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ROBERTO ANGIONI MATTIA PANI CARLO SANNA SOCI ETÀ IN HOU

ROBERTO ANGIONI MATTIA PANI CARLO SANNA SOCIETÀ IN HOUSE. CRITICITÀ E PROSPETTIVE IL CONTROLLO ANALOGO PRATICA GIURIDICA DEI CONTRATTI collana diretta dagli avvocati Carmelo Giurdanella

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ROBERTO ANGIONIMATTIA PANICARLO SANNA

SOCIETÀ IN HOU

SE.CRITICITÀ E PROSPETTIVEIL CONTROLLO ANALOGOE IL CRITERIO

PRATICA GIURIDICADEI CONTRATTI PUBBLICIcollana diretta dagli avvocatiCarmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia

DELLA PREVALENZA

Roberto Angioni - Mattia Pani - Carlo Sanna

Società in house. Criticità e prospettive

Il controllo analogo e il criterio della prevalenza

Pratica Giuridica dei Contratti Pubblici

Collana diretta dagli avvocati Carmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia

Pubblicato nel mese di luglio 2014

© Copyright CeSDA Editore S.r.l

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PRESENTAZIONE DELLA COLLANA

La collana “Pratica Giuridica dei Contratti Pubblici” intende raccogliere gli

approfondimenti su specifiche tematiche - a preferenza le più interessanti e complesse -

del diritto degli appalti pubblici, con un occhio di riguardo alle questioni più nuove ed

attuali.

Ogni singolo testo è dedicato ad uno specifico segmento dell'appalto pubblico,

dall'avvio della procedura di gara fino all'esecuzione del contratto, e mira a fornire

un'analisi completa della normativa e della prassi amministrativa di riferimento, dando

conto degli orientamenti prevalenti in giurisprudenza.

Gli autori sono tutti “addetti ai lavori”: avvocati amministrativisti, amministratori

pubblici, giuristi d'impresa che si occupano quotidianamente, sul campo, di appalti e

contratti pubblici.

Catania, marzo 2014Carmelo Giurdanella ed Elio Guarnaccia

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GLI AUTORI

ROBERTO ANGIONI, già funzionario pubblico e avvocato comunale, è attualmente

magistrato presso la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Sardegna.

MATTIA PANI è dottore di ricerca in diritto amministrativo e svolge la professione di

avvocato presso la Regione Autonoma della Sardegna. Ha partecipato in qualità di

relatore a numerosi convegni e seminari in materia di appalti pubblici, di affidamento di

servizi pubblici locali e di società in house, pubblicando diversi contributi sui medesimi

argomenti nelle riviste specializzate.

CARLO SANNA è dottore di ricerca in diritto dell’attività amministrativa informatizzata e

della comunicazione pubblica e lavora come funzionario presso il servizio studi e

riforme della Regione Autonoma della Sardegna. È autore della monografia “Il Front

office digitale della pubblica amministrazione”, pubblicata nel 2013, coautore con

Mattia Pani della monografia “L’evoluzione della disciplina delle società in house nella

legislazione e nella giurisprudenza” nel 2014 e autore della monografia “Concetti e

principi del procedimento amministrativo telematico” nel 2014.

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INDICE

Premessa - L’evoluzione del concetto di società in house: dalla sentenza Teckal alle direttive del 2014

Capitolo I - Il controllo analogo: rilievo attuale nell’ordinamento e novità normative

1. Il controllo analogo quale presupposto di legittimità dell’affidamento diretto in

favore delle società in house

2. Il controllo analogo quale presupposto della giurisdizione contabile

3. Le modifiche delle direttive europee in materia di contratti ed appalti pubblici

4. La normativa della legge di stabilità 2014 ed il suo rilievo sul controllo societario

5. Prospettive di evoluzione del controllo sulle società partecipate non “in house”Capitolo II - Controllo analogo, disfunzioni gestionali e rischio di fallimento per le società pubbliche

1. La problematica della fallibilità delle società pubbliche2. Evoluzione storica

3. La sentenza della Corte di Cassazione, sezioni Unite civili, 25 novembre 2013, n.

26283

4. La non assoggettabilità a fallimento delle società pubbliche (in house) nella

giurisprudenza di merito successiva alle sezioni unite 25 novembre 2013, n. 26283

5. Problematiche pratico-applicative6. Sottrazione al fallimento e principi speciali fissati dalla legge di stabilità 2014 per

le società pubbliche

7. Ipotesi di graduazione dell’applicazione della legge fallimentare alle società

pubbliche

Capitolo III - L’in house providing e il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014

1. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea prima della direttiva sugli

appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014

1.1. Premessa: l’immediata applicabilità dell’art. 12 della direttiva sugli appalti

pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 nell’ordinamento interno

5

1.2. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea: tendenziale ma non

totale esclusività

1.3. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea (segue): elementi

quantitativi e qualitativi

2. Il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26

febbraio 2014

2.1. La disciplina dell’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del

26 febbraio 2014 e l’irrilevanza dei fattori qualitativi

2.2. Base di calcolo del criterio quantitativo della prevalenza

Bibliografia essenziale

Appendice normativa e giurisprudenziale

Sentenza Teckal (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. V, 18 novembre

1999 n. C-107/98)

Sentenza Carbotermo (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 11 maggio

2006, causa C-340/04)

Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014

sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (art. 17)

Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014

sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (art. 12)

Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014

sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei

trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE (art. 28)

6

D.L. 4 luglio 2006 n. 223 - Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,

per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in

materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale

Legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Disposizioni per la formazione del bilancio

annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) — Articolo 1, commi 550 –

568

Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1181 (Innovapuglia S.p.A. contro

Megatrend Srl, Regione Puglia)

Cassazione Civile, sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209 (Asidev ecologica s.r.l. contro

Fallimento asidev ecologica s.r.l., international factors italia s.p.a)

Cassazione civile, sezioni Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 (Procuratore generale

rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti contro R.S.A e altri)

Cassazione civile, sez. Unite (ordinanza), 12 febbraio 2014, n. 3201 (Z.C., O.M.,

contro Procuratore regionale rappresentante il pubblico ministero presso la sezione

giurisdizionale della Corte dei conti per la regione trentino alto adige sede trento e

altri)

Cassazione civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491 (C.F. contro Procuratore

generale presso la Corte dei conti)

7

Premessa - L’evoluzione del concetto di società in house: dalla sentenza

Teckal alle direttive del 2014

A partire dalla celebre sentenza Teckal1, la Corte di Giustizia ha enucleato i

requisiti delle cosiddette società in house, al cui riscontro positivo deriva

l’essenziale conseguenza di poter derogare alle norme in materia di appalto

pubblico, legittimando l’amministrazione pubblica ad autoprodurre i beni e

servizi di cui necessita. Il fenomeno dell’in house providing, infatti, non è

altro che un sistema di autoorganizazione che la pubblica amministrazione

può adottare per produrre al suo interno ciò di cui necessita, alternativo

all’approvigonamento dall’esterno tramite la procedura di evidenza

pubblica2.

Alle stesse società in house si è fatto riferimento anche nel Libro Bianco

"Gli appalti pubblici nell’Unione Europea "3 del 1998, secondo il quale

trattasi di quegli appalti “aggiudicati all’interno della Pubblica

Amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o,

ancora, tra un’amministrazione e una società da questa interamente

controllata”.

L’importanza di questo fenomeno, che tanto ha interessato sia la dottrina

che la giurisprudenza, è dunque legato proprio alla possibilità di non

applicare il principio di concorrenza che porterebbe altrimenti la pubblica

1 Si tratta della storica sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98. 2 Sul concetto di società in house inteso come legato al principio di autoproduzione si veda ALBERTI C., Appalti in house, concessioni in house ed esternalizzazione, in www.jus.unitn.it; GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi , Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; LA PERA G., In house providing – Lo stato dell’arte della giurisprudenza comunitaria e nazionale , febbraio 2008, in www.conviri.it ; URBANO G., L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it , pag. 1. 3 Libro Bianco "Gli appalti pubblici nell’Unione Europea", COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10.

8

amministrazione ad indire una gara pubblica e affidare al mercato lo

svolgimento di quella attività specifica4. Per questi motivi, l’indagine

diretta a stabilire l’esatto concetto di in house providing è di grande rilievo, in

particolar modo sui due elementi storici del controllo analogo e della

prevalenza, intesa come parte più importante dell’attività svolta a favore

della pubblica amministrazione proprietaria. Proprio sul concetto di in

house providing si era espressa la citata pronuncia del Giudice

europeo. Infatti, nella sentenza Teckal si era affermata la possibilità di

non applicare le regole auree della concorrenza “solo nel caso in cui, nel

contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo

analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona

realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli

enti locali che la controllano”. Se, dunque, i requisiti del controllo

analogo e della prevalenza erano teoricamente stati da subito delineati, ben

diversa si poneva la problematica della loro applicazione pratica. Inoltre, gli

stessi requisiti non assumevano e non assumono un carattere neutrale

nell’ordinamento giuridico nazionale, potendo invece influenzare

numerosi istituti giuridici sia di natura sostanziale che processuale,

con conseguenze di enorme rilevanza. Lo stesso criterio della

prevalenza, poi, richiede una sua esatta quantificazione per definire

la soglia oltre la quale può ritenersi integralmente soddisfatto ed

assolto con la conseguenza, però, che dal punto di vista pratico non

sempre risulta di semplice determinazione nella concreta realtà.

4 Sul punto TRIMARCHI BANFI F., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), 2012, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, pag. 735 e seg.

9

Si consideri, inoltre, come il medesimo Parlamento nazionale abbia

adottato, nei tempi più recenti, una cospicua e disorganica legislazione

d’urgenza che ha, talvolta malamente, disciplinato la materia delle società

in house e delle società partecipate in generale. La critica che è stata dai

più mossa al legislatore italiano è stata quella di non aver emanato una

regolamentazione specifica che cogliesse le particolarità delle società

in house e tutte le conseguenze derivanti dalla loro specificità. Si sono,

invece, succedute e stratificate una molteplicità di disposizioni dal

contenuto emergenziale che hanno avuto una vita brevissima a causa

dei numerosi interventi della Corte costituzionale ovvero a causa dei

repentini ripensamenti del Governo di turno. In termini estremamente

sintetici e non esaustivi, vale la pena di ricordare che, inizialmente, era

stato introdotto l’art. 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, con la legge

di conversione 6 agosto 2008, n. 133 (e le sue successive modifiche), a

cui era seguito il regolamento di attuazione, il D.P.R. 7 settembre 2010, n.

168.

Il citato art. 23 bis del D.L. 112/2008 era stato, poi, di seguito travolto

dall’abrogazione derivante dall’esito del referendum tenutosi il 12 e 13

giugno del 20115.

In relazione all’espressione della volontà popolare era stato quindi adottato

l’art. 4, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre

5 Il quesito referendario era il seguente: “Volete voi che sia abrogato l'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?”.

10

2011, n. 148, ma questa disposizione era stata considerata illegittima dalla

Corte costituzionale con la sentenza 20 luglio 2012, n. 1996. E proprio la

violazione della volontà referendaria aveva portato la Corte

all’annullamento del citato art. 4, del D.L. 138/20117.

La successiva revisione della materia era stata affidata alla c.d. Spending

review, di cui agli artt. 4 e 9 del D.L 6 luglio 2012, n. 958; si trattava di un

tentativo, peraltro non organico, di riforma che si rivolgeva alle società

partecipate (imperniato sul falso presupposto che le stesse rappresentassero

la causa delle problematiche finanziarie del paese) e che proponeva la

drastica soluzione di una loro eliminazione radicale. Anche tali norme,

peraltro, non hanno resistito al giudizio della Corte costituzionale, che con

le sentenze 23 luglio 2013, n. 229 e 24 luglio 2013, n. 236 ha di fatto

sterilizzato gli effetti degli artt. 4 e 9 del D.L. 95/2012.

È stata infine introdotta la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di

stabilità per il 2014), che all’art. 1, comma 550 e seguenti ha abrogato i

commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell'articolo 4 e i commi da 1 a 7

dell'articolo 9 del D.L. 95/2012 (art. 1, comma 562), introducendo

contestualmente una nuova disciplina che ha ad oggetto una vasta platea di

6 In www.giurcost.org . 7 TRIMARCHI BANFI F., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2012, pag. 723 e seg.; LEPORE V., La normativa sui servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, in Amministrazione in cammino, 2012, www.amministrazioneincammino.luiss.it ; LUCARELLI A., La sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 e la questione dell’inapplicabilità patto di stabilità interno alle s.p.a. in house ed alle aziende speciali, 26.09.2012, in www.federalismi.it; SABETTA C., La riforma dei servizi pubblici locali e le ragioni della sua illegittimità, 26 settembre 2012, in www.federalismi.it . 8 Si veda sulla disciplina della Spending review: FUOCO B.E.G., La nuova società in house “marginale” negli affidamenti di beni e servizi in seguito della spending review, 2012, n. 7-8, in www.lexitalia.it ; FANTINI S., Le novità della spending review, in Urbanistica e appalti, Padova, 2012, n. 11, pag. 1115 e seg.; GUZZO G., La Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato indicano le nuove regole dei SPL locali ”, in www. lexitalia. it, n. 2/2011; BARBIERO A., BONACCORSO C., Note di analisi sulla disciplina per lo scioglimento delle società che gestiscono servizi strumentali (art. 4 d.l. n. 95/2012), 13 luglio 2012, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

11

soggetti, riferendosi “alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società

partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di

cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Sono

esclusi gli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico di

cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, nonché le società

emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro

controllate”. In questo convulso panorama nazionale sono intervenute

la direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26

febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la

direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26

febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e la

direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio

2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua,

dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva

2004/17/CE. Nei rispettivi artt. 17 (direttiva 2014/23/UE), 12 (direttiva

2014/24/UE) e 28 (direttiva 2014/25/UE), il legislatore comunitario

introduce una nuova disciplina che regolamenta in maniera innovativa il

fenomeno dell’ in house providing, in taluni casi ampliando il novero dei

soggetti che possono essere ricondotti a questo istituto giuridico.

Proprio in relazione a tali novità, il presente volume si propone di

analizzare alcune tematiche operative derivanti dall’applicazione dei

requisiti essenziali del fenomeno dell’ in house providing tenendo, peraltro,

conto delle più rilevanti criticità che l’esperienza ha pratica ha da ultimo

evidenziato.

Del resto è noto che il criterio del controllo analogo pone numerose

problematiche che trovano ragione prima di tutto già nella necessità di dare

12

un contenuto effettivo a tale tipologia di controllo. Ci si deve chiedere,

infatti, a quali condizioni un controllo può essere definito come un

controllo analogo e, dunque, il grado di ingerenza che lo stesso comporta

nei confronti della società assoggettata a tale tipologia di controllo. La

sua identificazione, inoltre, come si vedrà, ha delle conseguenze

importanti sui contenuti della giurisdizione in tema di responsabilità degli

amministratori di dette società. In sostanza si rende necessario

comprendere qual’é l’esatto ambito di azione del Giudice contabile (che la

Costituzione pone a tutela della finanza pubblica) e quello del Giudice

ordinario che, per sua natura, opera su quei soggetti che sono invece

maggiormente riconducibili al modello privatistico. La mancanza di

una disciplina espressa pone numerose questioni interpretative di

grande interesse che verranno analizzate nel capitolo I. Nello stesso

capitolo I si darà, altresì, conto delle novità introdotte dalle direttive

europee citate in tema di controllo analogo, evidenziando come l’apparente

similarità della disciplina contenga invece alcune importanti

puntualizzazioni e innovazioni. Legato sempre al requisito del controllo

analogo, si pone anche la ulteriore domanda se le società in house possano

essere assoggettate alle procedure concorsuali, ed in primis a quella

fallimentare. Ed anche in questo caso l’assenza di una regolamentazione

specifica da parte del legilsatore italiano di tale importante fenomeno ha

creato un dibattito dottrinale e giurisprudenziale alquanto acceso e

contrastato di cui si darà ampio conto nel capitolo II.

Quest’ultimo capitolo, come già in quello precedente, consente di

evidenziare la progressiva e sempre maggiore vicinanza delle società in

13

house con la disciplina dell’ente pubblico, ma anche l’attrazione di altri

modelli societari nella regolamentazione di matrice pubblicisitica. Le

questioni poste sul requisito del controllo analogo non possono non

essere influenzate anche dalle prospettive europee di detti organismi in

esito all’approvazione delle nuove direttive comunitarie in materia di

appalti e concessioni che sono state citate in precedenza. Di

conseguenza anche il conseguente criterio della prevalenza, inteso come

realizzazione della parte più importante delle attività del soggetto in house

a favore dell’amministrazione pubblica proprietaria, pone non secondarie

problematiche operative, dovendo lo stesso essere riconsiderato alla luce

delle indicazioni offerte dal legislatore europeo. Come si vedrà meglio

nel capitolo III, tale requisito è quello che ha subito una radicale

innovazione e, per l’effetto, le sue problematiche applicative assumono

ancora di più rilevanza ed attualità. Tutta la tematica della base del

calcolo di tale criterio ha posto e porrà numerose questioni di carattere

applicativo che devono essere necessariamente risolte al fine di

determinare se un soggetto possa o meno essere ricondotto al paradigma

europeo dell’in house providing. Con il presente libro si analizzeranno,

quindi, queste tematiche, in particolare attraverso un esame dei più recenti

arresti giurisprudenziali che hanno cercato di delineare e risolvere le

innumerevoli questioni ancora aperte in materia. E da queste differenti

criticità non può che trarsi una conclusione che seppur ovvia e scontata

non è in realtà banale.

La caotica e frammentaria disciplina della legislazione italiana ha

dimostrato nel tempo tutta la sua inadeguatezza nel regolamentare un

fenomeno di essenziale importanza per l’organizzazione amministrativa e

14

l’economia del paese. In particolare non si sono mai colte le straordinarie

peculiarità di un istituto che, come si vedrà nel prosieguo del presente libro,

si discostano in maniera significativa dagli altri modelli gestionali di

amministrazione della cosa pubblica. Proprio per queste ragioni non ci

si può che auspicare una risoluzione a livello legislativo di alcune tematiche

esaminate la quale può trovare la sua migliore opportunità proprio

dall’occasione dettata dalla necessità di dare attuazione alle direttive

europee di recente emanazione.

GLI AUTORI

15

Capitolo I - Il controllo analogo: rilievo attuale nell’ordinamento e

novità normative di Roberto A ngioni

Il controllo analogo quale presupposto di legittimità dell’affidamento

diretto in favore delle società in house

E’ ricorrente nella giurisprudenza, allorquando sorga la necessità di

verificare la legittimità dell’affidamento diretto di un servizio in favore di

una società interamente partecipata che rivesta le caratteristiche della

società in house, la disamina dei requisiti definitori di tale tipologia di

società “pubblica”. Tra questi viene costantemente riportata la necessità

della sussistenza di quella specifica forma di controllo da parte dell’ente (o

degli enti pubblici di riferimento), costituita dal controllo analogo sulla

società, chiamata ad espletare il servizio affidatole senza che si sia

previamente espletata la gara pubblica. In questi termini si può affermare

che il controllo analogo rappresenta una delle condizioni poste dal

legislatore europeo che consente ad un ente pubblico l’affidamento diretto

di un servizio pubblico locale ad una società partecipata, in quanto la

società è un’entità distinta solo formalmente dall’ente pubblico9. In questo

senso può, quindi, affermarsi che il controllo analogo è una delle condizioni

che, secondo le normative comunitarie, legittimano regioni, province e

comuni ad affidare direttamente la gestione di un sevizio pubblico

locale ad una società a capitale interamente pubblico e partecipata.

La società è un’entità distinta solo formalmente dall’ente e in concreto

continua a costituire parte dell’ente stesso.

9 La natura delle società in house come entità non distinta dall’ente pubblico proprietario che consente una deroga del principio di concorrenza era stata già esplicitata in Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in http://curia.europa.eu/juris.

16

.1

Poiché il concetto di controllo analogo ha trovato fondamento e si è evoluto

sino ad oggi unicamente in ambito giurisprudenziale, ben più difficile si è

rivelato invece definirne i contenuti in termini astratti e generali, dal

momento che i giudici, amministrativi o civili, che a diverso titolo si sono

occupati della ricorrenza di tale requisito, hanno esaminato in verità un

sistema di controllo concretamente definito al fine di verificare se la società

alla loro attenzione fosse in effetti soggetta ad un controllo effettivo e

stringente da parte dell’ente socio.

La sentenza n. 1181/2014 della V Sezione del Consiglio di Stato,

pubblicata il 13 marzo 201410, costituisce sul tema un esaustivo punto

d’arrivo dal momento che richiama innumerevoli e rilevanti precedenti che

si sono occupati della questione definitoria ed afferma, essa stessa, i

contenuti del controllo analogo così come ripetutamente affermati sia dalla

giurisprudenza comunitaria sia da quella interna al nostro ordinamento.

Si afferma dunque, richiamando tali precedenti, che si tratta di un controllo

“configurato in termini più intensi rispetto ai consueti controlli societari,

quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di

direzione, coordinamento e supervisione dell’attività, riferita a tutti gli atti

di gestione (stra)ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene

opportuni di quella ordinaria”.

A tale tipologia di controllo, ricorda il Consiglio di Stato, si deve accompagnare l’impossibilità, a termini di statuto, di cessione delle quote sociali a soggetti privati11: l’evenienza della cessione a privati di parte delle

10 in www.giustizia-amministrativa.it.11 Sulla tematica della cessione delle quote sociali e dell’esclusione del controllo analogo si veda ad esempio T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 agosto 2008, n. 1721, www.giustizia-amminstrativa.it, per cui “Lo

17

statuto, inoltre, non esclude la possibilità di cessione di quote sociali a soggetti privati, come risulta dall'art. 10, ai sensi del quale "Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi". Il che consente di modificare la struttura delle partecipazioni al capitale della società affidataria del servizio pubblico, mettendone in pericolo la natura di organizzazione in house. L'assenza dei due requisiti

quote sociali, che di per sé non necessariamente ed aprioristicamente

implica il concorso di un privato nella gestione societaria, quanto meno al

momento in cui avviene l’affidamento diretto del servizio, indica tuttavia

che almeno potenzialmente dei soci privati possono esser chiamati a

partecipare attivamente alle maggioranze dell’assemblea, ad esempio

nominando o revocando gli amministratori o influenzando in altro modo

l’attività sociale12. Circostanza, quest’ultima, che implicherebbe il venir

meno della condizione principale legittimante la vistosa deroga al principio

della concorrenza verificatasi mediante l’elisione della fase della gara

pubblica. E’ evidente infatti che se dei privati partecipano, attivamente, alla

vita della società e potenzialmente ne influenzano le scelte fondamentali,

l’affidatario del servizio pubblico non costituisce più la longa manus

dell’amministrazione (o delle amministrazioni) di riferimento.

Non è invece ostativa all’affidamento diretto in favore della società

l’esistenza di una pluralità di soci pubblici purché questi possano esercitare,

anche congiuntamente, il controllo all’interno dell’assemblea della

società13.

Quanto ai suoi contenuti il controllo analogo è definito come “un controllo

non di matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da una

analizzati rende evidente la insussistenza nel caso concreto dell'elemento costituito dal controllo analogo, con la conseguente illegittimità dell'affidamento diretto del servizio di raccolta e trasporto dei RR.SS. UU. alla società M.L. s.r.l. ”. 12 Considerando che la gestione di un servizio pubblico si sviluppa in un arco temporale piuttosto lungo, l’affidamento in house e l’anomalia rispetto all’affidamento mediante gara pubblica a tutela della concorrenza, potrebbe quindi risolversi, in caso di apertura potenziale alla partecipazione privata, nel superamento degli obblighi normativi posti a salvaguardia del mercato concorrenziale. 13 Si richiamano, in particolare, le sentenze Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009,

causaC-573/07,(Sea),punto, n.45, inhttp://eur -

lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (Coditel Brabant), punto n. 31, in

18

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML, oltre aiprecedenti dello stesso Consiglio di Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; e 29 dicembre 2009, n. 8970, in www.giustizia-amministrativa.it.

maggioranza assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo,

paragonabile ad un controllo di tipo gerarchico”, tanto che la società in

house si distacca in effetti dal modulo societario e viene, almeno in astratto,

attratta alla categoria dell’ente pubblico 14. Al riguardo è sufficiente

affidarsi a ciò che è efficacemente espresso nella citata sentenza n.

1181/2014 “questi (i controlli, n.d.r.) devono essere al tempo stesso sugli

organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui

comportamenti (...): sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il

potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei

componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla

gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva

e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare

quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i

contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti

la gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici”.

Il vincolo tra amministrazione e società deve essere insomma così

stringente e penetrante da non potersi distinguere, se non solo formalmente,

il centro d’imputazione delle scelte sociali e dunque dell’attività stessa

direttamente affidata alla società in house15.

14 Cassazione civile, sezioni Unite (ordinanza), 5 aprile 2013, n. 8352, in CED Cassazione, 2013; Cassazione civile, sezioni Unite (ordinanza), 3 maggio 2013, n. 10299, in Società, 2013, n. 8-9, pag. 974 e seg. ; Cassaz ione c iv i le , sez ioni Uni te , 25 novembre 2013, n . 26283, in http://www.lexitalia.it/p/13/casssu_2013-11-25-1.htm.

15 Per la giurisprudenza europea si veda ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punti nn. 49 e 50, in http://curia.europa.eu/juris “49 Relativamente all'esistenza di un contratto, il giudice nazionale deve verificare se vi sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte. 50 A questo proposito, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano”; Si veda anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee,

19

2. Il controllo analogo quale presupposto della giurisdizione contabile

Recenti sviluppi interpretativi della giurisprudenza di legittimità hanno

consentito di affermare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei

conti nei confronti degli amministratori delle società in house soggette al

controllo analogo da parte delle amministrazioni di riferimento.

In verità l’affermazione, contenuta nell’ordinanza delle Sezioni Unite Civili

n. 3201 del 12 febbraio 2014 e ribadita dalla sentenza delle medesime

Sezioni Unite Civili n. 5491 del 10 marzo 201416, costituisce lo sviluppo

logico della posizione (restrittiva) che la stessa Cassazione aveva assunto a

partire dalla sentenza S.U. 26806/2009 in ordine alla sussistenza della

giurisdizione contabile sulle società partecipate 17. E’ necessario al

riguardo ricordare almeno nei suoi passaggi logici essenziali le

argomentazioni delle Sezioni Unite Civili, senza che si possa per altro in

questa sede affrontare compiutamente l’evoluzione in via interpretativa

dei presupposti che radicano la giurisdizione contabile.

E dato oramai consolidato, nella dottrina e nella giurisprudenza, che la

giurisdizione contabile si giustifica, ai sensi dell’art. 103 della

Costituzione1 8, grazie all’interposizione del legislatore ordinario ed

sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 33, in http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 58, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62003J0458:IT. 16 In CED Cassazione 2014. 17 Cassazione civile, sez. Unite, 19 dicembre

2009, n. 26806, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2010/04/C_Cass_SSUU-26806_2009.doc. Con tale arresto le Sezioni Unite avevano posto un freno alla tendenza espansiva in punto di giurisdizione contabile assunta da prima dalle Sezioni giurisdizionali e dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, e successivamente da parte delle medesime Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione. 18 Dispone l’art. 103 della Costituzione che “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. Per un commento dell’art. 103 della Costituzione si veda per tutti POLICE A., Commento all’art. 103, 1° e 2° co., Costituzione, in CELOTTO A., BIFULCO R, OLIVETTI M. (a cura di), Commentario della Costituzione della Repubblica Italiana, Torino, 2006, vol. III, pag. 1987 e seg.

20

all’esistenza di un rapporto privilegiato tra il soggetto agente e la pubblica

amministrazione.

Con riferimento a quest’ultimo costituisce altresì dato oramai consolidato

che esso non deve sostanziarsi esclusivamente nel rapporto di impiego in

senso stretto, originario presupposto della giurisdizione contabile, ma può

consistere in senso più ampio in un rapporto di servizio, inteso quale

inserimento funzionale nell’organizzazione della pubblica

amministrazione 19. Ciò implicitamente si deduce anche dall’espressa

previsione di legge che la giurisdizione contabile sussiste anche nell’ipotesi

di danno erariale cagionato ad amministrazione diversa da quella di

appartenenza20. Tale evoluzione riflette, evidentemente, il

mutamento dei modelli organizzativi e gestionali dell’amministrazione

pubblica, che esercita le proprie funzioni non più e non solo mediante la

propria organizzazione istituzionale ed a mezzo dei propri

dipendenti con l’adozione di provvedimenti amministrativi, ma in

modo sempre maggiore si avvale di molteplici forme organizzative

(consorzi, società, istituzioni, agenzie, solo per citarne alcune) ed agisce

diffusamente mediante strumenti di diritto privato.

Ebbene, alla luce di tale circostanza, anche la responsabilità erariale non

poteva rimanere legata ai moduli pubblicistici del rapporto d’impiego quale

elemento giustificante l’azione del giudice contabile, ma doveva esser

19 Sul concetto di rapporto di servizio si veda SANDULLI A., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag. 245 e seg. 20 Lo statuto della responsabilità amministrativo-contabile, originariamente contenuto nell’art. 13 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 ai sensi del quale la Corte dei conti giudica sulla responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni, è oggi contenuto nell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20; l’art. 1, comma 4, della citata legge prevede che ”La Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (..)”.

21

legata, più opportunamente, alla gestione della risorsa pubblica,

prevedendosi la responsabilità di qualsiasi soggetto che, per le più disparate

ragioni, si trovasse ad inserirsi funzionalmente negli interessi della

pubblica amministrazione ed a beneficiare a vario titolo di risorse

pubbliche per la persecuzione di tali interessi.

In considerazione di quanto sopra si è assistito al passaggio da un criterio

eminentemente soggettivo, legato alla qualifica del soggetto agente, ad un

criterio invece oggettivo, in cui ciò che rileva è la natura pubblica delle

funzioni esercitate (o degli interessi perseguiti) e la natura (pubblica) delle

risorse a tal fine adoperate. E’ divenuta pertanto ricorrente nella

giurisprudenza contabile l’affermazione secondo la quale “ai fini del

riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno

erariale, in ragione del sempre più frequente operare dell'amministrazione

fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti

in essa non organicamente inseriti, è irrilevante il titolo in base al quale la

gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di

pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione

amministrativa o un contratto di diritto privato. Il baricentro per

discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato

dalla qualità del soggetto - che ben può essere un privato o un ente

pubblico non economico - alla natura del danno e degli scopi perseguiti ”21.

Alla stregua di tale impostazione, ad esempio, è stata affermata, tra le varie ipotesi, la responsabilità dei direttori dei lavori di opere pubbliche22, dei

21 In tali termini Corte dei conti, sez. Lazio, 8 giugno 2009, n. 1075, in www.corteconti.it. Si veda anche Corte dei conti, sez. Abruzzo, 12 ottobre 2010, n. 461, e Corte dei conti, sez. Liguria, 16 luglio 2008, n. 432, in www.corteconti.it.22 Sulla responsabilità del direttore dei lavori si veda ad esempio Cassazione Civile, Sezioni Unite, 20 marzo 2008, n. 7446, per cui “Allorché, invece la domanda è proposta nei confronti di un soggetto investito sia dell'incarico di progettista che di quello di direttore dei lavori, non può giungersi alla scissione delle giurisdizioni, affermandosi quella del giudice ordinario per il danno causato nella qualità

22

gestori di servizi statali come le ricevitorie del lotto e financo dei percettori di finanziamenti pubblici.

La predetta evoluzione normativa, applicata all’ambito societario, aveva

portato ad affermare, a vasto raggio, la giurisdizione contabile nei confronti

degli amministratori di società pubbliche, esistendo entrambi i presupposti

dell’interpositio legislatoris23 e del rapporto di servizio, ravvisandosi per

detti soggetti l’inserimento funzionale nell’organizzazione della pubblica

amministrazione nonché la gestione delle risorse pubbliche per il solo fatto

dell’esistenza di una partecipazione dell’amministrazione al capitale

societario.

Pertanto sino all’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile 24 novembre 2009, n. 2467224, venne pacificamente affermata la giurisdizione

di progettista e quella del giudice contabile per il danno causato nella qualità di direttore dei lavori. A parte il rilievo che tale soluzione urta contro il trend normativo favorevole all'omogeneizzazione della giurisdizione, allorché si tratti di fatti collegati in un unitario rapporto, va osservato che il cumulo dei due incarichi professionali di progettista e di direttore dei lavori nello stesso soggetto da luogo ad una complessiva attività professionale, nella quale l'attività di progettazione si pone solo come elemento prodromico di quella successiva, - allorché il danno lamentato è prospettato come derivante dal complesso di tale attività (così nella fattispecie). I doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori (R.D. n. 350 del 1985, art. 5), sussistono già durante la progettazione, che così continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre i doveri di quest'ultima assorbono anche quelli del progettista, allorché si tratti dello stesso soggetto che cumula i due incarichi e la domanda risarcitoria dell'amministrazione investa la complessiva attività posta in essere dall'unico professionista incaricato. Nella fattispecie, quindi, poiché l'architetto D.B.G. ha svolto tanto l'incarico di progettista che di direttore dei lavori e la domanda risarcitoria è relativa al complesso dell'attività professionale svolta, va affermata la giurisdizione della Corte dei Conti relativamente alla complessiva domanda risarcitoria posta nei suoi confronti dal Comune sia come direttrice dei lavori che di progettista. (..) In conclusione deve essere dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti”; Si veda anche Cassazione Civile, Sezioni Unite, 27 maggio 2009, n. 12252, in www.aedon.mulino.it . 23 In particolare si riteneva, tra diversi ulteriori argomenti, che la previsione dell’esclusione della giurisdizione contabile per le società pubbliche quotate, di cui all’art. 16 bis della legge 31/2008 implicasse, a contrario, il riconoscimento della giurisdizione per le società pubbliche non quotate in borsa.

24 In Foro Italiano 2010, n. 5, parte 1, pag. 1521 e seg. “Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulla richiesta di risarcimento avanzata nei confronti di un soggetto legato da un rapporto giuridico con un'azienda di trasporto regionale, costituita come s.p.a. a totale capitale pubblico, che svolge un servizio pubblico e le cui perdite sono destinate a risolversi in danno degli enti pubblici azionisti e quindi in danno erariale, quando si deduce, a fondamento dell'azione, che tale rapporto (Nella specie consistente nell'assunzione del servizio di manutenzione e riparazione degli autobus dell'azienda), indipendentemente dalla sua natura giuridica, ha costituito l'occasione per comportamenti fraudolenti in danno dell'ente, posti in essere dal soggetto in questione con il concorso doloso o colposo di agenti interni alla s.p.a. e

23

non solo sui funzionari degli enti pubblici economici25, ma anche su

amministratori e dipendenti delle società pubbliche a partecipazione

maggioritaria26 e di quelle a partecipazione pubblica minoritaria27. Come

anticipato poc’anzi, con la sentenza della Cassazione S.U. n. 26806 del 19

dicembre 2009 si assiste ad un improvviso cambio di rotta da parte della

giurisprudenza di legittimità la quale raffigura la società pubblica come

ente di diritto privato, assoggettato a regole di diritto privato, titolare di un

patrimonio di natura privatistica e nella quale la responsabilità degli

amministratori soggiace esclusivamente alle regole previste dal codice

civile. In questo schema complessivo, in cui il danno ha natura

essenzialmente privatistica come il patrimonio sociale e perde la

connotazione di danno all’erario (in passato affermata alla stregua della

provenienza pubblica della quota sociale), l’azione di responsabilità nei

confronti di amministratori e dipendenti non può che esser regolata dal

codice civile ed assoggettata alla giurisdizione del giudice ordinario.

La decisione, alla quale si è uniformata senza oscillazioni la giurisprudenza

di legittimità successiva, si è prestata tuttavia a non poche riserve,

considerato che l’azione di responsabilità sociale dovrebbe nei fatti essere

con l'esercizio di poteri di fatto, tali da consentirgli di interferire sulle modalità di esecuzione di prestazioni strumentali all'attività della società a capitale pubblico e sulle procedure di liquidazione dei compensi a suo favore”. 25 Cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, 12 ottobre 2011, n. 20940, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2011, n. 12, pag. 1334 e seg. 26 Vedi Cassazione civile, Sezioni Unite (ordinanza), 24 novembre 2009, n. 24671, in CED Cassazione, 2009. 27 Vedi Corte dei conti, sez. I, Appello, 3 dicembre 2008, n. 532, in www.corteconti.it. In tema, anche Corte dei conti, sez. Lombardia, 30 giugno 2009, n. 428 in www.corteconti.it, secondo la quale “Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sui fatti lesivi commessi in danno di società gestrice di casinò (nella specie, Casinò municipale di omissis s.p.a.), in quanto la partecipazione al capitale sociale è totalmente pubblica e pubblici sono i controlli ai quali la società è sottoposta, in forza dell'autorizzazione governativa all'esercizio di attività, il gioco d'azzardo, vietata dal codice penale; la provvista di giurisdizione è confermata, implicitamente, dall'art. 16 bis d.l. 31 dicembre 2007 n. 248, decreto conv., con modificazioni, in l. 28 febbraio 2008 n. 31, che esclude la predetta giurisdizione per i danni a carico delle società a partecipazione pubblica minoritaria verificatisi dopo la sua entrata in vigore”.

24

attivata dal socio di riferimento, e dunque dalla stessa amministrazione che

aveva a suo tempo provveduto, attraverso i meccanismi amministrativi,

statutari e societari, alla nomina degli amministratori della società28. Il

rischio prospettato, effettivo e concreto, è dunque che la responsabilità

politica dell’amministrazione di riferimento e dei suoi vertici costituisca

intralcio alla tutela per via giudiziaria delle risorse della società.

Ad ogni buon conto, svalutato dalla Cassazione anche il riferimento

all’art.1 6 bis della legge 31/2008 - il quale in verità, secondo i giudici di

legittimità, lascia integra la necessità di “verificare, entro quali limiti, al

fuori del ristretto campo d’applicazione della disposizione da ultimo

richiamata, sia davvero configurabile la giurisdizione contabile, che il

legislatore ha in tal modo presupposto in rapporto ad atti di mala gestio

degli organi di società a partecipazione pubblica –” occorre in definitiva

riferirsi all’esistenza di norme di legge esplicite (che attribuiscano la

giurisdizione contabile la valutazione dei comportamenti degli organi

societari) oppure alla specificità di quelle singole società a partecipazione

pubbliche il cui statuto sui generis non possa che importare

l’assoggettamento alla giurisdizione contabile. Ciò in quanto, in

quest’ultimo caso, la veste formale della società non riesce a far venir meno

la natura sostanziale di ente pubblico della società stessa29.

28 PERIN M., Per i profili di responsabilità finanziaria per danno erariale sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sulle società pubbliche, 2013, in http://www.lexitalia.it/p/13/ccontilazio_2013-10-14.htm.

29 Per questo motivo la sentenza Cassazione Civile, Sezione Unite (ordinanza), 22 dicembre 2009, n. 27092, in www.respamm.it., relativamente alla RAI s.p.a., afferma che “Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in tema di risarcimento del danno cagionato alla Rai Radio televisione Italiana s.p.a., da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti di tale società e degli enti pubblici azionisti, in relazione alla nomina del direttore generale e al trattamento economico dello stesso e degli ex direttori generali; la Rai, infatti, nonostante la veste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici), ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali, per cui essa è: designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo; sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare; destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta; compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo Stato contribuisce in via

25

E’ nel solco di tale motivazione, come detto, che due pronunce delle

Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamando quanto già indicato

dalla pur recente sentenza S.U. n. 26283 del 25 novembre 2013, affermano

che tali presupposti si ritrovano nell’ipotesi di un’azione rivolta a far valere

la responsabilità di chi impersona gli organi di amministrazione (o

eventualmente di dipendenti) “per il pregiudizio cagionato ad una società

in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti

pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente siffatti enti

possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività

prevalente in favore degli enti partecipati e la cui gestione sia per statuto

assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti

pubblici sui propri uffici ”30.

Nella ricorrenza dei presupposti identificativi della società in house, ovvero

nella presenza del divieto di cessione a privati del patrimonio sociale e

nella prevalente destinazione dell’attività sociale in favore dell’ente o degli

enti partecipanti alla società, elementi che concorrono congiuntamente ed

autonomamente alla configurabilità stessa del terzo presupposto e cioè il

controllo analogo, afferma la sentenza n. 5491/2014 che “non risultando

possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico

partecipante e la società in house che ad esso fa capo, è giocoforza

concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello

della società si può porre in termini di separazione patrimoniale ma non di

ordinaria; tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti; né l'esperibilità dell'azione di responsabilità amministrativa è ostacolata dalla possibilità di promuovere l'ordinaria azione civilistica di responsabilità, poiché la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”. 30 In tali termini sia Cassazione Civile, Sezioni Unite, (ordinanza) 12 febbraio 2014, n. 3201, sia la Cassazione Civile, Sezioni Unite, del 10 marzo 2014, n. 5491, in CED Cassazione 2014.

26

distinta titolarità, con la conseguente configurabilità di un danno erariale

che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla

relativa azione di responsabilità”.

3. Le modifiche delle direttive europee in materia di contratti ed

appalti pubblici

Rilevanti novità, influenti anche sul concetto normativo di “controllo

analogo”, sono state introdotte dalle tre direttive che riformano in ambito

europeo il settore degli appalti e delle concessioni, pubblicate il 28 marzo

2014 nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea ed entrate in vigore il 18

aprile 2014: la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti "settori

speciali" (acqua, energia, trasporti e servizi postali), la direttiva

2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e la direttiva

2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione31.

Tutte e tre le direttive dedicano una norma specifica dall’equivalente

contenuto32 al fenomeno dell’affidamento in house, provvedendo, per la

prima volta, alla tipizzazione normativa della fattispecie, con la previsione

specifica delle articolate ipotesi in cui la direttiva europea consente che i

principi valevoli per l’affidamento concorrenziale mediante gara possano

non trovare diretta applicazione. In particolare si prevede che ciò possa

accadere quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

31 Le proposte legislative sono state presentate dalla Commissione europea il 20 dicembre 2011, nel quadro delle iniziative volte a favorire il completamento del mercato unico. Dopo un lungo ed articolato negoziato, le proposte sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014 e dal Consiglio l'11 febbraio 2014. Gli Stati membri dovranno recepire le disposizioni delle nuove norme nell'ordinamento nazionale entro il 18 aprile 2016. 32 L’art.17 della direttiva 2014/23/UE, l’art.12 della direttiva 2014/24/UE, l’art.28 della direttiva 2014/25/UE.

27

a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui

trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;

b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono

ef fe t tuate nel lo svolgimento dei compi t i ad essa af f idat i

dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone

giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione

diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di

capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte

dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non

esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Nella specificazione dei tratti caratterizzanti il rapporto di in house

providing, di per sé non particolarmente innovativo rispetto ai risultati

definitori già raggiunti dalla giurisprudenza, assume sicuramente rilevanza,

in primo luogo, la previsione espressa determinazione della percentuale

minima della quantità di attività svolte in favore dell’Amministrazione

aggiudicatrice controllante (80%) e la previsione, nei successivi commi,

delle modalità con le quali si potrà univocamente procedere a determinare

il raggiungimento di tale soglia percentuale33 . Ma i profili innovativi

riguardano specialmente, per quanto riguarda il controllo analogo, la

possibile partecipazione al capitale sociale da parte dei privati ed il

contenuto stesso del controllo.

Quanto al primo aspetto le tre direttive chiariscono che sono ammesse

partecipazioni di capitali sociali privati, purché non implichino controllo o

33 Essenzialmente il fatturato totale medio o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica.... Per un approfondimento di tale tematica si veda infra nel capitolo III.

2829

potere di veto, e purché il capitale privato non eserciti un’influenza

determinante sulla persona giuridica.

Quanto al contenuto del controllo analogo, alla ripetizione della formula

giurisprudenziale già ampiamente conosciuta ed utilizzata (Si ritiene che

un ’Amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un

controllo analogo.. qualora eserciti un’influenza determinante sia sugli

obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica

controllata)34, si accompagna la specificazione che “Tale controllo può

anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta

controllata allo stesso modo dall’Amministrazione aggiudicatrice,” così

di fatto ammettendo la possibilità degli

affidamenti in house mediante holding

societarie.

Altro punto sul quale le direttive si preoccupano di fare chiarezza è quello

dell’esercizio congiunto del controllo analogo, prevedendosi espressamente

anche tale ipotesi quale fattispecie rilevante, congiuntamente agli ulteriori

presupposti dell’in house providing, al fine di poter esimere

34 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009, causa C-573/07, (Sea), punto 65, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML per cui “Per valutare se l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla società aggiudicataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da questo esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società”; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (CoditelBrabant), punto n. 28, in

http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML “Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detto ente”. Si vedano anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 36, in http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML. “Deve trattarsi di una

possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società, e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 65, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62003J0458:IT “Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”.

l’amministrazione aggiudicatrice dall’applicazione delle regole delle

direttive che imporrebbero l’affidamento mediante gara pubblica.

Specificano infatti le citate norme che anche il controllo congiunto può

essere ritenuto un controllo analogo nel caso in cui ricorrano le seguenti

condizioni: “i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata

sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici

partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o

tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali

amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare

congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle

decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la persona

giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle

amministrazioni aggiudicatrici controllanti”.

Risulta dunque nel complesso un quadro che con le eccezioni sopra

ricordate in materia di holding e di partecipazione di capitali privati,

conferma di fatto gli orientamenti giurisprudenziali già consolidati.

4. La normativa della legge di stabilità 2014 ed il suo rilievo sul

controllo societario

Importanti novità, implicanti la necessità di adeguare l’esercizio di

controllo verso i soggetti partecipati, sono stati di recente introdotti anche

dall’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), la

quale dedica alle società partecipate, e più in genere agli organismi

partecipati da amministrazioni pubbliche, i commi 550 e seguenti.

Dall’esame delle citate disposizioni risulta indubbiamente rafforzato il

30

quadro dei controlli che, nell’ambito del coordinamento della finanza

pubblica, sono imposti nei confronti delle società partecipate in genere,

prima ancora che delle sole società in house. E’ opportuno, prima di

esaminare tali disposizioni, richiamare diverse norme che,

nell’ordinamento pubblicistico e nel settore della contabilità pubblica, già

imponevano l’esercizio di un controllo effettivo sull’accesso al lavoro alle

dipendenze degli organismi partecipati ed il rispetto di precisi vincoli di

spesa.

Quanto al primo aspetto, l’art. 18, primo comma, del decreto legge

112/2008, convertito con legge 133/200835 (la norma nel suo complesso,

come si dirà oltre, è stata ulteriormente incisa dalla legge 147/2013),

obbligava le società esercenti servizi pubblici locali a totale partecipazione

pubblica al rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’art. 35 del D.

Lgs.165/2001, attraendo al settore del pubblico impiego le assunzioni

effettuate da codeste società quanto meno nelle procedure di

reclutamento36. Per altro verso anche le società a totale partecipazione

pubblica o di controllo sono espressamente tenute, ai sensi dell’art. 18,

secondo comma, del d.l. n. 112/2008, a rispettare i principi, anche di

derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità nel

reclutamento del personale dipendente.

Di non minor rilievo sono diverse previsioni che nella materia della contabilità pubblica hanno da prima propugnato e poi di fatto determinato, anche per le società a partecipazione pubblica, il consolidamento del

35 Prevede la citata previsione che “A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. ” 36 Su tale principio si veda ad esempio DE MICHELE A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, In Istituzioni del federalismo, Quaderni, n. 2/2011, pag. 73.

31

proprio bilancio con quello degli enti partecipanti e la razionalizzazione

della propria spesa. In tal senso l’art. 2 della legge 196/2006, (legge

statale di contabilità), aveva delegato il governo affinché emanasse, per

le amministrazioni pubbliche, pur con l’eccezione delle regioni e degli

enti locali, regole di bilancio uniformi al fine di consentire

l’armonizzazione dei documenti finanziari. Nell’ambito di tale delega,

espressamente si indicava, alla lettera e) del citato articolo, la finalità di

consentire alle amministrazioni interessate l’adozione di un bilancio

consolidato con i propri organismi controllati.

In quest’ottica, già le modifiche apportate dal d.l. n. 78/2010 all’art. 76,

comma 7, del d.l. n.112/2008, avevano determinato che anche le spese di

personale delle società in regime di controllo affidatarie di servizi pubblici

(o esercenti servizi di interesse generale) dovessero considerarsi ai fini del

conteggio del rapporto massimo consentito tra spesa del personale e spesa

corrente37.

37 E’ opportuno riportare il testo attualmente vigente dell’art. 76, comma 7, del d.l. 112/2008: È fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. Entro il 30 giugno 2014, con decreto del Presidente del

32

E’ opportuno anche segnalare che l’art. 4 del decreto legge 95/2012

“spending review ”, nella parte rimasta in piedi a seguito della sentenza n.

229/2013 della Corte Costituzionale38, impone di ridurre a tre il numero dei

componenti dei consigli di amministrazione delle società controllate

direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art.

1 del D.Lgs. 165/2001 che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato

da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al

90 per cento dell’intero fatturato39. Per le amministrazioni locali, l’art.

147 quater del T.U.E.L. 267/2001, introdotto dal D.L. n.174/2012,

convertito con legge n. 213/2012, ha imposto l’adozione di un sistema

di controlli sulle società non quotate partecipate dagli enti locali. Profili

fondamentali di tale attività di controllo sono la predefinizione degli

obiettivi strategici e gestionali della società partecipata, l’adozione di un

sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra società ed

ente partecipante, ed il monitoraggio sulla società stessa al fine di valutare

risultati ed analizzare eventuali scostamenti dagli obiettivi per potervi porre

rimedio. Anche in questo caso la scelta del legislatore cade sul

consolidamento dei documenti di bilancio dal momento che “I risultati

complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate

partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la

competenza economica.”

Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, d'intesa con la Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al primo periodo, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati”. 38 In www.giurcost.org. 39 La norma è stata opportunamente integrata, quanto ai destinatari del precetto, proprio dalla legge 147/2013: per via degli interventi della Corte Costituzionale aveva infatti perso rilevanza, nel testo del comma 4, il riferimento ai soggetti di cui al comma 1, per l’appunto dichiarato incostituzionale.

3334

Le regole sopra ricordate lasciavano intravedere che gli enti che avessero

deciso di attivare partecipazioni in società esercenti pubblici servizi in

regime di totale controllo pubblico (e non solo) dovessero necessariamente

attivare un sistema di controlli particolarmente pregnante al fine di

consentire il rispetto degli obblighi di legge in materia di consolidamento

dei bilanci.

A tali disposizioni, come anticipato, si sono aggiunte le recenti previsioni

della legge di stabilità, nel mutato quadro dell’entrata in vigore del nuovo

testo dell’art. 81 della Costituzione, il quale, come noto, introduce

nell’ordinamento l’obbligo del pareggio di bilancio40.

Il nuovo impianto di disciplina della legge di stabilità si inserisce in un

quadro complessivo fortemente inciso dalla sentenza della Corte

Costituzionale n. 229 del 23 luglio 2013, la quale aveva di fatto vanificato

le previsioni particolarmente restrittive dell’art. 4 del decreto legge 95/2012

(spending review)41. A seguito di tale pronuncia e nella persistente

necessità di dare specifica regolamentazione al settore delle partecipazioni

pubbliche, oramai foriere di veri e propri buchi di bilancio ricadenti in

40 L’art. 81 della Costituzione è stato sostituito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ed il testo risultante è il seguente “Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale”. In dottrina si veda ad esempio PASSALACQUA M., «Pareggio» di bilancio contro intervento pubblico nel nuovo art. 81 della Costituzione, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it ; RAPICAVOLI C., La riforma costituzionale sul pareggio di bilancio, 2012, in www.filodiritto.com . 41 Per un approfondimento della vicenda della disciplina in tema di spending review si veda PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 84 e seg.

varia misura sugli enti partecipanti (tenuti, come detto al pareggio di

bilancio), il legislatore interviene da un lato nei rapporti tra ente e società e

dall’altro estendendo gran parte delle nuove norme a soluzioni gestionali,

forse di minor rilievo mediatico, come le aziende speciali e le fondazioni,

ma accomunate alle partecipazioni in società dalle problematiche da

affrontare e risolvere ai fini della tenuta dei conti pubblici. Per quanto

qui rileva, i commi 551 e 552, nel prevedere un’articolata procedura di

accantonamento di risorse ed, eventualmente, l’obbligo di ripianamento

delle perdite dell’organismo partecipato, pongono le premesse per

l’introduzione di sistemi di controllo effettivi e concreti, esercitabili nei

confronti di tutti gli organismi indicati dal comma 550 (aziende speciali,

istituzioni e società partecipate dalle amministrazioni locali indicate

dall’elenco di cui all’art. 1, comma 3, della legge 196/2009). Lo

stesso comma 553, presuppone una tipologia di controllo

particolarmente forte, ponendo lo specifico obiettivo che “A decorrere

dall'esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 a partecipazione di

maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali

concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica,

perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di

efficienza. ( .) ”. Concorso da valutarsi, quanto alle società che operano nel

settore dei servizi pubblici locali, mediante “parametri standard dei costi e

dei rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati delle Amminstrazioni

pubbliche ( .) ”, prosegue la norma.

Particolare rilievo sembra anche assumere il comma 558, il quale, nel

modificare il testo del già esaminato art. 76 del d.l. 112/2008, impone di

conteggiare nelle percentuali previste ai fini del contenimento della spesa

35

di personale42 anche le spese di personale delle aziende speciali e delle

istituzioni; nonché il comma 559, che a sua volta modifica il comma 6 del

vigente art. 3 bis del D.L. n. 138/201143 e impone alle società partecipate,

già tenute al rispetto dell’art. 35 del D.Lgs. 165/2001 in materia di incarichi

esterni, anche al rispetto dei “vincoli assunzionali e di contenimento delle

politiche retributive stabiliti dall’ente locale controllante ai sensi

dell’art.18, comma 2 bis, del decreto-legge n.112 del 2008”.

I commi da 563 in poi intervengono infine a regolare rapporti di mobilità di

personale tra società (comma 563) e di gestione delle eccedenze di

personale (commi 565, 566, 567, 568) ovvero di assunzione previa

adozione di atti di indirizzo da parte degli enti partecipanti, in caso di

riorganizzazione di funzioni (comma 564). Senza entrare nel dettaglio di

tali previsioni, è evidente tuttavia che influendo tali processi

sull’organizzazione di servizi esternalizzati, sulle spese della società e, per

tale via, sul bilancio consolidato degli enti partecipanti alle società stesse,

viene postulato un controllo effettivo da parte di questi ultimi anche sui

profili assunzionali e sulle esigenze operative delle proprie società di

riferimento.

42 Si veda supra. 43 Si riporta il testo del citato comma 6: Le società affidatarie in house sono tenute all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Le medesime società adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008.

36

5. Prospettive di evoluzione del controllo sulle società partecipate non

"in house " Questo breve excursus giurisprudenziale-normativo, ben

lungi dal voler assumere profili di sistematicità sul controllo analogo e

sulle modalità del suo esercizio, vuole offrire tuttavia alcuni spunti di

riflessione sull’evoluzione del fenomeno delle partecipazioni pubbliche

nelle società dal punto di vista dei rapporti con le amministrazioni di

riferimento.

Si omette, volutamente, di affrontare la questione della giurisdizione

contabile 44 e si ritiene, invece, di dover effettuare alcune osservazioni sulla

forma di controllo presupposta dalle nome richiamate su tutte le ipotesi di

partecipazione di cui all’art. 1, comma 550, della legge di stabilità n.

147/2013: infatti, scorrendo le previsioni che regolano la materia delle

partecipazioni degli enti e delle amministrazioni pubbliche, la conclusione

che ci pare doversi assumere è che il legislatore abbia finito per avvicinare

(se non omologare, quanto meno) l’ipotesi della partecipazione “spuria”

delle amministrazioni pubbliche nelle società a quella della partecipazione

in società in house.

L’esigenza primaria del contenimento della spesa pubblica, e quelle

strettamente ad essa correlate della persecuzione di una politica di bilancio

in pareggio (per l’ente di riferimento), dell’armonizzazione dei bilanci di

società e degli organismi partecipati e specialmente del controllo sulla

spesa di personale complessiva, o ancora in termini più concreti la stessa

gestione della mobilità e delle eccedenze di personale e la possibilità di

dover obbligatoriamente coprire le perdite societarie con specifici

44 Ci si limita tuttavia a formulare un quesito: nel momento in cui, se pur eventualmente, l’ente partecipante sia tenuto a ripianare le perdite della società secondo procedure ben definite, è ancora sostenibile, che le risorse societarie siano risorse private tutelabili esclusivamente attraverso l’azione sociale di responsabilità davanti al giudice ordinario?

37

accantonamenti, e più in generale tutti gli ulteriori profili sopra ricordati,

inducono a ritenere che il ruolo degli enti pubblici partecipanti in società

pubbliche o private 45, anche non affidatarie in via diretta di servizi

pubblici, non possa più limitarsi ad una presa mera d’atto dei risultati

gestionali di queste ultime al di fuori di un concreto potere (e dovere) di

intervento. Tutti i profili sopra esaminati sembrano implicare, invece, la

necessità di un controllo strategico della società e della programmazione

della sua attività operativa. Tale controllo non pare possa limitarsi alla sola

predisposizione o approvazione di un piano gestionale, dovendo avere

ampiezza senz’altro maggiore: basti pensare alla mobilità del personale ed

alla gestione delle eccedenze e specialmente agli obblighi di

contenimento della spesa corrente della società stessa. Pare si debba

dunque ritenere che il controllo presupposto dal legislatore implica la

valutazione ex ante degli obiettivi e quella ex post dei risultati della

società ed impone altresì la verifica dell’intero svolgimento

dell’attività e se del caso, anche l’intervento correttivo in corso di gestione.

Ciò non fosse altro perché l’ente di riferimento è oramai chiamato ad

approntare le risorse per far fronte alle perdite gestionali della società,

qualora queste si verifichino.

Solo l’applicazione pratica di questa forma di controllo consentirà di

verificare se esso sarà difforme dal controllo analogo o se invece assumerà

(totalmente o parzialmente) le forme di quest’ultimo.

45 Tale espressione è volutamente utilizzata e deve essere intesa nel senso dell’irrilevanza, allo stato attuale della natura pubblica o privata che si voglia attribuire alle società partecipate.

38

Capitolo II - Controllo analogo, disfunzioni gestionali e rischio di

fallimento per le società pubbliche di Mattia Pani

1. La problematica della fallibilità delle società pubbliche

Dopo aver analizzato approfonditamente la questione del controllo analogo

sotto diversi punti di vista, è di interesse affrontare il problema relativo

all’eventuale assoggettabilità delle società pubbliche alle procedure

concorsuali ed, in particolare, all’ipotesi del fallimento46 per quanto abbia

rilevanti radici storiche solo di recente ha assunto primaria importanza.

Come si avrà modo di vedere, anche tale aspetto della vita delle società

pubbliche è influenzato, per quanto riguarda le società in house, proprio

dall’esplicarsi di un controllo analogo. In generale, la costante e

continua evoluzione e diffusione del fenomeno delle società partecipate

quali organismo formalmente di diritto privato ma avente sostanza (e cioè

natura e proprietà) oltreché finalità pubbliche, ha notevolmente

incrementato la rilevanza pratica della questione. Più nel dettaglio la

sempre crescente attrazione delle predette società partecipate alla nozione

di ente pubblico, stante la strategica funzionalità da loro assunta per il

conseguimento degli scopi di pubblico interesse, fa sorgere spontaneo

l’interrogativo circa la sorte cui le stesse devono essere assoggettate per

l’ipotesi di accertate (e sempre più spesso ripetute) disfunzioni

gestionali che conducono all’accumularsi di importanti passivi di bilancio.

Per dirimere la questione occorre, preliminarmente, partire da contenuto

dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n.

46 Sulla disciplina del fallimento in generale si veda, ad esempio, FERRO M., (a cura di), La legge fallimentare, Commentario teorico -pratico, seconda edizione, Padova, 2011.

39

26747 e art. 2221 del codice civile), il quale individua i soggetti che sono

sottoposti alla disciplina delle procedure concorsuali osservando che “sono

soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo48 gli

imprenditori che esercitano attività commerciale”, per poi precisare che ne

sono espressamente esclusi “gli enti pubblici”49.

In ragione di ciò, se dunque è pacifico che gli enti pubblici territoriali sono

esentati dall’applicazione della disciplina in materia di fallimento, è

necessario accertare in concreto l’esatta portata oltreché i confini reali della

sopradetta nozione derogatoria di ente pubblico; e ciò al fine di chiarire se

tale eccezione sia estensibile anche al più ampio novero delle società

pubbliche partecipate ed, in particolare, alle società in house.

47 Articolo modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e successivamente modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169. 48 Con specifico riferimento al solo fenomeno dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è stata recentemente introdotta una particolare forma di ammissione a detta procedura da parte delle società operanti nei servizi pubblici essenziali. Il riferimento è all’art. 1, comma 1 bis, del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, nel testo modificato dalla legge di conversione 27 ottobre 2008, n. 166, che ha introdotto nell’art. 27, comma 2, del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (avente ad oggetto le condizioni di ammissione alla procedura) la lettera b-bis), in virtù della quale il risultato del recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali può essere realizzata per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (cosi detto programma di cessione dei complessi di beni e contratti). Sul punto si veda anche l’art. 1, comma 3, del D.L. 3 dicembre 2003, n. 347, convertito con modificazioni, dalla L. 18 febbraio 2004, n. 39, il quale, introducendo un periodo concernente l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, ha disciplinato la nomina del commissario straordinario. 49 La disposizione, peraltro, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 15, ultimo comma, della legge fallimentare che stabilisce in concreto la soglia di indebitamento oltre la quale è possibile proporre istanza di fallimento precisando che “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”, oltreché con l’art. 1, comma 2, lett. a), b) e specialmente c) secondo cui per poter essere esente da fallimento l’imprenditore non deve avere debiti di ammontare complessivamente superiore a euro 500.000. Cfr. LEFEBVRE F., Fallimento: soggetti interessati, Padova, 2013, pag. 149 e sgg.

40

2. Evoluzione storica

Storicamente non è mai stato posto in dubbio il fatto che enti strumentali,

aziende e, da ultimo, le società in mano pubblica fossero tutti in egual

misura sottratti alle procedure concorsuali, cosicché la questione è stata

riproposta di recente a seguito del fenomeno delle privatizzazioni e

dell’incessante e ampio utilizzo del modello societario avvenuto nel corso

dell’ultimo decennio50.

In tale contesto si poneva quale elemento di discrimine il presupposto

secondo il quale la veste giuridica privatistica, sebbene evidente sotto un

profilo formale, doveva necessariamente intendersi recessiva rispetto a

numerosi e plurimi elementi di matrice sostanziale certamente dotati di

maggiore e preminente rilevanza5 1. Per questo motivo in una prima

fase storica l’assoluta e diretta promanazione e dipendenza dall’ente

pubblico proprietario costituiva un utile schermo in presenza del quale

non era possibile dubitare circa l’assoggettabilità al medesimo regime

giuridico pur in presenza dei presupposti di legge per il fallimento. Per

contro il progressivo e crescente ingresso di capitali privati nelle società

pubbliche ha fatto sì che le stesse siano sempre meno soggette al

pregnante sistema di controlli e vincoli pubblicistici ma soprattutto ha

determinato un vero e proprio avvicinamento del modello gestionale di

queste società a quelle di tipo più squisitamente privatistico.

50 In tal senso Cassazione Civile, sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209, in www.ilcaso.it . 51 Dottrina e giurisprudenza hanno nel corso del tempo individuato diversi fattori in presenza dei quali l’impresa deve essere ricondotta alla categoria degli enti pubblici esentando la stessa dal rischio “fallimento”. Tra di essi si possono citare la partecipazione pubblica all’azionariato, l’ingerenza e controllo nella gestione da parte dei pubblici poteri, la rilevanza di erogazioni di capitali pubblici, i vincoli di natura pubblicistica imposti sull’attività svolta e l’assenza di vocazione commerciale. In proposito si veda diffusamente BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag. 1667 e infra.

41

Ecco perché, stante il mutato quadro funzionale e organizzativo di

riferimento, si rendeva indispensabile comprendere in quale misura le

società che gestiscono servizi pubblici possono o meno essere

regolamentate in tutto e per tutto alla stregua di qualsiasi società di capitali

anche sotto il profilo delle disciplina delle procedure concorsuali.

Al riguardo sia la dottrina che la giurisprudenza si sono spesso confrontate

sull’argomento giungendo talvolta a soluzioni articolate e differenti

specialmente in ragione del grado di ingerenza dei privati nel capitale

sociale oltreché nelle funzioni gestionali52. Ciò ha condotto

all’affermarsi di due differenti orientamenti definititi “tipologico” e

“funzionale”. Il primo è connotato da alterne impostazioni in quanto

secondo alcune pronunce, per applicare la legge fallimentare è dirimente

sic et simpliciter, la natura privatistica della società, una volta che sia stata

iscritta come tale nel registro delle imprese; altre pronunce, pur avendo

riguardo alla natura della società, solo eccezionalmente ne ritengono

ammissibile la riqualificazione.

A conforto del sopra esposto orientamento possono essere richiamate due recenti pronunce della Corte di Cassazione53 in forza delle quali “le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un ’att ivi tà commerciale sono assogget tabil i al fal l imento

52 Al riguardo si veda la ricostruzione dei differenti orientamenti di BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag. 1664. 53 Il riferimento è a Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209. In proposito è bene precisare, però, che in entrambe le pronunce il Supremo Consesso si è occupato di fattispecie societarie aventi ad oggetto una società mista che, come noto, integra uno strumento giuridico completamente diverso, sotto il profilo ontologico e finalistico, rispetto alle società interamente partecipate da soggetti pubblici ed, in particolare, dalle società in house. In tali ipotesi lo statuto delle predette società miste aveva consentito di accertare un oggetto sociale molto ampio, la mancata previsione della prevalenza dell’attività di interesse pubblico da svolgersi in favore dell’ente proprietario, l’assenza di un effettivo potere di ingerenza e verifica da parte dei soci pubblici oltreché finalità statutarie orientate al soddisfacimento di esigenze di carattere industriale e commerciale.

42

indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa”.

Nelle ipotesi esaminate da tali pronunce l’attività di supervisione

effettivamente esercitata dagli enti parzialmente proprietari non era

riconducibile ai presupposti del controllo analogo ma integrava un normale

rapporto di controllo che non andava oltre le previsioni fissate dal codice

civile per le ordinarie società di diritto privato54. Di conseguenza sottrarre

le società a partecipazione pubblica solo parziale e per lo più dotate di una

forte (o, meglio ancora, determinante) ingerenza dei soci privati dalla

disciplina del fallimento avrebbe determinato una palese quanto

ingiustificata violazione degli inderogabili principi costituzionali di

eguaglianza e affidamento55.

Si deve, comunque, riscontrare come il dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare si fondi su un criterio di natura soggettiva e, più precisamente, sulla riconducibilità o meno di una società al paradigma formale dell’ente pubblico per quanto sia innegabile che si tratti di una definizione ormai datata56 e anacronistica57.

54 Ciò appare, peraltro, logico in quanto la natura della società mista rende la stessa difficilmente conciliabile con un rapporto di strumentalità rispetto all’ente pubblico proprietario in quanto tale tipologia di impresa appare spesso, in specie quanto più è rilevante la partecipazione di privati, dotata di piena autonomia negoziale, finanziaria e patrimoniale. 55 Più precisamente Cassazione Civile, 27 settembre 2013, n. 22209, osserva che “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza”.

56 Non può in questa sede essere trascurato che il dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge fallimentare non tiene conto della configurabilità del modello gestionale riconducibile alle società pubbliche partecipate. La nozione contenuta nella norma si fonda su di un ormai inadeguato e datato criterio di natura soggettiva e, più precisamente, sulla riconducibilità o meno di una società al paradigma formale dell’ente pubblico, che in alcun modo tiene conto dell’oggigiorno consolidato orientamento funzionale. In sostanza la norma nasce in un contesto storico in cui il novero degli enti pubblici era

43

Più di recente, poi, alcuni interpreti, al fine di discernere tra le imprese

pubbliche assoggettabili al fallimento da quelle invece escluse da tale

disciplina, sono pervenuti ad individuare un criterio chiamato “funzionale”

in forza del quale ciò che maggiormente rileva nella predetta indagine è la

ricerca del fine pubblico perseguito dalla società che si ravvisa tutte le volte

in cui l’attività economica svolta è diretta a soddisfare l’interesse collettivo

e generale58.

In questo modo è possibile ipotizzare un criterio di natura sostanziale e non

formale della qualificazione di un soggetto come pubblico59.

Il fine pubblico perseguito è, peraltro, incompatibile con la cessazione

dell’attività che, per quanto disposta a tutela dei creditori di certo

pregiudicherebbe il superiore interesse pubblico 60 alla continuità della

prestazione pubblicistica con conseguente discutibile gestione da parte

degli organi del fallimento di funzioni che per legge sono riservate alla

sostanzialmente riconducibile solo a quelli territoriali e ai pochi strumentali al contrario di quanto, invece, oggi la casistica pratica consenta di fare stante l’ampliamento soggettivo degli ultimi anni. 57 Lo storico principio di legalità, posto a fondamento dell’istituzione degli enti pubblici, trova fondamento nell’art. 4 della l. n. 70/1975 che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da un espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco. Questa disposizione, però, non pare più aggiornata al corso dei tempi posto che tale principio dovrebbe più opportunamente essere applicato anche in funzione del significato specifico che oggi giorno può essere attribuito alla nozione particolarmente ampia di ente pubblico. Ad esempio già la storica legge sul procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990 e, allo stesso modo, il codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006 e la giurisprudenza comunitaria riportano una nozione di pubblica amministrazione certamente più estesa rispetto al passato e capace di ricomprendere anche alcune tipologie di soggetti giuridici privati ma dotati di natura sostanzialmente pubblicistica in quanto chiamati a espletare un servizio pubblico. Per tali ragioni ricondurre una società partecipata al concetto di derivazione europea di organismo di diritto pubblico potrebbe agevolare l’indagine in argomento. Cfr. infra. 58 Al riguardo APRILE F., CELENTANO P, CULTRERA M.R., Tipologie soggettive al vaglio di fallibilità, in L’istruttoria prefallimentare, a cura di FERRO M., DI CARLO A., pagg. 183 e sgg. In giurisprudenza si veda, invece, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in Fallimento, 2009, pag. 713. 59 In giurisprudenza si veda, ad esempio, Cassazione Civile, sez. Unite, 15 aprile 2005, n. 7799, in www.ilcaso.it e Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 308, in www.giustizia-amminstrativa.it. 60 In un giudizio di comparazione quest’ultimo dovrebbe necessariamente considerarsi prevalente in quanto per sua natura è espressione di un interesse generale ed univocamente diffuso a differenza di quanto avviene per i predetti creditori che, invece, sono portatori di un interesse che – per quanto rilevante fa comunque capo a pochi.

44

pubblica amministrazione e che rientrano nelle relative potestà discrezionali61.

In definitiva il perseguimento di un fine pubblico non consente la

dichiarazione di fallimento in quanto la cessazione dell’attività - finalizzata

alla tutela dei creditori - pregiudicherebbe l’interesse pubblico soddisfatto

dall’ente proprietario attraverso la società partecipata ma di diritto

privato62.

Tale ultimo orientamento, poi, ha trovato anche il conforto della Corte di

Cassazione 63 che ha ritenuto di poter ampliare la nozione di soggetto/ente

pubblico richiamando la definizione data dalla giurisprudenza comunitaria.

In particolare “una società può qualificarsi quale organismo di diritto

pubblico se soddisfa cumulativamente tre condizioni: 1) è stata istituita per

soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non

industriale o commerciale; 2) è dotata di personalità giuridica; 3) la sua

attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici

territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure

(alternativamente) la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi

oppure (alternativamente) il cui organo di amministrazione, di direzione o

di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designato

dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto

pubblico. Per verificare se un organismo soddisfi specifiche esigenze di

interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, e sia

61 Il tutto con il rischio di un grave pregiudizio per l’interesse generale alla sana e corretta gestione della cosa pubblica. Del resto si noti, in termini esemplificativi, che la nomina del liquidatore in forza dell’art. 2487 del codice civile spetta all’assemblea dei soci che nel caso delle società partecipate - come noto - altro non sono che gli enti pubblici territoriali proprietari. Sul punto D’ATTORE G., Le società in mano pubblica e fallimento, in Fallimento, 2010, pagg. 869 e seg. e infra. 62 In dottrina D’ATTORE G., Le società in mano pubblica possono fallire, in Fallimento, 2010, pagg. 715 e sgg. Per la giurisprudenza si veda Corte d’Appello di Torino, 15 febbraio 2010 e Tribunale di Messina, 24 aprile 2010.63 Cassazione Civile, sez. Unite, 9 maggio 2011, n. 10068.

45

quindi qualificabile come organismo di diritto pubblico, occorre accertare

che l’organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul

mercato, poiché ciò costituisce un indizio a sostegno del fatto che non si

tratti di un bisogno di interesse generale non industriale o commerciale;

che questi ultimi bisogni, siano di regola, soddisfatti in modo diverso

dall’offerta dei beni o servizi sul mercato; che si tratti di bisogni al cui

soddisfacimento, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato

preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende

mantenere un’influenza determinante”. In sostanza l’assenza di un

effettiva natura e finalità di impresa commerciale, quale conseguenza

del pregnante e inderogabile controllo pubblico analogo a quello esercitato

sulle proprie strutture operative, pare essere incompatibile con un eventuale

dichiarazione di fallimento.

Il predetto quadro giurisprudenziale da ultimo è stato definitivamente

ricondotto ad unità dalle sezioni Unite della Cassazione 64 che hanno sancito

il principio della indistinguibilità della società in house dagli enti pubblici

che le partecipano con la conseguenza che tali soggetti ben possono essere

sottratti alla disciplina del fallimento. 3. La sentenza della Corte di

Cassazione, sezioni Unite civili, 25

novembre 2013, n. 26283La recente sentenza resa dalla Corte di Cassazione a sezioni Unite 65 è

risolutivamente intervenuta sul problema afferente il regime giuridico

64 Cfr. Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 su cui si veda, diffusamente, infra e, in termini sostanzialmente analoghi, si confronti pure la recentissima Cassazione Civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491 che, nel richiamare in ampi passaggi la sentenza 26283 ne ha fatto proprio il contenuto e le conclusioni. 65 Ancora Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283 e Cassazione Civile, sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491.

46

applicabile alle società pubbliche soffermandosi, in particolare, sulla natura

delle società in house e sul rapporto intercorrente tra detto modello

gestionale pubblico e gli enti che lo partecipano; il tutto attraverso la

fissazione di alcuni corollari in forza dei quali è ora possibile giungere alla

conclusione secondo cui a detto modello gestionale pubblico non paiono

applicabili le procedure concorsuali. La Corte, anzitutto, individua “i

connotati qualificanti della società in house costituita per finalità di

gestione di pubblici servizi e definita da tre requisiti già più volte ricordati: la

natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attività in

prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione a un controllo

corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Ma si

intende che, per poter parlare di società in house, è necessario che

sussistano tutti contemporaneamente e che trovino tutti il loro fondamento

in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale”.

Con riferimento al primo requisito è noto, poi, che la giurisprudenza

europea ha più volte ammesso la possibilità che il capitale sociale faccia

capo ad una pluralità di soci, purché si tratti sempre di enti pubblici posto

che lo statuto della partecipata deve escludere in maniera espressa ed

inderogabile la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni

societarie di cui gli enti pubblici siano titolari66.

Si aggiunga, poi, che l’indispensabile rilevanza del presupposto della

prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti

66 Al riguardo si vedano i nuovi parametri fissati dalla direttiva europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 recentemente pubblicata e soggetta, come di consueto, all’obbligo di recepimento biennale per lo Stato italiano e che contiene un’importante apertura alla partecipazione, in misura non predominante (e, comunque, non superiore al venti per cento), dei privati. Al riguardo si veda, però, contra il Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181, secondo il quale “i soggetti privati non possono in nessun modo essere ammessi a partecipare ad” una società in house.

47

partecipanti alla società postula, in ogni caso, che l’attività accessoria non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul mercato dei beni e dei servizi.

Ancora la Corte di Cassazione chiarisce l’assoluta necessità (indispensabile

onde evitare il fallimento) del requisito del così detto controllo analogo che

sussiste qualora l’ente pubblico partecipante abbia “statutariamente il

potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in

house, i cui organismi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in

posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L’espressione

controllo non allude, perciò, in questo caso all’influenza dominante che il

titolare della partecipazione maggioritaria o totalitaria è di regola in

grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso sulle scelte

degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente

esercitato sulla gestione dell’ente, con una modalità e un’intensità non

riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio

(fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile” 67.

Della sussistenza di detto elemento, in particolare, non è in ogni caso

possibile prescindere posto che la sua inderogabile presenza connota e

contraddistingue indefettibilmente i contenuti pubblicistici della società in

house.

In definitiva le sezioni Unite hanno sancito l’impossibilità di individuare una differenza soggettiva tra il socio pubblico e la società in house perché, a prescindere, dalle veste societaria di cui è rivestito tale strumento gestionale, è innegabile che la stessa altro non è che una promanazione

67 Il Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181, è recentemente tornato sulla definizione di controllo sostanzialmente confermando l’orientamento di cui alla sentenza 26283 e precisando che “il controllo analogo è un controllo non di matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da un maggioranza assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo, paragonabile ad un controllo di tipo gerarchico”.

48

dell’ente pubblico ed in quanto tale non può essere assoggettata a una

disciplina diversa né tantomeno al fallimento.

Ciò in quanto, “la società in house, come in qualche modo già la sua stessa

denominazione denuncia, non pare invece in grado di collocarsi come

un ’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di

una propria articolazione interna. È stato osservato, infatti, che essa non è

altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che

l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente

veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte

cost. n. 46/13, cit.); di talché l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto

all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei

servizi propri dell’amministrazione stessa (così Cons. Stato, Ad. Plen. N.

1/08, cit). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è

dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società in house

non si realizza più in termini di alterità soggettiva. L’uso del vocabolo

società qui serve allora solo a significare che, ove, manchino più specifiche

disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal

modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona

giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di

cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile

parlare”.

In termini riassuntivi, dunque, l’elemento discretivo in presenza del quale

una società pubblica non è assoggettabile al fallimento è determinato 68 non

solo dal fatto che la stessa non deve esercitare un’attività commerciale o,

68 In senso conforme alla sentenza della Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, in dottrina vedasi, ad esempio, DI RUSSO D., Con l’esclusione del fallimento deficit da ripianare, in Norme e Tributi, Milano, 13.01.2014; CLARICH M., Società in house al nodo fallimento, in Norme e tributi, Milano, 29.11.2013.

49

meglio ancora dal fatto che la stessa svolga un servizio pubblico di

interesse generale (non in condizioni di concorrenza) ma anche e

soprattutto dalla sua natura pubblica o meno certamente indiscutibile in

presenza dei presupposti del controllo analogo (è il caso delle società in

house) e da verificarsi caso per caso nelle altre ipotesi di società

partecipate69. 4. La non assoggettabilità a fallimento delle società

pubbliche (in house) nella giurisprudenza di merito successiva alle

sezioni unite 25

novembre 2013, n. 26283

Attraverso la lettura combinata del disposto dell’art. 1 della legge

fallimentare e dei principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione a

sezioni Unite70 può con certezza affermarsi che se gli enti pubblici non

possono fallire, conseguentemente e allo stesso modo non possono fallire

neppure le società in house e, più in generale, tutte le società partecipate

pubbliche ove le stesse non presentino nessuna distinzione e alcun

elemento di alterità soggettiva rispetto agli enti pubblici proprietari;

circostanza quest’ultima che, come noto, avviene solo ove sia riscontrata in

concreto la presenza degli elementi pubblici esaminati nei paragrafi

precedenti.

Il sopraesposto ragionamento è stato fatto proprio anche dalla

giurisprudenza di merito la quale, in applicazione dei principi espressi dalle

69 Secondo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 22 luglio 2009, n. 52, la mera titolarità in capo ad un soggetto pubblico delle partecipazioni ad una società per azioni non consente di concludere tout court per la natura pubblica della partecipata, al fine di stabilire la assoggettabilità o meno a procedura concorsuale della medesima, ma si dovrà in concreto e caso per caso valutarne la gestione e l’attività svolta.70 Si tratta della pluricitata sentenza del 25 novembre 2013, n. 26283.

50

sezioni Unite nella storica sentenza citata n. 26283/2013, è pervenuta in più

occasioni a conclusioni sostanzialmente coincidenti.

Il Tribunale di Verona71, ad esempio, ha affermato che “nelle società in

house providing, aventi i requisiti espressi dalla Cassazione sez. Un. 25

novembre 2013, n. 26283, non può configurarsi un rapporto di alterità, né

una separazione patrimoniale, tra l’ente pubblico partecipante e la società

stessa. Pertanto gli organi della società risultano preposti ad una struttura

corrispondente ad un’articolazione interna della pubblica amministrazione

e ad essa legati da un vero e proprio rapporto di servizio.

Conseguentemente, come accade nelle amministrazioni pubbliche, gli

amministratori della società sono sottoposti ad un controllo assoluto da

parte delle amministrazioni, tali da privarli di effettivi e concreti poteri

gestori. In qualità di articolazioni di enti pubblici, a tali società deve

essere estesa la previsione di esenzione di fallimento, ex. art. 1 l.f.”.

In termini ancora più efficaci, poi, il Tribunale di Napoli72 ha ulteriormente

chiarito che “se è vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento,

anche la società in house, integralmente partecipata dagli stessi, non potrà

essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto concreta mero

patrimonio separato dell’ente pubblico e non distinto soggetto giuridico,

centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della

partecipazione che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto

corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni” 73.

71 Tribunale di Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it . nello stesso senso Tribunale di Nola, 30 gennaio 2014, ove è, peraltro, precisato che “la mancanza anche di uno solo di tali requisiti consente l’applicabilità dell’art. 161 l.f.”. 72 Tribunale di Napoli, 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it . 73 Si veda, pure, Tribunale di Modena, 10 gennaio 2014, il quale ha osservato che “in difetto di diversa qualificazione legislativa, deve ritenersi valido il principio generale della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto forma societaria iscrivendosi nell’apposito registro e quindi volontariamente assoggettandosi alla disciplina privatistica”.

51

Del resto, già in precedenza, anche il Tribunale di Palermo74, invece di

puntare sul criterio della qualificazione formale del soggetto come ente

pubblico, incentrava la propria interpretazione sulla esclusione della natura

di imprenditore commerciale ammettendo la fallibilità solo se “la società

operi all’interno di un mercato concorrenziale, incompatibile con la

situazione di esclusiva o di monopolio, svolgendo attività economica

diretta al pubblico degli utenti e dei consumatori”75.

In definitiva tutte le volte in cui sia accertata l’assenza di una alterità

soggettiva e di patrimonio76 tra la società pubblica e l’ente proprietario ben

potrà essere scongiurata l’applicazione delle procedure concorsuali ed, in

particolare, dell’art. 1 della legge fallimentare. 5. Problematiche

pratico-applicative A completamento della sopra esposta indagine

giurisprudenziale e teorico dottrinale si riportano ora di seguito alcuni

brevi elementi di riflessione pratico-applicativi che forse, singolarmente

considerati, non solo da soli sufficienti a giustificare la deroga per le società

pubbliche all’applicazione della disciplina in materia di procedure

concorsuali ma di certo possono dimostrare la difficile conciliabilità

dell’istituto del fallimento con il regime

e le regole pubblicistiche proprie delle società partecipate.

74 Tribunale di Palermo, 8 gennaio 2013, n. 99. 75 Il bilancio delle società partecipate, infatti, deve essere approvato prima dall’assemblea dei soci (composta dai soggetti pubblici titolari di quote di partecipazione) e poi dai medesimi enti proprietari; questi ultimi, a loro volta, in sede di approvazione del proprio bilancio dovranno dare conto delle partecipazioni in essere e degli eventuali utili/perdite conseguite. 76 In senso conforme in dottrina cfr. SANTUARI A., Le società pubbliche non falliscono, 26.01.2013, in www.personaedanno.it e POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate, in Norme e tributi, Milano, 21.01.2014.

52

A tal proposito appare significativo spendere alcune considerazioni in

primo luogo con riferimento alle sorti del personale occupato alle

dipendenze delle imprese pubbliche.

Infatti, è noto che il regime giuridico al quale è assoggettabile il personale

delle società partecipate - già a partire dallo storico art. 18, commi 1 e 2,

del D.L. 25 giugno 2008, n. 11277, dall’art. 76, comma 7, L. 30 giugno

2008, n. 113 e ancor più oggi per effetto delle ultime novità legislative

introdotte dall’art. 1, commi 557 e seguenti, L. 27 dicembre 2013, n. 147,

così detta “legge di stabilità per il 2014”78 - è certamente riconducibile a

quello degli enti pubblici proprietari. Più precisamente tutti i vincoli

preordinati all’assunzione79 (tetto massimo numerico, parametri minimi di

spesa di riferimento, rapporto personale destinato alla quiescenza e nuovi

fabbisogni80, blocco delle assunzioni e delle retribuzioni e, più in generale,

77 Decreto convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, rubricato “Reclutamento del personale delle società pubbliche”. Tra i vari commenti della disciplina si vedano BARBIERO A., D i s c i p l i n a d e l l e a s s u n z i o n i n e l l e S o c i e t à i n t e r a m e n t e p a r t e c i p a t e , 2 0 0 8 , i n http://www.albertobarbiero.net; DE MICHELE A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, In Istituzioni del federalismo, Quaderni, n. 2/2011, pag. 73 e seg.; TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da parte delle società a partecipazione pubblica, 2009, in www.dirittodeiservizipubblici.it; GRECO M., Il reclutamento delle risorse umane nelle società pubbliche, La pubblica amministrazione nel D.Lgs n. 165/2001 e nell’ordinamento comunitario, 26 marzo 2009, in www.diritto.it . 78 Ma si veda pure la disciplina della mobilità, come prevista dall’art. 1, commi 563 e seguenti della medesima legge 27 dicembre 2013, n. 147. Ad esempio il comma 565, relativo alle eccedenze di personale, prevede un’informativa preventiva alle rappresentanze sindacali e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica per evitare che si possano verificare abusi o altre forme di distorsione. 79 POZZOLI S., Società, tetti alle assunzioni con platea e parametri nel caos, in Norme e tributi, Milano, 28.04.2014.

80 In definitiva l’obbligo del rispetto delle regole pubblicistiche sia per gli enti locali proprietari che per le società in house controllate trova, già da tempo, ulteriore riscontro nel predetto art. 76, comma 7, l. 30 giugno 2008, n. 113, in forza del quale “È fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore

53

l’espressa estensione alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società

partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali di tutti gli obblighi

relativi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui all’art. 1,

comma 553) e il conseguente procedimento vincolato di assunzione (e,

talvolta, anche buona parte dei contenuti dello stesso contratto di lavoro)

del personale delle società pubbliche presentano una sostanziale

omogeneità rispetto alla disciplina applicabile agli enti territoriali di

riferimento81. Da tale tendenziale corrispondenza di regolamentazione

al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari” (comma più volte modificato ed integrato dall'art. 4-ter, comma 10, legge 44/2012) . 81 La normativa in materia di società pubbliche per quanto abbia spesso un carattere frammentario (essendo favorita prevalentemente da esigenze straordinarie e contingenti) continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale priva di organicità ma con ampio ambito di applicazione. Esistono, infatti, ulteriori esempi di attrazione della società partecipata nella normativa pubblicistica. Ciò dicasi, in particolare, per l'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2 (convertito con modificazioni dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), inclusione ovviamente ispirata dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa pubblica; lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal così detto patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli enti locali (articolo introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213). Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. ed, anzi, il comma 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Si tratta di una disposizione intimamente connessa alla previsione del precedente comma 12, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, “rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contrati stipulati”.

54

consegue, pertanto, che per l’ipotesi in cui la società pubblica sia ritenuta assoggettabile al fallimento i dipendenti della stessa non possono essere sottoposti allo stesso trattamento riservato a qualsivoglia dipendente di una società di diritto privato rigidamente intesa.

A titolo di esempio basti pensare che82 se il lavoratore si è preliminarmente

prestato alle rigorose prove concorsuali (o anche solo selettive) necessarie

ed indispensabili a consentire l’accesso presso l’azienda partecipata pare

davvero illogico e irragionevole che la sorte di quello stesso dipendente –

che, peraltro, in pendenza del rapporto di lavoro ha ripetutamente fruito di

ampie garanzie ma anche di evidenti vincoli tipicamente pubblicistici – sia

lasciata al caso senza alcuna forma di tutela.

Ed in particolare il principio del concorso pubblico (ovvero dell’obbligo di adeguate procedure di valutazione trasparenti83) è talmente rilevante che secondo la Corte costituzionale non è legittimo il passaggio del personale da una società pubblica all’ente proprietario in automatico, se la prima, nelle sue assunzioni, non ha adottato idonee procedure selettive conformi al canone costituzionale di cui all’art. 97, comma 3, della Costituzione84

.

Del resto la circostanza che al momento non esiste alcuna forma di disciplina che regolamenti85 la situazione del personale delle società pubbliche per l’ipotesi di fallimento comporta che astrattamente lo stesso

82 Come ormai è ragionevole che accada. 83 Ancora art. 18, commi 1 e 2, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112. 84 Un caso di questo tipo si riscontra, ad esempio, in Corte costituzionale, 3 marzo 2011, n. 68, in www.giurcost.org, in quanto si verificherebbe “l’assenza di criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, sia perché il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato si riflette – anche nel caso di imprese o società affidatarie dell’appalto interamente private – sui principi di legalità e di buon andamento della pubblica amministrazione affidante in termini di non conformità alle disposizioni sulla «clausola sociale», di minore apertura dei servizi alla concorrenza e di maggiori costi, considerato che l’obbligo eccede i limiti temporali dell’affidamento del servizio”. 85 O che, per lo meno, regolamenti in modo diverso da quanto avviene per il personale delle società di diritto privato rigidamente intese.

55

sia privo di idonee garanzie di continuità del rapporto di lavoro incardinato, come poc’anzi detto, secondo un severo percorso pubblicistico.

Tale circostanza, per quanto non da sola sufficiente ad escludere

l’applicabilità delle regole concorsuali alle società partecipate, dovrebbe

quantomeno indurre il Giudice fallimentare ad interrogarsi sulla scarsa

compatibilità della disciplina privatistica rispetto alle garanzie

occupazionali minime 86 che di fatto non paiono assicurate (in caso di

fallimento) a chi ha lavorato nell’esclusivo perseguimento del pubblico

interesse sebbene attraverso lo schermo di una società di diritto privato

costituita per la gestione di servizi pubblici essenziali e di proprietà di enti

territoriali87.

Sotto altro profilo, poi, non può sottacersi che l’assoggettamento a

fallimento di una società pubblica comporta che la stessa viene,

conseguentemente, riportata nell’alveo delle regole tipicamente

privatistiche con l’evidente effetto che la responsabilità degli

amministratori della stessa non potrà che essere valutata, almeno in

prevalenza 88, solo ed esclusivamente secondo le regole del codice civile.

86 Di cui pare incontestabilmente avere diritto il lavoratore alle dipendenze di una partecipata. 87 È ormai un fenomeno tristemente affermato e troppo spesso condiviso dalla legislazione di emergenza che si sussegue in materia di servizi pubblici quello in forza del quale la sorte del personale non viene quasi mai presa in considerazione o, addirittura, talvolta, viene completamente trascurata. Si tratta di una vicenda dai contenuti paradossali perché sempre più spesso i dipendenti delle partecipate si trovano a dover rispettare rigorosi procedimenti di assunzione per non poter poi godere, in costanza del rapporto di lavoro, neppure di quelle garanzie minime generalmente riconosciute alle forza lavoro delle società di diritto privato.

88 Cfr. al riguardo la graduazione presente nella sentenza della Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283, la quale ammette il danno erariale nel caso di responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dell’ente pubblico che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente. È il caso del danno all’immagine della pubblica amministrazione. Analogamente l’azione del procuratore contabile appare configurabile anche nei confronti (non già dell’amministratore della società partecipata per il danno arrecato al patrimonio sociale) di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione. In particolare, secondo la Corte, “ciò che può accadere quando il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli amministratori o agli organi di controllo della società

56

Tale effetto, invece che essere una forma di tutela per l’interesse pubblico

rappresenta piuttosto, una grave forma di lesione dello stesso posto che le

gravi irregolarità commesse da chi ha amministrato servizi pubblici

essenziali potrebbero non essere ricondotte nell’alveo della responsabilità

contabile tipicamente intesa.

A questo proposito la pluricitata sentenza della Corte di Cassazione n.

26283/201389 ha chiarito in quali termini sussista la giurisdizione della

Corte dei conti nei confronti dei soggetti che abbiano svolto funzioni

amministrative e di controllo in società di capitali costituite e partecipate da

enti pubblici, quando a quei soggetti vengano imputati atti contrari ai

doveri d’ufficio con conseguenti danni per la società stessa90.

Le sezioni Unite, in particolare, hanno stabilito il principio di diritto in

forza del quale “ la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di

responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte

quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi

sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house,

per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per

l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser

soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore

degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme

di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri

uffici” 91.

partecipata, trascuri ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della partecipazione”. 89 Cfr. ancora una volta Cassazione Civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283. 90 I punti salienti dell’orientamento da ultimo consolidatosi sono presenti nella sentenza della Cassazione civile, sez. Unite, 19 dicembre 2009, n. 26806 alla quale anche la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni. Si vedano, ad esempio, sez. Unite, 10299/2013, 7374/2013, 20940/2011,20941/2011, 14957/2011, 14655/2011, 16286/2010, 8429/2010 e 519/2010.91 Nel suo ragionamento la sentenza 26283/2013 chiarisce, inoltre, che “gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono

57

Dal che discende che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al

patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa

aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di

controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre)

riconducibile all'ente pubblico: trattasi, quindi, di un danno erariale, che

giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa

azione di responsabilità. Anche in considerazione di ciò si ritiene che la

rigorosa e formalistica applicazione delle regole del fallimento

indistintamente a tutte le società partecipate comporterebbe degli effetti

sconvenienti sotto il profilo della tutela (oltreché della sana e corretta

gestione della cosa pubblica), dovendosi escludere e/o limitare la

responsabilità contabile in danno degli enti territoriali proprietari e

degli interessi pubblici che gli stessi rappresentano.

Non si trascuri, poi, un problema pratico-applicativo di non poco conto.

Infatti, per l’ipotesi di assoggettamento della società pubblica alla

procedura fallimentare non è chiaro se l’ente pubblico proprietario 92 abbia

effettivamente legittimazione ad intervenire nel giudizio prefallimentare e

fallimentare. Il rischio di non ammissione è evidentemente pregiudizievole

essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. L'analogia tra le due situazioni, che si è visto essere una delle caratteristiche salienti del fenomeno dell'in house, non giustificherebbe una conclusione diversa nei due casi, né quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di relativa giurisdizione”. D'altro canto, se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, è giocoforza doveroso concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. 92 O persino gli stessi lavoratori dipendenti, stante il vuoto normativo rispetto alla tutela delle loro prerogative.

58

per gli enti territoriali stante l’indubbio interesse che gli stessi avrebbero a difendere la partecipata; e ciò per l’ovvia e logica ragione che l’ente proprietario è titolare di un importante quota di partecipazione (totalitaria o, anche solo, di maggioranza).

Invero, la possibilità di intervento, per quanto sempre contrastata dal soggetto promotore 93, potrebbe trovare conforto non solo sotto il profilo normativo 94 ma anche logico per molteplici argomenti.

Dal punto di vista squisitamente processuale è indiscutibile che l’eventuale istanza di reclamo che è possibile proporre contro l’ipotetico provvedimento che dovesse decretare il fallimento può a norma dell’art. 18 della legge fallimentare essere proposta da “qualunque interessato”95.

Sotto il profilo logico, invece, si ribadisce che l’ipotetica attivazione di una

procedura fallimentare nei confronti del soggetto pubblico potrebbe avere

quale estrema conseguenza l’eventuale sostituzione degli organi di gestione

del fallimento alla società pubblica (e, dunque, anche alla pubblica

amministrazione proprietaria) nell’esercizio di funzioni che per legge sono

alla stessa riservate96. In sostanza per l’ente territoriale sarebbe davvero

93 L’inconciliabilità della disciplina del fallimento alle società pubbliche partecipate trova conferma anche nella circostanza pratica che i creditori privati non sono propensi ad attivare il relativo procedimento posto che la maggior parte dei casi sottoposti all’attenzione dell’Autorità giudiziaria ha trovato avvio nelle richieste avanzate dalla procura a tutela del pubblico interesse ovvero dalle stesse imprese pubbliche. Il creditore, invero, come osservato in precedenza, si sente maggiormente garantito dalla possibilità di poter fare affidamento sulle risorse dell’ente pubblico proprietario che non solo ed esclusivamente aggredendo le ristrette disponibilità eventualmente rinvenute nella massa fallimentare. 94 Non esiste, infatti, alcuna disposizione di legge o regolamentare che in termini espressi ed univoci escluda a chiare lettere la possibilità per l’ente proprietario di intervenire nel giudizio fallimentare. 95 Testualmente l’art. 18 della legge fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942, n.267, come sostituito dall'articolo 16 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e, successivamente, dall'articolo 2, comma 7, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007) recita “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni”. Si tratta, com’è agevole comprendere, di una nozione certamente più ampia ed estesa di quella di semplice debitore ovvero di pubblico ministero pure invocati dalla normativa di riferimento.

96 Proprio per questo BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pagg. 1664 e seg. ha parlato di “indisponibilità degli interessi

59

inconciliabile con la finalità pubblica da esso stesso perseguita che, per non

meglio evidenziate esigente fallimentari privatistiche, l’interesse generale

che per legge deve essere esercitato da un ente pubblico non possa più

essere esercitato dal soggetto proprietario ma da un delegato nominato dal

Giudice senza alcuna misura di cautela per l’interesse della collettività

destinataria del servizio pubblico in precedenza posto in essere dall’ente

territoriale per il tramite della partecipata97. Tale ultima circostanza

appare ancor più pregiudizievole per l’interesse pubblico in specie ove

si consideri che la partecipazione dell’ente proprietario, come sopra

osservato, non è certa è, comunque, i soggetti istanti tendono ad

eccepirne l’inammissibilità; e ciò in forza della costruzione civilistica

secondo cui i singoli azionisti di una società di diritto privato non possono

intervenire nel giudizio fallimentare. Nel caso in esame, però, la

prospettiva è differente posto che il soggetto (ente pubblico) che chiede di

intervenire lo fa a tutela del superiore interesse pubblico.

pubblici tutelati dai servizi pubblici essenziali” pur chiarendo che “l’eventuale fallimento della società in mano pubblica ... non è impedito dall’indisponibilità degli interessi pubblici che quel servizio è volto a soddisfare, imponendo all’ente pubblico che di tali interessi è titolare di trovare una soluzione alternativa ai fini della loro soddisfazione e agli organi del fallimento di procedere alla liquidazione delle attività fallimentari nel rispetto dei limiti generalmente stabiliti dalla legge al fine di assicurare l’eventuale continuità del servizio pubblico già affidato alla società fallita”. Si tratta, com’è agevole comprendere, di una soluzione estremamente articolata, di difficile percorribilità dal punto di vista pratico e scarsamente conciliabile con i principi di pubblicistici che ispirano l’esercizio delle funzione proprie degli enti pubblici. 97 Il Tribunale di Catania, 26 marzo 2010, è giunto alla conclusione di incompatibilità con il fallimento delle società in mano pubblica che esercitano compiti necessari ossia un’attività indispensabile per gli interessi della collettività come nel caso del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani destinato, come noto, al soddisfacimento di bisogni collettivi. Ancora più incisivamente secondo Corte di Appello di Torino, decreto, 15 febbraio 2010, in il Fallimento, Padova, 2010, pag. 689, l’assoggettabilità al fallimento degli enti pubblici comporterebbe un’inammissibile interferenza giudiziaria sulla sovranità dell’ente e dei suoi organi e con pregiudizio degli effetti dello spossessamento del debitore e della cessazione dell’attività d’impresa sulla continuativa e regolare esecuzione del servizio pubblico rispondente alla realizzazione degli interessi generali.

60

Anche per queste ragioni, dunque, un’incondizionata applicazione delle

norme concorsuali alle società pubbliche partecipate appare quantomeno

macchinosa e incoerente.

6. Sottrazione al fallimento e principi speciali fissati dalla legge di

stabilità 2014 per le società pubbliche La complessa e articolata

applicabilità della procedura fallimentare alle società partecipate e,

specialmente, alle società in house può trovare

ostacolo anche per altra dirimente argomentazione.

Il carattere essenziale di dette modalità gestionali della cosa pubblica, come

noto, è che le stesse non presentano una soggettività autonoma ma sono

indistinguibili dalla pubblica amministrazione di riferimento in quanto ne

rappresentano a tutti gli effetti un mero braccio operativo e dunque sono

qualificabili come ente pubblico ovvero come organismo di diritto

pubblico98. Tale corollario porta alla logica conclusione per cui nei confronti

di detto modello imprenditoriale pubblico non possono trovare

agevole applicazione le procedure fallimentari trattandosi a tutti gli

effetti di un unico centro di spesa e di un unico modello

gestionale/funzionale. In sostanza, è proprio la presenza del “controllo

analogo” - escludendo di fatto qualsivoglia autonomia operativa e

decisionale della società in house nel senso privatistico del termine – a

determinare che tali soggetti presentino caratteri e contenuti

assimilabili a quelli della pubblica amministrazione proprietaria.

98 Sulla definizione di organismo di diritto pubblico si veda quanto osservato in precedenza e la ricostruzione presente in BERSANI G., L’applicabilità dello statuto dell’imprenditore commerciale alla c.d. società in house, in Il Fisco, Padova, 2014, pag 1667.

61626364

E’ già stato rilevato, inoltre, il fatto che il patrimonio dell'ente pubblico

proprietario e quello della società partecipata non possono considerarsi

distinti ma soltanto separati, cosicché il patrimonio della società è

comunque riconducibile alla pubblica amministrazione99. In altre

parole i debiti della società in house/società partecipata non sono che

debiti dell’ente pubblico proprietario il quale potrà essere dunque tenuto

a concorrere nel ripianare tali perdite.

Ed è proprio questa mancanza di autonomia, anche patrimoniale100, che

comporta la conseguente difficoltosa applicabilità della procedura

fallimentare alle società pubbliche rigidamente intese.

La sottrazione della società pubblica in house alla disciplina fallimentare

non deve però essere vista come un privilegio ingiustificato bensì come una

forma di garanzia non solo per l’interesse pubblico ma anche per gli stessi

creditori i quali, invece di doversi rifondere su un eventuale e inadeguato

patrimonio residuo della società fallita, possono contare sulla possibilità di

ripianare il debito posto in capo alla pubblica amministrazione

proprietaria101; appaiono evidenti, dunque, i presupposti per una maggiore e

più attendibile solvibilità di questa particolare categoria di debitori

pubblici.

99 Sempre Cassazione civile, sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283, cit. 100 Giova al riguardo ribadire che il bilancio delle società partecipate deve essere approvato prima dall’assemblea dei soci (composta dai soggetti pubblici titolari di quote di partecipazione) e poi dai medesimi enti proprietari; questi ultimi, a loro volta, in sede di approvazione del proprio bilancio dovranno dare conto delle partecipazioni in carico e degli eventuali utili/perdite conseguite. 101 POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate, in Norme e tributi, 21.01.2014, ad esempio afferma che “L'improcedibilità del ricorso per dichiarazione di fallimento comporta una maggiore tutela per i terzi creditori che, per vedersi riconosciuti i propri diritti, non dovranno ricorrere al riconoscimento delle responsabilità previste per l'ente che eserciti una attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'articolo 2497 del Codice civile e, con ciò, ad un rinvio sine die delle proprie legittime pretese”. Del resto proprio la maggiore solvibilità del soggetto pubblico proprietario induce quasi sempre gli eventuali creditori privati a non promuovere azione fallimentare ritenendo gli stessi di potersi maggiormente soddisfare nei confronti del predetto soggetto controllante.

Del resto è evidente che in nessun modo l’ente proprietario potrà sottrarsi alla propria responsabilità, al contrario di quanto invece avverrebbe nella differente ipotesi in cui si dovesse ritenere applicabile la procedurafallimentare102.

In questo modo viene escluso a priori anche il rischio di violazione e lesione dei principi di uguaglianza e affidamento103 posto che, sotto un profilo pratico, i creditori potranno sicuramente essere meglio soddisfatti senza il fallimento della partecipata.

La soluzione sopraesposta soddisfa, senza dubbio, anche l’interesse

pubblico in quanto non si priva la pubblica amministrazione proprietaria

delle fondamentali potestà discrezionali e gestionali che, per loro natura,

non possono utilmente essere esercitate da un altro soggetto104 senza

pregiudizio per la collettività.

E’ innegabile, comunque, che far ricadere sull’intera collettività i debiti

contratti dalle società pubbliche è una soluzione poco ragionevole e

scarsamente, soprattutto in considerazione dei rigorosi processi di

razionalizzazione della spesa pubblica imposti dalla legislazione di riforma

degli ultimi anni 105; detto ipotetico rischio, però, appare prontamente

scongiurato dall’indirizzo recentemente espresso dal Parlamento attraverso

l’approvazione di un’importante normativa che tende a confermare le

conclusioni cui si è giunti in precedenza.

La nuova regolamentazione è quella contenuta nelle disposizioni di cui all’art. 1, comma 551 e seguenti della legge 147/2013 che - introducendo

102 POZZOLI S., Giudici incerti sulla fallibilità delle partecipate , in Norme e tributi, 21.01.2014. 103 Si tratta di profili di lesione evocati da Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209. 104 D’ATTORE G., Società in mano pubblica e fallimento, in Fallimento, 2010, pag. 715 e seg. 105 Specialmente in esito all’imposizione dei rigidi vincoli inderogabili fissati dalla disciplina di fonte comunitaria.

un sistema obbligatorio di ripianamento delle perdite - si pone come regola

speciale e derogatoria rispetto a quella generale, facendo venir meno

l’autonomia patrimoniale perfetta delle società in mano pubblica106. Il

meccanismo di tutela e sana gestione, peraltro, è incentivato anche

attraverso la riduzione del 30% del compenso dell’amministratore nel caso

di accertate e reiterate perdite di bilancio 107.

Anzi è proprio detto obbligo di ripianamento a dimostrare che la società

partecipata in house non è qualificabile come soggetto giuridico autonomo

ma piuttosto quale mero strumento operativo direttamente subordinato

all’ente proprietario108.

Di ancora maggiore importanza è la disposizione contenuta nell’art. 1,

comma 555 della stessa legge 147/2013, per cui si procede alla messa in

liquidazione di una società pubblica in caso di risultato negativo per quattro

dei cinque esercizi precedenti all’anno 2017, ovverosia per le annualità dal

2012 al 2016. Tale ultima disposizione si applica alle società a

partecipazione maggioritaria, diretta o indiretta, titolari di affidamento

diretto per una quota superiore all’80% del valore della produzione oltreché

alle aziende speciali ed alle istituzioni ed evidenzia come per tale tipo di

soggetti, per massima parte riconducibili alla nuova nozione di società in

106 CAPALBO F., Giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici: limiti dell’orientamento di cui alla recente sentenza Sez. Un. n. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13 in Lexitalia, n. 1/2014, http://www.lexitalia.it/p/14/capalbo_giurisdizione.htm, evidenzia come il sistema dell’accantonamento supera l’autonomia patrimoniale perfetta di tali società pubbliche, configurandosi dunque come una disciplina speciale. 107 La disposizione introduce, a tutti gli effetti, una forma speciale di responsabilità nuova e ulteriore per l’amministratore. 108 Si vedano, inoltre, le nuove modalità di incentivazione allo scioglimento e/o all’alienazione delle partecipazioni proposte con un apposito emendamento al DL n. 16/2014 (il cosi detto “Salva Roma”) in BARBERIO A, Partecipate, la leva fiscale per le dismissioni, in Norme e tributi, Milano, 7.04.2014.

house109, nel momento in cui si prevede un’ipotesi speciale di scioglimento, venga a tramontare definitivamente la possibilità di applicarvi la procedura fallimentare.

In definitiva il sistema dell’accantonamento supera l’autonomia patrimoniale perfetta di tali società pubbliche, configurandosi, dunque, come una normativa speciale1 10.

Anche in questo campo, come in quello della giurisdizione in materia di

responsabilità amministrativa, sarebbe utile una disciplina espressa che

chiarisca in maniera definitiva lo status giuridico delle società partecipate

in genere e delle società in house, in particolare, occasione che potrebbe

presentarsi con la necessità di dare attuazione alla direttiva sugli appalti

pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.

7. Ipotesi di graduazione dell’applicazione della legge fallimentare alle

società pubbliche

In applicazione delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti può ben concludersi che riportare la nozione di ente pubblico e di società pubblica all’interno del più ampio concetto di derivazione europea di organismo di diritto pubblico111 potrebbe agevolare l’indagine in

109 Si confronti come questa disposizione non coincida perfettamente con quella della società in house oggi contenuta nella direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014. Cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo, 2014, n. 1181. 110Sul punto CAPALBO F., Giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici: limiti all’orientamento di cui alla recente sentenza Sez. Un. N. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13, in lexitalia, n. 1/2014.111 Il concetto di organismo di diritto pubblico deve essere interpretato, alle stregua della giurisprudenza comunitaria, nel senso che devono sussistere cumulativamente i seguenti tre requisiti: a) l’ente deve essere dotato di personalità giuridica; b) la sua attività deve essere finanziata in modo maggioritario ovvero soggetta al controllo o alla vigilanza da parte dello Stato o di altro ente pubblico territoriale o di organismo di diritto pubblico; c) l’ente (anche in forma societaria) deve essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, non aventi carattere non industriale o commerciale. Tale requisito non sussiste quando l’attività sia svolta nel mercato concorrenziale e sia ispirata a criteri di economicità, essendo i relativi rischi economici direttamente a carico dell’ente. Cfr. Corte di Giustizia, 10 maggio

65

argomento circa l’assoggettabilità al regime del fallimento per le

partecipate. In questo senso, però, è opportuno formulare una

graduazione che dal concetto di società in house consente, attraverso il

passaggio per le società partecipate interamente pubbliche, di arrivare alle

così dette società miste. Di conseguenza, in ordine alla prima tipologia di

strumento gestionaleoperativo pubblico, la presenza del controllo analogo

rende le società in house indistinguibili (sia per patrimonio che per

funzioni) dalla pubblica amministrazione di riferimento in quanto ne

rappresentano a tutti gli effetti una longa manus e, dunque, sono qualificabili

come ente pubblico ovvero come organismo di diritto pubblico. Tale

corollario porta alla logica conseguenza per cui a detto modello gestionale

della cosa pubblica non è applicabile la procedura fallimentare. Infatti,

è proprio il criterio del controllo analogo che, escludendo

qualsivoglia autonomia operativa e decisionale della società in house nel

senso privatistico del termine, determina che tale soggetto presenta dei

caratteri equivalenti e propri della pubblica amministrazione che ne detiene

le quote di partecipazione; e ciò, ovviamente, sul presupposto che lo statuto

e l’attività in concreto esercitata escludano lo svolgimento di servizi ed

attività aventi carattere industriale e/o commerciale ovvero il

perseguimento di obiettivi di lucro.

Con riferimento, invece, alla seconda tipologia di partecipate interamente

pubbliche (ma non formalmente qualificate in house) l’eventuale

inapplicabilità della disciplina fallimentare impone la necessità di svolgere

una preliminare analisi pratica delle funzioni e dei servizi (che devono

2001, cause riunite C-223/99 e C-260/99. Secondo Cassazione Civile, ordinanza 18 agosto 2012, n. 13792, la figura dell’organismo di diritto pubblico non ricorre quando il soggetto interessato ha finalità statutarie orientate al soddisfacimento delle esigenze di carattere industriale o commerciale.

66

essere di pubblico interesse e non aventi contenuti e finalità

commerciali/lucrative) effettivamente esercitati1 12 oltreché del reale livello

di ingerenza e controllo da parte dei soggetti pubblici proprietari.

La pregnante presenza della mano pubblica (proprietà pubblica, personalità

giuridica pubblica, gestione in esclusiva di un servizio pubblico, risorse

pubbliche, organi di gestione nominati dal soggetto pubblico, potere di

ingerenza pubblico e svolgimento di almeno l’ottanta per cento delle

attività in favore dei soggetti pubblici proprietari), per quanto non sempre

perfettamente coincidente con i contenuti del controllo analogo, potrebbe

consentire anche a questo modello gestionale di essere esonerato dal rischio

di fallimento1 13; si deve, ovviamente, trattare di poteri di controllo ben più

incisivi rispetto a quelli ordinariamente previsti dalla disciplina societaria

civilistica114.

Il progressivo allontanamento dai vincoli pubblicistici unitamente alla

sostanziale convergenza del modello gestionale e di controllo con quello

sancito dal codice civile per le società di diritto privato collocano, invece,

le aziende miste in una prospettiva sempre meno pubblica e certamente

assoggettabile alla disciplina fallimentare in specie ove sia compatibile con

l’oggetto sociale lo svolgimento di attività di gestione e progettazione

112 Secondo consiglio di Stato, 24 novembre 2010, n. 5379, esistono “società strumentali alle attività delle pubbliche amministrazioni, totalmente partecipate dalle stesse, che esercitano un’attività che non è finalizzata allo scopo di dividere gli utili”. Per tali ragioni pare più corretto accordare una interpretazione di tipo casistico, volta ad individuare, davvero, sulla base di una ricognizione disciplinare, fattispecie per fattispecie, se la singola società abbia natura pubblica o meno. 113 In sostanza occorrerà accertare per questa ipotesi l’eventuale presenza di una partecipazione pubblica totalitaria, del divieto di trasferimento delle quote del capitale sociale in favore di soggetti privati – o, comunque, nei limiti fissati dalla normativa comunitaria, della previsione in favore del socio controllante di maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario attribuisce normalmente ai soci di maggioranza, l’assenza di una vocazione commerciale, le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio del soggetto proprietario pubblico, il controllo deve poter investire il bilancio e la qualità dell’amministrazione, devono ricorrere poteri ispettivi e di controllo nella totale dipendenza del soggetto affidatario rispetto alle politiche aziendali e in tema di strategie.

114 Cfr. al riguardo Corte di Cassazione, 27 settembre 2013, n. 22209.

67

industriale (con la finalità di trarne profitto in termini di lucro115) della più

varia natura non limitate all’ambito locale e svolte in regime di libero

mercato116. Ciò appare, peraltro, logico in quanto la natura della società

mista rende la stessa difficilmente conciliabile con un rapporto di

strumentalità rispetto all’ente pubblico proprietario atteso che tale tipologia

di impresa appare spesso, in specie quanto più è rilevante la partecipazione

di privati, dotata di piena autonomia negoziale, finanziaria e patrimoniale.

Dunque, per quanto l’inapplicabilità delle regole del fallimento alle società

partecipate e miste non sia esclusa a priori, man mano che le stesse imprese

si allontanano dal modello gestionale della società in house, diventa sempre

più impraticabile una disciplina derogatoria e di favore nei loro

confronti117.

In definitiva, le società in house e le società miste sono accomunate dalla

presenza, nella compagine sociale, di un socio pubblico, ma nettamente si

distinguono – rappresentandone gli estremi opposti – sotto ulteriori

115 Più precisamente si tratta della così detta attività commerciale. 116 Il Tribunale di Velletri, 8 marzo 2010, ha ammesso alla procedura di concordato preventivo una società per azioni a totale partecipazione pubblica (esercente il sevizio di raccolta locale dei servizi solidi urbani) rilevando come lo statuto della stessa, sostanzialmente aderente al modello codicistico, consentisse il suo inquadramento nella sfera del diritto privato. Il Tribunale di Benevento, 29 agosto 2013, ha ammesso alla procedura di concordato preventivo una società, con socio unico il Comune, che esercitava attività di trasporto pubblico locale sul presupposto che “le società di diritto privato, partecipate da amministrazioni locali che esercitano un’attività di interesse pubblico, possono accedere all’istituto del concordato preventivo, qualora il loro modello societario non preveda penetranti controlli da parte dell’Ente socio, lo statuto consenta anche l’esercizio di attività lucrative non rientranti nella nozione di servizio pubblico e gli organi amministrativi non siano di nomina politica”. 117 La Corte di Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 21991, ha confermato la sentenza che aveva attribuito la qualità di impresa commerciale ad una società mista nel cui oggetto sociale erano ricomprese, tra l’altro, attività quali la realizzazione di parcheggi, la gestione di mense, l’effettuazione di lavori di manutenzione, e giardinaggio, a tale qualificazione non ostando la riscossione, da parte sua, di una tariffa per il servizio svolto. Nello stesso senso Tribunale di Rimini, 13 maggio 2013, ha affermato che “nell’ambito della società a partecipazione pubblica, allorquando il socio e la società siano destinatati ad operare su un piano di autonomia senza che siano ravvisabili previsioni statutarie che attribuiscano ai soci pubblici peculiari prerogative, la società deve qualificarsi quale soggetto di diritto privato ... ed è assoggettabile, come tale, alle procedure di fallimento e di concordato preventivo”.

68

determinanti profili, dato che le società miste non presentano tutti i requisiti

pubblicistici118, già illustrati, che connotano le società in house.

118 Sul punto ancora Cassazione Civile, 6 dicembre 2012, n. 2199 e 27 settembre 2013, n. 22209.

69

Capitolo III - L’in house providing e il criterio della prevalenza nella

direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 di

Carlo Sanna

1. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea prima della

direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014

1.1. Premessa: l’immediata applicabilità dell’art. 12 della direttiva

sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014

nell’ordinamento interno

Come già indicato nel capitolo I, lo sviluppo dell’istituto dell’in house

providing nella legislazione europea ha subito da ultimo un’improvvisa

evoluzione con l’approvazione della direttiva sugli appalti pubblici

2014/24/UE del 26 febbraio 2014119.

L ’in house providing era stato sino ad allora regolamentato dalla

giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che aveva

definito con precisione i confini dello stesso120.

119 La direttiva sugli appalti pubblici fa parte di un più vasto intervento normativo del legislatore europeo, che è infine culminato nella direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e nella direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE. 120 A partire da Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in http://curia.europa.eu/juris, punto n. 50, ove si afferma che “A questo proposito, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano . Un riferimento espresso all’istituto lo si ritrova nel Libro Bianco "Gli appalti pubblici nell’Unione Europea", COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10.

70

In generale si consideri che la previsione di una espressa disciplina

normativa determina già di per se un cambiamento, in quanto si passa da

una fonte prettamente giurisprudenziale ad una legislativa, con un effetto di

cristallizzare le regole valevoli in una determinata materia. Una espressa

disciplina di legge è in grado di definire con maggiore chiarezza i contorni

di un istituto che ha avuto grande fortuna nella gestione concreta dei servizi

pubblici e non solo.

La direttiva europea sugli appalti pubblici in esame, ha avuto una lunga

fase di gestazione che si è conclusa con la pubblicazione nella Gazzetta

Ufficiale dell’Unione Europea del 28 marzo 2014, n. L. 94121. Rispetto alla

stessa direttiva, gli ordinamenti degli Stati membri dovranno adeguarsi

entro il termine del 18 aprile 2016122.

L’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico” è la norma di riferimento per stabilire i nuovi caratteri dell’in house providing” e sulla stessa dovrà soffermarsi l’attenzione degli studiosi della materia123.

121 Le nuove direttive europee, tra cui anche le coeve direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014. 122 In questi termini si esprime l’art. 90 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014.

123 Norme consimili sono previste anche nelle altre due direttive citate in precedenza. Si vedano l’art. 17 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, rubricato “Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico” e l’art. 28 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, rubricato “Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici ”. L’analisi del citato art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 è dunque esaustiva anche delle altre norme appena indicate. Sull’estensione dell’istituto dell’in house providing anche alle concessioni si veda Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 29 novembre 2012, causa C-183/11 e C-183/1 (Econord), in www.lexitalia.it, n. 12/2012, punto 26, per cui “Occorre altresì rilevare che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, la questione se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi – e, in quest’ultimo caso, se il valore dell’appalto raggiunga la soglia prevista dalle norme dell’Unione – è priva di rilevanza ai fini della risposta che la Corte deve dare alla questione pregiudiziale, dal momento che l ’eccezione

71

Nonostante, come detto, la direttiva sugli appalti pubblici richiederà

un’apposita normativa di attuazione da parte del legislatore italiano, la

nuova regolamentazione dell’ in house providing, contenuta nel testo

dell’art. 12 della direttiva medesima, è in realtà una disciplina

immediatamente vincolante e applicabile nei confronti degli Stati membri.

A questa conclusione si può pacificamente giungere sulla considerazione

che si tratta di una materia che fa capo alla competenza esclusiva del

legislatore europeo, quale diretta attuazione dei trattati. La norma di

riferimento, sulla quale trova fondamento la ricordata competenza esclusiva

del legislatore europeo, è oggi contenuta nell’art. 106 del trattato

sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione

europea 124, che corrisponde all’art. 86 del trattato delle comunità europee.

Il paragrafo 2 del citato art. 106, stabilisce che “Le imprese incaricate della

gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di

monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare

alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non

osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione

loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in

misura contraria agli interessi dell'Unione”. Il successivo paragrafo 3

precisa che potranno essere adottate delle direttive al fine di dare

applicazione alla regola previamente fissata125.

Da tale presupposto deriva che gli elementi essenziali dell’istituto dell’in

house providing sono rimessi in via esclusiva alla normativa europea. Si

all’applicazione delle norme del diritto dell’Unione, ove siano soddisfatte le condizioni attinenti all’esercizio di un «controllo analogo», è applicabile in tutte le situazioni suddette (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Sea, C-573/07, Racc. pag. I-8127, punti 31-40) ”. 124 Si richiama il testo consolidato dei trattati. 125 Precisamente il comma 3 stabilisce che “La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”.

7273

tratta di un nucleo essenziale che risulta del tutto intangibile da parte del

legislatore italiano, sia regionale che nazionale, che non può in alcun modo

derogarvi 126. La norma di cui all’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici

è, in definitiva, direttamente applicabile dal momento dell’entrata in vigore

della stessa, senza la necessità di attendere l’adeguamento della

legislazione nazionale.

Questo comporta che la disposizione sovra indicata presenta una rilevanza

immediata nell’ordinamento giuridico italiano, soprattutto in quanto la

stessa introduce delle novità proprio in relazione ad uno dei suoi requisiti

essenziali, quello della prevalenza delle attività svolte a favore della

pubblica amministrazione proprietaria, che verrà approfondito nei

successivi paragrafi.

1.2. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea:

tendenziale ma non totale esclusività

L’in house providing rappresenta, come noto, una esplicazione del

principio di autoorganizzazione della pubblica amministrazione. Attraverso

tale principio si riconosce che la pubblica amministrazione possa produrre

essa stessa i beni ed i servizi di cui necessiti, senza dover far ricorso al

mercato, mediante procedure di appalto pubblico127. Questo elemento

evidenzia come il soggetto attraverso il quale la pubblica amministrazione

126 Ad esempio si veda Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui “la valutazione in ordine alla rilevanza preponderante dell'attività nei confronti dell'ente pubblico conferente deve essere effettuata mediante la diretta applicazione della normativa comunitaria, quale risulta dall'interpretazione datane dai giudici europei”. Si veda anche Corte costituzionale, 17 novembre 2010, n. 325, in www.giurcost.org . 127 Sulla società in house come esplicazione del principio di autoproduzione si veda ad esempio CAVALLO PERIN R., CASALINI D., L’in house providing: un’impresa dimezzata, in Diritto amministrativo, 2006, pag. 51 e seg.

effettua il servizio, la cd. società in house 128, non sia altro che una mera

estensione della stessa amministrazione, rispetto alla quale non si distingue

sotto il profilo soggettivo, in relazione al controllo analogo alla quale è

assoggettata129.

In questo capitolo non si intende approfondire la tematica del requisito del

controllo analogo 130, bensì quella dell’altro dei requisiti richiesti

storicamente dalla giurisprudenza europea ed oggi cristallizzato dal citato

art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 131. Si sta facendo riferimento al

requisito della prevalenza, ovverosia del fatto che la parte più importante

128 Come è stato fatto notare, (cfr. PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 147) il riferimento a “una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato” operato dall’art. 12 della direttiva, fa si che il soggetto in questione possa anche non assumere la forma societaria, adottandone una pubblica, evidenziansi sempre di più come tale soggetto sia sempre più attratto verso il pubblico piuttosto che sul privato. 129 Citando la giurisprudenza europea si veda ad Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), punto n. 58, in http://eur lex.europa.eu/L exUriServ/LexUriServ.do? uri=CELEX:62003J0458:IT, per cui “Riguardo all’esistenza di un tale contratto, la Corte ha precisato, al punto 50 della citata sentenza Teckal, che, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, in linea di principio basta che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da un soggetto giuridicamente distinto da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali detentori”. Ulteriormente si veda Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 33, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “Conformemente all’art. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato tra, da una parte, un ente locale e, dall’altra, una persona giuridicamente distinta da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la detengono (sentenza Teckal, cit., punto 50) ”. 130 Per cui si vedano i precedenti capitoli I e II. 131 Si nota come, peraltro, l’art. 12 della citata direttiva sugli appalti pubblici abbia di fatto previsto un terzo requisito che prima era ritenuto un mero presupposto del controllo analogo, ovverosia quello della partecipazione pubblica totalitaria che oggi incontra anche alcune limitate deroghe. Cfr. art. 12, paragrafo 1, lett. c) “nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.

74

delle attività della società in house devono essere rivolte alla pubblica

amministrazione.

Le ragioni che hanno portato la giurisprudenza della Corte di Giustizia a

definire dei requisiti specifici, in assenza dei quali non vi è una società in

house, sono evidenti, in quanto trattandosi di una deroga ai principi della

libera concorrenza, la stessa deve essere limitata al fine di evitare degli

abusi che portino ad una sostanziale elusione della disciplina europea in

materia di appalti pubblici. L’applicazione dei requisiti che le società in

house devono possedere sono dunque da interpretarsi restrittivamente132.

Esaminando il criterio della prevalenza, questo è stato originariamente

delineato nei termini che una società in house è configurabile “solo nel

caso in cui, ... questa persona realizza la parte più importante della

propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano ”133.

Questo criterio della prevalenza assume, dunque, carattere centrale affinché

una persona giuridica pubblica o privata possa derogare alla disciplina

dell’appalto pubblico, non essendo sufficiente che la stessa sia assoggettata

ad un controllo analogo.

Il criterio della prevalenza ha una sua intima logica nel senso che l’attività

svolta a favore di soggetti estranei alla pubblica amministrazione di

riferimento, e dunque al mercato, deve avere un carattere di marginalità134.

132 Cfr. ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C340/04 (Carbotermo), punto n. 55,

in http://eur - lex. europa. eu/LexUriS erv/LexUriS erv. do?uri=CELEX:62004J0340:IT: HTML. 133 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris . 134 Ad es. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 63, in

http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “si può ritenere che l’impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale che la detiene... solo se l’attività di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale”.

75

Allo stesso concetto di marginalità, peraltro, deve attribuirsi un significato

sostanziale più definito. Se dunque è chiaro che la società in house

debba svolgere la parte più importante della propria attività a favore della

pubblica amministrazione proprietaria e che questa attività deve avere un

carattere preponderante, il problema interpretativo si sposta sulla

concreta quantificazione di tali attività che consenta di discriminare

quando tale requisito sia o meno soddisfatto.

Il requisito della prevalenza è stato interpretato come una tendenziale

esclusività delle attività svolte dalla società in house a favore della pubblica

amministrazione 135. Esclusività tendenziale o sostanziale non significa

peraltro anche totale esclusività, cosicché non si è, in realtà, mai escluso

che una limitata attività possa comunque essere rivolta al mercato 136. La

marginalità dell’attività rivolta al di fuori della pubblica amministrazione di

riferimento non comporta, di conseguenza, che sia vietata qualsivoglia

attività di tale tipo137.

135 Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it, con nota di LOGIUDICE F., Sul controllo analogo nel caso di affidamento in house, per cui “dall’altro non introdurre nell’ambito del mercato privato l’elemento di disturbo, costituito da tale tipo di impresa. al secondo, il principio della “attività prevalente”, vale a dire della tendenziale esclusività della attività economica a favore dell’azionista: l’impresa pubblica non può in nessun modo inserirsi nel mercato privato nel quale costituirebbe un elemento di disturbo e pericolo”. La sentenza richiama Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 62, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTM, ove si afferma che “È inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente locale in questione”. 136 GIOVAGNOLI R. Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi, Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia - amministrativa.it; URBANO G. L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 18 e seg. 137 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 10 settembre 2009, causa C-573/07, (Sea), punto 80, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007CJ0573:IT:HTML, per cui “Tale condizione sarebbe priva di oggetto se la prima condizione di cui al punto 50 della citata sentenza Teckal fosse interpretata nel senso di vietare ogni attività accessoria, anche con il settore privato”.

76

1.3. Il criterio della prevalenza nella giurisprudenza europea (segue):

elementi quantitativi e qualitativi Dall’analisi precedentemente

effettuata è emerso, come presupposto certo, quello per cui le società in house

possano comunque svolgere una qualche attività a favore del mercato, e

dunque la problematica si sposta sulle modalità di determinazione di

tale attività prevalente. Si tratta di individuare un parametro esatto, in

base al quale si possa affermare che una persona giuridica possa o meno

essere ricondotta al paradigma dell’ in house providing, con la

consequenziale disciplina di favore riconosciute a questa particolare

categoria di soggetti. Per rispondere a tale quesito bisogna chiedersi se

si debba adottare un criterio meramente quantitativo, quale quello del

fatturato, ovvero se debbano prendersi in considerazione anche ulteriori

criteri di carattere qualitativo.

In effetti, il criterio della prevalenza ha portato la giurisprudenza europea a

parlare di “parte più importante”, ovvero anche di “parte essenziale”

svolta a favore dell’amministrazione pubblica proprietaria, evidenziandosi

come il secondo concetto sposti l’attenzione verso l’apprezzamento di

fattori di natura qualitativa e non solo quantitativa138.

In origine, peraltro, si poteva ancora ritenere che il solo fattore quantitativo

fosse rilevante, questo in quanto esisteva anche una norma specifica che

richiamava un criterio di tal genere. Si fa riferimento all’art. 13 della

Direttiva 93/38/CEE del Consiglio delle Comunità Europee del 14 giugno

1993, avente ad oggetto il “Coordinamento delle procedure di appalto

138 URBANO G., L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 18 e seg., che evidenzia tali profili facendo riferimento alle versioni delle sentenze della Corte di Giustizia nella lingua originale con le quali sono state redatte, richiamando quanto indicato da Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it.

77

degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono i servizi

di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle

telecomunicazioni”, il quale stabiliva l’esclusione dell’applicazione della

direttiva ai servizi effettuati da un impresa collegata “sempreché almeno

l'80 % della cifra d'affari media realizzata nella Comunità dall'impresa in

questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di

detti servizi alle imprese alle quali è collegata”. In base a questa

disposizione normativa si era ritenuto logico concludere che solo il fattore

quantitativo fosse rilevante ai fini della verifica del criterio della

prevalenza139.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia aveva peraltro smentito tale

impostazione, affermando invece che dovessero valutarsi tutte le

circostanze sia di natura quantitativa che di natura qualitativa 140,

orientamento al quale la giurisprudenza interna si era prontamente

adeguata141.

Chiarito tale aspetto deve anche valutarsi come si riteneva che il fattore

qualitativo potesse incidere sul concetto di prevalenza. In effetti, il fattore

qualitativo può intervenire sia in termini positivi (riconoscendo il criterio

139 In dottrina si veda TESSAROLO C., La gestione in house dei servizi pubblici, 24 febbraio 2005, in www.dirittodeiservizipubblici.it. Per la giurisprudenza si vedano T.A.R. Sicilia, sez. II, 13 febbraio 2006, n. 198, in www.giustizia-ammnistrativa.it; in T.A.R. Campania, sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784 e T.A.R. Puglia, sez. I, 12 aprile 2006, n. 1318, in www.giustizia-ammnistrativa, si parla al proposito di una percentuale assorbente. 140 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto n. 64, in

http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML “63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l’impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l’attività di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. 64 Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative” . 141 Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui si veda anche il commento di PIPERATA G., La Corte costituzionale, il legislatore regionale ed il modello “a mosaico” della società in house, in Forum dei quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, pag. 18; T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it.

78

della prevalenza anche con una elevata quantità di attività svolte a favore

del mercato) che negativi (riconoscendo non soddisfatto il requisito della

prevalenza anche in presenza di quantità minime di attività svolte a favore

del mercato).

L’interpretazione giurisprudenziale è stata ferma nel considerare che il

criterio qualitativo operava solo in termini negativi, di fatto restringendo

ulteriormente il novero dei soggetti sussumibili all’interno dell’istituto

dell’in house providing142.

Il fattore qualitativo poteva, di conseguenza, portare a non soddisfare il

requisito della prevalenza quando le strategie aziendali e i piani di

espansione indicassero l’intenzione di una società di voler svolgere ulteriori

attività a favore del mercato, nel prossimo futuro 143.

Altrettanto rilevante era la possibilità di espansione dello svolgimento dei

servizi che caratterizzano una data società, anche in ambiti

territoriali nei quali non operava la

pubblica amministrazione proprietaria144. Ove

poi la pianificazione futura era ulteriormente

diretta ad espandersi anche in settori

diversi da quelli in cui la società

interveniva, è evidente come il fattore

qualitativo poteva assumere rilevanza145.

79

In conclusione, la giurisprudenza europea ha affermato che il fattore

qualitativo poteva portare ad un’ulteriore

esclusione del criterio della prevalenza, con conseguente

impossibilità di determinare una esatta

142 Ad esempio T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it . 143 URBANO G. L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, 2012, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, pag. 19. 144 GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi. Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19 ottobre 2007, Palazzo Spada, per il decennale della rivista Urbanistica e Appalti, Padova, novembre 2007, in www.giustizia amministrativa.it ; Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 settembre 2007, n. 719, in www.altalex.it.145 T.A.R. Lombardia, sez. I, 26 ottobre 2012, n. 2620, in www.giustizia-amministrativa.it.

percentuale al di sopra della quale è soddisfatto il requisito della prevalenza

stesso.

L’applicazione del criterio qualitativo ha portato dunque ad un

restringimento dei soggetti riconducibili al paradigma dell’in

house providing, garantendo una flessibilità nella valutazione, pur a

discapito della possibilità di predeterminare con certezza quando vi sia o

meno una società in house, rimettendo la determinazione, caso per

caso, al giudice europeo.

80

2. Il criterio della prevalenza nella direttiva sugli appalti pubblici

2014/24/UE del 26 febbraio 2014 2.1. La disciplina dell’art. 12 della

direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e

l’irrilevanza dei fattori qualitativi La giurisprudenza europea si era

attestata in maniera uniforme sulla necessità che il requisito della

prevalenza fosse ancorato a fattori sia di natura quantitativa che di natura

qualitativa.

Su questo impianto consolidato è intervenuto il legislatore europeo, che ha

introdotto il già citato art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici

2014/24/UE del 26 febbraio 2014. In particolare, il legislatore europeo, ha

individuato tre requisiti, a condizione dei quali è possibile derogare alla

rigorosa disciplina delle procedure di appalto pubblico146.

Le condizioni imposte dal legislatore europeo devono essere soddisfatte

congiuntamente, cosicché il requisito della

prevalenza, ora disciplinato dalla lettera b) del paragrafo 1,

dell’art. 12 della citata direttiva appalti, dovrà essere presente insieme al

requisito del controllo analogo e quello

(divenuto autonomo) della partecipazione

pubblica totalitaria, che è comunque soddisfatto anche

quando vi sia una “partecipazione di capitali privati che non comportano

controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative

81

nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza

determinante sulla persona giuridica controllata”,

146 Come già ricordato norme consimili sono contenute nell’art. 17 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, rubricato “Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico” e nell’art. 28 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, rubricato “Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici ”.

che di fatto comporta un allargamento dei soggetti coinvolti dal fenomeno

dell’ in house providing ”147. La norma di interesse, che prevede il

requisito della prevalenza, ridefinisce lo stesso nei

termini che tale requisito è soddisfatto se “oltre l'80% delle

attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello

svolgimento dei compiti ad essa affidati

dall'amministrazione aggiudicatrice

controllante o da altre persone giuridiche

controllate dall'amministrazione

aggiudicatrice di cui trattasi”. La disposizione in

esame si caratterizza per la sua chiarezza, in quanto introduce, senza

ombra di dubbio, un criterio di natura meramente quantitativa. D’ora

in poi, dunque, svolgere un’attività a favore della

pubblica amministrazione, che superi

l’ottanta per cento di quelle

complessivamente svolte, sarà sufficiente

a ritenere soddisfatto il requisito della

prevalenza, senza la necessità di ulteriori considerazioni di

82

carattere qualitativo e di difficile valutazione oggettiva. È

evidente l’allontanamento dalla regola fino ad ora adottata dalla

giurisprudenza europea, per cui non sono più rilevanti sia il criterio

quantitativo che quello qualitativo, ma soltanto quello

quantitativo. Una soluzione di tal genere ha due conseguenze

importanti.

In primo luogo si determina una semplificazione nell’individuare le società

in house, almeno sotto questo punto di vista, in quanto è sufficiente

determinare la percentuale di attività svolta a favore della pubblica

amministrazione. Si tratta di una misura condividibile, che consente agli

operatori del settore, in particolare alle pubbliche amministrazioni

proprietarie, di avere certezza che una propria società partecipata od altro

147 Sull’analisi di tale requisito si consenta il richiamo a PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 152 e seg.

soggetto giuridico, rientrino nella categoria in esame, e dunque non sia

necessario effettuare un appalto pubblico. L’utilità, che si nota da tale

nuovo criterio meramente quantitativo, pare soprattutto di carattere

operativo, in quanto il criterio anche qualitativo imponeva delle valutazioni

talmente di dettaglio, che solo un giudice poteva mettere la parola

definitiva per qualificare un soggetto come rientrante o meno nell’ in house

providing. La disposizione adottata dal legislatore europeo è in grado di

ridurre il contenzioso sullo specifico aspetto descritto. La seconda

conseguenza è ovvia. Considerato che il fattore qualitativo serviva al solo

scopo di escludere la presenza del criterio della prevalenza, la sua

eliminazione porta ad un inevitabile ampliamento dei soggetti che possono

ricomprendersi nell’istituto in esame. Si ritiene, peraltro, che sia il fattore

di semplificazione quello determinante, anche se, assieme alla deroga alla

partecipazione pubblica totalitaria, segnalata in precedenza, l’effetto

complessivo della nuova disciplina detta dalla direttiva europea in esame è

quello di un ampliamento dei soggetti

qualificabili come società in house. I

fattori qualitativi non assumono più

rilevanza rispetto al criterio della

prevalenza, ma potrebbero assumerla

nella generica valutazione degli altri

requisiti.

83

Su questo punto, dunque, la legificazione del concetto di in house

providing, determina un recesso delle potestà previamente riconosciute alla

giurisprudenza della Corte di giustizia, che potrà peraltro interessarsi della

deroga oggi possibile al criterio della partecipazione pubblica totalitaria per

riespandere le proprie prerogative in materia.

2.2. Base di calcolo del criterio quantitativo della prevalenza

Verificato il principio del “nuovo” criterio della prevalenza, appare

opportuno verificare le modalità con le quali è calcolato.

Si nota prima di tutto un primo particolare, in quanto la norma precisa che

la percentuale dell’ottanta per cento delle attività svolta a

favore della pubblica amministrazione può essere svolta anche a favore

di “altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione

aggiudicatrice di cui trattasi”. La norma non specifica che anche questi

soggetti sono società in house, ma si collega comunque con la

considerazione che è possibile comunque un controllo analogo

indiretto, come precisa il periodo conclusivo del paragrafo 1, dell’art. 12

della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014148. In

altre parole, dunque, è possibile fare riferimento alle attività svolte a favore

di una società nei cui confronti la pubblica amministrazione esercita un

controllo analogo. La soluzione appare logica in quanto la società in house

non si distingue sotto il profilo soggettivo dalla pubblica amministrazione

proprietaria 149. Almeno in un primo momento, sino alle prime sentenze

della Corte di Giustizia dell’Unione europea, pare preferibile adottare

una interpretazione di carattere prudenziale. Si consideri, peraltro, come la

ricordata natura delle società in house porta alla stessa conclusione. Se la

società in house non è soggettivamente distinta dalla pubblica

amministrazione proprietaria, svolgere un servizio a favore della società

in house ovvero a favore della pubblica amministrazione non cambia la

rilevanza dell’attività svolta. A diversa conclusione dovrebbe invece

giungersi ove si faccia riferimento

148 Per cui “Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione

84

aggiudicatrice ”. 149 A partire da Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, punto n. 50, in http://curia.europa.eu/juris.

alle attività svolte a favore di una qualsiasi altra società in mano pubblica,

la quale non si riconducibile al paradigma dell’in house providing. In tal

caso, poiché la norma non opera un discrimine espresso, anche le attività

svolte a favore di una società a partecipazione minoritaria avrebbero

rilevanza. È chiaro che una soluzione di questo tipo si pone in netto

contrasto con la logica di interpretazione restrittiva tipica dell’istituto in

esame. È invece plausibile il solo riferimento alle società in house della

pubblica amministrazione proprietaria, anche per la citata previsione del

controllo analogo congiunto ora espressamente previsto dal legislatore

europeo. Effettuata questa precisazione, si può analizzare la problematica

relativa alla modalità di calcolo della citata

percentuale dell’ottanta per cento. Il paragrafo 5

dell’art. 12 della direttiva in commento, stabilisce che “si prende in

considerazione il fatturato totale medio, o una idonea

misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla

persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei

campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre

anni precedenti l’aggiudicazione

dell’appalto”.

Dalla analisi delle giurisprudenza precedente l’introduzione dell’art. 12

della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, Il

criterio quantitativo è quello basato sul 85

fatturato realizzato dall’impresa 150.

La norma introduce, prima di tutto, la regola che il fatturato possa essere

anche sostituito con una idonea misura alternativa. La logica di tale scelta

risiede nel fatto che l’in house providing riguarda adesso non solo società

150 Ad esempio Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C340/04 (Carbotermo), in

http://eur - lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62004J0340:IT:HTML, punto n. 65.

di natura formalmente privatistica, ma anche soggetti di natura pubblica,

rispetto ai quali ben potrebbe non essere possibile parlare di fatturato151.

La disposizione in esame opera anche una specificazione

temporale di riferimento, in quanto parla di fatturato

medio (o misura alternativa), riferito ad un arco

temporale corrispondente ad un triennio. Si

tratta di una soluzione coerente anche con altre ipotesi previste

dall’ordinamento sempre in tema di appalti pubblici, come quello, ad

esempio, della valutazione dei requisiti di carattere economico e finanziario

152. Nel caso in cui manchino i dati 153 ovvero non siano

pertinenti 154, si potrà prescindere dal requisito

triennale a condizione di “dimostrare, segnatamente in base a

proiezioni dell’attività, che la misura

dell’attività è credibile”. Su questo ultimo aspetto la

giurisprudenza europea dovrà adottate degli strumenti e dei parametri di

natura oggettiva, per valutare il rispetto del criterio della

credibilità. Rispetto al criterio meramente quantitativo,

che è valevole nel caso in cui la persona

86

giuridica in house esista da più di un

triennio, è possibile affermare che nel caso opposto tornino in

questione quei criteri qualitativi, che parevano essere stati obliterati

dalla normativa europea. La norma, infatti, nel momento in cui richiama

come basi le proiezioni delle attività

future, non fa che valorizzare quei piani e programmi di espansione e

le strategie aziendali, che sono gli stessi fattori qualitativi che

in passato potevano portare ad una esclusione del soddisfacimento del

requisito della

151 Così si esprime la norma in esame, l’art. 12 della direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, che al paragrafo 1 fa riferimento a “Un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”. 152 URBANO G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e amministrativizzazione, 2012, in www.amministrazioneincammino.it, pag. 67. Si vedano attualmente gli artt. 41 e 42 del codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 153 A causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione. 154 A causa della riorganizzazione delle attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione.

prevalenza. Su questo ambito limitato, in altre parole, il criterio

qualitativo continua ad esistere, ma solo perché gli

elementi di natura quantitativa non sono

oggettivamente presenti.

L’art. 12 della nuova direttiva sugli appalti pubblici si esprime anche su

quale sia il fatturato (ovvero l’idonea misura alternativa) effettivamente

rilevante. La norma, infatti, specifica che si deve prendere in

considerazione il solo fatturato realizzato “nello svolgimento dei compiti ad

essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante” 155 . Si

tratta di una cristallizzazione del criterio sino ad ora adottato dalla

giurisprudenza della Corte di Giustizia che, nonostante la sua apparente

ovvietà, il legislatore europeo ha ritenuto necessario indicare in maniera

espressa. Si deve, in altre parole, considerare come fatturato

rilevante a far parte della percentuale

richiesta, solo quello realizzato in base

agli affidamenti conseguiti dall’ente

pubblico controllante, ovvero, come si è visto in

precedenza, dalle persone giuridiche dallo stesso controllate secondo le

stesse modalità dell’in house providing.

In questo fatturato si potrà ricomprendere anche quello realizzato in base al

87

medesimo affidamento effettuato dalla pubblica

amministrazione proprietaria ma materialmente conseguito

tramite gli utenti finali che usufruiscono del servizio

affidato156.

155 PANI M., SANNA C., L’evoluzione della disciplina delle società in house nella legislazione e nella giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, pag. 159. Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 439, in www.giurcost.org, per cui “Sul piano quantitativo, la stessa sentenza, al successivo paragrafo 65, fa espresso riferimento all'elemento del fatturato, osservando che «occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l'impresa in questione realizza in virtù di decisioni di affidamento adottate dall'ente locale controllante»”. 156 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04 (Carbotermo), punto

n. 65, in http://eur - lex. europa. eu/LexUriS erv/LexUriS erv. do?uri=CELEX:62004J0340:IT: HTML.

Tutte le ulteriori attività svolte al di fuori del rapporto con la pubblica

amministrazione proprietaria, andranno a far parte di

quelle attività residuali non ricomprese

nell’ottanta per cento, anche ove fossero svolte

nello stesso territorio nel quale opera il

soggetto controllante.

Sempre sotto il profilo del calcolo della percentuale dell’ottanta

per cento, deve considerarsi l’ipotesi che il soggetto in house sia

partecipato da più soggetti pubblici. L’ipotesi del

controllo congiunto è stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza europea

e dunque anche in tal caso deve porsi il problema di come calcolare il

nuovo criterio meramente quantitativo introdotto dalla direttiva europea in

commento157.

La possibilità di fare rientrare tale persona giuridica all’interno dell’istituto

dell’in house providing, è determinato dal fatturato complessivo realizzato

157 Si veda ad esempio Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 29 novembre 2012, causa C183/11 e C-183/1 (Econord), in www.lexitalia.it, n. 12/2012, punti n. 28, 29, 30 e 31 “28 Ai sensi della giurisprudenza, nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il «controllo analogo» può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse (v., in tal senso, citate sentenze Coditel Brabant, punti 47 e 50, nonché Sea, punto 59). 29 Da ciò consegue che, se un ’autorità pubblica diventa socia di minoranza di una società per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità pubbliche associate nell’ambito di tale società esercitano su quest’ultima può essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, qualora esso venga esercitato congiuntamente dalle autorità suddette (sentenza Sea, cit., punto 63). 30 Date tali premesse, non vi è

8889

dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto. 31 Infatti, l’eventualità che un’amministrazione aggiudicatrice abbia, nell’ambito di un’entità affidataria posseduta in comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità aprirebbe la strada ad un’elusione dell’applicazione delle norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o di concessioni di servizi, dal momento che una presenza puramente formale nella compagine di tale entità o in un organo comune incaricato della direzione della stessa dispenserebbe detta amministrazione aggiudicatrice dall’obbligo di avviare una procedura di gara d’appalto secondo le norme dell’Unione, nonostante essa non prenda parte in alcun modo all’esercizio del «controllo analogo» sull’entità in questione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Coname, C-231/03, Racc. pag. I-7287, punto 24)”. Si veda anche Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, 13 novembre 2008, causa C-324/07 (Coditel Brabant), punto n. 47 e 50, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007J0324:IT:HTML.

a favore di tutti i soggetti pubblici proprietari e

non considerando i servizi realizzati nei confronti di ogni singolo ente

pubblico in maniera separata158. Se dunque la somma del fatturato

realizzato dalla società a favore dei diversi enti proprietari, superi la soglia

dell’ottanta per cento delle attività complessi svolte, il

requisito della prevalenza sarebbe soddisfatto. Una soluzione opposta

all’interpretazione appena indicata, impedirebbe di poter ritenere

soddisfatto il requisito in esame in tutti i casi di persona giuridica in

house posseduta da più pubbliche amministrazioni.

158 T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 marzo 2008, n. 511, in www.giustizia- amministrativa.it , per cui “Sotto l'ulteriore profilo ai fini della legittimità dell'in house, ossia la prevalenza dell'attività a favore dell'ente pubblico, i ricorrenti prendono erroneamente in considerazione come punto di riferimento il fatturato dell'attività di S. in relazione al singolo Comune, laddove a fronte dell'obbligatorietà della gestione associata del servizio da parte di tutti i Comuni, il concetto di "prevalenza" deve essere inteso con riferimento al fatturato realizzato dalla gestione del servizio in questione in tutti i Comuni congiuntamente intesi”.

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APPENDICE NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE

94

SENTENZA TECKAL (CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE,

SEZ. V, 18 NOVEMBRE 1999 N. C-107/98)

(Omissis) Motivazione 1 Con ordinanza 10 marzo 1998, pervenuta in

cancelleria il 14 aprile successivo, il Tribunale amministrativo regionale per

l'Emilia-Romagna ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del

Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale relativa

all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992,

92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti

pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1). 2 Tale questione è stata proposta

nell'ambito di una controversia che vede la Teckal Srl (in prosieguo: la

«Teckal») contrapposta al comune di Viano e all'Azienda Gas-Acqua

Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia (in prosieguo: l'«AGAC») in

ordine all'aggiudicazione, da parte di tale comune, della gestione del

servizio di riscaldamento di taluni edifici comunali. La normativa

comunitaria 3 L'art. 1, lett. a) e b), della direttiva 92/50 dispone: «Ai

fini della presente direttiva s'intendono per: a) "appalti pubblici di

servizi", i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore

di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice ( ... ) b) "amministrazioni

aggiudicatrici", lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le

associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.

(...)».

95

4 L'art. 2 della direttiva 92/50 precisa: «Se un appalto pubblico ha per

oggetto sia dei prodotti di cui alla direttiva 77/62/CEE che dei servizi di

cui agli allegati IA e IB della presente direttiva, esso rientra nel campo

d'applicazione della presente direttiva qualora il valore dei servizi in

questione superi quello dei prodotti previsti dal contratto». 5 Ai sensi

dell'art. 6 della direttiva 92/50: «La presente direttiva non si applica

agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso

stesso un'amministrazione ai sensi dell'articolo 1, lettera b), in base a un

diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legislative,

regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni

siano compatibili con il trattato». 6 La direttiva del Consiglio 14 giugno

1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti

pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), ha abrogato la direttiva del

Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di

aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L 13, pag.

1). I riferimenti fatti alla direttiva abrogata si considerano, ai sensi dell'art.

33 della direttiva 93/36, come fatti a quest'ultima. 7 L'art. 1, lett. a) e b),

della direttiva 93/36 dispone: «Ai fini della presente direttiva si

intendono per: a) "appalti pubblici di forniture", i contratti a titolo

oneroso, aventi per oggetto l'acquisto, il leasing, la locazione, l'acquisto a

riscatto con o senza opzione per l'acquisto di prodotti, conclusi per

iscritto fra un fornitore (persona fisica o giuridica) e una delle

amministrazioni aggiudicatrici definite alla lettera b). La fornitura di tali

prodotti può comportare, a titolo accessorio, lavori di posa e installazione;

b) "amministrazioni aggiudicatrici", lo Stato, gli enti locali, gli organismi di

diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di 96979899100101102103104105106

diritto pubblico. (...)». La normativa nazionale 8 L'art. 22, n. 1, della

legge italiana 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali

(GURI n. 135 del 12 giugno 1990; in prosieguo: la «legge n. 142/90»),

stabilisce che i comuni provvedono alla gestione dei servizi pubblici che

abbiano per oggetto la produzione di beni e le attività rivolte a realizzare

fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle

comunità locali. 9 Ai sensi dell'art. 22, n. 3, della legge n. 142/90, i

comuni possono fornire tali servizi in economia, in concessione a terzi, a

mezzo di azienda speciale, istituzione o società per azioni a prevalente

capitale pubblico locale. 10 L'art. 23 della legge n. 142/90, che definisce

le aziende speciali e le istituzioni, dispone che: «1. L'azienda speciale

è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di

autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio

comunale o provinciale. (...) 3. Organi dell'azienda e

dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il

presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità

gestionale. Le modalità di nomina e di revoca degli amministratori

sono stabilite dallo statuto dell'ente locale.

4. L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia,

efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da

perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i

trasferimenti. (...) 6. L'ente locale conferisce il capitale di dotazione;

determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita

la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli

eventuali costi sociali. (...)». 11 Ai sensi dell'art. 25 della legge n. 142/90, i

comuni e le province, per la gestione associata di uno o più servizi,

possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende

speciali di cui all'art. 23. A tal fine i rispettivi consigli comunali

approvano, a maggioranza assoluta dei componenti, una convenzione

unitamente allo statuto del consorzio. L'assemblea del consorzio è

composta dai rappresentanti degli enti associati, nella persona del

sindaco, del presidente o di un loro delegato. L'assemblea elegge il

consiglio di amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti

dallo statuto. 12 L'AGAC è un consorzio costituito da diversi comuni - tra

i quali quello di Viano - per la gestione dei servizi dell'energia e

dell'ambiente, ai sensi dell'art. 25 della legge n. 142/90. In forza dell'art. 1

del proprio statuto (in prosieguo: lo «statuto»), essa è dotata di personalità

giuridica e autonomia imprenditoriale. L'art. 3, n. 1, dello statuto prevede che

essa ha come scopo l'assunzione diretta e la gestione di taluni servizi

pubblici elencati, tra i quali «gas metano per usi civili e produttivi;

calore per usi civili e produttivi; attività connesse e accessorie ai servizi

sopra indicati».

13 Ai sensi dell'art. 3, nn. 2-4, dello statuto, l'AGAC può estendere le sue

attività ad altri servizi connessi o accessori, partecipare ad enti e/o a società

a capitale pubblico o privato per la gestione di attività connesse e

accessorie, e infine svolgere servizi o provvedere a forniture nei confronti

di privati o enti pubblici diversi dai comuni consorziati. 14 Ai sensi

degli artt. 12 e 13 dello statuto, gli atti di gestione più importanti, tra i

quali i bilanci preventivi e i consuntivi, sono approvati dall'assemblea

dell'AGAC, composta da rappresentanti dei comuni. Gli altri organi direttivi

sono il consiglio, il presidente del consiglio e il direttore generale. Questi

ultimi non rispondono della loro gestione dinanzi ai comuni. Le persone

fisiche che compongono tali organi non rivestono cariche nei comuni

consorziati. 15 L'art. 25 dello statuto sancisce per l'AGAC l'obbligo del

pareggio di bilancio e quello dell'economicità gestionale. In applicazione

dell'art. 27 dello statuto, i comuni conferiscono fondi o beni all'AGAC, che

versa loro interessi annui. L'art. 28 dello statuto prevede che gli eventuali

utili di esercizio siano ripartiti tra i comuni consorziati, conservati

dall'AGAC per incrementare i fondi di riserva o anche reinvestiti in

altre attività dell'AGAC. A norma dell'art. 29 dello statuto, nel caso di

perdita di esercizio, si può procedere al risanamento della situazione

finanziaria, in particolare, attraverso il conferimento di nuovi capitali da parte

dei comuni consorziati. 16 L'art. 35 dello statuto prevede una

procedura di arbitrato per la composizione delle controverse tra i

comuni consorziati o tra questi ultimi e l'AGAC. La controversia nella

causa principale 17 Con la sua deliberazione 24 maggio 1997, n. 18 (in

prosieguo: la «delibera»), il consiglio comunale di Viano ha affidato

all'AGAC la gestione del servizio di riscaldamento di taluni edifici

comunali. Tale delibera non è stata preceduta da alcuna procedura di gara.

18 Il compito dell'AGAC consiste, più in particolare, nella conduzione e

nella manutenzione degli impianti termici degli edifici comunali interessati,

compresi gli interventi migliorativi necessari, nonché nella fornitura di

combustibili. 19 Il corrispettivo a favore dell'AGAC è stato fissato in 122

milioni di ITL per il periodo 1_ giugno 1997 - 31 maggio 1998. Su tale

importo, il valore della fornitura dei combustibili rappresenta 86 milioni

e il costo della conduzione e della manutenzione degli impianti 36

milioni. 20 Ai sensi dell'art. 2 della delibera, alla scadenza del periodo

iniziale di un anno, l'AGAC s'impegna a proseguire nel servizio per un

periodo di altri tre anni, su richiesta del comune di Viano, previo

aggiornamento delle condizioni contenute nella delibera. Viene altresì

prevista la possibilità di proroga successiva. 21 La Teckal è un'impresa

privata che opera nel settore dei servizi di riscaldamento. Essa fornisce,

principalmente a privati e ad enti pubblici, gasolio che essa acquista

previamente da imprese produttrici. Inoltre, essa procede alla manutenzione

degli impianti di riscaldamento a gasolio e di quelli a gas. 22 La Teckal ha

proposto un ricorso contro la delibera dinanzi al Tribunale amministrativo

regionale per l'Emilia-Romagna facendo valere che il comune di Viano

avrebbe dovuto ricorrere alle procedure di aggiudicazione degli appalti

pubblici previste dalla normativa comunitaria. 23 Il giudice a quo, che

si chiede quale delle direttive 92/50 e 93/36 si applichi, considera che, in

ogni caso, il limite di applicazione di 200 000 ECU, fissato dalle due

direttive, è superato.

24 Data la natura mista del compito affidato all'AGAC, che consiste, da un

lato, nella prestazione di diversi servizi e, dall'altro, nella fornitura di

combustibili, il giudice a quo ha ritenuto di non poter escludere

l'applicabilità dell'art. 6 della direttiva 92/50. 25 Di conseguenza, il

Tribunale amministrativo regionale ha sospeso il giudizio e ha chiesto alla

Corte l'interpretazione della direttiva 92/50 «sotto i profili indicati in

motivazione». Sulla ricevibilità 26 L'AGAC ed il governo austriaco

ritengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile.

L'AGAC fa valere, in primo luogo, che il valore del contratto controverso

nella causa a qua è inferiore alla soglia prevista dalle direttive 92/50 e

93/36. Infatti, da una parte, il prezzo del combustibile dovrebbe essere

detratto dall'importo stimato dell'appalto in quanto l'AGAC, essendo a sua

volta amministrazione aggiudicatrice, si approvvigiona di combustibili

mediante procedure concorsuali pubbliche. D'altra parte, non si tratterebbe

di un appalto di durata indeterminata. 27 In secondo luogo, l'AGAC

ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale riguardi in realtà

l'interpretazione del diritto nazionale. Il giudice a quo chiederebbe

infatti alla Corte di interpretare talune disposizioni di diritto nazionale

al fine di poter determinare se la deroga prevista all'art. 6 della direttiva

92/50 si applichi. 28 Il governo austriaco, dal canto suo, sostiene che

la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile in quanto essa non

contiene alcuna questione pregiudiziale. Nell'ambito del diritto degli

appalti pubblici una formulazione precisa delle questioni sarebbe

particolarmente importante.

29 Innanzi tutto, per quanto riguarda l'accertare se il valore dell'appalto

controverso nella causa a qua superi il limite previsto dalle direttive 92/50 e

93/36, occorre ricordare che, in forza dell'art. 177 del Trattato, basato sulla

netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può

pronunciarsi unicamente sull'interpretazione o sulla validità di un testo

comunitario, sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale (v., in

particolare, sentenza 2 giugno 1994, causa C-30/93, AC-ATEL Electronics

Vertriebs, Racc. pag. I-2305, punto 16). 30 In questo contesto, non

spetta alla Corte, ma al giudice nazionale, accertare i fatti che hanno dato

origine alla causa e trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia (citata

sentenza AC-ATEL Electronic Vertriebs, punto 17). 31 Se è quindi vero

che il metodo di calcolo dell'importo dell'appalto è definito nelle

disposizioni comunitarie, e cioè negli artt. 7 della direttiva 92/50 e 5 della

direttiva 93/36, sull'interpretazione delle quali il giudice nazionale può, se

del caso, porre questioni pregiudiziali, spetta tuttavia a quest'ultimo, nella

ripartizione dei compiti stabilita dall'art. 177 del Trattato, applicare le

norme di diritto comunitario al caso concreto. Infatti una siffatta

applicazione non può essere effettuata senza una valutazione dei fatti di

causa nel loro complesso (v. sentenza 8 febbraio 1990, causa C320/88,

Shipping and Forwarding Enterprise Safe, Racc. pag. I-285, punto 11). 32

Ne consegue che la Corte non può sostituire la sua valutazione quanto al

calcolo del valore dell'appalto a quella del giudice a quo per concludere nel

senso dell'irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

33 Occorre poi ricordare che, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato, la Corte

non può pronunciarsi sull'interpretazione di disposizioni di legge o di

regolamento nazionali né sulla conformità di tali disposizioni al diritto

comunitario. Essa può tuttavia fornire al giudice nazionale gli elementi di

interpretazione attinenti al diritto comunitario che gli permetteranno di

risolvere il problema giuridico che gli è stato sottoposto (sentenza 4 maggio

1993, causa C-17/92, Fedicine, Racc. pag. I-2239, punto 8). 34

Infine, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta alla Corte, di

fronte a questioni formulate in modo impreciso, trarre dal complesso dei

dati forniti dal giudice nazionale e dal fascicolo della causa a qua i punti di

diritto comunitario che vanno interpretati, tenuto conto dell'oggetto della

lite (sentenze 13 dicembre 1984, causa 251/83, Haug-Adrion, Racc. pag.

4277, punto 9, e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-

4705, punto 21). 35 Alla luce delle indicazioni contenute nell'ordinanza

di rinvio, si deve considerare che il giudice nazionale chiede in sostanza

se le disposizioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli

appalti pubblici siano applicabili qualora un ente locale affidi la fornitura di

prodotti e la prestazione di servizi ad un consorzio a cui esso partecipi, in

circostanze come quelle di cui alla causa a qua. 36 Il rinvio

pregiudiziale deve pertanto essere dichiarato ricevibile. Sul merito 37

Risulta dall'ordinanza di rinvio che il comune di Viano ha affidato

all'AGAC, con un unico atto, tanto la prestazione di taluni servizi quanto la

fornitura di taluni prodotti. E' altresì pacifico che il valore di tali prodotti è

superiore a quello dei servizi. 38 Ora, discende, a contrario, dall'art. 2

della direttiva 92/50 che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel

contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi

della direttiva 92/50, esso rientra nell'ambito di applicazione della

direttiva 93/36 qualora il valore dei prodotti previsti dal contratto sia

superiore a quello dei servizi.

39 Per fornire una soluzione utile al giudice che le ha sottoposto una

questione pregiudiziale, la Corte può essere indotta a prendere in

considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale

non ha fatto riferimento nel formulare la questione (sentenze 20 marzo

1986, causa 35/85, Tissier, Racc. pag. 1207, punto 9, e 27 marzo 1990,

causa C-315/88, Bagli Pennacchiotti, Racc. pag. I-1323, punto 10). 40

Ne consegue che, per fornire un'interpretazione del diritto comunitario utile

al giudice nazionale, occorre interpretare le disposizioni della direttiva 93/36

e non l'art. 6 della direttiva 92/50. 41 Al fine di determinare se, per un

ente locale, il fatto di affidare la fornitura di prodotti ad un consorzio al

quale esso partecipi debba dar luogo a una procedura di gara prevista dalla

direttiva 93/36, occorre esaminare se tale aggiudicazione costituisca un

appalto pubblico di forniture. 42 In caso affermativo e se l'importo

stimato dell'appalto, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, è pari o

superiore a 200 000 ECU, la direttiva 93/36 è applicabile. Non è

determinante al riguardo il fatto che il fornitore sia o non sia

un'amministrazione aggiudicatrice. 43 Infatti, si deve ricordare che le

uniche deroghe consentite all'applicazione della direttiva 93/36 sono

quelle in essa tassativamente ed espressamente menzionate (v., in ordine

alla direttiva 77/62, sentenza 17 novembre 1993, causa C-71/92,

Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5923, punto 10). 44 Ora, la direttiva

93/36 non contiene alcuna disposizione analoga all'art. 6 della direttiva

92/50, che escluda dal suo ambito di applicazione appalti pubblici

aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni aggiudicatrici.

45 Si deve peraltro osservare che tale constatazione non pregiudica

l'obbligo di queste ultime amministrazioni aggiudicatrici di applicare a loro

volta le procedure di gara previste dalla direttiva 93/36. 46 Il comune di

Viano, in quanto ente locale, è un'amministrazione aggiudicatrice ai

sensi dell'art. 1, lett. b), della direttiva 93/36. Spetta pertanto al giudice

nazionale verificare se il rapporto tra tale amministrazione e l'AGAC

soddisfi anche le altre condizioni previste dalla direttiva 93/36 per

configurare un appalto pubblico di forniture. 47 Ciò avviene,

conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, se si tratta di un

contratto concluso per iscritto a titolo oneroso avente per oggetto, in

particolare, l'acquisto di prodotti. 48 E' pacifico nella fattispecie che

l'AGAC fornisce prodotti, ossia combustibili, al comune di Viano

dietro pagamento di un corrispettivo. 49 Relativamente all'esistenza di un

contratto, il giudice nazionale deve verificare se vi sia stato un incontro di

volontà tra due persone distinte. 50 A questo proposito, conformemente

all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il

contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da

una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire

diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti

sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso

esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più

importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la

controllano.

51 Occorre pertanto risolvere la questione pregiudiziale nel senso che la

direttiva 93/36 è applicabile ove un'amministrazione aggiudicatrice, quale

un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa

sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisionale, un

contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la fornitura di prodotti,

indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta

un'amministrazione aggiudicatrice o meno. (Omissis) Per questi

motivi, LA CORTE (Quinta Sezione), pronunciandosi sulla questione

sottopostale dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna

con ordinanza 10 marzo 1998, dichiara: La direttiva del Consiglio 14

giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione

degli appalti pubblici di forniture, è applicabile ove un'amministrazione

aggiudicatrice, quale un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con

un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul

piano decisionale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la

fornitura di prodotti, indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente

sia a sua volta un'amministrazione aggiudicatrice o

meno.

SENTENZA CARBOTERMO (CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ

EUROPEE, SEZ. I, 11 MAGGIO 2006, CAUSA C-340/04)

(Omissis) Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda

l’interpretazione

della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le

procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199,

pag. 1). 2 Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia

che

vede contrapporsi l’impresa Carbotermo SpA (in prosieguo: la

«Carbotermo») e il consorzio Alisei al comune di Busto Arsizio e

all’impresa AGESP SpA (in prosieguo: la «AGESP») in merito

all’affidamento a quest’ultima di un appalto relativo alla fornitura di

combustibili, alla manutenzione, all’adeguamento normativo e alla

riqualificazione tecnologica degli impianti termici degli edifici del suddetto

comune. Contesto normativo La disciplina comunitaria 3L’art. 1, lett.

a) e b), della direttiva 93/36 dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intendono per: a)“appalti pubblici di

forniture”, i contratti a titolo oneroso, aventi per

oggetto l’acquisto, il leasing, la locazione, l’acquisto a riscatto con o senza

opzione per l’acquisto di prodotti, conclusi per iscritto fra un fornitore

(persona fisica o giuridica) e una delle amministrazioni aggiudicatrici

definite alla lettera b). La fornitura di tali prodotti può comportare, a titolo

accessorio, lavori di posa e installazione;

107

b) “amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli

organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od

organismi di diritto pubblico. Per “organismo di diritto pubblico” si

intende qualsiasi organismo: – istituito per soddisfare

specificatamente bisogni di interesse generale

aventi carattere non industriale o commerciale, e – avente personalità

giuridica, e

– la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli

enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è

soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo

d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più

della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri

organismi di diritto pubblico. (...)». 4 L’art. 6 della stessa direttiva

così prevede:

«1. Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di forniture, le amministrazioni

aggiudicatrici applicano le ( ... ) [procedure aperte, le procedure ristrette e le

procedure negoziate] nei casi esposti in appresso. 2. Le

amministrazioni possono aggiudicare gli appalti di forniture

mediante procedura negoziata in caso di ( . ) 3. Le amministrazioni

possono aggiudicare appalti di forniture mediante

procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara

nei casi seguenti: (~) 4. In tutti gli altri casi le amministrazioni

aggiudicano gli appalti

pubblici di forniture con procedura aperta ovvero con procedura ristretta».

108109110

5 L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,

93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di

acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché

degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag.

84), così prevede: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (~ )

3) “Impresa collegata” qualsiasi impresa i cui conti annuali siano

consolidati con quelli dell’ente aggiudicatore a norma della direttiva

83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54,

paragrafo 3, lettera g) del trattato e relativa ai conti consolidati ( . ) [GU L

193, pag. 1], ovvero, nel caso di enti non soggetti a tale direttiva, qualsiasi

impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o

indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del

presente articolo nonché qualsiasi impresa che eserciti un’influenza

dominante sull’ente aggiudicatore ovvero, come quest’ultimo, sia soggetta

all’influenza dominante di un’altra impresa in forza di proprietà,

partecipazione finanziaria o norme interne». 6L’art. 13 della medesima

direttiva prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;

b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori

per l’esercizio di attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di

questi enti aggiudicatori o ad un’impresa collegata ad uno degli enti

aggiudicatori,

sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella

Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di

servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è

collegata. Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di

un’impresa collegata all’ente aggiudicatore, occorre tener conto della

cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla fornitura di servizi da

parte di queste imprese. 2. Gli enti aggiudicatori notificano alla

Commissione, dietro sua

richiesta, le informazioni seguenti relative all’applicazione del paragrafo 1:

– i nomi delle imprese interessate; – il tipo e il valore degli appalti

di servizi in questione;

– gli elementi di prova che, a giudizio della Commissione, sono

necessari per dimostrare che le relazioni tra l’ente aggiudicatore e l’impresa

aggiudicataria soddisfano le condizioni del presente articolo». Il

diritto italiano 7 Con sentenza 18 settembre 2003, n. 5316, il Consiglio

di Stato ha

stabilito che un ente locale è legittimato ad affidare un appalto a un

fornitore senza ricorrere a una gara d’appalto nell’ipotesi in cui l’ente

locale eserciti sul fornitore un controllo analogo a quello da esso esercitato

sui propri servizi, e il fornitore realizzi la parte più importante della propria

attività con l’ente che lo controlla. La controversia di cui alla causa

principale e le questioni pregiudiziali 8 La Carbotermo è un’impresa

specializzata negli appalti di fornitura di

energia e di gestione di impianti termici, a favore di clienti pubblici e

privati. 9 Il consorzio Alisei è un’impresa che fornisce prodotti

energetici e

servizi attinenti alla climatizzazione e al riscaldamento degli edifici.

10 La AGESP Holding SpA (in prosieguo: la «AGESP Holding») è una

società per azioni nata dalla trasformazione, decretata il 24 settembre 1997,

dell’Azienda per la Gestione dei Servizi Pubblici, impresa speciale del

comune di Busto Arsizio. Il capitale sociale della AGESP Holding

appartiene attualmente per il 99,98% al comune di Busto Arsizio. Gli altri

azionisti sono i comuni di Castellanza, Dairago, Fagnano Olona, Gorla

Minore, Marnate e Olgiate Olona, ciascuno dei quali detiene un’azione.

11 Ai sensi dell’art. 2 del suo statuto, nell’oggetto della AGESP Holding

rientra la gestione di servizi di pubblica utilità nei settori del gas,

dell’acqua, dell’igiene ambientale, dei trasporti, dei parcheggi, dei bagni

pubblici, delle farmacie, dell’energia elettrica e del calore, dei servizi

cimiteriali e della segnaletica stradale. 12 L’art. 6 del suddetto statuto

prevede che: «(...) [L]a maggioranza delle azioni [è] riservata al

Comune di Busto Arsizio. (...) Oltre al Comune di Busto Arsizio

possono entrare a far parte della Società altri enti pubblici territoriali locali

(Province, Comuni e loro consorzi), enti economici, finanziari, associazioni

territoriali e di categoria, nonché privati cittadini che ne condividano le

finalità statutarie (... )». 13 L’art. 7 dello stesso statuto precisa quanto

segue: «Nessun socio privato può possedere una quota superiore alla decima

parte dell’intero capitale della società (...)». 14 Ai sensi dell’art. 18 dello

statuto della AGESP Holding, quest’ultima è amministrata da un

consiglio di amministrazione.

15 A norma dell’art. 26 del suddetto statuto:

111

«Il Consiglio di Amministrazione è investito di tutti i più ampi poteri per la

gestione ordinaria e straordinaria della Società, con facoltà di compiere tutti

gli atti che ritiene opportuni per l’attuazione ed il raggiungimento dello

scopo sociale, esclusi solo quelli che la Legge o lo Statuto in modo

tassativo riservano all’Assemblea (...)». 16 La AGESP è una società per

azioni costituita il 12 luglio 2000 dalla

AGESP Holding e il cui capitale sociale appartiene attualmente per il 100%

a quest’ultima. 17 A norma dell’art. 3 del suo statuto, nella versione

modificata –

prodotta dinanzi al giudice a quo – con la quale è stato ampliato l’oggetto

della società, la AGESP ha per oggetto l’esercizio di attività connesse ai

servizi di pubblica utilità nei settori del gas, dell’acqua, dell’igiene

ambientale, dei trasporti, dei parcheggi, dell’energia elettrica, del calore,

della climatizzazione, dell’informatica, delle telecomunicazioni, della

gestione del sottosuolo, dell’illuminazione nonché la prestazione di altri

servizi in favore delle società associate. 18 L’art. 7 dello statuto della

AGESP così prevede: «Nessun socio, ad eccezione della Società

controllante AGESP Holding ( ... ), può possedere una quota superiore

alla decima parte dell’intero capitale della società (...)». 19 Ai sensi

dell’art. 17 del suddetto statuto, la AGESP è amministrata da un

consiglio. 20 A questo proposito, l’art. 19 dello stesso statuto precisa

quanto segue: «Al Consiglio competono [i] più ampi ed illimitati poteri per

la gestione ordinaria e straordinaria della Società (...)».

21 Il 22 settembre 2003 il comune di Busto Arsizio ha indetto una gara

per la fornitura di combustibili, nonché per la manutenzione,

112

l’adeguamento normativo e la riqualificazione tecnologica degli impianti

termici degli edifici comunali. L’importo dell’appalto, stimato nella misura

di EUR 8 450 000 oltre all’imposta sul valore aggiunto (IVA), era ripartito

in EUR 5 700 000 per la fornitura di combustibili (di cui gasolio per 4/5 e

metano per 1/5), EUR 1 000 000 per la manutenzione degli impianti termici

ed EUR 1 750 000 per la riqualificazione e la messa a norma dei suddetti

impianti. 22 La Carbotermo ha presentato un’offerta in data 22 novembre

2003. Il consorzio Alisei ha predisposto un’offerta senza tuttavia presentarla

entro il termine previsto. 23 Il 21 novembre 2003 il comune di Busto

Arsizio ha deciso, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 5316,

menzionata al punto 7 della presente sentenza, di sospendere la procedura

di gara fino al 10 dicembre 2003. 24 Con deliberazione 10 dicembre 2003,

il comune di Busto Arsizio ha revocato la gara, riservandosi di affidare in

seguito l’appalto direttamente alla AGESP.

25 Con deliberazione 18 dicembre 2003, il comune di Busto Arsizio ha

affidato l’appalto in questione direttamente alla AGESP. Esso ha motivato

tale decisione adducendo che la AGESP soddisfaceva i due requisiti

stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per concludere appalti

pubblici senza gara, vale a dire che l’ente locale eserciti sull’ente

aggiudicatario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri

servizi e che il suddetto ente aggiudicatario realizzi la parte più importante

della propria attività con l’ente locale che lo controlla. Nel preambolo di

tale decisione si afferma, da un lato, che il fatto che il comune di Busto

Arsizio detenga il 99,98% del capitale della AGESP Holding, alla quale

113

appartiene per il 100% il capitale della AGESP, attesta un rapporto di

subordinazione tra quest’ultima e il comune in questione. D’altro lato, in

detto preambolo si afferma che la parte largamente maggioritaria del

fatturato della AGESP consegue dall’esercizio di attività per le quali la

stessa è titolata in forza di affidamenti ottenuti direttamente dal comune di

Busto Arsizio. 26 Con bando del 23 gennaio 2004, la AGESP ha

indetto una gara

d’appalto nell’ambito di una procedura accelerata per la fornitura del

gasolio in questione e in data 27 febbraio 2004 ha affidato il suddetto

appalto all’impresa Pezzoli Petroli Srl. In date 28 aprile, 18 maggio, 30

giugno e 2 settembre 2004, la AGESP ha affidato ad altre imprese appalti

riguardanti il passaggio al metano, la riqualificazione tecnologica,

l’adeguamento normativo e l’installazione di un sistema di controllo e di

gestione a distanza per gli impianti termici di vari edifici comunali. Né la

Carbotermo né il consorzio Alisei risultavano tra le imprese aggiudicatarie

di questi appalti. 27 La Carbotermo e il consorzio Alisei hanno

impugnato dinanzi al

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia le deliberazioni che

avevano sospeso la gara e affidato l’appalto in questione alla AGESP.

28 Dinanzi al summenzionato tribunale le due imprese in questione

hanno rilevato che, nel caso di specie, non ricorrevano le condizioni che

rendono inapplicabile la direttiva 93/36. Da un lato, la AGESP non sarebbe

controllata dal comune di Busto Arsizio in quanto quest’ultimo detiene la

sua partecipazione nella AGESP solo mediante una holding di cui è

azionista per il 99,98% e la AGESP conserva l’autonomia di una società

per azioni di diritto privato. Dall’altro lato, la AGESP non svolgerebbe la

parte più importante della sua attività a favore del comune di Busto Arsizio,

114

poiché realizzerebbe con il comune in questione una quota nettamente

inferiore all’ 80% del suo fatturato, criterio che si sarebbe dovuto accogliere

per analogia con l’art. 13 della direttiva 93/38. 29 Il comune di Busto

Arsizio e la AGESP hanno replicato che

l’affidamento diretto era consentito nella fattispecie poiché la AGESP era

controllata dal comune di Busto Arsizio in ragione della partecipazione di

quest’ultimo al suo capitale e che la stessa svolgeva la parte più importante

della sua attività con il suddetto comune. A tale proposito, la AGESP ha

precisato che oltre il 28% del fatturato da essa realizzato nel territorio del

comune di Busto Arsizio si riferiva a prestazioni direttamente fornite al

comune e che il fatturato da essa realizzato nel suddetto territorio

rappresentava il 65,59% del suo fatturato globale. 30 Il Tribunale

amministrativo regionale per la Lombardia ha pertanto

deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti

questioni pregiudiziali: «1)se sia compatibile con la direttiva 93/36 (...)

l’affidamento diretto

dell’appalto per la fornitura di combustibili e calore per impianti termici di

edifici di proprietà o competenza del Comune, e relativa gestione,

conduzione, manutenzione (con prevalenza del valore della fornitura), ad

una società per azioni il cui capitale è, allo stato attuale, interamente

detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di

maggioranza (al 99,98%) il Comune appaltante, ovvero ad una società

(AGESP) che non è partecipata direttamente dall’Ente Pubblico, ma da

un’altra società (AGESP Holding) il cui capitale è attualmente posseduto al

99,98% dalla Pubblica Amministrazione;

2) se il requisito dello svolgimento, da parte dell’impresa alla quale è

stata direttamente affidata la fornitura, della parte più importante

115116117118119120

dell’attività con l’Ente pubblico che la controlla debba essere accertato

facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38 ( . ), e possa ritenersi

sussistente nel caso in cui la suddetta impresa realizzi la prevalenza dei

proventi con l’Ente pubblico controllante o, in alternativa, nel territorio

dell’Ente stesso». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione

31 La Corte ha già statuito che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel

contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi della

direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le

procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209,

pag. 1), esso rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/36

qualora il valore dei prodotti oggetto dell’appalto sia superiore a quello dei

servizi (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-

8121, punto 38). Un appalto come quello di cui trattasi nella causa

principale, in cui il valore dei prodotti è superiore a quello dei servizi

oggetto dello stesso, rientra pertanto nell’ambito di applicazione della

direttiva 93/36, come ha d’altronde constatato il giudice del rinvio. 32

L’esistenza di un contratto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva

93/36 implica che vi sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte

(sentenza Teckal, cit., punto 49).

33 Conformemente all’art. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in

linea di principio, che il contratto sia stato stipulato tra, da una parte, un

ente locale e, dall’altra, una persona giuridicamente distinta da

quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel

contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo

analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona

realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti

locali che la detengono (sentenza Teckal, cit., punto 50). 34

Dall’ordinanza di rinvio e dagli atti di causa risulta che, allo stato,

all’amministrazione aggiudicatrice appartiene il 99,98% del capitale della

AGESP Holding, mentre il restante 0,02% è nelle mani di altri enti locali.

Conformemente allo statuto della AGESP Holding, azionisti privati

possono entrare nel capitale di tale società a due condizioni: da un lato, la

maggioranza delle azioni è riservata al comune di Busto Arsizio; dall’altro,

nessun azionista privato può possedere una quota superiore alla decima

parte del capitale della suddetta società. 35 A sua volta, la AGESP

Holding detiene, allo stato, il 100% del

capitale della AGESP. In base allo statuto di quest’ultima, il suo capitale

può essere accessibile ad azionisti privati alla sola condizione che a nessun

azionista, ad eccezione della AGESP Holding, possa appartenere più di un

decimo del capitale della suddetta società. 36 Per valutare se

l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo a quello

esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le

disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da

quest’esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un

controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne

le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia

sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società (v.

sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I

8585, punto 65).

37 Il fatto che l’amministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o

insieme ad altri enti pubblici, l’intero capitale di una società aggiudicataria

potrebbe indicare, pur non essendo decisivo, che l’amministrazione

aggiudicatrice in questione esercita su detta società un controllo analogo a

quello esercitato sui propri servizi, ai sensi del punto 50 della menzionata

sentenza Teckal. 38 Degli atti di causa risulta che gli statuti della AGESP

Holding e della AGESP attribuiscono al consiglio di amministrazione di

ciascuna delle società i più ampi poteri per la gestione ordinaria e

straordinaria della società. Gli statuti di cui trattasi non riservano al comune

di Busto Arsizio nessun potere di controllo o diritto di voto particolare per

limitare la libertà d’azione riconosciuta a detti consigli di

amministrazione. Il controllo esercitato dal comune di Busto Arsizio su

queste due società si risolve sostanzialmente nei poteri che il diritto

societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita

considerevolmente il suo potere di influire sulle decisioni delle società di

cui trattasi. 39 Inoltre, l’eventuale influenza del comune di

Busto Arsizio sulle

decisioni della AGESP viene esercitata mediante una società holding.

L’intervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso

specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato

dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della

mera partecipazione al suo capitale. 40 Ne consegue che, in tali

circostanze, previa verifica di queste ultime da parte del giudice di

merito di cui alla causa principale, l’amministrazione

aggiudicatrice non esercita sulla società aggiudicataria dell’appalto pubblico

in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

41 L’art. 6 della direttiva 93/36 impone alle amministrazioni che

aggiudicano un appalto pubblico di ricorrere alla procedura aperta o alla

procedura ristretta, salvo che l’appalto rientri in uno dei casi eccezionali

tassativamente elencati ai nn. 2 e 3 del suddetto articolo. Dall’ordinanza di

rinvio non risulta che l’appalto di cui trattasi nella causa principale rientri

in uno di tali casi. 42 Ne consegue che la direttiva 93/36 osta

all’affidamento diretto di un appalto pubblico in circostanze analoghe a

quelle della causa principale. 43 Contro una conclusione in tal senso il

governo italiano obietta che il fatto che la AGESP debba ricorrere a una

procedura di aggiudicazione pubblica per acquistare il gasolio in questione

prova che il comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP devono

essere considerati nel loro insieme come un unico «organismo di diritto

pubblico» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 93/36, tenuto ad

aggiudicare appalti pubblici di forniture in conformità alla normativa

comunitaria e nazionale in materia. 44 Tale argomento non può essere

accolto. Da un lato, il comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di

«ente locale» e non in quella di «organismo di diritto pubblico» ai sensi

di detta disposizione. D’altro lato, il comune di Busto Arsizio, la AGESP

Holding e la AGESP dispongono ciascuno di una distinta personalità

giuridica. 45 Peraltro, come ha rammentato la Corte al punto 43 della

menzionata sentenza Teckal, le sole deroghe consentite all’applicazione

della direttiva 93/36 sono quelle in essa tassativamente ed espressamente

menzionate. 46 Ora, la direttiva 93/36 non contiene alcuna

disposizione analoga all’art. 6 della direttiva 92/50, che escluda dal suo

ambito di applicazione appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni,

ad amministrazioni aggiudicatrici (sentenza Teckal, cit., punto 44).

47 Si deve di conseguenza risolvere la prima questione nel senso che la

direttiva 93/36 osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di

servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il

cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione

esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale,

interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta

socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. Sulla seconda

questione 48 La seconda questione consta di due parti. 49Da un lato,

il giudice del rinvio intende chiarire se la condizione

consistente nello svolgimento, da parte dell’impresa alla quale è stata

direttamente affidata la fornitura, della parte più importante dell’attività

con l’ente pubblico che la detiene debba essere accertata facendo

applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38. D’altro lato, esso si chiede se

si possa ritenere che tale presupposto ricorra nel caso in cui la suddetta

impresa realizzi la prevalenza dei proventi con l’ente pubblico che la

detiene o nel territorio dell’ente stesso. Prima parte della seconda

questione 50Dall’ordinanza di rinvio emerge che l’appalto di cui trattasi

nella

causa principale rientra nella direttiva 93/36. 51 Si tratta quindi di

accertare se l’eccezione prevista dall’art. 13 della

direttiva 93/38 debba valere, per analogia, anche con riferimento all’ambito

di applicazione della direttiva 93/36. 52 L’eccezione prevista dal

suddetto art. 13 riguarda solo gli appalti di

servizi e ne sono esclusi gli appalti di forniture. 53 L’art. 13 della

direttiva 93/38 riguarda determinati operatori, in

particolare imprese comuni e imprese dai conti annuali consolidati, aventi

modalità di funzionamento che differiscono da quelle delle amministrazioni

aggiudicatrici previste dalla direttiva 93/36.

54 Inoltre, il suddetto articolo prevede un meccanismo di notifica alla

Commissione che non potrebbe essere trasposto alla direttiva 93/36, in

mancanza di un fondamento normativo. 55 Dal momento che le

eccezioni devono essere interpretate

restrittivamente, ne deriva che non si deve estendere l’operatività dell’art.

13 della direttiva 93/98 all’ambito di applicazione della direttiva 93/36.

56 Tale conclusione è confermata dal fatto che, in sede di rifusione delle

direttive in materia di appalti pubblici risalente al 2004, il legislatore

comunitario, pur mantenendo la suddetta eccezione con l’art. 23 della

direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004,

2004/17/CE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di

acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi

postali (GU L 134, pag. 1), ha scelto di non includere un’analoga eccezione

nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004,

2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione

degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag.

114), subentrata alla direttiva 93/36. 57 Alla luce delle considerazioni

che precedono, si deve risolvere la

prima parte della seconda questione nel senso che la condizione

d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale l’impresa cui è stato

direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più

importante dell’attività con l’ente pubblico che la detiene non va accertata

facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38.

Seconda parte della seconda questione

58 Si deve rammentare che l’obiettivo principale delle normecomunitarie in materia di appalti pubblici è la libera circolazione delle

merci e dei servizi nonché l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti

121122

gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03,

Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 44). 59 Le condizioni

in presenza delle quali, secondo la menzionata sentenza Teckal, la direttiva

93/36 è inapplicabile agli appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto

giuridicamente distinto da quest’ultimo, vale a dire che, al contempo,

l’ente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a

quello esercitato sui propri servizi e che il soggetto di cui trattasi svolga la

parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti locali che lo

detengono, hanno, in particolare, lo scopo di evitare che sia falsato il

gioco della concorrenza. 60 La condizione che il soggetto di cui

trattasi realizzi la parte più

importante della sua attività con l’ente o gli enti locali che lo detengono è

finalizzata, in particolare, a garantire che la direttiva 93/36 continui ad

essere applicabile nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti

sia attiva sul mercato e possa pertanto entrare in concorrenza con altre

imprese. 61 Infatti, un’impresa non è necessariamente privata della

libertà di

azione per la sola ragione che le decisioni che la riguardano sono prese

dall’ente pubblico che la detiene, se essa può esercitare ancora una parte

importante della sua attività economica presso altri operatori. 62 È

inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano

sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente locale in questione. Entro

tali limiti, risulta giustificato che l’impresa di cui trattasi sia sottratta agli

obblighi della direttiva 93/36, in quanto questi ultimi sono dettati

dall’intento di tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più ragion

d’essere.

63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l’impresa in

questione svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale

che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l’attività

di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra

attività risulta avere solo un carattere marginale. 64 Per verificare se

la situazione sia in questi termini il giudice

competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di

specie, sia qualitative sia quantitative. 65Quanto all’accertare se occorra

tener conto in tale contesto solo del

fatturato realizzato con l’ente locale controllante o di quello realizzato nel

territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è

rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle

decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante, compreso

quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. 66Infatti, le

attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in

considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di un

affidamento effettuato

dall’amministrazione

aggiudicatrice,

indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione

aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni. 67 Non è rilevante sapere

chi remunera le prestazioni dell’impresa in

questione, potendo trattarsi sia dell’ente controllante sia di terzi utenti di

prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici

instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale

territorio siano erogate tali prestazioni.

68 Dal momento che, nella causa principale, il capitale dell’impresa

123

aggiudicataria appartiene indirettamente a vari enti locali, può essere

rilevante esaminare se l’attività da prendere in considerazione sia quella

che l’impresa aggiudicataria realizza con tutti gli enti che la detengono o

soltanto quella realizzata con l’ente che, nel caso specifico, agisce in

qualità di amministrazione aggiudicatrice. 69 A tale proposito si deve

rammentare che, secondo quanto precisato

dalla Corte, la persona giuridicamente distinta di cui trattasi deve realizzare

la parte più importante della propria attività «con l’ente o con gli enti locali

che la controllano» (sentenza Teckal, cit., punto 50). La Corte ha quindi

contemplato la possibilità che l’eccezione prevista si applichi non solo

all’ipotesi in cui un solo ente pubblico detenga una siffatta persona

giuridica, ma anche a quella in cui la detengano più enti. 70Nel caso

in cui diversi enti locali detengano un’impresa, la

condizione relativa alla parte più importante della propria attività può

ricorrere qualora l’impresa in questione svolga la parte più importante della

propria attività non necessariamente con questo o quell’ente locale ma con

tali enti complessivamente considerati. 71Di conseguenza, l’attività da

prendere in considerazione nel caso di

un’impresa detenuta da vari enti locali è quella realizzata da detta impresa

con tutti questi enti. 72Dalle considerazioni che precedono deriva che si

deve risolvere la

seconda parte della seconda questione nel senso che, nel valutare se

un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente

pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della

direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale

impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’amministrazione

aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo

trattarsi della stessa amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle

prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività.

124

(Omissis) 1) La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che

coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di

forniture, osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di

servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per

azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di

gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato

attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a

sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. 2) La

condizione d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale

l’impresa cui è stato direttamente affidato un appalto di fornitura deve

svolgere la parte più importante dell’attività con l’ente pubblico che la

detiene non va accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva del

Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di

appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono

servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle

telecomunicazioni. 3) Nel valutare se un’impresa svolga la parte più

importante della sua attività con l’ente pubblico che la detiene, al fine di

decidere in merito all’applicabilità della direttiva 93/36, si deve tener conto

di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un

affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice,

indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della

stessa amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate,

mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività.

125

DIRETTIVA 2014/23/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

DEL 26 FEBBRAIO 2014 SULL'AGGIUDICAZIONE DEI CONTRATTI DI

CONCESSIONE (ART. 17)

28.3.2014 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 17 -

Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico 1. Una concessione

aggiudicata da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente

aggiudicatore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), a una persona

giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito

di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte

tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente

aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo

analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 %

delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate

nello svolgimento dei compiti ad essa affidati

dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore controllante

o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione

aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi; e c) nella persona

giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di capitali privati

diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non

comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni

legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non

esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di

cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), eserciti su una persona giuridica un

controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi ai sensi del

126

presente paragrafo, primo comma, lettera a), quando esercita un’influenza

decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della

persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da

una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo

dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. 2. Il

paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è

un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di cui

all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), aggiudica una concessione

all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che lo controlla

oppure a un’altra persona giuridica controllata dalla stessa amministrazione

aggiudicatrice o ente aggiudicatore, purché non vi sia partecipazione di

capitali privati diretti nella persona giuridica cui viene aggiudicata la

concessione, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che

non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni

legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano

un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. 3.

Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore di cui

all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), che non eserciti su una persona

giuridica di diritto pubblico o di diritto privato un controllo ai sensi del

paragrafo 1 del presente articolo, può nondimeno aggiudicare una

concessione a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva

qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a)

l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore di cui all’articolo 7,

paragrafo 1, lettera a), esercitano congiuntamente con altre

amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori su detta persona

giuridica un controllo analogo a quello da essi esercitato sui propri servizi;

127128129

b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello

svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni

aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori controllanti o da altre persone

giuridiche controllate dalle stesse amministrazioni aggiudicatrici o enti

aggiudicatori; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna

partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di

partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere

di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità

dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona

giuridica controllata. Ai fini del presente paragrafo, primo comma, lettera a),

le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori di cui all’articolo

7, paragrafo 1, lettera a), esercitano congiuntamente il controllo su una

persona giuridica qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti

da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti

aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare

varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori

partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono

in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli

obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona

giuridica; e iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi

contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti

aggiudicatori controllanti.

4. Un contratto concluso esclusivamente fra due o più amministrazioni

aggiudicatrici o enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera

a), non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva qualora

siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o

realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti

aggiudicatori partecipanti, finalizzata a fare in modo che i servizi

pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di

conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b)l’attuazione di tale

cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse

pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori

partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attività

interessate dalla cooperazione; 5. Per determinare la percentuale delle

attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo

comma, lettera b), e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il

fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività,

quali i costi sostenuti dalla persona giuridica, l’amministrazione

aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore di cui all’articolo 7, paragrafo 1,

lettera a), in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori

per i tre anni precedenti l’aggiudicazione della concessione. Se, a causa

della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica,

amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore in questione, ovvero a

causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura

alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni

precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare,

segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è

credibile.

DIRETTIVA 2014/24/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

DEL 26 FEBBRAIO 2014 SUGLI APPALTI PUBBLICI E CHE ABROGA LA

DIRETTIVA 2004/18/CE (ART. 12)

28.3.2014 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 12 -

Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico 1. Un appalto

pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona

giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di

applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte

le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla

persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa

esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività della persona

giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei

compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice

controllante o da altre persone giuridiche controllate

dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e c) nella persona

giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali

privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non

comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni

legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano

un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona

giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi

della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli

obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica

controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona

130

giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo

dall’amministrazione aggiudicatrice. 2. Il paragrafo 1 si applica anche

quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione

aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione

aggiudicatrice controllante o ad un altro soggetto giuridico

controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione

che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto

pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad

eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano

controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative

nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza

determinante sulla persona giuridica controllata. 3. Un’amministrazione

aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato

o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno

aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la

presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre

amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui

trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80

% delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento

dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici

controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni

aggiudicatrici di cui trattasi; e

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta

di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati

che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni

131132133

legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano

un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Ai fini

del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici

esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono

soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della

persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le

amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti

possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici

partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di

esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi

strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la

persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle

amministrazioni aggiudicatrici controllanti. 4. Un contratto concluso

esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra

nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono

soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o

realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti,

finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere

siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in

comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente

da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni

aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 %

delle attività interessate dalla cooperazione.

5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo

comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4,

lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea

misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona

giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei

servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione

dell’appalto. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività

della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione,

ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la

misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre

anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare,

segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è

credibile.

DIRETTIVA 2014/25/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

DEL 26 FEBBRAIO 2014 SULLE PROCEDURE D'APPALTO DEGLI ENTI

EROGATORI NEI SETTORI DELL ’ACQUA, DELL’ENERGIA, DEI TRASPORTI E

DEI SERVIZI POSTALI E CHE ABROGA LA DIRETTIVA 2004/17/CE (ART. 28)

28.3.2015 Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 94/1 Articolo 28 -

Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici 1. Un appalto aggiudicato

da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto

pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione

della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti

condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona

giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui

propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica

controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad

essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da

altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice

di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna

partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di

partecipazione di capitali privati che non comporta controllo o potere di

veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità

dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona

giuridica controllata.

Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona

giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi

del primo comma, lettera a), qualora essa eserciti un’influenza

determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative

della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere

134

esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo

stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. 2. Il paragrafo 1 si

applica anche quando una persona controllata che è un’amministrazione

aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione

aggiudicatrice controllante o ad un’altra persona giuridica controllata dalla

stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella persona

giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna

partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di

partecipazione di capitali privati che non comporta controllo o potere di

veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei

trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona

giuridica controllata. 3. Un’amministrazione aggiudicatrice che non

eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo

ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto a tale

persona giuridica senza applicare la presente direttiva, se sono

soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione

aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni

aggiudicatrici su tale persona giuridica un controllo analogo a quello da

esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale

persona giuridica viene effettuato nello svolgimento dei compiti ad essa

affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre

persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui

trattasi; e

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di

capitali privati diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali

privati che non comporta controllo o potere di veto, prescritte dalle

135136137

disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non

esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Ai fini della lettera a), si ritiene che le amministrazioni aggiudicatrici

esercitino su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono

soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della

persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le

amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti

possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici

partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di

esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi

strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica

controllata; iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi

contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti. 4.

Un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni

aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente

direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il

contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni

aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a fare in modo che i servizi pubblici

che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli

obiettivi che esse hanno in comune; b) l’attuazione di tale

cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni relative

all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti

svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla

cooperazione.

5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo

comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4,

lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea

misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla pertinente

persona giuridica nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre

anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto. Se, a causa della data di

costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica pertinente,

ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la

misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i

tre anni precedenti o non è più pertinente, basta che esso dimostri,

segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è

credibile.

D.L. 4 LUGLIO 2006 N. 223 - DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO

ECONOMICO E SOCIALE, PER IL CONTENIMENTO E LA RAZIONALIZZAZIONE

DELLA SPESA PUBBLICA, NONCHÈ INTERVENTI IN MATERIA DI ENTRATE E

DI CONTRASTO ALL'EVASIONE FISCALE - ART. 13

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 luglio 2006, n. 153 - Convertito in

legge dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 con modificazione

(conversione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2006, n. 186)

13. Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e

locali e a tutela della concorrenza.

1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del

mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le

società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate

dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni

e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività,

con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o

delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di

enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui

all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori,

servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,

nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di

funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti

costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a

favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con

gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel

138

territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione

finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre

1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o

enti159. 2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e

non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società

di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in

vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono

cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non

consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata

società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del

periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel

primo periodo del presente comma160.

4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto,

in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi,

fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la

data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di

aggiudicazione bandite prima della predetta data161.

159 Il comma è stato modificato dal comma 4-septies dell'art. 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, e successivamente dal comma 1 dell’art. 48, L. 23 luglio 2009, n. 99. 160 Il comma è stato modificato dal comma 4-septies dell'art. 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, e successivamente dal comma 1 dell’art.

48, L. 23 luglio 2009, n. 99. 161 Comma così modificato prima dal comma 720 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, poi dal comma 7 dell'art. 4, D.L. 3 giugno 2008, n. 97 ed infine dal comma 1-bis dell'art. 20, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

139

LEGGE 27 DICEMBRE 2013, N. 147 - DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE

DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE DI

STABILITÀ 2014) - ARTICOLO 1, COMMI 550 - 568

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302, S.O.

Articolo 1 550. Le disposizioni del presente comma e dei commi da 551

a 562 si applicano alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società

partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di

cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Sono

esclusi gli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico

di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché le società

emittenti

strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro controllate.

551. Nel caso in cui i soggetti di cui al comma 550 presentino un risultato

di esercizio o saldo finanziario negativo, le pubbliche amministrazioni

locali partecipanti accantonano nell'anno successivo in apposito fondo

vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente

ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Per le

società che redigono il bilancio consolidato, il risultato di esercizio è quello

relativo a tale bilancio. Limitatamente alle società che svolgono servizi

pubblici a rete di rilevanza economica, compresa la gestione dei rifiuti, per

risultato si intende la differenza tra valore e costi della produzione ai sensi

dell'articolo 2425 del codice civile. L'importo accantonato è reso

disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in

cui l'ente partecipante ripiani la perdita di esercizio o dismetta la

140

partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Nel caso

in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite

negli esercizi precedenti l'importo accantonato viene reso disponibile agli

enti partecipanti in misura corrispondente e proporzionale alla quota di

partecipazione. 552. Gli accantonamenti di cui al comma 551 si

applicano a decorrere dall'anno 2015. In sede di prima applicazione, per

gli anni 2015, 2016 e 2017: a) l'ente partecipante di soggetti che hanno

registrato nel triennio 2011- 2013 un risultato medio negativo accantona,

in proporzione alla quota di partecipazione, una somma pari alla differenza

tra il risultato conseguito nell'esercizio precedente e il risultato medio

2011-2013 migliorato, rispettivamente, del 25 per cento per il 2014, del

50 per cento per il 2015 e del 75 per cento per il 2016. Qualora il risultato

negativo sia peggiore di quello medio registrato nel triennio 2011-2013,

l'accantonamento è operato nella misura indicata dalla lettera b); b) l'ente

partecipante di soggetti che hanno registrato nel triennio 2011- 2013 un

risultato medio non negativo accantona, in misura proporzionale alla quota

di partecipazione, una somma pari al 25 per cento per il 2015, al 50 per

cento per il 2016 e al 75 per cento per il 2017 del risultato negativo

conseguito nell'esercizio precedente.

553. A decorrere dall'esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 a

partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche

amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di

finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di

economicità e di efficienza. Per i servizi pubblici locali sono individuati

parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell'ambito della

141142

banca dati delle Amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 della

legge 31 dicembre 2009, n. 196, utilizzando le informazioni disponibili

presso le Amministrazioni pubbliche. Per i servizi strumentali i parametri

standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato. 554. A

decorrere dall'esercizio 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a

partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche

amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti

pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della

produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato

economico negativo, procedono alla riduzione del 30 per cento del

compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il

conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi

rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Quanto

previsto dal presente comma non si applica ai soggetti il cui risultato

economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento

preventivamente approvato dall'ente controllante. 555. A decorrere

dall'esercizio 2017, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque

esercizi precedenti, i soggetti di cui al comma 554 diversi dalle società

che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione entro sei

mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo

all'ultimo esercizio. In caso di mancato avvio della procedura di

liquidazione entro il predetto termine, i successivi atti di gestione sono

nulli e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci.

556.All'articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 19

novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni, le parole da: «, con

esclusione» fino a: «forniti dalle stesse.» sono sostituite dalle seguenti: «.

Le società, nonché le loro controllanti, collegate e controllate che, in Italia

o all'estero, sono destinatarie di affidamenti non conformi al combinato

disposto degli articoli 5 e 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n.

1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, e

la cui durata ecceda il termine del 3 dicembre 2019, non possono

partecipare ad alcuna procedura per l'affidamento dei servizi, anche se già

avviata. L'esclusione non si applica alle imprese affidatarie del servizio

oggetto di procedura concorsuale.». 557. All'articolo 18 del decreto-

legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6

agosto 2008, n. 133, il comma 2-bis è sostituito dal seguente:

«2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di

cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e

successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale

si applicano, in relazione al regime previsto per l'amministrazione

controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società a

partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di

affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte

a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale

né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica

amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura

pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica

amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica

(ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004,

n. 311. Si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle

rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli

oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per

143

consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti

medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione

individuale e alla retribuzione accessoria. A tal fine, su atto di indirizzo

dell'ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la

concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla

retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro

vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo

restando quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, le

società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono

escluse dall'applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo.

Per queste società, l'ente locale controllante, nell'esercizio delle prerogative

e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei citati vincoli

assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno

adottate con propri provvedimenti. Fermo restando quanto previsto

dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di riferimento

possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime

limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e

istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici

e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo

restando l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio

e di contenimento della spesa di personale». 558. All'articolo 76 del

citato decreto-legge n. 112 del 2008, il comma 7 è così modificato: a) al

terzo periodo, dopo le parole: «Ai fini del computo della percentuale di

cui al primo periodo si calcolano le spese sostenute anche dalle» sono

inserite le seguenti: «aziende speciali, dalle istituzioni e»;

144

b) il quarto periodo è sostituito dal seguente: «Entro il 30 giugno 2014, con

decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro

per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i

Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, d'intesa con la

Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al primo periodo, al

fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in

termini aggregati». 559. All'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto

2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.

148, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 5 è

abrogato; b) al comma 6, le parole da: «nonché» a: «degli

amministratori» sono sostituite dalle seguenti: «nonché i vincoli

assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente

locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-

legge n. 112 del 2008». 560. Il comma 5-bis dell'articolo 114 del testo

unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito

dal seguente: «5-bis. Le aziende speciali e le istituzioni si iscrivono e

depositano i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle

notizie economico-amministrative della camera di commercio,

industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31

maggio di ciascun anno». 561. Il comma 32 dell'articolo 14 del decreto-

legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge

30 luglio 2010, n. 122, è abrogato. 562. Al decreto-legge 6 luglio 2012,

n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, sono

apportate le seguenti modificazioni:

a) i commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell'articolo 4 e i commi da 1 a 7

145146147148

dell'articolo 9 sono abrogati; b) al comma 4 dell'articolo 4 le parole:

«delle società di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «delle

società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni

pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del

2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di

servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento

dell'intero fatturato». 563. Le società controllate direttamente o

indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma

2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive

modificazioni, o dai loro enti strumentali, ad esclusione di quelle emittenti

strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle

stesse controllate, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 31 del

medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, possono, sulla base di un

accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del consenso del

lavoratore, processi di mobilità di personale anche in servizio alla data di

entrata in vigore della presente legge, in relazione al proprio fabbisogno

e per le finalità dei commi 564 e 565, previa informativa alle

rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni

sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato, in

coerenza con il rispettivo ordinamento professionale e senza oneri

aggiuntivi per la finanza pubblica. Si applicano i commi primo e terzo

dell'articolo 2112 del codice civile. La mobilità non può comunque

avvenire tra le società di cui al presente comma e le pubbliche

amministrazioni.

564. Gli enti che controllano le società di cui al comma 563 adottano, in

relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi

esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento

economico-finanziario secondo appositi piani industriali, atti di indirizzo

volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di

risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione di personale

mediante le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 563. 565.

Le società di cui al comma 563, che rilevino eccedenze di personale, in

relazione alle esigenze funzionali o ai casi di cui al comma 564, nonché

nell'ipotesi in cui l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al

50 per cento delle spese correnti, inviano alle rappresentanze sindacali

operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del

contratto collettivo dalla stessa applicato un'informativa preventiva in cui

sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili

professionali del personale in eccedenza. Tali informazioni sono

comunicate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento

della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non possono

essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove

assunzioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 7, del

decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla

legge 7 agosto 2012, n. 135. 566. Entro dieci giorni dal ricevimento

dell'informativa di cui al comma 565, si procede, a cura dell'ente

controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in

eccedenza nell'ambito della stessa società mediante il ricorso a forme

flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società

controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali con le modalità

previste dal comma 563. Si applica l'articolo 3, comma 19, della legge 28

giugno 2012, n. 92, e successive modificazioni.

567. Per la gestione delle eccedenze di cui al comma 566, gli enti

controllanti e le società partecipate di cui al comma 563 possono

concludere accordi collettivi con le organizzazioni sindacali

comparativamente più rappresentative finalizzati alla realizzazione, ai sensi

del medesimo comma 563, di forme di trasferimento in mobilità dei

dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al

di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da

eccedenze di personale. 568. Al fine di favorire le forme di mobilità, le

società di cui al comma 563 possono farsi carico, per un periodo massimo di

tre anni, di una quota parte non superiore al 30 per cento del trattamento

economico del personale interessato dalla mobilità, nell'ambito delle

proprie disponibilità di bilancio e senza nuovi o maggiori oneri a carico

della finanza pubblica. Le somme a tal fine corrisposte dalla società

cedente alla società cessionaria non concorrono alla formazione del

reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell'imposta regionale

sulle attività produttive.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 13 MARZO 2014, N. 1181 (INNOVAPUGLIA

S.P.A. CONTRO MEGATREND SRL, REGIONE PUGLIA)

(Omissis) Motivi della decisione (Omissis) Nel merito il Collegio deve

ritenere inaccoglibili i motivi sub nn. 4 e 5 di InnovaPuglia (nonché i

pertinenti motivi di merito proposti dalla Regione Puglia), con specifico

riferimento all'insussistenza nel caso di specie del requisito del controllo

analogo che giustifica l'affidamento diretto in oggetto, benché per

argomentazioni diverse da quelle esposte dal TAR nella sentenza

impugnata. Infatti, dall'esame analitico dello statuto sociale emerge con

certezza che InnovaPuglia s.p.a. non possiede il requisito, prescritto dalla

giurisprudenza comunitaria e nazionale, per configurare il controllo analogo

da parte della Regione socia (cfr. la fondamentale sentenza della Corte di

Giustizia 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, nonché la sentenza 11

gennaio 2005, C26/03, Stadt Halle e la sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03,

Parking Brixen; quindi, le sentenze del Consiglio di Stato n. 7636-04, 962-06,

1513-07, Ad. Plenaria 1-08, 2765-09, 5808-09, 7092-10 ed 1447-11; le

pronunce della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3

maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283;

nonché le sentenze della Corte costituzionale, da ultimo, 20 marzo 2013,

n. 46 e 28 marzo 2013, n. 50).

In specifico, come è noto, il controllo analogo a quello esercitato sui servizi

dell'ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi

149

rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si

traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione

dell'attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che

l'ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria. Giova ancora

ricordare come già la giurisprudenza Europea abbia ammesso la possibilità

che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purché si tratti

sempre di enti pubblici (si vedano le sentenze della Corte di giustizia 10

settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13 novembre 2008, n. 324/07, Coditel

Brabant), e come nel medesimo senso si sia espresso, del tutto

persuasivamente, anche questo Consiglio di Stato (si vedano, tre le altre,

le pronunce n. 7092-10 ed 8970-09). Inoltre, occorrerà pur sempre,

comunque, che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione

a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano

titolari. Nel caso di specie, cominciando dall'esame delle clausole

statutarie da cui il TAR ha ricavato l'insussistenza del requisito del controllo

analogo, deve rilevarsi che al momento dell'affidamento in house

(aprile/maggio del 2009) non vi era alcuna partecipazione di soggetti

privati al capitale di InnovaPuglia, essendo unico socio la Regione Puglia

e che lo statuto di InnovaPuglia, nella sua versione originaria (da

ultimo, ulteriormente rafforzata nel senso di vietare qualsiasi altra

partecipazione), non prevedeva alcun obbligo di apertura del capitale a

soggetti privati, in quanto consentiva la partecipazione solo della Regione,

di Enti locali e di società pubbliche ubicate in Puglia, escludendo così

soggetti privati.

Dunque, non vi sono elementi, tratti dall'anzidetta clausola di cedibilità, che

possano far pensare ad un indebolimento o, addirittura, all'esclusione del

150151152153154155

controllo analogo (cfr., da ultimo, sul punto, le sentenze della Corte di

Giustizia UE 10 settembre 2011, C-573-07 e 17 agosto 2008, C-135-05).

Se questa è l'unica conclusione possibile sulla base dell'analisi testuale e

letterale dello statuto di InnovaPuglia, cade anche il passaggio

motivazionale del TAR, secondo cui, ai sensi dell'art. 13, punto 3, dello

statuto, ove si dispone che l'Assemblea dei soci nomina e revoca

l'Amministratore unico ovvero i componenti del Consiglio di

Amministrazione ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione, in

combinato disposto con l'art. 8, ove entrassero a far parte della compagine

sociale soggetti privati, gli stessi sarebbero chiamati a concorrere alla

nomina o revoca dell'organo amministrativo della società. Infatti, una

volta chiarito che i soggetti privati non possono in nessun modo essere

ammessi a partecipare ad Innova Puglia (a maggior ragione dopo la

modifica dello statuto di Innova Puglia), tale argomentazione rimane priva

di fondamento. Tuttavia, a conferma del fatto che non possa comunque

riconoscersi il requisito del controllo analogo, milita un argomento diverso

e più ampio, legato al concetto stesso di controllo analogo, valorizzando,

quindi, quanto affermato dal TAR medesimo che ha osservato che lo

Statuto di InnovaPuglia "contempla penetranti poteri dell'organo

amministrativo (art. 19)", in tal modo individuando un'ulteriore carenza

dei requisiti del controllo analogo. Infatti, come ha chiarito la

giurisprudenza già richiamata, il controllo analogo è un controllo non di

matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da un maggioranza

assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo, paragonabile ad

un controllo di tipo gerarchico.

Infatti, la società in house, lungi dall'essere qualificabile nella sostanza

come ente di diritto privato è, in realtà, come recentemente affermato dalla

Corte di Cassazione, assimilabile ad un ente pubblico (cfr. le pronunce

citate della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio

2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283); dunque, i

rapporti con l'ente pubblico non possono che essere qualificabili come

rapporti pubblicistici, come appena evidenziato, risolvendosi quindi il

controllo analogo come controllo di tipo amministrativo, e, in specifico, un

controllo di tipo gerarchico. Pertanto, deve essere posto l'accento

sulla particolare intensità del controllo: i controlli in presenza dei quali

si verifica il fenomeno dell'in house possono essere analizzati prendendo in

prestito le coordinate previste per gli analoghi controlli effettuati sugli organi

tradizionali dalle pubbliche amministrazioni. I controlli devono essere al

tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni

e sui comportamenti (cfr. già la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 6

maggio 2002, n. 2418): sugli organi nel senso che l'ente locale deve avere il

potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti

degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione

nella misura in cui l'ente affidante, oltre al potere di direttiva e di

indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare

quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i

contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti

della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (cfr.

Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762).

In linea di principio, come è noto, il regime civilistico dei poteri del socio

non soddisfa quel parametro di intensità e di cogenza che è invece

necessario perché vi sia una vera e propria mortificazione dell'autonomia

manageriale, che sola giustifica l'affidamento in house: si pensi al periodo

che intercorre tra la revoca di un amministratore e la nomina di uno nuovo,

ove il controllo societario non garantisce la sindacabilità di atti medio

tempore adottati e potenzialmente lesivi. A questi fini è allora

necessario che accanto alle prerogative sociali, e quindi ai poteri che

l'ente locale esercita come socio secondo le regole civilistiche, vi siano

anche intensi e significativi poteri pubblicistici concernenti gli atti più

significativi che contrastino con le direttive e con gli indirizzi impartiti dallo

stesso ente locale (Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5; sez.

VI, 3 marzo 2007, n. 1514). Anche la Corte di Giustizia con la citata

sentenza Parking Brixen del 13 novembre 2005, n. 458, si è espressa in

merito al rapporto tra il controllo analogo e la totalità del pacchetto

sociale (sulla cui necessità si era già espressa con le pronunce del 11

gennaio 2005, C-26/03 e del 21 luglio 2005, C-231/03). In questa

pronuncia si chiarisce come nel caso in cui il c.d.a. conservi una autonomia

di spesa (fino a 5.000.000 Euro nel caso di specie) anche a fronte della

totalità dell'azionariato pubblico, resta ferma la possibilità di effettuare

operazioni aventi grande importanza economica ed amministrativa,

senza convocare l'assemblea e senza l'approvazione o l'autorizzazione

preventiva; ciò rende evidente che residua un'autonomia manageriale non

contrastata sufficientemente dalla totalità del pacchetto azionario.

Quindi, occorre chiarire che è necessario che il consiglio di

amministrazione della Società affidataria "in house" non abbia rilevanti

poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante (nella specie la totalità dei

soci pubblici), eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri

di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto

societario, che sono invece caratterizzati da un margine di rilevante

autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria (cfr. la

fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 26 agosto 2009, n.

5082). Risulta, quindi, indispensabile che tutte le decisioni più importanti

siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante. Nel

caso di specie, né dall'art. 8, né dall'art. 13, come deducono gli

appellanti, si possono evincere controlli di tipo gerarchico come quelli

appena descritti. Così come la norma statutaria, rubricata "Attività di

direzione e controllo esercitate dalla Regione Puglia" elenca una serie di atti

sui quali la Regione Puglia esercita il controllo preventivo, che pur

avendo evidente valore strategico per le politiche aziendali della

società, non esauriscono né comprimono del tutto i poteri dell'organo di

amministrazione, limitandolo alle sole operazioni ordinarie e

burocratiche, come appena detto. Neutro è, invece, dal punto di vista

della configurazione del controllo analogo, l'art. 18 dello statuto di

Innova Puglia che stabilisce, per quanto riguarda l'organo di

amministrazione che "la Società è amministrata da un Amministratore

Unico o da un Consiglio di Amministrazione composto da tre a cinque

membri, eletti dall'Assemblea, anche tra non soci, su indicazione della

Regione Puglia"; così come è neutro la composizione del predetto Consiglio

di Amministrazione.

Parimenti è irrilevante, per le medesime finalità, la deliberazione della

Giunta Regionale n. 8 del 13 gennaio 2009, in atti, anche se adottata nel

gennaio 2009 prima che venissero adottate le deliberazioni di affidamento

in house n. 516 del 7 aprile 2009 e n. 751 del 7 maggio 2009, che pur

chiarendo che la Regione intende "esercitare poteri maggiori rispetto a

quelli che il diritto societario riconosce a chi detiene la maggioranza del

capitale sociale. In particolare, tali maggiori poteri si devono tradurre in

un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni

importanti della società". Infatti, tale ultimo intendimento, per essere

positivamente apprezzato, deve tradursi in pertinenti clausole statutarie che

comprimano del tutto, nel senso sopra precisato, i poteri dell'organo di

amministrazione, affidandoli direttamente agli organi regionali

competenti, cosa che nella specie, come detto, non si è verificata. Gli

appelli, pertanto, devono respingersi anche nel merito. (Omissis)

P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

previa riunione degli appelli come in epigrafe indicati,

definitivamente pronunciando sull'appello principale di InnovaPuglia e

sull'appello della Regione Puglia, li respinge. Respinge l'appello

incidentale. (Omissis)

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 27 SETTEMBRE 2013, N. 22209 (ASIDEV

ECOLOGICA S.R.L. CONTRO FALLIMENTO ASIDEV ECOLOGICA S.R.L.,

INTERNATIONAL FACTORS ITALIA S.P.A)

Con l'unico motivo di ricorso Asidev Ecologica s.r.l. contesta di essere

assoggettabile a fallimento. Sostiene che l'errore interpretativo

compiuto dalla corte territoriale nel pervenire alla contraria soluzione

deriva dall'altrettanto errato utilizzo del criterio "tipologico", che risolve

il problema dell'assoggettabilità a fallimento della società partecipata

da un ente pubblico in base all'accertamento, indipendente dalla veste

giuridica formale da essa assunta, della sua effettiva natura (pubblica o

privata), anzichè del diverso e più corretto criterio "funzionale" o

"sostanzialistico" che, rinunciando alla pretesa di qualificazione della

società, si propone di individuare il regime giuridico applicabile attraverso

una valutazione di compatibilità della disciplina di diritto privato con le

specifiche normative di settore dettate dal legislatore per l'attività di

impresa da essa svolta. Per illustrare l'inutilità del tentativo di individuare

uno "statuto" unitario delle società a prevalente (o totalitaria)

partecipazione pubblica, la ricorrente rileva che dette società,

ancorchè soggette ad una serie di normative pubblicistiche, sono

disciplinate dal diritto privato per altri profili ed, in particolare, per ciò

che riguarda le controversie interne fra organi sociali e fra questi ultimi e

i soci, spettanti alla giurisdizione del giudice ordinario.

Proseguendo nel ragionamento, Asidev osserva, ancora, che le condizioni

richieste per l'applicazione delle diverse normative non sono omogenee,

con la conseguenza che alcune società in mano pubblica sono soggette

156

all'applicazione dell'intera disciplina richiamata, mentre ad altre possono

essere applicati solo "spezzoni" di disciplina e che la natura e l'intensità del

collegamento fra l'ente pubblico e la società da questo partecipata,

necessari ai fini dell'applicazione della disciplina di settore pubblicistica,

sono estremamente variabili, spaziando dal "controllo analogo" richiesto

per la legittimità degli affidamenti in house, alla qualifica di "organismo di

diritto pubblico" ai fini dell'assoggettamento alle norme dettate per gli

appalti di opere pubbliche, alla mera natura di "attività di pubblico

interesse" per l'applicazione della normativa sul diritto di accesso. Rileva,

infine, a suggello della tesi dell'inutilità dell'indagine concernente la natura

giuridica pubblica o privata delle società in mano pubblica ai fini

dell'individuazione della normativa loro applicabile, che l'assoggettamento

delle stesse alla disciplina pubblicistica non discende da tale natura ed è

prevista solo quando il legislatore (o la giurisprudenza) la reputino

necessaria per la tutela di interessi di natura pubblicistica o collettiva che

presiedono all'agire della P.A. che, in ragione della loro veste privatistica,

esse potrebbero legittimamente ignorare. A dire della ricorrente,

abbandonata la strada percorsa dalla corte di merito, per stabilire se

determinate discipline pubblicistiche possano applicarsi a soggetti

formalmente privati occorre piuttosto guardare, di volta in volta, agli

interessi protetti da quelle discipline; con la precisazione che la scelta (ad

es. in materia di appalti) è stata talvolta già compiuta dal legislatore,

mentre altre volte è rimessa alla valutazione degli interpreti (come nel caso

della giurisdizione amministrativa sugli atti).

Secondo Asidev questo criterio può essere utilmente seguito anche

nell'affrontare il tema dell'assoggettamento delle società in mano pubblica

al fallimento. In proposito la ricorrente deduce che la ragione per la quale

157158159160161162163164165166167168169170

la L. Fall., art. 1, prevede la non fallibilità degli enti pubblici risiede

nell'incompatibilità della procedura, avente carattere di esecuzione generale

e fine di tutela dell'intero ceto creditorio, rispetto all'ordinaria attività

dell'ente pubblico, che ne resterebbe paralizzata, con conseguente

impedimento per l'ente di perseguire l'interesse pubblico in vista del quale è

stato istituito; aggiunge che gli organi della procedura concorsuale non

potrebbero mai sostituirsi agli organi politici di gestione, non essendo

ammissibile un'interferenza di tipo giudiziario nella sovranità dell'ente.

Ciò premesso, Asidev sottolinea come il fallimento di alcune società a

partecipazione pubblica non pregiudicherebbe alcuno degli interessi tutelati

dall'art. 1 cit., laddove, per altre società, la lesione sarebbe in re ipsa. Le

società appartenenti a questa seconda categoria sono individuate dalla

ricorrente nelle partecipate che presentano il carattere della necessità, nel

senso che la loro esistenza e la loro operatività sono considerate necessarie

dall'ente territoriale, che intrattiene con le stesse rapporti connessi a tale

valutazione ed affida loro lo svolgimento di determinati servizi pubblici

essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi (quale è, per

l'appunto, il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti); nè, a dire della

ricorrente, il carattere necessario della società sarebbe escluso dalla

possibilità per l'ente di revocare la concessione, posto che la necessità può

essere anche temporanea e perciò permanere fino a quando la concessione

non venga affidata ad un altro soggetto.

Gli effetti immediati del fallimento, che sono lo spossessamento del

debitore e la cessazione dell'attività di impresa, pregiudicherebbero,

secondo Asidev, l'interesse pubblico all'esecuzione continuativa e regolare

del servizio pubblico essenziale svolto dalla partecipata e il pregiudizio non

potrebbe essere evitato neppure disponendo l'esercizio provvisorio, che è

istituto volto alla tutela esclusiva dei creditori concorsuali.

Sotto altro profilo, la ricorrente rileva come, per effetto del fallimento,

verrebbe ad essere attribuito al giudice il potere di decidere in ordine

all'eventuale prosecuzione dell'attività di impresa da parte della società

nonchè in ordine al possibile affidamento a terzi (attraverso l'affitto

d'azienda) del servizio pubblico essenziale, e si verificherebbe una

inammissibile sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità

amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere tipicamente

pubblicistico, di dubbia compatibilità con i principi costituzionali che

regolano l'agire della P.A. e che riservano agli enti pubblici la titolarità

delle funzioni amministrative. Sulla scorta di tali considerazioni, Asidev

assume di non essere assoggettabile a fallimento in ragione della sua natura

di ente necessario e strumentale della P.A., cui sono stati affidati precisi

compiti e doveri in funzione della migliore tutela della salute pubblica,

minacciata dall'emergenza rifiuti verificatasi nella Regione Campania.

Richiama, a conferma del proprio assunto, il testo della convenzione

stipulata con il Prefetto di Napoli con la quale le sono state affidate, in

regime di concessione, la realizzazione e la gestione di un impianto di

trattamento dei rifiuti solidi urbani ubicato nel territorio del Comune di

Ariano Irpino, in località (OMISSIS), ed osserva ulteriormente: 1) che,

secondo quanto espressamente indicato nelle premesse dell'atto, la

convenzione è stata stipulata sul presupposto "della necessità, dell'urgenza

e dell'opportunità dell'opera... al fine di fronteggiare la grave situazione di

pericolo determinatasi nel territorio della Regione Campania nel settore

dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani"; 2) che, a mente del comb. disp.

degli artt. 4 ed 8 del contratto, essa non aveva libertà di scegliere il proprio

cliente nè di negoziare il prezzo del servizio reso; 3) che dunque erano

previste precise limitazioni della sua libertà contrattuale non altrimenti

motivate che dal suo asservimento all'interesse pubblico; 4) che la sua

attività successiva alla stipula è stata dettata, in modo analitico e

vincolante, dalle varie ordinanze emesse dal Commissario Straordinario di

Governo per l'emergenza rifiuti in Campania; 5) che anche la chiusura della

discarica, così come le sue periodiche e temporanee riaperture, sono state

disposte con ordinanze del Commissario Straordinario, tutte fondate sui

presupposti della necessità ed urgenza ed ai fini della tutela della salute

pubblica, 6) che, ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 12 comma 3, anche

dopo la chiusura essa, quale gestore, è rimasta responsabile della

manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase post- operativa

(che dura per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare

rischi per l'ambiente) ed ha puntualmente assolto a tale compito,

sostenendo elevati costi di gestione il cui accollo non avrebbe alcuna

spiegazione se non si riconoscesse il suo asservimento all'interesse

pubblico. Conclude ribadendo che le società a partecipazione pubblica che

rivestono carattere necessario per l'ente pubblico in ragione dell'attività

svolta non possono essere dichiarate fallite perchè sussiste un'oggettiva

incompatibilità fra la tutela dell'interesse pubblico e la normativa

fallimentare. Ad avviso di questo giudice, la complessa censura sin qui

sintetizzata non merita accoglimento.

Il fenomeno delle società a partecipazione pubblica non è certo nuovo nel

nostro ordinamento: il codice civile del 1942 già dettava, agli artt. 2458,

2459 e 2460 c.c., le disposizioni applicabili, in tema di nomina e revoca

degli amministratori e dei sindaci, alle "società con partecipazione dello

Stato o di altri enti pubblici (ed a quelle il cui atto costitutivo prevedesse,

pur in mancanza di una partecipazione azionaria, che la nomina di uno o

più amministratori e sindaci spettasse alla P.A.) ma, per lungo tempo, non

si è dubitato che si trattasse di società di diritto comune, interamente

soggette alla disciplina civilistica (e perciò anche alla legge fallimentare),

distinte dagli enti pubblici (economici) aventi ad oggetto esclusivo o

principale un'attività di impresa (art. 2201 c.c.), ma non fallibili ai sensi

dell'art. 2221 c.c. ed L. Fall., art. 1, comma 1. A partire quantomeno

dall'ultimo decennio del secolo scorso, il contesto politico-economico di

riferimento ha però subito un innegabile mutamento: il progressivo

assottigliarsi della linea di confine fra l'agire pubblico e l'agire privato,

l'abbandono di una concezione autoritativa della P.A. in favore di una sua

concezione funzionale, nella quale i poteri di cui essa è dotata sono intesi

come meramente strumentali alla tutela dell'interesse pubblico, il

convincimento diffuso che tale interesse possa essere maggiormente

garantito attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune, indubbiamente

più snelli di quelli usualmente a disposizione dell'apparato burocratico, la

fiducia nelle capacità del "mercato" di stimolare la competitività, e

quindi di regolamentare al meglio anche attività di contenuto

economico tipicamente riservate alla pubblica amministrazione, hanno dato

luogo alla sempre più diffusa costituzione (al vero e proprio proliferare) di

società c.d. pubbliche, a partecipazione integralmente pubblica o mista,

pubblica- privata, o sottoposte ad una particolare influenza da parte di enti

pubblici, aventi ad oggetto la gestione non solo di beni proprietà pubblica,

ma di servizi di interesse pubblico, in precedenza erogati dallo Stato o dagli

enti territoriali attraverso aziende municipalizzate.

Non è invece mutato il quadro normativo generale: il legislatore ha ribadito

la scelta favorevole alla riconducibilità delle società pubbliche fra quelle di

diritto comune sia con il D.Lgs. n. 3 del 2003, di riforma del diritto

societario, che ha sostituito agli artt. 2458/60 gli artt. 2449 e 2450 c.c.

(quest'ultimo, fra l'altro - relativo all'attribuzione allo Stato o ad altri enti

pubblici privi di partecipazione azionaria della facoltà di nomina di

amministratori e sindaci - abrogato, a seguito dell'avvio di una procedura

d'infrazione da parte della Commissione europea, dal D.L. n. 10 del 2007,

art. 3, comma 1, convenuto nella L. n. 46 del 2007), sia col D.Lgs. n. 5 del

2006 di riforma del diritto fallimentare, che non ha modificato il R.D. n.

267 del 1942, art. 1, comma 1. E, come sottolineato da autorevole

dottrina, neppure le innumerevoli disposizioni normative speciali che,

nel corso degli anni, sono state emanate in tema di società pubbliche,

costituiscono un corpus unitario, sufficiente a regolamentarne attività e

funzionamento ed a modificarne la natura di soggetti di diritto privato,

così da sottrarle espressamente alla disciplina civilistica.

La sempre più stretta commistione fra la sfera pubblica e quella privata ha,

nel contempo, condotto all'emanazione di numerose leggi speciali

applicabili ad enti, società pubbliche e società formalmente private,

accomunati dall'agire in settori di pubblico interesse: in questa sede, a mero

titolo esemplificativo, si possono citare il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3,

comma 26 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e

forniture), che definisce organismo pubblico, cui è imposto il rispetto delle

norme dettate per gli appalti pubblici, qualsiasi organismo, anche in forma

societaria, istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse

generale, aventi carattere non industriale o commerciale e dotato di

personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario

dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto

pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi

oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia

costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli

enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico" e la L. n.

241 del 1990, art. 22, come modificato dalla L. n. 15 del 2005, art. 15, che

prevede il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei

documenti detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività

di pubblico interesse e che, alla lettera e), ricomprende nella nozione di

pubblica amministrazione "tutti i soggetti di diritto pubblico ed i soggetti di

diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse

disciplinata dal diritto nazionale o comunitario". Tuttavia, è proprio

dall'esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse

delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di

diritto privato, che può ricavarsi a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali

soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica. In altre

occasioni è stata la giurisprudenza a ritenere applicabili alle società pubbliche

o, comunque, attive in settori di pubblico interesse, determinate discipline

pubblicistiche: Cass. S.U. n. 9096/05 ha affermato che la

qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sè sufficiente

ad escluderne la natura di istituzione pubblica e quindi ad impedire

l'iscrizione nell'apposito albo speciale dell'avvocato operante presso il suo

ufficio legale;

Cass. S.U. n. 4511/06 (seguita da altre pronunce conformi) ha riconosciuto

la giurisdizione della Corte dei conti in relazione a fattispecie di danno

erariale cagionato da società beneficiane dell'erogazione di fondi pubblici,

attraverso i quali erano state chiamate a partecipare alla realizzazione di un

programma imposto dalla P.A.; Cass. S.U. n. 26806/09 ha ritenuto che

l'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione

pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori spetta alla

giurisdizione della Corte dei conti ogni qualvolta trovi fondamento nel

comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o

comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente

trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il

valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori

o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione

sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità

pubbliche ed implicante l'utilizzo di risorse pubbliche, o da arrecare

pregiudizio al suo patrimonio (con la precisazione che, in quest'ultimo

caso, l'azione erariale concorre con l'azione civile di responsabilità). Le

sentenze citate, nel prevedere l'applicabilità a società di capitali di

norme pubblicistiche solo a specifici fini, non si pongono però in contrasto

con il principio giurisprudenziale costantemente enunciato, a partire da

Cass. n. 58/79 (proprio in una fattispecie in cui si discuteva della fattibilità

di una s.p.a.

concessionaria dello stato e partecipata da enti pubblici), secondo cui una

società non muta la sua natura di soggetto privato solo perchè un ente

pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale; le numerose pronunce

che ribadiscono tale principio (per tutte, Cass. S.U. n. 7799/05) trovano

fondamento nell'incontestabile rilievo che il rapporto tra società ed ente

pubblico è di assoluta autonomia, posto che l'ente può incidere sul

funzionamento e sull'attività della società non già attraverso l'esercizio di

poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti

previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli

organi sociali di sua nomina. In materia fallimentare, proprio in questa

logica, ancor di recente la Suprema corte ha avuto occasione di affermare

che una società per azioni il cui statuto non evidenzi poteri speciali di

influenza ed ingerenza dell'azionista pubblico, ulteriori rispetto a quelli

previsti dal diritto societario, ed il cui oggetto sociale non contempli attività

di interesse pubblico da esercitarsi in forma prevalente, comprendendo,

invece, attività di impresa pacificamente esercitabili da società di diritto

privato, non perde la sua qualità di soggetto privato - e, quindi, ove ne

sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale fallibile - per il fatto

che essa, partecipata da un comune, svolga anche funzioni amministrative e

fiscali di competenza di quest'ultimo (Cass. n. 21991/012).

Nel contesto frammentario e multiforme di cui si è cercato sommariamente

di dar conto si è tuttavia fatta strada la tesi, di recente avanzata anche nella

giurisprudenza di merito, che vi sono società partecipate aventi sostanziale

natura giuridica pubblica, desumibile in via interpretativa da taluni indici

(in linea di massima, e di volta in volta, ravvisati in limitazioni statutarie

all'autonomia degli organi societari, nell'esclusiva titolarità pubblica del

capitale, nell'ingerenza nella nomina degli amministratori da parte di organi

promananti dallo stato, nell'erogazione di risorse pubbliche per il

raggiungimento dello scopo), le quali vanno equiparate ad ogni effetto (e

dunque anche ai fini della loro esenzione dal fallimento) agli enti pubblici.

Va subito detto che la tesi mal si concilia con la perdurante vigenza del

principio generale stabilito dalla L. n. 70 del 1975, art. 4, che, nel prevedere

che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non

per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non

attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi

desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco.

Essa, peraltro, non può essere condivisa alla luce di un'analisi del fenomeno

societario nelle diverse fasi che lo caratterizzano. Va in primo luogo

escluso che peculiarità, tali da giustificare l'equiparazione ad un ente

pubblico di società a partecipazione pubblica, si rinvengano sul piano del

soggetto, ossia dell'ente giuridico "società", e del modo in cui sono

disciplinati la sua organizzazione ed il suo funzionamento, e i rapporti

esistenti, al suo interno, fra i diversi organi che vi operano. E ciò vale

anche nel caso in cui norme legislative o statutarie pongano limiti alla

autonomia degli organi deliberativi, posto che la volontà negoziale

della società pubblica, pur se determinata da atti propedeutici

dell'amministrazione, si forma e si manifesta secondo le regole del diritto

privato. Ad analoga conclusione deve giungersi avuto riguardo al piano

dell'attività, cioè dei rapporti che la società, in quanto soggetto

riconosciuto dall'ordinamento come dotato di una propria capacità

giuridica e di agire, instaura con i terzi. Eventuali norme speciali che siano

volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al

suo capitale e la designazione dei suoi organi, non incidono, infatti, sul

modo in cui essa opera nel mercato nè possono comportare il venir meno

delle ragioni di tutela dell'affidamento dei terzi contraenti contemplate

dalla disciplina privatistica.

Il discorso è indubbiamente più delicato quando si passa ad esaminare il

piano della funzione, ossia dello scopo per il cui perseguimento la società è

costituita ed agisce, non potendosi tacere che nell'operare di talune società

pubbliche, in specie di quelle affidatane di pubblici servizi, non è sempre

dato ravvisare quell'attività economica a scopo di lucro che l'art. 2247 c.c.,

tuttora indica come elemento caratteristico di ogni società di capitali.

Ma, non potendosi al contempo disconoscere che il modello societario è

andato negli anni assumendo connotati sempre più elastici, sostanzialmente

svincolandosi dalla tradizionale alternativa fra causa di lucro e causa

mutualistica, sino a divenire un contenitore adattabile a diverse finalità (si

pensi, ad es., alle società sportive di cui alla L. n. 91 del 1981), l'eventuale

divergenza causale rispetto allo scopo lucrativo non appare sufficiente ad

escludere che, laddove sia stato adottato il modello societario, la natura

giuridica e le regole di organizzazione della partecipata restino quelle

proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice

civile. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, si può, in definitiva,

concordare con l'assunto della ricorrente, secondo cui non è possibile

enucleare, in via descrittiva, uno statuto unitario delle società in mano

pubblica, le quali (come può accadere anche a società a capitale

interamente privato) sono assoggettate alle normative pubblicistiche nei

settori di attività in cui assume rilievo la natura pubblica dell'interesse

perseguito, da realizzare attraverso disponibilità finanziarie pubbliche,

senza che per questo possa predicarsene l'appartenenza ad un tertium

genus, qualificabile come società- ente, sottratto in foto al diritto comune.

Ciò che non può condividersi è invece il corollario che da tale premessa

Asidev Ecologica intende trarre, che si sostanzia nell'affermazione che la

verifica dell'applicabilità alle società in mano pubblica di discipline di

settore pubblico o privato, in difetto di specifiche disposizioni normative,

va compiuta di volta in volta, a seconda della materia di riferimento ed in

vista degli interessi tutelati dal legislatore. In tale ottica, per venire al tema

che in questa sede interessa, secondo la ricorrente non potrebbero essere

dichiarate fallite le società partecipate (fra le quali essa si annovera) aventi

carattere necessario per l'ente territoriale, ovvero quelle che svolgono un

servizio pubblico essenziale, la cui esecuzione continuativa e regolare

verrebbe ad essere pregiudicata dalla dichiarazione di fallimento. La

prima, facile, obiezione che può muoversi a tale assunto è che ciò che

rileva nel nostro ordinamento ai fini dell'applicazione dello statuto

dell'imprenditore commerciale non è il tipo dell'attività esercitata, ma la

natura del soggetto: se così non fosse, seguendo fino in fondo la tesi, si

dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale

interamente privato cui sia affidata in concessione la gestione di un servizio

pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate dal fallimento.

Neppure è persuasivo l'argomento che, dalla necessità del servizio pubblico

gestito, vorrebbe far derivare la necessità del soggetto privato che lo eroga,

con conseguente sua esenzione dal fallimento. Va intanto ricordato che

il D.L. n. 134 del 2008, convertito dalla L. n. 166 del 2008, detta norme

specifiche in materia di ristrutturazione industriale di grandi imprese in crisi

che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali, proprio al

fine di assicurare che questi non subiscano interruzioni, ma non

esclude che tali imprese siano sottoposte alla procedura di

amministrazione straordinaria. Risulterebbe pertanto privo di coerenza un

sistema che, per contro, esonera dalla procedura concorsuale ordinaria i

gestori di servizi pubblici essenziali che non raggiungono le soglie

dimensionali necessarie per accedere a quella di amministrazione

straordinaria.

Venendo, più specificamente al tema delle società partecipate da enti locali,

la complessa disciplina ricavabile dal D.Lgs. n. 267 del 2008, artt. 112 e

118 (T.U.E.L.) e dalle successive leggi di modifica e/o di integrazione

mantiene fermo il principio della separatezza fra titolarità degli impianti,

delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici

(che devono restare di proprietà degli enti, salvo che questi non li

conferiscano a società a capitale interamente pubblico e incedibile) e

attività di erogazione dei servizi, che può essere affidata anche a soggetti

privati (L. n. 138 del 2011, art. 4, comma 28). Il fallimento della

partecipata, ancorchè, in ipotesi, costituta all'unico scopo di gestire un

determinato servizio pubblico, non preclude dunque all'ente locale, rimasto

proprietario dei beni necessari all'esercizio di quel servizio, di affidarne la

gestione ad un nuovo soggetto. Infine, il pericolo derivante dal rischio di

interruzione del servizio, per il tempo necessario all'ente locale ad

affidarlo ad un nuovo gestore, può essere evitato attraverso il ricorso

all'istituto dell'esercizio provvisorio, previsto dalla L. Fall., art. 104. Va

condivisa sul punto la tesi, avanzata in dottrina e seguita anche dalla

giurisprudenza di merito, secondo cui nel valutare la ricorrenza di un

danno grave, in presenza del quale autorizzare l'esercizio provvisorio, il

tribunale può tenere conto non solo dell'interesse del ceto creditorio, ma

anche della generalità dei terzi, fra i quali ben possono essere annoverati i

cittadini che usufruiscono del servizio erogato dall'impresa fallita.

Nè si comprende sotto quale profilo l'autorizzazione alla continuazione

temporanea dell'esercizio dovrebbe comportare una inammissibile

sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità amministrativa,

che aveva in precedenza scelto il soggetto cui affidare la gestione e che

continuerebbe ad intrattenere con questo, per la durata dell'esercizio, i

medesimi rapporti che vi intratteneva prima della dichiarazione di

fallimento. Deve dunque concludersi, secondo quanto è stato correttamente

rilevato in dottrina, che la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di

determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse

pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste

assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione

principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano

in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli

strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la

necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di

trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse

forme e con le stesse modalità. Le considerazioni sin qui svolte rendono

superfluo l'esame delle questioni di fatto illustrate dalla ricorrente al fine di

dimostrare la sua qualità di ente strumentale e necessario per la P.A.

Poichè le parti intimate non hanno svolto attività difensiva, non v'è luogo

alla liquidazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il

ricorso. Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2013

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 25 NOVEMBRE 2013, N. 26283

(PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO

PRESSO LA CORTE DEI CONTI CONTRO R.S.A E ALTRI)

(Omissis) 1. Le sezioni unite sono nuovamente chiamate a stabilire se

sussista, ed eventualmente entro quali limiti, la giurisdizione della Corte dei

conti nei confronti di soggetti che abbiano svolto funzioni

amministrative o di controllo in società di capitali (nella specie una società

per azioni) costituite e partecipate da enti pubblici, quando a quei soggetti

vengano imputati atti contrari ai loro doveri d'ufficio con conseguenti

danni per la società. Su tale questione, come più diffusamente si dirà tra

un momento, questa corte è già intervenuta negli ultimi anni con molteplici

pronunce. Conviene dire subito, però, che la fattispecie ora in esame presenta

una connotazione particolare, cui solo di sfuggita v'era stata occasione di far

cenno in alcune precedenti occasioni: cioè che la società asseritamente

danneggiata dai propri gestori ed organi di controllo presenta le

caratteristiche di una cosiddetta società in house.

Cosa con tale espressione debba intendersi e perchè ciò rilevi ai fini della

giurisdizione lo si chiarirà meglio in seguito. Qui giova sottolineare che la

qualifica della ETM come società in house del Comune di Civitavecchia

discende da un accertamento in fatto compiuto dal giudice di primo grado,

il quale ne ha dato dettagliatamente atto nella propria sentenza (si vedano,

in particolare, le pagg. 9 e 10), nella quale è infatti puntualizzato: che

l'anzidetta società è stata costituita dall'ente pubblico comunale, il quale ne

è l'unico socio e le cui azioni non possono essere neppure parzialmente

alienate a terzi; che essa ha per oggetto l'esercizio del servizio di trasporto

171

pubblico locale e di altri servizi inerenti alla mobilità urbana ed extraurbana

(quali il servizio degli ausiliari della sosta e quello dei parcheggi); che la

parte più importante dell'attività sociale è svolta in favore del comune

partecipante; e che sulla medesima società detto comune esercita un

controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. A tali

accertamenti non risulta siano state mosse contestazioni specifiche negli

atti di gravame proposti dagli interessati contro la sentenza di primo grado,

nè il giudice d'appello li ha rimessi in discussione, in punto di fatto, sicchè

(pur non risultando possibile in questa sede l'esame diretto dello statuto

della società ETM, non prodotto agli atti del giudizio di cassazione) si può

tenere senz'altro per fermo che la società di cui si discute presenta le

caratteristiche sopra riferite. 2. Si è già ricordato all'inizio come sul tema

della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori ed

organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici le sezioni

unite di questa corte si siano già ripetutamente espresse, sin da quando

ha cominciato ad avere grande diffusione il fenomeno dell'uso dello

strumento societario privato da parte delle pubbliche amministrazioni

anche per la realizzazione di finalità tipicamente pubblicistiche, e poi con

crescente frequenza negli ultimi anni. Sarebbe inutile ripercorrere qui le

diverse tappe di questo iter giurisprudenziale, al quale ovviamente

anche la dottrina ha dato il suo apporto critico, pur manifestando

posizioni talora alquanto divaricate. Converrà solo richiamare brevemente

i punti salienti dell'orientamento da ultimo consolidatosi, diffusamente

esposti nella sentenza n. 26806 del 2009 (alla quale anche la giurisprudenza

successiva si è allineata quasi senza eccezioni: si vedano, ad esempio,

Sez. un. 10299/13, 7374/13, 20940/11,

20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10).

172173174175176177178179180181182183184185186187188

2.1. Premesso che l'art. 103 Cost., comma 2, impone, al di fuori delle

materie di contabilità pubblica, di trovare il fondamento della giurisdizione

della Corte dei conti in una specifica disposizione di legge (rinvenibile

all'origine nella previsione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13,

secondo cui la Corte dei conti giudica sulla responsabilità per danni arrecati

all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro funzioni, con il

successivo ampliamento dovuto alla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1,

comma 4, che ha esteso il giudizio della stessa Corte dei conti alla

responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni

cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di

appartenenza), la richiamata pronuncia delle sezioni unite muove da un

duplice rilievo: anzitutto che nell'attuale assetto normativo il perseguimento

delle finalità istituzionali proprie della pubblica amministrazione si realizza

anche mediante attività disciplinate in tutto o in parte dal diritto privato,

onde il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è

rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico della stessa pubblica

amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato -

nel quale si colloca la condotta produttiva del danno; in secondo luogo, che

le società di capitali eventualmente costituite o comunque partecipate da

enti pubblici per il perseguimento delle finalità loro proprie non cessano sol

per questo di essere delle società di diritto privato, la cui disciplina, se non

diversamente disposto, riposa tuttora sulle norme dettate dal codice civile,

come confermato anche dal dettato dell'art. 2449 dello stesso codice (nella

cui relazione accompagnatoria è detto infatti espressamente che "è lo Stato

medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per

assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove

possibilità realizzatrici").

In ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità

giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente

autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne

impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed è titolare di un proprio

patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le

quote di partecipazione. Pertanto, non solo risulta impossibile imputare

personalmente agli amministratori o ad altri soggetti investiti di cariche

sociali la titolarità del rapporto di servizio intercorrente tra l'ente pubblico e

la società cui sia stato affidato l'espletamento di compiti riguardanti un

pubblico servizio, ma soprattutto non può dirsi arrecato alla pubblica

amministrazione il danno che gli atti di mala gestio, posti in essere dagli

organi sociali, abbiano inferto al patrimonio della società. La

responsabilità nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi

in genere che grava sugli organi sociali, assoggettati alle medesime norme

sia quando designati dai soci secondo le regole generali dettate in proposito

dal codice sia quando eventualmente designati dal socio pubblico in forza

dei particolari poteri a lui spettanti (art. 2449 cit., comma 2), opera quindi

sempre nei termini stabiliti dall'art. 2392 c.c. e segg., non

diversamente che in qualsivoglia altra società privata.

Di conseguenza il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio

sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di

responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo

a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della

Corte dei conti: perchè non implica alcun danno erariale, bensì unicamente

un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al

patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci

- pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote

di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti

nel patrimonio sociale medesimo. E l'esattezza di tale conclusione trova

conferma anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente

coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi

al giudice contabile e l'esercizio delle azioni di responsabilità (sociale e dei

creditori sociali) contemplate dal codice civile. Risulta viceversa

configurabile l'azione del procuratore contabile quando sia volta a far

valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di

controllo della società partecipata dall'ente pubblico che sia stato

danneggiato dall'azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza

indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente.

Si è allora innegabilmente in presenza di un cosiddetto danno erariale, ossia

di un danno provocato dall'agente al patrimonio dell'ente pubblico, come ad

esempio accade nel caso del danno all'immagine della pubblica

amministrazione, la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione

del giudice contabile è confermata dal disposto della L. 3 agosto 2009, n.

102, art. 17, comma 30 ter, (quale risulta dopo le modifiche apportate dal

d.l. in pari data, n. 103, convertito con ulteriori modificazioni nella L. 3

ottobre 2009, n. 141). E' in questo quadro di principi generali che deve

essere perciò letta anche la disposizione della L. 28 febbraio 2008, n. 31,

art. 16 bis, (che ha convertito il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248), la quale ha

introdotto per le società quotate un'eccezione alla giurisdizione contabile da

riferire, appunto, alla sola area in cui detta giurisdizione risulterebbe

altrimenti applicabile.

L'azione del procuratore contabile appare poi anche configurabile nei

confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno

arrecato al patrimonio sociale, bensì) di chi, quale rappresentante dell'ente

partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia

colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così

pregiudicando il valore della partecipazione. Ciò che ben può accadere

quando il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli

amministratori o agli organi di controllo della società partecipata, trascuri

ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia

direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della

partecipazione. 3. Il collegio è persuaso che l'orientamento ora

richiamato, ispirato dall'esigenza di ricondurre la soluzione del problema

di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a

fondamento del sistema ordinamentale, debba essere in via generale tenuto

fermo, anche alla luce della normativa sopravvenuta. Normativa alla

quale il carattere spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze

contingenti impediscono di assumere una valenza sistematica, che vada

oltre il dettato della singola disposizione, onde parrebbe quanto mai

azzardato il voler trarre da essa argomenti di ordine generale, tali da

incidere sui principi giuridici su cui è basata la citata giurisprudenza di

questa corte in materia, o anche solo indici dell'esistenza di principi in

tutto o in parte diversi da quelli. La disciplina speciale dettata per le

cosiddette società pubbliche - come anche la più attenta dottrina non ha

mancato di rilevare - non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema

conchiuso ed a sè stante, ma continua ad apparire come un insieme di

deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione.

Ciò dicasi, in particolare, per l'inclusione delle società a partecipazione

pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera

di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di

beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal

Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, (convertito con

modificazioni dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), inclusione ovviamente ispirata

dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa

pubblica, ma che non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni

effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta

norma si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società

partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità e per i

conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a

tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli enti locali (articolo

introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni

dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213).

Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art.

4, (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare

regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti

dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a

partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato

il citato art. 2449 c.c. - che s'è visto essere coerente con l'inquadramento

generale di tali enti, per tutto il resto, nel novero delle società azionarie

soggette alla disciplina privatistica - ed, anzi, il comma 13 del medesimo

art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e

salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione

pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Il

che dimostra con evidenza come non possa essere in alcun modo attribuita

una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di

tale disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente

comma 12, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette

società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi

precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i

compensi erogati in virtù dei contrati stipulati".

Nè in virtù di tali disposizioni, nè di altre altrettanto frammentarie e

disorganiche che sono sparse nell'ordinamento e delle quali sarebbe qui

superfluo dare dettagliatamente conto, è dato insomma sottrarsi alla

drastica alternativa già precedentemente segnalata: alternativa per la quale,

fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico

partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità

dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di

risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al

patrimonio della società potrebbe fondarsi soltanto: o su una previsione

normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno

arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico

bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo possibile, ma che allo

stato non appare individuabile in termini generali nell'ordinamento - ;

oppure sull'attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente

pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi

senz'altro come danno erariale. Soluzione, quest'ultima, che appare però

ben difficilmente predicabile, perchè trova un solido ostacolo nel disposto

della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, a tenore del quale occorre l'intervento

del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e pare difficile dubitare

che siffatta norma esprima un principio di ordine generale, ove si consideri

la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati

nel riconoscimento della natura pubblica di un ente. Di modo che, se in via

di principio può ammettersi che un siffatto riconoscimento sia desumibile

anche per implicito da una o più disposizioni di legge, occorre nondimeno

che la volontà del legislatore in tal senso risulti da quelle disposizioni in

modo assolutamente inequivoco. Ma, quanto alle società a partecipazione

pubblica, lungi dal ravvisarsi disposizioni normative che

inequivocabilmente attribuiscano loro la qualifica di ente pubblico, s'è già

visto come il legislatore si sia preoccupato a più riprese di ribadirne, in via

generale e fatta salva l'applicazione di singole regole speciali,

l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile per le società di

diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto di riparto di

giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una

disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la

Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse: si vedano Sez. un.

22 dicembre 2009, n. 27092). 4. Nelle considerazioni ora svolte assume

un ruolo centrale, come s'è già sottolineato, la distinzione tra la società di

capitali (soggetto di diritto privato) ed i propri soci (ancorchè

eventualmente pubblici). Distinzione che - è appena il caso di ricordarlo - in

via di principio non vien meno neppure nell'eventualità in cui la società sia

unipersonale ed il capitale sociale appartenga quindi ad un unico

socio, in base alle regole di matrice comunitaria introdotte nel nostro

ordinamento prima per le sole società a responsabilità limitata e poi anche

per le società azionarie.

E' proprio partendo da questo profilo che si manifesta, però, la necessità di

un'ulteriore riflessione quando ci si trovi in presenza di quel particolare

fenomeno giuridico, al quale si è già dovuto far cenno all'inizio di questa

sentenza, che ha trovato ampia diffusione negli ultimi decenni e che va

sotto il nome di in house providing. 4.1. La direttiva 2006/123/Ce, relativa

ai servizi nel mercato interno, lascia liberi gli Stati membri di decidere le

modalità organizzative della prestazione dei servizi d'interesse economico

generale (art. 1, par. 6). E' perciò certamente consentito che, in conformità

ai principi generali del diritto comunitario, gli enti pubblici scelgano se

espletare tali servizi direttamente o tramite terzi e che, in quest'ultimo caso,

individuino diverse possibili forme di esternalizzazione, ivi compreso il

l'affidamento a società partecipate dall'ente pubblico medesimo. In tale

ambito, peraltro, si possono dare ipotesi ben distinte: l'affidamento a

società totalmente estranee alla pubblica amministrazione, l'affidamento a

società con azionariato misto, in parte pubblico ed in parte privato, ed

infine l'affidamento a società c.d. in house. Solo in quest'ultimo caso la

Corte di Giustizia Europea (sin dalla nota sentenza Teckal del 18 novembre

1999, n. 107/98) ha escluso la necessità del preventivo ricorso a procedure

di evidenza pubblica, muovendo dal presupposto che non sussistono

esigenze di tutela della concorrenza quando la società affidataria sia

interamente partecipata dall'ente pubblico, eserciti in favore del medesimo

la parte più importante della propria attività e sia soggetta al suo controllo

in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico dell'ente

sui propri stessi uffici. Siffatte indicazioni sono state pienamente recepite,

in ambito nazionale, sia dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (si

vedano tra le tante, a mero titolo d'esempio, le pronunce n. 7636/04,

962/06, 1513/07, 2765/09, 5808/09, 7092/10 ed 1447/11), sia da ultimo

dalla Corte dei conti (si veda la sentenza n. 546/13). Anche queste stesse

sezioni unite hanno avuto occasione, sia pur fuggevolmente, di farvi

recentemente riferimento (si vedano le ordinanze del 5 aprile 2013, n.

8352, e del 3 maggio 2013, n. 10299) se ne è occupata più volte, infine, la

Corte costituzionale (da ultimo nella sentenza 20 marzo 2013, n. 46, sulla

quale si dovrà poi brevemente tornare).

Pur trattandosi all'origine di una figura di stampo eminentemente

giurisprudenziale, la società in house non ha tardato ad acquisire

cittadinanza anche nella legislazione nazionale. Se ne trova menzione in

molteplici sparse disposizioni normative, talvolta con mero richiamo alle

caratteristiche richieste dalla citata giurisprudenza Europea, altre volte con

più specifica indicazione dei requisiti occorrenti perchè tale figura ricorra.

Particolare risalto assume, in questo contesto, il disposto dell'art. 113,

comma 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti a locali

(D.Lgs. n. 267 del 2000), come riformulato dal D.L. 30 settembre 2003, n.

269, art. 14, (convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n.

326), che, in presenza di determinate condizioni, consente espressamente

l'affidamento di servizi pubblici, anzichè ad imprese terze da individuare

mediante procedure di evidenza pubblica, a società di capitali costituite per

quello scopo e partecipate totalitariamente da soci pubblici, purchè esse

realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli

enti che le controllano e purchè questi ultimi esercitino sulla società un

controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. E' dunque

possibile considerare ormai ben delineati nell'ordinamento i connotati

qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di

pubblici servizi e definita dai tre requisiti già più volte ricordati: la natura

esclusivamente pubblica dei soci, l'esercizio dell'attività in prevalenza

a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente

a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Ma s'intende che, per

poter parlare di società in house, è necessario che detti requisiti sussistano

tutti contemporaneamente e che tutti trovino il loro fondamento in precise

e non derogabili disposizioni dello statuto sociale.

4.2. Poche brevi osservazioni paiono ancora opportune per meglio

puntualizzare le tre caratteristiche salienti della società in house. In

ordine alla prima di esse giova ricordare come già la giurisprudenza

Europea abbia ammesso la possibilità che il capitale sociale faccia capo ad

una pluralità di soci, purchè si tratti sempre di enti pubblici (si vedano le

sentenze della Corte di giustizia 10 settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13

novembre 2008, n. 324/07, Coditel Brabant), e come nel medesimo senso si

sia espresso, del tutto persuasivamente, anche il Consiglio di Stato (si

vedano, tre le altre, le pronunce n. 7092/10 ed 8970/09). E' quasi superfluo

aggiungere che occorrerà pur sempre, comunque, che lo statuto inibisca in

modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni

societarie di cui gli enti pubblici siano titolari.

Il requisito della prevalente destinazione dell'attività in favore dell'ente o

degli enti partecipanti alla società, pur presentando innegabilmente un

qualche margine di elasticità, postula in ogni caso che l'attività accessoria

non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale

concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi. Ma, come

puntualizzato da Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 439 (anche sulla scorta

della giurisprudenza comunitaria: si veda, in particolare, la sentenza della

Corte di Giustizia 11 maggio 2006, n. 340/04, Carbotermo), non si tratta di

una valutazione solamente di tipo quantitativo, da operare con riguardo

esclusivo al fatturato ed alle risorse economiche impiegate, dovendosi

invece tener conto anche di profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo

in cui l'attività accessoria eventualmente si ponga. In definitiva - e

segnatamente per quel che interessa ciò che si andrà a dire in ordine alla

reale natura delle società in house ai fini del riparto di giurisdizione - quel

che soprattutto importa è che l'eventuale attività accessoria, oltre ad essere

marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla

prestazione del servizio d'interesse economico generale svolto dalla società

in via principale. Quanto infine al requisito del cosiddetto controllo

analogo, quel che rileva è che l'ente pubblico partecipante abbia

statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative

della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a

trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica.

L'espressione "controllo" non allude perciò, in questo caso, all'influenza

dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è

di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso,

sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando

direttamente esercitato sulla gestione dell'ente con modalità e con

un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente

spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal

codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata

nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (si vedano, in tal senso,

le chiare indicazioni di Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1, e della

conforme giurisprudenza amministrativa che ne è seguita). 4.3. Le

caratteristiche ora sommariamente descritte - e soprattutto la terza - bastano a

rendere evidente l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama

del diritto societario.

E' già anomalia non piccola il fatto che si abbia qui a che fare con società di

capitali non destinate (se non in via del tutto marginale e strumentale) allo

svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro, così da dover operare

necessariamente al di fuori del mercato. Forse entro certi limiti una siffatta

anomalia la si potrebbe ancora giustificare, in un contesto storico nel quale

la causa lucrativa delle società di capitali è andata via via sbiadendosi in

favore di una concezione che vede in quelle società dei modelli

organizzativi utilizzabili per scopi diversi. Ma ciò che davvero è difficile

conciliare con la configurazione della società di capitali, intesa quale

persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e

per il cui tramite essa stessa agisce, è la totale assenza di un potere

decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi

organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione

sociale.

Si potrebbe obiettare che il fenomeno della eterodirezione di società non è

certo sconosciuto al diritto societario, e che anzi, dopo la riforma attuata

col D.Lgs. n. 6 del 2003, esso ha trovato esplicito riconoscimento nell'art.

2497 c.c. e segg.. Ma non è la stessa cosa. Nei gruppi societari il potere di

direzione e coordinamento spettante all'ente capogruppo attiene

all'individuazione delle linee strategiche dell'attività d'impresa senza mai

annullare del tutto l'autonomia gestionale della società controllata. Gli

amministratori di quest'ultima sono perciò tenuti ad adeguarsi alle direttive

loro impartite, ma conservano nondimeno una propria sfera di autonomia

decisionale (giacchè, pur con gli adattamenti resi necessari dall'esser parte

di un gruppo imprenditoriale più vasto, continua ad applicarsi alla singola

società il disposto dell'art. 2380 bis c.c., comma 1) nè, soprattutto, essi

possono prescindere dal valutare se ed in qual misura quelle direttive

eventualmente comprimano in modo indebito l'interesse della stessa società

controllata: interesse di cui sono garanti ed in virtù del quale hanno il

dovere, se del caso, di discostarsi da direttive illegittime. La disciplina della

direzione e del coordinamento dettata dai citato art. 2497 e segg., insomma,

è volta a coniugare l'unitarietà imprenditoriale della grande impresa con la

perdurante autonomia giuridica delle singole società agglomerate nel

gruppo, che restano comunque entità giuridiche e centri d'interesse distinti

l'una dalle altre. Altrettanto non sembra potersi dire invece per la società in

house, sia per la già ricordata subordinazione dei suoi gestori all'ente

pubblico partecipante, nel quadro di un rapporto gerarchico che non lascia

spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso, sia

per l'impossibilità stessa d'individuare nella società un centro d'interessi

davvero distinto rispetto all'ente pubblico che la ha costituita e per il quale

essa opera. Allo stesso modo, ove si abbia a che fare con una società a

responsabilità limitata, non sembra possibile ricondurre sic et simpliciter

il "controllo analogo", caratteristico del fenomeno dell'in house, ad uno dei

"particolari diritti riguardanti l'amministrazione" che l'atto costitutivo può

riservare ad un socio (art. 2468 c.c., comma 3): giacchè neppure siffatti

diritti speciali di amministrazione sono equiparabili, in presenza di un

amministratore non socio, ad un rapporto di natura gerarchica da cui

quest'ultimo sia vincolato, restando comunque intatto il suo primario dovere

di perseguire l'interesse sociale, che conserva pur sempre un qualche grado di

autonomia rispetto a quello personale del socio.

La società in house, come in qualche modo già la sua stessa denominazione

denuncia, non pare invece in grado di collocarsi come un'entità posta al di

fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria

articolazione interna. E' stato osservato, infatti, che essa non è altro che una

longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento

pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di

configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 46/13,

cit.); di talchè "l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto

all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi

propri dell'amministrazione stessa" (così Cons. Stato, Ad. plen., n.

1/08, cit.). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è

dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non

si realizza più in termini di alterità soggettiva. L'uso del vocabolo

società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più

specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va

desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa

come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro

decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non

è più possibile parlare. 5. Alla luce di quanto fin qui detto si comprende

bene come le conclusioni cui questa corte è pervenuta nell'individuare i

limiti della giurisdizione del giudice contabile nelle cause riguardanti la

responsabilità degli organi di società a partecipazione pubblica non

possano valere, tal quali le si è esposte nei paragrafi 2 e 3 della presente

sentenza, anche quando si tratti di società in house. Non possono valere

perchè - ciò sia detto quanto meno ai limitati fini del riparto di giurisdizione

- queste ultime hanno della società solo la forma esteriore ma, come s'è

visto, costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica

amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa

esterni e da essa autonomi.

Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli

gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono

essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori

delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero

munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la

medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad

un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi

che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto

di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai

servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. L'analogia tra le due

situazioni, che si è visto essere una delle caratteristiche salienti del

fenomeno dell'in house, non giustificherebbe una conclusione diversa nei

due casi, nè quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di

relativa giurisdizione. D'altro canto, se non risulta possibile configurare

un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house

che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il

patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di

separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Dal che discende

che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio della

società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito

un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è

arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile

all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione

alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di

responsabilità.

6. Il ricorso deve quindi esser accolto, in base al principio di diritto qui di

seguito enunciato: "La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di

responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte

quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi

sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per

tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per

l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser

soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore

degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme

di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri

uffici". (Omissis) P.Q.M. La corte accoglie il ricorso e cassa l'impugnata

sentenza, dichiarando che la Corte dei conti ha giurisdizione sulla

presente causa, che rinvia alla medesima Corte dei conti. Così deciso

in Roma, il 8 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2013

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. UNITE (ORDINANZA), 12 FEBBRAIO 2014, N.

3201 (Z.C., O.M., CONTRO PROCURATORE REGIONALE RAPPRESENTANTE

IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA

CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE SEDE TRENTO

E ALTRI)

(Omissis) che: - a partire dalla sentenza n. 26806 del 2009, alla quale

anche la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni (si

vedano, ad esempio, Sez. un. 10299/13, 8352/13, 7374/13, 20940/11,

20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10), questa corte

è ferma nell'affermare che, in via generale, spetta al giudice

ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni

subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte

illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso

configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della

società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico

titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o

ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei

conti; - la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento del

danno cagionato a società partecipate da enti pubblici è stata ravvisata solo in

casi affatto particolari, quale quello della Rai Radio Televisione Italiana spa,

in considerazione delle speciali regole di fonte legale cui è assoggettato il suo

statuto, così da farne sostanzialmente un ente pubblico;

189

- tale orientamento giurisprudenziale è stato ancor di recente ribadito nella

sentenza n. 26283 del 2013, che tuttavia ha individuato un'altra particolare

situazione in cui la giurisdizione della Corte dei conti può esplicarsi in

presenza della denuncia di un danno arrecato al patrimonio di una società a

partecipazione pubblica dagli organi della stessa: quando la relativa azione

sia diretta a far valere la responsabilità di chi impersona tali organi (o

eventualmente di dipendenti) per il pregiudizio cagionato ad una società in

house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti

pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente siffatti enti

possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività

prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto

assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti

pubblici sui propri uffici; - alla stregua di tale orientamento

giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano qui motivi per discostarsi,

deve escludersi che nel presente caso sussista la giurisdizione del giudice

contabile; - infatti la Autostrade del Brennero s.p.a. nè è retta da una

qualche disciplina legale che la collochi su di un piano significativamente

diverso da quello di altre società a partecipazione pubblica cui siano stati

affidati in concessione pubblici servizi, nè presenta le caratteristiche della

società in house, quali sopra sinteticamente indicate;

- non si ravvisa, in particolare, una previsione statutaria che escluda il

concorso dell'azionariato privato (essendo anzi pacifico che una quota del

capitale sociale è di fatto in mano a soci privati), nè l'obbligo di esplicare la

propria attività prevalentemente in favore degli enti pubblici ad essa

partecipanti, e neppure è documentata la sottoposizione degli organi

amministrativi della società a quella forma di rapporto gerarchico, rispetto

190191

agli enti pubblici partecipanti, che configura il requisito del cosiddetto

"controllo analogo"; P.Q.M. La corte, pronunciando sui ricorsi, dichiara

che la Corte dei conti non ha giurisdizione nella vertenza di cui trattasi.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2014

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. UNITE, 10 MARZO 2014, N. 5491 (C.F. CONTRO

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI)

(Omissis) Motivi

della decisione

(Omissis)

Sul tema della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori

ed organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici queste

Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato il principio secondo cui

"spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di

risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per

effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non

essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità

giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente

pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato

allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della

Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando

l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale

rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di

decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri

diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione,

ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da

compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente

pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante

l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo

patrimonio" (v. Cass. S.U. 19-12-2009 n. 26806, nonchè Cass. S.U.

192

519/2010, 4309/2010, 14655/2011, 20940/2011, 20941/2011, 7374/2013,

10299/2013, 20075/2013). Tale orientamento, fondato sul ruolo centrale

della distinzione tra società di capitali (soggetto di diritto privato) ed i

propri soci (ancorchè eventualmente pubblici) - distinzione che non

viene meno neppure nell'eventualità in cui la società sia unipersonale -, è

stato tenuto fermo da queste Sezioni Unite, anche alla luce della

normativa sopravvenuta in materia di società a partecipazione pubblica, la

quale, per il suo carattere spesso frammentario e contingente, non assume

le caratteristiche di un sistema conchiuso ed sè stante, ma appare come un

insieme di deroghe alla disciplina generale.

Proprio partendo da tale quadro, queste Sezioni Unite hanno da ultimo

evidenziato la necessità di una ulteriore riflessione con riferimento

all'ipotesi in cui ci si trovi in presenza di quel particolare fenomeno

giuridico che va sotto il nome di "in house providing", e, sulla base della

direttiva 2006/123/CE e delle indicazioni della Corte di Giustizia Europea

recepite in ambito nazionale (v., fra l'altro, Corte Cost. n. 46/2013, Cass.

S.U. n. 8352/2013 e n. 10299/2013), hanno affermato il principio in base al

quale "la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità

esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione

sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da

essi cagionati al patrimonio di una società "in house", così dovendosi

intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di

pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci,

che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli

enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di

193194195196197198199

controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici"

(v. Cass. S.U. 25-11-2013 n. 26283). Tali requisiti, come è stato

precisato, devono sussistere tutti contemporaneamente e devono tutti

trovare il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello

statuto sociale. In particolare, sul primo requisito è stato chiarito che è

possibile che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purchè

si tratti sempre di enti pubblici, e che occorre pur sempre, comunque,

che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a

privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano

titolari. Sul secondo requisito è stato precisato, poi, che la prevalente

destinazione dell'attività in favore dell'ente o degli enti partecipanti alla

società, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità,

postula in ogni caso che l'attività accessoria non sia tale da implicare una

significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul

mercato di beni o servizi. In tal senso, dovendo aversi riguardo non soltanto

ai profili quantitativi, ma anche a quelli qualitativi e della prospettiva di

sviluppo in cui l'attività accessoria eventualmente si ponga, "quel che

soprattutto importa è che l'eventuale attività accessoria, oltre ad essere

marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla

prestazione del servizio d'interesse economico generale svolto dalla

società in via principale".

Infine, con riguardo al "controllo analogo" è stato chiarito che lo stesso

consiste in un "potere di comando direttamente esercitato sulla gestione

dell'ente con modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle

facoltà che normalmente spettano al socio in base alle regole dettate dal

codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata

nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale". Nella ricorrenza,

quindi, di tutti e tre i detti requisiti, non risultando possibile configurare

un "rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house

che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il

patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di

separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità", con la conseguente

configurabilità di un danno erariale che giustifica l'attribuzione alla

Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità (v.

Cass. S.U. n. 26283/2013 in motivazione). In tale quadro, come sopra

delineato, occorre, quindi, verificare nella fattispecie in esame, la

sussistenza o meno dei detti requisiti alla luce dello statuto sociale in atti

(allegato al verbale di assemblea del 29-6-2004). Nel detto quadro non

assume, infatti, rilevanza decisiva al riguardo il carattere non

unipersonale della società (peraltro l'ACSA CE/3, effettivamente, in

quanto derivante dalla trasformazione in s.p.a., ai sensi della L. n. 448 del

2001, del relativo Consorzio di Bacino CE/3, ha il proprio capitale

sociale ripartito tra i ventitrè comuni del detto Bacino) e nel medesimo

quadro generale deve essere letta anche la disposizione della L. n. 31 del

2008, art. 16 bis, "la quale ha introdotto per le società quotate un'eccezione

alla giurisdizione contabile, da riferire, appunto, alla sola area in cui detta

giurisdizione risulterebbe altrimenti applicabile" (così Cass. S.U.

26283/2013 cit).

In tali sensi risultano, quindi, fondati il primo e il secondo motivo, così

come del pari fondato risulta il terzo motivo, atteso che, nello stesso

quadro, il perseguimento di finalità pubbliche da parte della società per

azioni non è da solo sufficiente a configurare la sussistenza della

giurisdizione della Corte dei conti. Parimenti, sempre nel medesimo

quadro, non possono assumere rilevanza decisiva, al fine che qui interessa,

le nozioni di pubblica amministrazione (dettate ad altri fini) contenute nel

Codice del processo amministrativo e nel Testo unico sul pubblico

impiego e neppure quella di "organismo di diritto pubblico", rilevando

questa "solo sul piano della disciplina di derivazione comunitaria in

materia di aggiudicazione degli appalti ad evidenza pubblica" (v. fra le

altre Cass. S.U. 9-3-2012 n. 3692). In tali sensi vanno quindi accolti anche

il quarto e il quinto motivo, mentre parimenti fondato risulta il sesto

motivo, essendo evidente che nella controversia in esame (caratterizzata

dall'asserito danno erariale causato dal C. nel periodo di svolgimento

dell'incarico di Direttore Generale dal 20-7- 2004 al 25-9- 2006) la

circostanza che la società ACSA CE/3, successivamente, in base al

D.L. n. 90 del 2008, conv. con L. n. 123 del 2008, è stata incorporata nel

Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta, non può

assumere rilevanza ai fini della giurisdizione. Come è stato più volte

affermato da queste Sezioni Unite, infatti, per accertare la sussistenza o

meno della giurisdizione della Corte dei conti occorre verificare la

sussistenza del relativo presupposto con riferimento al momento della

causazione del danno erariale, a nulla rilevando che, per successivi

mutamenti normativi, l'ente danneggiato abbia mutato natura (v. Cass. S.U.

16-11-2000 n. 1180, Cass. S.U. 22-12-2003 n. 19662, Cass. S.U. 7-7-2011

n. 14957).

Orbene, con riferimento alla situazione all'epoca e allo Statuto approvato,

allegato al verbale di assemblea del 29-6-2004, nella fattispecie certamente

ricorre il requisito della attività statutaria prevalente in favore degli enti

partecipanti (v. art. 3 "Oggetto": "La società ha per oggetto, in generale, le

gestioni ambientali, l'organizzazione e la gestione dei servizi pubblici di

igiene urbana etc..."), mentre lo stesso non può dirsi per quanto riguarda gli

altri due requisiti. In particolare il "funzionamento della società" è

regolato (vedi delibera citata) "compiutamente dalla nuova normativa"

introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, e "per quanto essa è derogabile" dalle

norme dello statuto. Quest'ultimo all'art. 1 ("Denominazione") stabilisce che

"ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 35, comma 8, il Consorzio "A.C.S.A.

CE/3 - Azienda Consortile Servizi Ambientali Bacino di Utenza Caserta 3"

istituito ai sensi della L.R. n. 10 del 1993, art. 6, e della L. n. 142 del

1990, art. 25, è trasformato nella Società per Azioni, a totale capitale

pubblico, denominata: "Consorzio Obbligatorio Intercomunale CE/3 -

A.C.S.A. s.p.a. Azienda Consortile Servizi Ambientali". La L. n. 448

del 2001, art. 35, comma 8, dispone la trasformazione delle aziende

speciali e dei consorzi di cui all'art. 31, comma 8, del testo unico di cui al

D.Lgs. n. 267 del 2000, che gestiscono i servizi di cui all'art. 113, comma

1, del medesimo testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente

articolo, in società di capitali, ai sensi dell'art. 115 del citato testo unico (le

cui disposizioni dei commi da 1 a 7 sono applicabili anche alla

trasformazione dei consorzi, v. comma 7 bis introdotto dalla L. n. 448 del

2001 cit., art. 35, comma 12). In particolare lo Statuto, stabilisce le

regole di funzionamento della società e degli organi societari e, tra l'altro:

all'art. 6 ("Capitale e azioni") prevede che "Le azioni sono nominative, non

possono emettersi per una somma inferiore al valore nominale, sono

indivisibili e non possono essere cedute, nell'immanenza della L.R. n. 10

del 1993"; all'art. 8 ("Obbligazioni") stabilisce che "La società può

emettere prestiti obbligazionari convertibili e non convertibili, demandando

all'assemblea la fissazione di collocamento, estinzione e conversione";

all'art. 11 ("Recesso") prevede che "Gli amministratori offrono in opzione

le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle

azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione

spetta anche ai possessori di queste in concorso con i soci, sulla base del

rapporto di cambio... Coloro che esercitano il diritto di opzione, purchè ne

facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle

azioni che siano rimaste inoptate. Le azioni inoptate possono essere

collocate dall'organo amministrativo anche presso terzi". E' evidente,

quindi, che, essendo prevista sia la possibilità di opzione da parte dei

titolari di obbligazioni convertibili e sia la collocabilità presso "terzi" di

azioni inoptate, nella fattispecie non può affermarsi che ricorra il requisito

della esclusività assoluta della partecipazione societaria da parte di soli

enti pubblici. Nel contempo neppure ricorre nel caso in esame il requisito

del "controllo analogo", non essendo previsto nello statuto alcun controllo

ulteriore (e tanto meno alcun comando diretto sulla gestione della

società) da parte degli enti pubblici, al di fuori dei normali diritti e poteri

spettanti ai soci in base alle regole del codice civile. Non può quindi

parlarsi nella fattispecie di società in house e neppure può configurarsi la

giurisdizione della Corte dei conti. Il ricorso va pertanto accolto e

l'impugnata sentenza va cassata dichiarandosi il difetto di giurisdizione

del giudice contabile.

(Omissis) P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza

impugnata e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice contabile.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2014