Upload
independent
View
0
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
SE.CRITICITÀ E PROSPETTIVEIL CONTROLLO ANALOGOE IL CRITERIO
PRATICA GIURIDICADEI CONTRATTI PUBBLICIcollana diretta dagli avvocatiCarmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia
Roberto Angioni - Mattia Pani - Carlo Sanna
Società in house. Criticità e prospettive
Il controllo analogo e il criterio della prevalenza
Pratica Giuridica dei Contratti Pubblici
Collana diretta dagli avvocati Carmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia
Pubblicato nel mese di luglio 2014
© Copyright CeSDA Editore S.r.l
2
PRESENTAZIONE DELLA COLLANA
La collana “Pratica Giuridica dei Contratti Pubblici” intende raccogliere gli
approfondimenti su specifiche tematiche - a preferenza le più interessanti e complesse -
del diritto degli appalti pubblici, con un occhio di riguardo alle questioni più nuove ed
attuali.
Ogni singolo testo è dedicato ad uno specifico segmento dell'appalto pubblico,
dall'avvio della procedura di gara fino all'esecuzione del contratto, e mira a fornire
un'analisi completa della normativa e della prassi amministrativa di riferimento, dando
conto degli orientamenti prevalenti in giurisprudenza.
Gli autori sono tutti “addetti ai lavori”: avvocati amministrativisti, amministratori
pubblici, giuristi d'impresa che si occupano quotidianamente, sul campo, di appalti e
contratti pubblici.
Catania, marzo 2014Carmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia
3
GLI AUTORI
ROBERTO ANGIONI, già funzionario pubblico e avvocato comunale, è attualmente
magistrato presso la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Sardegna.
MATTIA PANI è dottore di ricerca in diritto amministrativo e svolge la professione di
avvocato presso la Regione Autonoma della Sardegna. Ha partecipato in qualità di
relatore a numerosi convegni e seminari in materia di appalti pubblici, di affidamento di
servizi pubblici locali e di società in house, pubblicando diversi contributi sui medesimi
argomenti nelle riviste specializzate.
CARLO SANNA è dottore di ricerca in diritto dell’attività amministrativa informatizzata e
della comunicazione pubblica e lavora come funzionario presso il servizio studi e
riforme della Regione Autonoma della Sardegna. È autore della monografia “Il Front
office digitale della pubblica amministrazione”, pubblicata nel 2013, coautore con
Mattia Pani della monografia “L’evoluzione della disciplina delle società in house nella
legislazione e nella giurisprudenza” nel 2014 e autore della monografia “Concetti e
principi del procedimento amministrativo telematico” nel 2014.
4
INDICE
Premessa - L’evoluzione del concetto di società in house: dalla sentenza Teckal alle direttive del 2014
Capitolo I - Il controllo analogo: rilievo attuale nell’ordinamento e novità normative
1. Il controllo analogo quale presupposto di legittimità dell’affidamento diretto in
favore delle società in house
2. Il controllo analogo quale presupposto della giurisdizione contabile
3. Le modifiche delle direttive europee in materia di contratti ed appalti pubblici
4. La normativa della legge di stabilità 2014 ed il suo rilievo sul controllo societario
5. Prospettive di evoluzione del controllo sulle società partecipate non “in house”Capitolo II - Controllo analogo, disfunzioni gestionali e rischio di fallimento per le società pubbliche
1. La problematica della fallibilità delle società pubbliche2. Evoluzione storica
3. La sentenza della Corte di Cassazione, sezioni Unite civili, 25 novembre 2013, n.
26283
4. La non assoggettabilità a fallimento delle società pubbliche (in house) nella
giurisprudenza di merito successiva alle sezioni unite 25 novembre 2013, n. 26283
5. Problematiche pratico-applicative6. Sottrazione al fallimento e principi speciali fissati dalla legge di stabilità 2014 per
le società pubbliche
7. Ipotesi di graduazione dell’applicazione della legge fallimentare alle società
pubbliche
Capitolo III - L’in house providing e il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014
1. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea prima della direttiva sugli
appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014
1.1. Premessa: l’immediata applicabilità dell’art. 12 della direttiva sugli appalti
pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 nell’ordinamento interno
5
1.2. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea: tendenziale ma non
totale esclusività
1.3. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea (segue): elementi
quantitativi e qualitativi
2. Il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26
febbraio 2014
2.1. La disciplina dell’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del
26 febbraio 2014 e l’irrilevanza dei fattori qualitativi
2.2. Base di calcolo del criterio quantitativo della prevalenza
Bibliografia essenziale
Appendice normativa e giurisprudenziale
Sentenza Teckal (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. V, 18 novembre
1999 n. C-107/98)
Sentenza Carbotermo (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 11 maggio
2006, causa C-340/04)
Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (art. 17)
Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (art. 12)
Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei
trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE (art. 28)
6
D.L. 4 luglio 2006 n. 223 - Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,
per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in
materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale
Legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) — Articolo 1, commi 550 –
568
Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1181 (Innovapuglia S.p.A. contro
Megatrend Srl, Regione Puglia)
Cassazione Civile, sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209 (Asidev ecologica s.r.l. contro
Fallimento asidev ecologica s.r.l., international factors italia s.p.a)
Cassazione civile, sezioni Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 (Procuratore generale
rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti contro R.S.A e altri)
Cassazione civile, sez. Unite (ordinanza), 12 febbraio 2014, n. 3201 (Z.C., O.M.,
contro Procuratore regionale rappresentante il pubblico ministero presso la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la regione trentino alto adige sede trento e
altri)
Cassazione civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491 (C.F. contro Procuratore
generale presso la Corte dei conti)
7
Premessa - L’evoluzione del concetto di società in house: dalla sentenza
Teckal alle direttive del 2014
A partire dalla celebre sentenza Teckal1, la Corte di Giustizia ha enucleato i
requisiti delle cosiddette società in house, al cui riscontro positivo deriva
l’essenziale conseguenza di poter derogare alle norme in materia di appalto
pubblico, legittimando l’amministrazione pubblica ad autoprodurre i beni e
servizi di cui necessita. Il fenomeno dell’in house providing, infatti, non è
altro che un sistema di autoorganizazione che la pubblica amministrazione
può adottare per produrre al suo interno ciò di cui necessita, alternativo
all’approvigonamento dall’esterno tramite la procedura di evidenza
pubblica2.
Alle stesse società in house si è fatto riferimento anche nel Libro Bianco
"Gli appalti pubblici nell’Unione Europea "3 del 1998, secondo il quale
trattasi di quegli appalti “aggiudicati all’interno della Pubblica
Amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o,
ancora, tra un’amministrazione e una società da questa interamente
controllata”.
L’importanza di questo fenomeno, che tanto ha interessato sia la dottrina
che la giurisprudenza, è dunque legato proprio alla possibilità di non
applicare il principio di concorrenza che porterebbe altrimenti la pubblica
1 Si tratta della storica sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98. 2 Sul concetto di società in house inteso come legato al principio di autoproduzione si veda ALBERTI C., Appalti in house, concessioni in house ed esternalizzazione, in www.jus.unitn.it; GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi , Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; LA PERA G., In house providing – Lo stato dell’arte della giurisprudenza comunitaria e nazionale , febbraio 2008, in www.conviri.it ; URBANO G., L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it , pag. 1. 3 Libro Bianco "Gli appalti pubblici nell’Unione Europea", COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10.
8
amministrazione ad indire una gara pubblica e affidare al mercato lo
svolgimento di quella attività specifica4. Per questi motivi, l’indagine
diretta a stabilire l’esatto concetto di in house providing è di grande rilievo, in
particolar modo sui due elementi storici del controllo analogo e della
prevalenza, intesa come parte più importante dell’attività svolta a favore
della pubblica amministrazione proprietaria. Proprio sul concetto di in
house providing si era espressa la citata pronuncia del Giudice
europeo. Infatti, nella sentenza Teckal si era affermata la possibilità di
non applicare le regole auree della concorrenza “solo nel caso in cui, nel
contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo
analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona
realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli
enti locali che la controllano”. Se, dunque, i requisiti del controllo
analogo e della prevalenza erano teoricamente stati da subito delineati, ben
diversa si poneva la problematica della loro applicazione pratica. Inoltre, gli
stessi requisiti non assumevano e non assumono un carattere neutrale
nell’ordinamento giuridico nazionale, potendo invece influenzare
numerosi istituti giuridici sia di natura sostanziale che processuale,
con conseguenze di enorme rilevanza. Lo stesso criterio della
prevalenza, poi, richiede una sua esatta quantificazione per definire
la soglia oltre la quale può ritenersi integralmente soddisfatto ed
assolto con la conseguenza, però, che dal punto di vista pratico non
sempre risulta di semplice determinazione nella concreta realtà.
4 Sul punto TRIMARCHI BANFI F., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), 2012, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, pag. 735 e seg.
9
Si consideri, inoltre, come il medesimo Parlamento nazionale abbia
adottato, nei tempi più recenti, una cospicua e disorganica legislazione
d’urgenza che ha, talvolta malamente, disciplinato la materia delle società
in house e delle società partecipate in generale. La critica che è stata dai
più mossa al legislatore italiano è stata quella di non aver emanato una
regolamentazione specifica che cogliesse le particolarità delle società
in house e tutte le conseguenze derivanti dalla loro specificità. Si sono,
invece, succedute e stratificate una molteplicità di disposizioni dal
contenuto emergenziale che hanno avuto una vita brevissima a causa
dei numerosi interventi della Corte costituzionale ovvero a causa dei
repentini ripensamenti del Governo di turno. In termini estremamente
sintetici e non esaustivi, vale la pena di ricordare che, inizialmente, era
stato introdotto l’art. 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, con la legge
di conversione 6 agosto 2008, n. 133 (e le sue successive modifiche), a
cui era seguito il regolamento di attuazione, il D.P.R. 7 settembre 2010, n.
168.
Il citato art. 23 bis del D.L. 112/2008 era stato, poi, di seguito travolto
dall’abrogazione derivante dall’esito del referendum tenutosi il 12 e 13
giugno del 20115.
In relazione all’espressione della volontà popolare era stato quindi adottato
l’art. 4, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre
5 Il quesito referendario era il seguente: “Volete voi che sia abrogato l'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?”.
10
2011, n. 148, ma questa disposizione era stata considerata illegittima dalla
Corte costituzionale con la sentenza 20 luglio 2012, n. 1996. E proprio la
violazione della volontà referendaria aveva portato la Corte
all’annullamento del citato art. 4, del D.L. 138/20117.
La successiva revisione della materia era stata affidata alla c.d. Spending
review, di cui agli artt. 4 e 9 del D.L 6 luglio 2012, n. 958; si trattava di un
tentativo, peraltro non organico, di riforma che si rivolgeva alle società
partecipate (imperniato sul falso presupposto che le stesse rappresentassero
la causa delle problematiche finanziarie del paese) e che proponeva la
drastica soluzione di una loro eliminazione radicale. Anche tali norme,
peraltro, non hanno resistito al giudizio della Corte costituzionale, che con
le sentenze 23 luglio 2013, n. 229 e 24 luglio 2013, n. 236 ha di fatto
sterilizzato gli effetti degli artt. 4 e 9 del D.L. 95/2012.
È stata infine introdotta la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di
stabilità per il 2014), che all’art. 1, comma 550 e seguenti ha abrogato i
commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell'articolo 4 e i commi da 1 a 7
dell'articolo 9 del D.L. 95/2012 (art. 1, comma 562), introducendo
contestualmente una nuova disciplina che ha ad oggetto una vasta platea di
6 In www.giurcost.org . 7 TRIMARCHI BANFI F., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2012, pag. 723 e seg.; LEPORE V., La normativa sui servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, in Amministrazione in cammino, 2012, www.amministrazioneincammino.luiss.it ; LUCARELLI A., La sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 e la questione dell’inapplicabilità patto di stabilità interno alle s.p.a. in house ed alle aziende speciali, 26.09.2012, in www.federalismi.it; SABETTA C., La riforma dei servizi pubblici locali e le ragioni della sua illegittimità, 26 settembre 2012, in www.federalismi.it . 8 Si veda sulla disciplina della Spending review: FUOCO B.E.G., La nuova società in house “marginale” negli affidamenti di beni e servizi in seguito della spending review, 2012, n. 7-8, in www.lexitalia.it ; FANTINI S., Le novità della spending review, in Urbanistica e appalti, Padova, 2012, n. 11, pag. 1115 e seg.; GUZZO G., La Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato indicano le nuove regole dei SPL locali ”, in www. lexitalia. it, n. 2/2011; BARBIERO A., BONACCORSO C., Note di analisi sulla disciplina per lo scioglimento delle società che gestiscono servizi strumentali (art. 4 d.l. n. 95/2012), 13 luglio 2012, in www.dirittodeiservizipubblici.it.
11
soggetti, riferendosi “alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società
partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di
cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Sono
esclusi gli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico di
cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, nonché le società
emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro
controllate”. In questo convulso panorama nazionale sono intervenute
la direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e la
direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio
2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua,
dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva
2004/17/CE. Nei rispettivi artt. 17 (direttiva 2014/23/UE), 12 (direttiva
2014/24/UE) e 28 (direttiva 2014/25/UE), il legislatore comunitario
introduce una nuova disciplina che regolamenta in maniera innovativa il
fenomeno dell’ in house providing, in taluni casi ampliando il novero dei
soggetti che possono essere ricondotti a questo istituto giuridico.
Proprio in relazione a tali novità, il presente volume si propone di
analizzare alcune tematiche operative derivanti dall’applicazione dei
requisiti essenziali del fenomeno dell’ in house providing tenendo, peraltro,
conto delle più rilevanti criticità che l’esperienza ha pratica ha da ultimo
evidenziato.
Del resto è noto che il criterio del controllo analogo pone numerose
problematiche che trovano ragione prima di tutto già nella necessità di dare
12
un contenuto effettivo a tale tipologia di controllo. Ci si deve chiedere,
infatti, a quali condizioni un controllo può essere definito come un
controllo analogo e, dunque, il grado di ingerenza che lo stesso comporta
nei confronti della società assoggettata a tale tipologia di controllo. La
sua identificazione, inoltre, come si vedrà, ha delle conseguenze
importanti sui contenuti della giurisdizione in tema di responsabilità degli
amministratori di dette società. In sostanza si rende necessario
comprendere qual’é l’esatto ambito di azione del Giudice contabile (che la
Costituzione pone a tutela della finanza pubblica) e quello del Giudice
ordinario che, per sua natura, opera su quei soggetti che sono invece
maggiormente riconducibili al modello privatistico. La mancanza di
una disciplina espressa pone numerose questioni interpretative di
grande interesse che verranno analizzate nel capitolo I. Nello stesso
capitolo I si darà, altresì, conto delle novità introdotte dalle direttive
europee citate in tema di controllo analogo, evidenziando come l’apparente
similarità della disciplina contenga invece alcune importanti
puntualizzazioni e innovazioni. Legato sempre al requisito del controllo
analogo, si pone anche la ulteriore domanda se le società in house possano
essere assoggettate alle procedure concorsuali, ed in primis a quella
fallimentare. Ed anche in questo caso l’assenza di una regolamentazione
specifica da parte del legilsatore italiano di tale importante fenomeno ha
creato un dibattito dottrinale e giurisprudenziale alquanto acceso e
contrastato di cui si darà ampio conto nel capitolo II.
Quest’ultimo capitolo, come già in quello precedente, consente di
evidenziare la progressiva e sempre maggiore vicinanza delle società in
13
house con la disciplina dell’ente pubblico, ma anche l’attrazione di altri
modelli societari nella regolamentazione di matrice pubblicisitica. Le
questioni poste sul requisito del controllo analogo non possono non
essere influenzate anche dalle prospettive europee di detti organismi in
esito all’approvazione delle nuove direttive comunitarie in materia di
appalti e concessioni che sono state citate in precedenza. Di
conseguenza anche il conseguente criterio della prevalenza, inteso come
realizzazione della parte più importante delle attività del soggetto in house
a favore dell’amministrazione pubblica proprietaria, pone non secondarie
problematiche operative, dovendo lo stesso essere riconsiderato alla luce
delle indicazioni offerte dal legislatore europeo. Come si vedrà meglio
nel capitolo III, tale requisito è quello che ha subito una radicale
innovazione e, per l’effetto, le sue problematiche applicative assumono
ancora di più rilevanza ed attualità. Tutta la tematica della base del
calcolo di tale criterio ha posto e porrà numerose questioni di carattere
applicativo che devono essere necessariamente risolte al fine di
determinare se un soggetto possa o meno essere ricondotto al paradigma
europeo dell’in house providing. Con il presente libro si analizzeranno,
quindi, queste tematiche, in particolare attraverso un esame dei più recenti
arresti giurisprudenziali che hanno cercato di delineare e risolvere le
innumerevoli questioni ancora aperte in materia. E da queste differenti
criticità non può che trarsi una conclusione che seppur ovvia e scontata
non è in realtà banale.
La caotica e frammentaria disciplina della legislazione italiana ha
dimostrato nel tempo tutta la sua inadeguatezza nel regolamentare un
fenomeno di essenziale importanza per l’organizzazione amministrativa e
14
l’economia del paese. In particolare non si sono mai colte le straordinarie
peculiarità di un istituto che, come si vedrà nel prosieguo del presente libro,
si discostano in maniera significativa dagli altri modelli gestionali di
amministrazione della cosa pubblica. Proprio per queste ragioni non ci
si può che auspicare una risoluzione a livello legislativo di alcune tematiche
esaminate la quale può trovare la sua migliore opportunità proprio
dall’occasione dettata dalla necessità di dare attuazione alle direttive
europee di recente emanazione.
GLI AUTORI
15
Capitolo I - Il controllo analogo: rilievo attuale nell’ordinamento e
novità normative di Roberto A ngioni
Il controllo analogo quale presupposto di legittimità dell’affidamento
diretto in favore delle società in house
E’ ricorrente nella giurisprudenza, allorquando sorga la necessità di
verificare la legittimità dell’affidamento diretto di un servizio in favore di
una società interamente partecipata che rivesta le caratteristiche della
società in house, la disamina dei requisiti definitori di tale tipologia di
società “pubblica”. Tra questi viene costantemente riportata la necessità
della sussistenza di quella specifica forma di controllo da parte dell’ente (o
degli enti pubblici di riferimento), costituita dal controllo analogo sulla
società, chiamata ad espletare il servizio affidatole senza che si sia
previamente espletata la gara pubblica. In questi termini si può affermare
che il controllo analogo rappresenta una delle condizioni poste dal
legislatore europeo che consente ad un ente pubblico l’affidamento diretto
di un servizio pubblico locale ad una società partecipata, in quanto la
società è un’entità distinta solo formalmente dall’ente pubblico9. In questo
senso può, quindi, affermarsi che il controllo analogo è una delle condizioni
che, secondo le normative comunitarie, legittimano regioni, province e
comuni ad affidare direttamente la gestione di un sevizio pubblico
locale ad una società a capitale interamente pubblico e partecipata.
La società è un’entità distinta solo formalmente dall’ente e in concreto
continua a costituire parte dell’ente stesso.
9 La natura delle società in house come entità non distinta dall’ente pubblico proprietario che consente una deroga del principio di concorrenza era stata già esplicitata in Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in http://curia.europa.eu/juris.
16
.1
Poiché il concetto di controllo analogo ha trovato fondamento e si è evoluto
sino ad oggi unicamente in ambito giurisprudenziale, ben più difficile si è
rivelato invece definirne i contenuti in termini astratti e generali, dal
momento che i giudici, amministrativi o civili, che a diverso titolo si sono
occupati della ricorrenza di tale requisito, hanno esaminato in verità un
sistema di controllo concretamente definito al fine di verificare se la società
alla loro attenzione fosse in effetti soggetta ad un controllo effettivo e
stringente da parte dell’ente socio.
La sentenza n. 1181/2014 della V Sezione del Consiglio di Stato,
pubblicata il 13 marzo 201410, costituisce sul tema un esaustivo punto
d’arrivo dal momento che richiama innumerevoli e rilevanti precedenti che
si sono occupati della questione definitoria ed afferma, essa stessa, i
contenuti del controllo analogo così come ripetutamente affermati sia dalla
giurisprudenza comunitaria sia da quella interna al nostro ordinamento.
Si afferma dunque, richiamando tali precedenti, che si tratta di un controllo
“configurato in termini più intensi rispetto ai consueti controlli societari,
quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di
direzione, coordinamento e supervisione dell’attività, riferita a tutti gli atti
di gestione (stra)ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene
opportuni di quella ordinaria”.
A tale tipologia di controllo, ricorda il Consiglio di Stato, si deve accompagnare l’impossibilità, a termini di statuto, di cessione delle quote sociali a soggetti privati11: l’evenienza della cessione a privati di parte delle
10 in www.giustizia-amministrativa.it.11 Sulla tematica della cessione delle quote sociali e dell’esclusione del controllo analogo si veda ad esempio T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 agosto 2008, n. 1721, www.giustizia-amminstrativa.it, per cui “Lo
17
statuto, inoltre, non esclude la possibilità di cessione di quote sociali a soggetti privati, come risulta dall'art. 10, ai sensi del quale "Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi". Il che consente di modificare la struttura delle partecipazioni al capitale della società affidataria del servizio pubblico, mettendone in pericolo la natura di organizzazione in house. L'assenza dei due requisiti
quote sociali, che di per sé non necessariamente ed aprioristicamente
implica il concorso di un privato nella gestione societaria, quanto meno al
momento in cui avviene l’affidamento diretto del servizio, indica tuttavia
che almeno potenzialmente dei soci privati possono esser chiamati a
partecipare attivamente alle maggioranze dell’assemblea, ad esempio
nominando o revocando gli amministratori o influenzando in altro modo
l’attività sociale12. Circostanza, quest’ultima, che implicherebbe il venir
meno della condizione principale legittimante la vistosa deroga al principio
della concorrenza verificatasi mediante l’elisione della fase della gara
pubblica. E’ evidente infatti che se dei privati partecipano, attivamente, alla
vita della società e potenzialmente ne influenzano le scelte fondamentali,
l’affidatario del servizio pubblico non costituisce più la longa manus
dell’amministrazione (o delle amministrazioni) di riferimento.
Non è invece ostativa all’affidamento diretto in favore della società
l’esistenza di una pluralità di soci pubblici purché questi possano esercitare,
anche congiuntamente, il controllo all’interno dell’assemblea della
società13.
Quanto ai suoi contenuti il controllo analogo è definito come “un controllo
non di matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da una
analizzati rende evidente la insussistenza nel caso concreto dell'elemento costituito dal controllo analogo, con la conseguente illegittimità dell'affidamento diretto del servizio di raccolta e trasporto dei RR.SS. UU. alla società M.L. s.r.l. ”. 12 Considerando che la gestione di un servizio pubblico si sviluppa in un arco temporale piuttosto lungo, l’affidamento in house e l’anomalia rispetto all’affidamento mediante gara pubblica a tutela della concorrenza, potrebbe quindi risolversi, in caso di apertura potenziale alla partecipazione privata, nel superamento degli obblighi normativi posti a salvaguardia del mercato concorrenziale. 13 Si richiamano, in particolare, le sentenze Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009,
causaC-573/07,(Sea),punto, n.45, inhttp://eur -
lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (Coditel Brabant), punto n. 31, in
18
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML, oltre aiprecedenti dello stesso Consiglio di Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; e 29 dicembre 2009, n. 8970, in www.giustizia-amministrativa.it.
maggioranza assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo,
paragonabile ad un controllo di tipo gerarchico”, tanto che la società in
house si distacca in effetti dal modulo societario e viene, almeno in astratto,
attratta alla categoria dell’ente pubblico 14. Al riguardo è sufficiente
affidarsi a ciò che è efficacemente espresso nella citata sentenza n.
1181/2014 “questi (i controlli, n.d.r.) devono essere al tempo stesso sugli
organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui
comportamenti (...): sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il
potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei
componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla
gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva
e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare
quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i
contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti
la gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici”.
Il vincolo tra amministrazione e società deve essere insomma così
stringente e penetrante da non potersi distinguere, se non solo formalmente,
il centro d’imputazione delle scelte sociali e dunque dell’attività stessa
direttamente affidata alla società in house15.
14 Cassazione civile, sezioni Unite (ordinanza), 5 aprile 2013, n. 8352, in CED Cassazione, 2013; Cassazione civile, sezioni Unite (ordinanza), 3 maggio 2013, n. 10299, in Società, 2013, n. 8-9, pag. 974 e seg. ; Cassaz ione c iv i le , sez ioni Uni te , 25 novembre 2013, n . 26283, in http://www.lexitalia.it/p/13/casssu_2013-11-25-1.htm.
15 Per la giurisprudenza europea si veda ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punti nn. 49 e 50, in http://curia.europa.eu/juris “49 Relativamente all'esistenza di un contratto, il giudice nazionale deve verificare se vi sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte. 50 A questo proposito, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano”; Si veda anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee,
19
2. Il controllo analogo quale presupposto della giurisdizione contabile
Recenti sviluppi interpretativi della giurisprudenza di legittimità hanno
consentito di affermare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei
conti nei confronti degli amministratori delle società in house soggette al
controllo analogo da parte delle amministrazioni di riferimento.
In verità l’affermazione, contenuta nell’ordinanza delle Sezioni Unite Civili
n. 3201 del 12 febbraio 2014 e ribadita dalla sentenza delle medesime
Sezioni Unite Civili n. 5491 del 10 marzo 201416, costituisce lo sviluppo
logico della posizione (restrittiva) che la stessa Cassazione aveva assunto a
partire dalla sentenza S.U. 26806/2009 in ordine alla sussistenza della
giurisdizione contabile sulle società partecipate 17. E’ necessario al
riguardo ricordare almeno nei suoi passaggi logici essenziali le
argomentazioni delle Sezioni Unite Civili, senza che si possa per altro in
questa sede affrontare compiutamente l’evoluzione in via interpretativa
dei presupposti che radicano la giurisdizione contabile.
E dato oramai consolidato, nella dottrina e nella giurisprudenza, che la
giurisdizione contabile si giustifica, ai sensi dell’art. 103 della
Costituzione1 8, grazie all’interposizione del legislatore ordinario ed
sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 33, in http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 58, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62003J0458:IT. 16 In CED Cassazione 2014. 17 Cassazione civile, sez. Unite, 19 dicembre
2009, n. 26806, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2010/04/C_Cass_SSUU-26806_2009.doc. Con tale arresto le Sezioni Unite avevano posto un freno alla tendenza espansiva in punto di giurisdizione contabile assunta da prima dalle Sezioni giurisdizionali e dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, e successivamente da parte delle medesime Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione. 18 Dispone l’art. 103 della Costituzione che “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. Per un commento dell’art. 103 della Costituzione si veda per tutti POLICE A., Commento all’art. 103, 1° e 2° co., Costituzione, in CELOTTO A., BIFULCO R, OLIVETTI M. (a cura di), Commentario della Costituzione della Repubblica Italiana, Torino, 2006, vol. III, pag. 1987 e seg.
20
all’esistenza di un rapporto privilegiato tra il soggetto agente e la pubblica
amministrazione.
Con riferimento a quest’ultimo costituisce altresì dato oramai consolidato
che esso non deve sostanziarsi esclusivamente nel rapporto di impiego in
senso stretto, originario presupposto della giurisdizione contabile, ma può
consistere in senso più ampio in un rapporto di servizio, inteso quale
inserimento funzionale nell’organizzazione della pubblica
amministrazione 19. Ciò implicitamente si deduce anche dall’espressa
previsione di legge che la giurisdizione contabile sussiste anche nell’ipotesi
di danno erariale cagionato ad amministrazione diversa da quella di
appartenenza20. Tale evoluzione riflette, evidentemente, il
mutamento dei modelli organizzativi e gestionali dell’amministrazione
pubblica, che esercita le proprie funzioni non più e non solo mediante la
propria organizzazione istituzionale ed a mezzo dei propri
dipendenti con l’adozione di provvedimenti amministrativi, ma in
modo sempre maggiore si avvale di molteplici forme organizzative
(consorzi, società, istituzioni, agenzie, solo per citarne alcune) ed agisce
diffusamente mediante strumenti di diritto privato.
Ebbene, alla luce di tale circostanza, anche la responsabilità erariale non
poteva rimanere legata ai moduli pubblicistici del rapporto d’impiego quale
elemento giustificante l’azione del giudice contabile, ma doveva esser
19 Sul concetto di rapporto di servizio si veda SANDULLI A., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag. 245 e seg. 20 Lo statuto della responsabilità amministrativo-contabile, originariamente contenuto nell’art. 13 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 ai sensi del quale la Corte dei conti giudica sulla responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni, è oggi contenuto nell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20; l’art. 1, comma 4, della citata legge prevede che ”La Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (..)”.
21
legata, più opportunamente, alla gestione della risorsa pubblica,
prevedendosi la responsabilità di qualsiasi soggetto che, per le più disparate
ragioni, si trovasse ad inserirsi funzionalmente negli interessi della
pubblica amministrazione ed a beneficiare a vario titolo di risorse
pubbliche per la persecuzione di tali interessi.
In considerazione di quanto sopra si è assistito al passaggio da un criterio
eminentemente soggettivo, legato alla qualifica del soggetto agente, ad un
criterio invece oggettivo, in cui ciò che rileva è la natura pubblica delle
funzioni esercitate (o degli interessi perseguiti) e la natura (pubblica) delle
risorse a tal fine adoperate. E’ divenuta pertanto ricorrente nella
giurisprudenza contabile l’affermazione secondo la quale “ai fini del
riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno
erariale, in ragione del sempre più frequente operare dell'amministrazione
fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti
in essa non organicamente inseriti, è irrilevante il titolo in base al quale la
gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di
pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione
amministrativa o un contratto di diritto privato. Il baricentro per
discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato
dalla qualità del soggetto - che ben può essere un privato o un ente
pubblico non economico - alla natura del danno e degli scopi perseguiti ”21.
Alla stregua di tale impostazione, ad esempio, è stata affermata, tra le varie ipotesi, la responsabilità dei direttori dei lavori di opere pubbliche22, dei
21 In tali termini Corte dei conti, sez. Lazio, 8 giugno 2009, n. 1075, in www.corteconti.it. Si veda anche Corte dei conti, sez. Abruzzo, 12 ottobre 2010, n. 461, e Corte dei conti, sez. Liguria, 16 luglio 2008, n. 432, in www.corteconti.it.22 Sulla responsabilità del direttore dei lavori si veda ad esempio Cassazione Civile, Sezioni Unite, 20 marzo 2008, n. 7446, per cui “Allorché, invece la domanda è proposta nei confronti di un soggetto investito sia dell'incarico di progettista che di quello di direttore dei lavori, non può giungersi alla scissione delle giurisdizioni, affermandosi quella del giudice ordinario per il danno causato nella qualità
22
gestori di servizi statali come le ricevitorie del lotto e financo dei percettori di finanziamenti pubblici.
La predetta evoluzione normativa, applicata all’ambito societario, aveva
portato ad affermare, a vasto raggio, la giurisdizione contabile nei confronti
degli amministratori di società pubbliche, esistendo entrambi i presupposti
dell’interpositio legislatoris23 e del rapporto di servizio, ravvisandosi per
detti soggetti l’inserimento funzionale nell’organizzazione della pubblica
amministrazione nonché la gestione delle risorse pubbliche per il solo fatto
dell’esistenza di una partecipazione dell’amministrazione al capitale
societario.
Pertanto sino all’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile 24 novembre 2009, n. 2467224, venne pacificamente affermata la giurisdizione
di progettista e quella del giudice contabile per il danno causato nella qualità di direttore dei lavori. A parte il rilievo che tale soluzione urta contro il trend normativo favorevole all'omogeneizzazione della giurisdizione, allorché si tratti di fatti collegati in un unitario rapporto, va osservato che il cumulo dei due incarichi professionali di progettista e di direttore dei lavori nello stesso soggetto da luogo ad una complessiva attività professionale, nella quale l'attività di progettazione si pone solo come elemento prodromico di quella successiva, - allorché il danno lamentato è prospettato come derivante dal complesso di tale attività (così nella fattispecie). I doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori (R.D. n. 350 del 1985, art. 5), sussistono già durante la progettazione, che così continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre i doveri di quest'ultima assorbono anche quelli del progettista, allorché si tratti dello stesso soggetto che cumula i due incarichi e la domanda risarcitoria dell'amministrazione investa la complessiva attività posta in essere dall'unico professionista incaricato. Nella fattispecie, quindi, poiché l'architetto D.B.G. ha svolto tanto l'incarico di progettista che di direttore dei lavori e la domanda risarcitoria è relativa al complesso dell'attività professionale svolta, va affermata la giurisdizione della Corte dei Conti relativamente alla complessiva domanda risarcitoria posta nei suoi confronti dal Comune sia come direttrice dei lavori che di progettista. (..) In conclusione deve essere dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti”; Si veda anche Cassazione Civile, Sezioni Unite, 27 maggio 2009, n. 12252, in www.aedon.mulino.it . 23 In particolare si riteneva, tra diversi ulteriori argomenti, che la previsione dell’esclusione della giurisdizione contabile per le società pubbliche quotate, di cui all’art. 16 bis della legge 31/2008 implicasse, a contrario, il riconoscimento della giurisdizione per le società pubbliche non quotate in borsa.
24 In Foro Italiano 2010, n. 5, parte 1, pag. 1521 e seg. “Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulla richiesta di risarcimento avanzata nei confronti di un soggetto legato da un rapporto giuridico con un'azienda di trasporto regionale, costituita come s.p.a. a totale capitale pubblico, che svolge un servizio pubblico e le cui perdite sono destinate a risolversi in danno degli enti pubblici azionisti e quindi in danno erariale, quando si deduce, a fondamento dell'azione, che tale rapporto (Nella specie consistente nell'assunzione del servizio di manutenzione e riparazione degli autobus dell'azienda), indipendentemente dalla sua natura giuridica, ha costituito l'occasione per comportamenti fraudolenti in danno dell'ente, posti in essere dal soggetto in questione con il concorso doloso o colposo di agenti interni alla s.p.a. e
23
non solo sui funzionari degli enti pubblici economici25, ma anche su
amministratori e dipendenti delle società pubbliche a partecipazione
maggioritaria26 e di quelle a partecipazione pubblica minoritaria27. Come
anticipato poc’anzi, con la sentenza della Cassazione S.U. n. 26806 del 19
dicembre 2009 si assiste ad un improvviso cambio di rotta da parte della
giurisprudenza di legittimità la quale raffigura la società pubblica come
ente di diritto privato, assoggettato a regole di diritto privato, titolare di un
patrimonio di natura privatistica e nella quale la responsabilità degli
amministratori soggiace esclusivamente alle regole previste dal codice
civile. In questo schema complessivo, in cui il danno ha natura
essenzialmente privatistica come il patrimonio sociale e perde la
connotazione di danno all’erario (in passato affermata alla stregua della
provenienza pubblica della quota sociale), l’azione di responsabilità nei
confronti di amministratori e dipendenti non può che esser regolata dal
codice civile ed assoggettata alla giurisdizione del giudice ordinario.
La decisione, alla quale si è uniformata senza oscillazioni la giurisprudenza
di legittimità successiva, si è prestata tuttavia a non poche riserve,
considerato che l’azione di responsabilità sociale dovrebbe nei fatti essere
con l'esercizio di poteri di fatto, tali da consentirgli di interferire sulle modalità di esecuzione di prestazioni strumentali all'attività della società a capitale pubblico e sulle procedure di liquidazione dei compensi a suo favore”. 25 Cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, 12 ottobre 2011, n. 20940, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2011, n. 12, pag. 1334 e seg. 26 Vedi Cassazione civile, Sezioni Unite (ordinanza), 24 novembre 2009, n. 24671, in CED Cassazione, 2009. 27 Vedi Corte dei conti, sez. I, Appello, 3 dicembre 2008, n. 532, in www.corteconti.it. In tema, anche Corte dei conti, sez. Lombardia, 30 giugno 2009, n. 428 in www.corteconti.it, secondo la quale “Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sui fatti lesivi commessi in danno di società gestrice di casinò (nella specie, Casinò municipale di omissis s.p.a.), in quanto la partecipazione al capitale sociale è totalmente pubblica e pubblici sono i controlli ai quali la società è sottoposta, in forza dell'autorizzazione governativa all'esercizio di attività, il gioco d'azzardo, vietata dal codice penale; la provvista di giurisdizione è confermata, implicitamente, dall'art. 16 bis d.l. 31 dicembre 2007 n. 248, decreto conv., con modificazioni, in l. 28 febbraio 2008 n. 31, che esclude la predetta giurisdizione per i danni a carico delle società a partecipazione pubblica minoritaria verificatisi dopo la sua entrata in vigore”.
24
attivata dal socio di riferimento, e dunque dalla stessa amministrazione che
aveva a suo tempo provveduto, attraverso i meccanismi amministrativi,
statutari e societari, alla nomina degli amministratori della società28. Il
rischio prospettato, effettivo e concreto, è dunque che la responsabilità
politica dell’amministrazione di riferimento e dei suoi vertici costituisca
intralcio alla tutela per via giudiziaria delle risorse della società.
Ad ogni buon conto, svalutato dalla Cassazione anche il riferimento
all’art.1 6 bis della legge 31/2008 - il quale in verità, secondo i giudici di
legittimità, lascia integra la necessità di “verificare, entro quali limiti, al
fuori del ristretto campo d’applicazione della disposizione da ultimo
richiamata, sia davvero configurabile la giurisdizione contabile, che il
legislatore ha in tal modo presupposto in rapporto ad atti di mala gestio
degli organi di società a partecipazione pubblica –” occorre in definitiva
riferirsi all’esistenza di norme di legge esplicite (che attribuiscano la
giurisdizione contabile la valutazione dei comportamenti degli organi
societari) oppure alla specificità di quelle singole società a partecipazione
pubbliche il cui statuto sui generis non possa che importare
l’assoggettamento alla giurisdizione contabile. Ciò in quanto, in
quest’ultimo caso, la veste formale della società non riesce a far venir meno
la natura sostanziale di ente pubblico della società stessa29.
28 PERIN M., Per i profili di responsabilità finanziaria per danno erariale sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sulle società pubbliche, 2013, in http://www.lexitalia.it/p/13/ccontilazio_2013-10-14.htm.
29 Per questo motivo la sentenza Cassazione Civile, Sezione Unite (ordinanza), 22 dicembre 2009, n. 27092, in www.respamm.it., relativamente alla RAI s.p.a., afferma che “Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in tema di risarcimento del danno cagionato alla Rai Radio televisione Italiana s.p.a., da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti di tale società e degli enti pubblici azionisti, in relazione alla nomina del direttore generale e al trattamento economico dello stesso e degli ex direttori generali; la Rai, infatti, nonostante la veste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici), ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali, per cui essa è: designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo; sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare; destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta; compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo Stato contribuisce in via
25
E’ nel solco di tale motivazione, come detto, che due pronunce delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamando quanto già indicato
dalla pur recente sentenza S.U. n. 26283 del 25 novembre 2013, affermano
che tali presupposti si ritrovano nell’ipotesi di un’azione rivolta a far valere
la responsabilità di chi impersona gli organi di amministrazione (o
eventualmente di dipendenti) “per il pregiudizio cagionato ad una società
in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti
pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente siffatti enti
possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività
prevalente in favore degli enti partecipati e la cui gestione sia per statuto
assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti
pubblici sui propri uffici ”30.
Nella ricorrenza dei presupposti identificativi della società in house, ovvero
nella presenza del divieto di cessione a privati del patrimonio sociale e
nella prevalente destinazione dell’attività sociale in favore dell’ente o degli
enti partecipanti alla società, elementi che concorrono congiuntamente ed
autonomamente alla configurabilità stessa del terzo presupposto e cioè il
controllo analogo, afferma la sentenza n. 5491/2014 che “non risultando
possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico
partecipante e la società in house che ad esso fa capo, è giocoforza
concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello
della società si può porre in termini di separazione patrimoniale ma non di
ordinaria; tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti; né l'esperibilità dell'azione di responsabilità amministrativa è ostacolata dalla possibilità di promuovere l'ordinaria azione civilistica di responsabilità, poiché la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”. 30 In tali termini sia Cassazione Civile, Sezioni Unite, (ordinanza) 12 febbraio 2014, n. 3201, sia la Cassazione Civile, Sezioni Unite, del 10 marzo 2014, n. 5491, in CED Cassazione 2014.
26
distinta titolarità, con la conseguente configurabilità di un danno erariale
che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla
relativa azione di responsabilità”.
3. Le modifiche delle direttive europee in materia di contratti ed
appalti pubblici
Rilevanti novità, influenti anche sul concetto normativo di “controllo
analogo”, sono state introdotte dalle tre direttive che riformano in ambito
europeo il settore degli appalti e delle concessioni, pubblicate il 28 marzo
2014 nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea ed entrate in vigore il 18
aprile 2014: la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti "settori
speciali" (acqua, energia, trasporti e servizi postali), la direttiva
2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e la direttiva
2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione31.
Tutte e tre le direttive dedicano una norma specifica dall’equivalente
contenuto32 al fenomeno dell’affidamento in house, provvedendo, per la
prima volta, alla tipizzazione normativa della fattispecie, con la previsione
specifica delle articolate ipotesi in cui la direttiva europea consente che i
principi valevoli per l’affidamento concorrenziale mediante gara possano
non trovare diretta applicazione. In particolare si prevede che ciò possa
accadere quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
31 Le proposte legislative sono state presentate dalla Commissione europea il 20 dicembre 2011, nel quadro delle iniziative volte a favorire il completamento del mercato unico. Dopo un lungo ed articolato negoziato, le proposte sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014 e dal Consiglio l'11 febbraio 2014. Gli Stati membri dovranno recepire le disposizioni delle nuove norme nell'ordinamento nazionale entro il 18 aprile 2016. 32 L’art.17 della direttiva 2014/23/UE, l’art.12 della direttiva 2014/24/UE, l’art.28 della direttiva 2014/25/UE.
27
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui
trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono
ef fe t tuate nel lo svolgimento dei compi t i ad essa af f idat i
dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone
giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione
diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di
capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte
dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non
esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Nella specificazione dei tratti caratterizzanti il rapporto di in house
providing, di per sé non particolarmente innovativo rispetto ai risultati
definitori già raggiunti dalla giurisprudenza, assume sicuramente rilevanza,
in primo luogo, la previsione espressa determinazione della percentuale
minima della quantità di attività svolte in favore dell’Amministrazione
aggiudicatrice controllante (80%) e la previsione, nei successivi commi,
delle modalità con le quali si potrà univocamente procedere a determinare
il raggiungimento di tale soglia percentuale33 . Ma i profili innovativi
riguardano specialmente, per quanto riguarda il controllo analogo, la
possibile partecipazione al capitale sociale da parte dei privati ed il
contenuto stesso del controllo.
Quanto al primo aspetto le tre direttive chiariscono che sono ammesse
partecipazioni di capitali sociali privati, purché non implichino controllo o
33 Essenzialmente il fatturato totale medio o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica.... Per un approfondimento di tale tematica si veda infra nel capitolo III.
2829
potere di veto, e purché il capitale privato non eserciti un’influenza
determinante sulla persona giuridica.
Quanto al contenuto del controllo analogo, alla ripetizione della formula
giurisprudenziale già ampiamente conosciuta ed utilizzata (Si ritiene che
un ’Amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un
controllo analogo.. qualora eserciti un’influenza determinante sia sugli
obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica
controllata)34, si accompagna la specificazione che “Tale controllo può
anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta
controllata allo stesso modo dall’Amministrazione aggiudicatrice,” così
di fatto ammettendo la possibilità degli
affidamenti in house mediante holding
societarie.
Altro punto sul quale le direttive si preoccupano di fare chiarezza è quello
dell’esercizio congiunto del controllo analogo, prevedendosi espressamente
anche tale ipotesi quale fattispecie rilevante, congiuntamente agli ulteriori
presupposti dell’in house providing, al fine di poter esimere
34 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009, causa C-573/07, (Sea), punto 65, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML per cui “Per valutare se l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla società aggiudicataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da questo esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società”; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (CoditelBrabant), punto n. 28, in
http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML “Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detto ente”. Si vedano anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 36, in http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML. “Deve trattarsi di una
possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società, e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 65, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62003J0458:IT “Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”.
l’amministrazione aggiudicatrice dall’applicazione delle regole delle
direttive che imporrebbero l’affidamento mediante gara pubblica.
Specificano infatti le citate norme che anche il controllo congiunto può
essere ritenuto un controllo analogo nel caso in cui ricorrano le seguenti
condizioni: “i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata
sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o
tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali
amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare
congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle
decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la persona
giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti”.
Risulta dunque nel complesso un quadro che con le eccezioni sopra
ricordate in materia di holding e di partecipazione di capitali privati,
conferma di fatto gli orientamenti giurisprudenziali già consolidati.
4. La normativa della legge di stabilità 2014 ed il suo rilievo sul
controllo societario
Importanti novità, implicanti la necessità di adeguare l’esercizio di
controllo verso i soggetti partecipati, sono stati di recente introdotti anche
dall’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), la
quale dedica alle società partecipate, e più in genere agli organismi
partecipati da amministrazioni pubbliche, i commi 550 e seguenti.
Dall’esame delle citate disposizioni risulta indubbiamente rafforzato il
30
pubblica, sono imposti nei confronti delle società partecipate in genere,
prima ancora che delle sole società in house. E’ opportuno, prima di
esaminare tali disposizioni, richiamare diverse norme che,
nell’ordinamento pubblicistico e nel settore della contabilità pubblica, già
imponevano l’esercizio di un controllo effettivo sull’accesso al lavoro alle
dipendenze degli organismi partecipati ed il rispetto di precisi vincoli di
spesa.
Quanto al primo aspetto, l’art. 18, primo comma, del decreto legge
112/2008, convertito con legge 133/200835 (la norma nel suo complesso,
come si dirà oltre, è stata ulteriormente incisa dalla legge 147/2013),
obbligava le società esercenti servizi pubblici locali a totale partecipazione
pubblica al rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’art. 35 del D.
Lgs.165/2001, attraendo al settore del pubblico impiego le assunzioni
effettuate da codeste società quanto meno nelle procedure di
reclutamento36. Per altro verso anche le società a totale partecipazione
pubblica o di controllo sono espressamente tenute, ai sensi dell’art. 18,
secondo comma, del d.l. n. 112/2008, a rispettare i principi, anche di
derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità nel
reclutamento del personale dipendente.
Di non minor rilievo sono diverse previsioni che nella materia della contabilità pubblica hanno da prima propugnato e poi di fatto determinato, anche per le società a partecipazione pubblica, il consolidamento del
35 Prevede la citata previsione che “A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. ” 36 Su tale principio si veda ad esempio DE MICHELE A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, In Istituzioni del federalismo, Quaderni, n. 2/2011, pag. 73.
31
proprio bilancio con quello degli enti partecipanti e la razionalizzazione
della propria spesa. In tal senso l’art. 2 della legge 196/2006, (legge
statale di contabilità), aveva delegato il governo affinché emanasse, per
le amministrazioni pubbliche, pur con l’eccezione delle regioni e degli
enti locali, regole di bilancio uniformi al fine di consentire
l’armonizzazione dei documenti finanziari. Nell’ambito di tale delega,
espressamente si indicava, alla lettera e) del citato articolo, la finalità di
consentire alle amministrazioni interessate l’adozione di un bilancio
consolidato con i propri organismi controllati.
In quest’ottica, già le modifiche apportate dal d.l. n. 78/2010 all’art. 76,
comma 7, del d.l. n.112/2008, avevano determinato che anche le spese di
personale delle società in regime di controllo affidatarie di servizi pubblici
(o esercenti servizi di interesse generale) dovessero considerarsi ai fini del
conteggio del rapporto massimo consentito tra spesa del personale e spesa
corrente37.
37 E’ opportuno riportare il testo attualmente vigente dell’art. 76, comma 7, del d.l. 112/2008: È fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. Entro il 30 giugno 2014, con decreto del Presidente del
32
E’ opportuno anche segnalare che l’art. 4 del decreto legge 95/2012
“spending review ”, nella parte rimasta in piedi a seguito della sentenza n.
229/2013 della Corte Costituzionale38, impone di ridurre a tre il numero dei
componenti dei consigli di amministrazione delle società controllate
direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art.
1 del D.Lgs. 165/2001 che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato
da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al
90 per cento dell’intero fatturato39. Per le amministrazioni locali, l’art.
147 quater del T.U.E.L. 267/2001, introdotto dal D.L. n.174/2012,
convertito con legge n. 213/2012, ha imposto l’adozione di un sistema
di controlli sulle società non quotate partecipate dagli enti locali. Profili
fondamentali di tale attività di controllo sono la predefinizione degli
obiettivi strategici e gestionali della società partecipata, l’adozione di un
sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra società ed
ente partecipante, ed il monitoraggio sulla società stessa al fine di valutare
risultati ed analizzare eventuali scostamenti dagli obiettivi per potervi porre
rimedio. Anche in questo caso la scelta del legislatore cade sul
consolidamento dei documenti di bilancio dal momento che “I risultati
complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate
partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la
competenza economica.”
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, d'intesa con la Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al primo periodo, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati”. 38 In www.giurcost.org. 39 La norma è stata opportunamente integrata, quanto ai destinatari del precetto, proprio dalla legge 147/2013: per via degli interventi della Corte Costituzionale aveva infatti perso rilevanza, nel testo del comma 4, il riferimento ai soggetti di cui al comma 1, per l’appunto dichiarato incostituzionale.
3334
Le regole sopra ricordate lasciavano intravedere che gli enti che avessero
deciso di attivare partecipazioni in società esercenti pubblici servizi in
regime di totale controllo pubblico (e non solo) dovessero necessariamente
attivare un sistema di controlli particolarmente pregnante al fine di
consentire il rispetto degli obblighi di legge in materia di consolidamento
dei bilanci.
A tali disposizioni, come anticipato, si sono aggiunte le recenti previsioni
della legge di stabilità, nel mutato quadro dell’entrata in vigore del nuovo
testo dell’art. 81 della Costituzione, il quale, come noto, introduce
nell’ordinamento l’obbligo del pareggio di bilancio40.
Il nuovo impianto di disciplina della legge di stabilità si inserisce in un
quadro complessivo fortemente inciso dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 229 del 23 luglio 2013, la quale aveva di fatto vanificato
le previsioni particolarmente restrittive dell’art. 4 del decreto legge 95/2012
(spending review)41. A seguito di tale pronuncia e nella persistente
necessità di dare specifica regolamentazione al settore delle partecipazioni
pubbliche, oramai foriere di veri e propri buchi di bilancio ricadenti in
40 L’art. 81 della Costituzione è stato sostituito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ed il testo risultante è il seguente “Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale”. In dottrina si veda ad esempio PASSALACQUA M., «Pareggio» di bilancio contro intervento pubblico nel nuovo art. 81 della Costituzione, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it ; RAPICAVOLI C., La riforma costituzionale sul pareggio di bilancio, 2012, in www.filodiritto.com . 41 Per un approfondimento della vicenda della disciplina in tema di spending review si veda PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 84 e seg.
varia misura sugli enti partecipanti (tenuti, come detto al pareggio di
bilancio), il legislatore interviene da un lato nei rapporti tra ente e società e
dall’altro estendendo gran parte delle nuove norme a soluzioni gestionali,
forse di minor rilievo mediatico, come le aziende speciali e le fondazioni,
ma accomunate alle partecipazioni in società dalle problematiche da
affrontare e risolvere ai fini della tenuta dei conti pubblici. Per quanto
qui rileva, i commi 551 e 552, nel prevedere un’articolata procedura di
accantonamento di risorse ed, eventualmente, l’obbligo di ripianamento
delle perdite dell’organismo partecipato, pongono le premesse per
l’introduzione di sistemi di controllo effettivi e concreti, esercitabili nei
confronti di tutti gli organismi indicati dal comma 550 (aziende speciali,
istituzioni e società partecipate dalle amministrazioni locali indicate
dall’elenco di cui all’art. 1, comma 3, della legge 196/2009). Lo
stesso comma 553, presuppone una tipologia di controllo
particolarmente forte, ponendo lo specifico obiettivo che “A decorrere
dall'esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 a partecipazione di
maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali
concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica,
perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di
efficienza. ( .) ”. Concorso da valutarsi, quanto alle società che operano nel
settore dei servizi pubblici locali, mediante “parametri standard dei costi e
dei rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati delle Amminstrazioni
pubbliche ( .) ”, prosegue la norma.
Particolare rilievo sembra anche assumere il comma 558, il quale, nel
modificare il testo del già esaminato art. 76 del d.l. 112/2008, impone di
conteggiare nelle percentuali previste ai fini del contenimento della spesa
35
di personale42 anche le spese di personale delle aziende speciali e delle
istituzioni; nonché il comma 559, che a sua volta modifica il comma 6 del
vigente art. 3 bis del D.L. n. 138/201143 e impone alle società partecipate,
già tenute al rispetto dell’art. 35 del D.Lgs. 165/2001 in materia di incarichi
esterni, anche al rispetto dei “vincoli assunzionali e di contenimento delle
politiche retributive stabiliti dall’ente locale controllante ai sensi
dell’art.18, comma 2 bis, del decreto-legge n.112 del 2008”.
I commi da 563 in poi intervengono infine a regolare rapporti di mobilità di
personale tra società (comma 563) e di gestione delle eccedenze di
personale (commi 565, 566, 567, 568) ovvero di assunzione previa
adozione di atti di indirizzo da parte degli enti partecipanti, in caso di
riorganizzazione di funzioni (comma 564). Senza entrare nel dettaglio di
tali previsioni, è evidente tuttavia che influendo tali processi
sull’organizzazione di servizi esternalizzati, sulle spese della società e, per
tale via, sul bilancio consolidato degli enti partecipanti alle società stesse,
viene postulato un controllo effettivo da parte di questi ultimi anche sui
profili assunzionali e sulle esigenze operative delle proprie società di
riferimento.
42 Si veda supra. 43 Si riporta il testo del citato comma 6: Le società affidatarie in house sono tenute all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Le medesime società adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008.
36
5. Prospettive di evoluzione del controllo sulle società partecipate non
"in house " Questo breve excursus giurisprudenziale-normativo, ben
lungi dal voler assumere profili di sistematicità sul controllo analogo e
sulle modalità del suo esercizio, vuole offrire tuttavia alcuni spunti di
riflessione sull’evoluzione del fenomeno delle partecipazioni pubbliche
nelle società dal punto di vista dei rapporti con le amministrazioni di
riferimento.
Si omette, volutamente, di affrontare la questione della giurisdizione
contabile 44 e si ritiene, invece, di dover effettuare alcune osservazioni sulla
forma di controllo presupposta dalle nome richiamate su tutte le ipotesi di
partecipazione di cui all’art. 1, comma 550, della legge di stabilità n.
147/2013: infatti, scorrendo le previsioni che regolano la materia delle
partecipazioni degli enti e delle amministrazioni pubbliche, la conclusione
che ci pare doversi assumere è che il legislatore abbia finito per avvicinare
(se non omologare, quanto meno) l’ipotesi della partecipazione “spuria”
delle amministrazioni pubbliche nelle società a quella della partecipazione
in società in house.
L’esigenza primaria del contenimento della spesa pubblica, e quelle
strettamente ad essa correlate della persecuzione di una politica di bilancio
in pareggio (per l’ente di riferimento), dell’armonizzazione dei bilanci di
società e degli organismi partecipati e specialmente del controllo sulla
spesa di personale complessiva, o ancora in termini più concreti la stessa
gestione della mobilità e delle eccedenze di personale e la possibilità di
dover obbligatoriamente coprire le perdite societarie con specifici
44 Ci si limita tuttavia a formulare un quesito: nel momento in cui, se pur eventualmente, l’ente partecipante sia tenuto a ripianare le perdite della società secondo procedure ben definite, è ancora sostenibile, che le risorse societarie siano risorse private tutelabili esclusivamente attraverso l’azione sociale di responsabilità davanti al giudice ordinario?
37
accantonamenti, e più in generale tutti gli ulteriori profili sopra ricordati,
inducono a ritenere che il ruolo degli enti pubblici partecipanti in società
pubbliche o private 45, anche non affidatarie in via diretta di servizi
pubblici, non possa più limitarsi ad una presa mera d’atto dei risultati
gestionali di queste ultime al di fuori di un concreto potere (e dovere) di
intervento. Tutti i profili sopra esaminati sembrano implicare, invece, la
necessità di un controllo strategico della società e della programmazione
della sua attività operativa. Tale controllo non pare possa limitarsi alla sola
predisposizione o approvazione di un piano gestionale, dovendo avere
ampiezza senz’altro maggiore: basti pensare alla mobilità del personale ed
alla gestione delle eccedenze e specialmente agli obblighi di
contenimento della spesa corrente della società stessa. Pare si debba
dunque ritenere che il controllo presupposto dal legislatore implica la
valutazione ex ante degli obiettivi e quella ex post dei risultati della
società ed impone altresì la verifica dell’intero svolgimento
dell’attività e se del caso, anche l’intervento correttivo in corso di gestione.
Ciò non fosse altro perché l’ente di riferimento è oramai chiamato ad
approntare le risorse per far fronte alle perdite gestionali della società,
qualora queste si verifichino.
Solo l’applicazione pratica di questa forma di controllo consentirà di
verificare se esso sarà difforme dal controllo analogo o se invece assumerà
(totalmente o parzialmente) le forme di quest’ultimo.
45 Tale espressione è volutamente utilizzata e deve essere intesa nel senso dell’irrilevanza, allo stato attuale della natura pubblica o privata che si voglia attribuire alle società partecipate.
38
Capitolo II - Controllo analogo, disfunzioni gestionali e rischio di
fallimento per le società pubbliche di Mattia Pani
1. La problematica della fallibilità delle società pubbliche
Dopo aver analizzato approfonditamente la questione del controllo analogo
sotto diversi punti di vista, è di interesse affrontare il problema relativo
all’eventuale assoggettabilità delle società pubbliche alle procedure
concorsuali ed, in particolare, all’ipotesi del fallimento46 per quanto abbia
rilevanti radici storiche solo di recente ha assunto primaria importanza.
Come si avrà modo di vedere, anche tale aspetto della vita delle società
pubbliche è influenzato, per quanto riguarda le società in house, proprio
dall’esplicarsi di un controllo analogo. In generale, la costante e
continua evoluzione e diffusione del fenomeno delle società partecipate
quali organismo formalmente di diritto privato ma avente sostanza (e cioè
natura e proprietà) oltreché finalità pubbliche, ha notevolmente
incrementato la rilevanza pratica della questione. Più nel dettaglio la
sempre crescente attrazione delle predette società partecipate alla nozione
di ente pubblico, stante la strategica funzionalità da loro assunta per il
conseguimento degli scopi di pubblico interesse, fa sorgere spontaneo
l’interrogativo circa la sorte cui le stesse devono essere assoggettate per
l’ipotesi di accertate (e sempre più spesso ripetute) disfunzioni
gestionali che conducono all’accumularsi di importanti passivi di bilancio.
Per dirimere la questione occorre, preliminarmente, partire da contenuto
dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n.
46 Sulla disciplina del fallimento in generale si veda, ad esempio, FERRO M., (a cura di), La legge fallimentare, Commentario teorico -pratico, seconda edizione, Padova, 2011.
39
26747 e art. 2221 del codice civile), il quale individua i soggetti che sono
sottoposti alla disciplina delle procedure concorsuali osservando che “sono
soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo48 gli
imprenditori che esercitano attività commerciale”, per poi precisare che ne
sono espressamente esclusi “gli enti pubblici”49.
In ragione di ciò, se dunque è pacifico che gli enti pubblici territoriali sono
esentati dall’applicazione della disciplina in materia di fallimento, è
necessario accertare in concreto l’esatta portata oltreché i confini reali della
sopradetta nozione derogatoria di ente pubblico; e ciò al fine di chiarire se
tale eccezione sia estensibile anche al più ampio novero delle società
pubbliche partecipate ed, in particolare, alle società in house.
47 Articolo modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e successivamente modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169. 48 Con specifico riferimento al solo fenomeno dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è stata recentemente introdotta una particolare forma di ammissione a detta procedura da parte delle società operanti nei servizi pubblici essenziali. Il riferimento è all’art. 1, comma 1 bis, del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, nel testo modificato dalla legge di conversione 27 ottobre 2008, n. 166, che ha introdotto nell’art. 27, comma 2, del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (avente ad oggetto le condizioni di ammissione alla procedura) la lettera b-bis), in virtù della quale il risultato del recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali può essere realizzata per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (cosi detto programma di cessione dei complessi di beni e contratti). Sul punto si veda anche l’art. 1, comma 3, del D.L. 3 dicembre 2003, n. 347, convertito con modificazioni, dalla L. 18 febbraio 2004, n. 39, il quale, introducendo un periodo concernente l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, ha disciplinato la nomina del commissario straordinario. 49 La disposizione, peraltro, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 15, ultimo comma, della legge fallimentare che stabilisce in concreto la soglia di indebitamento oltre la quale è possibile proporre istanza di fallimento precisando che “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”, oltreché con l’art. 1, comma 2, lett. a), b) e specialmente c) secondo cui per poter essere esente da fallimento l’imprenditore non deve avere debiti di ammontare complessivamente superiore a euro 500.000. Cfr. LEFEBVRE F., Fallimento: soggetti interessati, Padova, 2013, pag. 149 e sgg.
40
2. Evoluzione storica
Storicamente non è mai stato posto in dubbio il fatto che enti strumentali,
aziende e, da ultimo, le società in mano pubblica fossero tutti in egual
misura sottratti alle procedure concorsuali, cosicché la questione è stata
riproposta di recente a seguito del fenomeno delle privatizzazioni e
dell’incessante e ampio utilizzo del modello societario avvenuto nel corso
dell’ultimo decennio50.
In tale contesto si poneva quale elemento di discrimine il presupposto
secondo il quale la veste giuridica privatistica, sebbene evidente sotto un
profilo formale, doveva necessariamente intendersi recessiva rispetto a
numerosi e plurimi elementi di matrice sostanziale certamente dotati di
maggiore e preminente rilevanza5 1. Per questo motivo in una prima
fase storica l’assoluta e diretta promanazione e dipendenza dall’ente
pubblico proprietario costituiva un utile schermo in presenza del quale
non era possibile dubitare circa l’assoggettabilità al medesimo regime
giuridico pur in presenza dei presupposti di legge per il fallimento. Per
contro il progressivo e crescente ingresso di capitali privati nelle società
pubbliche ha fatto sì che le stesse siano sempre meno soggette al
pregnante sistema di controlli e vincoli pubblicistici ma soprattutto ha
determinato un vero e proprio avvicinamento del modello gestionale di
queste società a quelle di tipo più squisitamente privatistico.
50 In tal senso Cassazione Civile, sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209, in www.ilcaso.it . 51 Dottrina e giurisprudenza hanno nel corso del tempo individuato diversi fattori in presenza dei quali l’impresa deve essere ricondotta alla categoria degli enti pubblici esentando la stessa dal rischio “fallimento”. Tra di essi si possono citare la partecipazione pubblica all’azionariato, l’ingerenza e controllo nella gestione da parte dei pubblici poteri, la rilevanza di erogazioni di capitali pubblici, i vincoli di natura pubblicistica imposti sull’attività svolta e l’assenza di vocazione commerciale. In proposito si veda diffusamente BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag. 1667 e infra.
41
Ecco perché, stante il mutato quadro funzionale e organizzativo di
riferimento, si rendeva indispensabile comprendere in quale misura le
società che gestiscono servizi pubblici possono o meno essere
regolamentate in tutto e per tutto alla stregua di qualsiasi società di capitali
anche sotto il profilo delle disciplina delle procedure concorsuali.
Al riguardo sia la dottrina che la giurisprudenza si sono spesso confrontate
sull’argomento giungendo talvolta a soluzioni articolate e differenti
specialmente in ragione del grado di ingerenza dei privati nel capitale
sociale oltreché nelle funzioni gestionali52. Ciò ha condotto
all’affermarsi di due differenti orientamenti definititi “tipologico” e
“funzionale”. Il primo è connotato da alterne impostazioni in quanto
secondo alcune pronunce, per applicare la legge fallimentare è dirimente
sic et simpliciter, la natura privatistica della società, una volta che sia stata
iscritta come tale nel registro delle imprese; altre pronunce, pur avendo
riguardo alla natura della società, solo eccezionalmente ne ritengono
ammissibile la riqualificazione.
A conforto del sopra esposto orientamento possono essere richiamate due recenti pronunce della Corte di Cassazione53 in forza delle quali “le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un ’att ivi tà commerciale sono assogget tabil i al fal l imento
52 Al riguardo si veda la ricostruzione dei differenti orientamenti di BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag. 1664. 53 Il riferimento è a Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209. In proposito è bene precisare, però, che in entrambe le pronunce il Supremo Consesso si è occupato di fattispecie societarie aventi ad oggetto una società mista che, come noto, integra uno strumento giuridico completamente diverso, sotto il profilo ontologico e finalistico, rispetto alle società interamente partecipate da soggetti pubblici ed, in particolare, dalle società in house. In tali ipotesi lo statuto delle predette società miste aveva consentito di accertare un oggetto sociale molto ampio, la mancata previsione della prevalenza dell’attività di interesse pubblico da svolgersi in favore dell’ente proprietario, l’assenza di un effettivo potere di ingerenza e verifica da parte dei soci pubblici oltreché finalità statutarie orientate al soddisfacimento di esigenze di carattere industriale e commerciale.
42
indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa”.
Nelle ipotesi esaminate da tali pronunce l’attività di supervisione
effettivamente esercitata dagli enti parzialmente proprietari non era
riconducibile ai presupposti del controllo analogo ma integrava un normale
rapporto di controllo che non andava oltre le previsioni fissate dal codice
civile per le ordinarie società di diritto privato54. Di conseguenza sottrarre
le società a partecipazione pubblica solo parziale e per lo più dotate di una
forte (o, meglio ancora, determinante) ingerenza dei soci privati dalla
disciplina del fallimento avrebbe determinato una palese quanto
ingiustificata violazione degli inderogabili principi costituzionali di
eguaglianza e affidamento55.
Si deve, comunque, riscontrare come il dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare si fondi su un criterio di natura soggettiva e, più precisamente, sulla riconducibilità o meno di una società al paradigma formale dell’ente pubblico per quanto sia innegabile che si tratti di una definizione ormai datata56 e anacronistica57.
54 Ciò appare, peraltro, logico in quanto la natura della società mista rende la stessa difficilmente conciliabile con un rapporto di strumentalità rispetto all’ente pubblico proprietario in quanto tale tipologia di impresa appare spesso, in specie quanto più è rilevante la partecipazione di privati, dotata di piena autonomia negoziale, finanziaria e patrimoniale. 55 Più precisamente Cassazione Civile, 27 settembre 2013, n. 22209, osserva che “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza”.
56 Non può in questa sede essere trascurato che il dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare non tiene conto della configurabilità del modello gestionale riconducibile alle società pubbliche partecipate. La nozione contenuta nella norma si fonda su di un ormai inadeguato e datato criterio di natura soggettiva e, più precisamente, sulla riconducibilità o meno di una società al paradigma formale dell’ente pubblico, che in alcun modo tiene conto dell’oggigiorno consolidato orientamento funzionale. In sostanza la norma nasce in un contesto storico in cui il novero degli enti pubblici era
43
Più di recente, poi, alcuni interpreti, al fine di discernere tra le imprese
pubbliche assoggettabili al fallimento da quelle invece escluse da tale
disciplina, sono pervenuti ad individuare un criterio chiamato “funzionale”
in forza del quale ciò che maggiormente rileva nella predetta indagine è la
ricerca del fine pubblico perseguito dalla società che si ravvisa tutte le volte
in cui l’attività economica svolta è diretta a soddisfare l’interesse collettivo
e generale58.
In questo modo è possibile ipotizzare un criterio di natura sostanziale e non
formale della qualificazione di un soggetto come pubblico59.
Il fine pubblico perseguito è, peraltro, incompatibile con la cessazione
dell’attività che, per quanto disposta a tutela dei creditori di certo
pregiudicherebbe il superiore interesse pubblico 60 alla continuità della
prestazione pubblicistica con conseguente discutibile gestione da parte
degli organi del fallimento di funzioni che per legge sono riservate alla
sostanzialmente riconducibile solo a quelli territoriali e ai pochi strumentali al contrario di quanto, invece, oggi la casistica pratica consenta di fare stante l’ampliamento soggettivo degli ultimi anni. 57 Lo storico principio di legalità, posto a fondamento dell’istituzione degli enti pubblici, trova fondamento nell’art. 4 della l. n. 70/1975 che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da un espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco. Questa disposizione, però, non pare più aggiornata al corso dei tempi posto che tale principio dovrebbe più opportunamente essere applicato anche in funzione del significato specifico che oggi giorno può essere attribuito alla nozione particolarmente ampia di ente pubblico. Ad esempio già la storica legge sul procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990 e, allo stesso modo, il codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006 e la giurisprudenza comunitaria riportano una nozione di pubblica amministrazione certamente più estesa rispetto al passato e capace di ricomprendere anche alcune tipologie di soggetti giuridici privati ma dotati di natura sostanzialmente pubblicistica in quanto chiamati a espletare un servizio pubblico. Per tali ragioni ricondurre una società partecipata al concetto di derivazione europea di organismo di diritto pubblico potrebbe agevolare l’indagine in argomento. Cfr. infra. 58 Al riguardo APRILE F., CELENTANO P, CULTRERA M.R., Tipologie soggettive al vaglio di fallibilità, in L’istruttoria prefallimentare, a cura di FERRO M., DI CARLO A., pagg. 183 e sgg. In giurisprudenza si veda, invece, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in Fallimento, 2009, pag. 713. 59 In giurisprudenza si veda, ad esempio, Cassazione Civile, sez. Unite, 15 aprile 2005, n. 7799, in www.ilcaso.it e Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 308, in www.giustizia-amminstrativa.it. 60 In un giudizio di comparazione quest’ultimo dovrebbe necessariamente considerarsi prevalente in quanto per sua natura è espressione di un interesse generale ed univocamente diffuso a differenza di quanto avviene per i predetti creditori che, invece, sono portatori di un interesse che – per quanto rilevante fa comunque capo a pochi.
44
pubblica amministrazione e che rientrano nelle relative potestà discrezionali61.
In definitiva il perseguimento di un fine pubblico non consente la
dichiarazione di fallimento in quanto la cessazione dell’attività - finalizzata
alla tutela dei creditori - pregiudicherebbe l’interesse pubblico soddisfatto
dall’ente proprietario attraverso la società partecipata ma di diritto
privato62.
Tale ultimo orientamento, poi, ha trovato anche il conforto della Corte di
Cassazione 63 che ha ritenuto di poter ampliare la nozione di soggetto/ente
pubblico richiamando la definizione data dalla giurisprudenza comunitaria.
In particolare “una società può qualificarsi quale organismo di diritto
pubblico se soddisfa cumulativamente tre condizioni: 1) è stata istituita per
soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non
industriale o commerciale; 2) è dotata di personalità giuridica; 3) la sua
attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici
territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure
(alternativamente) la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi
oppure (alternativamente) il cui organo di amministrazione, di direzione o
di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designato
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto
pubblico. Per verificare se un organismo soddisfi specifiche esigenze di
interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, e sia
61 Il tutto con il rischio di un grave pregiudizio per l’interesse generale alla sana e corretta gestione della cosa pubblica. Del resto si noti, in termini esemplificativi, che la nomina del liquidatore in forza dell’art. 2487 del codice civile spetta all’assemblea dei soci che nel caso delle società partecipate - come noto - altro non sono che gli enti pubblici territoriali proprietari. Sul punto D’ATTORE G., Le società in mano pubblica e fallimento, in Fallimento, 2010, pagg. 869 e seg. e infra. 62 In dottrina D’ATTORE G., Le società in mano pubblica possono fallire, in Fallimento, 2010, pagg. 715 e sgg. Per la giurisprudenza si veda Corte d’Appello di Torino, 15 febbraio 2010 e Tribunale di Messina, 24 aprile 2010.63 Cassazione Civile, sez. Unite, 9 maggio 2011, n. 10068.
45
quindi qualificabile come organismo di diritto pubblico, occorre accertare
che l’organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul
mercato, poiché ciò costituisce un indizio a sostegno del fatto che non si
tratti di un bisogno di interesse generale non industriale o commerciale;
che questi ultimi bisogni, siano di regola, soddisfatti in modo diverso
dall’offerta dei beni o servizi sul mercato; che si tratti di bisogni al cui
soddisfacimento, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato
preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende
mantenere un’influenza determinante”. In sostanza l’assenza di un
effettiva natura e finalità di impresa commerciale, quale conseguenza
del pregnante e inderogabile controllo pubblico analogo a quello esercitato
sulle proprie strutture operative, pare essere incompatibile con un eventuale
dichiarazione di fallimento.
Il predetto quadro giurisprudenziale da ultimo è stato definitivamente
ricondotto ad unità dalle sezioni Unite della Cassazione 64 che hanno sancito
il principio della indistinguibilità della società in house dagli enti pubblici
che le partecipano con la conseguenza che tali soggetti ben possono essere
sottratti alla disciplina del fallimento. 3. La sentenza della Corte di
Cassazione, sezioni Unite civili, 25
novembre 2013, n. 26283La recente sentenza resa dalla Corte di Cassazione a sezioni Unite 65 è
risolutivamente intervenuta sul problema afferente il regime giuridico
64 Cfr. Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 su cui si veda, diffusamente, infra e, in termini sostanzialmente analoghi, si confronti pure la recentissima Cassazione Civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491 che, nel richiamare in ampi passaggi la sentenza 26283 ne ha fatto proprio il contenuto e le conclusioni. 65 Ancora Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 e Cassazione Civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491.
46
applicabile alle società pubbliche soffermandosi, in particolare, sulla natura
delle società in house e sul rapporto intercorrente tra detto modello
gestionale pubblico e gli enti che lo partecipano; il tutto attraverso la
fissazione di alcuni corollari in forza dei quali è ora possibile giungere alla
conclusione secondo cui a detto modello gestionale pubblico non paiono
applicabili le procedure concorsuali. La Corte, anzitutto, individua “i
connotati qualificanti della società in house costituita per finalità di
gestione di pubblici servizi e definita da tre requisiti già più volte ricordati: la
natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attività in
prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione a un controllo
corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Ma si
intende che, per poter parlare di società in house, è necessario che
sussistano tutti contemporaneamente e che trovino tutti il loro fondamento
in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale”.
Con riferimento al primo requisito è noto, poi, che la giurisprudenza
europea ha più volte ammesso la possibilità che il capitale sociale faccia
capo ad una pluralità di soci, purché si tratti sempre di enti pubblici posto
che lo statuto della partecipata deve escludere in maniera espressa ed
inderogabile la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni
societarie di cui gli enti pubblici siano titolari66.
Si aggiunga, poi, che l’indispensabile rilevanza del presupposto della
prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti
66 Al riguardo si vedano i nuovi parametri fissati dalla direttiva europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 recentemente pubblicata e soggetta, come di consueto, all’obbligo di recepimento biennale per lo Stato italiano e che contiene un’importante apertura alla partecipazione, in misura non predominante (e, comunque, non superiore al venti per cento), dei privati. Al riguardo si veda, però, contra il Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181, secondo il quale “i soggetti privati non possono in nessun modo essere ammessi a partecipare ad” una società in house.
47
partecipanti alla società postula, in ogni caso, che l’attività accessoria non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul mercato dei beni e dei servizi.
Ancora la Corte di Cassazione chiarisce l’assoluta necessità (indispensabile
onde evitare il fallimento) del requisito del così detto controllo analogo che
sussiste qualora l’ente pubblico partecipante abbia “statutariamente il
potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in
house, i cui organismi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in
posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L’espressione
controllo non allude, perciò, in questo caso all’influenza dominante che il
titolare della partecipazione maggioritaria o totalitaria è di regola in
grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso sulle scelte
degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente
esercitato sulla gestione dell’ente, con una modalità e un’intensità non
riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio
(fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile” 67.
Della sussistenza di detto elemento, in particolare, non è in ogni caso
possibile prescindere posto che la sua inderogabile presenza connota e
contraddistingue indefettibilmente i contenuti pubblicistici della società in
house.
In definitiva le sezioni Unite hanno sancito l’impossibilità di individuare una differenza soggettiva tra il socio pubblico e la società in house perché, a prescindere, dalle veste societaria di cui è rivestito tale strumento gestionale, è innegabile che la stessa altro non è che una promanazione
67 Il Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181, è recentemente tornato sulla definizione di controllo sostanzialmente confermando l’orientamento di cui alla sentenza 26283 e precisando che “il controllo analogo è un controllo non di matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da un maggioranza assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo, paragonabile ad un controllo di tipo gerarchico”.
48
dell’ente pubblico ed in quanto tale non può essere assoggettata a una
disciplina diversa né tantomeno al fallimento.
Ciò in quanto, “la società in house, come in qualche modo già la sua stessa
denominazione denuncia, non pare invece in grado di collocarsi come
un ’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di
una propria articolazione interna. È stato osservato, infatti, che essa non è
altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che
l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente
veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte
cost. n. 46/13, cit.); di talché l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto
all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei
servizi propri dell’amministrazione stessa (così Cons. Stato, Ad. Plen. N.
1/08, cit). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è
dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società in house
non si realizza più in termini di alterità soggettiva. L’uso del vocabolo
società qui serve allora solo a significare che, ove, manchino più specifiche
disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal
modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona
giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di
cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile
parlare”.
In termini riassuntivi, dunque, l’elemento discretivo in presenza del quale
una società pubblica non è assoggettabile al fallimento è determinato 68 non
solo dal fatto che la stessa non deve esercitare un’attività commerciale o,
68 In senso conforme alla sentenza della Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, in dottrina vedasi, ad esempio, DI RUSSO D., Con l’esclusione del fallimento deficit da ripianare, in Norme e Tributi, Milano, 13.01.2014; CLARICH M., Società in house al nodo fallimento, in Norme e tributi, Milano, 29.11.2013.
49
meglio ancora dal fatto che la stessa svolga un servizio pubblico di
interesse generale (non in condizioni di concorrenza) ma anche e
soprattutto dalla sua natura pubblica o meno certamente indiscutibile in
presenza dei presupposti del controllo analogo (è il caso delle società in
house) e da verificarsi caso per caso nelle altre ipotesi di società
partecipate69. 4. La non assoggettabilità a fallimento delle società
pubbliche (in house) nella giurisprudenza di merito successiva alle
sezioni unite 25
novembre 2013, n. 26283
Attraverso la lettura combinata del disposto dell’art. 1 della legge
fallimentare e dei principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione a
sezioni Unite70 può con certezza affermarsi che se gli enti pubblici non
possono fallire, conseguentemente e allo stesso modo non possono fallire
neppure le società in house e, più in generale, tutte le società partecipate
pubbliche ove le stesse non presentino nessuna distinzione e alcun
elemento di alterità soggettiva rispetto agli enti pubblici proprietari;
circostanza quest’ultima che, come noto, avviene solo ove sia riscontrata in
concreto la presenza degli elementi pubblici esaminati nei paragrafi
precedenti.
Il sopraesposto ragionamento è stato fatto proprio anche dalla
giurisprudenza di merito la quale, in applicazione dei principi espressi dalle
69 Secondo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 22 luglio 2009, n. 52, la mera titolarità in capo ad un soggetto pubblico delle partecipazioni ad una società per azioni non consente di concludere tout court per la natura pubblica della partecipata, al fine di stabilire la assoggettabilità o meno a procedura concorsuale della medesima, ma si dovrà in concreto e caso per caso valutarne la gestione e l’attività svolta.70 Si tratta della pluricitata sentenza del 25 novembre 2013, n. 26283.
50
sezioni Unite nella storica sentenza citata n. 26283/2013, è pervenuta in più
occasioni a conclusioni sostanzialmente coincidenti.
Il Tribunale di Verona71, ad esempio, ha affermato che “nelle società in
house providing, aventi i requisiti espressi dalla Cassazione sez. Un. 25
novembre 2013, n. 26283, non può configurarsi un rapporto di alterità, né
una separazione patrimoniale, tra l’ente pubblico partecipante e la società
stessa. Pertanto gli organi della società risultano preposti ad una struttura
corrispondente ad un’articolazione interna della pubblica amministrazione
e ad essa legati da un vero e proprio rapporto di servizio.
Conseguentemente, come accade nelle amministrazioni pubbliche, gli
amministratori della società sono sottoposti ad un controllo assoluto da
parte delle amministrazioni, tali da privarli di effettivi e concreti poteri
gestori. In qualità di articolazioni di enti pubblici, a tali società deve
essere estesa la previsione di esenzione di fallimento, ex. art. 1 l.f.”.
In termini ancora più efficaci, poi, il Tribunale di Napoli72 ha ulteriormente
chiarito che “se è vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento,
anche la società in house, integralmente partecipata dagli stessi, non potrà
essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto concreta mero
patrimonio separato dell’ente pubblico e non distinto soggetto giuridico,
centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della
partecipazione che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto
corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni” 73.
71 Tribunale di Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it . nello stesso senso Tribunale di Nola, 30 gennaio 2014, ove è, peraltro, precisato che “la mancanza anche di uno solo di tali requisiti consente l’applicabilità dell’art. 161 l.f.”. 72 Tribunale di Napoli, 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it . 73 Si veda, pure, Tribunale di Modena, 10 gennaio 2014, il quale ha osservato che “in difetto di diversa qualificazione legislativa, deve ritenersi valido il principio generale della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto forma societaria iscrivendosi nell’apposito registro e quindi volontariamente assoggettandosi alla disciplina privatistica”.
51
Del resto, già in precedenza, anche il Tribunale di Palermo74, invece di
puntare sul criterio della qualificazione formale del soggetto come ente
pubblico, incentrava la propria interpretazione sulla esclusione della natura
di imprenditore commerciale ammettendo la fallibilità solo se “la società
operi all’interno di un mercato concorrenziale, incompatibile con la
situazione di esclusiva o di monopolio, svolgendo attività economica
diretta al pubblico degli utenti e dei consumatori”75.
In definitiva tutte le volte in cui sia accertata l’assenza di una alterità
soggettiva e di patrimonio76 tra la società pubblica e l’ente proprietario ben
potrà essere scongiurata l’applicazione delle procedure concorsuali ed, in
particolare, dell’art. 1 della legge fallimentare. 5. Problematiche
pratico-applicative A completamento della sopra esposta indagine
giurisprudenziale e teorico dottrinale si riportano ora di seguito alcuni
brevi elementi di riflessione pratico-applicativi che forse, singolarmente
considerati, non solo da soli sufficienti a giustificare la deroga per le società
pubbliche all’applicazione della disciplina in materia di procedure
concorsuali ma di certo possono dimostrare la difficile conciliabilità
dell’istituto del fallimento con il regime
e le regole pubblicistiche proprie delle società partecipate.
74 Tribunale di Palermo, 8 gennaio 2013, n. 99. 75 Il bilancio delle società partecipate, infatti, deve essere approvato prima dall’assemblea dei soci (composta dai soggetti pubblici titolari di quote di partecipazione) e poi dai medesimi enti proprietari; questi ultimi, a loro volta, in sede di approvazione del proprio bilancio dovranno dare conto delle partecipazioni in essere e degli eventuali utili/perdite conseguite. 76 In senso conforme in dottrina cfr. SANTUARI A., Le società pubbliche non falliscono, 26.01.2013, in www.personaedanno.it e POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate, in Norme e tributi, Milano, 21.01.2014.
52
A tal proposito appare significativo spendere alcune considerazioni in
primo luogo con riferimento alle sorti del personale occupato alle
dipendenze delle imprese pubbliche.
Infatti, è noto che il regime giuridico al quale è assoggettabile il personale
delle società partecipate - già a partire dallo storico art. 18, commi 1 e 2,
del D.L. 25 giugno 2008, n. 11277, dall’art. 76, comma 7, L. 30 giugno
2008, n. 113 e ancor più oggi per effetto delle ultime novità legislative
introdotte dall’art. 1, commi 557 e seguenti, L. 27 dicembre 2013, n. 147,
così detta “legge di stabilità per il 2014”78 - è certamente riconducibile a
quello degli enti pubblici proprietari. Più precisamente tutti i vincoli
preordinati all’assunzione79 (tetto massimo numerico, parametri minimi di
spesa di riferimento, rapporto personale destinato alla quiescenza e nuovi
fabbisogni80, blocco delle assunzioni e delle retribuzioni e, più in generale,
77 Decreto convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, rubricato “Reclutamento del personale delle società pubbliche”. Tra i vari commenti della disciplina si vedano BARBIERO A., D i s c i p l i n a d e l l e a s s u n z i o n i n e l l e S o c i e t à i n t e r a m e n t e p a r t e c i p a t e , 2 0 0 8 , i n http://www.albertobarbiero.net; DE MICHELE A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, In Istituzioni del federalismo, Quaderni, n. 2/2011, pag. 73 e seg.; TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da parte delle società a partecipazione pubblica, 2009, in www.dirittodeiservizipubblici.it; GRECO M., Il reclutamento delle risorse umane nelle società pubbliche, La pubblica amministrazione nel D.Lgs n. 165/2001 e nell’ordinamento comunitario, 26 marzo 2009, in www.diritto.it . 78 Ma si veda pure la disciplina della mobilità, come prevista dall’art. 1, commi 563 e seguenti della medesima legge 27 dicembre 2013, n. 147. Ad esempio il comma 565, relativo alle eccedenze di personale, prevede un’informativa preventiva alle rappresentanze sindacali e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica per evitare che si possano verificare abusi o altre forme di distorsione. 79 POZZOLI S., Società, tetti alle assunzioni con platea e parametri nel caos, in Norme e tributi, Milano, 28.04.2014.
80 In definitiva l’obbligo del rispetto delle regole pubblicistiche sia per gli enti locali proprietari che per le società in house controllate trova, già da tempo, ulteriore riscontro nel predetto art. 76, comma 7, l. 30 giugno 2008, n. 113, in forza del quale “È fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore
53
l’espressa estensione alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società
partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali di tutti gli obblighi
relativi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui all’art. 1,
comma 553) e il conseguente procedimento vincolato di assunzione (e,
talvolta, anche buona parte dei contenuti dello stesso contratto di lavoro)
del personale delle società pubbliche presentano una sostanziale
omogeneità rispetto alla disciplina applicabile agli enti territoriali di
riferimento81. Da tale tendenziale corrispondenza di regolamentazione
al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari” (comma più volte modificato ed integrato dall'art. 4-ter, comma 10, legge 44/2012) . 81 La normativa in materia di società pubbliche per quanto abbia spesso un carattere frammentario (essendo favorita prevalentemente da esigenze straordinarie e contingenti) continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale priva di organicità ma con ampio ambito di applicazione. Esistono, infatti, ulteriori esempi di attrazione della società partecipata nella normativa pubblicistica. Ciò dicasi, in particolare, per l'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2 (convertito con modificazioni dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), inclusione ovviamente ispirata dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa pubblica; lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal così detto patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli enti locali (articolo introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213). Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. ed, anzi, il comma 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Si tratta di una disposizione intimamente connessa alla previsione del precedente comma 12, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, “rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contrati stipulati”.
54
consegue, pertanto, che per l’ipotesi in cui la società pubblica sia ritenuta assoggettabile al fallimento i dipendenti della stessa non possono essere sottoposti allo stesso trattamento riservato a qualsivoglia dipendente di una società di diritto privato rigidamente intesa.
A titolo di esempio basti pensare che82 se il lavoratore si è preliminarmente
prestato alle rigorose prove concorsuali (o anche solo selettive) necessarie
ed indispensabili a consentire l’accesso presso l’azienda partecipata pare
davvero illogico e irragionevole che la sorte di quello stesso dipendente –
che, peraltro, in pendenza del rapporto di lavoro ha ripetutamente fruito di
ampie garanzie ma anche di evidenti vincoli tipicamente pubblicistici – sia
lasciata al caso senza alcuna forma di tutela.
Ed in particolare il principio del concorso pubblico (ovvero dell’obbligo di adeguate procedure di valutazione trasparenti83) è talmente rilevante che secondo la Corte costituzionale non è legittimo il passaggio del personale da una società pubblica all’ente proprietario in automatico, se la prima, nelle sue assunzioni, non ha adottato idonee procedure selettive conformi al canone costituzionale di cui all’art. 97, comma 3, della Costituzione84
.
Del resto la circostanza che al momento non esiste alcuna forma di disciplina che regolamenti85 la situazione del personale delle società pubbliche per l’ipotesi di fallimento comporta che astrattamente lo stesso
82 Come ormai è ragionevole che accada. 83 Ancora art. 18, commi 1 e 2, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112. 84 Un caso di questo tipo si riscontra, ad esempio, in Corte costituzionale, 3 marzo 2011, n. 68, in www.giurcost.org, in quanto si verificherebbe “l’assenza di criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, sia perché il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato si riflette – anche nel caso di imprese o società affidatarie dell’appalto interamente private – sui principi di legalità e di buon andamento della pubblica amministrazione affidante in termini di non conformità alle disposizioni sulla «clausola sociale», di minore apertura dei servizi alla concorrenza e di maggiori costi, considerato che l’obbligo eccede i limiti temporali dell’affidamento del servizio”. 85 O che, per lo meno, regolamenti in modo diverso da quanto avviene per il personale delle società di diritto privato rigidamente intese.
55
sia privo di idonee garanzie di continuità del rapporto di lavoro incardinato, come poc’anzi detto, secondo un severo percorso pubblicistico.
Tale circostanza, per quanto non da sola sufficiente ad escludere
l’applicabilità delle regole concorsuali alle società partecipate, dovrebbe
quantomeno indurre il Giudice fallimentare ad interrogarsi sulla scarsa
compatibilità della disciplina privatistica rispetto alle garanzie
occupazionali minime 86 che di fatto non paiono assicurate (in caso di
fallimento) a chi ha lavorato nell’esclusivo perseguimento del pubblico
interesse sebbene attraverso lo schermo di una società di diritto privato
costituita per la gestione di servizi pubblici essenziali e di proprietà di enti
territoriali87.
Sotto altro profilo, poi, non può sottacersi che l’assoggettamento a
fallimento di una società pubblica comporta che la stessa viene,
conseguentemente, riportata nell’alveo delle regole tipicamente
privatistiche con l’evidente effetto che la responsabilità degli
amministratori della stessa non potrà che essere valutata, almeno in
prevalenza 88, solo ed esclusivamente secondo le regole del codice civile.
86 Di cui pare incontestabilmente avere diritto il lavoratore alle dipendenze di una partecipata. 87 È ormai un fenomeno tristemente affermato e troppo spesso condiviso dalla legislazione di emergenza che si sussegue in materia di servizi pubblici quello in forza del quale la sorte del personale non viene quasi mai presa in considerazione o, addirittura, talvolta, viene completamente trascurata. Si tratta di una vicenda dai contenuti paradossali perché sempre più spesso i dipendenti delle partecipate si trovano a dover rispettare rigorosi procedimenti di assunzione per non poter poi godere, in costanza del rapporto di lavoro, neppure di quelle garanzie minime generalmente riconosciute alle forza lavoro delle società di diritto privato.
88 Cfr. al riguardo la graduazione presente nella sentenza della Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283, la quale ammette il danno erariale nel caso di responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dell’ente pubblico che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente. È il caso del danno all’immagine della pubblica amministrazione. Analogamente l’azione del procuratore contabile appare configurabile anche nei confronti (non già dell’amministratore della società partecipata per il danno arrecato al patrimonio sociale) di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione. In particolare, secondo la Corte, “ciò che può accadere quando il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli amministratori o agli organi di controllo della società
56
Tale effetto, invece che essere una forma di tutela per l’interesse pubblico
rappresenta piuttosto, una grave forma di lesione dello stesso posto che le
gravi irregolarità commesse da chi ha amministrato servizi pubblici
essenziali potrebbero non essere ricondotte nell’alveo della responsabilità
contabile tipicamente intesa.
A questo proposito la pluricitata sentenza della Corte di Cassazione n.
26283/201389 ha chiarito in quali termini sussista la giurisdizione della
Corte dei conti nei confronti dei soggetti che abbiano svolto funzioni
amministrative e di controllo in società di capitali costituite e partecipate da
enti pubblici, quando a quei soggetti vengano imputati atti contrari ai
doveri d’ufficio con conseguenti danni per la società stessa90.
Le sezioni Unite, in particolare, hanno stabilito il principio di diritto in
forza del quale “ la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di
responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte
quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi
sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house,
per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser
soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore
degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme
di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri
uffici” 91.
partecipata, trascuri ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della partecipazione”. 89 Cfr. ancora una volta Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283. 90 I punti salienti dell’orientamento da ultimo consolidatosi sono presenti nella sentenza della Cassazione civile, sez. Unite, 19 dicembre 2009, n. 26806 alla quale anche la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni. Si vedano, ad esempio, sez. Unite, 10299/2013, 7374/2013, 20940/2011,20941/2011, 14957/2011, 14655/2011, 16286/2010, 8429/2010 e 519/2010.91 Nel suo ragionamento la sentenza 26283/2013 chiarisce, inoltre, che “gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono
57
Dal che discende che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al
patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa
aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di
controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre)
riconducibile all'ente pubblico: trattasi, quindi, di un danno erariale, che
giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa
azione di responsabilità. Anche in considerazione di ciò si ritiene che la
rigorosa e formalistica applicazione delle regole del fallimento
indistintamente a tutte le società partecipate comporterebbe degli effetti
sconvenienti sotto il profilo della tutela (oltreché della sana e corretta
gestione della cosa pubblica), dovendosi escludere e/o limitare la
responsabilità contabile in danno degli enti territoriali proprietari e
degli interessi pubblici che gli stessi rappresentano.
Non si trascuri, poi, un problema pratico-applicativo di non poco conto.
Infatti, per l’ipotesi di assoggettamento della società pubblica alla
procedura fallimentare non è chiaro se l’ente pubblico proprietario 92 abbia
effettivamente legittimazione ad intervenire nel giudizio prefallimentare e
fallimentare. Il rischio di non ammissione è evidentemente pregiudizievole
essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. L'analogia tra le due situazioni, che si è visto essere una delle caratteristiche salienti del fenomeno dell'in house, non giustificherebbe una conclusione diversa nei due casi, né quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di relativa giurisdizione”. D'altro canto, se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, è giocoforza doveroso concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. 92 O persino gli stessi lavoratori dipendenti, stante il vuoto normativo rispetto alla tutela delle loro prerogative.
58
per gli enti territoriali stante l’indubbio interesse che gli stessi avrebbero a difendere la partecipata; e ciò per l’ovvia e logica ragione che l’ente proprietario è titolare di un importante quota di partecipazione (totalitaria o, anche solo, di maggioranza).
Invero, la possibilità di intervento, per quanto sempre contrastata dal soggetto promotore 93, potrebbe trovare conforto non solo sotto il profilo normativo 94 ma anche logico per molteplici argomenti.
Dal punto di vista squisitamente processuale è indiscutibile che l’eventuale istanza di reclamo che è possibile proporre contro l’ipotetico provvedimento che dovesse decretare il fallimento può a norma dell’art. 18 della legge fallimentare essere proposta da “qualunque interessato”95.
Sotto il profilo logico, invece, si ribadisce che l’ipotetica attivazione di una
procedura fallimentare nei confronti del soggetto pubblico potrebbe avere
quale estrema conseguenza l’eventuale sostituzione degli organi di gestione
del fallimento alla società pubblica (e, dunque, anche alla pubblica
amministrazione proprietaria) nell’esercizio di funzioni che per legge sono
alla stessa riservate96. In sostanza per l’ente territoriale sarebbe davvero
93 L’inconciliabilità della disciplina del fallimento alle società pubbliche partecipate trova conferma anche nella circostanza pratica che i creditori privati non sono propensi ad attivare il relativo procedimento posto che la maggior parte dei casi sottoposti all’attenzione dell’Autorità giudiziaria ha trovato avvio nelle richieste avanzate dalla procura a tutela del pubblico interesse ovvero dalle stesse imprese pubbliche. Il creditore, invero, come osservato in precedenza, si sente maggiormente garantito dalla possibilità di poter fare affidamento sulle risorse dell’ente pubblico proprietario che non solo ed esclusivamente aggredendo le ristrette disponibilità eventualmente rinvenute nella massa fallimentare. 94 Non esiste, infatti, alcuna disposizione di legge o regolamentare che in termini espressi ed univoci escluda a chiare lettere la possibilità per l’ente proprietario di intervenire nel giudizio fallimentare. 95 Testualmente l’art. 18 della legge fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942, n.267, come sostituito dall'articolo 16 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e, successivamente, dall'articolo 2, comma 7, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007) recita “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni”. Si tratta, com’è agevole comprendere, di una nozione certamente più ampia ed estesa di quella di semplice debitore ovvero di pubblico ministero pure invocati dalla normativa di riferimento.
96 Proprio per questo BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pagg. 1664 e seg. ha parlato di “indisponibilità degli interessi
59
inconciliabile con la finalità pubblica da esso stesso perseguita che, per non
meglio evidenziate esigente fallimentari privatistiche, l’interesse generale
che per legge deve essere esercitato da un ente pubblico non possa più
essere esercitato dal soggetto proprietario ma da un delegato nominato dal
Giudice senza alcuna misura di cautela per l’interesse della collettività
destinataria del servizio pubblico in precedenza posto in essere dall’ente
territoriale per il tramite della partecipata97. Tale ultima circostanza
appare ancor più pregiudizievole per l’interesse pubblico in specie ove
si consideri che la partecipazione dell’ente proprietario, come sopra
osservato, non è certa è, comunque, i soggetti istanti tendono ad
eccepirne l’inammissibilità; e ciò in forza della costruzione civilistica
secondo cui i singoli azionisti di una società di diritto privato non possono
intervenire nel giudizio fallimentare. Nel caso in esame, però, la
prospettiva è differente posto che il soggetto (ente pubblico) che chiede di
intervenire lo fa a tutela del superiore interesse pubblico.
pubblici tutelati dai servizi pubblici essenziali” pur chiarendo che “l’eventuale fallimento della società in mano pubblica ... non è impedito dall’indisponibilità degli interessi pubblici che quel servizio è volto a soddisfare, imponendo all’ente pubblico che di tali interessi è titolare di trovare una soluzione alternativa ai fini della loro soddisfazione e agli organi del fallimento di procedere alla liquidazione delle attività fallimentari nel rispetto dei limiti generalmente stabiliti dalla legge al fine di assicurare l’eventuale continuità del servizio pubblico già affidato alla società fallita”. Si tratta, com’è agevole comprendere, di una soluzione estremamente articolata, di difficile percorribilità dal punto di vista pratico e scarsamente conciliabile con i principi di pubblicistici che ispirano l’esercizio delle funzione proprie degli enti pubblici. 97 Il Tribunale di Catania, 26 marzo 2010, è giunto alla conclusione di incompatibilità con il fallimento delle società in mano pubblica che esercitano compiti necessari ossia un’attività indispensabile per gli interessi della collettività come nel caso del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani destinato, come noto, al soddisfacimento di bisogni collettivi. Ancora più incisivamente secondo Corte di Appello di Torino, decreto, 15 febbraio 2010, in il Fallimento, Padova, 2010, pag. 689, l’assoggettabilità al fallimento degli enti pubblici comporterebbe un’inammissibile interferenza giudiziaria sulla sovranità dell’ente e dei suoi organi e con pregiudizio degli effetti dello spossessamento del debitore e della cessazione dell’attività d’impresa sulla continuativa e regolare esecuzione del servizio pubblico rispondente alla realizzazione degli interessi generali.
60
Anche per queste ragioni, dunque, un’incondizionata applicazione delle
norme concorsuali alle società pubbliche partecipate appare quantomeno
macchinosa e incoerente.
6. Sottrazione al fallimento e principi speciali fissati dalla legge di
stabilità 2014 per le società pubbliche La complessa e articolata
applicabilità della procedura fallimentare alle società partecipate e,
specialmente, alle società in house può trovare
ostacolo anche per altra dirimente argomentazione.
Il carattere essenziale di dette modalità gestionali della cosa pubblica, come
noto, è che le stesse non presentano una soggettività autonoma ma sono
indistinguibili dalla pubblica amministrazione di riferimento in quanto ne
rappresentano a tutti gli effetti un mero braccio operativo e dunque sono
qualificabili come ente pubblico ovvero come organismo di diritto
pubblico98. Tale corollario porta alla logica conclusione per cui nei confronti
di detto modello imprenditoriale pubblico non possono trovare
agevole applicazione le procedure fallimentari trattandosi a tutti gli
effetti di un unico centro di spesa e di un unico modello
gestionale/funzionale. In sostanza, è proprio la presenza del “controllo
analogo” - escludendo di fatto qualsivoglia autonomia operativa e
decisionale della società in house nel senso privatistico del termine – a
determinare che tali soggetti presentino caratteri e contenuti
assimilabili a quelli della pubblica amministrazione proprietaria.
98 Sulla definizione di organismo di diritto pubblico si veda quanto osservato in precedenza e la ricostruzione presente in BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag 1667.
61626364
E’ già stato rilevato, inoltre, il fatto che il patrimonio dell'ente pubblico
proprietario e quello della società partecipata non possono considerarsi
distinti ma soltanto separati, cosicché il patrimonio della società è
comunque riconducibile alla pubblica amministrazione99. In altre
parole i debiti della società in house/società partecipata non sono che
debiti dell’ente pubblico proprietario il quale potrà essere dunque tenuto
a concorrere nel ripianare tali perdite.
Ed è proprio questa mancanza di autonomia, anche patrimoniale100, che
comporta la conseguente difficoltosa applicabilità della procedura
fallimentare alle società pubbliche rigidamente intese.
La sottrazione della società pubblica in house alla disciplina fallimentare
non deve però essere vista come un privilegio ingiustificato bensì come una
forma di garanzia non solo per l’interesse pubblico ma anche per gli stessi
creditori i quali, invece di doversi rifondere su un eventuale e inadeguato
patrimonio residuo della società fallita, possono contare sulla possibilità di
ripianare il debito posto in capo alla pubblica amministrazione
proprietaria101; appaiono evidenti, dunque, i presupposti per una maggiore e
più attendibile solvibilità di questa particolare categoria di debitori
pubblici.
99 Sempre Cassazione civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283, cit. 100 Giova al riguardo ribadire che il bilancio delle società partecipate deve essere approvato prima dall’assemblea dei soci (composta dai soggetti pubblici titolari di quote di partecipazione) e poi dai medesimi enti proprietari; questi ultimi, a loro volta, in sede di approvazione del proprio bilancio dovranno dare conto delle partecipazioni in carico e degli eventuali utili/perdite conseguite. 101 POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate, in Norme e tributi, 21.01.2014, ad esempio afferma che “L'improcedibilità del ricorso per dichiarazione di fallimento comporta una maggiore tutela per i terzi creditori che, per vedersi riconosciuti i propri diritti, non dovranno ricorrere al riconoscimento delle responsabilità previste per l'ente che eserciti una attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'articolo 2497 del Codice civile e, con ciò, ad un rinvio sine die delle proprie legittime pretese”. Del resto proprio la maggiore solvibilità del soggetto pubblico proprietario induce quasi sempre gli eventuali creditori privati a non promuovere azione fallimentare ritenendo gli stessi di potersi maggiormente soddisfare nei confronti del predetto soggetto controllante.
Del resto è evidente che in nessun modo l’ente proprietario potrà sottrarsi alla propria responsabilità, al contrario di quanto invece avverrebbe nella differente ipotesi in cui si dovesse ritenere applicabile la procedurafallimentare102.
In questo modo viene escluso a priori anche il rischio di violazione e lesione dei principi di uguaglianza e affidamento103 posto che, sotto un profilo pratico, i creditori potranno sicuramente essere meglio soddisfatti senza il fallimento della partecipata.
La soluzione sopraesposta soddisfa, senza dubbio, anche l’interesse
pubblico in quanto non si priva la pubblica amministrazione proprietaria
delle fondamentali potestà discrezionali e gestionali che, per loro natura,
non possono utilmente essere esercitate da un altro soggetto104 senza
pregiudizio per la collettività.
E’ innegabile, comunque, che far ricadere sull’intera collettività i debiti
contratti dalle società pubbliche è una soluzione poco ragionevole e
scarsamente, soprattutto in considerazione dei rigorosi processi di
razionalizzazione della spesa pubblica imposti dalla legislazione di riforma
degli ultimi anni 105; detto ipotetico rischio, però, appare prontamente
scongiurato dall’indirizzo recentemente espresso dal Parlamento attraverso
l’approvazione di un’importante normativa che tende a confermare le
conclusioni cui si è giunti in precedenza.
La nuova regolamentazione è quella contenuta nelle disposizioni di cui all’art. 1, comma 551 e seguenti della legge 147/2013 che - introducendo
102 POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate , in Norme e tributi, 21.01.2014. 103 Si tratta di profili di lesione evocati da Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209. 104 D’ATTORE G., Società in mano pubblica e fallimento, in Fallimento, 2010, pag. 715 e seg. 105 Specialmente in esito all’imposizione dei rigidi vincoli inderogabili fissati dalla disciplina di fonte comunitaria.
un sistema obbligatorio di ripianamento delle perdite - si pone come regola
speciale e derogatoria rispetto a quella generale, facendo venir meno
l’autonomia patrimoniale perfetta delle società in mano pubblica106. Il
meccanismo di tutela e sana gestione, peraltro, è incentivato anche
attraverso la riduzione del 30% del compenso dell’amministratore nel caso
di accertate e reiterate perdite di bilancio 107.
Anzi è proprio detto obbligo di ripianamento a dimostrare che la società
partecipata in house non è qualificabile come soggetto giuridico autonomo
ma piuttosto quale mero strumento operativo direttamente subordinato
all’ente proprietario108.
Di ancora maggiore importanza è la disposizione contenuta nell’art. 1,
comma 555 della stessa legge 147/2013, per cui si procede alla messa in
liquidazione di una società pubblica in caso di risultato negativo per quattro
dei cinque esercizi precedenti all’anno 2017, ovverosia per le annualità dal
2012 al 2016. Tale ultima disposizione si applica alle società a
partecipazione maggioritaria, diretta o indiretta, titolari di affidamento
diretto per una quota superiore all’80% del valore della produzione oltreché
alle aziende speciali ed alle istituzioni ed evidenzia come per tale tipo di
soggetti, per massima parte riconducibili alla nuova nozione di società in
106 CAPALBO F., Giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici: limiti dell’orientamento di cui alla recente sentenza Sez. Un. n. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13 in Lexitalia, n. 1/2014, http://www.lexitalia.it/p/14/capalbo_giurisdizione.htm, evidenzia come il sistema dell’accantonamento supera l’autonomia patrimoniale perfetta di tali società pubbliche, configurandosi dunque come una disciplina speciale. 107 La disposizione introduce, a tutti gli effetti, una forma speciale di responsabilità nuova e ulteriore per l’amministratore. 108 Si vedano, inoltre, le nuove modalità di incentivazione allo scioglimento e/o all’alienazione delle partecipazioni proposte con un apposito emendamento al DL n. 16/2014 (il cosi detto “Salva Roma”) in BARBERIO A, Partecipate, la leva fiscale per le dismissioni, in Norme e tributi, Milano, 7.04.2014.
house109, nel momento in cui si prevede un’ipotesi speciale di scioglimento, venga a tramontare definitivamente la possibilità di applicarvi la procedura fallimentare.
In definitiva il sistema dell’accantonamento supera l’autonomia patrimoniale perfetta di tali società pubbliche, configurandosi, dunque, come una normativa speciale1 10.
Anche in questo campo, come in quello della giurisdizione in materia di
responsabilità amministrativa, sarebbe utile una disciplina espressa che
chiarisca in maniera definitiva lo status giuridico delle società partecipate
in genere e delle società in house, in particolare, occasione che potrebbe
presentarsi con la necessità di dare attuazione alla direttiva sugli appalti
pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.
7. Ipotesi di graduazione dell’applicazione della legge fallimentare alle
società pubbliche
In applicazione delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti può ben concludersi che riportare la nozione di ente pubblico e di società pubblica all’interno del più ampio concetto di derivazione europea di organismo di diritto pubblico111 potrebbe agevolare l’indagine in
109 Si confronti come questa disposizione non coincida perfettamente con quella della società in house oggi contenuta nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014. Cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181. 110Sul punto CAPALBO F., Giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici: limiti all’orientamento di cui alla recente sentenza Sez. Un. N. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13, in lexitalia, n. 1/2014.111 Il concetto di organismo di diritto pubblico deve essere interpretato, alle stregua della giurisprudenza comunitaria, nel senso che devono sussistere cumulativamente i seguenti tre requisiti: a) l’ente deve essere dotato di personalità giuridica; b) la sua attività deve essere finanziata in modo maggioritario ovvero soggetta al controllo o alla vigilanza da parte dello Stato o di altro ente pubblico territoriale o di organismo di diritto pubblico; c) l’ente (anche in forma societaria) deve essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, non aventi carattere non industriale o commerciale. Tale requisito non sussiste quando l’attività sia svolta nel mercato concorrenziale e sia ispirata a criteri di economicità, essendo i relativi rischi economici direttamente a carico dell’ente. Cfr. Corte di Giustizia, 10 maggio
65
argomento circa l’assoggettabilità al regime del fallimento per le
partecipate. In questo senso, però, è opportuno formulare una
graduazione che dal concetto di società in house consente, attraverso il
passaggio per le società partecipate interamente pubbliche, di arrivare alle
così dette società miste. Di conseguenza, in ordine alla prima tipologia di
strumento gestionaleoperativo pubblico, la presenza del controllo analogo
rende le società in house indistinguibili (sia per patrimonio che per
funzioni) dalla pubblica amministrazione di riferimento in quanto ne
rappresentano a tutti gli effetti una longa manus e, dunque, sono qualificabili
come ente pubblico ovvero come organismo di diritto pubblico. Tale
corollario porta alla logica conseguenza per cui a detto modello gestionale
della cosa pubblica non è applicabile la procedura fallimentare. Infatti,
è proprio il criterio del controllo analogo che, escludendo
qualsivoglia autonomia operativa e decisionale della società in house nel
senso privatistico del termine, determina che tale soggetto presenta dei
caratteri equivalenti e propri della pubblica amministrazione che ne detiene
le quote di partecipazione; e ciò, ovviamente, sul presupposto che lo statuto
e l’attività in concreto esercitata escludano lo svolgimento di servizi ed
attività aventi carattere industriale e/o commerciale ovvero il
perseguimento di obiettivi di lucro.
Con riferimento, invece, alla seconda tipologia di partecipate interamente
pubbliche (ma non formalmente qualificate in house) l’eventuale
inapplicabilità della disciplina fallimentare impone la necessità di svolgere
una preliminare analisi pratica delle funzioni e dei servizi (che devono
2001, cause riunite C-223/99 e C-260/99. Secondo Cassazione Civile, ordinanza 18 agosto 2012, n. 13792, la figura dell’organismo di diritto pubblico non ricorre quando il soggetto interessato ha finalità statutarie orientate al soddisfacimento delle esigenze di carattere industriale o commerciale.
66
essere di pubblico interesse e non aventi contenuti e finalità
commerciali/lucrative) effettivamente esercitati1 12 oltreché del reale livello
di ingerenza e controllo da parte dei soggetti pubblici proprietari.
La pregnante presenza della mano pubblica (proprietà pubblica, personalità
giuridica pubblica, gestione in esclusiva di un servizio pubblico, risorse
pubbliche, organi di gestione nominati dal soggetto pubblico, potere di
ingerenza pubblico e svolgimento di almeno l’ottanta per cento delle
attività in favore dei soggetti pubblici proprietari), per quanto non sempre
perfettamente coincidente con i contenuti del controllo analogo, potrebbe
consentire anche a questo modello gestionale di essere esonerato dal rischio
di fallimento1 13; si deve, ovviamente, trattare di poteri di controllo ben più
incisivi rispetto a quelli ordinariamente previsti dalla disciplina societaria
civilistica114.
Il progressivo allontanamento dai vincoli pubblicistici unitamente alla
sostanziale convergenza del modello gestionale e di controllo con quello
sancito dal codice civile per le società di diritto privato collocano, invece,
le aziende miste in una prospettiva sempre meno pubblica e certamente
assoggettabile alla disciplina fallimentare in specie ove sia compatibile con
l’oggetto sociale lo svolgimento di attività di gestione e progettazione
112 Secondo consiglio di Stato, 24 novembre 2010, n. 5379, esistono “società strumentali alle attività delle pubbliche amministrazioni, totalmente partecipate dalle stesse, che esercitano un’attività che non è finalizzata allo scopo di dividere gli utili”. Per tali ragioni pare più corretto accordare una interpretazione di tipo casistico, volta ad individuare, davvero, sulla base di una ricognizione disciplinare, fattispecie per fattispecie, se la singola società abbia natura pubblica o meno. 113 In sostanza occorrerà accertare per questa ipotesi l’eventuale presenza di una partecipazione pubblica totalitaria, del divieto di trasferimento delle quote del capitale sociale in favore di soggetti privati – o, comunque, nei limiti fissati dalla normativa comunitaria, della previsione in favore del socio controllante di maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario attribuisce normalmente ai soci di maggioranza, l’assenza di una vocazione commerciale, le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio del soggetto proprietario pubblico, il controllo deve poter investire il bilancio e la qualità dell’amministrazione, devono ricorrere poteri ispettivi e di controllo nella totale dipendenza del soggetto affidatario rispetto alle politiche aziendali e in tema di strategie.
114 Cfr. al riguardo Corte di Cassazione, 27 settembre 2013, n. 22209.
67
industriale (con la finalità di trarne profitto in termini di lucro115) della più
varia natura non limitate all’ambito locale e svolte in regime di libero
mercato116. Ciò appare, peraltro, logico in quanto la natura della società
mista rende la stessa difficilmente conciliabile con un rapporto di
strumentalità rispetto all’ente pubblico proprietario atteso che tale tipologia
di impresa appare spesso, in specie quanto più è rilevante la partecipazione
di privati, dotata di piena autonomia negoziale, finanziaria e patrimoniale.
Dunque, per quanto l’inapplicabilità delle regole del fallimento alle società
partecipate e miste non sia esclusa a priori, man mano che le stesse imprese
si allontanano dal modello gestionale della società in house, diventa sempre
più impraticabile una disciplina derogatoria e di favore nei loro
confronti117.
In definitiva, le società in house e le società miste sono accomunate dalla
presenza, nella compagine sociale, di un socio pubblico, ma nettamente si
distinguono – rappresentandone gli estremi opposti – sotto ulteriori
115 Più precisamente si tratta della così detta attività commerciale. 116 Il Tribunale di Velletri, 8 marzo 2010, ha ammesso alla procedura di concordato preventivo una società per azioni a totale partecipazione pubblica (esercente il sevizio di raccolta locale dei servizi solidi urbani) rilevando come lo statuto della stessa, sostanzialmente aderente al modello codicistico, consentisse il suo inquadramento nella sfera del diritto privato. Il Tribunale di Benevento, 29 agosto 2013, ha ammesso alla procedura di concordato preventivo una società, con socio unico il Comune, che esercitava attività di trasporto pubblico locale sul presupposto che “le società di diritto privato, partecipate da amministrazioni locali che esercitano un’attività di interesse pubblico, possono accedere all’istituto del concordato preventivo, qualora il loro modello societario non preveda penetranti controlli da parte dell’Ente socio, lo statuto consenta anche l’esercizio di attività lucrative non rientranti nella nozione di servizio pubblico e gli organi amministrativi non siano di nomina politica”. 117 La Corte di Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 21991, ha confermato la sentenza che aveva attribuito la qualità di impresa commerciale ad una società mista nel cui oggetto sociale erano ricomprese, tra l’altro, attività quali la realizzazione di parcheggi, la gestione di mense, l’effettuazione di lavori di manutenzione, e giardinaggio, a tale qualificazione non ostando la riscossione, da parte sua, di una tariffa per il servizio svolto. Nello stesso senso Tribunale di Rimini, 13 maggio 2013, ha affermato che “nell’ambito della società a partecipazione pubblica, allorquando il socio e la società siano destinatati ad operare su un piano di autonomia senza che siano ravvisabili previsioni statutarie che attribuiscano ai soci pubblici peculiari prerogative, la società deve qualificarsi quale soggetto di diritto privato ... ed è assoggettabile, come tale, alle procedure di fallimento e di concordato preventivo”.
68
determinanti profili, dato che le società miste non presentano tutti i requisiti
pubblicistici118, già illustrati, che connotano le società in house.
118 Sul punto ancora Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209.
69
Capitolo III - L’in house providing e il criterio della prevalenza nella
direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 di
Carlo Sanna
1. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea prima della
direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014
1.1. Premessa: l’immediata applicabilità dell’art. 12 della direttiva
sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014
nell’ordinamento interno
Come già indicato nel capitolo I, lo sviluppo dell’istituto dell’in house
providing nella legislazione europea ha subito da ultimo un’improvvisa
evoluzione con l’approvazione della direttiva sugli appalti pubblici
2014/24/UE del 26 febbraio 2014119.
L ’in house providing era stato sino ad allora regolamentato dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che aveva
definito con precisione i confini dello stesso120.
119 La direttiva sugli appalti pubblici fa parte di un più vasto intervento normativo del legislatore europeo, che è infine culminato nella direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e nella direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE. 120 A partire da Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in http://curia.europa.eu/juris, punto n. 50, ove si afferma che “A questo proposito, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano . Un riferimento espresso all’istituto lo si ritrova nel Libro Bianco "Gli appalti pubblici nell’Unione Europea", COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10.
70
In generale si consideri che la previsione di una espressa disciplina
normativa determina già di per se un cambiamento, in quanto si passa da
una fonte prettamente giurisprudenziale ad una legislativa, con un effetto di
cristallizzare le regole valevoli in una determinata materia. Una espressa
disciplina di legge è in grado di definire con maggiore chiarezza i contorni
di un istituto che ha avuto grande fortuna nella gestione concreta dei servizi
pubblici e non solo.
La direttiva europea sugli appalti pubblici in esame, ha avuto una lunga
fase di gestazione che si è conclusa con la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea del 28 marzo 2014, n. L. 94121. Rispetto alla
stessa direttiva, gli ordinamenti degli Stati membri dovranno adeguarsi
entro il termine del 18 aprile 2016122.
L’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico” è la norma di riferimento per stabilire i nuovi caratteri dell’in house providing” e sulla stessa dovrà soffermarsi l’attenzione degli studiosi della materia123.
121 Le nuove direttive europee, tra cui anche le coeve direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014. 122 In questi termini si esprime l’art. 90 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.
123 Norme consimili sono previste anche nelle altre due direttive citate in precedenza. Si vedano l’art. 17 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, rubricato “Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico” e l’art. 28 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, rubricato “Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici ”. L’analisi del citato art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 è dunque esaustiva anche delle altre norme appena indicate. Sull’estensione dell’istituto dell’in house providing anche alle concessioni si veda Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 29 novembre 2012, causa C-183/11 e C-183/1 (Econord), in www.lexitalia.it, n. 12/2012, punto 26, per cui “Occorre altresì rilevare che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, la questione se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi – e, in quest’ultimo caso, se il valore dell’appalto raggiunga la soglia prevista dalle norme dell’Unione – è priva di rilevanza ai fini della risposta che la Corte deve dare alla questione pregiudiziale, dal momento che l ’eccezione
71
Nonostante, come detto, la direttiva sugli appalti pubblici richiederà
un’apposita normativa di attuazione da parte del legislatore italiano, la
nuova regolamentazione dell’ in house providing, contenuta nel testo
dell’art. 12 della direttiva medesima, è in realtà una disciplina
immediatamente vincolante e applicabile nei confronti degli Stati membri.
A questa conclusione si può pacificamente giungere sulla considerazione
che si tratta di una materia che fa capo alla competenza esclusiva del
legislatore europeo, quale diretta attuazione dei trattati. La norma di
riferimento, sulla quale trova fondamento la ricordata competenza esclusiva
del legislatore europeo, è oggi contenuta nell’art. 106 del trattato
sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione
europea 124, che corrisponde all’art. 86 del trattato delle comunità europee.
Il paragrafo 2 del citato art. 106, stabilisce che “Le imprese incaricate della
gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare
alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non
osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in
misura contraria agli interessi dell'Unione”. Il successivo paragrafo 3
precisa che potranno essere adottate delle direttive al fine di dare
applicazione alla regola previamente fissata125.
Da tale presupposto deriva che gli elementi essenziali dell’istituto dell’in
house providing sono rimessi in via esclusiva alla normativa europea. Si
all’applicazione delle norme del diritto dell’Unione, ove siano soddisfatte le condizioni attinenti all’esercizio di un «controllo analogo», è applicabile in tutte le situazioni suddette (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Sea, C-573/07, Racc. pag. I-8127, punti 31-40) ”. 124 Si richiama il testo consolidato dei trattati. 125 Precisamente il comma 3 stabilisce che “La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”.
7273
tratta di un nucleo essenziale che risulta del tutto intangibile da parte del
legislatore italiano, sia regionale che nazionale, che non può in alcun modo
derogarvi 126. La norma di cui all’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici
è, in definitiva, direttamente applicabile dal momento dell’entrata in vigore
della stessa, senza la necessità di attendere l’adeguamento della
legislazione nazionale.
Questo comporta che la disposizione sovra indicata presenta una rilevanza
immediata nell’ordinamento giuridico italiano, soprattutto in quanto la
stessa introduce delle novità proprio in relazione ad uno dei suoi requisiti
essenziali, quello della prevalenza delle attività svolte a favore della
pubblica amministrazione proprietaria, che verrà approfondito nei
successivi paragrafi.
1.2. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea:
tendenziale ma non totale esclusività
L’in house providing rappresenta, come noto, una esplicazione del
principio di autoorganizzazione della pubblica amministrazione. Attraverso
tale principio si riconosce che la pubblica amministrazione possa produrre
essa stessa i beni ed i servizi di cui necessiti, senza dover far ricorso al
mercato, mediante procedure di appalto pubblico127. Questo elemento
evidenzia come il soggetto attraverso il quale la pubblica amministrazione
126 Ad esempio si veda Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui “la valutazione in ordine alla rilevanza preponderante dell'attività nei confronti dell'ente pubblico conferente deve essere effettuata mediante la diretta applicazione della normativa comunitaria, quale risulta dall'interpretazione datane dai giudici europei”. Si veda anche Corte costituzionale, 17 novembre 2010, n. 325, in www.giurcost.org . 127 Sulla società in house come esplicazione del principio di autoproduzione si veda ad esempio CAVALLO PERIN R., CASALINI D., L’in house providing: un’impresa dimezzata, in Diritto amministrativo, 2006, pag. 51 e seg.
effettua il servizio, la cd. società in house 128, non sia altro che una mera
estensione della stessa amministrazione, rispetto alla quale non si distingue
sotto il profilo soggettivo, in relazione al controllo analogo alla quale è
assoggettata129.
In questo capitolo non si intende approfondire la tematica del requisito del
controllo analogo 130, bensì quella dell’altro dei requisiti richiesti
storicamente dalla giurisprudenza europea ed oggi cristallizzato dal citato
art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 131. Si sta facendo riferimento al
requisito della prevalenza, ovverosia del fatto che la parte più importante
128 Come è stato fatto notare, (cfr. PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 147) il riferimento a “una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato” operato dall’art. 12 della direttiva, fa si che il soggetto in questione possa anche non assumere la forma societaria, adottandone una pubblica, evidenziansi sempre di più come tale soggetto sia sempre più attratto verso il pubblico piuttosto che sul privato. 129 Citando la giurisprudenza europea si veda ad Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 58, in http://eur lex.europa.eu/L exUriServ/LexUriServ.do? uri=CELEX:62003J0458:IT, per cui “Riguardo all’esistenza di un tale contratto, la Corte ha precisato, al punto 50 della citata sentenza Teckal, che, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, in linea di principio basta che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da un soggetto giuridicamente distinto da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali detentori”. Ulteriormente si veda Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 33, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “Conformemente all’art. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato tra, da una parte, un ente locale e, dall’altra, una persona giuridicamente distinta da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la detengono (sentenza Teckal, cit., punto 50) ”. 130 Per cui si vedano i precedenti capitoli I e II. 131 Si nota come, peraltro, l’art. 12 della citata direttiva sugli appalti pubblici abbia di fatto previsto un terzo requisito che prima era ritenuto un mero presupposto del controllo analogo, ovverosia quello della partecipazione pubblica totalitaria che oggi incontra anche alcune limitate deroghe. Cfr. art. 12, paragrafo 1, lett. c) “nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
74
delle attività della società in house devono essere rivolte alla pubblica
amministrazione.
Le ragioni che hanno portato la giurisprudenza della Corte di Giustizia a
definire dei requisiti specifici, in assenza dei quali non vi è una società in
house, sono evidenti, in quanto trattandosi di una deroga ai principi della
libera concorrenza, la stessa deve essere limitata al fine di evitare degli
abusi che portino ad una sostanziale elusione della disciplina europea in
materia di appalti pubblici. L’applicazione dei requisiti che le società in
house devono possedere sono dunque da interpretarsi restrittivamente132.
Esaminando il criterio della prevalenza, questo è stato originariamente
delineato nei termini che una società in house è configurabile “solo nel
caso in cui, ... questa persona realizza la parte più importante della
propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano ”133.
Questo criterio della prevalenza assume, dunque, carattere centrale affinché
una persona giuridica pubblica o privata possa derogare alla disciplina
dell’appalto pubblico, non essendo sufficiente che la stessa sia assoggettata
ad un controllo analogo.
Il criterio della prevalenza ha una sua intima logica nel senso che l’attività
svolta a favore di soggetti estranei alla pubblica amministrazione di
riferimento, e dunque al mercato, deve avere un carattere di marginalità134.
132 Cfr. ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C340/04 (Carbotermo), punto n. 55,
in http://eur - lex. europa. eu/LexUriS erv/LexUriS erv. do?uri=CELEX:62004J0340:IT: HTML. 133 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris . 134 Ad es. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 63, in
http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “si può ritenere che l’impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale che la detiene... solo se l’attività di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale”.
75
Allo stesso concetto di marginalità, peraltro, deve attribuirsi un significato
sostanziale più definito. Se dunque è chiaro che la società in house
debba svolgere la parte più importante della propria attività a favore della
pubblica amministrazione proprietaria e che questa attività deve avere un
carattere preponderante, il problema interpretativo si sposta sulla
concreta quantificazione di tali attività che consenta di discriminare
quando tale requisito sia o meno soddisfatto.
Il requisito della prevalenza è stato interpretato come una tendenziale
esclusività delle attività svolte dalla società in house a favore della pubblica
amministrazione 135. Esclusività tendenziale o sostanziale non significa
peraltro anche totale esclusività, cosicché non si è, in realtà, mai escluso
che una limitata attività possa comunque essere rivolta al mercato 136. La
marginalità dell’attività rivolta al di fuori della pubblica amministrazione di
riferimento non comporta, di conseguenza, che sia vietata qualsivoglia
attività di tale tipo137.
135 Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it, con nota di LOGIUDICE F., Sul controllo analogo nel caso di affidamento in house, per cui “dall’altro non introdurre nell’ambito del mercato privato l’elemento di disturbo, costituito da tale tipo di impresa. al secondo, il principio della “attività prevalente”, vale a dire della tendenziale esclusività della attività economica a favore dell’azionista: l’impresa pubblica non può in nessun modo inserirsi nel mercato privato nel quale costituirebbe un elemento di disturbo e pericolo”. La sentenza richiama Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 62, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTM, ove si afferma che “È inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente locale in questione”. 136 GIOVAGNOLI R. Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi, Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia - amministrativa.it; URBANO G. L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 18 e seg. 137 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009, causa C-573/07, (Sea), punto 80, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML, per cui “Tale condizione sarebbe priva di oggetto se la prima condizione di cui al punto 50 della citata sentenza Teckal fosse interpretata nel senso di vietare ogni attività accessoria, anche con il settore privato”.
76
1.3. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea (segue):
elementi quantitativi e qualitativi Dall’analisi precedentemente
effettuata è emerso, come presupposto certo, quello per cui le società in house
possano comunque svolgere una qualche attività a favore del mercato, e
dunque la problematica si sposta sulle modalità di determinazione di
tale attività prevalente. Si tratta di individuare un parametro esatto, in
base al quale si possa affermare che una persona giuridica possa o meno
essere ricondotta al paradigma dell’ in house providing, con la
consequenziale disciplina di favore riconosciute a questa particolare
categoria di soggetti. Per rispondere a tale quesito bisogna chiedersi se
si debba adottare un criterio meramente quantitativo, quale quello del
fatturato, ovvero se debbano prendersi in considerazione anche ulteriori
criteri di carattere qualitativo.
In effetti, il criterio della prevalenza ha portato la giurisprudenza europea a
parlare di “parte più importante”, ovvero anche di “parte essenziale”
svolta a favore dell’amministrazione pubblica proprietaria, evidenziandosi
come il secondo concetto sposti l’attenzione verso l’apprezzamento di
fattori di natura qualitativa e non solo quantitativa138.
In origine, peraltro, si poteva ancora ritenere che il solo fattore quantitativo
fosse rilevante, questo in quanto esisteva anche una norma specifica che
richiamava un criterio di tal genere. Si fa riferimento all’art. 13 della
Direttiva 93/38/CEE del Consiglio delle Comunità Europee del 14 giugno
1993, avente ad oggetto il “Coordinamento delle procedure di appalto
138 URBANO G., L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 18 e seg., che evidenzia tali profili facendo riferimento alle versioni delle sentenze della Corte di Giustizia nella lingua originale con le quali sono state redatte, richiamando quanto indicato da Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it.
77
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono i servizi
di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni”, il quale stabiliva l’esclusione dell’applicazione della
direttiva ai servizi effettuati da un impresa collegata “sempreché almeno
l'80 % della cifra d'affari media realizzata nella Comunità dall'impresa in
questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di
detti servizi alle imprese alle quali è collegata”. In base a questa
disposizione normativa si era ritenuto logico concludere che solo il fattore
quantitativo fosse rilevante ai fini della verifica del criterio della
prevalenza139.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia aveva peraltro smentito tale
impostazione, affermando invece che dovessero valutarsi tutte le
circostanze sia di natura quantitativa che di natura qualitativa 140,
orientamento al quale la giurisprudenza interna si era prontamente
adeguata141.
Chiarito tale aspetto deve anche valutarsi come si riteneva che il fattore
qualitativo potesse incidere sul concetto di prevalenza. In effetti, il fattore
qualitativo può intervenire sia in termini positivi (riconoscendo il criterio
139 In dottrina si veda TESSAROLO C., La gestione in house dei servizi pubblici, 24 febbraio 2005, in www.dirittodeiservizipubblici.it. Per la giurisprudenza si vedano T.A.R. Sicilia, sez. II, 13 febbraio 2006, n. 198, in www.giustizia-ammnistrativa.it; in T.A.R. Campania, sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784 e T.A.R. Puglia, sez. I, 12 aprile 2006, n. 1318, in www.giustizia-ammnistrativa, si parla al proposito di una percentuale assorbente. 140 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 64, in
http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l’impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l’attività di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. 64 Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative” . 141 Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui si veda anche il commento di PIPERATA G., La Corte costituzionale, il legislatore regionale ed il modello “a mosaico” della società in house, in Forum dei quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, pag. 18; T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it.
78
della prevalenza anche con una elevata quantità di attività svolte a favore
del mercato) che negativi (riconoscendo non soddisfatto il requisito della
prevalenza anche in presenza di quantità minime di attività svolte a favore
del mercato).
L’interpretazione giurisprudenziale è stata ferma nel considerare che il
criterio qualitativo operava solo in termini negativi, di fatto restringendo
ulteriormente il novero dei soggetti sussumibili all’interno dell’istituto
dell’in house providing142.
Il fattore qualitativo poteva, di conseguenza, portare a non soddisfare il
requisito della prevalenza quando le strategie aziendali e i piani di
espansione indicassero l’intenzione di una società di voler svolgere ulteriori
attività a favore del mercato, nel prossimo futuro 143.
Altrettanto rilevante era la possibilità di espansione dello svolgimento dei
servizi che caratterizzano una data società, anche in ambiti
territoriali nei quali non operava la
pubblica amministrazione proprietaria144. Ove
poi la pianificazione futura era ulteriormente
diretta ad espandersi anche in settori
diversi da quelli in cui la società
interveniva, è evidente come il fattore
qualitativo poteva assumere rilevanza145.
79
In conclusione, la giurisprudenza europea ha affermato che il fattore
qualitativo poteva portare ad un’ulteriore
esclusione del criterio della prevalenza, con conseguente
impossibilità di determinare una esatta
142 Ad esempio T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it . 143 URBANO G. L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 19. 144 GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi. Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia amministrativa.it ; Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it.145 T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it.
percentuale al di sopra della quale è soddisfatto il requisito della prevalenza
stesso.
L’applicazione del criterio qualitativo ha portato dunque ad un
restringimento dei soggetti riconducibili al paradigma dell’in
house providing, garantendo una flessibilità nella valutazione, pur a
discapito della possibilità di predeterminare con certezza quando vi sia o
meno una società in house, rimettendo la determinazione, caso per
caso, al giudice europeo.
80
2. Il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici
2014/24/UE del 26 febbraio 2014 2.1. La disciplina dell’art. 12 della
direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e
l’irrilevanza dei fattori qualitativi La giurisprudenza europea si era
attestata in maniera uniforme sulla necessità che il requisito della
prevalenza fosse ancorato a fattori sia di natura quantitativa che di natura
qualitativa.
Su questo impianto consolidato è intervenuto il legislatore europeo, che ha
introdotto il già citato art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici
2014/24/UE del 26 febbraio 2014. In particolare, il legislatore europeo, ha
individuato tre requisiti, a condizione dei quali è possibile derogare alla
rigorosa disciplina delle procedure di appalto pubblico146.
Le condizioni imposte dal legislatore europeo devono essere soddisfatte
congiuntamente, cosicché il requisito della
prevalenza, ora disciplinato dalla lettera b) del paragrafo 1,
dell’art. 12 della citata direttiva appalti, dovrà essere presente insieme al
requisito del controllo analogo e quello
(divenuto autonomo) della partecipazione
pubblica totalitaria, che è comunque soddisfatto anche
quando vi sia una “partecipazione di capitali privati che non comportano
controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative
81
nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza
determinante sulla persona giuridica controllata”,
146 Come già ricordato norme consimili sono contenute nell’art. 17 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, rubricato “Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico” e nell’art. 28 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, rubricato “Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici ”.
che di fatto comporta un allargamento dei soggetti coinvolti dal fenomeno
dell’ in house providing ”147. La norma di interesse, che prevede il
requisito della prevalenza, ridefinisce lo stesso nei
termini che tale requisito è soddisfatto se “oltre l'80% delle
attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello
svolgimento dei compiti ad essa affidati
dall'amministrazione aggiudicatrice
controllante o da altre persone giuridiche
controllate dall'amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi”. La disposizione in
esame si caratterizza per la sua chiarezza, in quanto introduce, senza
ombra di dubbio, un criterio di natura meramente quantitativa. D’ora
in poi, dunque, svolgere un’attività a favore della
pubblica amministrazione, che superi
l’ottanta per cento di quelle
complessivamente svolte, sarà sufficiente
a ritenere soddisfatto il requisito della
prevalenza, senza la necessità di ulteriori considerazioni di
82
carattere qualitativo e di difficile valutazione oggettiva. È
evidente l’allontanamento dalla regola fino ad ora adottata dalla
giurisprudenza europea, per cui non sono più rilevanti sia il criterio
quantitativo che quello qualitativo, ma soltanto quello
quantitativo. Una soluzione di tal genere ha due conseguenze
importanti.
In primo luogo si determina una semplificazione nell’individuare le società
in house, almeno sotto questo punto di vista, in quanto è sufficiente
determinare la percentuale di attività svolta a favore della pubblica
amministrazione. Si tratta di una misura condividibile, che consente agli
operatori del settore, in particolare alle pubbliche amministrazioni
proprietarie, di avere certezza che una propria società partecipata od altro
147 Sull’analisi di tale requisito si consenta il richiamo a PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 152 e seg.
soggetto giuridico, rientrino nella categoria in esame, e dunque non sia
necessario effettuare un appalto pubblico. L’utilità, che si nota da tale
nuovo criterio meramente quantitativo, pare soprattutto di carattere
operativo, in quanto il criterio anche qualitativo imponeva delle valutazioni
talmente di dettaglio, che solo un giudice poteva mettere la parola
definitiva per qualificare un soggetto come rientrante o meno nell’ in house
providing. La disposizione adottata dal legislatore europeo è in grado di
ridurre il contenzioso sullo specifico aspetto descritto. La seconda
conseguenza è ovvia. Considerato che il fattore qualitativo serviva al solo
scopo di escludere la presenza del criterio della prevalenza, la sua
eliminazione porta ad un inevitabile ampliamento dei soggetti che possono
ricomprendersi nell’istituto in esame. Si ritiene, peraltro, che sia il fattore
di semplificazione quello determinante, anche se, assieme alla deroga alla
partecipazione pubblica totalitaria, segnalata in precedenza, l’effetto
complessivo della nuova disciplina detta dalla direttiva europea in esame è
quello di un ampliamento dei soggetti
qualificabili come società in house. I
fattori qualitativi non assumono più
rilevanza rispetto al criterio della
prevalenza, ma potrebbero assumerla
nella generica valutazione degli altri
requisiti.
83
Su questo punto, dunque, la legificazione del concetto di in house
providing, determina un recesso delle potestà previamente riconosciute alla
giurisprudenza della Corte di giustizia, che potrà peraltro interessarsi della
deroga oggi possibile al criterio della partecipazione pubblica totalitaria per
riespandere le proprie prerogative in materia.
2.2. Base di calcolo del criterio quantitativo della prevalenza
Verificato il principio del “nuovo” criterio della prevalenza, appare
opportuno verificare le modalità con le quali è calcolato.
Si nota prima di tutto un primo particolare, in quanto la norma precisa che
la percentuale dell’ottanta per cento delle attività svolta a
favore della pubblica amministrazione può essere svolta anche a favore
di “altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi”. La norma non specifica che anche questi
soggetti sono società in house, ma si collega comunque con la
considerazione che è possibile comunque un controllo analogo
indiretto, come precisa il periodo conclusivo del paragrafo 1, dell’art. 12
della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014148. In
altre parole, dunque, è possibile fare riferimento alle attività svolte a favore
di una società nei cui confronti la pubblica amministrazione esercita un
controllo analogo. La soluzione appare logica in quanto la società in house
non si distingue sotto il profilo soggettivo dalla pubblica amministrazione
proprietaria 149. Almeno in un primo momento, sino alle prime sentenze
della Corte di Giustizia dell’Unione europea, pare preferibile adottare
una interpretazione di carattere prudenziale. Si consideri, peraltro, come la
ricordata natura delle società in house porta alla stessa conclusione. Se la
società in house non è soggettivamente distinta dalla pubblica
amministrazione proprietaria, svolgere un servizio a favore della società
in house ovvero a favore della pubblica amministrazione non cambia la
rilevanza dell’attività svolta. A diversa conclusione dovrebbe invece
giungersi ove si faccia riferimento
148 Per cui “Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione
84
aggiudicatrice ”. 149 A partire da Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris.
alle attività svolte a favore di una qualsiasi altra società in mano pubblica,
la quale non si riconducibile al paradigma dell’in house providing. In tal
caso, poiché la norma non opera un discrimine espresso, anche le attività
svolte a favore di una società a partecipazione minoritaria avrebbero
rilevanza. È chiaro che una soluzione di questo tipo si pone in netto
contrasto con la logica di interpretazione restrittiva tipica dell’istituto in
esame. È invece plausibile il solo riferimento alle società in house della
pubblica amministrazione proprietaria, anche per la citata previsione del
controllo analogo congiunto ora espressamente previsto dal legislatore
europeo. Effettuata questa precisazione, si può analizzare la problematica
relativa alla modalità di calcolo della citata
percentuale dell’ottanta per cento. Il paragrafo 5
dell’art. 12 della direttiva in commento, stabilisce che “si prende in
considerazione il fatturato totale medio, o una idonea
misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla
persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei
campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre
anni precedenti l’aggiudicazione
dell’appalto”.
Dalla analisi delle giurisprudenza precedente l’introduzione dell’art. 12
della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, Il
criterio quantitativo è quello basato sul 85
fatturato realizzato dall’impresa 150.
La norma introduce, prima di tutto, la regola che il fatturato possa essere
anche sostituito con una idonea misura alternativa. La logica di tale scelta
risiede nel fatto che l’in house providing riguarda adesso non solo società
150 Ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C340/04 (Carbotermo), in
http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML, punto n. 65.
di natura formalmente privatistica, ma anche soggetti di natura pubblica,
rispetto ai quali ben potrebbe non essere possibile parlare di fatturato151.
La disposizione in esame opera anche una specificazione
temporale di riferimento, in quanto parla di fatturato
medio (o misura alternativa), riferito ad un arco
temporale corrispondente ad un triennio. Si
tratta di una soluzione coerente anche con altre ipotesi previste
dall’ordinamento sempre in tema di appalti pubblici, come quello, ad
esempio, della valutazione dei requisiti di carattere economico e finanziario
152. Nel caso in cui manchino i dati 153 ovvero non siano
pertinenti 154, si potrà prescindere dal requisito
triennale a condizione di “dimostrare, segnatamente in base a
proiezioni dell’attività, che la misura
dell’attività è credibile”. Su questo ultimo aspetto la
giurisprudenza europea dovrà adottate degli strumenti e dei parametri di
natura oggettiva, per valutare il rispetto del criterio della
credibilità. Rispetto al criterio meramente quantitativo,
che è valevole nel caso in cui la persona
86
giuridica in house esista da più di un
triennio, è possibile affermare che nel caso opposto tornino in
questione quei criteri qualitativi, che parevano essere stati obliterati
dalla normativa europea. La norma, infatti, nel momento in cui richiama
come basi le proiezioni delle attività
future, non fa che valorizzare quei piani e programmi di espansione e
le strategie aziendali, che sono gli stessi fattori qualitativi che
in passato potevano portare ad una esclusione del soddisfacimento del
requisito della
151 Così si esprime la norma in esame, l’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, che al paragrafo 1 fa riferimento a “Un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”. 152 URBANO G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e amministrativizzazione, 2012, in www.amministrazioneincammino.it, pag. 67. Si vedano attualmente gli artt. 41 e 42 del codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 153 A causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione. 154 A causa della riorganizzazione delle attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione.
prevalenza. Su questo ambito limitato, in altre parole, il criterio
qualitativo continua ad esistere, ma solo perché gli
elementi di natura quantitativa non sono
oggettivamente presenti.
L’art. 12 della nuova direttiva sugli appalti pubblici si esprime anche su
quale sia il fatturato (ovvero l’idonea misura alternativa) effettivamente
rilevante. La norma, infatti, specifica che si deve prendere in
considerazione il solo fatturato realizzato “nello svolgimento dei compiti ad
essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante” 155 . Si
tratta di una cristallizzazione del criterio sino ad ora adottato dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia che, nonostante la sua apparente
ovvietà, il legislatore europeo ha ritenuto necessario indicare in maniera
espressa. Si deve, in altre parole, considerare come fatturato
rilevante a far parte della percentuale
richiesta, solo quello realizzato in base
agli affidamenti conseguiti dall’ente
pubblico controllante, ovvero, come si è visto in
precedenza, dalle persone giuridiche dallo stesso controllate secondo le
stesse modalità dell’in house providing.
In questo fatturato si potrà ricomprendere anche quello realizzato in base al
87
medesimo affidamento effettuato dalla pubblica
amministrazione proprietaria ma materialmente conseguito
tramite gli utenti finali che usufruiscono del servizio
affidato156.
155 PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 159. Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui “Sul piano quantitativo, la stessa sentenza, al successivo paragrafo 65, fa espresso riferimento all'elemento del fatturato, osservando che «occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l'impresa in questione realizza in virtù di decisioni di affidamento adottate dall'ente locale controllante»”. 156 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto
n. 65, in http://eur - lex. europa. eu/LexUriS erv/LexUriS erv. do?uri=CELEX:62004J0340:IT: HTML.
Tutte le ulteriori attività svolte al di fuori del rapporto con la pubblica
amministrazione proprietaria, andranno a far parte di
quelle attività residuali non ricomprese
nell’ottanta per cento, anche ove fossero svolte
nello stesso territorio nel quale opera il
soggetto controllante.
Sempre sotto il profilo del calcolo della percentuale dell’ottanta
per cento, deve considerarsi l’ipotesi che il soggetto in house sia
partecipato da più soggetti pubblici. L’ipotesi del
controllo congiunto è stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza europea
e dunque anche in tal caso deve porsi il problema di come calcolare il
nuovo criterio meramente quantitativo introdotto dalla direttiva europea in
commento157.
La possibilità di fare rientrare tale persona giuridica all’interno dell’istituto
dell’in house providing, è determinato dal fatturato complessivo realizzato
157 Si veda ad esempio Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 29 novembre 2012, causa C183/11 e C-183/1 (Econord), in www.lexitalia.it, n. 12/2012, punti n. 28, 29, 30 e 31 “28 Ai sensi della giurisprudenza, nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il «controllo analogo» può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse (v., in tal senso, citate sentenze Coditel Brabant, punti 47 e 50, nonché Sea, punto 59). 29 Da ciò consegue che, se un ’autorità pubblica diventa socia di minoranza di una società per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità pubbliche associate nell’ambito di tale società esercitano su quest’ultima può essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, qualora esso venga esercitato congiuntamente dalle autorità suddette (sentenza Sea, cit., punto 63). 30 Date tali premesse, non vi è
8889
dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto. 31 Infatti, l’eventualità che un’amministrazione aggiudicatrice abbia, nell’ambito di un’entità affidataria posseduta in comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità aprirebbe la strada ad un’elusione dell’applicazione delle norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o di concessioni di servizi, dal momento che una presenza puramente formale nella compagine di tale entità o in un organo comune incaricato della direzione della stessa dispenserebbe detta amministrazione aggiudicatrice dall’obbligo di avviare una procedura di gara d’appalto secondo le norme dell’Unione, nonostante essa non prenda parte in alcun modo all’esercizio del «controllo analogo» sull’entità in questione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Coname, C-231/03, Racc. pag. I-7287, punto 24)”. Si veda anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (Coditel Brabant), punto n. 47 e 50, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007J0324:IT:HTML.
a favore di tutti i soggetti pubblici proprietari e
non considerando i servizi realizzati nei confronti di ogni singolo ente
pubblico in maniera separata158. Se dunque la somma del fatturato
realizzato dalla società a favore dei diversi enti proprietari, superi la soglia
dell’ottanta per cento delle attività complessi svolte, il
requisito della prevalenza sarebbe soddisfatto. Una soluzione opposta
all’interpretazione appena indicata, impedirebbe di poter ritenere
soddisfatto il requisito in esame in tutti i casi di persona giuridica in
house posseduta da più pubbliche amministrazioni.
158 T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 marzo 2008, n. 511, in www.giustizia- amministrativa.it , per cui “Sotto l'ulteriore profilo ai fini della legittimità dell'in house, ossia la prevalenza dell'attività a favore dell'ente pubblico, i ricorrenti prendono erroneamente in considerazione come punto di riferimento il fatturato dell'attività di S. in relazione al singolo Comune, laddove a fronte dell'obbligatorietà della gestione associata del servizio da parte di tutti i Comuni, il concetto di "prevalenza" deve essere inteso con riferimento al fatturato realizzato dalla gestione del servizio in questione in tutti i Comuni congiuntamente intesi”.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
APRILE F., CELENTANO P, CULTRERA M.R., Tipologie soggettive al vaglio
di fallibilità, in L’istruttoria prefallimentare, a cura di FERRO M., DI CARLO
A.; BARBERIO A, Partecipate, la leva fiscale per le dismissioni, in Norme
e tributi, Milano, 7.04.2014; BARBIERO A., Disciplina delle assunzioni
nelle Società interamente partecipate, 2008, in
http://www.albertobarbiero.net ; BERSANI G., L’applicabilità dello statuto
dell’imprenditore commerciale alla c. d. società in house, in Il Fisco,
Padova, 2014; CAPALBO F., Giurisdizione della Corte dei conti in tema di
responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle
società partecipate da enti pubblici: limiti dell’orientamento di cui alla
recente sentenza Sez. Un. n. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla
legge di stabilità per il 2014 n. 147/13 in
Lexitalia, n. 1/2014,
http://www.lexitalia.it/p/14/capalbo_giurisdizione.htm; CAVALLO PERIN
R., CASALINI D., L’in house providing: un’impresa dimezzata, in
Diritto amministrativo, 2006; CLARICH M., Società in house al nodo
fallimento, in Norme e tributi, Milano, 29.11.2013; D’ATTORE G., Le
società in mano pubblica e fallimento, in Fallimento, 2010; DE MICHELE
A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e
dagli enti locali, In Istituzioni del federalismo, Quaderni, n. 2/2011;
90
DI RUSSO D., Con l’esclusione del fallimento deficit da ripianare, in Norme
e Tributi, Milano, 13.01.2014;
FERRO M., (a cura di), La legge fallimentare, Commentario teorico -pratico,
seconda edizione, Padova, 2011;
GIOVAGNOLI R. Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti
interventi legislativi, Relazione al Convegno sul codice dei contratti
pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista
Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia -
amministrativa.it;
GRECO M., Il reclutamento delle risorse umane nelle società pubbliche, La
pubblica amministrazione nel D.Lgs n. 165/2001 e nell’ordinamento
comunitario, 26 marzo 2009;
LEFEBVRE F., Fallimento: soggetti interessati, Padova, 2013;
PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house
nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014;
PANI M., I contenuti ed i termini attuativi del d.P.R. 168/2010 e il nuovo
regime degli affidamenti in house, su www.lexitalia.it, n. 12/2010;
PANI. M., SANNA C., I limiti all’In house providing nella legislazione
nazionale e regionale, in www.lexitalia.it, n. 3/2013;
PANI M., SANNA C., Le società in house dopo le sentenze della Corte
costituzionale 229/2013 e 236/2013, in Lexitalia , 10/2013,
http://lexitalia.it/p/13/pani-sanna_affidamenti.htm;
PANI M., SANNA C., Le società in house e le modalità di assunzione del
personale, in Lexitalia, 12/2013, in http://www.lexitalia.it/p/13/pani -
sanna_ societa.htm;
91
PANI M., SANNA C., Le società pubbliche e le novità introdotte dalla legge
di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), in Lexitalia, 1/2014, in
http://www.lexitalia.it/p/14/pani-sanna_stabilita.htm; PANI. M., SANNA
C., L’In house providing alla luce della giurisprudenza costituzionale e
alcune disposizioni rilevanti in materia, in Lexitalia, n. 6/2013, in
http://www.lexitalia.it/p/13/pani-sanna_inhouse2.htm; PANI. M., SANNA
9293
C., Quale futuro per l’in house providing? In Lexitalia, n 7-8/2013
http://www.lexitalia.it/p/13/pani-sanna_inhouseproviding.htm;
PASSALACQUA M., «Pareggio» di bilancio contro intervento pubblico nel
nuovo art. 81 della Costituzione, 2012, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it; PERIN M., Per i profili di
responsabilità finanziaria per danno erariale sussiste la giurisdizione
della Corte dei conti sulle società pubbliche, 2013, in
http://www.lexitalia.it/p/13/ccontilazio_2013-10-14.htm; PIPERATA G.,
La Corte costituzionale, il legislatore regionale ed il modello “a mosaico”
della società in house, in Forum dei quaderni costituzionali,
www.forumcostituzionale.it, pag. 18; POLICE A., Commento all’art.
103, 1° e 2° co., Costituzione, in CELOTTO A., BIFULCO R, OLIVETTI M. (a
cura di), Commentario della Costituzione della Repubblica Italiana,
Torino, 2006, vol. III; POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle
partecipate, in Norme e tributi, Milano, 21.01.2014; POZZOLI S., Società,
tetti alle assunzioni con platea e parametri nel caos, in Norme e tributi,
Milano, 28.04.2014; RAPICAVOLI C., La riforma costituzionale sul pareggio
di bilancio, 2012, in www.filodiritto.com;
SANDULLI A., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989;
SANTUARI A., Le società pubbliche non falliscono, 26.01.2013, in
www.personaedanno. it; TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da
parte delle società a partecipazione pubblica, 2009, in
www.dirittodeiservizipubblici.it; URBANO G. L’evoluzione
giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della
concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it.
SENTENZA TECKAL (CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE,
SEZ. V, 18 NOVEMBRE 1999 N. C-107/98)
(Omissis) Motivazione 1 Con ordinanza 10 marzo 1998, pervenuta in
cancelleria il 14 aprile successivo, il Tribunale amministrativo regionale per
l'Emilia-Romagna ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del
Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale relativa
all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992,
92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1). 2 Tale questione è stata proposta
nell'ambito di una controversia che vede la Teckal Srl (in prosieguo: la
«Teckal») contrapposta al comune di Viano e all'Azienda Gas-Acqua
Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia (in prosieguo: l'«AGAC») in
ordine all'aggiudicazione, da parte di tale comune, della gestione del
servizio di riscaldamento di taluni edifici comunali. La normativa
comunitaria 3 L'art. 1, lett. a) e b), della direttiva 92/50 dispone: «Ai
fini della presente direttiva s'intendono per: a) "appalti pubblici di
servizi", i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore
di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice ( ... ) b) "amministrazioni
aggiudicatrici", lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le
associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
(...)».
95
4 L'art. 2 della direttiva 92/50 precisa: «Se un appalto pubblico ha per
oggetto sia dei prodotti di cui alla direttiva 77/62/CEE che dei servizi di
cui agli allegati IA e IB della presente direttiva, esso rientra nel campo
d'applicazione della presente direttiva qualora il valore dei servizi in
questione superi quello dei prodotti previsti dal contratto». 5 Ai sensi
dell'art. 6 della direttiva 92/50: «La presente direttiva non si applica
agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso
stesso un'amministrazione ai sensi dell'articolo 1, lettera b), in base a un
diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legislative,
regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni
siano compatibili con il trattato». 6 La direttiva del Consiglio 14 giugno
1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), ha abrogato la direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L 13, pag.
1). I riferimenti fatti alla direttiva abrogata si considerano, ai sensi dell'art.
33 della direttiva 93/36, come fatti a quest'ultima. 7 L'art. 1, lett. a) e b),
della direttiva 93/36 dispone: «Ai fini della presente direttiva si
intendono per: a) "appalti pubblici di forniture", i contratti a titolo
oneroso, aventi per oggetto l'acquisto, il leasing, la locazione, l'acquisto a
riscatto con o senza opzione per l'acquisto di prodotti, conclusi per
iscritto fra un fornitore (persona fisica o giuridica) e una delle
amministrazioni aggiudicatrici definite alla lettera b). La fornitura di tali
prodotti può comportare, a titolo accessorio, lavori di posa e installazione;
b) "amministrazioni aggiudicatrici", lo Stato, gli enti locali, gli organismi di
diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di 96979899100101102103104105106
diritto pubblico. (...)». La normativa nazionale 8 L'art. 22, n. 1, della
legge italiana 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali
(GURI n. 135 del 12 giugno 1990; in prosieguo: la «legge n. 142/90»),
stabilisce che i comuni provvedono alla gestione dei servizi pubblici che
abbiano per oggetto la produzione di beni e le attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle
comunità locali. 9 Ai sensi dell'art. 22, n. 3, della legge n. 142/90, i
comuni possono fornire tali servizi in economia, in concessione a terzi, a
mezzo di azienda speciale, istituzione o società per azioni a prevalente
capitale pubblico locale. 10 L'art. 23 della legge n. 142/90, che definisce
le aziende speciali e le istituzioni, dispone che: «1. L'azienda speciale
è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di
autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio
comunale o provinciale. (...) 3. Organi dell'azienda e
dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il
presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità
gestionale. Le modalità di nomina e di revoca degli amministratori
sono stabilite dallo statuto dell'ente locale.
4. L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia,
efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da
perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i
trasferimenti. (...) 6. L'ente locale conferisce il capitale di dotazione;
determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita
la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli
eventuali costi sociali. (...)». 11 Ai sensi dell'art. 25 della legge n. 142/90, i
comuni e le province, per la gestione associata di uno o più servizi,
possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende
speciali di cui all'art. 23. A tal fine i rispettivi consigli comunali
approvano, a maggioranza assoluta dei componenti, una convenzione
unitamente allo statuto del consorzio. L'assemblea del consorzio è
composta dai rappresentanti degli enti associati, nella persona del
sindaco, del presidente o di un loro delegato. L'assemblea elegge il
consiglio di amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti
dallo statuto. 12 L'AGAC è un consorzio costituito da diversi comuni - tra
i quali quello di Viano - per la gestione dei servizi dell'energia e
dell'ambiente, ai sensi dell'art. 25 della legge n. 142/90. In forza dell'art. 1
del proprio statuto (in prosieguo: lo «statuto»), essa è dotata di personalità
giuridica e autonomia imprenditoriale. L'art. 3, n. 1, dello statuto prevede che
essa ha come scopo l'assunzione diretta e la gestione di taluni servizi
pubblici elencati, tra i quali «gas metano per usi civili e produttivi;
calore per usi civili e produttivi; attività connesse e accessorie ai servizi
sopra indicati».
13 Ai sensi dell'art. 3, nn. 2-4, dello statuto, l'AGAC può estendere le sue
attività ad altri servizi connessi o accessori, partecipare ad enti e/o a società
a capitale pubblico o privato per la gestione di attività connesse e
accessorie, e infine svolgere servizi o provvedere a forniture nei confronti
di privati o enti pubblici diversi dai comuni consorziati. 14 Ai sensi
degli artt. 12 e 13 dello statuto, gli atti di gestione più importanti, tra i
quali i bilanci preventivi e i consuntivi, sono approvati dall'assemblea
dell'AGAC, composta da rappresentanti dei comuni. Gli altri organi direttivi
sono il consiglio, il presidente del consiglio e il direttore generale. Questi
ultimi non rispondono della loro gestione dinanzi ai comuni. Le persone
fisiche che compongono tali organi non rivestono cariche nei comuni
consorziati. 15 L'art. 25 dello statuto sancisce per l'AGAC l'obbligo del
pareggio di bilancio e quello dell'economicità gestionale. In applicazione
dell'art. 27 dello statuto, i comuni conferiscono fondi o beni all'AGAC, che
versa loro interessi annui. L'art. 28 dello statuto prevede che gli eventuali
utili di esercizio siano ripartiti tra i comuni consorziati, conservati
dall'AGAC per incrementare i fondi di riserva o anche reinvestiti in
altre attività dell'AGAC. A norma dell'art. 29 dello statuto, nel caso di
perdita di esercizio, si può procedere al risanamento della situazione
finanziaria, in particolare, attraverso il conferimento di nuovi capitali da parte
dei comuni consorziati. 16 L'art. 35 dello statuto prevede una
procedura di arbitrato per la composizione delle controverse tra i
comuni consorziati o tra questi ultimi e l'AGAC. La controversia nella
causa principale 17 Con la sua deliberazione 24 maggio 1997, n. 18 (in
prosieguo: la «delibera»), il consiglio comunale di Viano ha affidato
all'AGAC la gestione del servizio di riscaldamento di taluni edifici
comunali. Tale delibera non è stata preceduta da alcuna procedura di gara.
18 Il compito dell'AGAC consiste, più in particolare, nella conduzione e
nella manutenzione degli impianti termici degli edifici comunali interessati,
compresi gli interventi migliorativi necessari, nonché nella fornitura di
combustibili. 19 Il corrispettivo a favore dell'AGAC è stato fissato in 122
milioni di ITL per il periodo 1_ giugno 1997 - 31 maggio 1998. Su tale
importo, il valore della fornitura dei combustibili rappresenta 86 milioni
e il costo della conduzione e della manutenzione degli impianti 36
milioni. 20 Ai sensi dell'art. 2 della delibera, alla scadenza del periodo
iniziale di un anno, l'AGAC s'impegna a proseguire nel servizio per un
periodo di altri tre anni, su richiesta del comune di Viano, previo
aggiornamento delle condizioni contenute nella delibera. Viene altresì
prevista la possibilità di proroga successiva. 21 La Teckal è un'impresa
privata che opera nel settore dei servizi di riscaldamento. Essa fornisce,
principalmente a privati e ad enti pubblici, gasolio che essa acquista
previamente da imprese produttrici. Inoltre, essa procede alla manutenzione
degli impianti di riscaldamento a gasolio e di quelli a gas. 22 La Teckal ha
proposto un ricorso contro la delibera dinanzi al Tribunale amministrativo
regionale per l'Emilia-Romagna facendo valere che il comune di Viano
avrebbe dovuto ricorrere alle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici previste dalla normativa comunitaria. 23 Il giudice a quo, che
si chiede quale delle direttive 92/50 e 93/36 si applichi, considera che, in
ogni caso, il limite di applicazione di 200 000 ECU, fissato dalle due
direttive, è superato.
24 Data la natura mista del compito affidato all'AGAC, che consiste, da un
lato, nella prestazione di diversi servizi e, dall'altro, nella fornitura di
combustibili, il giudice a quo ha ritenuto di non poter escludere
l'applicabilità dell'art. 6 della direttiva 92/50. 25 Di conseguenza, il
Tribunale amministrativo regionale ha sospeso il giudizio e ha chiesto alla
Corte l'interpretazione della direttiva 92/50 «sotto i profili indicati in
motivazione». Sulla ricevibilità 26 L'AGAC ed il governo austriaco
ritengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile.
L'AGAC fa valere, in primo luogo, che il valore del contratto controverso
nella causa a qua è inferiore alla soglia prevista dalle direttive 92/50 e
93/36. Infatti, da una parte, il prezzo del combustibile dovrebbe essere
detratto dall'importo stimato dell'appalto in quanto l'AGAC, essendo a sua
volta amministrazione aggiudicatrice, si approvvigiona di combustibili
mediante procedure concorsuali pubbliche. D'altra parte, non si tratterebbe
di un appalto di durata indeterminata. 27 In secondo luogo, l'AGAC
ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale riguardi in realtà
l'interpretazione del diritto nazionale. Il giudice a quo chiederebbe
infatti alla Corte di interpretare talune disposizioni di diritto nazionale
al fine di poter determinare se la deroga prevista all'art. 6 della direttiva
92/50 si applichi. 28 Il governo austriaco, dal canto suo, sostiene che
la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile in quanto essa non
contiene alcuna questione pregiudiziale. Nell'ambito del diritto degli
appalti pubblici una formulazione precisa delle questioni sarebbe
particolarmente importante.
29 Innanzi tutto, per quanto riguarda l'accertare se il valore dell'appalto
controverso nella causa a qua superi il limite previsto dalle direttive 92/50 e
93/36, occorre ricordare che, in forza dell'art. 177 del Trattato, basato sulla
netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può
pronunciarsi unicamente sull'interpretazione o sulla validità di un testo
comunitario, sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale (v., in
particolare, sentenza 2 giugno 1994, causa C-30/93, AC-ATEL Electronics
Vertriebs, Racc. pag. I-2305, punto 16). 30 In questo contesto, non
spetta alla Corte, ma al giudice nazionale, accertare i fatti che hanno dato
origine alla causa e trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia (citata
sentenza AC-ATEL Electronic Vertriebs, punto 17). 31 Se è quindi vero
che il metodo di calcolo dell'importo dell'appalto è definito nelle
disposizioni comunitarie, e cioè negli artt. 7 della direttiva 92/50 e 5 della
direttiva 93/36, sull'interpretazione delle quali il giudice nazionale può, se
del caso, porre questioni pregiudiziali, spetta tuttavia a quest'ultimo, nella
ripartizione dei compiti stabilita dall'art. 177 del Trattato, applicare le
norme di diritto comunitario al caso concreto. Infatti una siffatta
applicazione non può essere effettuata senza una valutazione dei fatti di
causa nel loro complesso (v. sentenza 8 febbraio 1990, causa C320/88,
Shipping and Forwarding Enterprise Safe, Racc. pag. I-285, punto 11). 32
Ne consegue che la Corte non può sostituire la sua valutazione quanto al
calcolo del valore dell'appalto a quella del giudice a quo per concludere nel
senso dell'irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.
33 Occorre poi ricordare che, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato, la Corte
non può pronunciarsi sull'interpretazione di disposizioni di legge o di
regolamento nazionali né sulla conformità di tali disposizioni al diritto
comunitario. Essa può tuttavia fornire al giudice nazionale gli elementi di
interpretazione attinenti al diritto comunitario che gli permetteranno di
risolvere il problema giuridico che gli è stato sottoposto (sentenza 4 maggio
1993, causa C-17/92, Fedicine, Racc. pag. I-2239, punto 8). 34
Infine, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta alla Corte, di
fronte a questioni formulate in modo impreciso, trarre dal complesso dei
dati forniti dal giudice nazionale e dal fascicolo della causa a qua i punti di
diritto comunitario che vanno interpretati, tenuto conto dell'oggetto della
lite (sentenze 13 dicembre 1984, causa 251/83, Haug-Adrion, Racc. pag.
4277, punto 9, e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-
4705, punto 21). 35 Alla luce delle indicazioni contenute nell'ordinanza
di rinvio, si deve considerare che il giudice nazionale chiede in sostanza
se le disposizioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici siano applicabili qualora un ente locale affidi la fornitura di
prodotti e la prestazione di servizi ad un consorzio a cui esso partecipi, in
circostanze come quelle di cui alla causa a qua. 36 Il rinvio
pregiudiziale deve pertanto essere dichiarato ricevibile. Sul merito 37
Risulta dall'ordinanza di rinvio che il comune di Viano ha affidato
all'AGAC, con un unico atto, tanto la prestazione di taluni servizi quanto la
fornitura di taluni prodotti. E' altresì pacifico che il valore di tali prodotti è
superiore a quello dei servizi. 38 Ora, discende, a contrario, dall'art. 2
della direttiva 92/50 che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel
contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi
della direttiva 92/50, esso rientra nell'ambito di applicazione della
direttiva 93/36 qualora il valore dei prodotti previsti dal contratto sia
superiore a quello dei servizi.
39 Per fornire una soluzione utile al giudice che le ha sottoposto una
questione pregiudiziale, la Corte può essere indotta a prendere in
considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale
non ha fatto riferimento nel formulare la questione (sentenze 20 marzo
1986, causa 35/85, Tissier, Racc. pag. 1207, punto 9, e 27 marzo 1990,
causa C-315/88, Bagli Pennacchiotti, Racc. pag. I-1323, punto 10). 40
Ne consegue che, per fornire un'interpretazione del diritto comunitario utile
al giudice nazionale, occorre interpretare le disposizioni della direttiva 93/36
e non l'art. 6 della direttiva 92/50. 41 Al fine di determinare se, per un
ente locale, il fatto di affidare la fornitura di prodotti ad un consorzio al
quale esso partecipi debba dar luogo a una procedura di gara prevista dalla
direttiva 93/36, occorre esaminare se tale aggiudicazione costituisca un
appalto pubblico di forniture. 42 In caso affermativo e se l'importo
stimato dell'appalto, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, è pari o
superiore a 200 000 ECU, la direttiva 93/36 è applicabile. Non è
determinante al riguardo il fatto che il fornitore sia o non sia
un'amministrazione aggiudicatrice. 43 Infatti, si deve ricordare che le
uniche deroghe consentite all'applicazione della direttiva 93/36 sono
quelle in essa tassativamente ed espressamente menzionate (v., in ordine
alla direttiva 77/62, sentenza 17 novembre 1993, causa C-71/92,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5923, punto 10). 44 Ora, la direttiva
93/36 non contiene alcuna disposizione analoga all'art. 6 della direttiva
92/50, che escluda dal suo ambito di applicazione appalti pubblici
aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni aggiudicatrici.
45 Si deve peraltro osservare che tale constatazione non pregiudica
l'obbligo di queste ultime amministrazioni aggiudicatrici di applicare a loro
volta le procedure di gara previste dalla direttiva 93/36. 46 Il comune di
Viano, in quanto ente locale, è un'amministrazione aggiudicatrice ai
sensi dell'art. 1, lett. b), della direttiva 93/36. Spetta pertanto al giudice
nazionale verificare se il rapporto tra tale amministrazione e l'AGAC
soddisfi anche le altre condizioni previste dalla direttiva 93/36 per
configurare un appalto pubblico di forniture. 47 Ciò avviene,
conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, se si tratta di un
contratto concluso per iscritto a titolo oneroso avente per oggetto, in
particolare, l'acquisto di prodotti. 48 E' pacifico nella fattispecie che
l'AGAC fornisce prodotti, ossia combustibili, al comune di Viano
dietro pagamento di un corrispettivo. 49 Relativamente all'esistenza di un
contratto, il giudice nazionale deve verificare se vi sia stato un incontro di
volontà tra due persone distinte. 50 A questo proposito, conformemente
all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il
contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da
una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire
diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti
sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso
esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più
importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la
controllano.
51 Occorre pertanto risolvere la questione pregiudiziale nel senso che la
direttiva 93/36 è applicabile ove un'amministrazione aggiudicatrice, quale
un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa
sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisionale, un
contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la fornitura di prodotti,
indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta
un'amministrazione aggiudicatrice o meno. (Omissis) Per questi
motivi, LA CORTE (Quinta Sezione), pronunciandosi sulla questione
sottopostale dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna
con ordinanza 10 marzo 1998, dichiara: La direttiva del Consiglio 14
giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture, è applicabile ove un'amministrazione
aggiudicatrice, quale un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con
un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul
piano decisionale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la
fornitura di prodotti, indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente
sia a sua volta un'amministrazione aggiudicatrice o
meno.
SENTENZA CARBOTERMO (CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ
EUROPEE, SEZ. I, 11 MAGGIO 2006, CAUSA C-340/04)
(Omissis) Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda
l’interpretazione
della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199,
pag. 1). 2 Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia
che
vede contrapporsi l’impresa Carbotermo SpA (in prosieguo: la
«Carbotermo») e il consorzio Alisei al comune di Busto Arsizio e
all’impresa AGESP SpA (in prosieguo: la «AGESP») in merito
all’affidamento a quest’ultima di un appalto relativo alla fornitura di
combustibili, alla manutenzione, all’adeguamento normativo e alla
riqualificazione tecnologica degli impianti termici degli edifici del suddetto
comune. Contesto normativo La disciplina comunitaria 3L’art. 1, lett.
a) e b), della direttiva 93/36 dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intendono per: a)“appalti pubblici di
forniture”, i contratti a titolo oneroso, aventi per
oggetto l’acquisto, il leasing, la locazione, l’acquisto a riscatto con o senza
opzione per l’acquisto di prodotti, conclusi per iscritto fra un fornitore
(persona fisica o giuridica) e una delle amministrazioni aggiudicatrici
definite alla lettera b). La fornitura di tali prodotti può comportare, a titolo
accessorio, lavori di posa e installazione;
107
b) “amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli
organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od
organismi di diritto pubblico. Per “organismo di diritto pubblico” si
intende qualsiasi organismo: – istituito per soddisfare
specificatamente bisogni di interesse generale
aventi carattere non industriale o commerciale, e – avente personalità
giuridica, e
– la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli
enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è
soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo
d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più
della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri
organismi di diritto pubblico. (...)». 4 L’art. 6 della stessa direttiva
così prevede:
«1. Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di forniture, le amministrazioni
aggiudicatrici applicano le ( ... ) [procedure aperte, le procedure ristrette e le
procedure negoziate] nei casi esposti in appresso. 2. Le
amministrazioni possono aggiudicare gli appalti di forniture
mediante procedura negoziata in caso di ( . ) 3. Le amministrazioni
possono aggiudicare appalti di forniture mediante
procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara
nei casi seguenti: (~) 4. In tutti gli altri casi le amministrazioni
aggiudicano gli appalti
pubblici di forniture con procedura aperta ovvero con procedura ristretta».
108109110
5 L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,
93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché
degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag.
84), così prevede: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (~ )
3) “Impresa collegata” qualsiasi impresa i cui conti annuali siano
consolidati con quelli dell’ente aggiudicatore a norma della direttiva
83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54,
paragrafo 3, lettera g) del trattato e relativa ai conti consolidati ( . ) [GU L
193, pag. 1], ovvero, nel caso di enti non soggetti a tale direttiva, qualsiasi
impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del
presente articolo nonché qualsiasi impresa che eserciti un’influenza
dominante sull’ente aggiudicatore ovvero, come quest’ultimo, sia soggetta
all’influenza dominante di un’altra impresa in forza di proprietà,
partecipazione finanziaria o norme interne». 6L’art. 13 della medesima
direttiva prevede quanto segue:
«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori
per l’esercizio di attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di
questi enti aggiudicatori o ad un’impresa collegata ad uno degli enti
aggiudicatori,
sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella
Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di
servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è
collegata. Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di
un’impresa collegata all’ente aggiudicatore, occorre tener conto della
cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla fornitura di servizi da
parte di queste imprese. 2. Gli enti aggiudicatori notificano alla
Commissione, dietro sua
richiesta, le informazioni seguenti relative all’applicazione del paragrafo 1:
– i nomi delle imprese interessate; – il tipo e il valore degli appalti
di servizi in questione;
– gli elementi di prova che, a giudizio della Commissione, sono
necessari per dimostrare che le relazioni tra l’ente aggiudicatore e l’impresa
aggiudicataria soddisfano le condizioni del presente articolo». Il
diritto italiano 7 Con sentenza 18 settembre 2003, n. 5316, il Consiglio
di Stato ha
stabilito che un ente locale è legittimato ad affidare un appalto a un
fornitore senza ricorrere a una gara d’appalto nell’ipotesi in cui l’ente
locale eserciti sul fornitore un controllo analogo a quello da esso esercitato
sui propri servizi, e il fornitore realizzi la parte più importante della propria
attività con l’ente che lo controlla. La controversia di cui alla causa
principale e le questioni pregiudiziali 8 La Carbotermo è un’impresa
specializzata negli appalti di fornitura di
energia e di gestione di impianti termici, a favore di clienti pubblici e
privati. 9 Il consorzio Alisei è un’impresa che fornisce prodotti
energetici e
servizi attinenti alla climatizzazione e al riscaldamento degli edifici.
10 La AGESP Holding SpA (in prosieguo: la «AGESP Holding») è una
società per azioni nata dalla trasformazione, decretata il 24 settembre 1997,
dell’Azienda per la Gestione dei Servizi Pubblici, impresa speciale del
comune di Busto Arsizio. Il capitale sociale della AGESP Holding
appartiene attualmente per il 99,98% al comune di Busto Arsizio. Gli altri
azionisti sono i comuni di Castellanza, Dairago, Fagnano Olona, Gorla
Minore, Marnate e Olgiate Olona, ciascuno dei quali detiene un’azione.
11 Ai sensi dell’art. 2 del suo statuto, nell’oggetto della AGESP Holding
rientra la gestione di servizi di pubblica utilità nei settori del gas,
dell’acqua, dell’igiene ambientale, dei trasporti, dei parcheggi, dei bagni
pubblici, delle farmacie, dell’energia elettrica e del calore, dei servizi
cimiteriali e della segnaletica stradale. 12 L’art. 6 del suddetto statuto
prevede che: «(...) [L]a maggioranza delle azioni [è] riservata al
Comune di Busto Arsizio. (...) Oltre al Comune di Busto Arsizio
possono entrare a far parte della Società altri enti pubblici territoriali locali
(Province, Comuni e loro consorzi), enti economici, finanziari, associazioni
territoriali e di categoria, nonché privati cittadini che ne condividano le
finalità statutarie (... )». 13 L’art. 7 dello stesso statuto precisa quanto
segue: «Nessun socio privato può possedere una quota superiore alla decima
parte dell’intero capitale della società (...)». 14 Ai sensi dell’art. 18 dello
statuto della AGESP Holding, quest’ultima è amministrata da un
consiglio di amministrazione.
15 A norma dell’art. 26 del suddetto statuto:
111
«Il Consiglio di Amministrazione è investito di tutti i più ampi poteri per la
gestione ordinaria e straordinaria della Società, con facoltà di compiere tutti
gli atti che ritiene opportuni per l’attuazione ed il raggiungimento dello
scopo sociale, esclusi solo quelli che la Legge o lo Statuto in modo
tassativo riservano all’Assemblea (...)». 16 La AGESP è una società per
azioni costituita il 12 luglio 2000 dalla
AGESP Holding e il cui capitale sociale appartiene attualmente per il 100%
a quest’ultima. 17 A norma dell’art. 3 del suo statuto, nella versione
modificata –
prodotta dinanzi al giudice a quo – con la quale è stato ampliato l’oggetto
della società, la AGESP ha per oggetto l’esercizio di attività connesse ai
servizi di pubblica utilità nei settori del gas, dell’acqua, dell’igiene
ambientale, dei trasporti, dei parcheggi, dell’energia elettrica, del calore,
della climatizzazione, dell’informatica, delle telecomunicazioni, della
gestione del sottosuolo, dell’illuminazione nonché la prestazione di altri
servizi in favore delle società associate. 18 L’art. 7 dello statuto della
AGESP così prevede: «Nessun socio, ad eccezione della Società
controllante AGESP Holding ( ... ), può possedere una quota superiore
alla decima parte dell’intero capitale della società (...)». 19 Ai sensi
dell’art. 17 del suddetto statuto, la AGESP è amministrata da un
consiglio. 20 A questo proposito, l’art. 19 dello stesso statuto precisa
quanto segue: «Al Consiglio competono [i] più ampi ed illimitati poteri per
la gestione ordinaria e straordinaria della Società (...)».
21 Il 22 settembre 2003 il comune di Busto Arsizio ha indetto una gara
per la fornitura di combustibili, nonché per la manutenzione,
112
l’adeguamento normativo e la riqualificazione tecnologica degli impianti
termici degli edifici comunali. L’importo dell’appalto, stimato nella misura
di EUR 8 450 000 oltre all’imposta sul valore aggiunto (IVA), era ripartito
in EUR 5 700 000 per la fornitura di combustibili (di cui gasolio per 4/5 e
metano per 1/5), EUR 1 000 000 per la manutenzione degli impianti termici
ed EUR 1 750 000 per la riqualificazione e la messa a norma dei suddetti
impianti. 22 La Carbotermo ha presentato un’offerta in data 22 novembre
2003. Il consorzio Alisei ha predisposto un’offerta senza tuttavia presentarla
entro il termine previsto. 23 Il 21 novembre 2003 il comune di Busto
Arsizio ha deciso, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 5316,
menzionata al punto 7 della presente sentenza, di sospendere la procedura
di gara fino al 10 dicembre 2003. 24 Con deliberazione 10 dicembre 2003,
il comune di Busto Arsizio ha revocato la gara, riservandosi di affidare in
seguito l’appalto direttamente alla AGESP.
25 Con deliberazione 18 dicembre 2003, il comune di Busto Arsizio ha
affidato l’appalto in questione direttamente alla AGESP. Esso ha motivato
tale decisione adducendo che la AGESP soddisfaceva i due requisiti
stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per concludere appalti
pubblici senza gara, vale a dire che l’ente locale eserciti sull’ente
aggiudicatario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri
servizi e che il suddetto ente aggiudicatario realizzi la parte più importante
della propria attività con l’ente locale che lo controlla. Nel preambolo di
tale decisione si afferma, da un lato, che il fatto che il comune di Busto
Arsizio detenga il 99,98% del capitale della AGESP Holding, alla quale
113
appartiene per il 100% il capitale della AGESP, attesta un rapporto di
subordinazione tra quest’ultima e il comune in questione. D’altro lato, in
detto preambolo si afferma che la parte largamente maggioritaria del
fatturato della AGESP consegue dall’esercizio di attività per le quali la
stessa è titolata in forza di affidamenti ottenuti direttamente dal comune di
Busto Arsizio. 26 Con bando del 23 gennaio 2004, la AGESP ha
indetto una gara
d’appalto nell’ambito di una procedura accelerata per la fornitura del
gasolio in questione e in data 27 febbraio 2004 ha affidato il suddetto
appalto all’impresa Pezzoli Petroli Srl. In date 28 aprile, 18 maggio, 30
giugno e 2 settembre 2004, la AGESP ha affidato ad altre imprese appalti
riguardanti il passaggio al metano, la riqualificazione tecnologica,
l’adeguamento normativo e l’installazione di un sistema di controllo e di
gestione a distanza per gli impianti termici di vari edifici comunali. Né la
Carbotermo né il consorzio Alisei risultavano tra le imprese aggiudicatarie
di questi appalti. 27 La Carbotermo e il consorzio Alisei hanno
impugnato dinanzi al
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia le deliberazioni che
avevano sospeso la gara e affidato l’appalto in questione alla AGESP.
28 Dinanzi al summenzionato tribunale le due imprese in questione
hanno rilevato che, nel caso di specie, non ricorrevano le condizioni che
rendono inapplicabile la direttiva 93/36. Da un lato, la AGESP non sarebbe
controllata dal comune di Busto Arsizio in quanto quest’ultimo detiene la
sua partecipazione nella AGESP solo mediante una holding di cui è
azionista per il 99,98% e la AGESP conserva l’autonomia di una società
per azioni di diritto privato. Dall’altro lato, la AGESP non svolgerebbe la
parte più importante della sua attività a favore del comune di Busto Arsizio,
114
poiché realizzerebbe con il comune in questione una quota nettamente
inferiore all’ 80% del suo fatturato, criterio che si sarebbe dovuto accogliere
per analogia con l’art. 13 della direttiva 93/38. 29 Il comune di Busto
Arsizio e la AGESP hanno replicato che
l’affidamento diretto era consentito nella fattispecie poiché la AGESP era
controllata dal comune di Busto Arsizio in ragione della partecipazione di
quest’ultimo al suo capitale e che la stessa svolgeva la parte più importante
della sua attività con il suddetto comune. A tale proposito, la AGESP ha
precisato che oltre il 28% del fatturato da essa realizzato nel territorio del
comune di Busto Arsizio si riferiva a prestazioni direttamente fornite al
comune e che il fatturato da essa realizzato nel suddetto territorio
rappresentava il 65,59% del suo fatturato globale. 30 Il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia ha pertanto
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali: «1)se sia compatibile con la direttiva 93/36 (...)
l’affidamento diretto
dell’appalto per la fornitura di combustibili e calore per impianti termici di
edifici di proprietà o competenza del Comune, e relativa gestione,
conduzione, manutenzione (con prevalenza del valore della fornitura), ad
una società per azioni il cui capitale è, allo stato attuale, interamente
detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di
maggioranza (al 99,98%) il Comune appaltante, ovvero ad una società
(AGESP) che non è partecipata direttamente dall’Ente Pubblico, ma da
un’altra società (AGESP Holding) il cui capitale è attualmente posseduto al
99,98% dalla Pubblica Amministrazione;
2) se il requisito dello svolgimento, da parte dell’impresa alla quale è
stata direttamente affidata la fornitura, della parte più importante
115116117118119120
dell’attività con l’Ente pubblico che la controlla debba essere accertato
facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38 ( . ), e possa ritenersi
sussistente nel caso in cui la suddetta impresa realizzi la prevalenza dei
proventi con l’Ente pubblico controllante o, in alternativa, nel territorio
dell’Ente stesso». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione
31 La Corte ha già statuito che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel
contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi della
direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209,
pag. 1), esso rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/36
qualora il valore dei prodotti oggetto dell’appalto sia superiore a quello dei
servizi (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-
8121, punto 38). Un appalto come quello di cui trattasi nella causa
principale, in cui il valore dei prodotti è superiore a quello dei servizi
oggetto dello stesso, rientra pertanto nell’ambito di applicazione della
direttiva 93/36, come ha d’altronde constatato il giudice del rinvio. 32
L’esistenza di un contratto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva
93/36 implica che vi sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte
(sentenza Teckal, cit., punto 49).
33 Conformemente all’art. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in
linea di principio, che il contratto sia stato stipulato tra, da una parte, un
ente locale e, dall’altra, una persona giuridicamente distinta da
quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel
contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo
analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti
locali che la detengono (sentenza Teckal, cit., punto 50). 34
Dall’ordinanza di rinvio e dagli atti di causa risulta che, allo stato,
all’amministrazione aggiudicatrice appartiene il 99,98% del capitale della
AGESP Holding, mentre il restante 0,02% è nelle mani di altri enti locali.
Conformemente allo statuto della AGESP Holding, azionisti privati
possono entrare nel capitale di tale società a due condizioni: da un lato, la
maggioranza delle azioni è riservata al comune di Busto Arsizio; dall’altro,
nessun azionista privato può possedere una quota superiore alla decima
parte del capitale della suddetta società. 35 A sua volta, la AGESP
Holding detiene, allo stato, il 100% del
capitale della AGESP. In base allo statuto di quest’ultima, il suo capitale
può essere accessibile ad azionisti privati alla sola condizione che a nessun
azionista, ad eccezione della AGESP Holding, possa appartenere più di un
decimo del capitale della suddetta società. 36 Per valutare se
l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le
disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da
quest’esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un
controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne
le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia
sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società (v.
sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I
8585, punto 65).
37 Il fatto che l’amministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o
insieme ad altri enti pubblici, l’intero capitale di una società aggiudicataria
potrebbe indicare, pur non essendo decisivo, che l’amministrazione
aggiudicatrice in questione esercita su detta società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi, ai sensi del punto 50 della menzionata
sentenza Teckal. 38 Degli atti di causa risulta che gli statuti della AGESP
Holding e della AGESP attribuiscono al consiglio di amministrazione di
ciascuna delle società i più ampi poteri per la gestione ordinaria e
straordinaria della società. Gli statuti di cui trattasi non riservano al comune
di Busto Arsizio nessun potere di controllo o diritto di voto particolare per
limitare la libertà d’azione riconosciuta a detti consigli di
amministrazione. Il controllo esercitato dal comune di Busto Arsizio su
queste due società si risolve sostanzialmente nei poteri che il diritto
societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita
considerevolmente il suo potere di influire sulle decisioni delle società di
cui trattasi. 39 Inoltre, l’eventuale influenza del comune di
Busto Arsizio sulle
decisioni della AGESP viene esercitata mediante una società holding.
L’intervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso
specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della
mera partecipazione al suo capitale. 40 Ne consegue che, in tali
circostanze, previa verifica di queste ultime da parte del giudice di
merito di cui alla causa principale, l’amministrazione
aggiudicatrice non esercita sulla società aggiudicataria dell’appalto pubblico
in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
41 L’art. 6 della direttiva 93/36 impone alle amministrazioni che
aggiudicano un appalto pubblico di ricorrere alla procedura aperta o alla
procedura ristretta, salvo che l’appalto rientri in uno dei casi eccezionali
tassativamente elencati ai nn. 2 e 3 del suddetto articolo. Dall’ordinanza di
rinvio non risulta che l’appalto di cui trattasi nella causa principale rientri
in uno di tali casi. 42 Ne consegue che la direttiva 93/36 osta
all’affidamento diretto di un appalto pubblico in circostanze analoghe a
quelle della causa principale. 43 Contro una conclusione in tal senso il
governo italiano obietta che il fatto che la AGESP debba ricorrere a una
procedura di aggiudicazione pubblica per acquistare il gasolio in questione
prova che il comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP devono
essere considerati nel loro insieme come un unico «organismo di diritto
pubblico» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 93/36, tenuto ad
aggiudicare appalti pubblici di forniture in conformità alla normativa
comunitaria e nazionale in materia. 44 Tale argomento non può essere
accolto. Da un lato, il comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di
«ente locale» e non in quella di «organismo di diritto pubblico» ai sensi
di detta disposizione. D’altro lato, il comune di Busto Arsizio, la AGESP
Holding e la AGESP dispongono ciascuno di una distinta personalità
giuridica. 45 Peraltro, come ha rammentato la Corte al punto 43 della
menzionata sentenza Teckal, le sole deroghe consentite all’applicazione
della direttiva 93/36 sono quelle in essa tassativamente ed espressamente
menzionate. 46 Ora, la direttiva 93/36 non contiene alcuna
disposizione analoga all’art. 6 della direttiva 92/50, che escluda dal suo
ambito di applicazione appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni,
ad amministrazioni aggiudicatrici (sentenza Teckal, cit., punto 44).
47 Si deve di conseguenza risolvere la prima questione nel senso che la
direttiva 93/36 osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di
servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il
cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione
esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale,
interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta
socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. Sulla seconda
questione 48 La seconda questione consta di due parti. 49Da un lato,
il giudice del rinvio intende chiarire se la condizione
consistente nello svolgimento, da parte dell’impresa alla quale è stata
direttamente affidata la fornitura, della parte più importante dell’attività
con l’ente pubblico che la detiene debba essere accertata facendo
applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38. D’altro lato, esso si chiede se
si possa ritenere che tale presupposto ricorra nel caso in cui la suddetta
impresa realizzi la prevalenza dei proventi con l’ente pubblico che la
detiene o nel territorio dell’ente stesso. Prima parte della seconda
questione 50Dall’ordinanza di rinvio emerge che l’appalto di cui trattasi
nella
causa principale rientra nella direttiva 93/36. 51 Si tratta quindi di
accertare se l’eccezione prevista dall’art. 13 della
direttiva 93/38 debba valere, per analogia, anche con riferimento all’ambito
di applicazione della direttiva 93/36. 52 L’eccezione prevista dal
suddetto art. 13 riguarda solo gli appalti di
servizi e ne sono esclusi gli appalti di forniture. 53 L’art. 13 della
direttiva 93/38 riguarda determinati operatori, in
particolare imprese comuni e imprese dai conti annuali consolidati, aventi
modalità di funzionamento che differiscono da quelle delle amministrazioni
aggiudicatrici previste dalla direttiva 93/36.
54 Inoltre, il suddetto articolo prevede un meccanismo di notifica alla
Commissione che non potrebbe essere trasposto alla direttiva 93/36, in
mancanza di un fondamento normativo. 55 Dal momento che le
eccezioni devono essere interpretate
restrittivamente, ne deriva che non si deve estendere l’operatività dell’art.
13 della direttiva 93/98 all’ambito di applicazione della direttiva 93/36.
56 Tale conclusione è confermata dal fatto che, in sede di rifusione delle
direttive in materia di appalti pubblici risalente al 2004, il legislatore
comunitario, pur mantenendo la suddetta eccezione con l’art. 23 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004,
2004/17/CE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi
postali (GU L 134, pag. 1), ha scelto di non includere un’analoga eccezione
nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004,
2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag.
114), subentrata alla direttiva 93/36. 57 Alla luce delle considerazioni
che precedono, si deve risolvere la
prima parte della seconda questione nel senso che la condizione
d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale l’impresa cui è stato
direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più
importante dell’attività con l’ente pubblico che la detiene non va accertata
facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38.
Seconda parte della seconda questione
58 Si deve rammentare che l’obiettivo principale delle normecomunitarie in materia di appalti pubblici è la libera circolazione delle
merci e dei servizi nonché l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti
121122
gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03,
Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 44). 59 Le condizioni
in presenza delle quali, secondo la menzionata sentenza Teckal, la direttiva
93/36 è inapplicabile agli appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto
giuridicamente distinto da quest’ultimo, vale a dire che, al contempo,
l’ente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che il soggetto di cui trattasi svolga la
parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti locali che lo
detengono, hanno, in particolare, lo scopo di evitare che sia falsato il
gioco della concorrenza. 60 La condizione che il soggetto di cui
trattasi realizzi la parte più
importante della sua attività con l’ente o gli enti locali che lo detengono è
finalizzata, in particolare, a garantire che la direttiva 93/36 continui ad
essere applicabile nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti
sia attiva sul mercato e possa pertanto entrare in concorrenza con altre
imprese. 61 Infatti, un’impresa non è necessariamente privata della
libertà di
azione per la sola ragione che le decisioni che la riguardano sono prese
dall’ente pubblico che la detiene, se essa può esercitare ancora una parte
importante della sua attività economica presso altri operatori. 62 È
inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano
sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente locale in questione. Entro
tali limiti, risulta giustificato che l’impresa di cui trattasi sia sottratta agli
obblighi della direttiva 93/36, in quanto questi ultimi sono dettati
dall’intento di tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più ragion
d’essere.
63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l’impresa in
questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale
che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l’attività
di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra
attività risulta avere solo un carattere marginale. 64 Per verificare se
la situazione sia in questi termini il giudice
competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di
specie, sia qualitative sia quantitative. 65Quanto all’accertare se occorra
tener conto in tale contesto solo del
fatturato realizzato con l’ente locale controllante o di quello realizzato nel
territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è
rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle
decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante, compreso
quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. 66Infatti, le
attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in
considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di un
affidamento effettuato
dall’amministrazione
aggiudicatrice,
indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione
aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni. 67 Non è rilevante sapere
chi remunera le prestazioni dell’impresa in
questione, potendo trattarsi sia dell’ente controllante sia di terzi utenti di
prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici
instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale
territorio siano erogate tali prestazioni.
68 Dal momento che, nella causa principale, il capitale dell’impresa
123
aggiudicataria appartiene indirettamente a vari enti locali, può essere
rilevante esaminare se l’attività da prendere in considerazione sia quella
che l’impresa aggiudicataria realizza con tutti gli enti che la detengono o
soltanto quella realizzata con l’ente che, nel caso specifico, agisce in
qualità di amministrazione aggiudicatrice. 69 A tale proposito si deve
rammentare che, secondo quanto precisato
dalla Corte, la persona giuridicamente distinta di cui trattasi deve realizzare
la parte più importante della propria attività «con l’ente o con gli enti locali
che la controllano» (sentenza Teckal, cit., punto 50). La Corte ha quindi
contemplato la possibilità che l’eccezione prevista si applichi non solo
all’ipotesi in cui un solo ente pubblico detenga una siffatta persona
giuridica, ma anche a quella in cui la detengano più enti. 70Nel caso
in cui diversi enti locali detengano un’impresa, la
condizione relativa alla parte più importante della propria attività può
ricorrere qualora l’impresa in questione svolga la parte più importante della
propria attività non necessariamente con questo o quell’ente locale ma con
tali enti complessivamente considerati. 71Di conseguenza, l’attività da
prendere in considerazione nel caso di
un’impresa detenuta da vari enti locali è quella realizzata da detta impresa
con tutti questi enti. 72Dalle considerazioni che precedono deriva che si
deve risolvere la
seconda parte della seconda questione nel senso che, nel valutare se
un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente
pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della
direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale
impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’amministrazione
aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo
trattarsi della stessa amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle
prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività.
124
(Omissis) 1) La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
forniture, osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di
servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per
azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di
gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato
attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a
sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. 2) La
condizione d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale
l’impresa cui è stato direttamente affidato un appalto di fornitura deve
svolgere la parte più importante dell’attività con l’ente pubblico che la
detiene non va accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva del
Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono
servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni. 3) Nel valutare se un’impresa svolga la parte più
importante della sua attività con l’ente pubblico che la detiene, al fine di
decidere in merito all’applicabilità della direttiva 93/36, si deve tener conto
di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un
affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice,
indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della
stessa amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate,
mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività.
125
DIRETTIVA 2014/23/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
DEL 26 FEBBRAIO 2014 SULL'AGGIUDICAZIONE DEI CONTRATTI DI
CONCESSIONE (ART. 17)
28.3.2014 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 17 -
Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico 1. Una concessione
aggiudicata da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente
aggiudicatore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), a una persona
giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito
di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte
tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente
aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo
analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 %
delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate
nello svolgimento dei compiti ad essa affidati
dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore controllante
o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione
aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi; e c) nella persona
giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di capitali privati
diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non
comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni
legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non
esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di
cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), eserciti su una persona giuridica un
controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi ai sensi del
126
presente paragrafo, primo comma, lettera a), quando esercita un’influenza
decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della
persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da
una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo
dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. 2. Il
paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è
un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di cui
all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), aggiudica una concessione
all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che lo controlla
oppure a un’altra persona giuridica controllata dalla stessa amministrazione
aggiudicatrice o ente aggiudicatore, purché non vi sia partecipazione di
capitali privati diretti nella persona giuridica cui viene aggiudicata la
concessione, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che
non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni
legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano
un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. 3.
Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di cui
all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), che non eserciti su una persona
giuridica di diritto pubblico o di diritto privato un controllo ai sensi del
paragrafo 1 del presente articolo, può nondimeno aggiudicare una
concessione a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva
qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a)
l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore di cui all’articolo 7,
paragrafo 1, lettera a), esercitano congiuntamente con altre
amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori su detta persona
giuridica un controllo analogo a quello da essi esercitato sui propri servizi;
127128129
b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello
svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni
aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori controllanti o da altre persone
giuridiche controllate dalle stesse amministrazioni aggiudicatrici o enti
aggiudicatori; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna
partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere
di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità
dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona
giuridica controllata. Ai fini del presente paragrafo, primo comma, lettera a),
le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori di cui all’articolo
7, paragrafo 1, lettera a), esercitano congiuntamente il controllo su una
persona giuridica qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti
da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti
aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare
varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori
partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono
in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli
obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona
giuridica; e iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi
contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti
aggiudicatori controllanti.
4. Un contratto concluso esclusivamente fra due o più amministrazioni
aggiudicatrici o enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera
a), non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva qualora
siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o
realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti
aggiudicatori partecipanti, finalizzata a fare in modo che i servizi
pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di
conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b)l’attuazione di tale
cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse
pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori
partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attività
interessate dalla cooperazione; 5. Per determinare la percentuale delle
attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo
comma, lettera b), e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il
fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività,
quali i costi sostenuti dalla persona giuridica, l’amministrazione
aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore di cui all’articolo 7, paragrafo 1,
lettera a), in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori
per i tre anni precedenti l’aggiudicazione della concessione. Se, a causa
della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica,
amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore in questione, ovvero a
causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura
alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni
precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare,
segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è
credibile.
DIRETTIVA 2014/24/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
DEL 26 FEBBRAIO 2014 SUGLI APPALTI PUBBLICI E CHE ABROGA LA
DIRETTIVA 2004/18/CE (ART. 12)
28.3.2014 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 12 -
Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico 1. Un appalto
pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona
giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di
applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte
le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla
persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa
esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività della persona
giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei
compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice
controllante o da altre persone giuridiche controllate
dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e c) nella persona
giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali
privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non
comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni
legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano
un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona
giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi
della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli
obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica
controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona
130
giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo
dall’amministrazione aggiudicatrice. 2. Il paragrafo 1 si applica anche
quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione
aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione
aggiudicatrice controllante o ad un altro soggetto giuridico
controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione
che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto
pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad
eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano
controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza
determinante sulla persona giuridica controllata. 3. Un’amministrazione
aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato
o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno
aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la
presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre
amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui
trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80
% delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento
dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici
controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni
aggiudicatrici di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta
di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati
che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni
131132133
legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano
un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Ai fini
del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici
esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono
soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della
persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le
amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti
possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di
esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi
strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la
persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti. 4. Un contratto concluso
esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra
nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono
soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o
realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti,
finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere
siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in
comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente
da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni
aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 %
delle attività interessate dalla cooperazione.
5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo
comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4,
lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea
misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona
giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei
servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione
dell’appalto. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività
della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione,
ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la
misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre
anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare,
segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è
credibile.
DIRETTIVA 2014/25/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
DEL 26 FEBBRAIO 2014 SULLE PROCEDURE D'APPALTO DEGLI ENTI
EROGATORI NEI SETTORI DELL ’ACQUA, DELL’ENERGIA, DEI TRASPORTI E
DEI SERVIZI POSTALI E CHE ABROGA LA DIRETTIVA 2004/17/CE (ART. 28)
28.3.2015 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 28 -
Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici 1. Un appalto aggiudicato
da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto
pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione
della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti
condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona
giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui
propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica
controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad
essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da
altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice
di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna
partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati che non comporta controllo o potere di
veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità
dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona
giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona
giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi
del primo comma, lettera a), qualora essa eserciti un’influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative
della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere
134
esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo
stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. 2. Il paragrafo 1 si
applica anche quando una persona controllata che è un’amministrazione
aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione
aggiudicatrice controllante o ad un’altra persona giuridica controllata dalla
stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella persona
giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna
partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati che non comporta controllo o potere di
veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei
trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona
giuridica controllata. 3. Un’amministrazione aggiudicatrice che non
eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo
ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto a tale
persona giuridica senza applicare la presente direttiva, se sono
soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione
aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni
aggiudicatrici su tale persona giuridica un controllo analogo a quello da
esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale
persona giuridica viene effettuato nello svolgimento dei compiti ad essa
affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre
persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui
trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di
capitali privati diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali
privati che non comporta controllo o potere di veto, prescritte dalle
135136137
disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non
esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Ai fini della lettera a), si ritiene che le amministrazioni aggiudicatrici
esercitino su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono
soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della
persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le
amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti
possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di
esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi
strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica
controllata; iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi
contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti. 4.
Un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni
aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente
direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il
contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni
aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a fare in modo che i servizi pubblici
che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli
obiettivi che esse hanno in comune; b) l’attuazione di tale
cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni relative
all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti
svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla
cooperazione.
5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo
comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4,
lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea
misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla pertinente
persona giuridica nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre
anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto. Se, a causa della data di
costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica pertinente,
ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la
misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i
tre anni precedenti o non è più pertinente, basta che esso dimostri,
segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è
credibile.
D.L. 4 LUGLIO 2006 N. 223 - DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO
ECONOMICO E SOCIALE, PER IL CONTENIMENTO E LA RAZIONALIZZAZIONE
DELLA SPESA PUBBLICA, NONCHÈ INTERVENTI IN MATERIA DI ENTRATE E
DI CONTRASTO ALL'EVASIONE FISCALE - ART. 13
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 luglio 2006, n. 153 - Convertito in
legge dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 con modificazione
(conversione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2006, n. 186)
13. Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e
locali e a tutela della concorrenza.
1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del
mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le
società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate
dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni
e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività,
con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o
delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di
enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui
all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di
funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a
favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con
gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel
138
territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione
finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre
1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o
enti159. 2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e
non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società
di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono
cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non
consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata
società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del
periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel
primo periodo del presente comma160.
4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto,
in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi,
fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la
data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di
aggiudicazione bandite prima della predetta data161.
159 Il comma è stato modificato dal comma 4-septies dell'art. 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, e successivamente dal comma 1 dell’art. 48, L. 23 luglio 2009, n. 99. 160 Il comma è stato modificato dal comma 4-septies dell'art. 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, e successivamente dal comma 1 dell’art.
48, L. 23 luglio 2009, n. 99. 161 Comma così modificato prima dal comma 720 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, poi dal comma 7 dell'art. 4, D.L. 3 giugno 2008, n. 97 ed infine dal comma 1-bis dell'art. 20, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, aggiunto dalla relativa legge di conversione.
139
LEGGE 27 DICEMBRE 2013, N. 147 - DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE
DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE DI
STABILITÀ 2014) - ARTICOLO 1, COMMI 550 - 568
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302, S.O.
Articolo 1 550. Le disposizioni del presente comma e dei commi da 551
a 562 si applicano alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società
partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di
cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Sono
esclusi gli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico
di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché le società
emittenti
strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro controllate.
551. Nel caso in cui i soggetti di cui al comma 550 presentino un risultato
di esercizio o saldo finanziario negativo, le pubbliche amministrazioni
locali partecipanti accantonano nell'anno successivo in apposito fondo
vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente
ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Per le
società che redigono il bilancio consolidato, il risultato di esercizio è quello
relativo a tale bilancio. Limitatamente alle società che svolgono servizi
pubblici a rete di rilevanza economica, compresa la gestione dei rifiuti, per
risultato si intende la differenza tra valore e costi della produzione ai sensi
dell'articolo 2425 del codice civile. L'importo accantonato è reso
disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in
cui l'ente partecipante ripiani la perdita di esercizio o dismetta la
140
partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Nel caso
in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite
negli esercizi precedenti l'importo accantonato viene reso disponibile agli
enti partecipanti in misura corrispondente e proporzionale alla quota di
partecipazione. 552. Gli accantonamenti di cui al comma 551 si
applicano a decorrere dall'anno 2015. In sede di prima applicazione, per
gli anni 2015, 2016 e 2017: a) l'ente partecipante di soggetti che hanno
registrato nel triennio 2011- 2013 un risultato medio negativo accantona,
in proporzione alla quota di partecipazione, una somma pari alla differenza
tra il risultato conseguito nell'esercizio precedente e il risultato medio
2011-2013 migliorato, rispettivamente, del 25 per cento per il 2014, del
50 per cento per il 2015 e del 75 per cento per il 2016. Qualora il risultato
negativo sia peggiore di quello medio registrato nel triennio 2011-2013,
l'accantonamento è operato nella misura indicata dalla lettera b); b) l'ente
partecipante di soggetti che hanno registrato nel triennio 2011- 2013 un
risultato medio non negativo accantona, in misura proporzionale alla quota
di partecipazione, una somma pari al 25 per cento per il 2015, al 50 per
cento per il 2016 e al 75 per cento per il 2017 del risultato negativo
conseguito nell'esercizio precedente.
553. A decorrere dall'esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 a
partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche
amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di
economicità e di efficienza. Per i servizi pubblici locali sono individuati
parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell'ambito della
141142
banca dati delle Amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 della
legge 31 dicembre 2009, n. 196, utilizzando le informazioni disponibili
presso le Amministrazioni pubbliche. Per i servizi strumentali i parametri
standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato. 554. A
decorrere dall'esercizio 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a
partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche
amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti
pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della
produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato
economico negativo, procedono alla riduzione del 30 per cento del
compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il
conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi
rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Quanto
previsto dal presente comma non si applica ai soggetti il cui risultato
economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento
preventivamente approvato dall'ente controllante. 555. A decorrere
dall'esercizio 2017, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque
esercizi precedenti, i soggetti di cui al comma 554 diversi dalle società
che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione entro sei
mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo
all'ultimo esercizio. In caso di mancato avvio della procedura di
liquidazione entro il predetto termine, i successivi atti di gestione sono
nulli e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci.
556.All'articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 19
novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni, le parole da: «, con
esclusione» fino a: «forniti dalle stesse.» sono sostituite dalle seguenti: «.
Le società, nonché le loro controllanti, collegate e controllate che, in Italia
o all'estero, sono destinatarie di affidamenti non conformi al combinato
disposto degli articoli 5 e 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n.
1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, e
la cui durata ecceda il termine del 3 dicembre 2019, non possono
partecipare ad alcuna procedura per l'affidamento dei servizi, anche se già
avviata. L'esclusione non si applica alle imprese affidatarie del servizio
oggetto di procedura concorsuale.». 557. All'articolo 18 del decreto-
legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale
si applicano, in relazione al regime previsto per l'amministrazione
controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di
affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte
a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale
né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica
amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura
pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004,
n. 311. Si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle
rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli
oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per
143
consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti
medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione
individuale e alla retribuzione accessoria. A tal fine, su atto di indirizzo
dell'ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la
concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla
retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro
vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, le
società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono
escluse dall'applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo.
Per queste società, l'ente locale controllante, nell'esercizio delle prerogative
e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei citati vincoli
assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno
adottate con propri provvedimenti. Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di riferimento
possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime
limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e
istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici
e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo
restando l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio
e di contenimento della spesa di personale». 558. All'articolo 76 del
citato decreto-legge n. 112 del 2008, il comma 7 è così modificato: a) al
terzo periodo, dopo le parole: «Ai fini del computo della percentuale di
cui al primo periodo si calcolano le spese sostenute anche dalle» sono
inserite le seguenti: «aziende speciali, dalle istituzioni e»;
144
b) il quarto periodo è sostituito dal seguente: «Entro il 30 giugno 2014, con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i
Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, d'intesa con la
Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al primo periodo, al
fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in
termini aggregati». 559. All'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 5 è
abrogato; b) al comma 6, le parole da: «nonché» a: «degli
amministratori» sono sostituite dalle seguenti: «nonché i vincoli
assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente
locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-
legge n. 112 del 2008». 560. Il comma 5-bis dell'articolo 114 del testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito
dal seguente: «5-bis. Le aziende speciali e le istituzioni si iscrivono e
depositano i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle
notizie economico-amministrative della camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31
maggio di ciascun anno». 561. Il comma 32 dell'articolo 14 del decreto-
legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, è abrogato. 562. Al decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell'articolo 4 e i commi da 1 a 7
145146147148
dell'articolo 9 sono abrogati; b) al comma 4 dell'articolo 4 le parole:
«delle società di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «delle
società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del
2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di
servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento
dell'intero fatturato». 563. Le società controllate direttamente o
indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, o dai loro enti strumentali, ad esclusione di quelle emittenti
strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle
stesse controllate, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 31 del
medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, possono, sulla base di un
accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del consenso del
lavoratore, processi di mobilità di personale anche in servizio alla data di
entrata in vigore della presente legge, in relazione al proprio fabbisogno
e per le finalità dei commi 564 e 565, previa informativa alle
rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni
sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato, in
coerenza con il rispettivo ordinamento professionale e senza oneri
aggiuntivi per la finanza pubblica. Si applicano i commi primo e terzo
dell'articolo 2112 del codice civile. La mobilità non può comunque
avvenire tra le società di cui al presente comma e le pubbliche
amministrazioni.
564. Gli enti che controllano le società di cui al comma 563 adottano, in
relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi
esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento
economico-finanziario secondo appositi piani industriali, atti di indirizzo
volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di
risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione di personale
mediante le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 563. 565.
Le società di cui al comma 563, che rilevino eccedenze di personale, in
relazione alle esigenze funzionali o ai casi di cui al comma 564, nonché
nell'ipotesi in cui l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al
50 per cento delle spese correnti, inviano alle rappresentanze sindacali
operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del
contratto collettivo dalla stessa applicato un'informativa preventiva in cui
sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili
professionali del personale in eccedenza. Tali informazioni sono
comunicate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non possono
essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove
assunzioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 7, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012, n. 135. 566. Entro dieci giorni dal ricevimento
dell'informativa di cui al comma 565, si procede, a cura dell'ente
controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in
eccedenza nell'ambito della stessa società mediante il ricorso a forme
flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società
controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali con le modalità
previste dal comma 563. Si applica l'articolo 3, comma 19, della legge 28
giugno 2012, n. 92, e successive modificazioni.
567. Per la gestione delle eccedenze di cui al comma 566, gli enti
controllanti e le società partecipate di cui al comma 563 possono
concludere accordi collettivi con le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative finalizzati alla realizzazione, ai sensi
del medesimo comma 563, di forme di trasferimento in mobilità dei
dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al
di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da
eccedenze di personale. 568. Al fine di favorire le forme di mobilità, le
società di cui al comma 563 possono farsi carico, per un periodo massimo di
tre anni, di una quota parte non superiore al 30 per cento del trattamento
economico del personale interessato dalla mobilità, nell'ambito delle
proprie disponibilità di bilancio e senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica. Le somme a tal fine corrisposte dalla società
cedente alla società cessionaria non concorrono alla formazione del
reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell'imposta regionale
sulle attività produttive.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 13 MARZO 2014, N. 1181 (INNOVAPUGLIA
S.P.A. CONTRO MEGATREND SRL, REGIONE PUGLIA)
(Omissis) Motivi della decisione (Omissis) Nel merito il Collegio deve
ritenere inaccoglibili i motivi sub nn. 4 e 5 di InnovaPuglia (nonché i
pertinenti motivi di merito proposti dalla Regione Puglia), con specifico
riferimento all'insussistenza nel caso di specie del requisito del controllo
analogo che giustifica l'affidamento diretto in oggetto, benché per
argomentazioni diverse da quelle esposte dal TAR nella sentenza
impugnata. Infatti, dall'esame analitico dello statuto sociale emerge con
certezza che InnovaPuglia s.p.a. non possiede il requisito, prescritto dalla
giurisprudenza comunitaria e nazionale, per configurare il controllo analogo
da parte della Regione socia (cfr. la fondamentale sentenza della Corte di
Giustizia 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, nonché la sentenza 11
gennaio 2005, C26/03, Stadt Halle e la sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03,
Parking Brixen; quindi, le sentenze del Consiglio di Stato n. 7636-04, 962-06,
1513-07, Ad. Plenaria 1-08, 2765-09, 5808-09, 7092-10 ed 1447-11; le
pronunce della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3
maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283;
nonché le sentenze della Corte costituzionale, da ultimo, 20 marzo 2013,
n. 46 e 28 marzo 2013, n. 50).
In specifico, come è noto, il controllo analogo a quello esercitato sui servizi
dell'ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi
149
rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si
traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione
dell'attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che
l'ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria. Giova ancora
ricordare come già la giurisprudenza Europea abbia ammesso la possibilità
che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purché si tratti
sempre di enti pubblici (si vedano le sentenze della Corte di giustizia 10
settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13 novembre 2008, n. 324/07, Coditel
Brabant), e come nel medesimo senso si sia espresso, del tutto
persuasivamente, anche questo Consiglio di Stato (si vedano, tre le altre,
le pronunce n. 7092-10 ed 8970-09). Inoltre, occorrerà pur sempre,
comunque, che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione
a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano
titolari. Nel caso di specie, cominciando dall'esame delle clausole
statutarie da cui il TAR ha ricavato l'insussistenza del requisito del controllo
analogo, deve rilevarsi che al momento dell'affidamento in house
(aprile/maggio del 2009) non vi era alcuna partecipazione di soggetti
privati al capitale di InnovaPuglia, essendo unico socio la Regione Puglia
e che lo statuto di InnovaPuglia, nella sua versione originaria (da
ultimo, ulteriormente rafforzata nel senso di vietare qualsiasi altra
partecipazione), non prevedeva alcun obbligo di apertura del capitale a
soggetti privati, in quanto consentiva la partecipazione solo della Regione,
di Enti locali e di società pubbliche ubicate in Puglia, escludendo così
soggetti privati.
Dunque, non vi sono elementi, tratti dall'anzidetta clausola di cedibilità, che
possano far pensare ad un indebolimento o, addirittura, all'esclusione del
150151152153154155
controllo analogo (cfr., da ultimo, sul punto, le sentenze della Corte di
Giustizia UE 10 settembre 2011, C-573-07 e 17 agosto 2008, C-135-05).
Se questa è l'unica conclusione possibile sulla base dell'analisi testuale e
letterale dello statuto di InnovaPuglia, cade anche il passaggio
motivazionale del TAR, secondo cui, ai sensi dell'art. 13, punto 3, dello
statuto, ove si dispone che l'Assemblea dei soci nomina e revoca
l'Amministratore unico ovvero i componenti del Consiglio di
Amministrazione ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione, in
combinato disposto con l'art. 8, ove entrassero a far parte della compagine
sociale soggetti privati, gli stessi sarebbero chiamati a concorrere alla
nomina o revoca dell'organo amministrativo della società. Infatti, una
volta chiarito che i soggetti privati non possono in nessun modo essere
ammessi a partecipare ad Innova Puglia (a maggior ragione dopo la
modifica dello statuto di Innova Puglia), tale argomentazione rimane priva
di fondamento. Tuttavia, a conferma del fatto che non possa comunque
riconoscersi il requisito del controllo analogo, milita un argomento diverso
e più ampio, legato al concetto stesso di controllo analogo, valorizzando,
quindi, quanto affermato dal TAR medesimo che ha osservato che lo
Statuto di InnovaPuglia "contempla penetranti poteri dell'organo
amministrativo (art. 19)", in tal modo individuando un'ulteriore carenza
dei requisiti del controllo analogo. Infatti, come ha chiarito la
giurisprudenza già richiamata, il controllo analogo è un controllo non di
matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da un maggioranza
assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo, paragonabile ad
un controllo di tipo gerarchico.
Infatti, la società in house, lungi dall'essere qualificabile nella sostanza
come ente di diritto privato è, in realtà, come recentemente affermato dalla
Corte di Cassazione, assimilabile ad un ente pubblico (cfr. le pronunce
citate della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio
2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283); dunque, i
rapporti con l'ente pubblico non possono che essere qualificabili come
rapporti pubblicistici, come appena evidenziato, risolvendosi quindi il
controllo analogo come controllo di tipo amministrativo, e, in specifico, un
controllo di tipo gerarchico. Pertanto, deve essere posto l'accento
sulla particolare intensità del controllo: i controlli in presenza dei quali
si verifica il fenomeno dell'in house possono essere analizzati prendendo in
prestito le coordinate previste per gli analoghi controlli effettuati sugli organi
tradizionali dalle pubbliche amministrazioni. I controlli devono essere al
tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni
e sui comportamenti (cfr. già la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 6
maggio 2002, n. 2418): sugli organi nel senso che l'ente locale deve avere il
potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti
degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione
nella misura in cui l'ente affidante, oltre al potere di direttiva e di
indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare
quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i
contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti
della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762).
In linea di principio, come è noto, il regime civilistico dei poteri del socio
non soddisfa quel parametro di intensità e di cogenza che è invece
necessario perché vi sia una vera e propria mortificazione dell'autonomia
manageriale, che sola giustifica l'affidamento in house: si pensi al periodo
che intercorre tra la revoca di un amministratore e la nomina di uno nuovo,
ove il controllo societario non garantisce la sindacabilità di atti medio
tempore adottati e potenzialmente lesivi. A questi fini è allora
necessario che accanto alle prerogative sociali, e quindi ai poteri che
l'ente locale esercita come socio secondo le regole civilistiche, vi siano
anche intensi e significativi poteri pubblicistici concernenti gli atti più
significativi che contrastino con le direttive e con gli indirizzi impartiti dallo
stesso ente locale (Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5; sez.
VI, 3 marzo 2007, n. 1514). Anche la Corte di Giustizia con la citata
sentenza Parking Brixen del 13 novembre 2005, n. 458, si è espressa in
merito al rapporto tra il controllo analogo e la totalità del pacchetto
sociale (sulla cui necessità si era già espressa con le pronunce del 11
gennaio 2005, C-26/03 e del 21 luglio 2005, C-231/03). In questa
pronuncia si chiarisce come nel caso in cui il c.d.a. conservi una autonomia
di spesa (fino a 5.000.000 Euro nel caso di specie) anche a fronte della
totalità dell'azionariato pubblico, resta ferma la possibilità di effettuare
operazioni aventi grande importanza economica ed amministrativa,
senza convocare l'assemblea e senza l'approvazione o l'autorizzazione
preventiva; ciò rende evidente che residua un'autonomia manageriale non
contrastata sufficientemente dalla totalità del pacchetto azionario.
Quindi, occorre chiarire che è necessario che il consiglio di
amministrazione della Società affidataria "in house" non abbia rilevanti
poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante (nella specie la totalità dei
soci pubblici), eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri
di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto
societario, che sono invece caratterizzati da un margine di rilevante
autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria (cfr. la
fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 26 agosto 2009, n.
5082). Risulta, quindi, indispensabile che tutte le decisioni più importanti
siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante. Nel
caso di specie, né dall'art. 8, né dall'art. 13, come deducono gli
appellanti, si possono evincere controlli di tipo gerarchico come quelli
appena descritti. Così come la norma statutaria, rubricata "Attività di
direzione e controllo esercitate dalla Regione Puglia" elenca una serie di atti
sui quali la Regione Puglia esercita il controllo preventivo, che pur
avendo evidente valore strategico per le politiche aziendali della
società, non esauriscono né comprimono del tutto i poteri dell'organo di
amministrazione, limitandolo alle sole operazioni ordinarie e
burocratiche, come appena detto. Neutro è, invece, dal punto di vista
della configurazione del controllo analogo, l'art. 18 dello statuto di
Innova Puglia che stabilisce, per quanto riguarda l'organo di
amministrazione che "la Società è amministrata da un Amministratore
Unico o da un Consiglio di Amministrazione composto da tre a cinque
membri, eletti dall'Assemblea, anche tra non soci, su indicazione della
Regione Puglia"; così come è neutro la composizione del predetto Consiglio
di Amministrazione.
Parimenti è irrilevante, per le medesime finalità, la deliberazione della
Giunta Regionale n. 8 del 13 gennaio 2009, in atti, anche se adottata nel
gennaio 2009 prima che venissero adottate le deliberazioni di affidamento
in house n. 516 del 7 aprile 2009 e n. 751 del 7 maggio 2009, che pur
chiarendo che la Regione intende "esercitare poteri maggiori rispetto a
quelli che il diritto societario riconosce a chi detiene la maggioranza del
capitale sociale. In particolare, tali maggiori poteri si devono tradurre in
un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni
importanti della società". Infatti, tale ultimo intendimento, per essere
positivamente apprezzato, deve tradursi in pertinenti clausole statutarie che
comprimano del tutto, nel senso sopra precisato, i poteri dell'organo di
amministrazione, affidandoli direttamente agli organi regionali
competenti, cosa che nella specie, come detto, non si è verificata. Gli
appelli, pertanto, devono respingersi anche nel merito. (Omissis)
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
previa riunione degli appelli come in epigrafe indicati,
definitivamente pronunciando sull'appello principale di InnovaPuglia e
sull'appello della Regione Puglia, li respinge. Respinge l'appello
incidentale. (Omissis)
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 27 SETTEMBRE 2013, N. 22209 (ASIDEV
ECOLOGICA S.R.L. CONTRO FALLIMENTO ASIDEV ECOLOGICA S.R.L.,
INTERNATIONAL FACTORS ITALIA S.P.A)
Con l'unico motivo di ricorso Asidev Ecologica s.r.l. contesta di essere
assoggettabile a fallimento. Sostiene che l'errore interpretativo
compiuto dalla corte territoriale nel pervenire alla contraria soluzione
deriva dall'altrettanto errato utilizzo del criterio "tipologico", che risolve
il problema dell'assoggettabilità a fallimento della società partecipata
da un ente pubblico in base all'accertamento, indipendente dalla veste
giuridica formale da essa assunta, della sua effettiva natura (pubblica o
privata), anzichè del diverso e più corretto criterio "funzionale" o
"sostanzialistico" che, rinunciando alla pretesa di qualificazione della
società, si propone di individuare il regime giuridico applicabile attraverso
una valutazione di compatibilità della disciplina di diritto privato con le
specifiche normative di settore dettate dal legislatore per l'attività di
impresa da essa svolta. Per illustrare l'inutilità del tentativo di individuare
uno "statuto" unitario delle società a prevalente (o totalitaria)
partecipazione pubblica, la ricorrente rileva che dette società,
ancorchè soggette ad una serie di normative pubblicistiche, sono
disciplinate dal diritto privato per altri profili ed, in particolare, per ciò
che riguarda le controversie interne fra organi sociali e fra questi ultimi e
i soci, spettanti alla giurisdizione del giudice ordinario.
Proseguendo nel ragionamento, Asidev osserva, ancora, che le condizioni
richieste per l'applicazione delle diverse normative non sono omogenee,
con la conseguenza che alcune società in mano pubblica sono soggette
156
all'applicazione dell'intera disciplina richiamata, mentre ad altre possono
essere applicati solo "spezzoni" di disciplina e che la natura e l'intensità del
collegamento fra l'ente pubblico e la società da questo partecipata,
necessari ai fini dell'applicazione della disciplina di settore pubblicistica,
sono estremamente variabili, spaziando dal "controllo analogo" richiesto
per la legittimità degli affidamenti in house, alla qualifica di "organismo di
diritto pubblico" ai fini dell'assoggettamento alle norme dettate per gli
appalti di opere pubbliche, alla mera natura di "attività di pubblico
interesse" per l'applicazione della normativa sul diritto di accesso. Rileva,
infine, a suggello della tesi dell'inutilità dell'indagine concernente la natura
giuridica pubblica o privata delle società in mano pubblica ai fini
dell'individuazione della normativa loro applicabile, che l'assoggettamento
delle stesse alla disciplina pubblicistica non discende da tale natura ed è
prevista solo quando il legislatore (o la giurisprudenza) la reputino
necessaria per la tutela di interessi di natura pubblicistica o collettiva che
presiedono all'agire della P.A. che, in ragione della loro veste privatistica,
esse potrebbero legittimamente ignorare. A dire della ricorrente,
abbandonata la strada percorsa dalla corte di merito, per stabilire se
determinate discipline pubblicistiche possano applicarsi a soggetti
formalmente privati occorre piuttosto guardare, di volta in volta, agli
interessi protetti da quelle discipline; con la precisazione che la scelta (ad
es. in materia di appalti) è stata talvolta già compiuta dal legislatore,
mentre altre volte è rimessa alla valutazione degli interpreti (come nel caso
della giurisdizione amministrativa sugli atti).
Secondo Asidev questo criterio può essere utilmente seguito anche
nell'affrontare il tema dell'assoggettamento delle società in mano pubblica
al fallimento. In proposito la ricorrente deduce che la ragione per la quale
157158159160161162163164165166167168169170
la L. Fall., art. 1, prevede la non fallibilità degli enti pubblici risiede
nell'incompatibilità della procedura, avente carattere di esecuzione generale
e fine di tutela dell'intero ceto creditorio, rispetto all'ordinaria attività
dell'ente pubblico, che ne resterebbe paralizzata, con conseguente
impedimento per l'ente di perseguire l'interesse pubblico in vista del quale è
stato istituito; aggiunge che gli organi della procedura concorsuale non
potrebbero mai sostituirsi agli organi politici di gestione, non essendo
ammissibile un'interferenza di tipo giudiziario nella sovranità dell'ente.
Ciò premesso, Asidev sottolinea come il fallimento di alcune società a
partecipazione pubblica non pregiudicherebbe alcuno degli interessi tutelati
dall'art. 1 cit., laddove, per altre società, la lesione sarebbe in re ipsa. Le
società appartenenti a questa seconda categoria sono individuate dalla
ricorrente nelle partecipate che presentano il carattere della necessità, nel
senso che la loro esistenza e la loro operatività sono considerate necessarie
dall'ente territoriale, che intrattiene con le stesse rapporti connessi a tale
valutazione ed affida loro lo svolgimento di determinati servizi pubblici
essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi (quale è, per
l'appunto, il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti); nè, a dire della
ricorrente, il carattere necessario della società sarebbe escluso dalla
possibilità per l'ente di revocare la concessione, posto che la necessità può
essere anche temporanea e perciò permanere fino a quando la concessione
non venga affidata ad un altro soggetto.
Gli effetti immediati del fallimento, che sono lo spossessamento del
debitore e la cessazione dell'attività di impresa, pregiudicherebbero,
secondo Asidev, l'interesse pubblico all'esecuzione continuativa e regolare
del servizio pubblico essenziale svolto dalla partecipata e il pregiudizio non
potrebbe essere evitato neppure disponendo l'esercizio provvisorio, che è
istituto volto alla tutela esclusiva dei creditori concorsuali.
Sotto altro profilo, la ricorrente rileva come, per effetto del fallimento,
verrebbe ad essere attribuito al giudice il potere di decidere in ordine
all'eventuale prosecuzione dell'attività di impresa da parte della società
nonchè in ordine al possibile affidamento a terzi (attraverso l'affitto
d'azienda) del servizio pubblico essenziale, e si verificherebbe una
inammissibile sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità
amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere tipicamente
pubblicistico, di dubbia compatibilità con i principi costituzionali che
regolano l'agire della P.A. e che riservano agli enti pubblici la titolarità
delle funzioni amministrative. Sulla scorta di tali considerazioni, Asidev
assume di non essere assoggettabile a fallimento in ragione della sua natura
di ente necessario e strumentale della P.A., cui sono stati affidati precisi
compiti e doveri in funzione della migliore tutela della salute pubblica,
minacciata dall'emergenza rifiuti verificatasi nella Regione Campania.
Richiama, a conferma del proprio assunto, il testo della convenzione
stipulata con il Prefetto di Napoli con la quale le sono state affidate, in
regime di concessione, la realizzazione e la gestione di un impianto di
trattamento dei rifiuti solidi urbani ubicato nel territorio del Comune di
Ariano Irpino, in località (OMISSIS), ed osserva ulteriormente: 1) che,
secondo quanto espressamente indicato nelle premesse dell'atto, la
convenzione è stata stipulata sul presupposto "della necessità, dell'urgenza
e dell'opportunità dell'opera... al fine di fronteggiare la grave situazione di
pericolo determinatasi nel territorio della Regione Campania nel settore
dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani"; 2) che, a mente del comb. disp.
degli artt. 4 ed 8 del contratto, essa non aveva libertà di scegliere il proprio
cliente nè di negoziare il prezzo del servizio reso; 3) che dunque erano
previste precise limitazioni della sua libertà contrattuale non altrimenti
motivate che dal suo asservimento all'interesse pubblico; 4) che la sua
attività successiva alla stipula è stata dettata, in modo analitico e
vincolante, dalle varie ordinanze emesse dal Commissario Straordinario di
Governo per l'emergenza rifiuti in Campania; 5) che anche la chiusura della
discarica, così come le sue periodiche e temporanee riaperture, sono state
disposte con ordinanze del Commissario Straordinario, tutte fondate sui
presupposti della necessità ed urgenza ed ai fini della tutela della salute
pubblica, 6) che, ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 12 comma 3, anche
dopo la chiusura essa, quale gestore, è rimasta responsabile della
manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase post- operativa
(che dura per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare
rischi per l'ambiente) ed ha puntualmente assolto a tale compito,
sostenendo elevati costi di gestione il cui accollo non avrebbe alcuna
spiegazione se non si riconoscesse il suo asservimento all'interesse
pubblico. Conclude ribadendo che le società a partecipazione pubblica che
rivestono carattere necessario per l'ente pubblico in ragione dell'attività
svolta non possono essere dichiarate fallite perchè sussiste un'oggettiva
incompatibilità fra la tutela dell'interesse pubblico e la normativa
fallimentare. Ad avviso di questo giudice, la complessa censura sin qui
sintetizzata non merita accoglimento.
Il fenomeno delle società a partecipazione pubblica non è certo nuovo nel
nostro ordinamento: il codice civile del 1942 già dettava, agli artt. 2458,
2459 e 2460 c.c., le disposizioni applicabili, in tema di nomina e revoca
degli amministratori e dei sindaci, alle "società con partecipazione dello
Stato o di altri enti pubblici (ed a quelle il cui atto costitutivo prevedesse,
pur in mancanza di una partecipazione azionaria, che la nomina di uno o
più amministratori e sindaci spettasse alla P.A.) ma, per lungo tempo, non
si è dubitato che si trattasse di società di diritto comune, interamente
soggette alla disciplina civilistica (e perciò anche alla legge fallimentare),
distinte dagli enti pubblici (economici) aventi ad oggetto esclusivo o
principale un'attività di impresa (art. 2201 c.c.), ma non fallibili ai sensi
dell'art. 2221 c.c. ed L. Fall., art. 1, comma 1. A partire quantomeno
dall'ultimo decennio del secolo scorso, il contesto politico-economico di
riferimento ha però subito un innegabile mutamento: il progressivo
assottigliarsi della linea di confine fra l'agire pubblico e l'agire privato,
l'abbandono di una concezione autoritativa della P.A. in favore di una sua
concezione funzionale, nella quale i poteri di cui essa è dotata sono intesi
come meramente strumentali alla tutela dell'interesse pubblico, il
convincimento diffuso che tale interesse possa essere maggiormente
garantito attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune, indubbiamente
più snelli di quelli usualmente a disposizione dell'apparato burocratico, la
fiducia nelle capacità del "mercato" di stimolare la competitività, e
quindi di regolamentare al meglio anche attività di contenuto
economico tipicamente riservate alla pubblica amministrazione, hanno dato
luogo alla sempre più diffusa costituzione (al vero e proprio proliferare) di
società c.d. pubbliche, a partecipazione integralmente pubblica o mista,
pubblica- privata, o sottoposte ad una particolare influenza da parte di enti
pubblici, aventi ad oggetto la gestione non solo di beni proprietà pubblica,
ma di servizi di interesse pubblico, in precedenza erogati dallo Stato o dagli
enti territoriali attraverso aziende municipalizzate.
Non è invece mutato il quadro normativo generale: il legislatore ha ribadito
la scelta favorevole alla riconducibilità delle società pubbliche fra quelle di
diritto comune sia con il D.Lgs. n. 3 del 2003, di riforma del diritto
societario, che ha sostituito agli artt. 2458/60 gli artt. 2449 e 2450 c.c.
(quest'ultimo, fra l'altro - relativo all'attribuzione allo Stato o ad altri enti
pubblici privi di partecipazione azionaria della facoltà di nomina di
amministratori e sindaci - abrogato, a seguito dell'avvio di una procedura
d'infrazione da parte della Commissione europea, dal D.L. n. 10 del 2007,
art. 3, comma 1, convenuto nella L. n. 46 del 2007), sia col D.Lgs. n. 5 del
2006 di riforma del diritto fallimentare, che non ha modificato il R.D. n.
267 del 1942, art. 1, comma 1. E, come sottolineato da autorevole
dottrina, neppure le innumerevoli disposizioni normative speciali che,
nel corso degli anni, sono state emanate in tema di società pubbliche,
costituiscono un corpus unitario, sufficiente a regolamentarne attività e
funzionamento ed a modificarne la natura di soggetti di diritto privato,
così da sottrarle espressamente alla disciplina civilistica.
La sempre più stretta commistione fra la sfera pubblica e quella privata ha,
nel contempo, condotto all'emanazione di numerose leggi speciali
applicabili ad enti, società pubbliche e società formalmente private,
accomunati dall'agire in settori di pubblico interesse: in questa sede, a mero
titolo esemplificativo, si possono citare il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3,
comma 26 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture), che definisce organismo pubblico, cui è imposto il rispetto delle
norme dettate per gli appalti pubblici, qualsiasi organismo, anche in forma
societaria, istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse
generale, aventi carattere non industriale o commerciale e dotato di
personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto
pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi
oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia
costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli
enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico" e la L. n.
241 del 1990, art. 22, come modificato dalla L. n. 15 del 2005, art. 15, che
prevede il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei
documenti detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività
di pubblico interesse e che, alla lettera e), ricomprende nella nozione di
pubblica amministrazione "tutti i soggetti di diritto pubblico ed i soggetti di
diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o comunitario". Tuttavia, è proprio
dall'esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse
delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di
diritto privato, che può ricavarsi a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali
soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica. In altre
occasioni è stata la giurisprudenza a ritenere applicabili alle società pubbliche
o, comunque, attive in settori di pubblico interesse, determinate discipline
pubblicistiche: Cass. S.U. n. 9096/05 ha affermato che la
qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sè sufficiente
ad escluderne la natura di istituzione pubblica e quindi ad impedire
l'iscrizione nell'apposito albo speciale dell'avvocato operante presso il suo
ufficio legale;
Cass. S.U. n. 4511/06 (seguita da altre pronunce conformi) ha riconosciuto
la giurisdizione della Corte dei conti in relazione a fattispecie di danno
erariale cagionato da società beneficiane dell'erogazione di fondi pubblici,
attraverso i quali erano state chiamate a partecipare alla realizzazione di un
programma imposto dalla P.A.; Cass. S.U. n. 26806/09 ha ritenuto che
l'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione
pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori spetta alla
giurisdizione della Corte dei conti ogni qualvolta trovi fondamento nel
comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o
comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente
trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il
valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori
o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione
sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità
pubbliche ed implicante l'utilizzo di risorse pubbliche, o da arrecare
pregiudizio al suo patrimonio (con la precisazione che, in quest'ultimo
caso, l'azione erariale concorre con l'azione civile di responsabilità). Le
sentenze citate, nel prevedere l'applicabilità a società di capitali di
norme pubblicistiche solo a specifici fini, non si pongono però in contrasto
con il principio giurisprudenziale costantemente enunciato, a partire da
Cass. n. 58/79 (proprio in una fattispecie in cui si discuteva della fattibilità
di una s.p.a.
concessionaria dello stato e partecipata da enti pubblici), secondo cui una
società non muta la sua natura di soggetto privato solo perchè un ente
pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale; le numerose pronunce
che ribadiscono tale principio (per tutte, Cass. S.U. n. 7799/05) trovano
fondamento nell'incontestabile rilievo che il rapporto tra società ed ente
pubblico è di assoluta autonomia, posto che l'ente può incidere sul
funzionamento e sull'attività della società non già attraverso l'esercizio di
poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti
previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli
organi sociali di sua nomina. In materia fallimentare, proprio in questa
logica, ancor di recente la Suprema corte ha avuto occasione di affermare
che una società per azioni il cui statuto non evidenzi poteri speciali di
influenza ed ingerenza dell'azionista pubblico, ulteriori rispetto a quelli
previsti dal diritto societario, ed il cui oggetto sociale non contempli attività
di interesse pubblico da esercitarsi in forma prevalente, comprendendo,
invece, attività di impresa pacificamente esercitabili da società di diritto
privato, non perde la sua qualità di soggetto privato - e, quindi, ove ne
sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale fallibile - per il fatto
che essa, partecipata da un comune, svolga anche funzioni amministrative e
fiscali di competenza di quest'ultimo (Cass. n. 21991/012).
Nel contesto frammentario e multiforme di cui si è cercato sommariamente
di dar conto si è tuttavia fatta strada la tesi, di recente avanzata anche nella
giurisprudenza di merito, che vi sono società partecipate aventi sostanziale
natura giuridica pubblica, desumibile in via interpretativa da taluni indici
(in linea di massima, e di volta in volta, ravvisati in limitazioni statutarie
all'autonomia degli organi societari, nell'esclusiva titolarità pubblica del
capitale, nell'ingerenza nella nomina degli amministratori da parte di organi
promananti dallo stato, nell'erogazione di risorse pubbliche per il
raggiungimento dello scopo), le quali vanno equiparate ad ogni effetto (e
dunque anche ai fini della loro esenzione dal fallimento) agli enti pubblici.
Va subito detto che la tesi mal si concilia con la perdurante vigenza del
principio generale stabilito dalla L. n. 70 del 1975, art. 4, che, nel prevedere
che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non
per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non
attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi
desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco.
Essa, peraltro, non può essere condivisa alla luce di un'analisi del fenomeno
societario nelle diverse fasi che lo caratterizzano. Va in primo luogo
escluso che peculiarità, tali da giustificare l'equiparazione ad un ente
pubblico di società a partecipazione pubblica, si rinvengano sul piano del
soggetto, ossia dell'ente giuridico "società", e del modo in cui sono
disciplinati la sua organizzazione ed il suo funzionamento, e i rapporti
esistenti, al suo interno, fra i diversi organi che vi operano. E ciò vale
anche nel caso in cui norme legislative o statutarie pongano limiti alla
autonomia degli organi deliberativi, posto che la volontà negoziale
della società pubblica, pur se determinata da atti propedeutici
dell'amministrazione, si forma e si manifesta secondo le regole del diritto
privato. Ad analoga conclusione deve giungersi avuto riguardo al piano
dell'attività, cioè dei rapporti che la società, in quanto soggetto
riconosciuto dall'ordinamento come dotato di una propria capacità
giuridica e di agire, instaura con i terzi. Eventuali norme speciali che siano
volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al
suo capitale e la designazione dei suoi organi, non incidono, infatti, sul
modo in cui essa opera nel mercato nè possono comportare il venir meno
delle ragioni di tutela dell'affidamento dei terzi contraenti contemplate
dalla disciplina privatistica.
Il discorso è indubbiamente più delicato quando si passa ad esaminare il
piano della funzione, ossia dello scopo per il cui perseguimento la società è
costituita ed agisce, non potendosi tacere che nell'operare di talune società
pubbliche, in specie di quelle affidatane di pubblici servizi, non è sempre
dato ravvisare quell'attività economica a scopo di lucro che l'art. 2247 c.c.,
tuttora indica come elemento caratteristico di ogni società di capitali.
Ma, non potendosi al contempo disconoscere che il modello societario è
andato negli anni assumendo connotati sempre più elastici, sostanzialmente
svincolandosi dalla tradizionale alternativa fra causa di lucro e causa
mutualistica, sino a divenire un contenitore adattabile a diverse finalità (si
pensi, ad es., alle società sportive di cui alla L. n. 91 del 1981), l'eventuale
divergenza causale rispetto allo scopo lucrativo non appare sufficiente ad
escludere che, laddove sia stato adottato il modello societario, la natura
giuridica e le regole di organizzazione della partecipata restino quelle
proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice
civile. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, si può, in definitiva,
concordare con l'assunto della ricorrente, secondo cui non è possibile
enucleare, in via descrittiva, uno statuto unitario delle società in mano
pubblica, le quali (come può accadere anche a società a capitale
interamente privato) sono assoggettate alle normative pubblicistiche nei
settori di attività in cui assume rilievo la natura pubblica dell'interesse
perseguito, da realizzare attraverso disponibilità finanziarie pubbliche,
senza che per questo possa predicarsene l'appartenenza ad un tertium
genus, qualificabile come società- ente, sottratto in foto al diritto comune.
Ciò che non può condividersi è invece il corollario che da tale premessa
Asidev Ecologica intende trarre, che si sostanzia nell'affermazione che la
verifica dell'applicabilità alle società in mano pubblica di discipline di
settore pubblico o privato, in difetto di specifiche disposizioni normative,
va compiuta di volta in volta, a seconda della materia di riferimento ed in
vista degli interessi tutelati dal legislatore. In tale ottica, per venire al tema
che in questa sede interessa, secondo la ricorrente non potrebbero essere
dichiarate fallite le società partecipate (fra le quali essa si annovera) aventi
carattere necessario per l'ente territoriale, ovvero quelle che svolgono un
servizio pubblico essenziale, la cui esecuzione continuativa e regolare
verrebbe ad essere pregiudicata dalla dichiarazione di fallimento. La
prima, facile, obiezione che può muoversi a tale assunto è che ciò che
rileva nel nostro ordinamento ai fini dell'applicazione dello statuto
dell'imprenditore commerciale non è il tipo dell'attività esercitata, ma la
natura del soggetto: se così non fosse, seguendo fino in fondo la tesi, si
dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale
interamente privato cui sia affidata in concessione la gestione di un servizio
pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate dal fallimento.
Neppure è persuasivo l'argomento che, dalla necessità del servizio pubblico
gestito, vorrebbe far derivare la necessità del soggetto privato che lo eroga,
con conseguente sua esenzione dal fallimento. Va intanto ricordato che
il D.L. n. 134 del 2008, convertito dalla L. n. 166 del 2008, detta norme
specifiche in materia di ristrutturazione industriale di grandi imprese in crisi
che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali, proprio al
fine di assicurare che questi non subiscano interruzioni, ma non
esclude che tali imprese siano sottoposte alla procedura di
amministrazione straordinaria. Risulterebbe pertanto privo di coerenza un
sistema che, per contro, esonera dalla procedura concorsuale ordinaria i
gestori di servizi pubblici essenziali che non raggiungono le soglie
dimensionali necessarie per accedere a quella di amministrazione
straordinaria.
Venendo, più specificamente al tema delle società partecipate da enti locali,
la complessa disciplina ricavabile dal D.Lgs. n. 267 del 2008, artt. 112 e
118 (T.U.E.L.) e dalle successive leggi di modifica e/o di integrazione
mantiene fermo il principio della separatezza fra titolarità degli impianti,
delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici
(che devono restare di proprietà degli enti, salvo che questi non li
conferiscano a società a capitale interamente pubblico e incedibile) e
attività di erogazione dei servizi, che può essere affidata anche a soggetti
privati (L. n. 138 del 2011, art. 4, comma 28). Il fallimento della
partecipata, ancorchè, in ipotesi, costituta all'unico scopo di gestire un
determinato servizio pubblico, non preclude dunque all'ente locale, rimasto
proprietario dei beni necessari all'esercizio di quel servizio, di affidarne la
gestione ad un nuovo soggetto. Infine, il pericolo derivante dal rischio di
interruzione del servizio, per il tempo necessario all'ente locale ad
affidarlo ad un nuovo gestore, può essere evitato attraverso il ricorso
all'istituto dell'esercizio provvisorio, previsto dalla L. Fall., art. 104. Va
condivisa sul punto la tesi, avanzata in dottrina e seguita anche dalla
giurisprudenza di merito, secondo cui nel valutare la ricorrenza di un
danno grave, in presenza del quale autorizzare l'esercizio provvisorio, il
tribunale può tenere conto non solo dell'interesse del ceto creditorio, ma
anche della generalità dei terzi, fra i quali ben possono essere annoverati i
cittadini che usufruiscono del servizio erogato dall'impresa fallita.
Nè si comprende sotto quale profilo l'autorizzazione alla continuazione
temporanea dell'esercizio dovrebbe comportare una inammissibile
sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità amministrativa,
che aveva in precedenza scelto il soggetto cui affidare la gestione e che
continuerebbe ad intrattenere con questo, per la durata dell'esercizio, i
medesimi rapporti che vi intratteneva prima della dichiarazione di
fallimento. Deve dunque concludersi, secondo quanto è stato correttamente
rilevato in dottrina, che la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di
determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse
pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste
assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione
principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano
in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli
strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la
necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di
trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse
forme e con le stesse modalità. Le considerazioni sin qui svolte rendono
superfluo l'esame delle questioni di fatto illustrate dalla ricorrente al fine di
dimostrare la sua qualità di ente strumentale e necessario per la P.A.
Poichè le parti intimate non hanno svolto attività difensiva, non v'è luogo
alla liquidazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il
ricorso. Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2013
CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 25 NOVEMBRE 2013, N. 26283
(PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO
PRESSO LA CORTE DEI CONTI CONTRO R.S.A E ALTRI)
(Omissis) 1. Le sezioni unite sono nuovamente chiamate a stabilire se
sussista, ed eventualmente entro quali limiti, la giurisdizione della Corte dei
conti nei confronti di soggetti che abbiano svolto funzioni
amministrative o di controllo in società di capitali (nella specie una società
per azioni) costituite e partecipate da enti pubblici, quando a quei soggetti
vengano imputati atti contrari ai loro doveri d'ufficio con conseguenti
danni per la società. Su tale questione, come più diffusamente si dirà tra
un momento, questa corte è già intervenuta negli ultimi anni con molteplici
pronunce. Conviene dire subito, però, che la fattispecie ora in esame presenta
una connotazione particolare, cui solo di sfuggita v'era stata occasione di far
cenno in alcune precedenti occasioni: cioè che la società asseritamente
danneggiata dai propri gestori ed organi di controllo presenta le
caratteristiche di una cosiddetta società in house.
Cosa con tale espressione debba intendersi e perchè ciò rilevi ai fini della
giurisdizione lo si chiarirà meglio in seguito. Qui giova sottolineare che la
qualifica della ETM come società in house del Comune di Civitavecchia
discende da un accertamento in fatto compiuto dal giudice di primo grado,
il quale ne ha dato dettagliatamente atto nella propria sentenza (si vedano,
in particolare, le pagg. 9 e 10), nella quale è infatti puntualizzato: che
l'anzidetta società è stata costituita dall'ente pubblico comunale, il quale ne
è l'unico socio e le cui azioni non possono essere neppure parzialmente
alienate a terzi; che essa ha per oggetto l'esercizio del servizio di trasporto
171
pubblico locale e di altri servizi inerenti alla mobilità urbana ed extraurbana
(quali il servizio degli ausiliari della sosta e quello dei parcheggi); che la
parte più importante dell'attività sociale è svolta in favore del comune
partecipante; e che sulla medesima società detto comune esercita un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. A tali
accertamenti non risulta siano state mosse contestazioni specifiche negli
atti di gravame proposti dagli interessati contro la sentenza di primo grado,
nè il giudice d'appello li ha rimessi in discussione, in punto di fatto, sicchè
(pur non risultando possibile in questa sede l'esame diretto dello statuto
della società ETM, non prodotto agli atti del giudizio di cassazione) si può
tenere senz'altro per fermo che la società di cui si discute presenta le
caratteristiche sopra riferite. 2. Si è già ricordato all'inizio come sul tema
della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori ed
organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici le sezioni
unite di questa corte si siano già ripetutamente espresse, sin da quando
ha cominciato ad avere grande diffusione il fenomeno dell'uso dello
strumento societario privato da parte delle pubbliche amministrazioni
anche per la realizzazione di finalità tipicamente pubblicistiche, e poi con
crescente frequenza negli ultimi anni. Sarebbe inutile ripercorrere qui le
diverse tappe di questo iter giurisprudenziale, al quale ovviamente
anche la dottrina ha dato il suo apporto critico, pur manifestando
posizioni talora alquanto divaricate. Converrà solo richiamare brevemente
i punti salienti dell'orientamento da ultimo consolidatosi, diffusamente
esposti nella sentenza n. 26806 del 2009 (alla quale anche la giurisprudenza
successiva si è allineata quasi senza eccezioni: si vedano, ad esempio,
Sez. un. 10299/13, 7374/13, 20940/11,
20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10).
172173174175176177178179180181182183184185186187188
2.1. Premesso che l'art. 103 Cost., comma 2, impone, al di fuori delle
materie di contabilità pubblica, di trovare il fondamento della giurisdizione
della Corte dei conti in una specifica disposizione di legge (rinvenibile
all'origine nella previsione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13,
secondo cui la Corte dei conti giudica sulla responsabilità per danni arrecati
all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro funzioni, con il
successivo ampliamento dovuto alla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1,
comma 4, che ha esteso il giudizio della stessa Corte dei conti alla
responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni
cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di
appartenenza), la richiamata pronuncia delle sezioni unite muove da un
duplice rilievo: anzitutto che nell'attuale assetto normativo il perseguimento
delle finalità istituzionali proprie della pubblica amministrazione si realizza
anche mediante attività disciplinate in tutto o in parte dal diritto privato,
onde il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è
rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico della stessa pubblica
amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato -
nel quale si colloca la condotta produttiva del danno; in secondo luogo, che
le società di capitali eventualmente costituite o comunque partecipate da
enti pubblici per il perseguimento delle finalità loro proprie non cessano sol
per questo di essere delle società di diritto privato, la cui disciplina, se non
diversamente disposto, riposa tuttora sulle norme dettate dal codice civile,
come confermato anche dal dettato dell'art. 2449 dello stesso codice (nella
cui relazione accompagnatoria è detto infatti espressamente che "è lo Stato
medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per
assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove
possibilità realizzatrici").
In ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità
giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente
autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne
impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed è titolare di un proprio
patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le
quote di partecipazione. Pertanto, non solo risulta impossibile imputare
personalmente agli amministratori o ad altri soggetti investiti di cariche
sociali la titolarità del rapporto di servizio intercorrente tra l'ente pubblico e
la società cui sia stato affidato l'espletamento di compiti riguardanti un
pubblico servizio, ma soprattutto non può dirsi arrecato alla pubblica
amministrazione il danno che gli atti di mala gestio, posti in essere dagli
organi sociali, abbiano inferto al patrimonio della società. La
responsabilità nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi
in genere che grava sugli organi sociali, assoggettati alle medesime norme
sia quando designati dai soci secondo le regole generali dettate in proposito
dal codice sia quando eventualmente designati dal socio pubblico in forza
dei particolari poteri a lui spettanti (art. 2449 cit., comma 2), opera quindi
sempre nei termini stabiliti dall'art. 2392 c.c. e segg., non
diversamente che in qualsivoglia altra società privata.
Di conseguenza il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio
sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di
responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo
a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della
Corte dei conti: perchè non implica alcun danno erariale, bensì unicamente
un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al
patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci
- pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote
di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti
nel patrimonio sociale medesimo. E l'esattezza di tale conclusione trova
conferma anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente
coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi
al giudice contabile e l'esercizio delle azioni di responsabilità (sociale e dei
creditori sociali) contemplate dal codice civile. Risulta viceversa
configurabile l'azione del procuratore contabile quando sia volta a far
valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di
controllo della società partecipata dall'ente pubblico che sia stato
danneggiato dall'azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza
indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente.
Si è allora innegabilmente in presenza di un cosiddetto danno erariale, ossia
di un danno provocato dall'agente al patrimonio dell'ente pubblico, come ad
esempio accade nel caso del danno all'immagine della pubblica
amministrazione, la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione
del giudice contabile è confermata dal disposto della L. 3 agosto 2009, n.
102, art. 17, comma 30 ter, (quale risulta dopo le modifiche apportate dal
d.l. in pari data, n. 103, convertito con ulteriori modificazioni nella L. 3
ottobre 2009, n. 141). E' in questo quadro di principi generali che deve
essere perciò letta anche la disposizione della L. 28 febbraio 2008, n. 31,
art. 16 bis, (che ha convertito il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248), la quale ha
introdotto per le società quotate un'eccezione alla giurisdizione contabile da
riferire, appunto, alla sola area in cui detta giurisdizione risulterebbe
altrimenti applicabile.
L'azione del procuratore contabile appare poi anche configurabile nei
confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno
arrecato al patrimonio sociale, bensì) di chi, quale rappresentante dell'ente
partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia
colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così
pregiudicando il valore della partecipazione. Ciò che ben può accadere
quando il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli
amministratori o agli organi di controllo della società partecipata, trascuri
ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia
direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della
partecipazione. 3. Il collegio è persuaso che l'orientamento ora
richiamato, ispirato dall'esigenza di ricondurre la soluzione del problema
di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a
fondamento del sistema ordinamentale, debba essere in via generale tenuto
fermo, anche alla luce della normativa sopravvenuta. Normativa alla
quale il carattere spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze
contingenti impediscono di assumere una valenza sistematica, che vada
oltre il dettato della singola disposizione, onde parrebbe quanto mai
azzardato il voler trarre da essa argomenti di ordine generale, tali da
incidere sui principi giuridici su cui è basata la citata giurisprudenza di
questa corte in materia, o anche solo indici dell'esistenza di principi in
tutto o in parte diversi da quelli. La disciplina speciale dettata per le
cosiddette società pubbliche - come anche la più attenta dottrina non ha
mancato di rilevare - non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema
conchiuso ed a sè stante, ma continua ad apparire come un insieme di
deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione.
Ciò dicasi, in particolare, per l'inclusione delle società a partecipazione
pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera
di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di
beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal
Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, (convertito con
modificazioni dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), inclusione ovviamente ispirata
dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa
pubblica, ma che non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni
effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta
norma si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società
partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità e per i
conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a
tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli enti locali (articolo
introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni
dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213).
Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art.
4, (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare
regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti
dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a
partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato
il citato art. 2449 c.c. - che s'è visto essere coerente con l'inquadramento
generale di tali enti, per tutto il resto, nel novero delle società azionarie
soggette alla disciplina privatistica - ed, anzi, il comma 13 del medesimo
art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e
salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione
pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Il
che dimostra con evidenza come non possa essere in alcun modo attribuita
una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di
tale disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente
comma 12, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette
società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi
precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i
compensi erogati in virtù dei contrati stipulati".
Nè in virtù di tali disposizioni, nè di altre altrettanto frammentarie e
disorganiche che sono sparse nell'ordinamento e delle quali sarebbe qui
superfluo dare dettagliatamente conto, è dato insomma sottrarsi alla
drastica alternativa già precedentemente segnalata: alternativa per la quale,
fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico
partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità
dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di
risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al
patrimonio della società potrebbe fondarsi soltanto: o su una previsione
normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno
arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico
bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo possibile, ma che allo
stato non appare individuabile in termini generali nell'ordinamento - ;
oppure sull'attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente
pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi
senz'altro come danno erariale. Soluzione, quest'ultima, che appare però
ben difficilmente predicabile, perchè trova un solido ostacolo nel disposto
della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, a tenore del quale occorre l'intervento
del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e pare difficile dubitare
che siffatta norma esprima un principio di ordine generale, ove si consideri
la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati
nel riconoscimento della natura pubblica di un ente. Di modo che, se in via
di principio può ammettersi che un siffatto riconoscimento sia desumibile
anche per implicito da una o più disposizioni di legge, occorre nondimeno
che la volontà del legislatore in tal senso risulti da quelle disposizioni in
modo assolutamente inequivoco. Ma, quanto alle società a partecipazione
pubblica, lungi dal ravvisarsi disposizioni normative che
inequivocabilmente attribuiscano loro la qualifica di ente pubblico, s'è già
visto come il legislatore si sia preoccupato a più riprese di ribadirne, in via
generale e fatta salva l'applicazione di singole regole speciali,
l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile per le società di
diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto di riparto di
giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una
disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la
Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse: si vedano Sez. un.
22 dicembre 2009, n. 27092). 4. Nelle considerazioni ora svolte assume
un ruolo centrale, come s'è già sottolineato, la distinzione tra la società di
capitali (soggetto di diritto privato) ed i propri soci (ancorchè
eventualmente pubblici). Distinzione che - è appena il caso di ricordarlo - in
via di principio non vien meno neppure nell'eventualità in cui la società sia
unipersonale ed il capitale sociale appartenga quindi ad un unico
socio, in base alle regole di matrice comunitaria introdotte nel nostro
ordinamento prima per le sole società a responsabilità limitata e poi anche
per le società azionarie.
E' proprio partendo da questo profilo che si manifesta, però, la necessità di
un'ulteriore riflessione quando ci si trovi in presenza di quel particolare
fenomeno giuridico, al quale si è già dovuto far cenno all'inizio di questa
sentenza, che ha trovato ampia diffusione negli ultimi decenni e che va
sotto il nome di in house providing. 4.1. La direttiva 2006/123/Ce, relativa
ai servizi nel mercato interno, lascia liberi gli Stati membri di decidere le
modalità organizzative della prestazione dei servizi d'interesse economico
generale (art. 1, par. 6). E' perciò certamente consentito che, in conformità
ai principi generali del diritto comunitario, gli enti pubblici scelgano se
espletare tali servizi direttamente o tramite terzi e che, in quest'ultimo caso,
individuino diverse possibili forme di esternalizzazione, ivi compreso il
l'affidamento a società partecipate dall'ente pubblico medesimo. In tale
ambito, peraltro, si possono dare ipotesi ben distinte: l'affidamento a
società totalmente estranee alla pubblica amministrazione, l'affidamento a
società con azionariato misto, in parte pubblico ed in parte privato, ed
infine l'affidamento a società c.d. in house. Solo in quest'ultimo caso la
Corte di Giustizia Europea (sin dalla nota sentenza Teckal del 18 novembre
1999, n. 107/98) ha escluso la necessità del preventivo ricorso a procedure
di evidenza pubblica, muovendo dal presupposto che non sussistono
esigenze di tutela della concorrenza quando la società affidataria sia
interamente partecipata dall'ente pubblico, eserciti in favore del medesimo
la parte più importante della propria attività e sia soggetta al suo controllo
in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico dell'ente
sui propri stessi uffici. Siffatte indicazioni sono state pienamente recepite,
in ambito nazionale, sia dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (si
vedano tra le tante, a mero titolo d'esempio, le pronunce n. 7636/04,
962/06, 1513/07, 2765/09, 5808/09, 7092/10 ed 1447/11), sia da ultimo
dalla Corte dei conti (si veda la sentenza n. 546/13). Anche queste stesse
sezioni unite hanno avuto occasione, sia pur fuggevolmente, di farvi
recentemente riferimento (si vedano le ordinanze del 5 aprile 2013, n.
8352, e del 3 maggio 2013, n. 10299) se ne è occupata più volte, infine, la
Corte costituzionale (da ultimo nella sentenza 20 marzo 2013, n. 46, sulla
quale si dovrà poi brevemente tornare).
Pur trattandosi all'origine di una figura di stampo eminentemente
giurisprudenziale, la società in house non ha tardato ad acquisire
cittadinanza anche nella legislazione nazionale. Se ne trova menzione in
molteplici sparse disposizioni normative, talvolta con mero richiamo alle
caratteristiche richieste dalla citata giurisprudenza Europea, altre volte con
più specifica indicazione dei requisiti occorrenti perchè tale figura ricorra.
Particolare risalto assume, in questo contesto, il disposto dell'art. 113,
comma 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti a locali
(D.Lgs. n. 267 del 2000), come riformulato dal D.L. 30 settembre 2003, n.
269, art. 14, (convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n.
326), che, in presenza di determinate condizioni, consente espressamente
l'affidamento di servizi pubblici, anzichè ad imprese terze da individuare
mediante procedure di evidenza pubblica, a società di capitali costituite per
quello scopo e partecipate totalitariamente da soci pubblici, purchè esse
realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli
enti che le controllano e purchè questi ultimi esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. E' dunque
possibile considerare ormai ben delineati nell'ordinamento i connotati
qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di
pubblici servizi e definita dai tre requisiti già più volte ricordati: la natura
esclusivamente pubblica dei soci, l'esercizio dell'attività in prevalenza
a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente
a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Ma s'intende che, per
poter parlare di società in house, è necessario che detti requisiti sussistano
tutti contemporaneamente e che tutti trovino il loro fondamento in precise
e non derogabili disposizioni dello statuto sociale.
4.2. Poche brevi osservazioni paiono ancora opportune per meglio
puntualizzare le tre caratteristiche salienti della società in house. In
ordine alla prima di esse giova ricordare come già la giurisprudenza
Europea abbia ammesso la possibilità che il capitale sociale faccia capo ad
una pluralità di soci, purchè si tratti sempre di enti pubblici (si vedano le
sentenze della Corte di giustizia 10 settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13
novembre 2008, n. 324/07, Coditel Brabant), e come nel medesimo senso si
sia espresso, del tutto persuasivamente, anche il Consiglio di Stato (si
vedano, tre le altre, le pronunce n. 7092/10 ed 8970/09). E' quasi superfluo
aggiungere che occorrerà pur sempre, comunque, che lo statuto inibisca in
modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni
societarie di cui gli enti pubblici siano titolari.
Il requisito della prevalente destinazione dell'attività in favore dell'ente o
degli enti partecipanti alla società, pur presentando innegabilmente un
qualche margine di elasticità, postula in ogni caso che l'attività accessoria
non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale
concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi. Ma, come
puntualizzato da Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 439 (anche sulla scorta
della giurisprudenza comunitaria: si veda, in particolare, la sentenza della
Corte di Giustizia 11 maggio 2006, n. 340/04, Carbotermo), non si tratta di
una valutazione solamente di tipo quantitativo, da operare con riguardo
esclusivo al fatturato ed alle risorse economiche impiegate, dovendosi
invece tener conto anche di profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo
in cui l'attività accessoria eventualmente si ponga. In definitiva - e
segnatamente per quel che interessa ciò che si andrà a dire in ordine alla
reale natura delle società in house ai fini del riparto di giurisdizione - quel
che soprattutto importa è che l'eventuale attività accessoria, oltre ad essere
marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla
prestazione del servizio d'interesse economico generale svolto dalla società
in via principale. Quanto infine al requisito del cosiddetto controllo
analogo, quel che rileva è che l'ente pubblico partecipante abbia
statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative
della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a
trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica.
L'espressione "controllo" non allude perciò, in questo caso, all'influenza
dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è
di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso,
sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando
direttamente esercitato sulla gestione dell'ente con modalità e con
un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente
spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal
codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata
nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (si vedano, in tal senso,
le chiare indicazioni di Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1, e della
conforme giurisprudenza amministrativa che ne è seguita). 4.3. Le
caratteristiche ora sommariamente descritte - e soprattutto la terza - bastano a
rendere evidente l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama
del diritto societario.
E' già anomalia non piccola il fatto che si abbia qui a che fare con società di
capitali non destinate (se non in via del tutto marginale e strumentale) allo
svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro, così da dover operare
necessariamente al di fuori del mercato. Forse entro certi limiti una siffatta
anomalia la si potrebbe ancora giustificare, in un contesto storico nel quale
la causa lucrativa delle società di capitali è andata via via sbiadendosi in
favore di una concezione che vede in quelle società dei modelli
organizzativi utilizzabili per scopi diversi. Ma ciò che davvero è difficile
conciliare con la configurazione della società di capitali, intesa quale
persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e
per il cui tramite essa stessa agisce, è la totale assenza di un potere
decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi
organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione
sociale.
Si potrebbe obiettare che il fenomeno della eterodirezione di società non è
certo sconosciuto al diritto societario, e che anzi, dopo la riforma attuata
col D.Lgs. n. 6 del 2003, esso ha trovato esplicito riconoscimento nell'art.
2497 c.c. e segg.. Ma non è la stessa cosa. Nei gruppi societari il potere di
direzione e coordinamento spettante all'ente capogruppo attiene
all'individuazione delle linee strategiche dell'attività d'impresa senza mai
annullare del tutto l'autonomia gestionale della società controllata. Gli
amministratori di quest'ultima sono perciò tenuti ad adeguarsi alle direttive
loro impartite, ma conservano nondimeno una propria sfera di autonomia
decisionale (giacchè, pur con gli adattamenti resi necessari dall'esser parte
di un gruppo imprenditoriale più vasto, continua ad applicarsi alla singola
società il disposto dell'art. 2380 bis c.c., comma 1) nè, soprattutto, essi
possono prescindere dal valutare se ed in qual misura quelle direttive
eventualmente comprimano in modo indebito l'interesse della stessa società
controllata: interesse di cui sono garanti ed in virtù del quale hanno il
dovere, se del caso, di discostarsi da direttive illegittime. La disciplina della
direzione e del coordinamento dettata dai citato art. 2497 e segg., insomma,
è volta a coniugare l'unitarietà imprenditoriale della grande impresa con la
perdurante autonomia giuridica delle singole società agglomerate nel
gruppo, che restano comunque entità giuridiche e centri d'interesse distinti
l'una dalle altre. Altrettanto non sembra potersi dire invece per la società in
house, sia per la già ricordata subordinazione dei suoi gestori all'ente
pubblico partecipante, nel quadro di un rapporto gerarchico che non lascia
spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso, sia
per l'impossibilità stessa d'individuare nella società un centro d'interessi
davvero distinto rispetto all'ente pubblico che la ha costituita e per il quale
essa opera. Allo stesso modo, ove si abbia a che fare con una società a
responsabilità limitata, non sembra possibile ricondurre sic et simpliciter
il "controllo analogo", caratteristico del fenomeno dell'in house, ad uno dei
"particolari diritti riguardanti l'amministrazione" che l'atto costitutivo può
riservare ad un socio (art. 2468 c.c., comma 3): giacchè neppure siffatti
diritti speciali di amministrazione sono equiparabili, in presenza di un
amministratore non socio, ad un rapporto di natura gerarchica da cui
quest'ultimo sia vincolato, restando comunque intatto il suo primario dovere
di perseguire l'interesse sociale, che conserva pur sempre un qualche grado di
autonomia rispetto a quello personale del socio.
La società in house, come in qualche modo già la sua stessa denominazione
denuncia, non pare invece in grado di collocarsi come un'entità posta al di
fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria
articolazione interna. E' stato osservato, infatti, che essa non è altro che una
longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento
pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di
configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 46/13,
cit.); di talchè "l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto
all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi
propri dell'amministrazione stessa" (così Cons. Stato, Ad. plen., n.
1/08, cit.). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è
dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non
si realizza più in termini di alterità soggettiva. L'uso del vocabolo
società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più
specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va
desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa
come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro
decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non
è più possibile parlare. 5. Alla luce di quanto fin qui detto si comprende
bene come le conclusioni cui questa corte è pervenuta nell'individuare i
limiti della giurisdizione del giudice contabile nelle cause riguardanti la
responsabilità degli organi di società a partecipazione pubblica non
possano valere, tal quali le si è esposte nei paragrafi 2 e 3 della presente
sentenza, anche quando si tratti di società in house. Non possono valere
perchè - ciò sia detto quanto meno ai limitati fini del riparto di giurisdizione
- queste ultime hanno della società solo la forma esteriore ma, come s'è
visto, costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica
amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa
esterni e da essa autonomi.
Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli
gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono
essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori
delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero
munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la
medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad
un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi
che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto
di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai
servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. L'analogia tra le due
situazioni, che si è visto essere una delle caratteristiche salienti del
fenomeno dell'in house, non giustificherebbe una conclusione diversa nei
due casi, nè quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di
relativa giurisdizione. D'altro canto, se non risulta possibile configurare
un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house
che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il
patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di
separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Dal che discende
che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio della
società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito
un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è
arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile
all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione
alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di
responsabilità.
6. Il ricorso deve quindi esser accolto, in base al principio di diritto qui di
seguito enunciato: "La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di
responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte
quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi
sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per
tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser
soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore
degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme
di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri
uffici". (Omissis) P.Q.M. La corte accoglie il ricorso e cassa l'impugnata
sentenza, dichiarando che la Corte dei conti ha giurisdizione sulla
presente causa, che rinvia alla medesima Corte dei conti. Così deciso
in Roma, il 8 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2013
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. UNITE (ORDINANZA), 12 FEBBRAIO 2014, N.
3201 (Z.C., O.M., CONTRO PROCURATORE REGIONALE RAPPRESENTANTE
IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA
CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE SEDE TRENTO
E ALTRI)
(Omissis) che: - a partire dalla sentenza n. 26806 del 2009, alla quale
anche la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni (si
vedano, ad esempio, Sez. un. 10299/13, 8352/13, 7374/13, 20940/11,
20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10), questa corte
è ferma nell'affermare che, in via generale, spetta al giudice
ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni
subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte
illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso
configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della
società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico
titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o
ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei
conti; - la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento del
danno cagionato a società partecipate da enti pubblici è stata ravvisata solo in
casi affatto particolari, quale quello della Rai Radio Televisione Italiana spa,
in considerazione delle speciali regole di fonte legale cui è assoggettato il suo
statuto, così da farne sostanzialmente un ente pubblico;
189
- tale orientamento giurisprudenziale è stato ancor di recente ribadito nella
sentenza n. 26283 del 2013, che tuttavia ha individuato un'altra particolare
situazione in cui la giurisdizione della Corte dei conti può esplicarsi in
presenza della denuncia di un danno arrecato al patrimonio di una società a
partecipazione pubblica dagli organi della stessa: quando la relativa azione
sia diretta a far valere la responsabilità di chi impersona tali organi (o
eventualmente di dipendenti) per il pregiudizio cagionato ad una società in
house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti
pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente siffatti enti
possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività
prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto
assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti
pubblici sui propri uffici; - alla stregua di tale orientamento
giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano qui motivi per discostarsi,
deve escludersi che nel presente caso sussista la giurisdizione del giudice
contabile; - infatti la Autostrade del Brennero s.p.a. nè è retta da una
qualche disciplina legale che la collochi su di un piano significativamente
diverso da quello di altre società a partecipazione pubblica cui siano stati
affidati in concessione pubblici servizi, nè presenta le caratteristiche della
società in house, quali sopra sinteticamente indicate;
- non si ravvisa, in particolare, una previsione statutaria che escluda il
concorso dell'azionariato privato (essendo anzi pacifico che una quota del
capitale sociale è di fatto in mano a soci privati), nè l'obbligo di esplicare la
propria attività prevalentemente in favore degli enti pubblici ad essa
partecipanti, e neppure è documentata la sottoposizione degli organi
amministrativi della società a quella forma di rapporto gerarchico, rispetto
190191
agli enti pubblici partecipanti, che configura il requisito del cosiddetto
"controllo analogo"; P.Q.M. La corte, pronunciando sui ricorsi, dichiara
che la Corte dei conti non ha giurisdizione nella vertenza di cui trattasi.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2014
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. UNITE, 10 MARZO 2014, N. 5491 (C.F. CONTRO
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI)
(Omissis) Motivi
della decisione
(Omissis)
Sul tema della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori
ed organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici queste
Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato il principio secondo cui
"spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di
risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per
effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non
essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità
giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente
pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato
allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della
Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando
l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale
rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di
decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri
diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione,
ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da
compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente
pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante
l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo
patrimonio" (v. Cass. S.U. 19-12-2009 n. 26806, nonchè Cass. S.U.
192
519/2010, 4309/2010, 14655/2011, 20940/2011, 20941/2011, 7374/2013,
10299/2013, 20075/2013). Tale orientamento, fondato sul ruolo centrale
della distinzione tra società di capitali (soggetto di diritto privato) ed i
propri soci (ancorchè eventualmente pubblici) - distinzione che non
viene meno neppure nell'eventualità in cui la società sia unipersonale -, è
stato tenuto fermo da queste Sezioni Unite, anche alla luce della
normativa sopravvenuta in materia di società a partecipazione pubblica, la
quale, per il suo carattere spesso frammentario e contingente, non assume
le caratteristiche di un sistema conchiuso ed sè stante, ma appare come un
insieme di deroghe alla disciplina generale.
Proprio partendo da tale quadro, queste Sezioni Unite hanno da ultimo
evidenziato la necessità di una ulteriore riflessione con riferimento
all'ipotesi in cui ci si trovi in presenza di quel particolare fenomeno
giuridico che va sotto il nome di "in house providing", e, sulla base della
direttiva 2006/123/CE e delle indicazioni della Corte di Giustizia Europea
recepite in ambito nazionale (v., fra l'altro, Corte Cost. n. 46/2013, Cass.
S.U. n. 8352/2013 e n. 10299/2013), hanno affermato il principio in base al
quale "la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità
esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione
sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da
essi cagionati al patrimonio di una società "in house", così dovendosi
intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di
pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci,
che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli
enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di
193194195196197198199
controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici"
(v. Cass. S.U. 25-11-2013 n. 26283). Tali requisiti, come è stato
precisato, devono sussistere tutti contemporaneamente e devono tutti
trovare il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello
statuto sociale. In particolare, sul primo requisito è stato chiarito che è
possibile che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purchè
si tratti sempre di enti pubblici, e che occorre pur sempre, comunque,
che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a
privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano
titolari. Sul secondo requisito è stato precisato, poi, che la prevalente
destinazione dell'attività in favore dell'ente o degli enti partecipanti alla
società, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità,
postula in ogni caso che l'attività accessoria non sia tale da implicare una
significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul
mercato di beni o servizi. In tal senso, dovendo aversi riguardo non soltanto
ai profili quantitativi, ma anche a quelli qualitativi e della prospettiva di
sviluppo in cui l'attività accessoria eventualmente si ponga, "quel che
soprattutto importa è che l'eventuale attività accessoria, oltre ad essere
marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla
prestazione del servizio d'interesse economico generale svolto dalla
società in via principale".
Infine, con riguardo al "controllo analogo" è stato chiarito che lo stesso
consiste in un "potere di comando direttamente esercitato sulla gestione
dell'ente con modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle
facoltà che normalmente spettano al socio in base alle regole dettate dal
codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata
nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale". Nella ricorrenza,
quindi, di tutti e tre i detti requisiti, non risultando possibile configurare
un "rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house
che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il
patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di
separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità", con la conseguente
configurabilità di un danno erariale che giustifica l'attribuzione alla
Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità (v.
Cass. S.U. n. 26283/2013 in motivazione). In tale quadro, come sopra
delineato, occorre, quindi, verificare nella fattispecie in esame, la
sussistenza o meno dei detti requisiti alla luce dello statuto sociale in atti
(allegato al verbale di assemblea del 29-6-2004). Nel detto quadro non
assume, infatti, rilevanza decisiva al riguardo il carattere non
unipersonale della società (peraltro l'ACSA CE/3, effettivamente, in
quanto derivante dalla trasformazione in s.p.a., ai sensi della L. n. 448 del
2001, del relativo Consorzio di Bacino CE/3, ha il proprio capitale
sociale ripartito tra i ventitrè comuni del detto Bacino) e nel medesimo
quadro generale deve essere letta anche la disposizione della L. n. 31 del
2008, art. 16 bis, "la quale ha introdotto per le società quotate un'eccezione
alla giurisdizione contabile, da riferire, appunto, alla sola area in cui detta
giurisdizione risulterebbe altrimenti applicabile" (così Cass. S.U.
26283/2013 cit).
In tali sensi risultano, quindi, fondati il primo e il secondo motivo, così
come del pari fondato risulta il terzo motivo, atteso che, nello stesso
quadro, il perseguimento di finalità pubbliche da parte della società per
azioni non è da solo sufficiente a configurare la sussistenza della
giurisdizione della Corte dei conti. Parimenti, sempre nel medesimo
quadro, non possono assumere rilevanza decisiva, al fine che qui interessa,
le nozioni di pubblica amministrazione (dettate ad altri fini) contenute nel
Codice del processo amministrativo e nel Testo unico sul pubblico
impiego e neppure quella di "organismo di diritto pubblico", rilevando
questa "solo sul piano della disciplina di derivazione comunitaria in
materia di aggiudicazione degli appalti ad evidenza pubblica" (v. fra le
altre Cass. S.U. 9-3-2012 n. 3692). In tali sensi vanno quindi accolti anche
il quarto e il quinto motivo, mentre parimenti fondato risulta il sesto
motivo, essendo evidente che nella controversia in esame (caratterizzata
dall'asserito danno erariale causato dal C. nel periodo di svolgimento
dell'incarico di Direttore Generale dal 20-7- 2004 al 25-9- 2006) la
circostanza che la società ACSA CE/3, successivamente, in base al
D.L. n. 90 del 2008, conv. con L. n. 123 del 2008, è stata incorporata nel
Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta, non può
assumere rilevanza ai fini della giurisdizione. Come è stato più volte
affermato da queste Sezioni Unite, infatti, per accertare la sussistenza o
meno della giurisdizione della Corte dei conti occorre verificare la
sussistenza del relativo presupposto con riferimento al momento della
causazione del danno erariale, a nulla rilevando che, per successivi
mutamenti normativi, l'ente danneggiato abbia mutato natura (v. Cass. S.U.
16-11-2000 n. 1180, Cass. S.U. 22-12-2003 n. 19662, Cass. S.U. 7-7-2011
n. 14957).
Orbene, con riferimento alla situazione all'epoca e allo Statuto approvato,
allegato al verbale di assemblea del 29-6-2004, nella fattispecie certamente
ricorre il requisito della attività statutaria prevalente in favore degli enti
partecipanti (v. art. 3 "Oggetto": "La società ha per oggetto, in generale, le
gestioni ambientali, l'organizzazione e la gestione dei servizi pubblici di
igiene urbana etc..."), mentre lo stesso non può dirsi per quanto riguarda gli
altri due requisiti. In particolare il "funzionamento della società" è
regolato (vedi delibera citata) "compiutamente dalla nuova normativa"
introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, e "per quanto essa è derogabile" dalle
norme dello statuto. Quest'ultimo all'art. 1 ("Denominazione") stabilisce che
"ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 35, comma 8, il Consorzio "A.C.S.A.
CE/3 - Azienda Consortile Servizi Ambientali Bacino di Utenza Caserta 3"
istituito ai sensi della L.R. n. 10 del 1993, art. 6, e della L. n. 142 del
1990, art. 25, è trasformato nella Società per Azioni, a totale capitale
pubblico, denominata: "Consorzio Obbligatorio Intercomunale CE/3 -
A.C.S.A. s.p.a. Azienda Consortile Servizi Ambientali". La L. n. 448
del 2001, art. 35, comma 8, dispone la trasformazione delle aziende
speciali e dei consorzi di cui all'art. 31, comma 8, del testo unico di cui al
D.Lgs. n. 267 del 2000, che gestiscono i servizi di cui all'art. 113, comma
1, del medesimo testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente
articolo, in società di capitali, ai sensi dell'art. 115 del citato testo unico (le
cui disposizioni dei commi da 1 a 7 sono applicabili anche alla
trasformazione dei consorzi, v. comma 7 bis introdotto dalla L. n. 448 del
2001 cit., art. 35, comma 12). In particolare lo Statuto, stabilisce le
regole di funzionamento della società e degli organi societari e, tra l'altro:
all'art. 6 ("Capitale e azioni") prevede che "Le azioni sono nominative, non
possono emettersi per una somma inferiore al valore nominale, sono
indivisibili e non possono essere cedute, nell'immanenza della L.R. n. 10
del 1993"; all'art. 8 ("Obbligazioni") stabilisce che "La società può
emettere prestiti obbligazionari convertibili e non convertibili, demandando
all'assemblea la fissazione di collocamento, estinzione e conversione";
all'art. 11 ("Recesso") prevede che "Gli amministratori offrono in opzione
le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle
azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione
spetta anche ai possessori di queste in concorso con i soci, sulla base del
rapporto di cambio... Coloro che esercitano il diritto di opzione, purchè ne
facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle
azioni che siano rimaste inoptate. Le azioni inoptate possono essere
collocate dall'organo amministrativo anche presso terzi". E' evidente,
quindi, che, essendo prevista sia la possibilità di opzione da parte dei
titolari di obbligazioni convertibili e sia la collocabilità presso "terzi" di
azioni inoptate, nella fattispecie non può affermarsi che ricorra il requisito
della esclusività assoluta della partecipazione societaria da parte di soli
enti pubblici. Nel contempo neppure ricorre nel caso in esame il requisito
del "controllo analogo", non essendo previsto nello statuto alcun controllo
ulteriore (e tanto meno alcun comando diretto sulla gestione della
società) da parte degli enti pubblici, al di fuori dei normali diritti e poteri
spettanti ai soci in base alle regole del codice civile. Non può quindi
parlarsi nella fattispecie di società in house e neppure può configurarsi la
giurisdizione della Corte dei conti. Il ricorso va pertanto accolto e
l'impugnata sentenza va cassata dichiarandosi il difetto di giurisdizione
del giudice contabile.
(Omissis) P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice contabile.