei diritti di voto esprimibili in assemblea sia con riferimento alla partecipazione al capitale la partecipazione del 30%, parrebbe assumere i connotati della partecipazione qualificata. 2. La determinazione della plusvalenza

Per determinare la plusvalenza, una volta che sia individuata la fattispecie reddituale da redditi diversi da capital gain ex articolo 67 del Tuir, occorre fare riferimento all’articolo 68, comma 6, secondo il quale il valore imponibile è costituito dalla differenza tra corrispettivo percepito (o valore normale dei beni ricevuti) e il costo, ogni valore d’acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni altro onere connesso alla partecipazione stessa. La norma quindi ci pone di fronte ad un confronto tra corrispettivo percepito (chiara citazione del principio di cassa) e costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Più precisamente la norma allude anche al valore di acquisto assoggettato a tassazione riferendosi alle ipotesi in cui non necessariamente il valore assoggettato a tassazione corrisponde con il costo della partecipazione. Il riferimento è all’articolo 51 Tuir, comma 2, lett. g) in cui si stabilisce che non costituisce reddito da lavoro dipendente, a certe condizioni, il valore delle azioni offerto alla generalità dei dipendenti. Se per il dipendente l’azione ricevuta non ha generato reddito è evidente che non si può pretendere di vedere riconosciuto un costo fiscalmente rilevante quando in origine il benefit non ha concorso alla formazione del reddito del precedente. La dizione letterale “corrispettivo percepito” evoca la nota problematica dell’applicazione integrale o meno del principio di cassa nella cessione di partecipazioni, nel senso che ci si chiede se sia possibile da parte dell’Agenzia delle entrate rettificare il valore di una certa cessione sulla base di elementi non ancorati al corrispettivo percepito bensì al valore normale o corrente della partecipazione. Il tema può essere riassunto nella questione, nota agli operatori tributari, della cessione della

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partecipazione al valore nominale del capitale sociale, cessione che alcuni uffici dell’Agenzia contestano sulla base del valore effettivo o corrente della partecipazione. Al riguardo bisogna sottolineare come il dato letterale “corrispettivo percepito” non possa che essere interpretato nel senso di ritenere inaccettabili le contestazioni dell’organo verificatore motivate da vicende diverse dalla prova di un corrispettivo reale percepito diverso rispetto al corrispettivo dichiarato. In questo senso peraltro si è pronunciata con chiare motivazioni la sentenza della CTR del Lazio n. 395/2007. Nel contenzioso conseguente l’ufficio pretendeva di valorizzare una cessione di quote eseguita al nominale sulla base del valore reale del patrimonio sociale trasferito ma la commissione tributaria ha contestato questo accertamento sulla base della semplice considerazione che nel capital gain può trovare accoglimento soltanto il principio di cassa e non altri elementi collegati con il valore effettivo delle partecipazioni cedute. Una ipotesi frequentemente presente nella pratica professionale su cui indagare è la percezione rateizzata del corrispettivo relativo ad una cessione di partecipazione. Fermo restando che il momento impositivo nasce con l’atto di cessione della partecipazione, è chiaro che, se non fosse incassato in alcun modo il corrispettivo, non avremmo alcuna tassazione, atteso il principio di cassa che presidia questa categoria reddituale. Al riguardo l’articolo 68, comma 7, lett. f) Tuir ricorda che, in caso di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo, la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o valore d’acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo di imposta. Si veda il seguente esempio: immaginiamo che Tizio abbia ceduto il 30% delle partecipazioni nella Srl Alfa conseguendo una plusvalenza, determinata con riferimento al costo di acquisto e al corrispettivo pattuito, pari a euro 100.000. Tizio ha altresì stabilito nell’atto di cessione che il corrispettivo venga pagato in tre rate annuali a partire dal 2015. A questo punto nel 2015 Tizio avrà incassato un terzo del corrispettivo pattuito da confrontare con un terzo del costo fiscalmente riconosciuto determinando quindi una plusvalenza tassabile nel quadro RT del modello Unico relativo al 2015 pari a euro 33.333. Per quanto attiene alla modalità con cui la plusvalenza concorre alla formazione del reddito è noto che occorre partire dalla distinzione tra partecipazione qualificata e non qualificata. Nel primo caso il reddito diverso da capital gain viene determinato per l’ammontare del 49,72% della stessa, plusvalenza con riferimento alle cessioni eseguite a decorrere dal 1 gennaio 2009, mentre per le cessioni di partecipazioni qualificate eseguite prima del 1 gennaio 2009, il cui corrispettivo sia incassato successivamente a tale data (ad esempio nel 2015), resta ferma la concorrenza al reddito complessivo nella misura del 40%. Nella diversa ipotesi di cessione di partecipazione non qualificata si determina la debenza di imposta sostitutiva del 26% calcolata sulla plusvalenza conseguita. Tale percentuale è stata fissata dall’articolo 3 del D.L. 66/2014 la cui decorrenza si applica a partire dal 1 luglio 2014. Più precisamente la circolare 19/E/2014, par. 7, ha chiarito che la plusvalenza si intende realizzata nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso della partecipazione non già nel momento in cui viene liquidato il corrispettivo; quindi, qualora in data antecedente al 30 giugno 2014 un contribuente abbia percepito somme o valori a titolo di anticipazione di una cessione effettuata dal 1 luglio 2014, la plusvalenza viene passata con l’aliquota vigente al momento di cessione della partecipazione quindi 26%. Diversamente, se un contribuente avesse ceduto la partecipazione non qualificata prima della 1 luglio 2014, pur incassando il corrispettivo in data successiva, manterrebbe la possibilità di applicare l’aliquota del 20% dell’imposta sostitutiva. L’imposta sostitutiva viene applicata sulla somma algebrica tra plusvalenze e minusvalenze appartenenti alla stessa categoria di partecipazioni non qualificate. Se la minusvalenza viene conseguita a partire dal 1 luglio 2014 la somma algebrica con le plusvalenze (sempre non qualificate) avviene al 100%, mentre le minusvalenze conseguite precedentemente vengono portate in

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deduzione delle plusvalenze realizzate successivamente alla data del 30 giugno 2014 per una quota pari al: 1) 48,08% del loro ammontare se realizzate entro il 31 dicembre 2011; 2) 76,92% del loro ammontare se realizzate nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2012 e 30 giugno del 2014. Resta ferma l’applicazione dei limiti temporali di deduzione di cui all’articolo 68, comma 5, Tuir, vale a dire che, nei casi in cui l’ammontare delle minusvalenze e delle perdite è superiore all’ammontare delle plusvalenze e degli altri redditi diversi di natura finanziaria, l’eccedenza può essere portata in deduzione fino a concorrenza di tali redditi, nei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto. 3. La determinazione del costo della partecipazione

Per determinare la eventuale plusvalenza o minusvalenza, derivante dalla cessione della partecipazione, è essenziale individuare correttamente il costo della stessa attraverso le varie configurazioni previste. Oltre ad analizzare la problematica del costo della partecipazione in senso generale, è opportuno riflettere su due casi specifici e cioè:1. Il costo della partecipazione in capo alla conferente a seguito di conferimenti d’azienda il cui valore è negativo;2. Il costo della partecipazione a seguito di rivalutazione della stessa cui segue una scissione. Il costo per le partecipazioni in società di capitali L’articolo 68, comma 6, Tuir prevede che il costo della partecipazione, ovvero il valore d’acquisto assoggettato a tassazione, sia incrementato degli oneri accessori, con esclusione degli interessi passivi. Non viene fornita una esatta nozione di costo che può essere ritratta, in via generale, dal primo comma del medesimo articolo che definisce il costo quale prezzo d’acquisto del bene ceduto. Con riferimento alle partecipazioni, questa definizione va rapportata sia all’acquisto tramite atto di compravendita, sia al conferimento eseguito in sede costituiva. Una prima questione che emerge immediatamente è riferita alla necessità o meno che il prezzo pattuito per l’acquisizione sia effettivamente pagato. Nell’ambito della sottoscrizione del capitale sociale iniziale la questione si pone con riferimento al capitale effettivamente versato. In altri termini è sufficiente aver acquisito la proprietà della partecipazione (o aver sottoscritto il capitale iniziale) per vederne riconosciuto fiscalmente il costo, ovvero è necessario l’elemento finanziario legato al versamento del corrispettivo? La questione è controversa e come oltre si dirà constano opinioni diverse di fonte giurisprudenziale da quelle qui sostenuta. Chi scrive ritiene che sia essenziale l’effettivo versamento del prezzo per due ordini di motivi: 1. In primo luogo va segnalato che un’altra norma che si interessa di un analogo problema, cioè l’articolo 47, comma 7, Tuir (in materia di determinazione del differenziale tassabile in varie ipotesi tra cui il recesso del socio) propone un confronto tra somma ricevuta e prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione della partecipazione, quindi assegnando rilevanza alla circostanza che il prezzo sia stato effettivamente corrisposto; 2. In secondo luogo va ricordato che, in caso di pagamento rateizzato della partecipazione, la plusvalenza per il cedente è determinata proporzionalmente al prezzo effettivamente corrisposto nel periodo d’imposta (articolo 68, comma 7, lett. f). Alla luce di questa disposizione sarebbe asistematico che per l’acquirente fosse riconosciuto l’intero costo della partecipazione a prescindere dalla circostanza che esso sia stato interamente pagato: si avrebbe una plusvalenza ridotta proporzionalmente alla quota incassata mentre il costo sarebbe interamente riconosciuto, il che creerebbe un salto d’imposta ingiustificato. Di diverso avviso si è dichiarata la CTR delle Marche sentenza n. 44/2010. La commissione citata ritiene che le plusvalenze in materia di capital gain sono

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determinate dalla differenza tra il valore del corrispettivo percepito ed il costo o il valore di acquisto. Stante la letterale formulazione della norma, continua la commissione, l’argomentare tout court di criterio di cassa di tale tassazione non è corretto, in quanto il criterio di cassa si applica solo relativamente alla percezione del corrispettivo e non già al costo di acquisto. Quest’ultimo è tale a prescindere da quanto è stato finanziariamente sostenuto. Quindi, seguendo questa tesi, se una partecipazione fu pagata per esempio euro 1.000, il relativo valore di costo non può modificarsi a seconda che la relativa transazione finanziaria sia stata posta in essere in un momento diverso. Se un bene viene acquistato ad un certo prezzo il valore di costo è quello che è stato pattuito o quello che comunque ha fatto sorgere la partita debitoria/creditorie tra le parti. Deve quindi concludersi che solo nel caso particolare in cui il costo di acquisto non sia stato corrisposto, non già al momento della transazione ma anche a quello successivo in cui l’Amministrazione finanziaria esegue il proprio controllo, l’Amministrazione finanziaria potrebbe sostenere con qualche fondamento la propria tesi di non riconoscimento del costo di acquisto se non pagato. A parere di chi scrive, la tesi sostenuta dalla CTR Marche si scontra con l’interpretazione sistematica dell’articolo 68 Tuir, nel senso che, riconoscendo fiscalmente rilevante un costo di acquisto per il quale non sia stata corrisposta la relativa provvista finanziaria, significa creare una asimmetria nella tassazione essendo chiaro che per il cedente solo il corrispettivo effettivamente incassato determina l’insorgenza della plusvalenza da reddito diverso. Come si è sopra segnalato il costo è incrementato degli oneri accessori, il cui elenco è rinvenibile nella circolare 52/E/2004, par. 3. Si citano le imposte indirette (bolli, etc.), le spese notarili, le commissioni per eventuali intermediazioni. Il costo è peraltro incrementato dei versamenti a fondo perduto o in conto capitale, nonché della rinuncia ai crediti, come ha ricordato la circolare 165/E/1998, par. 2.3.2. In caso di aumento gratuito del capitale, per imputazione ad esso di riserve, va ricordato che non si incrementa il costo della partecipazione, poiché il detentore non ha apportato nuovo capitale, bensì il costo unitario delle azioni subirà una modifica diminuendosi l’importo originario in funzione dell’incremento del numero delle azioni stesse. In pratica il costo iniziale va ripartito sul nuovo numero di azioni possedute al fine di determinarne il costo unitario. Esempio: Tizio detiene 100 azioni della Alfa SPA acquisite al prezzo pagato di 1.000 euro l’una. A seguito di aumento gratuito del capitale sociale tramite passaggio di riserve di utili a capitale diviene assegnatario di altra 50 azioni. Il costo del suo pacchetto azionario complessivo non viene modificato e pertanto resta pari a euro 100.000 euro ma cambia il costo unitario di ogni singola azione che diviene 100.000/150 = 666,66. 4. La rivalutazione della partecipazione con successiva scissione

Il problema qui analizzato consiste nel valutare la possibilità, in caso di scissione societaria, di determinare il costo delle singole partecipazioni, una volta eseguita la rivalutazione peritale, non sulla base del metodo proporzionale ma sulla base di diversa e non proporzionale rideterminazione che tenga conto dei valori espressi con perizia. Ipotizziamo questo esempio: La società A svolge attività industriale utilizzando un opificio di proprietà. Il valore del patrimonio sociale è formato, per semplicità, da beni strumentali per l’attività industriale che contabilmente valgono 50 e dall’immobile che vale, sempre contabilmente, altrettanto 50. I soci persone fisiche decidono di rivalutare le partecipazioni sulla base di una perizia che conferma il valore dei beni strumentali per 50, mentre l’immobile è valutato 550. Pertanto, viene versata una imposta per rivalutare le partecipazioni di 500. Le partecipazioni assumono un valore riconosciuto di 100 (iniziale) più 500 (rivalutazione), cioè 600. A questo punto si decide di scindere la parte operativa da quella immobiliare. Alla beneficiaria B viene

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trasferito un patrimonio di 50 pari alla meta del netto contabile della società, con attribuzione ai soci, pro-quota delle partecipazioni. Quale sarà il valore delle stesse partecipazioni nell’esempio sopra descritto? Necessariamente deve essere utilizzato il metodo proporzionale e quindi occorre ipotizzare che il costo della partecipazioni fiscalmente riconosciuto sia pari a 300 per ciascuna società? Oppure sarà possibile tener conto del contenuto della perizia assegnando maggior valore alla partecipazioni nella società immobiliare rispetto a quella operativa? Sul punto si deve segnalare una posizione assunta con circolare 98/E/2000 (risposta 7.2.3) da parte dell’Agenzia delle entrate con la quale si legittimava quale unico metodo utilizzabile per la ripartizione del valore delle partecipazioni a seguito di scissione, il metodo proporzionale. Però, nel sottolineare questa posizione, non può essere sottaciuto che una simile tesi provocherebbe la vanificazione della operazione di rivalutazione che è avvenuta sulla base dei maggiori valori di mercato insiti in taluni beni e non in altri. D’altra parte va anche rimarcato che l’Amministrazione finanziaria non subirebbe alcun danno da una ripartizione non proporzionale, poiché comunque la rivalutazione è avvenuta versando un’imposta sostitutiva, proprio allo scopo di ridurre le plusvalenze da future cessioni delle stesse partecipazioni. L’argomento a suo tempo era stato oggetto di riflessione da parte di Assonime che con la circolare 39/2000 aveva manifestato perplessità sulle conclusione sostenute dall’Agenzia delle entrate, osservando che più razionale sarebbe stato suddividere il costo della partecipazione sulla base del valore effettivo del patrimonio netto contabile trasferito. Nella recente risoluzione n. 52/E/2015 l’Agenzia delle entrate ha radicalmente modificato il parere espresso con la citata circolare 98/E/2000. Il punto di partenza è la considerazione che l’operazione di scissione deve essere neutrale, sia con riferimento ai beni trasferiti sia con riferimento ai soci delle società che partecipano all’operazione, nel senso che le partecipazioni ricevute in cambio nella società beneficiaria, nonché l’eventuale partecipazione residua nella società scissa, devono assumere complessivamente il medesimo valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni detenute nella società scissa prima dell’operazione di scissione. Per quanto riguarda il criterio di ripartizione del costo fiscale originario tra le partecipazioni assegnate, l’Agenzia delle entrate nella nuova Risoluzione osserva che l’articolo 172 Tuir non offre alcun tipo di indicazione. La nuova tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate consiste nel ritenere che, ai fini della ripartizione del costo fiscale delle partecipazioni originariamente detenute nella società scissa, occorra fare riferimento alla suddivisione del valore effettivo del patrimonio netto della società scissa tra le società partecipanti alla scissione. In particolare, si dovrà rispettare la proporzione esistente tra il valore effettivo delle partecipazioni ricevute in ciascuna società beneficiaria rispetto al valore effettivo complessivo delle partecipazioni precedentemente detenute. Conformemente a questa tesi, nel caso in cui una società scindenda presenti un valore effettivo pari a 100 che viene trasferito per 30 (sempre valore effettivo) ad una società beneficiaria, il socio che deteneva una partecipazione il cui costo fiscalmente riconosciuto fosse pari a 1000 determinerà il nuovo costo fiscalmente riconosciuto nella scissa in 700 e il nuovo costo fiscalmente riconosciuto nella beneficiaria in 300. Ciò a prescindere dal fatto che il patrimonio contabile trasferito sia pari ad un ammontare diverso rispetto ai 30 che rappresentano il valore effettivo. La tesi innovativa espressa dall’Agenzia delle entrate non considera l’ipotesi della rivalutazione della partecipazione, ma è evidente che, una volta stabilito che la suddivisione del valore fiscale della partecipazione avvenga tramite la nozione di valore effettivo, tale conclusione si debba applicare anche quando la partecipazione sia stata rivalutata prima dell’operazione di scissione.

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Naturalmente questa nuova elaborazione interpretativa, mettendo l’accento sul concetto di patrimonio effettivo rende necessario capire con precisione come si determina tale entità, partendo dalla fonte civilistica ove è citata la locuzione normativa di patrimonio netto effettivo. Anzitutto l’articolo 2506-ter, comma 2, Cod. civ. stabilisce l’obbligo di indicare, nella relazione degli amministratori, a corredo della documentazione necessaria per l’operazione di scissione, l’entità del patrimonio netto effettivo assegnato alla/e beneficiarie e, nel caso in cui la relazione sia omessa per rinunzia del soci o assenza di obbligo legale alla sua esecuzione, tale informazione va indicata nel progetto di scissione. La nozione di patrimonio netto effettivo differisce sia dalla nozione di patrimonio netto contabile, sia da quelle di valore effettivo del ramo di azienda trasferito. Il patrimonio netto effettivo citato dall’articolo 2506-ter cod. civ. va inteso come la sommatoria dei valori correnti dei beni trasferibili e suscettibili di esecuzione forzata, sia materiali che immateriali. Per cui nel determinare questa entità gli amministratori dovranno evidenziare i beni sopra citati e sostituire al valore contabile il valore corrente, ed astenendosi dal rilevare beni immateriali non suscettibili di esecuzione forzata, come, ad esempio, l’avviamento. Quest’ultima immobilizzazione concorre a formare il valore effettivo del ramo di azienda assegnato alla beneficiaria ma non concorre a formare il “patrimonio netto effettivo”. Vale la pena ricordare che, una volta determinato il valore del patrimonio netto effettivo, esso diviene l’ammontare di riferimento anche per un altro aspetto determinante nelle scissioni, cioè definire il perimetro di responsabilità delle società risultanti dall’operazione per le passività non direttamente loro assegnate. Al riguardo va ricordato, ai sensi dell’articolo 2506-quater, ultimo comma, cod. civ., le società beneficiarie rispondono delle passività assegnate ad altre beneficiarie (o rimaste in carico alla scissa) con il limite massimo del patrimonio effettivo loro trasferito. In altri termini, se in una scissione viene trasferito un debito di 100 alla beneficiaria A, e quest’ultima non onora il debito, il creditore potrà richiederne il pagamento alla beneficiaria B, ma nel limite del patrimonio netto assegnato a quest’ultima società. Per cui, se per ipotesi alla beneficiaria B fosse stato trasferito un patrimonio netto effettivo di 50, questo importo sarebbe il massimo richiedibile alla stessa beneficiaria B. Su questo punto va segnalata una questione decisamente delicata: vero è che gli amministratori devono quantificare nella relazione l’entità del patrimonio effettivo trasferito ma ciò non comporta che l’ammontare fissato sia necessariamente accettato dai creditori, i quali, si ritiene, potranno dimostrare che il reale valore del patrimonio netto effettivo sia diverso rispetto a quello indicato nella relazione o nel progetto di scissione. Sempre in materia di responsabilità sulle passività della società scissa va inoltre ricordato che il limite del patrimonio netto effettivo assegnato nella scissione è un tetto che vale solo per le passività che non risultano direttamente attribuite alla società beneficiaria. Al contrario, per le passività che risultano dal progetto di scissione direttamente attribuite alla tal beneficiaria, la responsabilità verso il creditore è totale e non limitata da alcun tetto di valore. 5. Il conferimento d’azienda con valore negativo: riflessi sul costo della partecipazione

Nei conferimenti di ramo d’azienda non è infrequente la questione inerente la possibilità di eseguire un conferimento nel quale le attività siano inferiori alle passività, assumendo i valori contabili sia delle prime che delle seconde. Il caso si può manifestare quando, ad esempio, la conferente è una società di persone nella quale sono stati eseguiti prelevamenti dei soci più elevati rispetto al patrimonio netto, generando quindi un “credito” (in realtà un deficit patrimoniale) verso i soci stessi che non si intende trasferire alla conferitaria. Oppure l’ipotesi di un conferimento nel quale la conferente voglia trattenere beni immobili, tuttavia trasferendo le passività ad essi connesse.

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L’ipotesi diviene legittima, sul piano civilistico, facendo emergere, in sede di conferimento, le plusvalenze latenti che pareggiano le maggiori passività ed anzi creano un valore positivo nel conferimento. Si veda l’esempio: La società Alfa Srl detiene un immobile iscritto al valore di euro 500.000 più altre attività per euro 100.000. Nel passivo risultano debiti per euro 400.000 capitale sociale per euro 100.000. Nell’eseguire il conferimento viene trattenuto l’immobile nella società’ Alfa, facendo emergere, contestualmente, un avviamento per euro 350.000. Quindi il valore del ramo d’azienda conferito è pari a 450.000 meno 400.000, cioè euro 50.000. La conferitaria si costituisce con un capitale sociale di euro 50.000. Eseguito il conferimento la conferente presenta nell’attivo patrimoniale l’immobile per euro 400.000, la partecipazione per euro 50.000, capitale sociale per euro 100.000 e una riserva da conferimento per euro 350.000. Il punto in questione è come valutare la partecipazione dal punto di vista fiscale, atteso che sotto il profilo civilistico essa assume il valore del capitale sociale della conferitaria. Sulla questione è rilevante la disposizione dell’articolo 176, comma 1, Tuir che afferma: “Tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita”. Ora se il valore dell’azienda conferita è negativo si può affermare che anche il valore della partecipazione sia negativo, ovvero, come da taluni sostenuto, esso, al massimo sia pari a zero? Chi scrive propende per assumere come costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione il valore negativo. Il motivo di tale conclusione, può essere riassunto in due motivazioni: 1. In primo luogo il dato letterale succitato, secondo il quale il costo della partecipazione non può’ che essere ancorato al valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita, e pertanto, se tale valore è negativo, anche il costo della partecipazione è negativo; 2. In secondo luogo, poiché diversamente opinando, cioè assumendo tale costo pari a zero, si avrebbe un salto d’imposta nel momento in cui la partecipazione fosse ceduta. Poniamo che la partecipazione nell’esempio sopra citato venga ceduta per euro 10.000. Se si assume il costo della partecipazione pari a zero, si avrebbe una plusvalenza di euro 10.000, mentre in realtà se si fossero cedute attività per euro 100.000 e passività per euro 400.000 al valore di euro 10.000 si sarebbe conseguita una plusvalenza di 310.000. Per evitare il salto di imposta non resta che ipotizzare che anche la plusvalenza per cessione della partecipazione sia di euro 310.000, il che comporta l’assunzione di un valore di costo negativo per euro 300.000. 6. Il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazioni ricevute gratuitamente

Il Tuir prevede una diversa disciplina fiscale del valore della partecipazione se essa è ricevuta per effetto di donazione ovvero mortis causa. Lo scenario che emerge non è del tutto razionale poiché, come vedremo, si agevola il trasferimento della partecipazione per donazione che è atto pianificabile dalle parti, mentre si penalizza quello per successione che evidentemente rappresenta evento estraneo alla volontà delle parti. La donazione A norma dell’articolo 68, comma 6, Tuir, le partecipazioni ricevute in donazione assumono, come costo in capo al donatario, il medesimo dato che esse presentavano in capo al donante. Ciò fa sì che, se il donante ha eseguito una rivalutazione delle partecipazioni con imposta sostitutiva, il nuovo (e

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maggiore valore) è riconosciuto anche in capo al donante. In tutti i casi, se il donante ha sostenuto un certo costo per acquistare i titoli, quel medesimo costo è riconosciuto in capo al donatario. Questo tema è stato ampiamente discusso in tempi recenti poiché l’Agenzia delle entrate ha emanato la risoluzione n. 91/E/2014 con la quale ha esaminato un interpello proposto da donatari di un contribuente che aveva rivalutato la partecipazione. I donatari intendevano usufruire della riapertura dei termini della medesima rivalutazione incrementando il costo fiscalmente riconosciuto della quota ricevuta in eredità scomputando, allo stesso tempo, dal totale dell’imposta sostitutiva dovuta quella versata dal donante per la propria rivalutazione. Affrontando questo tema l’Agenzia delle entrate ha proposto una tesi che, a parere di chi scrive, presenta notevoli elementi di contraddizione. Da una parte, aderendo al dettato letterale dell’articolo 68, comma 6, Tuir, si riconosce la continuità dell’entità del costo fiscalmente riconosciuto tra donatario e donante, anche nell’ipotesi in cui la partecipazione sia stata rivalutata prima della donazione. In questo senso l’Agenzia delle entrate afferma esplicitamente: “... Pertanto, in caso di donazione, il cedente deve assumere lo stesso costo o valore di acquisto che poteva assumere il donante, compreso quello rideterminato”. È quindi evidente che la rivalutazione eseguita dal donante abbia efficacia anche in capo al donatario e questa caratteristica di continuità di costo dovrebbe indurre a riconoscere che, in caso di nuova rivalutazione eseguita dal donatario, sia possibile scomputare l’imposta sostitutiva già versata dal donante. È a questo punto, tuttavia, che si ha la non condivisibile conclusione, da parte dell’Agenzia delle entrate, secondo cui lo sconto dell’imposta sostitutiva già versata dal donante non è possibile, poiché essa avrebbe significato solo per colui che ha eseguito la rivalutazione. A parere di chi scrive delle due l’una: o la rivalutazione della partecipazione eseguita dal donante si trasferisce in pieno sulla posizione del donatario senza soluzione di continuità, e quindi costui potrà scomputare dalla imposta sostitutiva dovuta quella già versata dal donante, oppure la rivalutazione della partecipazione eseguita dal donante non si trasferisce in capo al donatario ed allora né sarà riconosciuto in capo al donatario stesso il nuovo valore, né quest’ultimo potrà scomputare l’imposta sostitutiva già versata dal donante. Chiaramente la tesi condivisibile è la prima delle due sopra esposte, mentre nella conclusione della citata risoluzione n. 91/E/2014 si miscelano le due ipotesi arrivando a dire che il valore rivalutato è riconosciuto in capo al donatario, ma costui non potrà, se intende eseguire una nuova rivalutazione, scomputare l’imposta sostitutiva già versata dal donante. La successione ereditaria La norma succitata afferma che per le partecipazioni acquisite in successione il valore riconosciuto è quello indicato nella denuncia di successione, e quindi tramite il combinato disposto dell’articolo 16 D.L. 346/1990 si arriva alla conclusione che il costo della partecipazione, in capo all’erede, è sempre il corrispondente valore contabile della frazione di patrimonio netto. Ciò significa che vengono vanificate, non solo eventuali rivalutazioni eseguite dal de cuius, ma anche, e più semplicemente, il costo sostenuto dal de cuius per acquisire il titolo non viene riconosciuto in capo all’erede. A conferma di tale impostazione si può citare la circolare n. 12/E/2008, par. 3.3, in cui si afferma che il costo sostenuto dal de cuius non può essere trasferito in capo all’erede per il quale il valore della partecipazione è ancorato al dato del patrimonio netto contabile, così come esso emerge nell’ultimo bilancio o nell’ultimo inventario regolarmente redatto. Va ricordato che, trattandosi di patrimonio netto contabile, nessun plusvalore derivante da valutazione al dato corrente può essere rilevante compreso il valore dell’avviamento. Va inoltre ricordato che il ricorso al valore normale della partecipazione, in alternativa alla frazione di patrimonio netto contabile, potrà essere eseguito solo per le partecipazioni esenti da imposta di successione, come stabilito dall’articolo 3, comma 4-ter, Tus.

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La situazione non è necessariamente negativa (si pensi ad un costo svalutato per effetto di minusvalenze latenti che invece diventa il valore contabile in capo all’erede, oppure il ricevimento di partecipazioni esenti da imposta di successione come nel caso dei patti di famiglia, in cui il valore in capo all’avente causa è quello normale alla data di apertura della successione), però è certamente più frequente la situazione penalizzante per l’erede rispetto al caso contrario. Alla luce di queste considerazioni, esaminiamo la situazione che si presenta in capo all’erede che volesse eseguire una nuova rivalutazione. L’assenza di continuità nel valore fiscale tra de cuius ed erede è certamente argomento vincente per sostenere che la rivalutazione del de cuius non può essere riconosciuta in detrazione della nuova rivalutazione eseguita dall’erede detentore all’1.7.2011. In realtà l’Agenzia delle entrate potrebbe, con una interpretazione sistematica, restituire razionalità al sistema, cioè non penalizzare il trasferimento mortis causa. Se si acconsentisse che nella nuova rivalutazione dell’erede fosse detraibile l’imposta sostitutiva versata dal de cuius, si eviterebbe che il primo vedesse vanificata l’imposta versata a suo tempo dal congiunto e superare, in parte, l’irrazionalità dell’equazione costo partecipazione/patrimonio netto contabile. Per dire il vero, e non senza una certa ironia, l’Agenzia delle entrate in qualche modo ha restituito razionalità al sistema negando anche per il donatario la possibilità di scomputare l’imposta sostitutiva già versata dal donante, ma è di tutta evidenza quanto rigida e penalizzante sia la tesi sostenuta dal fisco. 7. Il costo della partecipazione sottoposta a rivalutazione

Il nuovo valore assegnato alla partecipazione, a seguito della procedura di rivalutazione, diviene fiscalmente riconosciuto in sostituzione del costo di acquisto o di sottoscrizione precedentemente rilevante. Una domanda ricorrente sotto questo punto di vista è quella rappresentata dal valutare se eventi successivi alla rivalutazione possano essere riconosciuti come fattispecie incrementative del costo rivalutato della partecipazione. Esaminiamo questo primo esempio: Tizio rivaluta la partecipazione del 50% che egli detiene nella Rossi Srl sostituendo al costo fiscalmente riconosciuto al 1 gennaio 2015 il valore rivalutato individuato in euro 100.000 su cui il socio versa l’imposta sostitutiva pari all’8%. Il valore precedente alla rivalutazione era stabilito in euro 30.000. Il 20 febbraio 2015 Tizio rinunzia ad un credito per finanziamento precedentemente eseguito a favore della propria società per un importo pari a euro 50.000. Se Tizio cedesse la partecipazione in data 20 luglio 2015 per euro 200.000 di corrispettivo la sua plusvalenza da capital gain è pari a euro 100.000 o euro 50.000? A parere di chi scrive la rivalutazione delle partecipazioni comporta la sostituzione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione con il valore rivalutato alla data del 1 gennaio dell’anno in cui si esegue la rivalutazione (ricordiamo che il perito stima il valore della società ai fini della rivalutazione individuando come data puntuale il 1 gennaio dell’anno in cui egli assevera la perizia di stima). Successivamente alla data del 1 gennaio qualunque evento sia rilevante ai fini della determinazione del costo della partecipazione assume rilevanza, mentre gli eventi accaduti prima del 1 gennaio sono azzerati dalla procedura di rivalutazione. Pertanto una rinunzia ad un credito vantato dal socio, oppure un versamento in conto capitale ovvero un aumento di capitale avvenuto a titolo oneroso, determina l’incremento non tanto del costo storico della partecipazione bensì del costo rivalutato. Il problema si pone con maggiore enfasi nel caso di rivalutazione di partecipazioni detenute in società di persone, poiché in questo ultimo caso il costo della partecipazione è influenzato, oltre che da versamenti in conto capitale (o rinunzia a crediti del socio), anche da utili imputati a riserva e fiscalmente attribuiti ai soci in base al principio di trasparenza, oppure da perdite fiscali sempre

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attribuite ai soci o ancora da riserve di utili distribuite ai soci stessi. In questo caso si deve valutare se gli utili attribuiti ai soci successivamente alla procedura di rivalutazione possano incrementare ulteriormente il costo rivalutato. Sempre a parere di chi scrive la risposta deve essere positiva con riguardo agli eventi che si manifestano dopo la rivalutazione e che non sono apprezzabili nella perizia di stima eseguita dal professionista al 1 gennaio. Per essere più chiari, gli utili fiscalmente attribuiti ai soci di società di persone relativi al periodo d’imposta 2014, siccome già presenti nel patrimonio netto della società e quindi apprezzabili nella perizia di stima, non dovrebbero incrementare il costo della partecipazione rivalutato alla stessa data del 1 gennaio 2015, ma al contrario gli utili relativi al 2015 attribuiti ai soci in base al principio di trasparenza andranno a incrementare il costo rivalutato della partecipazione, poiché evento successivo alla determinazione del valore rivalutato della stessa partecipazione. Naturalmente questa tesi vale anche al contrario, nel senso che, se successivamente al 1 gennaio 2015 la società di persone avesse distribuito riserve di utili ai soci, questo evento non considerato nella perizia di stima, poiché è accaduto successivamente al 1 gennaio 2015, dovrà determinare una riduzione del costo fiscalmente rivalutato della partecipazione. Il costo delle partecipazioni in società di persone L’articolo 68, comma 6, Tuir si interessa anche della nozione di costo delle partecipazioni in società di persone, affermando che il costo (d’acquisto o sottoscrizione secondo le regole dettate per le società di capitali) è incrementato dei redditi imputati per trasparenza, decrementato delle perdite altrettanto imputate ed altresì decrementato degli utili distribuiti al socio fino a concorrenza dei redditi imputati. Esempio: Tizio acquista una partecipazione del 30% in una snc sostenendo il costo di 5000 euro. Nel primo esercizio successivo la società consegue redditi per 30.000, nel secondo redditi per 21.000 che distribuisce per 6000, nel terzo una perdita di 3000 euro. Costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione di Tizio al quarto esercizio successivo all’acquisto: 5000 + 9.000 (30% di 30.000) + 6.300 (30% di 21.000) – 1.800 (30% di 6000) - 900 (30% di 3000) = 17.600 Si ritiene che possano incrementare il costo della partecipazione solo gli utili fiscalmente imputati al socio e non quelli che al medesimo non sono stati attribuiti per effetto di variazioni diminutive. È il caso, ad esempio, degli utili detassati da agevolazione Tremonti-bis, utili che, peraltro, se distribuiti non decrementano il costo della partecipazione. La medesima fattispecie, se vista al contrario, determina notevoli effetti distorsivi: si pensi al caso in cui, per effetto di una agevolazione fiscale rappresentata da variazione diminutiva (ad esempio le detassazioni degli investimenti da quella da Tremonti uno a Tremonti-ter), si presenti una perdita fiscale evidentemente maggiore rispetto al dato civilistico. In questa ipotesi la applicazione testuale dell’articolo 68, comma 6, Tuir porta ad una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, il che comporta che l’agevolazione fiscale attribuita dalla Legge viene di fatto restituita dal socio, quando cedendo le quote determina una plusvalenza maggiore per effetto della riduzione del costo fiscalmente riconosciuto. La applicazione della regola sopra citata porta ad altri risultati non del tutto razionali: si pensi al caso dell’imponibile fiscale più elevato del risultato civilistico dell’esercizio, a causa di variazioni in aumento derivanti da costi non fiscalmente deducibili; in tale ipotesi il reddito attribuito al socio finisce per incrementare il costo fiscalmente rilevante della partecipazione a vantaggio di una minore plusvalenza, quando essa sarà ceduta, quindi variazioni in aumento di carattere definitivo beneficiano poi di vantaggi fiscali nel momento eventuale della cessione della partecipazione. Un altro punto da sottolineare nella determinazione del costo fiscalmente rilevante della partecipazione in società di persone è il momento nel quale il risultato conseguito in un certo periodo d’imposta diventa fiscalmente rilevante nel senso di incrementare il costo della

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partecipazione. In altri termini, il problema è indagare se l’incremento avviene alla data puntuale del 1 gennaio dell’esercizio successivo a quello in cui l’utile stesso è conseguito oppure in un momento ulteriormente successivo (problema analogo è stato poc’anzi affrontato con riferimento alla tematica dell’incremento del costo della partecipazione rivalutata). Pensiamo ad una partecipazione in società di persone ceduta nei primi giorni di gennaio del 2015, ebbene essa deve ritenersi incrementata del risultato fiscale conseguito nel 2014 e che verosimilmente sarà noto ai soci solo qualche mese dopo in sede di impostazione nel modello Unico per società di persone. In dottrina è stata sostenuta la tesi condivisibile (Cessione di quote di società personali e quantificazione del capital gain, J. Bloch e L. Sorgato, in Corriere Tributario 8/1999) secondo cui, dato che l’obbligazione tributaria in capo al socio per il reddito attribuito nel 2014 sorge immancabilmente al 1 gennaio 2015, alla stessa data deve ritenersi consolidato il maggior costo della partecipazione per effetto della quota di utile attribuita per trasparenza. Risultato di questa tesi è che evidentemente, cedendo la partecipazione in data successiva alla chiusura dell’esercizio 2014, essa deve ritenersi incrementata nel costo fiscalmente riconosciuto per effetto della quota di utili imputata per trasparenza nello stesso 2014. Sempre indagando sulla tematica della quantificazione del costo della partecipazione in capo alla società di persone, un altro tema rilevante è la conseguenza di un accertamento di maggior reddito subìto dalla società e divenuto consolidato per effetto di mancata impugnazione o termine del contenzioso con esito a favore dell’agenzia delle entrate. Il maggior reddito concorre alla formazione di un altrettanto maggior imponibile in capo al socio e da ciò dovrebbe necessariamente conseguire un incremento del costo della partecipazione, sempre che la cessione della partecipazione sia avvenuta successivamente alla definitività dell’accertamento in capo all’ente collettivo. Più complesso è l’esito della problematica sopra citata se la cessione della partecipazione in società personale sia stata eseguita prima della avvenuta definitività dell’accertamento in capo all’ente collettivo: in questo caso la partecipazione non ha visto incrementato il proprio costo, mentre il socio successivamente ha subìto l’incremento dell’imponibile; in tale ipotesi non sembra attivabile altro se non un’istanza di rimborso per la maggiore plusvalenza, e evidentemente la relativa tassazione derivante dall’aver ceduto la partecipazione prima della chiusura dell’accertamento. Un ulteriore problema da risolvere nella delicata questione della determinazione del costo fiscalmente rilevante della partecipazione in società di persone è valutare l’entità del medesimo quando la società in questione è in contabilità semplificata. Il dato letterale dell’articolo 68, quinto comma, Tuir non distingue il costo della partecipazione sulla base del tipo di contabilità tenuta e, quindi, è lecito ritenere che anche per quest’ultima società la partecipazione debba risentire degli utili attribuiti per trasparenza, come del resto delle perdite attribuite e della eventuale distribuzione di riserve. È di tutta evidenza che il tipo di contabilità tenuta, che non considera i movimenti finanziari, rende molto complesso questo processo di determinazione: con ogni probabilità potranno essere conteggiati versamenti in conto capitale che per la loro unicità potranno essere stati rilevati anche in presenza di contabilità semplificata ma certamente più complessa si dimostra la quantificazione del costo per quanto attiene a utili distribuiti. Si potrebbe considerare che l’Agenzia delle entrate sia legittimata a presumere la distribuzione degli utili ex articolo 2262 codice civile nel senso che i soci di società di persone non possono, se non previo consenso unanime, limitare la stessa distribuzione vantando ciascuno di essi un diritto economico di cui non può essere deprivato senza la sua volontà. È però evidente che spesso in piccole società, magari con due soli soci, potrebbe benissimo accadere che gli utili prodotti in ambito fiscale non siano affatto distribuiti ai soci, o almeno non distribuiti nella stessa misura, e qui diventerebbe veramente complesso attivare la quantificazione del costo tramite l’articolo 68 Tuir.

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Detto ciò, nulla vieta che i soci possano tentare di provare una mancata distribuzione degli utili magari dimostrando, conto corrente alla mano, che sono stati eseguiti investimenti che in sé dimostrano la destinazione dell’utile in impieghi diversi rispetto alla distribuzione ai soci. Tornando alla problematica dei soci di società di persone in contabilità ordinaria è certamente possibile ricostruire il costo fiscale della partecipazione sulla base degli imponibili attribuiti per trasparenza, degli utili distribuiti, delle perdite attribuite, ma in presenza di società di non recente costituzione quale dovrà essere l’arco temporale di riferimento per l’indagine in questione? Si pensi all’ipotesi di una Snc costituita nel 1980 tra due soci, con capitale sociale pari a euro 10.000, nella quale ora, nel 2015, un socio cede a un altro soggetto la propria partecipazione, avendo conseguito nell’arco di 35 anni dalla data di costituzione utili attribuiti per trasparenza, utili distribuiti e probabilmente anche perdite fiscali. È evidente che in questa situazione, se ci ponessimo l’obiettivo di ricostruire dal 1980 l’andamento di utili e perdite, ne deriverebbe un compito gravoso e probabilmente impossibile. Deve ritenersi ragionevole eseguire l’indagine in questione nell’arco temporale per il quale risulta necessario il mantenimento dei supporti contabili e, pertanto, un lasso temporale non superiore a 10 anni. Altri ancora potrebbero sostenere, non senza qualche ragione, che l’avvenuta prescrizione dell’accertamento fiscale rende non necessario mantenere documentazione delle dichiarazioni dei redditi, che renderebbero quindi impossibile la determinazione del costo della partecipazione in anni precedenti il quinto, rispetto al momento della cessione. Il tema è certamente opinabile e non risultano al riguardo interventi ufficiali da parte dell’Agenzia delle entrate. La detenzione di partecipazioni estere Una questione che spesso suscita dubbi interpretativi è quella rappresentata dalla detenzione di partecipazioni in società estere da parte di contribuenti residenti nel territorio dello Stato: quale sarà l’esito fiscale della cessione di queste partecipazioni per il residente? Al riguardo va osservato che l’articolo 67, lett. c), Tuir include nel perimetro delle partecipazioni la cui cessione genera reddito diverso da capital gain quelle in società di cui all’articolo 73, comma 1, lett. d), Tuir e questa disposizione si riferisce alle società e agli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. A conferma dell’inclusione nel perimetro del capital gain delle partecipazioni in società estere si analizza la disposizione contenuta nell’articolo 68, comma 4, Tuir secondo il quale, nel caso in cui la partecipazione ceduta si riferisca società ubicate in Paesi a fiscalità privilegiata, l’imponibile della plusvalenza concorre a formare il reddito del cedente al 100% a prescindere dalla circostanza che la partecipazione risulti qualificata o non qualificata (fanno eccezione le partecipazioni emesse da società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati). Al contrario, cedendo partecipazioni in società ubicate in Paesi a fiscalità ordinaria avremmo, la conseguenza di una plusvalenza che viene assoggettata a tassazione con le regole ordinarie, e cioè concorrendo al reddito complessivo, per la percentuale del 49,72, per le partecipazioni qualificate, e assoggettata ritenuta a titolo d’imposta pari al 26% per le partecipazioni non qualificate. Va da sé che l’inclusione delle partecipazioni in società estere nel perimetro del capital gain comporta la possibilità di eseguire anche per questi titoli la rivalutazione, qualora il detentore ovviamente sia persona fisica, società semplice, ente non commerciale. La detenzione di partecipazioni da parte di non residente Per quanto attiene all’ipotesi contraria, cioè il caso del non residente che detiene partecipazioni in società residenti, occorre analizzare l’articolo 23, lett. f), Tuir, secondo il quale si considerano prodotte nel territorio dello Stato le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di

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partecipazioni in società residenti. Tale norma ammette tuttavia una eccezione rappresentata dall’ipotesi di cessioni di partecipazioni non qualificate in società residenti negoziate in mercati regolamentati: tale ipotesi determina una esclusione dalla tassazione nel territorio dello Stato. Pertanto, se un soggetto non residente detenesse una partecipazione qualificata in una Srl italiana, la sua cessione darebbe origine a capital gain tassato in Italia con obbligo del contribuente di presentare il modello Unico per sottoporre a tassazione questa tipologia reddituale. A conferma di quanto stiamo segnalando si veda la circolare n. 12/E/2002 con la quale si è affermata la possibilità, per i soggetti non residenti, di rivalutare le partecipazioni detenute in società residenti, e questa possibilità è la conseguenza del fatto che la cessione della partecipazione determina, appunto, un reddito tassabile nel territorio dello Stato. La particolare determinazione della plusvalenza da cessione delle partecipazioni in start up L’articolo 3 D.L. 112/2008 ha inserito nella categoria reddituale dei redditi diversi da capital gain una particolare disposizione riferibile alla cessione di partecipazioni nelle cosiddette società start up. Tale disposizione è volta a favorire la creazione di nuove società permettendo una tassazione agevolata della cessione di partecipazioni da parte dei soci fondatori. La norma il commento si applica sia alle cessioni di partecipazioni qualificate sia alla cessione di partecipazioni non qualificate in relazione a società di persone o di capitali. La condizione è che la partecipazione ceduta si riferisca ad una società costituita da non più di sette anni e che sia posseduta dal cedente (la partecipazione ovviamente) da almeno tre anni. Verificandosi queste condizioni la plusvalenza conseguita non concorre alla formazione del reddito imponibile, in quanto esente da tassazione, ma affinché ciò si verifichi è necessario che entro due anni dal conseguimento della plusvalenza il cedente esegua il reinvestimento della medesima in società di persone o di capitali che svolgano la medesima attività della società precedentemente ceduta. È inoltre necessario che la società oggetto del reinvestimento sia costituita da non più di tre anni. Come si vede le condizioni previste per ottenere l’esonero sono molteplici, ma a quelle sopradescritte se ne aggiunge un’altra stabilita dal comma 6-ter, dell’articolo 68, Tuir secondo il quale l’importo dell’esenzione da tassazione della plusvalenza da capital gain non può eccedere il quintuplo del costo sostenuto dalla società, le cui partecipazioni sono oggetto di cessione nei cinque anni solari anteriori alla cessione per l’acquisizione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, ed i beni immateriali ammortizzabili nonché spese di ricerca e sviluppo. Tale regime si applica per le cessioni poste in essere dal 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del D.L. 112/2008. L’Agenzia delle entrate con la circolare n. 8/E/2009, par. 1.1, ha precisato che, qualora la cessione della partecipazione sia avvenuta prima della data sopra citata, ancorché il corrispettivo sia stato incassato dal 25 giugno 2008, non è applicabile alcuna esenzione alla plusvalenza realizzata.

In breve: 1. Il primo passaggio per determinare correttamente il capital gain è capire se il bene

immateriale, oggetto di cessione, rientra tra quelli codificati dall’articolo 67 Tuir. 2. Parlando di partecipazioni un distinguo fondamentale è tra partecipazioni qualificate e non

qualificate, atteso il diverso modo con cui il Tuir tratta la plusvalenza conseguita. 3. Un elemento essenziale per determinare la plusvalenza da capital gain è determinare il

costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, in questo senso occorre tenere distinte

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le partecipazioni in società di persone da quelle in società di capitali. 4. Per le partecipazioni in società di capitali il costo fiscalmente riconosciuto parte dalla

nozione di prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione della stessa partecipazione, incrementato di ulteriori versamente eseguiti successivamente.

5. Si possono verificare casi speciali, come la cessione di partecipazione avvenuta dopo una operazione di scissione, opure la determinazione di un valore negativo della partecipazione quale effetto di un conferimento negativo.

6. Se si tratta di partecipazioni in società di persone, il costo fiscalmente riconosciuto parte dal prezzo pagato ma poi viene incrementato o decrementato per effetto degli utili attribuiti al socio per trasparenza o delle perdite al medesimo destinate.

7. Vi sono anche per le società di persone casi speciali di dubbia soluzione, come quello della determinazione del costo della partecipazione per società in contabilità semplificata.

8. Un tema particolare è quello della determinazione del costo quando sia avvenuta la rivalutazione della partecipazione, in modo particolare se sia possibile incrementare anche questo tipo di costo.

9. Per le partecipazioni in società detenute all’estero non vi sono esoneri dalla tassazione, essendo questi beni ricompresi tra quelli che generano capital gain.

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GLI ALTRI REDDITI DIVERSI

In materia di altri redditi diversi l’articolo 67 Tuir ne fornisce un elenco piuttosto corposo (fattispecie tassative), non essendo più presente nell’attuale testo normativo un riferimento generico ad altri ipotesi di conseguimento di reddito. Ciascuna fattispecie presenta regole proprie di determinazione dell’imponibile, fermo restando il principio generale di tassazione che è quello di cassa. Una ipotesi di particolare rilievo è rappresentata dai redditi conseguiti per lo sfruttamento economico dell’azienda non gestita in proprio, sia che si tratti di affitto sia che si tratti di vera e propria cessione. Altra ipotesi certamente rilevante è il conseguimento di redditi diversi derivanti dallo sfruttamento economico di diritto dell’ingegno o di brevetti, fattispecie che necessita distinguere se il reddito è conseguito dall’autore o da suoi aventi causa.

1. I brevetti e le opere di ingegno

La lett. g) del primo comma dell'articolo 67 Tuir definisce l’ulteriore fattispecie di reddito diverso costituita dai redditi che derivano dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico. La norma fa però salvo quanto stabilito, in relazione alle stesse tipologie di redditi, dall'articolo 53, comma 2 lett. b), che li considera redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo quando l’opera dell’ingegno è sfruttata direttamente da parte dell’autore o dell’inventore, ed è quindi il medesimo a percepirne il frutto. In altri termini, detti redditi cessano di essere di lavoro autonomo, per diventare redditi diversi, quando lo sfruttamento dell’opera avviene da parte o degli aventi causa a titolo gratuito dell’autore o inventore, ad esempio da parte dei loro eredi o legatari, ovvero da soggetti che abbiano acquistato a titolo oneroso i diritti alla loro utilizzazione e che ne effettuano lo sfruttamento non nell’esercizio d’impresa. Al riguardo va segnalata la sentenza della C. T. R. Lazio, n. 267/2010 secondo la quale i compensi percepiti da un magistrato per l’esercizio della prestazione di arbitro in un arbitrato devono ritenersi così altamente specializzati da configurare un vero e proprio diritto d’autore, e come tale classificato dal punto di vista reddituale. Per quanto attiene alla determinazione dell’imponibile prodotto dalla cessione dei diritti d’autore o altre opere dell’ingegno non effettuate direttamente dall’autore, va ricordato che l’articolo 71 Tuir, comma 1 attribuisce al cedente una deduzione forfettaria del 25% calcolata sulla somma incassata, deduzione che opera anche in capo al sostituto d’imposta il quale opera la ritenuta pari al 20% calcolandola sul 75% della base imponibile. Va altresì ricordato che, qualora l’autore sia un giovane sotto i 35 anni (quindi ci spostiamo nell’articolo 54, comma 8, Tuir) la base imponibile su cui operare la ritenuta è ridotta al 60%, come del resto al 60% è anche quantificata la base imponibile con una deduzione forfettaria in questo caso fissata nella misura del 40%. Non è chiaro se tale deduzione maggiorata sia applicabile anche all’ipotesi del reddito da cessione di diritto d’autore qualificabile come reddito diverso: infatti mentre l’articolo 54, comma 8, Tuir

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specifica in modo chiaro l’incremento della deduzione dal 25 al 40%, nessun riferimento simile è presente nell’articolo 71, comma 1, Tuir. Con riferimento al rapporto tra la prestazione di diritto d’autore, che determina reddito da lavoro autonomo e non reddito diverso, si è fatto presente poc’anzi che il discrimine è rappresentato dalla circostanza che l’opera sia ceduta direttamente dall’autore (reddito da lavoro autonomo) ovvero da aventi causa dell’autore (reddito diverso). Questa differenza è rilevante anche ai fini dell’Iva, nel senso che in base all’articolo 3, comma 4, lett. a), D.P.R. 633/1972 la cessione relativa al diritto d’autore effettuata dagli autori e loro eredi o legatario non è considerata prestazione di servizio, mentre la cessione relativa al diritto d’autore eseguita da soggetti terzi rispetto all’autore è rilevante ai fini Iva. Nella prassi operativa è assai frequente collegare il diritto d’autore percepito direttamente dall’autore ad una fattispecie di operazione esclusa da Iva in quanto considerata una “non prestazione di servizi”. Questo principio è certamente corretto ma va integrato con una fattispecie secondo la quale potrebbe esservi una fattura rilevante ai fini Iva, quindi una prestazione di servizi vera e propria, pur trattandosi di diritto di autore: si tratta delle opere di cui all’articolo 2 L. 633/1941 e cioè dei disegni e opere dell’architettura e opere dell’arte cinematografica, sempre che non si tratti di semplice documentazione protetta ai sensi delle norme del capo quinto del titolo secondo della citata L. 633/1941. Per questi diritti d’autore la qualifica, ai fini Iva, come prestazione di servizi rende obbligatorio rispettare gli adempimenti dell’imposta sul valore aggiunto pur trattandosi nel contempo di redditi assimilati a quelli da lavoro autonomo, quindi redditi che non vanno collocati nel quadro RE del modello Unico bensì nel quadro RL, e che come tali fruiscono dell’abbattimento forfettario sopra ricordato, oltre a non concorrere alla formazione della base imponibile per il versamento dei contributi previdenziali dovuti dai professionisti privi di cassa di categoria.

2. Altre ipotesi

La lett. h) dell'articolo 67 individua ipotesi di redditi diversi piuttosto differenti tra di loro, e derivanti dall’effettuazione delle seguenti operazioni: a) concessione in usufrutto e sublocazione di beni immobili; b) affitto, locazione e noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine ed altri beni mobili; c) affitto e concessione in usufrutto di aziende; in questo caso la norma specifica ulteriormente

che l'affitto e la concessione in usufrutto dell'unica azienda da parte dell'imprenditore non si considera effettuata nell’esercizio d’impresa, e quindi il reddito derivante da tale operazione è un reddito diverso; restano attribuibili alla medesima categoria anche le plusvalenze conseguite a seguito della vendita, totale o parziale dell'unica azienda concessa in affitto o usufrutto; come si vedrà, le disposizioni proprie del reddito d’impresa trovano applicazione per la determinazione di tali plusvalenze, ma esclusivamente a tale fine e non anche per stabilire che le medesime diventano componenti del reddito d’impresa.

Concessione in usufrutto e sublocazione di beni immobili Il dettato normativo appare sufficientemente chiaro per individuare agevolmente le ipotesi da cui si generano redditi diversi. Qualche osservazione merita l’ipotesi della “concessione” in usufrutto di immobili, poiché il termine utilizzato dal legislatore tributario non si attaglia adeguatamente alla terminologia riscontrabile negli artt. 978 e seguenti codice civile. Qui, infatti, ci si riferisce alla costituzione (articolo 978), ovvero alla cessione (articolo 980) del diritto di usufrutto. Di conseguenza, sembrerebbe che la norma tributaria non sia in grado di coprire adeguatamente tutte le ipotesi connesse alla trasmissione di tale diritto di godimento.

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Sul punto è intervenuta la risoluzione n. 77/020/1993, che ha chiarito che il termine concessione è stato adoperato in senso atecnico, e che esso deve essere riferito “a tutti gli atti giuridici aventi l'effetto di trasferire ad altri la potenzialità reddituale di un immobile”. Di conseguenza, costituisce ipotesi di reddito diverso quanto percepito sia dal pieno proprietario, che concede ad altri l’usufrutto di un immobile, sia dall’usufruttuario che, a sua volta, cede il proprio diritto ad altri. Per quanto concerne il reddito derivante dalla sublocazione di immobili, qui basti osservare che tale ipotesi è legittimamente ammessa solo nel caso in cui il contratto di locazione preveda espressamente la facoltà, per il conduttore, di sublocare l’immobile oggetto di locazione. Per quanto concerne la determinazione del reddito derivante da sublocazione di immobili l’articolo 71, comma 2, Tuir afferma la possibilità di imputare al compenso percepito le spese specificamente inerenti la sua produzione, spese che ovviamente vanno adeguatamente documentate. Affitto, locazione e noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine ed altri beni mobili Questa ipotesi, in sé, non sembra produrre particolari problemi interpretativi, nel senso che l’individuazione delle attività da cui si genera il reddito diverso risulta generalmente abbastanza chiara. Si osserva, però, che le operazioni in rassegna potrebbero, con una certa frequenza, porsi al confine con le attività commerciali non esercitate abitualmente, di cui alla lett. i) dell’articolo 67, così come abbiamo detto a proposito delle ipotesi di cui alla precedente lett. e) anche se, in questo caso, il criterio di determinazione della base imponibile è il medesimo (v. articolo 71, comma 1). La risoluzione 9/11601977 aveva affrontato il problema della concessione in uso di veicoli a cooperative di lavoro da parte dei proprietari - soci. La risoluzione ha affermato che, per i singoli soci, il canone pagato per l’uso del veicolo costituisce reddito derivante da attività non esercitata abitualmente, come previsto dal secondo comma dell'articolo 77 D.P.R. 597/1973, che partecipa alla formazione del reddito complessivo dei soci stessi, al netto delle spese specificatamente inerenti alla sua produzione, come la tassa di circolazione, la tassa di concessione per la licenza di trasporto di merci o di persone, i premi di assicurazione, ma non le quote di ammortamento del costo dell'autoveicolo. La fattispecie è interessante poiché il singolo detentore del veicolo potrebbe dedurre dal reddito derivante dalla locazione i costi sopra citati, senza le limitazioni previste dall’articolo 164 Tuir, e ciò per tutti i costi rimasti a carico del locatore. Redditi derivanti da affitto e usufrutto di aziende e altri redditi correlati di cui alla lett. h) L’ulteriore ipotesi di cui alla lett. h) dell’articolo 67 merita alcuni approfondimenti, poiché l’istituto dell’affitto d’azienda presenta, al di là del problema dei redditi diversi, numerosi aspetti decisamente complessi. Innanzitutto, è necessario distinguere due ipotesi: a) il locatore è e resta imprenditore, nel senso che egli mantiene, anche dopo l’affitto d’azienda, detta

qualifica; ciò accade se lo stesso, titolare di più aziende, o di un’azienda scindibile in più rami, affitta una delle più aziende possedute, ovvero un ramo dell’unica posseduta; inoltre, tale qualifica permane, a prescindere dalle precedenti considerazioni, se ad affittare è una società commerciale;

b) il locatore, imprenditore individuale, titolare di un’unica azienda, non scindibile in rami, affittando l’unica azienda posseduta perde lo status di imprenditore.

Ai fini delle imposte sul reddito, le conseguenze connesse all’esistenza dell’uno o dell’altro status sono rilevanti perché: a) nella prima ipotesi, l’attività di affitto d’azienda si considera effettuata nell’esercizio d’impresa, e il

canone derivante dall’affitto è un componente positivo del reddito d’impresa; esso genera ricavo

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come prestazione di servizi e dovrà essere acquisito a tassazione secondo l’ordinario criterio di imputazione per competenza; il canone, inoltre, è generalmente soggetto a Iva;

b) nella seconda ipotesi, invece, in cui il locatore perde lo status di imprenditore, come conseguenza immediata si ha la sospensione (temporanea) dell’attività imprenditoriale, con sua (possibile) ripresa al termine dell’affitto; non si verifica autoconsumo in capo al concedente per i beni che fanno parte dell’azienda affittata; il trattamento reddituale dei canoni di affitto d’azienda è affidato all’articolo 67 lett. h) che li attrae a tassazione come redditi diversi.

Le considerazioni che precedono valgono anche nel caso in cui sull’azienda sia costituito un diritto di usufrutto. Una ulteriore ipotesi di affitto di azienda che determina redditi diversi è quella che si manifesta quando l’azienda viene trasferita per donazione oppure per causa di morte al donatario o all’erede, il quale la riceve a titolo privato quale persona fisica. In questa fattispecie il reddito ritratto dall’affitto è certamente qualificabile come reddito diverso in forza dell’articolo 67, lettera H) del Tuir La norma in esame, poi, individua un’ulteriore fattispecie di reddito diverso, che può generarsi come conseguenza dell’attività di affitto: si fa cioè riferimento al caso in cui il locatore, senza aver ripreso la gestione dell’azienda, e così senza aver riacquistato lo status di imprenditore, la ceda, in tutto o in parte, a terzi, conseguendo da tale cessione delle plusvalenze. 3. Cessioni di azienda

La lett. h-bis) dell’articolo 67 include nei redditi diversi le “plusvalenze realizzate in caso di successiva cessione, anche parziale, delle aziende acquisite ai sensi dell’art. 54 comma 5 ultimo periodo”. La norma in esame si riferisce all’ipotesi in cui gli eredi, ovvero i donatari, di un’azienda la cedano, in tutto o in parte, conseguendo una plusvalenza. Questa, come si vedrà, richiede, ai soli fini della sua quantificazione, l’applicazione delle regole dettate per la determinazione di tale componente in regime d’impresa. È per questo che l’articolo 71, comma 2, richiama l’articolo 54 ma, nel nuovo Tuir, il riferimento deve essere all’articolo 58 che, a sua volta, rinvia all’articolo 86. La fattispecie in esame può essere ben inquadrata avendo chiaro l’istituto del trasferimento gratuito d’azienda, come detto disciplinato nel comma 1 dell’articolo 58. Ai fini della disposizione in esame, si deve partire dall’assunto secondo cui i beneficiari del trasferimento gratuito d’azienda – eredi o donatari – la ricevono non già come imprenditori, ma come persone in quanto tali, e ciò anche qualora essi fossero imprenditori in proprio e anteriormente al trasferimento. Essi, una volta ricevuta l’azienda, potranno: 1. proseguire l’attività; 2. non proseguire l’attività. Nel primo caso operano le ordinarie regole del reddito d’impresa mentre, nel secondo, con ogni probabilità essi venderanno l’azienda ricevuta, in tutto o in parte. E proprio per attrarre a tassazione l’eventuale imponibile che dovesse emergere in tale circostanza, la lett. b), comma 25, dell’articolo 3 L. 662/1996, ha introdotto, nel corpo dei redditi diversi, la fattispecie che si trova nella lett. h-bis) ora in commento. Per essere più precisi, la norma disciplina l’ipotesi in cui l’erede o il donatario, una volta ricevuta l’azienda, proceda alla sua vendita, anche parziale, senza aver assolutamente esercitato l’attività, conseguendo, in tale sede, plusvalori da realizzo rispetto ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al dante causa.

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Tale ipotesi vale sia per la cessione integrale sia per la cessione parziale dell’azienda: può darsi, infatti, che l’erede sia interessato a trattenere presso di sé alcuni beni, mentre non abbia alcun interesse a trattenerne altri. La norma, nel prevedere la fattispecie di imponibilità, fa riferimento alla cessione totale o parziale dell’azienda ricevuta per successione o donazione. Quindi, letteralmente, si dovrebbe affermare che la norma di certo opera quando si va a cedere l’azienda nel suo complesso e, se la cessione fosse parziale, ne dovrebbe conseguire che l’insieme dei beni ceduti ancora vada a configurare un’azienda. Da tale impostazione nasce il dubbio se, in caso di cessione di singoli beni, la plusvalenza conseguita rientri nella fattispecie imponibile di cui alla norma in commento, il che ad una prima lettura non sembrerebbe, dato il tenore letterale della disposizione. A parere di chi scrive, sembra che l’intento di fondo della disposizione sia quello di attrarre a tassazione qualunque ipotesi di realizzo dei valori latenti correlati all’azienda ricevuta gratuitamente, e ciò sia nell’ipotesi di cessione integrale, sia nell’ipotesi di cessione parziale, configurandosi, in questo secondo caso, sia l’ipotesi della cessione di un ramo di azienda sia l’ipotesi della cessione di singoli beni non atti a configurare, di per sé, un’azienda. Diversamente, si potrebbe arrivare alla paradossale situazione in cui gli aventi causa, mediante una serie successiva di cessioni frazionate di singoli beni che non configurano un’azienda, conseguono in realtà un identico obiettivo, senza che si possa invocare l’imponibilità delle plusvalenze così conseguite. Il riferimento all’articolo 86 Tuir, comma 2, comporta il calcolo del reddito ritratto dalla cessione similmente a ciò che accade nell’ipotesi in cui sia l’imprenditore che cede l’azienda, quindi operando un confronto tra il valore fiscale dei beni oggetto di cessione e il corrispettivo pattuito. Dal confronto emergerà un reddito unitariamente determinato e comprensivo di avviamento che verrà sottoposto a tassazione. Trattandosi di redditi diversi, occorre eseguire qualche distinguo e più precisamente considerare come imponibile soltanto il valore precedentemente determinato che sia stato effettivamente incassato (principio di cassa che presidia la determinazione dei redditi diversi) e, in secondo luogo, non ammettere la possibilità di una diluizione della tassazione in cinque quote costanti: tale scelta tipica dei redditi che sono conseguiti nell’esercizio di impresa (criterio della competenza) e non può trovare applicazione quando invece l’obbligazione tributaria è regolata dal principio di cassa. Per determinare il valore fiscale dei beni facenti parte dell’azienda ceduta occorre risalire all’ultimo valore rilevante in capo all’imprenditore che abbia trasferito per donazione o causa di morte l’azienda stessa agli aventi causa, senza considerare alcun ulteriore deprezzamento da ammortamenti eventualmente imputabili al lasso temporale in cui l’azienda è stata detenuta dalla persona fisica erede o donatario. Se l’azienda è stata concessa in affitto con pattuizione di deduzione delle quote d’ammortamento in capo all’affittuario, il valore fiscale dei beni facenti parte della medesima azienda deve considerare ovviamente il deprezzamento derivante dalle quote d’ammortamento dedotte dall’affittuario. Le regole qui previste si applicano anche nell’ipotesi in cui l’azienda (unica) sia ceduta dall’originario proprietario il quale l’abbia precedentemente concessa in locazione e poi l’abbia ceduta senza riprendere nella gestione cessata l’attività di locazione. 4. Redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente In questa categoria reddituale vanno inseriti i redditi conseguiti per la locazione di terreni per usi non agricoli, come potrebbe accadere nel caso di terreni agricoli locati come parcheggi per un certo lasso temporale. L’articolo 70, comma 1, Tuir afferma che il reddito in tal caso è determinato sulla base

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dell’ammontare complessivo percepito nel periodo d’imposta. A tal proposito è interessante citare un precedente giurisprudenziale analizzato nella sentenza della CTR Piemonte n. 26/2010, in cui si rappresentava la situazione di un affitto temporaneo di un terreno agricolo per uso non agricolo, nel senso che si trattava del cantiere del consorzio alta velocità Torino - Milano che occupava temporaneamente tali terreni. L’occupazione veniva remunerata tramite un’indennità concordata che, secondo l’ufficio delle entrate, doveva considerarsi come un reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, lett. c), Tuir. Di diverso avviso si è dimostrata la CTR secondo cui, a causa del fatto che gli affittuari sono rimasti estranei al contratto di locazione e hanno continuato ad operare quali coltivatori diretti, non si poteva individuare un reddito diverso nell’indennità percepita. Proprio la circostanza che i titolari del terreno hanno mantenuto la qualifica di coltivatori diretti, continuando ad esercitare l’attività sulla parte residua del terreno non date in locazione, permette di concludere che il reddito percepito costituisca sostituzione per la perdita del reddito agrario non generato completamente a causa della temporanea indisponibilità di una parte del terreno. Essendo il reddito agrario determinato forfettariamente non si è generato alcun reddito diverso da sottoporre a tassazione nel quadro RL del modello Unico. È interessante notare che, nel tentativo di difendere la propria impostazione d’ufficio, l’Agenzia delle entrate aveva citato la precedente risoluzione n. 239/E/1995 in cui veniva qualificato come reddito diverso il corrispettivo incassato da un affittuario di un terreno agricolo per rilascio anticipato del fondo che egli lavorava. La CTR del Piemonte ha individuato una differenza tra l’ipotesi evocata nella risoluzione rispetto al caso oggetto di trattazione, differenza da individuarsi nella temporaneità e parziarietà dell’occupazione dei terreni agricoli da parte del Consorzio Alta Velocità. 5. I redditi dei beni immobili situati all’estero

La detenzione di un immobile all’estero determina in capo al contribuente residente una serie di adempimenti tributari piuttosto rilevanti, che riguardano sia questioni di carattere eminentemente dichiarativo e questioni di carattere impositivo. Non rientra nell’argomento qui indagato l’obbligo di dichiarare la detenzione di immobili esteri ai fini della normativa antiriciclaggio di cui al D.L. 167/1990, ma è notorio che, a prescindere dalla formazione o meno di un certo reddito imponibile, la prima ricaduta fiscale della detenzione di un immobile all’estero è la sua necessaria indicazione nel quadro RW del modello Unico. Da tale indicazione discende poi l’obbligo di corrispondere l’imposta Ivie che funge da imposta sostitutiva dell’Imu che il contribuente avrebbe pagato se l’immobile fosse stato ubicato in Italia. Da qui la medesima aliquota impositiva pari allo 0,76% del valore dell’immobile, inteso o come valore di acquisto o come valore catastale, laddove lo Stato estero applichi una normativa di determinazione del valore catastale simile a quella italiana. Ma la detenzione di immobili all’estero determina anche questioni impositive sotto il profilo delle imposte sul reddito, e non a caso l’articolo 67, lett. f), Tuir colloca tra i redditi diversi quelli derivanti dalla detenzione di immobili all’estero. Per quantificare il reddito tassabile è necessario applicare l’articolo 70, comma 2, Tuir quando afferma che i redditi dei terreni e dei fabbricati situati all’estero concorrono alla formazione del reddito complessivo nell’ammontare netto risultante dalla valutazione effettuata nello Stato estero per il corrispondente periodo di imposta. La norma citata aggiunge che i redditi dei fabbricati non soggetti ad imposte sui redditi nello Stato estero concorrono a formare il reddito complessivo per l’ammontare percepito nel periodo d’imposta, ridotto del 15% a titolo di deduzione forfettaria delle spese. Ciò che emerge quindi è uno scenario nel quale la determinazione del reddito diverso va analizzata, prima di tutto, distinguendo il caso dell’immobile locato dall’immobile non locato. Se l’immobile è non locato, allora si avrà reddito diverso, in quanto lo Stato estero prevede una tassazione della proprietà dell’immobile a prescindere dal reddito

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Gli altri redditi diversi

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locativo. Se ciò non risulta, allora non vi sarà alcun reddito diverso da sottoporre a tassazione, a meno che, naturalmente, l’immobile non risulti locato a terzi. In questa seconda ipotesi si determina sempre reddito diverso, poiché esiste un reddito effettivo derivante dalla locazione. Non devono trarre in inganno le convenzioni contro la doppia tassazione che generalmente stabiliscono il principio della tassazione nel Paese della fonte, cioè, in altri termini, la tassazione del reddito locativo nel Paese in cui è ubicato l’immobile concesso in locazione. Il fatto che le convenzioni stabiliscano questo principio non significa che non vi possa essere una tassazione concorrente anche nel Paese di residenza del detentore dell’immobile locato. In questo senso peraltro si è espressa la risoluzione n. 412/E/2008 nella quale si è analizzata la situazione di un cittadino residente detentore di beni immobili nella Repubblica di Slovenia: tali immobili risultavano condotti in locazione a canone vincolato con assoggettamento a tassazione in Slovenia con aliquota del 15%. La Risoluzione citata ricorda che la fattispecie è regolata dall’articolo 6 della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Repubblica di Slovenia ove è previsto che i redditi che il residente di uno Stato contraente ritrae da beni immobili situati nell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato; tuttavia questo passaggio della convenzione non esclude la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del percettore degli stessi. Di conseguenza, conclude la risoluzione, i redditi immobiliari sono sottoposti ad imposizione anche nel nostro Paese, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. f), Tuir, con attribuzione del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, se all’estero vi è stata tassazione definitiva del reddito locativo. 6. I compensi a sportivi dilettanti e i rimborsi per trasferte

L'articolo 67, comma 1, lett. m), primo periodo del Tuir riconduce tra i redditi diversi "le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto" . Il secondo periodo della stessa lett. m), comma 1, dell'articolo 67 (introdotto dall'articolo 90, comma 3, lett. a), L. 289/2002) qualifica, altresì, quali redditi diversi "i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche". A questi compensi previsti dall'articolo 67, comma 1, lett. m) (se di “compensi” in senso stretto ha senso parlare) si applica il regime tributario agevolato recato dall'articolo 69, comma 2, Tuir e dall'articolo 25, comma 1, L. 133/1999. Il primo periodo del comma 2 dell’articolo 69 Tuir stabilisce che "le indennità, i rimborsi forfetari, i premi e i compensi di cui alla lett. m) del comma 1 dell'art. 67 non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a 7.500 euro”. L'articolo 25, comma 1, L. 133/1999 prevede che sulla parte imponibile dei redditi di cui all'articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir "le società e gli enti eroganti operano, con obbligo di rivalsa, una ritenuta nella misura fissata per il primo scaglione di reddito dall'art. 11 [ora art. 13] dello stesso testo unico, e successive modificazioni, concernente determinazione dell'imposta, maggiorata delle addizionali di compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche. La ritenuta è a titolo d'imposta per la parte imponibile dei suddetti redditi compresa fino a lire 40 milioni (pari a euro 20.658,28) ed è a titolo di acconto per la parte imponibile che eccede il predetto importo". Per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative esse devono presentare, come ha ricordato la Circolare 21/E/2003, i seguenti requisiti: 1) carattere amministrativo gestionale;

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2) natura non professionale; 3) essere rese a società o associazioni sportive dilettantistiche. Quali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa le prestazioni in argomento si caratterizzano per la continuità nel tempo, la coordinazione, l’inserimento del collaboratore nell’organizzazione economica del committente e l’assenza del vincolo di subordinazione. Per quanto riguarda la natura non professionale del rapporto bisogna valutare se, per lo svolgimento dell’attività di collaborazione, siano necessarie conoscenze tecnico - giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo abitualmente esercitata. Sono pertanto escluse le prestazioni rientranti nell’oggetto dell’arte e della professione. Il carattere amministrativo gestionale delle collaborazioni limita la previsione dell’articolo 67, lett. m), Tuir alla collaborazione dell’attività amministrative di gestione dell’ente. Rientrano pertanto nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale, i compiti tipici di segreteria di un’associazione o società sportiva dilettantistica, quali ad esempio la raccolta delle iscrizioni, la tenuta della cassa e la tenuta della contabilità da parte di soggetti non professionisti. Le somme in questione possono essere percepite anche da amministratori della società o dell’associazione sportiva dilettantistica e, laddove si realizzi tale fattispecie, si pone il problema di capire entro quali limiti questa erogazione non sconfini nella distribuzione indiretta di utili agli amministratori soci, la qual cosa farebbe decadere dai benefici fiscali l’ente erogatore. Il problema si pone sia con riferimento ai compensi erogati in senso stretto, per remunerare l’attività di amministratore, sia ai rimborsi o ai compensi che l’amministratore possa conseguire nell’esercizio della sua attività di istruttore, atleta e allenatore nell’ambito della società sportiva dilettantistica. Al riguardo è intervenuta la risoluzione n. 9/E/2007, a cura dell’Agenzia delle entrate, con cui si è esaminato proprio il caso di un socio amministratore che percepiva sia compensi per la sua qualifica amministrativa sia rimborsi per le sue prestazioni di carattere sportivo dilettantistico. Affinché tali erogazioni possano rientrare nella disciplina stabilita dall’articolo 67, lett. m), Tuir è necessario che l’ente erogatore mantenga lo status di società o di associazione sportiva dilettantistica e, quindi, che non si manifesti la situazione di distribuzione indiretta di utili, il che renderebbe quell’ente un soggetto commerciale come tutti gli altri. Per risolvere tale quesito l’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione ricorda l’articolo 10, comma 6, D.Lgs. 460/1997 il quale alla lett. c) afferma che è considerata distribuzione indiretta di utili la corresponsione ai componenti degli organi amministrativi o di controllo di compensi superiori al massimo previsto dal D.P.R. 645/1994 e cioè euro 41.316,55. Inoltre l’Agenzia delle entrate ricorda che la lett. e) dello stesso comma 6 prevede che costituisce distribuzione indiretta di utili anche la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salario stipendi superiore al 20% rispetto quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche. Alla luce di queste limitazioni l’Agenzia delle entrate conclude che, se a titolo di compenso all’amministratore venga erogata una somma superiore al tetto di euro 41.316,55, si manifesta un’ipotesi di erogazione indiretta di utili, mentre i compensi di cui alla lett. m) dell’articolo 67, primo comma, Tuir percepiti dal socio, in qualità di istruttore e allenatore nell’ambito dell’attività sportiva dilettantistica, configurano distribuzione indiretta dei proventi se superiori del 20%, rispetto agli stipendi previsti per le medesime qualifiche dai contratti collettivi di lavoro, compresi gli importi dei suddetti compensi che ai sensi dell’articolo 69, comma 2, Tuir non concorrono a formare il reddito. È chiaro che non si può escludere che il cumulo di compensi più rimborsi, benché rientrante nei limiti citati per le singole erogazioni, induca l’organo verificatore a ritenere sussistente una distribuzione indiretta di utili e quindi tale cumulo ove possibile sarebbe da evitare.

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In questo contesto normativo, brevemente riepilogato, si inserisce l’ulteriore previsione del secondo periodo del comma 2 dell’articolo 69 Tuir il quale prevede che “Non concorrono, altresì, a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all'alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale". È proprio in relazione a tali erogazioni che andremo ad esaminarne le caratteristiche, nonché la compatibilità ed il cumulo con le somme (anch’esse detassate ma entro certi limiti e a determinate condizioni) in precedenza descritte. Il concetto di trasferta La corretta definizione del concetto di “trasferta”, con riferimento allo sportivo dilettante (e ai soggetti ad essi “assimilati”) appare dunque fondamentale per comprendere il trattamento fiscale delle somme erogate in occasione delle stesse, in quanto: • laddove si ricada nel disposto del secondo periodo del comma 2 dell’art.69 sopra citato, tali

somme non produrranno in alcun modo conseguenze reddituali per il percipiente; • nei casi in cui non si riscontrino le caratteristiche sopra delineate (ad esempio, in ipotesi di

trasferta effettuata all’interno del territorio comunale), tali somme potrebbero produrre conseguenze reddituali per il soggetto percettore.

L’utilizzo del condizionale per tale ultima situazione è d’obbligo in quanto le predette somme, pur assumendo la natura di “compensi” ricompresi nella disciplina recata dall'articolo 67, comma 1, lett. m) primo periodo Tuir, vanno poi verificate in ragione dei limiti di esenzione previsti per tali voci. La disposizione contenuta nel secondo periodo comma 2, dell’articolo69, Tuir nel definire l’ambito di erogazione delle somme irrilevanti ai fini reddituali parla solo di spese “sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale” senza null’altro aggiungere. A questo riguardo è interessante sottolineare la problematica dei rimborsi chilometrici erogati a sportivi dilettanti. Tali rimborsi, se non documentati, configurano reddito diverso ex articolo 67, lett. m), Tuir, nel senso che concorrono a formare il tetto di euro 7.500, superato il quale si ha materia imponibile. Discorso diverso per le indennità chilometriche ricevute per trasferte eseguite dagli sportivi dilettanti oltre il territorio comunale e documentate. In questo secondo caso le somme in questione non costituiscono mai reddito diverso, nel senso che sono tassabili. La recente risoluzione n. 38/E/2014 segnala un punto di particolare interesse, e cioè che per individuare il Comune, oltre il quale si ha la trasferta detassata, si fa riferimento non al luogo di lavoro (come accade per i lavoratori dipendenti e i CO.CO.PRO, per i quali la circolare n. 326/E/1997 aveva individuato come Comune rilevante per ritenere detassato il rimborso, quello in cui ha sede il datore di lavoro), bensì alla residenza del prestatore. Questo passaggio è di particolare pregio interpretativo, poiché significa che sono considerate trasferte detassate anche quelle eseguite per recarsi da casa propria al luogo di esercizio della prestazione sportiva. A contrariis, dunque, per le trasferte effettuate “nel” territorio comunale nessuna agevolazione viene concessa né al lavoratore dipendente né tantomeno allo sportivo dilettante. Ai fini Irap l’articolo 90, comma 10, L. 289/2002 ha stabilito, con decorrenza 1 gennaio 2003, che le indennità e i rimborsi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir non sono più soggette ad imposizione ai fini di tale imposta. Sorge tuttavia il problema di inserire o meno in questa stessa disposizione anche i rimborsi di spesa documentate relative al vitto ed alloggio e al viaggio sostenuti in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale: infatti questa norma è collocata nell’articolo 69, comma 2, Tuir e non nell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir che è la norma richiamata ai fini della detassazione ai fini Irap. Ne consegue che, secondo un’interpretazione rigidamente letterale, mentre i compensi, le indennità e i rimborsi forfettari di spesa non rientrano

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nella base imponibile Irap del soggetto erogante (si pensi al caso tipico della società sportiva dilettantistica), diversamente i rimborsi analitici e documentati, quali sono ad esempio le indennità chilometriche per trasferta, dovrebbero rientrare tra i componenti negativi indeducibili dalla base imponibile Irap. 7. Reddito diverso da godimento dei beni sociali

L’articolo 2, commi da 36-terdiecies a 36-duodevicies, D.L. 138/2011 ha introdotto disposizione volte a contrastare il fenomeno della concessione in godimento di beni relativi all’impresa a soci o familiari dell’imprenditore per fini privati. In questa direzione è stata introdotta una nuova fattispecie all’articolo 67 Tuir, lett. h-ter) con la quale si è stabilito che la differenza tra il valore normale del godimento di un certo bene e il corrispettivo pagato dal socio o familiare dell’imprenditore costituisce un reddito diverso. Pertanto, nel caso di locazione del bene da parte della società, si dovrà calcolare il valore normale e sottrarre il corrispettivo pagato dal socio e il differenziale costituirà il reddito diverso da tassare in capo al socio. Una delle ipotesi certamente più frequenti è quella dell’immobile di proprietà della società e utilizzato dal socio per fini privati. La circolare n. 24/E/2012 sul punto detta una serie di indicazioni che vanno sistematizzate, anche perché il caso della locazione temporanea è piuttosto frequente: basti pensare al caso dell’immobile sociale utilizzato dal socio per un periodo di vacanza. La prima conseguenza si ha sull’utilizzatore, il quale deve calcolare il reddito diverso, pari alla differenza tra il valore locativo del bene e quanto pagato alla società, ragguagliando ad anno il periodo di effettivo godimento. Il primo passaggio è il ragguaglio ad anno del valore normale della locazione per confrontare questo dato con quanto pattuito con la società: l’eventuale differenziale costituisce il reddito diverso. Nella circolare n. 24/E/2012 si esemplifica una locazione annua di euro 20.000 che presuppone una locazione mensile a valore normale di euro 1.643,83, dato ottenuto dalla seguente proporzione: 20.000/365 x 30. La scelta appare ispirata alla necessità di semplificare il calcolo, anche se il valore normale della locazione per i mesi estivi di un immobile situato in un luogo di vacanza non è il medesimo degli altri mesi dell’anno. A fronte della formazione del reddito diverso in capo al socio si ha una indeducibilità di costi in capo alla società la cui gestione è certamente più complessa. Ipotizziamo il caso di un immobile in luogo di vacanza che costituisce bene merce, disciplinato, quindi, dal punto di vista fiscale, con criteri analitici. Se l’utilizzatore non ha corrisposto alcuna somma si assume il totale dei costi relativi all’immobile, mentre, se è stata corrisposta una somma inferiore al valore normale, si deve determinare un rapporto che al numeratore presenta la differenza tra “pattuito” e “valore normale” ed al denominatore il “valore normale”. La percentuale ricavata va applicata ai costi ed il risultato è il costo indeducibile che va ulteriormente ragguagliato ad anno se l’utilizzo è temporaneo. Ma non è finita. Occorre infatti anche individuare gli eventuali costi specificamente imputabili al periodo di utilizzo che sono totalmente indeducibili senza ragguaglio ad anno: un calcolo alquanto complesso. Vediamo come esemplificare la procedura tornando al caso dell’immobile merce per il quale sono stati sostenuti costi annuali per euro 2.000, di cui euro 800 di compenso all’amministratore e euro 1.200 di spese condominiali che, per il periodo del godimento, ammontano specificamente a euro 200. La locazione a valore normale ammonta a euro 12.000, mentre è stato corrisposto un corrispettivo per un mese di godimento pari a euro 500. Il rapporto tra differenziale (12.000 - 500) e valore normale (12.000) genera la percentuale di 95,83% che va applicata ai costi annui, cioè 800 + 1.000 (spese condominiali non specificamente imputabili al periodo di godimento). Il valore ricavato di euro 1.724 va ragguagliato a giorni e si ottiene euro 142, cui vanno sommati i costi specificamente imputabili al periodo di godimento, cioè euro 200, per un totale indeducibile di euro 342.

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Questo calcolo non va eseguito per gli immobili patrimonio, per i quali vige già l’indeducibilità dei costi ad essi afferenti (articolo 90, comma 1, Tuir). Quanto al valore normale l’Agenzia delle entrate ha affermato, nella circolare 24/E/2012, che per individuare tale dato occorre far riferimento a “criteri oggettivi” o, in mancanza, ad un’apposita perizia “che descriva in maniera esaustiva il bene oggetto del diritto di godimento motivando il valore attribuito al diritto stesso”. Si tratta di un procedimento complesso e che potrebbe dare luogo a frequenti contestazioni. Sarebbe, pertanto, auspicabile che venisse consentito di adottare anche criteri forfetari, quali quelli stabiliti dall’articolo 51 Tuir per la determinazione dei fringe benefit dei dipendenti. Per i fabbricati si potrebbe, ad esempio, fare riferimento alla rendita catastale aumentata di tutte le spese inerenti, comprese le utenze non a carico dell’utilizzatore. Collegato al reddito diverso che si forma in capo al socio o al familiare si ha l’adempimento dell’invio della comunicazione telematica con cui si segnala l’esistenza di tale fattispecie, la cui scadenza è fissata nel 30° giorno successivo al termine per l’invio della dichiarazione dei redditi; quindi nel caso del 2015, il termine è stabilito nel 30 ottobre 2015. L’articolo 1 del Provvedimento 2013/94902 chiarisce quali siano i soggetti obbligati alla comunicazione dei beni dati in uso ai soci, individuandoli tra coloro che realizzano reddito d’impresa in forma individuale o collettiva, oppure, in via alternativa, dal socio o dal familiare dell’imprenditore. Dalla lettura delle istruzioni alla compilazione emerge che, se chi compila il modello è la società (o l’impresa concedente), vanno segnalati i dati anagrafici dell’utilizzatore, mentre, se chi compila è l’utilizzatore, vanno segnalati i dati della società concedente. Ciò emerge dal contenuto di dati di tipo “C “dove, in relazione al rigo BG01 (dati del soggetto che utilizza o concede il bene) si segnala che il codice fiscale non può essere uguale a quello indicato nel campo 2 del record “B”, in cui viene segnalato il codice fiscale del dichiarante. Non viene citato il familiare del socio, che non era figura prevista nemmeno nella norma primaria del D.L. 138/2011, ma bisogna ricordare che tale ultimo soggetto è stato compreso nell’adempimento dalla circolare n. 24/E/2012 ed in effetti il modello prevede tale soggetto, quando individua con la lettera “D” l’ipotesi che il modello sia compilato dal familiare del socio stesso. Sono esclusi dal Provvedimento le società semplici che, in quanto soggetti che non realizzano reddito d’impresa, non sono compresi nell’ambito soggettivo, così come, per il medesimo motivo, sono escluse le associazioni tra professionisti. Per quanto attiene all’oggetto della comunicazione, appare immediatamente una semplificazione nell’articolo 2 punto 1, laddove sono escluse le operazioni compiute ante 2012. Quindi la prima comunicazione è stata quella in scadenza il 12.12.2013, riferita al periodo d’imposta 2012. Il bene può essere stato concesso in godimento anche prima del 2012, se perdura il godimento nel 2012 scatta l’obbligo di comunicazione. L’esimente principale sancito dall’art. 2 del Provvedimento risiede nel fatto che la comunicazione telematica va trasmessa solo ove vi sia una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene ed il valore di mercato del diritto d’uso. In pratica ci deve essere un reddito diverso (ex articolo 67 Tuir) da tassare in capo all’utilizzatore, per cui se questi ha remunerato a valori di mercato il diritto d’uso, non scatta alcun obbligo. Il fatto che l’onere riguardi solo i casi in cui l’utilizzatore è tenuto a tassare il reddito in natura, è coerente con quanto previsto dal comma 36-sexiesdecies, dell’articolo, 2 D.L. 138/2011 ed evidenzia che l’utilità di queste informazioni non riguarda il redditometro. Tra le esclusioni oggettive (articolo 3 del Provvedimento) appare la situazione dei beni concessi in godimento agli amministratori. In un successivo (e separato) alinea compare l’esclusione per la

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situazione dei beni concessi al socio dipendente o lavoratore autonomo, qualora detti beni costituiscano fringe benefit. Dalla lettura letterale parrebbe quindi che l’esclusione nel caso di utilizzatore/socio amministratore prescinda dalla circostanza che sia dichiarato il reddito del fringe benefit, il che stride con la diversa previsione prevista per il socio dipendente. Sul piano oggettivo, oltre alle esclusioni per gli amministratori, i soci dipendenti e lavoratori autonomi già trattate sopra, è stata prevista l’esclusione dell’obbligo di comunicazione per i beni ad uso pubblico (ad esempio i taxi) per i quali opera la deduzione integrale dei costi (articolo 164, lett. a), n. 2 del Tuir). La citazione tra le esclusioni, alinea 5, indica specificamente i beni ad uso pubblico per i quali è prevista la deduzione integrale, e ciò induce a ritenere che gli altri beni integralmente deducibili vadano sempre segnalati, quali, ad esempio autocarri utilizzati in forma privata dal socio. In tale direzione restrittiva si ritiene vada letto il passaggio della circolare n. 36/E/2012 (par. 3) che, se letto astrattamente, poteva far ritenere che i beni integralmente deducibili potessero essere sempre esclusi. È confermato che non sussiste l’obbligo di comunicazione quando i beni concessi in godimento privato soddisfano congiuntamente due requisiti: hanno un valore non superiore ad euro 3.000, al netto dell’Iva e sono compresi nella categoria residuale “altro” prevista dal decreto (ovvero sono diversi da autovetture, unità da diporto, aeromobili, immobili). Infine è esclusa la comunicazione dei beni dell’impresa individuale utilizzati nella sfera privata dallo stesso imprenditore (terzo alinea dell’art. 3 del Provvedimento), ma allora non è chiaro a cosa serva il codice “C” che viene indicato nel campo BG-01 del modello, codice dedicato al soggetto che utilizza nella sfera privata beni della sua impresa commerciale. 8. Redditi diversi di carattere occasionale

Il tema dell’attività occasionale riguarda spesso i giovani, che si trovano a voler arrotondare in qualche modo le proprie entrate, specialmente nei mesi estivi, ma non solo loro, poiché nell’attuale panorama lavorativo molti sono i casi di piccoli lavori occasionali svolti a lato di un lavoro principale. È difficoltoso, ma di estremo interesse, riuscire a tracciare una linea di demarcazione tra l’occasionalità dell’attività e quando la sua abitualità di svolgimento la faccia assurgere ad attività d’impresa, con i risvolti fiscali che ne conseguono. A tal proposito, un primo aggancio normativo al quale fare riferimento, si trova nell’attuale disposto dell’articolo 67 Tuir, dove trovano accoglimento tutte quelle fattispecie di redditi “residuali” in quanto non contemplati nei precedenti articoli 65 e 66. Sotto la voce “redditi diversi” trova, infatti, collocazione un lungo, eterogeneo e tassativo elenco di tali fattispecie imponibili, tra le quali ne sussistono alcune tanto generiche da rendere decisamente disagevole decidere se queste rientrino o meno nella previsione normativa. Più precisamente, si intende far riferimento alle lett. i) ed l) del citato articolo 67, le quali prevedono la tassazione di: • attività commerciali occasionali; • attività di lavoro autonomo occasionali; • obbligazioni di fare, non fare e permettere. Per quanto riguarda le attività commerciali non abituali, il combinato della lett. i) dell’articolo 67 e del comma 2 dell’articolo 71 dispone che i redditi da esse derivanti siano costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione. Fin qui le disposizioni normative appaiono chiare, ed in effetti il problema non risiede nell’interpretazione della norma, quanto nell’individuazione del contenuto effettivo della locuzione

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“attività commerciali non abituali”, dovendole distinguere da quelle commerciali abituali e da quelle occasionali di lavoro autonomo. Un corretto punto di partenza pare essere la distinzione in base al concetto di abitualità, il quale presupposto non deve sussistere affinché un’attività possa ricomprendersi nei redditi diversi. In merito, ci viene in soccorso la circolare n. 7/1496 del 30.04.1977, secondo la quale per attività svolta in forma abituale deve intendersi “un normale e costante indirizzo dell’attività del soggetto che viene attuato in modo continuativo: deve cioè trattarsi di un’attività che abbia il particolare carattere della “professionalità”. In perfetta concordanza con la circolare è la sentenza n. 4456/1982 CTC, la quale definisce la nozione di abitualità con la sistematica continuità dell’attività del soggetto. Se ne deduce che, in assenza di professionalità (programmazione nello svolgimento) e sistematicità (regolarità e stabilità), l’attività in oggetto non può definirsi come abituale. Ci è ora possibile tracciare un primo confine tra attività commerciale occasionale e lavoro autonomo occasionale: • la prima, pur avendo natura commerciale, non produce redditi d’impresa mancando del requisito

della professionalità che si espleta in un più ampio processo produttivo connaturato da prestazioni non isolate e a sé stanti;

• il secondo, è svolto in forma non abituale e produce redditi assimilabili a quelli derivanti da attività, che pur presentando elementi similari al lavoro autonomo, non devono considerarsi tali in quanto non riconducibili all’articolo 2195 cod. civ., ma all’articolo 2222 Cod. civ.

In materia di differenza tra reddito occasionale di lavoro autonomo e reddito occasionale derivante da attività commerciale è significativa la risoluzione n. 21/E/2004 nata da un interpello che aveva per oggetto l’attività di consegna, trasporto e distribuzione di guide telefoniche. L’interpellante segnalava che, in alcuni casi, tale adempimento veniva affidato a soggetti che svolgevano solo occasionalmente i servizi citati (studenti, pensionati) in un lasso temporale molto limitato che al massimo durava otto giorni. Fermo restando che si tratta certamente di attività occasionale, l’interpellante chiedeva se doveva ritenersi inserita tale attività tra i redditi da lavoro autonomo o di impresa sempre non abituale. L’Agenzia delle entrate segnala al riguardo che le attività di carattere commerciale vengono elencate nell’articolo 2195 cod. civ. in base al seguente elenco: 1) attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi; 2) attività intermediaria nella circolazione di beni; 3) attività di trasporto per terra, per acqua, per aria; 4) attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie alle precedenti; Queste attività citate sono inserite nel reddito d’impresa a condizione che vengano svolte con professionalità abituale, in assenza di quest’ultimo requisito deve trattarsi di attività commerciale occasionale. La qualifica di attività commerciale occasionale è confermata anche dal fatto che, trattandosi di attività di trasporto di guide telefoniche, essa è riconducibile tra le attività di trasporto e quelle ausiliarie di cui all’articolo 2195 cod. civ.. Dal punto di vista giurisprudenziale si è ritenuto riconducibile alla categoria del reddito da lavoro autonomo la cessione del diritto d’immagine eseguita in via occasionale da un arbitro di calcio (sentenza CTP Lecce n. 393/2011). Invece l’attività di bed & breakfast, esercitata con un numero minimo di stanze, un ammontare modesto di incassi con un numero limitato di giorni di soggiorno è da considerarsi attività occasionale di carattere commerciale, secondo la sentenza della CTR Veneto n. 11/2011.Tali linee di massima non risolvono, tuttavia, il problema costituito dall’individuazione di un valido criterio atto a definire e demarcare i confini delle attività da cui i predetti redditi diversi hanno origine. Questo costringe ad

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analizzare i singoli casi uno per uno, definendone l’eventuale tassabilità e la categoria alla quale ascriverli. Di seguito si elencano alcuni altri casi oltre quelli sopra citati, dai quali si possono ritrarre redditi diversi, riconducibili alle attività commerciali occasionali: • l’attività di raccolta di prenotazioni affidata a collaboratori (occasionali) per la vendita di

pubblicazioni di un centro editoriale (fa parte di un più ampio processo produttivo, risoluzione n. 8/034 del 17.01.1977);

• i compensi percepiti dai procacciatori di affari e dai venditori occasionali in genere (risoluzione n. 8/906 del 22.07.1976);

• il reddito derivante dall’affitto di fabbricati rurali, unitamente alla somministrazione di pasti approntati con prodotti del fondo (risoluzione n. 7/4420 del 7.07.1982);

• l’attività di affittacamere, per la quale vengono individuate due ipotesi distinte: a) la fornitura, anche in modo abituale, di camere ammobiliate, senza che vi siano prestazioni accessorie (normali redditi fondiari); b) la fornitura, abituale, di camere ammobiliate con prestazioni accessorie – pulizia e biancheria - (normali redditi d’impresa) (risoluzione n. 9/1916 del 31.12.1986).

Per quanto attiene, invece, ai redditi derivanti da attività occasionali di lavoro autonomo, i casi individuati sono i seguenti: • reddito di un soggetto derivante dalla custodia di beni archeologici trovati durante scavi

(risoluzione n. 10/1056 del 3.08.1974); • reddito derivante da lavori di facchinaggio saltuari (risoluzione n. 10/917 del 18.09.1975); • reddito che i portieri d’albergo acquisiscono per la segnalazione fatta ad imprese di noleggio di

autovetture dei clienti che ne necessitano (risoluzione n. 8/1162 del 22.11.1978). Anche la giurisprudenza ha dato contributi in merito: • reddito per attività di pulizia dei locali prestata saltuariamente e resa al di fuori del normale orario

di lavoro (CTC n. 4456 del 21.05.1982); • reddito derivante da attività prestata occasionalmente da un muratore, poiché tale attività è vista

come un’arte (CTC n. 4611 del 14.03.1985); • reddito percepito per attività di ricerca bibliografica saltuaria (CTC n. 2722 del 2.04.1986). Dopo questa necessaria premessa, e riallacciandoci all’argomento oggetto del presente approfondimento, pare opportuno citare la sentenza n. 8193/1997, con la quale la Cassazione ha stabilito che, sebbene nella generalità dei casi l’attività imprenditoriale sia articolata sulla base di un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali, secondo quanto desumibile dalla linea seguita dagli articoli 2086, 2094 e 2555 codice civile, tale apparato non è indispensabile affinché una data attività possa definirsi organizzata in forma d’impresa. Non è, infatti, necessario che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia in oggetto anche le altrui prestazioni lavorative, autonome o subordinate, o che i mezzi di cui ci si avvale costituiscano un apparato strumentale fisicamente percepibile, dal momento che quest’ultimo può ridursi al mero impiego di mezzi finanziari, andando così attribuita la qualifica di imprenditore anche a chi utilizzi e coordini un proprio capitale a fini produttivi (Cassazione sentenza n. 5589/1983). Ancora, lo svolgimento di più affari non risulta essere un requisito decisivo, poiché anche il compimento di un singolo affare può configurare impresa qualora implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici (come, ad esempio, nel caso di costruzione di edifici da destinare all’abitazione sia pure con un’unica operazione economica). Pertanto, è requisito imprescindibile, affinché venga a configurarsi l’impresa commerciale, che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorché non esclusiva; in mancanza

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Gli altri redditi diversi

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di tale ultimo elemento, ci si trova in presenza di attività commerciale esercitata occasionalmente, il cui reddito è inquadrabile nella categoria dei redditi diversi e, precisamente, tra quelli di cui alla lett. i) del succitato articolo 67. Ciò nondimeno, la Corte di Cassazione ha stabilito che la qualifica di imprenditore può determinarsi anche in presenza di un solo affare in considerazione della sua valenza economica e delle relative operazioni poste in essere (sentenze n. 3690/1986, n. 267/1973, n. 907/1965 e n. 870/1964). Si veda in proposito la risoluzione n. 204/E/2002 (similare alla n. 273 dello stesso anno) dell’Agenzia delle entrate, la quale ha stabilito che, nel caso in oggetto – opere di risanamento apportate ad un immobile suddiviso in box successivamente venduti – sia stato posto in essere un comportamento logicamente e cronologicamente precedente l’atto di cessione e strumentale rispetto all’incremento del valore, che sottolinea l’intenzione di realizzare un arricchimento. Il predetto comportamento, che può tradursi in un’attività successiva volta ad agevolare o potenziare l’incidenza di valori incrementativi, è indicativo di un intento lucrativo e per questo tale attività va considerata come imprenditoriale. Una particolare fattispecie di attività commerciale occasionale, oggi piuttosto diffusa, è la produzione di energia elettrica derivante di impianti fotovoltaici detenuti dalla persona fisica al di fuori del reddito di impresa o lavoro autonomo. Sul punto è intervenuta la circolare 46/E/2007 la quale ha ricordato che il privato utilizzatore può rendere disponibile nel sistema elettrico l’energia rimasta inutilizzata attraverso la vendita dell’energia al distributore, oppure il cosiddetto servizio di “scambio sul posto”. In primo luogo va detto che il privato, il quale utilizza l’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico per soli fini personali, usufruisce di un contributo che non è classificabile nella categoria dei redditi diversi derivanti da assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. Diversamente, il soggetto privato che realizzi un impianto fino a 20 kW di potenza può alternativamente usufruire del servizio di “scambio sul posto” oppure della vendita dell’energia in esubero. Nel primo caso non vi sarà alcun reddito diverso da dichiarare, mentre nell’ipotesi di vendita dell’energia all’ente erogatore il provento rileva fiscalmente come reddito diverso derivante da attività commerciale non esercitata abitualmente (articolo 67, comma 1, lett. I) Tuir). Resta fermo che il contributo spettante da tariffa incentivante non determina alcun tipo di reddito. Se invece l’impianto fotovoltaico per la sua collocazione non risulta posta al servizio dell’abitazione o della sede dell’utente, perché ad esempio situato su un’area separata dall’abitazione e non di pertinenza della stessa, l’energia prodotte in misura esuberante dovrà essere considerata ceduta alla rete nell’ambito di un’attività commerciale, perciò rilevante sia ai fini Iva e delle imposte sul reddito. Alla stessa conclusione si perviene quando l’impianto fotovoltaico presenta una potenza superiore a 20 kW nel senso che in questa ipotesi esso è considerato alla stessa stregua dell’impianto collocato fisicamente in luogo diverso rispetto all’abitazione quindi una fattispecie che determina attività commerciale con tutti gli adempimenti obbligatori connessi 9. Obblighi di fare non fare o permettere

L’articolo 67, lett. l), Tuir aggiunge alla ipotesi di redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente anche le assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere: si tratta di una fattispecie molto ampia e anche molto generica che teoricamente potrebbe comprendere qualunque corrispettivo sia incassato da una persona fisica, a fronte della sua rinunzia a fare, o permettere ad altri di fare o non fare qualunque cosa. L’Agenzia delle entrate, in merito a questa fattispecie, ha sostenuto con la risoluzione n. 74/E/2010 che rientra negli obblighi di fare, non fare o permettere il compenso ricevuto da un soggetto che si impegna a ricevere fanghi prodotti in agricoltura in modo

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da evitare effetti nocivi sul suolo. Nella fattispecie il soggetto da una parte si obbligava a ricevere questi fanghi e dall’altra percepiva un ulteriore compenso per la distribuzione sul terreno e l’interramento di detti fanghi. Mentre nel primo caso si è ritenuto che il compenso debba essere ricondotto all’articolo 67 Tuir, quale obbligo di fare o non fare o permettere, diversamente il compenso per la distribuzione dei fanghi rientra tra le attività agricole connesse. Nei redditi derivanti dalle obbligazioni di fare, non fare o permettere va collocato teoricamente anche quello derivante dalle somme percepite a titolo di indennità di esproprio o cessione volontaria di un terreno. L’utilizzo dell’avverbio “teoricamente” dipende dal fatto che tali indennità sono soggette ad una ritenuta a titolo d’imposta del 20% operata dagli enti eroganti, qualora il soggetto percipiente non eserciti impresa commerciale. La ritenuta a titolo d’imposta elimina qualunque obbligo dichiarativo del reddito conseguito.

In breve: 1. Gli altri redditi diversi sono elencati in modo tassativo dall’articolo 67 Tuir, quindi non vi

possono essere fattispecie imponibili a tale titolo, se non esplicitamente comprese nella norma succitata.

2. Tra i redditi diversi emerge come fattispecie rilevante il conseguimento di somme derivanti dallo sfruttamento economico dei diritti dell’ingegno o di brevetti, che sono qualificabili come redditi diversi se non conseguiti dall’autore.

3. Il conseguimento di redditi derivanti dallo sfruttamento economico dell’azienda ricevuta dal contribuente (che non gestisce) rappresenta reddito diverso sia nell’ipotesi dell’affitto sia in quella della cessione.

4. Per i redditi degli immobili detenuti all’estero è necessario considerare se gli stessi sono locati oppure no. Se non sono locati potrebbero non generare reddito imponibile in Italia, se così prevede la disciplina estera.

5. Per gli sportivi dilettanti i rimborsi analitici, erogati in occasione di trasferte al di fuori del territorio comunale, non sono soggetti a tassazione mentre quelli non analitici sono considerati comepensi.

6. Il socio che beneficia del godimento dei beni appartanenti alla società può generare un reddito diverso pari alla differenza tra il valore normale del godimento del bene sociale e quanto egli ha erogato alla propria società per tale godimento.

7. I redditi derivanti da prestazioni occasionali di lavoro autonomo o da impresa sono oggetto di tassazione se vengono eseguiti con abitualità. Il concetto di abitualià comporta che vi sia una certa professionalità nell’organizzare l’attività affinché essa produca reddito.

8. I redditi occasionali di carattere commerciale possono configurarsi come tali anche se derivano da una sola iniziativa economica, se essa presenta dimensioni particolarmente significative.

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REDDITI DI CAPITALE

I redditi di capitale non sono definiti in modo generale dal legislatore; infatti per essi è stata prevista un'elencazione molto dettagliata che termina con la seguente nozione: "Gli interessi e gli altri proventi aventi per oggetto l'impiego del capitale [...]". Pertanto, rientrano in tali redditi quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto l'impiego di capitale e quelli che sono certi nell'an ma non nel quantum. La tassazione delle numerose fattispecie elencate nel Tuir sono affrontate nel presente elaborato.

1. Interessi e proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti

La prima categoria elencata è quella degli interessi e proventi derivanti da rapporti di mutuo, depositi, c/c percepiti da persone fisiche che non esercitano l’attività d’impresa o, se la esercitano, percepiti al di fuori dell’attività stessa; in caso contrario rientrerebbero, per il principio della vis attractiva, nel reddito d’impresa. Ai fini espositivi i contratti e rapporti di cui alla lett. a) sono disciplinati dal codice civile rispettivamente agli articoli: • 1813 codice civile - Mutuo: Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una

determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.

• 1834 codice civile – Depositi di denaro: Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà, ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l'osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi. Salvo patto contrario, i versamenti e i prelevamenti si eseguono alla sede della banca presso la quale si è costituito il rapporto.

• 1823 codice civile – Conto corrente: Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto. Il saldo del conto è esigibile alla scadenza stabilita. Se non è richiesto il pagamento, il saldo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto s'intende rinnovato a tempo indeterminato.

Osservando alcune casistiche particolari, sono considerati redditi di capitale rientranti in questa categoria anche gli interessi corrisposti a istituti di credito esteri da parte di società fiduciarie residenti per finanziamenti richiesti in favore di persone fisiche residenti (risoluzione n. 89/E/2012). La fiduciaria applicherà una ritenuta a titolo d’imposta pari al 26% (dal 1.07.2014) su tali interessi corrisposti, infatti l’esenzione prevista dall’articolo 26-bis D.P.R. 600/1973 per i non residenti non opera per gli interessi e altri proventi derivanti da prestiti di denaro. Altra tipologia di interessi da sottoporre ad attenzione è quella degli interessi derivanti da contratti di cash pooling. A tal riguardo la risoluzione n. 194/E/2003 ha trattato il caso degli interessi derivanti da un contratto di notional cash pooling corrisposti da una società parte di un gruppo societario internazionale ad una banca estera. L’istante chiedeva se tali interessi passivi potessero essere considerati esenti, ai

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sensi dell’articolo 26-bis D.P.R. 600/1973 che disciplina l’esenzione dalle imposte sui redditi per i non residenti. Nel caso in esame si configurava una fattispecie atipica del contratto di cash pooling, che nella forma standard prevederebbe l’accentramento delle risorse finanziare delle società del gruppo presso un’unica società, detta pooler (solitamente la capogruppo) che aprirebbe un conto corrente che accolga le finanze delle società partecipanti, al fine di compensare crediti e debiti delle stesse e sopperire alle necessità di liquidità di talune con la disponibilità di talaltre evitando l’indebitamento. La fattispecie atipica della Risoluzione suddetta, invece, prevedeva che ogni singola società aprisse con l’istituto di credito un conto corrente sul quale far transitare le operazioni attive e passive e, in questo modo, i singoli saldi venivano virtualmente azzerati e considerati come unico conto. L’Agenzia delle entrate ha sostenuto che, trattandosi di prestazioni sostanzialmente riconducibili ad operazioni di prestiti di denaro, i relativi interessi passivi corrisposti dalla società all’istituto bancario devono essere assoggettati a ritenuta di cui all’articolo 26, quinto comma, D.P.R. 600/1973 e non possono beneficiare dell’esenzione di cui all’articolo 26-bis, prospettata dall’istante. Tassazione Gli interessi e proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti sono tassati nell’esercizio d’imposta in cui vengono percepiti (principio di cassa), senza alcuna deduzione (articolo 45 Tuir). Per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto; se non pattuite gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nell’esercizio d’imposta. Se la misura non è determinata si considera il saggio legale che dall’1.01.2015 è pari allo 0,5%. L’articolo 45 Tuir afferma quindi che i redditi di capitale in genere sono soggetti a tassazione in base al principio di cassa e non sono rilevanti gli oneri legati alla produzione del reddito di capitale, nonché le perdite eventuali di capitale. Gli interessi si presumono percepiti alle scadenze pattuite e nella prassi spesso tale data coincide col 31 dicembre di ogni anno; se tali scadenze non sono pattuite, si presumono percepiti per l’importo maturato nel periodo d’imposta e, se non è determinato l’importo per iscritto, si utilizza il saggio legale. Tuttavia, tutto ciò ammette prova contraria, pertanto il contribuente può esibire un documento avente data certa, nel quale si attesta che in quel contratto di mutuo vi sia la previsione di non pagare gli interessi o che vengano pagati ad una data prestabilita o in una misura pattuita. Necessaria è in ogni caso la forma scritta con data certa. Per quanto riguarda gli interessi compensati nei contratti di conto corrente, sempre l’articolo 45, comma 3, afferma che si considerano percepiti anche gli interessi compensati a norma di legge o contratto, ossia il rinvio è all’articolo 1853 codice civile “Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti”. Nell’articolo del codice civile viene disposto che, se tra banca e correntista esistono più rapporti/conti i saldi attivi e passivi, si compensano reciprocamente, salvo patto contrario. Pertanto a prescindere dalla compensazione, dal punto di vista fiscale si devono tassare, al momento della percezione, gli interessi corrisposti anche se soggetti a compensazione. Tali interessi, ossia gli interessi da depositi e conti, sono tassati ai sensi dell’articolo 26, comma 2, D.P.R. 600/1973 con ritenuta alla fonte pari al 20% (percentuale che si applica nella misura del 26% ai sensi del D.L. 66/2014, per i proventi maturati dall’1.07.2014. Pertanto tale aliquota, a differenza del criterio generale di tassazione dei redditi di capitale, si applica secondo il principio di competenza). L’aumento dell’aliquota al 26% non opera per: - gli interessi delle obbligazioni pubbliche (titoli di Stato, I titoli emessi da enti territoriali, buoni

fruttiferi emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti equiparati). La ritenuta resta pari al 12,5%, non avendo subito infatti nemmeno il precedente aumento dell’aliquota al 20%;

- gli interessi dei titoli esteri purché residenti in uno stato white list. La ritenuta resta del 12,5%;

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Redditi di capitale

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- gli interessi dei titoli di risparmio per l’economia meridionale. La tassazione del reddito di capitale resta pari al 5%. Tale ritenuta viene operata a titolo d’imposta o di acconto a seconda della qualifica del soggetto che percepisce gli interessi (articolo 26, comma 4, D.P.R. 600/1973).

A titolo di acconto nei confronti di: • Imprenditori individuali, se relativi all’attività d’impresa; • Società di persone che esercitano attività commerciale; • Società di capitali; • Enti commerciali; • Stabili organizzazioni di società non residenti. A titolo d’imposta negli altri casi: • Persone fisiche non imprenditori; • Enti non commerciali; • Soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia. Non sono soggetti a ritenuta gli interessi: • Corrisposti da banche Italiane/filiali italiane a banche estere/filiali estere; • Derivanti da depositi/c/c tra le banche; • A favore del Tesoro. Gli interessi di fonte estera: Se sono dovuti interessi da soggetti non residenti, la ritenuta è applicata dall’intermediario residente che interviene nella riscossione degli interessi o, se il contribuente percepisce direttamente i proventi, assolverà l’imposta sostitutiva in dichiarazione dei redditi. Tassazione separata: Gli interessi e proventi derivanti da rapporti di mutuo, depositi, c/c possono anche essere assoggettati a tassazione separata al verificarsi di due condizioni: • Non sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva; • Il rapporto sottostante non ha durata superiore a 5 anni. La tassazione separata è un’opzione facoltativa del contribuente ed è concessa per i redditi che vengono percepiti una tantum che scegliendo la tassazione separata non concorrono alla formazione del reddito complessivo, evitando un prelievo fiscale elevato. 2. Interessi e proventi di obbligazioni e titoli simili

Le obbligazioni rappresentano per l’azienda emittente una sorta di finanziamento a medio-lungo termine, infatti la società, al posto di indebitarsi con istituti di credito, emette titoli obbligazionari che rappresentano titoli di credito per i sottoscrittori. Solitamente il prestito obbligazionario è una forma di finanziamento utilizzata dalle società per azioni, tuttavia l’articolo 2483 codice civile concede la possibilità di emettere titoli di debito anche alle società a responsabilità limitata, ma col vincolo di sottoscrizione soltanto da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale e con la necessità di un’apposita clausola statutaria. Coerentemente con tale possibilità concessa anche alle Srl la risoluzione n. 54/E/2009 ha equiparato il trattamento fiscale dei titoli obbligazionari emessi da Spa a quello dei titoli di debito emessi dalle Srl. Nel caso in questione l’Agenzia delle entrate ha affermato che, al fine di verificare il trattamento fiscale applicabile ai titoli di debito emessi dalle Srl, occorre verificare se gli stessi rientrino nella definizione “titoli similari alle obbligazioni” e lo sono se rispettano due condizioni (articolo 44, comma 2, lett. c): • Sono titoli di massa – ossia emessi in grandi quantità, omogenei e basati su un’unica operazione

economica, oggettivamente idonei alla circolazione presso il pubblico;

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• Contengono un’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore al quella indicata, senza implicare un diritto a partecipare alla gestione dell’impresa.

Se rispettano le suddette due condizioni, le obbligazioni emesse dalle Srl possono essere considerate “similari” alle obbligazioni emesse dalle Spa, quindi con il medesimo trattamento fiscale. Ai sensi del comma 2, articolo 44, Tuir, lett. a) sono considerati invece similari alle azioni: i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società di capitali, cooperative e di mutua assicurazione, da enti pubblici e privati commerciali e da società ed enti non residenti la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di società del gruppo o dell’affare, tuttavia a condizione che la remunerazione degli strumenti finanziari emessi da società estere sia totalmente indeducibile dal reddito della società estera emittente e tale indeducibilità risulti da una dichiarazione dell’emittente che abbia elementi certi e precisi. La circolare 4/E/2006 ha chiarito che, per poter fruire dello stesso trattamento fiscale degli utili, in passato i proventi erogati da soggetti esteri dovessero derivare da strumenti finanziari con le caratteristiche “equity”, ossia non di titoli di debito. Quindi, mentre per i titoli emessi da residenti era sufficiente il legame della remunerazione ai risultati economici dell’impresa/società del gruppo/affare, pertanto il titolo era considerato “partecipativo” e poteva incorporare anche una quota di finanziamento, per i titoli emessi da non residenti era necessario che, oltre al legame della remunerazione ai risultati economici, non potessero contenere una componente di finanziamento. Ad oggi non è più così. La Circolare suddetta ha infatti chiarito che, per parità di trattamento tra gli strumenti finanziari emessi da residenti e da non residenti, i titoli emessi da questi ultimi non debbano necessariamente rispettare le caratteristiche di “equity”, potendo quindi incorporare anche un rapporto di mutuo purché vengano rispettate le seguenti condizioni: • La remunerazione deve essere interamente costituita da utili, ossia deve rappresentare l’effettiva

partecipazione ai risultati economici dell’emittente/società del gruppo/affare; • La partecipazione deve essere effettiva, quindi non è sufficiente legarla a parametri finanziari (per

esempio un indice, dei prezzi ecc.); • la remunerazione dello strumento finanziario emesso dal soggetto estero deve essere

indeducibile dal reddito del soggetto stesso e l’indeducibilità deve risultare da una dichiarazione, ove per tale può essere sufficiente l’attestazione della società, anche non asseverata, oppure la dichiarazione dei redditi, o un’attestazione dell’autorità fiscale estera o anche la sussistenza di disposizioni normative inequivocabili in termini di indeducibilità. Tale documentazione deve essere richiesta dal sostituto d’imposta che riscuote gli utili ai fini di applicare la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (se relativi a partecipazioni non qualificate).

Tassazione I proventi delle obbligazioni costituiscono redditi di capitale nel periodo d’imposta in cui vengono percepiti (principio di cassa) senza alcuna deduzione. Il trattamento fiscale di tali proventi si differenzia a seconda del soggetto che le ha emesse: • Obbligazioni emesse da società non quotate; • Obbligazioni emesse da banche o società quotate (cosiddetti grandi emittenti). Obbligazioni emesse da società non quotate La società non quotata che emette obbligazioni deve operare una ritenuta del 20% (26% per gli interessi maturati dall’1/7/14 in poi) con obbligo di rivalsa sugli interessi/proventi corrisposti ai possessori, ai sensi dell’art. 26 co.1 DPR 600/73. Le ritenute sono applicate a titolo d’acconto nei confronti di: • Imprenditori individuali se relativi all’attività d’impresa

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Redditi di capitale

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• Società di persone che esercitano attività commerciale • Società di capitali • Enti commerciali • Stabili organizzazioni di società non residenti A titolo d’imposta se operate nei confronti di: • Persone fisiche non imprenditori • Enti non commerciali • Soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia. Obbligazioni emesse da banche o società quotate Per i cosiddetti grandi emittenti occorre effettuare un’ulteriore distinzione per definire il trattamento fiscale degli interessi: • Percipienti “nettisti”: sono quei soggetti ai quali viene applicata un’imposta sostitutiva del 20%

(26% sui proventi maturati a decorrere dall’1/7/14) che esclude ulteriori prelievi e in tal modo il nettista non deve indicare tali redditi in dichiarazione. I percipienti nettisti sono: persone fisiche imprenditori e non, società semplici e associazioni professionali, enti non commerciali, soggetti esenti da IRES. Se un nettista esercita un’attività commerciale gli interessi percepiti, anche se assoggettati a imposta sostitutiva, concorrono a formare il reddito d’impresa e l’imposta assume la funzione di acconto.

• Percipienti “lordisti”: sono quei soggetti che incassano gli interessi al lordo di ritenute o imposte sostitutive, tali redditi verranno tassati in dichiarazione. I lordisti sono tipicamente le società di persone, le società di capitali, gli enti pubblici e privati che svolgono attività commerciale ecc.

Percipienti non residenti: non viene applicata l’imposta sostitutiva se sono residenti in white list e se depositano le obbligazioni presso una banca residente e il soggetto stesso emette un’autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti per fruire dell’esonero. A titolo esemplificativo, si ipotizzi un’obbligazione bancaria acquistata l’1.03.2014 al valore nominale di 100.000 euro, tasso semestrale pari al 6%, cedole scadenti 1.03 – 1.09 e il percipiente è una persona fisica (nettista). A giugno (3 mesi dopo l’acquisto) il percipiente avrà un addebito di 600 euro (20% di 3.000 che sono il 3% di 100.000, poiché i mesi sono 3, non 6, per gli interessi maturati fino al 30.06.2014) e un accredito di 780 euro (26% di 3.000) poi all’1.09.2014 l’intera cedola semestrale subirà l’imposta sostitutiva del 26% di 6.000, ossia 1.560 euro. 3. Rendite perpetue e prestazioni annue perpetue

Le rendite perpetue sono disciplinate civilisticamente dall’articolo 1861 codice civile: “Col contratto di rendita perpetua una parte conferisce all'altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell'alienazione di un immobile o della cessione di un capitale. La rendita perpetua può essere costituita anche quale onere dell'alienazione gratuita di un immobile o della cessione gratuita di un capitale”. Mentre le prestazioni annue perpetue dall’articolo 1869 codice civile: “Le disposizioni degli articoli 1864, 1865, 1866, 1867 e 1868 si applicano a ogni altra annua prestazione perpetua costituita a qualsiasi titolo, anche per atto di ultima volontà”. Costituiscono redditi di capitali quei contratti attraverso i quali una parte conferisce all’altra il diritto ad una prestazione periodica perpetua, che può essere di denaro, o di altre tipologie di introiti; tuttavia, per essere considerata reddito di capitale, deve essere un diritto che non decade in futuro, un diritto che durerà per sempre.

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Il medesimo trattamento si applica a tutte le prestazioni perpetue, ossia prestazioni caratterizzate dalla mancanza di una scadenza futura. Tassazione Tali redditi sono tassati secondo il principio di cassa, criterio generale nella tassazione dei redditi di capitale, ossia al momento dell’effettiva percezione senza considerare alcuna deduzione. 4. Compensi per prestazioni di fideiussione o altra garanzia

Il contratto di fideiussione è un contratto attraverso il quale il fideiussore garantisce l’obbligazione di un soggetto debitore nei confronti del creditore, impegnandosi ad adempiere all’obbligazione in caso di inadempienza del debitore. Costituisce una garanzia ulteriore per il pagamento del debito in oggetto. Tra le altre tipologie di garanzia rientrano il pegno e l’ipoteca, entrambi diritti reali di garanzia costituiti in favore di un creditore al fine di garantire il pagamento del credito. L’ipoteca ha solitamente ad oggetto beni immobili, attraverso la cui vendita forzata, in caso di insolvenza del debitore, si garantisce l’adempimento dell’operazione, il pegno ha invece ad oggetto beni mobili o crediti, vendendo i quali anche in questo caso si garantisce il creditore. Tassazione Anche i redditi derivanti da queste prestazioni di garanzia vengono tassati per cassa nel periodo d’imposta in cui vengono percepiti, senza alcuna deduzione. 5. Utili da partecipazione al capitale o al patrimonio di società/enti soggetti a Ires

In questa categoria di redditi di capitale rientrano i dividendi derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società o enti soggetti all’Ires, esclusi gli utili spettanti ai promotori e fondatori di società di capitali che costituiscono redditi di lavoro autonomo. Pertanto conditio sine qua non, per classificare i dividendi tra i redditi di capitale, è la partecipazione al capitale o patrimonio sociale, a prescindere dalla qualifica soggettiva rivestita dal soggetto percettore degli utili, così come afferma la risoluzione n. 103/E/2012. Nel tal caso si trattava il rapporto tra redditi di capitale e redditi da lavoro dipendente. La partecipazione agli utili si esplicava non dovesse essere subordinata all’esistenza di un rapporto di lavoro, visto che la partecipazione sarebbe potuta rimanere anche in caso di licenziamento; infatti la qualifica di lavoratore dipendente rileva solo all’offerta delle azioni, nella fase successiva non vi è alcun rapporto tra le due circostanze ed eventuali dividendi costituiranno comunque redditi di capitale, così come i proventi derivanti dalla cessione della partecipazione costituiranno redditi diversi. L’unica condizione da verificarsi è la partecipazione al capitale/patrimonio sociale; sono da escludersi, pertanto, proventi che non nascano da una partecipazione. Seguendo questa logica quindi anche la partecipazione di un soggetto terzo a patrimoni destinati a uno specifico affare saranno considerati redditi di capitale, se il terzo assume la qualifica di socio; al contrario, il soggetto che offre opere e servizi a fronte di strumenti finanziari vede la remunerazione alla sua prestazione deducibile in capo all’emittente, pertanto il provento sarà per lui riconducibile alla categoria dei redditi d’impresa (se svolge attività d’impresa) o di lavoro autonomo. I dividendi appartenenti a questa categoria subiscono una diverso trattamento fiscale a seconda della qualifica soggettiva del percettore, della qualificazione o meno della partecipazione e della residenza del soggetto che eroga i dividendi, nonché dell’esercizio di percezione del dividendo.

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Redditi di capitale

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Percettore persona fisica non imprenditore Anzitutto occorre esplicitare la differenza tra partecipazione qualificata e partecipazione non qualificata, poiché la percentuale di partecipazione è il primo distinguo che fa scattare differenti tipologie di tassazione. Le partecipazioni si definiscono qualificate quando: - Attribuiscono una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria superiore al

20%, se le società partecipate non sono quotate, 2% se sono quotate; - Attribuiscono una partecipazione al capitale, o patrimonio sociale, superiore al 25% nel caso di

partecipate non quotate, 5% se quotate. Si definiscono invece non qualificate quando: - Attribuiscono una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria inferiore o

uguale al 20%, se le società partecipate non sono quotate, 2% se sono quotate; Attribuiscono una partecipazione al capitale o patrimonio sociale inferiore o uguale al 25% nel caso di partecipate non quotate, 5% se quotate. Quindi, nel caso in cui il soggetto percettore del dividendo sia una persona fisica che non esercita attività d’impresa, occorre specificare la residenza della società che eroga i dividendi che saranno per la persona fisica qualificati come redditi di capitale. Società partecipata italiana: • I dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate: sono assoggettati a ritenuta a titolo

d’imposta del 20% (26% per i dividendi percepiti dall’1.07.2014 in poi). Essendo assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta, tali utili non dovranno essere indicati in dichiarazione dei redditi; inoltre la percentuale della ritenuta da applicare segue il principio di cassa, pertanto per gli utili percepiti fino al 30.06.2014 si applica la ritenuta del 20%, mentre per quelli percepiti dall’1.07.2014 in poi del 26%, a prescindere dalla data di delibera di distribuzione dei dividendi e, a differenza del passato, l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta non è più facoltativa, ossia su opzione del contribuente, ma obbligatoria;

• I dividendi derivanti da partecipazioni qualificate: concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% dell’ammontare percepito (40% per i redditi prodotti fino al 31.12.2007) e sul dividendo non deve essere applicata alcuna ritenuta. La percentuale del 49,72% si applica a partire dalle delibere di distribuzione degli utili successive al 31.12.2007, mentre per gli utili prodotti fino all’esercizio 2007 si applica l’aliquota del 40%. Ai fini della distribuzione degli utili, per valutare quale delle due aliquote utilizzare, si considerano distribuiti prioritariamente gli utili formati fino al 31.12.2007, ossia gli utili ante 2008, che quindi saranno tassati nel limite del 40%.

Esemplificando, una società nel corso dell’esercizio 2010 distribuisce 50.000 euro di utili. Le riserve di utili ammontano a 80.000 euro di cui 40.000 sono costituite da utili formatisi ante 2008. I 50.000 euro concorreranno, in capo al socio persona fisica con partecipazione qualificata, nel limite del: • 40% di 40.000 = 16.000 euro; • 49,72% di 10.000 = 4.972 euro. La considerazione prioritaria degli utili formatisi ante 2008 si applica sia alla distribuzione di riserve, ma anche alla distribuzione di utili. In caso di distribuzione di riserve di capitali si devono considerare distribuiti prioritariamente gli utili e le riserve di utili. Società partecipata estera: • I dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate: sono assoggettati a ritenuta a titolo

d’imposta del 20% (26% dal 1.07.2014) che viene operata dal sostituto d’imposta residente che interviene per riscuotere il reddito, oppure, se il percipiente incassa direttamente il dividendo, lui stesso si occupa dell’autoliquidazione della ritenuta in sede di dichiarazione dei redditi. La ritenuta alla fonte deve essere operata “al netto di frontiera”, ossia sull’ammontare dei dividendi

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al netto delle ritenute già operate nello stato estero. Le ritenute estere possono risultare anche maggiori rispetto a quelle nazionali, perciò l’eccedenza può essere chiesta a rimborso e costituire un componente positivo sul quale si applica la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta italiana;

• I dividendi derivanti da partecipazioni qualificate: concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% (40% per gli utili prodotti fino al 31.12.2007) sul quale l’intermediario italiano, che si occupa della riscossione del dividendo, applica una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto del 20% (26% dall’1.07.2014). Anche questa ritenuta è applicata “al netto di frontiera”, pertanto l’eventuale rimborso della maggiore ritenuta applicata dallo stato estero costituisce un componente positivo non imponibile, poiché il percipiente può comunque scomputarsi le imposte estere solo nella stessa misura in cui il dividendo è soggetto a tassazione in Italia (quindi nel limite del 49,72%). Per esempio il dividendo di 10.000 percepito da un soggetto persona fisica concorrerà nel limite del 49,72%, quindi nel limite di 4.972 euro, sui quali si applicherà la ritenuta del 26% (se percepiti dopo l’1.07.2014) pari a 1.292,72 euro.

• I dividendi derivanti da partecipazioni in società residenti in Stati black list: concorrono integralmente alla formazione del reddito del percipiente e su tale dividendo l’intermediario, che interviene nella riscossione dello stesso, applica una ritenuta: - a titolo d’acconto nella misura del 20% (26% dall’1.07.2014) per le partecipazioni qualificate

e per le non qualificate in società non quotate; - a titolo d’imposta nella misura del 20% (26% dall’1.07.2014) per le partecipazioni non

qualificate in società quotate. Il percipiente potrà quindi scomputarsi le imposte pagate all’estero nella stessa misura in cui il reddito concorre in Italia, ossia al 100%. La tassazione integrale del dividendo non si applica se opera la disciplina CFC, che implica un’imputazione per trasparenza direttamente in capo al socio dei dividendi a prescindere dalla percezione. Il percipiente può, mediante interpello in Agenzia delle entrate, chiedere la disapplicazione della tassazione integrale dei paradisi fiscali dimostrando alternativamente che: - la partecipata svolge in via principale un’effettiva attività industriale o commerciale; - dalle partecipazioni possedute non consegue l’effetto di localizzare fin dall’inizio i redditi in

Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati.

RIEPILOGO SCHEMATICO DIVIDIENDI PERCEPITI DALLA PERSONA FISICA NON IMPRENDITORE

% partecipazione Partecipata residente Partecipata estera Partecipata black list

Qualificata

Concorre alla formazione del reddito nel limite del 49,72%

(o 40%)

Concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% (o 40%) sul quale si

applica una ritenuta a titolo d’acconto al

netto di frontiera del 20% (26%)

Concorrono al 100% sul quale si applica una

ritenuta a titolo d’acconto del 20%

(26%). Stesso trattamento per le

partecipazioni qualificate in società

non quotate

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Redditi di capitale

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Non qualificata Ritenuta a titolo

d’imposta del 20% (26%)

Ritenuta a titolo d’imposta del 20%

(26%)

Concorrono al 100% sul quale si applica una

ritenuta a titolo d’imposta del 20%

(26%) se la partecipata è quotata

Percettore imprenditore e società di persone I dividendi percepiti da persone fisiche che esercitano attività d’impresa o da società in nome collettivo, società in accomandita semplice, ossia in genere le società di persone, costituiscono reddito d’impresa in funzione della “vis attractiva” di tale categoria quando si esercita un’attività d’impresa. Tassazione Tali redditi quindi non costituiscono redditi di capitale ma redditi d’impresa e concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 49,72% (40% per utili prodotti fino al 31.12.2007), ai sensi dell’articolo 59 Tuir; pertanto la tassazione effettiva andrà da un minimo di: • 49,72% x 23% (I scaglione Irpef) = 11,44% • 49,72% x 43% (ultimo scaglione Irpef) = 21,38% I redditi percepiti da ditte individuali e società di persone vengono tassati quando percepiti in base al criterio di cassa e non vi è distinzione in termini di trattamento fiscale tra partecipazione qualificata e partecipazione non qualificata, né si applica alcuna ritenuta alla fonte, né è rilevante la residenza o meno della società partecipata. Le eventuali imposte versate all’estero possono essere scomputate dalle imposte nazionali nella stessa misura in cui il reddito concorre a tassazione (49,72%). Unica distinzione va fatta se si ha una partecipazione in una società residente in un paradiso fiscale, in tal caso il dividendo percepito risulta tassabile sul 100% dell’importo ricevuto e il credito per imposte estere invece si assume al 100% così come integrale è la tassazione del dividendo. Tuttavia ai sensi dell’articolo 47, quarto comma, Tuir, sempre possibile resta l’interpello per ottenere la disapplicazione della tassazione integrale dimostrando, salvo che non si applichi la disciplina CFC, che dalla partecipazione non si sia conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati black list.

RIEPILOGO SCHEMATICO DIVIDIENDI PERCEPITI DALLA IMPRENDITORE INDIVIDUALE,

SOCIETÀ DI PERSONE

% partecipazione Partecipata residente Partecipata estera Partecipata black list

Qualificata e non qualificata

Concorre alla formazione del reddito nel limite del 49,72% (o 40%)

Concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% (o 40%)

Concorrono alla formazione del reddito al 100%

Percettore società di capitali I dividendi percepiti da tali società in forza della vis attractiva sopra citata vengono classificati come redditi d’impresa.

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Tassazione Tali redditi vengono assoggettati a tassazione quando percepiti secondo il principio di cassa, che quindi nell’alveo del reddito d’impresa in cui opera il principio di competenza, costituiscono un’eccezione che va rilevata generando una variazione in aumento in dichiarazione dei redditi per i dividendi deliberati ma non ancora effettivamente percepiti. Tali dividendi percepiti sono assoggettati a tassazione nel limite del 5% onde evitare duplicazioni d’imposta. Il 95% dell’importo è esente da tassazione in quanto il principio alla base dell’esenzione sta nella tassazione del reddito al momento della sua produzione e non alla distribuzione, pertanto tale reddito verrebbe tassato con l’aliquota IRES del 27,5% in capo alla società produttrice e poi ulteriormente tassato in capo al percettore; onde evitare questa duplicazione il dividendo in capo al percettore è quasi integralmente esente. Così come la tassazione del dividendo è pari al 5% anche il credito per imposte pagate all’estero sarà pari al 5%, viceversa se il dividendo proviene da una società residente in un paradiso fiscale il dividendo sarà imponibile al 100% così come anche il credito per imposte estere sarà pari al 100%.

RIEPILOGO SCHEMATICO DIVIDIENDI PERCEPITI DA SOCIETÀ DI CAPITALI E DA ENTI NON COMMERCIALI

Tipologia Partecipata residente Partecipata estera Partecipata black list

Società di capitali Esenti al 95% Esenti al 95% Concorrono

alla formazione del reddito al 100%

Percettore ente non commerciale La tassazione dei dividendi percepiti da enti non commerciali con la Legge di stabilità 2015 è cambiata radicalmente. Fino ad allora infatti il trattamento fiscale dei dividendi percepiti da tali enti era assimilato a quello dei dividendi percepiti dalle società di capitali, in attesa di ricomprendere gli enti non commerciali nell’alveo dei soggetti Irpef, quindi era prevista un’esenzione del 95% del reddito percepito. Con la L. 190/2014 tale esenzione è scesa al 22,26% (articolo 1, comma 655, L. 190/2014) pertanto l’ammontare soggetto a tassazione è salito dal 5% al 77,74%, provocando un aggravio fiscale molto ingente per gli enti non commerciali, nonché una disparità di trattamento con le plusvalenze. Esemplificando, l’ente commerciale che percepisca nell’esercizio 10.000 euro di dividendi porterà a tassazione non più il 5% di 10.000 = 500 euro, bensì il 77,74% di 10.000 = 7.774 euro.

Tipologia Partecipata residente Partecipata estera Partecipata black list

Enti non commerciali Esenti al 22,26% Esenti al 22,26% Concorrono

alla formazione del reddito al 100%

6. Utili da associazione in partecipazione e da contratti di cointeressenza agli utili

Dal punto di vista fiscale gli utili da associazione in partecipazione e dai contratti di cointeressenza agli utili vengono assimilati agli utili derivanti dalla partecipazione al capitale/patrimonio sociale, seppur i contratti di associazione in partecipazione non conferiscano all’associato un diritto di

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partecipazione al capitale dell’associante. Per l’associante, ossia colui che attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa, il dividendo erogato all’associato che apporta capitale, o lavoro e capitale, è indeducibile, mentre in capo all’associato è assoggettato a tassazione come reddito di capitale, Inoltre l’articolo 47, comma 2, Tuir afferma che la remunerazione dei contratti di associazione in partecipazione e i contratti di cointeressenza agli utili concorrono a formare il reddito imponibile nella stessa percentuale degli utili da partecipazione di cui al comma 1. Il contratto di associazione in partecipazione è disciplinato dall’articolo 2549 codice civile, ossia è quel contratto attraverso il quale l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa, o di un affare, in cambio di un apporto da parte dell’associato, che può essere: - di capitali; - d’opera o servizi (non eseguiti da persona fisica a seguito delle novità introdotte dal Jobs Act nel

2015). Solo nel primo caso (o in caso di apporto misto di capitali e opere) gli utili da associazione in partecipazione si configurano quali redditi di capitali, nel secondo infatti, essendo che l’apporto di opera o servizi si configura quale reddito d’impresa o di lavoro autonomo in capo all’associato, la remunerazione è deducibile in capo all’associante. Va ricordato che, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 53 D.Lgs. 81/2015 (Jobs Act) i nuovi contratti di associazione in partecipazione non potranno prevedere, nemmeno in parte, un apporto di lavoro; quindi la disciplina dei redditi di capitale afferente in contratti ad apporto misto potrà essere applicata solo per i contratti in essere al 25.6.2015 e fino a quando essi saranno conclusi. L’associato può essere sia persona fisica, che imprenditore o lavoratore autonomo, che società o ente, l’associante invece deve essere un lavoratore autonomo o imprenditore individuale o società ed è lui che si occupa della gestione dell’azienda, nonché è il titolare di diritti e doveri verso i terzi che intrattengono rapporti con l’azienda. L’associato partecipa in egual misura a utili e perdite aziendali, salvo patto contrario, ma, per quanto riguarda le perdite, nel limite dell’apporto conferito. Una particolare tipologia di associazione in partecipazione è costituita dal contratto di cointeressenza agli utili che può assumere due sotto varianti: - Contratto di cointeressenza impropria (articolo 2554, comma 1 prima parte): l’associato effettua il

suo apporto e di contro partecipa solo agli utili e non alle perdite - Contratto di cointeressenza propria (articolo 2554, comma 1 seconda parte): l’associato partecipa

a utili e a perdite ma senza la necessità di conferire un apporto Percettore persona fisica non imprenditore Come suddetto tali redditi sono assoggettati al medesimo trattamento fiscale dei dividendi da partecipazioni, pertanto preliminarmente occorre distinguere le soglie di qualificazione o meno della partecipazione dell’associato. La partecipazione si definisce qualificata quando: - Per le società in contabilità ordinaria: il valore dell’apporto dell’associato è superiore al 5% (per le

quotate) o 25% (per le non quotate) del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della stipula del contratto;

- Per le società in contabilità semplificata: il valore dell’apporto è superiore al 25% della sommatoria delle rimanenze finali e del costo complessivo dei beni ammortizzabili al netto degli ammortamenti.

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La partecipazione si definisce non qualificata quando: - Per le società in contabilità ordinaria: il valore dell’apporto dell’associato è inferiore o uguale al

5% (per le quotate) o 25% (per le non quotate) del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della stipula del contratto

- Per le società in contabilità semplificata: il valore dell’apporto è inferiore o uguale al 25% della sommatoria delle rimanenze finali e del costo complessivo dei beni ammortizzabili al netto degli ammortamenti.

Tassazione La tassazione di questi redditi avviene secondo il principio di cassa, ossia al momento della percezione. La remunerazione è tassabile in capo all’associato con le limitazioni sotto citate, in capo invece all’associante il costo non è deducibile (sempre quando l’apporto sia di capitali o misto), ai sensi dell’articolo 109, comma 9, lett. b), Tuir. Associante residente: • Gli utili derivanti da partecipazioni non qualificate: sono assoggettati a ritenuta a titolo

d’imposta del 20% (26% per gli utili percepiti dall’1.07.2014 in poi). Essendo assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta, tali utili non dovranno essere indicati in dichiarazione dei redditi, inoltre la percentuale della ritenuta da applicare segue il principio di cassa; pertanto, per gli utili percepiti fino al 30.06.2014 si applica la ritenuta del 20%, mentre per quelli percepiti dall’1.07.2014 in poi del 26%, a prescindere dalla data di delibera di distribuzione dei dividendi e, a differenza del passato, l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta non è più facoltativa, ossia su opzione del contribuente, ma obbligatoria. Inoltre questa ritenuta si applica anche alle ditte individuali e alle società di persone.

• Gli utili derivanti da partecipazioni qualificate: concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% dell’ammontare percepito (40% per i redditi prodotti fino al 31.12.2007) e sul dividendo non deve essere applicata alcuna ritenuta. La percentuale del 49,72% si applica a partire dalle delibere di distribuzione degli utili successive al 31.12.2007, mentre per gli utili prodotti fino all’esercizio 2007 si prende l’aliquota del 40%. Ai fini della distribuzione degli utili per valutare quale delle due aliquote utilizzare si considerano distribuiti prioritariamente gli utili formati fino al 31.12.2007, ossia gli utili ante 2008, che quindi saranno tassati nel limite del 40%.

Associante estero: • Gli utili derivanti da partecipazioni non qualificate: sono assoggettati a ritenuta a titolo

d’imposta del 20% (26% dal 1.07.2014) che viene operata dal sostituto d’imposta residente che interviene per riscuotere il reddito oppure se l’associato incassa direttamente il dividendo lui stesso si occupa dell’autoliquidazione della ritenuta in sede di dichiarazione dei redditi. La ritenuta alla fonte deve essere operata “al netto di frontiera”, ossia sull’ammontare dei dividendi al netto delle ritenute già operate nello stato estero. Le ritenute estere possono risultare anche maggiori rispetto a quelle nazionali, perciò l’eccedenza può essere chiesta a rimborso e costituire un componente positivo sul quale si applica la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta italiana.

• Gli utili derivanti da partecipazioni qualificate: concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% (40% per gli utili prodotti fino al 31.12.2007) sul quale l’intermediario italiano che si occupa della riscossione applica una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto del 20% (26% dall’1.07/.2014). Anche questa ritenuta è applicata “al netto di frontiera”, pertanto l’eventuale rimborso della maggiore ritenuta applicata dallo stato estero costituisce un componente

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Redditi di capitale

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positivo non imponibile poiché l’associato può comunque scomputarsi le imposte estere nella stessa misura in cui il dividendo è soggetto a tassazione in Italia (quindi nel limite del 49,72%). Come chiarito dalla circolare n. 4/E/2006 per subire questa tassazione la remunerazione deve essere strettamente collegata ai risultati economici dell’associante estero e quest’ultimo deve rilasciare una dichiarazione (o un documento con elementi certi e precisi) attestante l’indeducibilità della remunerazione dal suo reddito.

• Gli utili derivanti da partecipazioni in associanti residenti in Stati black list: concorrono integralmente alla formazione del reddito del percipiente e su tale dividendo l’intermediario che interviene nella riscossione dello stesso applica una ritenuta: - A titolo d’acconto nella misura del 20% (26% dall’1.07.2014) per le partecipazioni

qualificate e per le non qualificate in società non quotate; A titolo d’imposta nella misura del 20% (26% dall’1.07.2014) per le partecipazioni non qualificate in società quotate. Il percipiente potrà quindi scomputarsi le imposte pagate all’estero nella stessa misura in cui il reddito concorre in Italia, ossia al 100%. La tassazione integrale del dividendo non si applica se opera la disciplina CFC che implica un’imputazione per trasparenza direttamente in capo all’associato dei dividendi a prescindere dalla percezione. Il percipiente può, mediante interpello all’Agenzia delle entrate, chiedere la disapplicazione della tassazione integrale dei paradisi fiscali dimostrando alternativamente che l’associante ha prodotto il reddito per più del 75% fuori da Paesi black list. Percettore imprenditore individuale e società di persone Lo stesso trattamento fiscale riservato ai dividendi da partecipazione si applica anche agli utili da associazione e da cointeressenza, quindi, nel caso in cui il percettore sia una ditta individuale o società di persone, concorrerà nel limite del 49,72% (40%) quando percepito e, nello stesso limite, si scomputeranno eventuali imposte pagate all’estero per la partecipazione in un associante estero. Percettore società di capitali Allo stesso modo l’utile derivante da associazione o da cointeressenza è esente nella misura del 5%, così come la tassazione del dividendo è pari al 5% anche il credito per imposte pagate all’estero sarà pari al 5%; viceversa, se il dividendo proviene da un associante residente in un paradiso fiscale, il dividendo sarà imponibile al 100% così come anche il credito per imposte estere sarà pari al 100%. Irap Ai fini Irap le remunerazioni derivanti da contratti di associazione in partecipazione con apporti di capitali, o apporto misto di capitale e lavoro, per l’associante non possono configurarsi quali costi di esercizio rilevanti ai fini della determinazione del valore della produzione netta, così come espresso nella risoluzione n. 62/E/2005, tali compensi non possono quindi essere dedotti dalla base imponibile ai fini Irap. Iva Ai fini Iva la remunerazione erogata a favore dell’associato non è rilevante poiché costituisce una cessione di denaro, ai sensi dell’articolo 2 D.P.R. 633/1972. Se, invece, l’associato apportasse dei beni a prezzi di favore, si avrebbe un’operazione rilevante ai fini Iva, ossia una cessione di beni a titolo oneroso, come chiarito dalla risoluzione n. 62/E/2005 e il valore del bene dovrebbe essere pari al valore normale. Per quanto riguarda la disciplina fiscale della cointeressenza agli utili, va subito chiarito che non opera la indeducibilità del compenso spettante al cointeressato di cui all’articolo 109, comma 9,

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lett. b), Tuir, poiché l’indeducibilità è legata all’esecuzione di un apporto diverso da opera e servizi. È evidente che ci si sta riferendo alla forma “propria” della cointeressenza, unica situazione in cui è assente l’apporto. Conseguenza di ciò è che non è possibile, letteralmente, applicare il disposto dell’articolo 109 Tuir: d’altra parte l’indeducibilità del compenso è legata alla assimilazione tra associato/cointeressato e socio di società, per cui l’apporto o meno di equity risulta lo spartiacque tra la fiscalità dell’associazione in partecipazione e quella della cointeressenza agli utili. Dal punto di vista del soggetto cointeressato, nella veste di persona fisica, il reddito ritratto assume la configurazione di reddito da capitale. Lo dispone l’articolo 44, lett. f), Tuir che cita indiscriminatamente l’associazione in partecipazione e il contratto di cointeressenza, poi però la differenza di trattamento tra i due istituti è rinvenibile nell’articolo 47, comma 2, Tuir che statuisce la riconducibilità del compenso al dividendo solo per i contratti di associazione in partecipazione o cointeressenza “impropria”, cioè dove vi è apporto di capitale. Nella cointeressenza propria non vi è apporto di capitale e da ciò consegue che il reddito sia tassato per cassa, senza alcuna riduzione in base al disposto dell’articolo 45, comma 1, primo periodo Tuir. Nel caso in cui si verificasse una perdita che il cointeressato debba coprire, se questi assume la veste di persona fisica, l’esborso non avrà riconoscimento fiscale, mentre se il rapporto avviene tra imprese, il componente positivo beneficiato dal cointeressante avrà come contropartita la deducibilità dell’esborso dovuto dal cointeressato. Il tutto regolato, si ritiene, dal principio di competenza, che rappresenta la regola base che disciplina la fiscalità del reddito d’impresa. Il ruolo dell’impresa cointeressante quale sostituto d’imposta va inquadrato in funzione della tipologia di reddito erogato. Posto che il cointeressato deve essere persona fisica (altrimenti non si porrebbe il problema della ritenuta d’acconto), il reddito ritratto e sì di capitale ma non rientra negli utili da partecipazione (dividendi). Da ciò deriva che la ritenuta d’acconto è regolata dall’articolo 26 D.P.R. 600/1973, da effettuarsi nella misura del 20% a partire dal 2012 (e 26% dall’1.07.2014) misura elevata dall’articolo 2 D.L. 138/11 rispetto alla vecchia aliquota del 12,5%.

7. Proventi dalla gestione di masse patrimoniali di denaro o beni affidati da terzi

Sono considerati redditi di capitale i proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi collettivi di risparmio; non rientrano, invece, in tale categoria i proventi derivanti da fondi comuni d’investimento (soggetti a imposta sostitutiva). Tassazione Sono assoggettate a tassazione, attraverso applicazione della ritenuta alla fonte, le somme percepite nel periodo d’imposta senza alcuna deduzione, a prescindere dall’esistenza o meno di un rapporto di mandato tra percipiente e organismo di gestione. Viene ricompresa nell’importo soggetto a tassazione anche la differenza tra somme percepite alla scadenza e somme affidate in gestione. Ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 17 tali proventi possono essere assoggettati a tassazione separata. 8. Proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute

Tali redditi, derivanti da operazioni di pronti contro termine, in passato erano ricondotti alla fattispecie dei redditi diversi, ad oggi invece sono attratti nella categoria dei redditi di capitale, poiché lo scopo dell’operazione non è il trasferimento della proprietà del titolo o del denaro ma l’impiego di capitale a titolo temporaneo.

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I pronti contro termine infatti sono quei contratti attraverso i quali il venditore cede dei titoli all’acquirente (a pronti) e lo stesso venditore si obbliga a riacquistarli a una data e un prezzo predeterminati (a termine). I riporti sono contratti simili ai pronti contro termine attraverso i quali una parte, il riportato, trasferisce ad un'altra parte, il riportatore, la proprietà di titoli di credito di una tale specie ad un tale prezzo e si assume l'obbligo di trasferire al riportato alla scadenza del termine la proprietà di altrettanti titoli della medesima specie, verso rimborso del prezzo, che può essere aumentato o diminuito. Non sono invece considerati redditi di capitali i proventi derivanti dalla cessione a termine di obbligazioni e di valute. Tassazione Sono assoggettate a ritenuta alla fonte le somme percepite nel periodo d’imposta senza alcuna deduzione, la base imponibile, ai sensi dell’articolo 45, comma 1, Tuir, è il differenziale positivo tra i corrispettivi globali del trasferimento di titoli e le valute sottratti gli interessi e gli altri proventi non rappresentativi di partecipazioni maturati durante il rapporto, esclusi i redditi esenti dalle imposte sui redditi. 9. Proventi dal mutuo di titoli garantiti L’operazione di mutuo di titoli garantito è un’operazione di prestito titoli che consiste nella consegna da parte del mutuante di titoli di credito fungibili al mutuatario. Il mutuatario quindi paga un compenso al mutuante e al termine del contratto restituisce i titoli. A garanzia dell’operazione il mutuatario versa in banca un importo pari alla sommatoria del valore dei titoli ed un surplus (detto margine). Alla data di estinzione il mutuante riceve un compenso che è soggetto a ritenuta. Tassazione Ai sensi dell’articolo 47, comma 1, Tuir gli interessi e altri proventi dei titoli maturati nel periodo d’imposta sommati al compenso ricevuto dal mutuante sono assoggettati a tassazione come i precedenti mediante applicazione della ritenuta alla fonte del 20% (26% dal 1.07.2014). Tale ritenuta viene operata a titolo d’imposta o di acconto a seconda della qualifica del soggetto che percepisce gli interessi (articolo 26, quarto comma, D.P.R. 600/1973). A titolo di acconto nei confronti di: • Imprenditori individuali se relativi all’attività d’impresa; • Società di persone che esercitano attività commerciale; • Società di capitali; • Enti commerciali; • Stabili organizzazioni di società non residenti. A titolo d’imposta negli altri casi: • Persone fisiche non imprenditori; • Enti non commerciali; • Soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia.

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10. Redditi compresi in capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione

I proventi derivanti dai contratti di assicurazione sono costituiti dal capitale o dalla rendita che viene corrisposta al contraente o al terzo al verificarsi dell’evento attinente la vita dell’assicurato per il quale è stata aperta la polizza. Tali assicurazioni possono essere: • Causa morte: il pagamento del capitale pattuito avviene alla morte dell’assicurato; • Causa vita: il pagamento avviene solo se l’assicurato è ancora in vita alla data scelta nel

contratto; • Miste: è la tipologia che presenta sia caratteristiche della prima che della seconda. I contratti di capitalizzazione invece sono quelle polizze assicurative mediante le quali il contraente affida una certa somma di denaro all'assicuratore, il quale si impegna a restituirla ad una scadenza successiva capitalizzata, ovvero aumentata degli interessi maturati nel corso della durata contrattuale e senza alcun vincolo o riferimento alla durata della vita umana. Tassazione Sia per i contratti di assicurazione vita che per quelli di capitalizzazione, ai sensi dell’articolo 45, quarto comma, Tuir, l’importo da assoggettare a tassazione è costituito dalla differenza tra ammontare percepito e ammontare dei premi pagati. Si considera corrisposto anche il capitale convertito in rendita a seguito di opzione. Su tale importo si applica l’imposta sostitutiva nella misura del 20% (26% per i contratti sottoscritti dall’1.07.2014). 11. Redditi da rendimenti delle prestazioni pensionistiche

I proventi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche sono quei componenti positivi che vengono erogati alla scadenza di un fondo pensione. Ossia le somme accumulate negli anni che alla scadenza del fondo vengono liquidate o iniziano a produrre una rendita in capo al sottoscrittore. Le rendite vitalizie con funzione previdenziale invece sono disciplinate dall’articolo 50, comma 1, lett. h), Tuir, distinguendole dalle rendite vitalizie e a tempo determinato. Sono quelle rendite derivanti da contratti di assicurazione sulla vita stipulati con imprese di assicurazione autorizzate dall’ISVAP ad operare nel territorio dello Stato che non consentono il riscatto della rendita successivamente all’inizio dell’erogazione. Non sono considerate assimilate a reddito di lavoro dipendente come le altre rendite vitalizie in quanto appunto hanno una componente previdenziale, vengono pertanto assimilate a redditi di capitale. Tassazione I redditi derivanti da tale categoria, ai sensi dell’articolo 45, comma 4-ter, Tuir sono costituiti dalla differenza tra: • Importo di ciascuna rata di rendita o prestazione pensionistica erogata; • L’importo della rata calcolata tenendo conto dei rendimenti finanziari. Tale differenza viene tassata attraverso un’imposta sostitutiva nella misura del 20% (26% dal 1.07.2014) ai sensi dell’articolo 26-ter, comma 2, D.P.R. 600/1973.

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12. Redditi imputati al beneficiario di trust

I trust sono negozi giuridici che vedono coinvolti tre soggetti: • Disponente; • Trustee; • Beneficiario. Attraverso i trust si instaura un rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e gestore (trustee). Il disponente trasferisce beni di sua proprietà a un trust che, attraverso il trustee, si occupa della gestione e amministrazione dei beni nell’interesse dei beneficiari. L’effetto principale dei trust, come richiamato dalla Circolare n. 61/E/2010, è la segretazione patrimoniale per cui i beni in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto a quello del disponente, del trustee e del beneficiario, pertanto i creditori personali di tali soggetti non possono attaccare i beni del trust. Vi sono alcuni elementi che caratterizzano i trust e gli garantiscono validità giuridica, al mancare dei quali tali negozi sono considerati inesistenti: 1) Separazione dei beni del trust dai beni di: disponente, trustee, beneficiari; 2) Intestazione dei beni al trustee; 3) Potere-dovere del trustee di amministrare, gestire, disporre dei beni. Pertanto non si possono riconoscere i trust istituiti solo per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni, come neppure i trust nei quali il potere di gestione sia in capo al disponente, con la conseguenza che i redditi derivanti da questi beni saranno tassati in capo al disponente. I trust possono essere: • Trasparenti: con beneficiari individuati i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai

beneficiari; • Opachi: senza beneficiari individuati i cui redditi vengono imputati al trust; • Misti. Tassazione I trust sono entrati nell’ordinamento giuridico nel 2007, per cui sono soggetti a Ires: - I trust residenti con oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale; - I trust residenti senza oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale; - I trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato. I redditi conseguiti dai trust con beneficiari individuati, ai sensi dell’articolo 73, comma 2, Tuir, sono imputati ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazioni individuata nel contratto o in mancanza in parti uguali. Il beneficiario individuato deve avere capacità contributiva attuale e deve essere titolare del diritto di pretendere dal trustee il pagamento della sua quota. Ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lett. g-sexies) i redditi imputati ai beneficiari sono qualificati redditi di capitale e tassati secondo il principio di cassa. Trust estero – Beneficiario residente Il reddito imputato da un trust non residente a un beneficiario residente è imponibile in Italia in capo al beneficiario come reddito di capitale. In tal modo non si operano distinzioni discriminatorie tra trust residenti e trust esteri.

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Trust estero – Beneficiario estero Anche in tal caso i redditi imputati da trust residenti a beneficiari non residenti sono tassabili in Italia poiché prodotti in Italia e sono tassabili indipendentemente dalla loro effettiva corresponsione. Anch’essi vengono qualificati tra i redditi di capitale. Trust black list – beneficiario residente I trust residenti in Paesi black list si presumono fiscalmente residenti in Italia se: - Almeno un disponente e un beneficiario sono fiscalmente residenti in Italia; - Un soggetto fiscalmente residente in Italia trasferisce la proprietà/diritti reali immobiliari/vincoli

di destinazione di beni immobili a favore del trust.

13. Interessi e altri proventi da rapporti con oggetto impiego di capitale

La lettera h) dell’articolo 44 Tuir ha una funzione di chiusura, infatti comprende, tra i redditi di capitale, tutti gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi ad oggetto l’impiego di capitale; tuttavia, eccetto quelli attraverso i quali si realizzano differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto. La lettera h) ha quindi una funzione residuale, attraendo a tassazione tutti i redditi che hanno come scopo primario quello di impiegare il capitale, compresi i rapporti che non sono a prestazioni corrispettive, come chiarito dalla circolare n. 165/E/1998, quindi non lo sono per esempio le plusvalenze derivanti dalla cessione onerosa di titoli, in quanto vi è il trasferimento definitivo della proprietà. Tuttavia non tutti i redditi derivanti da rapporti ad oggetto impiego di capitale sono redditi di capitale, infatti sono esclusi i contratti a natura aleatoria, ossia quei contratti ove non si ha la certezza del differenziale che si avrà (positivo o negativo), ossia quei contratti in cui l’entità o addirittura l’esistenza della prestazione è collegata a un evento futuro incerto. Tassazione Gli interessi e altri proventi rientranti in questa categoria vengono tassati per cassa nel periodo d’imposta in qui vengono percepiti, senza alcuna deduzione.

In breve: 1. Interessi e proventi derivanti da mutui, depositi, c/c: tassati nell’esercizio in cui vengono

percepiti, senza deduzioni. Tassati attraverso ritenuta pari al 26% a titolo d’acconto o d’imposta a seconda della qualifica del percipiente.

2. Interessi e proventi di obbligazioni e simili: tassati secondo il principio di cassa. Se le obbligazioni sono emesse da società non quotate: ritenuta del 26% sugli interessi corrisposti. Se emesse dai grandi emittenti:

• Percipiente nettista: imposta sostitutiva del 26%; • Percipiente lordista: tassazione in dichiarazione.

3. Utili da partecipazione: • Percettore persona fisica non imprenditore:

- Partecipazione qualificata da partecipata residente: concorrono al reddito nel limite del 49,72%;

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- Partecipazione qualificata da partecipata estera: concorrono alla formazione del reddito nel limite del 49,72% sul quale si applica una ritenuta a titolo d’acconto al netto di frontiera del 26%;

- Partecipazione qualificata da partecipata black list: Concorrono al 100% sul quale si applica una ritenuta a titolo d’acconto del 20% (26%). Stesso trattamento per le partecipazioni qualificate in società non quotate;

- Partecipazione non qualificata da partecipata residente: Ritenuta a titolo d’imposta del 26%;

- Partecipazioni non qualificata da partecipata non residente: Ritenuta a titolo d’imposta del 26%;

- Partecipazione non qualificata da partecipata black list: Concorrono al 100% sul quale si applica una ritenuta a titolo d’imposta del 26% se la partecipata è quotata;

• Percettore imprenditore individuale e società di persone e semplici: - Partecipata residente: concorrono al reddito nel limite del 49,72%; - Partecipata non residente: concorrono al reddito nel limite del 49,72%; - Partecipata black list: concorrono al 100%;

• Percettore società di capitali: - Partecipata residente: esenti al 95%; - Partecipata non residente: esenti al 95%; - Partecipata black list: concorrono al 100%;

• Percettore ente non commerciale: - Partecipata residente: esenti al 22,26%; - Partecipata non residente: esenti al 22,26%; - Partecipata black list: concorrono al 100%-

4. Utili da associazione in partecipazione e contratti di cointeressenza agli utili: trattamento fiscale assimilato agli utili da partecipazione al capitale/patrimonio di soggetti Ires.

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REDDITI FONDIARI: ASPETTI CRITICI E CASISTICHE PARTICOLARI

La disciplina dei redditi fondiari normalmente non genera grosse problematiche di gestione; si tratta infatti di aspetti che ordinariamente risultano di piana gestione nell’ambito degli Studi Professionali, dove i colleghi sono ben più spesso occupati a gestire problematiche più delicate. Ciò posto, non va trascurato il fatto che anche nell’ambito di tale fattispecie reddituale vi sono aspetti delicati da gestire, che non devono essere snobbati. Nel presente contributo, pertanto, tralasceremo la disciplina “ordinaria” dei redditi fondiari, preferendo piuttosto soffermarci su alcune particolari casistiche che abbiamo ritenuto più opportuno approfondire.

1. Canoni non riscossi

La prima situazione che occorre ricordare parlando di redditi fondiari è una condizione di patologia: fintanto che l’inquilino onora le obbligazioni assunte, la gestione di un fabbricato locato è piuttosto semplice. I problemi sorgono quando l’inquilino cessa i corrispondere il canone pattuito. È infatti noto che i canoni non riscossi, in forza della previsione contenuta nell’articolo 26 Tuir, devono comunque essere dichiarati, indipendentemente dall’effettiva percezione: per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone stesso, la materiale percezione. Aspetto certamente indigesto ai possessori degli immobili, già spesso contrariati per il comportamento reticente dell’inquilino, che devono fronteggiare un prelievo spesso ritenuto ingiusto. Al riguardo va segnalato come la disciplina abbia un sistema di correzione che consente di non tassare (o di recuperare quanto versato) in relazione alle sole locazioni di fabbricati abitativi; purtroppo tale rimedio non è praticabile – e tale aspetto è stato confermato dalla circolare 11/E/2014 - quando ad essere locato è un fabbricato a destinazione diversa, in relazione ai quali l’unica via di uscita è la gestione della risoluzione contrattuale. 1.1 Canoni tassati da contratto In tema di tassazione dei canoni di locazione il riferimento normativo da considerare è l’articolo 26, comma 1, D.P.R. 917/1986, il cui primo periodo afferma: I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall'art. 33, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso.

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Redditi fondiari: aspetti critici e casistiche particolari

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Tale disposizione imputa a chi detiene il diritto reale sull’immobile il reddito che proviene (anche) dalla locazione di esso. Il medesimo primo comma prosegue introducendo una sorta di “via d’uscita” nel caso in cui il locatario risulti moroso: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”. Quindi, a dispetto della regola generale che impone la tassazione del canoni indipendentemente dalla percezione, vengono concesse due soluzioni per non subire tale prelievo: • la prima soluzione permette di risolvere alla radice il problema, evitando di tassare tali canoni; • la seconda soluzione permette invece di recuperare quanto eventualmente già pagato. In particolare, viene esclusa la tassazione di tali (teorici) proventi in presenza delle seguenti condizioni: • quando l’immobile risulta locato a uso abitativo. Si ricorda che rientrano nel concetto di immobili

a uso abitato tutti gli immobili classificati nella categoria catastale A, a eccezione della categoria A/10. Sul punto la norma non fa alcuna distinzione se l’immobile assuma o meno la qualifica di lusso, ma si limita a richiamare la destinazione d’uso. Il riferimento all’uso abitativo pare si debba riferire alla destinazione catastale del fabbricato; risulta dubbia la possibilità di percorrere la strada in commento anche per le locazioni di fabbricati diversi da quelli abitativi, per finalità abitativa (ad esempio un ex ufficio, ancora classato A/10, locato a inquilino che lo utilizza come abitazione).

• il conduttore dell’immobile risulta moroso. L’articolo 5 L. 392/1978 stabilisce che il mancato pagamento del canone di locazione, decorsi 20 giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nei termini previsti, degli oneri accessori, quando l’importo pagato superi quello di 2 mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell’articolo 1455 Cod. civ. e salva la sanatoria della morosità nel termine di grazia concesso ai sensi dell’articolo 55 L. 392/1978;

• si è concluso il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto. Per poter accedere al regime di “irrilevanza” reddituale, il locatore che non percepisce i canoni di locazione dovrà ottenere una sentenza di sfratto per morosità.

Per il trattamento fiscale del canone diviene di fondamentale importanza individuare il momento in cui viene a conclusione la procedura di sfratto. Tale ultima condizione può quindi comportare: a) che al momento della presentazione del modello dichiarativo il contribuente (fortunatamente)

abbia già ricevuto la sentenza a proprio favore che intima all’inquilino lo sfratto per morosità, ovvero

b) che al momento della presentazione del modello dichiarativo il contribuente non sia ancora in possesso della dichiarazione di sfratto per morosità.

1.1.1 Sfratto concluso prima del termine di presentazione del modello dichiarativo Se il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità perviene entro il termine di presentazione della dichiarazione (quindi 30 settembre 2016 se viene utilizzato il modello UNICO, mentre occorrerebbe far riferimento al più breve termine del 7 luglio se il contribuente decidesse di utilizzare il modello 730) è possibile evitare la tassazione del canone relativo al 2015. Qualora il canone di locazione fosse stato percepito solo per una parte dell’anno, la tassazione sarà limitata al canone effettivamente incassato.

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Va rammentato (sul punto si era espressa l’Agenzia delle Entrate tramite la circolare 150/E/1999) che in caso di mancata percezione dei canoni viene comunque assoggettata a tassazione la rendita catastale. Per quanto riguarda i contratti assoggettati al regime della cedolare secca, pur in assenza di un’espressa previsione normativa che riproponga il contenuto dell’articolo 26, comma 1, D.P.R. 917/1986, la circolare 26/E/2011 ha però fornito un’interpretazione estensiva dello stesso, affermando che sulla base dei criteri generali di determinazione del reddito fondiario, anche in applicazione del regime della cedolare secca i canoni di locazione di immobili ad uso abitativo non percepiti devono essere assoggettati a tassazione, salvo che entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi non si sia concluso il procedimento giudiziale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Peraltro, nel caso di conclusione successiva della procedura di sfratto, anche per i canoni di locazione tassati in cedolare è possibile ottenere il credito d’imposta di cui tra un attimo si dirà: per i canoni di locazione non percepiti assoggettati al regime della cedolare secca, il credito d’imposta, da utilizzare nella dichiarazione dei redditi secondo le medesime modalità previste per i canoni non percepiti assoggettati a Irpef, sarà commisurato all’importo della cedolare secca versata su detti canoni. 1.1.2 Sfratto concluso successivamente al termine di presentazione del modello dichiarativo Con riferimento ai canoni di locazione non percepiti e già dichiarati è riconosciuto un credito di ammontare pari all’imposta versata su tali proventi. Sul punto l’Agenzia delle entrate, con la circolare 11/E/2014, ha ribadito che il credito d’imposta, pari alle maggiori imposte pagate sui canoni scaduti e non percepiti, è riconosciuto a condizione che, nell’ambito del procedimento di convalida di sfratto, “il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento giurisdizionale”. Al fine di determinare l’ammontare del credito spettante, se nelle precedenti dichiarazioni il canone di locazione non percepito è stato: • assoggettato a Irpef, è necessario ricalcolare l’imposta in base al reddito complessivo

rideterminato, sottraendo i canoni non percepiti (se i canoni effettivamente percepiti sono inferiori alla rendita catastale rivalutata, occorrerà tassare la rendita rivalutata). Il credito spettante è pari alla differenza tra l’imposta versata (Irpef ed eventuali addizionali regionale e comunale) e quella rideterminata in base al “nuovo” reddito complessivo;

• assoggettato alla “cedolare secca”, il credito è pari alla maggior imposta sostitutiva versata risultante dalla differenza tra l’imposta versata e quella risultante applicando le relative percentuali alla rendita catastale rivalutata ovvero alla sola parte dei canoni incassati.

Il credito può essere fatto valere in dichiarazione dei redditi (la via normalmente preferita in quanto ne consente un rapido recupero); in ogni caso, qualora il contribuente non intenda avvalersi del credito d’imposta nell’ambito della dichiarazione dei redditi, ha la facoltà di presentare agli uffici finanziari competenti una apposita istanza di rimborso. Il credito d’imposta come in precedenza determinato può essere evidenziato nella prima dichiarazione dei redditi successiva alla conclusione del procedimento di sfratto. Va osservato come non sia strettamente necessario far valere tale diritto nella prima dichiarazione utile, in quanto il diritto al credito di imposta spetta per un periodo di 10 anni pari al termine di prescrizione ordinario. Quindi, se ci si dovesse accorgere qualche anno dopo di tale diritto, non occorrerà presentare una dichiarazione integrativa a favore ovvero un’istanza di rimborso, ma sarà sufficiente indicare nella successiva dichiarazione tale credito.

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Redditi fondiari: aspetti critici e casistiche particolari

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Pertanto, nella prossima dichiarazione (UNICO 2016) potrà essere fatto valere il credito per le dichiarazioni degli anni precedenti, ma non oltre quelle relative ai redditi 2006, sempre che per ciascuna delle annualità risulti accertata la morosità del conduttore. Nel modello Unico, il credito in esame va evidenziato nel quadro CR (nell’ultimo modello approvato il rigo interessato era il rigo CR8), ovvero nel quadro G del modello 730. 1.2 La locazione di immobili strumentali I “rimedi” fino ad ora esaminati purtroppo non valgono in relazione ai fabbricati diversi da quelli abitativi: quando il locatore concede in locazione un immobile strumentale (capannoni, uffici, negozi, depositi, ecc) non può beneficiare del medesimo regime di “favore”, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso. L’Agenzia delle entrate, dapprima con la circolare 150/E/1999 e poi con la circolare 101/E/2000, ebbe modo di confermare tale principio, affermando che per gli immobili locati per uso diverso da quello abitativo, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone di locazione va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo. Peraltro va osservato come dello stesso avviso fossero: • la Corte di Cassazione nella sentenza n. 651/2012 e • la C.T.R. Torino nella sentenza n. 53/5/2010 (in tale ultima si legge “quanto previsto per i redditi

da locazione ad uso abitativo non può tuttavia estendersi alla mancata percezione di canoni relativi a locazione commerciale, trattandosi di norma eccezionale, e come tale, non suscettibile di applicazione analogica”);

• la Corte Costituzionale con la sentenza n. 326/2000, con al quale la disposizione in questione ha superato il vaglio di costituzionalità per la differenziazione stabilita tra fabbricati abitativi e non.

Quindi, i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta tecnicamente dovuto un canone locativo; si potrà evitare la tassazione quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile. Proprio sul tema delle locazioni di immobili strumentali, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad esprimersi attraverso la circolare 11/E/2014, affermando che: • il canone relativo ai fabbricati strumentali, ancorché non percepito, va comunque dichiarato,

nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo;

• le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate. Per gli immobili strumentali, comunque, la problematica della tassazione dei canoni può essere utilmente arginata, come detto, tramite una opportuna gestione della risoluzione del contratto. Sul punto l’Agenzia osserva come “la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 362 del 2000, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 23 (ora articolo 26) del TUIR in quanto il sistema di tassazione che presiede alle locazioni non abitative non risulta gravoso e irragionevole dal momento che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile, alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454, alla azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c.) e far “riespandere” la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basata sulla rendita catastale.”

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2. Locazione di immobile in comodato

Non è raro assistere ad una situazione di questo tipo: un genitore ha consegnato al figlio un immobile tramite concessione in comodato dello stesso, anche regolarmente registrato, e su tale fabbricato in seguito venga stipulato un contratto di locazione. Operazione che talvolta viene organizzata dal genitore nell’intento di “controllare” il carico tributario sulla locazione, pensando che i canoni percepiti dal figlio privo di redditi possano essere tassati in misura più lieve (aspetto che negli ultimi anni, con l’introduzione della tassazione cedolare, è passato in molti casi in secondo piano); oppure semplicemente intende fornire un flusso finanziario costante al figlio, che magari studia all’università e non ha redditi propri. Indipendentemente dalle finalità per cui sia stata posta in essere tale articolare, occorre gestirne le conseguenze dal punto di vista fiscale. La questione non è del tutto inesplorata, in quanto un precedente di prassi consente di guidarci nell’analisi: l’Agenzia delle entrate, infatti, attraverso la risoluzione 381/E/2008, in risposta ad un interpello, ha risolto un caso molto simile a quello in precedenza descritto. La situazione esaminata è leggermente più articolata, ma le conclusioni sono egualmente applicabili: essa riguarda un contribuente che ha donato un villino alla figlia, riservandosene l'usufrutto; successivamente l'immobile è stato frazionato, ritraendone tre unità abitative autonome, delle quali una destinata ad abitazione della figlia stessa, e le altre due invece destinate ad essere locate. Il ragionamento deve partire dai principi elementari di tassazione dei redditi fondiari. A seguito di donazione di immobile, in via generale fiscalmente obbligato a dichiarare il reddito fondiario è il donatario in applicazione dell’articolo 26 Tuir che espressamente dispone: “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’art. 33, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”. Peraltro il caso descritto prevede un parziale trasferimento dei diritti reali: il donante si è trattenuto l’usufrutto (come consentito dall’art. 796 cod. civ.), trasferendo alla figlia esclusivamente la nuda proprietà sull’immobile oggetto di valutazione, che quindi risulta gravato da tale diritto. Dal punto di vista fiscale, sempre ai sensi del citato articolo 26 Tuir, la donazione con costituzione del diritto di usufrutto comporta lo spostamento della soggettività passiva d’imposta dal “nudo proprietario” all’usufruttuario (quindi potremmo dire che, anche a seguito dell’operazione descritta, la soggettività passiva è rimasta in capo al padre), per cui, in relazione alla fattispecie in esame, riguardante un contratto di donazione con riserva di usufrutto, obbligato a dichiarare il reddito del fabbricato è il padre/donante/usufruttuario e non la figlia/donataria/nuda proprietaria dell’immobile. Tale aspetto viene anche esplicitato nelle istruzioni per la compilazione del Modello Unico - Quadro RB (e del Mod. 730, Quadro “B”): è tenuto a compilare detto quadro (in quanto titolare del relativo reddito fondiario) “Chi è titolare dell’usufrutto o altro diritto reale su fabbricati. In caso di usufrutto […] il titolare della sola “nuda proprietà” non deve dichiarare il fabbricato”. Fin qui le osservazioni della citata risoluzione sono del tutto banali. Più interessante risulta invece il successivo passaggio: nel caso in cui l’usufruttuario (ma identica situazione si prospetterebbe se a farlo fosse il pieno proprietario) stipuli, per il medesimo bene oggetto di usufrutto, un contratto di comodato, sotto il profilo fiscale il contratto di comodato non trasferisce la titolarità del reddito fondiario dal padre/comodante alla figlia/comodataria; ciò in quanto il comodato, disciplinato dagli articoli 1803 e successivi cod. civ., è un contratto ad effetti “obbligatori” e non “reali” che fa nascere, a favore del comodatario, cioè di colui che riceve in

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comodato il bene, un diritto "personale" di godimento sulla cosa concessa in comodato, e non un "altro diritto reale". Anche nel caso in cui il comodatario stipuli, quale locatore, un contratto di locazione, dal punto di vista fiscale non si ha un mutamento nella titolarità del reddito fondiario, dall’usufruttuario comodante al nudo proprietario. Ne consegue che il reddito effettivo del fabbricato deve essere imputato all’usufruttuario. La stipula del comodato al fine di “neutralizzare” l’usufrutto trattenuto dal comodante è del tutto privo di effetti fiscali sotto il profilo della tassazione del reddito ritraibile dall’immobile: i canoni di locazioni devono essere obbligatoriamente dichiarati, nell’esempio analizzato, dal genitore. 2.1 La sublocazione Situazione ben diversa da quella descritta è quella relativa alla sublocazione di un fabbricato, che risulta ben definita anche sotto il profilo fiscale. Essa infatti è regolamentata: • dall'articolo 67, primo comma lett. h), Tuir che dispone: “ […] i redditi derivanti dalla concessione

in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall'affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili, dall'affitto e dalla concessione in usufrutto di aziende; […]”;

• dall’articolo 71, comma 2, Tuir: “I redditi di cui alle lettere h), i) e l) del comma 1 dell'articolo 67 sono costituiti dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione […]”.

Il reddito derivante dalla sublocazione è infatti un reddito diverso che sfugge dalle logiche stabilite in relazione ai redditi fondiari e viene determinato come differenza tra il provento percepito per tale sublocazione e i costi relativi alla formazione di tale reddito. Non ci sono dubbi che si produca un reddito in capo al locatario/sublocatore. 3. Tassazione cedolare

Il sistema di tassazione cedolare introdotto dal D.Lgs. 23/2011 è una soluzione certamente di grande interesse (e di grande utilizzo) da parte dei contribuenti: è infatti evidente come tassare al 21% (in alcuni casi al 10%, quando il contratto è a canone concordato), rappresenta una ottimo vantaggio fiscale, rispetto alla tassazione Irpef. Spesso chi possiede immobili locati presenta anche una situazione reddituale consistente e optare per la tassa piatta significa quindi molte volte dimezzare il carico tributario. Senza dimenticare che l’opzione per la cedolare riduce anche gli adempimenti (non è più dovuta l’imposta di registro, quindi non occorre più tenere sotto monitoraggio la scadenze annuali). Tralasciamo ogni ragionamento circa le regole di tassazione, ben note a tutti, soffermandoci invece su aspetti che alcune volte si trascurano. La cedolare viene infatti frequentemente utilizzata e spesso l’unica domanda che ci si pone è “mi conviene applicarla?”. In realtà in sede di opzione occorre valutare anche i requisiti previsti per accedere a tale regime, requisiti che talvolta sono più articolati di quanto ci si aspetti. 3.1 Requisiti soggettivi La prima analisi da condurre circa i requisiti di accesso al regime della cedolare è quello relativo ai soggetti partecipanti al contratto di locazione, analizzando sia la qualifica del locatore che quello del conduttore.

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3.1.1 Requisiti soggettivi: locatore Il meccanismo di tassazione con aliquota proporzionale è riservata al locatore persona fisica, titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile (tipicamente l’usufruttuario). Al riguardo la circolare 20/E/2012 ebbe modo di chiarire che la tassazione agevolata è applicabile anche al comproprietario dell’immobile che non compaia nel contratto di locazione: poiché egli è tenuto a dichiarare la quota di propria competenza del canone di locazione, comunque gli viene consentito di applicare la cedolare. Peraltro la medesima circolare 20/E/2012 consente l’applicazione della cedolare, al rispetto dei requisiti richiesti, anche per gli immobili per i quali viene costituito un fondo patrimoniale: in tal caso i redditi vengono imputati per la metà del loro ammontare a ciascuno dei coniugi (articolo 4, comma 1, lett. b), Tuir), indipendentemente che la costituzione del vincolo sia avvenuta con trasferimento della proprietà o meno. In particolare, la citata circolare conferma la possibilità di optare per la cedolare anche da parte del coniuge non proprietario dell’immobile (proprio nel caso di costituzione del fondo patrimoniale senza trasferimento della proprietà). Tema più delicato è quello legato a possessore diverso da persona fisica: non possono accedere al regime della cedolare secca le società di persone, le società di capitali, nonché gli enti commerciali e non commerciali. Peraltro, la circolare 26/E/2011 esclude dall’applicazione della cedolare gli immobili posseduti dalle società semplici: tale conclusione è stata motivata con il fatto che dall’insieme delle regole dettate dal provvedimento si evince la limitazione alle persone fisiche dell’ambito soggettivo di applicazione. La posizione pare del tutto criticabile visto che le società semplici, da tali locazioni, conseguono reddito fondiario, e non risulta alcuna evidenza nella norma istitutiva che possa giustificare tale esclusione dal beneficio. Ciò posto, poiché il modello di UNICO SP non permette la gestione della cedolare, anche qualora di volesse forzare l’interpretazione, applicando la tassa piatta anche gli immobili posseduti dalle società semplici, vi sarebbe un evidente blocco a livello di compilazione del modello dichiarativo. Sotto il profilo della modalità di detenzione dell’immobile da parte della persona fisica, occorre ricordare alcune limitazioni. Ai sensi del sesto comma, dell’articolo 3 D.Lgs. 23/2011 non possono optare per il regime della cedolare secca i soggetti che procedono alla locazione di immobili ad uso abitativo quando la detenzione di esso è: • nell’esercizio dell’attività di impresa. Sono quindi da escludersi da cedolare tutti gli immobili

abitativi locati, tanto quelli “patrimonio” benché il canone sia gestito con le regole dei redditi fondiari secondo quanto previsto dall’articolo 90 Tuir, ma altresì va esclusa dalla cedolare la locazione dell’immobile “rimanenza”, ossia quello costruito o acquistato e destinato alla vendita, che per esigenze aziendali (normalmente perché non è possibile rinvenire una conveniente possibilità di alienazione) sia temporaneamente locato, in attesa di una conveniente cessione;

• nell’esercizio di arti e professioni. Questa seconda previsione, va detto, comunque, pare sovrabbondante visto che nell’ambito dell’attività professionale l’articolo 54 Tuir, nonché il precedente articolo 43, secondo comma, menzionano solo gli immobili strumentali e promiscui, quindi non può configurarsi la locazione tramite la posizione Iva del contribuente dell’immobile abitativo.

Per gli immobili abitativi locati posseduti da parte di più soggetti (quindi il canone viene imputato pro quota ai diversi possessori) l’opzione per il regime della cedolare secca può essere esercitata disgiuntamente da ciascun titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento ed esplica effetti solo in capo ai locatori che l’hanno esercitata (ad esempio, madre e figlio contitolari; la madre potrebbe aver convenienza ad applicare la tassazione ordinaria, mentre il figlio con redditi più

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elevati potrebbe essere interessato alla cedolare con aliquota fissa). I comproprietari che non vogliono optare per la cedolare continueranno a tassare ordinariamente i canoni ai fini Irpef, nonché a versare l’imposta di registro con riferimento alla propria quota di proprietà (l’imposta di bollo in sede di registrazione del contratto è invece pagata in maniera integrale, perché l’atto deve essere registrato). Sul punto la circolare 26/E/2011 ricorda che “nel caso in cui l’imposta di registro dovuta sia di ammontare inferiore ad euro 67,00, i soggetti che non hanno optato per il regime della cedolare secca e il conduttore sono comunque tenuti al versamento di detto importo”. La circolare 26/E/2011 si sofferma sul caso di opzione da parte di alcuni dei locatori, per esplorare gli effetti sul regime di solidarietà passiva tra locatore e conduttore per il pagamento dell’imposta di registro (articolo 57 D.P.R. 131/1986): secondo l’Agenzia delle entrate l’opzione per la cedolare introduce una deroga a tale principio in quanto i locatori che hanno optato per l’imposta sostitutiva, sulla loro quota parte di canone, non sono tenuti al versamento dell’imposta di registro per tutta la durata dell’opzione. Resta fermo che “il principio di solidarietà passiva dell’imposta esplica i suoi effetti solo con riferimento ai locatori che non hanno esercitato l’opzione per il regime della cedolare secca”. Ne consegue che qualora i locatori che avevano optato per la tassazione proporzionale e successivamente vadano a revocare l’opzione, rientrando nel regime ordinario di tassazione, “risponderanno in solido con gli altri comproprietari e con il conduttore dell’imposta di registro dovuta sull’intero importo del canone di locazione”. Infatti, posto che per le annualità successive alla revoca, l’imposta di registro si rende applicabile sull’intero importo del canone, è evidente che la responsabilità solidale, in capo a tutte le parti contraenti, ritorna ad essere applicabile nei modi ordinari. È evidente che le complicazioni si moltiplicano quando i diversi locatori decidano di trattare diversamente i canoni; pertanto, se i vantaggi dalla differenziazione non sono eclatanti, pare davvero consigliabile gestire allo stesso modo i canoni spettanti a tutti i locatori. Verifica dei requisiti soggettivi

Locatore Locatario Persona fisica SI SI Persona fisica

(nell’impresa o lavoro autonomo)

NO NO

Società commerciali NO NO

(CTP OK utilizzo abitativo)

Società semplici NO NO Enti non commerciali NO SI

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3.1.2 Requisiti soggettivi: locatario Con riferimento alla qualifica del locatario la circolare 26/E/2011 evidenzia che “esulano dal campo di applicazione della norma in commento, i contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, indipendentemente dal successivo utilizzo dell’immobile per finalità abitative di collaboratori e dipendenti”. Secondo il pensiero dell’Agenzia delle entrate, quando l’utilizzo rientra nell’attività di un’impresa o di un professionista, la cedolare non è mai applicabile. La posizione dell’Agenzia delle entrate è del tutto condivisibile quando gli immobili sono impiegati direttamente nell’attività, posto che la normativa stessa richiede che l’immobile sia destinato ad abitazione (come si dirà nel paragrafo successivo). La norma, al contrario, non pone alcun limite circa la qualificazione soggettiva del locatario. A parere dell’Agenzia delle entrate occorrerebbe tassare ordinariamente i canoni provenienti da contratti sottoscritti con soggetto locatario impresa, per immobili che l’impresa stessa intende destinare, ad esempio, ad uso foresteria. E’ di tutta evidenza che tale restrizione non risulta dal dettato normativo, quindi si tratta di una limitazione che pare del tutto arbitraria. Restrizione che peraltro spesso può imporre un forte pregiudizio al locatore visto che pare non è remoto il caso per cui gli immobili locati ad uso foresteria sono immobili di pregio che le società prendono in locazione per far alloggiare i dirigenti che per determinati periodi devono svolgere la propria attività lavorativa lontano dalla propria abitazione. Proprio su questo punto si inseriscono due sentenze di merito che, nell’ultimo anno, hanno offerto un’interpretazione maggiormente estensiva (e più in linea con la formulazione letterale della norma). La C.T.P. di Reggio Emilia n. 470/3/2014 è chiamata a giudicare circa un mancato rimborso della maggiore imposta pagata dal contribuente che, allineandosi alle indicazioni della Circolare 26/E/2011, aveva applicato la tassazione ordinaria in luogo della preferibile tassazione cedolare. Sul punto la commissione osserva: “[…] come ben evidenziato dal Ricorrente la norma, art. 3 DLgs. 23/2011, che ha introdotto il regime agevolativo, della c.d. "cedolare secca", ne subordina la fruibilità alle condizioni che: 1. il locatore sia una persona fisica che non agisca in regime di impresa o di libera professione; 2. l'unità immobiliare locata sia abitativa e destinata ad uso abitativo, condizioni che risultano tutte soddisfatte nella fattispecie concreta dedotta in giudizio; l'ulteriore condizione, introdotta dal richiamato provvedimento di prassi e che, come tale, "esprime esclusivamente un parere, non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici), per il giudice e per la stessa autorità che l'ha emanata" (Cass. sent. n. 6699/2014), fatta propria dall'Agenzia intimata, non è assolutamente prevista dalla norma e pertanto è illegittima; a ciò consegue l'accoglimento del ricorso e la condanna dell'Agenzia alle spese di giudizio liquidate come da dispositivo”. Peraltro la commissione adita ritiene tanto criticabile la posizione dell’Agenzia da addebitare le spese processuali all’Ente impositore. Sulla stessa linea si pone anche la C.T.P. Milano n. 3529/25/2015: “Nel merito delle controdeduzioni dell'Ufficio con riferimento circ. n. 26/2011, il Collegio rileva che in capo al contratto di locazione in esame la ricorrente-locataria dell'immobile ad uso abitativo, pur se il conduttore sia la Società [Omissis] srl, ha utilizzato la possibilità di optare per il regime facoltativo d'imposizione a Lei riservata quale persona fisica titolare del diritto di proprietà dell'unità immobiliare abitative locata in quanto non agisce nell'esercizio di attività d'impresa. L'addotta preclusione dell'Ufficio al diritto di optare per il regime facoltativo d'imposizione, fondato su un documento di prassi adottato dall'Ufficio stesso, è illegittima in quanto non prevista dalla norma in quanto esprime esclusivamente un parere non vincolate per il contribuente (oltre che per gli

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Uffici) che nell'interpretare il comma 6 dell'art. 3 del D.Lgs. n. 23/2011, non può legittimare l'equiparazione del conduttore al locatore nel precludere ipso facto al titolare del diritto di proprietà dell'unità immobiliare abitativa l'applicazione del ed. "cedolare secca" per la quale ne ha dichiarato l'opzione nel quadro RB della dichiarazione presentata per l'anno 2011, pagandone la relativa imposta”. Pertanto, sul punto, occorre concludere che la possibilità di optare per la cedolare risulterebbe concessa da parte della giurisprudenza anche quando il locatario è una società: in tali situazioni, l’importante è che detto immobile rispetti il requisito oggettivo della destinazione abitativa. Ovviamente, propendendo per tale scelta, si finirà necessariamente per cozzare contro l’interpretazione restrittiva dell’Ufficio che dovesse controllare la tassazione dei relativi canoni: finché non vi sarà un deciso cambiamento di rotta da parte dell’Agenzia, scegliere la cedolare in tali situazioni espone il contribuente al rischio di dover sostenere un contenzioso (e quindi i relativi oneri). Pertanto, forzare l’interpretazione potrebbe divenire opportuno quando i vantaggi provenienti dall’utilizzo della cedolare sono evidenti, situazione che comunque potrebbe verificarsi (appunto per quanto detto in apertura, non è raro che gli immobili destinati a foresteria siano di pregio, quindi in relativo canone potrebbe anche essere significativo). Completando l’analisi dell’aspetto soggettivo, va osservato come l’Agenzia delle entrate nella più volte richiamata circolare 26/E/2011 abbia consentito di accedere alla tassazione cedolare i contratti conclusi con enti pubblici o privati non commerciali, purché risulti dal contratto di locazione la destinazione degli immobili ad uso abitativo in conformità alle proprie finalità. Da notare quindi il fatto che l’ente non commerciale, quando risulta locatore dell’immobile è escluso dall’applicazione della cedolare, mentre se esso è locatario l’opzione della cedolare risulterebbe valido. Si osserva infine che, nel medesimo documento di prassi, viene esclusa la possibilità di applicare la cedolare, oltre che per gli immobili destinati dall’utilizzatore ad attività d’impresa e lavoro autonomo, anche per quelli a destinazione promiscua. Quindi, quando l’utilizzatore è soggetto titolare di partiva Iva, il locatario prima di applicare la cedolare dovrebbe accertarsi che detto immobile non sia destinato ad attività promiscua da parte dell’utilizzatore (situazione piuttosto frequente per soggetti quali professionisti privi di Studio, agenti di commercio, ecc.). Tale condizione deve essere verificata accuratamente in via anticipata; il locatore, peraltro, sarebbe opportuno che indicasse nel contratto il divieto per l’utilizzatore di destinare l’immobile all’esercizio della propria attività, anche in via promiscua. 3.2 Requisiti oggettivi La tassazione cedolare trova applicazione per i contratti di locazione aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, locati per finalità abitative e relative pertinenze. Verifica de verifica dei requisiti oggettivi

Presupposto: destinazione abitativa

Pertinenze Esclusi

Catastale

Effettiva • locazione

contestuale • locazione

successiva (con vincolo)

• sublocazioni • immobili all’estero

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Come precisato dalla circolare 26/E/2011, nei fatti è quindi previsto un duplice requisito: • uno riguardante la destinazione catastale dell’immobile, che quindi deve essere un fabbricato di

categoria catastale A, diversa da A/10, • un secondo relativo al concreto utilizzo abitativo del fabbricato, ossia è richiesto che il locatario

lo destini ad abitazione. Sono quindi esclusi dalla cedolare, facendo due esempi concreti, il contratto di un fabbricato A/10 locato come abitazione, così come il contratto di un fabbricato A/2 che sia destinato ad ufficio dall’utilizzatore. Secondo l’Agenzia sono poi esclusi dalla tassazione cedolare i contratti aventi ad oggetto immobili promiscui; al riguardo, il locatore che intenda applicare la cedolare, deve cautelarsi verificando l’assenza di tale destinazione, possibilmente inserendo nel contratto di locazione la dichiarazione da parte del locatario che questi non andrà a destinare tale immobile per qualsivoglia attività professionale, anche solo in parte. Nella circolare 26/E/2011 si legge una gradita (e ragionevole) apertura nei confronti delle pertinenze; infatti, malgrado la norma parli di “pertinenze locate congiuntamente all’abitazione” (formulazione che, occorre riconoscerlo, lasciava poche speranze ad ogni interpretazione estensiva su tale aspetto), secondo l’Agenzia il regime di tassazione sostitutiva trova applicazione anche per le pertinenze locate con contratto separato e successivo rispetto a quello riguardante l’immobile abitativo, purché nel rispetto di alcune condizioni: • prima di tutto il rapporto di locazione deve intercorrere tra le medesime parti contrattuali, • inoltre, nel contratto di locazione della pertinenza si deve far riferimento al contratto di

locazione dell’immobile abitativo e, infine, • occorre sia evidenziata la sussistenza del vincolo pertinenziale con l’unità abitativa già locata. Sotto questo punto di vista, peraltro, va evidenziato come non esista un limite massimo al numero di pertinenze tassabili in maniera agevolata (limite peraltro che non esiste neppure con riferimento alla tassazione fondiaria dell’immobile da parte del possessore, ad esempio per il riconoscimento della deduzione per l’abitazione principale), salvo ovviamente che si tratti di immobili effettivamente posti a disposizione dell’abitazione. Sono esclusi dalla tassazione cedolare i redditi derivanti dalla locazione di immobili ad uso abitativo oggetto di proprietà condominiale (per le particolari modalità di gestione). Si precisa, infine, che il nuovo sistema di tassazione non trova applicazione per la tassazione dei canoni provenienti dagli immobili quando tali canoni non possono essere configurati come redditi fondiari, ma invece come redditi diversi. È in particolare il caso dei provenienti ritraibili da: • contratti di sublocazione di immobili, in quanto redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. h)

Tuir; • contratti di locazione di immobili situati all’estero, in quanto i relativi redditi diversi di cui

all’articolo 67, comma 1, lett. f) Tuir. 3.3 Requisito contrattuale Sotto il profilo contrattuale non vi sono particolari vincoli da rispettare al fine del riconoscimento del diritto a beneficiare della tassazione cedolare. Come ben noto, il regime agevolato è applicabile anche per i contratti di locazione di durata inferiore a trenta giorni nell’anno, per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione in termine fisso. È peraltro possibile optare per la cedolare anche se il contratto interessa altri immobili esclusi dalla tassazione agevolata. Nel caso in cui il contratto di locazione abbia ad oggetto unità immobiliari abitative, per le quali è esercitata l’opzione per il regime alternativo di tassazione, ed altre unità

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immobiliari non soggette al regime della cedolare secca, l’imposta di registro deve essere assolta solo sui corrispettivi relativi a quest’ultimi immobili. Quindi, l’imposta di registro deve essere determinata solo con riferimento al canone di locazione pattuito nel contratto per gli immobili esclusi dal regime della cedolare secca. Qualora sia indicato un canone unitario, l’imposta di registro è dovuta sulla quota di canone imputabile agli immobili per i quali non trova applicazione il regime della cedolare secca: tale quota deve essere determinata in misura proporzionale alla rendita catastale (peraltro la medesima regola già prevista per l’imputazione del canone di locazione ai diversi immobili al fine della tassazione del canone). L’applicazione di diverse regole di tassazione esiste non solo nel caso in cui il contratto preveda immobili per cui la tassazione cedolare è vietata, ma anche quando vi siano più abitazioni a destinazione abitativa: qui starà al locatore scegliere se applicare il regime agevolato anche solo ad alcuni degli immobili provvisti dei requisiti. La circolare 26/E/2011 si occupa anche della locazione di una parte dell’immobile. L’opzione per il regime agevolato può essere esercitata anche quando vengano locate soltanto una o più porzioni dell’immobile abitativo: in tal caso, il reddito ritraibile dalla contemporanea locazione di porzioni di un’unità abitativa, cui è attribuita un’unica rendita catastale, deve essere assoggettato allo stesso regime impositivo. In altre parole, l’esercizio dell’opzione per il regime della cedolare secca per un contratto di locazione relativo a una porzione dell’unità abitativa vincola all’esercizio dell’opzione per il medesimo regime anche per il reddito derivante dalla contemporanea locazione di altre porzioni della stessa. 4. Fabbricati vincolati

Il tema dei fabbricati storici ha da sempre creato dubbi interpretativi, derivanti dal fatto che le agevolazioni per detti immobili non sono trascurabili, seppur oggi attutite non poco ad opera del D.L. 16/2012. Le agevolazioni principali riguardano: • l’applicazione di una riduzione più consistente al canone tassabile ai fini delle imposte sui redditi

(35% anziché il modesto 5% ordinariamente spettante); • la riduzione alla metà della rendita catastale ai fini del calcolo dell’Imu e della Tasi. Dopo le modifiche normative intervenute e gli interventi di prassi, oggi il quadro pare piuttosto nettamente delineato. Su tale aspetto soffermiamo la nostra attenzione. 4.1 Definizione di fabbricato vincolato Occorre chiarire consa si intende con la locuzione “fabbricato vincolato”: serve in particolare una riflessione in merito ai richiami normativi. La disciplina agevolativa è stata introdotta dall’articolo 11, secondo comma, L. 413/1991, il quale faceva riferimento agli “[…] immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni”. La disposizione richiamata – la L. 1089/1939 – è stata oggetto di diversi interventi: oggi, la disciplina dei vincoli sui beni di interesse storico, artistico e culturale è regolamentata dal D.Lgs. 42/2004. In particolare, il D.Lgs. 42/2004 (ma così operava anche il precedente normativo, la L. 1089/1939) distingue le tipologie di vincoli che possono risultare sugli immobili: • un vincolo che può essere definito diretto: è apposto ad un determinato bene al quale viene

riconosciuta una specifica rilevanza culturale. Tale vincolo è oggi impresso all’immobile ai sensi dell’articolo 10 D.Lgs. 42/2004, che ha sostituito la disciplina precedentemente contenuta nell’articolo 3 Legge 1089/1939;

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• un vincolo indiretto: non si tratta di un riconoscimento legato al pregio specifico di un’immobile, ma piuttosto vengono imposte delle limitazioni perché i comportamenti che il contribuente pone in essere non vadano a danneggiare un altro immobile ritenuto meritevole di tutela. Il vincolo indiretto riguarda i fabbricati che si trovano nei pressi di beni monumentali, in modo tale che venga salvaguardato il contesto nel quale l’immobile principale è ubicato. Tale vincolo è oggi previsto dagli articoli 45 e seguenti D.Lgs. 42/2004, che ha riformato quanto già in precedenza contenuto nell’articolo 24 Legge 1089/39.

Ora, posto che le agevolazioni fiscali fanno riferimento all’articolo 10 D.Lgs. 42/2004 (e in passato all’articolo 3 L. 1089/1939) non pare vi sia alcun dubbio sul fatto che esse possano riferirsi al solo vincolo diretto sull’immobile. Sul punto è bene osservare che la maggior parte degli immobili vincolati sui quali si suppone (erroneamente) di ottenere agevolazioni fiscali, in realtà hanno solo un vincolo indiretto che mai ha dato diritto ad ottenere alcun vantaggio fiscale. È pertanto di estrema importanza, allorquando si ha a che fare con un immobile vincolato, verificare con cura con che tipo di vincolo si ha a che fare, onde evitare di applicare indebitamente l’agevolazione ad immobili che non ne hanno diritto. Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13738/2015 (richiamando peraltro una precedente pronuncia n. 11794/2011), afferma che detto vincolo può riguardare anche solo un particolare del fabbricato. La richiamata sentenza interviene per precisare un punto di deciso interesse per la gestione di tali situazioni: non è raro leggere atti di vincolo dove si apprende che l’interesse artistico derivi dal pregio di un affresco o di un colonnato. In questo caso, l’agevolazione spetta comunque sull’intero fabbricato che contiene questo elemento di pregio? Secondo i giudici di legittimità l’agevolazione si applica anche nel caso il vincolo posto sia per salvaguardare non l’immobile in se, ma solo un particolare di questo. In altre parole, quello che rileva è che il vincolo sia diretto – quindi il Ministero per i Beni Culturali ha voluto focalizzare la propria attenzione proprio quel fabbricato – a nulla rilevando che tale tutela sia stata posta perché ad interessare sia l’intero fabbricato per le sue caratteristiche complessive ovvero solo per salvaguardare un particolare di esso. Le tipologie di vincolo

Vincolo DIRETTO (articolo 10 D.Lgs. 42/2004)

Vincolo INDIRETTO (articolo 45 e seg. D.Lgs. 42/2004)

Il vincolo è posto per tutela quel determinato immobile

Il vincolo è posto per tutelare altri immobili che potrebbero essere pregiudicati dall’utilizzo dell’immobile vincolato

Spettano le agevolazioni fiscali NON spettano le agevolazioni fiscali La caratteristica di immobile di interesse storico ed artistico non è detto risulti dagli atti catastali ma è annotata ad opera della Conservatoria dei Registri Immobiliari, presso la quale deve essere trascritto il provvedimento con il quale viene riconosciuto il vincolo, in quanto interesserà i successivi possessori dell’immobile. Tale annotazione ha lo scopo di far valere il vincolo sul fabbricato anche con riferimento a qualsiasi futuro “[…] proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo” dell’immobile.

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Redditi fondiari: aspetti critici e casistiche particolari

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Ovviamente, qualora il vincolo sia apposto successivamente all’acquisto dell’immobile da parte dell’attuale possessore, a questi sarà notificato l’atto con il quale viene apposto il vincolo stesso. Da qualche tempo a questa parte tale verifica potrebbe essere possibile anche analizzando la visura catastale dell’immobile: di tale aspetto si è occupata (l’ex) Agenzia del Territorio tramite la circolare 5/T/2012. Ciò posto, occorre ricordarlo, il riconoscimento delle agevolazioni per i fabbricati storici non può considerarsi subordinato all’iscrizione del vincolo agli atti catastali; quand’anche dalla visura non risultasse tale annotazione, se tale immobile è stato riconosciuto di pregio artistico ai sensi dell’articolo 10 D.Lgs. 42/2004 (circostanza ravvisabile in conservatoria dei registri immobiliari) comunque esso avrebbe diritto agli sgravi concessi dal Legislatore. L’annotazione in visura è però un utilissimo supporto probatorio che può aiutare il contribuente sia ad evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria ovvero da parte del Comune per i tributi di propria competenza, ovvero a chiedere lo sgravio degli atti di accertamento una volta emessi. La verifica di documentazione spesso risalente non è infatti operazione agevole per soggetti che non sono tecnici in materia catastale, mentre l’evidenziazione sulla visura del vincolo allo specifico immobile risulta molto più immediata (e incontrovertibile). 4.2 Immobili storici detenuti in regime d’impresa In tema di fabbricati storici, occorre ricordare che le agevolazioni relative alla tassazione ridotta dei canoni risulta in parte applicabile anche ai fabbricati detenuti nell’ambito del regime d’impresa. Sul punto consta un chiarimento dell’Agenzia delle entrate (risoluzione 99/E/2006), confermato dalla Cassazione attraverso la sentenza n. 14149/2009. Vediamo il ragionamento della Cassazione: l’agevolazione per i fabbricati storici si basa sulla tassazione fondiaria del fabbricato, quindi essa opera quando la detenzione del fabbricato comporta in capo al possessore l’insorgere di un reddito ascrivibile a tale categoria reddituale (quella, appunto, dei redditi fondiari). Pare però legittimo chiedersi se tale trattamento di favore per i fabbricati ai quali sia stato riconosciuto il vincolo possa essere esteso anche nel caso in cui essi siano posseduti nell’ambito del regime d’impresa: se la natura dell’agevolazione, come si è detto, è ancorata ad una determinazione fondiaria del reddito, è del tutto sensato nutrire qualche. Nella risoluzione 99/E/2006 l’Agenzia non discrimina in ragione del soggetto che possiede l’immobile, ma piuttosto in funzione delle modalità attraverso le quali il relativo reddito viene determinato. In particolare l’agevolazione può applicarsi anche agli immobili posseduti in regime d’impresa, ma solo (utilizzando le parole dell’Amministrazione finanziaria) per gli immobili “[…] patrimoniali e non anche relativamente ad immobili che rappresentino beni merce o strumentali per l’esercizio dell’impresa”. Allo stesso modo, la Cassazione afferma che l’agevolazione assume rilevanza nell’ambito della sola determinazione dei redditi fondiari, per cui quando il fabbricato è posseduto da un’impresa la determinazione fondiaria risulta applicabile per i soli fabbricati patrimonio. Se la ragione di tale agevolazione risiede nel fatto che da tali immobili discendono maggiori costi di manutenzione, la previsione agevolativa risulta ragionevolmente applicabile solo quando l’immobile produce reddito fondiario perché nell’ambito di tale categoria reddituale i costi non possono essere analiticamente dedotti, ma al contrario essi vengono forfetizzati. Analogamente vanno agevolati gli immobili patrimoniali, in quanto nell’articolo 90 Tuir non è stabilita una deduzione analitica di costi. Quando invece l’immobile locato è strumentale, ovvero ancora quando sia un immobile destinato alla vendita temporaneamente impiegato a finalità locativa, il relativo reddito viene determinato con l’ordinaria contrapposizione di costi e ricavi prevista nell’ambito del reddito d’impresa. Quindi se i vincoli comportano il sostenimento di costi più gravosi rispetto agli immobili non vincolati, tali costi potranno essere dedotti. Di conseguenza, non avrebbe alcun senso riconoscere a tali immobili alcuna

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riduzione del canone, in quanto nel caso contrario la deduzione dei costi di manutenzione avverrebbe due volte: una prima come deduzione diretta, una seconda tramite la tassazione ridotta dei componenti positivi. Il fabbricato a destinazione non abitativa si porta quindi l’ordinaria imponibilità delle componenti reddituali che da tale fabbricato derivano. Per i fabbricati strumentali è quindi di fondamentale rilevanza la destinazione del fabbricato (a differenza di quanto avviene per i fabbricati posseduti dalle persone fisiche) in termini di classificazione catastale: la distinzione avviene però solo indirettamente, non in ragione del mero utilizzo che ne viene fatto ma in conseguenza della modalità di partecipazione al reddito che risulta connessa a tale utilizzo. Pertanto, riepilogando: • il fabbricato a destinazione non abitativa posseduto dall’impresa e locato a terzi, sarà tassato

contrapponendo ai canoni percepiti il costo per la gestione dell’immobile stesso (oltre all’eventuale quota di ammortamento). Risulta quindi irrilevante il fatto che l’immobile sia storico;

• se invece ad essere locato è un immobile a destinazione abitativa si applicheranno le regole dell’articolo 90 Tuir e, di conseguenza, se il fabbricato è storico occorrerà far riferimento alla specifica agevolazione.

Infine una riflessione sugli immobili rimanenza, ossia quelli oggetto dell’attività d’impresa: se la locazione è reputata temporanea gli amministratori non sono tenuti a cambiare la classificazione dell’immobile invenduto per iscriverlo nelle immobilizzazioni, per cui è fattispecie non rara quella di canoni di locazione percepiti da immobili qualificati quali beni merce. Anche in questo caso il reddito non viene determinato con criteri fondiari ma, al contrario, secondo le ordinarie regole del reddito d’impresa: i canoni percepiti saranno pertanto integralmente imponibili e saranno portati in deduzione i costi connessi alla gestione. Pertanto il canone di locazione percepito deve essere tassato integralmente, come nel caso appena trattato dei fabbricati strumentali.

In breve: 1. I canoni non riscossi devono comunque essere dichiarati ai fini della tassazione Irpef. 2. È possibile non dichiarare i canoni a partire dalla data in cui si conclude la procedura

giurisdizionale di sfratto per morosità. 3. Se il fabbricato locato è strumentale, in ogni caso i canoni devono essere dichiarati sino alla

risoluzione del contratto (è irrilevante lo sfratto). 4. Se l’immobile è in comodato, comunque la tassazione fondiaria è imputabile al possessore dei

diritti reali su tale immobile. 5. Se l’immobile in comodato viene locato, il canone deve essere dichiarato dal comodante. 6. La tassazione cedolare è concessa solo quando il locatore è una persona fisica. 7. La recente giurisprudenza ammette la tassazione cedolare anche quando il locatario è

soggetto diverso da persona fisica, purché esso sia destinato a finalità abitativa. 8. La cedolare è applicabile ai fabbricati abitativi a destinazione abitativa e relative pertinenze. 9. Le agevolazioni per i fabbricati storici spettano solo se viene apposto un vincolo diretto

sull’immobile ex articolo 10 D.Lgs. 42/2004. 10. Se l’immobile vincolato è detenuto in regime d’impresa, le agevolazioni ai fini delle imposte

dirette spettano se l’immobile è “patrimoniale”.

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Schemi operativi di sintesi

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REDDITI DIVERSI: LE PLUSVALENZE IMMOBILIARI

ARTICOLO 67, COMMA 1, LETT. B

MA NON SE ACQUISITI PER SUCCESSIONE O ADIBITI A ABITAZIONE PRINCIPALE

PLUSVALENZE IMMOBILI

CESSIONE FABBRICATI E TERRENI NON EDIFICABILI

CESSIONE TERRENI EDIFICABILI

SE ACQUISTATI DA NON PIÙ DI 5 ANNI IN OGNI CASO

SUFFICIENTE CHE EDIFICABILITÀ RISULTI DA PRG

ADOTTATO DAL COMUNE

Redditi diversi

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Redditi diversi: le plusvalenze immobiliari

99

ARTICOLO 67, COMMA 1, LETT. A

LOTTIZZAZIONE TERRENI↓

STRUMENTO URBANISTICOCHE ATTUA PRG

OPERE DI EDIFICABILITÀ↓

INTERVENTI TESI AD AGEVOLARE EDIFICABILITÀ

SEGUITE DA CESSIONE TERRENI E, EVENTUALMENTE, EDIFICI

PLUSVALENZE IMMOBILI

Redditi diversi

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

ARTICOLO 67, COMMA 1, LETT. B

NON ASSUME ALCUN RILIEVO IL PERIODO DI POSSESSO

ACQUISITI PER SUCCESSIONE

ABITAZIONE PRINCIPALE

PLUSVALENZA REALIZZATA DAGLI EREDI: SEMPRE ESCLUSA

MAGGIOR PARTE DEL PERIODO DI POSSESSO

DA PARTE DEL POSSESSORE O DEI SUOI FAMILIARI

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

__________________________________________________________________________________

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__________________________________________________________________________________

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100

COMPUTO DEL QUINQUENNIO

SE LOCATO O UTILIZZATO PRIMA IL TERMINE INIZIA

DA TALE MOMENTO

IMMOBILE COSTRUITO IMMOBILE NON ULTIMATO

ULTIMAZIONE DELLA COSTRUZIONE

EDIFICIO «ESISTENTE» EX ART. 2645-BIS C.C.

TRATTASI DI IMMOBILE (ESCLUSO SE DECORSI

PIÙ DI 5 ANNI)

PLUSVALENZE IMMOBILI

Redditi diversi

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

FABBRICATI DESTINATI ALLA DEMOLIZIONE

SE DALL’ATTO RISULTA CHE IMMOBILE È DESTINATO

ALLA DEMOLIZIONE

AGENZIA ENTRATE(R.M. 395/2008)

CASSAZIONE(N. 4150/2014)

CESSIONE AREA EDIFICABILE

CESSIONE FABBRICATO

NON RILEVA IL TERRENO CON POTENZIALITÀ

EDIFICATORIA

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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Redditi diversi: le plusvalenze immobiliari

101

ARTICOLO 67, COMMA 1, LETT. B

SI TIENE CONTO ANCHE DEL PERIODO DI POSSESSO

DEL DONANTE

IMMOBILI PERVENUTI PER DONAZIONE

PERIODO DI POSSESSO CIRCOLARE N. 5/E/2015

QUINQUENNIO DI POSSESSO DECORRE DALL’ACQUISTO

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

RENT TO BUY

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

DETERMINAZIONE – ARTICOLO 68

CORRISPETTIVO – (PREZZO/COSTO COSTR. + ACCESSORI)

DEROGHE AL PREZZO/COSTO

1. TERRENI ACQUISTATI OLTRE 5 ANNI PRIMA DELLA LOTIZZAZIONE→ V.N. 5° ANNO ANTERIORE TERRENI

2. TERRENI ACQUISITI DON./SUCC. → V.N. INIZIO LOTIZZAZIONE3. FABBRICATI SU TERRENI ACQUISITI DON./SUCC. → V.N. TERRENO

INIZIO COSTRUZIONE

LETT

. A

PLUSVALENZE IMMOBILI

Redditi diversi

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__________________________________________________________________________________

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102

DETERMINAZIONE – ARTICOLO 68

CORRISPETTIVO – (PREZZO/COSTO COSTR. + ACCESSORI)

DEROGHE AL PREZZO/COSTO

LETT

. BPLUSVALENZE IMMOBILI

1. FABBRICATI → PREZZO O COSTO SOSTENUTO DAL DONANTE2. TERRENI ED. E NON → VALORE ATTO SUCCESSIONE O DONAZIONE

Redditi diversi

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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TERRENI RIVALUTATI

COSTO FISCALE = VALORE INDICATO IN PERIZIA

OBBLIGO DI INDICAZIONE DEL VALORE NELL’ATTO

1. PERIZIA ANTECEDENTE ALLA VENDITA (ANCHE SUCCESSIVAASSEVERAZIONE)

2. INDICAZIONE NELL’ATTO DI UN VALORE INFERIORE A QUELLO DIPERIZIA: RILEVANZA COSTO STORICO SALVO «DEROGHE»(DIFFERENZE ESIGUE O, SE SIGNIFICATIVE, INDICAZIONE DELVALORE PERIZIATO)

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

__________________________________________________________________________________

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Redditi diversi: le plusvalenze immobiliari

103

DONAZIONE E SUCCESSIONE RIVALUTATI

VALORE UTILIZZABILE SOLO SE INDICATO QUALE VALORE

NELLA DENUNCIA DI SUCCESSIONE

SUCCESSIONE DONAZIONE

COSTO PARI AL VALORE INDICATO DENUNCIA

DI SUCCESSIONE

COSTO FISCALE PARI A QUELLO SOSTENUTO

DAL DONANTE

IL DONATARIO PUÒ UTILIZZARE QUALE COSTO

QUELLO RIVALUTATO

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

__________________________________________________________________________________

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__________________________________________________________________________________

ARTICOLO 67, COMMA 1, LETT. B

CESSIONE FABBRICATI E TERRENI NON EDIFICABILITASSAZIONE ORDINARIA SALVO IMPOSTA SOSTITUTIVA (20%)

CESSIONE TERRENI EDIFICABILITASSAZIONE SEPARATA È TASSAZIONE NATURALEPOSSIBILE OPTARE PER TASSAZIONE ORDINARIA

B

CORRISPETTIVO SPESE

2014 PLUSV.

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

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104

CESSIONE IMMOBILI ALL’ESTERO

PLUSVALENZA RILEVANTE SE PERIODO DI POSSESSO < 5 ANNI

RISOLUZIONE N. 143/E/2007: POSSIBILITÀ DI RICHIEDERE APPLICAZIONE IMPOSTA SOSTITUTIVA 20%

(PERDITA CREDITO IMPOSTE PAGATE ALL’ESTERO - REDDITO NON CONFLUISCE NEL COMPLESSIVO)

Redditi diversi

PLUSVALENZE IMMOBILI

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105

REDDITI DIVERSI DA CAPITAL GAIN

CESSIONI SUCCESSIVE

CESSIONI ESEGUITE

NELL’ARCO DI 12 MESI A PARTIRE DALLA PRIMA

SE LA PRIMA È QUALIFICATA, IL REDDITO È

IMPONIBILE NEL PERIODO

SUCCESSIVO

SE PER UN GIORNO È STATA DETENUTA UNA

QUALIFICATA

CRITERIO LIFO

Redditi diversi

QUALIFICAZIONE NASCOSTA

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106

ECCEZIONE: PARTECIPAZIONE RICEVUTE A SEGUITO DI CONFERIMENTO DI UNICA AZIENDA

CESSIONE PARTECIPAZIONE

DETERMINA SEMPRE

CAPITAL GAIN QUALIFICATO

CIRCOLARE 52/04DETERMINA IMPONIBILE

UGUALE↓

CESSIONE IN REGIME

DI IMPRESA

CASO DIVERSO SE OGGETTO

CONFERIMENTO È RAMO DI

AZIENDA E NON INTERA AZIENDA

Redditi diversi

QUALIFICAZIONE NASCOSTA

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__________________________________________________________________________________

ECCEZIONE: PARTECIPAZIONE INTESTATAALLA COMUNIONE TRA CONIUGI

DUE PARTECIPAZIONI CIASCUNA PER LA METÀ DEL

TOTALE DETENUTO

SE AMMONTA AL 30%

DETERMINA DUE CESSIONI AL 15%

UNICO SOGGETTO A CUI SONO RIMESSI I

DIRITTI

Redditi diversi

QUALIFICAZIONE NASCOSTA

__________________________________________________________________________________

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Redditi diversi da capital gain

107

1 CORRISPETTIVO – (COSTO SOGGETTO A TASSAZIONE)

CESSIONE A VALORE NOMINALE (CTR LAZIO N. 395/2007)

PRINCIPIO DI CASSA

ATTO DI CESSIONE > ACCONTO SU FUTURA CESSIONE PARTECIPAZIONE (NO PLUS)

2

3

4

Redditi diversi

CAPITAL GAIN

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

SOMMA ALGEBRICA TRA PLUS E MINUS

MINUS CONSEGUITA PRIMA DEL 1.7.2014:1) 48,08% SE REALIZZATE ENTRO IL 31.12.2011;2) 76,92% SE REALIZZATE TRA IL 1.1.2012 E IL 30.6.2014

Redditi diversi

IMPONIBILE

MINUS DAL 1.7.2014: SOMMA ALGEBRICA «NORMALE»

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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108

LA PARTECIPAZIONE È DETERMINATA AL LORDO DEGLI ONERIACCESSORI.SE GLI ONERI SONO SOSTENUTI DAL CEDENTE, ABBATTONO LAPLUSVALENZA E, IN CASO DI PEX, SONO DEDUCIBILI AL 5%

CAPITALE SOTTOSCRITTO -PREZZO NON VERSATO

Redditi diversi

COSTO PARTECIPAZIONE -AUMENTI GRATUITI

DETERMINAZIONE COSTO

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

C.M. 98/2000 COSTO DELLA PARTECIPAZIONE IN PROPORZIONE AL PATRIMONIO NETTO CONTABILE

CALCOLO DEL P. NETTO EFFETTIVO:- OIC 5 > VALORE CORRENTE BENI TRASFERIBILI- RESPONSABILITÀ SU PASSIVITÀ TRASFERITE

RIS. 52/E/2015

Redditi diversi

COSTO E SCISSIONI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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Redditi diversi da capital gain

109

DONAZIONE: MEDESIMO VALORE RICONOSCIUTO IN CAPO AL DONANTE

(SE RICONOSCIUTO)

LA RIVALUTAZIONEDA PARTE DEL DONATARIO

DEVE RIPARTIREDAL VALORE ORIGINARIO

SE IL DONATARIO NON ESEGUE NUOVA

RIVALUTAZIONE, QUELLA ESEGUITA

DAL DONANTE È EFFICACE

Redditi diversi

ACQUISTO GRATUITO

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

SUCCESSIONE: VALORE INDICATO NELLA DENUNCIA DI SUCCESSIONE (VALORE CONTABILE

DELLA FRAZIONE DI PATRIMONIO NETTO)

LA RIVALUTAZIONESPIEGA EFFETTO

SOLO PER IL DE CUIUS

PARTECIPAZIONI ESENTI DA IMPOSTA

DI SUCCESSIONE: VALORE NORMALE

Redditi diversi

ACQUISTO GRATUITO

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110

IL VALORE RIVALUTATO ESPRIME IL DATO RILEVANTE ALL’1.1OGNI ALTRO EVENTO SUCCESSIVO MODIFICA IL COSTO

ES.: UTILI 2014 PER SP SONO APPREZZATI IN PERIZIAALL’1.1.2015, QUINDI NON INCREMENTANO IL COSTORIVALUTATO

MENTRE, GLI UTILI 2015 ATTRIBUITI PER TRASPARENZAINCREMENTANO IL COSTO

Redditi diversi

RIVALUTAZIONE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

COSTO + REDDITI PER

TRASPARENZA PERDITE

UTILI DISTRIBUITI

AI SOCI

POSSONO INCREMENTARE IL COSTO SOLO GLI UTILI FISCALMENTE IMPUTATI AL SOCIO

Redditi diversi

COSTO SOCIETÀ DI PERONE

__________________________________________________________________________________

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Redditi diversi da capital gain

111

1) ACCERTAMENTI DI MAGGIOR REDDITO: SE DEFINITIVO PRIMA DELLA CESSIONE, INCREMENTO DEL MAGGIOR REDDITO ATTRIBUITO

2) SP IN CONTABILITÀ SEMPLIFICATA: DIFFICOLTÀ AD INCREMENTARE GLI UTILI DISTRIBUITI, SALVO PROVA CONTRARIA

3) SP DI ANTICA COSTITUZIONE: L’INDAGINE SI DEVE ARRESTARE AL DECENNIO, OVVERO AL QUINQUENNIO

Redditi diversi

COSTO SOCIETÀ DI PERONE

PROBLEMATICHE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

SALVO INTERPELLO DISAPPLICATIVO

Redditi diversi

PARTEC. IN SOCIETÀ ESTERE:

INCLUSE NEL PERIMETRO

RIVALUTABILI

SE IN PAESI BLACK LIST:

PLUS TASSABILE AL 100%

PARTECIPATA ESTERA

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Redditi diversi

PARTEC. IN SOCIETÀ

RESIDENTI:REDDITI

TERRITORIALI

RIVALUTABILIECCEZIONE:PARTEC. IN QUOTATE

PARTECIPANTE ESTERA

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113

ALTRI REDDITI DIVERSI

REDDITO LAVORO AUTONOMO – REDDITO DIVERSO

CONSEGUITO DALL’AUTORE

NON ESERCIZIOATT. COMM.LE

CONSEGUITODA AVENTE

CAUSAESERCIZIOIMPRESA COMM.LE

NON RILEVANTE AI FINI IVA, SE ESEGUITA DA AUTORE O EREDIECCEZIONE: OPERE CINEMATOGRAFICHE

Altri redditi diversi

DIRITTI D’AUTORE

__________________________________________________________________________________

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114

REDDITO LAVORO AUTONOMO – REDDITO DIVERSO

IMPONIBILEAL 75% O AL 60%

PER GIOVANI INF.

35 ANNI

IMPONIBILEAL 75%

NO RIDUZIONE PER GIOVANI

Altri redditi diversi

DIRITTI D’AUTORE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

1 BENI IMMOBILI

AMMESSE IN DEDUZIONE LE SPESE INERENTI(REGIME ANALITICO VS REGIME FORFETTARIO)

BENI MOBILI (VEICOLI ED ALTRI BENI)

AMMESSE IN DEDUZIONE SPESE INERENTI(ASSICURAZIONI, TASSE DI CIRCOLAZIONE…)

2

Altri redditi diversi

SUBLOCAZIONE

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Altri redditi diversi

115

DA EREDI O DONATARI NON IMPRENDITORI,O DA IMPRENDITORE CHE AFFITTA E RIVENDE AZIENDA

REDDITI DA LOCAZIONE:AMMETTONO LA

DEDUZIONE DELLE SEPESE INERENTI

PLUSVALENZE CALCOLATE A NORMA

DELL’ART. 86 TUIR

Altri redditi diversi

AFFITTO E CESSIONE AZIENDA

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

DETERMINAZIONE PLUSVALENZA QUALE REDDITO DIVERSO

PRINCIPIO DI CASSA

NO DILAZIONEQUINQUIENNALE

DELLE PLUS

Altri redditi diversi

AFFITTO E CESSIONE AZIENDA

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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116

IPOTESI

1) INDENNITÀ, RIMBORSI, PREMI E COMPENSI2) COMPENSI A CO.CO.CO DI CARATTERE AMMINISTRATIVO

ENTRO 7.500: NON TASSABILI7.500 - 20.658: RITENUTA 23%

DETASSATI RIMBORSI ANALITICI PER TRASFERTE FUORI

DAL COMUNE

Altri redditi diversi

COMPENSI ASD

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

IL REDDITO SI GENERA CON LA MATURAZIONE DEL GODIMENTO DEL BENE SOCIALE

VALORE NORMALE DEI VEICOLI: ARTICOLO 51 TUIR

REDDITO DIVERSO RESIDUALE: NON SI APPLICA SE IL BENEFITÈ STATO TASSATO AD ALTRO TITOLO

SOCIO DI SOCIETÀ DI PERSONE: REDDITO RIDOTTO DELL’IMPORTO ATTRIBUITO PER TRASPARENZA

Altri redditi diversi

LOCAZIONE BENE SOCIALE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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Altri redditi diversi

117

1. BENI CONCESSI AD AMMINISTRATORI2. BENI CONCESSSI AL SOCIO DIPENDENTE O LAVORATORE

AUTONOMO, SE COSTITUISCONO FRINGE BENEFIT (ART. 51 – 54TUIR)

3. BENI CONCESSI IN GODIMENTO ALL’IMPRENDITORE INDIVIDUALE;4. BENI DI SOCIETÀ E ENTI PRIVATI DI TIPO ASSOCIATIVO CHE

SVOLGONO ATTIVITÀ COMMERCIALE, CONCESSI IN GODIMENTO AENTI NON COMMERCIALI

5. ALLOGGI DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE EDILIZIE DI ABITAZIONE APROPRIETÀ INDIVISA

6. BENI AD USO PUBBLICO CON INTEGRALE DEDUCIBILITÀ DEIRELATIVI COSTI

7. FINANZIAMENTI CONCESSI AI SOCI O AI FAMILIARIDELL’IMPRENDITORE.

ESCL

USI

ON

I:EL

ENCA

ZIO

NE

TASS

ATIV

A

Altri redditi diversi

COMUNICAZIONE BENI AI SOCI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

SISTEMATICA CONTINUITÀ PROFESSIONALITÀ

ELEMENTI CHE NON DEVONO SUSSISTERE AFFINCHÉ UNA ATTIVITÀ SIA OCCASIONALE

CIRC. 7/1977

RIS. 21/2004 : REDDITO OCCASIONALE COMMERCIALE SE COMPRESO NELL’ARTICOLO 2195 C.C., DIVERSAMENTE LAVORO AUTONOMO

OCCASIONALE (PROBLEMA RITENUTA)

Altri redditi diversi

ATTIVITÀ OCCASIONALI

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__________________________________________________________________________________

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118

IMPIANTO FOTOVOLTAICO

1) AI SOLI FINI PERSONALI: CONTRIBUTO GSE2) ENERGIA ESUBERO: SCAMBIO SUL POSTO - VENDITA

L’USO PERSONALENON QUALIFICA REDDITO

LO SCAMBIO E LA VENDITA COMPORTANO REDDITO DIVERSO

Altri redditi diversi

SFRUTTAMENTO ENERGIA

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

RIS. 6/E/2015: LE SOMME INCASSATE PER CESSIONE DI CONTRATTO PRELIMINARE SONO REDDITO DIVERSO

RIS. 9/2706/82: LA CONCESSIONE DEL DIRITTO DI ESCAVARE RAPPRESENTA REDDITO DIVERSO

RIS. 204/E/2002: L’ATTIVITÀ È IMPRENDITORIALE SE È ORGANIZZATA E PROTRATTA NEL TEMPO CON VENDITA

Altri redditi diversi

IPOTESI RISOLTE

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119

REDDITI DA CAPITALE

PRESUNZIONE SEMPLICE

- PERCEZIONE ALLA SCADENZA

- MISURA PATTUITA

SE NON FORMA SCRITTA:- AMMONTARE MATURATO

- SAGGIO LEGALE

- SOCIO-SOCIETÀ > PRESUNZIONE MUTUO FRUTTIFERO SE DAL BILANCIONON RISULTA ALTRO TITOLO- SOGGETTI NON RESIDENTI: RITENUTA OPERATA INTERMEDIARIO OIMPOSTA SOSTITUTIVA

Redditi di capitale

CAPITALI DATI A MUTUO

__________________________________________________________________________________

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__________________________________________________________________________________

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120

RITENUTA ARTICOLO 26 D.P.R. 600/1973

26%:- PERSONE FISICHE NON

IMPRENDITORI- ACCONTO IMPRESE

INDIVIDUALI

- RITENUTA OPERATA ANCHE SEREDDITO NON DI CAPITALE

- INDEDUCIBILITÀ INTERESSIABROGATA

Redditi di capitale

INTERESSI C/C - OBBLIGAZIONI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

TASSAZIONE: PRINCIPIO DI CASSA

DIFFERENZA CON RENDITA VITALIZIA:VA A BENEFICIO DEGLI EREDI DEL PRIMO BENEFICIARIO

1

2

Redditi di capitale

RENDITA PERPETUA

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Redditi da capitale

121

PARTECIPAZIONE AL CAPITALE SOCIETÀ EROGANTE GLI UTILI

IRRILEVANTE PARTECIPAZIONI A TITOLO DI STOCK OPTION

Redditi di capitale

ECCEZIONE: ASSEGNAZIONE DI AZIONI A DIPENDENTI (REDDITO

DI LAVORO DIPENDENTE)

DIVIDENDI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

DESTINATARI

PERSONA FISICA: IMPONIBILE AL 49,72%

ENTI NON COMMERCIALI: 77,74% CON RITENUTA AL 26% A TITOLO DI ACCONTO

Redditi di capitale

DETERMINAZIONE DIVIDENDO

__________________________________________________________________________________

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122

RISERVE DI UTILI

SITUAZIONI PARTICOLARI:- NO PER RISERVE IN SOSPENSIONE D’IMPOSTA;- NO PER RISERVE NON DISPONIBILI;- IN CASO DI RIPARTIZIONE DELLE RISERVE;- NO QUANDO LA DISTRIBUZIONE NON GENERA REDDITO DI

CAPITALE

Redditi di capitale

PRESUNZIONE DISTRIBUZIONE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

RISERVE DI UTILIGENERATE FINO AL 2007 D.M. 2.4.2008

SITUAZIONI PARTICOLARI:- UTILIZZO PER COPERTURA PERDITE: PRESUNZIONE AL CONTRARIO;- NO PER RISERVE IN SOSPENSIONE D’IMPOSTA;- REGIME DI TRASPARENZA: NON NECESSARIO DISTRIBUIRE UTILI

CHE GENERA DIVIDENDI (2007);- TRASFORMAZIONE REGRESSIVA (COME PRIMA)

Redditi di capitale

PRESUNZIONE DISTRIBUZIONE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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Redditi da capitale

123

EROGATI A SOGGETTI ESTERI

PERCETTORE PERSONA FISICA O DIVERSO DA SOCIETÀ UE

O DIRETTIVA MADRE/FIGLIA↓

RITENUTA D’IMPOSTA 26%

Redditi di capitale

DIVIDENDI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

EROGATI A SOGGETTI ESTERI

POSSIBILI RIDUZIONI:A) APPLICAZIONE ALIQUOTA CONVENZIONALEB) RIMBORSO PARI A ¼ DELLA RITENUTA APPLICATA, SE PAGATA

ALL’ESTERO IMPOSTA A TITOLO DEFINITIVO

Redditi di capitale

DIVIDENDI

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INCASSATI DA RESIDENTE

1) PERSONA FISICA – PART. NON QUALIFICATA (26% NETTOFRONTIERA)

2) PERSONA FISICA – PART. QUALIFICATA (26% SU 49,72% NETTOFRONTIERA)

RITENUTE ESTERE ENTRO CONVENZIONE: SCOMPUTABILI

RITENUTE ESTERE ULTRACONVENZIONE: RIMBORSO

Redditi di capitale

DIVIDENDI ESTERI

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

REDDITO DI CAPITALEIN FORMA QUALIFICATA O NON

QUALIFICATA SE

CONTRATTI IN ESSERE AL 25.6.2015

SUPERA 5% O 25% VALORE PN

SUPERA 25% SOMMA RIMANENZE E VALORI CESPITI

CONTRATTI IN ESSERE E FUTURI CON APPORTO DI

SOLO CAPITALECOME SOPRA

Redditi di capitale

AIP APPORTO CAPITALE

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

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Redditi da capitale

125

REDDITO DI CAPITALE IN FORMA QUALIFICATA O NON:EVENTUALE SURPLUS INCASSATO IN SEDE DI RECESSO

QUINDI

COSTITUZIONE: APPORTO QUALIFICATO DI 50.000 EURO

RECESSO: INCASSO 60.000 EURO

10.000 EURO: REDDITO DA CAPITALE TASSATO AL 49,72%

Redditi di capitale

RECESSO ASSOCIATO

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

FORMA IMPROPRIA: PARTECIPA AGLI UTILI MA NON ALLE PERDITE

FORMA PROPRIA: ASSENZA DI APPORTO E PARTECIPAZIONE UGUALE ALLA PARTECIPAZIONE ALLE PERDITE

Redditi di capitale

CONTRATTO DI COINTERESSENZA

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DISCIPLINA FISCALE:• IN CAPO AL COINTERESSANTE NON OPERA INDEDUCIBILITÀ

SE NON C’È APPORTO• IN CAPO AL COINTERESSATO NON IMPRESA: REDDITO DI

CAPITALE CON TASSAZIONE INTEGRALE

Redditi di capitale

CONTRATTO DI COINTERESSENZA

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127

REDDITI FONDIARI

DESTINAZIONE

ABITATIVA

USO

ABITATIVO

DUPLICE ESIGENZA

PERTINENZE LOCAZIONE CONTESTUALE LOCAZIONE SUCCESSIVA NO VINCOLI DI NUMERO E TIPOLOGIA

FABBRICATI ESTERI SUBLOCAZIONI

ESCLUSI

ATTENZIONE

Redditi fondiari

CEDOLARE

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TIPOLOGIE IMMOBILI TRATTAMENTO FISCALE AGEVOLAZIONE

FABBRICATI STRUMENTALI COSTI E RELATIVI RICAVI NO

FABBRICATI RIMANENZA COSTI E RELATIVI RICAVI NO

FABBRICATI PATRIMONIO DETERMINAZIONE REDDITO SÌ

IN REGIME D’IMPRESA2

ARTICOLO 10 D.LGS. 42/20041

Redditi fondiari

FABBRICATI VINCOLATI

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