29
133 Roberta Martinis UNARCHITETTURA CON UN CIELO IN MEZZO: FRANCESCO DI GIORGIO NEL PALAZZO MILANESE DI FEDERICO DA MONTEFELTRO Il 15 ottobre 1468 il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza dona al conte di Urbino, Federico da Montefeltro, Capitano generale delle milizie sfor- zesche, un palazzo a Milano, presso porta Ticinese in parrocchia di San Maurilio. 1 Si tratta di un immobile già di proprietà della Camera ducale, precedentemente abitato da Elisabetta da Robecco, amante del duca Francesco Sforza, e madre di due dei suoi figli naturali, Giulio e Leonardo. 2 Per lei, l’anziano duca aveva promosso una costosa campagna di ristrutturazione del palazzo, tra giugno 1465 e il marzo 1466, affidata a Francesco Solari e alla sua bottega: 3 si tratta delle migliori maestranze attive a Milano in quegli anni, 1 Archivio di Stato di Milano (=ASMi), Registri ducali, n. 7 (BB), cc. 176r-v, e Archivio di Stato di Firenze (=ASFi), Ducato di Urbino, Classe III, filza XIV, doc. 14, c. 104, Montefeltro Conte Federico, riceve in dono da Galeazzo Sforza signore di Milano un palazzo in quella città. Cfr. Gino Franceschini, »Il palazzo dei duchi di Urbino a Milano«, Archivio Storico Lombardo 77 (1950), 181-197. Le tematiche affrontate in questo saggio sono state approfondite nel libro Roberta Martinis, L’architettura contesa: Federico da Montefeltro, Lorenzo de’ Medici, gli Sforza e palazzo Salvatico a Milano, Milano 2008. Tutti i documenti qui citati si trovano nella sua appendice. 2 Cfr. Caterina Santoro, Gli Sforza , Milano 1968, 107; Nadia Covini, »Il palazzo milanese di Elisabetta da Robecco, ultima amante di Francesco Sforza«, Nuova Rivista Storica 88 (2004), 800-810. 3 ASMi, Sforzesco, b. 1626: »Infrascripti sonno gli persone quali hano habere per le loro robe datte per la casa faceva fare el condam nostro Ill. Signore ad Isabetta de Rubecho, haute de dì 23 zugno 1465 perfin adì 6 de marzo 1466«; Archivio della Fabbrica del Duomo, b. 251, c. 178; b. 260, Dati et Recepti, ab 1467, c. 75vL, 1468 aprile 16; c. 76L, 1468 aprile 27.

"Un’architettura con un cielo in mezzo: Francesco di Giorgio Martini nel palazzo di Federico da Montefeltro a Milano"

  • Upload
    supsi

  • View
    0

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

133

Roberta Martinis

UN’ARCHITETTURA CON UN CIELO IN MEZZO: FRANCESCO DI GIORGIO NEL PALAZZO MILANESE DI FEDERICO DA MONTEFELTRO

Il 15 ottobre 1468 il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza dona al conte di Urbino, Federico da Montefeltro, Capitano generale delle milizie sfor-zesche, un palazzo a Milano, presso porta Ticinese in parrocchia di San Maurilio.1 Si tratta di un immobile già di proprietà della Camera ducale, precedentemente abitato da Elisabetta da Robecco, amante del duca Francesco Sforza, e madre di due dei suoi figli naturali, Giulio e Leonardo.2 Per lei, l’anziano duca aveva promosso una costosa campagna di ristrutturazione del palazzo, tra giugno 1465 e il marzo 1466, affidata a Francesco Solari e alla sua bottega:3 si tratta delle migliori maestranze attive a Milano in quegli anni,

1 Archivio di Stato di Milano (=ASMi), Registri ducali, n. 7 (BB), cc. 176r-v, e Archivio di Stato di Firenze (=ASFi), Ducato di Urbino, Classe III, filza XIV, doc. 14, c. 104, Montefeltro Conte Federico, riceve in dono da Galeazzo Sforza signore di Milano un palazzo in quella città. Cfr. Gino Franceschini, »Il palazzo dei duchi di Urbino a Milano«, Archivio Storico Lombardo 77 (1950), 181-197. Le tematiche affrontate in questo saggio sono state approfondite nel libro Roberta Martinis, L’architettura contesa: Federico da Montefeltro, Lorenzo de’ Medici, gli Sforza e palazzo Salvatico a Milano, Milano 2008. Tutti i documenti qui citati si trovano nella sua appendice.

2 Cfr. Caterina Santoro, Gli Sforza, Milano 1968, 107; Nadia Covini, »Il palazzo milanese di Elisabetta da Robecco, ultima amante di Francesco Sforza«, Nuova Rivista Storica 88 (2004), 800-810.

3 ASMi, Sforzesco, b. 1626: »Infrascripti sonno gli persone quali hano habere per le loro robe datte per la casa faceva fare el condam nostro Ill. Signore ad Isabetta de Rubecho, haute de dì 23 zugno 1465 perfin adì 6 de marzo 1466«; Archivio della Fabbrica del Duomo, b. 251, c. 178; b. 260, Dati et Recepti, ab 1467, c. 75vL, 1468 aprile 16; c. 76L, 1468 aprile 27.

Roberta Martinis

134

essendo Solari il nipote di Guiniforte, l’architetto della Certosa di Pavia.4 Dalla descrizione, contenuta nell’atto di donazione, si può innanzitutto dedurre che il lotto era conformato a ›L‹ e inglobava la piccola chiesa parrocchiale di San Maurilio. Sembra inoltre trattarsi di un insediamento esteso a due piani con più unità immobiliari: tre porte su strada, corte principale, sale di ricevimento, portici con colonne di serizzo – verosimilmente archi su colonne – stanze di servizio, camini lavorati, una grande stalla, e anche con alcune parti in rovina e forse non abitabili.5

I documenti non consentono di accertare se Federico abbia promosso una nuova campagna di lavori all’interno della sua casa milanese, ma la sua presenza a Milano in questi anni è ripetutamente registrata.6 Si sa che dal 1468, il palazzo diviene la residenza stabile dell’oratore urbinate Camillo de’ Barzi da Perugia. Inoltre, in una lettera allo stesso Camillo, datata pochi anni dopo, il 7 novembre 1471, Federico scrive di aver finanziato la selciatura della via San Maurilio, prospiciente il palazzo.7 I lunghi soggiorni milanesi del conte di Urbino ven-gono inaugurati l’indomani della scomparsa del duca Francesco Sforza, l’8 marzo 1466, quando la sua presenza a Milano è tempestivamente richiesta dalla vedova Bianca Maria al fine di proteggere la successione in favore del primogenito Galeazzo Maria, cui seguirà l’immediata nomina a capitano generale del ducato. Nel corso degli anni le relazioni tra Federico e i duchi di Milano – con i quali risulta imparentato tramite matrimonio – saranno caratterizzate da una forte

4 Joanne Gitlin Bernstein, The Architectural Sculpture of the Cloisters of the Certosa di

Pavia, Ph.D. Diss., New York University, 1972 (Ann Arbor, Mich., University Microfilms International, 1980); Charles R. Morscheck, »Francesco Solari: Amadeo’s Master?«, in Giovanni Antonio Amadeo: scultura e architettura del suo tempo, a cura di Janice Shell, Milano 1993, 103-114; Idem, »Solari Francesco«, in Dizionario della chiesa ambrosiana, VI, Milano 1993, 3483-3486.

5 ASMi, Rogiti Camerali, b. 531, filza 91 n. 69. 6 Marcello Simonetta, introduzione a Carteggio degli oratori mantovani alla corte

sforzesca (1450-1500), XI (1478-1479), Roma 2001, 7-39; Idem, »Federico da Montefeltro: architetto della congiura dei Pazzi«, in Francesco di Giorgio alla corte di Federico da Montefeltro, a cura di Francesco P. Fiore, Firenze 2004, 81-102; Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 98-106.

7 ASMi, Sforzesco, Potenze estere, Marca, b. 148, (carta sciolta) copia, 1471 novembre 7, lettera di Federico da Montefeltro a Camillo de’ Barzi, oratore in Milano: »[…] La strada como per altra vi dissi so’ contento faciate matonare et se bene el Signore pigliasse altro partito de la casa, so’ contento averlo facto […]«. Cfr. Franceschini, »Il palazzo dei duchi di Urbino« (cit. n. 1).

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

135

instabilità: stimato da Francesco Sforza, odiato dal suo successore Galeazzo Maria, tollerato per necessità da Ludovico il Moro, il conte, e poi, dal 1474, duca, di Urbino manterrà sempre alte le proprie ambizioni politiche nei confronti del ducato sforzesco.8

Dopo la morte di Federico da Montefeltro (10 settembre 1482), dai documenti e dalle rimostranze dell’erede Guidobaldo, si può desumere che personaggi estranei alla corte urbinate abbiano occupato l’edificio, e che suc-cessivamente, nel 1486, Ludovico il Moro abbia assegnato la casa tempo-raneamente a Lorenzo de’ Medici, elegantemente ›sfrattato‹ dal palazzo del Banco Mediceo.9 Dalla corrispondenza è possibile dedurre che, fin dall’inizio, la donazione della casa del duca di Urbino ai Medici era prevista a termine: dopo tre anni infatti Lorenzo sarebbe dovuto rientrare in possesso della dimora di famiglia. I rappresentanti dei Medici hanno sicuramente abitato nel palazzo dalla fine del 1486 al 1489, ma il protrarsi dell’attesa, causato dal tergiversare di Ludovico il Moro, che nel frattempo vi aveva insediato la figlia, deve aver allungato i tempi fino all’inizio del 1492.10 Siamo dunque di fronte a due casi intrecciati di diplomazia edilizia, nei quali risultano coinvolti un paio tra i committenti più importanti del secondo Quattrocento: Lorenzo de’ Medici e Federico da Montefeltro.

Dai documenti si desume che i Medici promuovono una campagna di riassetto nella casa dei Montefeltro.11 È probabile però che quei lavori siano stati piccoli adattamenti in vista di un parcheggio residenziale temporaneo: lavori cospicui al palazzo feltresco sarebbero stati anzi controproducenti rispetto

8 Gino Franceschini, »Federico da Montefeltro Capitano Generale del Ducato di

Milano«, Archivio Storico Lombardo 8 (1958), 112-157; Walter Tommasoli, La vita di Federico da Montefeltro 1422-1482, Urbino 1978, 180-181; Michael Mallett, »Federico da Montefeltro: soldato, capitano e principe«, in Francesco di Giorgio alla corte di Federico da Montefeltro (cit. n. 6), 3-13.

9 Roberta Martinis, »Il palazzo del Banco Mediceo: edilizia e arte della diplomazia a Milano nel XV secolo«, Annali di architettura 15 (2003), 37-57.

10 Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 1-13. 11 L’oratore fiorentino Pietro Alamanni scrive a Lorenzo de’ Medici in dicembre:

»Della casa vostra ha havuta la chiave Filippo di maestro Mariotto et sta a vostra stanza; è una bella casa et da farla ancor più bella, perché el sito è grande. Sarevi tornato come rimanemo per insignorirsene del tutto, ma è in tanto disordine et bisogna prima un poco assettarla«; ASFi, Mediceo avanti il Principato (=MAP), filza 50, nn. 48-49: 1486 dicembre 22, 1486 gennaio 17 (more fiorentino).

Roberta Martinis

136

all’ambizione di recuperare la sede milanese avita. Le parole dei corrispondenti di Lorenzo testimoniano in sostanza uno stato di abbandono della casa: in disordine, »imbratata«, ma comunque »molto bella«, degna del rango dei Medici.12 Evidentemente dopo la morte di Federico da Montefeltro, come si può arguire dal documento di conferma della donazione a Guidobaldo nel 1486, la casa, per volere degli stessi Sforza, era stata abitata da diverse persone, verosimilmente senza subire lavori di manutenzione.13 La strategia sforzesca è a questo punto chiara: proprio ai Medici risulterà affidato il costoso manteni-mento del palazzo del duca di Urbino.

Dopo il trasloco dei Medici, nel 1492, il palazzo del duca di Urbino è nuovamente vuoto, ma riassettato, e nuovamente occupato da diverse persone legate alla corte sforzesca.14 I documenti che registrano le proteste di Guido-baldo attestano evidentemente una situazione tesa: il palazzo è, seppure non saldamente, di diritto dei Montefeltro. Tuttavia, ancora nel 1494, nonostante le reprimende di Guidobaldo, il duca di Milano approfitta dell’assenza degli urbinati per ospitarvi gli ambasciatori di Savoia. E ancora, in documento non datato, in cui si elencano le case in cui si possono alloggiare »li sescalchi de li potentati venerano ad congratulandum allo illustrissimo signor nostro« è inclusa la »casa del duca di Urbino«.15 Ma intanto gli equilibri politici cambiano: nel 1496 a Guidobaldo viene assegnata la condotta »in servigio della Lega stabilita l’anno scorso tra il Papa, l’Impero, il Re di Spagna e i Veneziani«, ed egli si

12 Archivio di Stato di Modena (=ASMo), Cancelleria Ducale, Carteggio degli Am-

basciatori Estensi, Milano, b. 4, Giacomo Trotti al duca di Ferrara, Milano, 1486 dicembre 7. 13 Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 45. Lo strumento giuridico della

donazione ducale circa la concessione del possesso e dell’uso di un immobile, era sostanzial-mente revocabile a discrezione del duca, e decadeva alla morte di uno dei due contraenti, nel qual caso si rendeva necessaria una procedura di conferma (tecnicam.: ricognizione); ibid., 14-19.

14 ASMo, Cancelleria Ducale, Carteggio degli Ambasciatori Estensi, Milano, b. 7, Giacomo Trotti al Duca di Ferrara, Milano, 1492 maggio 30; ASMi, Sforzesco, Potenze Estere, Marca, b. 153, 1494 aprile 25; ASMi, Sforzesco, Potenze Estere, Marca, b. 153, 1494 luglio 2, Ambrogio (Cornero) de Urbino al duca di Urbino.

15 ASMi, Sforzesco, Milano città, b. 1119, 1494 nov.embre 23, e ASMi, Comuni, b. 54, carta sciolta, sd. Nel foglio si trova un appunto »1494 ?« redatto da una mano moderna ignota.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

137

trova ora in grado di contrattare in modo verosimilmente più efficace con Ludovico il Moro.16

La vicenda subisce a questo punto una svolta decisiva: il 24 luglio 1498 Guidobaldo vende il palazzo all’astrologo e consigliere ducale Ambrogio da Ro-sate, uno degli uomini più vicini al Moro, per 1200 ducati d’oro.17

A rogarlo è il notaio Maffiolo da Giussano, architetto e ingegnere del comune di Milano. Il »notaio architetto« – così egli si firma orgogliosamente – impiega una terminologia assolutamente singolare e inedita rispetto al formu-lario cancelleresco usato a Milano fra XV e XVI secolo per descrivere immobili urbani, sempre uguale e sempre opaco, anche quando si tratta di rogiti relativi ad edifici considerevoli. Maffiolo seleziona invece un vocabolario aulico e si cimenta in un censimento meticoloso degli ambienti domestici e rappresenta-tivi di una domus ›quasi‹ antica. Tra questi ambienti spicca un atrium.18 Per un momento, per alcune righe, anziché l’imbreviatura di un notaio sembra di leggere la pagina di un trattato di architettura, frammenti di Vitruvio o di Francesco di Giorgio: un paio di frasi che danno piena ragione dell’esibizione interdisciplinare di Maffiolo da Giussano. Il linguaggio impiegato in questo caso

16 ASMi, Autografi, b. 206, fasc. 89, 1496 febbraio 27: »Procura Ducale del Cardinale

Ascanio per parte di Ludovico a concorrere nella Condotta di D. Guido Ubaldo Duca d’Urbino«.

17 ASMi, Notarile, Giussani Maffiolo, b. 4486, 1498 luglio 24. Nell’atto infatti si specifica in più punti che la casa ha un valore sensibilmente superiore al prezzo convenuto: date le circostanze si tratta evidentemente di una vendita al ribasso. L’atto risulta inoltre accompagnato da una lettera del Moro che libera Guidobaldo dagli obblighi della donazione ducale, consentendo così la vendita dell’immobile. L’astrologo ducale è annoverato nel 1494 da Ambrogio da Paullo tra gli uomini più potenti di Milano: »[…] regnava allora li favoriti del Moro […] messer Ambroxio da Rosà, medico, qual fu ditto haver dato la pappa al duca nostro patron di Milano. […] Et la maggior parte de questi de una sorte così fatti vili et abietta, ma per favore del Moro erano fatti grandi«; Ambrogio da Paullo, Cronica milanese dall’anno 1476 al 1515, a cura di Antonio Ceruti, Miscellanea di Storia Italiana 13 (1871), 15-16 (corsivi miei).

18 ASMi, Notarile, Giussani Maffiolo, b. 4486, 1498 luglio 24: »[…] Nominative de edibus seu sedimine vel sediminibus prelibati domini domini ducis Urbini, sitis in dicta porta Ticinensi parrochie Sancti Maurilii Mediolano, que sunt cum suis edifficiis, talamis, atrio, cenaculis, celis vinariis, cusinis penu, officinis, cubiculis, cameris, solariis, porticibus, equili, curiis, putheo, orto, cloacis seu locis curialibus et aliis suis iuribus et pertinentiis quibus coheret ab una parte strata in parte et in parte prefata ecclesia Sancti Maurilii, ab alia similiter in partibus dicta ecclesia et in parte strata, ab alia domini Francisci de Salvaticis et ab alia illorum de Magnis […]«.

Roberta Martinis

138

non sembra inoltre frutto di un dettato umanistico a lui estraneo; al contrario egli ne sembra perfettamente consapevole. Leggendo le sue imbreviature si nota infatti come Maffiolo calibri i termini commisurando il linguaggio alla qualità dell’immobile: lo testimonia un ulteriore atto, datato 1494, relativo alla casa dei Tolentino in San Pietro alla Vigna, in cui compare addirittura, in anni assai precoci, il termine xystus. Nel caso di edilizia comune il notaio-architetto adotta invece un linguaggio corrente.19

Un atrio all’antica non è cosa consueta a Milano negli anni ’90 del Quat-trocento. Diviene quindi necessario supporre che nell’arco di trent’anni, uno dei proprietari del palazzo che era stato di Elisabetta da Robecco, abbia pro-mosso una campagna di lavori tale da trasformarne l’impianto per adeguarlo alle sue esigenze di rango e di cerimoniale.

Il palazzo in via San Maurilio è identificato dal 1468 al 1500 come la »casa del duca di Urbino«, e nella descrizione di Maffiolo da Giussano, nel 1498, è una residenza all’antica, dotata di ambienti importanti tra i quali spicca un atrium. Trent’anni non sono pochi: si riveda la successione dei residenti. Dal 1468 al 1498, data della vendita del palazzo da parte di Guidobaldo da Monte-feltro, nella casa di via San Maurilio si avvicendano diversi personaggi, ma per trent’anni l’unico proprietario stabile del palazzo risulta essere Federico da Montefeltro, l’unico interessato a connotare come propria la residenza mila-nese, in più intendente e tra i massimi committenti di architettura.

In questo contesto, formatosi in decenni nei quali gli unici committenti documentati a San Maurilio furono il Montefeltro e i Medici – il primo ric-chissimo di chances positive, gli altri forti d’interessi contrari – si inserisce l’operazione più tarda di Giovanni Angelo Salvatico, potente senatore della Milano del primo Cinquecento, nonchè cugino di Girolamo Morone.20 Già proprietario di un edificio confinante, egli entra in possesso della casa del duca

19 Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 69-87. 20 Sergio Gatti, »Il palazzo di Giovanni Angelo Salvatico a Milano: contributo allo

studio della corrente classicheggiante nell’architettura lombarda del primo Cinquecento«, Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Arte Medievale e Moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina 2 (1976), 21-30; Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 48-51 e 117-129.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

139

di Urbino tra il luglio 1514 e il febbraio 1515.21 Nel 1520 egli affida a Cristo-foro Solari, detto il Gobbo, l’architetto più aggiornato attivo in quel momento a Milano, il rifacimento del cortile della sua prestigiosa residenza, per fornirlo di un ›abito‹ nuovo, aggiornato, nelle forme all’antica più in voga dell’archi-tettura romana.22

Nessuno dei documenti noti, relativi alla campagna di lavori promossa da Salvatico, menziona interventi all’interno del palazzo, tanto meno la co-struzione di un atrium. Tuttavia la presenza di un atrio – dalla forma assai particolare – è testimoniata da Cesare Cesariano nel suo commento a Vitruvio, pubblicato poco dopo, nel 1521, ma scritto in gran parte tra il 1515 e il 1520.23 Nel VI libro, al termine della trattazione del cavedio displuviato, a commento dell’incisione che lo illustra, Cesariano descrive:

[…] una specie di atriolo periptero seu monoptero tholata, che proprio apresso li

antiqui erano dicte le case vel aede, et consimili palatii rotundi quali per la suprema apertura si po fare luminoso et claro infine in basso, como in Mediolano è facto una consimile apertura in lo palatio dil Clarissimo Patricio et Regio Senatore Domino Joanne Angelo Sylvatico.24

Cesariano non si dilunga sul palazzo, e tuttavia in poche righe definisce alcuni elementi che lo caratterizzano come un’eccezione nel panorama mila-nese: un atrio all’antica, a pianta centrale e illuminato dall’alto, posto al fondo di un cortile. L’incisione a corredo della descrizione mostra tuttavia una tholos emergente al fondo di un cortile che ha forme dissimili da quello dell’attuale palazzo di Giovanni Angelo Salvatico (figg. 1-2). È pur vero che le illustrazioni di Cesariano spesso non ricalcano in modo aderente le architetture milanesi che egli va descrivendo, ma questa discrasia, unita al fatto che egli ometta di

21 Ibid., 51-57. 22 Ibid., 129-145. 23 Sergio Gatti, »L’attività milanese del Cesariano dal 1512-13 al 1519«, Arte

Lombarda 14 (1971), 219-230; Manfredo Tafuri, »Cesare Cesariano e gli studi vitruviani nel Quattrocento«, in Scritti rinascimentali di architettura, a cura di Arnaldo Bruschi et al., Milano 1978, 389-433.

24 Vitruvio, De Architectura, translato commentato et affigurato da Cesare Cesariano, Como 1521, VI, lxxxxvii.

Roberta Martinis

140

citare il nuovo cortile e l’opera di Cristoforo Solari, fa pensare che Cesare abbia descritto il palazzo quando il cortile nuovo non esisteva ancora. In altre parole, il brano in questione potrebbe essere stato scritto dopo il 1515 (presa di possesso del Salvatico, citato quale proprietario nel Trattato) e prima del 1520 (quando iniziano i lavori secondo il progetto del Gobbo). Sono questi, per l’appunto, gli anni in cui Cesariano sta elaborando e rifinendo il suo grande commento a Vitruvio, inserendovi accrediti e omaggi funzionali alle sue convenienze.25

Se qualcosa d’importante era già stato costruito nel palazzo di San Maurilio, è difficile credere che un committente quale il senatore Salvatico ne abbia ordinato la demolizione. Se l’atrio centralizzato all’antica ricevette men-zione speciale da Cesariano fra il 1515 e il 1520, questo permette di dedurre che la configurazione del palazzo fosse ben nominata a Milano nei circoli degli artisti aggiornati cui Cesare si aggancia quando rientra in patria; e che l’ambizioso interprete abbia subito reso partecipe Salvatico della menzione d’onore del suo palazzo nel libro in allestimento, ben prima della stampa nel 1521.

Dall’osservazione dell’impianto planimetrico della casa di via San Maurilio l’atrio descritto da Cesariano è immediatamente riconoscibile, al fondo del cortile, nella sequenza: ingresso–cortile–atrio–sala grande–giardino (figg. 3-5). Che questa strana sala ottagonale, con lati approfonditi da nicchie ad arco di cerchio e illuminata originariamente da una finestra circolare aperta alla som-mità, rimanga identificata come atrio è confermato dai documenti relativi a una successiva campagna di restauri condotta tra il 1693 e il 1706, che indicano l’ambiente come: »Triburio, che serve di atrio avanti la sala«.26

Nel lungo percorso compiuto dalla trattatistica quattro-cinquecentesca intorno all’identificazione dell’atrio della casa antica, un solo autore ammette per esso una forma circolare: Francesco di Giorgio Martini.27 Egli non rico-

25 Cesare Cesariano e il classicismo di primo Cinquecento, a cura di Maria Luisa Gatti Perer e Alessandro Rovetta, Milano 1996; Alessandro Rovetta, »Cesariano, Bramante e gli studi vitruviani nell’età di Ludovico il Moro«, in Bramante milanese e l’architettura del Rinascimento lombardo, a cura di Christoph Luitpold Frommel, Luisa Giordano e Richard Schofield, Venezia 2002, 83-98.

26 ASMi, Fidecommessi, Famiglie, b. 10, 1707 gennaio 3. 27 Linda Pellecchia, »Architects Read Vitruvius: Renaissance Interpretations of the

Atrium of the Ancient House«, Journal of Society of Architectural Historians 51 (1992), 390-

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

141

nosce, nei suoi tentativi di restituzione della casa antica, che atrio e ›concavità‹ della casa siano due parti dello stesso cortile porticato, e neppure si attiene all’Alberti che identifica l’atrio con il cortile.28 Francesco non immedesima atrio e cortile, li tiene disgiunti, e per il primo candida fra i possibili impianti quello circolare dimostrando la preferenza per quest’ultimo assetto rispetto a quelli descritti da Vitruvio: atri circolari non sono infatti menzionati né da Vitruvio, né da successivi interpreti del De architectura.29 Nel Codice Saluzziano 148 Francesco di Giorgio rappresenta atri in forma quadrata o rettangolare, e soltanto nelle versioni successive dei Trattati illustra numerosi atri a pianta centrale. In questo modo l’atrio martiniano è spesso identificato con una stanza interna, di forma centrica, aperta alla sommità con un lume superficiale, inteso come una presa di luce circolare, al modo del Pantheon.30

400; cfr. anche Eadem, »Reconstructing the Greek House: Giuliano da Sangallo’s Villa for the Medici in Florence«, Journal of Society of Architectural Historians 52 (1993), 323-338.

28 Pier Nicola Pagliara, »Vitruvio da testo a canone«, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore Settis, III, Torino 1986, 24-32.

29 Francesco divide le abitazioni in tre categorie: reali e signorili, de’ principi e gran signori, de’ privati e particulari cittadini. E scrive nel secondo Trattato: »L’atrio overo ridutto di può fare in tre modi, e così le sale perché hanno una medesima simmetria. El primo è ch’el se divida la sua longhezza in parti 5, e 3 di quelle sia la larghezza; el secondo che se divida in parti 3, e due di quelle sia la larghezza […]. El terzo modo principale sia in forma rotonda«; Francesco di Giorgio Martini, Trattati di architettura, ingegneria e arte militare, a cura di Corrado Maltese, Milano 1967, II, 345-346. I primi due modi (3:5; 2:3) sono vitruviani, il terzo tipo è originale. Cfr. Pellecchia, »Architects Read Vitruvius« (cit n. 27). La fonte martiniana avrebbe potuto essere un ›fraintendimento‹ di un passo di Alberti sugli ornamenti degli edifici privati: »Nell’antichità si annetteva alla casa un porticato ovvero un locale per riunioni; sia l’uno che l’altro non erano sempre a pianta poligonale, ma anche a linee incurvate, alla maniera del teatro. Al porticato si aggiungeva un vestibolo quasi sempre a pianta circolare; seguiva un passaggio verso il ›cuore della casa‹, e poi altre membrature menzionate a suo tempo, il cui disegno sarebbe troppo lungo descrivere«; Leon Battista Alberti, De re aedificatoria IX.3 (L’architettura, a cura di Giovanni Orlandi e Paolo Porto-ghesi, Milano 1966, I, 794). Sui fraintendimenti e le trascrizioni nel XVI secolo del cortile in forma di ›D‹ per la villa di Laurentium di Plinio il Giovane cfr. anche Hartmut Biermann, »Der runde Hof. Betrachtungen zur Villa Madama«, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institut in Florenz 30 (1989), 493-535; Georgia Clarke, Roman House – Renaissance Palaces: Inventing Antiquity in Fifteenth-Century Italy, Cambridge 2003, 111-125.

30 Forse frutto di discussioni alla corte feltresca, l’atrio inteso come stanza aperta alla sommità è descritto anche da Niccolò Perotti, segretario del cardinale Bessarione, nella sua opera principale – le Cornucopiae sive Commentariorum linguae Latinae – composta tra 1472 e 1478, dedicata a Federico da Montefeltro, e pubblicata postuma nel 1489. Sull’utilizzo del manoscritto di Perotti da parte di Francesco di Giorgio cfr. Massimo Mussini, »Siena e Urbino: origini e sviluppo della trattatistica martiniana«, in Francesco di Giorgio alla corte di Federico da Montefeltro (cit. n. 6), 323.

Roberta Martinis

142

Seguendo un metodo di continua comparazione tra testo e osservazione delle vestigia antiche, le conclusioni di Francesco sembrano privilegiare lo studio diretto su queste ultime.31 Come per gli schemi di edifici residenziali con cortili circolari, anche per quello con atrio e sala centrica, l’architettura antica fornisce senz’altro modelli sui quali Francesco di Giorgio continua a riflettere, anche dopo la prima redazione dei Trattati, esercitando su di essi la propria ars combinatoria.32 Nei disegni dall’antico, Francesco annota infatti numerosi schemi planimetrici in cui il cortile è seguito da una sala ottagona o circolare. Nella »chasa di Chatellina per maggior parte ruinata« (Saluzziano, f. 87r) oltrepassato l’atrio inteso come una »sala longa pie 100 / lumi superficiali«, e attraversato lo spazio rettangolare del cortile, si perviene ad una sequenza di stanze di rappresentanza composta da una grande sala ottagonale con i lati approfonditi da nicchie, una sala rettangolare con nicchie sui lati brevi, una rotonda scavata da nicchie alternativamente rettangolari e ad arco di cerchio. Una pianta di alcuni edifici presso Santa Croce in Gerusalemme (Saluzziano, f. 76v) mostra una sequenza analoga ma più semplice, e Francesco annota all’ interno del grande ottagono posto a conclusione del cortile »salotto a tri-buna«.33

L’idea in elevazione dell’interno di questi grandi ambienti coperti è fornita in un disegno che rappresenta l’»accademia« o »piccolo palazzo« di Villa Adriana (Uffizi 319 Av), nel quale Francesco delinea l’alzato della rotonda conosciuta come »tempio di Apollo« scandita da due ordini sovrapposti e coperta a cupola analogamente al Pantheon.34 Come ha notato Howard Burns, il disegno è frutto di un’interpolazione tipicamente martiniana: la ricostruzione sovrappone infatti al rilievo archeologico il progetto di un grande palazzo del

31 Egli scrive infatti a questo proposito: »E questa mia fatiga tanto meno grave parea, massime avendo io concordato li ditti soi [di Vitruvio] con quelle poche di reliquie delli antiqui edifici e sculture che per Italia sono rimaste, delle quali io stimo avere visto e considerato la maggior parte«; Francesco di Giorgio Martini, Trattati (cit. n. 29), I, 295-296.

32 Manfredo Tafuri, »La fortuna di Francesco di Giorgio architetto: edifici residenziali con cortili circolari«, in Francesco di Giorgio architetto, a cura di Francesco Paolo Fiore e Manfredo Tafuri, Milano 1993, 384-389.

33 Ambienti coperti a pianta circolare sono poi annotati negli edifici del Codice Saluzziano 148 ai ff. 92r-v, con valore di sala di ricevimento posta al fondo del cortile.

34 Cfr. C. H. Ericsson, Roman Architecture Expressed in Sketches by Francesco di Giorgio Martini: Studies in Imperial Roman and Early Christian Architecture, Helsinki 1980, 58-62.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

143

tipo già delineato da Francesco nei Trattati (Saluzziano, f. 90v).35 E anche nello schizzo in pianta del complesso delle terme di Cassino, la cui sala ottagonale era identificata con lo »studio di Marco Varrone« (Uffizi 322 Av), Francesco fa seguire al vestibolo un grande ambiente ottagonale approfondito da nicchie sui lati diagonali.36 Al foglio Uffizi 326 Av si trova infine uno studio per un edificio residenziale »in chanpagnia« con cortile quadrato e al fondo un ambiente triconco, simile secondo Burns all’ambiente del »chamino« schizzato nello »studio di Varrone«.37

Francesco conduce la riflessione sullo schema cortile–sala centrica ad un’ulteriore verifica nel Codice Magliabechiano II.I.141, sondandone le possibi-lità di applicazione in schemi residenziali rappresentati a fil di ferro. In una pagina dedicata ai »fondi di case di mercanti« (Magliabechiano, f. 17r), lo schema è invertito: una sala circolare con nicchie introduce ad un cortile rettangolare, e tra i due elementi è interposto uno scalone a doppia rampa di-vergente, fuori luogo nella casa di un mercante, e più adatto ad un apparato cerimoniale principesco. È chiaro come in questo caso Francesco stia condu-cendo un ragionamento ›grafico‹, sulla base del disegno, in modo non del tutto aderente al testo.

Nel delineare poi i »fondi di case di signori in più varie figure e forme, et alchune con lumi superficiali« l’ars combinatoria martiniana raggiunge il suo apice (Magliabechiano, ff. 20r-v, 21r): l’atrio è inequivocabilmente identificato con un ambiente coperto, centrico, dotato di »lume superficiale«, spesso associato alla sala (figg. 6-7). È evidente che si tratta di un tema compositivo centrale per la ricerca del Martini intorno all’edilizia residenziale.

Tra i diversi schemi, tre sono perfettamente accostabili all’impianto della casa del duca di Urbino (Magliabechiano, ff. 20r d, 20r e, 21r a).38 Il primo (fig. 6) presenta lungo l’asse longitudinale una sequenza di sala–cortile quadrato con

35 Howard Burns, scheda XX.4, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 331-333.

Il disegno è successivamente copiato nel Codice Saluzziano 148 al f. 90, dove la copertura della sala circolare assume una conformazione a ombrello con lume superficiale.

36 Cfr. Ericsson, Roman Architecture (cit. n. 34), 77-80; Howard Burns, scheda XX.10, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 336-337.

37 Cfr. H. Burns, scheda XX.15, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 339-340. 38 Cfr. anche i disegni ai ff. 18v, 19r-v e 21v.

Roberta Martinis

144

logge–atrio circolare con lume superficiale e approfondito da una nicchia. La sala è affiancata da quattro salocti, mentre attraverso l’atrio si accede a due triclini. Due scale sono sistemate negli angoli superiori del cortile, poste in infilata con il braccio della loggia. Due ali di stanze si svolgono ai lati, per tutto il perimetro longitudinale, e per quello orizzontale superiore della casa.

Il secondo disegno (fig. 6), adiacente il primo, mostra la sequenza sala–piccolo cortile rettangolare con logge–grande atrio ottagonale con nicchie diagonali e lume superficiale–sala. I triclini vengono spostati tangenzialmente rispetto ai lati del cortile, le due scale in infilata con il braccio superiore della loggia, e le stanze sono distribuite lungo i due lati longitudinali.

Lo schema studiato nel terzo disegno (fig. 7) presenta un contorno più allargato: le due scale si trovano in posizione avanzata verso il lato di accesso, sale e salotti sono posti ai lati della sequenza principale cortile–atrio e sala circolare con nicchie, e le stanze circondano tre lati del perimetro, escludendo quello di fondo. Altri più modesti schemi per »palazzi e case di principi et signori« (Magliabechiano, f. 24r) mostrano nuovamente la combinazione secondo l’asse longitudinale di sala ottagonale e cortile. Ai disegni sin qui discussi se ne possono aggiungere altri – dal Codice Ashburnham 1828 Appendice conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze – che mostrano di far parte della medesima famiglia dei fogli del Magliabechiano.39 La planimetria disegnata in alto al foglio 151r reca uno schema con atrio circolare–cortile–sala (fig. 8), mentre al foglio 173r viene proposta una sequenza porta–cortile–vestibolo–chasa (in forma circolare)–giardino, con uno studio delle possibilità di applicazione di un

39 Howard Burns, »Progetti di Francesco di Giorgio Martini per i conventi di San

Bernardino e Santa Chiara ad Urbino«, in Studi Bramanteschi, Roma 1974, 293-311; Manuela Morresi, »Francesco di Giorgio e Bramante: osservazioni su alcuni disegni degli Uffizi e della Laurenziana«, in Il disegno di architettura, a cura di Paolo Carpeggiani e Luciano Patetta, Milano 1989, 117-124; Howard Burns, »I disegni del Codice Ashburnham 1828«, relazione tenuta al convegno Francesco di Giorgio Martini alla corte di Federico da Montefeltro (Urbino, 11-13 ottobre 2001). Il codice, composto nel XVII secolo, probabil-mente dall’architetto urbinate Muzio Oddi, contiene alcuni originali martiniani, e numerosi disegni identificabili come copie da Francesco di Giorgio, eseguiti da due mani diverse, ambedue anonime.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

145

impianto a quincunx all’edilizia residenziale, a testimoniare la ›laicità‹ delle forme martiniane (fig. 9).40

Per quanto riguarda il »lume superficiale« si può nuovamente guardare ai codici Saluzziano (f. 21) e Ashburnham 361 (ff. 21r-v), nei quali Francesco annota un catalogo di volte: vi si trovano, tra le altre, una »volta a cchoncha« e una »volta a huovolo hovero a nnavicola riquadrata« con oculo e parapetto a balaustri.

Lo schema caratterizzato dalla sequenza cortile porticato–atrio ottagonale con nicchie e lume superficiale–sala di ricevimento sembra dunque essere uno dei temi portanti della ricerca martiniana in materia di edilizia residenziale. Questa sequenza, assolutamente anomala nel contesto milanese, caratterizza anche l’impianto di palazzo Salvatico, o meglio il settore corrispondente alla casa donata dagli Sforza al conte d’Urbino. Come si è visto, è Cesariano a darne notizia. Ma cosa intende Cesariano per »atrio«? In ogni caso egli non prevede per l’atrio una forma circolare, né un lume superficiale, e neppure lo identifica con stanza coperta oltre un cortile.41

Sembra di conseguenza lecito assumere che Cesariano, trattando di palazzo Salvatico, descriva in termini a lui estranei ma appropriati a quel tipo di architettura, un oggetto il cui significato è legato strettamente alla denomina-zione, come se tra le parole e le cose per un attimo intercorresse il significato delle cose stesse. Quell’oggetto centrico così strano e anomalo rimane infatti

40 Sempre nel Codice Ashburnham 1828 App., alla medesima riflessione appartengono

anche i ff. 42, 52, 60, 146, 147, 150, 152, 157v-158, 214. 41 Pagliara, »Vitruvio da testo a canone« (cit. n. 28), 38; Francesco Paolo Fiore,

»Cultura settentrionale e influssi albertiani nelle architetture vitruviane di Cesare Cesa-riano«, Arte Lombarda 64 (1983), 50; Pellecchia, »Architects Read Vitruvius« (cit. n. 27), 408-412; Rovetta, »Cesariano, Bramante e gli studi vitruviani« (cit. n. 25), 92. Per quanto riguarda il lume superficiale, Cesariano si limita a descrivere un’illuminazione dall’alto ottenuta con l’apertura di oculi nella volta della sacrestia di San Satiro: »Ma acadendo che in li edificii sia qualche loco triplicato, vel tenebroso, vel di luce debile, convenerà saper luminare per qualchi loci da l’alto, si como fece il mio preceptore Donato, cognominato Bramante urbinate, in la Sacrastia di la aede sacra di Sancto Satiro in Milano«; Cesare Cesariano, Di Lucio Vitruvio Pollione De Architectura Libri Dece, edizione moderna del primo libro a cura di Alessandro Rovetta, in Cesare Cesariano e il classicismo di primo Cinquecento (cit. n. 25), 377-378; cfr. anche Vitruvio, De Architectura traslato … da Cesare Cesariano (cit. n. 24), ff. 98r, 101v, 102r.

Roberta Martinis

146

saldamente legato alla sua definizione: atrio, come del resto aveva ben colto l’erudito Maffiolo da Giussano.

L’incisione di Cesariano, unita alla sua descrizione, rimane comunque un documento cardine. Un impianto architettonico analogo con un impaginato simile – un tempietto che emerge dietro un muro oltre un cortile quadrato – viene riprodotto nel Miracolo dell’uomo ferito con la pala, una tavola facente parte della serie dei Miracoli di San Bernardino, conservata presso la Galleria Nazionale dell’Umbria (ultimata alla fine del 1473), per la quale è stata recentemente avanzata da parte di Laura Teza una convincente attribuzione assegnando a Francesco di Giorgio l’ideazione delle architetture dipinte (fig. 10).42

Lo stesso tema architettonico è presente per tempo in ambito milanese: nel Racconto del morto, antello della vetrata con le Storie di San Giovanni Evan-gelista, realizzata da Cristoforo de Mottis e dai maestri Gesuati tra 1473 e 1478, oltre un muro forato da una porta sormontata da timpano triangolare s’innalza una cupola a embrici, impostata su un tamburo con oculi e paraste (fig. 11).43 Qui De Mottis esibisce una cultura antiquaria in presa diretta con i pannelli perugini: si confronti in proposito anche il ripido e rilevato timpano su alto fregio del portale sullo sfondo della Disputa con Cratone e quello nel Miracolo del ragazzo ferito da un toro di Perugia.

Chiamato a Milano per fornire un parere circa l’annoso problema del tiburio del Duomo, Francesco di Giorgio è in città tra la fine di maggio e i primi di luglio del 1490, e il 21 giugno è convocato a Pavia per una consulenza sull’ erigendo Duomo.44 Senza entrare nel merito della vicenda pavese, va regis-

42 Laura Teza, »Una nuova storia per le tavolette di San Bernardino«, in Pietro Vannucci, il Perugino, a cura di Eadem, Perugia 2004, 247-230. Cfr. Arnaldo Bruschi, L’architettura religiosa del Rinascimento in Italia da Brunelleschi a Michelangelo, in Rinasci-mento da Brunelleschi a Michelangelo: la rappresentazione dell’architettura, a cura di Henry A. Millon, Milano 1994, 149-151; Sylvia Ferino-Pagden, »Architettura dipinta«, in ibid., 446-452; Arnaldo Bruschi, »La formazione e gli esordi di Bramante«, in Bramante milanese (cit. n. 25), 33-66.

43 Caterina Pirina, Le vetrate del Duomo di Milano dai Visconti agli Sforza, Firenze 1986, 119-141; Alessandro Rovetta, »Cultura architettonica e cultura umanistica a Milano durante il soggiorno di Bramante: note sullo studio dell’antico«, Arte Lombarda 78 (1987), 81-93.

44 Richard Schofield, »Amadeo, Bramante and Leonardo and the Tiburio of Milan Cathedral«, Achademia Leonardi Vinci 2 (1989), 68-100.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

147

trata la notazione di Schofield che vede nella cripta, iniziata nel 1488 e terminata nel 1492, una citazione del canopo di Villa Adriana, disegnato a sua volta dal senese nei fogli Uffizi 319 A e 90v del Codice Saluzziano. In base a quest’osservazione lo studioso si è interrogato circa la possibilità di un rapporto costante, a distanza, tra Francesco di Giorgio e Bramante negli anni ’70-’80, ipotesi che Manfredo Tafuri, nel 1994, ha definito »interessante, destinata per ora a rimanere tale«.45

È verosimile che sulla strada per Pavia, accompagnato da Leonardo, il Martini abbia sostato alla Certosa, la cui conoscenza è dimostrata nelle plani-metrie di chiese disegnate ai fogli 11r del Codice Ashburnham 361 (datato ai primi anni ’80) e 12v del Saluzziano, con i loro transetti a triconco. Nell’ architettura costruita questa ricaduta è evidente nella progettazione della chiesa di San Sebastiano in Vallepiatta a Siena attribuita a Francesco di Giorgio (1493 e sgg.).46 Ma planimetrie a triconco dello stesso tipo si trovano anche nella sezione del Codice Zichy di Budapest che contiene copie da Francesco di Giorgio risalenti alla fine degli anni ’70 (ff. 138r e 139r). Massimo Mussini, curatore dell’edizione critica del codice, sostiene che questa presenza consente di svinco-lare dal viaggio milanese del 1490 la riproduzione di questa tipologia nei codici Laurenziano e Saluzziano, e di accertare la conoscenza del modello da parte di Francesco di Giorgio prima degli anni Ottanta. A sostegno di questa tesi Mussini indica la presenza nel primo Trattato (1480-82) di alcuni temi in-gegneristici, architettonici e decorativi tipici dell’area lombarda, e dunque la possibilità di un viaggio in Lombardia precedente a quello documentato.47

Quella che va emergendo è dunque una congiuntura nuova circa l’apporto urbinate alla cultura milanese fin dagli anni ’70, e del resto consonanze urbinati

45 Richard Schofield, »Florentine and Roman elements in Bramante’s Milanese

Architecture«, in Florence and Venice: Comparisons and Relations, a cura di Sergio Bertelli, Nicolai Rubinstein e Craig H. Smyth, Firenze 1979, I, 210-214; Manfredo Tafuri, »Le chiese di Francesco di Giorgio Martini«, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 55.

46 Manfredo Tafuri, »La chiesa di San Sebastiano in Vallepiatta a Siena«, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 302-312; Massimo Mussini, »La trattatistica di Francesco di Giorgio«, in ibid., 359.

47 Mussini, »Siena e Urbino« (cit. n. 30), 317-336; Idem, Francesco di Giorgio e Vitruvio: le traduzioni del »De architectura« nei codici Zichy, Spencer 129 e Magliabechiano II.I.141, Firenze 2003, 159-173.

Roberta Martinis

148

sono già da individuarsi nella vetrata di San Giovanni Evangelista in Duomo: gli sfondi architettonici sono accostabili a quelli dei Miracoli di San Bernardino della Galleria Nazionale dell’Umbria, i quali, come si è visto, comporterebbero un qualche coinvolgimento di Francesco di Giorgio.48 Ma, a guardar bene, il rimando a temi architettonici martiniani non riguarda solo i pannelli perugini: nello sfondo del San Giovanni a Patmos (1475-78), realizzato nella stessa ve-trata, esso risulta infatti diretto. Basti il confronto tra l’edificio sullo sfondo – un’architettura caratterizzata da ricinti, priva di ordini architettonici – con il disegno di chiesa a pianta centrale al foglio 14r del Codice Saluzziano, oppure con la chiesa, più tarda, di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio presso Cortona.49

Ancora a congegni martiniani, come le lunghe stalle di Federico da Mon-tefeltro nella Data a Urbino – articolate su due piani, e crollate già nel 159050 – e descritte minuziosamente dallo stesso Francesco di Giorgio nel Codice Senese, e poi nel Magliabechiano, Richard Schofield ha ricondotto la struttura delle stalle di Ludovico il Moro nel castello di Vigevano, iniziate nell’agosto 1489, e disegnate da Leonardo da Vinci nel Manoscritto B al foglio 39r (1487-90) e nel Codice Trivulziano, ai fogli 21v e 27r.51

Torniamo al palazzo di Federico da Montefeltro a Milano. Quando Fede-rico potrebbe avere commissionato i lavori nella sua residenza milanese? I suoi soggiorni in città sono datati tra febbraio e giugno 1466 e tra gennaio e ottobre 1468. Ma per dare luogo a un progetto di riforma dell’edificio e per avviare i lavori non era necessaria la presenza del committente: la sovrastanza del suo fiduciario Camillo de’ Barzi – registrato a Milano fin dal 1463, e residente a San Maurilio dal 1468 – sarebbe stata più che sufficiente, come del resto è attestato di frequente per le commesse principesche ›a distanza‹. Sulla base dei dati sin qui noti non è effettivamente possibile proporre una datazione certa per i lavori al palazzo del duca di Urbino: ma nella gara di magnificenza che la donazione di

48 Bruschi, »La formazione e gli esordi di Bramante« (cit. n. 42). 49 Stefania Buganza, scheda n. 42, in Vincenzo Foppa, a cura di Giovanni Agosti, Mauro

Natale e Gianni Romano, Milano 2003, 176-177; Mauro Natale, »La maturità di Foppa«, in ibid., 39-49, con bibliografia.

50 Francesco Paolo Fiore, scheda n.1, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 172. 51 R. Schofield, »Ludovico il Moro and Vigevano«, Arte Lombarda 62 (1982), 93-140.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

149

una sede di rappresentanza comporta, Federico deve avere ricambiato il gesto del duca.52

Nonostante le crisi che intercorrono tra Urbino e Milano, il canale dei rapporti diplomatici tra i due Stati si mantiene costantemente aperto: la sede diplomatica dei Montefeltro a Milano non viene mai chiusa, né requisita dalla Camera ducale, almeno fino alla morte di Federico nel 1482. È possibile che gli urbinati siano intervenuti sul palazzo successivamente al 1474, in coincidenza con il conferimento a Federico della dignità ducale, per ribadire la nuova posizione politica del committente e adeguare la sede diplomatica a nuove esigenze cerimoniali: Federico da quel momento si troverà a trattare con il difficile Galeazzo Maria da pari a pari, da duca a duca. Nello stesso periodo, è bene notare, riparte il cantiere del palazzo ducale di Urbino. Ma i rapporti con Galeazzo Maria in quel periodo sono pessimi.53

Si possono tuttavia considerare due date più propizie all’operazione promossa. La prima è tra maggio e novembre 1477. Dopo la scomparsa di Galeazzo Maria le possibilità per il duca di Urbino di aspirare alla condotta di luogotenente del ducato di Milano, carica che aveva ricoperto con Francesco Sforza e alla quale aveva dovuto rinunciare per contrasti con il figlio, era diventata un’ambizione che rientrava nell’ambito delle possibilità reali. In quel momento le attenzioni di Federico sono sommamente concentrate su Milano: tanto più dal momento in cui Cicco Simonetta è saldamente al potere, vale a dire da maggio 1477.54 Questo momento felice non ha tuttavia lunga durata: già

52 La dinamica sembra proprio quella del ›dono agonistico‹, delineata da Marcel Mauss, dove non si tratta di essere caritatevoli, ma di competere in generosità; Marcel Mauss, Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Torino 2002 (Paris 1925).

53 Martinis, L’architettura contesa (cit. n. 1), 98-107. 54 I rapporti con il potente segretario ducale, di antica data, nati sotto gli auspici di

Francesco Sforza (Federico è padrino del primogenito di Cicco), si erano sempre mantenuti sotto un segno amicale. Sin dal marzo 1477 Simonetta aveva accettato presso di sé in forma semi-privata un emissario di Federico, ser Matteo Benedetti e a sua volta il milanese accredita presso la corte urbinate un proprio ›famiglio‹, a dimostrazione del rapporto confidenziale aperto con il duca di Urbino attraverso Benedetti. Cfr. Riccardo Fubini, »Federico da Montefeltro e la congiura dei Pazzi: politica e propaganda alla luce di nuovi documenti«, in Federico di Montefeltro: lo stato, le arti, la cultura, a cura di Giorgio Cerboni Baiardi, Giorgio Chittolini e Piero Floriani, Roma 1986, 409-411; Tommasoli, La vita di Federico da Montefeltro (cit. n. 8), 284; Simonetta, »Federico da Montefeltro: architetto della congiura dei Pazzi« (cit. n. 6), 81-102; Idem, Rinascimento segreto: il mondo del segretario da Petrarca a Machiavelli, Milano 2004.

Roberta Martinis

150

a novembre con la congiura dei Pazzi i rapporti si fanno difficili, i problemi di Federico diventano altri, e per rinsaldare i legami con Milano dovrà attendere il 1481.55 Tuttavia sembrerebbe questa la congiuntura ideale come possibile sfondo per l’operazione promossa nel palazzo donato dagli Sforza: è il momento in cui Federico si sta proponendo come candidato ideale per ridiventare il con-dottiero principale della Lega, e dunque la promozione di una campagna di lavori al palazzo in contrada di San Maurilio avrebbe rivestito il significato di un ulteriore radicamento in città degli urbinati.

Un’altro momento favorevole potrebbe essere effettivamente il 1481, quando viene ratificata la donazione del palazzo e i rapporti tra il Montefeltro e il Moro sono improntati a una certa qual diplomatica cordialità.56 È lo stesso periodo che Marcello Simonetta definisce l’»estate calda del 1481« in cui viene inscenato uno scambio multiplo di cortesie al centro delle quali si trovano il palazzo ducale di Urbino e il suo committente.57 Su richiesta del marchese di Mantova, tramite Matteo Contugi, e di Lorenzo de Medici, tramite Luca Fancelli, vengono richiesti e inviati i disegni del palazzo ducale di Urbino, che sembra fare da sfondo a una elaborata messa in scena di principi-architetti in civile conversazione. Ma, nota Simonetta, tali scambi di cortesia vanno riletti all’interno di un più ampio quadro politico-diplomatico: quello dei contrasti che porteranno alla guerra di Ferrara.58

A Milano potrebbe essere stata allestita un’operazione edilizia semplice, non particolarmente costosa, rapida ed efficace (è evidente che non vale la pena promuovere lavori costosi): un piccolo oggetto che parla di una ›pietri-ficazione‹ dei rapporti diplomatici tra Stati alleati. Con un solo gesto – l’in-serimento di una sala-atrio ottagonale aperta alla sommità come un tempietto – la casa del nuovo duca di Urbino, signore della guerra e principe delle muse, si sarebbe trasformata in una domus all’antica, dichiarando con ciò la propria

55 Simonetta, introduzione al Carteggio degli oratori ( cit. n. 6), 7-39. 56 A seguito della morte del duca Galeazzo, qualche anno più tardi (23 marzo 1481), il

nuovo duca Gian Galeazzo Maria Sforza confermava dunque a Federico la donazione della casa in Milano: ASFi, Ducato di Urbino, Classe I, filza 8, cc. 84-85v. Cfr. Maria Grazia Pernis, »Il palazzo di Federico da Montefeltro a Milano: un’ipotesi per il viaggio di Bramante in Lombardia«, Notizie da Palazzo Albani 19 (1990), 25-26.

57 Simonetta, »Federico da Montefeltro architetto della congiura « (cit. n. 6), 97. 58 Ibid.

Francesco di Giorgio nel Palazzo Milanese di Federico da Montefeltro

151

alterità rispetto a un contesto implicitamente inadeguato: ad occhi esperti si deve essere consumato uno scacco alla committenza sforzesca, rendendo ana-cronistici con un solo gesto i balbettii umanistici dell’architettura milanese, scanditi da fregi in cotto scolpito da ordinare al metro.59 Il controllo di Camillo de’ Barzi sarebbe bastato per mettere in opera un tale intervento secondo un disegno inviato da Urbino.60 Questi lavori potrebbero, infine, avere costituito un’occasione di attrazione, o di trasferimento, per maestranze impegnate nel cantiere del palazzo feltresco, e, forse, anche per un giovane architetto gravi-tante nell’orbita di Francesco di Giorgio Martini.61

Fu questa un’occasione perduta da parte dei mecenati e dei progettisti milanesi, che non ne trassero alcuna conseguenza. Ora la si intravvede nuova-mente grazie a schegge documentarie purtuttavia eloquenti, e a un atrio che non fu rimosso nella prestante ristrutturazione edilizia condotta nel terzo de-cennio del Cinquecento dal ricco senatore Giovanni Angelo Salvatico e dall’ accorto Cristoforo Solari.

Istituto Universitario di Architettura di Venezia

59 Un precedente illustre per l’affido di istanze di rinnovamento a oggetti archi-

tettonicamente piccoli alla corte di Urbino è l’alcova di Federico (1459 ante quem): Bruschi, »La formazione e gli esordi di Bramante« (cit. n. 42), 46-48; Matteo Ceriana, »Fra Carnevale e la pratica dell’architettura«, in Fra Carnevale: un artista rinascimentale da Filippo Lippi a Piero della Francesca, a cura di Matteo Ceriana e Keith Christiansen, Milano 2004, 116-118.

60 Riguardo a Francesco di Giorgio al servizio di Federico da Montefeltro, la prima notizia risale al maggio 1477, quando è documentato in un contratto che prevede la ricostru-zione per conto del duca di Urbino di strutture difensive al confine con il territorio perugino. Cfr. Allen S. Weller, Francesco di Giorgio 1439-1501, Chicago 1943, docc. XIX, XX, XXI; Corrado Maltese, »Opere e soggiorni urbinati di Francesco di Giorgio«, in Studi artistici urbinati, a cura di Pasquale Rotondi, Urbino 1949, I, 59-83; Nicholas Adams, »L’architettura militare di Francesco di Giorgio«, in Francesco di Giorgio architetto (cit. n. 32), 128.

61 Cfr. l’ipotesi di Pernis, »Il palazzo di Federico da Montefeltro a Milano« (cit. n. 56). Sui rapporti tra Bramante e Francesco di Giorgio nei decenni ’70-’80 cfr. Schofield, »Florentine and Roman elements in Bramante’s Milanese Architecture« (cit. n. 56).

1. Palazzo Salvatico nell’illustrazione di Cesariano: Vitruvio Pollione, De Architectura translato commentato et affigurato da Cesare Cesariano, Como 1521, libro VI, lxxxxvii.

2. Palazzo Salvatico, veduta del cortile.

3. Palazzo Salvatico, planimetria del piano terreno (da: C. Zucchi, L’architettura dei cortili milanesi 1535-1706, Milano 1989, 164).

4. Palazzo Salvatico, sezione longitudinale nord-sud (archivio privato Asnago-Vender, Milano).

5. Palazzo Salvatico, veduta dell’atrio al primo piano.

6. Francesco di Giorgio Martini, Codice Magliabechiano II.I.141, f. 20r. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

7. Francesco di Giorgio Martini, Codice Magliabechiano II.I.141, f. 21r. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

8. Francesco di Giorgio Martini, Codice Ashburnham 1828 App., f. 151r. Firenze, Biblioteca Laurenziana.

9. Francesco di Giorgio Martini, Codice Ashburnham 1828 App., f. 173r. Firenze, Biblioteca Laurenziana.

10. Miracolo dell’uomo ferito con la pala, serie dei Miracoli di San Bernardino. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.

11. Cristoforo de Mottis, Racconto del morto. Milano, Duomo, vetrata di San Giovanni Evangelista, particolare.