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CORSO ISTF 02 – 7 CFU INTRODUZIONE ALLA SACRA SCRITTURA 2 2 . . L L A A C C O O L L L L E E Z Z I I O O N N E E D D E E L L L L E E S S A A C C R R E E S S C C R R I I T T T T U U R R E E : : I I L L C C A A N N O O N N E E Prof. don Michele Marcato A.A. 2013-2014

2. LA COLLEZIONE DELLE SACRE SCRITTURE: IL CANONE · dell'Antico e del Nuovo Testamento, nella loro interezza, con tutte le loro parti, così come sono elencati nel decreto di questo

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CCOORRSSOO IISSTTFF 0022 –– 77 CCFFUU

IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE AALLLLAA SSAACCRRAA SSCCRRIITTTTUURRAA

22.. LLAA CCOOLLLLEEZZIIOONNEE DDEELLLLEE SSAACCRREE

SSCCRRIITTTTUURREE:: IILL CCAANNOONNEE

PPrrooff .. ddoonn MMiicchheellee MMaarrccaattoo

A.A. 2013-2014

SOMMARIO

Sommario .......................................................................................................................... 1

1. La Bibbia, libro della fede ......................................................................................... 3

2. La storia della formazione del canone dell’AT ......................................................... 6

2.1. Il Siracide (180 a.C.) .............................................................................................. 7

2.2 Il Secondo libro dei Maccabei (160 a.C.) ............................................................... 7

2.3 I manoscritti del Mar Morto .................................................................................... 8

2.4 Il Nuovo Testamento ............................................................................................... 8

2.5 I primi scrittori ebraici ............................................................................................ 9

2.6 Il canone breve e quello lungo dell'AT ................................................................. 10

2.7 La formazione del canone ebraico «breve» e l'accademia di Iamnia .................... 10

2.8 Origine del canone lungo dei cristiani .................................................................. 13

3. Il Canone dell'AT .................................................................................................... 15

3.1 La Torā (Legge o Pentateuco) ............................................................................... 15

3.2 I Profeti.................................................................................................................. 16

3.3 Gli Scritti ............................................................................................................... 17

4. La struttura aperta del canone dell'AT ....................................................................... 18

4.1 L'AT cristiano orientato a Cristo – l'AT ebraico orientato al tempio .................... 18

4.2 L'ingresso nella terra promessa ............................................................................. 20

5. I cristiani e l'AT ....................................................................................................... 22

5.1 I cristiani accolgono l'AT da Gesù ........................................................................ 22

5.2 Annuncio di Gesù e canone nella Chiesa delle origini ......................................... 23

5.3 Gesù e la canonicità delle Scritture ....................................................................... 23

6. Il Canone del NT ..................................................................................................... 25

SOMMARIO

6.1 L'importanza della tradizione orale ....................................................................... 25

6.2 Il Corpus paulinum ................................................................................................ 27

6.3 La formazione del corpo dei quattro Vangeli (e di Atti) ....................................... 28

6.4 Gli altri scritti del NT e il riconoscimento dei deuterocanonici ............................ 31

6.5 Chiusura del canone ............................................................................................... 32

CAPITOLO PRIMO

La collezione delle Sacre Scritture: il canone

1. LA BIBBIA , LIBRO DELLA FEDE

La Chiesa esprime e trasmette la sua fede attraverso molti modi, e soprattutto

attraverso svariate forme della parola: anche i simboli, i gesti liturgici e la testimonianza

della vita hanno bisogno di parole che li spieghino e, se necessario, diano loro evidenza.

Questo primato della parola è un fenomeno umano consueto ed è altrettanto normale

che una fede universale abbia l'intenzione di attraversare i secoli affidandosi non solo

alle forme della parola parlata (più viva, più immediata, più intensa) ma anche a quelle

della parola scritta (più rigida, fissata una volta per sempre, ma anche più capace di

diffusione e di durata).

Più originale, invece, è l'autorità che la fede cristiana riconosce a quello scritto (o

insieme di scritti) che chiamiamo Bibbia. Alle parole che esprimono la fede e ai

documenti che le riportano viene riconosciuto un valore diversissimo; ma tra essi la

Bibbia è senza pari, ha un'autorità nel suo genere assoluta. Tanto è vero che viene anche

indicata come «la Scrittura» (anche senza l'aggettivo «sacra»). Il termine teologico

tecnico per esprimere l'autorità della Bibbia circa la fede e la sua trasmissione è

canonicità ("canone" indica la misura, la regola).

Prima di addentrarci nei problemi relativi al canone, può essere utile

un'annotazione: la canonicità della Bibbia è un dato "indisponibile". La Chiesa la

riconosce, l'accoglie, ma non la saprebbe creare, né abrogare, né estendere, né limitare:

la Chiesa non ne può disporre arbitrariamente. È un dato, dunque, di cui non può

liberamente disporre, non è "disponibile". Indubbiamente il popolo di Dio e la

tradizione della sua fede, come anche i suoi pastori e maestri, hanno una funzione attiva,

responsabile e necessaria nel discernimento e nella dichiarazione del canone biblico.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

4

Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede della chiesa universale, proclamata dal santo concilio di Trento, è contenuta nei libri scritti e nella tradizione non scritta che, ricevuta dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo, o trasmessa quasi di mano in mano dagli stessi apostoli, per ispirazione dello Spirito Santo, è giunta fino a noi. Questi libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, nella loro interezza, con tutte le loro parti, così come sono elencati nel decreto di questo concilio e come si trovano nell'antica edizione latina della Volgata, devono essere accettati come sacri e canonici. La chiesa li considera tali non perché, composti per opera dell'uomo, sono stati poi approvati dalla sua autorità, e neppure soltanto perché contengono senza errore la rivelazione; ma perché, scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati trasmessi alla chiesa.1

Spiegando perché la Chiesa ritiene «sacri e canonici» gli scritti dell'Antico e del

Nuovo Testamento, il concilio Vaticano I ha esplicitamente escluso l'ipotesi che essi

risultino tali perché «approvati successivamente dalla sua [della Chiesa] autorità,

essendo stati composti per sola opera umana». Anzi, aggiunge che «come tali [cioè sacri

e canonici] alla Chiesa stessa sono stati trasmessi, consegnati (traditi sunt)». In altre

parole la Chiesa non fa che accogliere la canonicità della Bibbia. Con questo non si vuol

escludere un ruolo "attivo" della Chiesa nei confronti del canone, ma vedremo in che

senso. Se dunque possiamo parlare di una trasmissione della Bibbia come canonica non

solo nella Chiesa ma alla Chiesa, ecco che l'esame storico delle origini di questa

tradizione alla ricerca di questa «consegna» si fa particolarmente interessante.

Non solo la canonicità della Bibbia si presenta come un dato che ci precede, ma

anche il canone della Bibbia, cioè l'elenco, il catalogo degli scritti che la compongono

"viene prima". Tra canone e canonicità, del resto, vi è necessariamente una connessione

molto stretta. Prima di riprendere il cammino proviamo a darne una definizione

sintetica: Il canone indica la lista ufficiale di quei libri che la Chiesa ufficialmente

accoglie e riconosce come facenti parte della sua fondazione a comunità di fede; ma in

quanto canonici, quei libri servono come norma profetica e apostolica di ciò che è

proprio e legittimo nella trasmissione della verità rivelata e nella strutturazione della

vita cristiana.2

In altre parole col termine canone s'intende l'elenco dei libri riconosciuti autorevoli

e fondamentali per delineare l'identità di fede della comunità che li utilizza; tale lista

1 Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica Dei Filius de fide catholica, II. 2 V. MANNUCCI, Il canone delle Scritture, in ID., Introduzione generale alla Bibbia, (Logos 1), p. 381.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

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chiusa definisce la collezione di libri (Bibbia) che esercita nei confronti della comunità

un'autorità vincolante in materia di dottrina (fede) e di comportamento (morale).

Noi siamo abituati alla determinatezza del canone e in questa abitudine si traduce la

coscienza della fede. Il Concilio di Trento, l'8 aprile 1546 nel decreto De canonicis

Scripturibus, ci offre un elenco di 73 libri (46 dell'AT3 e 27 del NT).4 Ma il Concilio

tridentino rinvia oltre se stesso, rifacendosi alla tradizione precedente. Infatti, non ci fu

sempre pieno accordo attorno alla lista canonica dei libri biblici: ci furono ampie e

lunghe discussioni al riguardo, oppure prassi differenti nelle varie comunità. Infatti, la

definizione di Trento è stata preceduta da molti provvedimenti da parte delle autorità

ecclesiastiche, i primi dei quali risalgono al IV secolo, dopo che il cristianesimo divenne

religione ufficiale dell'impero. Alcuni concili locali hanno deliberato circa il canone

delle Scritture, specialmente in Africa del Nord (concili di Ippona nel 393 e di Cartagine

nel 397 e 419).

La dichiarazione di Trento arriva, dunque, alla fine di un lungo processo, del quale

è importante e utile ripercorrere la storia. È bello e non del tutto infondato ipotizzare

che le origini della Bibbia si radichino nell'eternità stessa di Dio, ma nella storia c'è

stato un tempo in cui questi libri non esistevano, e nemmeno il loro canone. Inoltre non

sono apparsi tutti insieme contemporaneamente come frutto di un unico "progetto

editoriale". Piuttosto vanno considerati come il risultato di un lungo e complesso

procedimento che si dispiega nella storia. Se questo vale per la formazione dei libri

biblici, lo stesso vale per il precisarsi della loro lista canonica. In altre parole, la fissità

del canone non sta "all'inizio" della storia dei libri biblici, ma "alla fine", come il

risultato maturo di un delicato e controverso processo di presa di coscienza circa i libri

normativi per la fede.

La storia del canone, dunque, è propriamente la storia della collezione degli scritti

biblici, e come tale ha una sua originalità, che va riconosciuta, anche se è difficile

ricostruirla, non solo per la scarsità della documentazione, ma anche perché essa è

3 Più precisamente dice 45, poiché il libro delle Lamentazioni era considerato come parte del libro del

profeta Geremia. 4 Vengono detti "libri" ma non tutti si presentano come tali; in realtà assieme a veri e propri libri (ad es.

Genesi, Esodo, i Vangeli) ci sono pure delle "lettere" (ad es. Corpus paulinum) e dei semplici "biglietti" (Abd, Fm, 2 Gv, 3 Gv, Gd).

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

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intrecciata con la storia della formazione degli scritti stessi e della coscienza della loro

canonicità. Proviamo, allora, a disegnare il quadro di questa problematica,

ripercorrendone le tappe salienti.

2. LA STORIA DELLA FORMAZIONE DEL CANONE DELL’AT 5

Il canone ebraico contiene ovviamente solo quello che per i cristiani si chiama

«Antico Testamento» e che gli ebrei chiamano Tanak, acronimo formato dalle prime

sillabe di tre parole ebraiche che designano le tre parti del la Bibbia: Torā («Legge»),

Nebî’îm («Profeti») e Ketūbîm («Scritti»). Questo canone è anche il più breve perché

contiene solo i libri scritti o in ebraico o parzialmente in aramaico (esclude i testi scritti

in lingua greca) e dispone i libri in un ordine diverso da quello dei canoni cristiani. Il

canone dei protestanti è più breve del canone cattolico, poiché contiene solo i libri del

canone ebraico (in forza della hebraica veritas). Quindi l'AT dei protestanti è identico a

quello degli ebrei, anche se l'ordine dei libri è diverso.

Risulta estremamente arduo stabilire quali siano i libri o gli scritti più antichi della

Bibbia ebraica. Gli esegeti discutono molto circa la datazione dei testi, perché non ci

sono criteri perfettamente sicuri per questa operazione; si ricorre, infatti, a criteri

linguistici, al tipo di argomento trattato, alle idee tipiche di alcune epoche o a

riferimenti ad eventi contemporanei. Per quanto riguarda quest'ultimo criterio, il

riferimento, cioè, ai fatti contemporanei, riscontrabili anche in fonti extrabibliche, si cita

un testo del profeta Amos in cui si ricorda un «terremoto» (Am 1,1), che gli specialisti

datano verso il 760 a.C. Le profezie di Amos sarebbero state pronunziate «due anni

prima del terremoto» (cf. Am 9,1; Zc 14,5). D'altra parte, il problema della datazione

dei libri biblici si complica perché essi furono rielaborati più volte in diverse epoche.

Infatti, il testo di cui disponiamo oggi non è il testo originale, il quale invece ha subito

successive riedizioni, ritocchi, aggiunte attualizzanti più tardive. Comunque secondo gli

studi più recenti si pensa che la stesura delle parti più antiche della Bibbia ebraica

risalgano ad un'epoca collocabile tra la seconda parte del IX secolo e l'inizio dell'VIII,

5 Questa rapida carrellata storica segue pedissequamente il contributo di J.-L. Ska, Formazione del

canone delle Scritture ebraiche e cristiane, in Id., Il libro sigillato e il libro aperto, Bologna, pp. 119-134.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

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quando si presentano in Israele le condizioni economiche e culturali necessarie per la

comparsa e lo sviluppo di una cultura della scrittura. Per le epoche precedenti non

abbiamo alcun materiale epigrafico. Dunque siamo nell'epoca dei primi «profeti

scrittori», quali Amos e Osea.

Ma circa il nostro argomento: qual è la prima attestazione di un "elenco" di libri? A

partire da quando possiamo parlare di liste o raccolte di libri? Volutamente si evita di

utilizzare il termine tecnico canone, che designa una lista ufficiale, ratificata

dall'autorità competente e quindi ritenuta fissa, "chiusa", non più aggiornabile e

modificabile. Infatti, prima della formazione del canone, compaiono delle raccolte di

libri considerati come ispirati e autorevoli per l'identità di Israele.

2.1. Il Siracide (180 a.C.)

La Bibbia ebraica esisteva prima dei manoscritti di Qumran, (redatti fra il 150 a.C.

circa, data della fondazione della comunità, e il 68 d.C., data della sua distruzione). Una

delle prime attestazioni di una raccolta di libri sacri, si trova nel prologo della

traduzione greca del libro del Siracide (scritto verso il 180 a.C.), in cui si menzionano

tre parti della Bibbia: la Legge, i Profeti, e un terzo gruppo non molto bene definito:

«Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge, nei Profeti e negli altri Scritti

(Ketūbîm) successivi e per essi si deve lodare Israele come popolo istruito e sapiente…

». Questa terza parte corrisponde probabilmente ai cosiddetti «Scritti» della Bibbia

ebraica (Salmi, Giobbe, Proverbi ecc.). La traduzione fu fatta dopo il 138 a.C.

2.2 Il Secondo libro dei Maccabei (160 a.C.)

Il secondo libro dei Maccabei, scritto verso il 160 a.C., contiene una testimonianza

importante: «Si descrivevano le stesse cose nei documenti e nelle memorie di Neemia e

come egli, fondata una biblioteca, curò la raccolta dei libri dei re, dei profeti e di Davide

e le lettere dei re intorno ai doni» (2Mac 2,13). Dunque, Neemia, avrebbe fondato una

biblioteca che conteneva due tipi di libri: cronache sui re e sui profeti, e testi legislativi

sul culto, in particolare su certi tipi di oblazioni da offrire nel tempio (stranamente non

si fa cenno alcuno alla legge di Mosè).

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

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In 2Mac 15,9 è scritto che Giuda Maccabeo sosteneva gli ebrei «… confortandoli

così con le parole della legge e dei profeti e ricordando loro le lotte che avevano già

condotte a termine, li rese più coraggiosi». Si tratta, dunque, di un'attestazione della

divisione della Bibbia ebraica nelle due parti più importanti (Legge e Profeti).

2.3 I manoscritti del Mar Morto

A Qumran si sono rinvenuti frammenti e, in alcuni casi, rotoli pressoché interi, di

quasi tutti i libri del canone ebraico, tranne Ester. Quest'ultimo libro, che nella versione

ebraica è più breve rispetto a quella greca, è un testo profano in cui non compare mai il

nome di Dio, inoltre ha la funzione di legittimare la festa dei Purim, corrispondente al

nostro il carnevale ebraico (cf. Est 9,20-32). Probabilmente la setta essena non era

interessata a una tale celebrazione.

Oltre ai libri del canone ebraico, sono stati ritrovati anche frammenti del libro del

Siracide, della Lettera di Geremia e del libro di Tobia, scritti presenti nel canone

cristiano. Accanto ai libri biblici nella biblioteca di Qumran c'erano pure libri non

canonici, come i libri dei Giubilei e di Enoc, i Testamenti dei 12 patriarchi, e diversi

altri scritti della setta (ad esempio la Regola della comunità e la Regola della guerra).

Dunque a Qumran non si può parlare di un "canone chiuso" nel senso stretto della

parola.

2.4 Il Nuovo Testamento

Nel NT sono davvero numerose le allusioni alla Scrittura, ma riguardano quasi

sempre la Legge e i Profeti. In un solo caso si presenta un'espressione che si riferisce

alla Bibbia intesa come un insieme composto di tre parti. In Lc 24,44-45, infatti, il

Risorto dice ai discepoli: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con

voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei

Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture». Dunque

Luca ci mostra la Bibbia ebraica considerandola come un trittico di libri.

I Salmi, poi, vennero usati ben presto nella riflessione della primitiva comunità

cristiana per dimostrare l'appartenenza della passione, morte e risurrezione di Cristo al

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

9

disegno salvifico di Dio, rivelato nelle Scritture (anche se non è del tutto sicuro che in

quell'epoca si fosse già fissato il salterio "canonico" di centocinquanta salmi così come

lo conosciamo oggi).

Anche nel vangelo di Giovanni incontriamo un'altra attestazione del carattere ispirato

dei Salmi. In Gv 10,34 Gesù, rifacendosi al Sal 82,6 per dimostrare la sua figliolanza

divina, lo annovera tra i testi della Torā: «Non è forse scritto nella vostra Legge: "Io ho

detto: voi siete dèi" (Sal 82,6)?». Per il quarto vangelo, dunque, i Salmi vengono

equiparati alla Legge, e di conseguenza vengono riconosciuti come Scritture sacre.

Il NT, quindi, conosce una Bibbia composta dal Pentateuco, una serie di libri

profetici, il libro dei Salmi e diversi altri libri (gli Scritti). Ciononostante mai in nessun

passo neotestamentario viene fornita la lista precisa dei libri appartenenti a queste tre

categorie.

Nel testo del NT, d'altronde, compaiono numerose citazioni di libri canonici del

futuro canone ebraico, ma pure di libri deuterocanonici (assenti nel canone ebraico e

presenti nel canone greco) come Siracide, Sapienza, 1-2 Maccabei, Tobia, e addirittura

citazioni di scritti non canonici, considerati in quel tempo come "autorevoli", come i

Salmi di Salomone, 1-2 Esdra, 4 Maccabei (presenti nel canone greco ma non

riconosciuti poi nel canone cattolico) e l'Assunzione di Mosè ed Enoc.6. Questa

situazione sta a dimostrare che all'epoca della redazione del NT il canone delle Scritture

non era ancora stato fissato: ci sono libri conosciuti, l’autorevolezza dei quali non è in

discussione, ma le frontiere fra libri «canonici» e libri «non canonici» sono ancora

abbastanza flessibili.

2.5 I primi scrittori ebraici

Fra i primi scrittori ebraici del I secolo d.C., quindi quasi contemporanei degli

apostoli, incontriamo il filosofo Filone di Alessandria (30 a.C.-50 d.C. ca.) e lo storico

Giuseppe Flavio (37 ca.-107 d.C. ca.). Il primo nel De vita contemplativa 3,25 parla di

una Bibbia divisa in tre parti (Legge, parole profetiche, inni e altre opere); il secondo

6 Nel NT non compaiono mai citazioni di: Giosuè, Giudici, 2 Re, 1-2 Cronache, Esdra, Neemia, Rut,

Cantico, Qoelet, Ester, Lamentazioni, Giuditta, Baruc, Abdia, Sofonia, Naum.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

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nel Contro Apione 1,8 39-41 menziona cinque libri della Legge, tredici libri profetici e

quattro libri con inni a Dio e precetti per la vita umana (= Salmi, Cantico, Proverbi ed

Ecclesiaste). Anche gli studi successivi dei rabbini, confluiti nel Talmud (IV secolo

d.C.), discutono sulle diverse parti della Bibbia, dando particolare risalto alla Legge e ai

Profeti e dibattono sui libri da ammettere nel canone. Quindi al tempo del NT il canone

non è del tutto stabilito e bisogna aspettare il III – IV secolo d.C. per arrivare a decisioni

chiare in merito. Il cristianesimo, quindi, non ha ricevuto dall'ebraismo un canone già

fissato.

2.6 Il canone breve e quello lungo dell'AT

Se le discussioni sul canone all'interno dell'ebraismo si protraggono per parecchio

tempo, una situazione pressoché identica la si riscontra all'interno del cristianesimo. Tra

i padri infatti ritroviamo posizioni diverse. Alcuni, infatti, preferivano il canone breve

(ebraico) a quello più lungo, secondo la traduzione greca dei Settanta (= LXX7). Fra i

fautori del canone breve (ebraico), si trovano: Melitone di Sardi (II sec.), Origene (185

ca.-254 ca.), Cirillo di Gerusalemme (313/315-386), Atanasio (295-373), Gregorio di

Nazianzo (330 ca.-390 ca.), Gregorio di Nissa (335 ca.-395 ca.), Epifanio (315 ca.-403

ca.), Ruffino d’Aquileia (340 ca.-410 ca.), Gerolamo (347 ca.-420 ca.), Gregorio Magno

(540 ca.-604 ca.), Giovanni Damasceno (fine del VII sec.-749 ca.), Ugo di San Vittore

(morto a Parigi nel 1141), Nicola di Lira (1270/1275-1340) e il cardinale Caietano

(1469-1534). Come si può facilmente notare anche all'interno del cristianesimo sono

convissute a lungo posizioni differenti (la questione del canone non era stata

definitivamente risolta).

2.7 La formazione del canone ebraico «breve» e l'accademia di Iamnia

7 Il nome Settanta (LXX) proviene dalla Lettera di Aristea, che contiene un racconto leggendario

sull'origine della traduzione greca della Bibbia. Il re Tolomeo ad Alessandria d'Egitto avrebbe chiesto a settanta traduttori di tradurre la Bibbia per la sua biblioteca. Essi lavorarono, ciascuno per conto proprio, su tutto il testo biblico in settanta giorni, e produssero, con stupore di tutti, settanta traduzioni perfettamente identiche.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

11

Quando si parla della formazione del canone ebraico della Bibbia ci si imbatte

nell'accademia di Iamnia o persino nel cosiddetto «concilio di Iamnia». Le teorie in

merito però divergono. Di che cosa si tratta? Iamnia (Iabné) è una piccola cittadina

vicina all'attuale Tel Aviv, dove il rabbino Yohanan ben Zakkai fondò un'accademia

dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C, durante la quale il tempio, uno dei più

importanti simboli dell'identità religiosa e nazionale di Israele, venne distrutto per la

seconda volta. Senza tempio e senza città santa l'unico modo per mantenere intatta

l'identità di Israele era la fedeltà alla Torā. Il «libro» prese per così dire il posto del

tempio.8

Yohanan ben Zakkai da buon fariseo accettava fra i libri ispirati non solo la Torā, ma

anche i Profeti, e una serie di «scritti».9 I farisei, contrariamente a quanto si pensa, erano

«progressisti», rivolti cioè verso il futuro, ed erano più aperti di altri gruppi (i sadducei

ad esempio erano più «conservatori» e legati al culto). Per quanto riguarda il canone, il

gruppo dei farisei asseriva accanto alla «Legge scritta», l'esistenza di una «Legge

orale», che risaliva allo stesso Mosè e che permetteva di adeguare la Legge scritta alle

circostanze nuove. Probabilmente, essi rintracciavano l'origine di questa tradizione orale

nei Profeti e negli Scritti e per questa ragione li consideravano come «ispirati». Spesso

riguardo all'attività dell'accademia si parla di un «concilio di Iamnia» che ebbe luogo,

forse, verso il 90 d.C. Purtroppo le notizie su questo supposto «concilio» sono esigue.10

Gli ebrei, in questo periodo perturbato dagli interventi armati dei romani, insistono

molto sulla centralità della Legge, tralasciando i libri apocalittici (che pullulavano in

quel tempo), perché "pericolosi", specialmente dopo le fallite ribellioni (del 66-70 e del

131-135 d.C). Accanto a questi motivi prettamente storici se ne ritrova un altro, legato

ai libri di Esdra e Neemia.

È abbastanza chiaro che gli ebrei vedono nei libri di Esdra e Neemia un'anticipazione

e una legittimazione della propria attività. Questi libri descrivono la ricostruzione del

8 Un detto rabbinico recita: «Quando gli ebrei non ebbero più l'edificio di pietra (Tempio) celebrarono

il culto nell'edificio di carta (Torā)». 9 Tra le discussioni più accese c'era quella su quali fossero i testi che "sporcavano le mani" (= sacri,

per cui si rendeva necessaria la purificazione dopo il loro uso). Ad esempio non c'era unanimità sul Cantico dei cantici, in cui manca il nome divino.

10 Sarebbe meglio evitare di parlare di «concilio» di Iamnia, perché le decisioni prese non ebbero, in alcun modo, la forza decisionale dei decreti di un concilio simile a quelli celebrati dalle Chiese cristiane.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

12

tempio e della città di Gerusalemme. Esdra è uno «scriba esperto nella legge di Mosè»

(Esd 7,6) che torna dall'esilio portando la legge del suo Dio con il compito, datogli dal

re di Persia Artaserse, di farla rispettare dal suo popolo (7,14). Con ogni probabilità, gli

ebrei radunati nelle accademie di Iamnia e altrove hanno visto in Esdra e nella sua

missione una prefigurazione della propria missione nei confronti del popolo d'Israele. Il

resto della storia d'Israele era molto meno interessante, e non aggiungeva niente a quello

che era considerato necessario per permettere al popolo d'Israele di sopravvivere. Il

canone così definito, almeno nelle sue grandi linee, iniziava con la Torà data da Dio a

Mosè e finiva con la proclamazione di questa Torà da parte di Esdra. La scena della

lettura pubblica della Torà da parte di Esdra in Ne 8 è una scena che ha dovuto apparire

fondamentale agli occhi degli ebrei dopo la distruzione di Gerusalemme. In questa

Legge, il popolo tornato dall’esilio aveva posto la sua fiducia e la sua speranza. Anche

dopo la seconda distruzione del tempio e della città di Gerusalemme, gli ebrei erano

chiamati a ricostruire la propria identità sullo stesso fondamento.11

L'unico libro posteriore ad Esdra che è entrato nel canone ebraico è quello di

Daniele, molto probabilmente perché i racconti sugli israeliti fedeli che vengono

perseguitati (cf. l'episodio dei tre giovanetti gettati nella fornace a causa del loro rifiuto

di prestare un atto di culto all'idolo: Dn 3) venne percepito come un testo adatto alla

situazione degli ebrei dopo la disfatta di Gerusalemme (70 d. C.).

Ritornando al nostro tema si può affermare che una lista definitiva non c'è. «Le

frontiere del canone non sono ancora fissate in modo definitivo. Almeno non abbiamo

elementi certi per poter dire che il canone breve della Bibbia ebraica sia stabilito prima

del IV secolo d.C.».12

Per completare il quadro va ricordato che di fatto esistono differenti "liste" circa il

canone ebraico: il canone dei samaritani (composto dei soli libri del Pentateuco, perché

nei Profeti e negli Scritti si insiste sulla centralità di Gerusalemme, tema assente nei

primi cinque libri. Il loro culto infatti si teneva sul Garizim); il canone dei sadducei

(composto del solo Pentateuco, come quello samaritano, ma il motivo della loro

11 SKA, Formazione del canone, p. 133. 12 SKA, Formazione del canone, p. 133.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

13

esclusione dei testi profetici è legato da una parte al rifiuto della critica mossa dai

profeti nei confronti del culto e dall'altra alla loro diffidenza verso le speranze

escatologiche presenti negli insegnamenti profetici) e il canone degli esseni (di cui

sopra).

2.8 Origine del canone lungo dei cristiani

Per molto tempo si è ipotizzato che i cristiani avessero scelto il canone lungo

unicamente per il fatto che l'hanno mutuato dalla versione greca della Bibbia di

Alessandria (LXX). In realtà quest'ipotesi da sola si è mostrata insufficiente, perché le

scoperte di Qumran hanno dimostrato che alcuni libri conosciuti ad Alessandria lo erano

anche in Palestina, (ad esempio Tobia e Siracide). Inoltre ci sono alcune somiglianze fra

il testo greco della LXX e il testo ebraico della Bibbia usata a Qumran. Quindi,

ribadendo un dato ormai acclarato, esistevano differenti "canoni" e diverse forme

testuali fino all'epoca del NT.

Probabilmente una ragione della scelta di un canone più lungo da parte dei cristiani

sta nella volontà di evidenziare la continuità tra quel gruppo di scritti che divenne per

loro l'AT e i nuovi scritti del NT. La connessione tra AT e NT la si può percepire e

dimostrare efficacemente se si prolunga la storia d’Israele facendola sfociare in quella

del cristianesimo. Questa motivazione spiega la presenza, nel canone cristiano, di libri

come Tobia, Giuditta e 1-2 Maccabei che creano una sorta di ponte narrativo fra la

ricostruzione del tempio e la riforma di Esdra da una parte e la nascita di Gesù Cristo

dall'altra. Inoltre accogliere nel canone cristiano i libri sapienziali, (ad es. Siracide e

Sapienza), redatti in tempi più vicini all'epoca neotestamentaria permetteva di

dimostrare che l'ispirazione non si era fermata con Esdra, come invece sostenevano gli

ebrei: la rivelazione continuava nei libri del NT!

Poi certamente un ruolo non secondario fu svolto dalla Bibbia dei LXX, usata dagli

ebrei della diaspora e quindi anche dai cristiani. Questi ultimi nelle discussioni circa

l'adempimento delle Scritture nella persona e nella missione di Gesù Cristo, si riferivano

al testo greco. Gli ebrei, invece, argomentavano a partire dal testo ebraico, del quale

sostenevano la superiorità sulla versione in greco. L'esclusione dal canone ebraico di

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

14

alcuni libri unicamente in versione greca (ad es. Sapienza, alcuni brani di Ester e di

Daniele) si spiega per lo stesso motivo. La comunità ebraica ha voluto conservare la sua

integrità rimanendo fedele all'ebraico, rifiutandosi nettamente di accogliere nel canone

libri redatti in greco perché sarebbe sembrato un rinnegamento della fede dei padri e

una pericolosa concessione al mondo ellenistico e pagano (ma ormai gli ebrei di

quell'epoca non parlavano più ebraico ma aramaico). Gli ebrei, quindi, optarono per un

canone non aperto verso un futuro "cristiano", ma preferirono la fedeltà a un ideale di

osservanza della Legge che risale alla riforma di Esdra.

Una parola resta ora da dire circa il canone "breve" dei protestanti e il canone degli

ortodossi. Il canone più breve delle Chiese protestanti corrisponde, per quanto riguarda i

libri dell'AT, al canone «breve» della Bibbia ebraica. Sono quindi esclusi dal canone i

libri deuterocanonici (detti apocrifi dai protestanti), scritti in greco o trasmessi solo

nella versione greca. I motivi di questa esclusione sono vari. Uno di essi è chiaramente

legato allo spirito del tempo ed è connesso alla cosiddetta hebraica veritas. La

sensibilità del rinascimento era fortemente connotata dal desiderio di liberarsi dalle

eredità del medioevo per un ritorno alle "origini", soprattutto all'antichità. Così per quel

che riguarda la Bibbia si delineò il desiderio di ritrovare il testo originale al di là delle

traduzioni latine (in particolare la Vulgata di san Girolamo) e greche, ritenute non del

tutto affidabili. Questa esclusione non è quindi dettata da ragioni teologiche e dottrinali,

ma principalmente da motivazioni letterarie. Il desiderio era quello di ritrovare la Bibbia

"autentica" e "originale", abbandonando quella latina favorita da tutta la tradizione

medioevale (così il sola Scriptura dei protestanti si risolse per l'AT nel sola Scriptura

hebraica). Raramente i protestanti hanno aggiunto altre ragioni per giustificare la loro

scelta (ad es. il 2Mac fu respinto perché i cattolici, per giustificare la dottrina del

purgatorio, adducevano il testo di 2Mac 12,44-45).13

Il canone delle Chiese ortodosse è pressoché identico al canone cattolico.

Ciononostante in alcune edizioni sono inclusi libri quali il 2° Esdra o il 3° Maccabei,

esclusi dal canone da parte della Chiesa cattolica, ma anche pochissimo utilizzati nella

liturgia e nell'esegesi delle Chiese ortodosse. «In questo modo, le Chiese ortodosse,

13 Per quanto riguarda il canone del NT non vi sono divergenze.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

15

cattoliche e protestanti si distinguono perché hanno ciascuna un AT diverso. La cosa

può sembrare paradossale, perché le differenti interpretazioni dei testi sacri che

separano queste Chiese provengono tutte da discussioni su testi del NT. Ogni tanto, la

storia si permette di sorridere, e nessuno potrà impedirle di farlo».14

3. IL CANONE DELL'AT

3.1 La Torā (Legge o Pentateuco)

La Legge o Torā, o Pentateuco (composta di Genesi, Esodo, Levitico, Numeri,

Deuteronomio) narra le origini fondanti del popolo d'Israele e della sua fede. Il

Pentateuco non si presenta solo come l'inzio ma costituisce piuttosto il fondamento sul

quale si costruisce la storia di Israele. In quanto fondanti questi inizi costituiscono una

storia normativa, perché sono all'origine dell'identità etnico-nazionale e teologica di

Israele. Israele, infatti, può fare a meno di un territorio per la sua identità etnica

(nazione), come pure può essere privo di un trono (monarchia) e di un tempio (culto).

La definizione irrinunciabile della sua identità permanente sta nel fatto che è un popolo

liberato da Dio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto,

dalla condizione di schiavitù» (Es 20,2). Di questo elemento Israele non può fare a

meno. Allora la storia delle sue origini e i libri che la custodiscono godono della

normatività più alta rispetto a tutti gli altri libri dell'AT, tanto che sono attribuiti alla

personalità più autorevole in assoluto: Mosè ne è l'autore.15

Il Pentateuco termina con la morte di Mosè (Dt 34,1-11). Il testo contiene una serie

di affermazioni fondamentali sul posto che Mosè occupa nella storia della rivelazione e,

perciò, sul posto della Legge in rapporto agli altri libri biblici. Gli ultimi versetti sono

significativi: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè – con il quale il Signore

parlava faccia a faccia – per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a

compiere nel paese di Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo

paese; e per la mano potente e il terrore grande messo in opera da Mosè davanti agli

14 Ska, Formazione del canone, p. 142. 15 Questa è stata per lunghissimo tempo la convinzione al riguardo (invece si tratta di più autori e di

diverse epoche).

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

16

occhi di tutto Israele» (Dt 34,10-12). Questo testo contiene non solo l'elogio funebre di

Mosè, ma anche alcune affermazioni fondamentali sul canone, in particolare sulla

rivelazione che si conclude con la morte di Mosè. Il testo è chiarissimo: la rivelazione

fatta a Mosè non si può paragonare con nessun'altra rivelazione fatta ai profeti. Tale

superiorità si giustifica, sempre secondo Dt 34,10-12, per due ragioni principali: 1) il

Signore parlava a Mosè faccia a faccia, e 2) Mosè è stato lo strumento privilegiato del

Signore contro l'Egitto e in favore di Israele. Ciò implica che nessun altro profeta ha

conosciuto Dio «faccia a faccia» e ha compiuto prodigi simili a quelli che Dio ha

compiuto con la mediazione di Mosè. Riassumendo, la relazione tra YHWH e Mosè è

unica, e anche l'esodo è un avvenimento unico nella storia di Israele, sicchè i libri che

ne parlano, cioè i cinque libri del Pentateuco, sono a loro volta unici.16

3.2 I Profeti

Poi si trovano i Profeti o Nebî’îm, che Accanto alla Torā formano un dittico anche

per il NT.17 Il canone ebraico distingue tra profeti anteriori (che i cristiani classificano

piuttosto come libri storici : Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re) e profeti

posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i cosiddetti dodici profeti «minori»: Osea,

Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria,

Malachia). I profeti "leggono" la storia alla luce della parola di Dio di cui sono

portatori, dunque la loro esperienza e i loro insegnamenti sono autorevoli e normativi

proprio per questo rapporto diretto con la parola divina. In questo senso l'autorità

dell'oracolo profetico è sorgiva. Ciononostante essi non sono mai sganciati e autonomi

dalla Legge (Torah), alla quale fanno sempre riferimento. L'ultimo libro della raccolta

dei libri profetici presenta proprio una raccomandazione al riguardo molto esplicita:

«Tenete a mente la Legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sull'Oreb, statuti e

norme per tutto Israele» (Ml 3,22). Anche 2Re – considerato appunto un libro profetico

nel canone ebraico – contiene un'affermazione analoga: «Il Signore, per mezzo di tutti i

16 SKA, Formazione del canone, p. 103-104. 17 Cf. Lc 24,27: «… e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si

riferiva a lui». Ma cf. anche Lc 24,44: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

17

suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: Convertitevi dalle vostre

vie malvage e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io ho

imposta ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti» (2Re

17,13). «I profeti sono anzitutto custodi e interpreti della Legge».18

3.3 Gli Scritti

È già stata presa in considerazione la menzione nel prologo greco al Siracide, in cui

l'autore, accanto alla Legge e ai Profeti, aggiunge un'altra categoria di libri, detta

genericamente altri Scritti (Ketūbîm).19 Quanto all'entità di questo terzo gruppo di scritti

l'autore non fornisce elementi per valutarne l'estensione; inoltre al tempo della

formazione del canone degli scritti cristiani questo gruppo non era ancora stato

riconosciuto dagli ebrei stessi in modo unanime.

La collezione degli Scritti secondo il canone ebraico comprende: Salmi, Proverbi,

Giobbe, Cantico, Rut, Lamentazioni, Qohelet (Ecclesiaste), Ester, Daniele, Esdra,

Neemia, 1 e 2 Cronache. Nella traduzione greca della Bibbia (LXX) accanto a questi

compaiono pure Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide (Ecclesiastico), Baruc (più la

Lettera di Geremia), 1-2 Maccabei, e le parti di Ester e di Daniele scritte in greco e

assenti nella versione ebraica. Questi ultimi libri, la cui canonicità era discussa, non

entreranno a far parte del canone ebraico, mentre saranno riconosciuti in quello

cristiano: i cattolici li chiamano deuterocanonici (riconosciuti come canonici solo in un

secondo momento), mentre i protestanti li considerano apocrifi (non nel senso che

diamo noi agli scritti apocrifi, di cui oltre).20

Anche in questo caso gli Scritti non aggiungono nulla al Pentateuco (Legge), ma

servono per approfondirlo e meditarlo. Basti ricordare la prefazione del libro dei salmi,

il Sal 1, che fornisce in qualche modo l'intonazione dell'intera raccolta: «Beato l'uomo

che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in

18 SKA, Formazione del canone, p. 109. 19 «Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge, nei Profeti e negli altri Scritti

successivi…». 20 Occorre riconoscere che i libri più studiati non sono i deuterocanonici (o apocrifi). Nelle

biblioteche specializzate i commentari e gli studi dedicati a questi libri sono molto meno numerosi di quelli consacrati ai libri più «classici» del canone breve.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

18

compagnia degli stolti; ma si compiace della Legge del Signore, la sua legge medita

giorno e notte» (Sal 1,1-2).

In sintesi riguardo alla complessa questione circa il canone e la storia del suo

riconoscimento si possono tirare le seguenti conclusioni:

1) Con la distruzione del Tempio nel 70 d.C. la religione giudaica divenne sempre più

una religione «del Libro»: questo implicava la necessità di un canone normativo

definitivo. Ma la strada fu più lunga e complessa di quello che si immagina. Mentre c'era

sostanziale accordo per il Pentateuco e i Profeti, per gli Scritti restava una situazione

"fluida", non ancora ben cristallizzata.

2) Le dispute sorte all'interno del Giudaismo, in particolare tra Farisei e sette di

tendenza apocalittica (vengono redatti in questo periodo moltissimi libri apocalittici),

hanno costituito uno stimolo ulteriore alla fissazione di un canone, sollecitato in qualche

misura anche dalla stessa "concorrenza" dei libri cristiani. L'accoglienza di alcuni libri in

ambito cristiano ha fatto sì che questi stessi libri (deuterocanonici) venissero esclusi dal

canone ebraico.

3) Anche se nel I sec. d.C. si poteva parlare dell'accettazione popolare di 22 o 24 libri

come sacri, per la comparsa di un canone ebraico fissato bisogna attendere il III-IV

secolo.

4) L'assunzione del canone più ampio fatta dai cristiani tramite la versione greca dei

LXX può essere stata, se non la causa principale, comunque uno dei motivi più

rilevanti, in base al quale il giudaismo limitò il canone dell'AT ai libri che di fatto

circolavano allora nella lingua originale ebraica o aramaica.

4. LA STRUTTURA APERTA DEL CANONE DELL'AT21

4.1 L'AT cristiano orientato a Cristo – l'AT ebraico orientato al tempio

Il canone cristiano dispone i libri biblici secondo una scansione che si apre con il

Pentateuco e si chiude con i libri profetici. In tal modo dando l'ultima parola ai profeti il

21 Si seguono qui sostanzialmente le considerazioni di SKA, Formazione del canone, pp. 101-103 e

110-113.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

19

canone è orientato verso il futuro, è aperto cioè ad un seguito: alla venuta di Gesù

Cristo. Gli ultimi versetti dell'AT nel canone cristiano dicono «Ecco, io invierò il

profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il

cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non

colpisca il paese con lo sterminio» (Ml 3,23-24). Questa profezia di Malachia è ripresa

succintamente da Luca fin dalle prime battute del suo vangelo (1,17), quando l’angelo

Gabriele annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista, il quale, secondo i

sinottici, è l'Elia che doveva ritornare per preparare la venuta del Messia: «Gli

camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri

verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben

disposto» (1,17). Questo testo dunque getta un ponte di continuità tra l'AT e il NT ed è

una delle ragioni per cui i profeti si trovano alla fine del canone cristiano.22

Il canone ebraico invece termina con i libri di Esdra e Neemia e i due libri delle

Cronache. Questi ultimi due ripercorrono tutta la storia del mondo dalla creazione sino

all'editto di Ciro, che permette agli israeliti di fare ritorno a Gerusalemme. I libri di

Esdra e di Neemia invece ne formano la continuazione logica del tutto naturale, poiché

narrano l'attuarsi dell'editto di Ciro: il ritorno degli esiliati, la ricostruzione del tempio e

la riorganizzazione della comunità (come si vede l'ordine cronologico non è rispettato,

dunque la collocazione "forzata" è voluta).

Nel canone cristiano, invece, Esdra e Neemia vengono dopo 1-2 Cronache. Se la

Bibbia ebraica compie questa inversione forse è proprio per il desiderio di concludere

l'intera Bibbia con le parole dell'editto di Ciro: «Dice Ciro re di Persia: il Signore, Dio dei

cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un

tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo

Dio sia con lui e parta (2Cr 36,23). Dunque notiamo due orientamenti differenti nella

comprensione dell'AT: il canone cristiano indirizza l'AT alla venuta del Messia e del

suo precursore; il canone ebraico, invece, è orientato verso la salita o ritorno a

Gerusalemme.

22 In Isaia ci sono molti annunci messianici (7,13; 9,5-6; 11,1-9; 61,1-2; i carmi del servo: 42,1-4; 49,1-6; 50,4-

9; 52,13–53,12).

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

20

4.2 L'ingresso nella terra promessa

L'orientamento alla città di Gerusalemme è il segno indicatore di una "tensione verso

la terra" che attraversa un po' tutto l'AT. Abramo è invitato da Dio a raggiungere una

terra e, una volta giuntovi, di prenderne possesso (Gen 13,14-17).23 Nel mondo antico

l'atto di "vedere" per primi un territorio aveva valore giuridico e conferiva il diritto di

possesso.24 Abramo, comunque ha solo potuto vedere il paese, l'ha potuto anche

attraversare ma non ha mai goduto il diritto di proprietà e non si è potuto stanziare

stabilmente in questo territorio, perché lui era soltanto un migrante, e non un

proprietario. Una scena analoga la incontriamo con la figura di Mosè, il quale prima di

morire può vedere il paese che Dio ha promesso ad Abramo e ai suoi discendenti, ma

non vi può entrare (Dt 34,1-4).25 Il Pentateuco, quindi, terminando con la morte di

Mosè, si conclude senza che il popolo di Israele sia entrato in possesso della terra

promessa. Sarà Giosuè ad introdurlo nel territorio, facendogli attraversare il fiume

Giordano. E in fondo (come già detto) tutto l'AT si conclude con quest'anelito alla terra

(il ritorno a Gerusalemme e la ricostruzione del tempio: cf. 2Cr 36,23). «L'AT è dunque

una "sinfonia incompiuta". Quando il popolo farà ritorno nella propria terra?».26

Certamente la monarchia ha incarnato quest'anelito, realizzando un'indipendenza

territoriale identificata nella nazione governata da un sovrano (Davide). Ma la speranza

messianica (l'attesa del discendente davidico) andrà oltre la pura materialità di una

restaurazione futura della monarchia davidica. Infatti il NT, pur accogliendo pienamente

tale attesa, l'ha anche radicalmente "contestata", dilatandone gli orizzonti: la speranza

della «terra promessa» ai patriarchi e l'attesa di un «regno davidico» fiorirà

23 «Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: "Alza gli occhi e dal luogo

dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te"».

24 Cf. SKA, Formazione del canone, p. 110. 25 «Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il

Signore gli mostrò tutto il paese: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di Manàsse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: "Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!"».

26 SKA, Formazione del canone, p. 111.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

21

nell'annuncio dell'inaugurazione del «regno dei cieli» o «regno di Dio». Nella

predicazione di Gesù incontriamo, infatti, una reinterpretazione radicale di questa attesa.

Per questa ragione i vangeli iniziano dal Giordano, dove predica il Battista e ha inizio la

vita pubblica di Gesù, che comincia proprio con la notizia del regno di Dio imminente.27

Ora, Mosè si è fermato davanti al Giordano, senza poter introdurre Israele nella terra

promessa, ingresso realizzato con Giosuè. In fondo il Battesimo di Gesù è interpretabile

come un "passaggio" del fiume Giordano, come un approdo dal deserto alla terra

promessa, e lo scontro con il diavolo alle tentazioni è paragonabile allo scontro

affrontato da Giosuè per liberare dalle tribù nemiche il territorio di Israele.28

Infine non va dimenticata una precisazione di grande interesse. Lo stesso NT

presenta una struttura "aperta". E anche in questo caso le conclusioni dei libri sono

indicative. I vangeli si concludono con l'orizzonte sconfinato dell'invio missionario dei

discepoli da parte di Gesù a tutte le genti (apertura geografica). L'Apocalisse, che chiude

il canone neotestamentario, ha come battuta finale una promessa e una supplica orientati

al futuro escatologico (apertura cronologica): «Colui che attesta queste cose dice: «Sì,

verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).

27 Cf Mc 1,14-15:«Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è

compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"». 28 Cf. J.-L. SKA , Mosè – Giosuè – Gesù, in ID., La strada e la casa. Itinerari biblici, Bologna 2001,

pp. 169-193.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

22

5. I CRISTIANI E L'AT

Dopo aver scandito i passaggi storici e teologici della formazione del canone dell'AT

e della strutturazione diversa tra il canone ebraico e il canone cristiano, s'impone ora

una serie di considerazioni più ristrette circa il rapporto tra i cristiani e l'AT. Si tratta,

dunque, di alcuni quesiti circa il nucleo teologico fondamentale che ha rimesso in gioco

la questione del canone dell'AT per i cristiani: la persona di Gesù.

5.1 I cristiani accolgono l'AT da Gesù29

Qual è la canonicità che i cristiani riconoscono all'AT? La risposta è tanto ovvia a

livello teorico quanto difficile da utilizzare di fatto: la tradizione cristiana riceve le

Scritture dell'AT da Gesù e attraverso Gesù. La conseguenza per la canonicità sarebbe

la seguente: la Chiesa riconosce le scritture dell'AT secondo quel canone e quella

canonicità che Gesù stesso avrebbe riconosciuto (cf. Lc 24,27.44). In realtà, nella

carrellata sulla storia della formazione del canone dell'AT, s'é visto come ai tempi di

Gesù non ci fosse un canone fissato; inoltre non ci sono dati neotestamentari probanti

per determinare precisamente il canone cui si riferiva Gesù. Si deve allora

pacificamente accettare due dati di fatto: a) Gesù non si è scostato dall'uso palestinese

del suo tempo, b) non ci è del tutto possibile ricostruire con esattezza il canone

"utilizzato" da Gesù. In altre parole il corpo delle Scritture che Gesù ha assunto e cui

«ovviamente» faceva riferimento, per noi non è affatto ovvio. Con un'analisi dettagliata

si evince che preferenzialmente gli scritti del NT citano o alludono alla traduzione greca

dell'AT, la versione dei LXX (con un'eccezione: Il libro dell’Apocalisse, infatti, quando

rinvia all'AT si riferisce al testo ebraico e non a quello greco). Possiamo comunque dire

che la testimonianza neotestamentaria è globalmente favorevole al canone esteso.

29 In questi paragrafi si seguono le riflessioni di T. CITRINI, Identità della bibbia, Brescia 1982,

pp. 25-30.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

23

5.2 Annuncio di Gesù e canone nella Chiesa delle origini

Per quanto poliglotta fosse la Galilea, è del tutto improbabile che Gesù in persona si

sia servito della versione dei LXX e l'abbia consegnata agli apostoli: lui e loro

parlavano aramaico! Ciononostante nelle prime comunità cristiane vigeva il bilinguismo

(aramaico e greco) e s'impose abbastanza presto l'utilizzo dell'AT nella sua versione

greca (LXX). Questa traduzione greca fu essenzialmente utilizzata per comprendere e

per annunciare il mistero di Gesù e anzitutto della sua Pasqua, soprattutto grazie a quei

passi in cui tale traduzione si mostrava più creativa e promettente, dal momento che

lasciava spazio ad ulteriori interpretazioni.

Un esempio concreto di questo utilizzo cristiano lo incontriamo in Is 7,14, in cui il

termine ebraico significa semplicemente ragazza, giovinetta, vien tradotto nella

versione greca col termine parthénos (parqe,noj). Questo aprì la strada per esplicitare il

senso verginale del concepimento di Maria, dal momento che il termine greco indica

non solo una ragazza, ma anche una ragazza non sposata e quindi vergine. Quindi,

quando l'evangelista Matteo cita il testo isaiano, porta alla luce un'accezione che non

avrebbe potuto trovare così agevolmente nel testo ebraico. «Tutto questo avvenne

perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la

vergine (parqe,noj) concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che

significa Dio con noi» (Mt 1,22-23).

La Bibbia greca finì per diventare la Bibbia cristiana per eccellenza; le vicende dei

rapporti tra cristianesimo e giudaismo fecero il resto. Possiamo allora approdare alla

seguente conclusione: più che la prassi personale di Gesù fu l'uso concreto delle

Scritture da parte dei primi cristiani ad influire sull'assunzione del canone lungo dell'AT

in campo cristiano.

5.3 Gesù e la canonicità delle Scritture

A Gesù personalmente però risale ben altra originalità, che riguarda più la canonicità

delle Scritture che il canone. Gesù ha accolto le Scritture e la loro autorità, le ha

comprese come testimonianza dell'autorità del Padre, la cui volontà escatologica egli era

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

24

venuto a compiere (continuità con l'AT). Ciononostante Gesù esprime pure

un'originalità del tutto inedita: egli ha posto se stesso e non le Scritture come

espressione autorevole e ultima del Padre e del suo pensiero (discontinuità con l'AT).

Quindi in primis le Scritture vengono interpretate alla luce di Gesù e della sua autorità;

e solo in un secondo momento Gesù viene interpretato e compreso sullo sfondo delle

Scritture. In soldoni: lo sfondo e il primo piano non sono intercambiabili, e la figura in

primo piano è Gesù.

Emblematico al riguardo è il «Ma io vi dico» del discorso della montagna (Mt 5,22

ecc.), per mezzo del quale Gesù rilegge e riformula sulla propria autorità personale i

capisaldi dell'Alleanza. Il che non significa che Gesù abbia fondato una legge

totalmente nuova, gettando via l'antica ormai superata. Gesù riprende il senso originario

della Legge contro tradizioni interpretative che soffocavano lo spirito della Legge stessa

(cf. ad esempio Mc 7,1-13 e Mt 19,1-9).

Gesù non proclama una nuova legge, ma dà invece una nuova interpretazione

dell'antica legge […]. Gesù dunque non si presenta come un nuovo Mosè, ma piuttosto

come il più autorevole commentatore di Mosè, colui che dà alla legge una

interpretazione nuova e definitiva30.

Per questo motivo Gesù «pone se stesso come colui che dalla torah fa scaturire vene

sorgive che la torah stessa non sapeva liberare»;31 infatti egli afferma di essere venuto

«non per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17).

L'intento di Gesù è diretto contro la mentalità legalistica. Egli voleva che l'uomo

adempisse con tutte le proprie forze la volontà di Dio. Matteo orienta in modo più

deciso la direttiva di Gesù nel senso della legge. Secondo la sua interpretazione, Gesù

ha portato a compimento la legge, ossia ha annunciato la definitiva volontà di Dio […].

L'autorità con cui Gesù parla non può essere precisata nel senso che egli si sia rivolto

contro l'autorità di Mosè, ma consiste invece nel modo di interpretarla. Egli non fonda

la propria idea, cioè la volontà di Dio da proclamare, su passi scritturistici, come erano

soliti fare i capiscuola, ma parla come chi è liberamente investito di pieni poteri.32

30 SKA, Mosè – Giosuè – Gesù, p. 184. 31 CITRINI, Identità della bibbia, p. 28. 32 J. GNILKA , Il vangelo di Matteo, Brescia 1990, p. 301.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

25

Paolo di conseguenza dirà che la legge è confermata, ma anche abrogata (cf.

Rm 3,31. 7,1-6 ed Ef 2,15). L'AT in questo modo riceve una riqualificazione

ermeneutica, perché raccoglie più la speranza di Israele che la sua memoria, e pone al

centro dei tempi non il passato ma il compimento dei tempi stessi, l'eschaton, il quale si

dà nell'avvento del regno di Dio, nella figura del Figlio dell'uomo e nel mistero della

Nuova Alleanza. Anche i profeti, più che autorevoli difensori ed interpreti della Torā,

diventano in questa prospettiva anzitutto testimoni a favore di Gesù (Lc 9,30-31;33

24,25-27.44-47). Potremmo dire così: se prima il baricentro delle Scritture era il

Pentateuco, autorità più alta all'interno dell'insieme dei libri biblici, ora con Gesù questo

baricentro s'è definitivamente spostato sulla sua persona e sul suo insegnamento.

Se il canone dell'AT è assunto senza essere modificato, la dinamica interna della

sua canonicità invece è capovolta. Già s'è notato come la tensione verso la terra (il tempio

e Gerusalemme), che connota il canone ebraico, è riformulata dal canone cristiano come

attesa di una figura ventura (il Messia). D'altro canto una rilettura cristocentrica delle

Scritture veterotestamentarie fa emergere linee di forza diverse, gettando luci nuove di

comprensione e di strutturazione teologica, le quali, se reinterpretano e rileggono l'AT,

non ne autorizzano però l'archiviazione.

Anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel suo sangue, tuttavia i libri dell'AT,

integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro

completo significato nel NT e, a loro volta, lo illuminano e lo spiegano (DV 16, nn. 14-

15).

6. IL CANONE DEL NT

6.1 L'importanza della tradizione orale

Le Scritture cristiane comprendono il NT, e, anche se il sorgere di questo corpo di

scritti è stato certamente più rapido rispetto alla formazione dell'AT, a conti fatti non

risulta meno impegnativo. Infatti come avvenne per le tradizioni orali dell'AT allo

33 Mosè ed Elia con la loro presenza attestano e ratificano che la passione di Gesù è il compimento delle Scritture: «Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita (esodo) che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,30-31).

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

26

stesso modo le tradizioni delle origini cristiane diedero forma a gruppi di scritti, ma solo

per rispondere all'esigenza di non perdere la testimonianza su Gesù da parte degli

apostoli.34

La necessità di mettere per iscritto le parole di Gesù, il fondatore del cristianesimo, o

di fornire alle diverse Chiese locali una o più «vite di Gesù» e alcuni scritti essenziali

dei primi discepoli non si è fatta sentire sin dall’inizio. La spiegazione del fenomeno è

abbastanza semplice: i cristiani erano pochi, e mentre i primi apostoli e discepoli erano

ancora in vita la «tradizione viva» permetteva di risolvere i problemi principali che

sorgevano all’interno del cristianesimo nascente. Occorre inoltre ricordarsi che, al

contrario della storia d'Israele, che si estende su un lungo periodo e comprende una

lunga serie di personaggi, la storia della nascita del cristianesimo è molto breve e

coinvolge un numero molto ristretto di persone. Il cristianesimo, perciò, era un

fenomeno relativamente ridotto e la sua dottrina non richiedeva una lunga esposizione.

La persona di Cristo, inoltre, era più importante delle Scritture come tali, e i testimoni

oculari erano più autorevoli di qualsivoglia documento scritto. Il cristianesimo si

presenta meno come una religione legata a un libro e più come una religione centrata

sulla persona del suo fondatore.35

Ciononostante assistiamo abbastanza presto all'affiorare dell'esigenza di mettere per

iscritto le tradizioni orali, basate sui racconti dei testimoni oculari. Furono

sostanzialmente tre i motivi che provocarono il passaggio dalla trasmissione orale alla

fase di redazione scritta: a) col passare del tempo i racconti orali e la memoria rischiano

di sfumare il contenuto originario, e con la diffusione del cristianesimo non era più

possibile né la consultazione dei diretti interessati nella piccola terra di Palestina né la

comunicazione tra comunità cristiane (sempre più numerose e diffuse in molte parti

d'Europa). Per la conservazione del patrimonio della fede cristiana, dunque, bisognava

34 Al riguardo è emblematica un'osservazione di IRENEO DI L IONE, Adversus Haereses, 3.4.1:

«Supponiamo che scoppi fra di noi una controversia a proposito di una questione importante. Non dovremmo rivolgerci alle Chiese più antiche con le quali dialogavano gli apostoli e imparare da esse che cos’è certo e chiaro in merito a questa questione? E che cosa dovremmo fare se gli apostoli non ci avessero lasciato scritti? Non sarebbe necessario [in questo caso] seguire la tradizione che essi [gli apostoli] hanno trasmessa a coloro ai quali hanno affidato la direzione delle Chiese?». Nell'antichità ci si fidava di più delle persone che degli scritti.

35 SKA, Formazione del canone, p. 149.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

27

affidarsi a mezzi più attendibili e durevoli della pura memoria e del semplice racconto

orale. b) La scomparsa dei primi testimoni oculari (gli apostoli) e il ritardo della

parousia (ritenuta almeno inizialmente imminente) costrinsero le comunità cristiane a

far subentrare alla tradizione orale altri mezzi più duraturi – i testi scritti –, adatti a

consegnare alle generazioni future e per un lungo periodo il patrimonio della fede. c) Le

controversie con il giudaismo e quelle interne al cristianesimo (in particolare alcune

affermazioni critiche di Paolo nei cfr. dell'Antica alleanza) obbligarono le Chiese

cristiane a rivedere il loro parere nei confronti dell'AT. Anche la posizione avversa di

Marcione verso l'AT (di cui vedremo in seguito) provocherà i cristiani a difenderne la

validità.

6.2 Il Corpus paulinum

Paolo è il primo "scrittore" del NT, e redige le sue lettere fra il 50 e il 60 circa. Le

prime citazioni testuali delle lettere di Paolo si trovano già in Clemente di Roma (fine

I sec.), poi in Ignazio di Antiochia (fine I sec. – inizio II sec.). Policarpo (I – II sec.),

discepolo dell'apostolo Giovanni, cita anch'egli Paolo, soprattutto la Lettera ai

Colossesi. In tutti gli altri scrittori cristiani dei primissimi secoli riscontriamo diversi

riferimenti a Paolo. Clemente, ad esempio, riconosce a Paolo un'autorità simile a quella

dell'AT. Si può, quindi, affermare con un elevato grado di probabilità che le lettere di

Paolo fossero già note alla fine del I secolo. La posizione autorevole delle lettere

paoline è attestata – caso unico in tutto il NT – da un fatto particolarissimo: è l'unico

autore di cui lo stesso NT cita le opere. Infatti, in 2Pt 3,15-16, lettera attribuita a Pietro e

scritta verso la fine del I secolo, incontriamo una menzione degli scritti di Paolo, ai

quali si riconosce un valore pari alle Scritture dell'AT (le "altre Scritture"):

La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina (2Pt 3,15-16).

Un Corpus paulinum, cioè una raccolta di lettere di Paolo, si deve essere formato per

scambio tra le chiese: una lettera indirizzata espressamente ad una comunità veniva

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

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"condivisa" con altre comunità. Questo scambio è menzionato in Col 4,16 («E quando

questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei

Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi») ed è dato per assodato in 2Pt

3,16. Non conosciamo, tuttavia, l'estensione precisa dell'epistolario cui l'autore di 2Pt si

riferisce. Nella metà del II sec. Marcione usa le dieci maggiori lettere paoline (Gal, 1 e

2Cor, Rm, 1 e 2Ts, cosiddetta ai "Laodicesi" [= Ef], Col, Fm, Fil); e pochi decenni più

avanti il canone romano cosiddetto "di Muratori" insieme a queste conosce le "lettere

pastorali" (Tt, 1 e 2Tm). Al Corpus paulinum la tradizione successiva aggiunse pure Eb,

la cui attribuzione a Paolo però sin dalla remota antichità fu ampiamente discussa. In

sintesi: per "corpo paolino" si intende l'insieme delle lettere scritte da Paolo e da alcuni

suoi discepoli, che ne hanno mantenuto vivo il pensiero. Di alcune si è certi che furono

scritte da Paolo (homologoumena: "riconosciute"); di altre, invece, se ne mette in

dubbio la paternità letteraria (antilegomena: "discusse"), anche se si riconosce la

derivazione paolina del pensiero teologico. Le lettere riconosciute sono: la prima ai

Tessalonicesi, la prima e la seconda ai Corinzi, Romani, Galati, Filippesi, Filemone. Le

lettere discusse sono: la seconda ai Tessalonicesi, Colossesi ed Efesini,36 la prima e la

seconda a Timoteo e Tito (cosiddette pastorali).

6.3 La formazione del corpo dei quattro Vangeli (e di Atti)

«L'interesse per i vangeli scritti appare abbastanza tardi e questo fatto può

sorprendere. Abbiamo visto, tuttavia, che il mondo antico in genere e il mondo cristiano

in particolare erano spesso più legati alle persone che agli scritti».37 Nelle lettere di

Paolo, negli Atti, nella Lettera agli Ebrei e nell'Apocalisse si riscontrano pochissime

allusioni alle parole di Gesù. Bisognerà attendere la fine del I secolo perché vengano

scritti i vangeli, quando si comincerà a percepire in modo più intenso la distanza

temporale dagli avvenimenti della vita di Cristo. I quattro vangeli canonici sono stati

redatti, secondo le ricerche più recenti fra il 60 e il 100. Il primo vangelo è

probabilmente quello di Marco e l'ultimo è quasi sicuramente quello di Giovanni.

36 Colossesi ed Efesini assieme a Filippesi e Filemone, sono dette le lettere della prigionia. 37 SKA, Formazione del canone, p. 156.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

29

Attraverso quali sviluppi ha preso forma la canonicità dei quattro vangeli? Come la

Torā si presenta quale memoria della storia fondatrice dell'alleanza e come

codificazione del progetto di esistenza che ne derivava (Legge), così anche i vangeli si

presentano come memoria della storia fondante della fede e della condotta dei cristiani.

La fede cristiana è polarizzata sui detti e i fatti di Gesù, perché confessa che in Lui Dio

ha compiuto definitivamente la sua presenza e azione di salvezza. Per questo la fede

cristiana ha una dimensione memoriale ancor più viva di quella veterotestamentaria,

dimensione che si concretizza appunto nella necessità di mettere per iscritto quanto

riguardava la figura di Gesù. La tradizione evangelica è, dunque, a servizio della

memoria di Gesù, tuttavia non con una finalità meramente storiografica, ma con

l'intento di rendere continuamente tale memoria un annuncio autentico di salvezza, che

susciti la fede in Gesù e orienti la vita secondo questa fede.

Per rispondere a tali esigenze, nasce il genere «vangelo», fenomeno letterario del

tutto originale, che non ha degli esempi precedenti e si presenta come una novità assoluta.

Il primo autore a parlare di «vangeli» al plurale è Giustino (morto a Roma verso il 165);

ed è anche il primo scrittore cristiano ad utilizzare i vangeli come «Scritture»,

accordando loro la stessa autorità dell'AT.38 Il vangelo diventa rapidamente un

"problema" perché da comunità diverse nacquero vangeli diversi. Ovviamente ogni

singola comunità considerava il "suo" vangelo come "il" vangelo. Per porre rimedio a

tale difficoltà, le Chiese scelgono due soluzioni: o accordare la preferenza ad un

vangelo in particolare, ignorando gli altri (criterio di selezione), o combinare diversi

vangeli in uno (criterio di fusione). Infatti questa posizione riduzionistica da una parte

indusse Marcione ad accogliere solo Lc (selezione) e a respingere gli altri, e dall'altra

spinse Taziano a comporre il Diatessaron (fusione).39 L'uno e l'altro tentativo furono

respinti come tentazione.40 L'uso anche successivo delle chiese continuò a manifestare

preferenze per questo o quel vangelo, ma sulla base della compresenza dei quattro, e

38 GIUSTINO, Apologia 1,39.66-67; Dialogo con Trifone, 103. 39 Il termine te,ssarej indica il numero 4, diatessaron significa "[uno] per mezzo dei quattro". Si tratta

dunque di un compendio riassuntivo desunto dai quattro vangeli. 40 Anche se nelle Chiese orientali della Siria il Diatessaron di Taziano fu utilizzato per lungo tempo.

Corso di introduzione alla Bibbia A.A. 2013-2014

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cercò di spiegarne la complementarità in modi diversi, appellandosi alla storia della loro

origine e alla diversità della loro impostazione.

Ireneo (fra il 170 e il 180) teorizza con un'argomentazione più simbolica che

teologica la necessità del numero quattro riguardo ai vangeli, collegandolo ai quattro

venti e ai quattro punti cardinali, ai quali è destinata la predicazione apostolica.41 Non si

conoscono con esattezza i motivi e le tappe storiche della compaginazione e

affermazione quadriforme del corpo dei vangeli. Rimane comunque una questione di

natura teologica, che già sollecitava gli antichi: perché quattro vangeli? Che è mai

questa testimonianza, perché essa giunga a noi in quadruplice forma canonica? Anche

se originariamente la loro origine è da collocarsi in chiese e per chiese diverse e, quindi,

inizialmente almeno potevano essere percepiti come scritti alternativi, la loro

compresenza nel canone suggerisce che essi siano stati lentamente compresi come

testimonianze complementari, che si integrano ed arricchiscono reciprocamente.

Comunque le considerazioni di Ireneo non furono certo ininfluenti nell'accoglienza

della canonicità dei quattro vangeli.

Diversi sono i motivi che hanno contribuito al successo dei quattro vangeli canonici.

Il più importante fu quasi certamente la loro origine «apostolica», diretta per Matteo e

Giovanni, e indiretta per Marco (discepolo di Pietro) e Luca (discepolo di Paolo).42 I

quattro vangeli canonici potevano rivendicare una maggiore antichità e una maggiore

diffusione, inoltre provenivano da comunità più influenti (Mt in Siria, Mc a Roma, Lc

ad Antiochia o alla Grecia, e Gv ad Efeso). Infine, la preferenza è spiegabile anche per

il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv sono più completi, presentano una ricca varietà di

tradizioni (discorsi, narrazioni, parabole, singoli detti, racconti completi sulla passione e

la risurrezione), sono scritti in uno stile semplice e accessibile, e soprattutto si

presentano meno unilaterali rispetto ai vangeli di Pietro, di Tommaso, e al

protoevangelo di Giacomo, ed erano quindi più adatti alle varie esigenze delle comunità

cristiane. Tra il II e il III sec. il "corpo quadriforme dei vangeli" è ampiamente diffuso e

utilizzato.

41 IRENEO, Adversus Haereses, 3,11.8-9. 42 Anche alcuni vangeli apocrifi, pur attribuiti ad apostoli furono comunque esclusi dal canone: il

Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

31

Infine va sottolineato il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv hanno acquistato lo statuto

canonico non isolatamente ma insieme, come gruppo. Diverse, tuttavia, erano le

modalità di "catalogazione". In occidente prevaleva un ordine di «autorevolezza» circa

l'autore: Matteo e Giovanni (apostoli) precedevano Marco e Luca ("soltanto" discepoli).

In oriente, invece, prevaleva un ordine cronologico (come si riteneva allora): Matteo,

Marco, Luca e Giovanni. Questa, tra l'altro, è la collocazione canonica a noi

pervenuta.43

Lo scritto "Atti degli Apostoli" fa parte di un dittico composto da Luca verso l'80

come un'unica opera letteraria in due tempi: Vangelo e Atti. Gli At mostrano che la

predicazione degli apostoli Pietro e Paolo continua l'attività di Gesù e realizza la

diffusione del vangelo nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. At diventa un libro

popolare dopo Marcione (150 c.a), che lo esclude dal suo «canone», e acquista uno

statuto "quasi canonico" verso il 200.

6.4 Gli altri scritti del NT e il riconoscimento dei deuterocanonici

«Questa parte del canone neotestamentario conosce una storia molto simile a quella

della terza parte dell'AT, gli Scritti, a causa della mancanza di dati e di informazioni

precise».44

Nel canone neotestamentario è contemplato pure un terzo gruppo di scritti, composto

dalla prima lettera di Pietro (1Pt) e dalla prima lettera di Giovanni (1Gv), la cui canonicità

non fu mai messa in discussione (= protocanonici) e da Ebrei, Giacomo, seconda di Pietro

(2Pt), seconda e terza di Giovanni (2 e 3Gv), lettera di Giuda e Apocalisse, riconosciuti

come canonici solo in un secondo momento (= deuterocanonici). Il riconoscimento della

canonicità di questi ultimi incontrò perplessità e contrasti fin verso la fine del sec. IV (poi

non ci furono più grandi diatribe).

Benché sporadiche, tali difficoltà e discussioni risultano istruttive, se si riesce a

comprenderne i motivi e le vie attraverso le quali si giunse a risolverle. Siamo, così,

43 In realtà Matteo precede Marco perché Matteo è stato ampiamente utilizzato nella catechesi a causa

della presenza di numerosi discorsi. L'ordine attuale risale alla scelta di S. Girolamo nella sua traduzione latina, la Vulgata (400 ca.), che si impose come versione ufficiale nella Chiesa latina.

44 SKA, Formazione del canone, p. 160.

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32

introdotti nella comprensione dei criteri in base ai quali uno scritto cristiano poteva essere

riconosciuto o meno come canonico.

6.5 Chiusura del canone

Una delle ragioni per le quali bisognerà attendere il IV secolo prima di assistere alla

chiusura del canone è stata la decisione di dare al cristianesimo uno statuto ufficiale

all'interno dell'impero romano, situazione prima impensabile anche a causa delle

persecuzioni da parte dell'autorità imperiale. Inoltre la diffusione del cristianesimo e la

necessità di testi precisi per la catechesi e la liturgia contribuirono non poco alla

fissazione del canone del NT. L'imperatore Costantino dichiarò il cristianesimo religio

licita e questa condizione di libertà favorì le comunicazioni tra le comunità e creò la

necessità di fissare un canone comune tra tutte le comunità cristiane. I primi elenchi

completi del canone appaiono quindi durante il IV secolo. Il primo vero elenco completo

è quello di Eusebio di Cesarea (verso il 325) nella sua Storia ecclesiastica (3,25), seguito

da quelli di Cirillo di Gerusalemme (350), Atanasio di Alessandria (367), Gregorio di

Nazianzo (400), Agostino (400), liste poi sancite dai concili di Ippona (393) e di

Cartagine (397).

Comunque solo Atanasio di Alessandria ci offre una lista di ventisette libri senza

avere alcun tentennamento a proposito dell'uno o dell'altro libro;45 Eusebio, invece, non

si mostra sicuro verso alcuni scritti sulla cui canonicità fatica a pronunciarsi (Eb, Gc,

2Pt, 2 e 3Gv, Gd e Ap). Le discussioni si protrarranno certamente fino alla fine del IV

secolo, soprattutto a proposito della Lettera agli Ebrei e di Apocalisse, accolte nelle

chiese di Occidente, ma guardate con riluttanza in Oriente.

Le prime "edizioni" complete di un testo del NT risalgono attorno al IV-V sec.46 Il

primo codice completo è il Codex Vaticanus47 (IV sec.), c'è poi il Codex Sinaiticus48 (IV

45 Lettera festiva, 39. 46 Vi sono alcuni papiri più antichi di questi codici, ma che contengono solo alcune parti del NT. Il

testo più antico finora rinvenuto è il P52 (papiro numero 52) della John Ryland Library di Manchester, databile al 140 e contiene un brano della passione del Vangelo secondo Giovanni (18,31-33.37-38). Il secondo testo databile verso il 200 è il P46 della Chester Beatty Library di Dublino.

47 Comprende AT e NT, ma non contiene, nel suo AT, né la preghiera di Manasse né i libri dei Maccabei, e nel NT né le lettere pastorali né l’Apocalisse.

CAPITOLO PRIMO – La collezione delle Sacre Scritture: il canone

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sec., ma leggermente più recente del Vaticanus) infine il Codex Alexandrinus49(inizio

del V sec.) Questo fatto attesta che «le discussioni sul canone si sono protratte per lungo

tempo. Si può pensare che la possibilità, nel IV secolo, di produrre codici capaci di

contenere tutta la Scrittura abbia spinto le autorità ecclesiastiche in oriente e in

occidente a stabilire in modo più chiaro le frontiere del canone».

48 È il più antico manoscritto a contenere tutto il NT e praticamente tutto l’AT, fino a Esdra 9,9.

Contiene pure il Pastore di Erma e la Lettera di Barnaba. 49 Contiene oltre all’AT e al NT, 1 e 2Clemente e i Salmi di Salomone.