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MATTEO PUGLIESE, ANDREA MARICONTI e HARDING MEYER sono i tre artisti scelti per aprire questo nuovo anno di mostre. Tre voci tra le più originali e interessanti dell’arte contemporanea italiana e internazionale. Al centro della mostra – curata da Alessandra Redaelli - sono l’irresistibile forza attrattiva della figura e il potere dello sguardo. E’ l’uomo, infatti, al centro del lavoro dei tre protagonisti. Raccontato usando linguaggi diversissimi e tuttavia paralleli per potenza espressiva. Ci sono i corpi possenti e seducenti di MATTEO PUGLIESE (Milano,1969), artista che già passa regolarmente in asta - Christie’s, Sotheby’s, Pandolfini – con aggiudicazioni che sono arrivate a raddoppiare la stima iniziale. Sono guerrieri dalle suggestioni classiche, prigionieri di una materia bruta, colti nel momento culminante della lotta, nell’attimo immediatamente precedente la liberazione; deflagrazioni di forza contratta scolpite nel bronzo.... www.puntosullarte.it

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ANDREA MARICONTIHARDING MEYER

MATTEO PUGLIESE

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MOSTRA A CURA DI: ALESSANDRA REDAELLI

CATALOGO A CURA DI: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI

TESTI: ALESSANDRA REDAELLI

PROGETTO GRAFICO: ALESSANDRO ILARDA

Copyright ©PUNTO SULL’ARTE

AT T R A C T I O N 1 6 N O V E M B R E - 2 7 D I C E M B R E 2 0 1 4

PUNTO SULL’ ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) | ITALY | +39 0332 320990 | [email protected]

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A N D R E A M A R I C O N T IH A R D I N G M E Y E R

M AT T E O P U G L I E S E

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LE REGOLE DELL’ATTRAZIONE

Ci sono opere d’arte che più di altre subito, fin dal primo sguardo, scatenano nel fruitore l’esigenza di domandarsi che cosa sia, alla fine, la bellezza. Che chiedono a gran voce il perché di un’attrazione immediata, senza scampo, che costringe a restare inchiodati davanti a quell’immagine, completamente catturati. E si può dire che siano state proprio le ineffabili regole dell’attrazione alla base di questa mostra. Attrazione dello sguardo nei confronti dell’opera – cha sia scultura o pittura – ma anche in un certo senso attrazione reciproca tra opere, una serie di richiami, attinenze, affinità che sono saltate subito all’occhio e che poi, una volta colte, si sono rivelate ineludibili. Il fatto che alla fine ci si sia resi conto che protagonista della mostra risultava l’uomo (la figura, il corpo, il viso) è stata una conseguenza. Una conseguenza anche interessante. Come a dire che in fondo uno dei soggetti maggiormente capaci di attrarci siamo proprio noi stessi. E ci sarebbe da chiedersi se questa sia una debolezza insita nel nostro essere o se non sia piuttosto l’ennesima conseguenza di un momento storico in cui il corpo, la fisicità, la bellezza sono tematiche centrali, nodi intorno ai quali sembra ruotare l’intera nostra esistenza.

La principale attrattiva dei bronzi della serie Extra moenia di Matteo Pugliese risiede senza dubbio nel messaggio di forza e nella sensazione dinamica della lotta. La statuaria classica qui è solo lo spunto per un procedere squisitamente contemporaneo, che se rimanda a Michelangelo – quello dei Prigioni, certo, ma anche e soprattutto quello dei dipinti della Cappella Sistina – non nasconde una parentela stretta con i nudi scolpiti dall’obiettivo di Robert Mappelthorpe, e anche, azzarderei, con la teatralità e la gestualità dell’arte performativa. Si tratta, in fondo, di una sorta di coreografia, un movimento in divenire bloccato nell’attimo cruciale. Una fuga, forse, o magari una mitologica nascita, o ancora una simbolica rinascita spirituale, ma che si può facilmente immaginare nella sua prosecuzione come una danza guerriera. Ed è proprio lo sforzo che questi corpi richiedono alla nostra immaginazione il loro ulteriore elemento di seduzione. Perché davanti a quelle braccia crudelmente troncate dalla linea verticale della parete, davanti all’assenza delle gambe, o del viso, o di una parte di un arto, il nostro occhio rifiuta l’amputazione e in qualche modo ricostruisce nella mente quello che manca, in perfetta coerenza con ciò che vede, con gli stessi muscoli tesi nello sforzo, la stessa minuzia dettagliata nel rendere le dita di una mano o la pianta di un piede contratto nel gesto. Anche con la medesima consistenza scabra e ruvida della pelle. E noi, a questo punto, siamo l’opera, le apparteniamo e ci confondiamo con essa, ci sembra addirittura di provare le sue stesse sensazioni: l’angosciosa costrizione della prigionia e il desiderio della liberazione, in una totale identificazione con il soggetto.

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9ALESSANDRA REDAELLI

Diversa è la fascinazione che emana dai lavori di Andrea Mariconti. E’ quella fascinazione inquieta, vagamente venata di allarme, che ci coglie davanti alla bellezza ferita, davanti all’anomalia nella perfezione. Incessante sperimentatore, l’artista mescola ai materiali classici della pittura elementi estranei come la cenere, il petrolio o le muffe, a creare ombre e profondi chiaroscuri, oppure la foglia di rame ossidata, per accendere nel lavoro una nuova cangiante luminosità. E in questo gioco infinito di luci e di ombre, di spazi giocati sulle armonie dei bianchi e dei neri e di improvvisi lampi cromatici, i contorni della figura vanno perdendo certezza, come sfaldandosi. La prevedibilità della forma si scontra con una spaccatura inaspettata, un repentino cambio di marcia che scompagina le certezze. Mentre il tratto si fa sempre più veloce, compendiario, quasi da schizzo preparatorio, la materia di cui è costituito il lavoro prende vita, si anima. La superficie si espande e si spezza, si contrae in pieghe inaspettate, esplode, come un viso sul quale le rughe abbiano scritto la storia di una vita. La sensazione è quella di un brulicare sotterraneo, di un movimento tellurico lentissimo ma di una potenza spaventosa. E il pensiero, inevitabilmente, corre alla caducità delle cose terrene, al disgregarsi, al corrompersi, al senso di finitezza che indissolubilmente accompagna la bellezza.

E’ invece una bellezza così assoluta da fare male agli occhi quella dei volti di Harding Meyer. L’artista tedesco (nato in realtà in Brasile, ma di stanza a Berlino) compie un’operazione che si potrebbe quasi definire concettuale. Sceglie volti perfetti, di una bellezza che ricorda pericolosamente quella a cui ci hanno abituati le riviste patinate, visi la cui contemporaneità non è in discussione, e li estrapola brutalmente da qualsiasi contesto per ingigantirli a dismisura. I suoi ritratti non sono grandi: sono l’ambiente stesso nel quale ci troviamo. Ci aggrediscono, quasi, sembrano circondarci, catturarci, farci propri. E la sensazione di appartenenza si enfatizza nella pennellata soffice, pastosa, di una morbidezza avvolgente come nebbia. Ma si sa: essere immerso dentro qualcosa significa inevitabilmente perderne la visione globale. E qui sta il trucco magistrale dell’artista: quelli che in foto potevano sembrare dei semplici bellissimi visi, dal vivo si trasformano in un’esperienza sensoriale che va oltre la fruizione, oltre la stessa contemplazione. Gli occhi, sempre inesorabilmente agganciati a quelli dello spettatore, sono qui più che mai specchio dell’anima. Ingresso, meglio, verso un’anima che però, per quanto cerchiamo di inseguirla, continua ad apparirci indecifrabile, imprendibile. E allora in questa sorta di supplizio di Tantalo, le donne di Meyer ci appaiono come entità oramai astratte, superiori, divinità forse crudeli, ma alle cui seduzioni non siamo più in grado di sfuggire.

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THE RULES OF ATTRACTION

Some works more than others urge the audience to investigate the true meaning of beauty, causing an immediate attraction, forcing us to stare at them, completely absorbed. It can be said that this exhibition is based upon the rules of attraction.The attraction towards these pieces of art – either sculpture or painting – and the one among the works themselves, a sequence of recalls, relations and affinities which immediately have leaped out, becoming unavoidable.As a consequence – an interesting one – man (in its silhouette, body, face) was identified as the main protagonist of the exhibition. As though we considered ourselves as the only subject which could attract us. We should wonder if it depends upon our fragility or upon the historical period, which focuses upon bodies, physical presence and beauty, as if they were the true cornerstones of our time.

The main appeal of the Extra moenia bronzes by Matteo Pugliese lies within the strength and dynamic sensation conveyed by the fight. Classical sculpture is used as an inspiration for his contemporary creations, thus recalling Michelangelo – the one of Prigioni, but mostly the one who painted the Sistine Chapel –, the nudes carved by Robert Mapplethorpe’s lens and the gestures of performing art. It is a sort of choreography, a movement blocked at its crucial moment. It might be an escape, a mythological birth or a symbolic spiritual rebirth, whose prosecution can be easily imagined as a bellicose dance. The effort made by our imagination while staring at these bodies is an additional element of fascination, since our glances deny the amputation - represented by those arms cut by wall lines, the absence of legs, faces, sections of limbs - recreating what is missing, being coherent with the tense muscles, using the same meticulousness in rendering the fingers of one hand or a strained foot, as well as the rough skin. Therefore we become the work itself, mingling with it, almost feeling the same sensations: the painful compulsion of the imprisonment and the desire for freedom.

A different kind of attraction - more worried and alarmed, which seizes us in front of hurt beauty or the anomaly of perfection - is conveyed by Andrea Mariconti’s works. Incessant experimenter, the artist combines standard materials with alien elements like ashes, oil and mildew, to create shadows and deep chiaroscuro, or the oxidised copper leaf, which fills the work with a new iridescent brilliance. Through this endless game of lights and shadows, blacks and whites and sudden chromatic lightnings, the contours of the figure flake. The predictability of the shape clashes against

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an unexpected crack, a sudden gearshift which upsets certainties. The stroke becomes faster, essential, as if it was a preparatory study, while the matter comes to life. The surface enlarges and breaks, contracting into folds, exploding, like a face whose history is described by wrinkles. It seems like an underground swarm, a slow terrestrial movement which contains a dreadful power. Therefore our minds recall the transience of earthly things, disintegration, spoiling and the finiteness which accompanies beauty.

On the other hand, the faces by Harding Meyer embody absolute beauty. The German artist (born in Brasil, but living in Berlin) carries out a conceptual action. He chooses perfect faces - like the ones of slick magazines, whose contemporaneity is unquestionable - and extracts them from any contest by blowing them out of proportion. His portraits are more than huge: they are the same environment in which we stand. They almost assault us, surrounding and capturing us. This sensation of belonging is empathised by the smooth and pasty stroke, as enveloping as fog. However, being immersed into something causes the loss of the whole perspective, which is the main aim of the artist: the subjects which in photo seemed beautiful faces, are transformed into a sensorial experience which transcends fruition and contemplation. Their eyes, always hooked into the audience’s ones, are more than ever the mirror of the soul. An entrance to a soul which, despite our pursuit, still remains incomprehensible and elusive. Therefore, due to this sort of torment of Tantalus, Meyer’s women seem abstract and higher entities, like divinities whose power of seduction cannot be ignored.

ALESSANDRA REDAELLI

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ANDREA MARICONTI LA POTENZA DELLA MATERIA

Il viso appare fresco e pulito: lo sguardo fiero, le labbra distese nell’accenno di un sorriso. Il segno costruisce l’epidermide con una delicatezza amorosa, quasi materna: scandaglia le ombre, esalta le luci, sottolinea carezzevole ogni curva e ogni avvallamento. Poi, improvvisamente, la materia esplode, deflagra, come per un eccessivo accumularsi di energia interna. I contorni perdono compattezza. Quasi che un’inaspettata urgenza del fare avesse mosso la mano a un gesto sempre più veloce. Quasi mancassero le parole per definire nei dettagli una cosa così immensa, così assoluta, così grandiosa come quel viso. E poi, dal centro del lavoro, comincia a diramarsi una spaccatura, come una crepa nel terreno, come l’inizio di un movimento tellurico che va espandendosi fino alle estremità. La materia si solleva, si ribella all’ordine prestabilito, si sgretola lentamente in un movimento lento ma inesorabile, mentre il soggetto si spacca, esponendo una sorta di seconda vita brulicante sotto la superficie. Da sempre Andrea Mariconti ci ha abituati a questa sua pittura potente e attraente, graffiante e graffiata. A questo procedere che chiamare pittura appare sempre un po’ limitativo, perché l’uso di mescolare i materiali classici del dipingere con la cenere, a volte con il petrolio, regala al lavoro una tridimensionalità inedita, un’imponenza scultorea. Le opere più recenti, ora, ci sorprendono con una nuova gioia cromatica. L’uso della foglia di rame ossidata rivela una luminosità inedita, vivace e cangiante. Quello che resta allo spettatore – dopo l’incanto della prima impressione, dopo la sensazione di aver assistito a un fenomeno prezioso e irripetibile – è il gusto di una realtà in divenire, precaria, mobilissima, solo a tratti agganciata al nostro vissuto grazie a quei piccoli dettagli di colore che di tanto in tanto, quasi miraggi, vanno a spezzare la sinfonia perfetta e terribile di un dilagante bianco e nero.

ALESSANDRA REDAELLI

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ANDREA MARICONTI THE POWER OF MATTER

The face seems lively and clean: a fierce glance, the lips stretched to crack a smile. The stroke builds the skin through a loving, almost maternal, delicacy: by plumbing the shadows and exalting the lights, it softly caresses any bend and dip.All of a sudden, the matter explodes, as if it had gathered too much energy. The contours flake as if the hand was submitted to a sudden pressure, as if no detail could describe such a huge, absolute and magnificent face.Afterwards, a split from the centre of the work branches out, like a crack in the ground or the starting of a telluric movement which spreads until the extremities. The matter lifts up, opposing to preset order, slowly and relentlessly grinding, while the subject smashes revealing a crawling life under its surface.Since the beginning, Andrea Mariconti accustomed the audience to his powerful, charming, biting and scratched painting. To his works which are beyond painting, since the combination of traditional materials with ashes and oil, adds a new three-dimensionality, a sculptural majesty to the works. At present, his most recent works have astonished us through a new chromatic delight. The use of the oxidized copper leaf reveals an innovative, lively and iridescent brilliance. What is conveyed to the audience – after the enchantment of the first impression and the sensation of having attended a precious and unique phenomena - is the pleasure of a constantly evolving, precarious and unstable reality, partially connected to our experience through the little coloured details which, as occasional as mirages, suspend the perfect and dreadful symphony of a rampant black and white.

ALESSANDRA REDAELLI

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HARDING MEYER DENTRO LO SGUARDO

Ipnotici è una parola forse troppo semplice per definire i lavori di Harding Meyer. Eppure ciò che accade davanti a queste tele grandi, a volte enormi, a volte addirittura gigantesche, è esattamente definito in questa sensazione di smarrimento dell’io, in questo restare agganciati all’unico particolare degli occhi – o meglio dello sguardo – e perdere per diversi istanti il senso complessivo del lavoro, la totalità di quell’esperienza visiva assolutamente avvolgente. Come spesso accade, prendere un soggetto abitualmente relegato a una misura media o addirittura piccola (al massimo alla misura del reale per favorire l’identificazione) e tradurlo nelle grandi dimensioni, genera un immediato senso di spaesamento. La verità, tuttavia, è che l’artista fa molto di più. Di quei ritratti Meyer non si limita a darci una versione ingigantita. Prima di tutto sceglie quasi esclusivamente un’unica posizione, quella frontale; al massimo lascia che il viso giri di tre quarti, ma lo sguardo resta agganciato a quello dello spettatore. Poi elimina qualsiasi dettaglio spaziale o temporale. Infine sceglie una pennellata soffice, materica, impressionista, creando un immediato distanziamento dalla realtà. Ecco che allora, improvvisamente, quella donna smette di essere donna e diventa archetipo di una femminilità senza tempo, divinità contemporanea capace di soggiogarci con uno sguardo. Bellissime, di una perfezione che sfiora la freddezza, le sue donne (perché si tratta quasi sempre di donne) sono figlie senza dubbio dell’estetica contemporanea. Eppure, pur facendo propri i canoni di una bellezza attualissima, quasi da rivista patinata, Harding Meyer subito se ne allontana sublimandola, rendendola icona. Anche in alcuni degli ultimi lavori, dove la pennellata va spezzandosi in linee sincopate, creando disturbi visivi, interferenze, sdoppiamenti, la bellezza esce intatta, quasi enfatizzata da quella ferita, come se il nostro sguardo – intrappolato e oramai conquistato – trovasse la forza di andare oltre, fino a cogliere l’essenza.

ALESSANDRA REDAELLI

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HARDING MEYERWITHIN THE GLANCE

Hypnotic is not enough to define Hardin Meyer’s works. However, what happens in front of his huge - sometimes enormous – canvas, can only be identified with a temporary loss of one’s soul, caused by the focusing upon those glances, thus forgetting the whole piece of art and losing into an enveloping visual experience.As it often happens, the enlarging of an object which is usually medium or small (its usual dimension to simplify its identification), causes immediate disorientation. The truth is that the artist goes further. He does not merely enlarge the portraits. First of all, he almost exclusively chooses the frontal position; at most a three-quarter profile, but the glance must always hook into the audience’s one. Then he gets rid of any spacial or temporal detail. In the end, he uses a soft, material, impressionist stroke, creating an instant detachment from reality. Hence, suddenly, that woman is no longer a woman and becomes the archetype of a timeless femininity, a contemporary goddess who can submit us through a glance. Wonderful and perfect, almost glacial, his women certainly derive from contemporary aesthetics. Nonetheless, though respecting the rules of a contemporary beauty, like the one of slick magazines, he immediately distances himself from it, sublimating and exalting it. Even in his latest works, wherein the stroke breaks into syncopated lines, creating visual disturbance, interferences and doubling, beauty remains intact, almost empathized by the wound, as if our glance – already trapped and overcome – manages to look beyond, up to the essence.

ALESSANDRA REDAELLI

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MATTEO PUGLIESEGLI UOMINI E GLI EROI

La sensazione di una forza contratta è la prima emozione che coglie lo spettatore di fronte agli Extra moenia di Matteo Pugliese. Davanti a quei corpi portatori di una bellezza assoluta e tuttavia dolorosa. Subito dopo, la mente si scatena in una serie di libere associazioni. Che partono dalla statuaria greca per arrivare a Michelangelo, osano una deviazione verso la Santa Teresa di Bernini e poi approdano alla fotografia contemporanea. Perché Pugliese è classico, sì, ma fino a un certo punto. Perché più che a Fidia o a Skopas i suoi uomini possenti, che con una sorta di urlo muto sgorgano dalla parete che li tiene prigionieri, assomigliano a quelle reinterpretazioni che della statuaria classica sa fare Robert Mappelthorpe. O forse, ancora di più, ai perfetti corpi maschili glorificati proprio da Mappelthorpe nel trionfo dei muscoli tesi e del gesto teatrale portato all’estremo. Al netto, però, dell’erotismo. Che se nel fotografo americano è brutalmente esposto, estremizzato fino al dettaglio anatomico, nello scultore italiano resta un’allusione sottotraccia, piuttosto l’enfatizzare una virilità eroica e guerriera. Se classiche sono le forme, le proporzioni, la gestualità, poi, non si può dire la stessa cosa dei visi scolpiti da Matteo Pugliese. La bellezza dei lineamenti si contrae nello sforzo della lotta con un’evidenza troppo contemporanea, con un’urgenza troppo attuale per essere associata a quel senso antico di olimpica atarassia. E ancora di più l’appartenenza dell’artista al suo tempo si rivela nella materia scabra di cui quei corpi sono costituiti. La tentazione (irresistibile, peraltro) della carezza si scontra con la superficie ruvida e accidentata del bronzo. Da vicino il corpo si rivela ferito, martoriato. Il gesto rimane così bloccato da un improvviso senso di soggezione. L’istinto di allungare la mano per aggrapparsi a quella che, tesa nello sforzo, esce dal muro si scontra con una solitudine ineluttabile. La solitudine dell’eroe ma anche la solitudine dell’uomo nella sua strenua lotta quotidiana. Antica e modernissima. Senza tempo e forse senza redenzione.

ALESSANDRA REDAELLI

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MATTEO PUGLIESE MEN AND HEROES

The sensation of a contracted strength is the first emotion which seizes the audience when staring at Matteo Pugliese’s Extra Moenia, bodies which carry absolute yet painful beauty.At a second glance, free associations come immediately to mind. Starting from Greek sculpture to Michelangelo, deviating towards the Santa Teresa by Bernini and landing upon contemporary photography, since Pugliese can be considered a traditional artist only until a certain extent. His strong men, who, silently shouting, spring from the wall which imprisons them, resemble -more than Phidias or Skopas- Robert Mapplethorpe’s reinterpretations of classical sculpture. Or, even more, the perfect male bodies which Mapplethorpe glorified through the triumph of tense muscles and theatrical gestures brought at their highest level. However, eroticism has no main role -brutally shown by the American photographer up to anatomical details- it is kept as a hidden allusion by the Italian sculptor, who emphasizes more a heroic and fighting virility. While his forms, proportions and gestures are classic, his sculpted faces are not. The beauty of the lineaments contracts for the effort of the struggling, through a too contemporary obviousness and actual urgency to be compared to the ancient sense of Olympian ataraxy. Moreover, the artist’s belonging to present time is revealed by the rough matter which forms his bodies. The compelling temptation of caressing them crashes with the rugged bronze surface. Through a closer observation, the body appears hurt and tortured. Therefore the gesture is blocked by a sudden subjection. The instinct of grabbing the hand which stretches out of the wall collides against an unavoidable loneliness. The solitude faced both by heroes and men, during their daily struggle. Both ancient and contemporary. Timeless and, maybe, without redemption.

ALESSANDRA REDAELLI

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O P E R E

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A N D R E A M A R I C O N T I

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21ALEIFAIR CALKOS

Tecnica mista con cenere e olio di motore su tela | 80 x 80 cm | 2014

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22ALEIFAR CALKOSTecnica mista con cenere, olio di motore su tela | 100 x 100 cm | 2014

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23ALEIFAR CALKOS

Tecnica mista con cenere, olio di motore su tela | 100 x 100 cm | 2014

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24ALEIFAIR CALKOSTecnica mista con cenere e olio di motore su tela | 80 x 80 cm | 2014

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25ALEIFAR 11

Olio, cenere, petrolio su carta intelata | 150 x 200 cm | 2011

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H A R D I N G M E Y E R

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27SENZA TITOLO

Olio su tela | 195 x 260 cm | 2006

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28SENZA TITOLOOlio su tela | 70 x 85 cm | 2005

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29SENZA TITOLO

Olio su tela | 40 x 50 cm | 2006

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30SENZA TITOLOOlio su tela | 70 x 85 cm | 2006

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31SENZA TITOLO

Olio su tela | 170 x 220 cm | 2003

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M AT T E O P U G L I E S E

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33HOPE

Bronzo | 68 x 42 x 21,5 cm | Edizione 7+3 | 2010

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34DANNATOBronzo | 72 x 45 x 27 cm | Edizione 7+3 | 2012

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35DANNATO

Bronzo | 72 x 45 x 27 cm | Edizione 7+3 | 2012 | particolare

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36GRAVITASBronzo | 100 x 95 x 40 cm | Edizione 7+3 | 2014

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37LA TEMPESTA

Bronzo | 55 x 38 x 18 cm | Edizione 7+3 | 2014

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B I O G R A F I E

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MATTEO PUGLIESE Nasce a Milano nel 1969. Nel 1978 si trasferisce in Sardegna con la famiglia e, terminati gli studi classici, fa ritorno a Milano per frequentare l’università. Si laurea nel 2005 in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano con una tesi in Critica d’Arte. Fin da giovane mostra attitudine per il disegno e la scultura, campi in cui si forma da autodidatta. Inizia a esporre a Milano nel 2001 e in seguito realizza mostre personali in Europa e Asia. Le sue opere sono state presentate alle fiere d’arte nazionali e internazionali di maggior rilievo (Hong Kong, Madrid, Bologna, Milano, Parigi) e sono esposte in permanenza in gallerie sia italiane che estere (Roma, Londra, Lugano, New York, Bruxelles e l’Aja). Vive e lavora tra Milano e Barcellona.

HARDING MEYER Nasce a Porto Alegre in Brasile nel 1964. Dal 1987 al 1993 frequenta l’Accademia d’Arte di Karlsruhe, in Germania, seguendo i corsi dei Prof. Max Kaminski e Prof. Helmut Dorner. Dal 2000 realizza mostre personali e collettive in Germania, Italia, Austria, Svizzera, Canada, Quatar, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Portogallo. Ha partecipato ad alcune tra le più importanti fiere d’Arte internazionali: Arte Fiera Bologna, Art Basel Miami, Art Cologne, Art Chicago, Miart Milano, Art Brussels, Art Frankfurt e tante altre. Vive e lavora in Germania.

BIOGRAFIE

ANDREA MARICONTI Nasce nel 1978 a Lodi. Si laurea nel 2001 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, indirizzo Arti Visive, e nel 2006 in Scenografia e Discipline dello Spettacolo. Nel 2005 partecipa ad un workshop tenuto da Anselm Kiefer in occasione della preparazione dell’installazione presso l’Hangar Bicocca I Sette Palazzi Celesti. Dal 2003 espone regolarmente in Italia e viene presentato regolarmente nelle più importanti fiere d’arte contemporanea. Nel 2011 è vincitore del Premio UNESCO per l’Arte Contemporanea. Vive e lavora tra Cremona e Milano.

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ANDREA MARICONTI Born in Lodi in 1978. He graduated in 2001, major visual arts, at the Accademia di Belle Arti di Brera and in Scenography in 2006. In 2005 he attended a workshop held by Anselm Kiefer, during the setting up of the installation Seven Heavenly Palaces at the Hangar Bicocca. From 2003 he regularly participates into solo and group exhibitions and is invited to the most important shows of contemporary art. In 2011 he won the UNESCO Prize for Contemporary Art. He lives and works between Cremona and Milan.

BIOGRAPHY

HARDING MEYER Born in Porto Alegre (Brazil) in 1964. From 1987 to 1993 he attended the Art Academy of Kkarlsruhe, in Germany, attending the lessons by Prof. Max Kaminski e Prof. Helmut Dorner. Since 2000 he realizes solo and group exhibitions in Germany, Italy, Austria, Switzerland, Canada, Qatar, Great Britain, France, Belgium and Portugal. He took part into the most important international Art exhibitions: Arte Fiera Bologna, Art Basel Miami, Art Cologne, Art Chicago, Miart Milan, Art Brussels, Art Frankfurt and many others. He lives and works in Germany.

MATTEO PUGLIESE Born in Milan in 1969. In 1978 he moved to Sardinia with his family and, at the conclusion of his high school, he came back to Milan to attend University. He graduated in 2005 in Modern Letters with a thesis upon Art criticism. Since he was young he demonstrated an inclination towards painting and sculpture, fields which he analysed as a self-educated. He started his exhibitions in Milan in 2001, then realizing solo shows in Europe and Asia. His works have been presented at national and international exhibitions (Hong Kong, Madrid, Bologna, Milan, Paris) and are permanently exposed into Italian and foreign galleries (Rome, London, Lugano, New York, Brussels and The Hague). He lives and works between Milan and Barcelona.

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di SOFIA MACCHI

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