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La mia voce arriva daLLe steLLe

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La mia voce arriva

daLLe steLLe

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hugo horiot

La mia vocearriva

daLLe steLLeTraduzione di

Maria Moresco

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isBN 978-88-566-3718-2

i edizione 2014

© 2014 - ediZioNi Piemme spa, milano www.edizpiemme.it

anno 2014-2015-2016 - edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

stampato presso eLcograF s.p.a. - stabilimento di cles (tN)

titolo originale dell’opera: L’empereur c’est moi © L’iconoclaste, Paris 2013Published by arrangement with marco vigevani & associati agenzia Letteraria.

realizzazione editoriale: Elàstico, Milano

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A mia madre che mi ha messo al mondo una seconda volta.

Al mio adorato padre, con gratitudine.Alle mie sorelle Hermine e Olivia,

con tenera complicità.E a mia sorella Rebecca che ha sopportato

le peggiori collere del piccolo principe cannibale, con affettuosa riconoscenza.

A Jean-Jacques Pauvert, il mio primo lettore, per il suo inestimabile sostegno.

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Soltanto non dimenticate questo: bisogna che il sognatore sia più forte del sogno. Altrimenti pericolo.

Victor Hugo, il promontorio del sogno

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Parte Prima

Big BaNg

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Numeri e lettere tra le stelle

mi chiamo Julien. Julien hugo sylvestre horiot, ma mi chiamano Julien. ho quattro anni. sono un bravo bambino. troppo bravo. Quando qualcosa non mi piace, mi arrabbio. mi arrabbio troppo. grido. grido, ma senza parole.

Non parlo.

spesso faccio dei gesti ripetitivi. una cosa che mi piace particolarmente sono le ruote. Forse perché la terra gira su se stessa e la Luna gira attorno alla terra, che gira attorno al sole. È stato mio padre a dirmelo. ma il sole attorno a cosa gira? Questo non me lo ha detto. Forse perché non gliel’ho chiesto? comunque, non chiedo mai niente a nessuno. co-nosco l’ordine delle lettere. so anche come si usano per costruire le parole, me l’ha insegnato mia ma-dre. insieme, abbiamo disegnato l’alfabeto e i nu-meri sul muro della mia stanza. sono capace an-che di contare. molto velocemente e fino a numeri

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molto alti. se voglio, posso andare avanti a contare nella mia testa per tutto il giorno. senza fermarmi. ma non parlo, neanche a mia madre. L’unico con cui mi prendo la briga di parlare è il mio peggior nemico: Julien. soltanto a tu per tu, quando sono solo con lui. Lo odio. Lo ucciderò.

so benissimo che morirò.tutto quanto continuerà senza di me.e non rinascerò.Non così.

Per farla breve, ho quattro anni e sono a questo punto.

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io e le ruote

girano le ruote delle macchinine. gira la ruota dell’aratro del trattore. girano le giostre. girano la terra, il sole e gli astri.

io giro delle ruote. se appena posso, per tutto il giorno. il mondo gira, allora io giro. segno la pul-sazione del tempo che passa. so molto bene che se girassi più in fretta, il tempo non accelererebbe. allora mantengo una velocità costante. velocità di crociera. Quella che più si addice al mio braccio, al mio corpo. Probabilmente la stessa velocità del mio polso. così il mio cuore batte al ritmo della terra che gira. il resto dell’universo gira a sua volta formando l’infinito, che dev’essere un affare di circonferenze e di sfere che girano le une nelle altre, creando il mo-vimento della vita, fatta di nascite, morti e rinascite.

so benissimo che morirò.tutto quanto continuerà senza di me.e non rinascerò.

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oggi usciamo. mia madre mi ha messo la ca-micia bianca satinata e i pantaloni di velluto blu a coste. mi sento bene. sulla piazza del paese c’è una giostra... che gira. Non ho mai visto una ruota tanto grande. a parte la terra, ma la terra è così va-sta che non la si sente girare. Per me è un’enorme frustrazione. mi piacerebbe tantissimo sentirne il movimento. Ne sarò capace, un giorno? Lei accet-terà di rivelarmi il suo segreto? ho quattro anni e ancora non so cosa c’è al centro della terra.

Nessuno lo sa esattamente. È una situazione in-sostenibile. sono furioso. Pazienza.

ti amo, terra.tu mi amerai di rimando?credo di sì. spero di sì.sarà sì o niente.

eccomi in posizione di partenza su questa grande ruota. ci siamo, sono sulla giostra. inizia a muoversi. ecco che giro anch’io. Finalmente! sto girando! os-servo la colonna centrale ricoperta da un mosaico di vetro su cui danzano i riflessi della luce e del movi-mento. guardo all’esterno; il resto del mondo scorre. Finalmente! mi muovo con la terra! il mio sguardo torna al centro e si fissa sul meccanismo dell’asse centrale. Per produrre la sua rotazione, alcune ruote

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girano in senso inverso a quello della giostra. in quel momento mi chiedo se il nucleo della terra... ma ecco che mia madre mi prende la mano e la fa scivolare sulla criniera del cavallo di legno.

togli la mano!sto riflettendo su cose importanti! Più impor-

tanti del cavallo di legno! È molto bello questo cavallo di legno, ma ne ho già uno a casa! uno uguale! me ne frego del cavallo di legno! Non è lui che fa girare la giostra!

rimetto prontamente la mano sull’asta di ferro. si muove anche lei, ma dall’alto in basso. movi-mento regolare che scandisce la pulsazione del mondo. ecco. sono dentro il movimento. dunque, stavo dicendo... ah sì! e se anche il nucleo della terra girasse al contrario? il mio sguardo si sposta di nuovo all’esterno. sono come la Luna o come uno dei tanti asteroidi e satelliti che girano attorno alla terra. comincio a fare un rumore di motore con la mia bocca che non parla. Lo stesso rumore che fa il trattore. ecco. sono la macchina, sono la giostra. La terra gira e io giro in lei. Finalmente! sta succedendo qualcosa!

siamo una cosa sola.

adesso mi strappano dalla giostra. È l’uomo della fiera, il grande macchinista di quel mondo.

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sono lacerato. ritorno nel passeggino. ritorno alla casella di partenza. La giostra gira senza di me. conservo questa sensazione dentro di me. sensa-zione della gravità, sensazione della forza centri-fuga. ho toccato l’infinito, ho toccato l’eternità.

un giorno ci tornerò.

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il trattore

a casa c’è un trattore. arancione. mio padre mi ci porta spesso. vibra, fa rumore, un rumore così regolare e continuo che si finisce per non sentirlo più. anche le vibrazioni sono regolari, un po’ come un gatto che fa le fusa. sono seduto sulle gi-nocchia di mio padre, che è seduto sul sedile del trattore. insieme siamo il trattore. rivoltiamo la terra con il motocoltivatore, tracciamo dei solchi con l’erpice, e ogni tanto tagliamo l’erba alta del prato con la trinciatrice. a volte scendo dal trat-tore, trovo un ramo. La cosa più importante è che il ramo si biforchi in più artigli, altrimenti non può funzionare.

allora me ne vado, trascinandomi dietro il mio piccolo erpice e facendo il rumore del trattore con la mia bocca che non parla. io sono un trattore; un trattore più piccolo, ma comunque un trattore. traccio dei solchi perfettamente paralleli a quelli che traccia mio padre. avanti e indietro, svariate

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volte, su tutta la superficie dell’orto. sono dei sol-chi piccolissimi, ma so che lo sto aiutando. Non parlo, ma sono con lui.

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i tubi

amo i tubi. i loro suoni sottili. Lontane risonanze. sotto il lavandino del bagno ce ne sono alcuni. Po-trei accovacciarmi sotto l’acquaio della cucina, ma lì ci sono troppi odori, troppa luce, troppo trambu-sto. silenzio, calma e immobilità sono indispensabili per ascoltare i tubi. rumori di scolo... Le tubature eruttano, gorgogliano e sonnecchiano. eppure il ru-binetto del lavandino proprio sopra la mia testa è chiuso. mia madre è di fianco a me, quindi so che il rumore non viene neanche dalla cucina, ma da an-cora più lontano. Quello che sento incollando l’orec-chio può venire dall’altra parte del mondo. Non voglio perdermi niente. i tubi vanno sempre molto lontano. anche questo lo so, perché vedo dove co-minciano ma mai dove finiscono. e se fosse la loro estremità a sporgere e il loro inizio a essere invisi-bile? Propendo piuttosto per questa soluzione, dal momento che l’acqua sgorga dal rubinetto e non il contrario. La sorgente dev’essere molto lontana dietro il muro, sotto i nostri piedi, sepolta nella terra.

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i tubi non salgono in cielo. È un’altra cosa che ho notato. scendono tutti dentro la terra. tutti i tubi della terra sono collegati gli uni agli altri e for-mano una grande rete. sono sicuro che, se si sca-vasse, si scoprirebbe che i tubi si congiungono per formare tubi più grandi che a loro volta ne forme-ranno di ancora più grandi e così via. Può essere che arrivino addirittura a congiungersi in un unico tubo, enorme, gigantesco, lungo chilometri? e quell’enorme tubo... dove va? sicuramente al centro della terra. al suo interno, il più lontano possibile al suo interno. so che i ruscelli formano dei corsi d’acqua che formano i fiumi che si gettano nel mare che a sua volta si dà all’oceano. L’oceano copre più di tre quarti della terra, proprio come l’acqua nel corpo umano. Quando guardo il mio braccio vedo delle vene, che si riuniscono per formare altre vene più spesse. me le ha dette mio padre, tutte queste cose. È un medico, quindi so che ha già visto delle persone al loro interno. mi ha anche detto che den-tro di noi esistono dei budelli. soprattutto nella pancia. in mezzo.

Budelli, tubi. È lo stesso. e nel nostro corpo tutto si congiunge nella pancia, al centro, come i tubi che affondano nella terra. Logico. gli esseri umani e la terra vengono tutti dalla stessa materia: dalla polvere di stelle. anche questo me lo ha detto mio padre. La mamma mi ha detto che prima ero nella

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sua pancia, al centro. del resto, è quello che ca-pita a tutti i bambini. io voglio tornarci, ma per farlo dovrei trovare un tubo abbastanza grande o aprirle la pancia, ma se lo faccio, le farà molto male e la ucciderà. Perciò non ho scelta. Bisogna che vada al centro della terra.

Nel cortile davanti a casa c’è un pozzo. ogni tanto mio padre ci scende per andare ad aprire o a chiudere dei rubinetti. io non posso andarci per-ché il coperchio di metallo che chiude l’entrata è troppo pesante. i pioli della scaletta di ferro fis-sati nella pietra sono troppo distanti per me e se ci salto dentro annegherò. È fondamentale non mo-rire prima di essere arrivati a destinazione. Non se ne parla. il fallimento non è concepibile.

Nella foresta che circonda casa nostra ci sono delle grotte. Queste grotte non hanno gallerie; non sono naturali. sono stati gli uomini a costruirle. in passato servivano da celle frigorifere. mio padre mi ha raccontato spesso delle storie di speleolo-gia. capitava prima, quando scendeva nella terra. È andato molto lontano, molto in profondità. mi ha raccontato delle voragini, delle gallerie, dei fiumi sotterranei. mi ha parlato anche di catte-drali sepolte. Ne ha scoperta una che non porta il suo nome, ma quello del suo compagno che non è mai risalito. e mi ha fatto vedere delle pietre rare

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che ha portato su dalle profondità. eppure, nono-stante tutti i suoi viaggi nelle viscere della terra, anche lui non è mai riuscito a trovare il centro, il nucleo, il cuore.

mio padre è in viaggio. Non ha tempo di por-tarmi dentro la terra. d’altronde non ci va più. e io mi dico che, se anche un giorno mi ci portasse, cercherebbe di proteggermi da tutti i pericoli. Fi-niremmo per tornare in superficie. allora io, che sono così piccolo, come farò? dovrò aspettare di diventare grande?

ci vuole troppo tempo. ho fatto la mia scelta.sarà la pancia della mamma.

Non voglio uccidere la mamma né farle del male aprendole la pancia, perciò devo ridiventare infi-nitamente piccolo. Quindi smetterò di mangiare, o meglio, mangerò solo l’essenziale per non morire. unicamente minestra, roba liquida e formaggio cremoso. Niente carne, pesce, dolci o caramelle. Niente che si mastichi. magari alla fine non avrò più i denti, come i neonati. allora vorrà dire che sarò sulla strada giusta. che non ci sia fumo sopra il mio piatto. il fumo è aria in eccesso. se lo in-ghiotto, rischio di gonfiarmi... come un pallone. e i palloni scoppiano. inspiro già abbastanza aria per restare in vita. tuttavia bisogna che cerchi di espi-rarne di più di quanta ne inspiri. Quando riesco,

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devo restare in apnea. il meno possibile di ossi-geno. il minimo per vivere. come i cosmonauti e i palombari. ma attenzione! È fondamentale non morire prima di aver compiuto la mia missione. e la mia missione è tornare nella pancia della mamma. È la regola che mi sono dato e la seguirò fino in fondo. Fino alla vittoria, fino al successo.

ovviamente non bisogna parlare. se parlo, cre-scerò. se parlo, posso lasciarmi sfuggire degli in-dizi. se parlo posso tradirmi. Niente rischi inutili. devo mantenere il controllo della situazione. il mio piano deve rimanere segreto. Neanche la mamma deve sapere, perché non so se sarebbe d’accordo. Quando sarà il momento giusto, quando sarò pronto, allora e solamente allora, agirò di sorpresa alla velocità della luce.

ritroverò il mio regno perduto.

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verde pavimento brillante

La porta si apre da sola. mi sono sempre chiesto come funzionasse. in seguito mi diranno che questa cosa si chiama occhio magico. L’occhio ti vede e apre la porta... come per magia. un grande stuoino nero copre tutto il pavimento della piccola sala che attraversiamo. È una camera d’equilibrio. Poi un altro occhio magico ci vede e apre una se-conda porta, identica alla precedente. arriviamo in una stanza molto grande: l’atrio. alla nostra destra ci sono delle donne dietro i vetri che digi-tano sulle tastiere dei computer. ma noi è a sinistra che andiamo. il pavimento è verde e brillante, con qualche nervatura bianca, ma non è di marmo. Ne sono sicuro. È pulito. troppo pulito. La mamma è con me. mi tiene per mano o in braccio. a volte sono in un passeggino, è la cosa che preferisco.

ascensore, corridoi, pavimento bianco. Lo stesso di prima ma bianco, con piccole nervature grigie. stesso pavimento, colore diverso. stesso posto,

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altra zona. in questo corridoio ci sono tantissime porte. tutte identiche. ci fermiamo davanti a una di esse, sempre la stessa, qualche volta è aperta. entriamo in un ufficio scuro; tende abbassate, luce filtrata. un posto dove ci si annoia. il pavimento è cambiato ancora. stavolta è una moquette celeste. siamo arrivati a destinazione, perciò devo control-lare il pavimento che dovrà sostenerci per tutto il tempo in cui staremo lì. Qualcuno ha paura che il cielo gli cada sulla testa, io ho paura che sia il suolo a sprofondare sotto i nostri piedi e ad aspi-rarci. È normale: non so cosa c’è sotto. mi butto a terra per sentire il pavimento con tutto il corpo e per applicarvi tutto il mio peso. È una buona tec-nica: una volta ho visto un documentario su una coppia di esploratori che camminavano sui vul-cani. Lassù il terreno è molto pericoloso. il marito andava sempre avanti per primo. visto che pesava il doppio di sua moglie, lei sapeva che poteva se-guirlo senza rischi. ma attenzione: per evitare una probabile morte, doveva camminare esattamente sui suoi passi. il contrario non era possibile.

una volta, la mamma mi ha detto di stare at-tento con gli ascensori e di controllare sempre con un piede come quando si valuta la temperatura dell’acqua prima di fare il bagno. La mamma è davvero incosciente a voler entrare in una stanza prima che io abbia verificato l’affidabilità del pa-

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vimento. controllo la moquette celeste buttando-mici sopra bocconi; non sprofonda niente, è tutto a posto. Nell’ufficio c’è una signora. Porta un ca-mice bianco e una gonna beige, ha i capelli grigi e bianchi, corti, come la gonna. altre volte ha i pantaloni. È molto pulita. La mamma invece ha i capelli lunghi e indossa sempre dei vestiti lunghi. Quella signora sembra l’opposto della mamma. Quando parla, non la capisco. Penso sia convinta che io sono un bambino. io non sono un bambino, anche se gli assomiglio. È vero, sono piccolo e brutto come loro, ma non sono come loro. Nell’uf-ficio ci sono dei giocattoli. sono sciocchi. sono giocattoli per bambini sciocchi. La mamma parla con la signora. so che parlano di me. Non so dav-vero cosa ci facciamo qui. Questo posto mi sembra una cabina isolata, immobile, chiusa e ovattata, dove niente si muove, dove niente può succedere. Qui, sono tagliato fuori dal mondo e dall’infinito. mi annoio. Nell’atrio, quello dove c’è il pavimento verde, ho visto un negozio con altri giochi in ve-trina. sono migliori. sono addirittura molto inte-ressanti. in particolare c’è un assortimento com-prendente una berlina, un 4x4 e un elicottero, tutti blu scuro. Li voglio. so che uscendo ripasseremo davanti alla vetrina. Li farò vedere alla mamma perché me li compri.

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Più veloce della luceovvero

il giardino dei cretini

È un posto che si chiama giardino d’infanzia. L’edificio è sormontato da un grande quadrato ar-genteo con delle decorazioni quadrate al suo in-terno. dentro è pieno di bambini che si agitano. La mamma mi lascia lì due volte alla settimana. mi porta di mattina e mi viene a prendere alla fine del pomeriggio. Nel frattempo io resto nel quadrato. Le tate che si occupano di noi hanno dei golfini orribili e vogliono obbligarmi a mangiare. mi hanno infilato della carne in bocca, allora l’ho te-nuta lì per tutto il pomeriggio, fino a sera. Quando la mamma è venuta a prendermi, ha visto che ero strano e ha capito. mi ha messo la mano sotto il mento e mi ha detto di sputare, cosa che ho fatto, con sollievo.

vogliono anche che io faccia come tutti gli altri. Per esempio bisogna cantare «così fanno, fanno, fanno le piccole marionette» agitando le mani. ri-dicolo. Non serve proprio a niente. allora io non

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faccio niente. voglio solo che mi lascino tranquillo. cercano sempre di farmi parlare. Pensano che io non parli. ma io non ho niente da dirgli.

una volta me ne sono andato molto arrabbiato con loro. così, quando la mamma è venuta a pren-dermi, ancora sulla porta, non appena ho messo un piede fuori, ho aperto la bocca e ho esclamato forte e chiaro, perché quelle altre mi sentissero bene: «Questo posto è pieno di cretini! Non ci vo-glio più venire!».

La rabbia mi ha fatto uscire dalla bocca quelle parole. Bocca che richiudo subito. voglio solo che sappiano che se non parlo è perché non ne ho vo-glia. da quel momento, le tate finalmente hanno capito e mi hanno lasciato in pace. Quando trasci-nano gli altri bambini nel girotondo dei pulcini, io faccio il brutto anatroccolo. È molto più interes-sante. Faccio girare delle ruote per tutto il giorno, ma non è che così il tempo passa più in fretta. al-lora mi concentro su quel gesto circolare che mi scaraventa verso l’infinito, lontano dagli altri, lon-tano da quel mondo.

me ne vado. me ne vado molto lontano. con la mia ruota faccio chilometri e chilometri. devo aver macinato milioni di chilometri con quella ruota blu, forse addirittura abbastanza da lasciare la ga-lassia e allontanarmi ancora di più dal quadrato

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che mi soffoca. Là dove vado, non mi raggiunge-rete mai. Per riuscirci dovreste superare la velocità della luce, e finora nessuno ci è ancora riuscito, a meno di smaterializzarsi e diventare polvere di stelle. io è proprio là che vado. ho quattro anni e voglio raggiungere la polvere di stelle per rico-minciare tutto dall’inizio.

ma prima dell’inizio cosa c’è?

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