65
San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte 1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE SEMINARIO DI STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE SAN VINCENZO AL VOLTURNO TRA STORIA, ARCHEOLOGIA E ARTE PASQUALE RAIMO

"San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte"

  • Upload
    unimol

  • View
    0

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE

SEMINARIO DI STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE

SAN VINCENZO AL VOLTURNO TRA STORIA, ARCHEOLOGIA E ARTE

PASQUALE RAIMO

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

2

1. San Vincenzo al Volturno: Storia del monastero.

1.1 La storia narrata attraverso il Chronicon.

1.2 Le origini del monastero: dal mito costantiniano ai rapporti con i longobardi.

1.3 I carolingi e l’età dell’abate Giosuè.

1.4 Il periodo del terrore: i saraceni e l’esilio capuano.

1.5 Dalla caduta dell’impero carolingio all’avvento degli ottoni.

1.6 La nascita del San Vincenzo Nuovo e l’epilogo.

2. San Vincenzo al Volturno: Storia degli scavi archeologici.

2.1 La scoperta del sito: la cripta di Epifanio e gli scavi del San Vincenzo Nuovo.

2.2 La scoperta del cosiddetto San Vincenzo minore e le sue strutture.

2.3 La scoperta del cosiddetto San Vincenzo Maggiore e le sue strutture.

2.4 La Basilica maior del San Vincenzo Maggiore e la sua cripta anulare.

2.5 L’atrio e l’area funeraria, l’ingresso della basilica nelle fasi di IX e XI secolo,

il loggiato.

2.6 I corridoi est, nord ed ovest, il lavatorium, le cucine, la banchina sul fiume.

2.7 I reperti archeologici.

Bibliografia

Tavole

CONVEGNO INTERNAZIONALE “L’VIII SECOLO: UN SECOLO INQUIETO”, A CURA DI

VALENTINO PACE, (4-7 DICEMBRE 2008 CIVIDALE DEL FRIULI), CIVIDALE DEL FRIULI

2010

P. Raimo, La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosué a San Vincenzo al

Volturno

IL CAMMINO DI CARLO MAGNO, A CURA DI F. MARAZZI E S. GAI, NAPOLI 2005

P. Raimo, La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX

secolo da San Vincenzo al Volturno

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

3

SAN VINCENZO AL VOLTURNO: STORIA DEL MONASTERO

1.1 La storia narrata attraverso il Chronicon.

A pochi passi dalle sorgenti molisane del fiume Volturno nasceva, a partire dall‟VIII

secolo, l‟omonima abbazia benedettina di San Vincenzo che, di li a pochi decenni, costituirà uno

dei principali centri non solo religiosi, ma della politica, dell‟economia e della cultura dell‟Italia

centro meridionale, diventando, nel corso dei suoi quattro secoli e mezzo di vita, un

imprescindibile punto di riferimento nei programmi di controllo strategico del territorio di

longobardi, carolingi e ottoniani. La sua storia è nota attraverso il Chronicon Vulturnens

(Barb.lat. 2724), manoscritto, redatto dal monaco Giovanni tra 1115 ed il 1139, composto da

quattro libri completi e una parte del quinto, ma che in origine prevedeva la realizzazione di sette

volumi1. Attraverso quest‟opera, la cui committenza può essere ripartita tra i due successivi abati

Benedetto (1109-1117) e Amico (1117-1139), si volle divulgare la storia del monastero,

affidando appunto al monaco Giovanni (che sarebbe poi diventato abate con il nome di Giovanni

VI, 1139-1144)2, il compito di raccogliere tutte le testimonianze documentarie necessarie alla

redazione di un‟opera del genere. La documentazione raccolta prevedeva la cronaca storica, le

biografie degli abati e le documentazioni d‟archivio e probabilmente il Chronicon Farfense o le

Chronica Monasterii Casinensis, dovettero essere, per la loro impostazione redazionale generale,

fonte d‟ispirazione per il monaco Giovanni. Con la redazione del chronicon è come se i monaci

vulturnensi fossero stati improvvisamente spinti dall‟impellente bisogno di esibire, a mo‟ di

illustre biglietto da visita, la propria narrazione storica. Probabilmente, le forti ripercussioni

politico/economiche determinate dall‟arrivo normanno nelle terre italiche centro-meridionali,

fecero nascere la necessità di tracciare, attraverso la stesura della cronaca, una sorta di bilancio

storico su quello che era stato il proprio passato, che così diveniva una garanzia per il presente e

un‟ottima carta di presentazione per affrontare un incerto futuro.

Da alcuni indizi, si può ritenere che il Chronicon non sia l‟opera di un solo amanuense

ma di più esecutori, forse quattordici. Infatti, molteplici sono le discordanze che si evidenziano

fra vicende storiche e i documenti, giustificabili solo se il Chronicon lo si intende come un

lavoro a più mani, sotto l‟abile direzione dal monaco Giovanni. Tra i vari documenti che furono

esaminati, sicuramente ci fu anche il Frammento Sabatini (fig.2), l‟unica testimonianza scritta e

miniata anteriore al Chronicon, datato tra la fine del X e l‟inizio dell‟XI e conservato presso

l‟archivio dell‟Abbazia di Montecassino. Quest‟opera frammentaria narra il leggendario viaggio

di Carlo Magno al monastero di San Vincenzo e le biografie di alcuni abati, da Autperto (777-

778) a Maione (872-9019), accompagnate dai corrispettivi ritratti.

1.2 Le origini del monastero: dal mito costantiniano ai rapporti con i longobardi

In merito alle origini del monastero vulturnense, il Chronicon riporta che tre giovani

beneventani di nobili origini, Paldone ed i fratelli Tasone e Tatone (più comunemente conosciuti

come Paldo, Taso e Tato), decisero di dedicarsi a vita monastica allontanandosi dalle loro

aristocratica famiglia, intraprendendo un viaggio che vedeva come meta finale la Gallia. Durante

questa peregrinatio fecero ben presto sosta in Sabina, chiedendo breve ospitalità presso l‟abbazia

della Beata Vergine Maria di Farfa e ivi furono ben accolti dal suo abate Tommaso di Morienne;

questi li esortò a perseverare nella loro scelta, al punto da decidere di accompagnarli a Roma in

pellegrinaggio presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Ma il viaggio dei tre giovani verso

le Gallie non proseguì, anzi l‟abate li convinse a restare per un breve tempo nel suo cenobio e la

1 FEDERICI 1925-1940. Sulle vicende che hanno interessato il manoscritto si veda: FEDERICI 1939, pp. 141-142, 170-

175; D‟AGOSTINO 1995, pp. 201-202. 2 Questa identificazione, abbastanza contrastata da altri studiosi quali Pratesi e Hoffmann, fu proposta dal Federici:

FEDERICI 1939, p. 150.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

4

loro accoglienza fu davvero molto speciale. Essi furono alloggiati ad intrinsecus, cioè non nella

foresteria degli ospiti, ma nella parte riservata ai soli monaci ordinati della confraternita, in modo

così da poter essere a contatto diretto con le asprezze della vita monastica ed essi stessi testare la

sincerità della loro vocazione religiosa3. Vocazione monastica, di Paldo, Tato e Taso, che era

messa a dura prova dalle continue pressioni a cui erano sottoposti dai loro parenti, che cercarono

di convincere lo stesso Tommaso di Morienne affinché i tre giovani facessero ritorno a casa. Ma

l‟abate farfense, non persuaso dalle opposizioni dei familiari, consigliò loro di portare a

compimento la missione monastica, indicando, per il loro ritiro anacoretico, un antico oratorio,

dedicato al diacono Vincenzo Martire di Saragozza sito presso le sorgenti del fiume Volturno. In

merito a quest‟oratorio, la cronaca, in maniera alquanto enfatizzante, cita che esso sarebbe stato

fondato addirittura da Costantino il Grande4 (312-337), durante una sosta di riposo della sua

carovana imperiale in viaggio da Roma verso Bisanzio. Qui, durante la notte, in un altro dei

“leggendari” sogni costantiniani, i santi protomartiri Stefano e Lorenzo lo invitarono ad edificare

in quel luogo una chiesa per il diacono Vincenzo. Adesso, bisogna brevemente puntualizzare un

aspetto che non è relativo solo al Chronicon vulturnense, ma è una caratteristica di ogni opera di

questo genere. In tutte le cronache monastiche, l‟attendibilità delle notizie contenutevi va

attentamente vagliata, poiché non va mai perso di vista un dato fondamentale: essendo queste

narrazioni realizzate direttamente dalle stesse realtà cenobitiche, per esaltare la propria storia si

procedeva molto spesso all‟aggancio, che era quasi sempre un‟invenzione, con vicende o

personaggi che le dessero lustro, risultando quindi garanzia di successo. Quindi, anche se che i

dati documentali delle cronache restano importantissimi per la ricostruzione storica di un‟abbazia

e del territorio in cui si trovava, non bisogna però dimenticare che, così come accade purtroppo

ancora oggi, ogni opera di parte contiene, per così dire, delle inevitabili “enfatizzazioni

redazionali”. Nel nostro caso specifico, il collegamento non è con un personaggio qualsiasi, ma

con Costantino, colui che con l‟editto di Milano (313) fece emergere il cristianesimo dalla

clandestinità e l‟apparizione a lui prodottasi del celeste signum Dei, alla vigilia dello scontro con

Massenzio, determinò non solo il definitivo avvicinamento al cristianesimo dello stesso sovrano

ma, soprattutto, la sistematica diffusione nell‟impero dell‟effige della croce5. In sostanza, non

risulta nessun dato documentale e archeologico che possa confermare, per il monastero

volturnense, l‟esistenza di un preesistente oratorio d‟età costantiniana. Ma nel periodo tardo

romano, a ridosso del fiume Volturno, fu costruita una villa che comprendeva una torre e, forse

già in quell‟epoca, una chiesa con sepolture ed un‟altra a pianta basilicale, cha hanno costituito il

nucleo iniziale intorno al quale l‟abbazia si sviluppò. Dopo una prima fase in cui i tre giovani

monaci condussero un‟assoluta vita solitaria, ben presto furono affiancati da altri uomini che, in

virtù della loro esemplare condotta contemplativa, vollero abbracciare anch‟essi la severa vita

monastica6. Conseguenza di questa nuova situazione, fu l‟ampliamento delle strutture

architettoniche a questo punto necessarie per la conduzione della vita monastica diventata ormai

di tipo cenobitica e non più anacoretica come quella che inizialmente vide protagonisti i tre

beneventani fondatori. Ben presto il monastero volturnense, così come tutte le più importanti

fondazioni monastiche dell‟epoca, non adempì più ai soli compiti meramente religiosi, ma arrivò

ad esercitare un notevole ruolo politicamente e economicamente strategico che, per certi aspetti,

attenuava l‟assolutezza di principio di “ritiro dal mondo” su cui si fondava la vita monastica e su

tale fenomeno si esprimeva così lo storico Del Treppo: ”All’iniziale impulso religioso,

all’esclusivo bisogno di poenitentia, per cui il cenobio era nato come libera associazione

mirante all’edificazione spirituale dei suoi membri, veniva ora impressa una finalità politica e

3 DEL TREPPO 1953-1954, pp. 44-45.

4 Nelle memorie del cronista Giovanni, sopravvive il leggendario ricordo che vede l‟imperatore Costantino come

l‟originario fondatore del luogo di culto dedicato a San Vincenzo. CV, I, pp. 145-148. 5 RAIMO 2005.

6 Sul sistema organizzativo all‟interno dei monasteri: PENCO 2002.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

5

terrena.[…]talune fondazioni si avviarono a raggiungere le dimensioni di singolarissimi

stati[…]con una ben individuata linea economica ed una propria politica: il chiuso cerchio della

vita religiosa s’apriva a includere il legame col mondo”7.

Infatti, la fondazione dell‟abbazia volturnense proprio in questo territorio fu in realtà

collegata ad un‟accurata strategia politica del Ducato longobardo di Benevento impegnato nelle

varie e turbolente vicende politiche del tempo, arrivando a scontrarsi duramente anche con la

Santa Sede, quest‟ultima preoccupata di difendere la propria indipendenza dalla minacciosa

avanzata longobarda da nord e da sud. Con la fondazione del cenobio volturnense, il ducato

beneventano intese ricucire questo rapporto con l‟istituzione papale e collocare una sede,

sebbene favorevole alla politica di Roma, pur sempre filo-longobarda in un‟area strategica di

confine tra la Langobardia minor ed i territori della Santa Sede.

La veloce ascesa del monastero di San Vincenzo fu determinata anche da due circostanze

da non trascurare: le nobili origini dei tre fondatori e la mancanza di sedi vescovili8. Infatti, non

si esclude la parentela che questi avrebbero probabilmente avuto con l‟allora duca di Benevento

Gisulfo I9, dal quale ottennero la donazione della terra su cui avrebbero eretto il monastero. San

Vincenzo nasceva quindi su un territorio pubblico, cioè terra demaniale appartenuta al ducato e

devoluta al nascente cenobio tramite i precetti emanati dal Duca. Inoltre, alla forte identità

aristocratico/longobarda di questo monastero, la mancanza nel territorio di sedi vescovili, lo

pone come principale centro religioso e di azione pastorale di tutta le regione. Questo fu un

fenomeno molto diffuso nell‟alto medioevo, in cui molte realtà monastiche, sorgendo in aree

poco urbanizzate e prive di sedi vescovili, assolvevano anche il compito di cura pastorale della

popolazione locale, assumevano in tal modo un potere enorme al punto da farle entrare in forte

competizione con il potere vescovile quando questo si insediava in un secondo momento.

Nel 703 ci fu la nomina del primo abate che fu Paldo (703-720), il quale si rese

protagonista della costruzione della prima chiesa dell‟abbazia, quella che archeologicamente

viene definita San Vincenzo Minore, e anche dello stretto rapporto con l‟abbazia di

Montecassino, l‟altra grande fondazione benedettina dell‟Italia centrale con la quale il cenobio

vulturnense avrà un perenne legame. Anche dopo la morte dei tre fondatori (Taso †739), il

monastero continuò ad essere una strategica roccaforte longobarda, ottenendo numerose

donazioni e importanti privilegi e longobardi continuavano ad essere i monaci e ovviamente gli

abati che, di volta in volta, si succedevano al comando del cenobio volturnense10

.

1.3 I carolingi e l’età dell’abate Giosuè

La situazione cambiò radicalmente quando i franchi entrarono prepotentemente nel

territorio italico scalzando, dopo un‟estenuante braccio di ferro, il dominio longobardo.

Protagonista dell‟impresa fu Carlo Magno il quale nel 774, sconfitto a Pavia il re Desiderio, si

proclamava sovrano della “gens francorum et langobardorum”, conquistando anche, di li a poco,

la Longobardia minor ottenuta dopo la pace di Capua firmata con Arechi II nel 787. Questi

avvenimenti storici ebbero forti ripercussioni sulla gestione interna di tante cittadelle monastiche

italiane, soprattutto di quelle che avevano avuto un ruolo strategico fondamentale per lo sconfitto

regno longobardo e si accingevano a diventarlo anche per il neonato regno franco d‟Italia.

Certamente, ad assolvere tale compito non si sottrasse il cenobio volturnense, anzi in breve

tempo si trasformò in uno dei massimi centri della politica e della cultura franca11

. Tra le

primissime disposizioni in favore del monastero vulturnense vi fu l‟emanazione, il 24 marzo del

787, di un diploma regio con cui il re in persona ne confermava i possedimenti ed inoltre

7 DEL TREPPO 1953-1954, p. 38.

8 Sul rapporto nell‟altomedioevo tra San Vincenzo e le sedi vescovili, si veda: VITOLO 1995.

9 “[…]tutti stretti parenti di esso Gisolfo[…]”. CIARLANTI 1823, p. 37 nota 2.

10 FONSECA 1995, p. 24.

11 CILENTO 1985, p. 46.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

6

decretava l‟immunità fiscale e soprattutto l‟importantissima facoltà di poter eleggere, liberi da

qualsiasi ingerenza episcopale locale o papale, il proprio abate12

. Ma nonostante San Vincenzo al

Volturno fosse entrato nelle grazie del “novello Costantino”, continuò per molto tempo ancora

all‟interno delle sue mura il dualismo longobardo/franco, risoltosi invece “esternamente” nel 774

con la presa di Pavia. Il momento clou di questa disputa “etnica” fu quando, nel 777, venne

eletto a capo del monastero il franco Ambrogio Autperto primo abate non di stirpe longobarda.

La sua elezione provocò grandi contrasti all‟interno della comunità monastica, tra la fazione di

origine longobarda e quella di origine franca, che culminò addirittura con la deposizione dello

stesso Autperto13

. Il contrasto culminò con la deposizione di Ambrogio Autperto da parte

dell‟abate Potone che venne presto accusato dai monaci filofranchi di essersi rifiutato di pregare

per Carlo Magno. Potone fu sospeso dalla carica e venne portato in giudizio a Roma da papa

Adriano I. La vicenda si concluse, dopo una serie di morti misteriose, con l‟assoluzione per

Potone che così poté riprendere il comando dell‟abbazia. Questo episodio, dai forti connotati di

disputa etnica, ci fa capire che nonostante Carlo Magno avesse assunto pienamente il dominio

politico/militare nei territori dei due regni longobardi d‟Italia, trovava ancora forti resistenze

all‟interno di realtà monastiche che, come quella di San Vincenzo che all‟epoca forse era ancora

dedicata alla Vergine Maria, si sentivano molto legate alla loro stirpe d‟origine. Serviva, quindi,

da parte dell‟imperatore un azione decisa che lasciasse un segno profondo, che identificasse il

cenobio vulturnense come franco e in quanto tale ne rappresentasse appieno le tradizioni.

L‟occasione fu colta quando, agli inizi del IX secolo, si procedette con l‟edificazione di una

nuova e monumentale chiesa abbaziale in sostituzione della precedente, ormai troppo piccola per

una comunità di monaci che aveva raggiunto un numero davvero notevole. Protagonista di

questo ambizioso progetto di “rinascita” carolingia fu l‟abate Giosuè (792-817) che, in base a ciò

che riporta il Chronicon, sarebbe stato cognato di Ludovico il Pio e fu educato presso la stessa

corte franca14

. Con l‟aristocratico Giosuè, la svolta non abbracciò solo l‟aspetto architettonico

ma fu una metamorfosi molto ampia, perfettamente calata in quelli che erano i programmi della

rinascenza carolingia (a tal proposito, non va comunque sottovalutato lo sviluppo culturale

“classicheggiante” che caratterizzò le corti dei vari sovrani e principi longobardi d‟Italia

nell‟VIII secolo, che in un certo senso preparò il terreno al classicismo promosso dal sovrano

franco), toccando più aspetti uno più fondamentale dell‟altro, di cui qui di seguito si evidenziano

tre dei più rilevanti:

- Alle soglie di questo periodo (750-760 ca.) si può individuare il momento del cambio

della titolazione del monastero che dalla Vergine Maria, così cara alla gente longobarda,

passa a San Vincenzo di Saragozza tanto adorato invece dalla popolazione franca e

all‟ambiente di corte15

.

- Gli anni del suo abbaziato sono fondamentali per l‟attuazione del programma carolingio di rilancio politico, economico e soprattutto culturale, individuando questo come un

momento di vera svolta per l‟intera comunità monastica. Basti pensare al grande sviluppo

dello scriptorium volturnense, che ben si inseriva nella politica culturale promossa

personalmente da Carlo Magno e attuata dal suo colto entourage.

- Economicamente, cresce a dismisura il patrimonio grazie soprattutto a numerose donazioni che portano ad un ulteriore ampliamento dei confini territoriali, acquisendo

12

Lo stesso diploma fu emanato quattro giorni dopo per l‟abbazia di Montecassino. Si vedano: DEL TREPPO 1953-

54, p. 50; MARAZZI 1996, p. 45. 13

Sull‟argomento: FEDERICI 1941, pp. 104-114, e PICASSO 1985, p. 241. 14

PENCO 2002, p. 156. 15

La devozione mariana è testimoniata dall‟edificazione di almeno tre chiese in Suo onore: Sancta Maria Maior,

Sancta Maria Minor e Sancta Maria in insula. Fino all‟arrivo dei franchi il cenobio volturnense risultava devoto alla

Beata Vergine, mentre il culto di san Vincenzo, martire di Saragozza, venne introdotto presso la comunità

volturnense per mezzo di monaci franchi, poiché caro alla gente di stirpe franca e legato alla tradizione sia popolare

che regale. Sul cambio del culto mariano con quello di san Vincenzo, si rinvia a: MARAZZI 2007, pp. 7-46.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

7

anche il controllo di molti altri monasteri che divengono sue filiazioni. Inoltre, con lui

abbiamo l‟ampliamento verso sud del cenobio, che culminò appunto con la costruzione

della Basilica Maior, il San Vincenzo Maggiore, esemplata more romano sul modello

della San Pietro al Vaticano, e la trasformazione in foresteria per gli ospiti di riguardo

dell‟antica chiesa, il San Vincenzo Minore. Tutti gli ambienti, compresi ad esempio il

refettorio e i vari corridoi di collegamento, furono decorati con affreschi.

Giosuè, in relazione alla costruzione della nuova chiesa madre, non riuscì comunque ad attuare

totalmente il suo progetto iniziale, che fu però completato in età ottoniana. Ma degni della sua

fama furono i suoi più prossimi successori, tra cui Epifanio (824-842) al quale si deve il celebre

ciclo d‟affreschi realizzato nell‟omonima cripta16

, sotto la cosiddetta “chiesa Nord”, che è tra i

più importanti capolavori d‟età carolingia, non solo della pittura volturnense17

, ma di tutta

l‟Europa, per la quale funge da imprescindibile punto di riferimento causa la sua precisa

collocazione cronologica.

1.4 Il periodo del terrore: I saraceni e l’esilio capuano.

Ma nella seconda metà del IX secolo a turbare la vita dei monaci, non solo di San

Vincenzo ma di tutta la penisola italiana, fu il pericolo saraceno, che letteralmente terrorizzerà

numerose cittadelle monastiche, portando molte di esse quasi alla totale scomparsa o

costringendo i superstiti a rifugiarsi presso sedi più sicure. La presenza musulmana in Italia

centro-meridionale era dovuta a motivi di varia natura, ma, in principal modo, nell‟827 essi

erano sbarcati in Sicilia monopolizzando la vita dell‟intera isola per quasi 4 secoli, tanto che,

ancora oggi in molte aree dell‟antica Trinacria, si riscontra inconfutabilmente nella popolazione

locale, sia nei tratti somatici che nelle tradizioni, quell‟incancellabile ed affascinante eredità

etnica e culturale di matrice araba. Siccome i territori centro-meridionali erano caratterizzati da

una grande frammentarietà politica18

, non si riuscì a trovare una solidale azione che contrastasse

le continue e sanguinose incursioni arabe. Questi ultimi, erano anche chiamati in causa, come

mercenari, nelle lotte interne delle piccole realtà locali, ed inoltre la loro presenza era anche

dovuta all‟attività commerciale che intraprendevano presso i mercati delle città costiere.

Nonostante la protezione richiesta nell‟852 dagli abati di San Vincenzo e Montecassino

direttamente all‟imperatore Ludovico II (850-875), il quale nell‟871 riuscì a liberare Bari e a

catturare il feroce emiro Sawdàn (o Saugdan), ciò non impedì alle due abbazie di cadere sotto le

sanguinose e oltraggiose mani saracene. San Vincenzo venne colpita ben due volte. Nella prima

circostanza verificatasi nell‟861, dietro un pagamento di una considerevole somma di danaro

(5000 soldi aurei), e forse anche di uomini ridotti in schiavitù, i monaci riuscirono a scongiurare

l‟incendio dell‟abbazia. Ma nulla poterono 20 anni dopo, esattamente il 10 ottobre dell‟881 sotto

l‟abbaziato di Maione (872-901), questa volta la capitolazione fu inevitabile. Sawdàn distrusse e

incendiò ogni cosa ostacolasse la sua avanzata (le fonti riportano che ci furono tra i 500 e 900

monaci trucidati e coloro che si salvarono furono fatti schiavi), facilitato anche dal tradimento

dei servi dell‟abbazia che, nell‟illusione di avere salva la vita, passarono dalla parte degli

infedeli. La sola basilica di Giosuè rimase miracolosamente in piedi. Di li a poco anche le

abbazie di Montecassino (883) e Farfa (898) subiranno la stessa triste sorte sempre per mano

saracena.

Le incursioni musulmane contro questi importanti cenobi benedettini, aldilà della loro

sanguinosa efferatezza che potrebbe giustificarne la motivazione a “semplice” scontro religioso,

rientrano in realtà nelle “terrene” vicende della politica anti-imperiale e anti-papale del duca

16

Sul ciclo pittorico della cripta di Epifanio, si veda: PISCITELLI TAEGGI 1896; BELTING 1968; BASILE 1997;

VALENTE 1996; MANCINELLI 1997. 17

In generale sulla pittura a San Vincenzo al Volturno, si veda: BERTAUX 1903; BELTING 1968; PACE 1994;

MITCHELL 1995a; BASILE 1995. 18

Coesistevano, in ambiti territoriali contigui realtà longobarde, ducati autonomi costieri ed enclavi bizantini.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

8

Atanasio di Napoli. Questi, avrebbe comandato ai saraceni il saccheggio dei cenobi benedettini

poiché sempre fedeli all‟imperatore ed al papa, ma il tutto rientrava anche nelle sue mire

espansionistiche che prevedevano la sottomissione dei signori longobardi con l‟annessione delle

loro terre, di cui appunto le abbazie con le loro ricche signorie fondiarie ne rappresentavano una

parte importantissima.

I superstiti monaci, insieme all‟abate Maione, si rifugiarono a Capua dove fondarono un

monastero pur‟esso intitolato a San Vincenzo di Saragozza. Fecero ritorno sulle rive del

Volturno soltanto 33 anni dopo, nel 916 sotto l‟abbaziato di Godelperto (902-920).

1.5 Dalla caduta dell’impero carolingio all’avvento degli ottoni.

In questo trentennio erano avvenuti tanti e molteplici cambiamenti, che risultò difficile

riprendere subito il cammino dal punto in cui si era interrotto bruscamente nell‟ottobre dell‟881.

- Non vi era più l‟impero carolingio e con sé l‟immunitas imperiale. L‟ordine instaurato da Carlo Magno durò meno di un secolo. Suo figlio, Ludovico il Pio, e i suoi tre nipoti

(Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo) non furono all‟altezza e si

dimostrarono incapaci di fronteggiare i pericoli, che da ogni parte premevano sui confini

dell‟impero

- Nell‟899 il conte Atenolfo I, conquistò Benevento dichiarandola giuridicamente inseparabile da Capua, e nel 900 ottenne il titolo di Principe di Capua, elevando così il

suo feudo che diventò ben presto uno stato autonomo all'interno del Sacro Romano

Impero, estendendosi su tutta la Terra di Lavoro fino al confine nord segnato dal fiume

Garigliano, dominando su cittadine e borghi strategici, quali Caserta, Teano, Sessa,

Carinola e Venafro.

- In questo periodo i bizantini, data la loro continua presenza in Puglia, diventarono la

realtà politica più viva dell‟Italia del sud, e estesero i loro interessi in molti territori

sparsi, oltre che in Puglia, tra la Calabria e la Basilicata.

L‟incursione dei saraceni risultò ovviamente anche un immane danno economico in quanto

ricominciando praticamente quasi da zero (enorme non fu solo la perdita del patrimonio terriero,

ma anche dei coloni che un tempo erano stati al servizio dell‟abbazia) il monastero vulturnense

dovette anche calarsi appieno nel mondo politico meridionale dal quale era stato quasi sempre

avulso. “La rinascita postsaracenica non poggerà più su longobardi o su franchi, su bizantini o

su anglosassoni, ma sarà veramente opera del nuovo popolo italico, forgiato dai lunghi secoli

delle invasioni e pronto a riprendere la sua missione storica nella vita dell’Occidente”19

. La

ripresa dei monaci a San Vincenzo coinciderà con il fenomeno territoriale dell‟incastellamento20

,

che si diffonderà nelle terre dell‟Italia centrale tra il X e il XII secolo (fig.18). Tale scelta si rese

necessaria per una miglior difesa dei territori, troppo spesso devastati dalle incursioni di

antagonisti locali, all‟interno dei quali veniva eretto un edificio fortificato alla cui difesa vi era

un miles sottoposto alla giurisdizione dall‟abate attraverso la figura dell‟advocatus21

. A tale

programma edilizio concorse attivamente anche l‟abbazia vulturnense, che in questa fase fu

completamente impegnata nella costruzione di edifici fortificati22

.

Durante questo periodo, lo scopo principale dell‟abbazia sarà quello di tentare di

recuperare, quanto più possibile, il controllo sul patrimonio terriero dato in affitto ai signori

locali, dopo l‟abbandono dell‟881, i quali adesso, a distanza di molti decenni, non avevano

19

PENCO 2002, p. 59. 20

Sul concetto di incastellamento e sul suo sviluppo nelle terre volturnensi si veda: DEL TREPPO 1968 pp. 46-52;

WICKHAM 1996, pp. 103-124. 21

DEL TREPPO 1968, pp. 66-73. 22

WICKHAM 1996, p. 121. La nascita dei castelli in terra vulturnense, nel corso degli anni fu sancita dal principe di

Capua e Benevento Pandolfo Capodiferro il quale nel 967 con un diploma conferiva lo ius incastellandi nelle terre

di sua proprietà sia agli abati di San Vincenzo che a quelli di Montecassino.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

9

alcuna intenzione di cedere. A tale fine vanno compresi i legami che il cenobio vulturnense

intese stringere con la potenza politica meridionale più in auge del momento, vale a dire l‟impero

di Bisanzio, riuscendo a riceverne parziale protezione e due importanti privilegi nell‟892 e nel

92723

.

Ma la ripresa definitiva dell‟abbazia vulturnense sarà legata alla casa dinastica sassone

degli ottoni. A partire già dall‟incoronazione di Ottone I (962), San Vincenzo entrerà nelle grazie

dell‟impero ottenendo fin da subito (962) una serie di privilegi, che riconfermavano le proprietà

dell‟abbazia e l‟immunità fiscale su queste terre, riacquisendo in questo modo la Terra Sancti

Vincencii quel ruolo strategico che aveva ricoperto con i longobardi, prima, e con i carolingi, poi.

Dalla famiglia sassone il cenobio molisano ricevette, quindi, moltissime attenzioni, che

culminarono in ripetuti privilegi imperiali, come quelli del 964 e 968 da parte di Ottone I (962-

973) e ben tre nel 981 di Ottone II (973-983). Ciò ricadeva nella politica di estensione del

proprio dominio sull‟Italia meridionale da parte dei sovrani germanici, e avere in questi territori

delle “presenze amiche” facilitò di certo l‟organizzazione della spedizione militare che, tra il 971

e il 972, permise ad Ottone I di sottomettere sia i duchi di Benevento che i principi di Capua, i

quali dovettero dichiararsi vassalli dell‟impero ottoniano. La presenza del “barbaro” imperatore

ben presto suscitò l‟ostilità dei bizantini, restii a riconoscere la legittimità del suo impero, anche

perché preoccupati per i loro possedimenti in Italia meridionale. Con un abile strategia

matrimoniale, Ottone I riuscì ad ottenere nel 976 il riconoscimento del suo titolo imperiale da

parte dell‟imperatore bizantino Basilio II il Bulgaroctono (976-1025) e la promessa di nozze tra

il proprio figlio, che di li a poco salirà al trono con il nome di Ottone II, con la principessa

Teofano. Nel suo complesso, l‟impero creato da Ottone I, seppure si rifacesse ad ideali

universalistici cristiani e di tradizione romana, di fatto era una realtà a forte carattere nazionale,

praticamente era un impero germanico. Ma, come in un déjà vu, a distanza di cento anni

incombeva di nuovo il pericolo saraceno sull‟Italia centro-meridionale, e possiamo immaginare

il terrore per i monaci vulturnensi in cui, anche se non avevano direttamente vissuto quei tragici

avvenimenti, era ben presente il ricordo di quella terribile vicenda. L‟imperatore Ottone II, a

difesa dei territori promessi in dote alla moglie Teofano, sferrò fino in Calabria l‟attacco agli

infedeli musulmani, dove però ricevette una grave sconfitta nei pressi di Stilo nell‟estate del 982.

Morto l‟imperatore nel 983, il giovanissimo successore, Ottone III (983-1002), data la

tenerissima età (aveva tre anni alla morte del padre) dovette aspettare il diciannovesimo anno

(996) per esercitare effettivamente il potere imperiale. Siccome fu cresciuto nutrito dagli ideali

universalistici della madre e del precettore Gerberto d‟Aurillac, scelse un orientamento politico-

ideale che lo allontanò dalla linea nazionale germanica che aveva contrassegnato i suoi

successori. Indirizzò le sue attenzioni al programma di Renovatio imperii, cioè di restaurare

l‟antico impero universale di Roma. Si trasferì nell‟Urbe e impregnato com‟era di idee mistiche

e ascetiche, assimilate attraverso i contatti avuti con personalità come San Romualdo e San Nilo,

portò ad assegnare obiettivi religiosi alla sua missione imperiale. Suscitò in questo modo i forti

risentimenti nazionalisti del popolo germanico che vedeva perdere la sua egemonia nell‟ambito

della politica imperiale. Ma neanche l‟ambiente romano vedeva di buon occhio il suo operato al

punto che fu costretto insieme al papa Silvestro II, al secolo Gerberto d‟Aurillac24

, ad

abbandonare nel 1001, un anno prima della sua immatura morte, la città di Roma. Non fu

prodigo di attenzioni in favore dell‟abbazia vulturnense, ma all‟abate da lui imposto a San

Vincenzo, Giovanni IV (998-1007), si fa risalire la ricostruzione nelle forme monumentali, e

23

DEL TREPPO 1968, p. 45. 24

Tale fu l‟ingerenza con la Santa Sede che l‟imperatore fece eleggere al pontificato prima suo cugino, Brunone di

Carinzia, con il nome di Gregorio V (996-999) e poi il suo ex precettore Gerberto d‟Aurillac con il nome di Silvestro

II (999-1003).

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

10

confacenti al gusto germanico25

, della basilica maior, ampliando, o meglio, completando il

programma edilizio che era stato predisposto da Giosuè circa due secoli prima26

. Questo

momento rappresenta senza dubbio una vera seconda rinascita del cenobio vulturnense,

caratterizzato da una migliore disponibilità economia che contribuirà alla ristrutturazione

architettonica degli edifici che, cento anni dopo, dovevano portare ancora impresso i segni della

oltraggioso assalto di Sawdàn.

1.6 La nascita del San Vincenzo Nuovo e l’epilogo.

La stagione di rinnovamento artistico continuò anche e soprattutto con l‟abate successivo,

Ilario (1011-1044), che entro il primo quarto del secolo diede, probabilmente, inizio alla

campagna pittorica all‟interno della basilica, facendola completamente dipingere. Alcuni “brani”

di questo ciclo pittorico sono ora noti grazie all‟immane attività di ricomposizione, attuata tra il

2002 e il 2008 nel Laboratorio di Studio e Ricomposizione di San Vincenzo al Volturno

dell‟Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli (operata da studenti e studiosi sia

provenienti dallo stesso ateneo che, particolarmente, da altre istituzioni universitarie) dei

tantissimi frammenti di intonaco dipinto provenienti da un‟area a ridosso della basilica maior

(UUSS 574-584). Tra le ricomposizioni si segnalano scene di martirio (San Lorenzo o

Vincenzo), figure di Santi e figure iconiche, alcune (tre) identificate come abati di San Vincenzo,

ma soprattutto si sottolinea l‟incredulità di Tommaso (primo quarto XI secolo), che ha permesso

di poter affermare con certezza della presenza all‟interno della chiesa madre almeno di un ciclo

neo testamentario27

.

Ma ancora una volta i mutamenti della scena politica interagirono sulle sorti del

monastero vulturnense:

- L‟aristocrazia locale diventava sempre più pericolosa, tanto da riuscire ad impadronirsi di molti castelli di proprietà dell‟abbazia.

- I normanni cominciavano la discesa verso l‟Italia meridionale ed arrivarono nel 1017 anche a San Vincenzo.

- Tra il 1030-1038 ebbero inizio le devastanti scorrerie di Pandolfo IV, principe di Capua,

al quale si deve la comparsa dei Borrelli, tra le più potenti ed efferate famiglie comitali

della Val di Sangro, terra rientrante nei possedimenti di San Vincenzo28

. Insieme, in

questo arco di tempo, devastarono in tal modo il monastero che non conosceva una simile

sorte dal tempo dei saraceni di Sawdàn.

Tutti questi nuovi nefasti avvenimenti, indussero i monaci, al tempo dell‟abate Gerardo (1076-

1109), a prendere una sofferta ma necessaria decisione: spostare il cenobio sull‟altra sponda del

fiume Volturno, in una posizione meglio difendibile. Così, il vecchio monastero fu

completamente “smontato”, poiché furono riutilizzati i grossi blocchi squadrati di travertino, che

costituivano le strutture degli edifici monastici, per erigere il San Vincenzo Nuovo, dalle

dimensioni molto più ridotte e la cui chiesa madre fu consacrata il 1115 da papa Pasquale II

(fig.20). Si può parlare, quindi, di una sorta di cava a cielo aperto, i cui blocchi estratti andavano

ripuliti dallo strato d‟intonaco dipinto che lo ricopriva.

Di li a seguire, le sorti del monastero saranno ineluttabilmente legate a quelle

dell‟abbazia di Montecassino, che nel corso del XIII secolo darà molti abati al cenobio

25

Il riferimento è alla costruzione in facciata del triturrium detto anche westwerk, tipica soluzione architettonica

adottata negli edifici religiosi nei territori germanici in età ottoniana. 26

Sull‟ingerenza di Ottone III nelle questioni vulturnensi si veda: MARAZZI 2006, p. 443-444 e relative note. 27

Sulla ricomposizione dell‟Incredulità di Tommaso, si veda il contributo che sarà a breve pubblicato negli Atti del

Convegno "Il Molise dai Normanni agli Aragonesi: arte e archeologia", tenutosi ad Isernia presso l‟aula magna

della Facoltà di Scienze Umane e Sociali il 20-21 maggio 2008: LA MANTIA i.c.s. 28

DEL TREPPO 1968, p. 74.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

11

vulturnense, subendo anche analoghe vicissitudini29

. Per San Vincenzo iniziava ormai una lunga

agonia che culminava nel 1699 con l‟affiliazione giuridica al monastero di Montecassino, sancita

da una bolla papale di Innocenzo XII. Nel 1942 il duca Enrico Catemario di Quadri cedette al

monastero cassinese gli edifici e le proprietà terriere di San Vincenzo al Volturno di cui era

entrato in possesso. Durante le fasi finali della IIa

guerra mondiale, ancora una volta i destini

delle due abbazie si incrociavano. Infatti, entrambe furono bersaglio dei bombardamenti

americani che cancellarono, in un sol colpo, secoli di cultura monastica che purtroppo nessun

restauro, per quanto ben riuscito, potrà mai più restituirci. A partire dagli anni „50 il monaco

architetto di Montecassino, Angelo Pantoni, che aveva portato avanti il frammentario recupero

delle “memorie” distrutte della sua abbazia, avviò i primi saggi di scavo nell‟area volturnense

che nella seguente sezione mi accingerò a tracciare le fasi più salienti della storia di questo scavo

archeologico (figg.21-22).

Infine, dal gennaio del 1990 un manipolo di suore americane del monastero benedettino

di Regina Laudis, nel Connecticut (U.S.A), decise di istituire una nuova comunità nel monastero

del San Vincenzo Nuovo (fig.23), ridando così vita, “al femminile”, a quello che un tempo era

stato una delle culle della cultura italica e imprescindibile punto di riferimento della dinastie che

si susseguirono nella nostra penisola dall‟VIII all‟XI secolo.

29

Nel settembre del 1349 entrambe le comunità benedettine furono travolte da un violento sisma che causò ingenti

danni agli edifici dei due monasteri.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

12

Tabella sinottica sulla successione degli abati di San Vincenzo al Volturno

dalla fondazione fino alla redazione del Chronicon

Paldo

(703-720)

Paolo I

(783-792)

Godelperto

(902-913)

Giovanni V

(1053-1076)

Taso

(720-721)

Giosuè

(792-817)

Rambaldo

(913-939)

Gerardo

(1076-1109)

Tato

(721-729)

Talarico

(817-824)

Leone

(939-951)

Benedetto

(1109-1117)

Taso di nuovo

(729-739)

Epifanio

(824-842)

Paolo II

(951-981)

Amico

(1117-1139)

Ato

(739-760)

Toto

(842-844)

Giovanni III

(981-984)

Giovanni VI

(1139-1153)

Ermenperto

(760-763)

Giacomo

(844-863)

Roffredo

(984-998)

Giovanni I

(763-777)

Teuto

(853-856)

Giovanni IV

(998-1007)

Ambrogio Autperto

(777-778)

Giovanni II (856-

863)

Maraldo

(1007-1011)

Hayrirad

(778-780)

Artefuso

(863-872)

Ilario

(1011-1044)

Potone

(780-783)

Maione

(872-901)

Liutfredo

(1045-1053)

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

13

STORIA DEGLI SCAVI ARCHEOLOGICI

2.1 La scoperta del sito: la cripta di Epifanio e gli scavi del San Vincenzo Nuovo.

Attraverso le vicende narrate nel Chronicon, non emerge mai con certezza su quale

sponda del fiume sorgesse l‟antica abbazia di San Vincenzo, ragion per cui, quando iniziarono a

metà degli anni ‟50 le prime indagini archeologiche, si era sempre ritenuto che essa fosse sempre

sorta sul sito, in riva destra del Volturno, ove rimanevano i resti della chiesa oggi conosciuta

come “San Vincenzo Nuovo”. Ma, prima di affrontare gli sviluppi macroscopici che, anno dopo

anno, tale ricerca di scavo ha riportato, torniamo qualche anno indietro, ed esattamente al 1832.

Se è vero che con Pantoni, attraverso sistematiche indagini di scavo, inizia la nostra conoscenza

materiale del passato vissuto dal cenobio vulturnense, però la riscoperta in assoluto dell‟antica

presenza del monastero in quell‟area, la si deve ad una fortuita circostanza. Infatti, nella

primavera del 1832, un contadino mentre era alle prese con la quotidiana cura della sua vigna,

sprofondò in una buca che si aprì nel terreno. Egli era caduto in quella che fu per diverso tempo

chiamata “la cripta di San Lorenzo”, oggi meglio conosciuta come “la cripta di Epifanio”30

. Il

fato aveva permesso di riportare alla luce uno dei massimi capolavori della pittura altomedievale

Europea, il cui ciclo pittorico è incentrato sul tema della Vergine Maria Regina, su alcune scene

salienti della vita di Cristo e il supplizio dei santi protomartiri Stefano e Lorenzo31

. L‟immagine

della Vergine in trono, sontuosamente abbigliata come una basilissa bizantina, compare ben due

volte: in una, appare indicante le pagine di un libro aperto poggiato sulle sue gambe e preceduta

da un corteo di sante vergini e i 4 arcangeli, e nell‟altra, con in braccio il Gesù bambino. Per

quanto riguarda le scene della vita di Cristo, sono attualmente visibili: il primo bagno di Cristo;

l‟Annunciazione; la Crocifissione; le pie donne al sepolcro. Infine, sulla parete opposta della

Crocifissione, sono rappresentati in sequenza scenica il martirio dei santi Lorenzo e Stefano.

Quanto all‟individuazione culturale delle sconosciute maestranze che realizzarono queste pitture

“[…]si va dall’antica definizione, oggi difficilmente condivisibile di “arte benedettina”

(Bertaux) a quella più recente di “pittura beneventana” (Belting), alle definizioni che ne

colgono, estremizzandole, le componenti fondamentali nella produzione artistica romana (De

Maffei) o nell’arte carolingia (Mitchell)”32

. Da questo momento, finalmente l‟antica, e

purtroppo dimenticata, abbazia di San Vincenzo al Volturno tornava in un certo senso a vivere.

Ma la scoperta della cripta non indusse, chi in seguito incominciò a studiarla e a interessarsi della

storia del monastero, a considerare che essa fosse un edificio collocato all‟interno del cenobio

vulturnense. La convinzione generale era che il ciclo d‟affreschi di Epifanio appartenesse a una

delle tante chiese edificate dal cenobio benedettino all‟esterno del recinto claustrale33

. Del resto,

questa era una prassi diffusa in tutte le più importanti abbazie d‟età carolingia, in cui si

verificava il fenomeno del moltiplicarsi dei luoghi di culto all‟interno delle mura del monastero e

nei propri possedimenti terrieri. Quindi, sotto quest‟aspetto, il ritrovamento non destò un

interesse tale da sollecitare mirate indagini archeologiche (la cripta era ricolma a metà di

terriccio che fu rimosso solo negli anni ‟20, cioè circa 100 anni dopo la scoperta). Alla luce di

quanto descritto, anche quando Angelo Pantoni, tra il 1955 e il 1965, portò avanti gli interventi

di restauro, necessari poiché le strutture del nuovo monastero volturnense avevano subito

30

L‟ambiente, che deve il primario appellativo per la scena del martirio di San Lorenzo ivi raffigurata, ha preso in

seguito questa denominazione, poiché sotto la scena della crocifissione è riprodotto un personaggio inginocchiato

con il nimbo quadrato (attributo iconografico che molte volte sta ad indicare persone in vita al momento della

rappresentazione) affiancato dall‟iscrizione DOM·EPIPH.ANIUS·ABB”. 31

Il primo studio di questi affreschi si deve all‟archivista di Montecassino Oderiso Piscitelli Taeggi: PISCITELLI

TAEGGI 1896. Per gli altri studi si rimanda alla nota 47 del capitolo I. 32

BASILE 1997, p. 86. 33

. Sulla storia degli scavi a San Vincenzo si veda: HODGES, MITCHELL 1996, pp. 13-17; MARAZZI 2006, pp. 425-

427.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

14

gravissimi danni dai bombardamenti della IIa Guerra Mondiale, egli circoscriverà il suo operato

alla sola area dell'Abbazia Nuova34

. Una volta eseguita la discutibile opera di ripristino ex-novo

degli edifici monastici, incentrata sul restauro della basilica e, successivamente, sulla

riedificazione della torre campanaria, egli diede anche il via a saggi di scavo, presso l‟atrio

antistante la basilica, durante i quali recuperò numerosi reperti marmorei che affiorarono dagli

accumuli archeologici circostanti l‟area dell‟abbazia nuova35

. Sul finire degli anni ‟60, sempre

Pantoni partecipò, in collaborazione con l‟allora Sovrintendenza di Chieti, a un intervento di

restauro atto a limitare i danni provocati dall‟umidità sugli affreschi della cripta di Epifanio. Si

procedette invece con una soluzione che non fece altro che peggiorare la situazione. Infatti,

demolita la vecchia masseria che sovrastava l‟ipogeo, fu costruita, inglobando la sovrastante

tricora della chiesa di Epifanio (archeologicamente detta chiesa Nord), una alquanto singolare e

inappropriata struttura quadrangolare in pietra e cemento aperta da tre finestre. I risultati ottenuti

furono il peggioramento dello stato conservativo degli affreschi, provocato dall‟uso di materiale

che impediva l‟evaporazione dell‟umidità (il cemento) e alla brusca interruzione, avvenuta con

l‟abbattimento della vecchia struttura, di un microclima che comunque aveva mantenuto

abbastanza costante all‟interno della cripta la percentuale d‟umidità relativa. Fu necessario

programmare un nuovo intervento, per riportare l‟umidità a livelli accettabili, che questa volta

avrebbe previsto la realizzazione di una trincea di drenaggio intorno alla cripta con relativo

canale di scolo fino al fiume. Dato il contesto archeologico in cui si operava, onde evitare di

poter danneggiare strutture o alterare la stratificazione sottostante, furono programmati

preventivi saggi di scavo intorno all‟area della cripta, affidati all‟archeologo medievista Richard

Hodges dell‟università di Sheffield. Inizia da questo momento la storia degli scavi di San

Vincenzo al Volturno36

.

2.2 La scoperta del cosiddetto San Vincenzo minore e le sue strutture.

I saggi di scavo effettuati da Hodges, a partire dall‟estate del 1980, consentirono di

indagare in maniera sistematica l‟area intorno alla cripta di Epifanio, che ben presto si allargò a

quasi 500 m2 di superficie esaminata. I risultati ottenuti diedero esito positivo per la realizzazione

del progetto studiato per la cripta di Epifanio, poiché i saggi verificarono che alle spalle

dell‟ambiente ipogeo e sul suo lato destro, in direzione nord, non c‟erano tracce di preesistenze,

e che sul lato anteriore la stratigrafia era stata sconvolta da precedenti interventi. I risultati

conseguiti con lo scavo fecero sempre più convincere l‟equipe inglese che quella indagata era

un‟area non isolata, bensì pertinente ad un articolato complesso di edifici, che essi riconobbero

nell‟antica abbazia volturnense fondata dai tre nobili beneventani agli inizi dell‟VIII secolo. Già

nel 1982, alla luce dei risultati delle indagini archeologiche, tale convinzione diventò sempre più

certezza e quest‟area fu denominata archeologicamente il “San Vincenzo minore” (d‟ora in poi

SVm). I risultati stratigrafici scaturiti dall‟attività di scavo tra il 1980 e 1983 hanno permesso

agli archeologi di poter ricostruire la successione delle fasi insediative di quest‟area,

individuando un‟iniziale intensa occupazione in età tardoromana, forse corrispondente ad un

insediamento rurale a vocazione produttiva37

, collocato probabilmente nei pressi della cosiddetta

chiesa di SVm o anche “chiesa sud”. Infatti, la ricostruzione archeologica proposta da Hodges ha

stabilito un‟ipotesi interpretativa dell‟area come vicus, villa o addirittura un primitivo

insediamento monastico. Quindi, in età tardo romana vi fu un edificio costituito da una torre e

due piccole chiese che risalirebbero al V secolo, di cui una ad uso cimiteriale e l‟altra a pianta

34

Il sito su cui fu costruito il monastero di San Vincenzo Nuovo, conobbe una lunga fase di occupazione in epoca

sannita (VI-IV secolo a.C.), e la testimonianza sono alcune tombe il cui corredo funerario è composto da oggetti

d‟oreficeria femminile tipici di queste popolazioni. 35

PANTONI 1980; PANTONI 1985. 36

SV 1, pp. 1-8. 37

SV 2, pp. 131-137; MARAZZI 2006, pp. 427-428.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

15

basilicale (futura “chiesa nord”). Intorno a questo nucleo, si è ipotizzato che Paldo, Taso e Tato

abbiano fondato l‟abbazia vulturnense. Secondo questa ipotesi, la chiesa cimiteriale38

avrebbe

avuto funzione di prima chiesa dell‟abbazia (“chiesa sud”). Negli anni successivi la “chiesa sud”

subì alcune trasformazioni che interessarono la costruzione di un piccolo approssimativo

deambulatorio, alle spalle dell‟abside, che fu dopo poco sostituito da un altro più grande e di

fattura migliore rispetto al precedente, raggiungibile solo dall‟esterno attraverso un varco con

gradini posto sul lato sud. Fu steso un grezzo strato di malta bianca, con funzione di pavimento,

sistemato a coprire le sepolture tardo romane a cassa e a cappuccina. Alla fine dell‟VIII secolo si

deve la sistemazione al centro dell‟abside di un altare in muratura completamente dipinto, il cui

tema decorativo principale è quello della croce gemmata39

. Nella seconda metà dell‟VIII secolo

anche la “chiesa nord” fu oggetto di trasformazioni architettoniche. Venne riadattata con la

costruzione di una nuova aula, la cui abside a tricora si adagiava sulla quella precedente

semicircolare. Il complesso monastico era accessibile attraverso due ponti, il Ponte della Zingara

ancora esistente, ed il Ponte Marmoreo del tutto scomparso e conosciuto solo attraverso il

Chronicon. L‟area del SVm comprende, oltre alla cripta di Epifanio, anche altri edifici venuti

appunto alla luce durante questa prima fase di scavo, Alla destra della primaria chiesa abbaziale,

in direzione sud, separato da uno stretto corridoio (corridoio sud), si apriva un‟elegante corte a

giardino. La sistemazione definitiva è risalente all‟epoca di Giosuè (792-817), ma esso potrebbe

essere già stato un giardino o un atrio in epoca tardoromana e forse poi un chiostro nelle fasi

iniziali del monastero40

. Questa elegante struttura, che riprende nelle forme il tipico cortile a

peristilio delle lussuose dimore romane, era dotato di copertura sui lati est e nord. Nella fase

carolingia, quando si costruì la basilica maior, esso era di servizio alla chiesa sud che doveva

avere una certa rilevanza cultuale nel quadro della geografia sacra del cenobio per essere

trasformata in foresteria per gli ospiti di riguardo. Il suo compito era quello di rendere più

confortevole possibile il soggiorno degli ospiti, e lo assolveva anche grazie alla raffinatezza del

suo arredo architettonico e della sua decorazione. Sei eleganti colonne marmoree scanalate di

riuso erano disposte su due lati (nord ed est), i portici erano lastricati con un pavimento in

terracotta e, al centro della corte, furono rinvenuti diversi frammenti di marmo bianco scolpito,

che, ricomposti, diedero forma ad un enorme kantaros, datato al II secolo d.C., sulla cui

superficie sono scolpite scene dionisiache. Sulle pareti orientali, settentrionali e meridionali del

braccio est del portico, sono ancora presenti in situ intonaci dipinti; della decorazione che essi

componevano, una considerevole quantità è stata rinvenuta nella stratigrafia che obliterava

l‟ambiente. Sempre nella corte a giardino, sulla lunga parete (USM 8109), che confina con il

Refettorio degli ospiti di riguardo41

, è possibile, in base ai resti ancora in situ, stabilire che il

tema decorativo consisteva in un illusionistico colonnato, con piante e arbusti in vasi collocati tra

gli intercolumni, posto in corrispondenza delle vere colonne scanalate del lato est del giardino42

.

Infine, per venire incontro alle esigenze di preghiera degli ospiti, che soggiornavano presso la

foresteria, attraverso un percorso preferenziale, era data la possibilità di raggiungere la chiesa

nord, e la sottostante cripta di Epifanio che nel frattempo era stata costruita,.

Altro importante ambiente rinvenuto in quest‟area è certamente il grande refettorio43

con

la contigua cosiddetta “Sala dei Profeti”44

. In questa grande aula rettangolare, il cui scavo ebbe

inizio nel 1982, fu rinvenuto nell‟anno seguente, nell‟angolo sud-ovest, la base di un pulpito in

muratura che indusse gli archeologi a ritenere che la sua presenza “[…]is the principal reason

38

“La chiesa era lunga venti metri e larga otto[…]”: HODGES 1995, p. 32. 39

HODGES-MITCHELL 1996, pp. 28-31; SASSETTI-CATALANO 2005 40

SV 1, pp. 191-209. 41

SV 1, pp. 210-215. 42

IDEM, p.197. 43

SV 2, pp. 65-83. 44

IDEM, pp. 26-64.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

16

for interpreting this large room as the Refectory”45

. La sala si sviluppa con una dimensione di

circa 32 m di lunghezza per 12 m di larghezza e al centro vi è un basso muro di circa 20 m

(direzione est-ovest) che divide a metà la sala. Lungo le due pareti maggiori (nord e sud), sono

addossati delle panche in muratura, ricoperte da intonaci dipinti che recano temi geometrici

policromi, che ne seguono l‟intera lunghezza. Questa risulta essere l‟assetto di epoca carolingia,

ma intorno alla metà dell‟VIII secolo, le misure della mensa erano più ridotte, aggirandosi

intorno ai 21x11,6m. Tornando alla sistemazione d‟epoca carolingia, orientativamente i monaci

che potevano accomodarsi contemporaneamente, per il pranzo e la cena, erano circa 300. Infatti,

lo sviluppo delle panche in muratura e di circa 57 m per i muri nord e sud e di 40 m per la spina

centrale, arrivando ad un totale approssimativo di 97 m. Se si calcola 60 cm per ogni seduta,

otteniamo una capacità di consesso di quasi 160 persone, e se consideriamo anche quelle che

potevano sedere all‟altro lato del tavolo il numero raddoppia diventando quindi di circa 320 unità

la capienza totale massima del refettorio46

. La copertura doveva essere costituita da un tetto di

paglia a due falde, che poggiavano al centro su pali collocati sulla spina mediana, poiché non

sono emerse dagli scavi di quest‟ambiente materiale in terracotta ascrivibile a copertura47

. La

porta del refettorio si apriva su una sala trapezoidale che, in base al tema della decorazione

pittorica della sua parete ovest, ha preso la denominazione di “Sala dei Profeti”. Così come nel

refettorio, anche qui lungo tutto il perimetro delle pareti sono collocate delle panche in muratura

il cui zoccolo è decorato con intonaco dipinto con motivi policromi a rombi e a pelte; sulla

porzione di muro che fungeva da “spalliera” erano raffigurati finti marmi venati che invece

ricoprivano per intero, o quasi, la parete del piccolo vestibolo di accesso alla sala. Ai piedi del

muro ovest fu rinvenuta una notevole quantità di frammenti d‟intonaco dipinto che, analizzati in

base alle procedure del prelievo, indusse gli archeologi ad affermare che si trattava di un crollo

d‟intonaco in giacitura primaria, ossia caduto dalla parete e accumulatosi in situ. Il materiale, che

nel 1986 fu oggetto di restauro da parte di Giuseppe Basile dell‟ICR di Roma che lo dispose su

pannelli48

, ricomposto ha dato forma ad una sequenza di profeti a figura intera, da cui il nome

alla sala, raffigurati al di sotto di arcature a tutto sesto sorrette da colonne. Non è possibile

ipotizzare se il corteo di profeti fosse raffigurato su tutte e quattro le pareti della sala.

Infine, l‟elemento che caratterizza numerosi gli ambienti del plesso del cosiddetto SVm è

il pavimento, composto da piastrelle in terracotta, poiché se ne conserva un‟ampia superficie (nel

refettorio addirittura quasi nella sua totalità) ma ciò che ne fa un vero unicum nel panorama degli

edifici monastici altomedievali, è che molte delle piastrelle risultano siglate con delle lettere,

simboli o addirittura con nomi incisi per intero49

(fig.37). Il motivo della presenza di sigle o

nomi, sulle piastrelle del pavimento degli ambienti di SVm, resta ancora difficile da definire con

certezza. Sono state proposte tre possibili ipotesi: 1) l‟ostentazione di saper scrivere in un

periodo di forte analfabetismo; 2) una connessione alla pratica del pagamento a cottimo dei

fornaciai, i quali avrebbero siglato o firmato le piastrelle prima della fase di asciugatura della

terracotta; 3) coloro che avevano contribuito finanziariamente alla realizzazione del pavimento,

avrebbero voluto che il loro nome o monogramma fosse rimasto impresso in eterno. Delle tre

ipotesi, sembrerebbe la terza essere la più plausibile.

Ma l‟attenzione degli archeologi erano adesso rivolte a sud dell‟area di SVm, alla ricerca

di quella grande basilica di cui il Chronicon ne riportava l‟edificazione, per opera dall‟abate

45

IDEM, p. 78. 46

IDEM, p. 81. 47

IDEM, pp. 78-81. 48

BASILE 1988, pp. 153-157. 49

Sullo studio dei nomi, sigle e simboli che compaiono sul pavimento di SVm, si veda: SV 3, I, pp. 123-134;

MITCHELL 1990.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

17

Giosuè, agli albori del IX secolo50

. Ormai erano maturi i tempi per la scoperta del cosiddetto San

Vincenzo Maggiore (d‟ora in poi SVM).

2.3 La scoperta del cosiddetto San Vincenzo Maggiore e le sue strutture.

Già dal 1983 nell‟area a sud di SVm, in seguito alla ripulitura di alcuni terrazzamenti ricoperti da

folta vegetazione, fu intercettato un muro, orientato in direzione nord-sud, composto da grossi

blocchi di travertino e da un pilastro verticale. Il ritrovamento di questa struttura muraria,

convinse l‟equipe inglese di aver individuato una parte della basilica di Giosuè, ma era

impossibile allo stato delle cose determinare che punto di essa potesse essere. L‟apertura di una

prima trincea di scavo (Trincea PP) nell‟estate 1986, permise di portare alla luce, verso ovest,

“[…]i resti di un muro poderoso che agiva da contenimento, sul lato settentrionale, di un alto

terrapieno, mentre, sul lato meridionale, delimitava, ad una quota assai più bassa, un pavimento

di buona fattura”51

. Gli archeologi avevano intercettato quindi il muro di sostegno del grande

atrio del SVM che, tra il 1991 e il 1992, insieme all‟area posta all‟estremità orientale, venne

indagata individuando un grosso corpo di fabbrica (eastwork) disposto a monumentale ingresso

dello stesso atrio52

. In base alla ricostruzione fatta dagli inglesi, alla quota della chiesa, esso era

composto da una sorta di nartece con ai lati due camere (torri) quadrangolari, decorate negli

ambienti al pianterreno con affreschi, di cui alcuni lacerti si conservano ancora in situ, destinati

forse come postazione di guardiola53

. Al di sotto del braccio est dell‟atrio si estendeva un grande

corridoio (direzione nord-sud), ovviamente ad una quota di livello inferiore, e la presenza di

tracce di imposta d‟arco lasciavano capire che fosse un passaggio voltato54

. Ad est e a sud del

corridoio vi erano le officine monastiche, che sorsero in funzione alla costruzione del SVM.

Quelle poste ad est, individuate tra il 1991 e il 1993, gli archeologi inglesi le definirono “officine

temporanee” (temporary workshops), in quanto ritennero che esse furono spostate a sud in

seguito alla costruzione del monumentale ingresso dell‟atrio55

. Al loro interno, si distinguono tre

fornaci relative a altrettanto diversi periodi di attività, legati rispettivamente alla produzione di

laterizi, dei metalli e del vetro56

. Notevole quantità di materiale, frutto delle lavorazioni svolte, è

stata rinvenuta all‟interno di questi ambienti, in particolar modo nell‟officina del vetro. Per chi

proveniva dall‟area claustrale del SVm, il passaggio attraverso il corridoio voltato dava l‟accesso

nel mezzo del “quartiere” artigianale del cenobio vulturnense, le cosiddette “officine collettive”,

individuate tra il 1994 e il 1996, che un corridoio (corridoio IV) le separava dalla chiesa57

. La

loro dislocazione, a ridosso del braccio meridionale del grande atrio, fu dettata dalla necessità di

avere codesti laboratori produttivi direttamente vicino al cantiere di costruzione del SVM.

Anche in queste officine sono state individuate alcune fornaci per la lavorazione dei metalli e in

questi ambienti sono stati rinvenuti diversi oggetti, frutto della lavoro dei monaci artigiani, tra

cui una bellissima placchetta recante una raffinata lavorazione a cloisonné oppure una splendida

bardatura di cavallo decorata con elementi d‟argento.

Sulla datazione dell‟atrio e dell‟eastwork della basilica maior, per l‟archeologo Richard

Hodges, che ha diretto gli scavi del team inglese fino al 1998, questa struttura, l‟eastwork e il

corridoio sottostante, sarebbero stati realizzati nell‟ultima fase costruttiva della basilica, pertanto

vanno inclusi nella campagna di lavori d‟epoca carolingia e circoscritta al periodo che

50

CV, I, pp. 218-222. 51

HODGES, MITCHELL 1996, p. 14, fig. 1:3. 52

Questo grande quadriportico, che rimanda al paradisus vaticano, misurava circa 28 m per lato, e se includiamo

anche il poderoso corpo di fabbrica orientale, arriviamo a 38,70 m di estensione a partire dal muro di facciata della

basilica. Utilizzando l‟unità di misura del tempo, il passus (1,76 m) l‟atrio misurava 22x16 passi. 53

HODGES, MITCHELL 1996, p. 43. 54

HODGES 1996, p. 14, fig.6, p. 15, fig. 7. 55

HODGES, MITCHELL 1996, p. 43. 56

HODGES, MITCHELL 1996, p. 49; HODGES 1996, pp. 25-26, fig. 12 e 13. 57

MARAZZI ET ALII 2002, p. 216, tav.3; HODGES 1996, pp.26-29.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

18

comprende l‟abbaziato di Giosuè (792-817), Talarico (817-824) ed Epifanio (824-842)58

. Inoltre,

le cosiddette officine temporanee, che abbiamo visto in precedenza, furono spostate a sud della

chiesa per la costruzione del corpo di fabbrica orientale. Di parere opposto è Federico Marazzi,

direttore degli scavi dal 1999 al 2008 per conto dell‟Università degli Studi Suor Orsola

Benincasa di Napoli, per il quale l‟atrio, l‟eastwork e il corridoio voltato risalirebbero alla fase

ricostruttiva (post assedio saraceno dell‟881) databile tra la fine del X e gli inizi dell‟XI secolo, e

cioè tra l‟abbaziato di Giovanni IV (998-1007) e di Ilario (1011-1044). Non volendo entrare nel

merito del “contraddittorio” cronologico, vale comunque la pena sottolineare che, il ritrovamento

all‟interno delle murature sud dell‟atrio di blocchi affrescati attribuibili, per stile pittorico, al IX

secolo, e nelle sue fondazioni di tracce di strutture combuste riferibili all‟incendio dell‟assedio

saraceno dell‟88159

indurrebbe a pensare che la datazione alla fase ottoniana risulti più di una

semplice ipotesi, anche se Hodges, dal canto suo, motiva la presenza nella muratura di blocchi

affrescati di IX secolo, all‟opera di ricostruzione a cui alcuni edifici del monastero furono

sottoposti dopo il terremoto dell‟84860

.

Nell‟estate del 1992 si procedette con sondaggi verso occidente, in cerca di dati

archeologici che permettessero di individuare l‟estensione totale della basilica, ed esattamente il

25 agosto fu intercettata, in una trincea aperta a circa 100m dal muro di facciata, la curva esterna

dell‟abside sud della basilica maior.

2.4 La Basilica maior del San Vincenzo Maggiore e la sua cripta anulare.

Nell‟estate del 1993, in seguito ai dati forniti da un‟indagine geofisica aerea, che aveva

individuato gran parte della sagoma dell‟edificio ancora ricoperto dagli ulivi, furono aperte,

partendo da sud a nord, tre trincee di scavo che permisero di riportare alla luce il pavimento

dell‟absidiola meridionale, il muro settentrionale della basilica e l‟abside principale, al di sotto

della quale si ipotizzò che dovesse estendersi una cripta61

. Ed è proprio alla ricerca della cripta

che le operazioni di scavo furono rivolte a partire dal 1994 fino al 1996, anno in cui termina la

gestione inglese dello scavo volturnense passando dal 1999 a Federico Marazzi, che già in

precedenza aveva co-diretto l‟attività.

L‟ambiente ipogeo portato alla luce è del tipo “semianulare”, cioè composto da un

percorso semicircolare al centro del quale si apre ortogonalmente un corridoio terminante con

camera (confessio) cruciforme, visibile dalla sovrastante abside principale attraverso una

fenestella confessionis. Il modello qui descritto, rispecchia del tutto la forma della cripta che si

estende di sotto all‟area presbiterale di San Pietro in Roma, la cui costruzione fu voluta da papa

Gregorio Magno (590-604), e che ha funto da esempio ispiratore nell‟epoca carolingia per tante

analoghe costruzioni in Italia e in Europa. Di grande rilievo risulta la decorazione parietale ad

affresco che, quasi certamente, ricopriva per intero la cripta, di cui però si conserva, o meglio, si

può risalire in buona parte alla sola ornamentazione dello zoccolo su cui sono rappresentati

“psichedelici” soggetti geometrici62

. Il perché si sia reso necessaria una costruzione di questo

tipo, può essere spiegato solo con l‟arrivo presso il cenobio vulturnense delle reliquie del santo

di Saragozza; tale forma architettonica dell‟ambiente permetteva un deflusso ordinato dei

visitatori, i quali, con ogni probabilità, avevano accesso dalla scalinata nord per uscire poi da

quella sud.

Tra il giugno del 2000 e il dicembre del 2001, attraverso le nuove campagne di scavo, fu

possibile completare lo sterro dell‟intera basilica maior, che venne alla luce in tutta la sua

possente mole. Innanzitutto, come a Roma, anche qui l‟area presbiterale, sovrastante la cripta,

58

HODGES 1996, p. 33. 59

MARAZZI 2001, pp. 13-15. 60

HODGES ET ALII 2002 p. 557. 61

HODGES, MITCHELL 1996, p. 14. 62

HODGES, MITCHELL 1996, pp. 63-103; RAIMO 2010.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

19

risultava rialzata e caratterizzata da una pergula con otto colonne63

. Questa è l‟unica zona della

basilica maior in cui si può, con una certa attendibilità, tentare di ricostruirne l‟assetto

architettonico e associarvi, al suo relativo corredo plastico, alcune delle sculture di riuso e

altomedievali rinvenutevi. Infatti, si può supporre di associare alla suddetta pergula una serie di

capitelli a stampella in pietra calcarea, così inerenti per la loro forma a questo tipo di struttura

architettonica “leggera”. Appartengono a questa categoria architettonica anche una serie di

frammenti provenienti dal pavimento della cappella di Santa Restituta, poiché alcune delle

tessere che ne compongono il raffinato “tappeto” in opus sectile, non sono altro che vere e

proprie “fette” di capitelli a stampella tagliati longitudinalmente, rilavorati e messi in opera dal

lato del verso. Infine, una serie di sculture, quale parte del corpo di un‟aquila (RN 5881), la testa

di un bovino (toro? RN 2628) e due testine umane di un uomo e una donna (RN 4709, RN 4835)

potrebbero essere associabili alla decorazione di un pulpito di cui non vi è traccia, ma del quale

si può solo supporre la presenza.

A circa 3,50 m dal limite della cripta, affiorano dal pavimento le tracce perimetrali del

presbiterio che si estendeva, così come tutta l‟area dell‟abside centrale, in posizione rialzata

rispetto al piano pavimentale della basilica, poiché sono ancora visibili i resti del primo gradino

delle due rampe contrapposte che ne permettevano l‟accesso. Così disposto, lo spazio liturgico

presbiterale risultava isolato dal resto dell‟edificio, in quanto, oltre che soprelevato, era chiuso da

un parapetto, o balaustra, sul cui lato lungo (fronte est) erano disposti orizzontalmente, davanti

all‟altare maggiore, dei pilastrini quadrangolari, collegati tra loro verosimilmente da un

architrave utilizzato per appendere le lampade (pergula o iconostasi). Infine, i due lati corti del

presbiterio inglobavano nella struttura di recinzione le prime due colonne (le basi e circa un terzo

del fusto) del colonnato che separava la navata centrale da quelle laterali64

. Dinnanzi al

presbiterio, privo di transetto, si apriva il grande spazio basilicale scandito dalle tre navate65

, di

cui quella centrale risultava larga quasi il triplo delle laterali, raggiungendo la chiesa

approssimativamente la complessiva lunghezza di 63m, 28m di larghezza e 23m di altezza66

. Le

navate erano separate da 24 colonne67

di spoglio in marmo rosa di Assuan e granito nero

egiziano (forse in alternanza cromatica)68

, su cui poggiavano capitelli corinzi, anch‟essi frutto di

spoliazione di monumenti classici o tardoantichi. Il recupero di lacerti di pavimentazione (navata

settentrionale e centrale) ha permesso di poter affermare che il pavimento fosse in opus sectile

composto da crustae marmoree, dalle varie forme geometriche (esagoni, triangoli, rettangoli),

disposte in modo da formare riquadri geometrici avevano al centro dei quali trovavano posto

emblemi in forma di rotae policrome69

. Possente risultava il muro di facciata, che raggiungeva lo

spessore di 1,5m, e, in base al ritrovamento di numerosi frammenti di grossi alloggiamenti

marmorei per lettere (sono visibili ancora i fori per i rivetti), Pantoni ipotizzò che sul timpano,

svettasse l‟iscrizione, riportata nel Chronicon, a caratteri di bronzo dorato voluta da Giosuè a

perenne memoria dell‟opera che lui e i suoi monaci avevano compiuto: Queque vides, ospes,

pendencia celsa, vel ima, Vir Domini Iosue struxit cum fratribus una70

.

63

MARAZZI ET ALII 2002, pp. 219-224. 64

MARAZZI ET ALII 2002, p. 220. 65

Questa icnografia è tipicamente longobarda e riproduce i modelli architettonici più noti della seconda metà

dell‟VIII secolo (S. Salvatore a Brescia o Santa Maria in Cosmedin a Roma). La presenza di una cripta semianulare,

del grande atrio e anche la sua disposizione “occidentata”, fa comunque di questa chiesa un perfetto duplicato della

San Pietro vaticana medievale, “un San Pietro del Sud” che si affiancava al “San Pietro del nord” di Fulda (HODGES

1996, p. 17). 66

HODGES 1996 p.11; MARAZZI ET ALII 2002, p. 214. 67

Le colonne proverrebbero da un tempio capuano e furono dal futuro imperatore Ludovico il Pio donate a Giosuè. 68

HODGES, MITCHELL 1996, p. 37. L‟archeologo inglese Hodges ipotizza che, per ragioni solidità strutturale, si

murarono gli intercolumni creando così una navata centrale completamente separata dalle laterali, soluzione che si

riscontra anche nella chiesa abbaziale di IX secolo a Montecassino. HODGES 1996, pp. 11-12. 69

MARAZZI ET ALII 2002, p. 223. 70

HODGES, MITCHELL 1996, pp. 35-37.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

20

2.5 L’atrio e l’area funeraria, l’ingresso della basilica nelle fasi di IX e XI secolo, il loggiato.

Gli obiettivi che la nuova direzione scientifica di scavo si poneva, non erano limitati alla

“sola” scoperta dell‟intera area della basilica maior, ma anche all‟ampliamento delle aree già

parzialmente sondate tra il 1980 e il 1996. Gli interventi interessarono il loggiato a

terrazzamenti, sul lato est del Colle della Torre, che metteva in comunicazione il SVm e il SVM;

l‟atrio e l‟avancorpo antistante; il completamento del SVm, con il principale scavo delle cucine e

del lavatorium; lo scavo dei corridoi ovest ed est. In ogni caso, altro importante risultato, che

queste nuove ricerche archeologiche determinarono, fu quello di individuare le diverse fasi di

vita del SVM con le relative distinzioni cronologiche delle strutture architettoniche portate alla

luce. Il riferimento è soprattutto per la cosiddetta “torre di Ilario” e la cappella di Santa Restituta,

le cui costruzioni vanno ad inserirsi in due momenti distinti di vita del SVM, e, in base alle

ipotesi avanzate da Marazzi, si giustappongono all‟intero impianto di IX secolo della basilica.

Durante le fasi di scavo tra il 2000 e 2001, l‟atrio della basilica fu completamente

indagato e furono portate alla luce tutte le sue strutture principali. Fu identificata un‟ampia area

cimiteriale monastica, che si estendeva sotto i bracci nord e ovest del quadriportico71

. In

particolar modo, il braccio occidentale, quello addossato alla facciata della basilica, presenta le

tombe più interessanti (forse anche quella dell‟abate Talarico)72

poiché le pareti interne sono

decorate con pitture recanti croci patenti, papaveri e iscrizioni, segno naturalmente del prestigio

del personaggio ivi sepolto. Proprio adiacente a queste sepolture, a ridosso dell‟ingresso della

basilica, furono rinvenute le poderose strutture di un ambiente quadrangolare che, in base

all‟enorme spessore delle mura (2m ca.), si ipotizzò che si dovesse trattare di una alta

costruzione, forse quel campanile la cui edificazione nel Chronicon è attribuita ad opera di

Ilario73

. Secondo le ipotesi avanzate da Marazzi, la costruzione della torre in facciata va ad

inserirsi, oltre che in uno specifico periodo cronologico (età ottoniana), in una fase in cui

probabilmente la grande chiesa abbaziale si “apre” anche all‟esterno, per fungere da effettivo

centro episcopale delle popolazioni insediate nei villaggi incastellati fondati in quegli stessi

decenni nell'Alta Valle del Volturno74

. In quest‟ottica va ipotizzata non solo la costruzione della

cosiddetta “torre di Ilario”, ma lo stesso ingresso in facciata poiché nell‟originaria versione di IX

secolo, sempre secondo la ricostruzione immaginata da Marazzi, esso si apriva al centro della

navata settentrionale, laddove fu poi costruita sul finire dell‟XI secolo la cappella di Santa

Restituta. Pertanto, sempre in base alla nuova proposta di ricostruzione delle fasi di vita del

SVM, maturate attraverso i risultati ottenuti a partire dal 2000, si collocherebbe a questo periodo

anche la costruzione dell‟atrio, dell‟avancorpo e della grande scalinata d‟accesso, le cui tracce

vennero alla luce proprio durante queste campagne di scavo75

. L‟ingresso posto di lato in

corrispondenza della navata settentrionale, dimostrerebbe che l‟abbaziale di San Vincenzo fosse

“chiusa” ai fedeli durante il IX secolo, e fosse rivolta solo dalla comunità monastica. Questo

accesso, si apriva verso una scalinata che portava ad un loggiato (CL/W), scavato tra il 2001 e il

2003, che cingeva ad est l‟alto colle che dominava l‟intero cenobio (Colle della Torre), e su cui

dovevano presumibilmente essere collocati gli alloggi monastici e lo scriptorium. Questo

loggiato, decorato con affreschi ancora in situ, è un terrazzamento che conduceva ad una scala

lignea che immetteva nell‟ambiente WA sottostante, quest‟ultimo posto nell‟area del SVm che

era nel frattempo stato trasformato in centro residenziale dell‟abbazia con la conversione

dell‟originaria basilica madre (Chiesa sud) in palazzo degli ospiti con la costruzione del relativo

71

Sull‟analisi di queste tombe, si veda: MARAZZI ET ALII 2002, pp. 230-243. 72

Nella tomba compare dipinta la scritta “Talaricus” che ha dato il modo di attribuire la sepoltura all‟abate Talarico

(817-824) successore di Giosuè e predecessore di Epifanio (824-842). HODGES, MITCHELL 1997, pp. 453-456. 73

“[…]ecclesiam Sancti Vincencii, quam Iohannes abbas reconciliaverat totam mirifice depingere fecit, ante quam

campanarium excelsum edificavit[…]”. CV, III, p.78. 74

MARAZZI ET ALII 2002, p. 271. 75

IDEM, p. 244, fig. 18 e p. 250, figg. 11-12.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

21

refettorio del giardino porticato e della cripta di Epifanio. Proprio in corrispondenza e a memoria

dell‟antico ingresso della basilica di Giosuè, sarebbe stata edificata dai monaci, nell‟ultimo

quarto dell‟XI secolo (quando si avviarono i lavori di riedificazione della nuova abbazia sulla

riva destra del fiume Volturno), la cappella di Santa Restituta76

, piccolo edificio a tre navate che

conserva parzialmente lo splendido tappeto pavimentale policromo in opus sectile, che per la sua

costruzione fu rilavorato numeroso materiale scultoreo classico e altomedievale appartenuto alla

basilica ormai in demolizione77

. Le pareti furono decorate con affreschi, di cui oggi sono ancora

in situ raffigurazioni di animali fantastici e figure danzanti entro clipei.

A partire dall‟estate del 2001 si procedette con lo scavo di due piccoli ambienti (CC, CD)

posti in corrispondenza del braccio nord dell‟atrio di SVM. Lo scavo portò alla luce, all‟interno

delle UUSS 574-584, una quantità incredibile di blocchi e frammenti affrescati (materiale di

butto e non di crollo) risultando questa, in virtù degli esiti della successiva attività ricompositiva,

una tra le più importanti scoperte nel panorama pittorico altomedievale. Il materiale recuperato

fu subito oggetto di studio all‟interno del Laboratorio per lo Studio e la Ricomposizione degli

Affreschi di San Vincenzo al Volturno78

, e grazie alle ricomposizioni effettuate è stato possibile

individuare parte di alcune scene che si può ipotizzare che potessero far parte della decorazione

pittorica interna della basilica maior. Per i soggetti raffigurati in queste ricomposizioni (scene di

martirio - Lorenzo o Vincenzo -, figure di abati, Incredulità di Tommaso, ecc.) sembra logico

attribuire la loro presenza in questi due ambienti (UUSS 574-584) ad una operazione di butto e

non di crollo e, pertanto, collocarli originariamente all‟interno della grande basilica. Ciò dovette

avvenire quando furono “smontati” i grossi blocchi di travertino della basilica, per ricostruire

quella nuova sulla sponda destra del Volturno, e prima di essere spostati furono “ripuliti” dallo

strato d‟intonaco dipinto che li ricopriva, per essere infine gettati in CC e CD.

2.6 I corridoi est, nord ed ovest, il lavatorium, le cucine, la banchina sul fiume.

Davanti al SVm, in direzione sud, si apre una vasta area che fa da diaframma con il SVM.

Quest‟area è stata oggetto delle indagini di scavo tra il 2001 e il 200379

. Inoltre, si provvide

anche allo scavo delle cucine monastiche e il completamento di quelle degli ospiti.

Nella primavera del 2000 attraverso una prospezione geoelettrica80

si determinava la

presenza in quest‟area di molte strutture che giacevano al di sotto del terreno, confermando ciò

che la precedente direzione degli scavi aveva ipotizzato81

. In effetti vi era un sistema di corridoi,

con sviluppo planimetrico trapezoidale82

, che delimitava uno spazio centrale che era occupato

dal grande lavatorium. Le indagini iniziarono dal Corridoio Est che era addossato alle cucine, il

quale si apriva con un loggiato verso lo spazio centrale e si prolungava per ca. 80m fino

all‟altezza dell‟asse di SVM. Addossato al lato meridionale del refettorio, si trovava il Corridoio

Nord che si incrociava ortogonalmente nella sua terminazione orientale con il corridoio est e, sul

versante opposto, con il corridoio Ovest che procedeva lungo il fianco orientale del Colle della

Torre. Quest‟ultimo corridoio terminava a nord con una rampa di scale che immetteva da sud

nella Sala dei Profeti. Anche questo corridoio, come il Corridoio Est, era aperto verso lo spazio

centrale con un loggiato e la parete interna, su cui si appoggiava un sedile in muratura, era

dipinta ad affresco con finte incrostazioni di marmo venato come quelle della Sala dei Profeti e

del refettorio. Il Corridoio Ovest, piegandosi all‟altezza dell‟angolo sud del Colle della Torre,

raggiungeva l‟ingresso laterale nord del San Vincenzo Maggiore e si collegava alla rampa di

76

IDEM, pp. 244-247. 77

Sul recente restauro del pavimento di Santa Restituta, si veda: CASARIL ET ALII 2006. 78

Sull‟organizzazione del laboratorio e sui metodi di ricomposizione, si veda: SASSETTI 2004; RAIMO i.c.s. 79

MARAZZI ET ALII 2002, pp. 253-266. 80

MARAZZI, STRUTT 2001. 81

HODGES 1997, pp. 79-83. 82

Una struttura analoga caratterizzava il monastero carolingio di Saint Riquier di Centula.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

22

scale che conduceva agli edifici posti sul versante meridionale del Colle83

. Nella parte iniziale

del Corridoio Ovest era possibile, attraverso una rampa di scale, giungere agli ambienti posti

lungo i terrazzamenti del versante ovest del Colle e pervenire nell‟ambiente WA in precedenza

menzionato.

Addossato al braccio nord del grande portico, fu costruito una grande struttura poligonale

a 16 lati, probabilmente con copertura lignea. In base alla sua forma e alla presenza di una

“bocca” per la fuoriuscita dell‟acqua, connessa ad una canaletta che confluiva poi in quella delle

cucine, era stata interpretata come una vasca collettiva, ovvero un lavatorium. Munito di questo

complesso sistema per la gestione delle acque, esso veniva presumibilmente utilizzato dai

monaci per le abluzioni prima di recarsi al refettorio84

.

Accanto al refettorio e collegato al tratto iniziale del Corridoio Est, sorgevano, affacciati

sulla riva del fiume Volturno, i locali delle cucine costituiti da un focolare per la cottura “a

riverbero”, un piano cottura “a fornacelle” ed una mensa ponderaria a tre recipienti di età

romana. Il ritrovamento di resti bioarcheologici nelle canalette di scolo delle cucine, definiti

“l‟ultimo pasto dei monaci” in quanto l‟area dopo il sacco saraceno dell‟881 fu definitivamente

abbandonata, ha permesso di determinare in linea di massima quale fosse la dieta quotidiana del

cenobio vulturnense, che si è rivelata abbastanza aderente alla Regola di San Benedetto (pesce

marino e lacustre, carne bianca, frutta e verdura di stagione) ma con qualche eccezione dato che

vi sono presenti resti di animali a carne rossa85

.

Nel 2007, si è aperto un fronte di scavo in corrispondenza della riva sinistra del fiume, e

più esattamente tra il ponte della Zingara e il refettorio degli ospiti. Quest‟indagine archeologica

ha permesso di portare alla luce una serie di strutture lignee, che con ogni probabilità

costituivano la banchina di approdo per chi, attraverso la navigazione del fiume Volturno,

giungeva al monastero86

.

2.7 I reperti archeologici.

L‟immane quantità di reperti che in quasi 30 anni è venuta alla luce dagli scavi di San

Vincenzo al Volturno, rappresenta un patrimonio di inestimabile valore, imprescindibile punto di

riferimento sia per l‟archeologia che per storia dell‟arte medievale italiana ed europea. Numerose

sono le classi di materiali interessate: la ceramica, con i tanti recipienti da cucina; la produzione

fittile, caratterizzata dai pavimenti siglati del Svm; i metalli, rappresentati da numerosi manufatti

che vanno dagli attrezzi da lavoro (cazzuole, pinze da vetraio, coltelli, chiodi) ad oggetti di

carattere suntuario (placchette smaltate, coperte di evangeliario, bardature di cavaliere e cavallo);

i vetri, rappresentati, oltre che da copioso materiale di scarto di lavorazione rinvenuto nelle

officine, si conservano due vetrate di finestra complete di tutti i pannelli che le costituivano,

rappresentando questo una rarità assoluta per l‟altomedioevo; i marmi, o meglio il materiale

lapideo, che per circa il 70% è di riuso, cioè proveniente dall‟opera di spoliazione di monumenti

classici, ma allo stesso tempo risulta di pregevole fattura quello d‟età altomedievale; gli

affreschi, la cui quantità, e il prezioso valore artistico, hanno determinato la nascita di un

laboratorio ad hoc.

83

MARAZZI ET ALII 2002, pp. 259-261. 84

IDEM, pp. 259-262. 85

Sulle cucine di San Vincenzo si veda: CARANNANTE ET ALII 2007, pp. 35-58. 86

In attesa dei dati definitivi relativi a questo scavo, per una preliminare conoscenza si veda: MARAZZI 2008.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

23

BIBLIOGRAFIA

BASILE 1988: G. Basile, Abbazia di San Vincenzo al Volturno: restauri in corso, in Arte

medievale 2 (1), 1988, pp. 153-161.

BASILE 1995: G. Basile, Gli affreschi di San Vincenzo al Volturno, in San Vincenzo al Volturno.

Dal Chronicon alla Storia, a cura di G. De Benedittis, Isernia 1995, pp. 85-97.

BASILE 1997: G. Basile, Il restauro delle decorazioni murali della Cripta dell’abate Epifanio e

degli ambienti attigui dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, in «Arte Medievale», s. II, IX

(1997), pp. 171-180.

BELTING 1968: H. Belting, Studien zur Beneventanischen Malerei, Wiesbaden 1968.

BERTAUX 1903: É. Bertaux, L’art dans l’Italie méridionale, I, Roma 1903.

CARANNANTE ET ALII 2007: A. Carannante et alii, I reperti delle cucine monastiche di San

Vincenzo al Volturno, in Il lavoro nella regola. L’approvvigionamento alimentare e il cantiere

edile di San Vincenzo al Volturno fra IX e XI secolo, a cura di F. Marazzi e A. Gobbi, Napoli

2007, (Quaderni della ricerca scientifica, Serie Beni Culturali, 8), pp. 35-58.

CASARIL ET ALII 2006: G. Casaril, A. Gobbi, L. Repola, C. Sassetti, F. Vignone, Dal modello

digitale al modello reale. Il progetto per lo studio e la ricomposizione del pavimento in opus

sectile della cappella di Santa Restituta nel sito archeologico di San Vincenzo al Volturno (IS),

in Pavimentazioni storiche: uso e conservazione, XXII Convegno Internazionale Scienza e Beni

Culturali, Bressanone 11-14 luglio 2006, pp. 481-490.

CIARLANTI 1823: G.V. Ciarlanti, Memorie istoriche del Sannio chiamato oggi Principato Ultra,

Contado di Molisi e parte di Terra di Lavoro, provincie del Regno di Napoli…, Campobasso

1823, pp. 87-90.

CILENTO 1985a: N. Cilento, S. Vincenzo al Volturno e l’Italia meridionale e Longobarda, in

Una grande abbazia altomedievale nel Molise. San Vincenzo al Volturno, Atti del I Convegno di

Studi sul Medioevo Meridionale, a cura di F. Avagliano, Venafro-S. Vincenzo al Volturno 19-22

maggio 1982, Montecassino 1985 (Miscellanea Cassinese, 51), pp. 43-53.

CV. Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, 3 voll., Roma 1925-

1940 (Fonti per la Storia d‟Italia, 58-60).

D’AGOSTINO 1995: M. D‟Agostino, Il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni.

Introduzione ai brani, in San Vincenzo al Volturno. Dal Chronicon alla Storia, a cura di G. De

Benedittis, Isernia 1995, pp. 201-202.

DEL TREPPO 1953-1954: M. Del Treppo, Longobardi, Franchi e Papato in due secoli di storia

Vulturnense, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», n.s., 34 (1953-1954), pp. 37-59.

DEL TREPPO 1968: M. Del Treppo, Terra Sancti Vincencii. L’abbazia di San Vincenzo al

Volturno nell’Alto Medioevo, Napoli 1968.

FEDERICI 1939: V. Federici, Ricerche per l’edizione del <<Chronicon Vulturnense>> del

monaco Giovanni, I: Il codice originale e gli apografi della cronaca, in «Bullettino dell‟Istituto

Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 53 (1939), pp. 146-236.

FEDERICI 1941: V. Federici, Ricerche per l’edizione del <<Chronicon Vulturnense>> del

monaco Giovanni, II: Abati franchi e abati longobardi nel monastero di San Vincenzo al

Volturno, in «Bullettino dell‟Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano»,

57 (1941), pp. 71-114.

FONSECA 1995: C.D. Fonseca, San Vincenzo al Volturno e la Longobardia meridionale, in San

Vincenzo al Volturno. Dal Chronicon alla Storia, a cura di G. De Benedittis, Isernia 1995, pp.

21- 27.

HODGES 1995: R. Hodges, Gli scavi archeologici a San Vincenzo al Volturno, in “San Vincenzo

al Volturno. Dal Chronicon alla Storia”, a cura di G. De Benedittis, Isernia 1995, pp. 29-53.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

24

HODGES 1996: R. Hodges, La formazione di una città monastica. L’architettura a San Vincenzo

al Volturno, in San Vincenzo al Volturno. La nascita di una città monastica, a cura di P. Delogu,

R. Hodges, J. Mitchell, Isernia-Roma 1996, pp. 7-33.

HODGES ET ALII 2002: R. Hodges, K. Francis, J. Mitchell, Contro la nuova interpretazione

dell’atrio di San Vincenzo Maggiore, in «Archeologia Medievale», XXIX (2002), pp. 557-560.

HODGES, MITCHELL 1996: R. Hodges, J. Mitchell, La basilica di Giosuè a S. Vincenzo al

Volturno, trd. dall‟inglese di F. Marazzi e A. Sennis, Montecassino 1996 (Miscellanea

Vulturnense, 2).

HODGES, MITCHELL 1997: R. Hodges, J. Mitchell, The discovery of abbot Talaricus’ tomb at

San Vincenzo al Volturno, in «Antiquity», 71 (1997), pp. 453-456.

LA MANTIA i.c.s.: S. La Mantia "et mittam manum meam in latus ejus". Un affresco senza

parete: l' "Incredulità di Tommaso" del monastero di S. Vincenzo al Volturno, in Convegno "Il

Molise dai Normanni agli Aragonesi: arte e archeologia", Isernia, 20-21 maggio 2008, pp.207-

216, in corso di stampa.

MANCINELLI 1997: E. Mancinelli, L’intervento di restauro del ciclo di Epifanio, in Il Restauro

delle decorazioni murali della Cripta di Epifanio e degli ambienti attigui dell’abbazia di San

Vincenzo al Volturno, in «Arte Medievale», s. II, IX (1997), pp. 187-189.

MARAZZI 1996: F. Marazzi, San Vincenzo al Volturno tra VIII e IX secolo: il percorso della

grande crescita, in San Vincenzo al Volturno, cultura, istituzioni, economia, a cura di F.

Marazzi, Montecassino 1996 (Miscellanea Vulturnense, 3), pp. 41-92.

MARAZZI 2006: F. Marazzi, San Vincenzo al Volturno. Evoluzione di un progetto monastico tra

IX e XI secolo, in Il monachesimo italiano dall’età longobarda all’età ottoniana (Secc. VIII-X),

Atti del VII Convegno di studi storici sull‟Italia benedettina, Nonantola (Modena) 10-13

settembre 2003, Cesena 2006, pp. 425-460.

MARAZZI 2007: F. Marazzi, Fama praeclari matyris Vincentii. Riflessioni su origini e problemi

del culto di san Vincenzo di Saragozza a San Vincenzo al Volturno, in «Sanctorum», 4 (2007),

pp. 9-46.

MARAZZI 2008: F. Marazzi, Lungo il Tamigi del Molise, in «Il Giornale dell‟Arte», XXVI, n.

272, Gennaio 2008, p. 52.

MARAZZI ET ALII 2002: F. Marazzi, C. Filippone, P.P. Petrone, T. Galloway, L. Fattore, San

Vincenzo al Volturno. Scavi 2000-2002. Rapporto Preliminare, in «Archeologia Medievale»,

XXIX (2002), pp. 209-274.

MARAZZI, STRUTT 2001: F. Marazzi, K. Strutt, San Vincenzo al Volturno 1999-2000. Interventi

di diagnostica preliminare sul campo, in Scavi medievali in Italia 1996-1999, a cura di S.

Patitucci Uggeri, Roma 2001, pp. 325-343.

MITCHELL 1990: J. Mitchell, Literacy displayed: the use of inscriptions at the monastery of San

Vincenzo al Volturno in the early ninth century, in The uses of literacy in early medieval Europe,

Cambridge 1990, pp. 186-225.

MITCHELL 1995: J. MItchell, Le arti a San Vincenzo al Volturno nell’età degli abati Giosuè ed

Epifanio, in San Vincenzo al Volturno. Dal Chronicon alla storia, a cura di G. De Benedittis,

Isernia 1995, pp. 54-84.

PACE 1994: V. Pace, La pittura medievale in Molise, Basilicata e Calabria, in La pittura in

Italia. L’alto medioevo, a cura di C. Bertelli, Milano 1994, pp. 270-288.

PANTONI 1980: A. Pantoni, Le chiese e gli edifici del monastero di San Vincenzo al Volturno,

Montecassino 1980, (Miscellanea Cassinese, 40).

PANTONI 1985: A. Pantoni, Tracce e avanzi dell’insediamento monastico primitivo a San

Vincenzo al Volturno, in Una grande abbazia altomedievale nel Molise. San Vincenzo al

Volturno, Atti del I Convegno di Studi sul Medioevo Meridionale, a cura di F. Avagliano,

Venafro-S. Vincenzo al Volturno 19-22 maggio 1982, Montecassino 1985 (Miscellanea

Cassinese, 51), pp. 205-220.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

25

PENCO 2002: G. Penco, Storia del monachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del medioevo,

Milano 2002.

PICASSO 1985: G. Picasso, Il Pontificato Romano e l’abbazia di San Vincenzo al Volturno, in

Una grande abbazia altomedievale nel Molise. San Vincenzo al Volturno, Atti del I Convegno di

Studi sul Medioevo Meridionale, a cura di F. Avagliano, Venafro- S.Vincenzo al Volturno 19-22

maggio 1982, Montecassino 1985 (Miscellanea Cassinese, 51), pp. 233-248.

PISCITELLI TAEGGI 1896: O. Piscitelli Taeggi, Pitture Cristiane del IX secolo esistenti nella

cripta della Badia di S. Vincenzo alle fonti del Volturno, Montecassino 1896.

RAIMO 2005: P. Raimo, La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX

secolo da San Vincenzo al Volturno, in Il Cammino di Carlo Magno, a cura di F. Marazzi, S.

Gai, Napoli 2005, pp. 239-263.

RAIMO 2010: P. Raimo, La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San

Vincenzo al Volturno, in Atti del Convegno Internazionale L’VIII secolo: un secolo inquieto, a

cura di V. Pace, (4-7 dicembre 2008 Cividale del Friuli), Cividale del Friuli 2010.

RAIMO I.C.S Il Laboratorio per lo Studio e la Ricomposizione degli Affreschi di San Vincenzo al

Volturno: struttura, attività e ritrovamenti, in Archeonews, i.c.s.

SASSETTI 2004: C. Sassetti, Il laboratorio per lo studio e la ricomposizione degli affreschi, in “Il

Laboratorio per lo Studio e la Ricomposizione degli affreschi di San Vincenzo al Volturno”,

Napoli 2004, pp. 19-28.

SASSETTI CATALANO 2005: C. Sassetti, L. Catalano, Un altare affrescato di tardo VIII secolo da

San Vincenzo al Volturno: proposte di rilettura della ricomposizione dei frammenti pittorici e di

messa a punto del partito decorativo, in Il cammino di Carlo Magno, a cura di F. Marazzi, S.

Gai, Napoli 2005, pp. 221-231.

SV 1 1993: San Vincenzo al Volturno 1: the 1980-86 excavations. Part I, a cura di R. Hodges,

London 1993, The British School al Rome Archeological Monofraphs, 7.

SV 2 1995: San Vincenzo al Volturno 2: the 1980-86 excavations. Part II, a cura di R. Hodges,

London 1995, The British School al Rome Archeological Monofraphs, 9.

SV 3 2001: San Vincenzo al Volturno 3: the 1980-86 excavations, voll. 2. a cura di J. Mitchell,

I.L. Hansen, Spoleto 2001.

VALENTE 1996: F. Valente, S. Vincenzo al Volturno. Architechture and art, (Miscellane

Vulturnense, 1), Montecassino 1996.

VITOLO 1995: G. Vitolo, San Vincenzo al Volturno e i vescovi, in Dal Chronicon alla storia, a

cura di G. De Benedittis, Isernia 1995, pp. 123-138.

WICKHAM 1996: C. Wickham, Il problema dell’incastellamento nell’Italia centrale l’esempio di

San Vincenzo al Volturno, in San Vincenzo al Volturno, cultura, istituzioni, economia, a cura di

F. Marazzi, Montecassino 1996 (Miscellanea Vulturnense, 3), pp. 103-150.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

26

Planimetria generale dell‟area archeologica volturnense e del San Vincenzo Nuovo

Planimetria generale dell‟area archeologica di San Vincenzo al Volturno

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

27

Planimetria delle strutture del cosiddetto San Vincenzo minore (SVm)

Ricostruzione grafica riepilogativa delle principali strutture del “San Vincenzo minore”

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

28

Planimetria della “Chiesa Sud” Planimetria della “Chiesa Nord” tra

tra fine VII e inizio IX secolo inizio VIII e metà IX secolo

Planimetria del “Giardino Porticato” Planimetria del Refettorio

con rilievo del pavimento (IX sec.) con rilievo del pavimento (IX sec.)

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

29

Ricostruzione grafica della basilica vaticana di S. Pietro nell‟età altomedievale

strutture del IX sec.

strutture del X-XI sec.

Planimetria dell‟area del “San Vincenzo Maggiore” tra IX e XI secolo

CC

CD

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

30

Planimetria della cosiddetta “Cripta di Giosuè” Ricostruzione dell‟area presbiterale della

(inizio IX sec.) basilica vaticana di S. Pietro in epoca

gregoriana (590-604)

Le fasi di scavo della cosiddetta Rota policroma del pavimento in opus sectile

“cripta di Giosuè” di S. Restituta (fine XI-inizio XII sec.)

Vista panoramica dell‟atrio e delle officine collettive

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

31

Loggiato

I corridoi e il loggiato di San Vincenzo al Volturno Abbazia carolingia di Saint Riquier

Fornetto da pane VIII-IX sec. Piastrella del pavimento Mascherina di serratura

del refettorio, VIII-IX sec.

Placchetta smaltata, metà IX sec. Finimenti per cinturone di cavaliere in ferro e ageminature

d‟argento con relativo esempio di applicazione, IX sec.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

32

Testina d‟avorio con occhi Coperta di codice Pannello di vetro per finestra

in vetro, prima metà IX sec. seconda metà IX sec. seconda metà IX sec.

Capitello corinzio, II sec d.C. Voluta di capitello ionico, Cornice a kyma lesbio, dentelli,

fine I sec d.C motivo vegetale e astragali con

perline. I sec. d.C.

.

Capitello a stampella con decorazione principale “a reticolo stellato” e con croce e elice sulle

facce laterali. Prima metà IX sec.

San Vincenzo al Volturno tra storia, archeologia e arte

33

Capitello a stampella con decorazione zoomorfa, Capitello a stampella con decorazione

prima metà IX secolo “a reticolo stellato ” (IX sec) riutilizzato

nell‟XI sec. come tessera di pavimento

nella cappella di Santa Restituta

Capitello a stampella con decorazione “a nastro intrecciato ” Testina umana, IX

secolo VIII-IX sec

Frammento di mensola con decorazione nastriforme, Lapide di “Ermecauso”,

fine VIII - inizio IX secolo metà VIII - metà IX sec.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

2

CONVEGNO INTERNAZIONALE “L’VIII SECOLO: UN SECOLO INQUIETO”,

A CURA DI VALENTINO PACE,

4-7 DICEMBRE 2008 CIVIDALE DEL FRIULI

PASQUALE RAIMO

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

Sul finire del VI secolo, con i lavori avviati da papa Gregorio Magno sotto il presbiterio della

basilica vaticana, si diede verosimilmente vita al primo modello architettonico di cripta

semianulare realizzato in un edificio religioso1 (fig. 212). Tale fu la fortuna che riscosse questa

innovativa soluzione architettonica che ben presto venne a costituire uno degli elementi

caratterizzanti l‟articolazione interna dell‟area presbiterale di tantissime costruzioni religiose

altomedievali (tra il VII e il X secolo) sia in Italia e sia in Europa.2 Tra le numerose riproduzioni

del modello architettonico in questione, la cripta della basilica maior di San Vincenzo al

Volturno (inizio IX secolo) rappresenta senza dubbio quella che icnograficamente è tra le più

rispondenti all‟esemplare vaticano3 (fig. 211).

In questa circostanza, riguardo all‟imponente basilica volturnense,4 l‟attenzione sarà focalizzata

sulle pitture di tipo aniconico a carattere geometrico ancora presenti sulle superstiti pareti della

cripta semianulare, comunemente detta „di Giosuè‟ – dal nome dell‟abate (792-817) che ne

promosse la costruzione – il cui studio, come noto, è stato affrontato per la prima volta da John

Mitchell.5 Queste pitture, al pari di quelle quasi coeve e celebri dell‟altra cripta volturnense,

denominata „di Epifanio‟, costituiscono un notevole esempio di pittura altomedievale europea,

non solo per l‟alta qualità esecutiva e la loro tematica ornamentale, ma soprattutto per la certezza

della loro datazione. Va parimenti ricordato che un ulteriore e determinante apporto alle

conoscenze sulla pittura volturnense è stato fornito, oltre che dalle pitture in situ, anche

dall‟impegnativo lavoro di ricomposizione – che ha avuto inizio già negli anni ‟80 dello scorso

secolo – delle migliaia di frammenti d‟intonaco affrescato rinvenuti, nel corso della quasi

trentennale attività di scavo, dall‟area archeologica di San Vincenzo. I più significativi soggetti

ricomposti, sono infatti la cosiddetta „Parete dei Profeti‟ (fine VIII - inizio IX sec.) e la figura di

un giovane santo con in mano un codice (820 ca.),6 tre figure di monaci (identificate come parte

*

Questa relazione pubblica è, in estrema sintesi, quanto contenuto nella mia tesi di specializzazione in Storia

dell‟arte medievale e moderna discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della “LUMSA” di Palermo, dal

titolo: San Vincenzo al Volturno, Basilica Maior. La cripta semianulare di Iosue: identità icnografica e analisi

comparativa delle sue pitture geometriche, relatori Prof. Federico Marazzi e Prof. Valentino Pace. 1 Sulla cripta semianulare e sulla ristrutturazione gregoriana: Krautheimer et alii 1937-1980, V, pp. 171-285; Testini

1980, pp. 183-186; De Blaauw 1994, pp. 530-542. Per la ricostruzione grafica della sistemazione gregoriana:

Esplorazioni 1951.

2.Per le cripte semianulari in Italia: Apollonj Ghetti 1984; Mancuso 1996. Per l‟Europa, Guidobaldi 1994a.

3 Per la cripta volturnense, cfr: Hodges et alii 1995; Hodges, Mitchell 1995. Si ricorda che archeologicamente l‟area

in cui la basilica è ubicata è definita „San Vincenzo Maggiore‟ (SVM). 4 Dai risultati scaturiti dalle indagini archeologiche, risulta che la basilica avesse un‟estensione di ca. 63m di

lunghezza e 28m di larghezza. Cfr.: Hodges 1996, pp. 10-18 (in part. p. 11), e Marazzi 2008, pp. 325-331 (in part. p.

327). 5 Hodges, Mitchell 1995, pp. 63-122; Mitchell 1995, pp. 56-60; Mitchell 1997, pp. 50-55; Mitchell 2000a; Mitchell

2000b; Mitchell 2000d, pp. 357-359; Mitchell 2003, pp. 1104-1109. 6 Per il restauro di questi affreschi: Basile 1988, pp.153-156; Cinti, Gammino 1997, pp. 190-194. Per la „Parete dei

Profeti‟ cfr.: SV 2 1995, pp. 26-64 pls. 3:9-3:22. Mentre per il giovane santo, cfr.: SV 2 1995, pp. 11, 46, pls. 1:2-

1:3.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

2

di una Teoria di abati – metà XI sec.),7 una croce gemmata (entro prima metà IX sec.),

8 il

supplizio di un santo (metà XI sec.) di dubbia identificazione (San Lorenzo o San Vincenzo?)9 e

l‟Incredulità di Tommaso (entro il primo ventennio dell‟XI secolo), al momento la prima e unica

scena neotestamentaria sin‟ora individuata10

(figg. 213-214). Lo scavo volturnense può quindi

ritenersi un enorme prezioso scrigno, poiché custodisce, oltre per le più diversificate classi di

materiali, reperti assolutamente unici nel loro genere.11

Tornando ancora alla cripta „di Giosuè‟,

in questa sede si cercherà innanzitutto di individuare l‟ambito artistico dal quale hanno potuto

trarre origine le suddette decorazioni, poi si passerà al vaglio dei possibili confronti con la pittura

murale ad essi coeva12

ed in ultimo, riferendosi a ciò che è ancora oggi visibile in situ, si

proporranno per la prima volta le ipotesi restitutive dei singoli schemi ornamentali.

Quando i monaci volturnensi, a cavallo tra l‟XI e il XII secolo, decisero di smantellare le

strutture architettoniche dell‟intera cittadella monastica, ivi compresa la basilica maior, per

ricostruire, sul versante est del fiume Volturno, la nuova abbazia, una gran parte del materiale

edilizio non riutilizzabile fu riversato all‟interno della cripta „di Giosuè‟.13

Tale intervento di

riempimento, che fu naturalmente eseguito non prima di aver provveduto alla demolizione delle

pareti superiori e della copertura stessa della cripta, servì a spianare e uniformare il livello

pavimentale di ciò che ormai rimaneva della grande chiesa madre. Quest‟operazione di

smontaggio, se da un lato ha determinato l‟ovvia scomparsa delle strutture architettoniche della

basilica maior, dall‟altro lato ha consentito la straordinaria conservazione, sia pur parziale, degli

affreschi che ricoprivano la zoccolatura degli alzati della cripta anulare. Di fatto, il butto ha

„sigillato‟ quest‟ambiente ipogeo in modo tale da preservarne miracolosamente le decorazioni

pittoriche presenti sui muri, sopravvissuti per la metà circa della loro originaria altezza (fig. 215).

Le pitture, che costituiscono un insieme di 30 pannelli, dal rutilante gioco cromatico, traggono,

in principal modo, origine dalle composizioni pavimentali a tarsie marmoree d‟età classica o

dalle soluzioni in opus sectile tardo antiche. Il tutto è ottenuto attraverso la complessa

combinazione di intricate figure geometriche, realizzate mediante elaboratissimi effetti

tridimensionali di tipo prospettico, ma che in questo caso, in relazione alla tecnica di disegno

adottata, è più giusto definire assonometrici.

Prima di entrare nel vivo della questione, attraverso la descrizione dei più rilevanti temi

decorativi della cripta e, soprattutto, le relative ipotesi ricostruttive, va fatta una puntualizzazione

7 Sulle proposte cronologiche avanzate per questi affreschi, cfr.: Catalano, Raimo 2004, pp. 104-106, schede nn. 8-

10; Speciale 2006, pp. 86-89; Speciale, Crema, Leopardi 2006, pp. 298-302; Barberio 2007. 8 Raimo 2005, figg. 2-3,20.

9 Anche in questo caso, sulle controverse attribuzioni cronologiche, cfr.: Catalano, Raimo 2004, p. 97 scheda n.1;

Speciale 2006, p. 85. Risulta dubbia l‟identificazione del santo martire raffigurato poiché Lorenzo e Vincenzo

subirono lo stesso supplizio (arsi vivi sulla graticola) e non è qui visibile alcuna iscrizione che ne permetta la certa

individuazione. Invece, sempre a San Vincenzo al Volturno nell‟analoga scena di martirio affrescata nella cosiddetta

„Cripta di Epifanio‟, accanto al santo sopravvivono alcune lettere dell'originale scritta «SCS LAURENTIUS»

(Mitchell 1993, p. 94 pl. 7:26). 10

La Mantia i.c.d.s.. 11

Purtroppo, nonostante le numerose scoperte avvenute in quest‟ultimo decennio, allo stato attuale l‟unica raccolta

esauriente, riferita alle molteplici classi di materiale a cui appartengono i reperti venuti fuori dall‟area archeologica

volturnense, è ancora quella relativa alle fasi di scavo comprese tra il 1980 e 1986: SV 3 2001. Solo ultimamente

sono state edite due pubblicazioni in cui, in via preliminare, si esaminano alcune delle sculture rinvenute durante le

campagne di scavo più recenti: Giorleo, Luongo 2008, pp. 509-521; Catalano 2008. 12

Hodges, Mitchell 1995, pp. 63-122. 13

Sul materiale edilizio di risulta, recante resti di intonaco dipinto, proveniente dallo scavo della cripta, si vedano:

Hodges, Mitchell 1995, pp. 123-130; Marazzi et alii 2002, pp. 214-215.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

3

sull‟ambito culturale di appartenenza di queste pitture, che permette di comprendere perché esse

siano pertinenti al tema e al contesto culturale oggetto di questo Convegno. Associare le

decorazioni pittoriche della cripta alle origini del suo committente, l‟abate franco Giosuè, che,

secondo il Chronicon Volturnense, sarebbe stato addirittura cognato di Ludovico il Pio nonché

educato presso la stessa corte franca,14

tenderebbe, specialmente per ragioni cronologiche, a far

attribuire alla temperie culturale della rinascenza carolingia, le soluzioni adottate nelle pitture

dell‟ipogeo volturnense che riecheggiano il passato classico.15

Tuttavia, anche se

cronologicamente l‟abbaziato di Giosuè ebbe inizio (792) nel pieno della cosiddetta „rinascenza

carolingia‟, è pur vero che i quasi duecento anni di precedente dominio longobardo avevano

lasciato nella nostra penisola, tanto a sud quanto a nord, un‟incancellabile eredità culturale, che

costituirà un solido punto di partenza per i nuovi dominatori franchi. Naturalmente, il riferimento

è al momento di massimo livello artistico e culturale che il „processo evolutivo‟ longobardo

aveva raggiunto alle soglie del 774, corrispondente, al nord, con la cosiddetta „rinascenza

liutprandea‟(712-744) e, nel centro sud, con le arti promosse nelle corti di Spoleto, Benevento e

Salerno, soprattutto a partire dalla metà dell‟VIII secolo.16

In entrambe le realtà territoriali

(Langobardia maior e minor) si favorì una produzione artistica di matrice aulica, che

marcatamente si rifaceva al mondo classico soprattutto di ambiente romano, e le pitture della

cripta di Giosuè ne sono, come si vedrà in seguito, un‟evidente testimonianza.17

Furono senza dubbio il passato romano e quello più recente delle corti longobarde18

a costituire il

fondamento dal quale i pictores di Giosuè trassero ispirazione per eseguire la magnifica

decorazione della cripta volturnense.

Nel caso dei pannelli aniconici, i rimandi più appropriati, vanno individuati nelle composizioni

policrome pavimentali a mosaico e a opus sectile d‟età classica e tardo antica,19

anche se le

soluzioni elaborate a San Vincenzo sono comunque da ritenere interpretazioni „libere‟ ed al

contempo inedite, dei veri e propri unicum compositivi che si sviluppano in sei principali temi

ornamentali:

1) le rotae; 2) le figure geometriche assonometriche; 3) le scacchiere; 4) il finto marmo striato;

5) le losanghe; 6) il motivo stellato a otto punte.

In corrispondenza delle scalinate d‟ingresso e d‟uscita dell‟ipogeo volturnense, sono collocate le

decorazioni pittoriche incentrate sul tema delle rotae policrome, da considerarsi, sotto il profilo

compositivo, tra le più interessanti e complesse: esse danno vita ad elaborati motivi decorativi in

cui l‟abbinamento di cromie contrapposte riesce a creare singolari effetti tridimensionali. Nel

decoro del pannello n. 2, che si sviluppa in una serie di cerchi policromi concentrici, il contrasto

14

SV 1, p. 219. Si veda anche: Penco 2002, p. 156. 15

Su alcune delle scelte formali adottate nell‟arte e nell‟architettura carolingia in Italia ed in Europa, si vedano:

Casartelli Novelli 1976, pp. 104-113; D‟Onofrio 1983 (oppure 1996); Iogna-Prat 1990; Roccoli 2004. 16

Gaberscek 1974-1975; Tavano 1990; Mitchell 2000c; Villa 2006.

17 Bisogna però sottolineare che, come suggeritomi dal Prof. Hjalmar Torp durante le giornate del Convegno di

Cividale, un‟analoga soluzione la ritroviamo presso la cosiddetta „Salle 6‟ della chiesa del monastero egiziano di

Sant‟Apollo (fine VI secolo) a Bawit, in cui i motivi decorativi sono incentrati ancora una volta su grandi pannelli

che raffigurano combinazioni geometriche policrome. Anche a Bawit il tema geometrico dominante è costituito

dalle rotae dipinte: Maspero 1943, pp. 20-23 pls. XV-XVIII; Torp 1981; Iacobini 2000. 18

Non a caso la mostra bresciana del 2000, curata dai professori Bertelli e Brogiolo, venne appunto intitolata „Il

futuro dei Longobardi‟: Il futuro dei Longobardi 2000 (cat., saggi). 19

Sulle varie tipologie di disegno pavimentale, si segnalano tra gli altri: Levi 1947; Ovadiah 1980; Guidobaldi,

Guiglia Guidobaldi 1983; Balmelle et alii 1985; Guidobaldi 1994b; Balmelle et alii 2002.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

4

cromatico è qui utilizzato anche per infondere l‟effetto di un bordo a rilievo la cui profondità è

ottenuta con tonalità scure mentre l‟altezza con tonalità chiare20

(fig. 216). Una soluzione quasi

analoga a questo raro esempio di rota policroma concentrica, la si ritrova nel decoro centrale di

una delle due cupole del tempietto longobardo di Seppannibale a Fasano, il cui ciclo d‟affreschi,

datato da Gioia Bertelli entro la fine dell‟VIII secolo, testimonierebbe, a quella data, la plausibile

presenza di artisti beneventani in terra pugliese21

(fig. 217).

Sempre in riferimento al suddetto tema geometrico, è nelle rotae raffigurate nei pannelli nn. 27 e

28 che, oltre ad ammirare la complessità decorativa che si sviluppa al loro interno (incentrata su

meandri assonometrici, cubi e triangoli), si focalizza l‟attenzione sul motivo che circonda il

perimetro esterno della rota (fig. 218). Esso è costituito dalle cosiddette „pelte‟ o „scaglie

sovrapposte‟ cromaticamente bipartite, una scelta ornamentale che, come già ravvisava Mitchell,

fu largamente impiegata nell‟antichità, sia nelle soluzioni pavimentali e sia pittoriche, ma che

scomparve quasi del tutto durante l‟alto medioevo dal repertorio decorativo degli artisti.22

Le

esigue testimonianze pittoriche che fino ad oggi si conoscono,23

sono presenti, oltre che a San

Vincenzo, solo a Cimitile e a Santa Sofia di Benevento, ovvero nei territori della Langobardia

minor. A Cimitile, nell‟area a ridosso tra la basilica di Santo Stefano e la navata sinistra della

basilica Nova, durante gli scavi archeologici del 1999 venne riportato in luce un piccolo

ambiente le cui pareti sono decorate, senza soluzione di continuità e per tutta la loro altezza, con

affreschi raffiguranti motivi a scaglie cromaticamente bipartite (fig. 219); la datazione proposta

dagli archeologi per questa camera risalirebbe, in base all‟esame della sua stratigrafia interna,

agli inizi del V secolo, quindi ancora in età tardo antica.24

A Benevento, invece, risalgono alla

piena epoca altomedievale le tracce di un altro decoro a scaglie, dipinto sugli intradossi delle

arcate che, probabilmente, costituivano l‟antico atrio della chiesa di Santa Sofia (758-787).25

Va

ricordato che il disegno di tale motivo decorativo ricorre di frequente anche nella scultura

altomedievale – in particolar modo di ambiente romano – già a partire dalla fine del V secolo, sia

esso inciso o lavorato a rilievo, su capitelli e lastre, oppure e soprattutto nella trama traforata di

plutei e transenne.26

Da quanto fin qui esposto può evincersi che, rispetto agli innumerevoli

20

La numerazione con cui sono stati specificati i singoli pannelli pittorici della cripta volturnense riprende quella a

suo tempo assegnata agli stessi da John Mitchell nel 1995. A proposito cfr.: Hodges, Mitchell 1995, pp. 71-103.

Considerando il verso della costruzione assonometrica con cui molti dei decori furono realizzati, si può ipotizzare

che la scalinata nord della cripta dovesse corrispondere all‟ingresso principale, mentre ovviamente quella sud

avrebbe permesso il deflusso in uscita dei visitatori (Hodges, Mitchell 1995, p. 70). 21

Bertelli 1994, p. 68. Va sottolineato che, a differenza di quello volturnense, nell‟esempio pugliese non si

evidenzia alcun effetto tridimensionale del bordo esterno. 22

Hodges, Mitchell 1995, pp. 86, 114. Per i numerosi esempi di epoca antica, si veda: Mitchell 1985, p. 143 nota 26;

Mitchell 1994, p. 943 nota 137. Per l‟utilizzazione di questo disegno in ambito musivo, pavimentale e parietale, si

rimanda alla bibliografia indicata supra nella nota19. 23

Hodges, Mitchell 1995, p. 85, fig. 4:28. Nell‟area di San Vincenzo minore (SVm), lo zoccolo della parete est della

cosiddetta „Sala dei Profeti‟, è completamente decorato con il motivo in questione, in cui si rileva la successione

alternata di file contraddistinte da due diversi abbinamenti cromatici, rosa/rosso e azzurro chiaro/blu scuro. Invece,

di questo disegno a scaglie, è riprodotto, a pochi passi dall‟accesso nord della cripta „di Giosuè‟, nei resti pittorici

raffiguranti la lastra traforata di un pluteo visibile in situ lungo la parete della navata destra della basilica maior,

(Hodges, Mitchell 1995, p. 38, fig. 3:9). 24

Cimitile 2008. 25

Hodges, Mitchell 1995, p. 114 fig. 4:69. 26

Un‟ampia panoramica sulla tipologia di decoro a scaglie sovrapposte utilizzato in scultura, è contenuta nei vari

volumi del Corpus della Scultura Altomedievale del CISAM. In particolare, per gli esempi qui citati, si vedano:

Corpus 1976, tavv. LXVII, LXXI, XXVI figg. 61-65, XXVII figg. 66-70; Corpus 1974, tav. CCLIII fig. 425;

Corpus 1981, tav. XVIII fig. 90.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

5

rimandi in campo musivo, rari sono i confronti pittorici diretti che possono rinviare alle rotae

policrome volturnensi, ma forse comprensibili alla luce di quell‟originalità, a cui si è accennato e

che è caratteristica peculiare dell‟intero ciclo d‟affreschi che ricopre la zoccolatura della cripta di

Giosuè. Tutt‟al più, l‟affinità con altre composizioni pittoriche altomedievali riguarda solo

l‟impostazione del tema decorativo, che si basa su motivi circolari quasi sempre ispirati a

modelli pavimentali.27

Le trame ornamentali dei pannelli nn. 3, 8, 10, 18 e 22 e delle loro rispettive cornici, introducono

invece un altro dei sei principali temi decorativi individuati nella cripta volturnense: le figure

geometriche assonometriche, che qui possono essere denominate „a solidi moltiplicati‟.

Osservando con attenzione questi pannelli dipinti, emerge un altro dato interessante, cioè il

ricorso, a volte quasi ossessivo, alla ripetuta successione di figure policrome di solidi geometrici

(cubi, parallelepipedi, prismi a base triangolare o piramidi tronche) che sembra tradire la volontà

di dimostrare, a scapito del tradizionale bidimensionalismo, l‟avvenuta conquista della „terza

dimensione‟, ottenuta con l‟ausilio di un‟assonometria realizzata per contrasti cromatici, e non di

certo con la prospettiva, centrale o accidentale che fosse. Per ovvi motivi di spazio, verranno qui

presi in esame solo alcuni tra i tanti motivi „a solidi moltiplicati‟ individuati nell‟ipogeo

volturnense.

Nel pannello n. 3, l‟elemento cardine della decorazione è la figura geometrica del

parallelepipedo che viene disposto sul pannello a gruppi di quattro, in modo da delimitare, al

centro, uno spazio che da vita alla figura di un rombo (fig. 220). Nell‟impostazione generale,

questo tema ornamentale appare come una sorta di „cascata‟ di parallelepipedi, che si susseguono

secondo direzioni alterne, le cui facce policrome sono disposte in maniera tale da determinare un

effetto tridimensionale.28

Anche nel pannello n. 18 tale solido geometrico caratterizza totalmente

il decoro, il cui effetto d‟insieme, ottenuto ancora una volta attraverso la ritmata successione di

assonometriche sequenze multicolore, è quello di un tappeto dall‟irta e movimentata trama.

Un altro motivo „a figure assonometriche‟ qui esaminato è quello della fascia che separava,

lungo tutto il perimetro della cripta, lo zoccolo dalle figurazioni sovrastanti. La riproduzione

imita un intarsio lapideo a tre piastrelle le cui facce romboidali, sono campite con differenti

cromie, assicurano l‟effetto di un cubo assonometrico (tecnicamente conosciuto come

„composizione triassiale di cubi adiacenti‟), motivo questo tra i più antichi nella messa in opera

dell’opus sectile.29

Nel caso specifico, la fascia consiste in una molteplice successione composta

27

Per le rotae dipinte, si veda ad esempio: la chiesa inferiore di San Crisogono a Roma, VII-VIII secolo (Apollonj

Ghetti 1966, pp. 39-60 figg. 23, 27; Mazzocchi 2007, pp. 247-273, fig. 8); la Grotta degli Angeli a Magliano

Romano, XI-XII secolo (Piazza 2006, pp. 83-86, tav. 61c); la piccola chiesa bizantina di San Marco a Cellole, VII-

VIII secolo (Cicale 2000, pp. 50-51, fig. 28); la basilica di San Marco a Roma, VI-VII secolo (Guidobaldi 2001, pp.

86-87 fig. 9); la basilica di Santa Maria Antiqua a Roma, VII-VIII secolo (Nordhagen 1978 [oppure: 1990, pls. III,

VI, VIIIa-b, IXa-b-c-d]; Guidobaldi 2001, p. 86 fig. 8); la basilica di San Saba a Roma, VIII-IX secolo (Matthiae

1987, p. 153 fig. 126). 28

Questo tipo di disposizione viene definita «composizione ortogonale di parallelepipedi tangenti formanti

triangoli»: Balmelle et alii 1985, p. 331 tav. 212c. I colori utilizzati per i motivi volturnensi sono gli stessi per tutti

gli altri decori della zoccolatura della cripta (bianco, grigio, rosso e giallo). Ovviamente all‟interno di una stessa

figura geometrica un colore può assumere diverse tonalità proprio per mettere in risalto l‟effetto tridimensionale. 29

La „composizione triassiale di cubi adiacenti‟(anche questa definizione fu introdotta per la prima volta in:

Balmelle et alii 1985, p. 331 tav. 212a) fu identificata dalla Blake con gli scatulata pavimenta (Blake 1930). Stando

a quanto descritto da Plinio, il primo esempio di questo motivo sarebbe stato eseguito a Roma sul pavimento del

tempio di Giove Capitolino dopo l‟inizio della III guerra punica (149 a.C.), però non se ne hanno più tracce (Plinio,

Storia naturale, ed. 1984-1987, XXXVI, 185: «[…]scutulatum in Jovis Capitolini aede primum factum est post

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

6

da file di tre cubi inclinati lungo una diagonale disposta a 45°, che si svolgono senza soluzione di

continuità, da destra verso sinistra e dal basso verso l‟alto (fig. 221).

A Roma nel grande cubicolo della casa dei Grifi, dimora patrizia databile tra la fine del II e gli

inizi del I secolo a.C., troviamo un confronto pertinente ad uno dei due motivi volturnensi

poc‟anzi descritti. Sulle pareti di una delle sale di questa aristocratica abitazione è raffigurato un

finto loggiato con colonne, il cui fronte del parapetto è dipinto appunto con motivo a cubi

assonometrici policromi.30

Anche il pavimento di questo ambiente conserva al centro un riquadro

con pietre e marmi colorati che propongono lo stesso motivo decorativo, per‟altro diffuso

nell‟antica Pompei e in generale nell‟area campana, ma che non trovò più alcuna applicazione in

epoca altomedievale.31

Stesso riscontro abbiamo con la figura del parallelepipedo,32

che, secondo

quanto venuto fuori da questa indagine comparativa, quello volturnense rimarrebbe ad oggi

l‟unico esempio conosciuto di rappresentazione in pittura di tale portata. A tale proposito, va

comunque ricordato che nell‟abbazia di Corvey, in base ad alcune ipotesi ricostruttive,

risulterebbero decorati gli intradossi degli archi del westwerk con affreschi che raffiguravano

elaborate composizioni di solidi geometrici e tra loro compare la figura del parallelepipedo

policromo, utilizzato in questo caso per dar forma ad un motivo a stella.33

Il tema ornamentale di alcuni pannelli dell‟ipogeo, nn. 22, 23, 25 (figg.92-94), permette di

evidenziare la grande abilità e maestria di cui furono dotati gli artifices volturnensi. Infatti, in

questo specifico caso, attraverso decise e sicure pennellate, seppero ricreare le naturali venature

del marmo, e in alcuni casi dare vita anche a delle originali varianti. Le composizioni nn. 22 e 23

recano un medesimo schema decorativo che consiste nella riproduzione di un grande pannello ad

intarsi marmorei, composto dall‟alternanza di due diverse tipologie di crustae rettangolari: una

imita il marmo con venature dalla doppia tonalità, mentre l‟altra è formata dall‟accostamento di

quattro tronchi di piramide con le facce policrome.34

Invece sul pannello n. 25, dalle condizioni

conservative molto precarie, i frammenti d‟intonaco ancora in situ permettono comunque di

poter risalire alla sua originaria decorazione che risulta essere incentrata su di una singolare

variante di striatura marmorea. Il decoro riproduceva la successione di lastre di marmo con la

venatura dal caratteristico andamento a V dritta e rovescia, il cui confronto più calzante lo

tertium bellum punicum initum»). Difficile risulta datare e soprattutto identificare questo tema decorativo con gli

scutulata di Plinio (ad esempio per Morricone Matini (1994, pp. 287-288), l‟identificazione degli scutulata di Plinio

con i cubi prospettici non è appropriata, in quanto questi non rappresentano una classe di pavimenti, ma solo uno dei

motivi decorativi del repertorio ornamentale pavimentale, ed in effetti Plinio nel suo passo fa riferimento ad una

categoria pavimentale e non a motivi ornamentali). 30

Barbet 1985, pp. 29-30; Ling 1991, pp. 24-25 figg. 20-21 31

Alcuni magnifici esemplari si trovano nelle seguenti case pompeiane: Casa del Fauno, Casa del Trittolemo, Villa

di Diomede. Ovviamente, questa soluzione nell‟ambito musivo trova applicazione in una vastissima area geografica

che è cronologicamente collocabile tra l‟età sillana e augustea. Per le problematiche sulla datazione, si veda la

bibliografia contenuta in: Guidobaldi et alii 1994, pp. 78-81. 32

Anche questo soggetto ebbe molta fortuna nella decorazione musiva pavimentale tra l‟epoca repubblicana e quella

tardo imperiale, per i cui esempi si rimanda a: Levi 1947, tavv. XVa, XCIIIc; Campbell 1988, tav. 210; Stefani

2000, p. 282. 33

Claussen 1994, pp. 99-113 figg. 12-17. 34

Tra le due soluzioni, quella del pannello n. 23 risulta avere un‟elaborazione molto irregolare, al punto che i singoli

motivi decorativi assumono una disposizione così casuale che non hanno, perlomeno in apparenza, alcuna logica

compositiva.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

7

ritroviamo presente nello stesso monastero volturnense, sulla zoccolatura delle pareti del

Vestibolo e della cosiddetta „Sala dei Profeti‟.35

Un altro dei temi individuati è il motivo „a scacchiera‟. Esso viene realizzato nella cripta con

diverse soluzioni compositivo/cromatiche che vanno dall‟utilizzo di caselle dalla forma quadrata

a quelle „a clessidra‟, disposte ortogonalmente o con andamento a zigzag. Tale soluzione

ornamentale ritorna spesso nell‟altomedioevo in molti ambiti artistici, tant‟è che la si riscontra,

ad esempio, nella produzione miniata insulare di fine VII secolo36

oppure nell‟edilizia, come nel

caso della Torhalle di Lorsch (760-790) dove il rivestimento parietale esterno è costituito da

piastrelle bicrome sagomate o, sempre nel suddetto monumento, come decoro dipinto nella

zoccolatura della sala interna.37

L‟ultimo dei motivi pittorici analizzato in questa sede è quello della „stella a otto punte‟, tema

decorativo che contraddistingue solo uno dei pannelli della cripta, il n. 9 (fig. 222). Questo

disegno trova forti rispondenze con la decorazione plastica altomedievale prodotta nella penisola

italiana e puntuali, ancora una volta, ricorrono i confronti con reperti provenienti dalla stessa

abbazia volturnense. Il reperto RN 2717, rinvenuto nell‟area delle officine monastiche,

costituisce parte di una lastra di terracotta in cui il disegno a stella venne impresso attraverso

l‟uso di uno stampo sulla sua superficie quando la lastra non era ancora stata sottoposta a

cottura.38

Nell‟area del SVM è stato recuperato un capitello a stampella, RN 4892, sui cui due

lati principali vi è una decorazione costituita da un profondo doppio motivo a stella.39

Infine, nel

pavimento della cappella di S. Restituta, piccolo edificio adiacente la navata nord della basilica

maior, alcune delle tessere che ne compongono il raffinato pavimento in opus sectile, sono

„fette‟ di capitelli a stampella tagliati longitudinalmente, rilavorati e messi in opera dal lato del

verso.40

In particolare, l‟attenzione è rivolta a una delle grandi tessere, RN 5325, appartenenti al

35

SV 2 1995, pp. 5-9, 32-38, pls. 1:1, 3:7; Hodges, Mitchell 1995, p. 97 pl. 4:44. Altri confronti si individuano a

partire da contesti tardo antichi, di cui si segnala una domus di Efeso in Turchia, metà del V sec. (Strocka 1977, figg.

210-215) e una di Merida in Spagna, del tardo IV sec. (Casal 1977-1978, p. 199 fig. 8). In ambito religioso, si indica

la presenza di questo motivo decorativo negli esempi altomedievali della già citata chiesa di San Marco a Cellole,

VI-VIII sec. (Cicale 2000, p. 40 fig. 17), la Grotta di San Michele a Monte Sant‟Angelo, VII-IX sec. (Bertelli 1994,

p. 142 fig. 113), la Cappella dei Quaranta Martiri a Santa Maria Antiqua a Roma, metà VII sec. (Nordhagen 1978

[oppure: 1990, p. 135 tav. LX]), la sala grande della Torre di Torba, IX sec. (Bertelli 1988, p. 24 fig.16), nella cripta

della chiesa di San Michele a Corte a Capua, fine X sec. (Belting 1968, p. 88 fig. 32 e tav. XLV fig. 96),

nell‟abbaziale di San Giovanni a Müstair, 830 ca. (Goll, Exner, Hirsch 2007, p. 180 fig. 84k) e, infine, nella basilica

di Prata Principato Ultra, inizi IX sec. (Muollo 2001, pp. 49-62). 36

Su questo codice, custodito a Dublino presso la Trinity College Library, si veda: Meehan 1996; Werner 1997. In

generale sulla miniatura insulare cfr.: Nordenfalk 1977; Henderson 1987; Bierbrauer 2001. 37

Per l‟apparato decorativo esterno ed interno della Torhalle: Hubert, Porcher, Volbach 1981, pp. 35-68, figg.

4,33,55,56,244; Krautheimer 1989, pp. 374-376 figg. 27-28. Nell‟abbazia volturnense, sulla zoccolatura della parete

ovest della Sala dei Profeti e su tutta quella dell‟adiacente refettorio, è raffigurato un motivo a scacchiera con

clessidre bicolore disposte in modo da creare l‟effetto „a pala di mulino‟ (SV 2 1995, figg. 3:2 e 3:4). 38

La descrizione di un reperto simile, sempre relativo all‟area archeologica volturnense, è contenuta in: SV 3 2001,

p. 123 fig. 3:206; Hodges, Mitchell 1995, p. 81 fig. 4:23. 39

Per questo capitello si veda: Sogliani 2004, p. 100 fig. 5. 40

Secondo quanto sostenuto da Marazzi (Marazzi et alii 2002, pp. 244-247), in corrispondenza e a memoria

dell‟antico ingresso della basilica di Giosuè, la cappella di Santa Restituta fu edificata dai monaci nell‟ultimo quarto

dell‟XI secolo, quando si avviarono i lavori di riedificazione della nuova abbazia sulla riva destra del fiume

Volturno. Di questo edificio a tre navate, dalle modeste dimensioni, si conserva parzialmente lo splendido tappeto

pavimentale policromo in opus sectile, per la cui costruzione fu rilavorato numeroso materiale scultoreo classico e

altomedievale appartenuto alla basilica ormai in demolizione. Su questo pavimento si veda: Casaril et alii 2006;

Guidobaldi, Gobbi 2008.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

8

cerchio esterno di una delle 24 rotae che compongono il „tappeto‟ centrale della navata

principale, poiché sul suo recto vi è scolpito ancora il suddetto motivo a stella.

Nell‟ambito pittorico questo schema decorativo trova applicazione almeno dal VII all‟XI secolo,

ed i confronti con le „stelle a otto punte‟ volturnensi (figg. 222 e 229) spaziano dalla miniatura

alla pittura parietale. Tra gli esempi più significativi si segnalano alcuni frammenti d‟intonaco

dipinto recuperati dall‟area archeologica del complesso palaziale di Paderborn, che ricomposti

hanno dato vita ad una parziale riproduzione di tale disegno databile alla fine dell‟VIII secolo.41

Invece, a Müstair questo motivo è ancora in situ e lo si ritrova come elemento decorativo a

margine delle scene affrescate che ricoprono la parete est dell‟abside centrale nella chiesa del

monastero di San Giovanni.42

Infine, la „stella a otto punte‟ è anche presente come ornamento

nella cornice che delimita la pagina tabellare di un evangeliario (Codice 98) custodito a

Manchester, la cui esecuzione è attribuita al pittore milanese Johannes lombardus43

(fig. 223).

Occorre adesso rivolgere l‟attenzione su quanto emerge da un‟attenta osservazione di queste

pitture: gli effetti della percezione visiva. Essenziali per questo tipo di indagine, abbastanza

isolita per l‟arte medievale religiosa, sono risultate le ricostruzioni grafiche ipotizzate per ogni

pannello della cripta. La loro realizzazione ha previsto prima il rilievo dello stato attuale delle

pitture, che si è scelto di eseguire con metodo indiretto sulle riproduzioni fotografiche, poi

rielaborate con softwares adeguati per ridurre la distorsione delle immagini e ottenere foto

zenitali. Successivamente, in base ai rilievi effettuati e alla comparazione di questi con ciò che

rimane delle pitture ancora in situ, è stato possibile ipotizzare lo sviluppo di ognuno dei motivi

decorativi che, per la loro struttura geometrica, dovevano avere una composizione basata

essenzialmente sulla reiterazione modulare44

(fig. 224).

Gli effetti visivi determinati dall‟elaborata e complessa composizione di molte delle decorazioni

volturnensi, inducono a chiedersi se alla base della loro esecuzione ci sia stata, per così dire, una

scelta consapevole che ne abbia condizionato il risultato finale delle scelte formali. Vale a dire,

se la predilezione di specifici motivi decorativi della cripta sia stata il frutto dell‟intenzionale

ricorso alle tecniche della percezione visiva o semplicemente il „barbarico‟ risaltare della materia

sulla forma. Ci si pone questa domanda in quanto certe soluzioni decorative adottate nella cripta,

pur se realizzate in maniera assolutamente empirica, trovano grande riscontro nelle metodologie

applicative della moderna disciplina scientifica della percezione visiva. Su questo tema, a partire

dai primi anni dello scorso secolo, si sono indirizzate le ricerche di molti studiosi che ne hanno

fatto una vera e propria disciplina scientifica unanimemente riconosciuta. Addentrandosi

brevemente nel tema in questione, bisogna innanzitutto stabilire cosa significa „vedere‟ e cosa

„percepire‟. Infatti, se „vedere‟ è „percepire con l'occhio‟, „percepire‟ è invece „acquistare

41

Preißler 2003, pp. 108-109 figg. 123-124. Questi frammenti provengono dalle stratigrafie relative a strutture

architettoniche identificate come appartenenti alla nuova chiesa palatina, edificata al posto della più antica dedicata

al Salvatore (Gai 2005, pp. 19-21). 42

La scena in questione è quella dell‟Attribuzione del nome a Giovanni: Goll, Exner, Hirsch 2007, p. 191 fig. 92k. 43

Nordenfalk 1988, pp. 116-117 figg. 150-151. Stando a quanto riportato dalle fonti (Ruperti Chronicon, c. 13, pp.

262 e ss.) a questo pittore, durante l‟impero di Ottone III (983-1002), fu commissionato un ciclo pittorico per la

cattedrale di Aquisgrana. Purtroppo, di tali pitture non si conserva più nulla poiché quando esse furono rinvenute

durante alcuni lavori di restauro nel primo decennio del secolo scorso, si decise di ricoprirle a ristrutturazione

ultimata (Nordenfalk 1988, p. 113 fig. 151). 44

Le restituzioni grafiche sono state eseguite con il software Autocad 2006 che tuttavia non ha permesso di

riprodurre fedelmente la scala cromatica delle antiche pitture. Pertanto, i colori presenti nelle ipotesi ricostruttive

dovranno essere intesi come puramente indicativi.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

9

coscienza di una realtà esterna per mezzo dei sensi o dell'intuito‟. Quindi, la percezione visiva

non è altro che quel fenomeno per mezzo del quale si acquisisce coscienza della realtà esterna

attraverso la capacità visiva, quest‟ultima però fortemente condizionata dall‟elaborazioni

prodotte dalla nostra mente. L‟accostamento di determinati colori con precise forme geometriche

produce particolari effetti visivi (ad esempio percezione di immagini in movimento rotatorio,

(figg. 225-226) e quindi, per come sono stati concepiti i decori volturnensi, si potrebbe supporre

che l‟intenzione del loro committente, oltre a creare una ricca e aulica decorazione pittorica, sia

stata anche quella di ottenere, attraverso la sapiente combinazione di forme e colori,

un‟atmosfera capace di suggestionare e „ipnotizzare‟ il visitatore, di fargli percepire la „presenza‟

del divino. Ad accentuare questo effetto doveva concorrervi anche la particolare forma

icnografica con cui la cripta fu costruita (figg. 221 e 228). Infatti, l‟andamento semicircolare,

accompagnato da un‟illuminazione artificiale ad hoc a cui contribuiva quella proveniente dalle

finestre,45

poteva amplificare quell‟effetto psichedelico di cui i decori della zoccolatura erano già

di per sé pregni, e tra tutti i pannelli decorativi quelli raffiguranti le rotae policrome (figg. 225-

227) ne sono la testimonianza più calzante. A questi fenomeni si deve poi aggiungere anche

l‟effetto di disorientamento che produceva, in un ambiente così angusto, l‟inalazione del fumo

prodotto dagli incensi.46

In definitiva può dirsi che l‟abbinamento di colori a determinate forme

geometriche, consentì ai pittori volturnensi di ottenere empiricamente determinati risultati che

oggi, grazie ai numerosi studi prodotti sulla percezione visiva,47

sappiamo essere frutto di

complessi processi cognitivi.

In conclusione, fermo restando che quella della percezione visiva può essere ritenuta anche una

stimolante alternativa all‟interpretazione della pittura parietale, gli affreschi della cripta „di

Giosué‟ in realtà sono „figli‟ di quella trasformata concezione estetica dei cosiddetti secoli

barbarici, in cui, per l‟uomo altomedievale, il valore assoluto era la luce e i materiali che più

riuscivano a rifletterla, accoglierla, moltiplicarla o riprodurla48

(fig. 229). La luce, insieme la

vivacità delle manifestazioni cromatiche, era allegoria del divino, ed Esso poteva essere

rappresentato attraverso immagini che esaltavano tale simbolica concezione. Questa esaltazione

della luce e del colore, che si è pienamente riscontrata nei decori dipinti della cripta volturnense,

è fra i maggiori lasciti che la cultura carolingia avrebbe ricevuto in eredità da quella

langobardorum.

45

Sulle ipotesi avanzate per il sistema di illuminazione della cripta, si veda: Hodges, Mitchell 1995, pp. 63-65. 46

Nel 1981, nell‟ambito di studi scientifici eseguiti all‟Accademia di Lipsia, si è riusciti a individuare i principi

attivi dell‟incenso. Si è riscontrato che in esso sono contenute delle sostanze psicoattive che potrebbero condurre gli

officianti, se non alla dipendenza, almeno al desiderio di adoperarlo durante le cerimonie religiose (Corbin 1986, pp.

65-66, 203-204; Hume 2007, pp. 89-132). È stato dimostrato che l‟incenso stimola i centri dell‟attenzione e tende a

sollecitare anche i centri cardio-respiratori. Oltretutto si ritiene che i principi attivi presenti nell'incenso aiutino a

superare la claustrofobia e l'apprensione e, in alcuni casi estremi, sembrerebbero predisporre la mente anche a

suggestive visioni. 47

Gibson 1960; Klee 1976; Arnheim 1954 (oppure 2000); Gombrich, Hochberg, Black 1978; Spinicci 2000. 48

Su questo concetto così scriveva Assunto (1961, p. 45): «[…] la sopravvenuta frattura rispetto al mondo antico si

palesava come un apprezzamento qualitativo rivolto alla materia di cui l‟opera d‟arte è fatta (vale a dire a quello che

in essa più direttamente e in modo immediato colpisce i sensi) che non ad una abilità dell‟artista, riconducibile ad

un‟operazione mentale».

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

10

Fig. 211 - Planimetria della cripta di Giosuè (secondo Hodges 1995), San

Vincenzo al Volturno, Basilica maior.

Fig. 212 - Planimetria della cripta del Vecchio San Pietro (secondo Fig. 214 - Ricostruzione grafica della croce gemmata Apollonj Ghetti). (secondo l’autore).

Fig. 213 - San Vincenzo al Volturno. Laboratorio di ricom-

posizione degli affreschi, parziale ricomposizione di una

croce gemmata.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

11

Fig. 215 – San Vincenzo al Volturno. Basilica maior. Cripta di Giosuè.

Fig. 216 - San Vincenzo al Volturno. Basilica maior. Pannello

decorativo n. 2 della cripta di Giosuè con motivo a rota poli-

croma.

Fig. 217 - Fasano, Tempietto di Seppannibale. Decorazione

della cupola con motivo a rota policroma.

Fig. 218 – San Vincenzo al Volturno, Basilica maior. Pannello decorativo n. 27 della cripta di Giosuè con motivo a rota policroma

Fig. 219 - Cimitile, complesso delle basiliche paleocristiane,

ambiente adiacente alla basilica di S. Stefano. Decorazione con

motivo a scaglie bicrome.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

12

Fig. 220- SanVincenzo al Volturno, Basilica maior. Pannello

decorativo n. 3 della cripta di Giosuè conmotivo „a cascata‟ di

parallelepipedi policromi.

Fig. 221 - San Vincenzo al Volturno, Basilica maior. Cornice

decorativa della cripta di Giosuè, conmotivo a cubi

assonometrici policromi

Fig. 222 - San Vincenzo al Volturno, Basilica maior.

Particolare del pannello decorativo n. 9 della cripta di Giosuè

con motivo a stella con otto punte.

Fig. 223 - Motivo decorativo della cornice con stella a otto

punte, nel cod. 98, f. 98r, Manchester, John Rylands Library.

La decorazione aniconica della cripta semianulare di Giosuè a San Vincenzo al Volturno

13

Fig. 224 - Ricostruzioni dei pannelli decorativi della cripta di

Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore).

Fig. 225 - Ricostruzione del pannello decorativo n. 2 della

cripta di Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore).

Fig. 226- Ricostruzione del pannello decorativo n. 27 della

cripta di Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore).

Fig. 228 - Ricostruzione prospettica dell‟ingresso sud, parete

nord della cripta di Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore).

Fig. 227 - Ricostruzione frontale della parete est, ingresso nord

della cripta di Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore)

Fig. 229 - Ricostruzione frontale della parete ovest, ingresso

nord della cripta di Giosuè (elaborazione grafica dell‟autore).

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

14

PASQUALE RAIMO

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX

secolo da San Vincenzo al Volturno

A partire dal 1980, l‟area archeologica di San Vincenzo al Volturno1 ha assunto, nell‟ambito nazionale ed europeo, un ruolo di primaria importanza, diventando anno dopo anno un imprescindibile punto di riferimento, sia archeologico che artistico, costituendo per certi aspetti un vero e proprio unicum e meritando l‟appellativo “la Pompei del medioevo”.

Senza dubbio, tra le numerose scoperte effettuate negli ultimi anni, l‟enorme quantità di blocchi affrescati e di frammenti d‟intonaco dipinto2 hanno occupato un posto di gran rilievo, tanto da diventare un fondamentale modello comparativo per lo studio della pittura altomedievale in Italia, a cavallo tra la domina- zione longobarda e quella carolingia. Le testimonianze pittoriche si estendono un po‟ in tutta l‟area di scavo, lasciando facilmente ipotizzare che la maggior parte degli ambienti del cenobio benedettino fossero decorati con rilevanti cicli pittorici; del resto, che importanti maestranze pittoriche avessero operato a San Vincenzo al Volturno era ampiamente evidenziato sia attraverso il famoso ciclo d‟affreschi della cripta detta “di Epifanio”3 (abate dall‟824 all‟842) e sia dalle im- magini miniate del Chronicon Vulturnense4, rappresentando entrambe, fino al 1980, le uniche considerevoli testimonianze della produzione pittorica locale

5.

I ritrovamenti d‟intonaco dipinto di questi ultimi anni hanno permesso di approfondire sempre più le nostre conoscenze sulla decorazione pittorica che ricopriva le pareti degli ambienti più rappresentativi del complesso monastico: ad esempio ultimamente, attraverso la ricomposizione dei frammenti rinvenuti negli strati delle UUSS 574 e 584 nell‟area di SVM

6, è stato possibile individuare parte di alcune

scene che, in base all‟ubicazione del loro ritrovamento, si può ipotizzare che potessero far parte della decorazione pittorica interna dell‟abbaziale Maggiore. Di tali ritrovamenti si è già riferito in via preliminare in altra sede

7.

In questa occasione, invece, si illustrerà il riassemblaggio dei frammenti pittorici portati alla luce

all‟interno dell‟US 3149 durante le operazioni di scavo effettuate tra l‟estate e l‟autunno del 2001, nell‟area denominata CL/W settore nord- ambiente WA

8 (fig. 1). La ricomposizione in sabbiera dei frammenti combacianti ha consentito di poter restituire, anche se in maniera parziale, l‟immagine di una monumentale croce latina gemmata, la quale risulta rapportabile al motivo pittorico che decorava il paliotto ed il retro dell‟altare, datato all‟VIII secolo, della cosiddetta Chiesa Sud del monastero

9. Al fine

di meglio contestualizzare questo ritrovamento, sono stati affrontati vari aspetti riguardanti il tema iconografico della croce gemmata (la sua genesi, il significato, l‟evoluzione tipologica) sviluppando, in relazione alla ricomposizione ottenuta, un‟analisi storico-artistica attraverso i confronti con manufatti di ogni genere d‟arte che spaziano tra l‟epoca tardo-antica e quella carolingia, evidenziando l‟imprescindibile legame con l‟analoga decorazione dell‟altare della chiesa Sud che è il suo riferimento più prossimo.

Documentazione archeologica e dati di scavo

Partendo dai dati estrapolati dall‟archivio informatizzato della Missione Archeologica e dalla rilettura dei diari di scavo riguardanti il suddetto ritrovamento dei materiali qui esaminati, si è potuto risalire alle caratteristiche generali del contesto di rinvenimento (US 3149); soprattutto si è individuato all‟interno della stessa area in quali altre UU.SS. fossero stati rinvenuti frammenti d‟affresco, e quali fossero i rapporti stratigrafici tra i contesti caratterizzati dalla presenza di tali reperti. In modo particolare, ai fini

1Pantoni 1980; Hodges 1993; Hodges 1995; Hodges/Mitchell 1996; Marazzi 1996; Hodges/Marazzi/Mitchell

1995; Marazzi/Francis 1995; Hodges/Marazzi 1998. 2 Per quanto riguarda il recente lavori di riassemblaggio delle superfici pittoriche, si veda: Sassetti 2004. 3 Sul ciclo di Epifanio, cfr. De Maffei 1985; Bertelli 1994; Pace 1994. 4 Cfr. Federici 1925. 5 Sui primi studi sulla pittura a San Vincenzo al Volturno, si veda: Bertaux 1900. 6 Cfr. Sassetti 2004, pp. 55-61. 7 Sassetti 2004, pp. 96-118. 8Sui recenti scavi a San Vincenzo al Volturno, si veda: Marazzi/Filippone/Petrone/Galloway/Fattore 2002. 9 Cfr. Hodges/Mitchell 1996; Sassetti 2004, pp. 69-78.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

15

di una corretta lettura archeologica dell‟ambiente WA10 in cui l‟US 3149 si estende, si è constatato che

la suddetta stratificazione, essendo posizionata a ridosso di un soprastante loggiato, è costituita dal crollo verso valle (e dentro l‟ambiente WA) della parte più settentrionale del corridoio dello stesso, del quale, con ogni probabilità, i frammenti ricomposti costituiscono ciò che rimane della originaria decorazione pittorica.

Il riassemblaggio della croce gemmata e la sua descrizione iconografica

Completata l‟elaborazione dei dati di scavo ed individuati tutti i frammenti collegabili al tema iconografico in oggetto, si è quindi passati alla loro ricomposizione in sabbiera, che ha dato come esito il riassemblaggio della parte centrale di una monumentale croce latina gemmata. La struttura compositiva della croce risulta molto simile al tema iconografico che campeggia nella decorazione dell‟altare della Chiesa Sud; i bracci seguono un andamento rettilineo e ortogonale tra loro, e sono suddivisi in riquadri (o specchiature), e al centro di ogni riquadro è posizionata longitudinalmente una grossa gemma dalla forma ovale divisa in due metà, colorate rispettivamente in azzurro e rosso scuro (fig. 2).

Il profilo perimetrale della croce è realizzato con una spessa linea dal colore amaranto scuro che delimita anche le singole specchiature con una doppia bordatura parallela, mentre il fondo della sua forma è campito con il colore rosa. Sempre riguardo alla linea di contorno, questa è ornata da perlature bianche ese- guite a goccia di pennello la cui disposizione segue una cadenza regolare. Collocata all‟incrocio dei due bracci della figura principale, è raffigurata un‟altra croce, questa volta di tipo greco e patente, dal colore dorato; ai vertici del braccio verticale si evidenzia la presenza di due piccoli pomelli bianchi, mentre al centro dei bracci è parzialmente visibile una circolare gemma, o rubino, di colore rosso (fig. 3). Dal punto di vista interpretativo questo signum Christi ha un contenuto semantico molto importante, in quanto possiamo definirlo con ogni probabilità l‟immagine simbolica di Cristo, collocata proprio nel punto in cui in molte croci altomedievali si era soliti collocare, generalmente in un clipeo, il volto di Cristo o l‟immagine dell‟Agnello mistico. Nella riproduzione di questa croce greca patente, sembra manifestarsi l‟intenzione dell‟artista di rappresentare, in termini pittorici, un tradizionale oggetto d‟oreficeria, ispirandosi ai tanti esemplari realizzati nell‟ambito della coeva o precedente produzione suntuaria

11; del resto, è l‟iconografia, in genere della croce gemmata in pittura, che pare trarre spunto

proprio da un‟analoga ispirazione.

La genesi, il significato e i primi sviluppi del tema iconografico della croce gemmata

Per meglio comprendere le cause della fortuna iconografica che ebbe il motivo decorativo della croce gemmata

12 nel corso dell‟altomedioevo, bisogna partire da un‟importante considerazione: per tutto il periodo medievale un‟opera d‟arte nasceva in funzione di una finalità essenzialmente religiosa e non aveva solo valore estetico, e quindi aveva una imprescindibile forza evocativa che, in molti casi, è oggi difficilmente avvertibile. Così, sin dalle proprie origini, l‟arte cristiana si espresse tramite simboli per mezzo dei quali fu in grado di veicolare e far comprendere, al sempre più crescente numero di fedeli, il complesso “universo” dei riferimenti dottrinali.

Partendo da questi presupposti, in epoca tardo antica, la croce, ed in particolar modo la sua versione gemmata, assunse un significato allegorico d‟assoluto rilievo, passando repentinamente dall‟oblio dei primi secoli, ad una imprescindibile posizione di centralità. Infatti, dalla morte di Cristo in poi, i cristiani avevano in sostanza cancellato dalla propria memoria ogni riferimento allo strumento della passione Sua, e di migliaia di altri martiri. È con Costantino I (312-337) che la diffusione di croci auree e gemmate avviene in maniera rapida, trasformando così lo strumento di supplizio cristiano in emblema della gloria di Cristo. Divisa tra leggenda e realtà, alcune fonti antiche

13 ci narrano l‟episodio del sogno, o visione mistica, che Costantino ebbe prima della decisiva battaglia di Ponte Milvio, in cui un angelo, che stringeva nelle mani un labaro recante una croce gemmata, gli preannunciava la vittoria su Massenzio

10 Sull‟ambiente WA, si veda: Marazzi/Filippone/Petrone/Galloway/Fattore 2002, pp. 263-266. 11 Sullo studio delle croci votive, si veda: Gagov 1950; Oppenheim 1953a; Zocca 1950; Zocca 1950a; Zastow/De Meis

1975; Cavalcanti 1994; Di Berardo 1994; Poletti Ec- clesia 2002. 12 Sul tema iconografico della croce, si veda: Caspani 1950; Cattaneo 1950; Della Valle 1994; Casartelli Novelli 1996; Eadem 1999; Felle 2000; Ulianich 2000. 13 Lattanzio (314-321), De mortibus persecutorum; Eusebio di Cesarea (330-340), Vita Costantini.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

16

pronunciando il famoso messaggio propiziatorio “…in hoc signo vinces”. L‟apparizione di tale celeste signum Dei determinò non solo il definitivo avvicinamento al cristianesimo del sovrano ma, soprattutto, la sistematica diffusione nell‟impero dell‟effige della croce, parte integrante di un preciso programma di propaganda iconografica, basato sull‟esaltazione, di tale simbolo, dalla duplice valenza: un significato politico-militare associato alla vittoria di Ponte Milvio, e un altro religioso in cui la croce era individuata come signum salutis o signum Christi, per cui uno strumento di tortura e di umiliazione, attraverso la passione di Cristo, diviene veicolo, mediante la Risurrezione, di conquista della vita eterna, e quindi di trionfo sulla morte e su chi tale supplizio aveva predisposto; la versione gemmata, e quindi impreziosita, incorruttibile ed eternata, della croce della passione, assume in quest‟ottica il valore di metafora della finale vittoria della fede nel vero Dio e di chi tale fede difende.

Il modello, da cui deriverebbero tutte le successive rappresentazioni artistiche di croce gemmata, è identificabile nel monumentale esemplare che, a quanto si narra, Costantino stesso fece erigere sul monte Golgota

14 proprio nel punto ove avvenne l‟estremo supplizio di Cristo; ma di tale croce nessuna fonte antica riporta la descrizione decorativa per la quale abbiamo dati solo a partire dall‟epoca dell‟imperatore Teodosio II (408-450)

15.

Un forte impulso devozionale dovette scaturire anche dal miracoloso rinvenimento, nel luogo ove avvenne la Crocifissione, della reliquia della Vera Croce per mano di S. Elena, madre di Costantino. Dalla metà del IV secolo il feno- meno della venerazione e circolazione della Sacra Reliquia Lignea, in particolare come testimonianza del pellegrinaggio i Terra Santa, divenne in poco tempo tra le manifestazioni di culto più importanti del cristianesimo. Essa simbolicamente appartiene al corpo di Cristo ed è “albero di vita”

16 sia per le ragioni prima espo- ste, sia perché strumento della “effusio sanguinis” del Salvatore sulla terra. Di conseguenza, tali reliquie trovarono ben presto degna custodia in preziose stauroteche, spesso sistemate nelle tombe a protezione del defunto

17.

L’analisi dei confronti

La ricomposta croce vulturnense, è stata messa a confronto con manufatti prodotti attraverso diversi generi artistici, tra la metà del IV e la prima metà del IX secolo, in cui il suddetto motivo decorativo risulta raffigurato. Inoltre, va precisato che i raffronti sono stati eseguiti anche con opere con cui non vi sono palesi affinità iconografiche, ma che ritengo abbiano comunque costituito dei modelli d‟ispirazione.

Il riferimento iconografico, stilistico e cronologico fisicamente più prossimo è senza dubbio la decorazione dell‟altare della Chiesa Sud, considerata in asso luto la testimonianza pittorica più antica fino ad oggi rinvenuta a San Vincenzo al Volturno. Infatti, al centro del fronte posteriore (lato ovest) campeggia una grossa croce gemmata suddivisa, sul braccio verticale, in otto riquadri e due per ogni semiasse del braccio orizzontale; il fondo della croce è di colore grigio con- tornato da una spessa linea nera decorata con una successione continua di perlature eseguite a goccia di pennello (fig. 4). All‟interno dei riquadri trovano posto, in sequenza alternata, una grossa gemma a mandorla, dal colore arancio, e un motivo quadrangolare dal colore rosso vivo. La decorazione del paliotto (lato est) è, invece, sicuramente più ricca e complessa, presentando ai lati della nicchia centrale due croci gemmate dalla notevole dimensione, il cui tema iconografico è l‟esatta riproduzione di quello del lato posteriore ad eccezione del colore che in questo caso sfrutta il rosa della superficie di fondo (fig. 5). Ma le affinità con la croce gemmata oggetto di questo studio sono anche sotto l‟aspetto cronologico, poiché entrambe sono ascrivibili al tardo VIII secolo

18. Dal punto di vista stilistico, invece, la croce dell‟US 3149 appare

eseguita con più raffinatezza ed evidenzia una delicata stesura della gamma cromatica; questi elementi possono far scivolare la suddetta croce ad una fase cronologica di poco successiva (inizio IX?), e certamente attribuibile ad un artista stilisticamente più dotato, rispetto a chi eseguì la decorazione dell‟altare, e già calato nella temperie culturale della rinascenza carolingia.

Ma il motivo della croce gemmata ha visto la propria genesi nel campo della produzione d‟oreficeria, e partendo da tali oggetti è diventato il modello d‟ispirazione per tutte le altre manifestazioni artistiche.

14 Casartelli Novelli 1996, pp. 64-65. 15 Theophanes, Chronographia 5920; Georgius Cedrenus (= PG CXXI, cc. 644). 16 Sul fenomeno della diffusione della reliquia del Sacro Legno, si veda anche: Itinerarium Egeriae, 37, 1 (= CCL 175, p. 80); Vita Macrinae (379); Lipinsky 1960; Drijvers 1992. 17 A tale riguardo si veda: Lipinsky 1960, pp. 219, 246 e 249; Del Bello 1969, pp. 121-128; Castagnetti/Varanini

1989, pp. 279-280. 18 Cfr. Hodges/Mitchell 1996.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

17

Resta altresì importante far notare che tali oggetti d‟arte oltre a rispondere a precise esigenze iconografiche di tipo escatologico, esprimevano le varie tendenze artistiche delle differenti culture europee dell‟epoca altomedievale, talvolta mescolate in modo originale tra loro

19.

I primi grandi esemplari superstiti furono realizzati dall‟oreficeria bizantina, la quale, per tutto il periodo altomedievale ed oltre, continuò a far sentire sull‟occidente la sua influenza in maniera più o meno rilevante. Esemplare che simboleggia questa produzione, è certamente la Croce di Giustino II (565-570) (fig.6), custodita nel Tesoro di San Pietro in Vaticano, la quale, insieme alla scomparsa Croce del Sancta Sanctorum, è tra le poche testimonianze sopravvissute delle preziose donazioni fatte dagli imperatori nei confronti delle basiliche romane

20. La decorazione del recto è pertinente al gusto

bizantino dell‟epoca, con il caratteristico utilizzo, lungo il perimetro della croce, di gemme dai colori vivaci ma dalla ristretta gamma cromatica; infatti, tale ridotta sequenza di colori (verde dello smeraldo, bianco delle perle e azzurro dello zaffiro) non era casuale, ma rispettava precise direttive imperiali stabilite personalmente da Giustiniano (527-565) il quale stabilì la facoltà di associare le tre pietre preziose all‟esclusiva figura dell‟imperatore

21.

Nella successiva produzione orafa longobarda è ben visibile quel processo di contaminatio tra la cultura aniconica “barbarica” con il rigore compositivo di quella di matrice tardo antica. Senza dubbio ad accelerare questo processo fu l‟adesione, dal 590, al cattolicesimo di questo popolo per merito della regina lon- gobarda Teodolinda (589-628), con l‟appoggio di papa Gregorio Magno (590-604). Proprio alla figura della suddetta regina, sono attinenti una serie di pre- ziosi oggetti sacri conservati presso il museo del duomo di Monza, di cui la Croce di Agilulfo (591-615) (fig. 7) e la coperta dell‟Evangelario di Teodolinda

22 sono tra le opere più rappresentative della collezione. Un altro grande esemplare di raffinata ricchezza esecutiva, a cavallo tra la dominazione longobarda e quella carolingia, è indubbiamente la Croce di Desiderio (fig. 8), conservata nel Museo Civico dell‟età Cristiana di Brescia, attorno alla quale si sono sviluppate diverse ipotesi attributive

23. Quest‟opera rappresenta, nel suo genere, il massimo

esempio di riuso in età altomedievale di pietre intagliate antiche e tardo antiche, in quanto i duecentoundici esemplari sapientemente disposti e rilavorati, sul recto e verso, ne fanno una delle più belle croci gemmate processionali

24, tra la fine del‟VIII e il X secolo, di cui abbiamo testimonianza.

Capolavoro dell‟arte orafa carolingia è l‟Altare di Vuolvinio25 in Sant‟Ambrogio a Milano (fig. 9),

che prende il nome dall‟artefice che lo realizzò su com- missione del vescovo milanese Angilberto II (824-859). Quest‟opera mostra in pieno le sapienti capacità realizzative dei maestri orafi carolingi, in quanto si può considerare un gioiello aureo di dimensioni gigantesche, riccamente rivestito con 4379 tra gemme, coralli, cammei, perle e madreperle e decorazione a smalto cloisonné. Al centro di entrambe i pannelli laterali campeggia una grossa croce gemmata dalla forma greca e patente al cui incrocio dei bracci è collocata una grossa gemma ovale, risultando così nel suo complesso strutturata in modo molto simile al motivo iconografico posto al centro dei bracci della croce di CL/W.

Se l‟oreficeria è stato l‟ambito dal quale il tema della croce gemmata è nato, di sicuro ebbe grande seguito e varietà di soluzione iconografica nelle decorazioni parietali. La sua prima adozione è documentata nel mosaico absidale della chiesa romana di Santa Pudenziana (fig. 10), eseguito probabilmente all‟epoca dei papi Siricio (384-399) e Innocenzo I (401-407), tra i più antichi esempi superstiti di decorazione absidale musiva in un edificio cristiano

26. Alle spalle del Cristo in trono,

posto al centro dell‟assemblea apostolica, spicca una grossa croce gemmata collocata sulla sommità di un‟altura, identificabile con il monte Golgota nella rappresentazione della Parusia finale nella Gerusalemme celeste. La forma, che diventerà uno standard nelle rappresentazioni musive e pittoriche, è del tipo latino e si presenta di dimensioni monumentali con il bordo decorato da una serie continua di perle bianche, mentre agli apici dei terminali sono collocati dei pomelli azzurri. Infine, lungo i due

19 Pellegris 2002, p. 126. 20 Il Liber Pontificalis è il solo testo che meticolosamente da notizia sulle immense ricchezze confluite nei tesori dei

grandi centri di culto romani. Si veda: Lipinsky 1960, p. 150. 21 Tale disposizione imperiale è riportata nel cosiddetto “Iustiniani Codex” promulgato nel 534. 22 In merito alle rilegature di codici miniati, si veda: Snijder 1932, pp. 5-36; Needham 1979; Mazal 1996, pp. 606-609; Palazzo 1996, pp. 137-160. 23 Sulla croce di Desiderio si rimanda: Lipinsky 1960, pp. 173-175; Sena Chiesa 2002, pp. 154-164; Superchi/Donini 2002,

pp. 165-173; Miazzo 2002, pp. 175-180. 24 Sul tema della croce processionale, si veda: Caspani 1931; Zocca 1950a; Cattaneo 1950, col. 963; Oppenheim 1953, p. 779; Di Berardo 1994, pp. 547 ss. 25 Si segnalano solo alcuni dei numerosi studi sull‟altare milanese: Gerra 1956; Romanini1 988, pp. 227-228 e 253-255;

Bandera 1996; Capponi 1996; Capponi 1996a; Ferrari 1996; Superchi 1996. 26 Cfr. Romanini 1988, p. 102.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

18

bracci è raffigurata una alternata sequenza di gemme rettangolari e circolari dal colore rosso ed azzurro, che si sviluppano su di un fondo dorato, riproponendo così, in chiave musiva, la grande croce collocata sul Golgota, tra la metà del IV e l‟inizio del V secolo.

Nella Trasfigurazione del catino absidale di Sant‟Apollinare in Classe a Ravenna (metà VI secolo) risalta una croce gemmata conforme al nostro modello (fig. 11). Posta al centro di un clipeo, dalla bordatura gemmata, questa croce ricalca nella forma quella di Santa Pudenziana, presentando anch‟essa un bordo con perle bianche, e lungo i due bracci leggermente patenti, campiti con colore oro, vi è un‟alternanza di gemme quadrate e circolari dal colore verde ed azzurro; sporgono dai terminali dei semiassi delle apicature, o pomelli, mentre all‟incrocio dei bracci è raffigurato il volto di Cristo in un clipeo. Collegato al tema dell‟Etimasia (raffigurazione composta da una croce gemmata collocata su di un manto purpureo adagiato su decoratissimi troni), le più rappresentative riproduzioni si possono osservare ad esempio a Ravenna, nel mo- saico della cupola del battistero degli Ariani (494-526), oppure nel mosaico dell‟arco trionfale in Santa Maria Maggiore a Roma (432-440).

Spostandoci in area campana, e più precisamente nell‟alto casertano, si segnala un‟interessante decorazione musiva, da poco riscoperta, nella cattedrale di Carinola. In essa appare una croce gemmata patente, risalente al VI secolo, posta sull‟apice dell‟arco trionfale

27.

All‟interno dei complessi cimiteriali paleocristiani, troviamo interessanti con- fronti pittorici con l‟esemplare vulturnense. A Napoli, nell‟ipogeo di San Gau- dioso

28, nel sottarco dell‟arcosolio di San

Sossio, si erge una monumentale croce latina gemmata che affianca e sovrasta in altezza il santo titolare della nicchia (seconda metà del V secolo). Lungo i bracci, patenti, si alternano uno smeraldo quadrangolare e una gemma ovale rossa, separate tra loro da una coppia di grosse perle bianche, disposte ai lati, mentre sistemate lungo la linea mediana vi sono quattro piccole perle anch‟esse bianche.

Altro bellissimo esemplare di croce gemmata si può ammirare a Roma sulla parete di fondo del fonte battesimale per immersione del Battistero delle catacombe di Ponziano (metà del VI secolo) (fig. 12). Questa croce, in parte sommersa, ha una slanciata forma latina con gemme rettangolari ed ellittiche (verdi e rosse) collocate alternatamente lungo i bracci, separate tra loro da una coppia di perle bianche

29.

Appartiene invece allo stesso periodo cronologico della croce gemmata vulturnense qui in esame, un esemplare proveniente dalla chiesa umbra di San Salvatore a Spoleto (fig. 13), di cui decora il catino absidale. La struttura decorativa di questa croce mostra la successione di quattro gemme (tre quadrangolari ed una circolare) separate da una coppia di piccole perle bianche, mentre le apicature delle terminazioni hanno una forma marcatamente rigonfia e prominente.

Anche nella produzione scultorea il motivo della croce gemmata ebbe un grosso seguito, tanto da trovare una varietà ampia d‟applicazione, che va dal‟arredo funebre all‟ornamentazione architettonica, determinando originali soluzioni decorative.

Tra le più antiche testimonianze, si segnala il sarcofago di Probo30 (fine del IV secolo) oggi nelle

Grotte Vaticane, sul cui lato anteriore vi domina la figura di Cristo, tra i santi Pietro e Paolo, mentre impugna una lunga croce latina interamente gemmata. Nella Costantinopoli d‟età giustinianea, resta notevole il numero delle croci ancora visibili nella basilica di Santa Sofia

31 (fig. 14); fra le più singolari vi è quella di un pannello in opus sectile, che, salvo l‟aggiunta di apicature e pendenti, incurva e divarica i semiassi con l‟eleganza della croce centrale di CL/W; la decorazione gemmata in questo caso, consiste in intarsi marmorei, di colore scuro, che simulano la forma di pietre rettangolari ed ovali affiancate da una doppia perlatura.

Nell‟ambito della scultura longobarda l‟abbinamento del tema della croce all‟ornamentazione dei capitelli, introdotta nell‟ornamentazione architettonica bizantina, ha prodotto esemplari caratterizzati da un‟estrema originalità compositiva generata da influenze culturali lontane tra loro

32. Tra i più

rappresentativi esemplari di questo genere, risulta certamente il piccolo capitello proveniente dalla chiesa pavese di San Giovanni in Borgo (fig. 15), databile tra la fine del VII e l‟inizio VIII secolo, conservato presso il Museo Civico del Castello Visconteo della stessa città lombarda. Il capitello, è strutturato in maniera molto originale in quanto, partendo dal basso verso l‟alto, passa da una forma cilindrica ad una quadrangolare, fondendo in un unico blocco abaco e capitello; il trapasso da una forma all‟altra, avviene

27 Su tale decorazione musiva, si segnala: Ricciardone 2005. 28 Su queste catacombe, si veda: Spinosa/Ciavolino 1979; Fasola 1974; Fasola 1986; Fiaccadori 1992; De Pasquale

1996; Bisconti 2001. 29 Sulla decorazione di questa catacomba, si veda: Wilpert 1903. 30 Si veda: Deichmann/Bovini/Brandenburg 1967, 1, pp. 277 s., n° 678. Si veda: Deichmann/Bovini/Brandenburg

1967, 1, pp. 277 s., n° 678. 31 Della Valle 1994, p. 551. 32 Romanini 1988, p. 219.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

19

attraverso due spesse linee curve dalle quali, aprendosi in senso opposto come due foglie d‟acqua, fuoriesce una croce greca patente, che va ad occupare la sovrastante superficie quadrangolare.

Sulle lunette laterali di alcuni coperchi semicilindrici di sarcofagi ravennati, si hanno degli esempi ragguardevoli di croci di tipo latino, come nei sarcofagi di Eliseo Profeta, o Pignatta, del Quadrarco di Braccioforte

33 e dei Dodici Apostoli in Sant‟Apollinare in Classe di inizio e metà V secolo. Due esemplari di croci gemmate rapportabili al “nostro” modello, sono raffigurate sul coperchio, anch‟esso semicilindrico, di un sarcofago sito nella cattedrale ravennate.

Ma la presenza del “salvifico segno”, nella decorazione architettonica, non si limitava ai soli capitelli; infatti, numerose sono le lastre di plutei che presentano, scolpito o inciso, il motivo gemmato abbinato a vari soggetti iconografici (pavoni, agnelli, calici, fiori, palme). Tra i massimi esemplari del genere, si annovera una lastra in pietra calcarea da San Salvatore di Brescia (VIII-IX secolo) (fig. 16), che costituiva parte dell‟ornamentazione della recinzione presbiterale del controverso monumento lombardo

34, in cui

una grossa croce latina patente è decorata da una serie continua di gemme circolari, dalla dimensione che si riduce verso il punto d‟incontro dei semiassi; inoltre, una successione di quattro clipei concentrici è posta al centro della croce, mentre il bordo è costituito da un nastro triplicemente ripartito con profondi solchi incisi, nella più classica tradizione barbarica.

Sempre dello stesso periodo e genere, si ricordano: una lastra di pluteo in pietra calcarea, frammentata

in due pezzi, appartenuta alla chiesa lucchese di San Concordio35 (VIII-IX secolo) conservata nel Museo

Nazionale di Lucca; un altro esemplare proviene dalla basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma (metà VIII secolo), sulla cui lastra è visibile una coppia di croci strutturate e decorate alla stessa maniera del soggetto scolpito sul pluteo lucchese, quasi a testimoniare la comune adozione, a partire dall‟VIII secolo, di una specifica tipologia iconografica; la Lastra di Sigualdo (metà VIII secolo) (fig. 17) che decora una delle facce della base ottagonale della vasca battesimale ad immersione nel battistero di Callisto a Cividale del Friuli.

Nell‟area archeologica di San Vincenzo al Volturno, tra i reperti portati alla luce, vi sono due lastre lapidee la cui decorazione ci conferma che il tema della croce trionfante ha costituito un soggetto iconografico molto utilizzato nell‟ambito delle scelte ornamentali del centro monastico.

La prima di queste lastre è quella cosiddetta “dell‟Agnus Dei”, databile intorno al IX secolo (fig. 18), costituita da un frammento angolare di una lapide funeraria. La composizione decorativa è formata da una croce patente, sui cui bracci è scolpito un motivo nastriforme (a forma di otto) simbolo dell‟eternità, e negli spazi di risulta sono raffigurati, in alto, un animale quadrupede (agnello?) e un fiore a sei petali, mentre in basso due righe di scrittura. Particolare molto interessante in questa decorazione, è la presenza, all‟interno di un clipeo, di una mano (destra) collocata al centro dei bracci della croce, la quale può rappresentare l‟immagine simbolica di Cristo (o di Dio), alla stregua di quanto avviene per la croce dipinta dell‟US 3149.

L‟altro dei citati esemplari vulturnensi è una lastra in pietra calcarea (IX secolo) sulla cui superficie è raffigurata, ad altorilievo, una croce patente lungo i cui bracci è realizzata un‟iscrizione dalle lettere ben incise (fig. 19). All‟incrocio dei bracci è rappresentato un grosso fiore a quattro petali nel cui nucleo cen- trale vi è un profondo incavo circolare, probabile alloggiamento per l‟incastona- tura di una gemma o più probabilmente di una pasta vitrea, dal momento che all‟interno di questo sono visibili tracce di pigmento rosso.

Conclusioni

L‟indagine comparativa condotta ha permesso di poter definire alcuni importanti aspetti riguardanti non solo la croce vulturnense qui esaminata, ma anche di definire quale significato il tema della croce gemmata ha assunto nell‟ambito della cultura carolingia.

In virtù dei confronti effettuati, si è potuta elaborare un‟ipotesi di ricostruzione grafica della ricomposta croce gemmata, immaginando due possibili soluzioni. Lo schema compositivo doveva prevedere, per i semiassi orizzontali e per quello verticale superiore, una doppia specchiatura ognuna

33 Valenti/Zucchini/Bucci 1968, pp. 30 s., n° 11, e tav. 11, c - cfr., altresì, tav. 11. 34 Sulle controverse vicende legate a questo monumento, si veda: Panazza/Tagliaferri 1966, pp. 72-73; Menis 1990, p. 310; Steigemann/Wemhoff 1999, pp. 86-87; De Marchi 2000, pp. 524-525; Bertelli 2000, pp. 189-195; Broglio 1992;

Brogiolo 2000, pp. 143-155. 35 Notizie sul monumento sono in: Belli/Barsali 1959, pp. 37-38.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

20

contenente una gemma ovale bicolore, mentre per la parte inferiore del braccio verticale, questo duplice modulo si ripeteva due o tre volte

3636, ottenendo in questo modo una successione di quattro o sei specchiature. In relazione a queste ipotesi, si sono ottenute, orientativamente, le dimensioni della croce, la quale doveva essere larga 80 cm e lunga tra 90 e 120 cm, a seconda se consideriamo la doppia o triplice successione del modulo base di riferimento (fig. 20). Lo studio effettuato sui frammenti pittorici contenuti nell‟US 3149, ha inoltre dimostrato che solo alcuni sono associabili alla croce gemmata e combacianti tra loro, mentre non esiste alcuna relazione con il resto dei frammenti della stessa US e delle altre UU.SS. più prossime, poiché rivelano motivi decorativi e tavolozza cromatica completamente diversa. Ciò consentirebbe di supporre che la decorazione parietale del loggiato doveva essere composta da una serie di riquadri o pannelli, separati tra loro mediante incorniciature, in cui erano inseriti i singoli soggetti iconografici.

Come accennato in precedenza, il tema decorativo in esame nasce in età costantiniana assumendo subito uno specifico significato simbolico sostenuto da un programma di propaganda iconografica ad hoc. Allo stesso modo, in età carolingia, il motivo della croce gemmata acquisì notevole rilevanza, com‟è del resto provato dai coevi esemplari vulturnensi qui esaminati. Non vi sono chronica di importanti centri di culto carolingio che non facciano menzione dei propri tesori in suppellettili necessarie per lo svolgimento delle funzioni liturgiche, consistenti generalmente in calici, antependia, paliotti, altari, legature d‟evangelario, su molti dei quali il “nostro” motivo decorativo risulta puntualmente riprodotto. Non è da escludere che, nonostante indubbi elementi di continuità con le epoche più recenti, la popolarità del motivo della croce gemmata in epoca carolingia, di cui i reperti vulturnensi sono un indubbio significato testimonio, possa aver ricevuto un impulso dal clima di revival della tradizione iconografica e delle maniere artistiche tardoantiche, in virtù del fatto che Carlo Magno era considerato non sovrano del popolo tedesco ma un Augusto romano, ed era denominato il “nuovo Costantino”

3737. Il richiamo all‟arte paleocristiana, può aver determinato la ripresa e un favorevole sviluppo del tema decorativo della croce gemmata.

I grandi centri monastici benedettini, per volontà dello stesso imperatore, gio- carono un ruolo

rilevante nell‟operazione di rinascita e riforma religiosa da lui promossa, ed a conferma di tale legame con suddetto ordine monastico, egli promulgò nel 789 la Admonitio generalis con cui impose l‟adozione della regola benedettina in tutti i monasteri dell‟impero. Tra le abbazie benedettine italiane, quella di San Vincenzo al Volturno suscitò grande interesse da parte del sovrano, giustificato dal fatto che, oltre a ricoprire politicamente un ruolo d‟assoluto prestigio nell‟ambito monastico, essa occupava una posizione geografica strategica, fondamentale per il controllo territoriale a metà strada tra nord e sud della no- stra penisola. Nel 787 al cenobio vulturnense furono concessi da parte di Carlo Magno dei particolari privilegi (fiscali, giuridici e di scelta per il proprio abate), equiparandolo così alle più importanti abbazie del tempo.

In definitiva, la “nostra” croce gemmata sembra ben inserirsi nel clima di “rinascita” che l‟arte carolingia

38 evidenziò fin dai suoi esordi; in modo particolare, l‟esemplare vulturnense ci dimostra che, nel riprodurre tale soggetto iconografico, gli artisti carolingi riproposero il marcato rigore compositivo e la minuziosa cura dei particolari decorativi (sia pure con qualche variante prodotta dall‟in- contro nel corso dei secoli di tradizioni culturali tanto diverse tra loro) che erano stati tra i caratteri precipui degli esempi di epoca tardoantica, che abbiamo qui esaminato.

36 Per la ripetizione doppia si citano gli esempi di Sant‟Apollinare in Classe, San Giovanni in Laterano e Galla Placidia,

mentre tre volte si riscontrano in Santa Pudenziana, Codice Va- leriano, Battistero degli Ariani, catacombe di San Gaudioso. 37 Bianchi 1988, p. 78. Sulla figura di Carlo Magno si veda inoltre: Halphen 1921; Hel- lmann 1932; Pirenne 1937;

Pyritz 1937; Townend 1967; Buzzi 1970; Löwe 1978; Saitta

1983; Riche 1994; Delle Donne 2001; Barbero 2004; Hagermann 2004. 38 Sull‟arte e i caratteri generali della “rinascenza carolingia”, si veda: De Francovich 1942-1944; Aubin 1957; Hubert/Porcher/Volbach 1967; Lorenzoni 1974; Wies 1993; D‟O- nofrio 1993; Skubiszewski 1995; D‟Onofrio 1996;

Steigemann/Wemhoff 1999; Preißler 2003.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

21

Bibliografia

Paschale.

Eusebio di Cesarea, Vita Costantini.

Georgius Cedrenus.

Hieronymus, Liber contra Joannem Hierosolymitanum I 11.

Itinerarium Egeriae, 37.

Lattanzio, De mortibus persecutorum.

Liber Pontificalis.

Theophanes, Chronographia 5920.

Testi successivi al 1900

Achelis 1936: H. Achelis, Die Katacomben von Neapel, Leipzig 1936.

Amodio 1999: M. Amodio, Fonti e testi antecedenti il 1900

Chronicon Il mosaico del Trionfo della Croce nelle catacombe di San Gaudioso a Napoli, in La Croce.

Iconografia e interpretazione (secoli I-inizi XVI), Atti del Convegno Internazionale di studio (Napoli, 6-11

dicembre 1999), a cura di B. Ulianich, c.s.

Aubin 1957: H. Aubin, Karolingische und Ottonische Kunst: Werden, Wesen, Wirkung, Wiesbaden 1957.

Bagatti/Testa 1984: B. Bagatti, E. Testa, Il Golgota e la Croce: ricerche storico-archeologiche (Studium

Biblicum Franciscanum). Collectio Minor, 21, Gerusalemme 1984.

Bandera 1996: S. Bandera, L’altare di Sant’Ambrogio: indagine storico artistica, in L’altare d’oro di

Sant’Ambrogio, a cura di C. Capponi, Milano 1996, pp. 73-111.

Barbero 2004: A. Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, 2004.

Belli Barsali 1959: I. Belli Barsali, Corpus della scultura altomedievale. I. La diocesi di

Lucca, Spoleto 1959.

Bellucci 1934: A. Bellucci, Ritrovamenti archeologici nelle catacombe di S. Gaudioso e di S. Eufebio a

Napoli, in “RivAC”, XI (1934), pp. 73-118.

Bertaux 1900: E. Bertaux, Gli affreschi di San Vincenzo al Volturno e la prima scuola d’artefici benedettini

nel IX secolo, in RASA, IV, 10, 1900.

Bertelli 1994: C. Bertelli (a cura di), La pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano 1994.

Bertelli 2000: C. Bertelli, Aspetti dell’arte promossa dai Longobardi in Italia nell’VIII secolo, in Il futuro dei

Longobardi: l’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Ma- gno, catalogo della mostra a cura di C. Bertelli,

G.P. Brogiolo 2000 (Brescia 2000), Milano 2000, pp. 189-195.

Bertelli/Brogiolo 2000: C. Bertelli, G.P. Brogiolo (a cura di), Il futuro dei Longobardi: l’Italia e la

costruzione dell’Europa di Carlo Magno, catalogo della mostra (Bre- scia 2000), Milano 2000.

Bianchi 1988: G. Bianchi (a cura di), Eginardo: Vita di Carlo Magno, Roma 1988.

Bisconti 2000: F. Bisconti (a cura di), Temi di Iconografia paleocristiana, Città del Va- ticano 2000.

Bisconti 2000a: F. Bisconti, Mosaici nel cimitero di S. Gaudioso: revisione iconografica ed approfondimenti

iconologici, in Atti del VII Colloquio dell‟AISCOM (Pompei, 22-

25 marzo 2000), a cura di A. Paribeni, Ravenna 2001, pp. 87-98.

Breck 1926-27: J. Breck, The Ficoroni Medallion and some other gilded glasses in the

Metropolitan Museum of Art, in “ArtB” , 9, 1926-27, pp. 353-356.

Brogiolo 1992: G.P. Brogiolo, Trasformazioni urbanistiche nella Brescia longobarda: dalle capanne di legno

al monastero regio di S. Salvatore, in S. Giulia di Brescia. Archeologia, arte, storia di un monastero regio dai

Longobardi al Barbarossa, a cura di C. Stella, G. Brentegani, Brescia 1992.

Brogiolo 2000: G.P. Brogiolo, Desiderio e Ansa a Brescia: dalla fondazione del monastero al mito, in Il futuro

dei Longobardi: l’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, catalogo della mostra, a cura di C. Bertelli,

G.P. Brogiolo 2000 (Brescia 2000), Milano 2000, pp. 143-155.

Brozzi 1980: F. Brozzi, La tomba di Gisulfo: ma vi era proprio sepolto il primo duca longobardo del Friuli?,

in “NumAntCl”, IX, 1980, pp. 325-338.

Buzzi 1970: G. Buzzi, La vita e il tempo di Carlomagno, Milano 1970.

Calvino 1973: R. Calvino, Una lastra paleocristiana sconosciuta a Capaccio, in “Campania Sacra”, 4 (1973),

pp. 291-294.

Calvino 1976: R. Calvino, Peintures et mosaïques des catacombes napolitaines, in “Les

Dossiers de l‟Archéologie”, 19 (1976), pp. 22-33.

Capponi 1996: C. Capponi (a cura di), L’altare d’oro di Sant’Ambrogio, Milano 1996.

Capponi 1996a: C. Capponi (a cura di), L’altare d’oro attraverso i suoi restauri, in L’altare d’oro di

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

22

Sant’Ambrogio, a cura di C. Capponi, pp. 151-171, Milano 1996.

Casartelli Novelli 1996: S. Casartelli Novelli, Segni e codici della raffigurazione alto- medievale (CISAM-

Testi, Studi, Strumenti, 11), Spoleto 1996.

Casartelli Novelli 1999: S. Casartelli Novelli, La tipologia della croce nell’immaginario cristiano, dalle

origini alla visione di Costantino, in La croce: iconografia e interpretazione (secolo I-inizio XVI), atti del

Convegno internazionale, Napoli 6-11 di- cembre 1999.

Caspani 1950: E. Caspani, Liturgia, s.v. “Croce”, in EISLA, XII, Milano-Roma 1931, p.

2 (ristampa Roma 1950).

Castagnetti/Varanini 1989: A. Castagnetti, G.M. Varanini (a cura di), Il Veneto nel

Medioevo. Dalla “Venetia” alla Marca Veronese, II, Verona 1989.

Cattaneo 1950: E. Cattaneo, La croce dell’altare, in La croce nella liturgia, s.v. “Croce”, in EC, IV, Firenze

1950, coll. 963-964.

Cavalcanti 1994: E. Cavalcanti, Tipologia della croce nella letteratura patristica, s.v. “Croce”, in EAM, V,

Roma 1994, pp. 529-535.

Cecchelli 1926-27: C. Cecchelli, Il Tesoro del Laterano, I, Oreficerie, argenti, smalti, in

“Dedalo”, VII, 1926-27, pp. 139-163.

Ciampoltrini 1991: G. Ciampoltrini, Marmorari lucchesi di età longobarda, in “Pro- spettiva”, 61, 1991,

pp. 42-48.

Cid Priego 1986-89: C. Cid Priego, Las gemas romanas antigas decoradas de la Cruz de los angeles de

Oviedo, in “Empuries”, 48-50, I, 1986-89, pp. 246-253.

Cielo 1979: L.R. Cielo, Una lastra paleocristiana inedita a S. Agata dei Goti, estratto da “Studi

Meridionali”, 1 (1979), pp. 17-28.

Cielo 1980: L. Cielo, Monumenti romanici a S. Agata dei Goti, Roma 1980.

s.v. “Croce” 1959 (a cura della Redazione), in EAA, II, Roma 1959, pp. 949-952.

Colli 1983: A. Colli, La tradizione figurativa della Gerusalemme celeste: linee di sviluppo dal sec. III al sec.

XIV, in Gerusalemme Celeste, 1983, pp. 119-144.

De Capitani 1944: A. De Capitani, La chiesa romanica di Santa Maria di Aurona in Milano da una

planimetria inedita del secolo XVI, “Archivio Storico Lomabardo” IX (1944), pp. 3-66.

De Francovich 1942-1944: G. De Francovich, Arte carolingia e ottoniana in Lombar- dia, in Römisches

Jahrbuch für Kunstgeschichte, VI, pp. 113-155.

De Grueneisen 1904: W. De Grueneisen, Sainte Marie Antique, 2 voll., Roma 1904.

Deichmann/Bovini/Brandenburg 1967: F.W. Deichmann, G. Bovini, H. Brandenburg,

Repertorium der christlich-antiken Sarkophage. Rom und Ostia, Bd. 1-2, Wiesbaden

1967.

Del Bello 1969: M. Del Bello, Una singolare crocetta aurea di Treviso, in Memorie sto- riche forogiuliesi,

XLIX, 1969, pp. 121-128.

Della Valle 1994: M. Della Valle, Area bizantina, s.v. “Croce”, in EAM, V, Roma 1994, pp. 550-557.

Delle Donne 1970: G. Delle Donne, Carlo Magno e il suo tempo, Milano 2001.

De Maffei 1985: F. De Maffei, Le arti a San Vincenzo al Volturno: il ciclo della cripta di Epifanio, in Una

grande abbazia altomedievale nel Molise: San Vincenzo al Vol- turno, Atti del I Convegno di studi sul

Medioevo Meridionale, a cura di F. Avagliano, Venafro-San Vincenzo al Volturno 19-22 maggio 1982, in

Miscellanea Cassinese, 51, Montecassino 1985.

De Marchi 2000: M. De Marchi, Decorazione architettonica in terracotta da San Salvatore, in Il futuro dei

Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Ma- gno, Milano 2000, pp. 524-525.

De Palol/Ripoll 1988: P. De Palol, G. Ripoll, I Goti, Milano 1988.

De Pasquale 1996: G. De Pasquale, Catacomba di San Gaudioso, in Napoli Sacra (14°

itinerario), Napoli 1996, pp. 889-893.

Dianzani 1989: F. Dianzani, Santa Maria d’Aurona a Milano. Fase altomedievale, Firenze 1989.

Di Berardo 1994: M. Di Berardo, Uso ornamentale e liturgico della croce, s.v. “Croce”, in EAM, V, Roma

1994, pp. 545-550.

Diehl 1926: C. Diehl, Un nouveau trésor d’argenterie syrienne, in “Syria”, VII (1926), pp. 105-122.

D‟Onofrio 1993: M. D‟Onofrio, Le voci Carlo Magno e Carolingia, in Enciclopedia dell’Arte Medievale,

vol. IV, Roma 1993, pp. 283-320.

D‟Onofrio 1996: M. D‟Onofrio, Roma e Aquisgrana, Napoli 1996.

Drijvers 1992: J.W. Drijvers, Melena Augusta. The mother of costantine the Great and the legend of her

finding of the True Cross. Leiden-New York-København-Köln 1992. Ebanista 2001: C. Ebanista, Il complesso

basilicale, in C. Ebanista, F. Fusaro, Cimitile. Guida al complesso basilicale e alla città, s.l. 2001, pp. 19-95.

Fasola 1974: U.M. Fasola, Le catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, Roma 1974 (edizione speciale).

Fasola 1986: U.M. Fasola, Le tombe privilegiate dei vescovi e dei duchi di Napoli nelle catacombe di S.

Gennaro, in L’inhumation privilegiee du IVe au VIIIe siècle en Oc- cident, Actes du colloque (Créteil 16-18

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

23

mars 1984), édités par Y. Duval et J.-Ch. Pi- card, Paris 1986, pp. 205-212.

Federici 1925: V. Federici (a cura di), Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, 1, Roma 1925.

Felle 2000: A.E. Felle, s.v. “Croce (Crocifissione)”, in Temi di iconografia paleocristiana,

a cura di F. Bisconti, Città del Vaticano 2000, pp. 158-162.

Felletti Maj 1953: B.M. Felletti Maj, Museo Nazionale Romano, I ritratti, Roma 1953.

Felletti Maj 1958: B.M. Felletti Maj, Iconografia romana imperiale da Severo Alessandro a Aurelio Carino,

Roma 1958.

Fiaccadori 1992: G. Fiaccadori, Il Cristianesimo. Dalle origini alle invasioni barbariche, in Pugliese

Carratelli 1992, pp. 145-168.

Fiorio Tedone 1986: C. Fiorio Tedone, Dati e riflessioni sulle tombe altomedievali internamente intonacate

e dipinte rinvenute a Milano e in Italia settentrionale, in Milano e i milanesi prima del Mille (Congresso

Internazionale di Studi sull‟Alto Me- dioevo, 10), Spoleto, pp. 403-427.

Forsyth/Weitzmann 1973: G.H. Forsyth, K. Weitzmann, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai.

The Church and Fortress of Justinian, (Ann Arbor, Michigan) (1973).

Frazer 1988: M. Frazer, Oreficerie altomedievali, in Monza: il Duomo e i suoi tesori, a cura di R. Conti,

Milano 1988.

Gagov 1950: G. Gagov, s.v. “Encolpio”, in EC, V, Firenze 1950, coll. 336-337.

Gerra 1956: C. Gerra, “Arca…gemmis quae compta coruscat”, in Studi in onore di Aristide Calderini e

Roberto Peribeni, III, Studi di Archeologia e Storia dell’arte Antica, Milano-Varese 1956, pp. 775-798.

Grabar 1958: A. Grabar, Ampoules de Terre Sainte, Paris 1958.

Grisar 1908: R. Grisar, Die römische Kapelle Sancta Sanctorum und Ihr Reliquienschatz,Freiburg 1908.

Hagermann 2004: D. Hagermann, Carlo Magno : il signore dell’occidente, Torino 2004.

Halphen 1921: L. Halphen, Etudes critiques sur l’histoire de Charlemagne, Paris 1921.

Hellmann 1932: S. Hellmann, Einhards literarische Stellung, in Historische Vierteljahrschrift, 27, 1932.

Hodges 1993: R. Hodges (a cura di), San Vincenzo al Volturno: the 1980-1986 excava- tions, part I, London

1993 (Archeological Monographs of the The British School at Rome, 7).

Hodges 1995: R. Hodges (a cura di), San Vincenzo al Volturno: the 1980-1986 excavations, part II, London

1995 (Archeological Monographs of the The British School at Rome,9).

Hodges/Marazzi 1998: R. Hodges, F. Marazzi, San Vincenzo al Volturno nel IX secolo.

L’invenzione di una città monastica, in Scavi medievali in Italia 1994-95, a cura di S. Patitucci Uggeri, Roma-

Freiburg-Wien 1998, pp. 311-322.

Hodges/Marazzi/Mitchell 1995: R. Hodges, F. Marazzi, J. Mitchell, San Vincenzo al Volturno, scavi 1994.

La scoperta del San Vincenzo Maggiore, “Archeologia Medievale”, 22, 1995, pp. 37-92.

Hodges/Mitchell 1996: R. Hodges, J. Mitchell, The basilica of Abbot Joshua at San

Vincenzo al Volturno, Montecassino, “Miscellanea Vulturnense”, 2, 1996.

Hubert/Porcher/Volbach 1967: J. Hubert, J. Porcher, W.F. Volbach, L’Europa delle invasioni barbariche,

Milano 1967.

Jaksic 1995: N. Jaksic, Klesarska radionica iz vermena kneza Branimira, in “Starohrvat- ska prosvieta” , III

ser., 22, Split 1995, pp. 141-150.

Julich 1986-87: Th. Julich, Gemmenkreuze, Die Farbigkeit ihres Edelsteinbesatzes bis zum 12 Jahrhundert,

in “Aachener Kunstblätter”, 54/55, 1986-87, pp. 99-258.

Kleinbauer 1984: W.E. Kleinbauer, Remarks on the building history of the Acheiropoietos Church at Thessaloniki,

in Actes du Xe Congrès International d‟Archéologie chrétienne (Thessalonique, 28 septembre-4 octobre 1980), II,

Città del Vaticano 1984, pp. 241-257.

Krautheimer 1977: R. Krautheimer, S. Pietro, in Corpus Basilicarum Christianarum Ro- mae. The Early

Christian Basilicas of Rome (IV-IX cent.),Vol. V, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia

Cristiana/New York Institute of Fine Arts-New York City University, 1977.

Lauer 1908: P. Lauer, Le Trésor du Sancta Sanctorum, in Monuments et Mémoires pu- bliés par l’Académie

des Inscriptions et Belles-Lettres, tomo XV, fasc. I-II, Paris 1908. Lipinsky 1960: A. Lipinsky, La “Crux

gemmata” e il culto della santa Croce nei monu- menti superstiti e nelle raffigurazioni monumentali, in

“CARB”, VII, 2 (1960), pp.139-189.

Lipinsky 1969: A. Lipinsky, La “Crux vaticana” e la sua originaria destinazione. La croce di Giustino II alla luce

delle più recenti ricerche, in “L‟Urbe”, NS, 32 (1969), pp. 13-19. Lipinsky 1975: A. Lipinsky, Oro, argento, gemme

e smalti. Tecnologia delle arti dalle origini alla fine del medioevo. 3000 a.C.-1500 d.C., Firenze 1975.

Lorenzoni 1974: G. Lorenzoni, Monumenti di età carolingia: Aquilea, Cividale, Mal- les, Munster, Padova

1974.

Löwe 1974: H. Löwe, “Religio christiana”. Rom und Kaisertum in Einhards Vita Karoli Magni, in Storiografia

e storia. Studi in onore di Eugenio Dupré Theseider, I, Roma 1974, pp. 1-20.

Marabini 1981: C. Marabini, I mosaici di Ravenna, Novara 1981.

Marazzi 1996: F. Marazzi, San Vincenzo al Volturno tra VIII e IX secolo: il percorso della grande crescita,

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

24

in San Vincenzo al Volturno, cultura, istituzioni, economia, a cura di ID., Montecassino 1996 (Miscellanea

Vulturnense, 3).

Marazzi/Filippone/Petrone/Galloway/Fattore 2002: F. Marazzi, C. Filippone, P. Pe- trone, T. Galloway, L.

Fattore, San Vincenzo al Volturno – Scavi 2000-2002. Rapporto preliminare, in Archeologia Medievale, XXIX,

2002.

Marazzi/Francis 1995: F. Marazzi, K.D. Francis, L’eredità dell’antico. Tecnologia e pro- duzione in un

monastero imperiale carolingio: San Vincenzo al Volturno, in L’Africa Romana, XI Convegno di Studio, a

cura di M. Khanoussi, P. Ruggieri, C. Vismara, Ozieri 1995, pp. 1029-1045.

Marcenaro 1993: M. Marcenaro, Il battistero paleocristiano di Albenga. Le origini del

Cristianesimo nella Liguria marittima, Genova 1993.

Marensi 2002: A. Marensi, L’iconografia della croce gemmata: una rassegna di esempi tardoantichi ed

altomedievali, in Le croci gemmate tra tarda antichità e alto medioevo, in Gemme: dalla corte imperiale alla

corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buc- cellati, A. Marchi, Milano 2002.

Mattei 1950: S. Mattei, La croce pettorale, in La croce nella liturgia, s.v. “Croce”, in EC, IV, Firenze 1950, col.

964.

Mazzoleni 1996: D. Mazzoleni, Rivestimenti e decorazioni delle legature, in EAM, VII,

1996, pp.606-609.

Mazzoleni 2000: D. Mazzoleni, s.v. “Alfa e Omega”, in F. Bisconti 2000, pp. 102-103.

Melucco Vaccaro 1974: A. Melucco Vaccaro, Corpus della scultura altomedievale, VII.

3. La diocesi di Roma. La II Regione Ecclesiastica, Spoleto 1974.

Menis 1990: G.C. Menis, I Longobardi, Catalogo della mostra (Cividale del Friuli-Passariano del Friuli, 1990)

Milano 1990.

Miazzo 2002: L. Miazzo, La lamina metallica: considerazioni tecniche sulla costruzione e sulle manomissioni,

in Gemme: dalla corte imperiale alla corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buccellati, A. Marchi, Milano

2002.

Needham 1979: P. Needham, Twelve Centuries of Bookbindings 400-1600, New York- London 1979.

Olivieri Farioli 1969: R. Olivieri Farioli, Corpus della scultura paleocristiana, bizantina ed altomedievale

di Ravenna, III, Roma 1969.

Oppenheim 1953: F. Oppenheim, Liturgia, s.v. “Croce e Crocifissione”, in DE, I, To- rino 1953, pp. 779-

780.

Oppenheim 1953a: F. Oppenheim, s.v. “Encolpio”, in DE, I, Torino 1953, pp. 970-971.

Pace 1994: V. Pace, La pittura medievale nel Molise, in Basilicata e Calabria, in La pittura in Italia,

L’altomedioevo, a cura di C. Bertelli, Milano 1994, pp. 270-288.

Palazzo 1996: E. Palazzo, Le Livres dans les trésor du Moyene Âge. Contribution à histoire de la Memoria

médievale, in les Tresors de sanctuaires, de l’Antiquité à l’épo- que romane, a cura di J.P. Caillet, Paris-

Nanterre 1996, pp. 137-160.

Panazza/Tagliaferri 1966: G. Panazza, A. Tagliaferri, corpus della scultura altomedievale,3, La diocesi di

Brescia, Spoleto 1966.

Pani Ermini 1978: L. Pani Ermini, Les mosaïques campaniennes antériures a Justinien, in L’art dans l’Italie

méridionale. Aggiornamento dell’opera di Émile Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, IV, Rome 1978,

pp. 195-214.

Pantoni 1980: A. Pantoni, Le chiese e gli edifici del monastero di San Vincenzo al Volturno, in “Miscellanea

cassinese 40”, Montecassino 1980.

Pelekanidis 1963: S. Pelekanidis, Gli affreschi paleocristiani ed i più antichi mosaici pa- rietali di Salonicco

(Collana di Quaderni di Antichità ravennati, cristiane e bizantine, n° 2), Ravenna 1963, pp. 31-60.

Pellegris 2002: C. Pellegris, Le croci gemmate dal V al XII secolo, in Le croci gemmate tra tarda antichità e

alto medioevo, in Gemme: dalla corte imperiale alla corte cele- ste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buccellati, A.

Marchi, Milano 2002.

Pirenne 1937: H. Pirenne, Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937.

Poletti Ecclesia 2002: E. Poletti Ecclesia, Simboli quotidiani: le croci gemmate sull’instrumentum

domesticum, in Le croci gemmate tra tarda antichità e alto medioevo, in Gemme: dalla corte imperiale alla

corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buccel- lati, A. Marchi, Milano 2002.

Preißler 2003: M. Preißler, Die Karolingischen malereifragmente aus Paderborn, Mainz am Rehin 2003.

Pyritz 1937: H. Pyritz, Das Karlsbild Einhards, in Die Vierteljahrschrift, 15, 1937.

Rapanic 1981: S. Rapanic, Bilieka o èetiri Branimirova natpisa, in “Starohrvatska prosvieta” , III ser., 11, split

1981, pp. 179-190.

Réau 1974: L. Réau, Iconographie de l’Art chrétien, Tomes I-III, Paris 1955-59 (reprint

Nendeln- Liechtenstein 1974).

Ricci 1930-37: C. Ricci, Tavole storiche dei musaici di Ravenna, fascicoli I-VIII, Roma

1930-37.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

25

Ricciardone 2005: S. Ricciardone, Il sacello mosaicato dell’ex cattedrale di Carinola. Sviluppo e genesi

architettonica, in Studi della Campania settentrionale, a cura di U. Zannini, Falciano del Massico 2005, c.d.s.

Riche 1994: P. Riche, L’Empire carolingien, Paris 1994.

Riegl 1927: C. Riegl, Spätrömische Kunstindustrie, Vienna 1927, pp. 380-383.

Rizzardi 1996: C. Rizzardi (a cura di), Il mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, Modena 1996.

Romanini 1988: A.M. Romanini, L’Arte Medievale in Italia, Firenze 1988 (seconda edizione 1992).

Ross 1962: M.C. Ross, Catalogue of the Byzantine and Early Medieval Antiquities in

The Dumbarton Oaks Collection, I, Washington 1962.

Rotili 1978: M. Rotili, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978.

Saggiorato 1968: A.R. Saggiorato, I sarcofagi paleocristiani con scene di Passione, Bologna 1968.

Saitta 1983: A. Saitta, L’ impero carolingio, Roma 1983.

Santaniello 1992: G. Santaniello (a cura di), Paolino di Nola. Le Lettere, 2 voll., Napoli-Roma 1992.

Sassetti 2004: C. Sassetti (a cura di), Il laboratorio per lo studio e la ricomposizione degli affreschi di San

Vincenzo al Volturno, Napoli 2004.

Schlunk 1950: H. Schlunk, The crosses of Oviedo. A contribution to the jewelry in Northern Spain in the

ninth and tenth centuries, in “ArtB”, 32, 1950, pp. 91-114.

Sena Chiesa 2000: G. Sena Chiesa, La croce di Desiderio, in Il futuro dei Longobardi: l’Italia e la costruzione

dell’Europa di Carlo Magno, catalogo della mostra a cura di C. Bertelli, G.P. Brogiolo (Brescia 2000), Milano

2000.

Sena Chiesa 2002: G. Sena Chiesa, Sacra dactyliotheca: la croce di Desiderio a Brescia ed il suo ornato

glittico, in Gemme: dalla corte imperiale alla corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buccellati, A. Marchi,

Milano 2002.

Skubiszewski 1995: P. Skubiszewski, L’arte europea dal VI al IX secolo, Torino 1995. Snijder 1932: G.A.S.

Snijder, Antique and Mediaeval Gems on Boockcovers at Utrecht,

in “ArtB”, 14, 1932, pp. 5-36.

Spinosa/Ciavolino 1979: A. Spinosa, N. Ciavolino, S. Maria della Sanità. La chiesa e le catacombe, Napoli

1979.

Steenbock 1965: F. Steenbock, Die kirchliche Prachteinband im frühen Mittealalter von den Anfängen bis zum

Beginn der Gotik, Berlin 1965.

Stiegemann/Wemhoff 1999: Ch. Stiegemann, M. Wemhoff (a cura di), Kunst und Kultur der Karolingerzeit.

Karl de Grosse und Papst Leo III in Paderborn, catalogo della mostra (Paderborn 1999), Mainz am Rehin.

Strzygowski 1904: J. Strzygowski, Koptische Kunst: Catalogue général des antiquités égyptiennes du Musée

du Caire, Numéros 7001-7394 et 8742-9200, Vienne 1904.

Superchi 1996: M. Superchi, Le gemme dell’arca di Volvino, in L’altare d’oro di Sant’Ambrogio a cura di C.

Capponi, Milano 1996, pp. 185-207.

Superchi/Donini 2002: M. Superchi, A. Donini, La Croce di Desiderio: analisi gem- mologica, in Gemme:

dalla corte imperiale alla corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa, G. Buccellati, A. Marchi, Milano 2002.

Tagliaferri 1981: A. Tagliaferri, Corpus della scultura altomedievale, X, La diocesi di Aquileia e Grado,

Spoleto 1981.

Townend 1967: G.B. Townend, Suetonius and His Influence, in Latin Biography, New York 1967, pp. 98-

106.

Travaini 2002: L. Travaini, La croce gemmata sulle monete dal V al XII secolo, in Le croci gemmate tra

tarda antichità e alto medioevo, in Gemme: dalla corte imperiale alla corte celeste, a cura di G. Sena Chiesa,

G. Buccellati, A. Marchi, Milano 2002.

Ulianich 1999: B. Ulianich (a cura di), La Croce: iconografia e interpretazione (secolo I-inizio XVI), atti del

Convegno internazionale, Napoli 6-11 dicembre 1999.

Ulianich 2000: B. Ulianich (a cura di), Catalogo della mostra: La Croce. Dalle origini agli inizi del secolo

XVI, Napoli 2000.

Valenti Zucchini/Bucci 1968: G. Valenti Zucchini, M. Bucci, Corpus della scultura pa- leocristiana, bizantina

ed altomedievale di Ravenna, II, Roma 1968.

Verzone 1963: P. Verzone, La scultura decorativa dell’altomedioevo in Oriente e Occi- dente, in Corsi di

cultura sull’arte Ravennate e bizantina, 1963 pp. 371-388.

Weitzmann 1979: K. Weitzmann (edito da), Age of Spirituality. Late Antique and Early Christian Art, Third

to Seventh Century, Catalogue of the exhibition at The Metro- politan Museum of Art (New York, 19

November 1977-12 February 1978), New York 1979.

Wies 1993: E.W. Wies, Carlo Magno, Genova 1993.

Wilpert 1903: G. Wilpert, Le pitture delle catacombe romane, 2 voll., Roma 1903.

Zastow/De Meis 1975: O. Zastow, S. De Meis, Oreficeria in Lombardia dal VI al XIII

secolo. Croci e Crocifissi, Como 1975.

Zocca 1950: E. Zocca, Croci votive, in La croce nell’arte, s.v. “Croce”, in EC, IV, Firenze 1950, col. 970.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

26

Zocca 1950a: E. Zocca, Croci processionali e croci d’altare, in La croce nell’arte, s.v. “Croce”, in EC, IV,

Firenze 1950, coll. 970-972.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

27

Fig. 1. – Pianta area CL/W ambiente

WA.

Fig. 3. – Particolare croce incrocio dei bracci.

Fig. 2. – Ricomposizione

fram- menti croce gemmata.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

28

Fig. 5. – Ricomposizione lato est decorazione altare Chiesa

Sud.

Fig. 4. – Ricomposizione lato ovest

della decorazione altare Chiesa

Sud.

Fig. 6. – Croce di Giustino II (recto). Fig. 7. – Croce di Agilulfo.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

29

Fig. 8. – Croce di Desiderio (recto).

Fig. 10. – Croce gemmata mosaico S.

Puden- ziana a Roma.

Fig. 9. – Pannello centrale altare di Vuolvinio.

Fig. 11. – Croce gemmata mosaico S.

Apollinare in Classe a Ravenna.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

30

Fig. 12. – Croce gemmata catacombe di

Ponziano a Roma.

Fig. 13. – Croce gemmata da S. Salvatore a Spoleto.

Fig. 14. – Croce gemmata in opus sectile

da S. Sofia a Costantinopoli.

Fig. 15. – Capitello in S. Giovanni in Borgo a

Pavia.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

31

Fig. 16. – Lastra con

croce gemmata da S.

Salvatore a Brescia.

Fig. 17. – Lastra di Sigualdo, battistero di Callisto a Cividale del

Friuli.

Fig. 18. – Lastra detta dell‟Agnus Dei

da S. Vincenzo al Volturno.

Fig. 19. – Lastra con croce ed iscrizione da S.

Vincenzo al Volturno.

La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno

1

Fig. 20. – Ipotesi ricostruttive della croce gemmata US 3149 di S. Vincenzo al Volturno.