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STELE FUNERARIE DI ETà CLASSICA DALLA SICILIA SUD-ORIENTALE Elena Ghisellini Gli scavi condotti dalla seconda metà dell’Ottocento nelle necropoli delle principali colonie si- celiote hanno riportato alla luce resti di epistemata di diversa tipologia, il cui uso si generalizza a partire dal VI sec. a.C. dando avvio a una profonda trasformazione del paesaggio sepolcrale. Da allora naiskoi, edicole, colonne, pilastrini, cippi, vasi in pietra, stele, statue vengono eretti al di sopra delle tombe allo scopo di perpetuare il ricordo del defunto e suscitarne il compianto presso l’intera collettività: purtroppo di questo variato sistema di segni abbiamo un’idea al- quanto imprecisa, sia per lo stato estremamente frammentario dei monumenti, spesso distrutti a seguito delle manomissioni subite dalle necropoli nel corso dei secoli, sia per la mancanza di studi specifici che affrontino, per ciascuna polis e in una prospettiva diacronica, la classificazio- ne tipologica dei semata, tentando anche di chiarire la complessa trama di relazioni intercor- renti fra essi e i rituali funebri, i corredi, la posizione sociale del defunto 1 . In attesa che tale lacuna conoscitiva venga colmata, si è scelto di circoscrivere il campo di indagine ai centri della Sicilia sud-orientale, focalizzando l’attenzione sui rilievi funerari in marmo di epoca classica, che costituiscono un osservatorio privilegiato sotto un duplice punto di vista, come epistemata di particolare impegno monumentale, diretta espressione delle esi- genze rappresentative di una committenza di rango elevato, e come preziose testimonianze di plastica marmorea in una fase in cui il panorama siceliota, almeno a giudicare da quanto edito, sembra caratterizzarsi per una sorprendente rarefazione delle attestazioni 2 . In età arcaica, nell’orizzonte geografico indicato, la consuetudine di segnalare con sculture le sepolture dei politai di maggior prestigio è radicata specialmente a Megara Hyblaea, che ha restituito, accanto a un discreto numero di statue funerarie, l’unico rilievo noto per il periodo, La presente ricerca non avrebbe potuto essere realizzata senza la fattiva collaborazione della dott.ssa Concetta Ciurcina, già direttrice del Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi» di Siracusa, e della dott.ssa Angela Maria Manenti, dirigente tecnico archeologo presso lo stesso museo, che con grande liberalità e cortesia mi hanno per- messo di studiare i pezzi, analizzarli e fotografarli. A loro, come pure al personale del museo che mi ha coadiuvato nell’esame dei materiali, va il mio più sincero ringraziamento. Sono inoltre grata alle amiche A. Ambrogi e D. Bo- nanome per il prezioso aiuto. 1 Qualche cenno nel merito in: Pelagatti - Vallet 1979, 361 s.; Coarelli 1979, 170 s.; Lanza 1990, 184, 191 ss. (tavole sinottiche sulla tipologia delle tombe e dei corredi della necropoli camarinese di Passo Marinaro, con indicazione della presenza di semata esterni). 2 Holloway 1975, 38 ss., in particolare 42 nota 13. 279 Scolpire il marmo. Importazioni, artisti itineranti, scuole artistiche nel Mediterraneo antico Atti del convegno di studio tenuto a Pisa, Scuola Normale Superiore, 9-11 novembre 2009 ISBN 978-88-7916-465-8 http://www.lededizioni.com/archeologia-arte-antica.html

Stele funerarie di età classica dalla Sicilia sud-orientale

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Stele funerarie di età claSSica dalla Sicilia Sud-orientaleElena Ghisellini

Gli scavi condotti dalla seconda metà dell’ottocento nelle necropoli delle principali colonie si-celiote hanno riportato alla luce resti di epistemata di diversa tipologia, il cui uso si generalizza a partire dal Vi sec. a.c. dando avvio a una profonda trasformazione del paesaggio sepolcrale. da allora naiskoi, edicole, colonne, pilastrini, cippi, vasi in pietra, stele, statue vengono eretti al di sopra delle tombe allo scopo di perpetuare il ricordo del defunto e suscitarne il compianto presso l’intera collettività: purtroppo di questo variato sistema di segni abbiamo un’idea al-quanto imprecisa, sia per lo stato estremamente frammentario dei monumenti, spesso distrutti a seguito delle manomissioni subite dalle necropoli nel corso dei secoli, sia per la mancanza di studi specifici che affrontino, per ciascuna polis e in una prospettiva diacronica, la classificazio-ne tipologica dei semata, tentando anche di chiarire la complessa trama di relazioni intercor-renti fra essi e i rituali funebri, i corredi, la posizione sociale del defunto 1.

in attesa che tale lacuna conoscitiva venga colmata, si è scelto di circoscrivere il campo di indagine ai centri della Sicilia sud-orientale, focalizzando l’attenzione sui rilievi funerari in marmo di epoca classica, che costituiscono un osservatorio privilegiato sotto un duplice punto di vista, come epistemata di particolare impegno monumentale, diretta espressione delle esi-genze rappresentative di una committenza di rango elevato, e come preziose testimonianze di plastica marmorea in una fase in cui il panorama siceliota, almeno a giudicare da quanto edito, sembra caratterizzarsi per una sorprendente rarefazione delle attestazioni 2.

in età arcaica, nell’orizzonte geografico indicato, la consuetudine di segnalare con sculture le sepolture dei politai di maggior prestigio è radicata specialmente a Megara Hyblaea, che ha restituito, accanto a un discreto numero di statue funerarie, l’unico rilievo noto per il periodo,

la presente ricerca non avrebbe potuto essere realizzata senza la fattiva collaborazione della dott.ssa concetta ciurcina, già direttrice del Museo archeologico regionale «Paolo orsi» di Siracusa, e della dott.ssa angela Maria Manenti, dirigente tecnico archeologo presso lo stesso museo, che con grande liberalità e cortesia mi hanno per-messo di studiare i pezzi, analizzarli e fotografarli. a loro, come pure al personale del museo che mi ha coadiuvato nel l’esame dei materiali, va il mio più sincero ringraziamento. Sono inoltre grata alle amiche a. ambrogi e d. Bo-nanome per il prezioso aiuto. 1 Qualche cenno nel merito in: Pelagatti - Vallet 1979, 361 s.; coarelli 1979, 170 s.; lanza 1990, 184, 191 ss. (tavole sinottiche sulla tipologia delle tombe e dei corredi della necropoli camarinese di Passo Marinaro, con indicazione della presenza di semata esterni). 2 Holloway 1975, 38 ss., in particolare 42 nota 13.

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Scolpire il marmo. Importazioni, artisti itineranti, scuole artistiche nel Mediterraneo antico Atti del convegno di studio tenuto a Pisa, Scuola Normale Superiore, 9-11 novembre 2009

ISBN 978-88-7916-465-8http://www.lededizioni.com/archeologia-arte-antica.html

realizzato in calcare e recante l’immagine, di marca prettamente aristocratica, di un cavaliere 3. assai meno abbondante è la documentazione a Siracusa, forse per effetto di una legge antisun-tuaria che fu promulgata verosimilmente durante il governo dei gamoroi e che potrebbe essere rimasta in vigore per lungo tempo 4. una battuta d’arresto nell’impiego di sculture in ambito funerario si registra in concomitanza con l’affermazione del regime tirannico dei dinomenidi, allorquando le risorse economiche, le forze produttive e le più vivaci energie creative sono convogliate verso la realizzazione di monumenti pubblici o votivi, per lo più legati all’iniziativa degli stessi tiranni. l’utilizzo di sculture con destinazione sepolcrale si riafferma all’indomani della cacciata di trasibulo nel 466 a.c.: da questo momento, come si vedrà, la clientela più facoltosa si indirizza di preferenza verso la tipologia della stele scolpita in marmo e decorata a rilievo, che risulta attestata da pochi esemplari provenienti da Siracusa, dal suo territorio e da camarina e distribuiti nell’arco cronologico di poco più di un secolo.

la serie si apre con un rilievo (Fig. 1), scoperto casualmente in contrada Burgio, a ca. 5 km da Pachino, in un’area occupata da un’estesa necropoli 5. lavorato in un marmo bianco a grana medio-piccola di probabile provenienza insulare, forse paria, raffigura un testa ma-schile di dimensioni pari al vero 6, volta di profilo a sinistra, che si imposta su un collo tozzo e robusto, segnato dal vigoroso risalto del muscolo sternocleidomastoideo. il volto, dall’aspetto maturo, ha un’impronta individuale: la fronte è bassa e liscia; l’occhio grande, di taglio allun-gato, con caruncola lacrimale indicata, è racchiuso entro palpebre dai bordi taglienti; una bar-ba folta e compatta ombreggia la guancia, la cui uniforme tensione è interrotta da profondi solchi nasolabiali; lunghi baffi spioventi quasi nascondono il labbro superiore, che è sottile e rettilineo, mentre il labbro inferiore disegna un’ampia curva. la solida volumetria del cranio è esaltata dal rendimento dei capelli, acconciati in ciocchette di modesto spessore, percorse da incisioni, che aderiscono alla calotta disposte su più file e scendono sulla fronte e sulle tempie con terminazioni arricciate.

la tecnica di esecuzione è insolita: la testa si presenta infatti ritagliata lungo il contorno e alla base del collo; sul retro (Fig. 2) una fascia perimetrale lisciata racchiude una superficie scabra, solcata dai segni della subbia; la regione parietale del cranio è attraversata da un foro circolare, al cui interno si conservano avanzi di piombo, destinato al fissaggio di un perno 7. Già orsi riteneva che il rilievo dovesse essere applicato a una parete di fondo realizzata in materiale diverso, congettura che può essere condivisa, ma che merita qualche precisazione. il confronto con le metope del tempio e di Selinunte consente di immaginare una stele eseguita in calcare, con la figura del protagonista scolpita a rilievo piuttosto basso e completata dalla testa di marmo giunta sino a noi 8. Quest’ultima nella fase originaria doveva aderire al fondo solo con l’ausilio di collanti, la cui presa era agevolata dalla peculiare lavorazione del retro 9.

3 H. Hiller ritiene che il rilievo megarese appartenesse a un contesto architettonico: Hiller 1975, 61 nota 212. Per una panoramica della scultura funeraria di epoca arcaica in Sicilia: Pafumi 2004, 59 ss. 4 Brugnone 1992, 19 ss. 5 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 24837 (alt. cm 26, largh. cm 20, spessore cm 5); orsi 1905, 427 ss., fig. 16; 1907, 30 ss., tav. i; Pace 1915, 549 nota 1; libertini 1929, 168; ducati 1935, 154 s.; Pace 1938, 63; lippold 1950, 178; Holloway 1975, 37, 42, fig. 229; Pelagatti 1977, 54; Stile Severo, 168 s., n. 6, 294, ad n. 128 (u. Spigo); de Miro 1996, 419; I Greci in Occidente 1996, 705, n. 187 (e.c. Portale); rolley 1999, 193 s., fig. 181; Spigo 2000, 57; Pafumi 2004, 78. 6 la superficie del rilievo è ben conservata; scheggiature interessano il padiglione auricolare, il sopracciglio, i margini delle palpebre, alcune ciocche della barba e dei capelli. Manca buona parte del naso. 7 nel foro è inserito un perno che, nell’attuale allestimento museale, assicura il rilievo a un supporto. nella sostanza biancastra che riveste quasi interamente il lato posteriore si deve verosimilmente riconoscere un adesivo, utilizzato per saldare la testa a una parete di fondo in una precedente sistemazione museale. 8 risulta più macchinosa un’ipotesi alternativa, suggeritami da una stimolante discussione con c. Marconi, che ringrazio. Si potrebbe supporre che in origine l’intera immagine del defunto fosse lavorata in marmo e ap-plicata su un fondo di materiale differente, analogamente a quanto si osserva nel fregio dell’eretteo; un distacco accidentale del rilievo dal piano di fondo avrebbe poi danneggiato la figura al punto tale da permettere il recupero della sola testa, che sarebbe stata accuratamente tagliata alla base del collo e rimontata in una stele scolpita appo-sitamente per accoglierla. 9 Su tale soluzione tecnica: adam 1966, 80 ss. come esempi di rilievi con teste di riporto fissate al piano di fondo solo con adesivi si ricordano un esemplare da Kos con scena di banchetto funebre (laurenzi 1955-1956,

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a un’attenta osservazione sembra evidente infatti che il foro per il perno interrompe il ductus delle ciocche, che appaiono danneggiate dalla sua apertura; ne consegue che il foro deve essere stato praticato in un secondo momento, forse in occasione di un restauro 10, resosi necessario per il distacco della testa dal piano di fondo. l’ipotesi può essere corroborata dalla constata-zione che nelle metope selinuntine i perni funzionali all’ancoraggio delle teste di marmo sono infissi nel loro lato posteriore, evitando che risultino visibili sul lato frontale, ove compromette-rebbero l’effetto estetico d’insieme 11.

la concezione formale della testa, dalla potente struttura volumetrica, è sostanziata dal-l’efficace contrasto fra la compattezza dell’incarnato, teso e avvolgente, e la minuziosa grafia di superficie della barba e della chioma, scandite da fini incisioni che richiamano il lavoro del bulino sul bronzo. colpisce l’intento di caratterizzazione individuale del personaggio, che si traduce nel trattamento secco e incisivo dei lineamenti, da cui scaturisce una forza espressiva che si concentra nella zona della bocca, dalle labbra energicamente serrate, e degli occhi molto aperti, con lo sguardo fisso in avanti.

la tendenza all’individualizzazione dei protagonisti e la stilizzazione decorativa delle masse pelose sono tratti distintivi dello stile severo, che si estrinsecano al meglio nelle sculture del tempio di Zeus a olimpia 12, alle quali può essere utilmente accostato il rilievo da Pachino. Particolarmente calzante è il parallelo con la testa del vecchio indovino n del frontone orienta-le (Fig. 3), che mostra un rendimento simile degli occhi, con globo arrotondato, caruncola indi-cata, angolo esterno aperto e palpebre ‘slabbrate’, e dei capelli che, seppure dotati di maggiore plasticità, denotano un’analoga differenziazione nel grado di definizione dei dettagli, sicché alle ciocche della regione occipitale, bipartite longitudinalmente da un’incisione e con termi-nazione a uncino, fanno riscontro le ciocche intorno al viso, vivificate da molteplici incisioni e con estremità inanellata in un ricciolo. i volti dei centauri del frontone occidentale offrono poi un puntuale termine di paragone per il modellato dei baffi e della barba, dalle lunghe ciocche serpentine che si assottigliano verso le punte ricurve, talora attorte in un ricciolo.

intorno alla metà del V sec. a.c. la resa astratta e lineare delle masse pelose perdura in opere di scuola ionico-insulare, come un frammento di stele funeraria da Megara a Berlino 13, con testa di giovane, e un rilievo sepolcrale mutilo da rodi, nel Museo di Basilea 14, che con-serva la parte superiore del corpo di un uomo maturo, con il viso incorniciato da una spessa barba. ai fini dell’inquadramento del nostro rilievo riveste però speciale importanza il ritrovare siffatta stilizzazione in manufatti fittili provenienti dalla Sicilia orientale e riconducibili agli an-ni 460-450 a.c., vale a dire un tipo di antefissa silenica da naxos 15, un pinax da francavilla con le teste affiancate di Zeus eleutherios e di Persephone-Hera 16, un’antefissa con delicato profilo di Hermes dalla necropoli siracusana del Giardino Spagna 17. Questi ultimi due monumenti condividono con la scultura in esame anche il motivo delle teste rivolte di profilo verso sinistra, direzione inconsueta nel rilievo greco, che predilige l’orientamento opposto.

Quanto detto depone a favore di un’attribuzione della testa da Pachino a una bottega attiva in ambiente siceliota, forse a Siracusa, negli anni intorno alla metà del V sec. a.c., attri-buzione del resto confermata dalla tecnica esecutiva, che ben si giustifica in una regione priva

80, n. 13) e la stele sepolcrale di antigone da rodi (napoli, Museo archeologico nazionale, inv. 152789), su cui: Pfuhl - Möbius 1977, 23 s., n. 49, tav. 12; Woysch-Méautis 1982, 116, n. 139, tav. 23. 10 Sui restauri antichi di sculture: frel 1972, 73 ss.; Harrison 1990, 163 ss. 11 Marconi 1994, 191 ss. (atlante, 88, 90, 94, 96). 12 ottime illustrazioni in ashmole - Yalouris 1967. Sui differenti gradi di rifinitura delle masse pelose nelle sculture di olimpia: rehak 1998, 193 ss.; Younger - rehak 2009, 62 ss. 13 Berlino, Staatliche Museen, antikensammlung, inv. 755: Blümel 1966, 11, n. 1, fig. 1. 14 Basilea, antikenmuseum und Sammlung ludwig: Pfuhl - Möbius 1977, 18 s., n. 31, tav. 7. 15 Pelagatti 1977, 54, figg. 8-10. 16 Spigo 2000, 35 ss., 56 ss., tipo XVii. 17 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 51004; Stile Severo, 258 s., n. 95 (u. Spigo). l’antefissa ap-partiene a una serie analizzata da Paribeni 1967, 281 ss. alle antefisse siciliane raccolte da Paribeni si aggiunga un esemplare da Serrarossa, ora nel Museo di crotone, riprodotto da M. cristofani, in EAA, suppl. (1970), 270, fig. 280, s.v. crotone.

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di marmo, e da un certo eclettismo dello stile, che coniuga una saldezza tettonica di matrice dorica con un raffinato gusto calligrafico di tradizione ionica 18.

in mancanza di elementi che consentano una ricostruzione complessiva del rilievo, ci si limita a ricordare che fra il tardo Vi e la metà del V sec. a.c., anteriormente alla ripresa su vasta scala della produzione attica, la tipologia di gran lunga più comune di stele sepolcrale prevede un fusto di proporzioni allungate, con finale ad anthemion e campo occupato per tutta la sua altezza dalla figura del defunto, rappresentato stante e, tranne rarissime eccezioni, da solo. Se per i giovani diviene canonica la raffigurazione come palestriti, gli uomini maturi nella maggior parte dei casi sono effigiati avvolti nel mantello, appoggiati a un bastone e in compagnia di un cane, verso cui rivolgono la testa abbassata. assai meno frequenti sono le stele di formato più largo, coronate da frontone e campite da due o più personaggi, ovvero dall’immagine singola del defunto seduto in trono 19.

la produzione di rilievi funerari ascrivibili alle tipologie illustrate conosce una diffusione su ampio raggio nel mondo greco della prima metà del V sec. a.c., sebbene i centri all’avan-guardia dal punto di vista creativo si localizzino nelle isole dell’egeo e sulle coste dell’asia Mi nore. da qui suggestioni iconografiche e stilistiche, artigiani, come pure prodotti finiti si irradiano verso numerose regioni della Grecia continentale e potrebbero avere raggiunto anche la Sicilia, fornendo gli stimoli e i modelli per l’avvio di una fabbricazione in loco.

a officina locale può ricondursi un secondo frammento di rilievo (Fig. 4), trovato nel 1905 da P. orsi a camarina, nella necropoli di Passo Marinaro 20. Scolpito in un marmo identico a quello dell’esemplare da Pachino, ritrae anch’esso una testa maschile di grandezza naturale, rivolta di profilo verso sinistra e sorretta da un collo massiccio, con muscolo sternocleidoma-stoideo in forte tensione 21. la testa è coperta da un elmo a pilos con calotta emisferica e tesa circolare, da cui fuoriescono corti riccioli che scendono sulla nuca e davanti all’orecchio, ove si fondono con le ciocchette mosse della barba piena, dal contorno chiuso. il volto ha tratti maturi e impersonali; l’ampio piano della guancia è movimentato dalla sporgenza poco accentuata del-lo zigomo; la bocca breve e carnosa, con angolo appena piegato verso il basso, ha il labbro su-periore ombreggiato da lunghi baffi lisci; il sopracciglio, fortemente rilevato alla radice del naso, disegna un’arcata ribassata al di sopra dell’occhio allungato, contornato da pal pebre spesse.

Sul lato posteriore della lastra (Fig. 5) si osserva, disposto ad angolo retto rispetto alla testa di guerriero, un segmento di fregio a rilievo, che è rimasto allo stato di abbozzo. Secon-do il metodo di lavorazione proprio dei rilievi greci 22, lo scultore, dopo avere tracciato sulla superficie del blocco, levigata con la gradina, i contorni della composizione, ha provveduto a scolpirli asportando la pietra intorno a essi fino a raggiungere la profondità prestabilita per il piano di fondo, che si presenta lisciato con cura, mentre la realizzazione dei dettagli interni è stata interrotta allo stadio iniziale 23. l’interpretazione delle sagome visibili lungo il margine

18 Proprio l’eclettismo formale può spiegare le valutazioni contrastanti di cui il pezzo è stato oggetto: consi-derato da vari studiosi un originale attico (orsi, ducati, Pelagatti, de Miro), è stato ascritto da Holloway a scuola peloponnesiaca, forse argiva, mentre Spigo e rolley lo attribuiscono a un artista siceliota. 19 Sulla produzione di stele funerarie nel periodo protoclassico: friis Johansen 1951, 120 ss.; Hiller 1975; Kaminski 2004, 51 ss. 20 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 24882 (alt. cm 30, largh. cm 26, spessore cm 7,5); orsi 1905a, 429 s., fig. 17; 1907, 25 ss., tav. i; Pace 1915, 549 nota 1; 1927, 108 s.; 1938, 63, fig. 71; libertini 1929, 168; ducati 1935, 154 s.; lippold 1950, 178; de Miré - Villard 1955, 293, tav. 51; langlotz 1971, 227 s., tav. ii; Holloway 1975, 37, 42, fig. 230; Mostra della Sicilia greca, 271, n. 654 (c. ciurcina); Stile Severo, 170, n. 7 (G. di Stefano); lanza 1990, 112, tav. lXXi; rolley 1999, 193; castagnino 2000, 513, figg. 14-15; Pafumi 2004, 59 con nota 62, 78; Barletta 2006, 102. 21 il rilievo è spezzato su tutti i lati. la superficie è ben conservata, con l’eccezione di piccole scheggiature sulla guancia, le palpebre, il bordo dell’orecchio, alcune ciocche della barba, i riccioli sulla nuca, la tesa dell’elmo sopra la fronte. Manca buona parte del naso. 22 in proposito si vedano: Blümel 1943, 72 ss.; adam 1966, in particolare 108 ss.; Palagia 1987, 76 ss.; rock-well 1989, 116 s.; duthoy 2000, 134 ss. Sui metodi di lavorazione comuni nel mondo greco in contrapposizione a quelli in uso in epoca romana: Boschung - Pfanner 1988, 7 ss.; 1990, 127 ss. 23 lo stesso stadio di finitura si riscontra in alcune delle metope arcaiche dall’Heraion alla foce del Sele, che ci restituiscono una ricca campionatura delle differenti fasi di lavorazione: conti 1994, 37 ss. in una lastra a più

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superiore del frammento rimane enigmatica, mentre nella zona inferiore si riconosce la bozza di una mano sinistra vista di profilo e tesa verso il torso nudo di una figura virile che, nel cade-re all’indietro, doveva puntellarsi sul braccio destro, mentre il braccio sinistro è piegato, con l’avambraccio che attraversa la fronte. la testa, inclinata sulla spalla destra, e le braccia sono rappresentate in visione frontale, il torace è invece lievemente ruotato di tre quarti e mostra un principio di modellazione dei pettorali e delle partizioni addominali; altrettanto può dirsi per l’omero e la spalla destra, per i capelli sulla calotta cranica e per la barba che, a lavoro finito, avrebbe circondato il volto.

l’atteggiamento del personaggio può essere meglio inteso attraverso il confronto con sce-ne di combattimento riprodotte nella pittura vascolare e su rilievi che raffigurano un aggres-sore, a piedi o a cavallo, muovente all’attacco contro un nemico che è caduto all’indietro e si accinge, in un disperato tentativo di difesa, a sferrare un fendente con la spada 24. lo schema iconografico descritto è suscettibile di molteplici varianti e trova impiego sin dal periodo ar-caico nel contesto di battaglie sia reali che mitologiche, quali gigantomachie, amazzonomachie, centauromachie. nel nostro caso dobbiamo idealmente restituire un assalitore che avanza da destra verso sinistra, mentre il suo antagonista, crollato a terra, piega il braccio sinistro pren-dendo slancio per vibrare un colpo con la spada che, all’atto del completamento del rilievo, sarebbe stata aggiunta in metallo. lo scontro fra i due contendenti doveva far parte di una composizione dal ritmo serrato, affollata di personaggi, a uno dei quali, che forse accorreva in soccorso del caduto, appartiene la mano abbozzata tuttora distinguibile.

l’impostazione leggermente di scorcio del torace, che convive con la presentazione di pieno prospetto della testa e degli arti superiori, unitamente a una certa rigidità nel rendimento del l’anatomia orientano verso una collocazione della scultura nella prima metà del V sec. a.c. tale inquadramento cronologico rende senz’altro preferibile una lettura in chiave mitologica della scena, la cui interpretazione come gigantomachia è forse suggerita dalla barba che in-cornicia il viso del protagonista, nel quale potremmo scorgere un gigante abbattuto da una divinità. del resto, la gigantomachia gode di vasta popolarità in Sicilia tra la fine del Vi e la prima metà del V sec. a.c., periodo in cui, per la sua pregnante valenza simbolica, diviene il tema prediletto per la decorazione di frontoni e cicli metopali 25. il nostro frammento invece, se ultimato, avrebbe fatto parte presumibilmente di un fregio narrativo continuo e costituisce perciò, insieme con alcune lastre con amazzonomachia da Selinunte 26, una rara testimonianza di un tipo di scultura architettonica scarsamente documentato in Sicilia.

Per ragioni a noi ignote l’esecuzione del fregio fu sospesa e la lastra fu girata e riutilizzata per ricavarvi una stele sepolcrale, procedura piuttosto inconsueta 27, da imputarsi verosimil-mente al valore che si attribuiva al materiale, il pregevole e costoso marmo acquisito nelle ci-cladi. il reimpiego della lastra esclude che il rilievo funerario sia stato importato dalla Grecia, come sostenuto da alcuni 28, dimostrando al contrario che esso fu scolpito in un’officina locale, con ogni verosimiglianza la stessa ove inizialmente si era andato approntando il fregio conti-nuo: se la deduzione è esatta, si delinea la fisionomia di una bottega scarsamente specializzata

figure pertinente al monumento delle nereidi di Xanthos il piano di fondo appare lisciato, ma l’esecuzione dei dettagli interni non è stata ancora avviata: Heilmeyer 2002, 464, n. 318. 24 fra i numerosi esempi si ricordano uno stamnos del pittore di Kleophrades con centauromachia (Parigi, Musée du louvre, inv. G 55: cohen 1983, 179 s., figg. 12.7a-12.7e) e il celebre monumento di dexileos nel Museo del ceramico, inv. P 1130 (ensoli 1987, 266 ss., per un’accurata analisi dello schema iconografico; da ultimo: Geominy 2004, 260 s., fig. 194). 25 Marconi 1994, 290 ss.; danner 2001, 110 ss.; Bonacasa 2005, 87 ss. 26 Palermo, Museo archeologico regionale, lastre di arenaria inv. 3910, 3911, dalla Gaggera: tusa 1983, 125 s., nn. 19-20; de Miro 1985, 233, figg. 271-272; lastra di calcare inv. 19654, dalla proprietà Messana: tusa 1983, 139 s., n. 63; Stile Severo, 221, n. 67 (e. Østby). 27 Si confronti un rilievo conservato nel Palazzo ducale di Mantova: Möbius 1956, 121 ss., Beil. 66,1. in que-sto caso un segmento di fregio dorico, pertinente a un naiskos funerario ellenistico, è stato reimpiegato come stele sepolcrale, scolpendo sul lato opposto la figura di un giovane. 28 Si è pensato a una importazione dal Peloponneso, forse da argos (Holloway) o dalle cicladi (langlotz). orsi attribuiva il rilievo a un artista attico attivo a camarina, mentre B. Pace, sottolineando i caratteri eclettici della scultura, la considerava opera siceliota.

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Stele funerarie di età claSSica dalla Sicilia Sud-orientale

Scolpire il marmo. Importazioni, artisti itineranti, scuole artistiche nel Mediterraneo antico Atti del convegno di studio tenuto a Pisa, Scuola Normale Superiore, 9-11 novembre 2009

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quanto ad ambito di produzione, al cui interno operano maestranze dedite alla realizzazione di sculture architettoniche come pure di stele funerarie.

tra l’avvio della lavorazione originaria e il riutilizzo deve essere intercorso un lasso di tempo relativamente breve, poiché la visione formale della testa elmata ci riporta al terzo ven ti cinquennio del V sec. a.c. una chiara indicazione in tal senso scaturisce dal confronto con alcune figure del fregio del Partenone, in particolare un giovane cavaliere (Fig. 6) del la-to occidentale 29, che si avvicina al nostro oplita per il fresco naturalismo del volto, la tenue modulazione delle superfici e soprattutto la resa dell’occhio, con globo arrotondato, palpebra inferiore spessa e aggettante e palpebra superiore sottosquadrata verso l’angolo interno e se-parata mediante un’incisione dall’arcata sopraccigliare ribassata. Pur non mancando rapporti con l’attica, ancora più stringenti sono i nessi con il mondo ionico, ravvisabili nella morbidezza del l’incarnato, la delicatezza della bocca, la pastosità delle ciocche, che trovano paralleli in stele funerarie prodotte nella ionia o comunque da artisti ionici nei decenni immediatamente successivi alla metà del V sec., come la stele di Philis da thasos al louvre 30, il rilievo con personaggio barbato da Karystos a Berlino (Fig. 7) 31 o quello con giovane guerriero detto pro-venire da Pella 32.

rispetto alle opere citate, il frammento in esame conserva qualche reminiscenza dello stile severo nel trattamento della barba e dei capelli, stilizzati in ciocchette arricciate, nettamente distinte le une dalle altre e prive di rifinitura di dettaglio, che richiamano quelle scendenti sulla fronte di Hermes sulla già ricordata antefissa fittile dalla necropoli siracusana del Giardino Spagna. i palesi legami con quest’ultima, evidenziabili anche nella soda carnosità del volto, nel-la tenerezza delle labbra tumide, dai contorni indistinti, nella robustezza del collo, confermano la fattura locale del rilievo da camarina.

immagini di guerrieri, in atteggiamento statico o in schema di combattimento, compaio-no sin dall’epoca arcaica su stele funerarie di differenti centri di produzione 33, isolate ovvero in composizioni a due o più figure. il guerriero, che può essere effigiato nudo o in abbigliamento militare, è connotato dalle armi, tra le quali ricorre frequentemente l’elmo a pilos con calotta conica, mentre assai più rara è la variante con calotta emisferica 34, documentata dal rilievo ca-marinese. Per quanto concerne l’aspetto complessivo di quest’ultimo, il modulo ridotto del fre-gio abbozzato sul lato posteriore 35 esclude uno sviluppo dimensionale in larghezza sufficiente ad accogliere più personaggi, consigliando la ricostruzione di una stele dal fusto slanciato con figura del defunto isolata, grande al vero e statica, sul modello offerto dalla menzionata stele «da Pella», che tra l’altro rappresenta l’oplita rivolto verso sinistra, direzione condivisa dal no-stro frammento e, come si è detto, poco comune nel rilievo greco.

Secondo una teoria diffusa, le raffigurazioni di guerrieri sui monumenti funerari avrebbe-ro un nesso diretto con le vicende esistenziali del defunto, intenderebbero cioè commemorare imprese belliche nelle quali egli si era distinto, se non addirittura evocare la sua morte tra le

29 lastra W ii,2: Brommer 1977, 4 s., tavv. 9-10. ottime riproduzioni fotografiche, che permettono di coglie-re i legami fra le due teste, in ashmole 1972, 124, figg. 138-139. 30 Parigi, Musée du louvre, inv. Ma 766: Hamiaux 2001, 108, n. 97; Pasquier - Martinez 2007, 80 s. (a. Pas-quier). 31 Berlino, Staatliche Museen, antikensammlung, inv. Sk 736: Blümel 1966, 14 s., n. 3, figg. 3, 5, 7; da ultimo: Scholl - Platz-Horster 2007, 157, n. 90 (M. Kunze). 32 istanbul, Museo, inv. 39: rodenwaldt 1913, 317 s., fig. 2; lippold 1950, 176, tav. 64,2; fuchs 1982, 430, fig. 570. 33 Sulle raffigurazioni di guerrieri nell’arte funeraria, con particolare riferimento all’ambiente attico: Schweit-zer 1963, 335 ss.; clairmont 1972, 49 ss.; Stupperich 1977, 137 ss.; CAT, i, 223; Barbagli 2001, 95 ss. 34 dintsis 1986, 57 ss. (elmo a pilos con calotta conica), 75 s., tav. 31,3.4, Beil. 4 (elmo a pilos con calotta arrotondata); feugère 1994, 27 s. la variante con calotta arrotondata si incontra con una certa frequenza sui rilievi «melii»: Stilp 2006, 185 s., Kat. 42, tav. XiX; 198 s., Kat. 63, tav. XXViii; 203 s., Kat. 71, tav. XXXi; 210 s., Kat. 80, tav. XXXV; 223 s., Kat. 107, tav. Xliii (per lo statere d’argento melio con testa giovanile: 15, 61, tav. lXXXVa). 35 la parte superstite del corpo del caduto misura cm 18, su un’altezza massima del fregio pari a cm 26, cor-rispondente alla larghezza del campo figurato sul lato opposto (si ricordi che il fregio si sviluppa ad angolo retto rispetto al rilievo sepolcrale).

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file dei combattenti 36. nel caso presente è importante sottolineare che il frammento con testa elmata si colloca nella fase di maggiore fioritura di camarina che, dopo la rifondazione urbana e politica del 461 a.c. (su cui diod. 11.76.4-5), vive un lungo periodo di espansione demogra-fica e prosperità economica 37, cui porrà termine la distruzione cartaginese del 405 a.c. nel 428/427 a.c., al momento dello scontro fra Siracusa e leontini, la città si schiera, insieme con le colonie ioniche della Sicilia orientale e con reggio, a fianco della polis calcidese e diviene al-leata di atene (thuc. 3.86.1-5), con cui del resto coltivava da tempo rapporti di amicizia. Sullo sfondo di tali vicende storiche è suggestivo supporre che il rilievo segnalasse la sepoltura di un illustre cittadino di camarina, ritratto come oplita non solo per esaltare la sua areté militare, in quanto valore intrinseco del buon polites, ma forse anche per tramandare ai posteri il ricordo della sua partecipazione alla guerra del 428/427 a.c., nel corso della quale poteva avere trovato una morte gloriosa sul campo di battaglia.

non distante dal rilievo camarinese per stile e cronologia sembra essere un frammento di stele sepolcrale (Fig. 8) venuto alla luce nella necropoli siracusana del fusco 38, oggi depositato nei magazzini del museo. il frammento, di calcare bianco, riproduce la testa di un giovanetto, girata di profilo verso destra e caratterizzata dall’accentuato sviluppo della zona occipitale, che giunge quasi a contatto con il margine della lastra, conservatosi sul lato sinistro 39. il cranio si presenta completamente liscio, sicché occorre presumere che i capelli fossero in origine resi con il colore; il volto, dai lineamenti acerbi, è pieno e tondeggiante, con sottogola carnoso e guancia appena mossa dal risalto dello zigomo, che trapassa nello sguscio creato dall’aggetto della palpebra inferiore; l’occhio, gravemente danneggiato, ha taglio allungato; il naso sottile e diritto continua la linea della fronte sfuggente; la bocca, con angolo che accenna una piega al l’ingiù, ha il labbro inferiore morbido e prominente.

tratto distintivo della testa può dirsi la peculiare conformazione della calotta cranica, liscia, con sommità leggermente appiattita e regione occipitale ampiamente sviluppata, motivo che connota talune immagini di piccoli servitori riprodotti accanto ai loro padroni su stele funerarie di fattura non attica 40. Si ricordano una stele da egina 41, del 450 a.c. ca., con gio-vane ammantato che accarezza il capo del suo pais, un rilievo dalla Beozia 42, databile intorno al 440-430 a.c., che effigia un poeta nell’atto di consegnare la lira al suo servitore, e infine un esemplare da tebe 43, del 410-400 a.c., in cui lo schiavetto fronteggia un personaggio avvolto nel mantello e appoggiato a un bastone. in tutti e tre i casi il pais è nudo, stante, addossato a una cornice laterale della lastra e, coerentemente con la sua tenera età, ha un’altezza nettamen-te inferiore a quella del padrone, verso il quale rivolge lo sguardo sollevando la testa.

Sulla scorta degli esempi addotti si potrebbe congetturare che il nostro frammento appar-tenesse a una stele a due figure, campíta da un giovane servitore posto di fronte a un adulto, identificabile con il defunto. tale soluzione compositiva ben si accorda con la posizione della

36 così Stupperich 1977, 182 ss.; Barbagli 2001, 95 ss.; Papini 2003, 84. Contra: Bergemann 1997, 63 s., 79 s. 37 cordano 2000, 191 ss.; 2006, 139 ss.; di Stefano 2006, 157 ss. 38 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 36396 (alt. cm 34, largh. cm 24, spessore cm 13); la scultura è inedita; dai registri inventariali del Museo di Siracusa si ricava che essa appartiene ai rinvenimenti sporadici effet-tuati nella necropoli da P. orsi nel 1914. in proposito orsi (1915, 184) scrive: «che la necropoli [del fusco] fosse adorna, nel soprassuolo, di stelai sculte, lo desumo dalla presenza di alcuni pochi ed assai lacunosi frammenti plastici, in marmo ed in calcare finissimo, pertinenti tutti ad altorilievi, con residui di figurazioni, che dal poco che si scorge pare si debbano tutte riferire al sec. V». 39 il rilievo è fratturato su tre lati; il fianco sinistro lisciato mostra alla sommità una scalfittura profonda; il retro, lavorato grossolanamente, reca visibili i segni dello scalpello; nel piano inferiore si apre un foro circolare (prof. cm 11) destinato al perno che sorreggeva il frammento nell’esposizione museale del secolo scorso. la su-perficie è intaccata in più punti da piccole scheggiature; scheggiature più cospicue interessano la base del collo, la punta del naso, il sopracciglio, il labbro superiore, la regione occipitale del cranio; il mento è perduto, dell’orec-chio si conserva solo il foro del condotto auricolare, il globo oculare è pressoché scomparso. la superficie del piano di fondo all’altezza della fronte è abrasa. 40 Sul tema: Heimberg 1973, 26 ss. 41 egina, Museo archeologico, inv. 739: Hiller 1975, 174 s., K7, tav. 17; rühfel 1984, 86 ss., fig. 35. 42 Basilea, antikenmuseum und Sammlung ludwig, inv. G. 1957.14: Schild-Xenidou 2008, 251, Kat. 18, tav. 6 (con bibliografia). 43 tebe, Museo archeologico, inv. 45: Schild-Xenidou 2008, 277 s., Kat. 45, tav. 16 (con bibliografia).

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testa del giovanetto, tangente al bordo della lastra, ma urta contro alcune difficoltà: la testa, infatti, non è sollevata, ma ha lo sguardo fisso in avanti e possiede un’altezza tale (cm 20) che, ipotizzando la presenza di un adulto, si otterrebbe un monumento dalle dimensioni eccessive. È preferibile perciò restituire una stele dal fusto molto stretto e allungato, interamente occupato dalla figura del giovanetto, nel quale si può quindi riconoscere il defunto. Questa ricostruzione è confortata dal raffronto con una stele in poros dalla licia (Fig. 9), creazione di area greco-orientale degli anni intorno al 460 a.c. 44, che, entro un’incorniciatura a listello piatto, ritrae di profilo un giovanetto nudo, con cranio dolicocefalo e privo di indicazione plastica dei capelli, che reca un bastone nella mano sinistra abbassata e stringe un fiore nella mano destra.

il misero stato di conservazione pregiudica la valutazione stilistico-formale del frammen-to dal fusco, che ha in comune con quello da camarina sopra esaminato il rapporto tra il rilievo, delimitato da contorni nitidamente definiti, e il piano di fondo, la compatta volumetria del capo, la sensibilità di modellato dei piani del viso, la serenità dell’espressione, improntata a pacato distacco. È perciò plausibile una datazione nella seconda metà del V sec. a.c. anche per questo pezzo, che per l’uso del calcare locale può essere certamente ascritto a una bottega attiva nella stessa Siracusa.

al rilievo dal fusco può affiancarsi per tematica una stele frammentaria (Fig. 10), ma in migliore stato di conservazione, scoperta da orsi nella necropoli siracusana di contrada ta-racati 45. la lastra, di marmo bianco a grana media, si presenta spezzata su tre lati e conserva integro il solo fianco sinistro, che mostra un’accurata lavorazione a gradina, di cui rimangono visibili i segni 46. nel campo frontale, privo di cornici, si staglia con rilievo piuttosto basso la figura di un bambino, di circa quattro anni, stante di tre quarti verso destra, con il peso del cor-po gravitante sulla gamba sinistra, rappresentata di profilo, mentre la gamba destra flessa è resa di prospetto. il braccio destro, teso lungo il fianco, è privo del polso e della mano, al posto dei quali si osserva una sagoma in leggero aggetto, dalla superficie scabra e attraversata da un foro, interpretabile come traccia di un restauro volto a risarcire un danno subito dalla mano, che for-se stringeva un attributo, non identificabile. lungo il fianco sinistro scende, solcata da pieghe verticali schiacciate, la stoffa di un mantello, che all’altezza del petto e dell’addome si compone in più corpose falde ad arco; il disegno curvilineo delle pieghe, associato a un lieve innalzamen-to del pettorale, fa ritenere che il mantello poggiasse sulla spalla e sul braccio sinistro, aperto lateralmente. il corpo nudo, dalle proporzioni tozze tipiche dell’età infantile, è articolato da sobrie notazioni anatomiche: la curvatura appena accennata dei pettorali, la morbida piega adi-posa sotto l’ascella, la prominenza del ventre, sottolineata da una tenue depressione al di sopra del l’inguine, i cui solchi sembrano affondare nella carne, l’incavo profondo dell’ombelico, le cosce ben tornite. degno di nota, dal punto di vista tecnico, è l’andamento ineguale del piano di fondo (Fig. 11), che risulta convesso in corrispondenza della figura, sicché essa, proiettata verso lo spettatore, acquisisce maggiore evidenza e una misura quasi statuaria.

P. orsi, nel pubblicare la scultura all’indomani del rinvenimento, la assegnava alla fine del V sec. a.c. e ricostruiva una scena di congedo funebre, ipotizzando che il fanciullo volgesse la testa verso un personaggio collocato alla sua sinistra. clairmont invece classificava il pezzo tra le stele a figura singola, tesi che sembra preferibile, in quanto il protagonista risulta centrato nel campo della lastra, mentre, nel caso di composizioni a due figure, queste sono in genere si-tuate a ridosso dei margini laterali. immagini singole di bambini compaiono per la prima volta su rilievi sepolcrali ionici e cicladici dei decenni centrali del V sec. a.c., ma il soggetto gode di

44 atene, Museo nazionale, inv. 1825: Kaltsas 2002, 89, n. 153. 45 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 35441 (alt. cm 60, largh. cm 43, spessore cm 7); orsi 1915, 193, fig. 8; Pace 1915, 549 nota 1, fig. 56; libertini 1929, 166; ducati 1935, 155; CAT, Intr., 196 nota 10, 207 s.; CAT 0.861a. 46 la superficie preserva la freschezza originaria, fatta eccezione per leggere incrostazioni che la rivestono in più punti; scheggiature interessano la spalla sinistra della figura e le estremità delle pieghe del mantello scendenti lungo il suo fianco sinistro.

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speciale fortuna sui monumenti funerari attici del periodo tardo classico 47. Sebbene la stesura iconografica del tema preveda una ricca gamma di variazioni, già nel primo venticinquennio del iV sec. all’interno delle botteghe ateniesi si afferma una versione canonica (Fig. 12), de-stinata a eternare la memoria di bambini fra i tre e i cinque anni, la cui precoce scomparsa è compianta attraverso l’evocazione di momenti felici di gioco e spensieratezza. il bambino è rappresentato stante, volto frontalmente o di tre quarti verso sinistra, con il corpo drappeg-giato in un mantello o, più spesso, nudo, con l’eccezione di una clamide gettata sulla spalla sinistra e talora avvolta intorno al braccio abbassato. lo accompagnano gli animali prediletti, con i quali amava intrattenersi durante la sua breve esistenza: con una mano porge infatti un uccellino a un cane di razza maltese, che spicca un salto verso il volatile; non di rado nell’altra mano stringe il timone di un carretto, che può anche fungere da unico attributo 48.

la stele siracusana trae evidentemente ispirazione dallo schema elaborato in ambiente attico, ma lo ripropone con modifiche nella direzione del corpo, rivolto verso destra anziché verso sinistra, nell’assetto del mantello, che si dispiegava accanto alla figura, nel gesto del brac-cio sinistro, che doveva essere alzato e portato di lato 49. È impossibile dire se fossero presenti attributi od oggetti in qualche modo legati alla sfera personale del defunto 50. Se lo spunto iconografico sembra provenire dall’attica, la concezione stilistica denota invece stringenti rap-porti con la ionia, come dimostrano la fluidità dei contorni, la morbidezza delle forme piene e carnose, il modellato ricco di sfumature dell’epidermide tenera ed elastica 51.

ai fini dell’inquadramento cronologico è opportuno rilevare che la figura appare salda-mente ancorata al piano di fondo, da cui emerge con un rilievo poco accentuato, sicché la co struzione delle forme è ancora in larga misura affidata alla linea di contorno. d’altro canto la presentazione di tre quarti del torace, cui fa riscontro la resa di prospetto della gamba e del braccio destro, denuncia uno stadio evolutivo piuttosto avanzato nella relazione tra l’immagine e lo spazio che la accoglie. alla luce di quanto osservato, presupponendo uno scarto cronologi-co di alcuni anni fra la creazione del modello da parte delle maestranze attiche e la sua recezio-ne e reinterpretazione, si può proporre una datazione negli anni 380-370 a.c.

rientra in una temperie stilistica non dissimile un’ulteriore stele funeraria (Fig. 13) da Siracusa 52, che è detta provenire dal quartiere di tyche, benché siano ignoti il luogo e le circo-stanze del ritrovamento 53. Si tratta di una lastra di marmo bianco a grana medio-piccola, sprov-vista di cornici laterali, i cui fianchi sono diversi per spessore e caratteristiche esecutive: quello sinistro (Fig. 14), spesso cm 5,5, è lisciato, tranne che nel settore inferiore dove la superficie reca i segni della subbia, e risulta tagliato ad angolo ottuso verso il lato posteriore; a un terzo del l’altezza (cm 28 dalla base) vi è inoltre praticato un incasso, che prosegue sul piano frontale.

47 Woysch-Méautis 1982, 39 ss., 53 ss.; Hirsch-dyczek 1983, 18 ss. (in particolare 31 ss., tipo 7); Vorster 1983, 1 ss.; rühfel 1984, 95 ss., 124 ss., 165 ss.; CAT, i, 134 ss.; Scholl 1996, 114 ss.; Bergemann 1997, 83; Burnett Grossman 2007, 310 ss. 48 così, per esempio, sulla stele di Mnesikles, conservata a Princeton (n.J.), Princeton university art Museum, inv. 1986-67: CAT 0.928; neils - oakley 2003, 305, n. 122. 49 tale gesto assicura che il fanciullo non tendeva un uccellino al suo cane, poiché in questo caso il braccio sinistro sarebbe stato abbassato in direzione del maltese. 50 non si può escludere che comparisse, con funzione di attributo, uno schiavetto di età di poco più matura del suo padrone, rappresentato a ridosso del margine destro della lastra e in scala ridotta per enfatizzare lo stato sociale più elevato del bambino defunto, soluzione iconografica che è adottata, per esempio, sulla stele di Philo-stratos nel Museo nazionale di atene, inv. 3696: CAT 0.855a. 51 Sui caratteri dello stile ionico, con specifico riguardo ai rilievi funerari: Pfuhl 1935, 14 ss. 52 f. Hauser, in EA, n. 757 (1897); libertini 1929, 160; Pfuhl 1935, 22; lippold 1950, 211; de Miré - Villard 1955, 293, fig. 14; loicq-Berger 1967, 151, tav. Xii; CAT, Intr., 196 nota 10, 207 s.; CAT 1.865. 53 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 837 (alt. cm 104, largh. cm 90). rimane poco più della metà del rilievo, la cui superficie è scalfita da diffuse scheggiature di modesta entità; scheggiature più grosse interessano i dorsi di alcune pieghe del mantello e la punta del piede sinistro della figura femminile, il pettorale destro, il ginocchio sinistro, l’addome e l’area genitale del giovanetto. del giovane mancano la testa, le spalle, l’estremità del l’avambraccio e la mano destri, un settore della pianta e le ultime due dita del piede sinistro, gran parte del pene, che era lavorato separatamente e innestato in un foro; del braccio sinistro si conserva parzialmente l’omero. la figura femminile è mutila a partire dalle anche. Scheggiati i bordi laterali della lastra, che è priva dell’angolo inferiore sinistro.

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il fianco destro (Fig. 15) ha uno spessore massimo di cm 8; la superficie scabra è percorsa dai segni della subbia, eccetto che nella parte superiore, semirifinita; un incasso, parzialmente dan-neggiato, si apre in posizione simmetrica rispetto a quello visibile sull’altro fianco; a due terzi del l’altezza è infissa nel marmo una barra di ferro, ora mutila.

Sulla fronte campeggiano, con discreto aggetto dal fondo, due personaggi stanti, rivolti leggermente l’uno verso l’altro, che si impostano su un listello di base di altezza decrescente da destra (cm 5,5) a sinistra (cm 4,5), lisciato nella metà destra e solcato nella metà sinistra da colpi diagonali di subbia, che continuano sul piano orizzontale della base; due fori circolari compaiono al centro della faccia anteriore del listello e in prossimità del suo spigolo sinistro. il campo figurato è occupato a destra da un giovanetto in veduta di tre quarti verso sinistra, che gravita sulla gamba destra e ruota di prospetto la gamba sinistra flessa e scartata di lato; il giovane, dalla corporatura minuta, solleva il braccio destro verso la figura posta al suo fianco, nella cui direzione doveva girare anche la testa; del braccio sinistro, che scendeva teso a lato del corpo, si distingue un avanzo che corre lungo il margine della lastra, interrompendosi a un’al-tezza corrispondente all’inizio dell’avambraccio, che per la parte restante era presumibilmente scolpito a tutto tondo, poiché non ne rimangono tracce sul piano di fondo; la mano giungeva forse a contatto con l’elemento cilindrico, alquanto logoro e perciò non identificabile, che si scorge accanto alla coscia sinistra, all’interno del quale è un foro circolare. da notare che il pia-no di fondo, di profondità variabile, avanza in corrispondenza dell’immagine del giovanetto, conferendole maggiore plasticità e risalto. della figura di sinistra sopravvive la metà inferiore del corpo, che è interamente avvolta in un himation, le cui pieghe corpose fasciano, seguen-done il contorno, la gamba destra, portata di lato, frontale e piegata, mentre la gamba sinistra tesa è nascosta dietro la stoffa pesante; l’andamento delle pieghe, che convergono tutte verso l’alto disegnando ampi archi concentrici, fa pensare che il mantello si raccogliesse intorno al-l’avambraccio sinistro proteso, da cui i suoi lembi, conclusi da una cimosa resa plasticamente, ricadono verticalmente lungo il fianco.

dall’orlo ondulato del mantello fuoriesce soltanto il piede sinistro, che calza sandali a suola alta; vicino a esso si osserva un incavo (cm 5 × 4,5), funzionale all’inserimento del piede destro, che doveva essere eseguito separatamente, non sappiamo se sin dall’origine oppure, co-me pare più probabile, a seguito di un intervento di rilavorazione 54, i cui segni sono ben perce-pibili sull’orlo del mantello al di sopra dell’incavo, sul lato esterno di quest’ultimo, sul piano di appoggio della figura, sulla metà sinistra del listello di base, a cui fu intenzionalmente asportato l’angolo. a tale intervento, che sembrerebbe risalire a epoca antica, ma la cui cronologia non è determinabile con esattezza, potrebbero ascriversi i fori circolari, di incerta funzione, praticati sul listello ed entro l’oggetto adiacente alla coscia del giovanetto, come pure il taglio ad angolo ottuso del fianco sinistro della lastra e gli incassi presenti sui due fianchi, che dovevano ospitare grappe destinate presumibilmente ad ancorare la stele a una parete di fondo o a congiungerla con lastre contigue 55.

nella scena i primi commentatori hanno visto un giovane in gesto di adorazione davanti a una divinità maschile, intendendo il rilievo come votivo 56, ovvero un efebo che si congeda dal

54 con lo stesso procedimento tecnico, dopo il trasferimento a roma, si è provveduto al restauro del piede sinistro della niobide dagli Horti Sallustiani ora nella ny carlsberg Glyptotek di copenhagen: su cui Vierneisel 1990, 32. Sulla rilavorazione, peraltro relativamente frequente, dei rilievi funerari, in genere finalizzata a un loro reimpiego: Schmaltz 1998, 165 ss.; Schmaltz - Salta 2003, 49 ss. 55 Soluzioni tecniche affini (taglio ad angolo di uno dei fianchi e incassi sui lati) si ritrovano nel rilievo con oplita dall’agorà di cirene: Beschi 1959, 91 ss., 136 ss., fig. 31. la rilavorazione della stele ai fini di un suo riuti-lizzo, forse con una diversa destinazione d’uso, parrebbe rimontare all’antichità in quanto le zone da essa interes-sate, in particolare l’incasso aperto sul fianco destro, hanno subito danni nel corso del tempo. a epoca moderna potrebbero invece appartenere i perni in ferro inseriti nel piano frontale del rilievo, che si concentrano intorno alla figura del giovanetto: dietro l’avambraccio destro, nel tratto finale dell’avanzo del braccio sinistro, vicino alla caviglia sinistra e davanti alla gamba destra. che i quattro perni siano stati infissi in età moderna (in funzio-ne di un allestimento espositivo?) pare suggerito dal fatto che un quinto, oggi visibile nel mantello della figura femminile, poco sopra la caviglia sinistra, non compare in una ripresa fotografica del 1971, eseguita dall’istituto archeologico Germanico di roma, neg. n. 71.896. 56 f. Hauser, in EA, n. 757 (1897); lippold 1950, 211.

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padre o dal precettore 57; spetta a clairmont il corretto riconoscimento di un personaggio fem-minile nella figura di sinistra, drappeggiata in un himation che singolarmente scende fino ai pie-di senza lasciare intravedere il chitone sottostante. la composizione affianca quindi una figura femminile a un giovanetto di circa 10-12 anni, tema inusuale sui rilievi funerari, ma comunque attestato da alcune stele di produzione attica 58, come quella, oggi dispersa, che immortala Melis nell’atto di cingere le spalle del figlio antiphanes, prematuramente scomparso, e di porgergli un uccellino, verso il quale il ragazzo tende le mani 59. ancora più simile al nostro è un rilievo conservato a Houston (Fig. 16), sul quale Megisto stringe contro il corpo un leprotto, che il pic-colo eratoxenos sta toccando con la mano destra 60. in entrambi gli esemplari, come pure nella stele in esame, l’impaginato compositivo mira a sottolineare l’intimo legame affettivo esistente fra i personaggi, che trova espressione tangibile nella ponderazione speculare, nell’incrocio de-gli sguardi e soprattutto nei gesti. Sulla stele di Melis e antiphanes il gesto avvolgente del brac-cio della madre è amplificato dalla tensione del manto, che si allarga dietro il corpo del figlio quasi a proteggerlo, mentre le mani del giovanetto sfiorano con tenerezza la mano materna. Sul rilievo di Megisto ed eratoxenos è invece il leprotto a fungere da cerniera fra i due protagoni-sti, connessi sul piano emotivo anche dall’incontro degli sguardi. Sull’esemplare siracusano le figure formano quasi una massa unitaria, saldata visivamente dall’ampia ricaduta del mantello, su cui poggia l’avambraccio destro del ragazzo, forse proteso verso un oggetto oggi perduto.

in assenza di iscrizioni non è possibile stabilire chi sia il defunto, se il giovane o la donna o entrambi; si può tuttavia rilevare che il giovanetto, essendo come spinto in avanti dal maggio-re risalto del piano di fondo, assurge in un certo qual modo al ruolo di protagonista principale della scena, ruolo che parrebbe meglio adattarsi al destinatario del monumento.

note dominanti del rilievo, dal punto di vista formale, sono la fluidità dei contorni, la morbidezza del modellato, la predilezione per trapassi di piano sfumati, caratteristiche che rimandano inequivocabilmente al mondo ionico. nella figura femminile il ricco drappeggio del mantello risponde a esigenze essenzialmente ornamentali e manifesta scarsa attenzione al rap-porto organico con la sottostante struttura corporea, che risulta avvertibile solo nel contorno della gamba destra, mentre la gamba sinistra è celata dietro la stoffa pastosa, che scende pesan-te come una cortina, terminando con l’ondulazione sinuosa dell’orlo. Pieghe spesse, scandite da solchi profondi, si addensano sulla gamba flessa con un gusto calligrafico che traspare anche nella minuziosa segnalazione della cimosa della stoffa, simile a una frangia, in cui rivive un ma-nierismo di tradizione ionica ricorrente nella scultura attica della seconda metà del V sec. a.c., ma assai poco diffuso dagli inizi del iV sec. a.c. 61. analogamente a quanto si osserva in una statuetta votiva (Fig. 17) da Kos 62, databile intorno alla metà del iV sec. a.c., la figura si espan-de notevolmente in larghezza, poiché i lembi del mantello non ricadono aderenti al corpo, modellandolo, ma si dispiegano sul piano frontale; l’impressione di ampiezza è poi accresciuta dalla staticità della posa, con piedi molto discosti l’uno dall’altro e scarsa differenziazione fra gamba libera e gamba portante.

il corpo del giovanetto ha forme gracili e proporzioni slanciate; le gambe affusolate e un po’ legnose sostengono il torso esile, privo di consistenza volumetrica, nel quale il modellato si risolve in un gioco di risalti e depressioni quasi impercettibili, che modulano la superficie evitando ogni netta cesura. alla scarsa organicità della resa anatomica si accompagna un ritmo gravitazionale poco coerente, a causa della mancata rispondenza fra l’atteggiamento delle gam-be e l’articolazione del torace, che rimane rigido e inerte per l’orizzontalità delle linee dei fian-

57 libertini 1929, 160; loicq-Berger 1967, 151. 58 Sul tema cfr. Woysch-Méautis 1982, 39 ss.; Hirsch-dyczek 1983, 39 ss.; rühfel 1984, 142 ss., 160 ss.; Bergemann 1997, 40, 121. agli esempi ricordati nel testo si aggiunga la stele conservata ad atene, Museo nazio-nale, inv. 711, dove le due figure affrontate possono certamente interpretarsi come fratello e sorella: CAT 1.575. 59 CAT 1.870; Bergemann 1997, 167, n. 367. 60 Houston, the Menil collection, inv. 70.32: CAT 1.695; Bergemann 1997, 160, n. 66, tav. 15,2. 61 Sul motivo, che ricorre episodicamente anche sulle stele funerarie (CAT 1.550, 1761): ridgway 1981, 13 con nota 12. 62 Kabus-Preisshofen 1975, 39 ss., tavv. 13-15.

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chi, delle spalle e dei pettorali. Per contrasto si può richiamare una stele funeraria da tespie 63 riproducente un efebo che è contrassegnato anch’egli da una delicatezza quasi esasperata del-l’incarnato, ma che appare tuttavia pienamente conseguente nel ritmo della ponderazione, di palese matrice policletea.

rispetto all’esemplare beotico, assegnato al 400-390 a.c., la nostra stele rivela un rapporto più maturo tra lo spazio e le figure che, benché ancora largamente aderenti al piano di fondo, tendono però a svincolarsi da esso, aggettando con un rilievo piuttosto alto (spessore massimo cm 8) e assumendo pose di tre quarti, che suggeriscono una profondità spaziale. Sembra perciò plausibile una datazione intorno al 370-360 a.c.

le due stele da Siracusa ora analizzate possiedono significativi punti di contatto, che in-vitano a considerare l’eventualità di una loro attribuzione a botteghe attive localmente e stret-tamente imparentate. innanzitutto è identica la maniera in cui è realizzato il piano di fondo, caratterizzato da una profondità variabile, che diminuisce sensibilmente in corrispondenza dei protagonisti, conferendo loro una maggiore evidenza plastica. Si tratta di una modalità esecu-tiva che non trova confronti precisi 64, la cui presenza nei due rilievi siracusani non può che riflettere una prassi esclusiva di maestranze operanti nella stessa officina o in officine accomu-nate dagli stessi procedimenti tecnici. a ciò si aggiunga che in entrambi i rilievi è perspicua la ripresa di schemi iconografici ideati in ambiente attico, che sono oggetto di autonoma rimedi-tazione e rielaborazione per essere poi rivissuti attraverso un linguaggio stilistico intimamente permeato di cadenze ioniche. in entrambe le stele, infine, non mancano sordità e cadute di to no, che in qualche misura nuocciono al risultato formale d’insieme.

l’ultima scultura qui presa in esame fu trovata da orsi a camarina, nel corso degli sca-vi condotti nella necropoli di Passo Marinaro nel 1896 65. Si tratta di una figura femminile (Fig. 18), purtroppo mutila 66, che è plasmata su una lastra di marmo pentelico con una tecnica molto singolare, a metà strada fra il tutto tondo e l’altorilievo: la figura infatti non emerge da un piano di fondo, ma si presenta tagliata regolarmente sul fianco sinistro e sul lato posteriore (Fig. 19), la cui superficie, dapprima perfettamente lisciata, ha poi ricevuto una picchiettatu-ra con colpi di subbia distribuiti irregolarmente, con ogni probabilità allo scopo di favorirne l’adesione a uno sfondo. il frammento fu scoperto nel riempimento di un sepolcro tardo (275-258 a.c.) insieme con materiali architettonici di calcare pertinenti a un’edicola funeraria di or-dine dorico, che orsi assegna agli anni 350-275 a.c. ipotizzando che sia stata distrutta durante l’incursione dei Mamertini. Possiamo quindi ritenere che la scultura si ergesse all’interno di un naiskos, con il lato posteriore addossato alla parete di fondo dell’edificio e saldato ad essa mediante adesivi, la cui presa era favorita dalla picchiettatura effettuata sul retro.

il frammento restituisce la parte mediana, conservatasi dalla vita sino alle ginocchia, di una figura femminile grande al vero, che è effigiata in posizione frontale, con il peso scarica-to sulla gamba sinistra tesa, mentre la gamba destra è flessa e doveva essere scartata di lato. indossa un chitone, solcato da rigide pieghe, e un himation, che fascia la parte inferiore del corpo componendosi all’altezza dei fianchi in un rotolo orizzontale, da cui scende sul ventre un’ampia piega a triangolo isoscele, conclusa da una nappina.

la durezza di trattamento del panneggio è accentuata dalla tessitura ruvida e opaca delle superfici, che non hanno ricevuto la lisciatura finale e recano quindi visibili i segni della ra-

63 atene, Museo nazionale, inv. 829: Schild-Xenidou 2008, 301 s., Kat. 71, tav. 29. 64 un andamento ineguale del piano di fondo si riscontra anche nel già menzionato rilievo con oplita dall’ago-rà di cirene (Beschi 1959, 98 s., 105 s.; CAT 1.215) e nella stele da tespie appena ricordata, dove il fondo si ap-profondisce intorno alla figura, divenendo leggermente concavo. 65 Siracusa, Museo archeologico regionale, inv. 16470 (alt. cm 76, largh. cm 45, spessore cm 15): orsi 1899, 257 ss., fig. 50; 1907, 32 s. il frammento è conservato nei magazzini del museo. 66 la superficie è in ottimo stato di conservazione, fatta eccezione per alcune scheggiature che intaccano i dorsi delle pieghe del mantello, soprattutto sul lato destro; spezzate le pieghe che scendono lungo il fianco sini-stro. il taglio verticale di quest’ultimo, lavorato a gradina, è privo di uno scheggione di marmo nella parte supe-riore; il fianco destro si presenta lacunoso in corrispondenza del risvolto dell’himation; lesioni minori interessano il contorno esterno della coscia. al centro dei piani di frattura superiore e inferiore compare un foro circolare praticato nel secolo scorso in funzione dell’allestimento espositivo.

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spa 67. il mantello, nonostante la resa un po’ schematica, si drappeggia in accordo con i volumi e il movimento del corpo, contraddistinto da proporzioni massicce; la stoffa pesante, appena increspata in superficie da piegoline, aderisce alle cosce, mettendone in risalto la compatta rotondità, e accompagna con pieghe tese la flessione della gamba destra; pieghe corpose si infittiscono nel risvolto sull’addome e nel rotolo attorto, il cui decorso ad arco evidenzia l’opu-lenza dei fianchi; l’andamento verticale delle falde ricadenti lungo il lato sinistro sottolinea la funzione statica della gamba portante.

la disposizione dell’himation con rimbocco triangolare sul ventre ha le sue prime formu-lazioni nella cerchia fidiaca e gode di largo credito nella seconda metà del V e nel iV sec. a.c., quando si incontra in statue a tutto tondo, note per lo più da copie romane 68, in rilievi votivi, funerari e di decreto, nonché in statuette fittili di differenti centri di produzione 69. lo schema di base è suscettibile di variazioni, riguardanti specialmente la conformazione del risvolto, che può essere a triangolo isoscele secondo la moda del V sec. a.c., oppure a triangolo rettangolo rove-sciato, forma prediletta nel iV sec. a.c. Muta inoltre l’assetto del lembo esterno del mantello, che a volte è premuto dal gomito contro il fianco sinistro, a volte si raccoglie sull’avambraccio prote-so: mancano indizi per comprendere quale delle due varianti fosse adottata nel pezzo in esame.

l’himation con piega ribaltata a triangolo si afferma molto precocemente in Sicilia, come attesta un altorilievo di arenaria da agrigento del tardo V sec. a.c., che ritrae una figura femmi-nile dal panneggio ricco di colorismo, in cui si è voluta scorgere un’eco dello stile agoracriteo 70. negli stessi anni il motivo torna in una fortunata versione del tipo fittile dell’offerente con porcellino, che mostra l’animale penzolante lungo il fianco destro della figura, che tiene nella mano sinistra un cesto di offerte o una fiaccola 71. il tipo, ben documentato a camarina, dalla fine del V a tutto il iV sec. a.c. trova vasta diffusione in numerose località della Sicilia, concen-trandosi principalmente nella parte orientale dell’isola.

nella riproposizione della formula iconografica la nostra scultura denota soluzioni tipi-che del l’avanzato iV sec.: la piega a triangolo sul ventre, infatti, nel disporsi ad arco all’altezza dei fianchi si ispessisce in un rotolo voluminoso, che segna una netta cesura nella zona centrale del corpo. la presenza simultanea del rotolo orizzontale, elemento comune nella scultura tar-doclassica, e del risvolto triangolare si ritrova, per esempio, nella figura di Eutaxia riprodotta su un rilievo di decreto attico databile intorno al 320-310 a.c. 72. Su una seconda testata di decreto attico 73, anch’esso databile verso il 320 a.c., compare un’immagine di Boulé che si avvicina al l’esemplare in esame per la ponderazione, la pesantezza delle proporzioni e soprat-tutto la mancata differenziazione fra la stoffa del chitone e quella dell’himation, che possiedono la medesima consistenza corposa. nel campo della statuaria un valido termine di paragone è offerto da una effigie funeraria (Fig. 20) proveniente dall’attica, conservata al louvre e ascritta al 325 a.c. ca. 74, che condivide con la scultura camarinese la flessuosità del ritmo, la pienezza dei volumi, dal plasticismo vigoroso, il modellato aspro delle superfici, segnate da accesi con-trasti di luce e ombra, l’equilibrato rapporto tra le forme corporee e il panneggio, apprezzabile in particolare nelle pieghe che si tendono, come elastiche linee di forza, ai lati del ginocchio destro, assecondandone la proiezione in avanti, e nel solco ombroso che separa la ricaduta

67 il tentativo di evocare con la raspa la trama della stoffa è caratteristico della scultura della seconda metà del iV sec. a.c.: adam 1966, 75 s. 68 Si pensi, per esempio, alla Hera Borghese, alla Kore albani e alla athena tipo Velletri: Baumer 1997, 17 ss.; Kreikenbom 2004, rispettivamente 193, figg. 120, 142; 208 s., fig. 137; 209 ss., fig. 138. 69 Sul motivo: Ghedini 1985, 127 ss.; alcuni esempi nel campo della coroplastica in Mandel 2004, 437 s., fig. 414. 70 de Miro 1966, 196 ss.; 1985a, 234, tav. a. 71 Sguaitamatti 1984, 96 nota 5, figg. 39, 117; Portale 2000, 267 s., fig. 4; Pisani 2006, 228 s., fig. 20 (tipo a4); 2008, 42 s., fig. 8 (tipo i a.5). 72 atene, Museo epigrafico, inv. 2958: Meyer 1989, 306, a 142, tav. 42,1; lawton 1995, 146, n. 150, tav. 79. 73 atene, Museo nazionale, inv. 1473: Meyer 1989, 303 s., a 136, tav. 41,1; lawton 1995, 142 s., n. 142, tav. 75. Si confronti anche la ninfa stante al centro di un rilievo votivo dalla grotta di Vari, datato intorno al 330-320 a.c. e conservato nel Museo nazionale di atene, inv. 2012: Kaltsas 2002, 218, n. 452. 74 Parigi, Musée du louvre, inv. Ma 926 (ex collezione campana): Hamiaux 2001, 206 s., n. 213.

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del mantello dal lato sinistro del corpo, seguendone il contorno e ponendone in evidenza la compatta volumetria.

i confronti addotti permettono di precisare la cronologia ricavabile dalle circostanze di rinvenimento, restringendola agli anni 330-310 a.c., che non a caso si iscrivono nella fase di rinascita di camarina conseguente alla rifondazione a opera di timoleonte nel 339 a.c. (su cui diod. 16.82.7), fase segnata da grande espansione urbanistica e notevole incremento demogra-fico. la ripresa della vita urbana è testimoniata, tra l’altro, dalla necropoli di Passo Marinaro 75, una delle più ricche della città, che doveva ospitare edifici ragguardevoli per dimensioni, strut-tura e decorazione plastica, come dimostra proprio la nostra scultura insieme con i materiali architettonici provenienti dal suo stesso contesto. la concezione della figura come statua eretta al l’interno di un’edicola tradisce l’assimilazione di consuetudini proprie dell’ambiente attico, dove nella seconda metà del iV sec. a.c. imponenti naiskoi corredati di statue dei defunti affol-lavano il paesaggio funerario. del resto anche sul piano iconografico e formale la dipendenza da modelli attici è del tutto evidente. Priva di raffronti nella prassi delle botteghe ateniesi è invece la tecnica di esecuzione 76, che consiglia l’assegnazione del pezzo a un artigiano siceliota o, eventualmente, a uno scultore immigrato da atene, il quale avrebbe adottato un procedi-mento tecnico ignoto alla madrepatria per un’esigenza di risparmio del marmo dettata dalle condizioni del mercato locale.

al termine di questa rassegna, che rimane preliminare e non ha alcuna pretesa di com-pletezza, si delinea un panorama generale di non facile interpretazione a causa della scarsa consistenza numerica dei materiali preservatisi e della loro estrema lacunosità. lo studio dei singoli pezzi ha portato a una loro attribuzione a botteghe attive in Sicilia, la cui fisionomia risulta difficilmente afferrabile, sebbene, valutando la produzione nel suo insieme, sia possibile enucleare alcune linee di tendenza comuni e tratteggiare, sia pure in maniera provvisoria e parziale, un processo evolutivo che appare contrassegnato da una fitta trama di rapporti con il mondo della madrepatria.

la documentazione è al momento circoscritta a Siracusa, al suo territorio e a camarina e si inquadra in un arco cronologico compreso tra la metà circa del V e gli ultimi decenni del iV sec. a.c. tutti i monumenti, a eccezione del frammento dal fusco, di calcare, sono realizzati in marmo, pentelico nel caso della figura femminile da camarina, insulare negli altri casi. Solo analisi archeometriche potranno accertare l’esatta provenienza del materiale; sulla base del-l’esame autoptico si può affermare però che i rilievi con teste maschili da Pachino e da cama-rina e la stele siracusana a due figure sono scolpiti in un marmo apparentemente identico per tessitura, a cristalli medio-piccoli, e calda patina dorata, marmo che può essere identificato con buona verosimiglianza come pario. il dato collima con i risultati delle indagini più recenti, da cui emerge che tra i marmi insulari, prediletti in Magna Grecia e in Sicilia nei periodi arcaico e protoclassico, quello pario detiene una sorta di primato, mentre dall’età classica si afferma l’uso del marmo pentelico 77.

la pregevolezza e il costo del marmo inducono gli scultori a ricorrere a una serie di ac-corgimenti miranti al risparmio del prezioso materiale. così nel caso del frammento con testa elmata da camarina si riutilizza, girandola, una lastra di destinazione architettonica, sulla qua-le si era avviata la lavorazione di un fregio narrativo, mentre nel caso del rilievo da Pachino si plasma nel marmo la sola testa del protagonista, destinata a completare una stele eseguita presumibilmente in pietra locale. non dissimile è il metodo seguito per la figura femminile da camarina che, pur avendo l’apparenza di una statua a tutto tondo, è di fatto sagomata nei contorni e tagliata sul lato posteriore. le soluzioni tecniche impiegate in tali sculture sono ben radicate nell’ambiente magnogreco e siceliota, come possono esemplificare le metope del

75 Sulle vicende della necropoli, da ultimo: lanza 1990, 183 ss.; Salibra 1999, 41 ss. 76 con tecnica analoga è realizzato un rilievo funerario da taranto, che riproduce una figura virile sagomata nei contorni e destinata a essere applicata su una superficie di materiale diverso: Belli Pasqua 1995, 74, n. iV.5. le statue funerarie attiche sono invece realizzate a tutto tondo, con il lato posteriore lavorato sommariamente: Hamiaux 2001, 202 ss., nn. 210-212. 77 Barletta 2006, 95; lazzarini 2007, 21 ss.; Parra 2008, 84 ss.

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tempio e di Selinunte, che utilizzano il marmo per le teste e le estremità delle effigi femminili, e un rilievo forse funerario da taranto, della fine del iV sec. a.c., che ritrae una figura maschile ritagliata lungo i contorni 78.

il valore che si attribuiva ai rilievi sepolcrali realizzati in marmo è implicito nella cura con cui si è provveduto al loro restauro: la testa da Pachino è stata assicurata al piano di fondo con un perno metallico, probabilmente in seguito a un suo distacco; nella stele con giovanetto da Siracusa si è proceduto al reintegro della mano destra; differente è la sorte della stele siracusa-na a due personaggi, che ha subito riparazioni e interventi di rilavorazione forse finalizzati a un reimpiego con diversa destinazione d’uso.

Ben poco si può dire circa la tipologia delle stele, che dovevano avere di preferenza un formato stretto e allungato, idoneo ad accogliere la rappresentazione di una figura singola, che sembra essere la formula compositiva privilegiata; non rimangono avanzi dei coronamenti, la cui conformazione non è di conseguenza ricostruibile; nei casi in cui sopravvivono i margini della lastra il campo figurato si presenta sprovvisto di cornici laterali. il trattamento dei fianchi della lastra non risponde a criteri uniformi, ma varia da esemplare a esemplare, come pure lo spessore, che generalmente rientra nella profondità standard delle stele attiche (da 7 a 13 cm) 79. Partico-larmente grave è la totale mancanza di iscrizioni, la cui perdita, considerata la stretta complemen-tarietà fra testo scritto e immagini scolpite, pregiudica la piena comprensione dei monumenti.

nel rapporto tra l’immagine e il piano di fondo si può seguire un’evoluzione perfettamen-te coerente con le tendenze riscontrabili nei centri artistici della madrepatria, si passa cioè da figure a bassorilievo, completamente aderenti al piano di fondo e con prevalente impostazione di profilo, a figure dall’aggetto progressivamente maggiore, che tendono a svincolarsi dal piano di fondo assumendo pose di tre quarti che dilatano la profondità del campo. il punto di arrivo del l’evoluzione si coglie nella figura femminile da camarina, che doveva avere l’aspetto di una statua collocata all’interno di un naiskos, adeguandosi in ciò a un uso ampiamente attestato nelle necropoli dell’attica e da qui trasmessosi in occidente, dove riscuote grande successo nelle necropoli tarantine.

i rilievi più antichi si collocano in un momento antecedente alla ripresa della produzio-ne attica intorno al 430 a.c. e si orientano verso tipologie e schemi iconografici ideati nelle officine ioniche dell’asia Minore e delle isole. la componente ionica risulta egemone anche nel lo stile 80, che è però contraddistinto da un’impronta fondamentalmente eclettica, permeata da una forte intonazione locale che si avverte distintamente nella prepotente caratterizzazione individuale della testa da Pachino. in questa fase l’apporto attico sembra essere ancora mar-ginale, contrariamente a quanto si è osservato in altri campi della cultura figurativa siceliota, come la plastica fittile o la monetazione, che nella seconda metà del V sec. a.c. denotano una chiara dipendenza dalle esperienze ateniesi 81.

lo scenario muta nella prima metà del iV sec. a.c., quando il modello attico si impone condizionando profondamente le scelte iconografiche delle botteghe locali, le quali tuttavia, nel l’assimilare gli schemi attici, li interpretano con grande libertà, apportando varianti alle ico-nografie e soprattutto restando fedeli nello stile alla tradizionale matrice ionica, che traspare nella fluidità dei contorni, nella pastosità dei panneggi, nella scarsa attenzione alla struttura organica dei corpi, nella tenerezza dell’incarnato delle due stele siracusane. il rapporto con l’attica è invece del tutto vincolante nel caso della figura femminile da camarina.

incidentalmente può essere interessante notare che dinamiche evolutive simili si riscon-trano in altre regioni della Grecia – come per esempio la Beozia – nelle quali ha luogo una produzione di stele funerarie che risulta debitrice di soluzioni e tendenze maturate in aree più eminentemente creative. analogamente a quanto appena evidenziato nella Sicilia orientale, in

78 Marconi 1994; Belli Pasqua 1995, 74, n. iV.5. 79 CAT, Intr., 9. 80 Si tenga presente che S. Pafumi ha riconosciuto una matrice stilistica paria nella scultura selinuntina, mega-rese e siracusana di stile tardoarcaico e severo, ipotizzando perciò la presenza in Sicilia di artisti provenienti dalle cicladi: Pafumi 2004, 70 s. 81 Pace 1915, 537; rolley 1999, 191 ss.; Pisani 2006, 228.

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queste regioni a una prima fase dominata dalla ricezione di stimoli, tipologici, iconografici e formali, provenienti prevalentemente dal mondo ionico segue una fase segnata da una stretta aderenza ai modelli attici; in entrambe le fasi tuttavia la dipendenza da suggestioni esterne non esclude una capacità di autonoma e vitale reinterpretazione che sfocia in prodotti dotati di una certa originalità di accento 82.

non sappiamo attraverso quali canali la conoscenza dei modelli sia penetrata nell’am-biente siceliota, dove non sono finora venuti alla luce rilievi funerari importati, che potessero fungere da prototipi per gli artigiani locali; come si è suggerito per situazioni affini 83, occorre pensare al trasferimento di artisti stranieri o alla circolazione di taccuini di disegni o ancora al l’opera di maestranze locali formatesi all’estero. l’ipotesi di un arrivo di scultori attici in concomitanza con la spedizione ateniese in Sicilia, o già prima, allo scoppio della guerra del Peloponneso e della pestilenza 84, è attraente, ma difficilmente si accorda con la fisionomia sti-listica marcatamente ionica delle due stele siracusane della prima metà del iV sec. a.c. Per i decenni finali del iV sec. a.c., invece, il linguaggio puramente attico della figura femminile da camarina consente di postulare la presenza di un maestro ateniese, forse immigrato a seguito del decreto antisuntuario di demetrio di falero.

l’esiguità della documentazione, limitata a pochi esemplari distribuiti in un lasso di tem-po pari a circa un secolo, può essere dovuta almeno in parte alla casualità dei ritrovamenti e alle estese devastazioni subite da alcune necropoli, ma al tempo stesso sembra indicare che l’utilizzo di stele figurate con funzione di epistemata doveva essere poco diffuso. di conseguen-za non doveva sussistere né una continuità di commissioni, né un volume di produzione tali da garantire la sopravvivenza di botteghe specializzate, sicché è indispensabile postulare l’attività di artigiani itineranti, che si spostavano di città in città per soddisfare le richieste della clientela, oppure presumere che le officine fossero dedite alla realizzazione di differenti categorie di ma-teriali, congettura che parrebbe confermata dal frammento con testa di guerriero da camarina, uscito da una bottega al cui interno si producevano anche rilievi di destinazione architettonica.

Secondo calcoli recenti, il costo di una stele figurata di una certa monumentalità doveva aggirarsi intorno alle 300-400 dracme nell’atene del iV sec. a.c., dove operavano officine alta-mente specializzate, che avevano avviato da tempo una produzione standardizzata e di serie 85. nel caso di un rilievo eseguito in Sicilia, a tale somma, di per sé molto ingente, bisogna aggiun-gere le spese per il trasporto del materiale, nonché forse i costi aggiuntivi derivanti dall’esecu-zione di un lavoro su ordinazione. ne consegue che l’uso di stele scolpite a rilievo rimaneva, di necessità, prerogativa delle classi più elevate, che dovevano servirsene come efficace strumento di esibizione della propria ricchezza e del proprio prestigio agli occhi della comunità cittadi-na. tuttavia, come si è giustamente notato 86, simili monumenti non erano solo manifestazione tangibile della ricchezza familiare, ma anche e soprattutto specchio fedele di precise credenze funerarie. in considerazione di ciò, può non essere casuale che la metà dei rilievi presi in esame sia destinata a perpetuare la memoria di giovani, tutti di sesso maschile, prematuramente scom-parsi 87. appare quindi possibile che la rarità di stele figurate in Sicilia debba essere imputata proprio alle concezioni funerarie circolanti nell’ambiente locale, che potevano indirizzare la scelta verso monumenti di differente tipologia. È ovvio però che un chiarimento di tale aspetto, come pure delle implicazioni sociali sottese al fenomeno, potrà scaturire soltanto da un’analisi complessiva del sistema di semata caratteristico delle necropoli dell’isola.

82 Si rammentino le considerazioni circa i rilievi sepolcrali da tespie avanzate da: rodenwaldt 1913, 309 ss.; Schmaltz 1983, 189 ss. 83 Sul problema della conoscenza dei modelli attici al di fuori dell’attica: clairmont 1988, 60 s. nota 22; CAT, Intr., 78 s. 84 Sul trasferimento in Sicilia di vasai e ceramografi ateniesi: Giudice 2002, 184 ss. 85 Schmaltz 1983, 136 ss. Secondo i calcoli di Bergemann, i costi di una grande stele figurata erano più ridotti, compresi fra 150 e 300 dracme, mentre monumenti di seconda qualità dovevano essere piuttosto economici, sì da risultare accessibili anche ad ateniesi meno benestanti: Bergemann 1997, 133 ss. 86 Schmaltz 1983, 147 s.; Himmelmann 1999, passim. 87 Sul significato delle stele con giovani defunti nell’ambiente attico: Himmelmann 1999, 13 ss.; Schmaltz - Salta 2003, 146 ss.

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Fig. 1 – Testa maschilea rilievo da Pachino.Siracusa, Museo ArcheologicoRegionale «Paolo Orsi»,inv. 24837.

Fig. 2 – Testa maschile a rilievoda Pachino: retro.

Siracusa, Museo ArcheologicoRegionale «Paolo Orsi», inv. 24837.

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Fig. 3 – Frontone orientaledel tempio di Zeus:

testa dell’indovino N.Olimpia, Museo Archeologico.

Fig. 4 – Frammentodi rilievo funerarioda Camarina. Siracusa,Museo ArcheologicoRegionale «Paolo Orsi», inv. 24882.

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Fig. 5 – Frammento di rilievo funerario da Camarina: retro. Siracusa, Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi»,inv. 24882.

Fig. 6 – Fregio occidentale del Partenone:testa di cavaliere.Atene, Museo dell’Acropoli.

Fig. 7. – Rilievo funerario da Karystos.Berlino, Staatliche Museen,

Antikensammlung, inv. Sk 736.

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Fig. 8 – Frammento di rilievo funerarioda Siracusa. Siracusa, Museo Archeologico

Regionale «Paolo Orsi», inv. 36396.

Fig. 9 – Stele funeraria dalla Licia.Atene, Museo Archeologico Nazionale, inv. 1825.

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Fig. 10 – Stele funeraria da Siracusa. Siracusa,Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi», inv. 35441.

Fig. 11 – Stele funeraria da Siracusa:fianco sinistro. Siracusa,Museo ArcheologicoRegionale «Paolo Orsi», inv. 35441.

Fig. 12 – Stele funerariadal Pireo. Pireo,Museo Archeologico.

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Fig. 13 – Stele funeraria da Siracusa. Siracusa, Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi», inv. 837.

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Fig. 14 – Stele funeraria da Siracusa:fianco sinistro. Siracusa, Museo ArcheologicoRegionale «Paolo Orsi», inv. 837.

Fig. 15 – Stele funeraria da Siracusa:fianco destro. Siracusa, Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi», inv. 837.

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Fig. 16 – Stele funeraria dall’Attica. Houston, The Menil Collection,

inv. 70.32.

Fig. 17 – Statuetta votiva da Kos.Kos, Museo Archeologico.

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Fig. 18 – Figura femminile a rilievo da Camarina.Siracusa, Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi», inv. 16470.

Fig. 19 – Figura femminile a rilievoda Camarina: retro. Siracusa,

Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi», inv. 16470.

Fig. 20 – Statua funeraria dall’Attica.Parigi, Musée du Louvre, inv. Ma 926.

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