147
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1. LE RICERCHE DI INIZIO ‘900 1.1. Kandinskij e Scrjabin, il Prometeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.2. Bauhaus: da Laszlo Moholy Nagy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 al Reflektorische Farbenlichtspiele di Hirschfeld Mack 1.3. Eggeling: Sinfonie Diagonali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 2. DAL SECONDO DOPOGUERRA 2.1. Una nuova notazione musicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 2.2. La nuova proposta di Luigi Veronesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 2.3. I rapporti sinestetici degli anni ’60 -’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 2.4. Una narrativa sinestetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 3. XXI SECOLO: IBRIDAZIONI 3.1. Suono, ritmo, racconto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 3.2. L’ibridazione contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 3.3. Interviste: - Francesco Bossaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 - Massimo Marchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 4. CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 1

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INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1. LE RICERCHE DI INIZIO ‘900

1.1. Kandinskij e Scrjabin, il Prometeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.2. Bauhaus: da Laszlo Moholy Nagy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 al Reflektorische Farbenlichtspiele di Hirschfeld Mack 1.3. Eggeling: Sinfonie Diagonali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

2. DAL SECONDO DOPOGUERRA

2.1. Una nuova notazione musicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

2.2. La nuova proposta di Luigi Veronesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

2.3. I rapporti sinestetici degli anni ’60 -’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

2.4. Una narrativa sinestetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

3. XXI SECOLO: IBRIDAZIONI

3.1. Suono, ritmo, racconto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

3.2. L’ibridazione contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

3.3. Interviste:

- Francesco Bossaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

- Massimo Marchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119

4. CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

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5. SCHEDA PROGETTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

- Tematiche

- Sinossi

- Realizzazione

- Tecniche

6. BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142

7. SITOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144

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INTRODUZIONE

C’è da sempre un rapporto simbiotico tra suono ed immagine.

Sin dagli esordi della cultura umana la dicotomia immagine - suono è stata

fondamentale. Nelle danze rituali, il momento più importante nella vita di una

comunità, ci si prepara con una vestizione apposita, con l’utilizzo di adornamenti

(oggetti e pitture) e durante la cerimonia si intonano canti o nenie rivolte a cercare il

contatto con le divinità e l’universo (come i suoni dell’ohm nelle culture indiane e

che si ritrovano simili in altre culture molto distanti). Con la rielaborazione di questi

due aspetti della realtà (suoni e immagini) si crea un mondo diverso da quello

naturale che è quello dell’uomo, della sua cultura, delle immagini e delle divinità che

evoca. Prendiamo in esempio la “danza del sole” (il cui nome originale è Wiwanyag

Wachipi, cioè Danza guardando il Sole) che rappresenta l'apice del calendario

spirituale e rituale di tutte le nazioni tribali del Nord America. Una parte di questo

rituale (della durata di tre-

quattro giorni) vuole che il

danzatore si infili dei pezzetti

di legno acuminati (un tempo

artigli di aquila) sotto la pelle

del petto, i quali sono stati

legati a delle funi annodate

all'albero sacro (di solito un

pioppo di tipo cottonwood)

posto al centro dello spazio

consacrato in cui si svolge il

rito; colui che balla si deve

La danza del Sole (Immagine da www.blogchat.it) liberare tirando le funi e

strappando le proprie carni. Il

dolore prodotto era molto forte e spesso i danzatori riuscivano a sopportarlo solo

cadendo in una sorta di trance in cui potevano ricevere delle visioni. Questa danza

simboleggia il ricollegarsi dell'anima alla Divinità: come il danzatore è attaccato

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all'albero centrale, per mezzo di strisce di cuoio che simboleggiano i raggi del sole,

così l'uomo si ricollega al Cielo. Non mancavano i canti e i ritmi dei tamburi ad

accompagnare questo periodo di cerimonia. Il danzatore è come un'aquila che vola

verso il sole: con il fischietto fatto d'osso d'aquila, produce un suono stridente e

lamentoso imitando in un certo modo il volo dell'aquila, con le piume che porta nella

mani. Visioni, allegorie, canti, suoni... L’uomo per distinguere il mondo reale in cui

vive da quello rappresentato ed invocato utilizza prevalentemente quei sensi che lo

stimolano maggiormente per fare leva sulla percezione ed alterarla volontariamente

verso la propria rappresentazione del mondo. Il legame tra vista ed udito, la

completezza percettiva che ne deriva è quindi la più importante e fondamentale nella

percezione, insieme al tatto. Il senso del tatto è infatti sicuramente essenziale nella

vita di un individuo (non a caso era considerato dai Maja e dagli Aztechi il senso

primario) ma per gli scopi teorici ed artistici che qui mi propongo non lo prenderò in

considerazione pur ammettendone la sua importanza a livello artistico e considerando

la ricerca fatta nel campo dell’arte dalle avanguardie (soprattutto futuriste) fino ad

oggi nonché l’enorme contributo che potrebbe dare nella triade vista/tatto/udito.

Già in epoca classica un trattato attribuito ad Aristotele analizzava la relazione tra

suono e colori e affermava: “per i suoni chiari è come per i colori, anche in questo

caso i colori che più stimolano la vista sono quelli che si vedono più distintamente. In

modo analogo si deve ritenere che i suoni più chiari siano quelli più capaci di

arrivare all’orecchio e di stimolarlo” 1. E continua facendo appunto un parallelo tra

il suono di alcuni strumenti ed effetti anche di tipo visivo che essi possono dare.

Nel 500 Giuseppe Arcimboldi cercò di trovare una relazione tra colori e suoni e

studiò i gradi armonici dei colori aprendo la strada alla lunga ricerca che ha portato

nell’800 alla elaborazione della teoria armonica dei complementari e alla definizione

del cerchio cromatico armonico. Newton, nelle sue esperienze sulla scomposizione

della luce, cioè nella realizzazione dello spettro diviso in sette zone

1 ARISTOTELE, I Colori e i suoni, a cura di Maria Fernanda Ferrini, Milano, Bompiani, 2008, pag.

217

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cromatiche di base, osservò l’analogia fra i

sette colori spettrali e le sette note. Arrivò

a dividere lo spettro in sette bande che,

considerando la lunghezza dello spettro come

unità base, corrispondevano nella loro

lunghezza ai rapporti degli intervalli fra nota e

nota nella scala musicale maggiore zarliniana

(la scala naturale, applicata da Gioseffo

Zarlino nel 1558).

Cerchio cromatico armonico

DO RE MI FA SOL LA SI (DO)

rosso arancio giallo verde azzurro indaco viola

Nel 1810 Goethe pubblicava a Tubinga il saggio La teoria dei colori e muoveva

contro le teorie newtonaine considerandole come un insopportabile e inconcepibile

tirannia della matematica e dell’ottica. I colori non potevano, secondi il filosofo,

essere spiegati con una teoria solo meccanicistica ma dovevano essere considerati

come qualcosa di vivo e umano e trovare spiegazione anche nella poetica,

nell'estetica, nella fisiologia e nel simbolismo. I colori non erano più solo stimoli

sensoriali ma entravano nella sfera emotiva.

Un intensificarsi delle sperimentazioni sulla sinergia tra immagini e suoni prende

piede nel romanticismo di fine ‘800 soprattutto con la Gesamtkunstwerk wagneriana.

Un arte totale rivoluzionaria che promuove la compresenza e la sinergia di tutti i

linguaggi artistici in un opera sola che si concretizza nel teatro di Bayreuth, in

Baviera (Germania), voluto per decenni da Wagner e finalmente costruito grazie al

mecenatismo di Luigi II re di Baviera. Inaugurato il 17 Agosto 1876 e costruito

secondo i progetti dell’architetto Gottfried Stemper con la supervisione dello stesso

Wagner, il teatro rappresenta il culmine della sua ricerca contenendo tutti i tecnicismi

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fondamentali atti a creare l’opera totale, ovvero la relazione sinestetica tra tutti i

linguaggi artistici. Queste caratteristiche sono: il buio in sala, un complicatissimo

insieme di macchinari per la scenografia, l’assenza di palchi laterali, un doppio

proscenio e la creazione di una buca per l’orchestra in maniera che questa fosse

invisibile al pubblico (sebbene questa idea non fosse innovativa di per sé: la prima

buca per orchestra fu infatti introdotta nel Teatro di Besancon progettato da Claude-

Nicolas Ledou ed edificato tra il 1775 e il 1788). I linguaggi artistici utilizzati sono

diversi: scenografia, costumistica, scrittura, una intuizione di illuminotecnica - poi

teorizzata e applicata da A. Appia nel primo ventennio del ‘900 - e la musica; ma

sintetizzando i diversi linguaggi si riducono a due cose: suoni ed immagini. Persino

un opera chiamata “totale” si nega a tre sensi su cinque confermando che anche l’arte,

essendo un prodotto culturale dell’uomo, non può che sottostare alle sue

caratteristiche percettive.

Le Avanguardie, soprattutto futuriste, si sono ribellate a questo limite sdoganando

gusto tatto e olfatto nelle loro opere. Nel 1931 Marinetti e Filli firmano il Manifesto

della cucina futurista: il pranzo perfetto esigeva “L'uso dell'arte dei profumi per

favorire la degustazione.” e all’abolizione delle posate conseguiva “... un piacere

tattile prelabiale.” 2. A proposito di olfatto anche Skriabin scrisse un opera che

sarebbe stata una "... grandiosa sintesi religiosa di tutte le arti che avrebbe dovuto

proclamare la nascita di un nuovo mondo". Era il Mysterium, la sua opera definitiva,

una mastodontica opera teatrale multimediale sul tema delll’armageddon che avrebbe

unito suoni, danze, luci e profumi e sarebbe stata inscenata in un tempio emisferico

sull’Himalaya. L’opera però non si concretizzò mai. Questi tentavi, riusciti e non, non

sono bastati a togliere il primato della produzione artistica alle immagini

ed ai suoni. Dal “clavicembalo oculare” del gesuita Padre Castel e del suo

contemporaneo settecentesco Le Blon, al cromofonografo dell’Italiano Guido

Visconti di Morone negli anni ‘20 (le cui descrizioni tecniche sono andate perdute), i

2 Manifesto della cucina futurista, periodico francese “Comoedia”, 20 Gennaio 1931

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tentativi di creare un linguaggio sonoro - Tastiera di Skrabin

visivo si sprecano nel corso della storia.

Non esiste una vera e propria corrente che

si sia occupata esplicitamente di questa

dicotomia tra musica e immagine ma è

invece la curiosità di pochi singoli che ha

portato avanti la ricerca in questo campo.

Le ricerche più concrete e consistenti del ‘900 sempre per opera di musicisti e pittori,

sono state quelle di Skriabin, Shonberg, Kandinsky, Laszlo, Hirschfeld Mak.

La ricerca di Skriabin di una fusione tra sensazioni visive e uditive si concretizzò

nella costruzione di uno strumento simile al pianoforte, il Clavier Lumière che

suonato contemporaneamente all’orchestra, comandava l’accensione di lampade

colorate sparse nell’auditorio o sul palcoscenico.

L’abbinamento tra colori e suoni fu deciso a discapito del musicista senza una

misurazione che desse un valore scientifico agli accoppiamenti, come nel caso

dell’abbinamento Mi - bianco/azzurro.

Partitura del “Prometeo” di Skrjabin

Nel frattempo Shoenberg componeva La Mano Felice, nella cui partitura entrano

come elemento determinante luci colorate. Kandinsky compose un lavoro teatrale Il

suono giallo dove voce, suono e luce colorata si intrecciano e si fondono.

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La sinergia tra musica e immagine diventa quindi una certezza sulla quale si

muovono sicure le arti dal ‘900 in poi con le ricerche teatrali sul ritmo di Appia, i

film di Eggeling, di Laszlo Moholy Nagy, con le sperimentazioni televisive di J. C.

Averty, la proposta di Luigi Veronesi sul colore e la forma legate al suono e le

sperimentazioni di film come Fantasia di Disney (1940) e Koyaanisqatsi del 1982,

diretto da Godfrey Reggio, fino a diventare pratica universalmente accettata che

abbraccia la dimensione popolare di intrattenimento esemplificata dalla nascita del

video musicale e del canale specializzato MTV e dalle pratiche tecnico/artistiche

commerciali del mapping (animazione 3D proiettata generalmente sulla facciata di un

palazzo). Non è un caso che gli esempi qui elencati si riferiscano al video. Questo

mezzo infatti dà possibilità di creare mondi immaginari difficilmente ricreabili nella

realtà se non a costo di spese esorbitanti, è dinamico e controllabile, diversamente

dagli spettacoli dal vivo, è pratico poiché il prodotto può essere mostrato ovunque ma

soprattutto offre una libertà di applicazioni mai viste così che quasi non c’è limite tra

la visione dell’artista e la resa filmica. Oggi il video rappresenta il canale più

permissivo e utilizzato tra tutti i linguaggi artistici e rappresenta il canale

preferenziale nel rapporto visionario tra musica e immagine. Si compone di quattro

elementi fondamentali che costituiscono gli elementi della sinestesia suono -

immagine ovvero suono, forma, colore e ritmo. Quest’ultimo è il punto di incontro

fondamentale tra suono ed immagine poiché si tratta di un carattere comune insito in

entrambe le sfere percettive. La definizione di ritmo in musica è ovvia, mentre

nell’immagine si tratta della disposizione degli elementi in essa e della loro

interazione durante il movimento. Il video inoltre possiede un carattere dinamico -

ritmico ulteriore che è il montaggio. Questo elemento fondamentale crea una sinergia

ritmica tra l’immagine e la musica di grande impatto sintetico che risiede in molti

lavori nella sincronia, ovvero nella corrispondenza tra le battute ritmiche musicali e

gli stacchi del montaggio. Esiste anche, come vedremo, la corrispondenza tra colore -

forma e ritmo ma è meno scontata, più labile ed incerta. Risiede, come descritto

sopra, nelle ricerche di inizio secolo, figlie di quelle dei secoli precedenti sin dal

rinascimento e antenate di quelle che seguirono negli anni sessanta e settanta in cui si

ricerca nuovamente l’estasi sensibile di origine romantica con una nuova coscienza

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sociale ma secondo modalità che si rifanno alle origini. Queste sperimentazioni

continuano fino ad arrivare ad oggi, un momento in cui le nuove tecnologie a

disposizione permettono di creare spettacoli pirotecnici ed estremamente dinamici a

cavallo tra musica, videoproiezioni e concerti come le esperienze del mapping o del

progetto Indeepandance del gruppo artistico italiano Masbedo. Si tratta di ambienti

immersivi in cui le stimolazioni sonoro-visive circondano gli spettatori. Soprattutto

per quanto riguarda Indeepandance, uno spettacolo itinerante che si svolgeva in una

enorme struttura concertistica con luci, schermi, videoproiezioni, musica (strumentale

ed elettronica) e performance e che ha goduto di un enorme numero di collaborazioni

artistiche, la derivazione sia a livello strutturale ed organizzativo che a livello

concettuale con le sperimentazioni e le teorizzazioni di inizio novecento è evidente,

come il Mysterium skrjabiniano, sebbene di questo manchi la dimensione interattiva

(teorizzata ma non chiara dal punto di vista pratico). In Indeepandance infatti il

pubblico è passivo, non protagonista nello spettacolo come Skrjabin aveva teorizzato

ma questo non vuol dire che l’interattività non fosse una possibilità. Infatti è semplice

immaginare una commistione tra possibilità immersive ed interattive oggi poiché le

possibilità delle nuove tecnologie digitali hanno definitivamente sdoganato

l’installazione video, audio, audiovideo interattiva su larga scala. Non si tratta più di

una sperimentazione ma di una consuetudine come ha confermato nel tempo la

nascita di un grande numero di scuole di nuove tecnologie applicate all’arte in tutte le

accademie del mondo o i festival di arte audiovisiva come quello di Roma, o il

Transmediale Berlinese come lo storico ArsElectronica che si tiene ogni anno a Linz

in Austria dal 1979.

Quale è quindi la via verso la sinestesia oggi?

Da una parte il video, con le sue qualità di sintesi degli elementi e le possibilità

derivate dal montaggio, dall’altra un approccio reale (sicuramente più intenso da un

punto di vista percettivo) che però è ancora in fase di sperimentazione, meno

“pratico” da un punto di vista di attuabilità e costi e meno dinamico nelle possibilità

espressive (visive, stilistiche, visionarie) rispetto al video che dall’altra parte, oggi

molto più di ieri possiede una estrema “elasticità” grazie alla moderna tecnologia, che

oggi permette la fusione di più tecniche (soprattutto visive) che conducono ad una

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libertà di espressione mai avuta prima e in continua evoluzione. Ancora ci troviamo

in una fase di frenetica sperimentazione tecnica cominciata negli anni ’70 - ’80,

quando la tecnologia divenne accessibile alle masse, che ha in parte impoverito la

sostanza. Inoltre la sudditanza della creatività all’economia comporta che la prima sia

vincolata ad un pubblico eterogeneo che deve poter riconoscere il linguaggio del

prodotto così che sia di facile consumo. In questa dinamica è difficile mettere insieme

prodotto e ricerca creativa anche a causa della distribuzione delle risorse economiche

in mano alle grandi aziende capitaliste. Forse in questa frenesia tecnica è rimasto

indietro l’aspetto sonoro. Anche per la musica la creatività di questo periodo deve

relazionarsi con la commerciabilità e soluzioni troppo innovative rischiano di

diventare dei flop commerciali. Ma non bisogna lasciarsi condizionare da questo

aspetto: la ricerca richiede di proseguire e puntare verso il contenuto, bisogna fare

una ricerca verticale, in profondità, a discapito di una ricerca orizzontale verso nuove

possibilità tecniche che già ora bastano ad offrire una vasta gamma di nuove

soluzioni stilistiche. E’ richiesto un momento di riflessione, una applicazione delle

tecniche al contenuto e non viceversa. Bisogna tornare a chiedersi come le nuove

tecniche possano tendere ad un obiettivo comune, ad un linguaggio comune in un

contesto sinergico e bisogna farlo con un occhio rivolto al passato, alle ricerche sul

colore la musica e la forma, ed una proiezione verso il futuro.

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BIBLIOGRAFIA

1 A. BALZOLA - A. MONTEVERDI, Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche,

linguaggi, etiche ed estetiche del nuovo millennio, 2007, Garzanti

2 A. DELLA MARINA, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi

Veronesi, 2002, op. non pubblicata, pdf: http://www.antoniodellamarina.com/

media.html

SITOGRAFIA

1 WIKIPEDIA: http://it.wikipedia.org/wiki/Danza_del_sole

2: TOTALITA.IT - Magazine on line di cultura e politica: http://www.totalita.it/

articolo.asp?articolo=925&categoria=&sezione=&rubrica=

3: PORTALE DELL’UNIVERSITA’ STATALE DI MILANO : http://users.unimi.it/

~gpiana/dm6/dm6kmlv.htm

4: LANATURADELLECOSE.IT: http://www.lanaturadellecose.it/sonia-cannas-289/

matematica-e-musica-290/la-scala-naturale-340.html

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1.1 KANDINSKIJ E SKRJABIN: IL PROMETEO

Nel 1810 Goethe, nel suo Farbenlehre respingeva le teorie meccanicistiche della

fisica newtoniana verso una apertura spirituale della comprensione del fenomeno del

colore e della sue percezione. Era in linea con l’approccio romantico che esaltava i

sensi e vedeva l’uomo come un individuo spirituale, mistico, legato alla convergenza

dei fenomeni dell’universo, in contrasto con la cultura positivista, razionale e

scientifica. Una visione più profonda, più completa che non si fermava alla

concretezza della carne e dei fenomeni fisici ma cercava la consapevolezza attraverso

la componente spirituale. In questa cultura romantica intrisa di misticismo e ricerca

spirituale nasceva a Mosca, sessantadue anni dopo la pubblicazione del Farbenlehre,

Alexandr Nikolaevic Skrjabin (6 Gennaio 1872 - 27 Aprile 1915). Nato da una

famiglia aristocratica cominciò gli studi musicali sin da giovane condividendo lo

stesso maestro con un altro grande musicista russo, Sergej Rachmaninov e

successivamente fu studente al Conservatorio di Mosca.

Riuscì ad affermarsi sia come pianista che come compositore sebbene la sua natura

particolare, ipocondriaca e frenetica, e la sua ribellione ai dettami accademici per cui

gli fu negato il diploma di composizione. Il fatto divertente è che le partiture di

Skrjabin divennero successivamente materiale di studio obbligatorio al conservatorio

e lo rimasero per diversi decenni.

Skrjabin, assieme a Kandinskij, è uno dei personaggi più significativi, storicamente,

nell’ambito della ricerca sinestetica tra suono e colore. Studiò approfonditamente i

significati dei colori e la loro corrispondenza con le note musicali spinto da una

poetica musicale di tipo mistico-religioso che si poneva un ideale da raggiungere, che

culmina con l'idea di arte liturgica, finalizzata al raggiungimento della Verità,

dell'Essere attraverso l’estasi e l’elevazione spirituale. Ricerca spirituale e ricerca

artistica erano collegate da un rapporto dinamico di interscambio, in cui una era la

manifestazione materiale dell’altra, tanto che la sua filosofia maturava grazie ai

perfezionamenti tecnico-formali della pratica. La sua opera infatti non si esaurisce

nella sola produzione musicale, ma comprende anche scritti pieni di riferimenti alla

filosofia, all'esoterismo e alla teosofia, che documentano una concezione del mondo

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personalissima, anche se con ampi richiami a Nietzsche e Schopenhauer e

curiosamente molto simile a quella di Kandinskij, benché i due non avessere mai

avuto contatti. Il fenomeno sinestesico è centrale nella poetica skrjabiniana e appare

fin quasi da subito inserendosi in un particolarmente lungo ma continuo cammino

evolutivo che ne caratterizza le composizioni. È inevitabile un riferimento, che lo

stesso Skrjabin sottolinea, a Richard Wagner. Il maestro tedesco, e in particolare la

sua idea di opera d'arte totale, ha infatti fortemente influenzato la poetica del

compositore russo, il quale si avvicina alla musica e alle teorie wagneriane intorno al

1896-98. Successivamente ne prenderà le distanze, proponendo una fusione di tutte le

arti in opposizione a Wagner, ma da lui riconoscerà sempre una derivazione esplicita.

La sua ricerca sinestetica, oltre a legarsi all’opera appena precedente di Wagner e ad

un ambiente culturale in tal senso estremamente condiscendente e fertile, è molto più

vicina di quanto si creda alla sua personale esperienza percettiva.

Durante il suo soggiorno londinese infatti, Skrjabin fu visitato da Charles S. Myers,

noto psicologo dell'Università di Cambridge, che svolgeva vari studi sulla sinestesia .

Relativamente all'audizione colorata di Skrjabin, Myers ci da la sua autorevole

testimonianza: Skrjabin era affetto da quella che clinicamente viene chiamata

sinestesia, ovvero quel fenomeno psicologico per il quale alcune percezioni derivanti

da una modalità sensoriale si associano costantemente a immagini mentali legate ad

un'altra modalità sensoriale. Gli studi di Myers si inseriscono nella vastissima

corrente di interesse per l'audition colorèe 1 tipica del tardo Ottocento e del primo

Novecento, che interessò non solo la medicina (che lo considerava un vero e proprio

campo di ricerca) ma di tutto il sapere umano e che coinvolse musicisti come

Schönberg, Gretry, Mc Dowell, Gavaert, Rimskij-Korsakov; pittori come Whistler,

1 Nel 1873 lo scienziato Lussana scoprì l'origine morbosa di tale manifestazione sinestesica: la

vicinanza dei centri sensoriali nel cervello rende latente in ognuno di noi l'interferenza fra essi; tale

situazione latente si rende manifesta solo in taluni casi anomali.!!

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Gauguin, Seurat, Itten, Klee e soprattutto Kandinskij e poi medici, filosofi, psicologi.

Kandinskij curiosamente si avvicina molto alle affermazioni di Lussana riguardo la

genesi del fenomeno sinestetico quando afferma che le sensazioni provenienti da

sfere sensoriali confinanti possono vibrare per simpatia (si pensi alla vicinanza dei

centri sensoriali nel cervello) come “vibrano tutte le corde di un violino se solo una

di esse vene sfiorata”. Sembra che anche egli fosse in grado di percepire sensazioni

uditive in accordo con determinati colori ed in un passo di Dello Spirituale nell’arte

si legge:

“Negli esseri umani più evoluti [...] un’azione che si eserciti attraverso un senso

arriva direttamente all’anima, facendo vibrare per simpatia le vie corrispondenti che

vanno dall’anima agli altri organi sensoriali. [...]. E’ chiaro pertanto che l’armonia

dei colori deve fondarsi solo sul principio della giusta stimolazione dell’anima

umana” 2

Un primo esempio significativo dell'atteggiamento simbolista e sinestesico di

Skrjabin è il poemetto che accompagnava come programma interiore la Quarta

Sonata per pianoforte (1903), intriso di riferimenti al Tristan und Isolde di Wagner

mentre il passo successivo e definitivo verso l’opera sinestetica è il Prometeo, Poema

del fuoco op. 60” (1910).

Ma c’è un altra opera che detiene il primato per visionarietà e lungimiranza, tanto da

anticipare in molti modi gli spettacoli immersivi moderni legati neanche all’ambiente

artistico ma a più a quello commerciale, beneficiante di maggiori risorse economiche.

L’incompiuto Mysterium, la sua opera definitiva, una mastodontica opera teatrale

multimediale sul tema delll’armageddon che avrebbe unito suoni, danze, luci e

profumi e sarebbe stata inscenata in un tempio emisferico sull’Himalaya. Sia il

“Prometeo” che il “Mysterium” furono scritti nello stesso periodo in cui Skrjabin si

2 V. KANDINSKIJ, Dello Spirituale nell’arte, 1912, Murnau, K2, p.95

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avvicinava alla teosofia e successivamente al

misticismo divenendo un “iniziato” in contatto

diretto con le forze superiori dei Deva. Scala cromatica del Prometeo

Considereremo solo il Prometeo a causa

dell’inconsistenza del Mysterium.

I l Prometeo è una composizione

musicalmente non dissimile dalle altre di

Skr jabin ma s i compone di una

caratteristica fondamentale: Il Clavier

Lumiere, uno strumento composto di una

tastiera che invece di produrre suoni

produceva colori. Skrjabin era andato a

fondo sulla questione suono - colore e

aveva creato una propria corrispondenza

derivata in parte dalla sua sinestesia clinica e in più dai suoi approfonditi studi di

teosofia ed esoterismo. Secondo Cristina Ceroni la corrispondenza si riassume così:

NOTA COLORE SENSAZIONE

DO ROSSO VOLONTA

SOL ROSA-ARANCIONE GIOCO CREATIVO

RE GIALLO GIOIA

LA VERDE CAOS

MI BIANCO AZZURRO

(BLU LUNA)

SOGNO

SI BIANCO AZZURRO

(BLU LUNA)

MEDITAZIONE

FA# BLU VIVO CREATIVITA!

DO# VIOLE VOLONTA (DELLO SPIRITO CREATORE)

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NOTA COLORE SENSAZIONE

LAb VIOLE PORPORA MOVIMENTO DELLO SPIRITO IN UN PROBLEMA

MIB G R I G I O A C C I A I O

(COLORE METALLICO)

UMANITA

SIB G R I G I O A C C I A I O

(COLORE METALLICO)

AVIDITA (DESIDERIO SMODATO) O ENTUSIASMO

FA ROSSO-BRUNO DIFFERENZIAZIONE DI VOLONTA

Corrispondenze skrjabiniane tra note musicali e colori

C. CERONI, La sinestesia nella poetica di Skrjabin, rivista “Parol, quaderni di arte ed epistemologia”

Wörner in La musica nella storia dello spirito. Situazione verso il 1910 3 invece

riassume il significato dei colori per Skrjabin in maniera leggermente differente

facendo corrispondere al rosso - “ voluttuoso quasi con dolore”, al blu - “alato

misterioso” e al verde - “brumoso”. C’è da dire che Skrjabin non ha lasciato una

tabella con corrispondenze tra i colori e i loro significati il che rende questo studio

più un fatto discorsivo che aggettivante. I significati che dava ai colori sono

complessi e si definiscono nell’insieme dei significati esoterici e nelle dinamiche

musicali nelle quali vengono adottati. Al blu per esempio era legato un lungo discorso

esoterico riguardo il raggiungimento della trascendenza. Solov’ev, fìlosofo mistico

che condizionò la la cultura russa del tempo ed anche quella di Skrjabin, lo indicava

come il simbolo della rivelazione divina. Anche per Kandinskij, che nell’associazione

suono - colore e per il significato simbolico era molto vicino a Skrjabin, il blu portava

alla trascendenza.

3 citato in Kandinskij e Skrjabin, L. Verdi, 1996, Pisa, Akademos & Lim, pag. 89

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A proposito dell’utilizzo di questo colore nel Prometeo c’è un discorso importante da

fare che esemplifica la profondità e la complessità strutturale nonché la completezza

di visione dell’opera 60. Le prime 86 battute e le ultime 146 corrispondono ad un

Fa#, ossia al “blu intenso”. In tutto sono 232 battute, il massimo che Skrjabin affida

ad un singolo accordo suono - colore. Secondo l’ampio studio di Horst Lederer, che

ha dedicato anni al significato simbolico dei colori nel Prometeo non è un caso che le

battute di blu intenso (232) e le rimanenti 374 dividano il totale delle battute della

composizione (606) secondo un rapporto aureo 4. Questa sezione divina, insieme alla

preponderanza del blu intenso nella composizione, induce a pensare che Skrjabin

abbia investito questo colore di un significato particolarmente profondo.

Da una parte quindi i colori, nella loro accezione estetizzante ma soprattutto

simbolica, sostanziale, dall’altra parte la musica. Ma in che modo sono collegati i due

aspetti compositivi del Prometeo? Quale principio sta alla base della corrispondenza

suono - colore? Riguardo il sistema di valutazione dei rapporti fra suono e colori

riporto quanto scrive L. Verdi, uno dei maggiori studiosi di Skrjabin:

“In base alle indicazioni fornite da Skrjabin e attraverso l’analisi delle sue partiture,

è possibile stabilire alcuni criteri di massima riguardanti il suo modo di valutare i

4 SEZIONE AUREA: La sezione aurea o proporzione divina, nell'ambito delle arti figurative e della

matematica, indica il rapporto fra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio

proporzionale tra la minore e la somma delle due. (a:b=b:c

dove a=segmento corto; b=segmento lungo; c=a-(a+b)). Lo

stesso rapporto esiste anche tra la lunghezza minore e la

loro differenza.

In formule, indicando con a la lunghezza maggiore e con b

la lunghezza minore, vale la relazione:

" a+b/a= a/b=b/a-b

Tale rapporto vale approssimativamente 1,6180

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rapporti fra suoni e colori [in cui è interessante anche notare alcuni spunti riguardanti

altri compositori. N.d.a.]:

1 Non è tanto un singolo suono a produrre colore, quanto una combinazione di suoni,

indipendentemente dal timbro strumentale che la produce, che può solo valorizzarla

o meno.

2 Il colore si presenta più spesso variegato al suo interno, in sottili sfumature. Non è

omogeneo ma discontinuo, fluttuante.

3 Una combinazione, per essere colorata al massimo grado, deve comprendere sei

suoni diversi; con un numero minore o maggiore di suoni, i colori tendono a perdere

gradualmente di lucentezza.

4 L’estensione gioca un ruolo fondamentale. Se una combinazione comprende sei

suoni si dispone al meglio su due ottave circa. Perché aumentando il numero dei

suoni i colori non perdano lucentezza sarebbe necessario allargare

contemporaneamente l’estensione; perciò sette suoni si dispongono al meglio su due

ottave e mezzo circa e otto suoni su tre ottave ecc. La colorazione più intensa resta

quella di sei suoni su due ottave.

5 Con dodici suoni disposti all’interno di una ottava si percepisce un grigio

uniforme, che corrisponde in un certo senso al silenzio.

6 La costituzione interna contribuisce in modo determinante alla percezione del

colore. Più gli intervalli fra gli elementi sono equilibrati, più il colore può

espandersi.

7 La combinazione luminosa non sembra seguire, nella sua disposizione, regole

acustiche derivate dalla propagazione degli armonici naturali, cioè non è più

spaziata verso il basso o più densa verso l’acuto. I suoni si dispongono secondo

principi di massimo equilibrio. Gli accordi di dodici suoni dell’Atto Preparatorio, ad

esempio, si dispongono in maniera equilibrata all’interno dello spazio acustico.

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8 Se i suoni di una combinazione sono disposti nel registro acuto acquistano

maggiore brillantezza, se sono disposti in una zona bassa perdono brillantezza.

9 La maggiore intensità luminosa è data anche dal carattere del collegamento fra le

varie combinazioni: è una qualità in continuo movimento; un accordo isolato è meno

luminoso di un accordo che si collega con un altro. In questo senso la colorazione

dipenderebbe anche da una legge gestaltica che regoli la fusione delle singole

combinazioni all’interno del loro fluire, in un continuo trascolorare. Il movimento

diverrebbe quindi energia luminosa, seconda la formula ”movimento = energia”.5

Il punto 5, riguardo la relazione tra i dodici suoni, il grigio e il silenzio, trova

conferma nelle parole di un altro critico, Lionel Landry, che in Paradosso

sull’armonia scrive riguardo la musica atonale di Shoenberg:

“Supponiamo una superficie in un colore, poi un’altra, dove sono dipinte larghe

bande alternativamente di due colori; poi altre ancora dove le bande divengono

sempre più strette, i colori sempre più numerosi, fino al momento in cui una traccia

composta di raggi impercettibili, di tutte le sfumature possibili, dà all’occhio

l’impressione di un grigio uniforme: noi posiamo così rappresentare il passaggio dal

tonale al politonale, poi all’atonale” 6

Mentre al punto 8 incontriamo un principio che adotterà Luigi Veronesi quasi

settant’anni più tardi nella sua Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e

colore del 1977.

Leonid Sabaneev, compositore, storico e critico tra i primi estimatori di Skrjabin,

dopo aver visionato il pentagramma del Prometeo ne scrisse, in un articolo

5 L. VERDI, Kandinskij e Skrjabin, 1996, Pisa, Akademos & Lim, pag. 63-64

6 L. LANDRY, Paradoxes sur l’armonie, “La Revue Musicale”, XIII 1932, p.113

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pubblicato nell’almanacco Der blaue Reiter 7, un giudizio estremamente positivo “i

colori si distribuiscono in quasi esattamente corrispondente alla sequenza dello

spettro [...]. Chi ha ascoltato il Prometeo con i relativi effetti di luce deve

effettivamente riconoscere che l’impressione musicale corrisponde in modo perfetto

agli effetti luminosi e che questa composizione raddoppia e intensifica al massimo la

forza espressiva dell’opera” 8

Per la sua messa in scena invece il Prometeo incontrò molti problemi soprattutto

derivanti dall’inadeguatezza tecnologica e questo lascia capire quanto oltre il suo

tempo avesse pensato Skrjabin. Solo ora si riesce a vivere l’esperienza sinestetica a

cui anelava Skrjabin e siamo solo agli inizi. Le nuove tecnologie informatiche hanno

gettato le basi per una nuova arte multisensoriale orientata verso la pratica delle

installazioni immersive che si avvalgono di luce, suono e soprattutto interattività di

cui il Mysterium era stata una specie di visione antelitteram.

Una prima esecuzione del Prometeo avvenne a Mosca nel 1911 ma senza la parte luci

che venne invece inserita, senza successo, nella rappresentazione al Carnegie Hall di

New York nel 1915. Un fallimento misero come lo fu quello successivo a Mosca, nel

1917 dove, secondo Bal’mont “... il divino Apollo, portatore della luce, fu sostituito

da Bes, un idolo africano inferiore” 9. Di certo Ba’mont non era un estimatore

dell’arte primitiva...

Si devono aspettare cinquant’anni per avere una rappresentazione all’altezza della

aspettative (o almeno così si potrebbe presumere) di Skrjabin. Nel 1962, andò in

7 Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), almanacco, 1910, Monaco di Baviera, Piper Verlag, curato

da V. Kandinskij.

8 L. SABANEEV, Il Prometeo di Skrjabin, in “Der blaue Reiter”, 1912, K2, p.104, citato in

Kandinskij e Skrjabin, p.56.

9 A.E. HULL, A great Tone-poet: Skrjabin, London, 1927, p.227, citato in Kandiskij e Skrjabin,

pag. 62

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scena un Prometeo che si avvaleva di nuove apparecchiature, predisposte presso

l’Ufficio Progetti “Prometeo” dall’Istituto di Aviazione di Kazan’. Finalmente, per

la prima volta, l’idea di Skrjabin prendeva forma.

Così si scriveva in proposito sul giornale Sovetskaja Tatarja di quei giorni: "Buio. Il

pubblico ammutolì. Centinaia di persone in attesa e, come un grido, un sottile raggio

abbagliante colpì il bordo dello schermo di proiezione. Si muoveva lungo la

superficie. Il lento, timido raggio all'improvviso si innalzò e si diffuse (.). Si udì il

suono delle prime note profonde, sommesse. E improvvisamente lo schermo di

proiezione si unì a loro, cominciò a cantare. Una luce brillava e diventava sempre

più luminosa, mentre le note suonavano più forte e più alte. E gli schermi

rispondevano con un rosso abbagliante a quelle note, che sembravano non avere più

abbastanza spazio nella sala, alle note di una lotta appassionata". 10

Questo commento dà una idea chiara di quale sia la potenza espressiva e sensoriale

del Prometeo.

La tabella di corrispondenze note - colori di Skrjabin pubblicata da Sabaneev nel

Cavaliere Azzurro 11 incuriosì molto Kandinskij che da tempo si interessava a quel

problema, associando i colori a determinati timbri strumentali, piuttosto che a

determinate armonie. Egli era convinto che per la pittura fosse possibile di costruire

un proprio contrappunto e trovava che il Prometeo fosse una applicazione molto

persuasiva di quel principio.

Kandinskij cita spesso l’opera del compositore suo compatriota e sebbene

quest’ultimo non lascia trasparire nei suoi scritti alcun riferimento al primo appare

impossibile che non fosse a conoscenza dei lavori del primo. Più dettagliatamente è

sorprendente scoprire come questi due autori, pur non avendo mai avuto contatti,

10 citato in Kandinskij e Skrjabin, L. Verdi, 1996, Pisa, Akademos & Lim, pag. 63.

11 In realtà la tabella di Sabaneev differisce leggermente da quella contenuta nella copia stampata

del Prometeo in possesso di Skrjabin e conservata oggi nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

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abbiano formulato, se pur con due approcci diversi, due visioni del mondo e dell’arte

estremamente simili. Se Kandinskij nei suoi scritti cercava di mantenersi il più

possibile concreto e didascalico, Skrjabin nei suoi non manifestava alcun senso

sistematico spesso scrivendo alcuni passi di difficile interpretazione. Entrambi

condividevano una visione mistica della vita tesa allo spirito, all’elevazione verso

l’universale e un distacco dalla realtà materiale. In fondo proprio questo era il periodo

in cui il fascino per le nuove culture esotiche scoperte nel corso dell‘800 stava

dilagando nella vecchia Europa destando la curiosità ed il fascino di una società che

si apriva a nuove visioni, mossa da uno stimolante clima di cambiamento e un senso

generale di scoperta in direzione del nuovo e del diverso. Non stupisce quindi che in

questo clima Skrjabin cominciasse in età avanzata a praticare esercizi yoga,

progettando di comprare un appezzamento di terra alle falde dell’Hymalaia ed

inscenare lì il suo Mysterium.

In questo clima culturale moscovita neanche l’inclinazione spirituale di Kandinskij

può perciò sorprendere, accentuata oltretutto da una sensibilità romantica a lui

congeniale. In Rückbilcke Kandinskij avrebbe infatti annotato:

«Mosca si fonde in questo sole, in una macchia che mette in vibrazione il nostro

intimo, l’anima intera come una tuba impazzita. No, non è questa uniformità in rosso

l’ora più bella! Essa è soltanto l’accordo finale della sinfonia che avviva

intensamente ogni colore, che fa suonare Mosca come il fortissimo di un’orchestra

gigantesca...» 12

Come si legge in questa affermazione Kandinskij si sofferma intensamente sul colore

e sulla musica, ne viene estasiato e trova in queste una nuova dimensione

rappresentativa, più emotiva ed estatica, della sua città natale, che egli amava tanto.

Nella sua percezione le due arti si mischiano vicendevolmente l’una nell’altra e

12 W. KANDINSKIJ, Sguardo al passato, in Tutti gli scritti, 1974, Milano, a cura di Philipp Sers,

vol.II, p.158.

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creano una sinfonia, ovvero una amalgama compatta di musica e colore. Questa

visione dell’arte, della pittura e della musica non rimane costretta al livello di

sensazione ma si traduce concretamente nella volontà di Kandinskij di rivoluzionare

l’arte pittorica, transcendendone i limiti verso una “sinfonia di colori”, come la definì

più volte:

«Già molto presto mi resi conto dell’inaudita forza d’espressione del colore.

Invidiavo i musicisti, i quali possono fare arte senza bisogno di raccontare qualcosa

di realistico. Il colore mi pareva però altrettanto realistico del suono» 13

Con la rottura della forma sfondava anche i blocchi mentali che arginavano la sua

visione creativa ed infine non poté più pensare ad un arte che tenesse divisi colore e

suono, profondamente convinto della sinergia esistente tra i due. Così la pittura per

Kandinskij divenne sempre più una sorta di composizione musicale.

Le sue ricerche si fecero approfondite anche attraverso un’importante corrispondenza

con vari artisti del tempo, incluso l’ideatore della musica atonale Shoenberg che stava

sondando le possibilità della relazione suono - colore. I due ebbero una serie di

scambi epistolari (si sbaglia a considerarlo un rapporto di amicizia) piuttosto goffi in

cui entrambi evitavano reciprocamente di rispondere l’uno alle domande dell’altro.

Kandiskij stimava moltissimo il lavoro Shoenberg arrivando a preferirlo a quello di

Skrjabin anche se questo era più vicino alla sue concezione universale ed artistica, ma

riteneva che Shoenberg avesse una maggiore capacità espressiva libera e

corrispondente alla sua voce interiore. Quando però venne a conoscenza del

Prometeo il suo interesse venne svegliato a suon di campane e al riguardo chiese più

volte un parere a Shoenberg ma a causa della loro particolare incapacità comunicativa

non ricevette mai risposta.

Kandinskij finisce per sviluppare un profondo interesse per il Prometeo vedendo

13 Intervista concessa a Nierendorf (1937), in Tutti gli scritti, 1974, Milano, a cura di Philipp Sers,

vol.II, p.199.

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nei rapporti sinestetici di Skrjabin una convincente conferma delle sue teorie

soprattutto per la loro incredibile vicinanza alle sue. Nomina più volte l’opera nello

Spirituale dell’arte e addirittura incarica Sabaneev di scriverne un articolo sul

Cavaliere Azzurro. Cerchiamo di capire dunque fino a che punto le teorie dei due

artisti sono accomunate dalla stessa impostazione teorica e dalla comunanza delle

intuizioni riguardo le corrispondenze suono - colore.

Andando più nel dettaglio dell’indagine sul rapporto suono - colore di Kandinskij,

riporto la tabella contenuta in Dello Spirituale nell’arte.

COLORE EFFETTO-UMORE EQUIVALENTE

STRUMENTALE

NERO eterno silenzio, il silenzio della morte, non speranza futura

il colore più povero di suono, completo riposo finale

GRIGIO immobile, senza speranza, rigido

nessuno

MARRONE inibizione nessuno

VERDE apatia, pace; riposante e calmo, benefico per un uomo stanco

suoni di violino registro medio

VIOLA sensuale, smorzato, triste corno inglese, chiarina, oboe e, nei toni più profondi, i fiati (basso)

BLU generalmente: di colore celestiale tipicamente concentrico (cfr. giallo = eccentrico)

violoncello, mentre la tristezza aumenta

BLU SCURO pace, tristezza non umana i meravigliosi suoni del contrabbasso, in forma profonda, solenne, come l!organo profondo

AZZURRO diventando più chiaro assume carattere più definito

flauto

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COLORE EFFETTO-UMORE EQUIVALENTE

STRUMENTALE

ROSSO FREDDO, PROFONDO

un!attesa energica, come qualcosa che giace in attesa, pronto a fare un balzo selvaggio

suoni centrali e profondi del cello, evocanti, un elemento di passione

ROSSO FREDDO, CHIARO

giovane, pura gioia; libertà; la fresca, pura immagine di una ragazza

più acuti; suoni chiari e melodiosi di violino o “piccole campane”

VERMIGLIO come una passione che scorre continua, una forza che conta su se stessa

tuba; tamburo profondo

ROSSO CALDO, CHIARO effetto entusiasmante che può giungere al punto di dolore; simile al sangue che scorre

ottoni, fanfare suoni forti, ostinati

ARANCIONE come un uomo convinto della propria forza; una sensazione sana

campane di chiesa medie che suonano l!Angelus; voce forte di viola che intona un Largo

GIALLO tipico colore terrestre; eccentrico e senza spessore; inquieto, eccitante; influenza fortemente l!umore. Toni più leggeri possono raggiungere una forza e altezza insopportabili all!occhio e alla mente. Può rappresentare la pazzia del colore

ottoni; mentre il giallo diventa più chiaro, suona come le note acute di una tromba sempre più forte, o come una fanfara in crescendo

BIANCO silenzio; non di morte, ma ricco di possibilità

un silenzio che può improvvisamente venire compreso, come le pause in musica che solo interrompono lo sviluppo di un movimento o il contenuto per un dato tempo, e non sono la conclusione definitiva

Skrjabin utilizza nel Prometeo in prevalenza il colore blu che come abbiamo visto è

investito di un profondo significato mistico legato allo sviluppo spirituale dell’uomo.

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Allo stesso modo Kandinskij considera il blu come il colore della trascendenza e nel

Linguaggio dei colori, contenuto in Dello Spirituale nell’arte scrive: “La tendenza

dell’azzurro all’approfondimento è così forte che proprio nelle gradazioni più scure

esso diviene più intenso ed esercita una azione spiccatamente interiore. Quanto più

l’azzurro diventa profondo, tanto più invita l’uomo verso l’infinito, desta in lui la

nostalgia del puro e, in ultimo, de sovrasensibile [...]. L’azzurro è il colore

tipicamente celestiale.” 14

Egli definisce concentrica la tensione interna del blu, che corrisponde ad una vita

psichica tutta interiore, allargando poi questa affermazione a tutti quei colori che

hanno una alta concentrazione di blu. In opposizione al giallo, che invece, essendo il

colore terreno, tende verso l’esterno generando una forza centrifuga. Ed è in questa

differenza di moto, centrifugo e centripeto che sta il grande contrasto tra giallo e blu.

Molto chiaramente Kandinskij afferma che “se si descrivono due circoli di uguale

grandezza e se ne riempie uno di giallo e uno di azzurro, si nota, dopo essersi

concentrati brevemente su entrambi, che il giallo si irradia verso l’esterno, riceve

l’impulso motorio dal centro e quasi si avvicina a chi guarda. L’azzurro invece

sviluppa un movimento centripeto (come un chiocciola, che si rintani nella sua

casetta) e si allontana da noi; dal primo circolo l’occhio è colpito mentre affonda nel

secondo”. 15

Questa concezione è vicina a quella della dottrina teosofica che afferma la necessità

della compresenza, nelle alte rivoluzioni delle sfere, delle due forze centrifuga e

centripeta, dove la prima è lo spirito e la seconda l’anima e che per creare un prodotto

bisogna che le due forze siano in “perfetta unione ed armonia” 16

14 V. KANDINSKIJ, Dello spirituale nell’arte,1912, Murnau, K6, p.30

15 V. KANDINSKIJ, Dello spirituale nell’arte, 1912, Murnau, K4, vol.2, p.107

16 H. BLAVATSKIJ, Le clef de la theosofie, volII, pp. 119-120, citato in Kandiskij e Skrjabin, p.80

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Sfere quindi che attraverso moti contrastanti creano l’equilibrio in una dinamica

ritmica presente anche nelle composizioni di Skrjabin, il quale evoca nei suoi scritti

l’alternanza di cilcli ritmici che esprimono l’alternanza di moti centripeti e

centrifughi attraverso l’azione e la reazione.

“Tutto è attività armoniosa dello spirito che si esprime attraverso il ritmo” 17

Non solo colore quindi, ma anche ritmo 18: altre grande protagonista sinestetico. Il

ritmo esiste nel tempo ed è il battito della vita, l’affermarsi dell’essere e la prova

dell’esserci. Il ritmo è vita, esiste un ritmo biologico, un ritmo terrestre, anche il

DNA ha un ritmo. In una composizione mantiene il suo valore vitale e si lega

all’armonia e alla melodia delineando lo stato d’animo dell’opera. E’ un aspetto

imprescindibile e soprattutto in un opera sinestetica pone le basi di una corretta

corrispondenza tra gli elementi. La vita è ritmo, oltre che melodia, dal battere del

cuore al pulsare di una stella e infatti la triade dei colori primari rosso, giallo e blu

rimandano, nella tradizione simbolista e nella concezione dei due artisti all’attività

ritmica pulsante del cosmo. Kandinskij e Skrjabin parlano entrambi di ritmo, un ritmo

archetipico a cui assoggettare tutta l’umanità che dalla materia si eleva verso le

dinamiche divine in un circolo comprendente il tutto, l’Universo. Di Skrjabin si

hanno schizzi che indicano la sua concezione del mondo in quanto totalità finita ed

infinita, una sorta di otto ad illustrare la concezione di un tempo lineare infinito che

conduce sempre al punto di partenza attraverso una alternanza di forze centrifughe e

centripete.

Egli aveva cercato più volte di tradurre musicalmente questa idea e nella Settima

sonata aveva utilizzato gli intervalli di tono, alternativamente ascendenti e

discendenti, per suggerire l’ispirazione e l’espirazione di Brahma, il creatore del

17 A. SKRJABIN, Notes et réflexions, p.22, citato in Kandinskij e Skrjabin, p.80

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18 Dal greco RYTHMòS = movimento misurato a cadenza [e poi simmetria, proporzione], che

contiene in sé la radice RU-, SRU-, contenente l’idea di scorrere del greco Rèo, fut. Reyso = scorro

mondo, mentre il salto di nona minore si riferiva alla discesa dello spirito nella

materia. Anche Kandinskij a sua volta parla di un ritmo archetipico, a cui uniformare

tutta l’attività umana. Il giallo è il colore tipicamente terreno che contiene due forze

(1- si avvicina a chi lo guarda e 2- supera i limiti, disperde l’energia nell’ambiente)

che possono portare all’esasperazione, “sono uguali alle proprietà di qualsiasi

energia materiale, che si precipita inconsciamente sull’oggetto e si espande

disordinatamente in tutte le direzioni”. 19

Il rosso invece, secondo Myers, il medico che aveva visitato Skrjabin durante il suo

soggiorno londinese, corrispondeva per il compositore alla nota musicale Do e si

identificava con la materia, secondo la sensibilità del compositore esso profumava di

aromi terrestri.

Così per Kandinskij il rosso rappresentava la vivacità e l’irrequietezza,

consapevolezza verso il proprio scopo, la maturità virile. Visione questa che ben si

accorda al ruolo del rosso nel Prometeo, attraverso cui l’uomo raggiunge la propria

autoconsapevolezza. La polarità spirito - corpo si manifesta nella contrapposizione

tra blu e rosso, due colori primari, corrispondenti a due note (Do e Fa#) con la

massima distanza intervallare possibile: il tritono 20.

E’ veramente molto interessante notare come il tritono, inteso come elemento neutro

intorno alla quale costruire le combinazioni sonore, sia alla base degli studi di

Boleslav Javorskij, che agli inizi del ventesimo secolo teorizza il “ritmo duale”.

Applicando questa teoria al Prometeo si ottengono risultati molto interessanti, affini

agli studi dell’italiano Domenico Alaleona che nel 1911 scrive: “Due tonalità a

distanza di tritono, nello spettro delle tonalità, che per il numero e la concatenazione

\

19 V. KANDINSKIJ, Dello Spirituale nell’arte, K6, pag. 29, citato in Kandinskij e Skrjabin, L.

Verdi, 1996, Pisa, Akademos & Lim, pag. 80.

20 Ossia due note che distano l’una dall’altra una ampiezza di tre toni nella struttura della scala

maggiore. Es: Sol e Do# oppure Re e Sol#

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distanza di tritono, nello spettro delle tonalità, che per il numero e la concatenazione

degli elementi costitutivi ha perfetta analogia con lo spettro dei colori,

corrispondono a due colori complementari, cioè a due colori che nell’uso artistico

posti accanto sia simultaneamente che successivamente, si danno a vicenda il

massimo rilievo.” 21

La cosa impressionante nel lavoro di Skrjabin e Kandinskij è la completezza della

loro visione che ricrea il mondo traducendolo in chiave mistico-spirituale attraverso

sia la filosofia, la teosofia e l’esoterismo sia attraverso una personale visione che

deriva dall’intuizione e dall’esperienza sensibile. Entrare nelle opere dei due artisti

significa approcciare una nuova dimensione in cui tutti gli elementi artistici si

intrecciano in uguale misura ed intensità attraverso un linguaggio comune, quello

dello spirito. Una inclinazione che appare chiara ne Lo spirituale nell’arte, che non è

un saggio sull’arte bensì sullo spirituale, da cui deriva l’interesse di Kandinskij per

l’arte. Il suo essere pittore derivava non da una passione per la pittura in sé ma perché

questa era parte dell’espressione artistica a sua volta manifestazione dello spirito.

Ecco dunque che anche il suono, le note e l’immagine, i colori, sono uniti da una

stretta correlazione che trova le su basi nell’intimità umana, in una sfera sensibile

profonda e quasi inaccessibile. Nulla a che vedere con le corrispondenze fisiche

teorizzate da Newton il cui approccio si può definire agli antipodi né con quello di

Goethe che pur scagliandosi contro il fisico inglese per il riconoscimento

dell’esperienza sensibile soggettiva di ogni individuo manteneva un approccio

scientifico ben saldo alla materia.

Ma è veramente necessario verificare la correttezza delle corrispondenze attraverso

un principio fisico? Non è forse vero che, sebbene le corrispondenze di Skrjabin

21 D. ALAELONA, Teorie della divisione dell’ottava in parti uguali, “Rivista Musicale Italiana”,

XVIII 1911, p.389

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siano state attribuite arbitrariamente da lui, all’occhio del fruitore regalino una

eccezionale ed intensa esperienza sensibile? se il Prometeo ha questa capacità

comunicativa si può benissimo parlare di opera riuscita e poco importa la derivazione

delle corrispondenze suono-colore, molto più importante invece è riuscire a capire

come fanno queste a toccare l’intimità delle persone, da dove deriva la loro potenza

espressiva?

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BIBILIOGRAFIA

[1] L. Pica Ciamarra, Teoria e storia del colore in Goethe, in «Laboratorio

dell’ISPF», I, 2004, ISSN 1824-9817.

[2] L. VERDI, Kandinskij e Skrjabin, 1996, Pisa, Akademos & Lim

[3] V. KANDINSKIJ, Lo spirituale nell’arte, a cura di E. Pontiggia, 2005, Milano,

SE

[4] JACOPO J. GRASSO,Corrispondenze fra suoni e colori, ricerca per il Corso di

Cultura Musicale Generale (Joanne Maria Pini), Conservatorio di musica “G. Verdi”

di Milano, a.c. 2004/2005

SITOGRAFIA

[1] Wikipedia, alla voce Skrjabin e Kandinskij

[2] C. CERONI, La sinestesia nella poetica di Skrjabin, rivista “Parol, quaderni di

arte ed epistemologia” (versione web), http://www.parol.it/articles/cristina.htm

[3] L.VERDI, Kandinskij e la musica, Università degli Studi di Milano, archivio on-

line, http://users.unimi.it/~gpiana/dm6/dm6kmlv.htm

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1.2 BAUHAUS: DA LASZLO MOHOLY NAGY AL REFLEKTORISCHE FARBENLICHTSPIELE DI HIRSCHFELD MACK

L'esperienza sinestetica nel Bauhaus si rafforza sicuramente con l'apporto di

Kandinskij che con il suo interesse e la sua ricerca comincia l'attività di professore

dal 1922. La Staatliches Bauhaus venne fondata a Weimar nel 1919 e fu una scuola

d'arte, design e architettura attiva dal 1919 al 1933 (la sua fine coincise con l'avvento

del nazismo). Erede delle avanguardie anteguerra, in questa istituzione lavorarono

alla didattica i maggiori esponenti dell'arte di quel periodo ed i loro insegnamenti

condizionarono il mondo dell'arte da li in poi. Fu il punto di riferimento per tutti quei

movimenti di innovazione nel campo dell'architettura e del design legati al

razionalismo e al funzionalismo facenti parte del movimento moderno e fu un

momento ed un luogo di confronto cruciale nel dibattito tecnologia - cultura.

Il primo esponente del Bauhaus di cui parlare a proposito di ricerca suono - colore è

anche uno dei più eccelsi: l’ungherese costruttivista Laszlo Moholy Nagy (1895 -

1946). Nel 1923 inizia l’insegnamento alla scuola Bauhaus e con questo il periodo

più significativo della sua ricerca artistica. Laszlo è uno di quegli artisti che ha

lasciato il segno nella storia dell’arte, specialmente quella grafica (pittura e

fotografia) ma non solo, 32 è anche stato un eccelso scenografo teatrale e

cinematografico oltre che teorico dell’arte: Pittura, fotografia, film, contenuto

nell’ottavo libro del Bauhaus diventa il testo fondamentale della fotografia Bauhaus.

Ma non ci soffermeremo su questi aspetti. Ciò che interessa in questa sono i numerosi

esperimenti sul rapporto suono - colore.

In un articolo del 1925, pubblicato sulla rivista Die Musik (Da musica), scrive:

“Ho costruito io stesso, e sperimentato con successo, un apparecchio che sviluppa

l’elemento visivo in andamento parallelo alla musica mediante proiezioni sottrattive

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o additive [...]. Ho già elaborato un sistema di notazione che rende possibile eseguire

sull’apparecchio la parte della luce colorata; la notazione di ogni parte è riportata,

in ogni composizione, in partitura, assecondando la varietà ritmica e dinamica dei

colori attraverso l’esecutore, il quale rimane del tutto indipendente dagli esecutori

della parte musicale. Ancora una parola a proposito della serie dodecafonica e il

circolo variopinto dei colori. La tesi di porre un suono in rapporto a un colore è

errata, o almeno dubbia. Il parallelo è teoricamente possibile, ma una solida

corrispondenza fra serie dodecafonica e circolo dei colori è praticamente

impossibile, perché frutto di una sensazione individuale [...]. Se un suono o un

accordo è messo in relazione con un certo colore, può, in un altro passo dello stesso

brano, ritrovarsi insieme con altri colori, se il ritmo e la dinamica sono cambiati.” 1

E’ interessante considerare che nei lavori di Laszlo la relazione suono - colore

asseconda la sensibilità dell’esecutore in opposizione a Skrjabin e Kandinskij e alla

tendenza degli artisti che stavano facendo ricerca su questa relazione sinestetica i

quali lavoravano con rapporti prefissati e partiture iper-codificate. Le relazioni suono

- colore teorizzate da questi artisti non poggiavano su basi verificate scientificamente

ma secondo regole soggettive che si riferivano alla propria sensibilità e alla lunga e

radicata cultura esoterica e teosofica. Ma perché i rapporti venivano considerati

postulati se erano decisi arbitrariamente dagli artisti (prova ne è che differivano) e

venivano indicati in partitura con precisione, senza possibilità di variazione? è un

atteggiamento che manca di coerenza, soprattutto considerando il loro approccio teso

alla ricerca della verità. Non potevano non rendersi conto che quello che era per uno

il parallelismo verde - stasi per altri sarebbe potuto essere verde - calore come lo era

per il mistico italiano G. Roll che scrisse: “Ho scoperto una legge che lega il colore

verde, la quinta ,musicale e il calore”. La sua affermazione non ha minore autorità di

1 A. LASZLO, Erwiderung auf einem Artikel von W. Dauffenbach, rivista “Die Musik”, 1925, citato

in Kandinskij e Skrjabin, p. 151.

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quelle degli artisti di cui si scrive (e qui provoco lo scetticismo di molti riguardo ai

sensitivi) poiché anche egli studiò a fondo la teosofia e anche egli indovinò il

parallelismo verde - calore attraverso una forte spinta intuitiva, esattamente come per

quegli artisti che hanno così fortemente condizionato l’ambiente artistico con le loro

ricerche e sulla cui serietà nessuno osa obiettare. Le affermazioni riguardo la

relazione tra determinati suoni e colori vanno infatti prese con cautela ed esaminate

prima di perdersi in vani entusiasmi.

Alealona scrive: “La percezione colorata dei suoni è tutt’altra cosa, e non ho alcun

rapporto fisso con le leggi riguardanti i colori: è un fenomeno individuale,

contingente, variabilissimo tra persona e persona” 2

Goethee e Myers non si scostavano di un millimetro da questa affermazione:

entrambi affermavano che la traduzione del suono in colore e viceversa era un

fenomeno del tutto soggettivo che non poteva in alcun modo definire una regola

universale (vien male pensando agli anni passati da Veronesi a ricercare

scientificamente il rapporto suono - colore). Myers da parte sua compila una tabella

in cui confronta diversi casi di pazienti affetti da sinestesia osservando che le

relazioni tra colori e suoni non erano mai uguali e che non era possibile definire

tendenze comuni nelle corrispondenze.

Confrontiamo l’approccio soggettivo di Laszlo con quello statico di Skrjabin

attraverso le loro opere più importanti: la Farblichtmusik e il Prometeo. Riguardo la

Farblichtmusik riporto l’impressione di un critico musicale dell’epoca che assistette

alla prima rappresentazione:

2 D. ALAELONA, Teorie della divisione dell’ottava in parti uguali, “Rivista Musicale Italiana”,

XVIII 1911, p.389, citato in Kandinsky e Skrjabin, L. VERDI, 1996, Pisa pag. 81

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Ein Farblichkonzert von Alexander László, dipinto di Matthias Holl, cortesia di Breitkopf & Härtel, Wiesbaden -

Leipzig (http://www.see-this-sound.at/werke/494)

“Della rappresentazione della Farblichtmusik di Laszlo alla Berliner Städtische

Oper, il 21 novembre [1926], non ho avuto in nessun momento la sensazione di una

unità [.. .] apparvero sulla parete forme luminose colorate, mosse

caleidoscopicamente, che da sole apparivano sorprendentemente prive di carattere e

confuse.“ 3

3 M. BUTTING, Sozialistische Monatschefte 1926, citato in Kandinsky e Skrjabin, L. VERDI,

1996, Pisa, pag. 151

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Estratto della partitura del Preludio per pianoforte e luci di Alexander Laszlo

Inutile invece spendere altre parole sul Prometeo di cui si è già compresa

l ’ i m p o r t a n z a e l ’ i n t e r e s s e s u s c i t a t o i n o g n i p e r i o d o d e l ‘ 9 0 0 .

Ma se l’intuizione di Laszlo è corretta come mai l’opera fallisce nel rapporto

sinestetico? Il mio parere è che la composizione musicale e quella luminosa

manchino di coerenza. Prendendo spunto dalle convinzioni di Kandinskij, perché le

due parti possano comunicare sia la musica che il colore devono derivare dalla

sensibilità di Laszlo, a meno che all’esecuzione della parte colore non ci sia una

persona con una sensibilità complementare a quella dell’autore. Senza una unità

sensibile (che è l’autore) il colore e la musica sono due fiumi con due sorgenti diverse

che esprimono sensazioni diverse, esattamente come è successo nella prima

rappresentazione del 1926. Il Prometeo invece mantiene una coerenza lungo tutta la

sua durata nel rapporto suono - colore. La parte colore e quella musicale derivano da

una stessa fonte che è Skrjabin, il quale utilizza due linguaggi diversi per esprimere

lo stesso significato. Poco importa che per altri il bianco o il giallo non abbiano lo

stesso valore simbolico che hanno per Skrjabin, ciò che importa è che l’espressione

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della parte luce e della musica rimanga invariato e la correlazione sia continua e

coerente altrimenti l’uditore non riuscirà mai a relazionarsi con l’opera, come due

individui non possono relazionarsi tra loro se cambiano continuamente il significato

delle parole durante un discorso. Il significato profondo dell’opera, l’intuizione che

scosse l’animo di Skrjabin (quella sensazione di scoperta e di eccitazione che sente

l’artista quando raggiunge una piccola parte di se stesso ed intuisce l’assoluto) noi

non la sentiamo a nostra volta attraverso il valore simbolico del colore, che non è

universale. E’ nella dinamica dell’interazione tra suono e colore che si nasconde il

punto di contatto tra la sensibilità dello spettatore e l’opera di Skrjabin. E’ uno

scambio profondo che si cela nell’intimità, in quella sfera che comprende

l’intuizione, l’empatia, la comunicazione non verbale. E’ in questa comprensione

stupenda e sorprendente tra uomini, in questo dialogo sensibile che Skriabin è stato

capace di comunicare ad ogni uomo, non con la potenza del colore, come lui credeva.

Egli è stato capace di ascoltarsi ed essere coerente con sé stesso facendo fluire

nell’opera la sua persona. Quando noi assistiamo all’opera sentiamo l’uomo Skrjabin

che parla e lo comprendiamo empaticamente perché le componenti del suo lavoro

interagiscono tra loro come quelle dell’intimità umana, che è comune a tutti e a cui

tutti siamo sensibili. Questo è il linguaggio universale: l’intimo umano; e più un

artista è capace di esprimerlo attraverso il suo libero fluire più sarà capace di

comunicare agli uomini.

Un piccolo accenno è doveroso a proposito di Hosef Mathias Hauer, non

propriamente di appartenenza Bauhaus ma legato alla scuola attraverso l’amicizia con

Johannes Itten (1888-1967), titolare del corso di pittura. Hauer, suggestionato dai

quadri dell’amico in cui trova la conferma delle proprie intuizioni musicali, è

interessante perché è forse l’unico compositore che pone in relazione i colori con gli

intervalli musicali. Una struttura chiusa all’interno del sistema temperato ma la cui

intuizione aggiunge un tassello importante alla corrispondenza suono - colore.

“Partendo dal concetto della tonalità dei colori [...] Hauer elabora il concetto della

tonalità dei timbri, che può essere percepibile soltanto nel sistema temperato. Gli

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intervalli hanno per lui un significato ben definito [...] nell’intervallo di quinta è già

contenuto il carattere timbrico della tromba” 4

La sua ricerca si concretizzò nel 1918 con la pubblicazione di Über die Klangfarbe

(con dettagliate citazioni al Farbenlehre di Goethe).

Qui sotto riporto la tabella delle corrispondenze di Hauer tra intervalli musicali e

colori:

INTERVALLI COLORI

ottava verde

settima maggiore rosso

settima minore smeraldo

sesta maggiore arancio

sesta minore blu

quinta giallo

quinta diminuita rosso bruno

quarta verde

terza maggiore vermiglio

terza minore turchese

seconda maggiore oro

seconda minore viola

Sempre all’interno dell’esperienza del Bauhaus Hirschfeld Mack fu un altro artista

che si impegnò nella ricerca sul colore relazionato alla musica e anche in questo caso,

4 H. STUCKENSHMIDT, La musica moderna, 1960, Torino, Einaudi, p.136

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come vuole la tradizione Bauhaus, la sperimentazione tecnica fu tenace e costante.

Nell’estate del 1922 a Weimar fu tentato con successo un esperimento con lo scopo di

mettere in scena i Reflektoriche Lichtspiegel (Giochi di luce riflessa) di Mack.

Joseph Hartwig e Kurt Shwerdtfeger realizzarono una macchina in grado di creare

con precisione delle corrispondenze suono - colore.

“Un caso banale fu all’origine della scoperta: per ottenere un semplice gioco di

ombre, si era programmato di usare una lanterna fissa, ma questa si dovette

sostituire con una lampada all’acetilene. La nuova fonte luminosa produsse

casualmente un raddoppio delle ombre e , attraverso le varie lampade colorate,

divennero visibili un ombra calda e una fredda. Subito si insinuò l’idea di

raddoppiare le fonti di luce: la mobilità delle fonti di luce colorata generava a sua

volta un movimento dei modelli. [...] fu possibile arrivare ad una prima

rappresentazione nel maggio 1924, [Film Matineé der Volksbühne a Vienna] e, nel

settembre 1924 [Musik und

Teatherfest a Vienna] alla

r a p p r e s e n t a z i o n e

pubblica.” 5

S u c c e s s i v a m e n t e

Hirschfeld Mack adattò e

rifinì le corrispondenze tra

alcuni brani musicali e i

movimenti di luce così da

creare un’arte orchestrale

nella quale ogni elemento

Farbenlichtspiele (http://www.medienkunstnetz.de/themes/

image-sound_relations/sounding_mage/13/#ftn29)

5 L. HIRSCHFELD MACK, Erläuterung zu den Farbenspielen, p.216, citato in Kandinsky e

Skrjabin, L. VERDI, 1996, Pisa pag. 151

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della partitura visiva era eseguito con

precisione nel corso della rappresentazione.

E’ veramente interessante considerare gli

esperimenti di Herschfeld Mack con un

occhio di riguardo per la geometria delle

f o r m e c h e s c a t u r i v a n o d a l s u o

Reflektoriche Lichtspiegel. La forma è

infatti una componente fondamentale nella

relazione immagine - suono. Skrjabin non si era soffermato sulla qualità geometrica

della musica, per lui la sinergia era tra suono e luce. Una visione che ci rimanda agli

ambienti luminosi di Turrell attraverso un salto temporale notevole. Questa visione

della luce come materia in sé (e non colore, che è peculiarità di un oggetto e quindi di

una forma) è estremamente affascinante, soprattutto presa dal punto di vista della

purezza, ovvero della ricerca alla fonte. Ma è pur vero che nel mondo in cui viviamo

la corrispondenza tra colore e forma è diretta: se vediamo un colore è perché questo

viene riflesso da una superficie e dove c’è una superficie allora esiste anche una

forma. E‘ quindi doveroso prendere in considerazione, assieme alla luce, nella

corrispondenza suono - immagine, anche la forma.

Anche Kandinskij nel suo saggio Punto, Linea Superficie del 1914 parla di una

corrispondenza forma colore e suono, affermando per esempio che il punto

rappresenta il silenzio. Indirettamente, mettendo insieme le affermazione di Punto

Linea Superficie con quelle di Dello Spirituale nell’arte, si può arrivare alla triade

sinestetica forma, colore , suono:

“[…] Se mettiamo davanti le aperture di due angoli [di 60° gradi] abbiamo un triangolo equilatero – 3 angoli acuti, attivi, che ci rimandano al giallo.” 6

“[…] L’angolo ottuso perde sempre più in aggressività, penetrazione, colore, ed è perciò lontanamente affine a una linea senza angoli, che […] produce […] il cerchio.

E l’elemento passivo dell’angolo ottuso, la quasi insussistente tensione in avanti, dà a questo angolo una leggera colorazione azzurrina.” 6

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Nel Dello spirituale nell’arte del 1912 è presente una tabella dove i colori vengono

organizzati in base al loro grado di intensità sui sensi in cui il colore giallo aveva una

corrispondenza sonora con gli ottoni, scriveva:

“ottoni; mentre il giallo diventa più chiaro, suona come le note acute di una tromba

sempre più forte, o come una fanfara in crescendo.” 7

mentre il colore azzurro, o blu chiaro, si esprimeva nelle sonorità del flauto.

Tornando alla macchina di Hirschfeld Mack e al suo Farbenlichtspiele, l'idea di

realizzare un'apparecchiatura in cui forme di base, colori e movimenti possono essere

collegati tra loro contemporaneamente e su più livelli, include già in sé molte

possibilità che sono il primo passo verso le esperienze audiovisive moderne: pittura

in movimento, animazione, arte luminosa, laser show. La luce entra in un modo

affascinante di un dialogo con la pittura e l'arte, un dialogo che scorre attraverso la

musica ed è carico di emozione e ritmicamente strutturato. Forma e ritmo sono due

delle esigenze dell’audiovisivo sinestetico e il Farbenlichtspiele è l’embrione di

quell’esperienza video-musicale che si evolverà solo dagli anni ’80 ma soprattutto di

una performativa sinestetica musicale virtuale/reale che è solo agli albori.

Per il suo funzionamento la macchina esigeva il lavoro di quattro o cinque uomini ed

era così costituita: una cassa di legno a forma di cubo chiusa in alto, in basso e su due

lati. Sul lato posteriore aperto vi erano delle sottili aste metalliche sulle quali era

possibile far scorrere dei piccoli faretti. Sul lato anteriore venivano fatte muovere

delle sagome attraverso le quali la luce proiettava delle forme geometriche elementari

su uno schermo. L'impiego di numerosi piccoli fari da diverse angolature

determinava la moltiplicazione e la sovrapposizione delle forme proiettate. I filtri

6 V. KANDINSKIJ, Punto Linea Superficie, Milano, Adelphi, trad di M. Calasso

7 V. KANDINSKIJ, Dello spirituale nell’arte, 1912, Murnau

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colorati, i paralumi ed i reostati a cursore elettrici consentivano di regolare l'intensità

della luce e di mescolare i colori sovrapponendoli. L'esecuzione degli spettacoli di

luce colorata si basava su una partitura fatta di brevi indicazioni.

La macchina originale non è più in funzione e non vi sono riprese che possano

documentarne il prodotto ma con grande fortuna è ora possibile tornare a goderne

grazie all’intervento del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano che nel

1999 ne ha permesso la ricostruzione e che ha confermato le parole con cui lo stesso

Hirschfels Mack descriveva nel 1925 ciò che lo spettatore vedeva dall’altra parte

dello schermo:

"Un gioco di campi luminosi mobili, gialli, rossi, verdi e blu, in gradazioni

organicamente determinate che si sviluppano dalla oscurità alla più alta forze

luminosa. Scena: uno schermo trasparente. Mezzi per la configurazione: colori,

forme, musiche: in forme angolari, acute, puntute; in triangoli, quadrati, poligoni o

in cerchi, archi e onde; verso l'alto, il basso, di lato, in tutte le gradazioni possibili

del movimento ritmico gli elementi della rappresentazione vengono risolti in una

presentazione orchestrale, pianificata. Con la rappresentazione, le mescolanze e

sovrapposizioni di forme e colori si uniscono agli elementi musicali sorti con essi e in

essi. ". 8

8 L. HIRSCHFELD MACK, Erläuterung zu den Farbenspielen, p.216 citato in Farben Licht Spiele

by Ludwig Hirschfeld-Mack, catalogo del film Reconstruction 2000, 2000, Italia, dir./prod. da

Corinne Schweizer e Peter Böhm

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Fotografie dalla Farbenlichtspiele ricostruita nel 1999

(http://www.provinz.bz.it/catalogo-beniculturali/detail.aspx?priref=30009113&lang=de)

Per indicare tutto ciò con precisione Hirschfeld-Mack realizzò una partitura in cui,

sotto il pentagramma con le note, compaiono fasce che indicano le evoluzioni e i

passaggi delle figure luminose proiettate. Sono i primordi di una nuova notazione

musicale, una traccia grafica che si relaziona con la musica in una nuova forma, non

più standardizzata ma libera secondo le necessità ed il metodo compositivo derivante

da una nuova volontà di rottura dei paradigmi artistici e di raggiungere una maggiore

completezza dell’opera che straripa oltre i limiti del singolo linguaggio verso una

ibridazione di generi, quel che negli anni sessanta farà Bussotti nella sua Passion

selon Sade, dove sono accostate indicazioni che rimandano alla musica e altre che

riguardano le dinamiche drammaturgiche, scenografiche e illuminotecniche. Anche

László Moholy-Nagy reinterpreta la scrittura musicale nel Schizzo di partitura per

una eccentrica meccanica, sintesi di forma, movimento, suono, luce (colore) e

odore (1924-1925): è la traccia grafica, notazionale, di un’apoteosi sinestetica, di

un’utopica forma di spettacolo in cui si sarebbero dovute assommare musica,

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proiezione di immagini astratte colorate, giochi di luce, movimenti coreografici,

odori diffusi nella sala.

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BIBLIOGRAFIA

[1] L. VERDI, Kandinskij e Skrjabin, Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria,

1996, Pisa

[2] P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli

anni sessanta-settanta, articolo contenuto nei “Quaderni della Fondazione

Ambrosetti”

[3] Farben Licht Spiele by Ludwig Hirschfeld-Mack, catalogo del film

Reconstruction 2000, 2000, Italia, dir./prod. da Corinne Schweizer e Peter Böhm

SITOGRAFIA

[1] Lichtspielapparat (Ricostruzione), dalla Rete Civica dell’Alto Adige, Catalogo dei

Beni Culturali dell’Alto Adige, Portale della Pubblica Amministrazione, http://

www.provinz.bz.it/catalogo-beniculturali/detail.aspx?priref=30009113&lang=de

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1.3 EGGELING: SINFONIE DIAGONALI

A proposito di forma geometrica legata al discorso musicale non si può non nominare

le Synphonie Diagonale (1924) dello svedese Viking Eggeling (1880 - 1924).

Derivante da una una famiglia di musicisti e rimasto orfano alla giovane età di 15

anni Eggeling vagò per l’Europa passando prima da Milano (1901 al 1907), poi a

Parigi facendo la conoscenza di personaggi del calibro di Modigliani e Hans Harp.

Nel 1918 si trasferì a Zurigo, dove prese parte a varie attività Dada condividendo col

movimento la ribellione verso l’arte di rappresentanza ma prendendo sempre le

distanze dal suo nichilismo e antagonismo verso il pubblico, convinto (di una

convinzione che durò tutta la sua vita) che l’arte doveva essere comunicazione;

conobbe inoltre Hans Richter che divenne suo stretto amico e collaboratore. In questo

periodo cominciò a formulare il suo “linguaggio universale” (una forma d’arte che

doveva essere compresa dalla comunità) e si convinse che il principio vitale e

centrale dell’arte era la polarità: l’unità in una immagine poteva esistere solo con

l’attrazione e la repulsione delle sue componenti contrapposte. Sebbene Eggeling

fosse di tutt’altra estrazione sociale rispetto a Kandinskij e Skrjabin e mancasse di

una visione spirituale e mistica contrapponendo invece una forte concretezza, tipica

dello spirito svedese e della sua natura, come della sua esperienza, è una visione,

quella dell’attrazione tra opposti, che è ricorrente in quasi tutte le culture umane,

come il binomio bene e male e che riconduce facilmente alle teorie sferiche della

teosofia a cui si riferiva Skrjabin, in cui l’universo era un insieme di dinamiche tra

forze contrapposte.

Attraverso questa polarità Eggeling puntava a creare una tensione dinamica che

teorizzò così: in un contesto di forme le loro differenti proprietà potevano essere

scambiate o variare all’interno di queste. Il contrappunto musicale, nel quale melodie

e contromelodie si scambiano dinamicamente poi poteva essere usato per guidare

questa tensione di componenti e la struttura temporale sulla quale si basava.

In sostanza, forme che durante lo scorrere del tempo si scambiano o variano le linee

di cui sono costituite seguendo la struttura del contrappunto musicale. Il prodotto

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sarebbe stato un riuscito esempio di arte del movimento. Ma perché questi elementi

potessero essere usati secondo una logica che li mettesse in relazione Eggeling aveva

bisogno creare un codice, quel linguaggio universale che aveva intuito a Zurigo e

che, secondo il principio della comunicazione, sarebbe stato compreso da tutti. Per

questo si costituiva non di parole o altri elementi strettamente collegati alle culture,

ma da elementi archetipici: la forma e la dinamica tra gli opposti. Si mise così a

catalogare le diverse combinazioni delle dinamiche polari attraverso lo studio di tutte

le possibili forme soffermandosi in particolar modo sulla distinzione tra linee e forme

derivanti dalle linee: orientamento orizzontale e verticale di una forma, grandi e

piccole forme, linee dritte e curve. Una successiva distinzione, più elaborata, veniva

fatta tra forme geometriche e forme irregolari. Non è un caso che Richter descriva il

suo amico come metodico:

“Il contrasto tra di noi, che

era quello tra metodo e

spontaneità, servì solo a

rafforzare la nostra reciproca

attrazione [...]“ 1

Attraverso questo lavoro

maniacale Eggeling costruì un

linguaggio che utilizzò nei

s u o i f i l m L’ o r c h e s t r a

orizzontale - verticale (di cui

Fotogramma del film “Symphonie Diagonale”,

dal sito www.filmaffinity.com , al link

http://www.filmaffinity.com/en/film567054.html

1 H. RICHTER, Dada: Art and Anti-Art, 1965, London, Thames and Hudson, tradotto da David

Britt

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purtroppo non rimangono che i disegni) e Sinfonie diagonali (1924).

Quest’ultimo, come suggerisce il titolo, è una sinfonia che contiene esclusivamente

forme in posizione diagonale rispetto allo schermo. Nel film è enfatizzata la stretta

correlazione e interazione tra forme e ritmo in cui il ritmo ha il ruolo di guida mentre

le forme sono le vere protagoniste. Sono queste linee diagonali che rendono dinamica

la sinfonia attraverso il movimento. I principali temi su cui si basa il film sono 1) un

triangolo con linea che escono dalla sua ipotenusa (in un triangolo rettangolo

l’ipotenusa è il lato opposto all’angolo retto), 2) un ovale composto da linee parallele

e 3) un insieme di linee alternate curve e dritte.

Il lavoro ovviamente si muove sul concetto di polarità che Eggeling aveva cominciato

ad elaborare in Svizzera e che era alla base della sua ricerca sulle forme; finalmente

Fotogramma del film “Symphonie Dagonale”, da ww.muhka.be, al link http://www.muhka.be/press.php?

la=en&date=&id=&subbase=archief&jaartal=2011&jaargang=&letter=&person_id=&work_id=&project_id=3094&zoe

kstring=

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forte di un linguaggio completo egli è libero di esprimere nella pratica la propria

visione. Se si analizza la prima parte del film si nota che viene presentato il primo

tema attraverso due triangoli che si muovono in maniera contrapposta. Osservando il

loro dialogo all’interno di una singola interazione del primo tema, questi triangoli si

muovono in direzioni opposte mentre le linee di uno si espandono nello spazio e

quelle dell’altro si accorciano. Confrontando diverse interazioni invece la dimensione

ed il numero delle linee dei triangoli sono variati così come la loro posizione e il loro

orientamento. Questa fase, in cui i triangoli hanno molte linee e si muovono

continuamente, è poi seguita da una che presenta piccoli triangoli con solo due linee

ed un movimento frastagliato. La polarità è evidente anche nel modo in cui le forme

sono messe in relazione. Per esempio attraverso una fusione del primo e del secondo

tema: la curva ovale appare spesso su un lato corto del triangolo, il che crea un forte

contrasto tra linee dritte, curve e appartenenti al triangolo, con un orientamento e

quelle che formano l’ovale, con un orientamento differente. Come si diceva il ruolo

della musica è quello di creare una trama su cui poi viene elaborata la dinamica delle

forme. Nelle Sinfonie diagonali Eggeling usa la musica come struttura e la divide in

tre fasi, la prima delle quali comincia con il primo tema descritto sopra. La seconda

fase è quella più lunga e complessa in cui si assiste quasi ad una lotta tra linee dritte e

curve, che assaltano il triangolo e dalle quali questo sembra volersi divincolare. La

terza parte si quieta ma ancora sono presenti delle improvvisate della seconda fase,

come se la terza fase fosse una sintesi delle altre due. Questa vuole concludersi nella

prima fase ma porta con sé il clima agitato dell’evolversi della seconda fase che l’ha

preceduta.

Questa divisione in tre fasi è coerente con una le più comuni parti musicali: verso,

ritornello, verso conclusivo. Sebbene il film non corrisponda precisamente a nessuna

struttura compositiva in particolare, il suo rapporto con le fasi musicali è evidente,

soprattutto riguardo la tendenza delle composizioni musicali di avere una struttura

circolare e chiudersi con la riproposizione del primo tema, spesso variato e arricchito

degli elementi che l’hanno preceduto.

Oltretutto ci sono nel film delle analogie con le dinamiche musicali, i crescendo e

decrescendo sono evidenti e sono utilizzati per creare o diminuire la tensione per

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esempio attraverso la ripetizione di una forma che ogni volta cambia dimensione da

più piccola a più grande e viceversa.

Lo studio sistematico di Eggeling sulle possibilità delle forme, delle loro relazioni e

della relazione di queste col ritmo apre una nuova porta all’approccio al cinema

astratto e soprattutto aggiunge un tassello alla relazione tra suono e immagine: quello

tra forma e suono. Esattamente come Herschfeld Mack stava facendo in quegli stessi

anni con il suo Reflektorische Lichtspiel. Questa macchina, non utilizzando il

medium del video non aveva le stesse possibilità dinamiche su cui invece Eggeling

aveva saputo abilmente lavorare. D’altro canto, ad Eggeling mancava totalmente

l’interesse sul colore ed anche il suo approccio alla musica era limitato alle strutture

dinamiche e ritmiche. La sua esplorazione sulla forma non si estendeva ad altri

aspetti artistici; prese poche note dell’uso dei colori e non è solo per un aspetto

tecnico che il film Sinfonie Diagonali è in bianco e nero. Inoltre usando generalmente

la musica come una guida ritmica per le sue forme, non si preoccupò di elaborare un

sistema indipendente mantenendo sempre e solo la forma in primo piano a discapito

del ritmo e del colore. Ciò non rende mancante la sua ricerca poiché egli fu coerente

con i propri interessi e soprattutto ebbe così modo di focalizzarsi sul rapporto forma -

colore dando al mondo dell’arte un lavoro esclusivo ed alle generazioni di artisti che

seguirono e odierne la possibilità di studiare un lavoro estremamente approfondito e

variegato e di grande ispirazione.

Come sarebbe l’incontro tra le Sinfonie diagonali di Eggeling e il Farbenlichspiele di

Hirschfeld Mack?

Visivamente i due lavori si assomigliano. Entrambi rappresentano delle astrazioni

create utilizzando le forme geometriche di base che vengono proiettate in pianta e in

successione tra loro in modo da creare un interazione.

Entrambi inoltre vantano aspetti che l’altro lavoro non ha: Eggeling si concentra

estremamente sulla interazione delle forme tra di loro e nella loro successione

lavorando sulla dinamica e sul ritmo attraverso il medium del film (dinamico per

costituzione); Hirschfeld Mack si concentra sulla relazione ed interazione di forme,

colore e musica ma manca (per questioni soprattutto tecniche) del dinamismo visivo

di Eggeling e del suo metodo espressivo. Se lo studio metodico di Eggeling sul ritmo

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e la polarità si fondesse con la corrispondenza musica - luce - forma del Farbenspiele

e le sue qualità estetiche si otterebbe un lavoro comprendente un discorso ritmico,

uno dinamico, uno grafico, uno colorimetrico, uno musicale: esattamente le parti

necessarie ad un discorso sinestetico completo.

Un lavoro che esteticamente potrebbe rappresentare questa unione è Color Box di

Len Lye, un video del 1935 che mischia la musica con immagini eseguite

direttamente sulla pellicola, astratte, colorate e grafiche. Le immagini sono

esteticamente belle e i colori vivi ricordano le atmosfere andine ed americo-latine. La

musica sincronizzata alle immagini è infatti un folk messicano scritto da Don Baretto

e la sua Orchestra Messicana, semplice ed allegra. E’ il primo film con la tecnica

della animazione diretta ad essere destinato al pubblico ed era stato commissionato a

Lye come una pubblicità per le poste. Ma a parte la sua importanza (nel 2005 al

Annecy film festival è stato nominato tra i primi dieci film più importanti nella storia

dell’animazione) non è un lavoro in cui è avvertibile una vera corrispondenza tra le

parti e non può essere preso quindi come un valido esempio di cosa le Sinfonie

diagonali e il Farbenlichtspiele avrebbero potuto fare assieme.

Al contrario, il tedesco Oskar Fishinger, nel 1933, crea un film in cui forme astratte

colorate e musica si univano in una danza sincronica. Per tutta la durata del video

infatti, queste figure (cerchi e linee curve) si muovono con una corrispondenza

perfetta con il rimo, ondulando e cambiando colore, da destra a sinistra, schizzando

dal primo piano al fondo dello schermo. Fischinger utilizza le forme, il movimento,

utilizza il colore (ma non punta ad una corrispondenza sinestetica) e crea una forte ed

chiara sinergia tra questi elementi, il ritmo e l’andamento musicale. Questo prodotto è

talmente interessante che meno di dieci anni dopo Walt Disney assunse Fischinger

per la realizzazione del capolavoro Fantasia, proprio per la sua esclusiva capacità di

creare dialoghi astratti tra musica ed immagine in movimento, esattamente ciò che

stava cercando di creare Disney per la Toccata e fuga in re minore di Bach.

E’ naturale che Fischinger sia un prodotto delle scoperte e delle sperimentazioni degli

artisti che lo avevano preceduto e di quelli a lui contemporanei ed è interessante

notare nel suo lavoro l’unione di diverse esperienze. Considerando inoltre il tipo di

lavoro e gli elementi che lo caratterizzano è impossibile pensare che egli non

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conoscesse bene sia Eggeling che Laszlo Moholy-Nagy: da una parte le forme, le

geometrie in movimento coordinate dalla struttura ritmica e dinamica della musica,

dall’altra parte il colore e le forme statiche unite sinesteticamente alla musica.

Quindi, sebbene manchi una studiata corrispondenza sinestetica nota - colore, è

comunque possibile considerare Fischinger come un buon esempio di ipotetica

unione del lavoro di Laszlo Moholy-Nagy ed Eggeling.

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BIBLIOGRAFIA

[1] D. KAGAN, Viking Eggeling’s Thorough Bass and the Diagonal Symphony,

versione ridotta di L. O’KONOR, Viking Eggeling 1880-1925 Artist and Film-maker

Life and Work, Stockholm: Almqvist & Wiksell, 1971.

SITOGRAFIA

[3] Wikipedia, alla voce “Viking Eggeling”

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2.1 UNA NUOVA NOTAZIONE MUSICALE

Abbiamo visto come la ricerca sinestetica di inizio ‘900 di Skrjabin e Kandinskij si

concentra quasi esclusivamente sulla trasposizione delle note in colori o sulle

variazioni di colore secondo gli intervalli musicali, come teorizzava Josef Mathias

Hauer.

Successivamente abbiamo approfondito con Eggeling e Herschfeld Mack come la

forma sia una componente altrettanto rilevante, apparentemente inesistente per i

compositori sinestetici. Essi non consideravano la forma grafica probabilmente

perché inesistente nella composizione musicale, così eterea ed impalpabile, ma in

realtà il legame tra grafia e suono è stretto dalla notazione musicale. I compositori

non la consideravano poiché questa aveva un valore prettamente funzionale ma, come

Marinetti stava liberando i fonemi con le sue Parole in libertà e prima di lui

Guillaume Apollinaire coi suoi calligrammi negli anni dieci, così il compositore

futurista Luigi Russolo stava scardinando i dettami della scrittura musicale classica e

scaraventava il pentagramma verso una maggiore libertà espressiva già nel 1916.

Laszlo Moholy Nagy e Ludwig Hirschfeld Mack, lavorando al Preludio per

pianoforte e luci e alla Sonata con i colori, scrivendo le parti luce stavano facendo a

loro volta un passo verso una maggiore libertà espressiva ma ingenuamente non ne

videro la potenzialità creativa considerandole come strumenti tecnico - esecutivi.

Nemmeno Skrjabin, che della sinestesia e della compresenza di tutte le arti in una

(con un forte condizionamento wagneriano) aveva fatto il cardine della propria

ricerca si rese conto che la notazione musicale, con la compresenza ora di una

notazione musicale e una di luce, avrebbe potuto prendere strade alternative ed

evolvere al pari della liberazione dei sensi verso l’estasi a cui mirava nel suo

Prometeo. La partitura invece non conteneva alcuna indicazione oltre a quelle

musicale: il primo pentagramma, in chiave di violino, è indicato semplicemente Luce.

Luigi Russolo invece andò oltre ogni notazione musicale a lui contemporanea e

anticipò i tempi di circa cinquanta anni arrivando a soluzioni che si ritrovano solo

dagli anni ’50 - ’60 con gli esponenti del movimento neo dadaista Fluxus come Cage,

La Monte Young e gli italiani Giuseppe Chiari e Sylvano Bussotti. Inventore della

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musica futurista, nella sua arte dei rumori, Russolo non prevedeva strumenti

orchestrali classici ma macchine “intonarumori”, ossia macchine costruite per

produrre determinati suoni come il rombo, il ronzio, il crepitio, lo scoppio e così via.

Russolo, Risveglio di una città

(http://www.sentireascoltare.com/sa/uploaded_img/artists/17_spartito.jpg)

Come scrive Bolpagni: “Nella partitura di “Risveglio di una città” Russolo usa una

notazione musicale che anticipa in maniera sorprendente certe forme

diagrammatiche sviluppate quaranta o cinquant’anni dopo e in effetti Futurismo e

Dadaismo sono all’origine di molte delle sperimentazioni degli anni cinquanta e

sessanta, in primis quelle di Fluxus.” 1

E non è un caso: infatti, conseguentemente alla Seconda Guerra Mondiale, molti

degli artisti operanti in Europa che provenivano dalle avanguardie migrarono in

1 P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli anni sessanta-

settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti, pag. 3

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America ritrovandosi prevalentemente a New York: così le esperienze Dada si

collegano a quelle dell’Action painting di Pollock, a Cage e al New-dada. Il dadaista

Tristan Tzara nelle sue Poesie casuali riprendeva un procedimento utilizzato da

Lewis Carroll tempo prima che consisteva nello scrivere una frase, separarne le

componenti e poi riunirle in maniera casuale; Duchamp riprende questo metodo, ma

al posto delle lettere utilizza la notazione musicale e crea l’opera Erratum musica

per tre voci, e procedimenti simili di tecnica aleatoria furono adottati anche dai

surrealisti con l’automatismo psichico. 2

Nel 1958 John Cage (1912 – New York, 1992) scrive Fontana Mix 3 in cui utilizza

Partitura di Fontana Mix

2 registrazione diretta del pensiero operata a l di fuori del controllo razionale

3 John Cage (1912-1992): Fontana Mix, per nastro magnetico(1958). Realizzato preso lo Studio di

Fonologia di Milano e dedicato a Luciano e Cathy Berio.

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un sistema grafico figlio delle tecniche altorie dadaiste ma completamente nuovo

nell’ambito della musica classica che non si basa più sulla notazione musicale

standard ma sulla sovrapposizione di elementi grafici decodificati. Già prima aveva

sperimentato delle intrusioni nella notazione standard come in Music for Marchel

Duchampe del 1947 in cui aveva inserito delle scritte trasversali rosse.

“Fontana Mix” consisteva di 10 fogli e 12 trasparenti che contenevano ciascuno 6

linee curve. Dei 12 trasparenti, 10 contenevano punti dispersi casualmente

(rispettivamente 7, 12, 13, 17, 18, 19, 22, 26, 29 e 30 punti), uno consisteva in una

griglia e uno aveva solo una linea retta. Ponendo i trasparenti con punti sui fogli con

le curve e interpretando il tutto con l’aiuto della linea retta e della griglia, si

ottenevano indicazioni compositive.

Nel 1958-59, Cage viene invitato da Luciano Berio a lavorare presso lo studio di

fonologia della RAI di Milano con l’assistenza di Marino Zuccheri, vi rimane quattro

mesi durante i quali registra suoni proveniente da qualunque fonte nell’ambito

cittadino, compresa la sua padrona di casa, la Signora Fontana, e compone (o meglio

ri-compone) i nastri magnetici secondo le direttive dello “spartito” tagliando a più

riprese il nastro e ricomponendo i pezzi in maniera casuale creando quel nastro dal

suono polveroso che tradizionalmente compone Fontana Mix.

In un suo articolo Rosina Torrisi riporta la risposta di John Cage alla sua richiesta di

chiarimenti sul metodo di composizione del brano: "[...] E' una composizione

cominciata con domande non con scelte, con un lavoro piuttosto che con "idee". 4

Un approccio ben diverso da quello compositivo classico, determinato in tutti i suoi

elementi strutturali, strutture che per Cage sono artifici che allontanano il soggetto

dall’esperienza del reale, della vita che è l’elemento fondante della sua esperienza e

delle sue opere. Ecco che il “caso” viene adottato non più per divincolarsi dalle

4 ROSINA TORRISI, Fontana Mix - Il gioco del caso, 27 Marzo 2010, www.tecnosuono.org (sito

del Corso di Tecnico di Sala di Registrazione, Conservatorio Pollini di Padova), http://

www.tecnosuono.org/private/files/Dispensa_Doati_ME/CGFM____.HTM

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strutture e dagli stilemi standardizzati come per le avanguardie storiche ma come

rappresentazione del naturale, della relatività della conoscenza umana, della vita, in

cui i suoni sono liberi di esprimersi (esaltando così la non-programmazione) in un

unico fluire, caotico, ma in cui ognuno è parte dello stesso intero. Una concezione

molto vicina alle dottrine orientali che Cage seguiva e che spesso adotta come

tecnicismi nei “sistemi compositivi”, in cui risiede un idea di unità cosmica che si

ritrova quaranta anni prima nelle teorie spirituali di Kandinskij e Skrjabin e che

caratterizza la relazione tra gli elementi costituenti dell’opera, tutti estremamente

connessi ed interdipendenti. L’opera non deve trasformare la realtà, concettualizzarla

e analizzarla nei suoi rapporti causali, ma immergersi nel mondo, non è più una

rappresentazione o un oggetto ma utilizza gli elementi, nel caso di Cage i suoni, già

esistenti. E’ nell’atto stesso di combinare elementi già dati che risiede l’artisticità

dell’opera, comporre delle registrazioni in un ordine casuale, decidere l’ordine in cui

suonare lo “spartito” o la modalità di sovrapposizione di fogli con altri trasparenti

secondo lo stimolo o l’intuizione di un momento sono inoltre azioni determinate non

dal caso, ma in verità secondo le regole dell’istinto soggettivo. Oggetto (l’opera) e

soggetto (l’autore, l’esecutore, il pubblico) si relazionano secondo un rapporto

dinamico di appartenenza reciproca che risiede nella sensibilità dell’individuo il

quale elabora l’oggetto e gli stimoli che derivano da questo nel suo

intimo in un continuo modificarsi dell’uno e dell’altro. Una sorta di simbiosi tra i due

attraverso l’atto interpretativo in cui risiede una corrispondenza sinestetica che vede

la forma come suono ed il suono come forma.

Il procedimento inventato in Fontana mix viene ripreso negli anni successivi in altre

composizioni come Variations e William mix, ma questo è solo uno dei tipi di

notazione musicale sviluppati da Cage. Egli è un esploratore della grafica musicale e

come scrive Bolpagni in lui “la sperimentazione sulla notazione, oltre che sulla

prassi musicale, sono un importante filo conduttore [...] la componente visiva della

partitura viene ad assumere un valore pregnante e quasi autonomo, talora a

prescindere dall’effettiva esecuzione ed eseguibilità dei brani. In “Wather Music” del

1952 sono presenti annotazioni e descrizioni verbali alternate a brevi porzioni di

notazione standard, cosicché la partitura non si pone più l’obiettivo di rimandare in

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maniera univoca al suono, ma descrive l’atto e il procedimento necessari a produrre

il suono stesso” 5

Parole che sembrano rivolgersi da una parte al passato, verso la tradizione della

pittura musicale di Kandinskij o di Paul Klee (di cui la Fuga in rosso è una fedele

trascrizione pittorica del Farbenlichtspiele), dall’altra si rivolge alla sua

contemporaneità e al futuro, a Fluxus e all’importanza non più dell’opera come

oggetto ma come processo in divenire.

A Kandinskij e alle teorie espresse nel suo libro Punto ,linea, superficie si lega

inoltre il valore musicale del segno grafico nelle opere di Cage. Kandinskij creava

una corrispondenza tra i suoni e i diversi segni grafici, dove per esempio il punto si

riferiva alla pausa, al silenzio, e aveva creato anche una corrispondenza tra colore e

suono descritta ne Lo Spirituale nell’arte. Allo stesso modo, come confermano le

notazioni musicali delle neo-avanguardie o i lavori di Eggeling, così come i dipinti di

Klee o dello stesso Kandinskij, esiste una corrispondenza tra segno grafico e nota

musicale, una sinestesia fonico - grafica che però nel caso di Cage non trova il

supporto della complementare fonico - colorata. Sebbene Cage non ricerchi la

sinestesia nella sua opera, la sua intenzione di rendere musica il segno grafico

contiene inevitabilmente alla radice le esperienze passate pittorico/musicali legate

alle correnti d’avanguardia così come alla ricerca di Kandinskij.

Lo stesso discorso coinvolge un altro interessante esponente Fluxus, l’italiano

Sylvano Bussotti (1931). Compositore e interprete, pittore, letterato, scenografo,

regista, costumista, attore ha nella sua vocazione multidisciplinare la base per la

coesione della funzione pittorica e visiva con quella sonora. Nel 1965 scrive la

composizione da camera “Solo” a cui farà seguito una seconda nel 1967 e in cui

adotta strutture mobili ovvero partiture destrutturate in cui

5 P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli anni sessanta-

settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti, pag. 1

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Rara Requiem, Bussotti

(http://grupaok.tumblr.com/post/25518632961/sylvano-bussotti-rara-romamor-dessin)

la notazione standard è disposta sul foglio in maniera non ortodossa ponendo alle

volte addirittura note al di fuori del pentagramma rendendole di fatto totalmente

interpretabili sia per durata che per altezza, l’interprete decide autonomamente la

sequenza dei frammenti da suonare dall’inizio alla fine procedendo in modo

estemporaneo e soggettivo creando di volta in volta una nuova e irreplicabile

esecuzione.

In Sensitivo e in Rara Requiem (parte terza del melodramma romantico Lorenzaccio

scritto tra il 1968 e il 1972) moltiplica a dismisura il rigo orizzontale facendo perdere

quindi ogni riferimento riguardo l’altezza della nota: l’interpretazione musicale

scaturisce dalla personale sensibilità dell’esecutore ai segni per cui

l’indeterminatezza della notazione musicale conduce all’indeterminatezza della

esecuzione che porta ad infinite possibilità di soluzione.

Sensibilità dell’esecutore, notazione grafica con valore visivo, indeterminatezza

dell’esecuzione... Sono caratteristiche che ben si allineano ad una ricerca sinestetica,

verso un unione sensibile tra visione e musica. Questa unione si verifica addirittura

nell’immediatezza della visione della musica. Una formulazione compositiva non

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metodica e statica ma libera che riporta alla concezione soggettiva del

Farblichtmusik di Laszlo Moholy Nagy. Nel suo lavoro la musica era già stata scritta

e musica e immagini non si incontravano perché elaborate in tempi diversi da due

identità sensibili diverse, Bussotti invece riesce a mettere insieme il concetto di

soggettività con un opera riuscita attraverso la contemporaneità dell’azione visiva e

musicale e l’appartenenza di questi due stimoli alla stessa persona, come due fiumi

che scaturiscono dalla stessa sorgente 6.

La sinestesia non è osservabile dal pubblico ma è insita nell’interprete in cui stimolo

visivo e sensibilità sonora si fondono.

La notazione grafica con valore visivo segue la lunga tradizione pittorica legata alla

musica, in primis in Kandinskij. In questo caso però viene da fare un paragone

specialmente con le Sinfonie Daigonali di V. Eggeling che come abbiamo visto

utilizzava figure geometriche ma anche linee dritte e curve (che sono gli elementi

costituenti dello spartito “Rara Requiem” di Bussotti). Queste linee dritte e curve per

Eggeling si muovevano con una dinamica dipendente dal ritmo musicale, così in

Bussotti il musicista interpreta le linee attraverso l’improvvisazione musicale in una

relazione opposta ed equivalente al rapporto linea - suono delle Sinfonie Diagonali.

Cage non è estraneo a questo discorso. Anche per lui il valore visivo della nuova

partitura è in stretta correlazione con la musica che descrive. Non si tratta più di

notazioni musicali funzionali ma sensoriali, la notazione musicale perde il mero

valore funzionale di scrittura e acquista un valore estetico diventando opera d’arte

visiva, una “musica per gli occhi”, invece che per le orecchie... 7

Un valore sinestetico insito soprattutto nel musicista. Il “caso” attraverso cui

l’esecutore interpreta i fogli di Cage è in verità il suo istinto, la sua intuizione.

6 In antitesi rispetto all’affermazione di Goethe secondo cui, proprio perché come due fiumi,

musica e suono non si incontrano mai, scevre di qualunque linguaggio sinestetico comune.

7 P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli anni sessanta-

settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti, pag. 3

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La corrispondenza sinestetica, esattamente come accade nell’opera di Bussotti,

risiede quindi nell’animo dell’esecutore. Il segno grafico viene visto come musica e

diventa musica dentro di esso.

E’ interessante notare come artisti e musicisti sembrino incontrarsi nel mezzo, gli uni

cercando il completamento sonoro e gli altri quello visivo. Entrambi tendono a

lasciare il proprio medium per fondersi con l’altro. Generalmente, nel corso della

storia, è il movimento dei compositori verso un approccio visivo che segue quello

degli artisti verso un approccio sonoro. Tra i compositori ricordiamo Bussotti, John

Cage, Anestis Logothetis con Maandros, che non si capisce più se sia partitura o

opera visiva, Walter Marchetti ed il suo Madrigale d’autunno dove gli elementi della

notazione sono puramente verbali, Giuseppe Chiari, Cornelius Cardew. Diverso il

discorso per quei compositori che avevano ricercato direttamente il rapporto

sinestetico tra suono e colore come Skrjabin, Hauer, Schoenberg o nel caso

particolare di Eggeling e Richter tra suono e forma e che partendo da un presupposto

diverso (quello sinestetico) avevano preceduto i loro colleghi degli anni ’50 e ’60 che

si caratterizzano invece per un approccio indiretto, implicito, meno consapevole

verso il rapporto sinestetico tra forma, grafia e suono. Gli artisti, invece, avevano

cominciato a muoversi verso la sonorità già da prima: Kandinskij scrive Dello

Spirituale nell’Arte nel 1910 e traspone alcune battute della Quinta sinfonia di

Beethoven, Paul Klee traduce in quadri i componimenti musicali arrivando ad

elaborare un grafico per la Rappresentazione figurata di una frase a tre voci di

Johann Sebastian Bach.

“E’ sorprendente come simili esperimenti anticipino le partiture visive delle neo-

avanguardie e persino certe soluzioni delle notazione diagrammatiche della musica

elettronica, configurandosi quali forme di notazione supplementare e alternativa,

come sarà quella elaborata da Luigi Veronesi alla fine degli anni sessanta - alludo

alle sue “visualizzazioni cromatiche della musica” [...]”

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BIBLIOGRAFIA

[1] P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli

anni sessanta-settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti

[2] J. CAGE, Silenzio, 2010, Milano, ed. ShaKe, trad. di Giancarlo Carlotti

SITOGRAFIA

[1] www.sylvanobussotti.org

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Se Kandinskij e Skrjabin creano le loro corrispondenze note - colore secondo un

approccio estremamente romantico, portati dall’impeto estatico, dall’intuizione e da

una personale metafisica che si appoggia alla tradizione simbolista, Luigi Veronesi,

cresciuto nella tradizione Bauhaus, mantiene un approccio razionale scientifico che si

potrebbe definire newtoniano.

Veronesi è un artista attivo in Italia nella metà del ‘900. Fotografo, pittore,

scenografo, regista, iniziò la sua carriera di artista da giovane, nella camera oscura

del padre, a soli diciassette anni. La sua arte si è evoluta attraverso l’esperienza,

senza una formazione accademica, eccezione fatta per le lezioni private di pittura

tenute da Carmelo Violante, allora docente all’Accademia Carrara di Bergamo. Dal

1934 ebbe profondi contatti con la scuola del Bauhaus e deve a questa una forte

contaminazione nel metodo e nella forma diventandone promulgatore in patria, come

scrive G.P. Brunetta: "Veronesi introduce nel mondo dello spettacolo italiano [...] una

serie di esperienze figurative astratte derivate da lunghi studi, contatti, soggiorni

all’estero, assorbimento e rifunzionalizzazione delle lezioni del Bauhaus (in

particolare di Moholi Nagy, di Kandinskij, Max Bill, El Lissizky". 1

E’ dall’esperienza del Bauhaus che deriva quel metodo scientifico-tecnico che

Veronesi adotterà nel progetto di determinare un corrispondenza tra colore e suono

che si realizza con la pubblicazione (nel 1977) dell’opuscolo Proposta per una

ricerca sui rapporti fra suono e colore. Una ricerca che non è altro che l’apice della

sua inclinazione ad una visione dinamica dell’immagine, già evidente nei suoi lavori

fotografici in cui ottiene, attraverso la tecnica del fotogramma astratto 2 immagini

dense di originalità in cui il senso di movimento è così accentuato da far pensare ad

un prodotto ibrido tra fotografia e film.

1 GIAN PIERO BRUNETTA, Storia del cinema italiano, vol. 1, 1979, Roma, Ed. Riuniti, pag. 396

2 E’ una tecnica molto particolare che consiste nell’azione diretta sul fotogramma attraverso il

disegno e la pittura. Len Lye, Veronesi, Man Ray e altri del movimento Dada sono tra i pochi ad

averla sperimentata. Tra gli artisti italiani recenti si ricorda Carlo Braschi che lavora con la tecnica

del polagramma.

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Così scrive P. Fossati "Il procedimento è diretto: la pellicola è disegnata e dipinta

fotogramma per fotogramma, così da non dar luogo a del cinema vero e proprio, ma

a ciò che Veronesi stesso definirà “organizzare della pittura in movimento” (…) Ciò

che colpisce in questi film non è la costruzione grafica e coloristica, ma il gioco della

luce e dell’ombra, che regge la narrazione e ne costituisce lo spazio: le cadenze, le

pause, le fughe e i rallentati, che inseguono una percezione psicologica ed emotiva di

ordine ritmico, sincopato e vicino alla musica jazz o alla dodecafonia" 3

Ecco subito affiorare l’elemento musicale che, come per Eggeling, costituisce lo

scheletro, la struttura portante dell’opera attraverso cui l’immagine nasce e si evolve.

Queste associazioni musicali cominciano ad essere inserite in quadri caratterizzati da

un essenziale rigore geometrico sin dal 1936.

“Valenze sinestetiche e trasversali”, nelle quali “riveste un’assoluta centralità lo

studio del rapporto suono-colore che, se da una parte, s’inquadra in una tradizione

che prende l’avvio dal romanticismo di fine Settecento-primo Ottocento, dall’altra

anticipa fortemente un certo tipo di sperimentazioni “polisensoriali” dell’arte più

attuale [...]. Queste prime e innovative esperienze di comunicazione e di intrecci

linguistici portano Veronesi, nel ’36, alla realizzazione delle 14 Variazioni di un tema

pittorico, sulla base delle quali Riccardo Malipiero compone nel ’38 le 14 Variazione

di un tema musicale.” 4

Verso la metà della sua carriera artistica, dopo essersi trasferito a Parigi, dopo le

collaborazioni teatrali con Strehler e P. Grassi e le sperimentazioni sul video dal

1938, l’adesione al movimento MAC (Movimento Arte Concreta) nel ’49 e la

definitiva affermazione con l’esposizione alla Biannale di Venezia nel 1954,

intraprende una lunga ricerca scientifica sulla relazione tra colore e note musicali che

3 Paolo Fossati, L'immagine sospesa, Torino, Einaudi, 1971, p. 192

4 S. PEGORARO, catalogo della mostra Luigi Veronesi, 2005, Milano (Rotonda della Besana), Ed.

Mazzotta, a cura di S. Pegoraro, op. cit., pagg. 13-14

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lo occuperà per 15 anni e che si realizza nel 1977 con la pubblicazione di un opuscolo

edito dalla Siemens Data dal titolo: “Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono

e colore” in cui scrive: «Esaminando i fenomeni acustici e quelli cromatici, le

rispettive metriche e le leggi che regolano entrambe le teorie armoniche, troviamo

coincidenze e affinità. I due fenomeni hanno entrambi origine da vibrazioni che si

propagano nello spazio con movimento ondulatorio. Prescindendo dagli effetti

acustici o visivi, noi rappresentiamo graficamente i due fenomeni con delle sinusoidi,

e la loro misurazione pur essendo espressa in modo [...] ha la medesima base. [...] Il

rapporto di tre frequenze fra l’estremo viola e l’estremo rosso, nello spettro, è di 1/2

esattamente come nelle frequenze delle ottave musicali fra Do e Do». 5

5 VERONESI L., Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore, Milano, Siemens data,

1977., citato in, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi Veronesi, A. DELLA

MARINA 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

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Il risultato è stato poi perfezionato rapportando la scala diatonica 5 alla scala

cromatica 6 di dodici suoni, trovando così la lunghezza d’onda dei semitoni e il loro

colore corrispondente .

Veronesi scelse come punto

di riferimento musicale il

pianoforte, per ovvie ragioni

funzionali. Naturalmente,

c o n s i d e r a n d o

l ’ o rg a n i z z a z i o n e d e l l a

musica classica, non poteva

limitare la corrispondenza ad

una sola ottava ma dovette

espanderla alle altre sette.

Per fare questo, si basò su

due caratteristiche del colore:

«Sappiamo che per effetto

della “saturazione” o della

Schema della scala cromatica musicale “luminosità” i colori possono

e rapporto con le frequenze dello spettro assumere aspetti più acuti o

più gravi. (...). Poiché il

suono salendo verso le ottave più alte si alleggerisce, ossia si acutizza del 50% a

5 Scala diatonica o naturale: E’ la scala comunemente conosciuta che si compone di otto suoni

detti note in cui il primo e l’ultimo suono sono la stessa nota ma con due frequenze diverse (l’una la

metà dell’altra).

6 Scala cromatica: E’ la scala che si compone di tutti e dodici le note del sistema temperato, che a

sua volta è quel sistema che suddivide un ottava (il salto dalla prima all’ottava nota della scala

diatonica) in parti uguali. Queste parti sono dodici e sono chiamate semitoni.

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ogni ottava, altrettanto devono fare i colori corrispondenti che perdono il 50% di

saturazione per ogni ottava rispetto alla precedente; inversamente verso i toni bassi

il colore saturo perde il 50% di luminosità» 7.

Rappresentazione cromatica di 4 ottave del pianoforte

Veronesi decise di rappresentare la nota come un rettangolo perché «facilmente

leggibile e sufficientemente astratta da non suggerire simboli ed analogie», e di

tradurre la durata dei suoni, cioè il fattore tempo, con la grandezza del rettangolo.

L’occhio umano riesce a distinguere due valori differenti della stessa zona cromatica

se sono di dimensioni non inferiori al millimetro; questa caratteristica fisiologica

suggerì a Veronesi di utilizzare il millimetro come misura per rappresentare la

semibiscroma 8, ovvero il valore più piccolo del sistema musicale occidentale.

Inoltre prese come base del tempo ordinario una semiminima 9 a 90 periodi al minuto.

7 VERONESI L., Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore, Milano, Siemens data,

1977., citato in, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi Veronesi, A. DELLA

MARINA 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

8 Semibiscroma: E’ una nota o una pausa della durata di 1/64.

9 Semiminima: E’ una nota o una pausa della durata di 1/4.

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Poiché tale figura corrisponde ad una base del rettangolo di 16 mm, ne consegue che

1 minuto è rappresentato dall’area di un rettangolo con la base = 16 e l’altezza = 90

per cui: Area = (16*90) mm = 1440 mm di colore.

La semibreve 10, della durata di 64/64, assunse dunque la forma di un rettangolo

modulare con la base di 64 mm e l’altezza doppia della base.

Rappresentazione durate degli intervalli

Per indicare le pause e i silenzi invece Veronesi si avvalse del grigio neutro o medio

(al 50%) perché a tale tonalità, secondo il fisiologo Ewald Hering, «corrisponde una

particolare condizione della porpora nella retina per cui il consumo della porpora

nel percepire l’immagine e il suo ricostituirsi sono di pari valore, la sua quantità

rimane invariata. Perciò il grigio neutro produce nell’occhio uno stato di equilibrio,

una mancanza di eccitazione cromatica».

Il valore del colore grigio era già stato affrontato nel primo capitolo riguardo la

trasposizione in colori della musica atonale di Shoenberg. Anche allora, attraverso le

parole dello studioso Lionel Landry, il grigio neutro portava la pausa, il riposo della

10 Semibreve: E’ una nota o una pausa della durata di 1/1.

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vista che, eccessivamente stimolata dall’enorme numero di colori presenti nella

composizione atonale, entra in uno stato di equilibrio. Secondo il modello di Veronesi

è come se si diminuisse il minimo spessore del rettangolo rappresentante la nota da

un millimetro a 0.8 millimetri e si affiancassero venti rettangoli di queste dimensioni

colorati in maniera diversa. Il risultato è che saremmo nell’impossibilità di percepire

la differenza tra le strisce e tutto apparirebbe come una superficie grigia. La musica

atonale veniva descritta come sovrastimolante, o meglio tendente al grigio per la

miscelazione di un numero così ampio di colori che l’occhio semplicemente non è

più capace di distinguerne i toni e, iper-stimolato, ritorna in uno stato di riposo, al

grigio appunto. La considerazione di Veronesi però è ancora più puntuale nella sua

corrispondenza tra silenzio visivo e silenzio acustico.

Anche il volume, ovvero la

dinamica sonora aveva

b i s o g n o d i u n a s u a

rappresentazione grafica:

«Considerando gli otto

gradini di intensità (forte,

mezzoforte, fortissimo, ecc)

e dividendo l’altezza dello

s p a z i o o t t i c o i n o t t o

i n t e r s p a z i p o t r e m m o

graduare la quantità di

colore in rapporto alla

quantità di suono». 11

Rappresentazione delle dinamiche

11 VERONESI L., Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore, Milano, Siemens data,

1977., citato in, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi Veronesi, A. DELLA

MARINA 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

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Infine gli accordi 12. Rappresentare una armonia (l’insieme di note suonate

contemporaneamente) di colori si rese possibile accostando verticalmente colori

diversi esattamente come nella rappresentazione grafica musicale, in modo da

permettere all’occhio di compiere in maniera naturale la sintesi additiva: «il nostro

occhio compie la fusione con la massima purezza dandoci la sensazione cromatica

desiderata, nello spazio temporale e con l’intensità richiesta dal parallelo accordo

musicale». 13

Interpretazione cromatica di Gnossienne di E. Satie

Nota, durata e dinamica non sono le uniche variabili di una composizione musicale

ma dagli scritti di Veronesi è evidente che egli era intenzionato a proseguire la ricerca

includendo anche i parametri del timbro e delle componenti armoniche. Purtroppo

tutt’oggi non risulta l’esistenza di materiale relativo agli sviluppi in tale direzione.

Come giustamente nota Luciano Caramel, queste ricerche ricche di misurazioni

quantitative si pongono più sul versante newtoniano che su quello goethiano: ma ciò

non impedisce all’artista di visualizzare ben 160 brani, come risulta dagli spartiti

conservati nell’archivio del Veronesi.

12 Accordo: un insieme di due o più suoni suonati contemporaneamente.

13 VERONESI L., Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore, Milano, Siemens data,

1977., citato in, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi Veronesi, A. DELLA

MARINA 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

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Tre battute dal Contrappunto n. 1 di J. S. Bach e la relativa interpretazione cromatica di L. Veronesi

Che ragioni aveva Veronesi

p e r c e r c a r e u n a b a s e

s c i e n t i f i c a p e r l e s u e

combinazioni suono colore?

L’approccio newtoniano di

V e r o n e s i f a s e g u i t o

sicuramente alla formazione

Bauhaus del pittore italico.

Ricordo che il tecnicismo e la

scientificità erano dei canoni

rigorosi ancor prima che

metodi nella scuola della

Weimar. Una scientificità che

sicuramente Veronesi ha

adottato ed applicato nella sua

r i c e r c a . M a q u a l e s i a

l’approccio corretto in verità

non è dato saperlo poiché una

corrispondenza unanime (che

sia fisica o metafisica) tra colori e suoni non c’è. Da un punto di vista fisico non è

provato che ci sia veramente una corrispondenza, anche nel caso in cui le funzioni

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delle onde fotoniche e sonore corrispondano. Goethe, che affronta la questione in

maniera più speculativa e connessa alla soggettività dell’individuo, alla sensibilità

umana nega con determinazione qualsiasi possibilità di corrispondenza tra suono e

colore affermando che questi sono come due fiumi che, nati dalla stessa sorgente,

solcano i pendii secondo strade diverse e non si incontrano più.

Non si può quindi dare validità scientifica alle teorie di Veronesi ma sicuramente,

godendo delle sue applicazioni si può credere che in fondo in questa proposta si

nasconda una verità ancora da scoprire.

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BIBLIOGRAFIA

[1] A. DELLA MARINA, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi

Veronesi, 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

[2] P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli

anni sessanta-settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti

SITOGRAFIA

[1] WIKIPEDIA, alla voce “Luigi Veronesi”

[2] GIOVANNI D’ALOE, Colori e musica: vibrazioni e sinestesie,

rivista“Metapolitica” (versione web), 22 febbraio 2007, http://

www.metapolitica.net/daloe.html

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2.3 I RAPPORTI SINESTETICI DEGLI ANNI ’60 - ’70

L’aspirazione di un’opera sinestetica è quella di ricreare nel fruitore una esperienza

sensibile totalizzante il più vicina possibile all’esperienza reale. Esemplificando la

questione per immagini, i quadri di Kandinskij, i gialli, i rossi, le linee che li

componevano nascevano dalla stessa ispirazione che l’artista provava passeggiando

per le vie di Mosca, lungo le rive della Moscova, “ascoltando” la sinfonia che risuona

nei colori della città, traducevano in un nuovo linguaggio l’estasi naturale che deriva

dalla realtà che ci circonda. Così anche Skrjabin coinvolge il fruitore avvolgendolo in

un ambiente che ripropone i codici del mondo in cui siamo immersi: colori e suoni.

Figlie dell’intenzione sinestetica di ricreare un esperienza naturale intensificata

dall’accentuazione dei suoi elementi costituenti, sono le installazioni immersive degli

anni sessanta e settanta. Suoni e colori vengono scardinati dalla realtà e riproposti in

ambienti neutrali in cui, intensificati, possono diventare unici protagonisti di una

esperienza sensibile aumentata.

Un esempio di questo modus operandi si può osservare, rimanendo nell’ambiente

Fluxus degli anni sessanta, nelle installazioni di La Monte Young (1935) e Marianne

Zazeela (1940). Il primo, artista e musicista, è riconosciuto come uno dei primi se

non il primo rappresentante del minimalismo musicale e soprattutto per il suo lavoro

nell’ambito del genere musicale Drone. La seconda è musicista, pittrice, designer e

light designer. Il loro connubbio artistico, attivo dal 1962, ha portato alla

realizzazione di spettacoli sinestetici durante i quali venivano suonati brani dello

stesso La Monte Young come il famoso Composition 1960 #7, che consiste in un

unico bicordo di quinta 1 Si e Fa#, in un ambiente colorato dalle proiezioni luminose

della Zazeela. Si trattava di spettacoli dall’enorme durata (anche 4-5 ore) durante la

quale le composizioni luminose si evolvevano gradualmente in maniera

1 Un suono composto di due note dove una è la tonica (la prima nota che da il nome alla scala

maggiore) e l’altra la sua dominante (quinta nota della scala maggiore)

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impercettibile sull’onda dei suoni rarefatti in maniera tale che allo spettatore non

sembrava essere avvenuto nessun cambiamento. Dream House (dal 1963 tutt’ora n

corso) fu pensata da Young per la sua composizione The four Dreams of China (I

quattro sogni della Cina) ed era una installazione sonora e luminosa determinata da

un insieme di frequenze luminose ed acustiche e nella quale vari musicisti avrebbero

dovuto vivere e creare musica ventiquattr’ore su ventiquattro.

L’obiettivo era il raggiungimento di uno stato di estasi mistica, una sorta di trans in

cui accadeva il distaccamento dall’esteriorità e la liberazione da essa e dai

condizionamenti del mondo moderno. Questa trans era indotta anche dall’uso di

sostanze chimiche, come l’LSD che era ampiamente usata al tempo. Impossibile non

vedere anche un parallelismo con l’esperienza del Prometeo di Skrjabin sia da un

punto di vista sinestetico che da un punto di vista di approccio mistico, Skrjabin

2 Non diversa da questa era l’esperienza del Cinema Espanso di Gene Youngblood costituito da

forme astratte che cambiavano in modo lentissimo.

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infatti era legato alle discipline orientali tanto da intraprendere, in età matura, la

pratica meditativa. Anche Zazeela e La Monte Young avevano un approccio vicino

alle filosofie orientali e all’idea di meditazione, di distacco dalla realtà, di

purificazione: un continuum che lega, dalle scoperte delle nuove culture orientali

dell‘800, gli artisti di inizio ‘900 con quelli degli anni ’50 - ’60 e ’70 che ormai

hanno interiorizzato questo bagaglio culturale applicandolo pienamente nella pratica

artistica. Non solo: Dream House fa parte di quell’insieme di “ambienti luminosi” ai

quali appartengono anche gli spazi eterei di James Turrell che si accordano

pienamente con le aspirazioni skrjabiniane (non è un caso che Turrell le citi) di una

esperienza sensibile totalizzante; basti ricordare il Roden Crater con delle camere

destinare alla percezione dei fenomeni visivi e sonori del cosmo o le sue Perceptual

Cells, unità mobili in cui il visitatore viene inserito e sottoposto a stimoli sincroni

attinenti alle diverse sfere sensoriali della vista e del suono. Fin qui nulla di nuovo, a

parte la condizione del fruitore, sdraiato e chiuso in queste piccole camere. La cosa

sensazionale è l’esperienza in cui ci si trova coinvolti, ovvero una autonoma reazione

dei sensi agli iper-stimoli delle celle che di fatto è la manifestazione di fenomeni

audio-visivi spontanei non derivati da uno stimolo esterno bensì da quello interno. Il

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merito di Turrell è di aver fatto una brillante quanto sottile e semplice intuizione: la

sinestesia non è un fenomeno esterno ma interno all’uomo. Questa affermazione

sembra ripetere la definizione stessa di sinestesia ma dal punto di vista dell’artista,

che cerca di stimolarla attraverso un rapporto di azione-reazione tocca una

caratteristica implicita: creare una sinestesia percettiva non significa riprodurla

all’esterno ma stimolare la percezione umana attraverso l’utilizzo di elementi come la

luce ed il suono fino a che il cervello non la elabori spontaneamente. Più

semplicemente potremmo associare il prodotto artistico ad una scintilla e la

percezione umana alla benzina: invece di accendere un fuoco davanti agli occhi di

una persona bisogna innescare un incendio dentro di lei. Per molti artisti delle neo-

avanguardie questo significava anche l’assunzione di droghe con l’effetto classico

che la percezione veniva alterata ed accentuata; Turrell invece, in maniera più fine,

trova le corde della percezione umana e le “pizzica” a piacimento; un lavoro tutt’altro

che semplice derivato da profondi studi che lo implicano in prima persona e da

consultazioni con scienziati e psicologi continue e per ogni lavoro artistico.

Tra il 1970 ed il 1978, Steina Vasulka lavorava su una serie di performance

audiovisive molto interessanti, le Violin Power 1, attraverso le quali creava una vera e

propria connessione, un rapporto di dipendenza fisica tra l’immagine ed il suono

dove la prima reagiva alle “provocazioni” del violino. La matrice di questo rapporto

sta nella tecnologia, protagonista della ricerca di Steina come del compagno Woody

Vasulka: uno Scan Processor (scanner processore) con cui l’onda sonora, catturata da

un microfono, viene modulata fino a distorcere l’immagine nel video. Un rapporto di

interconnessione tra i due linguaggi in cui la musica diventa visibile penetrando e

mischiandosi con il video. E’ la visione musicale dell'immagine in movimento e la

stessa Vasulka afferma: “È il suono che mi guida dentro l'immagine. Ogni immagine

ha il proprio suono e, in esso, io tento di catturare qualcosa di fluido

3 Video della performance Violin Power (1978), http://www.fondation-langlois.org/html/e/

page.php?NumPage=485

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e vivente" 4. Il medium del video diventa la scatola contenitiva della miscelazione di

immagini e musica. Il soggetto osservato è allo stesso tempo attivo e passivo,

protagonista del video e produttore della propria immagine nello schermo in un

rapporto di ambiguazione estremamente interessante; ciò che scaturisce dalla

parformance è appunto una ambiguità, una grande miscela di entità diverse che

perdono la propria identità; suono e immagine la ritrovano come parti di un un tutto

che le comprende ed il soggetto filmato la perde fondendosi col soggetto del filmato.

Fusione, manifestazione di un medium in un altro, reciproco condizionamento sono

aspetti fondamentali della ricerca sinestetica ed in questo ciclo di performance sono

proprio i punti cardinali della ricerca. Una ricerca che non è ancora finita e che dal

1991 ha visto una ulteriore evoluzione con l’adozione di una interfaccia virtuale e di

uno strumento MIDI per implementare la performance attraverso una varietà di

programmi.

4 S. VASULKA, cit, nel articolo Videoeventi Lumen/Evolution 2002 - Process, Leeds, Sedi varie,

LAVINIA GARULLI, 2002, “Exibart” versione web, http://www.exibart.com/Print/notizia.asp?

IDNotizia=5770&IDCategoria=1

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BIBLIOGRAFIA

[1] P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli

anni sessanta-settanta, Quaderni della Fondazione Ambrosetti

SITOGRAFIA

[1] J. JONES, Warning: art that will blow your mind James Turrell's Bindu Shards at

the Gagosian Gallery in King's Cross is an optical voyage that will turn your head

inside out, 17 Novembre 2010, Jonathan Jones on art Blog sul portale di “The

Guardian”, http://www.guardian.co.uk/artanddesign/jonathanjonesblog/2010/nov/17/

bindu-shards-james-turrell-gagosian

[2] YVONNE SPIELMAN, Steina Violin Power, 2004, portale de La Fondation

Daniel Langlois pour l’Art, la Science et la Technologie, http://www.fondation-

langlois.org/html/e/page.php?NumPage=485

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2.4 UNA NARRATIVA SINESTETICA

L’esperienza di Walt Disney rappresenta un’interessantissima evoluzione nella ricerca

sinestetica con l’apporto di una nuova modalità di relazione tra suono ed immagine: il

rapporto sincronico; ovvero un rapporto in cui il suono viene rappresentato

nell’immagine sotto forma di video attraverso il movimento di forme astratte o

l’azione di personaggi animati in cui il ritmo è la struttura portante, il quale, nella sua

sostanza deriva dalla lezione delle avanguardie sull’utilizzo del colore e delle forme

in relazione al suono nonché dalle teorie wagneriane dell’arte totale. Considerare il

lavoro di Walt Disney come prodotto di intrattenimento vuol dire averne una visione

superficiale e ignorarne l’apporto dato all’arte ed il significato nella cultura

occidentale. Disney fu un creativo sempre teso al miglioramento, alla

sperimentazione con una punta di perfezionismo che conosceva l’arte e l’ambiente

artistico dal suo tempo col quale ebbe continui contatti. Basterebbe citare le

collaborazioni con Stokowsky, Fishinger e Dalì per comprenderne il calibro umano e

creativo. Egli non è da

considerare solo un produtt

ore cinematografico ma un

vero e proprio talento

creativo che ha saputo

mischiare l’arte con la

produzione commerciale

attraverso la sua capacità

organizzativa e manageriale

e che con i suoi studios

diede vita ad una vera e Bozza per Destino, Salvator Dali, 1946,

propria comune artistica. http://artifactarchive.blogspot.se/2010/07/blog-post.html

In un certo

senso (coi suoi pro e i suoi

contro) è il primo esempio

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di artista - imprenditore moderno, padrino di Andy Warhol e anticipatore di

esperienze come quella del giapponese Takashi Murakami, imprenditore industriale il

cui logo è diventato parte integrante del suo lavoro artistico, tanto da installare uno

shop durante la sua personale al Guggenheim di New York nel 2007 per vendere i

personaggi prodotti dalla sua fabbrica.

All’interno di una concezione sinestetica dell’arte, il film animato Fantasia, prodotto

da Walt Disney nel 1940 rappresenta un esperimento avanguardistico sia per

concezione sia per tecnica di realizzazione.

Fantasia voleva essere un opera d’arte totale, capace di creare nello spettatore la

sensazione di essere parte integrante del film, di superare lo schermo quasi come

l’Alice di Lewis Carrol e di entrare nello spazio immaginario creato dei disegnatori

Disney.

Questa idea corrispondeva ad una inclinazione naturale ed un interesse cresciuto nel

tempo che Disney aveva verso il rapporto sinestetico tra musica e immagini e la

conferma di questo, oltre che nelle sue parole, sta nei fatti.

Il 6 ottobre 1927 uscì The Jazz Singer, diretto da Alan Crosland. Passato come un

uragano sul mondo del cinema questo film marcava la linea di confine tra cinema

muto e sonoro. Disney intuì che l’apporto musicale avrebbe portato al completamento

lo stile delle sue animazioni e, come al solito, risolse la questione in maniera

innovativa. Nacque così un connubio musica - immagine estremamente potente in cui

le due parti erano strettamente legate da una sincronizzazione perfetta tra le

immagini, la musica ed i rumori che venivano prodotti dagli stessi personaggi

dell’animazione. Questo utilizzo così profondamente innestato della musica nelle

vicende filmiche è conosciuto sotto il nome di mickey mousing, nome derivato

appunto da Mickey Mouse, protagonista del film Steamboat Willie del 1928, prima

animazione sonora della Disney e prima ad utilizzare questa tecnica. Il mickey

mousing si è poi espanso interessando altre produzioni, al di fuori di Disney, animate

e non, e ha segnato fortemente la visione del rapporto audiovisivo nelle produzioni

che seguirono. Basti pensare alla Warner Brothers o all’attuale talentuoso regista

Chris Cunningham che in tutt’altro genere filmico, quello del video clip musicale, fa

del sincronismo una costante del suo lavoro ed un suo marchio di fabbrica.

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Il periodo che seguì fu all’insegna della sperimentazione tecnica sul colore e del

perfezionamento del nuovo linguaggio audiovisivo sinergico. Le Silly Symphonies

furono il campo di questa sperimentazione ed il primo passo verso il capolavoro

Fantasia.

Il nuovo progetto avrebbe dovuto sbalordire il pubblico e la critica per la sua forza

innovativa: sarebbe stato una specie di collage di Silly Symphonies, aventi però come

colonna sonora brani di musica classica composti dai maestri più celebri. Disney

ottenne addirittura la collaborazione del direttore della Philadelphia Orchestra,

Leopold Stokowski, il quale, stimandone il lavoro e entusiasta del progetto Fantasia,

si offerse spontaneamente di dirigerne le musiche. L’attenzione di Disney per tutti gli

aspetti produttivi, creativi e tecnici è veramente notevole. Una volta terminate le

registrazioni de L’Apprendista stregone sia Disney che Stokowski si resero subito

conto dell’inadeguatezza della qualità audio. La soluzione a cui giunsero fu quindi di

predisporre una serie di

altoparlanti dislocati lungo

tutta la sala e registrare le

musiche del film utilizzando

un numero maggiore di piste

audio , per Fantas ia ne

v e n n e r o u s a t e n o v e . I l

complesso apparato acustico

studiato dallo Studio prese il

nome di Fantasound ed è

considerato il precursore dei

moderni sistemi di stereofonia Concept Art, Disney, www.waltdisney.com

applicati alle sale cinematografiche.

Per l’uscita del film, tre anni dopo l’inizio

della produzione, la stessa Disney

si preoccupò di installare in quanti più cinema potè il sistema Fantasound che

prevedeva tre altoparlanti posti dietro lo schermo (a destra, al centro e a sinistra) e 65

casse acustiche collocate strategicamente in tutto il locale.

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Nella visione di Disney, Fantasia era una vera e propria opera d’arte sinestetica che

riprendeva le teorie wagneriane e ne rappresentava a pieno titolo la messa in scena.

Era riuscito ad ottenere un sistema audio all’avanguardia per ricreare l’esperienza

immersiva della musica dal vivo addirittura rivoluzionando il posizionamento delle

fonti sonore ed ora anche il video voleva la sua parte di realtà. Disney come al solito

pensò in grande: per la prima sequenza di Fantasia, che rappresentava la Toccata e

fuga in re minore di J.S. Bach, avrebbe utilizzato una tecnica innovativa: la

stereoscopia a tre dimensioni su maxi-schermo. Sarebbero stati dati agli spettatori

degli speciali occhialini che grazie ad una lente rossa ed una blu avrebbero permesso

la visione a tre dimensioni del brano. Disney infatti per questa prima sequenza voleva

creare una vera e propria partecipazione totale del pubblico alla musica, ricorrendo al

Fantasound e appunto alla visione 3D su maxi-schermo. Nel 1940 però i costi erano

altissimi e resero impossibile l’utilizzo di queste innovazioni tecniche. Inoltre la

sequenza non riscosse molto successo tra il pubblico, al contrario ne parlarono

meglio i critici: è difficile oggi, tanti anni dopo il pieno riconoscimento

dell’Espressionismo astratto, immaginare quanta resistenza il pubblico del tempo

mostrò nei confronti di questo brano.

La sequenza, apripista del film, voleva essere una pura forma di astrazione in cui

usare occhi ed orecchie simultaneamente per percepire ciò che la musica faceva

“vedere” e ciò che le immagini facevano “sentire”. L’idea fu quella di visualizzare

sullo schermo i diversi movimenti della musica attraverso una loro trasposizione

fedele in immagini: così per esempio il contrappunto doveva essere rappresentato

attraverso una vera contrapposizione delle immagini rispetto alla musica, ad un

accordo lento corrispondeva un’immagine briosa e viceversa. La musica di Bach

doveva esprimere chiaramente la sua struttura attraverso delle immagini astratte e nel

brano della Toccata e Fuga è evidente la sorprendente forza espressiva delle figure

geometriche in movimento evocate dalla musica nonché la consonanza delle parti

visive che descrivono gli andamenti e le strutture musicali.

L’interesse Di Walt Disney per i film astratti prese inizio durante gli anni Trenta,

quando vide Colour Box 1 di Len Lye, il quale disegnava e colorava direttamente

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sulla pellicola le sue immagini non narrative; Stokowski stesso aveva diretto un

esperimento di Color Organ, uno strumento ideato da M. H. Greenwalt nel 1921 per

realizzare una corrispondenza tra i colori e le tonalità musicali. La Toccata e Fuga

ben si prestava a questo scopo per la sua mancanza di narratività.

Per creare questa sequenza Disney contattò addirittura Oskar Fischinger, artista

tedesco conosciuto per i suoi film composti di pure immagini astratte.

Egli fu un pioniere nell’animazione

di linee e forme geometriche che

visualizzassero un tema musicale,

come appunto quelle di apertura

del film. Nel 1933, due anni prima

di Len Lye, Fischinger realizzò un

film di forme astratte a colori

intitolato Kreise (Cerchi): la

Paramount Pictures gli offrì un

contratto nel 1936, egli si trasferì

negli Stati Uniti e Disney poté contattarlo Fotogramma della prima sequenza

per la realizzazione di Fantasia.

La prima sequenza in cui vengono filmati gli

orchestrali e lo stesso Stokowski è

interessante considerarla dal punto di vista del

colore. Oltre ad un lavoro registico e

scenografico di grande impatto estetico con

giochi di ombre e tagli delle sezioni

orchestrali vi è anche un ampio uso del

colore, un preludio tra realtà e visione che

Fotogramma della prima sequenza

1 Il video è facilmente visibile in Internet per esempio sul portale www.youtube.com

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anticipa gradualmente l’astrazione delle animazioni che seguono. E’ impossibile non

pensare ai numerosi esperimenti di inizio ‘900 sulla “colorazione” del suono. In

questo preludio, mentre dirige, Stokowski viene illuminato dalle sezioni che

alternativamente “prendono la parola”, gli orchestrali si colorano di toni che variano

in corrispondenza della musica, quasi

splendenti di luce propria, o meglio,

della musica che suonano. Da questa

visione allucinata prende il via la

completa astrazione dell’animazione, in

cui gli archetti si trasformano in

rondini, il cielo si colora di scie

luminose e immagini astratte si

muovono e si colorano con una

sequenzialità surreale. La realtà Fotogramma della prima sequenza

dell’orchestra infine si fonde con le

immagini astratte evocate dalla musica in una bellissima scena in cui le due realtà

coesistono nei movimenti direttoriali di Stokowski (rievocata tra l’altro nella scena de

L’apprendista stregone).

Ma come mai per questa sequenza Walt Disney voleva assolutamente la

collaborazione di Oskar Fishinger?

Questo artista era in verità incredibilmente vicino all’idea di sincronia di Walt Disney

ed è possibile notare infatti, nella prima sequenza di Fantasia, un rimando ai cerchi

non solo di Kreise 2 ma anche di altri film più elaborati come Optical Poem 3 (1938).

Più che un rimando sembra una vera e propria citazione dal

2 E’ possibile visionare il video a questo indirizzo web: http://8video.ru/v/18838283/

MTY3MDI4MjVfMTYwMDczNjc3/

3 E’ possibile visionare il video a questo indirizzo web: http://www.tudou.com/programs/view/

1b6wAr7knYw/

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momento che si riconoscono bene le proporzioni, i colori, la posizione ed anche le

coreografie dei cerchi di Fishinger che in Kreise compiono movimenti quasi danzanti

dipendenti dalle dinamiche e dai ritmi musicali. Non c’è una corrispondenza decisa

arbitrariamente ma è la sensibilità di Fishinger, la sua intuizione che determina i

movimenti di volta in volta dei cerchi. Movimenti che si ripetono anche spesso,

sicuramente per una ragione tecnica quanto stilistica dove, come spesso accade,

tecnica e stile si influiscono vicendevolmente. Con Optical Poem si assiste ad una

evoluzione delle possibilità e delle capacità tecniche a cui fa seguito una maggiore

complessità dell’animazione. Non più solo cerchi quindi, ma anche triangoli, forme a

goccia e quadrati che, muovendosi sopra uno sfondo simile ad una ripresa aerea di

una città fanno pensare ad un bombardamento filmato dalla chiglia di un aereo.

Se ci sia e quale sia però la corrispondenza tra suono, forma e colore non è dato

saperlo. Fishinger sembra comporre i suoi film degli elementi analizzati da altri artisti

appena dieci o venti anni prima: il suono, il colore, le forme e la loro ibridazione in

un insieme di influenze che tocca la ratio e la tecnica Bauhaus, lo studio delle forme

in movimento di Eggeling e l’esperienza di Kandisnkij sull’uso del colore come

l’influenza della musica su tutti questi elementi. Ma se Kandinskij e Skrjabin creano

un sistema di corrispondenze definito Fishinger si affida più all’elemento casuale

dell’ispirazione e del senso estetico. Mantiene certo una coerenza formale nel colore

come nel rapporto tra le forme e le loro coreografia ma non sembra esserci una

sintonia tra colore e suono così rilevante da poter parlare di corrispondenza. Fishinger

in effetti si interessa molto di più al dinamismo visivo, all’immagine sincronizzata col

ritmo per cui si può facilmente parlare si mickey mousing ante litteram. Ecco quale è

il cardine nell’interesse di Walt Disney per Fishinger: egli aveva messo in pratica e

sondato le possibilità della sincronia più o meno negli stessi anni in cui l’aveva fatto

Disney ma al contrario di quest’ultimo stava lavorando con l’immagine astratta da

molti anni e Kreise era il risultato di questi anni di esperienza. Disney poté cimentarsi

nel campo dell’astrazione solo nel 1939 con la possibilità offertagli da Fantasia e

dalla Fuga in re minore e con la sua inesperienza avrebbe avuto bisogno di una

consulenza: in Fishinger trova esattamente quello che stava cercando.

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Il video musicale astratto non è ovviamente una esclusiva di Fishinger o di Len Lye

ma venne sperimentato da altri artisti come, per esempio, Norman McLaren il quale

comincia la sua esperienza verso la metà del secolo e nel 1971 propone un

interessante video che mischia immagini colorate astratte piuttosto razionali con

suoni analogici del tutto simili a quelli elettronici sintetizzati. Il video prende il nome

Synchromy 4, un nuovo modo di intraprendere il cammino della sinergia tra musica

(o suono?), immagine e colore. Perché Synchromy? L’aspetto peculiare di questo

prodotto è già espresso nel titolo che gioca con le parole “sincronia” e “cromia”,

ovvero colore. Il titolo infatti si riferisce alla tecnica compositiva che consisteva nel

fotografare dei cartoncini rettangolari con sopra applicate delle linee. Queste forme

venivano poi posizionate secondo una sequenza coreografica e poste sopra la traccia

audio ottica della pellicola 5. Successivamente venivano replicate e posizionate, nella

stessa sequenza, sulla parte della pellicola, colorata, dedicata all’immagine.

L’identicità della struttura visiva e di quella sonora comporta che lo spettatore vede

ciò che sente e sente ciò che vede secondo una sincronia perfetta, in cui l’alternanza

dei suoni o la loro mescolanza corrisponde al comparire e scomparire degli elementi

che compongono l’immagine. Una tecnica già sperimentata da McLaren negli anni

cinquanta con Evelyn Lambart che a sua volta si rifaceva al tedesco Rudolf

Pfenninger ed allo sperimentatore russo Nikolai Voinov.

La forma rettangolare dei cartoncini e la loro rappresentazione del suono ricordano la

colonna sonora di Fantasia, l’unica forma astratta del film a possedere una

personalità umana evocata da movimenti che rimandano agli stati emotivi tipici di

una persona come l’imbarazzo o la timidezza, che attraverso i suoi cambiamenti di

forma rappresenta il suono dei vari strumenti orchestrali. McLaren evita totalmente

l’aspetto comportamentale. Le sue forme non si modellano come la colonna sonora

4 Synchromy, Norman McLaren, 1971, Canada, National Film Board of Canada (NFB)

5 La pellicola filmica si compone di due parti, una contenente le immagini, l’altra, collocata sui

bordi, in cui è situata la traccia audio ottica

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della Walt Disney ma rimangono rigide, come gli elementi metallici di un

meccanismo, a rappresentare un tipo di suono sintetico e artificiale opposto

all’organicità degli strumenti dell’orchestra di Fantasia. I cambiamenti delle forme

nell’immagine corrisponde quindi alle variazioni delle stesse forme, allo stesso

identico modo, poste sulla traccia sonora. Una sincronia perfetta che per risultato e

metodo ricorda il lavoro di scomposizione della traccia ritmica che il contemporaneo

Chris Cunningham opera sulle basi ritmiche elettroniche di Aphex Twin.

L’altro elemento oltre alla sincronia grafico-fonica è il colore: McLaren lo utilizza in

riferimento alle forme che, corrispondendo a loro volta ad un suono, danno vita alla

triade di corrispondenze trasversali suono, colore, forma. Ma non solo: la sequenza

temporale in cui compaiono e suonano le forme sulla pellicola, definibile come

“coreografia” 6 è anche e soprattutto la “struttura ritmica”. Il ritmo, presente per

definizione in una successione, è il quarto e definitivo elemento di corrispondenza. Si

viene a creare quindi un gruppo di quattro elementi di corrispondenza costituito dal

ritmo, il suono, il colore e la forma, esattamente gli elementi che, secondo l’ipotesi

formulata in questo studio, sono alla base del rapporto sinestetico.

McLaren però lavora su questo progetto con un approccio estremamente tecnico e

razionale evitando gli aspetti sensibili emotivo-percettivi. La corrispondenza tra i

quattro elementi esiste ma è coerente con la qualità artificiosa dei suoni e la

razionalità delle figure. E’ un lavoro che nel metodo e negli elementi che la

costituiscono è più vicina ad un arte minimale - razionale, di derivazione Bauhaus

che non è interessata ad un rapporto simpatico col fruitore né ad un rapporto

sinestetico che pretende, per esistere, di entrare in relazione con la percezione umana.

Synchromy non possiede la “scintilla” necessaria a stimolare l’osservatore da un

6 Nel film di The eye hears, the ear sees (1970) in cui Gavin Millar documenta la produzione di

Synchromy, Norman McLaren affema:“A parte pianificare ed eseguire la musica, l’unico aspetto

creativo del film fu la coreografia delle striature nelle colonnee e decidere la sequenza e le

combinazioni dei colori” (Cit. da Wikipedia alla voce Synchromy).

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punto di vista sensibile, ma lo fa da un punto di vista intellettuale. Non è di certo un

giudizio negativo riguardo l’opera in sé poiché ogni produzione si relaziona con le

proprie ambizioni e anzi è doveroso ricordare che il film ha ottenuto otto premi e una

“Menzione Speciale della Giuria” al Annecy Interational Animated film Festival 8. Si

può invece utilizzare Synchromy come controesempio nella discussione delle ipotesi

formulate per Skrjabin in cui si sosteneva che la “scintilla” derivava dal libero fluire

della sensibilità e della percezione di Skrjabin nella sua opera. Il fatto che Synchromy

contenga una relazione di corrispondenza tra gli elementi che determinano la

sinestesia secondo le teorie di questo studio ma non riesca di fatto a stimolare

percettivamente il fruitore mentre lo fa a livello intellettuale e il Prometeo, pur

deficitando nella mancanza delle forme e della sincronia, riesca a creare forti

emozioni avvalora l’ipotesi per cui un prodotto contenga in sé l’attitudine con la

quale è stato creato. Skrjabin, nella creazione del Prometeo diventa parte della

musica e della luce e questo è percepibile nel prodotto. McLaren invece fa un

esercizio intellettuale e stimola intellettualmente pur essendo, sulla carta, più

completo del Prometeo da un punto di vista sinestetico.

In fondo il discorso sull’estro artistico, sul coinvolgimento è tra i più comuni ed

abusati proprio perché appartiene alla consapevolezza popolare.

Se il prodotto artistico si può considerare come “comunicazione” tra un individuo e

un indefinito numero di altre persone attraverso un mezzo e si considera la

comunicazione empatica, ovvero la percezione dello stato d’animo di uno da parte di

terzi attraverso il riconoscimento di una esperienza comune, allora si può facilmente

affermare che: essendo l’opera artistica il tramite della comunicazione, e quindi la

rappresentazione dell’artista in un rapporto indiretto con il fruitore l’opera d’arte

contiene lo stato d’animo che comunica in maniera empatica. Più l’artista riesce a

8 Il festival fu istituito nel 1960. All’inizio biennale, dal 1998 si tiene ogni anno agli inizi di Giugno

nella città di Annecy, Francia.

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proiettare sé stesso nell’opera più questa conterrà il messaggio originale e sarà

intensa e minore sarà quindi lo scarto tra comunicazione empatica diretta e indiretta

dove l’ultima è sicuramente più debole della prima. Si potrebbe considerare l’insieme

come un circuito in cui l’artista è la fonte elettrica, l’opera la resistenza, e il fruitore

la chiusura del circuito. Se l’artista immette nel circuito passione ed estasi, quindi

sentimenti ed emozioni, questi costituiranno il messaggio destinato al fruitore

dell’opera; se invece, come fa McLaren, l’energia immessa è di tipo intellettuale il

messaggio in questione avrà quest’altra qualità.

L’opera sinestetica quindi deve si godere della presenza degli elementi più volte

specificati (suono, colore, forma, ritmo) e della loro corrispondenza ma anche essere

portatrice di un messaggio del primo tipo, emotivo-sensoriale, che sia capace di

stimolare per via empatica la percezione sensibile e l’esperienza del fruitore.

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BIBILIOGRAFIA

[1] J. CULHANE, Fantasia: il capolavoro di Walt Disney, 1992, Milano, The Walt

Disney Company.

[2] I. PRESOTTO, Fantasia di Walt Disney, Quando la musica si fa immagine, pdf,

papersera.net

[3] A. VETTESE, Si fa con tutto, 2010, Milano, Laterza

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3.1 SUONO RITMO RACCONTO

Cunningham (1970)non è solo un regista di videoclip musicali, né solo un regista di

pubblicità ma è un artista che crea video in cui la corrispondenza tra musica ed

immagine è portata all’estremo attraverso un maniacale studio dello spartito ritmico,

il che ne fa un autore estremamente interessante per la ricerca e per quanto riguarda

anche la mia personale visione.

Cunningham inizia sin da giovane a fotografare ed entrato in una scuola d’arte la

abbandona subito dopo, a 17 anni per cominciare a lavorare nel campo degli effetti

speciali presso i Pinewood Studio. Questa esperienza di sicuro resta legata alla sua

pratica artisica e rende Cunningham fortemente capace in quel campo, sia

tecnicamente che stilisticamente e fa di questa capacità uno dei caratteri distintivi dei

suoi lavori. Ma già al tempo Cunningham era un talento molto apprezzato, tanto che

nel 1995 viene contattato da Stanley Kubrick per lavorare al progetto “Artificial

Intelligence”. Purtroppo, a causa della morte del regista, il progetto venne

abbandonato per essere ripreso nel 2001 da Steven Spielberg (ma senza l’apporto di

Cunningham). Sempre nel 1995 realizza “Second Bad Vilbel “ per la band di musica

elettronica Autechre. E’ la sua prima esperienza come regista di video musicali ma

subito si distingue per la qualità del suo lavoro e per la forte impronta personale. La

notorietà non attende e arriva due anni più tardi quando realizza il clip “Come to

Daddy” di Aphex Twin. Ne esce un prodotto che ha al suo interno tutte le qualità,

visionarie, stilistiche, tecniche che caratterizzano i lavori firmati Cunningham:

immagini estreme e grottesche, atmosfere cupe e un serrato montaggio ritmico. E’

l’inizio di una fruttuosissima collaborazione tra la band ed il regista che porterà a

lavori a cavallo tra video musicale e cortometraggio come “Rubber Jhonny”.

Lo stile di Cunningham è molto riconoscibile, visionario e ricco di riferimenti al

grottesco e alle tematiche biotecnlogiche da cui il regista è estremamente affascinato

e che recupera dalla cultura letteraria e scientifica. A livello tecnico cerca

l’ibridazione tra musica e immagini attraverso il ritmo ed utilizza una grande mole

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effetti speciali digitali ed analogici che puntano a rendere realmente credibile il

mondo fantastico dei suoi lavori.

Il cortometraggio “Rubber Jhonny”, uscito nel 2005, qualitativamente uno dei lavori

migliori di Cunningham, è anche quello che rappresenta meglio la sua poetica,

sintetizzandone tutti gli aspetti compositivi e tecnici: un ibrido tra video-clip

musicale e cortometraggio narrativo prodotto in collaborazione con Aphex Twin sul

quale è stato speso molto tempo e molta attenzione. Trattandosi di una produzione

indipendente, svincolata da dettami contrattuali, è stato infatti possibile per

Cunningham dar sfogo liberamente al suo potenziale ed alla sua poetica e lavorare di

fatto ad un video di ricerca.

Sul sito del progetto si può leggere la sinossi del video:

“Johnny is a hyperactive, shape-shifting mutant child, kept locked away in a

basement. With only his feverish imagination and his terrified dog for company, he

finds ways to amuse himself in the dark (...) under the influence of forced

medication(...). In his twisted mental state, he experiences audio, visual and kinetic

hallucinations and delusions in which he is surrounded by music and beams of light.”

Trad: “Johnny è un bimbo mutante iperattivo che cambia forma, tenuto chiuso

lontano dal mondo in un sotterraneo. Con la sua sola fervida immaginazione e il suo

cane terrorizzato trova modi per divertire se stesso nell’oscurità sotto l’influenza di

medicamenti forzati. Nel suo sconvolto stato mentale vive allucinazioni sonore, visive

e cinetiche e delusione verso quelli che lo circondano attraverso musica e raggi di

luce.” 1

Le caratteristiche che rendono questo video eccezionale è la cura maniacale messa

nella trasposizione della musica in immagini tanto che non si potrebbe mai dire quale

1 www.rubberjhonny.tv

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sia stata prodotta prima, se la musica o il video: queste collaborano, si intrecciano e

dialogano alla pari, senza dominanze. Questo equilibrio tra le parti è uno degli aspetti

più interessanti di questa ricerca poiché promuove la mescolanza dei due linguaggi

che si risolvono l’uno nell’altro. La sinestesia è finalmente sotto i nostri occhi e le

nostre orecchie, è possibile sentire i suoni vedendoli e vedere le immagini sentendole

e questo grazie al raffinato lavoro di corrispondenze ritmiche. Cunningham conosce

bene la tecnica del mickey mousing 2, scompone lo spartito ritmico. Usa il ritmo per

arrivare alla sincronia che si avvale di effetti lenticolari (con le lenti della macchina

da ripresa), effetti di luce (generalmente aggiunti digitalmente) e del montaggio. La

corrispondenza tra ritmica musicale e immagine si può definire spaziale quando,

come per la formula disneyiana classica, quando un battito corrisponde ad una azione

nella narrazione visiva, per esempio un movimento molto veloce del braccio, o una

improvvisa apertura della bocca del protagonista. In questo caso la sincronia si

consuma nello spazio, seppur virtuale, del video. C’è poi la sincronia più utilizzata tra

ritmo e montaggio. Una corrispondenza quasi naturale siccome il montaggio è viene

considerato proprio come il ritmo di un film. In questo caso alla suddivisione ritmica

del brano musicale corrisponde una suddivisione ritmica del film in cui i “battiti”

sono i tagli del montaggio. Come terza possibilità Cunningham sceglie di

sincronizzare la musica con alcuni effetti speciali dinamici come bagliori o riflessioni

dove i primi sono, per esempio, flash luminosi più o meno abbaglianti che

coinvolgono tutta la scena o solo in parte mentre le seconde sono riflessioni ottiche

delle luci di scena o del sole (quelle che si trovano normalmente in una foto contro

sole) riprodotte a volte digitalmente.

Non solo la ritmica gestisce la sincronia. A livello musicale anche gli effetti sonori

entrano a far parte della struttura sincronica: per esempio, quando in un contesto

narrativo l’effetto sonoro corrisponde ad un suono prodotto nell’azione interna al

video (un altro aspetto in comune con Walt Disney) come un grido o il picchiare un

2 La tecnica del Mickey Mousing è stata trattata nel precedente capitolo.

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braccio su un tavolo o come il suono ascendente sincronizzato con il gesto di tirare

cocaina.

Tutti questi componenti mischiandosi creano un linguaggio audiovisivo forse

completo. Un aspetto mancante che è stato massicciamente studiato nel passato è

quello del colore. Cunningham non lavora infatti sulla gestione del colore in base al

suono ma lo utilizza in maniera canonica, in linea con la fotografia cinematografica

che svolge il compito di creare le atmosfere descritte nella sceneggiatura rimanendo

coerente e fedele al filo narrativo durante tutto il corso di un film, senza alterazioni a

meno che non siano giustificate nella narrazione (come un cambio scena, o in un

ambiente aperto un fenomeno naturale credibile...). In “Rubber Johnny”, come in

tutti gli altri suoi prodotti, il colore crea serve a creare l’atmosfera ma non collabora

alla sinestesia come invece fanno il montaggio o le azioni della scena. Certo viene

utilizzato in maniera particolare, dal momento che è stata scelta un tipo di ripresa

notturna i cui toni verde acido e le gradazioni di nero e di bianco si sposano molto

bene con l’ambientazione del video (uno scantinato) rendendo perfettamente

l’atmosfera grottesca decadente e lugubre dello sceneggiato, ma è statico, ovvero

costante lungo tutta la durata del video e non risponde alle dinamiche ritmiche.

Nella relazione ritmo - immagine Cunningham non lavora con il colore, come si è

visto, ma utilizza alcuni effetti speciali: l’abbagliamento 3 e la distorsione lenticolare

4 sono aspetti della fotografia che per Cunningham rivestono un ruolo importante sia

dal punto di vista sincronico che da quello finemente estetico.

I cambi di intensità luminosa si distinguono in due caratteristiche: nella porzione di

spazio che occupano e nella sincronizzazione. Vengono spesso utilizzati come

alternativa al taglio del montaggio, sincronizzati alla musica e occupando tutto lo

3 L’intensità luminosa dello spazio del video o di alcune sue porzioni aumenta fino al

bianco puro per una frazione di secondo generando un effetto flash

4 Sono delle rifrazioni della luce nell’obiettivo tipiche, per esempio, delle situazioni in cui una foto

viene scattata controsole e consiste nella stretta successione di uno o più cerchi luminosi e raggianti.

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schermo, ma possono essere anche inseriti come semplici flash che occupano solo

alcune porzioni della scena. Di fatto creano un senso di dinamismo ( sincronizzati

oppure no) e concitazione, a volte comparendo come dei bagliori, altre volte

sfrecciando freneticamente (ma secondo una coreografia ben studiata) nel video e a

volte “bruciando” l’immagine, coinvolgendola tutta.

I riflessi lenticolari invece ricoprono una funzione più estetizzante e con un

significato sottile. Attraverso questi riflessi, tipici di una fotografia contro sole,

Cunningham esplicita la presenza della macchina da ripresa aggiungendo un

passaggio alla fruizione del video (scena, macchina da ripresa, schermo) ricordando

al fruitore che si trova dietro una macchina da ripresa e quindi dietro una finzione. E’

interessante considerare il grosso lavoro tecnico atto a rendere credibili le sue storie

in contrasto con la presenza dei riflessi che ne affermano la finzione, è come se

Cunningham volesse smasherare se stesso e dichiarare il valore ambiguo

dell’immagine attraverso la nota falsa dei riflessi.

I riflessi, in “Rubber Johnny”, vengono utilizzati sia sincronizzati che non e

muovendosi freneticamente, relazionati nella percezione del fruitore ai movimenti

della macchina da ripresa che invece è fissa, creano una ambiguità di movimenti

virtuali.

I riflessi lenticolari come i bagliori, insieme alla tecnica del mickey mousing e al

montaggio sono quattro modi differenti di lavorare sulla sincronia tra ritmo ed

immagine e mischiandosi ed alternandosi rinnovano continuamente la proposta

stilistica evitando la ripetitività.

Si può dire quindi che Cunningham sia uno degli esempi più appropriati quando si

parla di sinestesia sincronica tra immagini e musica. E’ eccitante notare come

l’aspetto sinestetico sia fondamentale nella costituzione del video dell’autore che

tiene ad esplicitarlo nella sinossi: “Nel suo sconvolto stato mentale vive allucinazioni

sonore, visive e cinetiche e delusione verso quelli che lo circondano attraverso

musica e raggi di luce.”. Cunningham mostra allucinazioni. Allucinazioni che in quei

momenti in cui si creano nella nostra mente producono un sovrapporsi di visioni e

suoni. Le allucinazioni di Rubber Johnny sono la raffigurazione di un rapporto

sinestetico che è quindi il nucleo principale su cui il video si definisce e che vuole

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elaborre; non c’è altro, nessun ostacolo, nessuna frontiera: tutta la potenzialità del

video è focalizzata esclusivamente sulla sinestesia.

A prova del suo talento tra il 1997 e il 1999 Cunningham riceve svariati premi per i

video di Aphex Twin, Squarepusher e Portishead e nel 1999 vince il premio come

miglior regista di videoclip ai Music Week CAD (Creative and Design) Awards.

Inoltre, assieme ai registi Spike Jonz e Michel Gondry ha realizzato una fortunata

serie di DVD monografici dedicati a registi di videoclip, “Directors Label”: in uno

di essi sono stati raccolti i suoi migliori lavori. Le sue videoinstallazioni vengono

esposte in importanti esibizioni: tra le più celebri c'è Flex (2000) e Monkey

Drummer (2001) . Non solo, da talento polivalente quale è Cunningham ha anche

lavorato come DJ in personali performance che uniscono musica ed immagini.

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BIBLIOGRAFIA

[1] DARIO TROVATO, Musica ed immagine in 10 audiovisivi di Chris Cunningham,

Tesi di laurea in Scienze della comunicazione, a.c. 2004-2005

SITOGRAFIA

[1] Wikipedia: alla voce “Chris Cunningham”

[2] www.rubberjohnny.com

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3.2 L’IBRIDAZIONE CONTEMPORANEA

Riuscire ad avere una visione generale di ciò che sta accadendo nel nostro tempo è

una gara persa in partenza, non solo per il quantitativo di produzioni artistiche e i

progetti che sono nati negli ultimi anni grazie all’aumento del numero di artisti e alla

facilità produttiva a cui ci ha ormai abituato la tecnologia. In questo oceano creativo

solo il tempo ha la risposta riguardo a cosa è degno di essere ricordato, analizzato e

preso ad esempio. Quello che si può fare è cercare di capire quali strade stanno

prendendo gli artisti che nelle loro opere ricercano la sinestesia audiovisiva.

Bolpagni ci viene incontro affermando: “L’avvento del nuovo millennio ha registrato

[...] uno stupefacente moltiplicarsi di iniziative editoriali, espositive e “multimediali”

consacrate all’indagine delle relazioni tra musica ed arti visive nella

contemporaneità” 1.

E’ scontato che se il mondo della critica dell’arte ha deciso di dedicarsi nuovamente a

questo rapporto tra musica e immagine, dopo i fasti dell’epoca simbolista ed

espressionista a cavallo tra Otto e Novecento, è perché risponde al rinnovato interesse

degli artisti in questo campo. Senza dubbio l’incredibile avanzamento della

tecnologia degli ultimi 20 anni ha smosso un numero infinito di nuove possibilità a

cui gli artisti, paladini della sperimentazione, sono stati molto ricettivi. Le possibilità

di creare installazioni immersive in cui visioni e colori convivono, che potremmo

chiamare “ambienti sonorovisivi”, sono andate moltiplicandosi varcando anche i

confini di uno studio appositamente strutturato e approdando alla dimensione

casalinga. Mi riferisco alle possibilità date da programmi come eMotion,

Quartzcomposer, 4v, Max o la derivante open source Pure Data che, con il supporto

di pochi altri apparecchi, per un costo complessivo contenuto, danno la possibilità di

1 P. BOLPAGNI, Suono e arti visive. Un tema al centro della cultura contemporanea, in “Brescia

musica”, XX, 101, 2006, pag. 1

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creare ambienti virtuali interattivi, il che ha fatto esplodere un movimento di

sperimentatori senza eguale. La rete di internet è il secondo potente strumento su cui

si basa la rivoluzione moderna che, oltre a dare un idea della mole mastodontica di

sperimentazioni (basta fare una semplice ricerca per trovare migliaia di video in cui

ognuno documenta i propri traguardi), rende le sperimentazioni del singolo

condivisibili dalla comunità di internauti. Si può quindi definire che la nuova ricerca

artistica si è dotata di un secondo livello oltre a quello degli addetti ai lavori e che

soprattutto questo livello è spesso parimenti consapevole degli strumenti che utilizza

rispetto ai professionisti. Non solo, questo movimento, che si muove in maniera

informe non è composto dalle singole esperienze ma del loro agglomerato, come un

unica gigantesca nuvola creativa. E’ una massa di esperienze e capacità, piccole e

grandi, fatta di amatori ma anche di studenti e giovani artisti, che condividono

attraverso la documentazione video ma soprattutto attraverso una attiva

partecipazione sui forum o altri canali si interazione sostenendosi vicendevolmente.

In questo enorme magma di molteplici individualità il tassello mancante che uno non

riesce ad inserire nella propria opera, viene inserito da un altro generando una identità

creativa comunitaria, unica nel suo genere come mai si era visto nella storia. Una

realtà che ben si addice alle parole di G. Celant che così ci introduce nel mondo

dell’Artmix: “Oggi l’arte si fa con tutto, senza confini linguistici e territoriali.” 2. Un

discorso rivolto all’utilizzo indeterminato di tutte le tecniche espressive ma che vale

anche per l’idea di fluidità e dinamicità dell’arte contemporanea. D’altronde già nel

1971, nel suo libro Expanded Ciema, G. Youngblood aveva per primo utilizzato la

metafora dell’espansione come di un continuum che si estende fino all'uso del

computer come metamedium, macchina universale. Lo affermava per parlare di

videoarte e del mondo del cinema sperimentale e underground, al tempo arte di

avanguardia che quindi anticipava i processi e le dinamiche di ibridazione delle

discipline classiche e di quelle seguenti.

2 G. CELANT, Artmix, 2011, Milano, ed. Feltrinelli, pag. VII

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Considerare queste dinamiche è doveroso per rendersi conto in che contesto ci

troviamo e respirare questa aria nuova, sentire questa rivoluzione (che non si esprime

come rivoluzione a sé stante ma nel complesso della rivoluzione tecnologica) così

eccitante e ancora così giovane. Sopra questo mare rivoluzionario, in superficie, si

muovono ancora quelle figure dell’arte professionale legate ai circuiti più

comunemente conosciuti delle gallerie d’arte, delle Accademie, delle fondazioni, dei

musei e così via. La ricerca di una dimensione immersiva oggi, è figlia, attraverso

quelle degli anni ’60-’70 (come Dreamhouse), delle nuove esperienze degli anni

’20-’30; un riferimento obbligato il celebre Merzbau 3 di Kurdt Schwitters (1887 -

1948), una vera e propria installazione immersiva localizzata nello studio stesso

dell’artista che, come un essere vivente simbionte del suo autore, progrediva e si

evolveva nel tempo, alimentandosi di tutto ciò che Schwitters trovava per caso e che

costituiva per lui qualcosa di più o meno rilevante nella sua vita 4. Il visitatore si

immergeva letteralmente all’interno dell’opera, vi era immerso e la struttura era

talmente grande da ospitare anche delle “grotte”, come la “Grande grotta dell’amore”

o la “Grotta di Goethe”. Da Wagner a Skrjabin a Schwitters, alla Zazeela e La Monte

Young, il filo dell’opera immersiva li lega fino agli artisti di oggi.

Nel 2009, nell’affascinante struttura dell’Hangar Bicocca di Milano, Anthony Mccall

(1946) espone le sue sculture di Luce. Sul sito della rivista d’arte Exibart si legge:

”Proiettori appesi al soffitto e imprevedibili grammatiche di linee curve in

movimento. Il respiro geometrico di film di luce, resi solidi dal fumo artificiale. La

riduzione del mezzo cinematografico ai suoi minimi termini si scopre scultura

relazionale e collettiva...” 5

3 Il Merzbau è un’opera presente nella vita di Schwitters continuativamente dal 1923 fino alla sua

morte nel 1948. La prima versione, concepita ad Hannover, si concluse nel 1937, quando fu

distrutta dai bombardamenti e l’artista fuggì in Norvegia. La seconda versione, nei pressi di Oslo,

comincia nel 1937. Anche questa viene distrutta da un incendio. La terza ed ultima viene cominciata

nel 1947 in Inghilterra, ad Ambleside.

4 A.VETTESE, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea, 2010, Bari, Gius. Laterza &

figli S.p.a., pag.69

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Da una pellicola 35 millimetri, nel 1973, con Line Describing a Cone McCall

“... riduceva ai minimi termini - tempo e luce - il mezzo cinematografico e, per la

prima volta, lo faceva

esistere nello spazio

tridimensionale e non

solo su una piatta

superficie.” 5

Attraverso proiettori

appesi al soffitto e

macchine per la

produzione di fumo

McCall riesce a dare alla

luce una consistenza

solida e crea “camere di

luce mobile” che ribaltano la condizione fisica del visitatore da corpo solido a corpo

etereo nel momento in cui si trapassano le pareti di luce. Una esperienza intensa

accompagnata anche dall’uso di suoni che abbinati alla luce creano una sensazione

immersiva nello spettatore.

McCall non cerca la sinestesia ma dal vedere queste sculture e l’utilizzo così speciale

della luce ad immaginarsele in un contesto skrjabiniano il passo è breve e non scevro

di un entusiasmo fanciullesco. Skrjabin avrebbe voluto donare all’uditore/visitatore

una nuova dimensione liberatrice e metafisica,trascendente la realtà e che innalzi

l’uomo verso una condizione spirituale. Secondo l’intensità di questa visione si

comprende come fosse “concreta” l’immagine che egli aveva della musica e della

luce. E’ a questa concretezza che mi riferisco guardando le sculture di Mccall e

5 Stefano Mazzoni, Fino al 21.VI.2009Anthony McCall, Milano, Hangar Bicocca,

“Exibart” (versione web), 14 Aprile 2009, http://www.exibart.com/notizia.asp?

IDNotizia=27160&IDCategoria=57

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comprendo la pena di coloro che, esageratamente innovatori, hanno subito lo scarto

tra la propria visione e quella del mondo, che rimaneva indietro. Ora che forse la

tecnologia sarebbe pronta ad affrontare Skrjabin, egli non esiste più. E provo

rammarico immaginando le meraviglie a cui non potrò assistere e fantasticando, per

esempio su come avrebbe potuto essere il Mysterium... ma torniamo alla realtà.

McCall utilizza il suono (suoni spaziali) nelle sue installazioni ma lo fa giusto per

dare alle sue sculture una cornice sonora, tanto che neanche per la critica è necessario

menzionarle, sebbene qualcuno utilizzi aggettivi come perfette; “perfette” nel seguire

ubbidientemente il canone estetico delle installazioni ma assolutamente inutili da un

punto di vista comunicativo e di sostanza. Inutile esprimere il proprio dispiacere.

Secondo una prospettiva sinestetica infatti nelle sculture di McCall c’è un alto

potenziale, come si evince dal discorso precedente, ma McCall non sembra

interessato all’aspetto sonoro quanto a quello visivo e secondo me perde una rara

occasione.

Rimanendo nel contesto delle installazioni immersive non è possibile non menzionare

l’eccentrico artista americano James Turrell (1943) che ha fatto della luce il suo

elemento di stuidio, famoso per aver cominciato (e non ancora finito) nel 1974 un

enorme progetto, il Roden Crater Project 6, che punta a trasformare un cono

vulcanico (il Roden Crater appunto, situato in Arizona) in un monumento alla

percezione in cui fare sperimentazioni dedicate alla luce.

Egli è maestro indiscusso nell’uso della luce, elemento esclusivo di studio sin dai

suoi esordi con le Cross Corner Projections ed alla percezione di questa. E’

importante ricordare infatti i suoi studi di psicologia percettiva e le collaborazioni

(con psicologi) di cui si serve durante le fasi di progettazione. E’ interessato alla

6 Nel sito del Dipartimento di Progettazione Architettonica Iuav di Venezia è possibile vedere una

ricostruzione virtuale del Roden Crater all’indirizzo: http://www2.iuav.it/dpa/video/2007/

turrell_animazione/turrell_animazione.html

7 The Matrix, dir. Lana e Andy Wachowski, 1999, USA - Australia, Warner Bros

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fisicità della luce, come materiale modellabile, ed elimina gli oggetti, la forma, la

narrativa verso un approccio purista. La luce e la sua percezione come linguaggio

universale; forse è proprio questo elemento di studio, comune alla percezione di ogni

uomo e la mancanza di una precisa cultura di riferimento, che dà alle sue opere la

possibilità di girare il mondo ed essere comprese da chiunque. Crea ambienti

luminosi dove il visitatore viene catapultato improvvisamente in una dimensione

immateriale, estremamente eterea dove sembra perdersi, come in alcune sequenze del

film Matrix 7, in una realtà di sola luce; è il caso dell’installazione Ganzfeld,

composta di una camera bianca, intonsa (tanto che per entrarvi si è obbligati togliersi

le scarpe ed indossare ciabatte di plastica) a cui si accede attraverso una scala

discendente e che si apre verso una seconda camera (in cui non è possibile entrare a

causa di un dislivello) composta di sola luce violacea (o almeno così la si percepisce)

in cui lo sguardo, senza più punti di riferimento, si perde, prima iper-stimolato e

stressato dalla mancanza di riferimenti reali e poi perso in una riposante ed

affascinante trans-visiva che poi coinvolge tutto il corpo e la mente e porta ad una

rivelazione. Turrell, insieme a Robert Irvin e allo psicologo della percezione Edward

Wortz, ha cominciato a lavorare agli spazi ganzfeld dal 1968; questo termine tedesco

significa “Campo Totale” e indica una particolare situazione percettiva nella quale

non è possibile cogliere limiti e dimensioni dello spazio fisico che si sta osservando.

E’ un’esperienza che si perde nella storia e che coinvolge studiosi come Etiénne-

Louis Boullée, che aveva compreso le proprietà illuministiche della sfera cava (la

perferzione ganzfeldiana) già più di duecento anni fa, o Newton che mise in pratica il

ganzfeld col suo Cenotafio. Lo studio del posizionamento e della tipologia delle luci

è all’avanguardia non tanto da un punto di vista tecnico, ma di concezione; la luce è

talmente uniforme che è impossibile distinguerne i punti di sorgente, quasi secondo

una concezione wagneriana in cui la musica (per Turrell la luce) è una voce

avvolgente e misteriosa, senza una provenienza concreta, quasi una musica

dell’animo. Nella pratica si tradusse nella buca, in cui nascondere l’orchestra, e

nell’ineguagliabile acustica del teatro di Bayreuth. E’ ciò di cui parla anche Francesco

Murano, light designer, docente al Politecnico di Milano e membro del gruppo

artistico Agon, riguardo la sua ricerca sulla luce, verso lo spazio etereo del ganzfeld:

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la luce, uniforme e senza una fonte percepibile, illumina lo spazio in maniera che i

piani che delimitano angoli e spigoli non presentano una diversa luminanza, dove la

luminanza è la quantità di luce riflessa da una superficie nella direzione di chi la

osserva. Turrell fa lo stesso: nasconde le sorgenti e crea una camera in cui il colore

possa riflettersi creando una “nebbia violacea” senza consistenza. Ecco le visioni

luminose, le estasi cromatiche a cui anelava Skrjabin. Finalmente.

E infatti Turrell lo cita, esaltandone la ricerca sinestetica e l’intuizione, menzionando

il Clavier Lumier, ispirato dalla sua visione metafisica e spirituale. 8

Turrell si spinge oltre quindi oltre l’installazione e crea le Perceptual Cells, celle in

cui il visitatore entra prova la più sconvolgente esperienza sensibile. Si era già parlato

delle Perceptual Cells nei capitoli precedenti. Qui muovo una critica, sempre con uno

sguardo alla sinestesia. Sembra però mancare in questi lavori una relazione biunivoca

tra suono e colori. Se Skrjabin, Klee, Kandinskij o Veronesi si sono impegnati a

trovare una legge di corrispondenza, che fosse scientifica o meno non interessa,

Turrell si è imbattuto nello stesso errore in cui cadde Laszlo Moholy Nagy cento anni

prima, ovvero quello di lasciare la sfera sonora nelle mani di un’altra identità

sensibile causando l’incoerenza dell’opera. Avvalersi di collaborazioni è un cardine

estremamente positivo della cultura artistica contemporanea e siccome l’onniscienza

è un male dal quale è bene guardarsi e l’arte contemporanea, come insegnano Celant

e Vettese, si avvale di diversi linguaggi, affidarsi ad altri artisti nei campi di non

competenza è prova di consapevolezza e intelligenza progettuale. C’è però differenza

tra collaborare e delegare. L’uso del suono in questa opera sembra servire solo un

utilizzo estetizzante poco indovinato poiché decontestualizzato dall’uso della luce.

Ed è un peccato, come per McCall, poiché anche in questo caso ci si trova di fronte

8 Intervista a J. Turrell e R. Andrews in occasione dell’esibizione del 2011 al Garage Center for

Contemporary Culture, http://www.youtube.com/watch?v=vyhwhdi_j-Q. Invito anche a guardare

l’ultimo capitolo, dedicato all’artista della serie “Spirituality”, prodotta dalla PBS

http://www.pbs.org/art21/watch-now/segment-james-turrell-in-spirituality

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ad un opera di fortissimo impatto e di ancora più incredibile potenziale: “Cos’è il

mondo reale? è un mondo che assembliamo attraverso il consenso, e qui (nelle

Perceptual Cells n.d.a.) il consenso cambia.” 9 Johnathan Jones lo definisce un

“viaggio mentale incredibile”

e sul sito del quotidiano

britannico The Guardian

scrive:

“Poi ho visto un ambiente

urbano con vertiginosi

grattacieli senza la terra sotto.

Tutte queste forme e volumi

che pulsano e si trasformano

sono definiti dai colori che

cambiano convulsamente – i

verdi e rossi più intensamente saturati che potete immaginare, colori che sembrano

solidi, poi esplodono in microscopici bagliori arancioni, neri, dorati e bianchi

nebbiosi; tutte queste bolle di colore e ronzii ad una velocità da capogiro, come se si

stesse in un acceleratore di particelle. Ma la parte più importante di questa

esperienza è che non si sa cosa sia dentro e cosa fuori dalla propria mente.” 9

Le prospettive future lasciano intravedere un meraviglioso mondo di tecnologia atta a

creare ambienti sinestetici reali/virtuali interattivi dove il fruitore diventa

protagonista (come già succede) di un’opera immersiva capace di rispondere agli

stimoli, per lo più motori, dati dall’utente. Dalle esperienze musicali di Laurie

9 THE GUARDIAN (versione web), 17 Novembre 2010, articolo “Warning: art that will blow your

mind. James Turrell's Bindu Shards at the Gagosian Gallery in King's Cross is an optical voyage

that will turn your head inside out”, http://www.guardian.co.uk/artanddesign/jonathanjonesblog/

2010/nov/17/bindu-shards-james-turrell-gagosian

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Anderson (1947) negli anni ’80, con le sue “armature sonore” interattive,

all’ambiente immersivo di Dreamhouse (1963, tutt’ora in corso) e procedendo con

l’Expanded Cinema fino alle installazioni di Turrell e McCall e ai progetti interattivi

casalinghi della moltitudine internautica e a quelli dei gruppi artistici come Studio

Azzurro o Agon o a quelli che utilizzano la nuova tecnologia del mapping (proiezioni

di video - animazioni o riprese- su costruzioni architettoniche).

Agon è un gruppo artistico e centro di produzione che si occupa della ricerca e della

sperimentazione musicale attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche,

elettroniche e multimediali. Risiede a Milano e ha collaborato anche con il teatro

Piccolo di Milano dove nel febbraio 2013 è stata utilizzata una macchina capace di

riprodurre sorgenti sonore e spazi virtuali attraverso un vero e proprio “rendering

audio”, generando un campo sonoro fruibile per un’ampia zona di ascolto. La

macchina è stata costruita con il supporto del sound designer Huber Westkemper,

socio fondatore di Agon e docente presso l’Accademia di Belle Arti e la scuola

teatrale del Piccolo a Milano, che afferma “Sono convinto che il suono, generalmente

confinato negli ambiti della semplice tecnica, abbia molte potenzialità ancora da

scoprire. Attraverso la WFS è possibile arricchire l’apporto sonoro di inventiva e

tridimensionalità in modo da conferire alla tecnologia uno spessore più denso di

significati e una sua valenza anche drammaturgica.” 10

Le sperimentazioni in campo teatrale sono uno dei capisaldi del gruppo che tende,

sulla scia storica wagneriana, a creare ambienti polisensoriali in cui soprattutto la

musica, o il suono, e lo spazio entrano in connessione attraverso una corrispondenza

diretta. Nello spettacolo teatrale Turing a staged case history la volontà è quella di

creare un linguaggio unico attraverso il computer (riferendosi al lavoro di Turing

Agon ha deciso di generare ogni elemento artistico digitalmente) e per fare questo ha

10 H.Westkemper, cit. da www.agonarsmagnetica.it : http://agonarsmagnetica.it/corsi/wavefield-

synthesis/#.UTa4-IWB62w

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impiegato una tecnologia all’avanguardia che permettesse la condivisione dei dati

informatici di ogni linguaggio (musica, suono, video, luce, parola e movimento) e la

loro miscelazione. Ogni linguaggio si relaziona alle apparecchiature elettroniche e

condiziona i dati e i parametri su cui si basano gli altri linguaggi così che la parola e i

movimenti dell’attore condizionano suoni e musica ed immagini, i suoni

condizionano le immagini, le immagini i suoni e così via.

Sempre nell’ambito di Agon, Francesco Murano insegue l’idea di Ganzfeld nelle sue

sperimentazioni di luce. Nel 2006, in occasione del Cosmo prof di Bologna, realizza

un’installazione (per promuovere il profumo di un noto stilista italiano) in cui i sensi

dell’olfatto e della vista si mischiano insieme. Si tratta di una piccola cupola in

acrilico opalino in cui le persone inseriscono la testa e vengono inebriate di profumo,

sentono una leggera musica mentre il colore all’interno della cupola cambia. Essendo

questa una superficie curva retroilluminata non è possibile avere punti visivi di

riferimento, si tratta di un Ganzfeld, come afferma lo stesso Murano: “L’interno di

una sfera rappresenta il volume primario già di per sé conformato per essere

utilizzato come Ganzfeld” 11. Al momento Murani vorrebbe creare un ganzfeld totale

12 di dimensioni notevoli, capace di accogliere gruppi di cinquanta persone. Infatti per

Murani è molto importante l’aspetto partecipativo nella fruizione dell’opera d’arte:

ritenendo che l’arte è un modo bello ed efficace per vivere la collettività e per la

quale la comunicazione è tutto, l’arte esige la compartecipazione di più individui in

11 Luce che si fa vedere, luce che fa vedere. Il Ganzfeld di Francesco Murano, Intervista di J.

Ceresoli a Francesco Murano, sito web di “Canale energia”, http://stilodev.medialayer.net/sviluppo/

luce-che-si-fa-vedere-luce-che-fa-vedere-il-ganzfeld-di-francesco-murano-int

12 “Sono totali i Ganzfeld nei quali tutte le pareti presentano la stessa luminanza e il Ganzfeld

totale perfetto è una sfera cava osservata dall’interno ed uniformemente illuminata, sono parziali i

Ganzfeld che presentano almeno due piani con differente luminanza, in questo caso l’effetto

Ganzfeld si ottiene solo se i piani non rientrano simultaneamente nel nostro campo visivo.” cit.

dall’intervista di J.Ceresoli

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maniera tale che aumenti il valore della consapevolezza dell’esperienza. Da tempo

Murani è interessato a questo argomento, a cui infatti dedica un lavoro nel 1994:

Moss Wal, che indaga la differenza tra l’osservazione dell’opera da soli o insieme ad

altre persone e sulle sensazioni che si sviluppano in queste situazioni.

La tendenza oggi è quindi quella di far incontrare le diverse modalità artistiche, dove

la ricerca estetica e sottilmente psicologica degli spazi immersivi incontra la

dinamicità ed il tecnicismo delle installazioni interattive sperimentali verso un tipo di

installazione ibrida immersivo - interattiva pronosticata dal Mysterium di Skrjabin

che prevedeva un incontro tra tutte le discipline artistiche in uno spazio apposito dove

i protagonisti dell’evento - spettacolo erano gli stessi spettatori secondo una visione

che anticipava l’interattività di quasi settanta anni.

Se si vuole capire e conoscere meglio la direzione verso la quale stiamo andando, un

ottimo modo è quello di prendere parte ai molti festival che vengono organizzati sia a

livello internazionale che Italiano.

Per esempio la rassegna Luce d’artista si tiene a Torino ogni anno, come anche

l’evento multimediale Il corpo, la luce, il suono del Dipartimento di Musica e Nuove

Tecnologie del conservatorio Cherubini di Firenze. Un interessantissimo festival

dedicato alla sinestetica, e il MuVi Festival (visitabile sul sito www.sinestesie.it),

viene organizzato ogni anno in Spagna e prevede la partecipazione di chiunque,

soprattutto studenti, abbia materiale audiovisivo inerente al tema della sintesi

sinestetica tra i diversi linguaggi artistici e che prevede la pubblicazione di un

interessante catalogo comprensivo di CD-ROM sul quale sono visibili i lavori delle

varie edizioni.

Un festival imperdibile per conoscere le nuove tendenze tecnologiche applicate

all’arte è l’annuale Transmediale che, nei mesi invernali, si “insedia” letteralmente

Berlino, occupandola con attività, rassegne ed eventi di ogni tipo.

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BIBLIOGRAFIA

[1] P. BOLPAGNI, Suono e arti visive. Un tema al centro della cultura

contemporanea, in “Brescia musica”, XX, 101, 2006

[2] G. CELANT, Artmix, 2011, Milano, ed. Feltrinelli

SITOGRAFIA

[1] Wikipedia: alla voce “James Turrell”

[2] Sito di Canale energia, Luce che si fa vedere, luce che fa vedere. Il Ganzfeld di

Francesco Murano, Intervista di J. Ceresoli a Francesco Murano

http://stilodev.medialayer.net/sviluppo/luce-che-si-fa-vedere-luce-che-fa-vedere-il-

ganzfeld-di-francesco-murano-int

[3] www.agonarsmagnetica.it

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3.3 INTERVISTA CON FRANCESCO BOSSAGLIA

(4 Marzo 2013)

Francesco Bossaglia è il fondatore del progetto Ensemble Sinestesia presentato dalla

Fondazione Gioventù Musicale d’Italia, un nuovo progetto musicale unico nel suo

genere in Italia che vede la musica come elemento unificante in aperto dialogo con

ogni campo del sapere umanistico e della conoscenza filosofica e scientifica e che

svolge la sua attività in luoghi non propriamente deputati all’attività concertistica,

attraverso affinità, rimandi e ponti tematici o semplicemente assecondando l’impianto

narrativo con una suggestione musicale.

Nel Marzo 2013 il progetto Ensemble Sinestesia ha portato al Planetario di Milano un

concerto multidisciplinare che vuole essere un viaggio alla scoperta delle stelle,

dell'universo e delle ultime scoperte dell'astrofisica con alcuni contributi a cura di

Fabio Peri, responsabile scientifico del Planetario di Milano; un viaggio nel quale

astronomia e musica si arricchiscono a vicenda, attraverso le suggestioni musicali di

alcune rare partiture del repertorio musicale novecentesco eseguite dall’Ensemble

Sinestesia GMI: The Unaswered Question di Charles Ives, Atlas Eclipticalis di John

Cage, Appel Interstellare di Olivier Messiaen e la versione cameristica della Creation

du monde di Darius Milhaud.

Fonti: www.jeunesse.it;

www.modaeventiexpo.it/sinestesia.shtml

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• Ciao Francesco. Grazie innanzitutto di avermi dato la possibilità di farti questa

intervista.

Ci mancherebbe, grazie a te.

• La prima domanda che ti pongo è questa: esiste una legge di corrispondenza tra

suono ed immagine?

E’ una domanda difficilissima. Però quello che penso è che se esiste un qualche

genere di legge o di rapporto simil - scientifico tra immagine e suono questo riguarda

non tanto l’autore che concepisce l’opera quanto il fruitore.

La musica ha preso delle strade che molto presto si sono associate all’aspetto visuale.

Per esempio nella storia dell’opera: l’opera, da Monteverdi in poi, associa la musica

ad un aspetto visuale, scenico, di narrazione visiva. Questa è la premessa. La cosa

importante da sottolineare in ambito musicale è che la musica nasce sempre come

esperienza sinestetica, legata al gesto del musicista che ne costituisce l’aspetto

visuale. Storicamente non esiste la fruizione della musica solo attraverso il canale

dell’udito: fino all’avvento della registrazione la musica esiste come fatto dal vivo e

quindi aveva obbligatoriamente una componente visuale. Questo oggi sfugge perché

siamo in un era di riproducibilità e attraverso la registrazione possiamo fruire della

musica sotto forma di oggetto indipendente dal contesto.

• Questa relazione naturale tra aspetto visivo e musica è applicabile anche alle

nuove grafie musicali degli anni ’50, a Cage e Bussotti, dove la musica risiede

nella rappresentazione visiva e non più in una notazione standardizzata?

Quello è un altra cosa ancora secondo me. Riguarda più compositore ed esecutore.

Nel senso che In questo caso il fruitore non vive necessariamente questo aspetto,

queste partiture bellissime che diventano quasi opere d’arte.

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• Nello spettacolo Dialogo con l’Universo tra musica e parole avete riprodotto il

lavoro di Cage Atlas Eclipticalis...

Il motivo per cui fa questa operazione è che lui ha sempre professato e applicato la

rinuncia alla volontà del compositore. Questo fatto che i compositori esprimono una

volontà scegliendo e scrivendo varie note per varie ragioni lui la rifiuta e dice: i suoni

e certe strutture sono già presenti nella natura e quindi io rinuncio a questa volontà e

lascio che sia un altro criterio che porta alla scelta delle note. In questo caso lui prede

la mappa, sovrappone i lucidi e la scelta delle note non esiste più, le note sono già li.

Poi naturalmente lui decide a quali strumenti affidare certo note ma sono sempre

processi piuttosto casuali.

• Avete quindi deciso di mantenere la casualità di questo lavoro...

Ma assolutamente si perché non è un brano controllabile, il modo in cui i musicisti

mettono le note nello spazio è arbitrario, ognuno ha il proprio modo di distribuirle nel

tempo ed è sempre diverso naturalmente, non è controllabile. E’ l’idea forte di questo

brano che tra l’altro parte da un approccio sistematico, perché utilizza delle strutture

scientifiche (la mappa delle stelle è un apparato scientifico). L’effetto poetico poi è

fortissimo perché spazializzando gli strumenti, cioè mettendo gli strumenti nello

spazio, ti senti circondato da queste piccole entità sonore che non sono altro che

rappresentazioni sonore delle costellazioni. E’ estremamente riuscito dal punto di

vista poetico.

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• Oltre alle situazioni immersive, hai lavorato anche con altri linguaggi artistici?

Lavoro per il conservatorio di Lugano, ogni anno c’è una grande produzione che

coinvolge la scuola teatrale Dimitri di Verso e il dipartimento di comunicazione

visiva dell’università di Lugano (SUPSI) e ogni anno mettiamo in scena spettacoli

con componenti teatrali. Due anni fa abbiamo fatto il suono giallo di Kandinskij che

parlando di sinestesia è uno dei pezzi più emblematici. Lui si immaginava suoni e

luci, tutto collegato in un unico, un passo oltre Skrjabin. Oggi in ambito musicale sul

video si sta facendo tantissima sperimentazione, innanzitutto perché nonostante

tecnicamente sia un grosso impegno, è molto più agile della scenografia fisica. Oggi

si sta sviluppando un artigianato di scenografia virtuale molto avanzato, si lavora con

le tecnologie di interazione e tantissimo video. Questo infatti ha i tempi della musica

e della società di oggi. Un cambio di scena teatrale richiede un tempo di realizzazione

che non è quello del cinema, della televisione. Oggi è questa la strada che si sta

sviluppando di più, su cui io lavoro di più.

• Tornando alla domanda precedente, ti trovi meglio a lavorare in un ambiente di

linguaggi artistici ibridi piuttosto che con un linguaggio determinato?

Non penso che ci sia una risposta precisa perché è un ambito in continua evoluzione.

Se parliamo di sinestesia, siccome la musica ha da sempre una fruizione sinestetica è

inevitabile che oggi continuiamo a relazionarci col visuale. Se in altri ambiti gli

esperimenti sono piuttosto limitati, parlando olfatto e tatto, invece il visuale è

continuamente associato alla musica, ed è naturale che si sviluppi in quella direzione

anche la sperimentazione.

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• Nella mia tesi ho ipotizzato che il rapporto sinestetico tra suono e immagine sia

scomponibile in quattro elementi costitutivi: forma, colore, suono e ritmo. Dove i

primi due costituiscono l’immagine e il ritmo è l’anello di congiunzione tra i primi

tre elementi. Ti trovi d’accordo con questa ipotesi?

Mi sembra che la parola chiave di un analisi di questo genere è proprio il ritmo,

perché questo è un elemento comune alla musica e a qualsiasi cosa che si sviluppa in

maniera visuale dal momento che mette in relazione gli eventi col tempo. Questa

secondo me è una chiave molto forte di lettura dell’opera sinestetica perchè i codici

sia visuali che musicali possono essere tradotti secondo la loro scasione nel tempo. Il

ritmo diventa sviluppo, durata. Quindi questa analisi mi sembra assolutamente

veritiera. Per questo l’opera sinestetica riuscita costituisce un unico, un oggetto

unico, un corpo unico perché ha questo denominatore comune dello sviluppo nel

tempo.

• Quali sono le prospettive future per l’opera sinestetica in una contemporaneità che

si muove tra ibridazione dei linguaggi, interattività, nuove tecnologie?

Secondo me le linee, le nuove tecnologie che vengono coinvolte sono queste: il video

editing, che si sta facendo sempre più raffinato e le tecnologie di interazione che è

l’ambito in cui si sta facendo di più. Partendo dall’aspetto visuale oggi si sta

sperimentando molto con il video, il light design e le tecnologie di interazione in

tempo reale, gestuale, un esempio sono le installazioni in cui, mappando le parti del

corpo umano e a seconda del loro movimento si creano determinati processi. Gli altri

sensi sono coinvolti solo in maniera episodica ma non escludo che si possa pensare

ad esperienze più tattili soprattutto nell’ambito delle installazioni. Se si considerano

certe installazioni che hanno una componente sonora, musicale e visuale spesso

hanno anche un che di relazione fisica col fruitore.

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• Ma appunto non pensi che l’installazione immersiva sia più adatta alla sinestesia

rispetto al video?

Dipende quale è l’obiettivo dell’opera. Sicuramente per avere una esperienza

sinestetica totale che coinvolga sensi che non siano l’udito e la vista bisogna pensare

più in piccolo appunto a livello dell’installazione, per un problema di fruizione.

Invece, in un grande concerto, un opera o qualsiasi spettacolo di teatro musicale si

coinvolge una quantità di pubblico che non permette una fruizione fisica tattile

dell’evento. Per questo l’installazione può essere, dal punto di vista della sinestesia, il

metodo più riuscito.

• però il video dalla sua, come dicevi, ha una dinamicità diversa...

Il video è il simbolo della nostra civiltà, non possiamo sfuggire da questo fatto. Il

ventesimo secolo, dall’avvento del cinema e poi (non ne parliamo) della televisione

ha trasformato la civiltà in una civiltà visuale, che noi lo vogliamo o no. Mi sembra

quindi naturale che usiamo i mezzi del nostro tempo per comunicare e oggi,

nell’ambiente musicale, c’è proprio una corsa a lavorare col video, a volte con esiti

veramente discutibili, proprio perché c’è questo sentimento che porta a ritenere che il

video è cruciale per chi vuole comunicare.

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3.3 INTERVISTA CON MASSIMO MARCHI

(7 Marzo 2013)

Massimo Marchi è un musicista, docente di psico acustica, sperimentatore di musica

elettronica e membro del gruppo artistico Agon che si occupa di nuove tecnologie

nell’ambito dell’interazione audio-video. Con Agon ha lavorato a spettacoli teatrali

all’avanguardia come Turing, a staged case history andato in scena al teatro Piccolo

di Milano nel febbraio 2013 o installazioni come la serie Audioscanner che studia la

natura dei rumori spaziali di determinati ambienti rielaborandoli in soluzioni

audiovisive ed in alcuni casi anche interattive.

• Un lavoro artistico può essere composto da immagini e suoni ma non essere

sinestetico, cosa fa di un’opera, un’opera sinestetica?

Il problema è molto complesso. La risposta più semplice potrebbe essere che i due

tipi di piani, i due mezzi, immagini e suoni, sono pensati entrambi

contemporaneamente in un unico risultato espressivo.

Questo unico risultato espressivo può essere raggiunto da :

Un unica e storica persona: l’artista, che pensa sia per immagini che per suoni;

Un team di artisti: per cui il risultato non è più paragonabile a un’opera d’ arte come

è stata intesa fino ad una cinquantina di anni da, ma non è da escludere che

comunque anche in questo caso si possa avere un ottimo risultato sinestetico a

posteriori cioè nel caso in cui un artista aggiunge degli elementi ad un’opera audio o

video già esistente e la sua forza è tale da eguagliare il lavoro dell’artista autore. Così

anche se il lavoro non è il risultato di un’unica persona, oppure è stato realizzato da

un team di artisti che lavorano temporalmente separati, l’unico modo per giudicare è

quello di analizzare l’ opera a posteriori.

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• Gli artisti che lavorano sulla stessa opera dovranno quindi avere una sinergia

tra di loro...

Assolutamente... è però molto difficile giudicare cosa è coerente e cosa no. Per poter

giudicare la coerenza dell’operato di due artisti diversi che collaborano ad un’unica

opera vengono utilizzati criteri non per forza oggettivi, ad esempio, prendendo in

considerazione anche un solo media (la musica): ci sono lavori formati da più parti

messe insieme, come una sonata o una sinfonia, in cui svariati pezzi musicali, tre o

quattro, come le suite del seicento, sono formati da una successione di brani musicali.

Perché questi brani stanno bene insieme e perché non sono intercambiabili non è

definibile con criteri razionali... magari oggettivi sì, ovvero si sente che se si

invertono i tempi questi non stanno per niente bene; per esempio non si può

scambiare il secondo tempo della terza con il secondo tempo della settima di

Beethoven, ci vuole proprio quel secondo tempo lì. Per cui giudicare che cosa è o no

coerente è un po’ difficile. Diciamo che se uno ha sviluppato un po’ di esperienza e

una grossa personalità artistica ha un giudizio molto più infallibile da quanto possa

risultare da un’analisi critica.

• Potrebbe essere una critica che si basa semplicemente sulla sensibilità? come

potrebbe essere quella di un fruitore ignorante che percepisce il messaggio

dell’artista, contenuto nell’opera, per via empatica?

Anche qua è difficile dire se lo spettatore deve essere preparato o no culturalmente

per capire quello che vede o sente. Anche se il tipo di empatia è più irrazionale, di “

sentimento”, il mittente ed il ricevente devono condividere determinati punti, perché

se non si condivide niente la comunicazione non avviene. Una persona può per

esempio scrivere belle frasi in francese ma se l’ interlocutore non sa il francese i due

non si comprendono, anche ad un livello base che non comprenda chissà quali

discorsi filosofici. Quindi per comunicare è importante che ci sia un minimo di

sintassi in comune!

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• Passando all’esperienza di Agon e in particolare a quella dell’opera

“Audioscan”: perché avete voluto creare un video che consentisse di

visualizzare i dati di analisi del suono?

Quell’installazione aveva due livelli: il primo era l’ascolto diretto dei suoni

campionati delle vie di Milano: suoni e rumori riconoscibilissimi. Il secondo livello

di ascolto comprende tutti quei suoni campionati trasformati per via elettronica che

diventano elementi timbrici di una installazione o di una composizione musicale. Il

livello di astrazione era talmente superiore che ci sembrava giusto darne una

rappresentazione visiva per esorcizzare il rischio di creare un lavoro troppo

intellettualizzato. Inoltre, essendo quella una ricerca sulle possibilità della

rielaborazione digitale rischiava di rimanere confinata nell’interesse degli addetti ai

lavori: con una rappresentazione visiva la fruizione si poteva allargare ad un pubblico

più vasto. Il terzo motivo è il legame strettissimo tra suoni della città e l’immagine

della strada: abbiamo così interiorizzato questi suoni che automaticamente

visualizziamo lo spazio urbano e quindi c’era la necessità di creare questo legame

visivo anche per la rielaborazione sonora.

• Parlando dello spettacolo “Turing a staged case history”, in cui i vari linguaggi,

attraverso l’informatica, condividono gli stessi dati e si condizionano, secondo

quali criteri sono state impostate le corrispondenze tra i diversi medium?

Se c’ era l’ attore in scena erano principalmente i movimenti dell’attore che

comandavano sia l’immagine che il suono. In altri momenti in cui non c’era l’attore

era la musica che comandava il video, ma non è mai capitato il contrario, ovvero che

il video comandasse la musica.

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Quello che i medium hanno in comune sono i messaggi di controllo: per esempio

attraverso un gesto si producono dei dati e l’ immagine e il suono si basano su questo

seguendo una propria sintassi, è impossibile che io faccia un movimento legato al

suono e che la traduzione sia pari pari la stessa per l’immagine o il contrario, proprio

perché sono linguaggi diversi. Quindi quello che i linguaggi devono avere in comune

non è tanto il movimento quanto l’intenzione che c’è dietro e questa controlla

entrambe, però successivamente l’immagine e il suono procedono secondo i propri

linguaggi perché a livello percettivo ci sono delle cose che non si possono fare perché

vanno contro la struttura e le capacità degli organi sensitivi: non si può trasportare

pari pari un’azione che funziona per l’immagine nel suono perché l’ orecchio

funziona in modo diverso dall’occhio.

• Quindi il criterio di correlazione è l’intenzione?

Si, che sono appunto i messaggi di controllo, come i movimenti dell’attore.

Facciamo una distinzione: poniamo che un determinato movimento dell’attore faccia

tendere il suono al volume zero: si tratta di un parametro che descrive il suono da un

punto di fisico. Dal punto di vista percettivo invece, ovvero della psicoacustica, al

variare di un unico parametro fisico corrisponde una moltitudine di parametri

percettivi. Per esempio se cambio l’altezza di un suono, non sento solamente un

cambio di volume ma anche un cambio di intonazione. Il collegamento tra parametri

fisici e psichici è proprio il nostro (Agon - n.d.a.) campo di indagine. Per cui,

tornando alle corrispondenze nello spettacolo su Turing, il parametro comune ai

media è il metodo con cui i messaggi di controllo vengono scambiati.

• E’ molto complesso...

Si è complesso. Diciamo che immagini e suono devono comunque seguire le leggi di

percezioni del singolo senso e devono anche avere un senso globale. L’unica maniera

perché questo avvenga è avere un elemento dominante, un elemento guida. Nel caso

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in cui è presente l’attore che parla c’è poco da fare: questo diventa l’elemento

dominante, se questo non c’è magari l’elemento guida diventa il suono, ma

tendenzialmente c’è sempre un elemento che ha la priorità. Quindi si possono

alternare i processi di accumulazione e distensione attraverso diversi media: suono,

immagine e azione dell’attore che entra a far parte della costruzione espressiva e

formale dell’opera tanto quanto il suono e l’immagine.

• Lei faceva l’esempio della corrispondenza movimento dell’attore - volume del

suono...

E’ una relazione molto semplice e abbastanza comprensibile. Non è detto che questa,

utilizzata una volta, sia poi così espressiva e dia un elemento strutturale che poi

diventa banale nella proposizione.

• Quindi una legge corrispondenza universale, concludendo, non esiste?

La corrispondenza precisa la si può avere solo in termini fisici: cioè il suono è una

variazione della pressione dell’aria caratterizzata da tre grandezze fisiche: pressione

(che si misura in Pascal o in decibel attraverso una conversione logaritmica) -

frequenza (quante volte viene ripetuta in un’unità di tempo nell’oscillazione

periodica) – fase (che è un altra grandezza legata all’ampiezza istantanea) e queste

sono esprimibili come modelli matematici di un’analisi di un processo fisico. Questo

non ci dice niente relativamente il suono ma descrive solo una variazione di pressione

dell’aria. L’uomo, a questa variazione, dà il nome di suono e come noi percepiamo

queste grandezze fisiche è un altro paio di maniche. Per esempio se l’ampiezza è

eccessiva non sentiamo più un suono ma dolore, oppure paura, mentre la grandezza

fisica rimane la stessa. A secondo di come varia questa grandezza fisica percepiamo

cose notevolmente diverse. Anche l’immagine è descrivibile attraverso modelli

matematici. Le connessioni tra immagine e suono possono dunque essere fatte

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attraverso i modelli matematici. Il problema è che non hanno nessun senso a livello

percettivo perché noi nn percepiamo questi parametri fisici in maniera indipendente

l’uno dall’altro e questi non danno univocamente un'unica percezione: uno stesso

parametro, a seconda del valore che ha, corrisponde a diverse percezioni. Per cui si

possono fare correlazioni tra i parametri fisici ma poi quello che si vede e si sente non

ha nulla a che vedere con queste.

Perché il lavoro abbia un senso bisogna correlare i parametri percettivi, ed è molto

complicato come questi parametri percettivi si correlano con quelli fisici. Quindi

devo lavorare a livello percettivo. Ad esempio: voglio creare un immagine in cui sia

visibile tutta la gamma dei colori con una variazione graduale; se imposto una

variazione regolarissima a livello dei parametri fisici, percettivamente vedrò il rosso

per 1 secondo, il verde per 10 secondi, il blu per uno. Questo perché i colori, per

l’occhio, hanno determinati pesi diversi: per ottenere una variazione graduale,

controllando la variazione attraverso il pc o con un gesto, non devo fare

assolutamente un gesto naturale ma relativo al peso del colore che controllo in

quell’istante. Per esempio: se faccio un gesto velocissimo, poi lento e poi velocissimo

di nuovo gli occhi vedranno una cosa incredibilmente omogenea; se invece il gesto

invece lo faccio omogeneo, percettivamente le variazioni saranno molto veloci.

Quindi dobbiamo partire da un’analisi percettiva e poi conseguentemente adattare i

parametri fisici perché attraverso la tecnologia, nella generazione del suono e

dell’immagine, controlliamo solo questi ultimi. Non si può dire al computer:

“Generami un suono brillante che poi diventa scuro...”, bisogna agire attraverso

parametri matematici. Questo è il vero problema nell’utilizzo della tecnologia.

Un artista che crea l’opera attraverso parametri digitali gestisce parametri che sono

diversi da quelli percettivi che siamo abituati a controllare.

• Immagine poi che un altro problema è il fatto che la percezione di un individuo

dipende anche dalla sua soggettività...

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C’è una regola precisissima che ci permette di superare le barriere grammaticali e

culturali: io posso scrivere una musica che può essere ritenuta non bella e non si

capisce (per esempio la musica occidentale per un cinese è incomprensibile e

viceversa) ma allora si parla di strutture ad alto livello che si riferiscono

all’organizzazione dei suoni ed al senso che gli si dà. Però se supero una certa

intensità il suono si trasforma in dolore per tutti, sia per l’occidentale che per

l’orientale, perché ciò dipende da come è organizzato l’orecchio e non da come è

organizzato il mio pensiero musicale. L’orecchio funziona allo stesso modo per tutti e

non è un fatto culturale ma un fatto biologico. Per cui ci sono certe regole di base,

regole di psicoacustica, da cui non si può prescindere. La percezione ha determinate

regole per cui non è soggettiva, è il senso che si dà a determinati stimoli che dipende

da fattori culturali e personali.

Poi il livello emotivo e di comprensione dell’opera è soggetivo, ma questo è anche il

bello dell’arte: sono comprensibili su più piani e ognuno trova soddisfazione sul

piano che riesce a comprendere. E’ questa la forza intrinseca per cui ancora oggi si

suona la musica del ‘500 e del ‘700 o si guardano i film di cento anni fa… perché

vanno oltre il contesto storico.

• In che direzione sta andando la sperimentazione sinestetica tra immagine e suono?

Andrà sicuramente verso il miglioramento del controllo delle macchine digitali, cioè

andremo verso la liberazione del controllo dei parametri fisici verso un controllo di

livello molto più elevato come può essere quello di uno strumentista con il suo

violino. Un artista che lavora con le macchine digitali è molto mediato, lavora con

una apparecchiatura fredda, senza collegamento con la generazione dello stimolo

uditivo o visivo, come l’archetto o il pennello: ha degli strumenti che, qualsiasi cosa

faccia, danno sempre la stessa sensazione fisica, tattile; creando musica, per esempio,

il computer mi permette di generare dei suoni dagli altoparlanti, ma questi sono

oggetti distanti, che non tocco.

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Dal punto di vista artistico invece da 30 anni a questa parte si notano solo passi

indietro, per via di un utilizzo delle tecnologie molto più povero e di basso pensiero

rispetto a quello che accadeva nella computer music 30 o 40 anni fa, proprio perché

avendo strumenti tecnologici meno sviluppati bisognava stare più attenti a quello che

si faceva e per produrre un minuto di suono le macchine impiegavano due giorni a

calcolarlo. Ora invece si lavora in modo molto casuale tanto che non si sa nemmeno

replicare un processo eseguito.

• Invece riguardo l’interattività...

Oggi come oggi c’è già, il pubblico può influire notevolmente... quanto questo se ne

renda conto è un altro paio di maniche.

Se non c’è un collegamento diretto azione - reazione il pubblico non se ne rende

assolutamente conto. Come è l’esempio di tante installazioni che restano montate un

mese o due mesi ed evolvono nella loro struttura formale giorno dopo giorno,

lentamente, in base al numero dei visitatori nella sala o totali, o della disposizione di

questi nello spazio. Ci sono molte installazioni in cui sono stati fatti questi generi di

calcoli che dopo un mese erano completamente diverse e dove la diversità non era

subito percepibile.

Dove andrà... ci sono per esempio ricerche futuribili che lavorano sul controllo con la

mente, attraverso calcoli e misurazioni dell’attività cerebrale

• La sinestesia è l’attivazione di più sensi attraverso un solo stimolo di competenza

di uno di questi. Ma è possibile creare opere artistiche sinestetiche attraverso un

solo senso?

Sì... Nel senso che ci sono meccanismi percettivi sinestetici, non ancora ben studiati,

causati da un’unica percezione. Ci sono per esempio studi molto molto interessanti

sulla sinestesia (in senso lato) sulle corrispondenze tra suoni e spazio. L’orecchio è

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infatti l’organo deputato sia per il senso dell’udito che per quello della spazialità

(equilibrio, posizione nello spazio). A determinati livelli questi interagiscono per cui

il suono che influisce sull’udito non è detto che a livello cerebrale non influisca sul

senso della vista (in senso molto labile) o il contrario. Non è necessario quindi

doversi esprimere sempre attraverso suono e immagine ma qualsiasi cosa veicolata da

uno dei cinque sensi è potenzialmente un mezzo espressivo sinestetico.

Per esempio, pochi lo sanno ma uno strumentista suona con l’orecchio e con il tatto ,

deve avere una sinestesia totale tra quello che sente e la sensazione tattile sul suo

strumento e se le due sensazioni non coincidono qualcosa non va. Così per un

danzatore è fondamentale la sua posizione nello spazio e come lo gestisce: la

sinestesia qui avviene tra il movimento del corpo e lo spazio in cui lavora.

Lo spazio è un elemento sinestetico e di progettazione artistica. Per esempio nello

spettacolo di Turing noi abbiamo scelto un determinato posizionamento degli

altoparlanti relativamente allo spazio in cui lavoravamo: l’ambiente modifica il

prodotto che si produce al suo interno ed entra a far parte del messaggio che si vuole

dare. Nessuno strumentista suonerà un pezzo allo stesso modo in qualsiasi condizione

spaziale.

• Vuole aggiungere un appunto personale nell’ambito di una ricerca sulla sinestesia?

Una cosa importante che viene raramente considerata è la presenza o meno

dell’esecutore. Avere una persona che svolge delle azioni di fronte ad altri è essa

stessa un elemento artistico dell’opera, e nella sinestesia va tenuta presente: molto

spesso determinati artisti, riascoltati o rivisti non dicono niente o molto meno perché

la parte essenziale di quello che vogliono comunicare non sta nel suono o nel video

ma in loro stessi, chiamalo carisma o come vuoi, ma è un cosa importantissima ed è

un elemento che si aggiunge all’opera artistica. Per cui quando si va ad ascoltare un

concerto, lo strumentista e il direttore costituiscono parte dell’opera.

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4 CONCLUSIONI

Questa ricerca è stato un viaggio lungo il percorso evolutivo (dal Novecento ad oggi)

delle sperimentazioni sinestetiche nel rapporto tra immagine e suono, analizzando

l’ipotesi che tale sintesi si compone di quattro elementi fondamentali: la forma, il

colore, il suono ed il ritmo. I primi due sono gli elementi costituenti dell’immagine ed

il quarto il carattere comune tra quest’ultima ed il suono. Quando tutti o solo alcuni di

questi elementi coesistono nella stessa opera e hanno la giusta sinergia, danno vita

all’opera sinestetica.

Ma in cosa consiste questa sinergia, quali sono i rapporti corretti tra gli elementi per

creare una opera sinestetica riuscita e in quali linguaggi artistici questa si esprime al

meglio?

Durante la ricerca sono state analizzate le seguenti esperienze:

- le corrispondenze tra colori e suoni del compositore russo Skrjabin (1872 - 1915) e

del pittore Kandinskij (1866 - 1944)

- le esperienze Bauhaus con le composizioni di forme e colori, accompagnate dalla

musica, del Reflektorische Farbenlichtspiele (1922) di Hirschfeld Mack (1893 -

1965)

- il rapporto forma - ritmo e ritmo musicale delle Sinfonie Diagonali (1924) di

Eggeling (1880 - 1925)

- le nuove notazioni musicali della metà del secolo proiettate verso una

corrispondenza sinestetica tra segno grafico e musica. In particolare J. Cage (1912 -

1992) e S. Bussotti (1931)

- l’opuscolo Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore (1977) di

Veronesi (1908 - 1998): una corrispondenza studiata tra note e colore attraverso una

notazione che impiega la forma

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- i racconti sinestetici del film Fantasia (1942) di Walt Disney, i film di Fishinger

(1900 - 1967) e le esperienze sincroniche di McLaren (1914 - 1987) e del regista

contemporaneo Cunningham (1970)

- lo spazio immersivo Dreamhouse (1963 - tutt’ora in corso) di Zazeela (1940) e La

Monte Young (1935) negli anni cinquanta e di Turrell (1943) oggi che stimolano la

percezione sensoriale alterando la realtà degli elementi del colore e del suono negli

ambienti che ricreano.

Queste esperienze si possono dividere un due grossi gruppi che descrivono due

approcci con caratteristiche molto diverse:

1) da una parte le installazioni, la ricerca dell’immersività ed un modus operandi che

lavora sugli elementi stessi (in particolare il colore ed il suono), direttamente, con lo

scopo primario di agire sull’emotività dello spettatore attraverso la stimolazione

sensoriale.

2) Dall’altra parte la produzione filmica in cui il lavoro verte più sulla relazione tra

gli elementi e che si distingue dal primo approccio soprattutto per il maggiore

tecnicismo e la maggiore sobrietà rispetto all’insieme di mistica, filosofia e

spiritualità degli approcci sinestetici immersivi ma soprattutto è un opera più

statica, perché rappresentativa, rispetto all’installazione.

Gli artisti che utilizzano il video sembrano dedicarsi ai propri lavori più

intellettualmente e tecnicamente che spiritualmente. McLaren è il caso più estremo:

la sua opera Synchromy (1971) è infatti un esercizio assolutamente tecnico ed

intellettuale, una sperimentazione atta a sondare le possibilità del supporto filmico

nella relazione sincronica tra suono ed immagine. Eggeling è un altro esempio di

lavoro tecnico ed analitico con la sua dedizione allo studio di un linguaggio delle

forme e delle loro relazioni. Cunningham ha un approccio estremamente tecnico

sebbene anche molto visionario, ma comunque all’atto pratico concreto e razionale e

allo stesso modo Fishinger (e Disney conseguentemente alla loro collaborazione).

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Nel caso delle installazioni immersive gli elementi costituenti sono la musica ed il

colore, privo di supporto materiale e sotto forma di luce. Nelle diverse produzioni il

primo elemento varia in base alle evoluzioni dei diversi periodi, quindi se Skrjabin

scriveva una musica per orchestra con una struttura che da tonale veniva sostituita

con una armonica e in cui il confine tra tonale ed atonale era labili, Turrell e McCall

(con i suoi Breath - Vertical Works, 2004 - 2009) servono non più di una musica ma

di rumori e suoni che sono il risultato del processo di destrutturazione musicale nel

lavoro dei compositori degli anni cinquanta, come Cage e nei movimenti del New

Dada e Fluxus.

La modalità d’utilizzo della luce invece, da un punto di vista estetico, non è cambiato

rispetto alle sperimentazioni di inizio secolo di Skrjabin. La tecnologia oggi

ovviamente si è evoluta ed offre una grande varietà di sorgenti luminose diverse che

qualitativamente non sono paragonabili a quelle di cento anni fa. Ma la visione alla

base di una luce eterea e senza fonte che tende a creare visivamente la sensazione di

una nuova dimensione, come i Ganzfeld di cui parla Francesco Murano, è rimasta la

stessa nel corso del secolo. Attraverso la luce gli artisti, nelle opere, vogliono

spingere il fruitore ad entrare in una dimensione alternativa e profonda, che si

differenzia da quella percettiva materiale. Sia Skrjabin che Turrell e Zazeela con La

Monte Young, immaginano e realizzano campi di luce che agiscono sulla percezione

alterandola; ma nel corso del tempo le ideologie alla base erano mutate, epurate degli

aspetti mistici e della tensione verso una “sfera superiore” e arrivando all’approccio

più scientifico e sperimentale di Turrell e McCall. Si potrebbe dire che ciò che ha

fatto Skrjabin attraverso la propria capacità espressiva ed intuitiva, ovvero stimolare

la percezione dello spettatore e coinvolgerlo emotivamente, Turrel lo fa in maniera

più razionale e programmatica, secondo due diversi approcci in linea con i periodi

storici di appartenenza: uno romantico e l’altro materialista. Dreamhouse si trova in

una via di mezzo in cui è ancora molto presente la sensibilità mistica ma con risvolti

più legati ad una sfera sociale, quindi più umana e terrena, mentre Skrjabin si

rivolgeva alle dinamiche universali. Si mantiene però intatta la volontà di elevare lo

spirito verso uno stato di coscienza superiore e se Skrjabin lo faceva cercando di

portare il fruitore in uno stato di estasi, come Zazeela e La Monte Young, Turrell

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invece lo fa attraverso la provocazione, stimolando drasticamente la percezione del

fruitore fino a provocare immagini a cavallo tra percezione sensibile e visioni:

“Cos’è il mondo reale? è un mondo che assembliamo attraverso il consenso, e qui

(nelle Perceptual Cells n.d.a.) il consenso cambia.” 1

E’ un approccio estremamente diverso rispetto a quello skrjabiniano, più

scientifico - filosofico che filosofico - mistico, che provoca la dimensione reale

mettendola in discussione per rendere cosciente il fruitore della propria dimensione

intima. Una trascendenza insita nella dimensione umana che non si proietta verso

“l’alto”, verso la sfera universale come per Skrjabin, ma rimane nella dimensione

terrena. Turrell comprende che basta aprirsi, riconoscersi ed accettarsi nella propria

totalità per trovare l’elevazione, un idea che, proprio come per gli artisti sinestetici

che lo hanno preceduto, si rifà al pensiero filosofico orientale.

Il Prometeo di Skrjabin, come le Perceptual Cells di Turrell, sono lavori di enorme

potenza suggestiva con un forte ascendente sull’emotività e la percezione sensoriale

del pubblico che portano ad uno stato di alienazione. Questa potenza espressiva

conferma come la percezione diretta, ovvero quando i sensi entrano direttamente in

contatto con lo stimolo e non indirettamente attraverso una rappresentazione, come

nel video, è effettivamente più forte. Ai fini quindi della stimolazione sensoriale

l’approccio migliore è quello dello spettacolo o dell’installazione immersiva in cui il

fruitore ha un contatto naturale con gli elementi di stimolo, come afferma anche

Francesco Bossaglia nella sua intervista (Cap.3, Par. 2). Ma Skrjabin aveva

indovinato un’altra profonda verità dell’arte, e non solo dell’arte ma della

comunicazione in generale: la necessità dell’espressione e la proiezione di sé stessi

nell’opera.“Le leggi esterne non esistono [...] tutto ciò contro cui a voce interna non

si impegna è permesso [...]. Così nell’arte in generale [...] ogni mezzo sorto dalla

1 Intervista a J. Turrell e R. Andrews in occasione dell’esibizione del 2011 al Garage Center for

Contemporary Culture, http://www.youtube.com/watch?v=vyhwhdi_j-Q. Invito anche a guardare

l’ultimo capitolo, dedicato all’artista della serie Spirituality, prodotta dalla PBS

http://www.pbs.org/art21/watch-now/segment-james-turrell-in-spirituality

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necessità interna è giusto” 2.

La libertà espressiva e creativa affermata da Nikolj Kul’bin nel suo articolo

L’anarchia della musica inserito nel Cavaliere Azzurro è un dovere imprescindibile

di qualunque creativo e non solo per quanto riguarda la musica. Il fatto che

Kandinskij preferisse Shönberg a Debussy e Skrjabin verteva sul fatto che egli era più

fedele alla propria realtà interiore rispetto agli altri due. Libera infatti deve essere

l’ispirazione ed il flusso creativo, bisogna osare, oltre i limiti imposti e che ci si

autoimpone poiché l’artista è l’architetto del nuovo mondo, un pensatore libero che

crea una nuova umanità, anche a costo di sbagliare (che poi, cosa vuol dire sbagliare

se non “non essere se stessi”!?). Essere infedeli verso sé stessi e la propria natura è

l’unico vero grande errore che si può commettere. Ma questa libertà in cui l’individuo

è sciolto da vincoli, come fa a non diventare caos? Non è il caos che si deve temere,

ma la confusione. Come insegnano le filosofie orientali dal caos nasce l’equilibrio,

caos ed equilibrio diventano sinonimi a patto che il caos venga accolto ed accettato,

lasciato liberamente fluire dentro di noi. Il caos universale, la vita, viene

rappresentata come un torrente; la nostra creatività si nutre di questo fluire e solo

allora può concretizzarsi nell’ opera. La confusione invece è il tentativo di arginare il

torrente che è la vita, di deviarne il corso, di averne controllo. Controllo sul caos!! La

confusione è la volontà di controllare il caos universale, il bisogno di controllare gli

altri e se stessi, i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri desideri, le proprie

pulsioni: non si può fare, bisogna invece lasciarsi portare.

Per un artista la capacità di lasciar scorrere dipende dagli strumenti tecnici, dalla

mentalità, dall’approccio verso se stesso e la propria creatività. Un artista deve essere

capace di accogliere le proprie visioni, senza temerle ne soprattutto cercare di

deviarle (approccio), privo di qualunque aspettativa (mentalità) e con la capacità di

rendere concrete le proprie visioni (tecnica). Questi elementi potrebbero essere

considerati da alcuni come paletti che sono in contraddizione con il libero scorrere

prima teorizzato. Bene, è vero, o meglio, può essere; bisogna però rendersi conto che

2 N. KUL’BIN, L’anarchia della musica, in Der blaue Reiter, 1912, pag. 207

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l’uomo non è vuoto, privo di condizionamenti, privo di blocchi (forse solo il bambino

può vantare una simile condizione, ma è inconsapevole). Deve quindi utilizzare degli

strumenti per poter bypassare i propri blocchi e raggiungere la libertà del bambino

insieme alla consapevolezza dell’adulto. Vivere per diventare consapevoli compiendo

un cammino circolare che nella fine ha il suo inizio per diventare infine un bambino

consapevole.

Agli scopi pratici dell’opera d’arte questo approccio rende l’opera coerente, ovvero

garantisce che gli elementi che collaborano alla costituzione dell’opera d’arte

dialoghino tra loro secondo un linguaggio comune, lo stesso con cui dialogano gli

elementi della sfera intima dell’artista, e siano quindi in sintonia.

Facciamo un punto: consideriamo come impossibile stabilire una legge scientifica

universale di corrispondenza sinestetica suono - colore, come hanno dimostrato:

sperimentalmente le tabelle di C.S. Myers 3, in cui il medico fa una comparazione dei

risultati delle corrispondenze suono - colore nei pazienti affetti da sinestesia alla

ricerca di una legge comune; l’impossibilità di verificare l’efficacia delle

corrispondenze newtoniane come quelle di Veronesi del 1977 nel momento in cui si

relazionano con la percezione umana; le considerazioni di Goethe nel suo

Farbenlehre 4 ; le parole di Francesco Bossaglia quando alla domanda: “Esiste una

legge di corrispondenza?” risponde così: “E’ una domanda difficilissima.”.

Ma come può riuscire l’opera sinestetica senza un legge che regoli i rapporti tra suoni

e colori?

Goethe affermava che suono e colore sono come due fiumi che nascono dalla stessa

sorgente ma non si incontrano mai, non comunicano, ma aggiungerei che nascendo

dalla stessa sorgente mantengono caratteristiche comuni. Consideriamo il paragone

fatto tra l’opera di Laszlo Moholy Nagy (1895 - 1946) e quella di Skrjabin: mentre

Moholy Nagy destinava la parte musicale ad un individuo e quella del colore ad un

3 C. S. MYERS, Two cases of synestesia in «British Journal of Psycology», VII, 2, 1914, p.

112-115.

4 W. GOETHE, Zur Farbenlehre, 1810, Tubinga

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altro scindendo in due l’opera che di fatto risulta non riuscita, come confermano le

critiche del tempo, a causa dell’incoerenza tra le due parti che la compongono,

Skrjabin invece scriveva entrambe le parti (musicale, luce) da solo producendo un

opera senza dubbio riuscita, come dimostrano le critiche del tempo e l’interesse

suscitato verso questa da lì in avanti, con una forte coerenza e sinergia tra la parte di

luce e quella musicale, le quali, pur essendo due linguaggi differenti, contengono in

sé lo stesso significato 5. Paragonando Moholy Nagy con Skrjabin viene dimostrata la

necessità del “libero fluire” di cui sopra, ma soprattutto si comprende che: nella

“sorgente comune” ai fiumi del suono e del colore, ovvero nella parte intima

dell’artista da cui scaturisce l’opera, risiede la legge che regola i rapporti tra suono e

colore, la chiave con la quale questi due elementi possono relazionarsi

sinesteticamente. Se c’è coerenza nella traslazione anima - opera allora c’è coerenza

nell’opera e compartecipazione dei suoi elementi l’uno nell’altro.

Turrell poi ci da dimostrazione che una riuscita provocazione dei sensi può avvenire

anche attraverso un opera “più pensata”, razionale e tecnica che indaga i sensi

dell’uomo e studia metodologicamente le chiavi attraverso cui provocarli. Queste

chiavi sono le stesse a cui arrivano Skrjabin e Kandinskij, la differenza sta

semplicemente nel metodo: i primi due arrivano alle chiavi attraverso l’intuizione,

Turrell attraverso lo studio e l’applicazione pratica.

Nell’ambito delle opere audiovisive sinestetiche invece si ritrova un altro approccio.

Disney, McLaren e Cunningham hanno un rapporto con l’opera meno teorico -

filosofico e più pratico rispetto agli artisti che , più sperimentale-tecnico nel caso di

McLaren e visionario nel caso di Disney e Cunningham. Ma soprattutto, di norma il

video è una rappresentazione della visione dell’artista dove lo spettatore assiste

passivamente ad uno spettacolo definito. Così è in “Fantasia” (1940) o in “Rubber

Johnny” (2005) di Chris Cunningham dove sebbene ci sia la volontà di rendere

partecipe lo spettatore di un evento sinestetico di fatto lo si pone di fronte ad una

5 Vedi Capitolo 1, Paragrafo 2, pag. 35

134

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rappresentazione statica. Invece nelle installazioni immersive lo spettatore,

trovandosi in contatto diretto con gli elementi di stimolo, prende parte attivamente

attraverso la propria percezione sebbene la determinatezza della composizione

musicale, come nel caso del “Prometeo”, o della successione determinata dei colori e

dei suoni come nelle celle percettive di Turrell. C’è da dire però, e questo è un punto

importante, che il linguaggio del video contiene nel montaggio l’aspetto ritmico,

carattere comune anche all’immagine e al suono. Si capisce che in un ambito in cui il

linguaggio artistico (il video) condivide con gli elementi con cui lavora (musica ed

immagine) un carattere comune a tutti e tre (il ritmo) questo carattere gode di una

enorme potenzialità espressiva e della facoltà di rendere compatti gli elementi a cui

appartiene. Non solo, Cunningham sceglie, in Rubber Johnny, di concentrarsi sulla

sincronicità, ovvero sulla corrispondenza ritmica degli avvenimenti sonori e grafici,

ponendo così il fuoco proprio sull’aspetto ritmico e creando una tensione ed un

dinamismo estremamente forti che esemplificano al meglio le possibilità ritmiche del

video celate nel montaggio, carattere unico al video, impossibile da ricreare in una

installazione.

In sintesi:

• La legge di corrispondenza suono - colore nell’opera sinestetica risiede nella

capacità dell’artista di trasferire i propri elementi intimi negli elementi dell’opera e

mantenerne la coerenza facendo si che i diversi linguaggi portino lo stesso

messaggio e lo possano trasferire al fruitore per via empatica. L’opera è come un

tramite tra l’artista ed il fruitore e deve fare meno resistenza possibile, al meglio

aumentare il vigore del messaggio che porta.

• I quattro elementi che compongono l’opera (forma, colore, suono, ritmo) non

devono necessariamente essere tutti presenti per la buona riuscita dell’opera

sinestetica, l’importante è la loro sinergia, Il ritmo ha una funzione speciale di

unione tra immagine e suono essendo la comune espressione del loro sviluppo nel

tempo 6. Skrjabin fa un lavoro magistrale con i due elementi del suono e del colore,

Turrell addirittura utilizza un solo elemento nella maggior parte delle sue

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installazioni: il colore, che mette in connessione con l’intimo del fruitore, come se

creasse un allacciamento tra due circuiti (non considero il suono nelle “Perceptual

Cells” in ragione dell’uso povero che ne è stato fatto). Chris Cunningham in

“Rubber Johnnny” utilizza tre elementi e scarseggia nell’utilizzo del colore, che è

statico, molto in linea con i dettami della fotografia filmica. Comunque regala un

prodotto magnifico con un alta concentrazione di dinamismo e tensione e rende

molto bene il rapporto sinestetico tra forma, ritmo e musica. McLaren, in

“Synchromy” utilizza tutti e quattro gli elementi, ma il suo è un lavoro dettato dalla

ricerca tecnica e non da una volontà espressiva e di comunicazione. E infatti il

video è estremamente interessante e curioso ma anche piuttosto freddo e

“meccanico”, come il suono e le figure che compaiono nel film.

• Le installazioni immersive sono il linguaggio migliore per creare una esperienza

sinestetica completa perché il fruitore entra in contatto direttamente con l’elemento

di stimolo. Il video è statico rispetto all’installazione poiché è più una

rappresentazione dell’esperienza sinestetica e delle visioni dell’autore che una

complicità tra le due parti. In “Rubber Johnny” la profonda dinamica e sinergia tra

gli elementi (forma, suono, ritmo) pone questo prodotto a cavallo tra

rappresentazione (e quindi staticità) e coinvolgimento attivo.

“Come in un gioco di specchi, i ruoli si capovolgono, i linguaggi si contaminano, i

sistemi di riferimento si allargano fino a comprendersi reciprocamente, rendendo

sempre più difficile (e inutile) rintracciarne i confini.” 7

6 Dall’intervista al Cap 3. Par. 3

7 C. PERRELLA, Introducing Video Vibe, in C. PERRELLA, D. CASCELLA (a cura di), Video

Vibe: arte, musica e video in Gran Bretagna, 2000, Roma, Castelvecchi arte, p. 13.

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Il futuro prevede, per la pratica sinestetica, ambienti immersivi interattivi in cui il

minimo comune denominatore è la nuova tecnologia. Prendendo in esempio lo

spettacolo Turing a staged case history del gruppo Agon 8 è interessante notare come

la tanto anelata legge di corrispondenza trova una propria soddisfazione proprio

nell’unione dei linguaggi attraverso la condivisione dei dati digitali e della loro

elaborazione. Uno spettacolo totale finalmente dove tutti i linguaggi trovano lo stesso

spazio e sono in stretta e costante comunicazione tra loro, condizionandosi l’un

l’altro in una rete digitale di corrispondenza. Così come è visibile la tendenza sempre

maggiore a lavorare con gli spazi e con la luce, si veda Turrell con gli spazi Ganzfeld,

Alterazionivideo con spettacoli come Photons 9, Agon appunto, le diverse rassegne di

luce e interazione, il lavoro Indeepandance del gruppo Masbedo e poi le esperienze

del mapping 3D dove musica e proiezioni lavorano insieme a creare grandi spettacoli

di luce intervenendo attivamente sulle facciate dei palazzi animandole e

distorcendole, facendole crollare o proiettando eventi su di esse. Come già affermato

da Bossagli inoltre, la presenza del video, assieme alle tecnologie interattive, nei

nuovi spettacoli sinestetici è predominante. Il video editing è un mondo su cui si sta

sperimentando moltissimo ed è interessante riportare il punto di vista del musicista

quando dice: “Questo infatti ha i tempi della musica e della società di oggi [...] Il

video è il simbolo della nostra civiltà, non possiamo sfuggire da questo fatto. Il

ventesimo secolo, dall’avvento del cinema e poi (non ne parliamo) della televisione

8 Vedi Capitolo 3, paragrafo 2

9 Le immagini che compongono l’installazione sono state girate nel laboratorio del Dipartimento di

Fisica Sperimentale Applicata della Frei Universitat di Berlino durante alcuni esperimenti eseguiti

dal fisico dott. Markus Guehr. Lo staff, isolando dei fotoni in una soluzione chimica a bassissima

temperatura, è riuscito a registrare le vibrazioni dei fotoni sottoforma di ultrasuoni.

La luce si trasforma in suono e il suono in luce…

Grazie alla disponibilità del laboratorio, Alterazioni Video ha avuto la possibilità di filmare e

manipolare i laser e gli strumenti di ricerca al fine di realizzarne una performance musicale. Il

risultato è un viaggio immersivo nei territori di confine tra arte e scienza dove il metodo scientifico

della ricerca applicata incontra il metodo di esplorazione e rielaborazione tipico del linguaggio

artistico contemporaneo.

Uno spazio di incontro tra arte, pubblico e scienza dove esplorare le connessioni e le relazioni

reciproche.

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ha trasformato la civiltà in una civiltà visuale, che noi lo vogliamo o no. Mi sembra

quindi naturale che usiamo i mezzi del nostro tempo per comunicare e oggi,

nell’ambiente musicale, c’è proprio una corsa a lavorare col video, a volte con esiti

veramente discutibili, proprio perché c’è questo sentimento che porta a ritenere che

il video è cruciale per chi vuole comunicare.” 10

Quindi video come necessità, non solo pratica, per la sua dinamicità e funzionalità,

ma anche sociale, di affermazione comunicativa. Nel video viene riconosciuta

l’esigenza contemporanea della velocità, della fruibilità usa e getta,

dell’immediatezza e se si considera la qualità della sua invadenza dello spazio privato

(soprattutto con l’uso dello smartphone) è evidente a che livello questo si sia

integrato nella vita quotidiana prendendo parte delle nostre abitudini e addirittura

divenendo una sorta di estensione, di protesi comunicativa.

10 Vedi Capitolo 3, paragrafo 3

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5 SCHEDA PROGETTO

TEMATICHE

“... è indubbio che, nella nostra epoca, più che in epoche precedenti, l’ossessione del

“tempo” - sia come durata che come coefficiente di un continuum spazio - temporale

- si è fatta urgente e il fatto che l’arte ne rifletta i motivi e le ansie non deve far

specie. “

Il progetto si pone come obiettivo quello di esplorare il rapporto tra l’uomo e

l’ambiente urbano in cui vive e che rappresenta la faccia visibile del nuovo stile di

vita moderno in cui il tempo e l’arrivismo costituiscono due elementi cardine della

routine quotidiana.

L’ambiente urbano è nato dal malessere dell’uomo moderno e ne è portatore?

o è il modo di vivere questo ambiente che lo ha reso deprimente e circondato da un

aurea negativa?

Rivoluzionando il nostro pensiero rivoluzioneremmo anche il senso, l’immagine e il

tipo di fruizione della città. Cambiamento esteriore (quello urbano): attraverso opere

di bonifica e riqualificazione di aree degradate nell’ottica di una “umanizzazione”,

ovvero di una corrispondenza tra opera e necessità dell’uomo: spazi aperti, qualità

(estetica, varietà), fruibilità (orari di apertura dei parchi, godibilità degli spazi - senza

rumori eccessivi o presenze architettoniche ingombranti ecc.). Ma soprattutto

cambiamento interiore, quello della coscienza del cittadino come individuo

appartenente alla comunità e uomo tra gli uomini. Non si tratta semplicemente di

senso civico ma di coscienza umana.

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SINOSSI

Il progetto racconta, con uno stile visionario, alcuni avvenimenti di una giornata

urbana: in una città, situata su una testa d’uomo come fosse una colonia di parassiti

fungini, alcuni uomini si lasciano cadere dalle finestre, altri hanno rapporti sessuali

con la propria automobile, altri ancora salgono infinite scale che portano a scrivanie

lontane ed irraggiungibili. E’ il caos, e nello stesso caos, in fondo, immerso nel buio,

esiste un punto luminoso che brilla, quasi invisibile, il segno del cambiamento, il

ribaltamento, la luce nel buio. Questo stesso caos genera una nuova coscienza, un

risveglio a cui si arriva al tramonto.

REALIZZAZIONE

Il progetto tende a creare una narrazione sinestetica sulla scia delle produzione di

Fantasia (Walt Disney - 1940) e Rubber Johnny (Chris Cunningham - 2005).

Il rapporto tra musica e immagine non si lega però attraverso la sincronia come in

Rubber Johnny: il video si mantiene costante senza eccessivi stacchi registici proprio

per permettere una narrazione più lineare che si sposi al meglio con la tecnica

pittorica: un disegno colorato digitalmente che prende spunto dall’estetica del

murales. I colori seguono gli stati d’animo della musica e i temi che raccontano le

immagini secondo una corrispondenza arbitraria.

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TECNICHE

Immagine

Video compositing,

• Disegno a mano libera

• Colorazione digitale

• Foto

• Video

• Animazione digitale

Audio

Registrazione orchestrale.

A 15 musicisti è stato chiesto di interpretare liberamente l’ambiente urbano attraverso

la propria musica. Sono stati poi selezionati solo alcuni brani che, in successione,

compongono il brano utilizzato per la colonna sonora del video.

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6 BIBILIOGRAFIA

[1] L. PICA CIAMARRA, Teoria e storia del colore in Goethe, in «Laboratorio

dell’ISPF», I, 2004, ISSN 1824-9817.

[2] L. VERDI, Kandinskij e Skrjabin, 1996, Pisa, Akademos & Lim

[3] V. KANDINSKIJ, Lo spirituale nell’arte, a cura di E. Pontiggia, 2005, Milano,

SE

[4] JACOPO J. GRASSO,Corrispondenze fra suoni e colori, ricerca per il Corso di

Cultura Musicale Generale (Joanne Maria Pini), a.c. 2004/2005, Conservatorio di

musica “G. Verdi” di Milano

[5] L. VERDI, Kandinskij e Skrjabin, Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria,

1996, Pisa

[6] P. BOLPAGNI, Musica visiva e colore acustico. La tentazione sinestetica negli

anni sessanta-settanta, 2009, articolo contenuto nei “Quaderni della Fondazione

Ambrosetti”

[7] Farben Licht Spiele by Ludwig Hirschfeld-Mack, catalogo del film

Reconstruction 2000, 2000, Italia, dir./prod. da Corinne Schweizer e Peter Böhm

[8] D. KAGAN, Viking Eggeling’s Thorough Bass and the Diagonal Symphony,

versione ridotta di L. O’KONOR, Viking Eggeling 1880-1925 Artist and Film-maker

Life and Work, 1971, Stockholm: Almqvist & Wiksell

[9] J. CAGE, Silenzio, 2010, Milano, ed. ShaKe, trad. di Giancarlo Carlotti

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[10] A. DELLA MARINA, Il rapporto suono-colore nella metodologia di Luigi

Veronesi, 2002, op. non pubblicata, http://www.antoniodellamarina.com/media.html

[11] J. CULHANE, Fantasia: il capolavoro di Walt Disney, 1992, Milano, The Walt

Disney Company.

[12] I. PRESOTTO, Fantasia di Walt Disney, Quando la musica si fa immagine, pdf,

papersera.net

[13] A. VETTESE, Si fa con tutto, 2010, Milano, Laterza

[14] DARIO TROVATO, Musica ed immagine in 10 audiovisivi di Chris

Cunningham, a.c. 2004-2005, Tesi di laurea in Scienze della comunicazione

[15] P. BOLPAGNI, Suono e arti visive. Un tema al centro della cultura

contemporanea, in “Brescia musica”, XX, 101, 2006

[16] G. CELANT, Artmix, 2011, Milano, ed. Feltrinelli

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7 SITOGRAFIA

[1] Wikipedia, alla voce: Skrjabin e Kandinskij

Luigi Veronesi

Viking Eggeling

Chris Cunningham

James Turrell

[2] C. CERONI, La sinestesia nella poetica di Skrjabin, rivista “Parol, quaderni di

arte ed epistemologia” (versione web), http://www.parol.it/articles/cristina.htm

[3] L.VERDI, Kandinskij e la musica, Università degli Studi di Milano, archivio on-

line, http://users.unimi.it/~gpiana/dm6/dm6kmlv.htm

[4] Lichtspielapparat (Ricostruzione), Rete Civica dell’Alto Adige, Catalogo dei

Beni Culturali dell’Alto Adige, Portale della Pubblica Amministrazione, http://

www.provinz.bz.it/catalogo-beniculturali/detail.aspx?priref=30009113&lang=de

[5] www.sylvanobussotti.org

[6] GIOVANNI D’ALOE, Colori e musica: vibrazioni e sinestesie,

rivista“Metapolitica” (versione web), 22 febbraio 2007, http://www.metapolitica.net/

daloe.html

[7] J. JONES, Warning: art that will blow your mind James Turrell's Bindu Shards at

the Gagosian Gallery in King's Cross is an optical voyage that will turn your head

inside out, 17 Novembre 2010, Jonathan Jones on art Blog sul portale di The

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Guardian, http://www.guardian.co.uk/artanddesign/jonathanjonesblog/2010/nov/17/

bindu-shards-james-turrell-gagosian

[8] YVONNE SPIELMAN, Steina Violin Power, 2004, portale de La Fondation

Daniel Langlois pour l’Art, la Science et la Technologie, http://www.fondation-

langlois.org/html/e/page.php?NumPage=485

[9] www.rubberjohnny.com

[10] Sito di Canale energia, Luce che si fa vedere, luce che fa vedere. Il Ganzfeld di

Francesco Murano, Intervista di J. Ceresoli a Francesco Murano

http://stilodev.medialayer.net/sviluppo/luce-che-si-fa-vedere-luce-che-fa-vedere-il-

ganzfeld-di-francesco-murano-int

[11] www.agonarsmagnetica.it

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RINGRAZIAMENTI

Al ciuffolo

Al THC

A Daniela che sostiene la mia pesantezza dell’essere, Nazarena che mi illumina su

nuovi modi di vivere la vita, Francesca che balzella nell’aria leggiadra come un foglia

Alla mammina e al papino perché sono sbrangolardi e io gne gne, ma soprattutto

perché danno da magnà e la pecunia per bevere.

Alla mia amata e piena di pazienza Proff. Ceresoli, alla altrettanto amata Proff. Della

Monica che mi ha lasciato volare come Francesca, a quei professori che hanno saputo

illuminarmi e salvano ogni giorno questa accademia dalla sua mediocrità, al mio

divano che ha sostenuto paziente e tenace il peso del mio deretano pesante durante

questo interminabile periodo. A chi mi ha fatto soffrire, così ora so cosa non voglio

dalla vita. Alle mie palle sempre sgombre di voglia e al mio cervello sempre

ingombro di pensieri.

Alla scuola di musica e tutti quelli che hanno partecipato alla composizione del brano

musicale utilizzato nel mio progetto.

Al mio progetto, che mi ha fatto l’onore di palesarsi.

A Stoccolma, terra di orsi polari, poco ospitale, ma che alla fine mi ha preso in asilo.

Alla terra su cui vivo.

Ai miei amici in Italia che sto salutando col cuore da Stoccolma, seduto su questo

divano.

Alla musica che da la forza e l’energia.

A Yoda ed al suo alter ego Marcello.

Alle superfici percussibili e alle cose percuotibili che mi danno la possibilità di

sfogarmi quando mi sento un tantinello irritato.

Al formaggio: così... perché mi va.

Alla non serietà, che rende godibile la vita e giocabile il futuro.

Agli amici a Livorno e Roma.

A sta pagina che sà da finì.

Alle pecore che quando si spaventano vanno in rigor mortis

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