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a cura di Valeria Gianolio NOIRGIALLOTHRILLER ORME CRITICHE E TRACCE DI GENERE Tirrenia Stampatori 00_Princ.qxd 30-03-2010 14:17 Pagina 3

Walter Serner e il noir della quotidianità nella Germania degli anni Venti, in V. Gianolio (a cura di), Noir giallo Thriller. Ombre critiche e tracce di genere, Torino, Neos/Tirrenia

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a cura diValeria Gianolio

NOIRGIALLOTHRILLERORME CRITICHE E TRACCE DI GENERE

Tirrenia Stampatori

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Prima edizione marzo 2010

copyright NEOS EDIZIONI S.r.l.

Via Genova, 57 - Rivoli (TO) - Tel/Fax 011 9576450

E-mail: [email protected] - http: www.neosedizioni.it

I diritti di memorizzazione elettronica e di riproduzione totale o parziale sono riservati.

Impaginazione: ITG - Torino

Stampa: Graphot - Torino

EAN 978-88-95899-70-1

Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienzedel Linguaggio e Letterature Moderne e Comparate,

e con il contributo del

a sostegno della cultura del territorio

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Indice

Premessa 7

Il Supplément au Voyage de Bougainville di Diderot.

Utopia razionale o mito del buon selvaggio? Un enigma filosofico 9

GIULIO PANIZZA

Le nuove strade del giallo contemporaneo.

Le inchieste di Nicolas Le Floch, commissario al Châtelet 16

CRISTINA TRINCHERO

Femminicidi a Ciudad Juárez: i segreti di morte del deserto 38

SILVIA GILETTI BENSO

La regola del bastone e del dolce. Investigare in India 53

ALESSANDRO MONTI

Favole nere dell’insolito quotidiano. 64

Il rompol di Fred Vargas

ALESSANDRA BRANCACCIO

Interferenze fra narratività storica e narratività romanzesca.

Esempi dal poliziesco del Monde Noir 75

ANNA PAOLA MOSSETTO

Il giallo come nostalgia. I torimonochô di Okamoto Kidô (1872-1939) 91

FALIERO SALIS

Tsotsi: un romanzo al jazz/noir 113

CARMEN CONCILIO

Athol Fugard rivisita Tsotsi 141

CARMEN CONCILIO

Intervista ad Athol Fugard su Tsotsi 143

MARINA MIGLIASSO, CARMEN CONCILIO

Walter Serner e il noir della quotidianità

nella Germania degli anni Venti 147

SILVIA ULRICH

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La lingua del giallo tra fiction e non fiction: investigazioni 164

nelle civiltà letterarie anglofone

ESTERINO ADAMI

Metamorfosi del noir nella Russia postsovietica 175

NADIA CAPRIOGLIO

Los Angeles, City Of Noir.

La città americana tra pulp, hard-boiled e film noir 182

ANDREA CAROSSO

(S)comparsi e inesistenti: presenze eteree, assenze nell’etere.

Harry Kipper, Andreas Grassl, Penny Brown e la disinformazione creativa 198

DAMIANO CORTESE

Siamo veramente in un romanzo poliziesco. Che cosa si fa in simili casi? 209

La trappola colorata di Luciano Folgore

BIANCA GAI

Variazioni semantiche di crime in Andreï Makine 229

MARIA MARGHERITA MATTIODA

Ljudmila Ageeva: un giallo di stato 243

GIOVANNA SPENDEL

“Heads will roll”: il mito del cavaliere decapitato

dalle leggende arturiane a Sleepy Hollow 248

LAURA RAMELLO

Ut unum sint. Traduzione e traduzioni 257

VALERIO FISSORE

Riprodurre la ‘torinesità’ di Gianna Baltaro.

Note a margine di una traduzione 272

MARIA MARGHERITA MATTIODA

Il giallo e il nero in traduzione nei racconti

di Alessandro Perissinotto e Pier Massimo Prosio 278

ESTERINO ADAMI

Un delitto imperfetto/Un delito imperfecto 292

CLAUDIO CERASUOLO, BLANCA ORTIZ ORTEGA

Terzo Grado/Third Degree 300

WALTER PESSION/OLGA COTRONEI

Rigor Mortis/Rigor Mortis 303

ELISABETTA CHICCO VITZIZZAI, GABRIELLE LAFFAILLE

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Premessa

Mais, l’autre jour, rêvant à la vie dans le cheminsolitaire au-dessus du lac l’Albano, je trouvai quema vie pouvait se résumer par les noms que voi-ci, et dont j’écrivais les initiales sur la poussière,comme Zadig, avec ma canne, assis sur le petitbanc derrière les stations du Calvaire des MinoriOsservanti bâti par le frère d’Urbain VIII,Barberini, auprès de ces deux beaux arbresenfermés par un petit mur rond.(Stendhal, Vie de Henry Brulard)

NoirGialloThriller. Orme critiche e tracce di genere costituisce il terzo e ulti-

mo volume della serie investigativa su nuove modalità di studio e ricerca. Le sue

linee essenziali vengono a enunciare l’approfondimento di un lavoro sull’elabora-

zione di un possibile atto definitorio e specifico delle letterature di genere. L’affer-

marsi delle varie configurazioni di queste tipologie letterarie ci induce a riaprire i

confini e i domini della loro ormai troppo ristretta etichettatura. Questa convinzio-

ne è stata la consegna prima e determinante che circola nella costruzione dell’inte-

ra raccolta. Come a chiudere un cerchio, vi si possono trovare alcune testimonian-

ze di autori e traduttori che ci hanno fornito un tessuto esemplificativo e critico nel

volume NoirGialloThriller. Le investigazioni del traduttore (2006). Nel saggio di

apertura ritroviamo invece una ripresa ideale e utopica delle impronte iniziali che

ci riporta a contesti deduttivi di NoirGialloThriller. Archivi di genere (2008).

Seguendo quindi le migliori tradizioni sono state disseminate delle esche fun-

zionali che hanno permesso di individuare la fitta e solida compagine testuale di

un progetto fortemente sentito e condiviso da coloro che hanno partecipato alla

sua realizzazione. Un primo/ultimo indizio ulteriore è fornito dall’epigrafe di

apertura alle soglie di questo libro.

Ci ritroviamo di fronte allo scrittore Stendhal che, avvalendosi di filigrane vol-

terriane, inizia la sua indagine cognitiva a ritroso nelle pieghe di una memoria

autobiografica.

Non mi resta che lasciare spazio di parola e di lettura agli amici e ai colleghi

che hanno voluto ancora una volta condividere con me la passione per l’enigma,

il mistero, il non detto.

Li nomino, in rigoroso ordine alfabetico, come testimoni informati dei misfat-

ti che hanno voluto così sapientemente proporci.

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Grazie a Esterino Adami, Alessandra Brancaccio, Nadia Caprioglio, Andrea

Carosso, Claudio Cerasuolo, Elisabetta Chicco Vitzizzai, Carmen Concilio,

Damiano Cortese, Olga Cotronei, Valerio Fissore, Bianca Gai, Silvia Giletti

Benso, Gabrielle Laffaille, Maria Margherita Mattioda, Marina Migliasso,

Alessandro Monti, Anna Paola Mossetto, Blanca Ortiz Ortega, Giulio Panizza,

Alessandro Perissinotto, Walter Pession, Pier Massimo Prosio, Laura Ramello,

Faliero Salis, Giovanna Spendel, Cristina Trinchero, Silvia Ulrich.

Un grazie tutto particolare a Giuseppina Cutrì che è ritornata sulla scena del

delitto assumendosi il compito investigativo di rivedere l’ultimo impasto edito-

riale.

Valeria Gianolio

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Walter Serner e il noir della quotidianitànella Germania degli anni Venti

SILVIA ULRICH

IL’opera di Walter Serner (1889-1942) presenta un’antologia ricca e articolata

di prosa poliziesca, composta prevalentemente dalle quattro raccolte di raccontiZum blauen Affen (1921), Der elfte Finger (1923), Der Pfiff um die Ecke (1925)e Die tückische Straße (1926), il romanzo Die Tigerin (1925), il libro di aforismiLetzte Lockerung. Ein Handbrevier für Hochstapler (1918 e 1927) e la comme-dia Posada oder der große Coup im Hotel Ritz (1927). È una produzione che acco-sta alla omogeneità del genere, pur sempre riccamente variato, una densità lin-guistica tale da porsi essa stessa come godimento estetico e, per il traduttore chevoglia divulgarne i segreti, una vera e propria sfida.1 Quest’ultimo è un aspetto nonsottovalutabile se si osserva l’inadeguata accoglienza che l’opera di Serner ebbenella Germania coeva, dove fu duramente colpito dalla censura tanto per la mate-ria, giudicata scabrosa dal perbenismo filisteo, quanto per il linguaggio, ricco inparticolare di espressioni provenienti dal gergo della malavita locale e interna-zionale. Uno slang da bassifondi metropolitani che certamente ha contribuito adaffossare l’intera sua produzione, destinandola ad un precoce oblio che ne haimpedito la giusta circolazione in Germania fino agli anni Ottanta e pressochéfino ai giorni nostri in Italia.2

Walter Serner

L’assassinio del marchese di Brignole-Sale

Sorhul si fermò sotto i portici di Piazza De Ferrari e osservò con interesse gliuomini a gruppi che, in piedi ad ogni angolo, gridavano e gesticolavano; ci si pote-va aspettare che da un momento all’altro scoppiasse una rissa. All’improvviso sisentì toccare da dietro. Un vecchio straccione dagli abiti cascanti gli sussurrò qual-cosa; quando comprese di non essere inteso, parlò francese, nominando un loca-le notturno e l’indirizzo. Sorhul rifiutò cortesemente, ma quello, con affabile sfac-ciataggine, gli mise in mano un biglietto giallo che egli si infilò in tasca mecca-nicamente, senza leggerlo.

In via XX Settembre, appena superato l’angolo della ‘Birraria Zolezi’, una

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signora elegante, per quanto poco appariscente, gli rivolse la parola. Bionda e pro-cace, poteva essere una tedesca meridionale. Dopo poche parole affermò di ave-re fame. La cosa fece a Sorhul un grande effetto. «Forse non sta affatto menten-do, oppure è estremamente raffinata», si disse. Molto incuriosito, la condusse daFossati, uno dei ristoranti più rinomati di Genova.

Per sua meraviglia, la signora si comportò assai correttamente; anzi, aveva unabuona dimestichezza con quelle consuetudini che la frequentazione di luoghi simi-li richiede. Dopo l’arrosto, Sorhul tentò di capirci qualcosa. «Lei è davvero ita-liana? Parla un francese senza inflessioni.»

«Che significa?» La signora appoggiò sulla mano di Sorhul le dita fiacche, unpo’ umide, che non sembravano appartenere per nulla a quel corpo. «Che io Ledica la verità o Le propini una storia, non mi crederà in nessun caso. Forse, però,una storia è ancor meglio; la verità è troppo banale.»

Sovreccitato com’era, Sorhul chinò lo sguardo sul proprio piatto. La parte sini-stra del viso gli si contrasse, cosicché l’altra metà parve come paralizzata.

«Hm. Con una tale, eccellente premessa, La reputo tanto intelligente da voler-mi a maggior ragione raccontare una storia.»

La signora ritrasse lentamente la mano. «È particolarmente difficile, direi qua-si impossibile, comprendersi se non si dà a intendere di avere un minimo di fidu-cia; un po’ come il giocatore più bravo sa bluffare con quello più debole.»

«Di nuovo eccellente.» La curiosità di Sorhul divampò a dismisura fino a far-lo arrossire.

«In fondo però mi meraviglio sempre, quando mi riesce. È una delle più evi-denti fonti di sfiducia.»

La signora tacque. A Sorhul parve scorgere un suo sorriso impercettibile.Perciò disse serenamente: «È del tutto impossibile parlare se non a fonds perdu.»

«Ma no. Spesso è sufficiente conversare per individuare l’obiettivo avversario.Ciò che si dice è assolutamente indifferente.»

Sorhul, cui il detto era familiare, appunto per questo si indispettì. «Lasciamostare, non ci porta a nulla. Vuole soldi?»

«Ma è naturale!»«Bene. Quanto?»Tutto a un tratto teneva in mano una piccola penna. «Ecco il mio indirizzo».

Tirò su di scatto la manica di Sorhul e glielo scrisse sul polsino della camicia.«Cosa vuole in cambio?»

Sorhul la guardava estasiato. «Ne è sicura?»«Assolutamente.»«Come mai?»«Lei è troppo di bell’aspetto per essere… poire.»Da tempo Sorhul non era più avvezzo a difendersi dalle adulazioni, anche le

più raffinate. «Ecco, qui ci sono venti lire. Non è molto, ma basteranno – fece unghigno civettuolo – per barcamenarsi fino a domani. Magari avrò davvero biso-gno di Lei. Ancora una domanda: Lei fa tutto?»

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«In genere, sì».Sorhul non riuscì ad appurare a quale mestiere pensasse dando il suo assenso.Giorni dopo la curiosità lo assalì nuovamente; la sconosciuta del Fossati non

gli passava di mente. Conosceva la vita e le sue sorprese troppo bene per ignora-re che la sua curiosità era infondata, che qualcosa di insolito non nasce poco apoco, ma si palesa all’improvviso; insomma, che ciò che si aspettava dalla signo-rina Francesca Palbi di via San Luca sarebbe stato qualcosa di ben noto oppure,nel migliore dei casi, qualche ignota indecenza. Ma era su di giri, più che mai. Nonera ancora mai stato tanto pronto a un salto nel buio, come da quando aveva lascia-to Roma con Adrienne.

Dopo la prima colazione uscì. Lasciando l’albergo affidò all’usciere l’incari-co di avvertire Madame che sarebbe rientrato di lì a un’ora.

La portiera3 in via San Luca lo squadrò con scrupolo straordinario, costrin-gendolo a ripetere due volte, quasi fosse sorda, il nome della signorina Palbi. Piùtardi gli sovvenne che questa circostanza già di per sé avrebbe dovuto insospet-tirlo. La vecchia lo informò che la signora non viveva più lì, bensì in via Lomellini16, piano terra a destra.

«Mica male complicare così il modo per raggiungerla», pensò Sorhul prose-guendo il cammino.

Appena giunto, non fece in tempo a varcare la soglia dell’appartamento che uncolpo alle spalle lo tramortì. Per quanto il capo gli dolesse terribilmente, ebbe laprontezza di fingersi svenuto e rimase immobile. Lo gettarono su un sofà, glisvuotarono le tasche e lo lasciarono lì disteso.

Poco dopo udì la voce della signorina Palbi e quella di un uomo, con tutta pro-babilità ancora più giovane di lei. Parlavano italiano, ma tanto in fretta e sottovo-ce che Sorhul, pur capendo un po’ la lingua, cessò subito di ascoltare.

Dopo alcuni minuti che se ne stava coricato, confuso e senza pensieri, azzardòad aprire l’occhio destro, quello rivolto verso la parete contro cui poggiava il sofà,e a voltare dolcemente verso la stanza la testa, che nel frattempo aveva ripreso amartellare con violenza. Vide un uomo sulla quarantina vestito malamente, indaf-farato a sgarbugliare in modo brusco una spessa corda, e la signorina Palbi davan-ti a un tavolino rotondo, sopra il quale c’erano i suoi documenti, che stava con-trollando. Accanto c’erano i suoi soldi e la sua Browning.

Sorhul richiuse subito l’occhio, premendo il fondoschiena contro il divano,come per sentire qualcosa.

E lo sentì! I suoi pantaloni possedevano infatti due tasche interne; nella sini-stra si trovava sempre (un’antica, saggia abitudine) una Browning caricata a sal-ve; nella destra una caricata a piombo. Sul tavolino c’era la Browning a salve.

Sorhul attese ancora qualche secondo per studiare la sequenza dei movimentiche stava per compiere. Poi balzò in piedi come un lampo, l’arma in pugno…

Per strada gettò in un cassonetto la pistola che aveva preso da quel mascalzo-ne ed entrò in un bar per sciacquar via l’emozione e il suo sapore amaro. Intantocontò il denaro che aveva tolto dalla borsetta della signorina Palbi. «Mil-

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lequattrocento lire! Per una botta alla testa così ben assestata come questa non ècerto molto, ma è una ricompensa adeguata per la mia imperdonabile stupidità.»

Quando ritornò all’Hotel Miramare temette d’un tratto che l’ipotesi per cui lacara coppietta di manigoldi non si sarebbe mossa per nulla, potesse essere errata.Ma la circostanza – più che mai evidente – che gli era nondimeno venuta in men-te, ossia che nessuno l’aveva seguito fin lì, lo tranquillizzò.

Adrienne, ignara di tutto, lo accolse di buon umore.Sorhul sprofondò silenzioso in una poltrona e tirò indietro i capelli oltre la tem-

pia destra: si vedeva un bernoccolo livido.Adrienne strinse i denti, serrando malignamente la bocca. «Ma… Chi…?

Dove…?». Gli occhi gli si fecero piccoli. Sorhul finse una grande spossatezza, perriscuotere, con suo grande piacere, un’efficacia maggiore. Decise così di volgereil resto del racconto di quell’avventura nettamente a proprio favore: sapeva peresperienza che raccontare gli smacchi rende ridicoli, e solo quelli accaduti in par-te sotto gli occhi altrui fanno talvolta una buona impressione.

Ma poi di colpo fu lì lì per urlare: gli era venuta un’idea grandiosa…Una delle sere seguenti Adrienne – che da settimane aveva familiarizzato con

le abitudini di Palazzo Rosso del Marchese di Brignole-Sale – mentre la servitùera impegnata a mangiare, portò il van Dyck, che aveva staccato dalla cornice, giùal portone laterale di via Laro, dove Sorhul in gran fretta lo staccò dal legno e loarrotolò, nascondendolo sotto il mantello. Dopodiché tornò in albergo.

Adrienne si nascose in una nicchia sulle scale. Quando vide il Marchese rien-trare attese ancora alcuni minuti prima di avvicinarglisi, nascosta come sempre daun pesante velo. Non le fu difficile recitare la finta commedia dello sfinimento edell’eccitazione nervosa, per poi cadere, tra violenti singhiozzi, tra le braccia delmarchese, lasciandosi carpire – apparentemente in via del tutto occasionale – ciòche fino a quel momento aveva costantemente negato.

Sorhul riteneva che la coincidenza tra il concedersi di Adrienne e la sparizio-ne del quadro fosse il miglior modo per deviare ogni sospetto da lei.

Il furto fu scoperto il mattino seguente, molto presto.Già verso mezzogiorno fu arrestato un certo Giacomo Cazzi, di cui fu trovato

un biglietto pubblicitario – un passepartout per una fumeria d’oppio – sulle sca-le, dove l’aveva collocato Sorhul. Quegli non fu in grado di provare il proprio ali-bi, giacché per lavoro aveva percorso in lungo e il largo molte strade.

Da Sorhul e Adrienne fu eseguita una perquisizione, che però non portò adalcun risultato. Sorhul stesso aveva insistito per la perquisizione, benché il mar-chese avesse respinto con indignazione ogni sospetto della polizia; tanto più cheammirava l’eroica resistenza di Adrienne, e dopo la sua resa improvvisa – cheegli riteneva un caso tanto raro quanto sintomatico della mutevolezza della vita –era più che mai innamorato. Non fece fatica a comprendere che Adrienne, che oragli inviava epistole d’amore traboccanti di sensualità, non osava più andare da lui;egli ne soffriva così tanto, che Sorhul ritenne di non poter esitare ancora a lungoad attuare la sua grandiosa trovata.

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La notte seguente Adrienne, munita di una sola valigetta, si recò in un taxichiuso all’Hotel Bristol dove il marchese, al colmo della felicità, l’attendeva inuna camera doppia. Due giorni dopo, quella situazione provvisoria la disgustava.Perciò desiderò andare ad abitare in affitto in un piccolo appartamento ammobi-liato in un edificio privato. Il marchese fu subito d’accordo, giacché gli sarebbecostato molto meno. Lo stesso giorno si recò, su consiglio di Adrienne, in via SanLuca, a trattare con la signorina Palbi per uno dei suoi appartamenti in affitto.

Nel frattempo Adrienne, senza indugiare, riscosse l’intera somma che il mar-chese le aveva destinato e si mise in viaggio alla volta di Firenze.

Sorhul rimase a Genova ancora per un po’ in attesa dell’evolversi degli even-ti, per non destare sospetti.

Poiché si sapeva che il marchese avrebbe trascorso la luna di miele conAdrienne in qualche località di mare, nessuno si preoccupò della sua scomparsa.

Successivamente anche Sorhul, con il van Dyck cucito nel fondo della valigia,partì per Firenze, dove ogni giorno attese con grande impazienza i giornali. Finchéun giorno vide già da lontano un titolo campeggiare sul «Secolo». Si affrettòall’edicola e lesse: «Omicidio del marchese di Brignole-Sale. Arrestata la coppiaassassina. Nuova pista nel furto del van Dyck».

Ventiquattro ore dopo, Sorhul e Adrienne erano a Vienna. Solo allora egli lefece leggere il «Secolo».

Quando Adrienne abbassò il giornale, egli disse: «Che il cranio del marchesefosse più sottile del mio non potevo certo saperlo.» Quindi iniziò a raccontarle lasua avventura, di come si era procurato il bernoccolo in testa. Ora che poteva facil-mente volgere l’evento a proprio vantaggio, fece su Adrienne un’impressione a dirpoco indelebile, dei cui ardenti effetti godette fino in fondo. Sul divano.

Walter Serner

Il mistero della Tottenham Court Road

Quando Jabert entrò all’Hotel Shearn, nella Tottenham Court Road, non sivedeva nessuno. Dopo aver portato la valigia in camera, nella quale aveva per-nottato già due volte, andò al WC. Sulla porta andò a urtare contro un giovanottoin giacca, di una bellezza rara, quasi irreale, ma con un’espressione del volto cosìmalvagia, che Jabert si meravigliò di come la esternasse con tanta disinvoltura.

Benché fossero appena le sette di sera, andò subito a letto. Nel Devoshire ave-va portato a termine lo scasso più difficile della sua carriera e si addormentò dicolpo, stanco morto. Quando verso le cinque del mattino si svegliò, udì un fruscionel corridoio. Involontariamente pensò al giovanotto della sera prima. L’idea difargli una visitina non lo aveva ancora sfiorato che già s’era deciso a introdursinella sua stanza. Provvisto del necessario, sgattaiolò scalzo verso il WC per rico-struire la direzione in cui il giovane era andato. Là vi erano due sole camere; forzòla porta della prima con tre colpi di coltello. La camera era libera. La seconda por-

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ta era aperta, il letto intatto. Stava già per ritrarsi quando la luce della sua lampa-dina tascabile illuminò per caso la finestra. Trasalì. Vedeva bene…? Non eramica…? Si, alla finestra era appeso un uomo: qualcuno si era impiccato.

Jabert accese la luce, voltando il cadavere verso di sé per osservare meglioquella testa sospesa. Vide ciò che in realtà già sapeva: il viso del bel giovanottodall’espressione malvagia che la morte aveva orrendamente abbruttito. Jabertslacciò i pantaloni al morto per appurare se si trattava di suicidio. Il segno incon-futabile mancava. Nello stesso momento udì provenire dal corridoio lo stesso fru-scio. Subito strisciò sotto il letto. Pochi secondi dopo avvertì una leggera corren-te d’aria: la porta era stata aperta. Allora scoprì accanto alla finestra una donna,vestita di una sola camicia da uomo, riversa sul pavimento. E quasi contempora-neamente udì una voce maschile:

«Bene. Allora la questione principale sarebbe conclusa. Quando domanivedranno quel beone appeso alla finestra e questa sgualdrina lì per terra…»

Jabert vide due dita tastare il seno della donna sul pavimento e spingerla sullaschiena con un movimento brutale. La vita lo aveva temprato, tuttavia la vista diquelle mani lo fece rabbrividire. Udì nuovamente quella voce:

«… crederanno che dopo venti acquaviti, per giunta scadenti, l’avrà colto ildelirio e lei, come l’ha visto lì impiccato, sarà svenuta per lo spavento. Oppurecrederanno che dopo la rissa…»

«Ma dove diavolo l’hai trovato?» Fu una voce più chiara a pronunciare quel-le parole.

«M’ha intralciato un colpo.»«Non lo hai mica…»«Hoho… il difficile è stato solo trascinarlo fin qua. Ha fatto più in fretta ad

impiccarsi di quanto si pensi.»«Lo hai… per me?»«Fandonie! Avrei forse dovuto cogliervi sul fatto, tu e quella Irish-beauty lì?»«Lo so già che quelli del tribunale non credono a nulla. Ma io…»«Dear me, questo è un idiota! E se tu avessi fatto uso di tutta la tua forza per-

suasiva, dopo poche settimane saresti caduto in trappola»«Ma quella lì…? Che le è successo?»«Questa allocca? L’ho… No, Willy, non sono qui per scusarti di fronte a te

stesso.»«Ma dov’è andata Blossie?»«Sst! Per l’ultima volta! Ieri hai trincato, di sotto, con i due pivelli, Blossie e

me. A mezzanotte te ne sei andato con lei. Alle due lei era di nuovo di sotto. Equando io alle quattro busso da te, la luce è accesa e c’è una donna morta sul tap-peto. Heilà, cosa… Ti ricordi mica se la luce…»

«Se la luce…?»«Ho spento la luce quando sono uscito.»«Mi ricordo. Hai spento.»«Diamine! Però era acceso quando siamo tornati. Sst!»

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In silenzio, Jabert tirò fuori la sua Browning, si spinse all’indietro infilandosiverso l’alto, tra il letto e la parete, quando sentì la voce più chiara sussurrare, comese ci fosse qualcuno. Sapeva che l’altro era strisciato sotto il letto e poteva veder-gli in qualunque momento i piedi. Sollevò rapidamente la testa: a due passi da luisi agitava la schiena dell’uomo. Rapidamente Jabert sgattaiolò dietro la tenda chescendeva davanti alla finestra, a tre passi da lì. Poco dopo udì nuovamente quellavoce:

«È successo qualcosa… Lo so bene, la luce l’avevo… C’è stato qualcuno.Attento! Va’ davanti alla porta!»

Partì un colpo. Jabert si chinò, il vetro in frantumi lo ricoprì interamente. Poisaltò su da un lato e sparò all’uomo con la Browning ancora fumante.

L’uomo si accasciò emettendo un fievole gorgoglìo.Jabert fissò lo sguardo verso la porta: in piedi c’era il bel giovanotto con gli

occhi spalancati che gli tendeva i palmi delle mani in segno di resa. Quando Jabertvide che l’uomo sul pavimento era morto, andò verso quello davanti alla porta.«Chi sei?»

«Chi sei tu?»Jabert indicò con la pistola una sedia accanto al tavolo. Quando anche lui fu

seduto, posò la mano con l’arma sul ginocchio. «Avanti, spiegami tutto. Chi èquello?» Voltò il capo verso l’impiccato, meravigliandosi di poter scorgere ades-so una somiglianza tanto lieve con il suo interlocutore.

«Non lo so.»«E quella?»«Non so nemmeno questo.»Per alcuni secondi Jabert osservò quel bel viso che aveva davanti, la cui espres-

sione malvagia parve accentuarsi. Si passò appena la lingua sulle labbra: «Te lochiedo ancora una volta, voglio spiegazioni!»

«Well. Allora, ieri abbiamo alzato il gomito. Questo l’hai già sentito.»«Poi sei andato con una certa Blossie…» Un sorriso amareggiato increspò la

bocca fine di Jabert.«Alle quattro mi sono svegliato.» Essere lì solo con lei in una camera… è suc-

cesso perché ero sotto l’effetto dell’alcool. Ad ogni modo, improvvisamente solo,e con un’estranea. Quell’odore fastidioso di catrame e frutta marcia. Non lo sen-ti anche tu? Ora, avevo un vago presentimento che la cosa fosse sospetta. Ma que-sta persona non mi ha lasciato pensare un secondo, mi è saltata addosso con tuttigli up e i down. Disgustoso!»

Jabert rideva compiaciuto sotto i baffi. «Dunque ti sei svegliato alle quattro.Forza, sbrigati!»

«Well. Debast se ne stava in camera. È quello che hai accoppato. Se l’è meri-tato, quel manigoldo. E poi ho visto quella lì, morta.»

Jabert, curioso, chinò il capo di lato. «Davvero una Irish-beauty! E poi con luil’hai trascinata fin qui.»

«Lo sai? Well. Allora Debast attonito ha chiesto cos’era successo… Io balbet-

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tavo che non era Blossie. Si lamentava che era una dannata, stupida storia. Madimmi… gli spari! Verranno.»

Jabert negò sbattendo le palpebre. «Dopo mezzanotte i piedipiatti non voglio-no neanche sentirle, cose simili. E nemmeno quelli dell’albergo. Su, avanti!»

«Ebbene, io non gli ho chiesto di Blossie, di come questa donna fosse arriva-ta nella mia camera e come… sul tappeto, morta, in camicia… sapevo che tuttoquanto sarebbe stato assolutamente inutile. Promise poi che mi avrebbe combinatoquesta porcheria, se io lo avessi maltrattato. Poi mi costrinse a confessare la miavita. Mentire non mi riuscì difficile, visto che faceva continuamente domande.Anche un manigoldo scaltro come lui, a raccontargli ciò che vuole sentirsi dire,lo si raggira più facilmente della più credulona tra le donne.»

«Hm, hm.» Jabert puntò la lingua dentro la guancia. «Voleva intortarti perbene. Il cadavere l’ha messo lì per te. E questo qui se l’è portato su, per far rica-dere tutto su Hobble, su Susancide. In qualche modo io ti ho dunque riscattato».Poiché l’altro annuiva, egli ammiccò: «Senza di me non te la saresti più svignatada lui. Normalmente cosa fai?»

«Ho un posto al ristorante Roß.»«Tottenham Court Road 62. Si mangia bene.»«Come in qualunque posto dove girano le cocottes.»«Sei mai stato dentro?»«Manco un giorno.»«Come ti chiami?»«Willy Cuttler. Ma non sarebbe più ragionevole…»«C’è tempo. Da quel che vedo sei frocio. Ammettilo!»Cuttler, che fino a quel momento, totalmente immobile, aveva fissato di continuo

lo stesso punto del tavolo, alzò di scatto lo sguardo. «Tu sei mica uno di quelli?»Jabert si passò la lingua lungo il labbro inferiore. «Quindi puoi ringraziare.»«Certo, non sono frocio, ma vorrei finalmente andarmene da questa morta

società.» Cuttler si alzò e si strappò via la giacca. «Con uno finiscono per farselaproprio tutti quanti!»

Jabert attese finché fu nel letto. Quando si coricò accanto a lui, spinse la suaBrowning sul comodino in modo che potesse impugnarla rapidamente…

Dopo un’ora sedevano di nuovo al tavolo, Cuttler con gli occhi cupi, Jabertingrugnito.

«Centocinquanta scellini glieli do ogni mese a mia moglie».Cuttler si alzò, scuotendo la testa. «Ora lasciami andare!»«No», brontolò Jabert. «Faresti meglio a dire di sì». Sollevò un poco la mano

con la Browning.Cuttler si sedette. Rimase immobile, nella stessa posizione che aveva all’inizio.Gli eventi della notte, il suo potere e quella strana ebbrezza di cui aveva godu-

to lo avevano indurito e reso più inflessibile di quanto solo poche ore prima si eracreduto capace.

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«Willy, metti quell’allocca sul letto!»Cuttler chiuse brevemente gli occhi. Poi eseguì l’ordine straordinariamente in

fretta. Nel mentre scoprì sull’anca sinistra del cadavere una ferita grande come undisco, violacea, iridescente. L’occhio destro era pesto, di un colore che si avvici-nava al nero, lungo il quale per contrasto, scendeva una ciocca bianca di capelli,l’unica in mezzo alla capigliatura ancora scura.

Cuttler si sedette sul letto, giocherellando con le dita della morta, sì da poterdare la schiena al suo aguzzino.

«Si vede lontano un chilometro che non ha più di un paio di giorni. Peccato.Gambe! Gambe!»

«Tutto merita di andare in malora» mormorò Cuttler assonnato.«Anche tu. Vuoi che ti stritoli?»Cuttler si voltò bruscamente, il viso pallido. «Debast era un farabutto. Ma per-

lomeno era partito per me.»«In certo qual modo allora è un’attenuante per te.» Jabert gignò, poi disse con

un sibilo: «Spiegamelo!»Cuttler lanciò un’occhiata al braccio della defunta che sporgeva dal letto sfio-

rando il pavimento con le dita. «Una persona bella fa perdere la testa; fa un effet-to del tutto antisociale. E quelli poi si accorgono che non sono altro che unoschifoso branco di montoni senza il becco d’un quattrino, costretti ogni volta apagare. Ecco perché non hanno affatto il coraggio di lasciarsi andare. In compen-so si vendicano.» Appoggiò il braccio della defunta delicatamente sul letto. «Seperò uno ce l’ha il coraggio, allora compie qualunque porcheria per beccarne uno.Quello che hai fatto con me, lui avrebbe potuto farlo ogni giorno; ma ha volutoconquistarmi alla sua maniera.»

Jabert ciondolava divertito la Browning. «Accidenti, Willy, sei proprio un idea-lista!»

Gli occhi di Cuttler si fecero rossi, la malvagità del suo viso ancora più mali-gna e ripugnante.

Jabert la paragonò a quella dell’impiccato. «L’empietà maligna della morte. Seci si fa caso, la si può vedere in ogni bell’uomo. Curioso, no?»

«Non è affatto curioso» gridò forte Cuttler. «Più uno è bello, e prima in lui tut-to si perde. Poiché comprende più velocemente e più a fondo che razza di bolla disapone è il mondo.»

«L’ho detto che sei un idealista», disse Jabert con tono di scherno. «Farestimeglio a prenderti i centocinquanta.»

«… perché è la forma più elegante di andare in malora!» Cuttler, soprapensie-ro, aveva terminato le sue riflessioni ad alta voce.

Jabert non sapeva spiegarsi perché egli lo irritasse tanto. «E se io adesso ti stri-tolassi, non andresti in malora per l’appunto elegantemente?» Il suo silenzio loinfuriò ancora di più. «Coprila! Allora?» Gli avvicinò l’arma.

Cuttler ubbidì, piegando le gambe e strizzando gli occhi colmi di odio.Ma proprio mentre Jabert stava per comandargli qualcosa di incredibile, la

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porta si spalancò all’improvviso. I due pivelli, tozzi e tarchiati, entrarono nel-la camera, il revolver in mano. Quando videro Debast steso sul pavimento, spa-rarono entrambi. Cuttler cadde sul letto senza il minimo rumore. Poi esplose-ro altri due spari, uno dopo l’altro. I due sbarbatelli barcollarono, lanciaronoun grido e si avvinghiarono l’uno all’altro gemendo mentre scivolavano a ter-ra. Appena smisero di muoversi, Jabert accarezzò la sua Browning. Non ave-va ancora mai sparato tanto bene come quella notte. Ed era stato mancato bendue volte. Tuttavia lo assalì subito la superstizione del suo mestiere, secondocui chi sfugge alla morte deve rispettare quella altrui. Perciò non toccò néDebast, né quello che gli aveva sparato contro. Sul corpo di Cuttler trovò ottoscellini, su quello dell’altro novellino tre sterline. Quando dopo pochi minutisi affrettò giù per le scale, la portineria era vuota, il portone aperto e nessunoin giro…

L’omicidio plurimo all’Hotel Shearn interessò per mesi i giornali inglesi sottoil titolo “The mistery of Tottenham Court Road”. La polizia si trovava di fronte aun enigma risolto solo in parte, poiché conosceva bene Debast e i due pivelli, inquanto criminali omosessuali noti per i loro delitti particolarmente gravi, ma nonera in grado di ricostruire la dinamica effettiva. Tanto meno poi, dal momento cheShearn con la famiglia e gli impiegati aveva passato la nottata al Bar Horse Schoea pochi isolati da lì a festeggiare gli anni di chissà chi. L’ipotesi che la cosa fosseaccaduta in accordo con Debast si impose da sola, ma non si poteva motivare.“The mistery of Tottenham Court Road” rimase irrisolto. Anche quando quattromesi più tardi Jabert fu arrestato.

Quella notte l’aveva proprio rovinato. Il potere e l’ebbrezza di cui aveva godu-to lo avevano reso imprudente, anzi ardito. Era stato sorpreso durante un banalefurto in un appartamento. Poiché fu possibile attribuirgli altri tre gravi effrazioni,si beccò sei anni di galera.

Operare una selezione per la traduzione di un racconto non è cosa semplice,poiché le pagine di Serner – considerate nel loro insieme, ad eccezione forse delmanifest dada – si presentano altamente leggibili e godibili anche per il pubbli-co italiano non specialista. Si è quindi prediletto in primo luogo l’impatto favo-revole sul lettore, venendo incontro alle naturali aspettative del fruitore di lette-ratura poliziesca: suspence e una struttura del testo prevalentemente chiusa. Ilsecondo importante criterio ha riguardato la scelta dell’intreccio più avvincente,sì da soddisfare il gusto del lettore medio appassionato di noir, pur nella consa-pevolezza che tale scelta inevitabilmente impone la rinuncia a indagare sulla de-finizione di crimine e sulla sua caratterizzazione letteraria, come generalmenteavviene nei dibattiti sulla letteratura di genere. Spesso nei racconti di Serner so-no assenti veri e propri casi di infrazione al codice penale, sicché i misfatti ividescritti hanno piuttosto la funzione di mettere in evidenza l’indeterminatezzadel confine tra legge e devianza, che non quella di denunciare l’illecito. Due so-no i racconti che ci paiono maggiormente interessanti, in particolare per l’anali-

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si traduttiva condotta in una prospettiva contrastiva: The mistery of Tottenham

Court Road, tratto dalla raccolta Die tückische Straße, che presenta il caso di unomicidio plurimo narrato dalla prospettiva degli assassini, e L’assassinio del

marchese di Brignole-Sale contenuto nella raccolta Der elfte Finger; si tratta didue esempi praticamente isolati all’interno della ricca comedie humaine serne-riana che dell’atto criminoso forniscono lo standard classico, l’omicidio. Assaipiù frequente è invece quel substrato di microcriminalità che sfugge ad ogni de-finizione e che nelle recensioni coeve destò grande curiosità e meraviglia: «IhreHelden sind zarte Lumpen, überlegene Cocainisten, amüsante Tagediebe, gei-streiche Kokotten, trickträchtige Sadisten, graziöse Verbrecher».4 In particolareil cavaliere d’industria, «vollauf der Held von heute, der Heros aller zugkräfti-gen Romane»,5 è la tipologia criminale più diffusa nella prosa serneriana, pro-prio perché sfugge a una rigida classificazione criminologica.6 Tanto The mi-

stery of Tottenham Court Road quanto L’assassinio del marchese di Brignole-

Sale si presentano appunto come summa di tali criteri. Ultimata la lettura sorgeinfatti spontanea la domanda circa i veri responsabili del delitto, spesso annun-ciato già nel titolo ma il cui compimento avviene in fondo solo in seguito alla ca-sualità, indice della natura ambigua del male nell’era moderna. L’ambiguità delcrimine è una costante di tutta la prosa di Serner; talvolta vi si narrano eventinon necessariamente illegali, ma solo fuori dal comune agire, oppure inerentialla seduzione audace o alla pratica sessuale esercitata al di fuori dell’istitutomatrimoniale: ecco perché l’ambientazione privilegiata dei racconti è soventequella di alberghi e pensioni. L’intenzione di fondo è provocatoriamente anti-borghese, come aveva reso noto l’editore Steegemann di Hannover nel lontano1921 annunciando l’uscita del volume Zum blauen Affen: «Schauplatz, Symbolund Ablauf bürgerlichen Lebens»,7 laddove esso richiama alla memoria un bor-dello di Lipsia, la cui fama era ben nota ai contemporanei.

Il misfatto osservato dal di dentro è retto da leggi imperscrutabili che si distan-ziano dalla tradizionale quanto scontata dialettica colpa-espiazione, dal raffrontosistematico tra crimine efferato e la delicata, meticolosa conduzione delle indagi-ni. Ecco perché manca del tutto la figura del detective; molto spesso poi il reoresta impunito (benché non assolto), almeno da parte di una giustizia superiore,8

mentre ciascuno riceve il trattamento adeguato alle proprie azioni e ai propri erro-ri. È quanto accade, ad esempio, a Sorhul ne L’Assassinio del marchese di

Brignole-Sale, il quale, benché finemente astuto ma per una contingente dabbe-naggine, si lascia attirare dalle lascive promesse della sconosciuta signorina Palbiin un misterioso pied-à-terre nei meandri genovesi, dove viene aggredito e deru-bato. Al contrario, in The mistery of Tottenham Court Road al delitto plurimosegue sì una punizione, il cui merito però è ascrivibile unicamente al caso, assaipiù infallibile dell’umano agire. Serner rinuncia a qualsiasi riflessione sulla giu-stizia, un valore che negli anni weimariani era soggetto a una pesante relativizza-zione. L’arresto di Jabert narrato nel finale infatti non rappresenta il trionfo delBene, al contrario assume tutte le caratteristiche di una beffa, cui nemmeno il mal-

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fattore più smaliziato può sottrarsi. L’intera produzione serneriana in fondo èun’esaltazione della natura bricconesca dei malviventi, una specificità picarescafondata sull’alternanza della sorte nel gabbare il prossimo e nel venire gabbato,9

che trasforma i personaggi in anti-eroi.

IIL’ambientazione criminale della prosa serneriana registra una topografia urba-

na precisa e dettagliata, che al traduttore talvolta risulta persino ambigua, giacchéspesso carica di riferimenti extratestuali e extraletterari di non immediata identi-ficazione. È quanto avviene ne L’assassinio del marchese di Brignole-Sale («Inder Via Venti Settembre, eben als er die Zolezi-Ecke passierte») ove si accennaalla Birreria Zolezi, famoso locale genovese storico, sito nell’allora GalleriaManzoni in via XX Settembre, il cuore della città, che di giorno era importantecentro commerciale e culturale, e di sera si trasformava in un flusso di gentecomune, poeti, artisti e nottambuli.10 Anche la toponomastica appare fedeleall’ambientazione e costituisce un dettaglio realistico quasi filmico in grado di darvita, mediante la narrazione, a immagini visive assai evocative: «Sorhul bliebunter den Arkaden der Piazza Deferrari [sic] stehen und beobachtete interessiertdie Gruppen von Männern, die in allen Ecken standen, schrien und gestikulierten»oppure «Die Portiera in der Via San Luca musterte ihn […] Dann teilte ihm dieAlte mit, daß diese Dame nicht mehr hier wohne, sondern in der Via Lomellini 16parterre rechts».11 Una simile prassi è una diretta conseguenza del particolare sti-le narrativo serneriano che si condensa in descrizioni brevi e serrate, ellittiche espesso – si è detto – anche fortemente ambigue, sicché lettore ne ricava un’impres-sione di assoluto disorientamento, sensazione analoga all’anelito di chi mira a fre-quentare milieus proibiti tutt’altro che familiari. Il riferimento alla TottenhamCourt Road ha invece una funzione addirittura metonimica, in quanto via di inten-so traffico nel cuore di Londra assai rinomata oggi come ai tempi di Serner, anchese poi nel racconto prevalgono gli interni, l’Hotel Shearn e le sue camere.

I racconti di Serner introducono il lettore nel cuore del regno criminale senzaalcun preambolo, come vuole l’incipit della narrazione in medias res. Per il letto-re tedesco la menzione del nome della piazza insieme all’immagine dei porticievoca un’aspettativa esotica che trova conferma nella presenza di vocaboli in ita-liano nel testo (i nomi propri, la via Venti Settembre, la “portiera”, ecc.). Tale eso-tismo per il lettore italiano va naturalmente perso, benché resti pressoché immuta-to il senso di disorientamento sopra accennato; solo nel corso del narrato si scopreinfatti – e in via del tutto accidentale – in quale città si svolge l’azione.12 Il sensodell’esotico rimane tuttavia inalterato in quei racconti dove invece ricorre massic-cia la presenza dello slang inglese o dell’argot parigino, che per amore dell’effet-to cercato rimangono talvolta anche nella traduzione. L’espressione “Irish-beauty”(donna con gli occhi pesti o con occhiaie marcate) può invece restare tale, giacchéil significato del termine emerge dalla descrizione del cadavere, restituendo fedel-mente l’ironia suscitata. In The mistery of Tottenham Court Road si concentrano

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espressioni gergali prevalentemente inglesi che arrivano in taluni casi addiritturaa pregiudicare la comprensione: è il caso di vocaboli quali “Schnicks” (acquavitescadente), “beaksman” (piedipiatti), “Colt” (pivello), “Crack” (sgualdrina),“Coop”, galera, “Mary-Ann” (frocio). Talvolta accade poi che si confondano connomi propri, spesso di invenzione dell’autore o comunque anticonvenzionali:«Blackfriars! Stell dich vor die Tür» (p. 73; 00), laddove l’espressione «Black-friars», che parrebbe a tutta prima un nome proprio, è invece un antico monito deiladri inglesi e significa «Attenzione!».13 Serner fa largo uso della Gaunersprache,la lingua furfantina, più nota con il termine “Rotwelsch”, espressione che indicasocioletti generalmente segreti o occulti. Si basa su prestiti dallo hyddisch occi-dentale in forma di ebraismi askenaziti, dalle parlate sinti e da lingue geografica-mente confinanti con il tedesco, il fiammingo e il francese, spesso con una diver-sa interpretazione. Gli ebrei in particolare, a causa della loro emarginazione dallavita pubblica fin dal medioevo, ma anche artigiani, mercanti – spesso errabondi –disertori, vagabondi e mendicanti, fecero del Rotwelsch fin dai tempi antichi uncodice convenuto ed esclusivo. È naturale, del resto, che il gergo della malavita sisviluppi nella totale ambiguità, sì da escludere i non iniziati dall’atto comunicati-vo. Il regno del crimine infatti ha in comune il medesimo fenomeno con i gruppisociali discriminati o ghettizzati. Un simile comune denominatore tra malavita edemarginazione esistenziale14 riporta allo specifico caso biografico di Serner, ebreoper parte di padre, vittima della persecuzione e dello sterminio nazisti.

L’accorgimento di creare nomi propri inusitati15 è riconducibile inoltre alla tra-dizione dadaista di cui Serner fu il principale teorico tedesco insieme agli svizze-ri Tristan Tzara e Hugo Ball, ma che a partire dai tardi anni Venti avrebbe poi dra-sticamente rinnegato, per aver colto il precoce imborghesimento che l’avanguar-dia stava subendo. Nel volume aforistico Letzte Lockerung, pensato inizialmentecome manifesto dadaista (1918), ma riveduto alcuni anni dopo l’abbandono delmovimento (1927), vi è un’interessante annotazione sulla suggestione del nome,che spiega, anche se solo in minima parte, l’uso tanto frequente di denominazio-ni inconsuete non rispondenti al vero: «Ein falscher Name wirkt suggestiver alsverändertes Aussehen, das bei näherer Betrachtung doch meist auffällt».16 Vi silegge tra le righe un certo atteggiamento circospetto di chi si sente braccato e vor-rebbe sottrarsi invano allo sguardo altrui. Anche gli eroi dei racconti criminalisono in fondo pervasi dal medesimo bisogno di fuga, di divincolamento da lega-mi sociali troppo stretti. Ecco perché quasi ogni storia inizia e finisce conl’improvvisa partenza dei protagonisti.

Le Kriminalgeschichten di Serner, come si evince dai racconti qui proposti,sono narrazioni brevi la cui notevole incisività è dovuta alla forte concisione. Lostile oggettivo e fortemente paratattico del narrato acquista la massima efficaciamediante il ricorso assai frequente all’«a capo», anche là dove le tradizionali rego-le della sintassi vorrebbero una maggiore coesione testuale. Quasi contrappunti-stica appare invece la funzione dei puntini di sospensione, presenti in varie occa-sioni (mantenuti nella versione italiana), con l’intenzione di lasciare al lettore il

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compito di integrare quanto non detto esplicitamente. Si tratta di un accorgimen-to stilistico utile all’autore per instaurare un rapporto di complicità con il lettore,il quale in tal modo viene messo a parte del gesto criminoso, o anche solo dell’attomoralmente illecito, con un coinvolgimento più che da semplice spettatore (insenso naturalistico), da vero e proprio testimone dei fatti. La fabula, ricca di even-ti, si condensa perciò in un intreccio serrato che rischiara, nelle maglie di una tra-ma complessa, una serie di filoni narrativi dapprima elaborati, poi temporanea-mente interrotti, infine ripresi al momento più opportuno, generalmente quelloche conduce al colpo di scena. È quanto si riscontra, ad esempio, nell’accenno diSorhul alla «idea grandiosa»(p. 10; 150), di cui si scoprirà il contenuto solo dopouna divagazione in cui è narrato un evento parallelo (il furto del dipinto e la rela-zione di Adrienne con il marchese), con l’evidente proposito di ritardare il finalee aumentare la suspence. Tutto il racconto del resto, conformemente ai canoni delgenere poliziesco, mira a creare nel lettore una serie di aspettative che culminanonel climax finale. A questo proposito acquista spessore l’alternanza tra narrazio-ne dialogica e autoriale, che nel testo in questione caratterizza anche le variesequenze narrative. Ad essa corrisponde il lungo dialogo in apertura tra Sorhul ela signorina Palbi, che la narrazione seguente interrompe fino alla ripresa conclu-siva, ove la battuta del protagonista («Daß die Schädeldecke des Marchese dün-ner ist als die meine, könnte ich allerdings nicht wissen») intreccia, fondendoli alpari di una fuga, i vari segmenti tematici (la vicissitudine di Sorhul in via S. Luca,la relazione di Adrienne con il marchese, la risoluzione dell’omicidio) sviluppatiin precedenza. Ad aumentare la suspence contribuiscono anche accorgimenti dinatura più propriamente linguistica, come l’ellissi. In particolare nel finale: «Daer es nun mit Leichtigkeit zu seinen Gunsten gestalten konnte, machte er aufAdrienne einen unauslöschlichen Eindruck, dessen stürmische Wirkung erunverzüglich genoß. Auf dem Divan».

L’ilarità che scaturisce dall’ellissi è un elemento peculiare dello stile serneria-no. Un sottile umorismo, spesso velato da espressioni gergali o in lingua stranie-ra,17 attraversa tutti i racconti. Non gli eventi straordinari, ma episodi di microcri-minalità nei quali la circostanza insolita si fonde al quotidiano in una sorta dimelange altamente ironico, muta l’episodio, di per sé affatto straordinario, in qual-cosa di inspiegabilmente ilare. È quanto avviene, ad esempio, nell’incipit del rac-conto Die dilettierende Pension [La pensione dilettante] contenuta in Der Pfiff um

die Ecke, nel quale il «fatto», decontestualizzato e privo di qualsiasi attenuante oaggravante, si offre al lettore in una veste di ragionevole verosimiglianza e tutta-via straniato, apparendo perciò fortemente risibile:

Pasztor, ein schwarzäugiger Ungar, hatte in einem Pariser Restaurant einen so wuch-tigen Faustschlag auf den Mund bekommen, daß er zwei Vorderzähne ausspie. Zuallem Pech aber hatte er seinen weitaus einflußreichen Gegner daraufhin dermaßenaufs Ohr gehauen, daß dieser ohnmächtig wurde. Deshalb zog Pasztor in weiserErkenntnis es vor, unverzüglich abzureisen.18

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L’ilarità nasce indubbiamente dall’accostamento di azioni di diversa entità(pugno sui denti vs. percossa all’orecchio) dalle conseguenze inattese, come losvenimento. Talvolta poi è il substrato linguistico stesso a offrire all’autore delvalido materiale per creare, mediante giochi di parole spesso carichi di allusionierotiche, un effetto umoristico a sorpresa:

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«Margot ist also hier. […] Was machtsie eigentlich jetzt?»«Seilakt!» Stornellis Kinn zückte.«Jawohl… – Anseilakt!!»«Sie sind ein toller Kerl, wahrhaftig.»[…]19

«Dunque Margot e qui. […] E che cosa faora?«Cammina sulla fune.» Il mento diStornelli sussultò.«Come no!… La camminatrice nuda avvi-luppata nella fune!»«Lei è un tipo in gamba, davvero.»

L’umorismo scaturisce dal doppio significato del vocabolo “Seilakt” (funam-bolismo), inconsueto rispetto al più comune “Seiltanz”, usato per lo più in sensofigurato, ma assai evocativo, in quanto composto da “Seil” (fune) e “Akt”, nume-ro da circo, ma che nelle arti figurative indica il nudo. È un’immagine visiva ulte-riormente accresciuta dal neologismo “Anseilakt”, che si innesta sul verbo “ansei-len”, imbracare in una cordata, ma che nel testo si muta in un immediato riferi-mento a fantasie erotiche oscene.

Il dott. Walter Serner, come si amava rimarcare nelle recensioni coeve,20 inse-gnante di tedesco a Praga negli anni immediatamente precedenti la sua deporta-zione, può definirsi dall’alto del suo magistero, acquisito per formazione accade-mica e perfezionato per esperienza vissuta, un linguista ante litteram specializza-to nel linguaggio settoriale del crimine; una specializzazione che in altri tempi gliavrebbe sicuramente fruttato numerosi riconoscimenti, ma che invece ebbe comeconseguenza quanto di più naturale la civiltà borghese potesse corrispondere almale presunto: ostilità, veto, repressione. Il destino di un ilare gabbamondo tragi-camente gabbato.

Note

1 A tutt’oggi l’opera di Serner non è stata ancora tradotta in italiano, ad eccezione delromanzo Die Tigerin (tr. it. E. Lima, La tigre, Palermo, Gelka, 1992), cui di recente è seguitala pubblicazione di un breve scritto autobiografico intitolato Ich, Walter Serner… (Io, Walter

Serner…, Brescia, Ed. Chersi, 2006).2 Il massimo studioso della vita e dell’opera di Walter Serner è stato il germanista Thomas

Milch (1953-1997), che si addottorò con una tesi dal titolo Der Schriftsteller Walter Serner und

sein Anteil an der Dada-Bewegung (1977/78) e a partire dal 1976 iniziò a curare l’opera omnia

serneriana, fondando l’Archivio Serner a Heidelberg. Gli studi e le ricerche di Milch hannocontribuito alla nascita di un modesto interesse critico e editoriale nei confronti di questo auto-re, che ha portato alla ristampa dell’intera sua opera da parte di due grandi editori tedeschi, ilKlaus Renner Verlag (otto volumi + due volumi supplementari, 1979-1984) e Goldmann (die-ci volumi, 1988-1990), cui si aggiunge una ristampa delle Kriminalgeschichten e di Die Tigerin

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nelle edizioni tascabili Bertelsmann Taschenbücher, edite nel 2000, edizione cui le presenticitazioni (ove non altrimenti indicato) si riferiscono: W. Serner, Das erzählerische Werk,München, Goldmann, 2000 (d’ora in poi abbreviato con DeW e il numero del volume).

3 In italiano nel testo (NdT).4 «gli eroi sono simpatiche canaglie, cocainomani con una marcia in più, amabili perdi-

giorno, cocottes brillanti, sadici vissuti e esperti, delinquenti raffinati, cavalieri d’industria,masochisti e ruffiani». W. Serner, Der Abreiser. Materialien zu Leben und Werk, in T. Milch(a cura di), Das Gesamte Werk, vol. 8, München, Klaus Renner Verlag, 1984, p. 49 (d’ora inpoi abbreviato con A).

5 «a buon diritto l’eroe di oggi, il paladino di quei romanzi che fanno presa sul pubblico».Die dilettierende Pension, in DeW, III, p. 24.

6 Il cavaliere d’industria (Hochstapler) occupò l’intellighenzia tedesca negli anni a caval-lo tra Otto e Novecento in dispute varie, volte a stabilire se e in che misura fosse da conside-rare un criminale e quindi passibile di pena. Cfr. S. Ulrich, Impostori, avventurieri e cavalieri

d’industria nella letteratura tedesca del Novecento, Torino, Trauben, 2006, in part. pp. 9 e 12.7 «scenario, simbolo e svolgimento stesso dell’esistenza borghese». A, p. 37.8 Lo studioso serneriano Andreas Puff-Trojan offre a tal proposito un ulteriore spunto per

una rilettura del fenomeno criminale presente nell’opera serneriana, nella misura in cui sirichiama al teismo dell’autore dichiarato all’epoca della redazione della rivista «Sirius» (1915).È un teismo che trae la propria giustificazione dall’amara consapevolezza della malvagità uma-na: «La follia del conflitto mondiale che stava scoppiando fa apparire a Serner la morte diCristo in una luce particolare. Non già la lieta novella della Resurrezione, quanto piuttosto laraccomandazione che Gesù fece dapprima ai suoi discepoli: guardatevi dagli uomini, perchémolti di essi sono imbroglioni e assassini. Se si prende sul serio questo aspetto del pensiero diSerner, allora anche le sue successive Kriminalgeschichten andrebbero lette diversamente. A.Puff-Trojan, Walter Serner: Spachenlehrer, in DeW, vol. II, p. 139-155, qui p. 147.

9 Cfr. P. Radin, K. Kerenyi, C.G. Jung, Der göttliche Schelm (tr. it. Il briccone divino,Milano, Bompiani, 1965), in part. p. 26: «Il Briccone è nello stesso tempo creatore e distrut-tore; è il truffatore sempre truffato. Eppure non cerca mai coscientemente di arrivare a qual-che cosa. Impulsi che non può dominare lo forzano ogni momento a comportarsi come fa. Nonconosce né il bene, né il male, ma è responsabile dell’uno e dell’altro. Non conosce valorisociali e morali, è trascinato dalle sue passioni e ciò nonostante tutti i valori sono generati dal-le sue azioni […] il riso, l’humor, l’ironia spumeggiano in tutto quello che fa il Briccone».

10 «In via Venti Settembre, appena superato l’angolo della Zolezi». Die Ermordung des

Marchese de Brignole-Sale, in DeW, vol. I, p. 7, 147. Cfr. la pagina web: http://www.mente-locale.it/bere_mangiare/contenuti/index_html/id_contenuti_varint_17331

11 «Sorhul si fermò sotto i portici di Piazza De Ferrari osservando con interesse ad ogniangolo uomini a capannelli che gridavano e gesticolavano»; «La portiera in via San Luca losquadrò [e] lo informò che la signora non viveva più lì, ma in via Lomellini 16, pianoterra adestra». Die Ermordung des Marchese de Brignole-Sale, in DeW, vol I, pp. 7 e 9, 148-149.

12 Il lettore può tuttavia ravvisare già nella formulazione Brignole-Sale presente nel titolol’ambientazione nella provincia genovese. Si tratta – a riprova della cultura raffinata di Serner– di un riferimento non strettamente geografico, bensì storico, poiché il casato dei marchesi diBrignole-Sale risiedeva a Genova a Palazzo Rosso fin dal Seicento. L’ultimo rappresentantedel casato, il marchese Antonio Brignole-Sale (1785-1863), morì «in Genova alle ore 3 dopola mezzanotte del dì 14 Ottobre». Cit. in “La Civiltà Cattolica” 8 (1863), p. 366 sgg. (sezionecronaca contemporanea).

13 Cfr. W. Serner, Das fette Fluchen. Ein Gauner-Wörterbuch, a cura di Th. Milch, fasci-colo supplementare contenuto in A.

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14 Hans Mayer, nel famoso libro Außenseiter, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1975, differen-zia gli asociali intenzionali quali artisti, clown e alcune forme criminali, dall’asocialità esi-stenziale di gruppi naturalmente e storicamente emarginati come gli ebrei, le donne, i neri (trad.it. I diversi, Milano, Garzanti, 1975).

15 I nomi propri che variegano le raccolte (gli uomini si chiamano Mittenmanks, Hasedoms,Divilikowskiys, Numis, Nierenräumer, Fec, Kersuni, Titin; le donne Flou, Nuscha, Hiil, Sima,Moo, solo per citarne alcuni) sono anche in questo caso un consapevole quanto netto rifiutodella tradizione.

16 «un nome falso è più suggestivo dell’aspetto mutato, che se osservato più da vicino dàmaggiormente nell’occhio». W. Serner, Letzte Lockerung, München, Goldmann, 1988, II, 532,p. 152.

17 «das Nachtrestaurant Le Rat Mort», Sein Truc, in DeW, II, p.13. Serner ironizza sullasuperficialità con cui i parvenus si servono di espressioni in lingua straniera, ignorandone ilsignificato, solo per l’alto potere suggestivo che possiedono.

18 «Pasztor, un ungherese dagli occhi neri, si era preso, in un ristorante di Parigi, un pugno sulmuso tanto violento che aveva perso due incisivi. Per sua grande sfortuna, però, aveva poi col-pito il suo avversario, di gran lunga più influente, talmente forte, sull’orecchio, che questi sven-ne. Perciò Pasztor, in saggia coscienza, scelse di partire immediatamente» in DeW, III, p. 23.

19 Seilakt, in DeW, I, p. 20.20 Cfr. A, passim.

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