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OCNUS Quaderni della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

05 Gottarelli:Layout 1 - AlmaDL Università di Bolognaamsacta.unibo.it/3038/1/IV_Gottarelli.pdf · The excavations carried out in 1999 at Meggiaro di Este have allowed us to identify

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OCNUS

Quaderni della Scuola di Specializzazione in Beni ArcheologiciAlma Mater Studiorum - Università di Bologna

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

OCNUS

Quaderni della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici

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2010

Direttore ResponsabileSandro De Maria

Comitato ScientificoSandro De MariaRaffaella Farioli CampanatiRichard HodgesSergio PernigottiGiuseppe SassatelliStephan Steingräber

Editore e abbonamentiAnte Quem soc. coop.Via San Petronio Vecchio 6, 40125 Bologna tel. e fax + 39 051 4211109www.antequem.it

RedazioneEnrico Gallì, Viviana Sanzone

Collaborazione alla redazioneSimone Rambaldi

Abbonamento€ 40,00

Richiesta di cambiDipartimento di ArcheologiaPiazza San Giovanni in Monte 2, 40124 Bolognatel. +39 051 2097700; fax +39 051 2097802

Le sigle utilizzate per i titoli dei periodici sono quelle indicatenella «Archäologische Bibliografie» edita a curadel Deutsches Archäologisches Institut.

Autorizzazione tribunale di Bologna n. 6803 del 17.4.1988

Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzionedella presente opera e di ogni sua parte, anche parziale, con qualsiasimezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

ISSN 1122-6315ISBN 978-88-7849-051-2© 2010 Ante Quem soc. coop.

INDICE

Presentazionedi Sandro De Maria 7

ARTICOLI

Preistoria e protostoria

Carla Del Vais, Anna Chiara FariselliTipi tombali e pratiche funerarie nella necropoli settentrionale di Tharros (San Giovanni di Sinis, Cabras - Or) 9

Culture della Grecia, dell’Etruria e di Roma

Emanuela Ercolani CocchiIuppiter Iuvenis, ideologia e iconografia da Ottaviano a Gallieno 23

Andrea GaucciAdria. Iscrizioni etrusche tardo-arcaiche 35

Antonio GottarelliTemplum solare e culti di fondazione. Marzabotto, Roma, Este: appunti per una aritmo-geometria del rito (IV) 53

Stefano Santocchini GergUn inedito del Pittore senza Graffito dal nuraghe Flumenelongu (Alghero): il “mercato sardo” e le relazioni di Tarquinia con la Sardegna arcaica 75

Ilaria VenanzoniL’area archeologica di Piazzale Matteotti a Pesaro 91

Archeologia tardoantica e medievale

Andrea Augenti, Federica Boschi, Enrico CirelliIl sito della basilica Petriana a Classe: dalla diagnostica archeologica allo scavo 103

Archeologia orientale

Enrico AcquaroGlittica punica: temi inusuali 111

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Gian Luca Bonora, Zholdasbek Kurmankulov, Sagandyk Ishangaly, Morena MarsigliAnalisi del popolamento nell’Età del Bronzo nel delta del Syrdarya (Kazakhstan): vecchi dati e nuove acquisizioni 121

Angelo Di MicheleOsservazioni sulla coroplastica antropomorfa del Bronzo Medio dall’Area N di Tell Afis (Siria) 145

ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI “OMNIUM IN LITTERIS STUDIORUM ANTIQUISSIMAM MUSICEN EXTITISSE...PERCORSI DI STUDI TRA ARCHEOLOGIA E MUSICOLOGIA” (BOLOGNA, 29 MAGGIO 2009)

Introduzionedi Sandro De Maria 157

Donatella Restani, Paola Dessì, Daniela CastaldoEventi sonori in età augustea 159

Marco PodiniLa rappresentazione dei suonatori di strumenti a corda o fidicines nell’arte ufficiale romana: spunti di riflessione 177

Simone RambaldiArcheologia e scenografia nel teatro musicale del primo Ottocento: le immagini di Roma antica 191

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La sostanziale coincidenza tra la geometriadel “templum solare” del luogo e l’impiantoortogonale della città etrusca di Marzabotto, haproposto il tema più generale della forte ispi-razione ideologica e religiosa che sarebbe all’o-rigine del piano di fondazione.

Questa ispirazione, se basata, come dicemmoe come andiamo verificando, su un principio dianalogia tra forma urbana e modello cosmologi-co, è possibile fosse il fondamento di un piùesteso ordinamento liturgico-rituale che sirifletteva all’interno del “microcosmo” dellerelazioni topografiche che legavano le diversesedi cultuali della città. Da qui la possibilità cheesistesse un ordinamento logico nella dispo-sizione di queste sedi, ove collocazione e fun-zione potevano inserirsi all’interno di un proget-to distributivo organico, collegato con isignificati simbolici e rituali della figura comp-lessiva dell’impianto (vedi Gottarelli 2005, pp.127-135).

In questa prospettiva, lo schema teorico uti-lizzato a Marzabotto (figg. 2-7; Gottarelli2005, pp. 102-106) descrive oggi un modelloprocedurale la cui generalità può indurre ad unprimo possibile confronto con altri contesti econ quanto riferiscono le fonti antiquarie sullefasi preliminari del rito di fondazione.

Alla domanda con cui si concludeva il prece-dente studio, se cioè quella regola costituisse ununicum, non generalizzabile all’interno delleprime fondazioni ortogonali della penisola traVII e IV sec. a. C., oppure se da essa si potesserocogliere i fondamenti concettuali del rito augu-rale e della limitatio urbana della tradizione etr-usco-italica, rispondono oggi ulteriori elementidi riscontro legati al caso della fondazione diRoma, oggetto negli ultimi anni di un serratarilettura, tra esegesi delle fonti e indaginearcheologica.

Se tale confronto rimanderà al caso su cui piùsi soffermano i commentatori, quello cioè deiriti augurali che anticipavano la fondazionedell’Urbe, ulteriori e decisivi elementi emer-gono da nuove scoperte archeologiche avvenutenell’ultimo decennio in tutt’altro contesto.

Gli scavi condotti nel 1999 presso Meggiarodi Este, hanno permesso di riconoscere un’area

Ocnus 18, 2010, pp. 53-74

* Questo contributo è il capitolo IV di una più estesaricerca di cui sono parte integrante gli interventi inGottarelli 2003a (I), Gottarelli 2003b (II) eGottarelli 2005 (III), ai quali si rimanda per unamigliore comprensione del presente testo.

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TEMPLUM SOLARE E CULTI DI FONDAZIONE. MARZABOTTO, ROMA, ESTE:APPUNTI PER UNA ARITMO-GEOMETRIA DEL RITO (IV)*Antonio Gottarelli

The question posed at the end of the previous study was whether the rule for the foundation of Marzabotto could be con-sidered an unicum, and therefore could not be applied more generally to the first orthogonal foundations in the penin-sula between the 7th and the 4th century B.C., or whether we could glean from them the conceptual bases of the augur-al rite and of the urban limitatio of the Etruscan-Italic tradition. A response to this question has today been providedby further corroborative elements linked to the case of the foundation of Rome, which in recent years has been subjectedto intense reconsideration, through both a critical analysis of the sources and archaeological research. If this processfocuses on the case commentators take the closest look at, i.e. the augural rites that preceded the foundation of the city,further decisive elements emerge from new archaeological discoveries made over the last decade in an entirely differentcontext. The excavations carried out in 1999 at Meggiaro di Este have allowed us to identify an augural area markedout according to a pattern very much reminiscent of the Bantia model. The area is located within a cultural contextthat is conceptually not unlike the structures present on the arx of Misanello, and we cannot exclude the hypothesis ofa topographical connection with the Este structure, according to the same principle of diagonality already put forwardas a hypothesis for Marzabotto. If the ritual analogies we observed earlier between the two places were based on haz-arding the idea of a comparison between cultural, geographical and chronological contexts rather distant from oneanother, Rome and Meggiaro now form a decisive piece in the puzzle, between Marzabotto and Bantia, resolving anypossible ambiguity of interpretation in the analysis we conducted on those contexts.

auguratoriale delimitata secondo uno schemache ricorda molto da vicino il modello diBantia. L’area si colloca all’interno di un con-testo cultuale concettualmente non dissimiledalle strutture presenti sull’arce di Misanello enon si esclude che si ponesse in connessionetopografica con l’impianto di Este secondo lostesso principio di diagonalità già ipotizzato perMarzabotto.

Se le analogie rituali che osservammo a suotempo tra i due luoghi (Gottarelli 2003a) si basa-vano sull’azzardo di un possibile confronto tracontesti culturali, geografici e cronologici assailontani, Roma e Meggiaro fissano ora un decisi-vo tassello, tra Marzabotto e Bantia, con cui sicolma ogni possibile ambiguità interpretativanell’analisi che operammo di quei contesti.

1. Templum solare e divinazione

In altra sede si osservò come l’analogia traforma urbana e modello cosmologico riman-dasse di fatto ai presupposti ideologici di unprocedimento di “comunione” in terra dei treivelli cosmici discendenti; il livello celeste,quello terrestre e quello infero (Gottarelli2003b, pp. 152-155). La geometria del templumsolare del luogo, se assunta a modello del pianourbanistico, poteva dunque essere la spia delfondamento concettuale di un più esteso corpodottrinale che, ponendosi all’origine di quellasoluzione, rimandava a più antiche pratiche tau-maturgiche e religiose, collegate con la div-inazione e con i riti augurali.

Volendo su queste basi passare ad una rilet-tura delle fonti antiquarie che trattano deimomenti che anticipano la fondazione dellacittà, è necessario soffermarsi in via preliminaresui possibili significati razionali che assegna-vano a quella figura una particolare valenzasacrale.

L’alba e la nascita del nuovo giorno dovevanoinfatti essere eventi carichi di significati rituali,collegati con la capacità di cogliere i “segni”rivelatori della volontà divina nell’istante in cuil’astro solare solca la linea d’intersezione tra ilcielo, la terra e il mondo infero. Se infattiquest’ultimo era percepito come la parte oscurae sub-terrestre entro cui si “immergono” i corpicelesti nel corso della notte, e il livello celeste la

parte che ne viene attraversata dal loro motodiurno, è logico suppore che la figura derivatadall’unione dei punti estremi in cui il princi-pale degli astri “tocca” il confine cielo-terravenisse considerata la forma entro cui le duedimensioni cosmiche entravano in comuni-cazione. Da cui la possibilità che i fuggevoliistanti di transizione dalla notte al giorno venis-sero a loro volta considerati i momenti piùpropizi per interrogare la volontà divina, attra-verso l’interpretazione di quei segni celesti chein quell’istante potevano manifestarsi.

L’istante della levata eliaca è infatti una con-dizione sospesa, ambigua, è “il varcare la soglia”di quella particolare “terra di nessuno” che è lasottile linea di confine entro cui cielo e terra sistringono idealmente in un abbraccio. Il mito,non a caso, riconduceva quel limite a Prometeo,colui che aveva tra gli altri rubato agli dei lafacoltà di “divinare” attraverso l’interpretazionedei segni dei legami tra il cielo e la terra. A lui silegavano significativamente la conoscenza delleregole del susseguirsi delle stagioni, del sorgere edel tramontare degli astri e, non ultima, lafacoltà di divinare attraverso l’interpretazione delvolo degli uccelli (Esch. Prom. Inc. 456-458).

Il Prometeo della Teogonia di Esiodo tiene“saldamente in mano proprio quella zona delcielo dove la Notte e il Giorno si parlano alla più

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Fig. 1. Specchio raffigurante il Sole nascente, del primo terzo delV sec. a.C., proveniente da Orvieto e conservato presso l’Instituteof Arts di Minneapolis.

breve distanza”, “scambiandosi la grande sogliadi bronzo che divide l’esterno dall’interno di unacasa che non li può mai ospitare entrambi”. Mai,come nell’attesa di quell’”istante”, si può com-prendere il senso di tale ambiguità. Il sorgere,come il tramontare, “(...) è mal discernibile equindi confuso, in quanto è difficile discriminareesattamente tra la presenza e l’assenza dell’astro,e il tentativo di riprodurre questa ambigua con-dizione sospesa in valori numerici precisi forniscerisultati incerti. Il discreto, si direbbe, nasce daqui (...)” (cfr.: Zellini 1999, p. 123).

Nell’arte etrusca il limite cielo-terra è ugual-mente associato alla figura di Prometeo(Prumathe), che è presente nella scena della sualiberazione dello specchio a rilievo del MuseoCzartoryski di Cracovia, proveniente da Vulci edatabile alla metà del V sec. a.C. Quel limite èin altri casi significativamente collegato all’im-magine stessa del sole nascente e dei suoi estre-mi solstiziali, elementi che ritroviamo nellospecchio del Minneapolis Institute of Art (fig.1), proveniente da Orvieto e databile al primoterzo del V secolo a.C. (vedi Krauskopf 1991).

La linea immaginaria in cui cielo e terra siincontrano, altro non è dunque che l’eterno“limite” che sempre ci precede, muovendosiinsieme a noi: “lo stretto e ambiguo passaggiotra il rimanere nascosto e lo svelarsi, quella crit-ica “soglia di bronzo” che per Esiodo divide lanotte dal giorno, ha sempre coinciso simbolica-mente con “la porta stretta” dell’esperienzainiziatica di eroi e sciamani. Il sorgere o il tra-montare di un astro poteva assumere allora sia ilsenso di un “reale” evento critico del quale ilnumero forniva una misura “più o meno” pre-cisa, sia una funzione rappresentativa per l’attoche ricorre in tanti miti, realtà o racconti fantas-tici, e che si chiama semplicemente “varcare lasoglia” (cfr.: Zellini 1999, p. 124).

La dimensione spaziale dell’azione rituale, ela stessa dimensione concettuale della funzionedivinatoria, potevano allora essere direttamentecollegate con la geometria del Templum solaredel luogo, in quanto rappresentazione, neltempo e nello spazio, di quegli istanti e diquelle direzioni entro cui si perpetuava ciclica-mente il miracolo dell’unione dei Mondi. Aquegli istanti e a quelle direzioni si associaval’apertura in terra dei cancelli del cielo e quelladegli antri abissali del mondo dei morti.

La nuova fondazione, configurata sulle lineee sulle proporzioni di quella figura, sarebbedunque sorta sotto l’auspicio del perpetuarsi diquell’unione e ad essa gli Dei avrebbero garan-tito durevolezza, fortuna e dominio:

“O Giove, assistimi mentre fondo la città, / etu, padre Marte, e tu, Madre Vesta; / osservate-mi tutti, o dei che è pio invocare! / Sotto ilvostro auspicio abbia inizio questa mia opera. /Abbia essa una lunga età e il potere sul mondodomato, / e sia sotto di lei il giorno che nasce eche tramonta.” (Ov. Fasti IV, 825-30).

2. Roma: fasi operative e azioni rituali

La nascita del giorno, se coniugata concettual-mente con la figura che ne fissa le stazioni annu-ali sull’orizzonte, è dunque un evento che si car-ica di particolari valenze sacrali sia in relazioneall’“iniziazione” augurale, sia alle pratiche div-inatorie di lettura ex caelo dei segni mediatori chein quell’istante potevano manifestarsi.

All’interno del nostro modello, particolareattenzione andrà quindi rivolta alle funzionioperative che si svolgono nelle prime tre fasi,quelle cioè in cui si passa dall’osservazione inTSE del sorgere del sole (fig. 2) alla determi-nazione dei punti di stazione in ASI e DE,lungo la diagonale solstiziale (figg. 3-4). Aqueste fasi corrispondono precisi atteggiamentioperativi tra i soggetti che intervengono nel-l’azione, ove questi, stanziando nei diversi“loci”, o muovendosi dall’uno all’altro, svolgo-no azioni e assumono orientamenti che risul-tano funzionali all’osservazione di quelle fasi delmoto solare che sono oggetto dei relativimomenti costruttivi della figura.

Passando ora ad un possibile confronto conquanto è riferito dalle fonti, i principali passag-gi su cui volgere la nostra attenzione sono, inquesto caso, i noti passi in Ennio, in Dionisio diAlicarnasso e in Livio: il primo relativo alla con-tesa augurale tra Romolo e Remo; il secondoall’inauguratio regale di Romolo; il terzo allaripetizione del rito augurale da parte di Numa1.

Antonio Gottarelli

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1 Enn. Ann. I, 47, 72-91; Cic. Div. I, 107; Dion. Halic.II, 5; Liv. I 18.7. Per una raccolta completa delle fontirelative alla fondazione di Roma si veda ora Carandini2006.

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Fig. 2. Fase 1: individuato il punto di stazione TSE, in posi-zione dominante il pianoro sottostante, si mira il punto di leva-ta del Sole sull’orizzonte alla data della fondazione della città.Su questa mira si fissa arbitrariamente il punto ASI.

Fig. 3. Fase 2: fissato il punto ASI, si individua sulla diago-nale il nuovo punto di stazione DE, quale punto intermedio traTSE e ASI.

Fig. 4. Fase 3: facendo stazione in DE, si individuano le dire-zioni dell’asse meridiano N-S e di quello equinoziale E-O,attraverso l’osservazione del movimento dell’ombra dello gnomo-ne, prima e dopo il mezzogiorno.

Fig. 5. Fase 4: rimanendo in DE, si attende la sera e si indi-vidua la direzione della seconda diagonale mirando il punto ditramonto del sole sull’orizzonte.

Fig. 6. Fase 5: spostandosi in ASI si individuano nuovamentele direzioni cardinali in direzione Nord ed Ovest e si fissano ivertici ASE e TSI alle intersezioni con la precedente diagonale.

Fig. 7. Fase 6: si completa la limitatio urbana fissando le ulte-riori intersezioni del parallelogramma. Si tracciano quindi gliassi principali della forma urbana: l’asse cardinale N-S, ildecumano “equinoziale” O-E e i due decumani “solstiziali”TSE-ASE e TSI-ASI.

Si consideri che gli avvenimenti qui descrittinon sono direttamente collegati con gli atti difondazione, ma costituiscono verosimilmenteuna parziale descrizione del rituale della con-templatio, con riferimento all’augurium eall’auspicium.

Si è visto che nella fase 1 (fig. 2) il punto distazione in TSE (Tramonto Solstizio d’Estate)deve essere scelto in posizione elevata e domi-nante rispetto al luogo su cui verrà fondata lacittà, dovendo consentire ampia padronanzavisuale sia sul pianoro sottostante, sia sulladirezione del quadrante est dell’orizzonte su cuisorgerà il sole. In tale luogo dovrà essere predis-posto un punto di osservazione stabile, da cuiattendere l’alba nel giorno stabilito. Rivolgendosiquindi ad est, si fisserà da quel luogo la mira sulpunto dell’orizzonte in cui sorge l’astro, miraquesta che andrà traslata e materializzata sulpianoro sottostante, impostando arbitrariamentel’altro estremo dell’asse diagonale in ASI (AlbaSolstizio d’Inverno).

Soffermandoci ora sul dettaglio di questaprima fase, salta agli occhi la straordinaria seriedi concordanze che si riscontrano, nei due casi,rispetto ai tempi, ai luoghi e, non ultimo, ai sis-temi di orientazione entro cui si sviluppal’azione rituale.

Si consideri che, nel caso il fondamento con-cettuale del rito fosse stato oggetto di una dis-ciplina a carattere misterico, e non fosse notonemmeno a chi assisteva agli eventi il senso diciò che stava accadendo, questi, indipendente-mente dai significati che ad essi potevano divolta in volta essere attribuiti, avrebbero dovu-to comunque ruotare intorno ad alcune bendefinite circostanze chiave: 1) l’annuncio che ilrito si sarebbe svolto in un giorno stabilito; 2)la salita in un luogo elevato con ampia visualesull’orizzonte e sul piano di fondazione; 3)l’orientazione verso il quadrante est; 4) il pas-saggio dalla notte al giorno nell’attesa dell’al-ba; 5) l’attenzione verso un preciso punto del-l’orizzonte; 6) la fissazione su quel punto di unorientamento.

Riducendo quanto riferito dalle fonti aqueste sole circostanze, si osserva che tutte sonoeffettivamente presenti e risultano coerente-mente concatenate con la sequenza razionale delprocedimento ipotizzato.

2.1 La contemplatio e la nascita del giorno

Un primo elemento di concordanza riguardala condizione iniziale per lo svolgimento del rito,che vede effettivamente i partecipanti stanziaresempre in un luogo elevato, in attesa dell’alba.

Nella contesa augurale che anticipa la fon-dazione dell’Urbe, Remo attende l’auspicio “inmonte (...)” e Romolo “osserva il cielo sull’altoAventino” (Enn. Ann. I, 74, 75; Cic. Div. I,107). Ugualmente, nell’inaugurazione regale diNuma, l’auspicante viene fatto salire sulla cit-tadella sacra – “deductus in arcem” – e da ques-ta, terminata la funzione augurale, vi ridiscende:“Rex Numa de templo descendit”2. Templum èqui significativamente associato all’idea stessa dielevatezza, di altura, quale luogo alto e domi-nante che è spazio consacrato, in quanto circolod’osservazione da cui lo sguardo può libera-mente spaziare nell’intorno. L’accezione del ter-mine si specifica ulteriormente nella funzionedella contemplatio, di cui sembra fossero parteessenziale le formule rituali della conspicio: “ilgesto dell’augure era accompagnato dal suosguardo, che abbracciava l’intera vista della cittàe della campagna al di là di essa; “contemplan-dola”, egli riuniva con lo sguardo e con il gestoi quattro templa in un unico grande templum”(cfr.: Rykvert 1981, p. 37).

Nella contemplatio e nella conspicio ritroviamoquanto già abbiamo sottolineato sul significatoche sembra assumere il procedimento di riunifi-cazione dei tre templa – quello celeste, quelloterrestre e quello infero – nella descrizione dellaforma sacrale della città (Gottarelli 2003b, pp.152-153). L’attesa di segni augurali ex avibus,che nei due racconti sembra essere la funzionecentrale dell’atto rituale, sarebbe in realtà la faseconclusiva di una serie di azioni che riman-derebbero all’oggetto stesso della contemplatio,sul cui vero significato è necessario ora interrog-arsi. La domanda da porsi è su cosa si concen-trasse veramente l’attenzione dell’augure nel-l’atto del “contemplare” e quali circostanze sidovessero verificare affinché si realizzasse quellaunione effimera tra i tre mondi – supero, ter-reno, infero – e quel “ponte” tra cielo e terra,

Antonio Gottarelli

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2 Liv. I, 18; vedi Rose 1923.

che era la condizione del manifestarsi dei segnimediatori della volontà divina.

Secondo la nostra interpretazione, raggiuntoun luogo elevato e predisposto un punto di osser-vazione stabile, l’officiante si sarebbe rivoltoverso il quadrante est-sud-est dell’orizzonte3, inattesa dell’alba. In questa fase il vero evento sucui si concentrerebbe la sua attenzione nonsarebbe il responso augurale, ma l’attesa dell’is-tante in cui il disco solare compare sull’orizzonte.

Si spiega, su queste basi, il senso di quantodescritto nel brano di Ennio sulla contesa traRomolo e Remo, dove l’intero contesto ambien-tale entro cui si svolge l’azione sembra effettiva-mente esprimere una doppia chiave di letturadegli avvenimenti che accompagnano la contesaaugurale. La scena ha in primo piano l’attesa delmanifestarsi di segni che siano propizi alla con-sacrazione dell’uno o dell’altro, ma ciò cheaccade sullo sfondo è altrettanto significativo,in quanto sembra indicare nella nascita delgiorno il vero evento che determina la con-dizione necessaria affinché quei segni assumanoun reale significato sacrale.

L’inizio del racconto esprime i toni epici diuna attesa che prelude all’ineluttabilità di undestino già segnato a favore di Romolo: “Remosi dedica all’auspicio e da solo attende che appa-ia qualche uccello; dal canto suo, Romolo dal-l’aspetto divino osservando il cielo sull’altoAventino, attende la stirpe degli altovolanti”(Cic. Div. I, 107; Timpanaro 1998, pp. 85-87;Enn. Ann. I, 75). La descrizione degli avveni-menti si concentra sulla tensione emotiva deipartecipanti, nell’incertezza del responso: “(...)tutti attendevano ansiosamente chi sarebbestato il sovrano” e, come negli istanti che prece-dono la partenza di una gara, “(...) il popoloaspettava coi volti pallidi nell’attesa degli even-ti, chiedendosi a quale dei due sarebbe toccatala vittoria nella gara per il gran regno”. Ennio sisofferma sullo stato di concentrazione dei duecontendenti, che è proprio come quello di due

atleti che attendono l’istante del via: “aspettanocome quando il console sta per dare il segnalenella corsa dei carri, tutti guardano avidamentele aperture dei cancelli, attenti al momento incui lascerà uscire dalle dipinte imboccature icarri (...)” (Cic. Div. I, 108; Enn. Ann. I, 80).

Risulta qui evidente che l’oggetto dell’atten-zione dei partecipanti non può essere, in questafase, lo svolgimento stesso della contesa mapiuttosto l’attesa del “segnale” che ne sanciscel’inizio. Non mi soffermerò sulla simbologiasolare che sembra essere sottintesa nella metafo-ra dell’“apertura dei cancelli” e dell’uscita daquesti dei “carri”, ma è in questo passaggio chi-ave che il racconto, se riletto alla luce di quan-to andiamo trattando, risulta alquanto esplicitosulla vera natura di quell’evento.

Ciò che accade nell’immediato appare al let-tore del tutto inaspettato, perché è una cir-costanza che è in contraddizione con quello statodi fremente attesa che sembrava poter preluderead un evento del tutto imminente: “frattanto ilsole lucente si calò nelle profondità della notte”.In realtà tale circostanza rende evidente che ilsopraggiungere della notte è il preludio al “seg-nale” e che l’istante di inizio della contesa è indi-cato dal riapparire dell’astro sull’orizzonte,all’alba del nuovo giorno: “ed ecco la fulgidaluce riapparve raggiante, spinta fuori dal cielo: enello stesso tempo, lontano, dall’alto, volò unuccello bellissimo, di buon augurio, da sinistra.L’istante tanto atteso è dunque effettivamente ilmomento in cui “la Notte e il Giorno si parlanoalla più breve distanza” ed è solo ora che lavolontà divina si manifesta, attraverso la “stirpedegli altovolanti”: “Appena sorge l’aureo sole,scendono dal cielo dodici corpi sacri di uccelli, siposano su luoghi fausti e bene auguranti” (Cic.Div. I, 108; Enn. Ann. I, 85).

Si coglie in questa descrizione, e in formaalquanto suggestiva, la particolare tensionemistica che doveva accompagnare l’attesa dellanascita del nuovo giorno e l’essenza stessa delprocedimento razionale che assegnava a quel-l’evento un particolare valore sacrale.

2.2 Orientazione e puntamento sul primoasse solstiziale: la conregio

La visione dell’alba rende inoltre evidentel’ulteriore congruenza con quanto descritto nel

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3 Si intende che l’osservazione del quadrante est-sud-est della linea dell’orizzonte è riferita al caso in cuil’officiante ricostruisca la figura del templum solarepartendo dalla mira sulla levata al solstizio d’inverno.La figura può anche essere ricostruita, se la situazionetopografica lo imponesse, sulla mira nord-nord-est,quella cioè impostata sulla levata del sole al solstiziod’estate (vedi Gottarelli 2005, p. 103).

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modello teorico, relativamente all’orientamentoche l’augure doveva assumere durante la contem-platio. Sia Romolo che Remo fronteggiano infat-ti il quadrante d’orizzonte in cui sorge il sole equindi sono rivolti necessariamente verso est(vedi fig. 8 n. 1). La circostanza è ancora confer-mata dal fatto che il primo uccello bene augu-rante proviene da sinistra, direzione questa cherisulta essere favorevole solo se riferita al nord4.

La presenza di un luogo aperto, la circostan-za dell’alba che preannuncia il responso augu-rale e la stessa orientazione assunta dall’offi-ciante, si ritrovano, se pure in un contestodiverso, nello stesso racconto di Dionisio diAlicarnasso sulla presa degli auspici di Romoloper la sovranità (Dion. Halic. Ant. Rom. II, 5.1-4). Qui riconosciamo un ulteriore elemento dicongruenza nel fatto che il rito non poteva svol-gersi in un giorno qualsiasi, ma doveva avereluogo ad una data prestabilita: Romolo siaccinse infatti“ (...) a preannunciare il giorno incui avrebbe preso gli auspici (...)”. Come nelprecedente passo, il rito augurale avviene in cor-rispondenza dell’alba – “quando fu il giornoindicato egli si levò sul far dell’alba e uscì dallatenda” – e, ugualmente, ha luogo in uno spazioaperto: “si mise all’aria aperta in uno spiazzolibero e compì i sacrifici di legge (...)” (Dion.Halic. II, 5.1). Rivolta poi l’invocazione atalune divinità locali e a Zeus Basileus, segue unsegno celeste favorevole, sempre da sinistra.Questa volta non ex avibus, ma ex caelo, connes-so cioè all’osservazione della traiettoria dei ful-mini: “dopo la preghiera un lampo solcò il cieloda sinistra a destra” (Dion. Halic. II, 5.2).

L’orientazione dell’augure è dunque nuova-mente verso est e Dionisio è in ogni caso esplici-to nel riferire che secondo la tradizione dei“Padri” e dei “Tirreni” “(...) la posizione migliorein cui si collocano coloro che prendono gli auspi-ci è quella che guarda ad oriente, punto dove si

ha il sorgere del sole, della luna dei pianeti edegli astri fissi (...)” (Dion. Halic. II, 5.4).

Si è visto che l’osservazione del quadranteest, da un punto di stazione fisso ed elevato, sispiegherebbe nella necessità di fissare da quelluogo la mira sul punto dell’orizzonte in cuisorge l’astro. Tale direzione doveva poi esserematerializzata sul pianoro sottostante, impo-stando arbitrariamente l’altro estremo dell’assediagonale in ASI (fig. 2).

È logico supporre che queste operazionidovessero svolgersi dopo il sorgere del sole eprima del responso augurale, in quanto la fis-sazione del primo limite del templum solare inASI, poteva consentire all’augure di immaginarea “colpo d’occhio”, la superficie che sarebbe statapoi interessata dalle ulteriori linee dell’impianto.Entro questi limiti si sarebbe così compiutaquella “comunione” cielo-terra che sarebbe statal’oggetto della con-templatio e la condizione del-l’apparire al suo interno dei segni celesti cheavrebbero fornito risposta al quesito augurale.

Anche in questo caso le scarne ed enig-matiche informazioni deducibili dalle fontisembrano poter acquistare alla luce del nostromodello un senso razionale. Il brano che riguar-da più da vicino questa fase del rituale è la partedel racconto di Livio che descrive il rito augu-rale di Numa per la sovranità, relativo all’azionedella conregio.

Invocati gli dei, l’augure si volge anche quiverso est, “contemplando” i luoghi sottostanti esovrapponendo mentalmente a questi lo schemache dovrà tracciare: “(...) dopo aver abbracciatocon uno sguardo la città e le campagne intorno,invocò gli dei e definì le regioni dall’estall’ovest, dicendo che le parti meridionali erano“sulla destra” e le settentrionali “sulla sinistra”(Liv. I, 18.7). Secondo Rykvert compie quindiun atto che può benissimo riferirsi alla sintesiliturgica del rilevamento di una mira su un pre-ciso punto sull’orizzonte, in quanto, “(...) fissònella mente il punto di riferimento per tutta laprofondità del campo visivo che aveva din-nanzi” (Rykvert 1981, pp. 37-38). Infine, coer-entemente con quanto ipotizzato, rivolgendol’invocazione a Zeus, dichiara che i segnidevono manifestarsi all’interno dello schemaconcettuale così delineato: “(...) dacci qualchesegno manifesto entro i limiti che io ho or oratracciato”.

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4 Dionisio di Alicarnasso afferma infatti che “(...) percoloro che guardano a oriente le regioni celesti chevolgono a settentrione si trovano a sinistra, a destrainvece quelle che portano a meridione. Di queste leprime sono più rilevanti: infatti è dalle regioni setten-trionali che si leva il polo dell’asse, attorno al qualeavviene la rotazione celeste” (Dion. Halic. II, 15). Sutale problematica, nel caso specifico, vedi Carafa,D’Alessio 2006, p. 406. Sul sistema di orientazione ingenerale vedi Gottarelli 2003b, pp. 158-162.

In questo passaggio l’augure sembra dunqueesprimere una rappresentazione dello schemapuramente ideale, né mai si è trovato in altreparti del rito augurale alcun cenno ad eventualioperazioni pratiche di fissazione sul terreno dipunti significativi.

È ipotizzabile che consegua a questa fase larealizzazione di un templum minus in terris, secon-do lo schema del templum augurale di Bantia, mal’aspetto ideale e figurato di quel passaggio bensi accorda in realtà con la natura generale delprocedimento utilizzato a Marzabotto, dove loschema del templum è qui utilizzato per deter-minare le sole linee generatrici di quella che saràpoi la vera figura geometrica della forma urbana.Questa, come indicato nella fase 6 (fig. 7), saràimpostata solo in un secondo tempo sulla mate-rializzazione degli assi che collegano i nodi delrettangolo inscritto alla figura del templumsolare, e cioè la direzione cardinale nord-sud e letre principali linee decumane est-ovest5.

Su questo aspetto ci siamo ampiamente sof-fermati in un precedente studio, dove abbiamorilevato le consistenti analogie tra lo schema dis-tributivo a nove cippi del templum augurale diBantia e lo schema dei capisaldi rinvenuti inter-rati presso gli incroci o i tratti terminali del-l’impianto urbano di Marzabotto (Gottarelli2003a). Vedremo come questa fase corrispondaalla trasformazione della forma ideale del tem-plum celeste, che rimanda allo schema circolaredel templum solare del luogo, nella “quadratura”terrestre del rettangolo inscritto. La transmu-tazione sul terreno della precedente figura nellageometria “quadrata” descritta dalla messa inopera di cippi terminali, avrebbe così coincisocon quella parte del rito che concludeva la effatioe liberatio del luogo: “(...) i limiti della figura deltemplum, che prima erano definiti idealmente,poi dichiarati verbalmente ed infine trasferiticon la posa delle pietre terminali sulla solidabase del terreno vergine su cui verrà edificata lacittà, con il successivo interramento venivano

per sempre fissati, quale trama e matrice occultadel disegno rituale della città fondata” (cfr.:Gottarelli 2003a, p. 144; vedi fig. 8, n. 2).

2.3 Trasferimento delle sedi rituali e doppiaorientazione

Su questo complesso ed enigmatico passag-gio le fonti antiquarie forniscono elementiparziali e contraddittori e la sola possibilità diriscontro e di analisi potrà unicamente derivaredallo studio di quelle evidenze materiali che, sepur labili, risulteranno nei singoli casi ancoraindagabili per via archeologica .

Resta forse una memoria, come già si disse,in alcuni frammenti delle tavole iguvine, doveil riferimento ad un “angolo inferiore”, inprossimità di un’ara definita “divina”, e ad un“angolo superiore”, in prossimità di non meglioprecisate “pietre augurali”6, possono ricordare ilprocedimento di proiezione dei diversi “loci”lungo una diagonale, così come avviene nelladisposizione dei punti del modello teorico inTSE, DE e ASI7.

Si è detto che nella fase 2, definito quell’assevisuale e fissato sul terreno il suo estremo in ASI(fig. 8, n.1), si individuerà un nuovo punto distazione in DE, quale punto intermedio sulladiagonale tra ASI e TSE. Nella fase successiva(fig. 8, n. 3), a partire da questo stesso punto, sitracceranno le direzioni degli assi meridiano(nord-sud) ed equinoziale (est-ovest), basandosisull’osservazione del movimento dell’ombra diuno gnomone prima e dopo il mezzogiorno(Vitr. I, 7.12; Gottarelli 2003b, p. 157).

La descrizione della “città quadrata” hadunque come presupposto l’impostazione degliassi cardinali nel punto DE, per cui quest’ulti-

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5 La diagonale solstiziale è infatti un asse immateriale,la cui funzione è unicamente quella di determinare lamira su cui allineare, da TSE i punti ASI e DE. Questisaranno i soli punti di quella linea ad essere poi mate-rializzati sul terreno attraverso la messa in opera deicippi terminali che ne fisseranno stabilmente laposizione, per poi essere interrati e obliterati dal pianodi vita della città (vedi Gottarelli 2005, pp. 112-114).

6 Sulla complessa problematica collegata con questa faserituale si vedano per ultimi: Carandini 2000, p.128;Gottarelli 2003a, pp. 142-144; Carandini 2006a, pp.152-153; Carafa-D’Alessio 2006, pp. 426-427.

7 Su questo aspetto, Rykvert per primo ipotizzò chel’atto del fissare nella mente un punto di riferimento– “(...) per tutta la profondità del campo visivo cheaveva dinnanzi” – così come descritto nel passo diLivio sull’inauguratio di Numa, potesse rimandare alrito iguvino (Rykvert 1981, p. 42). Inoltre, secondoCarandini, sarebbe proprio “a partire da quegli angoliche delimitano un lato del templum, e dalle pietreaugurali” che “venivano determinati i confini cittadi-ni, in un movimento che va dal piccolo verso ilgrande (...)” (Carandini, Cappelli 2000, p. 128).

ma sede va considerata a tutti gli effetti lastazione rituale cui riferirsi per i passaggi suc-cessivi, in quanto sede traslata di TSE lungo ladiagonale solstiziale.

Le implicazioni cultuali di questo passaggio,dalla circolarità della figura ideale del templumin caelo, all’ortogonalità della figura “quadrata”della forma urbana, sono notevoli, e riguardanoproblematiche talmente complesse e contro-

verse che meriterebbero ognuna uno studio a séstante. Non entrerò nel merito di un dibattitoche ha caratterizzato l’intera storiografia anticae moderna sul rito di fondazione, ma mi lim-iterò ad elencare le possibili tematiche generaliche potranno essere oggetto, in futuro, di ulte-riore approfondimenti.

In primo luogo va osservato che la natura gen-erale del procedimento di costruzione della figu-

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Fig. 8. Ipotesi sulle azioni rituali di fondazione collegate con il modello procedurale per la descrizione del Templum solare del luogo(fasi 1-4).

ra sembra risolvere uno dei più controversi prob-lemi che da sempre è stato posto agli analisti delrito augurale: quello cioè del doppio sistema diorientazione che sembra dovesse assumere l’offi-ciante durante la cerimonia8.

La corrispondenza del modello con le duedirezioni documentate dalle fonti, ad est e a sud,è precisata ora dalla singolare coincidenza che sistabilisce tra le fasi operative relative alle duestazioni rituali in TSE e DE e i sistemi d’orien-tazione che vengono attuati nell’uno e nell’altrocaso. Come già si è sottolineato per Marzabotto(Gottarelli 2005, pp. 106-107), e per quantodocumentato nel templum augurale di Bantia9, ilsistema di orientazione della sede augurationis inTSE vedeva l’officiante rivolgersi verso est, men-tre nella sede inaugurationis (DE) egli si rivolge-va verso sud. Si noti che le azioni da mettere inatto in TSE e DE, relative alle fasi 1 e 3,richiedono ugualmente di disporsi volgendosinelle medesime direzioni. Abbiamo visto che daTSE la mira sulla diagonale solstiziale implica didisporsi nella direzione del quadrante dell’oriz-zonte su cui sorge il sole, che è appunto quellorivolto ad est (nord-est, sud-est): mentre la let-tura del passaggio del sole al meridiano da DE,e la mira da questo stesso punto sul suo luogo ditramonto, implicano in ogni caso di doversi dis-porre verso il quadrante sud (sud-est, sud-ovest)(fig. 8, nn. 1-4).

La doppia orientazione non sarebbe quindiuna controversa crux esegetica nell’interpre-tazione delle fonti, ma una necessità operativalegata alla fissazione sul terreno delle direzionidi quella figura.

Tale concordanza potrebbe dunque chiarireil significato del già citato passo di Livio sul-l’augurium per la sovranità di Numa, in cui lediverse azioni di orientamento, che nella realtàsarebbero state impostate in punti diversi,potrebbero essere state concentrate in senso fig-urato in un solo luogo. Mentre infatti l’augure,che è l’auspicante, si dispone fronteggiando ladirezione est, Numa, che è l’auspicato, vienefatto sedere su una pietra “(...) con lo sguardo

rivolto a meridione” (Liv. I 18.7). Sebbene i duerisiedano nello stesso luogo, e il primo poggi lamano sul capo del secondo, tale circostanza, seriletta in base alla possibile analogia che inter-corre tra i due soggetti e le operazioni svoltenelle due sedi rituali, può ora essere reinterpre-tata nel senso che mentre nella sede augurationisci si rivolge ad est, come fa l’augurante, nellasede inaugurationis ci si rivolge a sud, come faNuma, che è l’inaugurato.

2.4 Dal rito augurale alla “città quadrata”:mundus e umbilicus

La doppia orientazione sarebbe dunque insi-ta nel passaggio dal primo punto di stazione alsecondo, il cui fine è fissare in quest’ultimo ilcentro o umbilicus della figura, quale principalecaposaldo per la costruzione geometrica dellacittà ortogonale. Questo passaggio riguardadunque la definizione stessa del concetto di“città quadrata”, usando qui un termine cherichiama ad una possibile generalizzazione deicontenuti del tradizionale dibattito storiografi-co sulla fondazione dell’Urbe relativamente alla“Roma quadrata”.

Questo tema ha diverse implicazioni suaspetti del rito di fondazione che sono statioggetto nel tempo di un acceso dibattito e dinumerose e controverse interpretazioni. Il con-cetto stesso di “Roma quadrata” ha posto, tragli altri, numerosi interrogativi su qualedovesse essere realmente la figura del sulcusprimigenius, se circolare o quadrata, e quale rap-porto spaziale dovesse intercorrere tra i confinirituali della città e il suo centro sacrale, alla lucedelle relazioni topografiche e rituali tra munduse umbilicus, ove si intenda con quest’ultimo ilcentro fisico ed il decussis, della forma urbana10.

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8 Gottarelli 2003a, pp. 140-142; Gottarelli 2003b,pp. 158-162. In generale si vedano Baistrocchi 1987,p.103, n. 23; Rykvert 1981, pp. 72-73, n. 56;Curletto 1990, 28-55; Timpanaro 1998, p. 39.

9 Per Bantia si vedano Torelli 1966; Torelli 1969;Linderski 1986; Gottarelli 2003a.

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10 Sul tradizionale dibattito legato a questi concetti siveda la bibliografia in: Baistocchi 1987, pp. 123-135;Rykvert 1981, pp. 117-148. Per l’attualizzazione deldibattito alla luce delle nuove indagini archeologichevedi Carandini 2006a, pp. 159-170. Nel caso diquanto rilevato per la fondazione di Marzabotto sulrapporto tra la circolarità della figura teorica del tem-plum solare e la figura quadrangolare inscritta checaratterizza la forma urbana (Gottarelli 2005 pp.127-133), si vedano ora le osservazioni di Sassatelli, cheindividua tracce dell’aggere che circondava la città insingolare coincidenza con la circonferenza teorica(Malnati, Sassatelli 2008, pp. 453-454).

Limitandoci ad alcune considerazioni sullerelazioni topografiche tra mundus e umbilicus, siosserva che lo schema proposto fornisce unaregola geometrica che risolverebbe l’apparentecontraddizione delle fonti sulla loro ubicazione(Baistrocchi 1987, pp. 137-185). In particolare,si è visto che la seconda sede rituale in DE, cheè il centro emanatore dei due assi ortogonali sucui si imposterà la “città quadrata”, risulta esserela proiezione sulla diagonale della prima sede inTSE (fig. 9). Quest’ultima è quella in cui si svol-

gevano i riti augurali rivolti alle divinità celestied infere e si connette così, in senso “orizzon-tale”, a strutture cultuali, quali are e altari, chesi immagina dovessero essere compatibili conquelle funzioni (Gottarelli 2005, pp. 133-135).Nel caso di Marzabotto fra queste vi è il podio“B” che è un mundus, inteso come fossa-ara conpozzo, bocca o antro delle fosche divinità infer-nali, e dunque omphalos e centro sacrale del sis-tema (vedi Brizzolara, Lippolis, Vitali 2001,Sassatelli 1990, p. 604). La sede in DE risul-

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Fig. 9. Marzabotto: allineamento dei tre punti di stazione utilizzati per il tracciamento della forma urbana lungo la diagonale sol-stiziale. La sede augurale in TSE, con templi ed aree, tra cui il mundus; la sede in DE, inaugurale, ove venne rinvenuto un cippointerrato con decussis; la sede in ASI, prossima ad altro cippo interrato e alla “porta” di accesso alla necropoli sud-est.

terebbe quindi essere la trasposizione con-cettuale del mundus all’interno della geometriasacra della città, in quanto centro emanatoredelle linee dell’impianto e dunque suo umbilicus.La fossa del mundus era dunque il luogo in cui, insenso strettamente rituale, la dimensione inferae quella celeste entravano in contatto con quellaterrestre, mentre il decussis rappresentava unasorta di mundus geometrico della figura urbana,in quanto luogo di passaggio ideale dell’Asse delMondo, l’asse che ugualmente attraversava, col-legandole, le diverse dimensioni della sfera cos-mica (vedi Briquel 2000, pp. 40-41).

Il legame geometrico tra TSE e DE sottendedunque a precisi significati cultuali, cheindicherebbero, attraverso la trasposizione delcentro sacrale del sistema dall’una all’altra sede,la proiezione delle due dimensioni sovranaturali,quella celeste e quella infera, nella figura del tem-plum in terris. E questo legame, se riferito ai sig-nificati razionali del modello teorico, deriva daun effettivo spostamento sulla diagonale delcentro di costruzione della figura, il cui fine èquello di poter concludere la forma geometricadel templum solare del luogo che, come detto,costituirebbe la sintesi in terra delle figure deitre livelli cosmici discendenti (fig. 9; Gottarelli2003b, pp. 151-153).

Si comprende, in tal modo, in quali possibiliambiguità interpretative possa essere stato indot-to chi non poteva cogliere il reale significato diquesto procedimento. “Forse non sapremo mai” –sottolineava Rykvert – “in quale punto Romoloabbia scavato il suo mundus, ma a quanto pare essoera in qualche modo connesso col decussis del cardoe del decumanus maximus; non è dato però stabilirese si trovasse esattamente all’incrocio dei due assioppure spostato verso nord o verso ovest”11.

Il mundus è dunque un templum sub terra, chese associato a TSE, si collega ad una struttura cheè effettivamente presente a nord-ovest (o sud-ovest, vd. nota 4) del decussis della città e cherisulta esterna al perimetro urbano, come è ilcaso del podio “B” con pozzo dell’acropoli diMisanello. Il secondo punto in DE, che è al con-

trario in diretta connessione con la geometriadella “città quadrata” e che coincide con il luogodove venne rinvenuto il cippo con decussissepolto all’incrocio degli assi di Marzabotto (fig.9), potrebbe corrispondere concettualmente conquella ulteriore “fossa di fondazione” che vieneassociata alla “Roma quadrata” e che sarebbe dainterpretarsi come una “fossa riempita e chiusauna volta per sempre”, collegata con la figura deltemplum in terris (Carandini 2000b, p. 127).Inoltre, “mentre il templum sub terra o mundus èdedicato esclusivamente a divinità infere, comeDis Pater, la Mater Larum e i Lari, il templum interra è dedicato a divinità supere come Giove eSol (...)” (Carandini 2000b, p. 127). Divinitàquest’ultima, che abbiamo ritrovato nell’is-crizione del cippo “ombelicale” del templum “interris” di Bantia (Gottarelli 2003b, p. 166) e cheben si accorda con la funzione “solare” delleoperazioni gnomoniche di tracciamento degliassi cardinali che andavano svolte in DE.

Ed è proprio nella valenza “solare” del centrodel sistema, quale origine degli assi ortogonaliche vengono descritti per via astronomica dal-l’ombra dello gnomone, che troverebbe ora unaprecisa spiegazione la ricorrente presenza delbetilo dell’Apollo Palatino all’interno del canonedi età augustea del repertorio iconografico della“Roma quadrata” (fig. 10; Cappelli 2000, pp.

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11 Rykvert 1981, p. 5: diremo oggi che il mundus dovevatrovarsi esattamente a Nord-Ovest, rispetto al centrodella città, nel caso in cui l’asse generatore della formaurbana fosse stato impostato sull’asse solstiziale d’in-verno: oppure a Sud-Ovest, nel caso in cui l’asseprescelto fosse stato quello del solstizio d’estate.

Fig. 10. Roma, Palatino, Domus Augusti, Stanza dellemaschere: particolare del dipinto della Roma quadrata con raf-figurato il betilo di Apollo.

177-183). L’interpretazione corrente, che assegnaalla centralità di tale raffigurazione il valore disimbolo aniconico dell’Apollo Palatino, da asso-ciarsi a quel “locus sacer ante templumApollinis” che Verrio Flacco riferisce alla “Romaquadrata” (Solino I, 17-18; Cappelli 2000 p.180), sarebbe in realtà una tautologia nonesplicativa dei possibili significati assegnatiall’immagine del betilo in relazione alla stessa“Roma quadrata” e alla rappresentazione del suocentro. Se infatti il betilo venisse ora interpreta-to non in senso puramente simbolico, ma comesignificante stesso delle funzioni gnomoniche chein quella sede venivano svolte, è allora da quelloche conseguirebbe l’attribuzione del luogo aduna sede rituale collegata con le prerogativesolari del culto di Apollo, e non viceversa.

L’ipotesi spiegherebbe inoltre il significatodi un ulteriore elemento figurato che si ritrovain associazione con il betilo e che, comparendonel solo dipinto della “Roma quadrata” della“Stanza delle maschere” della Domus Augusti, haposto non pochi problemi interpretativi: la pre-senza di una lancia appoggiata al suo fusto, daipiù collegata con l’asta di corniolo scagliata daRomolo sul Palatino nell’atto inaugurale di fon-dazione12. Secondo la leggenda questa, confic-catasi sulla cima delle scalae Caci, avrebbeprodigiosamente dato vita ad una pianta dicorniolo che ancora ai tempi di Caligola eravenerata quale centro sacrale dell’Urbe e suosimbolo di prosperità. L’associazione lancia-betilo, sul luogo ove questa si conficcò nel ter-reno, rimanderebbe quindi ai significati sacralie cosmologici del centro ombelicale della città,cui si collegherebbero, secondo alcuni, le stesseradici pal- pol- di Palatino, collegate con l’ideadi gettare, lanciare, oppure di centro e di movi-mento circolare, da cui polos e polus (Plin. Nat.Hist. II, 15, 13; Baistrocchi 1987, p. 95, n. 4),concetti questi che ben si accordano con il cen-tro geometrico della figura che il nostro model-lo pone in DE.

Ma si osservi che l’azione rituale del lancio diun giavellotto dalla sede augurale al luogo difondazione, se può comunque essere ricondotta

ad un simbolismo di presa di possesso del luogoderivato dal rituale bellico (Bayet 1971, pp. 9-43; Carandini 2000b, p. 125), rappresenta difatto un atto pratico che consente di materializ-zare sul terreno una linea lungo l’asse di unamira, che è ottenuta traguardata il punto di lan-cio con il punto di caduta. Questa traiettoriapotrebbe dunque porsi in relazione con la fis-sazione dell’asse auspicale della spectio (Carafa,D’Alessio 2006, p. 400), la qual cosa, rispetto aquanto andiamo verificando, rivelerebbe la tec-nica utilizzata per fissare il nostro secondopunto di stazione sulla diagonale solstiziale, dacui risulterebbe spiegata l’associazione lancia-betilo in DE, così come è rappresentata al cen-tro del dipinto della “Roma quadrata”dellaDomus Augusti.

2.5 Templum in terris e sede inauguratio-nis “ad aequilibrium”

Il trasferimento dal centro delle funzionicultuali che venivano svolte sull’arce – il mundus– al suo omologo sul piano di fondazione dellacittà – il decussis-umbilicus – sarebbe dunque unpassaggio centrale del rito di fondazione, a cuialluderebbe la memoria di un trasferimento difunzioni su diversi “loci”.

Su questa complessa materia è intervenutopiù volte Andrea Carandini, che giunge peraltre vie a considerazioni del tutto simili allenostre: “Il problema posto dal concetto quantomai complesso di Roma quadrata consiste nelfatto che esso rimanda a una pluralità di loci, sianel senso della dimensione (un “luogo piccolo”,quello con fossa/ara, un “luogo medio”, quellodel templum augurale e dell’arce del Cermalus, eun “luogo grande”, quello del Palatino inaugu-rato), sia nel senso che il “luogo piccolo”, origi-nariamente uno, è stato in seguito duplicato,per cui i “luoghi piccoli” sono diventati due(...)” (cfr.: Carandini 2006a, p. 162).

Non entreremo nel merito di una problem-atica, come quella delle prime fasi della fon-dazione della Roma arcaica, che ha una suacomplessa specificità, se non per sottolinearetaluni aspetti in cui è possibile riconoscere ele-menti di concordanza, oltre che di generalità,con quanto andiamo verificando. Vale qui unaconsiderazione che è strettamente connessa conle relazioni che intercorrono tra i “centri” TSE e

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12 Serv. Ad Aen. III, 46; Ovid. Met. XV, 560; Plut.Rom., 20; Cappelli 2000 p. 180. Sulla simbologiapolare dell’asta e della radice pal. pol. = Palatino siveda Baistrocchi 1987, pp. 95-96, nn. 3-4.

DE, in quanto centri generatori della figura deltemplum solare “in terris”.

Quando in altra sede analizzammo i rapportidi similitudine tra la figura del templum auguraledi Bantia e la pianta dei cippi interrati diMarzabotto, osservammo che il templum bantinosembrava “(...) poter descrivere un vero e proprio“modello” in scala ridotta delle relazionitopografiche che legavano la sede augurationis conl’area delimitata su cui venivano poi material-mente tracciati i confini della città” (cfr.:Gottarelli 2003a, p. 142). Risultò quindiverosimile che “(...) i rapporti di analogia tra tem-plum augurale e forma urbana si definisseroseguendo un procedimento proiettivo di trasferi-mento della prima figura sulla superficie interes-sata al piano di fondazione” (cfr.: Gottarelli2003a, p. 144).

Nel caso di Marzabotto, questa circostanzariconduceva a quel “principio di diagonalità”che, come osservammo, sembrava poter legarela sede augurationis sull’arce, con quella inaugu-rationis, al centro della città (fig. 9). All’internodel modello teorico ritroviamo lo stesso princi-pio nel trasferimento del punto di stazione daTSE a DE, lungo l’asse “proiettivo” della lineasolstiziale. Alla luce di queste considerazioni edel precedente passo di Carandini, in cui si ipo-tizza la presenza di un “luogo medio” – “quellodel templum augurale e dell’arce del Cermalus” –e di un “luogo grande” – “quello del Palatinoinaugurato” – non possiamo non cogliere lastretta analogia che intercorre tra i due model-li. Nel nostro caso il “luogo medio” corrispon-derebbe con il templum augurale sull’arce, cheriproduce in scala ridotta i limiti dell’insedia-mento, mentre il “luogo grande” sarebbe lafigura stessa della città ortogonale, così delimi-tata. Le due strutture, in sostanza, coincidereb-bero con i rispettivi centri cultuali cui abbiamofatto cenno in precedenza (il mundus in TSE el’umbilicus in DE), ma questa coincidenzasarebbe solo topografica e non certo concettuale,in quanto il centro generatore di una figura nonpuò essere assimilato alla figura stessa. Sispiegherebbe così la menzione ad altri due loci,più piccoli e connessi con i precedenti: unprimo “luogo piccolo” – quello con fossa/arasull’arce – che andrebbe così identificato con ilcentro del templum augurale, in TSE: e un secon-do “luogo piccolo”, che è significativamente

duplicazione del primo e che altro non sarebbeche il secondo centro cultuale in DE, sede inau-gurationis e umbilicus della “città quadrata”.

In questo modo si chiarirebbe il tipo direlazione geometrica che doveva legare i dueloci e che sarebbe ovviamente la stessa cheintercorre tra TSE e DE. I due dovrebbero infat-ti risultare allineati sull’asse diagonale sui cuiestremi saranno impostati i vertici della limita-tio urbana e, cosa ancor più importante, DEdovrebbe cadere esattamente a metà di quelli(fig. 9).

Si osservi ora che questa condizione risul-terebbe essere esattamente coerente con l’enig-matica affermazione di Varrone secondo il qualela Roma quadrata fu fondata “ad aequilibrium”(“...dictaque primum est Roma quadrata, quod adaequilibrium foret posita”, Var. in Solino I, 17),termine questo che aveva portato Carandini adipotizzare che “il segmento di retta ch’essidelimitavano si trovava “a livello”, cioè allastessa quota del monte (...)” (Carandini 2006, p.164).

Alla luce di quanto andiamo osservando,l’uso di tale dizione sembrerebbe in realtà pot-ersi spiegare nel fatto che il secondo “luogo pic-colo” è “ad aequilibrium” in quanto dispostoesattamente a metà di quell’asse, come in effet-ti risulta dover essere DE rispetto alla diagonaleTSE-ASI, quasi si volesse indicare che quello èstato disposto come se fosse il centro di equilib-rio dei due bracci di una bilancia. Bilancia, inquesto caso del tipo a bracci simmetrici (concentro geometrico), e non “a livello”, in quantoriferito quel punto al centro di equilibrio di unastadera (bracci asimmetrici, così Carandini2006, p. 164).

Volendo a tal riguardo proporre in questasede una semplice osservazione, meritevole infuturo di ulteriori approfondimenti, si noti infig. 11 il confronto tra la figura del TemplumSolare del Luogo alle cordinate geografiche diRoma (Palatino) e lo “schema del templum in aereromuleo per inaugurare la Roma Quadrata”, cosìcome è stato ricostruito da Carandini inplanimetria reale (Carandini 2006a, p. 521).

La diagonale del Templum solare TSE-ASIpresenta un azimut riferito all’orizzonte teorico(orizzonte piatto) di 122.3°, che si discosta diqualche grado dall’asse della spectio indicata daCarandini. Questa, puntando sul Monte

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Fig. 11 La geometria del Templum Solare del Luogo di Roma-Palatino (Lat. 41°53’25”, Long. 12°29’09”) rapportato allo “sche-ma del templum in aere romuleo per inaugurare la Roma Quadrata”, così come ricostruito in planimetria reale da A. Carandini (daCarandini 2006a, p. 521). Si noti la direzione dell’asse della spectio rispetto alla diagonale TSE-ASI e la possibile corrispondenzadei relativi punti di stazione.

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Albano, presenta un azimut che nel rilievo pub-blicato è di circa 131°. È ragionevole supporre,come già si è osservato nel caso di Marzabotto,che puntando quella mira non su un’orizzontepiatto ma nella direzione di un rilievo montu-oso, questo abbia restituito un ritardo nella let-tura dell’istante dell’alba. Inoltre, un ulteriorefattore di declinazione può essere conseguente aeffetti di deriva del terreno intercorsi dalmomento della fondazione ad oggi (vediMarzabotto; Gottarelli 2005, pp. 116-119), enemmeno è da escludersi un errore derivantedall’utilizzo del nord magnetico e non del nordgeografico dei moderni rilevatori.

In ogni caso, si noti la rilevante coincidenzache è data dall’eguale disposizione dei loci ipo-tizzati da Carandini lungo la diagonale dellaspectio rispetto ai punti TSE, DE e ASI del nos-tro modello, con DE che, coincidendo con il“Centro del Sistema”, si localizzerebbe esatta-mente sulla sua metà (fig. 11).

Il termine ad aequilibrium potrebbe alloraanche voler significare che la “città quadrata”,che è stata impostata su quel centro e ritual-mente orientata con lo gnomone rispetto agliassi cardinali e alla figura del corso annuale delmovimento solare, è posta in modo “equilibra-to” rispetto al sistema dei corpi in movimentoche attraversano i diversi livelli della dimen-sione cosmica.

Livelli, questi, dei quali appunto la figura“quadrata” della città costituirebbe la sintesirituale.

3. Marzabotto-Misanello, Este-Meggiaro

Attraverso l’analogia con le fasi di trasmu-tazione dalla circolarità del templum celeste allasua “quadratura” in terris, il complesso santuar-iale dell’arce, se pur decentrato, manterrebbecosì quella caratteristica di sede organica allafigura generale dell’impianto, in quanto sedeemanatrice della stessa forma urbana. Talelegame resterebbe fissato stabilmente da quelprincipio di “diagonalità” che a Marzabottounisce la diagonale del podio “D” con la diago-nale della città, per cui, come si disse, il nessotra i due, oltre che di natura cultuale, sembrapoter essere anche di natura geometrica, ovverodi diretta similitudine. È dunque un rapporto

che differisce non per caratteri qualitativi, madimensionali, come quelli appunto a cui puòalludere la presenza di un “luogo medio”, che èla figura del templum augurale in terris, e di un“luogo grande”, che è la figura dei limiti stessidella “città quadrata”.

Nell’analogia che rilevammo tra il disegnodella città e la struttura “aperta” dei nove cippidel templum augurale di Bantia, si ritenne quin-di di poter intravedere un procedimento di realeproiezione di quel modello sul piano dell’abita-to, la qual cosa avrebbe fatto pensare ad un veroe proprio modello in piccolo, simile a quello diBantia, presente nella sede rituale preposta alrito augurale di fondazione (Gottarelli 2005,pp. 134-136).

L’idea, per la verità, non trovava altri possi-bili confronti archeologici e restava basata sul-l’azzardo di un possibile legame concettuale tradue evidenze paradigmatiche che erano in realtàassai lontane, sia nel tempo che nello spazio.Del resto, sarebbe stato insperato poter crederedi ritrovare una qualche testimonianza archeo-logica di una struttura tanto leggera e labile, inun contesto culturale coerente e coevo con lafondazione di Marzabotto. E nemmeno alcunaevidenza simile è ora rilevabile tra le strutturedell’arce di Misanello, a meno che non si volessegiungere ad ammettere che il podio “D” potesseessere il basamento a “cielo aperto” di una seriedi segnacoli similmente disposti13.

Documentando questo stato di cose, nelcorso del 2004, venivo a conoscenza della pub-blicazione dei risultati di scavo del santuario diMeggiaro di Este (Ruta Serafini 2003). Non misoffermerò anche in queso caso sull’ampia prob-lematica aperta dalle ricerche svolte in quellasede, se non per sottolineare le straordinarieconcordanze con la problematica che stiamoanalizzando. Meggiaro, al di là di tutto, restainfatti per noi la straordinaria testimonianzadell’”anello mancante” tra Marzabotto e Bantia,con cui si colma ogni ambiguità interpretativanell’analisi che operammo di quei contesti.

13 La presenza di cippi rastremati o parallelepipedi inconnessione con il podio “D” risulta documentatadalle relazioni manoscritte degli gli scavi ottocen-teschi e ha dato vita in passato ad interpretazioni fan-tasiose e contrastanti (cfr.: Vitali 2001, p. 50).

L’accurata campagna di scavo, condotta nel1999 dalla Soprintendenza archeologica delVeneto, ha permesso di documentare un’areasacra, in uso tra la fine del VI sec. a.C. ed il IVsec. a.C., “(...) caratterizzata da importantistrutture tra le quali un sacello rettangolare euna massicciata plurifasica in scaglia rosa. (...) Ilsacello è formato da un podio sabbioso delimi-tato da otto blocchi di trachite alloggiati entrofossette e parzialmente a vista; l’area marginatamisura m 7,5x5 e il suo asse lungo è orientatoN45°O.” (cfr.: Balista, Gambacurta, RutaSerafini 2002, p. 115; fig. 12). Una strutturaquindi simile a quella di Bantia, dove la vari-ante degli 8 segnacoli, invece che i nove delcentro lucano, è coerente con quanto già osser-vammo sul fatto che i nove cippi della primadovevano essere intesi su una configurazione

8+1, cioè le otto direzioni dello spazio sacral-mente orientato, più l’uno che è il centro oumbilicus del sistema d’orientazione (Gottarelli2003b, p. 147; Gottarelli 2003b, p. 165).

Diversamente da Bantia però, ma esatta-mente come avremmo potuto aspettarci dopo lostudio di Marzabotto, il “sacello” viene qui a farparte di un più articolato nucleo cultuale, chepotrebbe collegarsi, in senso topografico e geo-metrico, con la fondazione del centro atestino.

La sede risulta decentrata rispetto all’areaurbana in posizione lievemente dominante, e silocalizza all’estremità nord-est di un’asse visualeche si pone significativamente in connessione

topografica con il centro dell’abitato. Il comp-lesso sembra costituire così una variante di quan-to abbiamo fino ad ora osservato per Marzabottoe Roma, essendo diversa la posizione relativa trainsediamento e centro generatore (nord-estinvece che nord-ovest) e non coerenti gli orienta-menti degli assi stradali e del sacello rispetto agliassi cardinali. Ma anche qui, e questo è alquantosignificativo, quell’asse visuale sembra potercoincidere con l’orientamento della sua diago-nale: “(...) la lunga massicciata rettilinea, diincerta funzione, presenta un orientamentoN35°O, mentre l’asse del sacello è orientato aN45°O. Se è vero che questi orientamenti nonappaiono coerenti con i tracciati che caratteriz-zano il centro atestino al momento della fon-dazione del santuario, cioè sullo scorcio del VIsec. a.C., si può ipotizzare in questo caso una

dipendenza da esigenze “normative”strettamente legate alla sua speci-ficità: se infatti la funzione del sacel-lo fosse accostabile a quella di un tem-plum in terris, sarebbe possibiletraguardare il centro urbano attra-verso la bisettrice dell’angolo degliassi” (cfr.: Balista, Gambacurta, RutaSerafini 2002, p. 118).

Non meno rilevante è inoltre l’or-ganizzazione generale dei luoghi diculto contigui al recinto del sacello, apartire dall’ultima fase del centro cheè attribuibile agli inizi del IV sec.a.C. (fig. 13). Come per quantoosservato sull’altura di Misanello,anche qui, se pure in una sequenzadiacronica e pluristratificata comp-lessa, priva di emergenze monumen-

tali, si nota un’articolazione in aree specializzateper lo svolgimento dei culti che sembrano sotto-lineare, attraverso la presenza dei relativi elemen-ti mediatori, un principio ternario di verticalitàdella dimensione rituale: le aree degli altari acenere, dove l’elemento “fuoco” rimanderebbe al“sopra” del livello “celeste”; il pozzo o favissa,forse “ricettacolo di offerte, periodicamente svuo-tato”, in cui l’elemento “acqua” rimanderebbe al“sotto” del livello infero; e il templum in terris, cheal pari del podio “D” di Marzabotto,esprimerebbe un’”orizzontalità” di rapporti conil piano di vita dell’abitato, testimoniata dal pos-sibile legame topografico di “diagonalità” con il

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Fig. 12 - Il “sacello” dell’area cultuale di Meggiaro di Este (da Ruta Serafini2002).

suo centro (Balista, Sainati, Salerno 2002; fig.13).

All’interno del “microcosmo” definito dalperimetro del sacello e alla luce delle possibilianalogie con gli estremi della diagonale della“città quadrata” di Marzabotto, sono infine rile-vanti le tracce di una ritualità circoscritta, che sirisolve nello scavo di tre piccoli depositi votivi inprossimità delle pietre terminali a sud-est dellafigura (vedi fig. 9). Significativa è per noi laspecificità della loro collocazione che “(...) sotto-linea la rilevanza dell’angolo est e del quadrantesud-orientale del sacello”(Ruta Serafini, Sainati2002, p. 220). Inoltre queste evidenze cultualisembrano esprimere anch’esse una relazioneternaria delle fasi rituali. Osserva Ruta Serafiniche “il contenuto evidenzia che nelle fossettesono stati seppelliti tutti gli elementi rappresen-tativi delle (tre) componenti essenziali, visibili,del rituale del santuario: gli ex voto, la ceramica,le ossa animali, tutti spezzettati in minuti fram-menti”: e conclude che “il significato di questacerimonia espressa dalla tipologia delle offertevisibili rimane di difficile interpretazione: essapassa comunque attraverso una prima scompo-

sizione/ricomposizione delle singole tracce/segniall’interno delle tre unità che costituirebbero l’e-sito di tre momenti della stessa liturgia”(Serafini, Sainati 2002, pp. 220-221).

Dunque, secondo la stessa interpretazionedata dagli scopritori, una evidenza che anticipadi quattro secoli quella bantina, “(...) in cui lospazio celeste si proietta sul terreno (...)”(Serafini, Sainati 2002, p. 217), rinvenuta in uncontesto cultuale coerente con quanto osservatosull’arce di Marzabotto, e ugualmente riferitaad un’ambito geografico e territoriale soggettoall’influenza dei centri etrusco padani .

Al di là dunque delle possibili interpretazioniche possono e potranno essere formulate sul con-testo particolare e generale di Meggiaro, sulquale la qualità della documentazione di scavoporta a riconoscere una complessità di relazioniche non può essere ora ridotta ai soli scopi delnostro intervento, resta comunque l’eccezionalitàdi aver potuto confermare per via archeologica lanatura concettuale di quella figura, in un ambitoculturale, geografico e cronologico coerente conla fondazione di Marzabotto.

4. Quadratura del cerchio e “quadrato pita-gorico”

Ritornando, in conclusione, alle sedi cultualidisposte sulla diagonale TSE-ASI e al temadella “Roma quadrata”, l’insieme delle consid-erazioni fin qui svolte offre nuovi importantispunti su un tema che già affrontammo: quellocioè degli attributi religiosi che la tradizionepitagorica della “teologia aritmetica” assegnavaal passaggio dalla figura circolare, che è immag-ine del cosmo, alla sua quadratura in terra, sec-ondo modelli numerici che rimandavano al tem-plum in terris di Bantia.

Il rinvenimento di Meggiaro riproponeinfatti quanto già osservammo sui significatiaritmo-geometrici e cosmologici che ancoranella tarda antichità venivano attribuiti alnumero quadrato composto di tre ordini di tre,il 9, quale limite inferiore del numero 10, cui siassocia il simbolo che lo rappresenta la X, che èprincipio fondante dell’ordine cosmico (vediGottarelli 2003b, pp. 162-166).

Il 10, secondo quanto riferito alla religione diPitagora e alla cosmologia platonica, è il numero

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Fig. 13. Rilievo di scavo in cui si evidenzia l’organizzazionedelle stazioni di culto del centro di Meggiaro agli inizi del IVsec. a.C. (da Ruta Serafini 2002).

su cui “(...) è stato ordinato l’intero universo, ingenerale e in particolare” (Iamb. Teol. Arit. 80;Romano 1995, p. 443), in quanto “(...) è il 10che governa il rapporto delle sfere celesti, comeche fosse un diametro che le attraversa tutte e lefa ruotare e le racchiude (...)”(Iamb. Teol. Arit.82). È quindi il numero rappresentato daidiametri della X inscritta alla circonferenza e, altempo stesso, la circonferenza circoscritta, inquanto dimensione del tutto associata ai moticelesti e alla dimensione temporale.

Nel simbolismo del 10 ritroviamo quindicongiunti il significato delle due diagonali sol-stiziali e quello del confine circolare che è illimite sacrale dell’orizzonte che le contiene. La“citta quadrata” è quindi la quadratura in terradel 10 impostata sul 9, dove quest’ultimo èconsiderato il confine aritmo-geometrico traterra e cielo, in quanto “(...) il 9 fa ruotare tuttoal suo interno: infatti la progressione naturaledei numeri arriva fino al 9, dopo il 9 si tornaindietro, perché 10 diventa 1 (...)” (Iamb. Teol.Arit. 76; Gottarelli 2003b, p. 166).

Il concetto risulta espresso con chiarezza nelcosiddetto “quadrato pitagorico”(fig. 14), in cuitroviamo la spiegazione aritmo-geometrica diquello che ora possiamo definire il principio di“quadratura” espresso dal templum solare nellasua forma generalizzata.

La disposizione in quadrato dei primi novenumeri riferita da Anatolio e ripresa daGiamblico nella sua “Teologia aritmetica”(Iamb. Teol. Arit. 31), indica il rapporto dimedietà aritmetica del 5. I numeri sono dispostiin modo tale che la loro somma, sulle direzioni

passanti per il centro ed escludendo il 5 stesso,dia sempre 10 (es. 1+9, 2+8, 3+7, 6+4).Quest’ultimo, come si disse, è il numero cherappresenta la circolarità del tutto e il limite acui giunge il superamento del 9 inteso come“quadratura”, per cui la figura simbolica risul-tante può essere descritta come in fig. 15, con lacirconferenza circoscritta che rappresenta il 10.

Si noterà che questa è la ben nota figura deltemplum solare, con i numeri che al suo internosi dispongono sui nodi del quadrato inscrittosecondo la disposizione dei 9 cippi di Bantia, sesi considera anche il 5, oppure quella degli 8blocchi di trachite di Meggiaro, se lo si esclude.

L’aspetto di nostro interesse è che questa dispo-sizione fornisce una chiave di lettura della“geografia sacra” delle diverse sedi, in quanto nella“teologia aritmetica” ad ogni numero corrispon-dono qualità e attributi teologici. Va consideratoche per “orientare” il quadrato correttamente,rispetto alla figura del templum reale, è necessarioruotare i numeri in modo che il numero 1, che èl’origine del sistema, coincida con il primo puntodi stazione da cui si è partiti per la costruzionedella figura. In questo caso, definendo il nord inalto, il quadrato risulta già correttamente orienta-to, con TSE in 1, DE in 5 e ASI in 9.

Si notino ora le straordinarie coincidenze conil modello della limitatio rituale di fondazioneda noi ipotizzata.

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Fig. 14. Quadrato dei primi nove numeri, disposti secondo lamedietà aritmetica del 5.

Fig. 15. Direzioni del quadrato la cui somma, escludendo ilvalore centrale, dà sempre 10, simbolicamente rappresentatodalla circonferenza circoscritta. La figura è analoga a quelladel templum solare del luogo nella sua forma generalizzata.

Le direzioni che restituiscono la somma 10sono solo quelle passanti per il centro e dunquesono le due diagonali e le due linee cardinali,figura questa che è esattamente coincidente conquella del Templum solare. La scomposizione osomma di queste direzioni corrisponde non acaso alle varianti dei grafemi utilizzati in anticoper rappresentare il numero 10 presso etruschi elatini. La sequenza 1, 5, 9, che rappresentanumericamente l’origine del sistema in 1, la suamedietà in 5 e il limite della ricorsività numer-ica in 9, si dispone sulla diagonale esattamentesecondo la sequenza rituale di fondazione da noiipotizzata: con 1 in TSE, che è origine del-l’osservazione e sede dell’auguraculum e delmundus; 5 in DE, che è seconda stazione diosservazione del moto solare ad aequilibrium edumbilicus della città quadrata; e con 9 in ASI,che è termine e confine della limitatio urbana.

L’1 è conforme a TSE in quanto è origine emonade, assenza e potenza del tutto e “(...)viene chiamato demiurgo e plasmatore, poichècon le sue progressioni e regressioni delinea lenature matematiche, da cui derivano processi dicorporeizzazione di generazione di esseri viven-ti e di strutturazione del mondo. Perciò ipitagorici ne parlano anche come di unPrometeo (...)” (Iamb. Teol. Arit. 4). I riferimen-ti alle entità matematiche, ai processi di strut-turazione del mondo e a Prometeo sembranoben accordarsi con la nostra ipotesi che assegnaalla sede TSE il punto di inizio della fon-dazione, in quanto origine geometrica delladiagonale e della figura “prometeica” che lega ipunti di levata e tramonto del sole nel suo cicloannuale. Inoltre l’1, in analogia con la sede inTSE che è il luogo dove si celebra la liturgiadell’unione dei Mondi, è anch’esso sede medi-atrice delle dimensioni cosmiche e viene associ-ato al Sole e al culto di Estia: “(...) cubo unitarioinfuocato, la cui posizione centrale (...) conosceanche Omero quando dice «tanto al di sottodell’Ade, quanto il Cielo dista dalla Terra» (...)ed essi (i pitagorici) dicono infatti che la naturadell’1 è fissa al centro, come Estia.” (Iamb. Teol.Arit. 6).

Il 9 (ASI), che conclude le stazioni sull’assesolstiziale e che è il numero della limitatio edella chiusura del ciclo che riconduce all’unità,presenta non a caso prerogative simili: “(...) iPitagorici lo chiamavano anche «Oceano» e

«Orizzonte”, (...) e lo chiamavano Prometeo,perché al di là di se stesso non lascia più postoad alcun numero (...)” (Iamb. Teol. Arit. 77).

Ancor più significativi sono poi gli attributiteologici che qui ritroviamo assegnati allediverse sedi, in particolare all’1 e al 5. I riman-di all’origine del sistema e al centro della quad-ratura – che, come abbiamo visto, vengonoassociati al Sole e alla figura del cubo di Estia –,sembrano in ogni caso ricondurre alle preroga-tive onfaliche dell’Apollo delfico, in quanto giàPlutarco osservava che “(...) Delfi scorgeun’affintà tra il dio e il numero cinque, il qualeora riproduce se stesso, in aspetto di fuoco e dinuovo, produce, da sé, il dieci, in forma dimondo.” (vedi Zellini 1999, p. 42). La metafo-ra cosmogonica che è insita nella circolaritàaritmo-geometrica dei numeri che corrispon-dono alle tre sedi diagonali del templum solare, siconiuga dunque in ogni caso con le diversepotenze rigeneratrici di Apollo, che è colui che“(...) converte in un’unica unità i principiappartenenti ad Elio, in quanto abbraccia ilPrincipio Trialato (...)”, e il cui nome “(...) sig-nifica causa di Unità, (...) che riduce lamolteplicità all’uno (...)” (Proclo Lez. Crat. 174,C84; Romano 1989, p. 96).

L’Apollo Solare, che è equilibrio e potenzarivelatrice ,“(...) che irradia i beni intelleggibili,manifestandoli negli enti celesti (...)” e che “(...)ruota assieme ad Elio (...)”, è infatti anche dettoil “Lungisaettante” (Proclo Lez. Crat. 174,C86), prerogativa questa che ben si accorda conl’iconografia del betilo, della lancia, della fare-tra e delle frecce dell’Apollo Palatino. Ben sispiega allora il perchè a questa sede cultualecorrisponda il centro sacrale della “Romaquadrata”, e perchè a sua volta questo debbacoincidere con la sede gnomonica in DE delnostro modello e con il centro di equilibrio delquadrato pitagorico in 5.

Inoltre, e in forma altrettanto significativa, èalle prerogative dell’Apollo Musageta, o Musicocon la lira, il cui culto è attestato in Etruriapadana presso l’acropoli di Felsina e in più largamisura a Veio (Sassatelli 1990, p. 603), che sem-brano essere qui assegnate le sedi dell’1 e del 9(TSE, ASI), in quanto inizio e fine della circolar-ità armonica del mondo: “(...) e mentre egli èMonade in relazione all’armonia dell’universo, ilcoro delle Muse, invece, indica l’Enneade che è il

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Numero totale (...). Derivando da ambeduequesti Principi, il mondo nella sua globalità «èlegato con legami indissolubili» (Plat. Tim.43a2), ed è uno e perfetto, uno per la Monade diApollo, perfetto per il numero delle Muse: ilnove” (Proclo Lez. Crat. 176, C91; vediGottarelli 2003b, p. 165).

È in ogni caso negli attributi del numero 5,che come detto è il centro ombelicale del sis-tema equivalente alla sede DE del nostro mod-ello, che qui troviamo la più esplicita spie-gazione all’enigmatica sintesi figurata che giàVarrone sottintendeva all’affermazione secondocui la “Roma quadrata” venne fondata ad aequi-librium. Per la tradizione dei pitagorici infatti il5 è medietà, simmetria e “assenza di contesa(...)”, in quanto “(...) potenza di dare in partiuguali ciò che spetta, perché contenuta nellamedietà di un numero quadrato dispari” (Iamb.Teol. Arit. 34, 35, 37). È dunque “l’espressionepiù alta di giustizia“, e “poiché dunque la gius-tizia è stata vista in modo assolutamente corret-to nel numero 5 (DE), l’immagine della fila deinumeri da 1 a 9 (da TSE ad ASI diremo noi) (èstata) assimilata in modo convincente ad unabilancia” (Iamb. Teol. Arit. 40). Dunque, comegià intuimmo, la figura della successione deinumeri 1, 5, 9, che è la diagonale generatricedel quadrato, è considerata ad aequilibrium inquanto assimilabile ai bracci di una bilancia,così come lo sarebbe, per analogia, la dispo-sizione delle sedi diagonali della “RomaQuadrata”.

Il circolo dei cieli, che è il templum in aere fig-urato dall’augure nell’immagine geometrica delTemplum solare del luogo, trova così la sua com-piutezza e stabilità nella limitatio terrenadescritta dal numero quadrato 9, il templum interris di Bantia e di Meggiaro, quale ultimo lim-ite alla circolarità dei cieli e primo quadratodispari che ammette un centro, una simmetria euna medietà ad aequilibrium.

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