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FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO SPOLETO 2016 GLI SPAZI DELLA VITA COMUNITARIAA Atti del Convegno internazionale di studio Roma - Subiaco, 8-10 giugno 2015 a cura di LETIZIA ERMINI P ANI

Refettori e refezione nei monasteri altomedievali: uno sguardo attraverso l'archeologia e le fonti scritte

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FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDISULL’ALTO MEDIOEVO

SPOLETO

2016

GLI SPAZIDELLA VITA COMUNITARIAA

Atti del Convegno internazionale di studio

Roma - Subiaco, 8-10 giugno 2015

a cura di

LETIZIA ERMINI PANI

INDICE

MAURO MEACCI, Presentazione .........................................

Programma del Convegno internazionale .....................

PETER ERHART, La pianta di San Gallo: un archivio di spazimonastici .....................................................................

COSIMO DAMIANO FONSECA,Dal“Capitolo” all’“Aula Capi-tolare” .......................................................................

ROBERTA CERONE,« Regula in capitulo pronunciata fuerit ». Lasala capitolare nei monasteri medievali (secc. IX-XIII) .........

FRANCESCA COCCHINI, La preghiera dei cristiani nei più anti-chi itinerari di spiritualità monastica .................................

RAFFAELE SAVIGNI,Preghiera e spazio monastico in Occidente daSan Benedetto a Cluny (secc.VI-X) ..................................

LUIGI CARLO SCHIAVI, Osservazioni sullo spazio presbiterialee l’arredo liturgico nell’architettura monastica dell’Italia set-tentrionale tra l’altomedioevo e la prima età romanica .........

ALBAMARIA ORSELLI,La frontiera del chiostro ........................

CHIARA CARLONI, Il chiostro come punto di passaggio ...............

LUCHINA BRANCIANI, Il Sacro Speco di San Benedetto dall’alto-medioevo all’età moderna.Una ricostruzione storico-archeolo-gica degli spazi della preghiera e della vita comunitaria............

MARIALUISA ZEGRETTI,Considerazioni sugli spazi comuni delmonastero della chiesa di San Pancrazio sulla via Aureliaa Roma ....................................................................

pag. VII

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» 51

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» 289

INIZIALI :Layout 1 11-06-2016 10:28 Pagina V

INDICEVI

GABRIELE ARCHETTI, I monaci a tavola: norme e consuetudinialimentari ....................................................................

FEDERICO MARAZZI, Refettori e refezione nei monasteri alto-medievali: uno sguardo attraverso l’archeologia e le fontiscritte ..........................................................................

IRENE FIORELLO, La dieta dei monaci a San Severo in Classe ....

MARINA FALLA CASTELFRANCHI, I programmi iconografici dei re-fettori medievali. Nota preliminare ....................................

CAMILLE ROUXPETEL, Subiaco a l’epreuve du Grand Schisme: lamainmise espagnole sur le Sacro Speco (1378-1401) ..........

UMBERTO LONGO, Il monachesimo e la liturgia funeraria ..........

ELEONORA DESTEFANIS, Spazi funerari nei monasteri: fonti scrit-te, evidenze archeologiche, problemi di metodo ....................

PAOLA GUERRINI, Note di epigrafia monastica funeraria ............

PIO FRANCESCO PISTILLI, Di chiostro in chiostro. Tipologia e suedeclinazioni dalle origini alla forma monastica cistercense ......

APPENDICE

CARLO CITTER, Teoria e pratica del lavoro nel monachesimoaltomedievale. A proposito del quarto volume De re mo-nastica .....................................................................

pag. 305

» 329

» 371

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Nell’estate del 1032 la vita regolare del monastero di Montecassi-no appariva profondamente sconvolta dalle violente intromissioniche vi aveva compiuto il principe di Capua, Pandolfo IV. Qualchemese prima, in aprile, egli aveva attratto nella città campana l’abateTeobaldo con la scusa di volergli offrire protezione dai pericoli cau-sati dal conflitto in corso con i Napoletani, al servizio dei quali era-no venute le milizie del normanno Rainulfo Drengot, appena no-minato dal duca partenopeo conte di Aversa.In realtà, non appena giunto a Capua, l’abate fu di fatto posto sot-

to custodia e messo in condizione di non poter tornare a Montecas-sino. L’obbiettivo del principe era quello di mettere l’abbazia sotto ilproprio controllo, al fine di disporre liberamente del suo patrimonioe delle sue terre e ottenere il duplice risultato di ampliare la sua sfe-ra d’influenza e incrementare le risorse necessarie a sostenere i pro-pri sforzi belliciUna volta esautoratoTeobaldo, Pandolfo prese allora ad avvalersi

dei servigi di un tale Basilio, un calabrese che Leone di Ostia descri-ve come « saeculari ingenio vehemens » e che qualche tempo primaera stato posto dallo stesso abate a capo dell’importante cella di SanBenedetto che Montecassino possedeva in Capua ormai da un seco-lo circa. Solo qualche anno dopo, questo personaggio sarebbe statoimposto a forza da Pandolfo come abate del cenobio cassinese, esau-torando definitivamenteTeobaldo.In questa sorta di interregno, priva della guida di un abate nel pie-

FEDERICO MARAZZI

REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERIALTOMEDIEVALI: UNO SGUARDO ATTRAVERSO

L’ARCHEOLOGIA E LE FONTI SCRITTE

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no delle sue capacità operative, la comunità cassinese piombò benpresto nel caos, lasciata alla mercé di un altro personaggio, un certoTodino che, oltre a permettere che i militi al servizio di Pandolfospadroneggiassero nelle terre dell’abbazia, prese a vessare i monaci inmille modi. Fra i vari soprusi compiuti daTodino, ve ne fu uno cheLeone di Ostia considerò particolarmente grave e degno perciò di es-sere ricordato, in quanto esempio massimo dello stato di sovversio-ne in cui versava in quel momento la vita consacrata. L’usurpatoreaveva infatti disposto che, durante l’ora dei pasti comunitari, « ad al-cuni ignobilissimi laici appartenenti alla familia del monastero fosseconsentito entrare nel refettorio – ove nessuno di loro sin allora ave-va mai osato introdursi – per recarvi il pane ed il vino ».Questo scan-dalo, iniziato intorno al Ferragosto del 1032, durò per diversi giorni,sino a che il monaco Leone, custode della maior ecclesia, « entrato ungiorno nel refettorio e trovandovi i servi in atto di eseguire il sud-detto ministerium, acceso di zelo religioso, li cacciò fuori con grandescorno e rivolgendosi ai propri confratelli, disse loro:“Fino a quan-do dovremo rimanere sottoposti ad un tale obbrobrio nei confrontidel nostro ordine e soggiacere ad un così iniquo ed empio dominiodei nostri servi?” » 1.L’episodio, nella vibrante autenticità della sua descrizione, appare

del massimo interesse poiché chiarisce senza ombra di dubbi qualefosse la “qualità” dello spazio del refettorio.Al pari della chiesa in cuii monaci si riunivano per la preghiera quotidiana - e che non do-vremmo mai commettere l’errore di considerare di natura pari aglispazi ecclesiali secolari – esso era il luogo per eccellenza dell’incon-tro comunitario. Analogamente a quest’ultima, perciò, la sua fre-quentazione era sottoposta a norme rigorose riguardo la possibilitàche potessero accedervi individui che della comunità non facesseroparte.La sua destinazione ad un’attività così decisamente “corporale”

quale quella del consumo dei pasti non deve quindi lasciar pensareche la sua sacralità fosse meno evidente e percepita fra i monaci.

FEDERICO MARAZZI

1. Leo Marsicanus, Chronica Monasterii Casinensis (ed. H. Hoffmann Die Chronik vonMontecassino, in M.G.H., Scriptores,XXXIV, Hannover 1984), II, 56-57.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

Le ragioni che giustificavano tale particolare qualità dello spaziodel refettorio sono piuttosto chiare: ritrovandosi quotidianamentenel suo insieme, la comunità si riconosceva reciprocamente ed i suoimembri, occupati nel resto della giornata nell’espletazione delle piùdiverse mansioni, avevano modo di vedersi fra loro e di essere visti dachi aveva la responsabilità di sovrintendere all’organizzazione ed alcontrollo della loro esistenza.Ma esso era anche un luogo di preghiera e di meditazione poiché,

già a partire dai più antichi testi normativi di cui disponiamo (siaorientali, sia occidentali), è ben precisato che i momenti del pastocollettivo erano consacrati all’ascolto silenzioso di testi sacri recitatia turno da uno dei confratelli.Infine, è la stessa natura del pasto monastico, le cui pietanze era-

no selezionate all’interno di categorie di cibi ammessi o proibiti, a di-stinguere chi fosse monaco da chi non lo era, caratterizzandone lo sti-le di vita in modi di cui l’alimentazione costituiva uno dei tratti di-stintivi più evidenti 2.Già da queste considerazioni preliminari, appare chiaro perché

l’accesso a tale ambiente non potesse essere consentito indiscrimina-tamente a chiunque e che esso fosse schermato da quel velo di di-screzione che si desiderava ammantasse buona parte dei luoghi in cuisi dipanavano le ore dei monaci. Come ricorda la Regula Magistri, laseparazione fisica fra coloro che seguivano una vita regolare e colo-ro che erano estranei ad essa, era necessaria in virtù del fatto che leprescrizioni a cui i primi dovevano attenersi potevano risultare in-comprensibili ai secondi, suscitando in questi ultimi sospetto, se nonaddirittura scherno 3.Lo stesso concetto viene ripetuto, con parole ancora più nette, da

Isidoro di Siviglia, nella sua Regula, scritta all’inizio delVII secolo.Alcapitolo 9 viene infatti specificato che « alla mensa dei monaci nonpartecipino servitori laici, poiché alla mensa comune non vi può es-

2. Il tema è stato esaminato nel suo insieme, guardando alle tradizioni sia dell’Orientesia dell’Occidente cristiano, in A. JOTISCHKY,A Hermit’s Cookbook: Monks, Food and Fastingin the Middle Ages, London, 2011.

3. Magister (auctor incertus cognomento Magister), Regula ad monachos (La Règle duMaître, a cura di A. DEVOGÜÉ, 3 voll., Paris, 1964-1965 [Sources Chrétiennes, 105-107]),XXXIV, 20-21.

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sere posto per coloro che praticano una diversa forma di vita ».Talepensiero peraltro riecheggia perfettamente la posizione assunta dalmonaco Leone e ci lascia comprendere il perché del suo atteggia-mento scandalizzato di fronte a quanto aveva visto accadere nel re-fettorio di Montecassino.Ma Isidoro precisa ulteriormente la sua po-sizione affermando, in apertura dello stesso capitolo, che al momen-to del consumo dei pasti le porte del monastero avrebbero dovuto es-sere chiuse e che « nessun estraneo avrebbe dovuto pretendere di es-servi presente, affinché la sua presenza non ostacolasse la quiete del-la vita fraterna » 4.Il senso di queste cautele si comprende meglio considerando l’at-

tenzione che quasi ogni Regola dedica all’esigenza che il pasto ven-ga sempre consumato in comune da tutti e nello stesso luogo e chenessuno prenda cibi diversi da quelli che sono proposti ai confratel-li o si nutra di nascosto da loro e dal capo della comunità. Questoprecetto lo troviamo già espresso chiaramente in Pacomio ed è ri-confermato anche da Palladio nella Storia Lausiaca come un costu-me effettivamente vigente nelle comunità che il grande padre egizioaveva fondato lungo la valle del Nilo 5.Riguardo l’appartenenza del refettorio all’ambito più riservato

della vita di una comunità monastica, i dati archeologici conferma-no in modo assolutamente puntuale le prese di posizione dei testinormativi.Esaminando il cospicuo dossier relativo ai più antichi monasteri

orientali (cospicuo soprattutto se paragonato alla scarsità di dati re-lativi all’Occidente nello stesso periodo), si nota come, pur nella fles-sibilità delle soluzioni planimetriche adottate nei singoli casi e dellevariabili dimensioni dei diversi insediamenti, il posizionamento delrefettorio all’interno dei complessi monastici risponda in genere adue criteri principali: la sua prossimità con l’aula della preghiera e,

FEDERICO MARAZZI

4. Isidorus episcopus Hispalensis, Regula monachorum (Regola di Isidoro, in Regole mona-stiche d’Occidente, a cura di E. BIANCHI,Torino, 2001, pp. 305-336), 9, 1.

5. Pachomius, Præcepta et Instituta (Pachomian Koinonia, a cira di A.VEILLEUX, II, Pacho-mian Chronicles and Rules, Kalamazoo, 1981 (Cistercian Studies Series, 46), pp. 141-196), 28-41; Palladius “Latinus”,Historiæ Lausiacæ versio Latina (Palladio,La storia lausiaca, a cura di C.MOHRMANN, testo critico e commento di G.J.M. BARTELINK, Milano, 1974 [FondazioneLorenzoValla – Scrittori greci e latini]), 32.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

conseguenza del primo fattore, il suo posizionamento nell’area me-no direttamente in contatto con gli accessi al monastero.La stretta connessione fra la centralità dell’adunanza della comu-

nità nella refezione e nella preghiera si materializza nel caso, del tut-to particolare, dato il tipo di ascesi semi-comunitaria che in questocontesto si praticava, del Kellion n. 39 del sito di Qouçour el-Izelia,nel Basso Egitto. In questa circostanza, infatti, lo spazio dell’agapecomunitaria non era altro che la stessa aula dell’oratorium, il cui uti-lizzo mutava una volta concluso il momento della preghiera 6 (Fig. 1).

Fig. 1 - Il sito di Qouçour el-Izelia n. 39, Basso Egitto (da Les Kellia).

6. Les Kellia, ermitages coptes en Basse-Egypte, a cura diY.MOTTIER-N. BOSSON, Genève,1989, pp. 47-55.

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L’altro elemento che si evidenzia, e che sembrerebbe quasi pleto-rico ricordare dato il carattere di ambiente collettivo che il refetto-rio riveste, è che esso appare in genere come il volume architettoni-co più importante, talora superiore per superficie e cubatura rispet-to alla chiesa stessa.Il concetto della centralità del pasto e dello spazio del refettorio,

ripetuto in modo pressoché costante in tutti i testi normativi serio-ri, si può dire venga riassunto in modo esemplare dalle parole di Co-lombano, la cui regola in certo senso suggella la lunga stagione “le-giferante” del monachesimo tardoantico e la apre definitivamente almedioevo. Egli afferma che cibo, lettura, preghiera e lavoro sono iquattro elementi che nutrono la giornata monastica, caratterizzando,con il rispetto della disciplina a ciascuno di essi riservata, la peculia-rità dell’esistenza intrapresa dall’asceta rispetto a quella di coloro chesono rimasti nel secolo 7. Con specifico riferimento al valore del-l’incontro della comunità nel suo insieme all’interno del refettoriodurante il pasto rimarrà valido, più o meno costantemente, il princi-pio dichiarato daAgostino alla fine del IV secolo, secondo cui quan-do il monaco mangia ascoltando la recitazione di testi sacri, non è so-lo la bocca a prendere il cibo, bensì anche le orecchie, che si sfama-no nutrendosi della parola di Dio 8.Se i testi delle diverse regole monastiche occidentali redatti fraV se-

colo e la prima metà delVII traAfrica, Spagna,Francia e Italia, si espri-mono per molti aspetti in modo omogeneo rispetto a come e quandodebba essere frequentato il refettorio e a come i monaci debbano com-portarsi soggiornando al suo interno, nondimeno non tutto quadra ecorrisponde al millimetro.Troviamo un consenso pressoché unanime suargomenti fondamentali come il rispetto della puntualità all’orario deipasti e del silenzio durante il loro svolgimento, dovuto all’obbligo del-l’ascolto delle letture e all’ossequio del principio per cui un pranzo mo-nastico non è un’occasione di socialità mondana.Consenso ampio vi èanche sulla proibizione al consumo di cibo al di fuori degli orari stabi-

FEDERICO MARAZZI

7. Columbanus abbas,Regula monachorum (Regola di Colombano ai monaci, in Regole mo-nastiche d’Occidente, a cura di E. BIANCHI,Torino, 2001, pp. 287-303), 5, 3.

8. Aurelius Augustinus, Præceptum (Regola di Agostino, in Regole monastiche d’Occidente, acura di E. BIANCHI,Torino, 2001, pp. 13-25), 3.2.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

liti (a meno di deroghe decise dall’abate per i malati e per i monaci in-caricati di compiti che impediscono loro di ottemperare a tali orari).Ma vi sono pure differenze, e non di poco conto, riguardo altre

questioni non del tutto secondarie.Ad esempio, troviamo variazioninel numero dei pasti giornalieri e nel modo in cui ci si debba avvi-cinare al cibo nei periodi in cui è previsto il digiuno; e vi sono an-che divergenze riguardo al fatto se l’abate debba sedere a mensa coni confratelli ovvero possa disporre di uno spazio apposito per consu-mare il proprio pasto, e sul se e come gli sia lecito ammettere ospitialla propria mensa o in quella comunitaria (anche se questa possibi-lità è prevista, in pochi casi, solo per monaci o altri ecclesiastici).Ov-viamente, all’uso del refettorio si collega direttamente il problemadella preparazione e del consumo del cibo ed anche in questo casotroviamo punti di vista non omogenei fra i diversi autori.Tornerò suquesto aspetto più avanti: basti per ora ricordare, per quanto tale con-siderazione appaia quasi superflua nella sua ovvietà, che il tema delconsumo del cibo all’interno del refettorio e del modo in cui essodebba essere proposto ai monaci appare spesso trattato in concomi-tanza con quello dell’uso delle cucine, della dispensa e del personaleche opera all’interno di tali spazi. In un solo caso che mi risulti – an-cora una volta quello della Regola di Isidoro, sotto questi aspetti lapiù circostanziata e loquace – viene tuttavia esplicitamente detto chetali spazi devono trovarsi in reciproca prossimità 9.Il rispetto del silenzio e l’obbligo dell’ascolto della Parola di Dio

durante il pasto sottolineano il valore del refettorio come luogo di me-ditazione quasi paragonabile all’oratorium vero e proprio.Com’è tutta-via stato recentemente posto in evidenza da un contributo di SofiaUggé, in un caso – quello del capitolo 38 della Regola di Benedetto –si accenna al fatto che, in occasione dei pasti comunitari, l’abate pote-va prendere la parola, eventualmente interponendosi al monaco letto-re, per fornire ai confratelli brevi comunicazioni “edificanti” 10.Que-

9. Isidorus episcopus Hispalensis, Regula monachorum (Regola di Isidoro, in Regole mona-stiche d’Occidente, a cura di E. BIANCHI,Torino, 2001, pp. 305-336), 1, 3.

10. S.UGGÉ,Lieux, espaces et topographie des monastères de l’Antiquité tardive et du haut Mo-yen Âge: réflexions à propos des règles monastiques, in Monastères et espace social. Genèse et tran-sformation d’un système de lieux dans l’Occident médiéval, a cura di M.LAUWERS,Turnhout, 2015(Collection d’Études Médiévales de Nice, 15), pp. 15-42, in part. p. 27.

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sta notazione ha suggerito all’autrice l’ipotesi – a mio avviso condi-visibile – che, in mancanza di un locale appositamente destinato al-le riunioni della comunità (quello che nel pieno Medioevo prende-rà il nome di sala capitolare 11), lo spazio del refettorio potesse esse-re anche utilizzato a tal fine.E, d’altra parte, un brano poco citato ma a mio avviso impor-

tantissimo della biografia di Benedetto inserita da Gregorio Magnonel II libro dei Dialogi, lo include chiaramente fra le componentistrategiche di cui un cenobio, secondo il pensiero dell’abate cassi-nese, doveva essere assolutamente dotato. Gregorio infatti c’infor-ma sul fatto che Benedetto aveva mandato due suoi fratelli aTerra-cina affinché costruissero un monastero su un terreno di proprietàdi un notabile locale, rispondendo così ad una richiesta di que-st’ultimo. « Mentre [i due monaci] si avviavano », prosegue il rac-conto di Gregorio, Benedetto « fece loro questa promessa:“andate, eil tale giorno io verrò e vi indicherò dove dovrete costruire il l’ora-torio, dove il refettorio, dove la foresteria e gli altri locali che sononecessari”. Quelli, ricevuta la benedizione, si diressero là e mentreattendevano con ansia il giorno stabilito, prepararono tutto ciò chegiudicarono necessario per quelli che sarebbero venuti accompa-gnando un padre tanto importante » 12.Questo passo, oltre costituire un elemento di cruciale rilevanza

all’interno del dibattito in corso da qualche tempo sul rapporto fratesti delle regole e criteri costruttivi dei monasteri, indica chiara-mente che refettorio e oratorio costituivano l’endiadi intorno allaquale si sviluppava la vita “privata” della comunità, alla quale si con-nette la menzione della foresteria, la cui presenza era indispensabilea far sì che potesse essere esercitata la carità dell’accoglienza, senzaturbare però la riservatezza della vita ascetica. La medesima centrali-tà del refettorio è ribadita nella narrazione degli esordi del monaste-

FEDERICO MARAZZI

11.H. STEIN-KECKS,Quellen zum “capitulum”, inWohn - undWirtschaftsbauten frühmitte-lalterlicher Klöster, a cura di H.R. SENNHAUSER,Zürich, 1996, pp. 219-232;M.UNTERMANN,Das “Mönchshaus in der früh-und hochmittelalterlichen Klosteranlage. Beobachtungen zu Lage undRaumaufteilung des Klausur Ostflügels, in ibid., pp. 233-258.

12. Gregorius I Magnus papa,Dialogorum de vita et miraculis patrum Italicorum libri quat-tuor (Gregorio Magno,Storie di santi e di diavoli, a cura di S.PRICOCO - M.SIMONETTI, 2 voll.,Milano, 2005 [Fondazione LorenzoValla - Scrittori greci e latini]), II, 22.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

ro di SanVincenzo alVolturno, secondo la versione dei fatti che ditali episodi è offerta dalla Constructio Monasterii Farfensis 13. La fonte èdi epoca molto posteriore agli eventi, datandosi alla fine del X seco-lo o agli inizi dell’XI, e tutta la storia del coinvolgimento da prota-gonista dell’abate di Farfa Tommaso di Morienne nella fondazionedel cenobio molisano è tuttora sub iudice. Nondimeno, è interessan-te accennare al fatto che molti degli elementi narrativi che essa ri-porta imbastiscono un racconto che offre spunti coerenti e credibilirispetto al contesto della fondazione dell’abbazia vulturnense de-scritta da Ambrogio Autperto nell’VIII secolo, il che suggerisce chevalga comunque la pena prenderla in considerazione 14.Nel passo in esame si narra del momento in cuiTommaso di Mo-

rienne licenziò i tre giovani fondatori da Farfa, invitandoli a intra-prendere il viaggio che li avrebbe portati a SanVincenzo. Il testo spe-cifica che « salutandoli con molte raccomandazioni, [l’abate] mostròloro in quale luogo avrebbero dovuto costruire il refettorio e il dor-mitorio e l’ostello per l’accoglienza e tutte quelle altre costruzioniche erano necessarie [al monastero] ».Ancora una volta, pur non fa-cendo menzione dell’edificio in cui i monaci si sarebbero dovuti riu-nire per pregare (ma forse perché a SanVincenzo esso avrebbe do-vuto già essere presente), non solo si fa riferimento ad un criterio pia-nificatore già in qualche modo chiaro per l’insieme del monastero,ma si esplicita la presenza di alcuni edifici come i più rilevanti per ilsuo ottimale funzionamento.Tra questi, troviamo di nuovo in primopiano il refettorio, stavolta accompagnato dal dormitorio – il terzo fragli spazi monastici pienamente comunitari – e, similmente al primocaso, dai locali per l’accoglienza dei visitatori.Il già ricordato capitolo 1 della Regola di Isidoro – l’unico fra i

testi di questo tipo che scenda in qualche dettaglio sulla morfologiaorganizzativa dell’insediamento immaginato come casa della (o del-le) comunità per cui era stato redatto – ricorda anch’esso il refetto-rio quale snodo centrale dello spazio monastico, enumerandolo in-

13.Constructio monasterii Farfensis (a cura di U. BALZANI, in Il Chronicon Farfense di Gre-gorio di Catino, a cura di U. BALZANI, 2 voll., I, Roma, 1903 [Fonti per la Storia d’Italia, 33],pp. 1-23), Lectio XI.

14. Sul tema si veda F. MARAZZI, Pellegrini e fondatori. Rapporti fra monasteri e politica nelMeridione altomedievale, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, in c.s.

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sieme ad altri luoghi come la chiesa, le celle dei monaci, i locali peri malati, l’orto e il recinto che delimita il complesso nel suo insieme.Il refettorio è ricordato in un’endiadi con la dispensa:ma dobbiamoimmaginare che, nominando la dispensa, Isidoro intendesse riferirsial plesso che essa componeva insieme alla cucina. Subito dopo egli af-ferma infatti che « è bene che [essa] sia contigua al refettorio, così chein virtù di tale vicinanza [i fratelli] possano prestare servizio a tavolasenza ritardi ». È evidente perciò che ci riferisse tanto alla movi-mentazione dei cibi e delle stoviglierie fra la dispensa e la cucina,quanto fra quest’ultima e il refettorio.Se, come si è visto, per l’Oriente tardoantico è possibile istituire

dei raffronti tra le descrizioni offerte dai testi e le evidenze materia-li, tale operazione è assai difficile – se non quasi impossibile – per learee occidentali, a causa dell’estrema rarità di siti di quest’epoca in-dagati in misura tale da poter offrire informazioni sulle aree residen-ziali dei complessi monastici. Un’eccezione è forse quella costituitadal sito romano del cosiddetto monasterium Boethianum, installatosisecondo le ipotesi di SantangeliValenzani, all’interno del recinto del-l’Area Sacra di Largo Argentina. In questo caso, si è avanzata l’inter-pretazione come refettorio di un ambiente posto all’angolo nord-orientale del complesso, giusto di fronte al tempio A, a sua volta ri-tenuto l’oratorium della comunità 15 (Fig. 2). Immediatamente a Suddi tale ambiente, un edificio più piccolo sarebbe stato destinato a fun-zione di cellarium. Tale proposta, basata proprio sul rapporto direttoesistente fra tale edificio e quello destinato alla preghiera, sebbeneverosimile, non può essere però ritenuta del tutto scevra da incer-tezze. Tuttavia, può essere considerata certamente come un utileelemento di riscontro archeologico con i dati offerti dalle fontiscritte.A cavallo tra i due tipi di evidenze si trova la vicenda di un altro

monastero romano, quello edificato nell’ultimo quarto delVI secoloda Gregorio Magno sulle pendici del Celio, dove il triclinium dellapreesistente domus patrizia entro cui il monastero si era installato sa-rebbe stato trasformato nel refettorio per la comunità.Purtroppo,no-

FEDERICO MARAZZI

15. R. SANTANGELIVALENZANI,Tra la Porticus Minucia e il Calcarario - L’area sacra di Lar-go Argentina nell’altomedioevo, in Archeologia Medievale,XXI (1994), pp. 57-98.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

nostante alcune parti del complesso siano state sottoposte ad indagi-ne archeologica, questo elemento non è mai stato riportato alla lucee quindi non possiamo capire né se, né eventualmente come esso fos-se stato modificato per assolvere al nuovo uso che, sebbene di fattonon difforme dal precedente, potrebbe però aver richiesto cambia-menti che potremmo definire “di atmosfera”, dettati dalla diversa na-tura dei suoi nuovi utenti 16.Anche per l’età altomedievale le tracce archeologiche dei refetto-

ri monastici sono quanto mai rare ed elusive. I fattori che determi-

16.A.BARTOLA,Gregorio Magno e il monastero di S.Andrea ad Clivum Scauri, in L’orbis chri-stianus antiquus di Gregorio Magno.Atti del Convegno di studio (Roma, 26-28 ottobre 2004)a cura di L.ERMINI PANI,Roma, 2007 (Miscellanea della Società romana di storia patria, 51),pp. 121-170. Il biografo del pontefice, Giovanni Diacono (che scrive alla fine del IX seco-lo) afferma che il triclinio era frequentato come luogo ove ripararsi dal calore estivo, ma arigore di logica non è da escludere una sua funzione anche come spazio per la refezione(Sancti Gregorii magniVita a Johanne Diacono scripta libris quattuor, in PL, LXXV,Parisiis, 1862,coll. 61-242, IV, 89; in proposito vedi anche L.PANI ERMINI,Testimonianze archeologiche di mo-nasteri a Roma nell’alto medioevo, in Archivio della Società romana di storia patria,CIV (1981), pp.25-45, in part. pp. 37-38).

Fig. 2 - Roma, area sacra di LargoTorre Argentina: planimetria del suppostomonasterium Boethianum (da SANTANGELIVALENZANI).

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nano questo stato di cose sono diversi e prevalentemente riconduci-bili ai pesanti processi di trasformazione che i siti hanno subito nelcorso del tempo e che hanno agito in modo più pronunciato suglispazi residenziali che non su quelli destinati al culto.Nella Gallia merovingia, gli studi di Le Maho e, soprattutto di

Manoury, hanno permesso di formulare qualche ipotesi sulla con-formazione del monastero di Jumièges, sorto lungo il basso corsodella Senna in età merovingia, intorno alla metà del VII secolo. Leipotesi ricostruttive proposte, benché correttamente avanzate senza lapretesa di fornire un’immagine realistica del complesso in questa suaprima fase di vita (oggi totalmente obliterata dalle fabbriche di età ro-manica) propongono una situazione in cui cucina e cellarium (e quin-di presumibilmente anche il refettorio) sarebbero stati inseriti entroun grande fabbricato a due piani, separato dagli edifici di culto, di cuiavrebbero occupato il piano terreno, laddove il livello superiore sa-rebbe stato destinato ad ospitare il dormitorio (Fig. 3). L’accoppiata

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Fig. 3 - Ricostruzione ipotetica del monastero di Jumiègesnella seconda metà delVII secolo (da MANOURY).

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fra dormitorio e spazi per la preparazione e il consumo dei pasti è deltutto inusuale e non risulta trovi attualmente altri confronti 17.Tut-tavia, essendo la proposta ricostruttiva basata unicamente su eviden-ze testuali, si potrebbe dare il caso che, come avvenuto riguardo alledescrizioni fornite dalla cronaca di Fontenelle (abbazia geografica-mente assai prossima a Jumièges) relative alla disposizione degli edi-fici monastici di età carolingia, una rilettura possa suggerire ipotesi al-ternative. E, tornando proprio al caso di Fontenelle, la revisione del-la vecchia ricostruzione planimetrica avanzata all’inizio degli anni’50 dello scorso secolo, pur non smentendo l’idea che gli edifici re-sidenziali della comunità fossero stati disposti entro una griglia orto-gonale, ha suggerito una loro ricollocazione alle spalle della chiesamaggiore e non sul suo fianco settentrionale. All’interno di questanuova interpretazione delle indicazioni fornite dalla cronaca, gli am-bienti del refettorio e del cellarium con annesse cucine, si dispongo-no sul lato sud dell’area centrale, opposti al dormitorio 18 (Fig. 4).Meno chiara all’interno dell’organizzazione funzionale complessi-

va dell’impianto monastico altomedievale,ma perfettamente leggibi-le riguardo le sue proporzioni e il suo rapporto con l’edificio eccle-siastico principale, è la collocazione del refettorio di età carolingiarinvenuto nel corso degli scavi dell’abbazia della Novalesa 19 (Fig. 5).L’ambiente – di dimensioni e posizione quasi identiche rispetto aquelle del successivo refettorio di età romanica – misura circa 16 per8 metri ed è posizionato su un asse longitudinale pressoché coinci-dente con quello della chiesa maggiore, anche se disposto a circatrenta metri a sud di essa.Anche da un punto di vista dimensionale,questo refettorio presenta proporzioni quasi identiche a quello del-la fase coeva della chiesa medesima.

17.N.MANOURY,Les bâtiments conventuels de l’abbaye de Jumièges, in Archéologie Médiéva-le, XXVI (1997), pp. 77-107; J. LE MAHO, Le monastère de Jumièges aux temps Mérovingiens(VIIe-VIIIe siècle): les témoignages des teste et de l’archéologie, in Hortus Artium Medievalium, 9(2003), pp. 315-322.

18. F.MARAZZI,Le città dei monaci. Storia degli spazi che avvicinano a Dio,Milano, 2015, pp.267-271 e fig. 82.

19.G.CANTINOWATAGHIN,L’établissement et l’histoire de l’abbaye de Novalaise, inMonastè-res et espace social. Genèse et transformation d’un système de lieux dans l’Occident médiéval, a curadi M. LAUWERS,Turnhout, 2015 (Collection d’Études Médiévales de Nice, 15), pp. 255-288.

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Fig. 4 - Ricostruzione ipotetica della disposizione degli edifici principali del monasterodi Fontenelle dopo le ricostruzioni dell’abate Ansegiso, prima metà del IX secolo

(disegno A. Frisetti).

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

La collocazione e l’orientamento dell’edificio lascerebbero im-maginare che esso fosse quindi parte di un plesso architettonico com-patto che riuniva, intorno alla chiesa, i principali spazi residenzialidella comunità monastica. Il condizionale è d’obbligo, perché le par-ti esplorabili del complesso altomedievale sono state assai frammen-tarie in ragione delle sovrapposizioni di un complesso palinsesto d’in-terventi successivi.Ma è pur vero che le evidenze riportate sin qui al-la luce indicano che vi è ragione di ritenere, pur nelle specificità checiascuno dei due casi presenta (fra cui il diverso posizionamento del-la chiesa), che il monastero piemontese dovesse presentare una di-sposizione architettonica dell’area claustrale vera e propria non dis-simile da quella che conosciamo per un altro monastero alpino coe-

Fig. 5 - Abbazia della Novalesa: localizzazione del refettorioaltomedievale (da CANTINOWATAGHIN).

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vo, quello svizzero di Müstair 20. In quest’ultimo caso, atteso che tut-to il lato nord del quadrilatero claustrale è stato interpretato come re-sidenza palaziale, gli spazi destinati alle funzioni residenziali della co-munità sarebbero quindi da collocarsi sui restanti tre lati, anche senon è stata formulata una proposta del tutto chiara in merito al-l’identificazione del locale adibito alla refezione (Fig. 6).

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Fig. 6 - Müstair: possibile localizzazione del refettorio altomedievale (da SENNHAUSER).

20. H.R. SENNHAUSER, St. Johann in Müstair als Klosterpfalz, in Pfalz - Kloster - Kloster-pfalz. St. Johann in Müstair. in Historische und archäologische Fragen, a cura di H.R. SENNHAU-SER, Zürich, 2010 (Acta Müstair, 2), pp. 3-28.

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REFETTORI E REFEZIONE NEI MONASTERI ALTOMEDIEVALI

Un possibile elemento di rafforzamento dell’ipotesi interpretati-va offerta dagli scavi della Novalesa proviene da quanto emerso nel-le indagini condotte presso la Mittelzell di Reichenau.Analogamen-te ai due cenobi alpini, anche in questo caso ci troviamo di fronte adun insediamento il cui nucleo centrale in età carolingia non si pre-sentava di grandi dimensioni. L’edizione offerta qualche decennioaddietro da Alfons Zettler delle evidenze emerse nel corso di suc-cessive campagne d’indagine ha infatti prodotto l’immagine di uncomplesso costituito da una chiesa posta sul lato meridionale di uncorpo quadrilatero sui cui altri tre lati (nord, est ed ovest) si dispo-nevano altrettanti edifici. Sono stati parzialmente indagati quelli suiversanti nord e sud, e la loro interpretazione funzionale li ha identi-ficati, per l’inizio del IX secolo, come “ambiente riscaldato” (sul la-to est) e probabile cellarium (sul lato ovest) 21. Per esclusione, si po-trebbe perciò dare la possibilità che, sul lato opposto a quello in cuisi trova la chiesa (e cioè quello occidentale) fosse occupato dal refet-torio, similmente a quanto constatato alla Novalesa (Fig. 7).Una simile proposta di collocazione del refettorio monastico di

età altomedievale nell’ambito di un plesso “a quattro corpi” (secon-do la definizione di Brenk) adiacente alla chiesa maggiore appare an-che in diverse planimetrie pubblicate in contributi inerenti le fasi ca-rolingie dell’abbazia di Saint-Denis 22. In questo caso, tuttavia, si hal’impressione che tale ipotesi ricostruttiva costituisca piuttosto unasorta di “automatismo applicativo” di modelli progettuali dati perpresupposti già per questa fase storica, che non da riscontri effettiva-mente ottenuti sul campo.In effetti, questo monastero apparteneva al ristretto novero delle

grandi fondazioni sottoposte alla diretta protezione regia (status di

21. A. ZETTLER,Die Konventbauten der klösterlichen Niederlassungen auf der Reichenau, inWohn-undWirtschaftsbauten frühmittelalterlischer Klöster, a cura di H.R. SENNHAUSER, Zürich,1996, pp. 269-282.

22. B. BRENK, Il problema della struttura a quattro corpi (claustrum) nei conventi paleocristianie altomedievali, in ID.,Architettura e immagini del sacro nella tarda antichità, Spoleto, 2005 (Studie ricerche di archeologia e storia dell’arte, 6), pp. 163-172. Per il posizionamento (ipoteti-co) del refettorio nella fase carolingia di Saint-Denis, si veda ancora recentemente M.WYSS,Der Klosterpfalz Sant-Denis im Spiegel derArchäologie, in Pfalz - Kloster - Klosterpfalz (nota 20),pp. 147-160, in part. fig. 4.

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cui, peraltro, Saint-Denis aveva goduto già a partire dall’età merovin-gia) che, fra tardoVIII e prima metà del IX secolo, conobbero un ex-ploit materiale di proporzioni assolutamente non comuni. In questogruppo di fondazioni rientrano ad esempio luoghi come Centula eCorbie, in Francia, Fulda e Lorsch, in Germania, San Gallo in Svizze-ra e Nonantola,Montecassino e SanVincenzo alVolturno in Italia.In questi casi, le soluzioni architettoniche (ma potremmo dire an-

che urbanistiche) adottate per il soddisfacimento delle funzioni pro-prie di un insediamento monastico non sembrano inquadrabili en-tro schemi prefissati, bensì si dipanano sul terreno secondo logichepiù “creative”, guidate dalle enormi disponibilità economiche e dal-le ambizioni di abati potenti e decisamente sedotti dall’idea di tra-sformare le fondazioni di cui erano alla testa in grandi “teatri sacri”,destinati ad ospitare rappresentazioni liturgiche complesse e impe-gnative.

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Fig. 7 - Reichenau,Mittelzell: pianta degli edifici allo statodi fineVIII secolo (da ZETTLER).

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Di questa categoria di personaggi l’esponente più celebre, in etàcarolingia, fu certamente l’abate Ratgar di Fulda, accusato dai suoimonaci presso l’imperatore di essersi impegnato in imprese megalo-mani e dispendiose per l’ampliamento delle fabbriche abbaziali e, so-prattutto, di averlo fatto senza coinvolgere in tali decisioni la propriacomunità. In realtà, le critiche verso Ratgar erano soprattutto di na-tura “politica” e, una volta ottenuta la sua deposizione, il suo succes-sore Eigil continuò senza troppi problemi i programmi già avviati,portandoli a compimento con la benedizione di Ludovico il Pio 23.Scavi condotti a più riprese presso il sito hanno riportato alla lu-

ce diverse porzioni delle strutture di età carolingia ed hanno pro-dotto planimetrie del complesso apparse in diverse versioni dagli an-ni ’30 sino ai nostri giorni. In realtà, com’è avvenuto ad esempio an-che per il monastero di Lorsch,molti dei dati disponibili dipendonoda scavi eseguiti parecchio tempo fa (addirittura prima dell’ultimaguerra) e non sempre ugualmente affidabili 24. Il risultato che ne è de-rivato, come si può osservare dall’ultima versione pubblicata daTho-mas Kind, con diverse integrazioni rispetto alle precedenti, è quellodi un complesso esteso su un’area molto vasta, in cui il quartiere re-sidenziale dei monaci appare come una versione ingigantita di quel-la che ho recentemente proposto per la coeva Fontenelle (sulla basedelle sole fonti scritte),ma anche simile a quella che gli scavi di Hu-got degli anni ’60 del XX secolo hanno accertato per il monasterodi Inda nello stesso periodo e che le indagini degli anni ’70 hannodelineato per Farfa 25. Il plesso claustrale si sviluppa in questi casi al-le spalle della zona absidale della chiesa maggiore e assume (almenonei casi archeologicamente meglio indagati, come Inda e Farfa) for-

23.MARAZZI 2015 (nota 18), pp. 214-221.24. Th. KIND, Das karolingerzeitliche Kloster Fulda - ein monasterium in solitudine. Seine

Strukturen und Handwerksproduktion nach den seit 1898 gewonnen archäologischen Daten, in Post-RomanTowns, trade and settlement in Europe and Byzantium, I, The Heirs of the RomanWest, acura di J.HENNING,Berlin-NewYork, 2007 pp. 367-408. Su Lorsch, si veda B.PINSKER,Klo-ster Lorsch, Kloster Altenmünster und Kloster Hagen. Eine Forschungsgeschichte, in Kloster Lorsch.Vom Reichskloster Karls des Grossen zumWeltkulturerbe der Menschheit, a cura di B. PINSKER -A. ZEEB, Petersberg, 2011, pp. 90-115.

25. L.HUGOT, Kornelimünster, Bonn, 1968 (Beihefte der Bonner Jahrbücher, 26); C.B.MCCLENDON,The Imperial Abbey of Farfa.Architectural Currents of the Early MiddleAges,NewHaven - London, 1987 (Yale Publications in the History of Art, 36).

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ma quadrilatera, con gli edifici principali posti sui tre lati liberi. Nelcaso di Fulda, più per via ipotetica che per effettiva certezza, si è pro-posto che il refettorio fosse stato collocato sul lato ovest del quadri-latero e cioè in quello opposto alla chiesa. Ma, ripeto, si tratta diun’ipotesi non suffragata da dati inoppugnabili (Fig. 8).

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Fig. 8 - Fulda, planimetria ricostruttiva del complesso monasticoalla metà circa del IX secolo (da KIND).

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A fronte del dato incerto di Fulda, abbiamo però quello certissi-mo del posizionamento del refettorio di SanVincenzo alVolturno.Identificato e riportato alla luce durante le fasi iniziali dell’esplo-

razione del sito, negli anni ’80 del XX secolo, il refettorio dell’abba-zia molisana è stato oggetto di ulteriori indagini nei primi anni 2000,quando, oltre all’effettuazione di alcuni saggi al di sotto dei suoi li-velli pavimentali, si è anche ampliata l’indagine nelle sue immediateadiacenze, con la conseguente scoperta dei locali delle cucine 26.Il refettorio è un grande vano a pianta rettangolare (di 31 x 11m,

anche se il perimetrale est risulta leggermente sghembo, accorcian-do così il lato nord), interamente pavimentato con piastrelle in cot-to. Lo spazio interno è suddiviso in due navate da un muretto altopoco più di mezzo metro, dal quale spiccavano cinque sostegni, co-stituiti da colonne in granito grigio (o forse, in alcuni casi, da pila-stri), posti ad una distanza di circa quattro metri l’uno dall’altro. Aquesti elementi era demandato il compito di sorreggere il colmo del-la copertura a capriata dell’ambiente che, secondo le ipotesi a suotempo formulate da Hodges, doveva a sua volta fungere da base perun ordito di infrascature 27 (Fig. 9).Lungo le pareti nord e sud furono realizzati dei bancali in mura-

tura, probabilmente in origine coperti da assi di legno, utilizzati co-me sedute per i commensali. Probabile analogo utilizzo doveva esse-re stato previsto anche per la spina muraria centrale, la cui altezza daterra è più o meno uguale a quella dei bancali laterali.Di fronte ai bancali dovevano essere disposti dei lunghi tavoli in

legno,ma rimane incerto se, sull’altro lato, fosse stata prevista la pos-sibilità di disporre ulteriori posti a sedere, mediante l’uso di panchein legno. La possibilità di posti a sedere su ambedue i lati dei tavoli

26. F. MARAZZI - C. FILIPPONE - P.P. PETRONE - L. FATTORE - T. GALLOWAY, SanVin-cenzo al Volturno - scavi 2000-2002. Rapporto preliminare, in Archeologia Medievale, XXIX(2002), pp. 209-274, in part. pp. 254-259; F.MARAZZI, I locali della refezione e le cucine dell’ab-bazia di SanVincenzo alVolturno nel IX secolo: i dati archeologici, in Il lavoro nella Regola. L’ap-provvigionamento alimentare e il cantiere edile di SanVincenzo alVolturno fra IX e XI secolo, a cu-ra di F.MARAZZI - A. GOBBI, Napoli, 2007, pp. 27-34.

27. R. HODGES - C.M. COUTTS - S. GIBSON - J. MITCHELL, The Refectory, in SanVin-cenzo alVolturno 2.The 1980 - 1986 Excavations, Part II, a cura di R.HODGES, London, 1995(The British School at Rome Archeological Monographs, 9), pp. 65-83.

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Fig. 9 - SanVincenzo alVolturno, planimetria del refettorionel primo quarto del IX secolo (da HODGES, rielaborata).

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del refettorio è chiaramente indicata nella vignetta che, all’internodella Pianta di San Gallo, rappresenta il refettorio apparecchiato contavoli che prevedevano la seduta dei monaci proprio in questo mo-do 28 (Fig.10).

Le diverse possibilità di sistemazione dei posti a sedere configu-rano ovviamente capienze sensibilmente diverse del refettorio, chevanno da un massimo di circa trecento ad un minimo di poco più dicento coperti.Le pareti dovevano essere state interamente decorate con pitture,

di cui però sopravvivono solo scarsi resti di motivi geometrici sullebasi dei bancali, poiché gli alzati delle pareti – già danneggiati daglieffetti dell’incendio dell’881 – sono stati quasi totalmente prima spo-

Fig. 10 - Ricostruzione ideale dell’interno del refettoriorappresentato nella Pianta di San Gallo (da HORN - BORN).

28.W.HORN - E. BORN,The Plan of St. Gall:A Study of the Architecture and Economy of,and Life in a Paradigmatic Carolingian Monastery, 3 voll.,Berkeley - LosAngeles – London,1979(California Studies in the History of Art, 19), I, pp. 263-264, fig. 211.X.

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liati e poi distrutti dai lavori agricoli. Un altro elemento che gli sca-vi hanno evidenziato è la quasi sicura presenza di finestre chiuse davetrate costituite da tasselli di vetro policromo, i cui resti sono stati re-cuperati in numero significativo sui livelli pavimentali dell’ambien-te. Anche sotto questo specifico profilo, il refettorio presentava ca-ratteristiche di finitura pari a quelle della chiesa maggiore, per la qua-le pure è attestata la presenza di vetrate a chiuderne le finestre.Nell’angolo sud-occidentale dell’ambiente era stato eretto un pic-

colo podio in muratura, elevato di un paio di gradini rispetto al pianodel pavimento e decorato sul fronte che guardava verso i commensalicon pitture a motivi geometrici. Fu proprio il rinvenimento di questapiccola struttura, destinata ad essere usata dal monaco lettore per in-trattenere i confratelli durante i pasti, a permettere d’interpretare, sen-za ombra di dubbio, la destinazione di questo vasto ambiente (Fig. 11).

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Fig. 11 - SanVincenzo alVolturno, refettorio:il pulpito (archivio Soprintendenza Beni Archeologici del Molise).

Il refettorio aveva accesso dai due lati corti est ed ovest. L’ingres-so ovest, più ampio, era quello utilizzato dai monaci ed era caratte-rizzato da una certa solennità, accentuata dal fatto di essere incorni-ciato da due grandi spolia in marmo, probabilmente tratti da un mo-numento funerario di età imperiale, e dalla presenza di una soglia,pure in marmo, che ne lastricava il suolo.

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Sul lato opposto, quello che guarda verso il fiume, il refettoriopresentava un’altra porta di accesso, più piccola, che metteva in co-municazione con le cucine attraverso un ambiente di disimpegnoche non è mai stato interamente scavato.Attraverso di esso, i mona-ci incaricati del servizio a tavola, potevano facilmente transitare da unambiente all’altro, senza dover necessariamente ingombrare la cuci-na e ostacolare il lavoro di chi vi lavorava.Non è chiaro se la comu-nicazione fra questo ambiente e le cucine avvenisse attraverso unaporta vera e propria oppure mediante una finestra dotata di una men-sola, su cui appoggiare i cibi già impiattati, similmente a come si puòosservare ancor oggi nel più tardo esempio offerto dal monastero diFossanova 29.Al di là di questo varco, orientato a 90° rispetto all’asse del refet-

torio, si trovava il plesso delle cucine (Fig. 12).Di esso sono stati sca-vati due ambienti, posti l’uno a fianco dell’altro e allineati lungo ilcorso del fiume.Di dimensioni simili (circa 9 metri di lato) e a pian-ta quasi quadrata, essi sono allineati lungo il lato esto del grande qua-driportico centrale. Il più vicino al refettorio era la cucina vera e pro-pria. Leggermente spostato verso la metà nord, vi era stato costruitoun grande banco in muratura composto da laterizi e tufo vulcanico(l’unico caso sinora attestato a SanVincenzo dell’uso di questo ma-teriale), aperto alla base da quattro arcate all’interno delle quali si di-sponevano le braci accese che arroventavano la superficie soprastan-te. È questo un tipo di banco di cottura che si trova ampiamente at-testato dall’antichità sin quasi ai giorni nostri.Nell’angolo sud-ovestdell’ambiente era invece stato costruito un ampio focolare per la cot-tura a sospensione o a riverbero delle pietanze (soprattutto di quelleliquide) entro olle di un tipo molto diffuso, di cui parlerò più avan-ti. Il focolare smaltiva i propri fumi tramite un camino ricavato nel-l’angolo fra le pareti sud ed ovest dell’ambiente. Sul lato est, che guar-dava il fiume, l’ambiente si apriva con un loggiato a due luci, soste-nuto nel mezzo da una colonnina e da un capitello di recupero. Suquesto lato, il pavimento era forato da un’ampia botola quadrata chepermetteva accesso diretto all’acqua del fiume e che era sicuramen-te utilizzata anche per lo scarico dei resti della pulizia dei cibi preli-

29. G.M.DE ROSSI, La riscoperta di Fossanova, Roma, 2002, pp. 77-86 e figg. 99-100.

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minarmente alla loro cottura.Alle spalle del banco di cottura era sta-ta collocata una mensa ponderaria di età romana, probabilmente impie-gata per la misura dei cibi da destinare a cottura. Infine, tra questa e laparete dell’ambiente intermedio con il refettorio, era stata realizzata

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Fig. 12 - SanVincenzo alVolturno, l’area delle cucine a metà circa del IX secolo:planimetria generale (da MARAZZI et Alii).

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una canaletta, in pendenza verso il fiume, utilizzando tegole dispostea rovescio, che serviva per lo scarico dei resti di cibo riportati indie-tro alla fine dei pasti.

L’ambiente adiacente doveva costituire una sorta di anticucina edè caratterizzato da una suddivisione interna realizzata con elementilignei che doveva servire a creare una sorta di grande armadio o sga-buzzino. Il pavimento era attraversato da una canaletta provenientedal vicino lavatorum (di cui parlerò fra un attimo) che permetteva didisporre di acqua corrente. Al contrario della cucina, questo ambienteera accessibile dall’adiacente corridoio porticato.

In ambedue questi vani, il pavimento era stato inizialmente rea-lizzato in laterizi, come nel refettorio e nei corridoi porticati. Ma,mano a mano, deteriorandosi con l’uso, esso fu progressivamente so-stituito da una superficie in terra battuta che apposite indagini han-no rivelato satura di fosfati, grassi e residui proteici.

Il refettorio e le cucine ora visibili, costituirono in realtà la rico-struzione, avvenuta probabilmente tra la fine dell’VIII e gli inizi delIX, di un precedente plesso con le medesime funzioni (Figg. 13,14).

Fig. 13 - San Vincenzo al Volturno, le cucine monastiche (metà VIII secolo?) rinvenute sotto il piano del refettorio (archivio Soprintendenza Beni Archeologici del Molise).

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Fig. 14 - San Vincenzo al Volturno, organizzazione degli edifici di fase 3 (seconda metà VIIIsecolo): in nero la posizione delle primitive cucine (da HODGES, rielaborato).

Gli scavi condotti all’inizio degli anni 2000 all’interno delle lacunedel pavimento della zona meridionale del refettorio hanno infatti ri-portato alla luce il basamento di un preesistente banco di cottura

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identico a quello descritto, salvo che per il fatto di essere stato co-struito interamente in mattoni.Esso si addossava ad un muro,oggi ce-lato dal pavimento del refettorio, ma il cui allineamento è intuibileper l’avvallamento che vi ha creato.Tale muro, come già ipotizzatoda Hodges 30, doveva probabilmente separare questa primitiva cuci-na da un altro refettorio, grande poco più della metà rispetto al suc-cessivo e idoneo per una comunità che non doveva ancora aver rag-giunto lo sviluppo proprio dell’età carolingia.Mentre quindi le cucine avevano un aspetto semplice e funzionale,

pur non mancando al loro interno il reimpiego (anche se piuttostoincongruo) di pezzi architettonici “nobili”, il refettorio si caratteriz-zava al contrario per essere uno spazio architettonicamente assai cu-rato e, potremmo dire, quasi aulico (Figg. 15,16). Oltre alla presenza

Fig. 15 - SanVincenzo alVolturno, le cucine monastiche di IX secolo,ricostruzione virtuale (realizzazione F. Pizzardi).

30. HODGES et Alii 1995 (nota 27), pp. 66-67, fig. 4.4.

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dell’ampio e accurato pavimento in cotto – il più esteso sinora rinve-nuto in tutto il sito -, le pareti interamente decorate e le grandi colonnein granito poste lungo la spina centrale conferivano all’ambiente unaparticolare solennità, consentendo al contempo di apprezzarne a col-po d’occhio le dimensioni, seconde nel monastero (per ora) solo aquelle della grande basilica dedicata aVincenzo di Saragozza.Purtroppo, mancano confronti coevi per questo tipo di ambien-

te. Tuttavia, è interessante notare che il più antico esempio attual-mente noto, quello del monastero di Nonantola, risalente all’XI se-colo, presenta interessanti elementi di confronto con quello vultur-nense, costituendone in certo senso il trait-d’union con i numerosiesemplari databili dal XII secolo in poi, quale la planimetria rettan-golare, la suddivisione in navate e la presenza di pitture parietali asoggetto figurativo di dimensioni monumentali 31 (Fig. 17). Essendo-

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Fig. 16 - SanVincenzo alVolturno, il refettorio nel IX secolo,ricostruzione virtuale (realizzazione F. Pizzardi).

31. C. SEGRE MONTEL - F. ZULIANI, La pittura nell’abbazia di Nonantola. Un refettorio af-frescato di età romanica, Nonantola, 1991.

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si conservata nel caso emiliano la parte superiore delle strutture mu-rarie, che invece a SanVincenzo è andata completamente perduta, sipuò avere un’idea del ruolo preponderante che tale tipo di decora-zione doveva avere nei refettori dei grandi monasteri, accrescendoancor di più l’idea che tali locali – per la loro destinazione – costi-tuissero davvero un simbolico contraltare dello spazio cultuale veroe proprio.I risultati dei diversi interventi condotti in quest’area dell'abbazia

vulturnense hanno permesso di attestare la funzionalità di tale setto-re del monastero almeno a partire dall’ultimo quarto dell’VIII seco-lo e sino al momento del sacco arabo dell’881.Benché distante diverse decine di metri dalla basilica maggiore, il

refettorio era in realtà ad essa direttamente connesso attraverso unlungo corridoio porticato, che correva lungo il lato occidentale del-l’area claustrale centrale e che, a sua volta, s’immetteva in un altropassaggio che conduceva verso l’ingresso settentrionale della grande

17 - Nonantola, refettorio (XI secolo): dettaglio delle decorazioni pittoriche(daWikimedia Commons).

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chiesa. Non tornerò se non brevemente sull’argomento, ma vorreisolo ricordare che gli scavi più recenti hanno chiarito che, nel labo-rioso processo di ristrutturazione del complesso monastico seguito al-la costruzione della basilica, uno degli interventi più rilevanti fu pro-prio quello di separare fisicamente questo percorso da tutte le inter-ferenze con il quartiere in cui era concentrata una serie di attivitàproduttive e mettere quindi il transito quotidiano dei monaci dal-l’uno all’altro luogo quanto più possibile al riparo da interferenzecausate da rumori molesti e dal viavai di persone esterne alla comu-nità 32 (Fig. 18).

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18 - SanVincenzo alVolturno, planimetria generale del sito alla metà del IX secolo,con indicazione dei percorsi funzionali (da MARAZZI).

32. F.MARAZZI, La basilica maior di SanVincenzo alVolturno. Scavi 2000 - 2007, Cerro aVolturno (StudiVulturnensi, 5), pp. 309-322.

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L’ingresso, posto sul lato occidentale, lo collegava ad una sala apianta trapezoidale, indagata negli anni ’80 e nota come Sala dei Pro-feti, in ragione del rinvenimento, sulla sua parete ovest, di una su-perficie dipinta rappresentante teoria di figure ritratte a grandezzapoco più piccola del naturale, identificate appunto come alcuni deiProfeti dell’Antico Testamento. Questa sala, che sul lato nord im-metteva anche verso uno dei probabili ingressi al monastero, dovevafungere come una sorta di anticamera del refettorio, costituendo ilterminale del percorso che conduceva sin lì, alternativamente, dallabasilica ovvero dal Colle della Torre (e quindi forse anche dal dor-mitorio), nonché dai quartieri del monastero in cui si concentrava-no le attività produttive, che potevano essere raggiunti percorrendole ali est e sud del grande quadriportico centrale, consentendo quin-di anche ai monaci che fossero impegnati in attività manuali di rag-giungere rapidamente i confratelli riunti per la mensa, come pre-scritto dalla Regola 33.Il refettorio vulturnense, oltre che alle cucine, era anche collega-

to ad altri due ambienti che con esso avevano dirette connessionifunzionali. Il primo era un edificio poligonale posto immediatamentea meridione e separato dal refettorio dal braccio nord del grandequadriportico centrale. Benché quasi totalmente demolito dopo ilIX secolo, si è potuto constatare che esso era di dimensioni piutto-sto cospicue, raggiungendo i 16 metri di larghezza, ed era stato eret-to con una tecnica mista che prevedeva l’uso di muratura rafforzataagli angoli da pali in legno.Al centro dell’ambiente si è rinvenuta labase di un pilastro che doveva sorreggere il vertice di una coperturalignea a “ombrello”.Non è interamente da escludere che la parte piùelevata degli alzati potesse avere a sua volta previsto l’impiego di ma-teriali più leggeri, come legno e terra pressata.L’indagine ha dimostrato chiaramente che esso era il punto di ar-

rivo di una condotta idrica, probabilmente alimentata da una o piùcisterne poste sul soprastante Colle della Torre, che si diramava lun-go il suo perimetro interno formando una sorta di canaletta che do-veva correre a qualche decina di centimetri al di sopra del piano pa-

33.Su tutto il plesso composto dagli edifici qui descritti si veda in sintesi F.MARAZZI,SanVincenzo alVolturno.Guida alla città monastica benedettina, Cerro aVolturno, 2014, pp. 78-90.

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vimentale, giungendo poi – sul lato opposto – ad un punto di usci-ta che, ricongiungendosi con un’altra canaletta che correva sul latoesterno sud, attraversava l’area delle cucine per poi concludersi conuno scarico che dava direttamente all’interno delVolturno.La posizione di questo edificio, contigua al refettorio, la presenza

di percorsi per l’adduzione e lo scarico dell’acqua al suo interno e lasua forma a padiglione hanno spinto ad interpretarlo come lavato-rium, e cioè il locale dove i monaci si lavavano viso e mani prima diaccedere alla sala dove avrebbero consumato il pasto 34. Benché ingenere di dimensioni assai più ridotte, questo tipo di struttura, comeè ben noto, è ampiamente attestato nei monasteri del pieno e bassomedioevo ed è in genere posto nel chiostro direttamente di fronte al-l’entrata del refettorio. Nel nostro caso, essa appare però di propor-zioni assai più cospicue ed è collocata di lato al refettorio, ma la suaconnessione con quest’ultimo è chiarita dall’avere l’entrata princi-pale che si apre sul braccio settentrionale del quadriportico, presso ilpunto in cui quest’ultimo raggiunge l’accesso alla Sala dei Profeti.La solennità dello spazio del refettorio, sulla quale le Regole spen-

dono molte parole e che i due esempi vulturnense e nonantolano ri-badiscono con l’eloquenza dei loro resti materiali, dipende ovvia-mente dalla necessità di renderlo atto ad accogliere la comunità nelsuo insieme. Ma soprattutto, come si ricordava all’inizio, è impor-tante ricordare come si attribuisse alla refezione collettiva un alto va-lore spirituale e il senso di un momento fortemente identitario, del-la cui costruzione simbolica era parte integrante anche il tipo di ci-bo che veniva permesso ai monaci di consumare.Le Consuetudines del monastero di Corbie, redatte dall’abateWa-

la nell’822, nella meticolosità con cui descrivono il funzionamentodella preparazione e del consumo del cibo, tema al quale sono dedi-cati gli interi capitoli XVI e XVII, ci aiutano in tal senso a com-prendere bene diverse cose 35. Innanzitutto, esse si pongono ad oc-cupare uno spazio, per così dire, intermedio fra le enunciazioni teo-riche delle Regole e le evidenze archeologiche, che per certi versi so-

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34.MARAZZI et Alii 2002 (nota 26), pp. 259-262.35. Adalhardus abbas Corbeiensis, Statuta antiqua abbatiæ S. Petri Corbeiensis quæ mona-

chis suis præscripsit sanctus Adalhardus abbas (The Customs of Corbie - Consuetudines Corbeienses,a cura di Ch.W. JONES, in HORN - BORN 1979 (nota 28), III, pp. 93-126.

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no ben interpretabili,ma per altri ovviamente restano inevitabilmentemute o ambigue. Il testo corbeiense, infatti, si dovrebbe caratterizza-re come una sorta di report sullo stato organizzativo del monastero, an-che se non possiamo sino in fondo dirimere in quale percentuale es-so potesse costituire una sorta di wishlist in cui l’abate inseriva ele-menti di miglioria rispetto all’esistente.In ogni caso, siamo in presenza di raccomandazioni pratiche, che

quindi dovevano avere un nesso diretto con la realtà.Innanzitutto, ci troviamo di fronte alla plastica rappresentazione

del nesso fra refettorio e cucina. I due ambiti costituiscono per i mo-naci un continuum che impone in entrambi i luoghi di conservare lostesso comportamento: il silenzio vi andrà rigorosamente rispettatoe l’unico flatus vocis che può interromperlo è la voce del monaco let-tore nel primo e l’incessante canto dei salmi dei monaci cuochi eaiutanti nel secondo.E, come nel refettorio ognuno dovrà conserva-re il posto che gli è stato assegnato, così dovrà avvenire nella cucina,il cui lavoro andrà sempre affidato al coordinamento di due monaci“maturi”, sotto la supervisione del cellerarius, in modo tale che nullasia lasciato nelle mani della potenziale indisciplina dei giovani o allafatuitas di coloro che sono troppo anziani.Ma ciò che è più interes-sante è la disposizione secondo cui la cottura dei cibi deve ricadereinteramente nelle mani dei monaci. Non è escluso che la prepara-zione degli ingredienti possa essere affidata a collaboratori laici: ciòè previsto ad esempio per la pulizia delle verdure, dei legumi e dei pe-sci, per la loro suddivisione in rapporto alle pietanze da preparare eper l’approvvigionamento della legna destinata a forni e focolari.Macostoro non solo non erano autorizzati a partecipare al processo dicottura vero e proprio, ma neppure a vederlo effettuare o a scorgerei monaci intenti in tale attività.Ancora una volta, a soccorso delle descrizioni – pur assai partico-

lareggiate – di una fonte testuale giungono i dati offerti dalle cucinedi SanVincenzo alVolturno.La loro presumibile accessibilità diretta solo attraverso il vano adia-

cente ne rivela una posizione assolutamente riparata da sguardi indi-screti. Inoltre, a farci comprendere le attività che si svolgevano lorointerno, oltre alla già vista differenziazione dei due punti di cottura(il grande focolare e il banco di cottura a fornacelle), ha contribuitonotevolmente il rinvenimento di significative quantità di reperti ce-

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ramici, recentemente riesaminati da Luigi Di Cosmo, avvenuto sia alloro interno, sia nell’adiacente letto delVolturno, in parte indagato fra2007 e 2008 36.Le ceramiche rinvenute in questi due settori mettono in evidenza

un intenso utilizzo, per le operazioni di cottura, di olle da fuoco di di-versa grandezza e spesso assimilabili a quelle già note e rinvenute in al-tri settori del sito,ma qui apparse assai più diversificate quanto a varietàe dimensioni (Fig. 19). Di queste ultime abbiamo, tra l’altro, alcuni

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Fig. 19 - SanVincenzo alVolturno, ceramiche da cucina(allestimento Museo Archeologico Nazionale diVenafro, foto F.Marazzi).

esemplari di cui è possibile ricostruire la forma completa. La presen-za di tante olle è da mettere in relazione non solo con l’alto nume-ro di monaci presenti nella struttura, come evidenziato dalla gran-

36. L. DI COSMO, La ceramica, in ‘Iuxta flumenVulturnum’.Gli scavi lungo il fronte fluvialedi SanVincenzo alVolturno, a cura di F.MARAZZI - A. LUCIANO,Cerro aVolturno, 2015 (Stu-diVulturnensi, 7), pp. 79-114.

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dezza del refettorio,ma soprattutto con il tipo particolare di dieta cheveniva osservata dalla comunità monastica.È noto che la regola di Be-nedetto, molto precisa, prevedeva due pasti giornalieri a base di cibicotti (come, ad esempio, zuppe) e la possibilità di un terzo solo se di-sponibile frutta secca o legumi freschi, il divieto assoluto di carne diquadrupedi, la possibilità di una libbra al giorno di pane. Per cuocerela verdura, il pesce, i frammenti di carne depezzata ed i legumi (del cuieffettivo utilizzo sono stati rinvenuti resti rilevanti) erano quindi ne-cessarie molte olle, non di grandi dimensioni, ma tali da poterle uti-lizzare esposte alla fiamma, quasi sicuramente legate ad un palo o a ri-verbero sul fuoco, soprattutto per quanto riguarda quelle di dimensio-ni maggiori. Sul piano di cottura delle quattro piccole fornaci conti-gue potevano inoltre essere utilizzati anche i testelli con i coperchi-fornetto, anch’essi rinvenuti in diversi esemplari. La diversa capacitàdelle olle permetteva evidentemente un uso diverso a seconda del ti-po di cibo da cuocere o da conservare e poi riscaldare successivamen-te. Significativa è anche la presenza di contenitori per liquidi di diver-se misure, rappresentati da olpi e anforacei di piccole dimensioni, e diuna piccola anfora affusolata, assai rara, che si presume possa essere sta-ta usata per la conservazione delle salse.Parte delle olpi più piccole po-trebbe essere verosimilmente stata usata anche per servire acqua e vi-no a mensa.Un uso da mensa – oltre che da cucina – può essere im-maginato per i grandi bacini a pareti alte, per le brocchette di più pic-cole dimensioni e per i rari esemplari di scodelle.Riguardo a queste ul-time, è difficile dire se la loro limitata presenza nell’ambito delle cuci-ne sia da attribuirsi al fatto che potevano essere riposte altrove, qualo-ra fossero state utilizzate dai monaci per consumare i pasti,ovvero per-ché costituissero oggetti implicati in specifiche attività di preparazionedei cibi (ad esempio per miscelare ingredienti destinati a comporre sal-se e sughi),mentre la dotazione da mensa prevedeva l’uso di stoviglie-ria in legno, di cui purtroppo non sono state identificate tracce.Per concludere, desidererei soffermarmi per un attimo ancora sul

tema dei cibi preparati nelle cucine e presso il refettorio. In altre oc-casioni si è approfonditamente discusso dell’articolato panorama diresti animali e vegetali recuperati nello scavo delle cucine e dal trat-to del letto delVolturno compreso fra queste ultime e il ponte dellaZingara. Di questi ultimi scavi è appena apparsa l’edizione integralee quindi in questa circostanza mi limiterò solo ad accennare ad alcu-

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ni aspetti. Già nel corso delle indagini condotte all’interno delle cu-cine fra il 2001 e il 2002 era emerso il dato della massiccia presenzadi resti di specie ittiche consumate dalla comunità 37. Il dato in sé,sebbene mai riscontrato in sede archeologica in modo così cospicuo,non crea particolare sorpresa poiché risulta perfettamente in lineacon le prescrizioni della Regola di Benedetto e di altre Regole che,dovendo ammettere consumi di cibo di natura non esclusivamentevegetariana, consentivano (sebbene non tutte con uguale generosità)quelli di pesce e pollame (di cui pure nelle cucine di SanVincenzosono state trovate tracce significative). Sebbene i sinodi di Aquisgra-na avessero inteso imprimere una svolta restrittiva in tal senso, nelmonastero molisano durante il IX secolo s’intese evidentemente ri-manere fedeli al dettato della Regola di Benedetto e perseverare nelconsumo sia di gallinacei, sia di pesce.Ma ciò che colpisce è la pro-porzione rilevante, fra le specie ittiche, di quelle marine, che nell’in-sieme supera quello delle specie di acqua dolce.All’interno di que-sto quadro, già di per sé sorprendente, che ha innescato diverse ri-flessioni sui contatti fra il monastero e le sue curtes dislocate in areacostiera, specializzate nell’itticoltura e nella pesca di laguna e in ma-re aperto, un ulteriore elemento di particolarità riscontrato è quellorelativo alla distribuzione spaziale dei diversi tipi di specie ittiche 38

(Fig. 20). Nelle cucine sono stati trovati soprattutto (anche se nonsolo) resti di pesce di qualità ordinaria, sia di fiume che di mare, de-stinato sia all’arrostimento che per preparare brodi o zuppe.Nei co-noidi di scarico del condotto che proveniva dalla cosiddetta Corte aGiardino e dal piccolo locale antistante, interpretato a suo tempo co-me refettorio per gli ospiti di riguardo, e nell’area del letto fluvialeimmediatamente adiacente, sono stati invece recuperati resti di spe-cie ittiche particolarmente pregiate, quali dentice, pesce san Pietro,

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37. A.CARANNANTE - S. CHILARDI - G. FIORENTINO - A. PECCI - F. SOLINAS,Le cucinedi San Vincenzo al Volturno. Ricostruzione funzionale in base ai dati topografici, strutturali, bioar-cheologici e chimici, inMonasteri in Europa occidentale (secoliVIII - XI): topografia e strutture, a cu-ra di F. DE RUBEIS - F.MARAZZI, Roma, 2008, pp. 489-508.

38. F.MARAZZI - A. CARANNANTE,Dal mare ai monti: l’approvvigionamento ittico delle cu-cine del monastero di SanVincenzo alVolturno nel IX secolo, in Vie degli Animali,Vie degli Uomi-ni. Transumanza e altri spostamenti di animali nell’Europa tardoantica e medievale, a cura di G.VOLPE - A. BUGLIONE - G.DEVENUTO, Bari, 2011 (Insulae Diomedeae, 15), pp. 107-118.

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ricciola, storione, marmora e gallinella. Sono anche stati rinvenutiresti di molluschi, mitili e seppie, ma anche di tartaruga e un ampiocampionario di specie di volatili selvatici o semiselvatici, come per-nici, fagiani, anatre e passeriformi e addirittura di mammiferi selva-tici di grossa taglia come cervi e caprioli.A parte le seppie, per cuialcuni documenti del ChroniconVulturnense, sebbene del X secolo, at-testano anche un consumo monastico, tutte le altre specie lascianoimmaginare che da quegli scarichi provenissero i resti di pasti di na-tura ben diversa da quelli serviti quotidianamente alla comunità 39. Se

39. L’analisi dei resti bioarcheologici (botanici e zoologici) provenienti da tali contestiè riscontrabile nei contributi di Alfredo Carannante, Salvatore Chilardi, Diana Joyce DeFalco, Girolamo Fiorentino,Annalisa Pugliese, Elena Soriga, Francesco Solinas apparsi nelcitato volume Iuxta flumenVulturnum (nota 36), pp. 217-260.

Fig. 20 - SanVincenzo alVolturno e le sue proprietà marittimenel corso del IX secolo (da MARAZZI).

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tali dati possano corroborare la vecchia ipotesi dell’uso del retrostan-te locale come refettorio (o piuttosto sala da pranzo) per gli ospitinon è ovviamente affermabile con certezza, ma di certo è legittimoporsi qualche domanda in tal senso 40. Così come è legittimo do-mandarsi se la cottura di questi alimenti avvenisse, in ossequio a quan-to previsto da alcune Regole, in una cucina separata di cui non ab-biamo ancora rinvenuto le tracce, ma che apparentemente non po-teva essere quella adiacente al refettorio monastico, visto che lì letracce del consumo del medesimo tipo di animali sono risultate as-sai scarse, per quanto riguarda il pesce pregiato, o del tutto assenti, inriferimento alla selvaggina e alla cacciagione di grossa taglia.Se così fosse – e ammetto che l’idea è piuttosto seducente – avrem-

mo ancora un altro esempio di come, nell’archeologia dei monasteri,la lettura sinottica dei dati testuali e di quelli archeologici possa con-durre a risultati di rilevanza e puntualità veramente sorprendenti.Per concludere, il refettorio sembra costituire a pieno titolo una

polarità primaria della sfera sacrale del claustrum monastico. Lungidall’essere solo uno spazio funzionale all’assolvimento di una neces-sità pratica per la sopravvivenza dei monaci, esso è un vero e propriocontraltare dell’oratorium. Anzi, nell’incontro fra i due nutrimenti –dello spirito e del corpo – che al suo interno vengono offerti ai con-fratelli, in esso si compie la sintesi dell’impossibile coesistenza fra larinuncia alla vita e la necessità della sua conservazione.Di conseguenza, esso è per eccellenza spazio identitario della co-

munità e ciò spiega perché sia soggetto alle medesime limitazionid’accesso previste per l’aula per la preghiera. Che ciò sia vero, lo te-stimonia il fatto che ancor oggi, pur nella nostra funzione di studio-si del monachesimo e per questo affettuosamente accolti dalla co-munità sublacense, stiamo svolgendo questo convegno al di fuori deilimiti del claustrum e dormiamo e consumiamo la nostra refezioneall’interno del polo dell’hospitium, esattamente come sarebbe avve-nuto mille e seicento anni fa in un monastero della Siria o della Fran-cia al tempo di Carlo Magno.

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40. I. RIDDLER, The Distinguished Guests’ Refectory, in San Vincenzo al Volturno 1.The1980 - 1986 Excavations, Part II, a cura di R. HODGES, London, 1993 (The British Schoolat Rome Archeological Monographs, 7), pp. 191-209.

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All’interno del sistema architettonico “a quattro corpi”, secondol’efficace definizione di Brenk, imperniato sullo spazio aperto cen-trale che per sineddoche chiamiamo chiostro, tipico dei monasteridel pieno medioevo, il refettorio si colloca sempre sul lato oppostoalla chiesa.Questa scelta, che il linguaggio dell’architettura rende im-mediatamente percepibile,mi sembra il materiale suggello alla bipo-larità che questi due volumi creano nel cuore dello spazio monasti-co, materializzando il concetto stesso di koinos bios concepito da Pa-comio in poi.

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