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Midwifery applicata a Management Sanitario – Dott. E. Lopresti Midwifery Management Clinical Governance e Risk Management Introduzione Il termine management richiama la direzione alla guida e al controllo: è un processo, un’attività professionale, è sia arte sia scienza. Il management è l’arte di ottenere che persone con competenze e responsabilità di natura differente agiscano in sinergia per raggiungere realmente i risultati. Nell’ambito della disciplina ostetrica, per midwifery management s’intende l’insieme delle attività volte all’individuazione e alla realizzazione del piano assistenziale diretto a: mantenimento del livello ottimale di salute e funzionalità; miglioramento dello stato di salute e di benessere; soddisfacimento dei bisogni; riduzione e/o eliminazione dei fattori di rischio soluzione del problema recupero delle funzioni L’applicazione del processo di management richiede all’ostetrica/o le seguenti capacità gestionali: Organizzare : è l’insieme di attività integrate tra loro. In ambito assistenziale l’individuazione e la differenziazione dei compiti e dei ruoli di un team e il loro coordinamento per il raggiungimento di un obiettivo comune. Inoltre esprime il coordinamento razionale dell’attività di un numero di persone per il raggiungimento di uno scopo comune e dichiarato attraverso una distinzione dei ruoli Pianificare : è una previsione dinamica delle risorse e delle prestazioni richieste per raggiungere determinati obiettivi secondo un ordine di priorità stabilito che consente di individuare l’opzione migliore tra diverse alternative

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Midwifery ManagementClinical Governance e Risk Management

Introduzione

Il termine management richiama la direzione alla guida e al controllo: è un processo, un’attività professionale, è sia arte sia scienza. Il management è l’arte di ottenere che persone con competenze e responsabilità di natura differente agiscano in sinergia per raggiungere realmente i risultati. Nell’ambito della disciplina ostetrica, per midwifery management s’intende l’insieme delle attività volte all’individuazione e alla realizzazione del piano assistenziale diretto a:

mantenimento del livello ottimale di salute e funzionalità;miglioramento dello stato di salute e di benessere;soddisfacimento dei bisogni;riduzione e/o eliminazione dei fattori di rischiosoluzione del problemarecupero delle funzioni

L’applicazione del processo di management richiede all’ostetrica/o le seguenti capacità gestionali:

Organizzare : è l’insieme di attività integrate tra loro. In ambito assistenziale l’individuazione e la differenziazione dei compiti e dei ruoli di un team e il loro coordinamento per il raggiungimento di un obiettivo comune. Inoltre esprime il coordinamento razionale dell’attività di un numero di persone per il raggiungimento di uno scopo comune e dichiarato attraverso una distinzione dei ruoli

Pianificare : è una previsione dinamica delle risorse e delle prestazioni richieste per raggiungere determinati obiettivi secondo un ordine di priorità stabilito che consente di individuare l’opzione migliore tra diverse alternative

Gestire : significa predisporre metodi e procedure definibili come “amministrativi” (piano di assistenza, predisposizione di linee guida ecc…)

Amministrare : definire gli obiettivi di un’unità operativa, di strategie e mezzi per raggiungerli

Dirigere : supervisione e decisione di seguire i piani Delegare : attribuzione di funzioni o compiti per il raggiungimento dell’obiettivo Controllare : verificare se i piani sono stati effettuati e gli obiettivi raggiunti.

Nell’ambito del Midwifery management il modello assistenziale è definito come “accompagnamento alla nascita della donna e della coppia”. Esso si basa sul principio filosofico dell’andare insieme, seguire, guidare la coppia in tutte le fasi del processo della nascita . Si tratta di un modello di assistenza di qualità in quanto soddisfa i bisogni della “cliente-utente” ed è conforme ai bisogni globali della donna, del bambino, della coppia e della famiglia. Nella prima fase si raccolgono dati ed informazioni necessari per stimare la situazione complessiva della

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donna, considerando i fattori fisici, psicologici, emotivi, socioculturali con una visione olistica dell’assistenza, li si analizza e si effettua una diagnosi ostetrica. Per giungere ad erogare assistenza personalizzata a questo punto si progetta un piano assistenziale, costituito da un susseguirsi di tappe consequenziali e concatenate fra loro in cui si procede all’accertamento, alla diagnosi, all’identificazione degli obiettivi, alla pianificazione, all’attuazione e alla valutazione dell’intervento, e in cui si programmano azioni ed interventi, tenendo in debito conto sia le priorità dell’assistenza sia le preferenze e le esigenze della donna, in considerazione dell’unicità dell’intervento assistenziale. Si procede dunque alla realizzazione del progetto. L’ultima fase del processo è rappresentata dalla valutazione dell’intervento. Questa fase è importante ai fini della verifica dei risultati conseguiti dal piano assistenziale, e sta alla base del miglioramento della qualità dell’assistenza. L’ostetrica/o per garantire un’assistenza di qualità, nell’ambito del controllo della gravidanza fisiologica, deve erogare un insieme di prestazioni riconducibili a:

funzioni dirette alla donna e alla coppia: assistenza/cura, diagnosi, educazione sanitaria, counseling, prevenzione, relazione di aiuto, prevenzione, assistenza sociale; funzioni rivolte al miglioramento continuo dell'assistenza: valutazione della qualità delle cure erogate, aggiornamento/formazione professionale, ricerca e coinvolgimento attivo all’attività didattica.

È importante che l’ostetrica/o, durante lo svolgimento della propria attività, si attenga scrupolosamente alle evidenze scientifiche che devono essere costantemente validate ed aggiornate. Solo in questo modo è possibile programmare e realizzare interventi assistenziali appropriati, efficaci ed efficienti, garantendo un miglioramento continuo della qualità dell’assistenza. Riferendosi, in particolare, a gravidanza e parto, praticare la Midwifery significa:

fornire informazioni riguardo alla maternità e alla paternità responsabili; preparare la coppia a diventare genitori; rispondere ai bisogni di salute della donna relativi al concepimento, alla gravidanza e al parto; erogare assistenza al feto, al neonato, alla gestante, alla partoriente ed alla coppia; occuparsi in piena autonomia e responsabilità della donna nella gravidanza normale e di condurre e portare a termine i parti fisiologici; individuare precocemente le condizioni che deviano dalla normalità e praticare le opportune manovre di emergenza/urgenza; preservare la naturalità dell’evento nascita.

Malasanità, errori e malpractice

Per malasanità si intende una carenza generica della prestazione dei servizi professionali rispetto alle loro capacità che causa un danno al soggetto beneficiario della prestazione. Alla fine del XX secolo nei soli USA i costi per le cause legali sono arrivati ad un miliardo di dollari all'anno mentre i costi per le polizze erano arrivati a 5. I medici sono tenuti ad avere una specifica assicurazione per la responsabilità professionale che copre i loro errori, la cui polizza varia a seconda della

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specializzazione. Nel corso degli anni sono state molte le definizioni di malasanità, Rosenthal nel 1995 la definiva come "una evidente e dimostrata mancanza di conoscenza e/o abilità nella conduzione della pratica clinica, Charles Bosk nei suoi scritti del 1986 invece ricorda quanto gli errori nei reparti di medicina cambino a seconda dell'incertezza tipica delle varie discipline. In tempi più recenti si sono sviluppati 4 concetti che devono coesistere per definire un dato evento come "malasanità": un obbligo dovuto e violato e che tale violazione ha portato danno al paziente (che può essere sia immediato che differito nel tempo). In Italia le cifre degli errori commessi dai medici o provocati dalla cattiva organizzazione dei servizi sono da bollettino di guerra: tra 14 e 50 mila i decessi ogni anno, circa 90 al giorno, di cui il 50% certamente evitabile. Secondo l’AIOM, sono almeno 320 mila le persone danneggiate da questi errori, con costi pari all’1% del PIL, 10 miliardi di euro l’anno. La classifica delle specialità in cui si commettono più errori comprende:

Ortopedia - 16,5%Oncologia - 13%

Ostetricia - (10,8%) Chirurgia - (10,6%).

Gli errori più frequenti vengono fatti in sala operatoria (32%), poi nei reparti di degenza (28%), nei dipartimenti di urgenza (22%) e negli ambulatori (18%). Sono 242 i casi di malasanità verificatisi nel nostro Paese in poco più di un anno, da fine aprile 2009 a metà settembre 2010. Di questi, 163 si sono conclusi con il decesso del paziente e 186 sono attribuibili a presunti errori mentre 56 ad altre cause. Dal rapporto emerge anche una poco onorevole classifica, dove ai primi posti con oltre la metà dei casi ci sono la Calabria (con 64 casi di malasanità e 50 decessi) e la Sicilia (con 52 casi e 38 morti). A seguire ci sono il Lazio, con 24 casi e 14 decessi, e poi Puglia, Campania e Lombardia con 15 casi. In fondo alla classifica, e dunque con meno casi di malasanità, ci sono Umbria,

Marche, Basilicata e Trentino Alto Adige con 1 caso ciascuna, che non si è concluso con la morte del paziente solo nelle Marche. Agli inizi degli anni ’70, in America si affermò il cosiddetto fenomeno della “Malpractice” (casi di malasanità), fino ad allora rimasto latente, ma che oggi è un argomento di grande attualità: la manifestazione di tali eventi – celati al dominio pubblico – fu correlata al crescente numero dei casi di rimborso e dei relativi oneri. Tale situazione determinò da un lato il fallimento di molte società assicurative, dato l’incremento degli incidenti sanitari da remunerare, dall’altro la crisi del settore assicurativo sanitario, con diminuzione dell’offerta ed aumento dei premi. Ben presto, ci si rese conto che il trasferimento economico degli oneri relativi ad un incidente, dall’azienda sanitaria ad una società assicurativa, non

bastava per risolvere il problema, ma era necessario esaminare - oltre l’aspetto economico - anche quello organizzativo, al fine di adottare misure preventive per costruire sistemi a “prova di errore”. A tal riguardo partirono nel 1974 i primi studi in California (California Medical Insurance Feasibility Study – Mills et al.)97, che si conclusero nel 1977 e che diedero impulso a successive indagini, arrivate fino ai giorni nostri (Thomas et al. – 2001): sebbene non avessero un carattere risolutivo, ma una natura analitico/sistematica, tali studi evidenziarono una serie di casi di trattamento medico, scatenanti disabilità o prolungamento dei tempi di degenza. Meticolose furono anche le ricerche australiane (The Quality in Australian Health Care Study – QHAS, 1991-1999, Leape, Wilson, Vincent et al.), che misero in evidenza “eventi avversi prevenibili” causati solo da

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imperizia, rilevando quanto fosse necessario agire nel campo della sicurezza. L’apice di questi studi, venne raggiunto dal rapporto “To Err Is Human” del 2000, pubblicato dall’Institute of Medicine; i dati di tale rapporto, relativi al “caso USA”, fecero riaffiorare la questione degli errori (accantonata per un decennio), con una più ampia accettazione e consapevolezza da parte dei professionisti sanitari che – in collaborazione con le agenzie assicurative - svilupparono i primi programmi, per ridurre le conseguenze negative degli eventi avversi sia sul fronte economico che su quello organizzativo. Per la prima volta i professionisti sanitari, preoccupati per i dati allarmanti evidenziati nell’ultimo decennio degli anni ’90, espressero la comune volontà di adottare strategie preventive, maturando più sensibilità nell’affrontare il problema dei danni derivanti dalla cure mediche: il rapporto stimava che in America, 1milione di persone all’anno aveva subito un danno dalle cure sanitarie ricevute, 100 mila/anno erano morti a causa di errori, mentre le spese annue sostenute a fronte di tali eventi corrispondevano in media a 37,6 miliardi di dollari. Anche in Gran Bretagna, parallelamente allo sviluppo del Clinic Governance, una prima indagine del SSN inglese, rilevò dati non certo rassicuranti: circa 850 mila pazienti danneggiati/anno, con una spesa sanitaria di 2 miliardi di sterline per il solo allungamento dei tempi di degenza; ciò spiega perché contestualmente al Governo Clinico, gli studiosi e i ricercatori già sostenevano una “cultura basata sull’imparare dagli errori”, onde poter individuare sia gli errori immediati, sia i “quasi errori”, sia quelli conseguenti a problematiche organizzative più

profonde e remote: nasceva quella cultura della sicurezza propria del Risk Management. Attraverso le indicazioni della giurisprudenza della Cassazione si sta introducendo anche nel nostro ordinamento un concetto di colpa per errore professionale che viene definito “malpractice”. Gli errori dovuti a cosiddetta malpractice, cioé a una non corretta prestazione medica, sono minori di quanto non si pensi: spesso ad essi si dà un eccesso di visibilità sui media, prima ancora di poterne valutare l’esatta natura. Poi alla fine, oltre il 90% dei medici e degli operatori accusati di malpractice viene assolto. Invece, si sta affacciando un nuovo tipo di errore, imputabile questo ai recenti cambiamenti del sistema, che tende a risparmiare nelle spese: è quello che gli anglosassoni chiamano

’quicker and sicker’, cioé il dimettere precocemente il paziente (troppo velocemente, quicker), quando é ancora non stabilizzato (più sofferente, sicker)".Per questo il tema del rischio clinico si propone oggi come un argomento di grande attualità, con un forte impatto socio-sanitario. Le nuove responsabilità dell’ostetrica dunque, rientrano in questo ambito con una duplice valenza:

OTTICA POSITIVA OTTICA NEGATIVA

Consapevolezza dei propri doveri, degli obblighi sanciti dalla legge, dalla deontologia e dai

principi della disciplina ostetrica ABILITAZIONE

Essere chiamati a rispondere, ad una autorità MIDWIFERY MALPRACTICE

Come si può prevenire e abbattere l’errore? Attraverso concetti chiave su cui si sono sviluppate le ricerche sulla sicurezza e gli errori in sanità, che costituiscono i fondamenti di ogni approccio alla gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie.

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Gli errori in medicina

La produzione scientifica di L. Leape e quella di Reason si intrecciano nel tempo fin dai primi anni ’90, quando Reason propone un framework unitario, sostenuto da evidenze empiriche, che cattura i temi centrali della teoria cognitiva, e a cui Leape aderisce. Le ragioni del ricorso ad una teoria cognitiva risiedono nel fatto che, se gli errori derivano da distorsioni nel processo cognitivo, è necessario rifarsi ad esso per interpretare gli errori stessi. Reason suggerisce due tipici schemi mentali: uno “schematic control mode” ed un “attentional control mode”. Il primo regola la maggior parte delle nostre azioni, entra in funzione in modo automatico, rapido, in parallelo e senza sforzo ( tutte le attività di routine che giornalmente si ripetono: lasciare la casa per andare al lavoro, guidare la macchina, attivare il computer…). Il secondo è chiamato in azione quando si affronta un problema; di conseguenza il processo è lento , sequenziale, richiede sforzo, attenzione e concentrazione.In questo caso si possono attivare tre possibili approcci:

il primo approccio, di livello 1, si basa sull'abilità e sull'abitudine (skill-based); queste sono parzialmente inconsce, si potrebbero definire alternative di azione pre-programmate,un secondo approccio, di livello 2 si basa su un sistema di regole già assimilate, secondo il modello "Se X, allora Y" (rule-based);un terzo approccio, basato sulla conoscenza (o pensiero sintetico) si attiva per tutte le nuove situazioni che richiedono un cosciente processo analitico che si rifà a conoscenze già note (knowledgebased).

Ogni allontanamento dalla routine attiva il livello 2 o il livello 3 di approccio. Gli errori vengono classificati con riferimento a questi tre livelli. Gli

errori skill-based sono chiamati “slips”, gli errori rule-based e knowledge-based sono chiamati

“mistakes”. Le sviste (slips) sono tipicamente errori dovuti a disattenzione ed involontari ( rientrare alla vecchia abitazione, anziché nella

nuova, dopo un recente trasloco, mettere il sale nel caffè, rispondere al cellulare quando suona il telefono fisso, entrare in una stanza e non ricordare perché si è lì, etc, etc…). Sono causati da

una varietà di fattori (stanchezza, insonnia, preoccupazioni, sovraccarico di lavoro…).Comunque sia, gli errori aumentano in condizioni di forte stress; le sviste sono più comuni, ma il tasso di errore nei processi che richiedono attenzione e problem-solving è maggiore. Errori attivi ed errori latenti solitamente sono concause degli eventi avversi. Gli errori attivi sono commessi dalle persone in contatto con il paziente ed impattano in modo diretto sulle difese del sistema. Di conseguenza, se ci si “accontenta” di identificare chi ha effettuato un atto dannoso, non si indagano ulteriormente le cause di tale azione. Ma solitamente tali atti hanno un’origine a monte nel tempo e nel flusso del processo. Gli errori latenti sono definiti da Reason come gli inevita bili “ resident pathogens” del sistema. Sono quindi strutturati nel sistema e, a differenza degli errori attivi che sono difficili da prevedere, possono essere identificati e rimossi prima che un evento

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avverso abbia luogo. Ciò implica che la loro prevenzione deve concentrarsi sull’individuazione e la rimozione delle cause profonde, vale a dire degli errori di sistema nel design e nella implementazione dello stesso. In una data situazione, la probabilità di errori è in funzione di:

personale (mancanza di adeguate conoscenze, stanchezza, sovraffaticamento, inesperienza, preoccupazioni personali)contesto (distrazioni, interruzioni, cambiamento nei turni, mancanza di tempo, mancanza di materiali o tecnologie fuori uso)fase del processo (le fasi finali, la mancanza di collegamento tra una fase e l’altra).

Idealmente quindi un sistema dovrebbe avere meccanismi di salvaguardia e di intervento, vuoi automatici, vuoi legati alla capacità di intervento proattivo delle persone, per affrontare gli errori. O almeno dovrebbero essere applicati meccanismi atti a svelare gli errori in tempo utile perchè vengano corretti (sistemi "tampone", ridondanza o duplicazione di meccanismi critici, disegno di compiti predefiniti). Le tattiche per ridurre gli errori si possono riassumere in cinque categorie:

Ridurre la complessità: la complessità è fonte di errore, quindi il disegno e ridisegno dei processi la deve ridurre al minimo, attraverso, ad esempio: la riduzione del numero di operazioni e fasi, il numero delle possibili opzioni, la durata di svolgimento, la dovizia di informazioni necessarie e di possibili modalità di azione, l’insorgere di altri compiti che possono distrarre l’attenzione.Ottimizzare l’elaborazione di informazioni: ciò costituisce il cuore dell’assistenza sanitaria, quindi, migliorare la comprensione, ridurre l’affidamento alla memoria, riservando l’attenzione per i compiti più importanti. Quindi usare protocolli, memo, codici colore, differenziazione di dimensioni e forme, eliminazione di nomi e definizioni assonanti.Automatizzare in modo saggio: l’automazione, perché sia un effettivo aiuto, deve sempre essere guidata dal miglioramento del sistema. In altre parole non si automatizza un processo solo perché è possibile, si usa la tecnologia per supportare, non sostituire l’operatore.Utilizzare restrizioni e vincoli alle azioni: per impedire interventi scorretti. Di tipo fisico spesso usati nelle tecnologie; di tipo procedurale, per aumentare la difficoltà nell’esecuzione di certe azioni (moduli che predefiniscono solo alcune possibili scelte, standardizzazione in alcuni set di strumenti, impossibilità di ordinare alte dosi di alcuni farmaci ad alto rischio)Mitigare gli effetti non voluti dei cambiamenti: anche delle innovazioni (nuove soluzioni terapeutiche, nuove tecnologie). L’introduzione di miglioramenti avviene secondo una curva di apprendimento, durante la quale si possono manifestare possibilità di errore.

Molti dei principi chiamati in causa riportano agli insegnamenti del Total Quality Management: l'errore diventa opportunità per migliorare. Tuttavia, al contrario che in altri settori, la sicurezza in medicina non è stata mai istituzionalizzata. Le indagini sugli incidenti sono spesso superficiali, a

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meno che non sia in atto un'azione legale per "malpractice". L'errore che non dà luogo a lesioni (near miss) raramente viene preso in esame. L’incident reporting viene interpretato- o utilizzato- come strumento di punizione; di conseguenza, gli incidenti spesso non sono registrati e catalogati e, quando lo sono, l'accento è posto sulla cattiva condotta individuale.

COSA SI PUÒ FARE ALLORA?

l’informatizzazione delle informazioni sui pazienti ( electronic health record) l’accelerazione nell’adozione di prassi sicure ( cose da fare e cose da non fare)la formazione a medici ed operatori al lavoro in team ( da includere in un percorso formativo necessario, del tipo ECM) la disclosure dei danni ai pazienti una forte pressione in questa direzione verso tutti coloro che operano nella sanità, ma con particolare forza verso i decisori, meglio se proveniente dalla società intera.La definizione di obiettivi di sicurezza a livello nazionale

Clinical Governance

La Clinical Governance nasce il 1 luglio 1998 nel National Health Service inglese come la “strategia [di politica sanitaria] mediante la quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei servizi e del raggiungimento-mantenimento di elevati standard assistenziali, stimolando la creazione di un ambiente che favorisca l’eccellenza professionale”. Il termine governance identifica la gestione dei processi di consultazione e concertazione per il raggiungimento degli obiettivi: in tal senso non può essere imposta dall’alto o dall’esterno, ma consegue all’interazione di numerosi attori che si autogovernano, influenzandosi reciprocamente. La Clinical Governance è un sistema attraverso cui le organizzazioni sanitarie (Aziende Sanitarie) sono responsabili del continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria. Secondo le aziende sanitarie inglesi (trust) del National Health Service, il concetto di clinical governance include una serie di atti concreti, volti a garantire alti standard delle cure e una qualità del servizio in continuo miglioramento. Tali elementi sono:

la formazione;l’audit clinico;l’efficacia clinica;il risk management;la ricerca;il sistema informativo

Educazione continua e permanenteNon è più considerato accettabile per ogni operatore sanitario di astenersi dalla formazione continua dopo la sua qualifica (troppo di ciò che viene appreso durante la formazione diventa rapidamente obsoleta). Il continuo sviluppo della medicina ed, in generale, delle conoscenze biomediche, e delle innovazioni sia tecnologiche che organizzative, rendono sempre più difficile per il singolo operatore della sanità mantenere queste tre caratteristiche al massimo livello,

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ovvero "aggiornato e competente". Ai sensi del d.lgs n. 229/1999, la formazione continua consiste in attività di qualificazione specifica per i diversi profili professionali, attraverso la partecipazione a corsi, convegni, seminari, organizzati da istituzioni pubbliche o private accreditate, nonché soggiorni di studio e la partecipazione a studi clinici controllati e ad attività di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo. È sviluppata sia secondo percorsi formativi autogestiti sia, in misura prevalente, in programmi finalizzati agli obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale, del Piano sanitario regionale e del piano aziendale, nelle forme e secondo le modalità che saranno indicate dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua. L'aggiornamento professionale è l'attività successiva al corso di diploma, laurea, specializzazione, formazione complementare, formazione specifica in medicina generale, diretta ad adeguare per tutto l'arco della vita professionale le conoscenze professionali. La formazione permanente comprende le attività finalizzate a migliorare le competenze e le abilità cliniche, tecniche e manageriali e i comportamenti degli operatori sanitari al progresso scientifico e tecnologico con l'obiettivo di garantire efficacia, appropriatezza, sicurezza ed efficienza alla assistenza prestata dal Servizio sanitario nazionale. Per i professionisti che lavorano a servizio della persona, soprattutto in un campo come quello della salute, garantire la massima professionalità possibile è un obbligo morale e un dovere deontologico specificamente previsto anche dai Codici Deontologici, ed è anche un diritto dei cittadini, che giustamente richiedono operatori attenti, aggiornati e sensibili. Per questo motivo, in numerosi Paesi del mondo, sono nati i programmi di Educazione Continua in Medicina (E.C.M.). Il sistema ECM comprende l'insieme organizzato e controllato di tutte quelle attività formative, sia teoriche che pratiche, promosse da chiunque lo desideri (si tratti di una Società Scientifica o di una Società professionale, di una Azienda Ospedaliera, o di una Struttura specificamente dedicata alla Formazione in campo sanitario, ecc.), con lo scopo di mantenere elevata ed al passo con i tempi la professionalità degli operatori della Sanità. L'elaborazione del programma di E.C.M. è stata affidata ad una Commissione Nazionale per la Formazione Continua, che ha il compito, tra l'altro, di "...definire i crediti formativi che devono essere maturati dagli operatori in un determinato arco di tempo..." e di "...definire i requisiti per l'accreditamento dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività formative...". Il programma nazionale di E.C.M., riguarda tutto il personale sanitario, medico e non medico, dipendente o libero professionista, operante nella Sanità, sia privata che pubblica. Il programma nazionale prevede che l'E.C.M. deve essere controllata, verificata e misurabile; inoltre, deve essere incoraggiata, promossa ed organizzata.

Audit clinico

E’ un approccio alla verifica focalizzato su problemi clinici e assistenziali. Venne definita nel 1985 dal Department of Health del Regno Unito come: “Iniziativa condotta da clinici che cerca di migliorare la qualità e gli out come dell’assistenza attraverso una revisione tra pari strutturata, per mezzo della quale i clinici esaminano la propria attività e i propri risultati in confronto a standard specifici e la modificano se necessario”. E’ un processo di revisione continua che partendo da un problema analizza le cause e definisce l’obiettivo di miglioramento,gli interventi correttivi e le misure dei risultati. Comporta dunque una responsabilizzazione dell’equipe operatoria. Aspetti della struttura, processi e risultati delle cure sono selezionati e completamente

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valutati dagli standard di riferimento. Sono quindi necessari cambiamenti individuali, del team di operatori e nell’organizzazione del servizio. L’audit clinico può rappresentare una strategia di implementazione delle linee guida o di altri tipi di evidenze e prove di efficacia; con la revisione della pratica assistenziale, i professionisti possono identificare le priorità e pianificare le azioni di miglioramento. Un esempio di audit clinico sono gli incontri multidisciplinari tra ostetriche/ci, ginecologi e pediatri, che si tengono regolarmente all’interno del Dipartimento materno infantile. In tali occasioni spesso si discute della gestione di particolari casi clinici, dove si sono verificati degli eventi sfavorevoli oppure semplicemente per rivedere il loro management, in previsione di futuri casi simili.

Efficacia ed efficienza

Nei processi aziendali e di mercato, per efficacia si intende la capacità di soddisfare il cliente; trasposto in termini medici, e quindi trasferito il concetto nell'ambito della sanità, per efficacia si intende più che altro la buona riuscita della prestazione medica e conseguentemente la piena soddisfazione e benessere del paziente. In termini aziendali ed economici, per efficienza si intende la capacità di raggiungere gli obiettivi preposti (l'efficacia), rispettando dei vincoli economici e di budget e riducendo al minimo sprechi, consumi e costi sostanzialmente evitabili.

Ricerca e sviluppo (basata sull’EBM)

La Evidence-based Medicine (EBM) è un movimento culturale che si è progressivamente diffuso a livello internazionale, favorito da alcuni fenomeni che hanno contribuito ad una crisi dei modelli tradizionali della medicina.

la crescita esponenziale dell’informazione biomedica (volume e complessità), che ha reso sempre più difficile l’aggiornamento professionale; il limitato trasferimento dei risultati della ricerca all’assistenza sanitaria documentato da diversi fattori: ampia variabilità della pratica professionale, persistente utilizzo di trattamenti inefficaci, elevato livello di inappropriatezza in eccesso, scarsa diffusione di trattamenti efficaci ed appropriati; la crisi economica dei sistemi sanitari, contemporanea alla crescita della domanda e dei costi dell’assistenza; il maggior livello di consapevolezza degli utenti sui servizi e prestazioni sanitarie. lo sviluppo delle tecnologie informatiche culminato nell’esplosione di Internet che ha aperto una nuova era dell'informazione biomedica.

David Sackett, padre spirituale dell’EBM, dice che "la EBM costituisce un approccio alla pratica clinica dove le decisioni cliniche risultano dall'integrazione tra l'esperienza del medico e l'utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente". La EBM, attribuendosi una "missione didattica", configura pertanto un processo di autoapprendimento in cui l'assistenza al paziente individuale stimola la ricerca dalla letteratura di informazioni valide, rilevanti ed aggiornate che consentono al medico di "colmare" i gap di conoscenza.

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La pratica dell'EBM si articola in 4 step (core-curriculum):

Formulating Question Convertire il bisogno di informazione in quesiti clinici ben definiti

Getting evidence Ricercare con la massima efficienza, le migliori evidenze disponibili

Appraising evidence Valutare criticamente le evidenze

Applying evidence Integrare le evidenze nelle decisioni cliniche

Nel corso degli anni, la definizione di EBM si è progressivamente evoluta riconoscendo che:

il contesto clinico - assistenziale è una determinante non trascurabile delle decisioni clinico - assistenziali;l’esperienza professionale costituisce l'unico elemento che può integrare in maniera equilibrata evidenze, preferenze e contesto.

Un primo tentativo di applicare le evidenza scientifiche alle cure erogate nel percorso nascita può essere rappresentato dall’iniziativa posta in atto dall’OMS che nel 1996, costituì un gruppo di lavoro misto formato da 6 ostetriche e 6 ginecologi di vari Paesi del mondo, i quali si riunirono a Ginevra per effettuare un’analisi clinica dei report disponibili sull’azione dei metodi/cure applicati alla nascita, classificati quindi in 4 categorie.La prima raggruppa le pratiche manifestamente utili che bisogna incoraggiare in quanto trattasi di procedimenti tecnici di controllo del benessere materno – fetale, della libertà di scelta della donna sul luogo del parto, della necessità di essere assistita calorosamente durante il travaglio e il parto e, inoltre l’obbligo di fornire adeguate informazioni sull’evento nascita.La seconda comprende le pratiche manifestamente nocive o inefficaci che bisogna eliminare (episiotomia routinaria).

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La terza raggruppa le pratiche che devono essere applicate con prudenza fino a quando ulteriori ricerche ne avranno dimostrato l’utilità.La quarta comprende pratiche spesso male applicate (uso eccessivo di farmaci).Sulla base dello studio multi professionale molte nazioni tra cui l’Italia hanno avviato un proprio percorso.

Visione condivisaSe le azioni della Clinical governance si realizzano nell’ esercizio della responsabilità per il miglioramento continuo della qualità dei servizi erogati e nella salvaguardia di alti standard assistenziali, le azioni che devono supportare la trasparenza (o la visione condivisa) delle nostre azioni professionali dovranno essere specificatamente orientate lungo almeno tre direttrici:

l’ individuazione delle procedure che definiscono il “chi fa”, il “che cosa fa” ed il “come lo fa” all’ interno delle nostre Organizzazioni;la predisposizione di un progetto informativo adeguato, specificatamente orientato alle persone che afferiscono ai Servizi;la cura dei rapporti con tutti i portatori di interesse (stake-holders).

Definire (preferibilmente per iscritto) le procedure di un’ organizzazione complessa non significa solo definire il “chi fa”, il “che cosa fa” ed il “come lo fa” ma, anche, rivedere sistematicamente l’assetto organizzativo nell’ intento di modificare gli stili e comportamenti stereotipati, superando gli ardui scogli della tradizione storica che si esplicitano nel noto adagio “Perché modificare:si è sempre fatto così”.

Risk Management Il Risk Management o gestione del rischio, rappresenta un insieme di attività che hanno lo scopo di individuare, gestire e prevenire tutti i possibili errori e gli eventi avversi che gli operatori sanitari possono causare nei confronti della persona assistita. In campo clinico, è un processo sistematico che permette agli operatori sanitari di identificare, analizzare e gestire tutti i rischi reali e

potenziali, che l’espletamento dell’attività può causare. Si pone l’obiettivo pertanto di rimuovere tutti gli errori possibili o di ridurre al minimo gli eventi avversi, al fine di incrementare la sicurezza delle persone assistite, i loro esiti in termine di salute e soddisfazione, nonché di ridurre i contenziosi medico – legali e tutti i costi derivanti da tali errori. La definizione di avvento avverso trova in letteratura un significato preciso: “danno causato a un paziente dalla gestione e non dipendente dalla sua malattia o un incidente di particolare rilevanza per le potenziali conseguenze che avrebbe potuto causare al paziente; un

evento avverso attribuibile a un errore sanitario è un evento prevedibile”. Spesso gli errori indesiderati sono preceduti da alcuni segnali, premonitori di eventi analoghi o di situazioni che, se non analizzate e trattate, possono condurre a eventi avversi, anche ripetuti. E’ proprio parlando di gestione del rischio che si dovrà cercare di porre particolare attenzione nei confronti del cosiddetto “eventi sentinella” cioè l’evento inatteso mai presentatosi in precedenza in grado di causare al paziente lesioni (anche come ipotetico rischio) o addirittura la morte; è sufficiente che il

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fenomeno si verifichi una sola volta perché si renda necessaria l’indagine. Il Risk Management è un processo sistematico, i cui principi dovrebbero far parte della pratica clinica di ogni ostetrica. Ha come obiettivo la riduzione continua del rischio, nell’ottica di un’assistenza di alta qualità. Idealmente, il processo di Risk Management dev’essere perseguito in via “proattiva”, dato cioè, che l’errore umano è spesso difficilmente evitabile, è necessario progettare sistemi ed organizzazioni a prova di errore, il che vuol dire prevenire gli errori. Un altro fine del Risk Management è di minimizzare gli esiti avversi di incidenti clinici e di prevenire, dove possibile, il loro ripetersi; questo vuol dire, adottare una politica che promuova l’uso sistematico dell’analisi e del ridisegno dell’organizzazione, l’uso della ricerca, del confronto, della raccolta e dello studio dei dati, con lo scopo di progettare processi a prova d’errore. La validità di un sistema di gestione del rischio clinico dovrebbe basarsi su alcuni elementi di fondo:

la concezione dell’errore : non più fallimento o colpa individuale ma occasione di miglioramento per l’intera equipe

l’assetto organizzativo : l’identificazione di criticità latenti nell’organizzazione permette di intervenire preventivamente in quegli assetti organizzativi che spesso sono a base dell’errore dell’operatore

rilevazione dei rischi : è indispensabile la definizione e l’adozione di strumenti idonei per la rilevazione del rischio

interventi preventivi/correttivi : creazioni di protocolli e linee guida utili a evitare rischi di errori o di eventi avversi

comunicazione con la persona assistita : adozione del consenso/scelta informata nella forma più idonea

comunicazione tra operatori : una corretta comunicazione e gli scambi di informazione hanno una fondamentale importanza per la gestione del caso

gestione della cartella clinica e della documentazione

Alla luce di ciò, il processo di Risk Management può essere suddiviso in quattro fasi:

IDENTIFICAZIONE DEI RISCHI; ANALISI DEI RISCHI; TRATTAMENTO DEI RISCHI; MONITORAGGIO DEI RISCHI

La chiave del successo del Risk Management è L’IDENTIFICAZIONE DEI RISCHI, ovvero la determinazione di:

quali errori possono accadere;in quale contesto possono accadere;quali esiti possono avere.

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Nella pratica ostetrica ciò assume un valore fondamentale, infatti, nell’ottica di offrire un percorsodi assistenza personalizzato alla donna e al suo bambino, l’approccio olistico prevede un’attenta analisi sia della singola unità di cura, che delle attività cliniche, sia del contesto organizzativo in cui vengono erogate le cure. L’indagine iniziale, che dovrebbe essere condotta dal Risk Manager dell’azienda, opportunamente formato e con una valida esperienza clinica alle spalle, ha come obiettivo quello di valutare in particolare le aree a maggior rischio, così da facilitare la stesura di un piano d’azione indirizzato. Successivamente l’analisi potrebbe essere delegata ad un manager del settore o ad altre figure professionali specifiche che hanno ricevuto un addestramento adeguato, che li ha resi in grado di acquisire tale competenza. Prima di intraprendere un qualsiasi processo di valutazione dei rischi è fondamentale stabilire i criteri per classificare la gravità del rischio stesso presente nel contesto che si va ad analizzare. Per quanto riguarda l’assistenza ostetrica esistono una serie di indicatori, riconosciuti a livello internazionale, utilizzati a tal fine, ovvero quelli stabiliti dal Royal College of Midwife e dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologist del Regno Unito. In aggiunta a ciò, ogni unità operativa di ostetricia e sala parto può includere altri standard, meglio evidenziati dal sistema di incident reporting, dalle segnalazioni spontanee o addirittura dalla gestione dei reclami. I principali strumenti utilizzati per l’identificazione dei rischi sono:

Il questionario e la checklistI questionari possono essere utilizzati sia come strumenti indipendenti, che come parte di un’indagine di Risk Management più ampia. Il loro contenuto è finalizzato a determinare l’idoneità del contesto organizzativo a soddisfare gli standard qualitativi precedentemente stabiliti, la conformità dei processi operativi e la percezione del rischio individuale. Le checklists sono utili per determinare la presenza di particolari fattori di rischio, di misure di controllo e il loro grado si osservanza.

Metodi per la revisione della documentazione clinica e delle SDOQuesto approccio prevede una continua revisione di politiche organizzative, procedure operative, protocolli e linee guida sulla base delle migliori evidenze scientifiche. Attraverso un elenco di criteri di inclusione ed esclusione, inoltre, vengono selezionate le cartelle cliniche e la documentazione ostetrica maggiormente significative, al fine di individuare eventi sfavorevoli e prevedibili (tali da essere registrati in cartella o nelle SDO), verificatisi in seguito all’assistenza erogata.

Osservazione ed Ispezione del luogo di lavoroNon meno importante è la ricerca di fattori di rischio strutturali, legati cioè alla componente architettonica, tecnologica ed elettrica dell’organizzazione stessa. E’ preferibile che tale operazione venga svolta da un operatore che non lavora abitualmente in quella struttura e che quindi non abbia una certa familiarità con l’ambiente, per evitare che l’approccio sia troppo superficiale, sorvolando su alcuni fattori di rischio. L’ispezione dovrebbe essere condotta annualmente dal responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione dell’azienda, con il supporto del Risk Manager e di un’ostetrica coordinatrice, poiché tale compito rientra nelle responsabilità di un buon manager.

L’intervista

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L’intervista faccia a faccia è una valida fonte di informazioni per colui che gestisce l’identificazione del rischio, in quanto permette di verificare con ogni operatore

coinvolto nel processo di assistenza, la sua percezione del rischio. Il colloquio può riguardare temi come la pratica clinica, la conoscenza/applicazione di modelli di risk management, l’organizzazione dell’assistenza secondo le procedure, i protocolli e le

linee guida in uso nell’azienda. Un aspetto fondamentale da assicurare, durante la conduzione delle interviste, è la garanzia

dell’anonimato di chi rivela le informazioni e una corretta fruizione di quest’ultime. Per ottenere il massimo risultato con un dispendio di tempo limitato, è utile predisporre delle griglie con domande pre-definite, in modo da avere una traccia di dialogo, non trascurando però l’importanza di lasciare spazio libero all’intervistato. Si è notato, infatti, che le informazioni cruciali si ottengono soprattutto verso la fine delle interviste, quando ormai tra l’intervistato e l’intervistatore si è instaurata una buona confidenza e fiducia.

Le GriglieUno dei sistemi più semplici per identificare il rischio all’interno di un’organizzazione complessa è l’utilizzo di matrici o griglie di obiettivi ed imprevisti; standardizzando preventivamente gli eventi sfavorevoli più ricorrenti, infatti, risulta più facile e spontanea la loro segnalazione. Tale metodo è molto utile per una presa di coscienza dei principali rischi presenti nel contesto lavorativo.

Le Flow charts Le Flow charts sono utilizzate per mostrare in maniera sistematica i vari passaggi, meglio definiti come “flussi”, di un processo che coinvolge sia diverse professionalità, che servizi, beni e materiali. Il vantaggio di tale strumento è che mette bene in evidenza gli input e gli output di ogni fase del processo, ed identifica le dipendenze e i punti critici che possono costituire dei fattori di rischio potenziali del processo nel suo insieme.

Studi osservazionali, di prevalenza, di incidenza Attraverso la consultazione di registri e banche dati si possono compiere delle rilevazioni epidemiologiche che permettono di identificare i possibili punti critici di ogni percorso di assistenza, le cause, le conseguenze e le azioni necessarie per controllarle. Questi studi devono essere indirizzati verso quelle aree nelle quali il verificarsi di un evento sfavorevole ha un impattomaggiore, e i cui risultati possono essere validi per la costruzione di checklists, precedentemente descritte.

Sistema di Incident reporting

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Gli eventi avversi sono definiti come “incidenti nei quali il paziente viene danneggiato da un trattamento medico”. Tutto il processo di Risk Management si basa sulla segnalazione di questi eventi, o “incidenti clinici”, come vengono meglio chiamati, con l’obiettivo di definire il profilo di rischio di uno specifico contesto operativo o di un ambito assistenziale, in cui è possibile predisporre delle strategie e delle azioni di miglioramento. Il sistema di Incident reporting prevede la segnalazione sia degli incidenti che hanno causato un danno effettivo al cliente, sia dei “near misses”, ovvero i “quasi - errori”; a cui segue: la gestione dell’incidente stesso, la correzione degli errori commessi, il contenimento del danno, la gestione dei reclami e la riduzione del rischio di ricorrenza. Basandosi sulla premessa che “implementando la qualità in sanità si dovrebbero rimuovere le cause del danno” (VINCENT C. (1997), “Risk, safety and the dark side of quality”, British Medical Journal), riportare i casi di fallimento, rispetto a standard specifici (come ad esempio il timing di un taglio cesareo urgente), permette di intraprendere varie azioni indirizzate a sottolineare eventuali mancanze del sistema, prevenendo eventuali danni al paziente. Per facilitare la segnalazione di questi eventi spesso le unità operative elaborano delle schede prestampate sulla base di specifici indicatori clinici, precedentemente condivisi dal personale medico ed ostetrico. Tali schede devono contenere le indicazioni sul luogo dell’accadimento (stanza di degenza, sala operatoria, pronto soccorso, ambulatorio, box ostetriche), le persone coinvolte (pazienti, medici, ostetriche), la tipologia delle prestazioni fornite al momento dell’errore (urgenti o programmate) e la gravità dell’evento (grave, medio, lieve). Si raccolgono inoltre informazioni sulla percezione delle cause del possibile errore da parte di chi lo segnala: causalità o errore, fattori coinvolti distinti tra umani (distrazione, stanchezza, stress, ecc.), organizzativi (comunicazione, procedure, trasporto, ecc.), tecnologici (cattivo funzionamento, utilizzo sconosciuto, ecc.), infrastrutturali (impianti, spazi insufficienti, rumore, temperatura, ecc.). e’ necessario, poi, che la scheda preveda modalità per risalire all’evento segnalato, ad esempio riportando il numero di scheda nosologica del paziente coinvolto e il nome di un referente dell’unità operativa a cui rivolgersi. In altri termini, tutto ciò che possa essere utile ad un’analisi approfondita del caso. Particolare attenzione nel sistema di Incident reporting, meritano le segnalazioni di “eventi sentinella”. Si tratta di un particolare tipo di indicatore sanitario, la cui soglia di allarme è 1: basta cioè che il fenomeno si verifichi una sola volta, perché si renda necessaria un’indagine immediata, rivolta ad accertare se hanno contribuito, al suo verificarsi, alcuni fattori che potrebbero essere in futuro corretti. Secondo la definizione riportata dal Ministero della Salute, “sono eventi sentinella quegli eventi avversi di particolare gravità, indicativi di un serio malfunzionamento del sistema, che causano morte o gravi danni al paziente e che determinano perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del Sistema Sanitario. L’Intesa della “Conferenza Permanente Rapporti Stato Regioni” del 20 marzo 2008, concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure, ha previsto l’attivazione presso il Ministero dell’Osservatorio Nazionale sugli Eventi Sentinella attraverso il Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES). La lista degli eventi sentinella comprende:

Procedura in paziente sbagliatoProcedura in parte del corpo sbagliata (lato, organo o parte)Errata procedura su paziente correttoStrumento o materiale lasciato all’interno del sito chirurgicoReazione trasfusionale conseguente ad incompatibilità AB0

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Morte, coma o gravi danni da errori in terapia farmacologica Morte materna o malattia grave correlata al travaglio e/o parto Morte o disabilità permanente in neonato sano di peso >2500 g non

correlata a malattia congenitaMorte o grave danno per caduta di pazienteSuicidio o tentato suicidio di paziente in ospedaleViolenza su pazienteAtti di violenza a danno di operatoreMorte o grave danno conseguente al sistema di trasportoMorte o grave danno a seguito di non corretto triage 118 o P.S.Morte o grave danno imprevisti a seguito dell'intervento chirurgicoOgni altro evento avverso che causa morte o grave danno

Indagini qualitative sulla percezione del paziente: la customer satisfaction Un’altra fonte molto valida riguardo la qualità erogata durante le cure ostetriche è la soddisfazione della donna e dei loro familiari. Tale indagine spesso viene condotta dalle Aziende Sanitarie attraverso la somministrazione dei questionari della custode satisfaction. Nell’ambito del processo di risk management, questo feedback può essere utile per mettere in luce determinate aree di rischio, in cui le cure erogate non rispettano gli standard ottimali o le aspettative del cliente/paziente. È importante, però, sottolineare la differenza tra questi due aspetti: infatti, mentre erogare cure non conformi agli standard può

mettere seriamente in pericolo la donna e il suo bambino, la percezione negativa della qualità dell’assistenza ricevuta può essere dovuta semplicemente ad un fallimento della comunicazione tra la donna e l’equipe ostetrica. Ogni Azienda dovrebbe avere una procedura sistematica per la raccolta e la gestione dei reclami, siascritti che orali, che sia conforme alla Carta dei Servizi dell’azienda. Attraverso un data-base computerizzato, poi, è possibile la rielaborazione di tutte le segnalazioni al fine di evidenziarne le più ricorrenti ed attuare piani di miglioramento. Inoltre una completa e veloce risposta ad un reclamo del cliente/paziente, può prevenire una richiesta di risarcimento, evitare la necessità di ulteriori spiegazioni su ciò che è andato storto ed eludere l’esigenza di rassicurare che il fatto non si ripresenti più in futuro.

Una volta identificati i rischi il passo successivo, nel processo di risk management, consiste nell’ANALISI al fine di stabilire le più appropriate misure di controllo e determinare una scala di priorità indispensabile per la stesura di un piano di trattamento dei rischi. La valutazione del rischio è stimata in termini di gravità delle conseguenze, esprimibile in nessuna, lieve, media, grave e gravissima e probabilità di accadimento, esprimibile in remota, bassa, moderata e alta. Adentrambi i parametri vengono poi assegnati dei valori numerici e successivamente applicato il calcolo del rischio, in cui il rischio è dato dalla formula:

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R= P x Ddove R rappresenta la magnitudo del rischio, P configura la probabilità del verificarsi dell’evento e D evidenzia la gravità del danno. Sulla base di questi calcoli viene stilata una classifica del rischio e definito il tipo di azione per ciascun livello:

Rischio accettabile: accettazione del rischio, gestione attraverso le normali procedure, nessun intervento;Rischio basso: monitoraggio, necessità di azioni specifiche;Rischio medio: sono necessarie azioni specifiche il più rapidamente possibile;Rischio elevato: necessità di azione correttiva immediata.

Il passo successivo consiste nell’elaborare un’analisi approfondita delle cause in particolare per tutti gli eventi definiti a Rischio elevato, attuando così il principio dell’ “imparare dall’errore”. Tale analisi è definita di tipo reattivo, in quanto prevede uno studio a posteriori degli incidenti, pertanto essa è condotta a ritroso rispetto alla sequenza temporale che ha generato l’evento. Uno degli strumenti più utilizzati in questa fase di risk analysis è la Root Cause Analysis (RCA) , l’analisi delle cause radice, ovvero un approccio sistemico che permette di identificare sia i fattori latenti che quelli umani, associati all’evento sfavorevole, e i cambiamenti necessari per evitare il suo ripetersi. Durante la fase di RCA è essenziale che l’interesse sia focalizzato sulle cause più che sul problema in sé. Esistono varie tecniche per costruire uno schema di RCA: il diagramma a spina di pesce (diagramma di Ishikawa), i 5 perché, la mappa dei processi e “l’albero dei guasti”.

Ogni analisi di incidente clinico o di near miss rivela la presenza di una forte componente individuale, infatti l’operatore sanitario è la causa più prossima all’evento incidentale, tuttavia la cosiddetta root cause, ovvero la causa generatrice, è da ricondurre a decisioni manageriale e a scelte organizzative sbagliate intraprese nell’ambito del sistema. L’approccio alle risorse umane si concentra proprio sul sistema organizzativo, causa profonda degli incidenti, piuttosto che sul comportamento del singolo professionista direttamente coinvolto. Reason ha ben descritto il percorso che porta al verificarsi di un incidente attraverso la responsabilità dei fattori latenti, cheinfluenzano il clima organizzativo e lavorativo e, a turno, danno origine ad errori o violazioni. Tuttavia non tutti i fattori latenti producono un errore attivo, né tutti gli errori provocano, fortunatamente, un danno al paziente. Infatti, affinché un danno si verifichi, gli errori devono superare tutte le barriere di sicurezza, tecniche ed organizzative, predisposte all’interno del sistema per contenere gli effetti delle possibili mancanze. Alla luce di quanto detto sopra, l’analisi

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delle cause di ogni incidente clinico deve passare attraverso un attento esame dei seguenti componenti del sistema:

Organizzazione (incongruenza tra obiettivi dichiarati e risultati raggiunti, scarsità di procedure operative, carenza di personale, elevati carichi di lavoro, addestramento inadeguato, ecc.);Equipe, medica ed ostetrica (cultura, clima, trasparenza nella comunicazione, ecc.);Compiti/mansioni (controllo e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali, ecc.);Condizioni lavorative specifiche (carenza di tempo, scarsa conoscenza delle proprie competenze, sovraccarico di informazioni, ecc.).

È indubbio che, per ottenere risultati significativi, sono indispensabili la partecipazione attiva della dirigenza aziendale, la creazione della cultura della sicurezza e dell’apprendere dall’errore, unitamente alla consapevolezza che l’errore costa a tutti, ai clienti/pazienti, agli operatori, alla comunità.

Il TRATTAMENTO DEI RISCHI prevede fondamentalmente due misure: le “tecniche di controllo”, cioè misure di prevenzione e protezione che agiscono sui fattori di rischio, e le “tecniche di finanziamento” (assicurazione ed autofinanziamento) con cui

l’azienda decide se e che cosa assicurare. Le azioni di prevenzione sono finalizzate a ridurre la probabilità che un evento dannoso

accada, come per esempio la certificazione di qualità, i piani di emergenza, la gestione corretta della documentazione sanitaria, la formazione continua del personale, la gestione del personale (inserimento neoassunti, turistica, monitoraggio dell’orario di

lavoro), l’incident reporting, i protocolli assistenziali, le linee guida, la manutenzione e la gestione corretta delle apparecchiature elettromedicali. La

strategia più semplice di prevenzione del danno è quella di rendere visibili gli errori mediante la moltiplicazione dei controlli o i controlli crociati. Una strategia più raffinata è costituita dalle modifiche di sistema, che possono essere varie:

la riduzione della complessità dei compiti;l’ottimizzazione del sistema informativo;l’automatizzazione, che deve essere usata con criterio poiché garantisce sì l’esecuzione meccanica di un atto, ma può indurre falsa sicurezza ed essere essa stessa causa di errori;la progettazione di barriere che permettano di evitare danni;la costruzione e mantenimento di una cultura della sicurezza; il pronto riconoscimento dell’errore e la prevenzione dell’eventuale danno;l’attitudine a monitorare attentamente la situazione dopo un cambiamento organizzativo.

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Come ultime tappe del grande processo di risk management sono previsti il MONITORAGGIO e l’implementazione delle soluzioni trovate, i cui risultati permettono il riesame delle attività eseguite o l’aggiornamento delle misure di controllo e di finanziamento in modo ciclico e regolare. Per monitorare l’efficacia delle azioni intraprese ci si può avvalere di una serie di indicatori, suddivisi in:

indicatori di struttura, comprendono descrittori di qualità riferiti alle risorse (attrezzature, materiali, ambienti), alla formazione e qualificazione del personale, all’organizzazione del lavoro;indicatori di processo, riguardano le modalità con cui sono pianificate e attuate le prestazioni professionali;indicatori di esito, riguardano elementi riferiti al risultato finale raggiunto in termini di soddisfacimento dell’utente, acquisizione di nuove conoscenze, miglioramento dell’autonomia nel soddisfacimento dei bisogni di assistenza.

Raccomandazione del Ministero della salute: "Prevenzione della morte materna o malattia grave correlata al travaglio/parto”

La mortalità e la morbosità materna correlate al travaglio e/o parto sono fenomeni sempre più rari nei paesi socialmente avanzati. Tuttavia, le indagini confidenziali e i comitati sulla mortalità materna, istituiti in diversi paesi europei, rilevano un’incidenza del fenomeno maggiore di quanto le notifiche volontarie riportino e stimano che circa la metà delle morti materne rilevate potrebbe essere evitata grazie a migliori standard assistenziali. La morte materna rappresenta un evento drammatico e un indicatore cruciale, benché complesso, delle condizioni generali di salute e di sviluppo di un paese. In Italia, in analogia con gli altri paesi industrializzati, il rapporto di mortalità è progressivamente diminuito da 133 per 100.000 nel 1955, a 53 nel 1970, 13 nel 1980, 9 nel 1990 e 3 per il quinquennio 1998-2002. La decima revisione dell’“International Classification of Disease” (ICD-10) definisce morte materna “la morte di una

donna durante la gravidanza o entro 42 giorni dal suo termine per qualsiasi causa correlata o aggravata dalla gravidanza o dal suo trattamento, ma non da cause accidentali o fortuite”. La stessa revisione (ICD-10) introduce i concetti di morte tardiva e di morte correlata alla gravidanza. La morte tardiva viene definita come la morte di una donna per cause ostetriche dirette o indirette oltre i 42 giorni ma entro un anno dal termine della gravidanza. Esiste, infatti, crescente evidenza che la restrizione di tempo a 42 giorni dal parto rappresenti una limitazione al rilevamento di tutte le morti materne. La morte correlata alla gravidanza viene definita come la morte di una donna in gravidanza o entro 42 giorni dal suo termine, indipendentemente dalla causa di morte. Questa definizione include quindi le morti per ogni causa comprese quelle accidentali e gli infortuni (ad esempio, incidenti stradali o omicidi). il sistema di sorveglianza inglese Confidential Enquiries into Maternal Death in the United Kingdom, nell’ultimo Report evidenzia che le cause principali di morti dirette e indirette sono riconducibili a fattori clinico - assistenziali ed organizzativi fra cui: la mancanza di adeguata comunicazione tra professionisti, l’incapacità di apprezzare la gravità del problema, la diagnosi non corretta, il trattamento sub ottimale/non corretto, il mancato riferimento all’ospedale, la mancata revisione da parte

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di specialista esperto, la mancanza di posti letto in terapia intensiva, la terapia intensiva troppo distante, la mancanza di sangue e derivati. Inoltre, va considerato che il più frequente ricorso al taglio cesareo in Italia (37% nel 2003, 38% nel 2004) rispetto all’Europa ed in particolare alla realtà anglosassone (23% nel 2003-04), potrebbe aumentare l’esposizione al rischio di morbosità e mortalità materna per alcune condizioni cliniche (ad esempio, la malattia trombo - embolica e la morte dovuta ad anestesia).

Azioni

La Raccomandazione incoraggia l’adozione di appropriate misure assistenziali e organizzative per evitare o minimizzare l’insorgenza di eventi avversi nell’assistenza al parto e al post - partum in modo da ridurre la mortalità potenzialmente evitabile

Triage ostetricoLa corretta valutazione del rischio della donna in occasione del parto rappresenta la base per una valida impostazione di un piano di assistenza appropriato e per la precoce individuazione delle potenziali complicanze. Pertanto, occorre provvedere alla classificazione del rischio al momento del ricovero a cui devono conseguire specifici “percorsi assistenziali” differenziati per profilo di rischio che orientati al pertinente utilizzo della rete assistenziale e caratterizzati da definite responsabilità cliniche e organizzative. La valutazione del profilo di rischio della donna deve essere

effettuata sulla base di criteri (fattori biologici, sociali, psicologici) condivisi dall’équipe assistenziale (ostetrica, ginecologo, neonatologo, anestesista ed eventuali altri specialisti coinvolti nell’assistenza alla gestante) e accuratamente riportati nella documentazione clinica. Deve, inoltre, essere caratterizzata da un processo di rivalutazione continuo e dinamico che non può in ogni caso sostituire un’adeguata e continuativa sorveglianza della donna e del feto in travaglio. Al fine di instaurare un’adeguata relazione assistenziale è opportuno che vengano sistematicamente adottate appropriate modalità di comunicazione con la

donna all’atto del triage ostetrico per aiutarla a comprendere il significato del concetto di “rischio” e qual è il miglior percorso assistenziale che i clinici, in base alle evidenze disponibili, hanno identificato. Il triage ostetrico non sempre può essere programmato ed organizzato in modo uniforme in tutte le U.O., ma deve essere differenziato sulla base dei livelli assistenziali ed organizzativi esistenti.

Percorsi assistenzialiOgni struttura ospedaliera deve dotarsi di protocolli e percorsi assistenziali scritti, basati sulle prove di efficacia disponibili e condivisi tra tutti gli operatori sanitari coinvolti. Tali protocolli devono prevedere l’integrazione con il territorio, nell’ottica di favorire la continuità assistenziale al percorso nascita, la raccolta anamnestica completa, i ricoveri appropriati per livello di punto nascita e le modalità di trasporto in caso di emergenza ostetrica.

Comunicazione interna La comunicazione tempestiva e completa tra operatori e strutture coinvolte nella gestione dell’emergenza presenta aspetti di criticità: il mancato o insufficiente scambio di importanti

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informazioni sui casi è una delle maggiori fonti di rischio per esiti avversi. Ogni unità operativa ostetrica deve mettere a punto un proprio sistema di comunicazione tra tutti i professionisti, identificando sia gli strumenti più adeguati alla complessità assistenziale e organizzativa presente nel contesto, sia le modalità di comportamento da adottare soprattutto in fase di emergenza.

Comunicazione con la donnaOgni struttura deve promuovere strumenti assistenziali per accogliere e rassicurare le donne sui bisogni evidenziati attraverso una comunicazione efficace. Alla donna devono essere fornite informazioni, ove disponibili, basate su prove di efficacia, in grado di aiutarla a comprendere il progetto assistenziale e renderla capace di partecipare ai processi decisionali.

Organizzazione dell’equipeLa predisposizione dei turni di servizio deve avvenire nel rispetto di criteri di sicurezza e garanzia sia per le donne che per i professionisti, equilibrando le competenze presenti in servizio.

La documentazione clinicaLa documentazione clinica deve essere in grado di fornire tutti gli elementi necessari a rendere rintracciabili e verificabili le azioni assistenziali e terapeutiche intraprese. La documentazione inerente il decorso della gravidanza e il partogramma devono far parte integrante della documentazione ostetrica.

Clinica

Le cause più frequenti ed efficacemente prevenibili di morte materna nei paesi occidentali sono rappresentate da:

la malattia trombo embolica: la raccomandazione principale riguarda la valutazione del profilo di rischio trombotico della donna in occasione di ogni contatto con la struttura ospedaliera, anche perché circa l’80% delle donne decedute per embolia polmonare presentava anamnesi positiva per specifici fattori di rischio trombo - embolico. Il mancato riconoscimento dei fattori di rischio, di segni e sintomi della malattia trombo - embolica ed i trattamenti non sufficientemente tempestivi o i dosaggi inappropriati in caso di trombo - profilassi sono gli aspetti di substandard care rilevati più frequentemente. l’emorragia post – partum: la frequenza stimata oscilla tra il 5 e il 22% del totale dei parti. La mortalità è pari all’8,5 per milione di gravidanze, di cui il 71%, come riportato nel Regno Unito, attribuibile a sub standard care. l’ipertensione/pre – eclampsia: l'incidenza di ipertensione indotta dalla gravidanza, è dell’8-10%. La preeclampsia (PE) complica il 3-4% di tutte le gravidanze: nella

sua forma grave si verifica in meno dell'1% di tutte le gravidanze. L'eclampsia ha un'incidenza di 1:2000 parti. La HELLP complica il 20% delle PE gravi. Il tasso di mortalità è pari a 7 casi mortali per milione di maternità, la percentuale di sub standard care riportata dal Report

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Anglosassone è pari al 50%. La PE costituisce il 13% - 15% delle cause dirette di morte materna nei paesi occidentali. la sepsi: l’incidenza della sepsi è di circa 1/1000 parti (13); la sua forma più grave, lo shock settico, ha un’incidenza di 1/8000 parti circa (14). Il tasso di casi mortali è pari al 5,5 per milione di maternità, la percentuale di sub standard care riportata dal Rapporto Anglosassone è pari al 77% (1). La sepsi rappresenta l’8% - 12% delle cause dirette di mortalità materna. la morte dovuta ad anestesia: Le morti materne riconducibili direttamente all’anestesia

sono ormai rare e dovute prevalentemente al mancato controllo delle vie aeree in anestesia generale per taglio cesareo. Il tasso di mortalità è pari a 3 per milione di maternità; in caso di taglio cesareo il tasso di mortalità è di 1 per 100.000 cesarei. La percentuale di sub standard care riportata dal Report Anglosassone è pari al 100%. Si ricorda che il taglio cesareo elettivo è un fattore di rischio che aumenta la mortalità materna e tal fine si richiama l’attenzione sulle raccomandazione dell’OMS che danno indicazioni in merito alla necessità di

contenere il ricorso a tagli cesarei non appropriati.

In tutti i casi si devono attuare idonee misure di prevenzione tenendo presente gli aspetti legati all’appropriatezza dei percorsi diagnostico - terapeutici, all’integrazione e alla continuità dell’assistenza, all’appropriata informazione delle persone assistite e alla qualità della documentazione clinica. Le Aziende e i professionisti sanitari debbono potersi avvalere di strumenti di indirizzo quali linee guida, protocolli, percorsi clinico - assistenziali per migliorare lo standard delle cure erogate e garantire l’appropriatezza nei percorsi clinico - organizzativi. Tali strumenti devono essere concordati e condivisi con gli operatori sanitari della struttura. E’opportuno che tutte le figure professionali coinvolte partecipino a periodiche esercitazioni di simulazione di emergenze ostetriche, dalle prime cure alle tecniche di rianimazione vera e propria, per verificare l’appropriatezza delle procedure messe in atto dalle diverse figure professionali coinvolte. Andrebbero organizzati audit sistematici e documentati mediante metodologie che permettano di confrontare le procedure assistenziali a degli standard riconosciuti al fine di valutarne l’appropriatezza e di migliorare l’assistenza.

Raccomandazione del Ministero della salute per la prevenzione, ritenzione garze, strumenti o altro materiale all'interno del sito chirurgico e sicurezza in sala operatoria

La ritenzione all’interno del sito chirurgico di garze, strumenti o altro materiale rappresenta un importante evento sentinella che può e deve essere prevenuto. Attualmente, nel nostro paese, alcuni ospedali hanno già attivato misure preventive per contrastare l’occorrenza di tale evento: con la presente raccomandazione si intende fornire un modello operativo da implementare in tutte le strutture sanitarie del nostro paese.

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Nonostante non si disponga di dati ufficiali di incidenza, si stima che tale fenomeno si verifichi 1 volta ogni 1000 - 3000 procedure chirurgiche all’anno. Alcuni dei fattori che ostacolano la segnalazione dell’evento possono essere la frequente scarsità di sintomi, l’insufficiente documentazione dei casi diagnosticati, la difficoltà di diagnosi e la scarsa propensione alla

segnalazione spontanea. Il materiale più frequentemente ritenuto è rappresentato da garze (condizione clinica definita in letteratura “Gossypiboma”1 o “textiloma”) e da strumentario chirurgico, ad esempio aghi, bisturi, adattatori elettrochirurgici, pinze o loro parti. La maggior parte degli eventi riportati in letteratura riguarda interventi di chirurgia addominale, toracica e parto. I principali fattori di rischio riportati in

letteratura sono:

procedure chirurgiche effettuate in emergenzacambiamenti inaspettati e quindi non programmati delle procedure durante l’intervento chirurgicoobesitàinterventi che coinvolgono più di una équipe chirurgicacomplessità dell’interventofatica o stanchezza dell’équipe chirurgicasituazioni che favoriscono l’errore di conteggio (es. garze attaccate tra loro)mancanza di una procedura per il conteggio sistematico di strumenti e garzemancato controllo dell’integrità dei materiali e dei presidi al termine dell’uso chirurgico

L’intervallo di tempo compreso tra l’intervento chirurgico e la diagnosi dell’evento è estremamente variabile (giorni, mesi, anni) e dipendente dalla sede e dal tipo di reazione provocata dal corpo estraneo. Infatti la diagnosi può essere incidentale in pazienti asintomatici o con sindrome da pseudo tumore, oppure può richiedere la pronta diagnosi e il re - intervento nel caso in cui si verifichi una reazione acuta con sintomi locali o sistemici. Il materiale estraneo ritenuto può determinare un ampio spettro di esiti clinici che variano da casi asintomatici a casi con gravi complicanze, quali perforazione intestinale, sepsi, danno d’organo sino alla morte; si stima, infatti, un tasso di mortalità compreso tra l’11% e il 35%. La Raccomandazione deve essere applicata in tutte le sale operatorie e da tutti gli operatori sanitari coinvolti in interventi chirurgici.

Azioni

Procedura per il conteggio sistematico dei materiali chirurgici e per il controllo della loro integritàLa Procedura deve essere applicata a garze, bisturi, aghi e ad ogni altro materiale o strumento, anche se unico, utilizzato nel corso dell’intervento chirurgico.

Il conteggio dovrebbe essere effettuato nelle seguenti fasi :prima di iniziare l’intervento chirurgico (conta iniziale)durante l’intervento chirurgico, prima di chiudere una cavità all’interno di un’altra cavitàprima di chiudere la feritaalla chiusura della cute o al termine della proceduraal momento dell’eventuale cambio dell’infermiere o chirurgo responsabile dell’équipe

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Il controllo dell’integrità dello strumentario va attuato nelle seguenti fasi:quando si apre la confezione sterile che lo contienequando viene passato al chirurgo per l’utilizzoquando viene ricevuto di ritorno dal chirurgo

Il conteggio ed il controllo dell’integrità dello strumentario deve essere effettuato dal personaleinfermieristico (strumentista, infermiere di sala) o da operatori di supporto, preposti all’attività di conteggio. Il chirurgo verifica che il conteggio sia stato eseguito e che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l’intervento. Si ricorda che l’attuale orientamento giurisprudenziale, in tema di lesioni colpose conseguenti a omissione del conteggio o della rimozione dei corpi estranei all'interno del sito chirurgico, estende l’attribuzione di responsabilità a tutti i componenti dell’équipe chirurgica.

La procedura di conteggio deve essere effettuata a voce alta, da due operatori contemporaneamente. Relativamente al conteggio iniziale delle garze, verificare che il numero riportato sulla confezione sia esatto, contando singolarmente ogni garza e riportandone il numero sull’apposita scheda: il conteggio iniziale stabilisce la base per i successivi conteggi. Tutti gli strumenti, garze o altro materiale aggiunti nel corso dell’intervento devono essere immediatamente conteggiati e registrati nella documentazione operatoriaL’operazione di conteggio deve essere sempre documentata mediante firma su specifica scheda predisposta dall’azienda e da allegare alla documentazione operatoria, di cui si propone un modelloTutto il materiale che arriva e ritorna al tavolo servitore va controllato nella sua integrità Devono essere utilizzati contenitori per le garze sterili, usate per l’intervento chirurgico, differenziati rispetto ai contenitori che raccolgono altre garze o altro materiale di sala operatoriaEvitare di fare la medicazione di fine intervento con garze con filo di bario rimaste inutilizzate per evitare falsi positivi in caso di controllo radiografico.

Il clima di lavoro all’interno della camera operatoria deve favorire una comunicazione libera edefficace che coinvolga l’intera équipe chirurgica, affinché tutti i componenti siano nelle condizioniottimali per comunicare ogni dubbio circa eventuali discordanze di conteggio. In aggiunta al

conteggio, si raccomanda di utilizzare, nel corso dell’intervento, esclusivamente garze contrassegnate con filo di bario od altro materiale idoneo ad agevolare l’eventuale successiva identificazione. Per

i pazienti ad alto rischio (procedure chirurgiche effettuate in emergenza, cambiamenti inaspettati

e non programmati delle procedure durante l’intervento, obesità) si suggerisce, ove possibile, lo screening radiografico da effettuare prima che il paziente lasci la sala operatoria, per individuare oggetti e garze radioopache, anche se attualmente mancano analisi di efficacia di tale misura, che può essere gravata da falsi negativi. Inoltre, sono oggetto di valutazione nuove tecnologie per il contenimento delle conseguenze, tra cui i “marcatori elettronici” (electronic tagging) per il

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materiale chirurgico, ma al momento non si dispone di evidenze sufficienti che ne consentano l’uso diffuso. Devono essere previsti programmi aziendali di formazione che includano periodi di addestramento del personale coinvolto nelle attività di camera operatoria per il conteggio sistematico di garze, strumenti o altro materiale chirurgico. I programmi di formazione dovrebbero includere l’analisi di casi clinici per aumentare la consapevolezza sull’argomento e sulle possibili conseguenze. Nell’ambito di tali iniziative occorre, inoltre, porre l’accento sull’importanza di promuovere il clima lavorativo che favorisca la collaborazione e la comunicazione aperta tra operatori.

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Bibliografia e SitografiaM. Guana et Al. – La disciplina ostetrica – McGraw-HillMarra – Il ginecologo e l’ostetrico – Passoni editoreM.Guana – La responsabilità ostetrica alla luce delle nuove normative – Presentazione in pptE. Di Chiara – Clinical Governance – Presentazione in pptGigli – Il rischio clinico nell’area materno – infantile – presentazione in pptJ. Fedriga – Management ostetrico – Siryo Anno 2 N°1 www.wikipedia.itwww.ostetriche-fisigrarpo.comwww.repubblica.itwww.livesicilia.itwww.amoecm.orgwww.gimbe.orgwww.salute.gov.itwww.unibocconi.it