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Corrado Bevilacqua ELOGIO DELLA LETTERATURA A proposito di libri, autori, lettori, editori, critici omaggio per i lettori di Il vizio della lettura di Edith Wharton Venezia 2015

Praise of Literature

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Corrado Bevilacqua

ELOGIO DELLA LETTERATURA

A proposito di libri, autori, lettori, editori, critici

omaggio per i lettori di Il vizio della lettura di Edith Wharton

Venezia 2015

I

La presentazione del libro di Edith Wharton, Il vizio della lettura, era alle 18 alla Galleria Bugno, in campo san Fantin, a Venezia. Io, dal Fatebenefratelli dov'ero ricoverato a causa del Parkinson, per arrivare a san Fantin, dovevo uscire almeno alle 17, andare a san Marcuola, prendere il vaporetto della linea 1. Scendere a Rialto. Tagliare per la Fenice.

La prima che volta andai alla Fenice, fu da ragazzo. Davano la Quarta di Mahler. Ero in completo grigio scuro, cravatta a pallini neri su sfondo rosso Uscito di casa, ero passato a prendere un mio amico che abitava vicino a me. Era pronto. Scese e andammo a prendere a san Tomà il traghetto per sant'Angelo. I suoi amici ci aspettavano i campo alla Fenice. Erano studenti del Conservatorio. Arrivati in campo alla Fenice, Mario mi presentò loro. Entrammo. Destinazione loggione. Fu un'esperienza indimenticabile. La musica di Gustav Malher mi aveva inebriato. Conoscevo la Quarta di Malher. Possedevo una bellissima incisione della Filarmonica di Berlino diretta da Herbert von Karajan; ma sentirla dal vivo era tutta un'altra cosa. Tamara, la mia badante, arrivò al Fatebenefratelli alle 16, con una grande borsa che conteva i miei vestiti. Le avevo chiesto di portarmi una giacca blu. Pantaloni grigio scuro, camicia colore azzurro chiaro, cravatta regimental e il cappotto blu di cashemere. Tamara aveva portato tutto tranne il cappotto. Non entrava nella borsa. Ok. Avrei indossato il mio "antigelo". Chiamavo così un cappotto di tessuto idrorepellente, imbottito, capace di farti star caldo anche al Polo Nord. Mi vestii lentamente. Passammo per la segreteria. Presi il permesso

d'uscire. Scendemmo al piano terra. Uscimmo dal Fatebenefratelli e ci incamminammo verso san Marcuola. Io mi sentivo in perfetta forma. Il Manzoni aveva raccontato nei Promessi sposi che il principe di Condé aveva dormito la notte avanti la battaglia di Rocroi.

Io avevo cercato di adempiere il mio compito di traduttore meglio che potevo ed ora ero tranquillo. Alla eventuale critica diaver sacrificato la brillantezza dello stile di Edith Wharton a vantaggio dei contenuti, avrei potuto rispondere che era vero. L'avevo scritto ella nota di traduzione. Come avevo spiegato nella nota di traduzione, era stata una mia scelta. Edth Wharton, a mio modo di vedere aveva concepito il suo saggio come un pezzo di bravura nel quale ella duellava con i suoi avversari in punta di fioretto. Io le ho messo in mano una Durlindana.

Tutto era cominciato nel marzo del 2014. Pierluigi era tornato dalla Spagna dove aveva trascorso con la moglie Carla, l'invernoin una località dove la temperatura non scendeva mai sotto i 14 gradi sopra zero e, un pomeriggio, m'era venuto a trovare a casa.C'erano anche Alberto e Gigi.

II

Quasi ogni settimana, ci trovavamo a casa mia a premdere il caffè. Io scherzosamente dicevo che "facevamo cellula", ricordando gli anni in cui tutti e quattro militavamo in Avanguardia operaia, quindi, in Democrazia proletaria. Io avevolavorato al quotidiano dei lavoratori che era il quotidiano di Ao, uno dei tre quotidiani di quella che allora si chiamava "sinistra rivoluzionaria".

La redazione centrale del qdl era a Milano, in via Bonghi 4. Per arrivarci dal Duomo, occorreva prendere il jumbo tram per Gratosolio, il n.15. Il tram costeggiava le Colonne di San Lorenzo, passava Porta Ticinese, faceva tutto il Corso di Porta Ticinese, via San Gottardo, via Meda. Scendevi all'ultima fermata di via Meda, attraversavi la strada ed eri arrivato. Il qdl aveva la redazione al secondo piano di una "casa a ringhiera". Incortile c'era un'officina meccanica. Al primo piano, c'era un cappellificio.

La redazione era costituita da un lunghissmo corridoio. A sinistra, entrando in corridoio, si aprivano le porte degli uffici dei vari servizi. Il centralino aveva il suo ufficio all'entrata della redazione. Patrizietta, che era chiamata così sia perchè era fisicamente minuta sia per distinguerla dalla Patrizia dell'amnistrazione detta Patriziona, e dalla Patrizia della spedizione che era detta la Patrizia di Bobo che era il suo uomo. Patrizietta era la prima ad arrrivare in redazione. Poi, arrivava Carla, la segretaria di redazione che abitava a Cinisello Balsamo; poi, normalmente, arrivavo io, giusto in tempo per bere il secondo caffé del giorno e a fumare la terza sigaretta.

Il primo caffè lo bevevo nel bar vicino alla casa dove abitavo. E bevendo il caffé fumavo la prima sigaretta. Fumavo la seconda sigaretta aspettando il 15 in via Broletto. Fumavo la terza sigaretta bevendo il mio secondo caffè con Carla. Bevuto il caffè, ritornavamo in redazione e cominciavamo a lavorare.

In una redazione di quotidiano, è buona norma non credere mai di aver finito di lavorare. Sul più bello, quando stai per chiudere,arriva la notizia bomba e, in quegli anni si trattava di bombe vere, attentati a persone, sparatorie, scontri di piazza. Accadeva perciò, che, passati i pezzi, mi mancava spesso il tempo per fare i titoli. Così, prendevo le fotocopie dei pezzi che avevo mandatoin tipografia e andavo in tipografia a fare i titoli direttamente con il titolista. Mi mettevo in piedi accanto a lui e cominciavo. Apertura di due. 3 righe su 6 colonne, corpo 36 nero. Occhiello corpo 18, corsivo chiaro. Il titolista mi guardava come pensasse:"Vediamo cosa inventi". Quasi sempre non sbagliavo un titolo. I titoli entravano perfettamente nello spazio loro assegnato.

Fatti i titoli, aspettavo il proto che mi portava a casa. Io avevo sempre odiato l'automobile. A volte, se non poteva portarmi finoa casa, mi mollava al Ponte della Ghisolfa e mi toccava fare un bel pezzo di strada a piedi, prima di arrivare in via general Govone, svoltare in vi Gran Sasso e vedere le luci del bar dove alla mattina avevo preso il caffé. Io cercavo di fare meno rumoreche potevo, ma neanche a farlo apposta, non facevo tempo a infilare la chiave nella toppa, che sentivo da dentro casa la voce di Maria che mi chiedeva: "Sei tu, Corrado?" Si ero io. Poi agggiungeva: "Hai mangiato?", Ripondevo di sì anche se non era vero. "Notte" facevo io. "Notte" ribattecva lei.

A Milano abitavo da un'amica di famiglia rimasta vedova con unfiglio che frequentava le scuole medie. Lei, Maria, abitava in zona Monumentale. Precisamente, tra il Monumetale e scalo

Farini. Per andare al lavoro prendevo due tram. Il 12 fino in via Broletto, dietro il Duomo e il 15 per il tratto successivo. Tornavoa Venezia ogni sabato sera. Al lunedì mattina ripartivo da Venezia per Milano con il rapido delle 6,55. Arrivato a Milano, prendevo la Metropolitana fino in Cordusio. Uscivo. Prendevo il15 e arrivavo a destinazione. A volte, prima di prendere il 15, facevo un giro nella Libreria Rizzoli in Galleria.

Al quotidiano ero responsabile dei servizi interni e cronaca. Io feci presente che con qel genere di organizzazione io mi vedevo cosrettto a sacrificare metodicamente la cronaca ed era un peccato perché avevamo redazioni in tutta Italia. Le più attive erano quelle di Roma, Napoli e Torino. La più pretenziosa era la redazione romana che aveva sede in via Cavour. I compagni di Roma si credevano l'ombellico dell'univeso. La più casinista era quella di Napoli con Francesco e Giacomino. Litigavano in continuazione. Se parlavo con Francesco, non potevo chiedere a Francesco di passarmi Giacomino, e viceversa. Inoltre erano logorroici. Mandavano pezzi sempre più lunhi del previsto. Così, decisi di tagliare corto. O li mandavano giusti o non li publicavo. Alla fine, decisero di scorporare la cronaca dagli interni e la assegnarono a Lella.

Ogni servizio faceva gruppo a sé. Ciò valeva in particolare per le compagne del sndacale. Lella, Liliana, Erica e Maria Teresa che si occupava di scuola, sanità e pubblico impiego e ce l'avevaa morte con Giovannini, all'epoca membro della "sinistra sindacale" e che si occupava di pubblico impiego. Per le compane del sindacale quello che diceva il partito era legge.

Affatto diverso era il mio atteggiamento. I miei tempi erano differenti dai tempi del partito. Io dovevo fare un giornale; detto brutalmente, dovevo "stare sulla notizia" e, se occorreva, dovevoinventarla. Non potevo aspettare che si riunisse il cc o l'up del

partito per commentare ciò che accadeva nel nostro paese nel campo della politica.

Nel fare questo, cercavo di essere il più obbiettivo possibile; malgrado ciò, ero acusato spesso di settarsismo. Questa accusa mi venne rivolta ancora più fequentemnete, quando passai a dirigere il servizio cultura e spettacoli. In realtà, a quell'epoca eravamo tutti un po' settari. La Nuova sinistra era divisa in gruppi e gruppetti. Per noi di Ao, quelli di Lc erano dei "movimentisti". Per loro, noi eravamo dei "professorini della lotta di classe". Ricordo una canzone che faceva: "Avanguardo, avanguardo, oltre il muro va il tuo sguardo, c'hai il progetto, c'hai la linea.." C'erano i "manfestini" con Rossana Rossanda che faceva da chioccia. C'era la galassia ml. C'erano i "potoppisti" di Potere operaio. C'eano quelli di "servire il pollo". Il salto di qualità avvenne quando le Br pensarono fosse arrivato il momento di passare allalotta armata per dare la "spallata" allo stato. Ciò avvenne prima del 1977. Alla Br si affiancarono, poi, quelli di Prima linea. Molto è stato scritto siulla stori adel partito armato e molto di quello che è stato scritto è mero ciarpame. Un giorno, il qdl chiuse per debiti Io a Venezia. Dovevo trovarmi un altro lavoro, ma non era stato facile.

III

Entrò Tamara con il caffè e una torta di mele che profumava ancora di forno. Gigi mi chiese se avevo finito il mio libro su Venezia. Risposi che era già in rete. Lo poteva trovare nel sito diwww.academy.edu con il titolo Renovatio urbis venetiarum.- Guarderò - disse Gigi servendosi una fetta di torta. - Parli anche delle grandi navi? - chiese Gigi- No - risposi. Non ne parlavo che di striscio. In compenso maltrattavo abbastanza il Consorzio Venezia Nuova. Erano costrettti a pagare i politici perché il loro progetto non avrebbe mai funzionato. Ma ne avevo anche per gli ecologisti. Era dal 1966 che la città attendeva un progetto verde, ma i verdi non erano stati capaci di elaborarne uno. Del resto non era un mistero per nessuno che tutto passava per il dipartimento di idraulica di Padova. Quello del Vaiont. Dopo Longarone volevano distruggere Venezia.- Perché? - chiese Pierluigi incuriosito.- Semplice - risposi - Odiano la bellezza.

In realtà, la salvaguardia di Venezia era sempre stata un pretesto per spillare soldi allo stato. Erano stati fatti centinaia di convegni. Erano stati presentati centinaia di progetti per "salvareVenezia", ma tutto era finito, come aveva scritto Wladimiro Dorigo, in "una laguna di chiacchiere". Del resto, le cose non andavano meglio nel resto del paese: Roma, Napoli, Milano, Palermo.

Pierluigi ci aveva parlato di un saggio di Edith Wharton che aveva trovato in Spagna. Il saggio parlava di scrittori, lettori, editori. Secondo Pierluigi valeva la pena di pubblicarlo. Su Internet, aveva cercato l'edizione italiana ma non l'aveva trovata.

Fu così che lentamente s'era formata in lui l'idea di farsi promotore della pubblicazione del saggio in italiano

Andati via i miei amici. Aprii l'armadio dedicato alle letterature inglese e anericana. Cercai i libri di Edith Wharton. Li presi. Chiusi l'armadio e andai a sfogliarli in camera mia. Aprii a caso l'Ethan Frome. Era il capitolo VIII.

IV

In Ethan Frome Edith Wharton narra una straziante d'amore. La Wharton usa uno stile scarno, asciutto, essenziale. Non credo che la Wharton avrebbe potuto usare meno parole di quelle usatenel romanzo per fornirci la stessa qantità di informazione. Il romanzo della Wharton inizia con un flash back: When Ethan... Poi, qualche riga sotto, la Wharton riprende il filo del racconto da dove l'aveva lasciato alla fine del capitolo precedente: After Zeena's departure. Il capitolo precedente s'era concluso, infatti, con una scenata in cucina tra le due "rivali", la moglie di Ethan, Zeema, e la cugina di Ethan, Mattie, per via d'un piatto da portata in vetro che Mattie aveva rotto.

"Quando Ethan era ritornato alla fattoria a causa della malatrtia del padre, sua madre gli aveva dato, per uso personale, una piccola stanza dietro il "salotto buono" che non era mai usato. Qui, Ethan aveva inchiodato delle tavole di legno e ne aveva ricvato una biblioteca per i suoi libri; con delle assi di leno e un materasso s'era costruito un divano; aveva disposto le sue carte su una tavola da cucina; aveva appeso al grezzo intonaco della parete una stampa raffigurante Abramo Lincoln e un calendario con i "Pensieri dai poeti ", e, utilizzando questi suoi scarsi mezziaveva cercato di creare qualcosa di simile allo studio d'un" ministro" che era stato gentile con lui e che gli prestato dei libri quando era a Worcester.

D'estae, egli si rifugiava ancora in quella stanza. Quando Mattie era andata ad abitare alla fattoria, egli aveva dovuto darle la sua stufa e di consguenza la stanza era diventata inabitabile a causa del freddo nei mesi invernali. Egli usciva dal suo rifugio non appena la casa piombava nel silenzio, rotto soltanto dal respiro

regolare proveniente dalla camera da letto dove dormiva Zeema,che lo assicurava che non ci sarebbe stata un'altra scenata come quella della cucina. Questa scenata viene descritta dalla Whartonnel capitolo preedente. La Wharton, ora, riprende a narrare la storia, dopo il flash back iniziale.

Uscita Zeena della cucina, Ethan e Mattie erano rimasti in piedi, a guardarsi ammutoliti . Poi, Mattie era ritornata al suo consuetocompito serale di pulire la cucina; Ethan aveva preso la sua lampada era uscito per il suo consueto giro serale. Quando Ethanritornò, la cucina era vuota. La sua borsa per il tabacco e la sua pipa erano posate sulla tavola della cucina. Sotto di esse, c'era un pezzo di carta strappato dal retro d'un catalogo d'un venditoredi semi sul quale erano scritte tre parole. "Non preoccuparti Ethan".

Entrato nel suo "studio" freddo e buio , Ethan posò la lampada sul tavolo. Si chinò sulla lampada e lesse più volte il messaggio di Mattie. Era la prima volta che Mattie gli scriveva, e l'avere ora nelle sue mani un biuglietto di Mattie gli dava la sensazione che Mattie fosse in quella stanza con lui; nello steso tempo, il contatto con il bigietto d Mattie aumentava la sua angoscia perché gli ricordava che da quel momento in avanti, quello sarebbe stato l'unico loro modo di comunicare. Lui non avrebbe mai potuto gioire della vivacità del sorriso di Mattie, del calore della sua voce. Ma avrebbero potuto comuncare solo in quel modo assurdo: qualche parola su un freddo pezo di carta

Pensieri lo invasero e si misero a cozzare proprie speranze. Doveva consumare tutti i suoi anni al fianco di una donna acida e litigiosa? Perché rinunciare ad altre possibilità che la vita gli poteva offrire? Non s'era già abbastsanza sacrificato per una donna stupida e ignorante come Zeena. A che cosa era sevito? Lei era diventata cento volte più acida e scontenta della vita di

quando l'aveva sposata. Il suo unico piacere era quello di fargli del male.

No. Non poteva contiuare così, pensò. Il suo istitnto di conservazione insorse contro quella situazione. Ethan si infagottò nel suo vecchio cappotto di procione e si distese sul divano. Egli senti un oggetto duro con una strana protuberanza penetrargli nella guancia. Era un cuscino regalatogli da Zeema per il loro fidanzamento. Era stato l'unico lavoro di cucito che l'avesse mai vista fare. Gettò il cuscino sul pavimento e appoggiò la testa al muro.

Ethan conosceva il caso di un giovane di circa la sua stessa età che abitava al di là ella montagna e che era scappato da una vita di miseria andando all'Ovest con la ragazza che amava. La moglie aveva divorziato. Lui s'era felicemente sposato con la ragazza. Ethan aveva incontrato la coppia l'estate prima a Shadd Falls, dove viveveno i loro parenti. La coppia aveva una bambina con dei riccioli biondi, che era vestita come una principessa e portava al collo un medaglione d'oro. Alla moglie che era stata abbandonata non era andata tanto male. Il marito le aveva dato la fattoria che lei era riuscita a vendere, e mettendo assieme soldi della vendita della fattoria e quegli degli alimenti, aveva aperto un fiorente posto di ristoro a Bettsbridge.

L'espereinza di quella coppia, aeva acceso nella mente di Ethan un pensiero. Perché non avrebbe potuto partire con Mattie il giorno dopo, invece di lasciarla andare da sola? Avrebbe potuto nascondere la sua valigia sotto il sedile della slitta. Zeena sarebbe venuta a sapere della sua fuga solo dopo pranzo, quandosarebbe salita in camera per il pisolino pomeridiano e avrebbe trovato la sua lettera d'addio sul letto.

Etan aveva i nervi a fior di pelle. Etan si alzò di scatto, accese la

lampada. Sedette. Aprì il cassetto della tavola da cucina e rovistò dentro di esso cercando frettolosamente un foglio di carta. Trovato il foglio, lo stese sulla tavola e cominciò a scrivere.

"Zeema, ho fatto tutto quello che potevo per te, ma non è servitoa nulla. Non dico che è colpa tua. La colpa non è né tua né mia, ma di entrambi, e credo che le cose andranno meglio per tutti e due se ci separiamo. Io andrò a cerare fortuna a Ovest. Tu puoi vendere sia la fattoria che il mulino e puoi pure tenerti il denaro.

A questo punto, Ethan cessò improvvisamente di scrivere. Se egli concedeva a Zeema tutte le sue proprietà, con che cosa avrebbe potuto rifarsi una vita? Se fosse stato da solo, avrebbe potuto trovare il modo di risolvere il suo problema anche lasciando a Zeema tutte le sue proprietà. Ma non era solo. C'era Mattie e Mattie dipendeva da lui. E, comunnque, cosa sarebbe stato di Zeema? Quale sarebbe stato il suo destino?

Fattoria e mulino erano stati ipotecati al limite del loro valore, e anche se Zeema avesse trovato un compratore, difficilmente avrebbe potuto liberare le sue proprietà dalle ipoteche. Nel frattempo, come avrebbe potuto tirare avanti. Finora, era stato solo grazie a lui e al suo lavoro, che avevano avuto di che mangiare. Da sola e malferma di salute com'era, non ce l'avtrebbbe mai fatta. L'unica alternativa era quella di lasciar andare avanti Mattie da sola, anche se questo pregiudicava il loro futuro...."

Affatto diverso era lo stile di L'età dell'innocenza.

"Una sera di gennaio nei primi anni Settanta, Cristine Nilsson stava cantando nel Faust alla Academy of Music in New York. Sebbene, già negli anni Quaranta si fosse parlato della

costruzione in una remota area edificabile cittadina di una nuovaOpera House che avrebbe potuto competere per il suo splendore e per la fastosità delle sue messe in scena, con i teatri d'opera delle grandi capitali europee, il "bel mondo" era, malgrado ciò contento, di ritrovarsi ogni inverno negli squallidi palchi giallo-oro della vecchia ma affabile Academy. I Conservatori, erano felici di questa situazione perché la piccolezza e la diffficle fruibilità della sala dell'Academy, teneva fuori i "nuovi ricchi" che New York cominciava a temere nella consapevolezza che la città sarebbe presto stata loro; inoltre, era anche vero la qualità dell'acustica, che era sempre stato un problema per tutti i teatri d'opera, non lo era per la vecchia sala dell'Academy la cui acustica era eccellente.

Era la prima recita di Madame Nilson quell'inverno a New York,e quello che i quotidiani cittadini avevano già da tempo presentato come un "pubblico eccezionale" era giunto alla Academy of Music percorrendo strade rese scivolose dalla neve,utilizzando i più diversi mezzi di trasporto: chi in "broughams" privati, chi in "landau" abbastanza grandi da contenere un'intera famiglia, chi in spaziosi "Brown coupe", chi in carri di sua proprietà i quali, per dirla scherzosamente, conferivano ai loro proprietari il vantaggio, apprezzato dai sostenitori dei principi democratici, di poter ripartire a proprio piacimento, senza aspetare i comodi del proprio cocchiere che nel frattempo, messosi al riparo sotto i portici, aveva traccanto gin fino a farsi venire la punta del naso d'un colore rosso brillante. Credo sia stato uno di questi cocchieri ad avere la grande intuizione che gli americani vogliono allontanarsi da un luogo didivertimento, ancora più velocemente di come vi arrivino.

Quando Newland Archer aprì la porta sul retro dell'Academy, il sipario della sala della Academy of Music, s'era appena alzato sulla scena del giardino. Non c'era alcun valido motivo per cui il

giovane non avrebbe dovuto giungere prima. Egli aveva cenato alle sette con la madre e la sorella. Dopo cena, aveva fumato, intutta calma, un sigaro in biblioteca, che era l'unica stanza dove sua madre gli pemetteva di fumare, circondato da scaffali color noce scuro e da sedie finemente imbottite. Ma, va tenuto conto del fatto che New York era una metropoli e in una metropoli "non era cosa" di arrrivare puntuali all'opera. Non era chiaro checosa si intendesse con l'espressione "non era cosa"; quello che conta è che essa svolgeva nella vita di Archer un ruolo cher tanto importante quanto quello svolto dal terrore totemico nella vita i suoi antenati secoli prima.

Il secondo motivo del suo ritartdo dipendeva dal fatto che era era un dilettante e che aeva perso tempo fumando il sigaro nella convinzione che un piacere divena più sottuie se se si riflette su di esso; ciò accadeva sprattutto quando si trattava d'un piacee delicato. Comunque fosse, va aggiunto che se egli avesse calcolato il momento della sua entatta in sala, egli non avrebb potuto scegliere un momento migliore, poiché Madame Nilssonaveva appena iniziato a cantare l'aria "Sì, m'ama", lasciando cadere a terra i petali di margherita in piena sintonia le note che uscivano dalla sua ugula con delicatezza della rugiada.

Madame Nilsson cantava ovvamente in italiano, oiché una leggedel teatro d'opera impone che i testi tedesci o francesi che siano, devono essere tradotti in italiano pe facilitare la comprensione da parte del pubblico di lingua inglese. A Newland, ciò sembrava così naturale come le convenzioni che condizionavanoil suo stile di vita; com l'uso di due spazzole con il manico d'argento e il suo monogramma in smalto blu.

V

Pierluigi era ritonato a trovarmi. Nei giorni precedenti mi aveva mandato via email, il testo origimale del saggio di Edith Wharton. Avevo aperto il file e avo cominato a leggere,

The Vice of Reading. Gli americani e gli inglesi, si sa, sostantificano il verbo all'infinito e lo usano con desinenza ing come sostantivo. Cosicché "reading" poteva essere tradotto sia con "leggere" che con "lettura". A me piaceva "leggere", ma visto che Pierluigi me ne avecva parlato chiamandolo "Il vizio della lettua", pensai che non era il caso di perdere tempo con unadiscussione sul titolo. Il vero problema era rappresentato dalla traduzione del saggio.

Il testo della Wharton era fortemente polemico. Ella paragonava la diffusione del sapere all'avvento della macchina a vapore e al suffragio universale. La diffusione del sapere a sua volta aveva portato con sé un nuovo vizio: il vizio della lettura, aggiungendoacida che: "No vices are so hard to eradicate as those which are popularly regarded as virtues. Among these the vice of reading is foremost" e, continuava, "it already ranks with such seasoned virtues as thrift, sobriety, early rising and regular exercise. Thereis, indeed, something peculiarly aggressive in the virtuousness of the sense-of-duty reader. By those who have kept to the humble paths of" precept he is revered as following a counsel of perfection. "I wish I had kept up my reading as you have," the unlettered novice declares to this adept in the supererogatory; and the reader, accustomed to the incense of uncritical applause, not unnaturally looks on his occupation as a noteworthy intellectual achievement."

Non contenta, comtinuava a picchiare duro. "Reading deliberately undertaken -- what may be called volitional reading -- is no more reading than erudition is culture. Real reading is reflex action; the born reader reads as unconsciously as he breathes; and, to carry the analogy a degree farther, reading is nomore a virtue than breathing."

Ora, non potevo non chiedermi quanto, al lettore italiano, a centoundici anni dalla sua publicazione poteva interessare un saggio contenente simili polemiche che, a mio mdo di vedere rischiavano di far perdere di vista il vero oggetto del contendere.

Just in proportion as it is considered meritorious does it become unprofitable. What is reading, in the last analysis, but an interchange of thought between writer and reader? If the book enters the reader's mind just as it left the writer's -- without any of the additions and modifications inevitably produced by contact with a new body of thought -- it has been read to no purpose. In such cases, of course, the reader is not always to blame. There are books that are always the same -- incapable of modifying or of being modified -- but these do not count as factors in literature. The value of books is proportionate to what may be called their plasticity -- their quality of being all things to all men, of being diversely moulded by the impact of fresh forms of thought. Where, from one cause or the other, this reciprocal adaptability is lacking, there can be no real intercourse between book and reader. In this sense it may be saidthat there is no abstract standard of values in literature: the greatest books ever written are worth to each reader only what he can get out of them. The best books are those from which the best readers have been able to extract the greatest amount of thought of the highest quality; but it is generally from these books that the poor reader gets least.

To be a poor reader may therefore be considered a misfortune; but it is certainly not a fault. Why should we all be readers? We are not all expected to be musicians; but read we must; and so those that cannot read creatively read mechanically -- as though a man who had no aptitude for the violin were to regard the grinding of a barrel-organ as an equivalent accomplishment! It must be understood at the outset that, in the matter of reading, the real offenders are not those who restrict themselves to recognized trash. There is little harm in the self-confessed devourer of foolish fiction. He who feasts upon "the novel of theday" does not seriously impede the development of literature. The cast of mind which discerns in the natural divisions of the melon an indication that it is meant to be eaten en famille, mighteven look upon certain works -- the penny-in-the-slot or touch-the-button books, which require no effort beyond turning the pages and using one's eyes -- as especially designed for the consumption of the mechanical reader. Providence turns out an unfailing supply of authors whose obvious mission it is thus to protect literature from the ravages of the unintelligent; and it is only when he strays from his predestined pastures that the mechanical reader becomes a danger to the body of letters. The idea that reading is a moral quality has unhappily led many conscientious persons to renounce their innocuous dalliance with light literature for more strenuous intercourse. These are the persons who "make it a rule to read." The "platform" of the more ambitious actually includes the large resolve to keep up with all that is being written! The desire to keep up is apparentlythe strongest incentive to this class of readers: they seem to regard literature as a cable-car that can be "boarded" only by running; while many a born reader may be found unblushingly loitering in the tea-cup times of stage-coach and posting-chaise, without so much as being aware of the new means of locomotion.It is when the mechanical reader, armed with this high conception of his duty, invades the domain of letters --

discusses, criticises, condemns, or, worse still, praises -- that the vice of reading becomes a menace to literature. Even so, it mightseem in questionable taste to resent an intrusion prompted by motives so respectable, were it not that the incorrigible self-sufficiency of the mechanical reader makes him a fair object of attack. The man who grinds the barrel-organ does not challenge comparison with Paderewski, but the mechanical reader never doubts his intellectual competency. As grace gives faith, so zeal for self-improvement is supposed to confer brains.

To read is not a virtue; but to read well is an art, and an art that only the born reader can acquire. The gift of reading is no exception to the rule that all natural gifts need to be cultivated by practice and discipline; but unless the innate aptitude exist the training will be wasted. It is the delusion of the mechanical reader to think that intentions may take the place of aptitude.

So far is this from being the case that there are certain generic signs by which the born reader detects his manufactured copy under whatever guise the latter may assume. One of these idiosyncrasies is the habit of regarding reading objectively. The mechanical reader, as he always reads consciously, knows exactly how much he reads, and will tell you so with the pride ofthe careful housekeeper who has calculated to within half an ounce the daily consumption of food in her household. As the housekeeper is apt to go to market every day at a certain hour, sothe mechanical reader has often a fixed time for laying in his intellectual stores; and not infrequently he reads for just so manyhours a day. The statement in one of Hamerton's youthful diaries-- "I shall now commence a course of poetical reading, beginning with 50 hours of Chaucer, and as I gave him 1 1/2 lastnight it leaves me exactly 48 1/2" -- is a good example of this kind of reading. It follows that he who reads by time often "has no time to read"; a plight unknown to the born reader, whose

reading forms a continuous undercurrent to all his other occupations.

The mechanical reader is the slave of his book-mark: if he lose his place he is under the irksome necessity of beginning again atthe beginning; and a story is told of one such reader whom a flippant relative kept for a year at "Fire and Sword in the Soudan" by the unfeeling stratagem of shifting the marker every night. The born reader is his own book-mark. He instinctively remembers at what stage in the argument he laid his book down,and the pages open of themselves at the point for which he is looking. It is due to the mechanical reader to say that he is uniformly scrupulous in the performance of his task: it is one of his rules never to skip a word, and he can always meet with a triumphant affirmative Dr. Johnson's immortal "Do you read books through?" This inexorable principle is doubtless based on the fact that the mechanical reader is incapable of discerning intuitively whether a book is worth reading or not. In fact, until he has read the last line of a book he is unable to form any opinion of it; nor can he give any adequate reasons for his opinion when formed. Viewing all books from the outside, and having no point of contact with the author's mind, he makes no allowances for temperament or environment; for that process of transposition and selection that makes the most impersonal bookthe product of unique conditions.

It is obvious that the mechanical reader, taking each book separately as an entity suspended in the inane, must miss all the by-paths and cross-cuts of his subject. He is like a tourist who drives from one "sight" to another without looking at anything that is not set down in Baedeker. Of the delights of intellectual vagrancy, of the improvised chase after a fleeting allusion, suggested sometimes by the turn of a phrase or by the mere complexion of a word, he is serenely unaware. With him the

book's the thing: the idea of using it as the keynote of unpremeditated harmonies, as the gateway into some paysage choisi of the spirit, is beyond his ken.

The mechanical reader considers it his duty to read every book that is talked about; a duty rendered less onerous by the fact that he can judge beforehand, from the material dimensions of each book, how much space it will take up in his head: there is no need to allow for expansion. To the mechanical reader, books once read are not like growing things that strike root and intertwine branches, but like fossils ticketed and put away in the drawers of a geologist's cabinet; or rather, like prisoners condemned to lifelong solitary confinement. In such a mind the books never talk to each other.

The course of the mechanical reader is guided by the vox populi.He makes straight for the book that is being talked about, and his sense of its importance is in proportion to the number of editions exhausted before publication, since he has no means of distinguishing between the different classes of books talked about, nor between the voices that do the talking.

It is a part of the whole duty of the mechanical reader to pronounce an opinion on every book he reads, and he is sometimes driven to strange shifts in the conscientious performance of this task. It is his nature to mistrust and dislike every book he does not understand. "I cannot read and therefore wish all books burned." In his heart of hearts the mechanical reader may sometimes echo this wish of Envy in Doctor Faustus; but, it being also a part of his duty to be "fond of reading," he is obliged to repress his bibliocidal impulse, and go through the form of trying the case, when lynching would have been so much simpler.

It is only natural that the reader who looks on reading as a moral obligation should confound moral and intellectual judgments. Here is a book that every one is talking about; the number of its editions is an almost unanswerable proof of its merit; but to the mechanical reader it is cryptic, and he takes refuge in disapproval. He admits the cleverness, of course; but one of the characters is "not nice"; ergo, the book is not nice; he is surprised that you should have cared to read it. The mechanical reader, after a few such experiments, learns the potency of disapproval as a critical weapon, and it soon becomeshis chief defence against the irritating demand to admire what hecannot understand. Sometimes his disapprobation is tempered by philosophic concessions to human laxity: as in the case of thelady who could not approve of Balzac's novels, but was of course willing to admit that "they were written in the most beautiful French." A fine instance of this temperate disapproval is furnished by Mrs. Barbauld's verdict upon The Ancient Mariner: she "pronounced it improbable."

The obligation of expressing an opinion on every book which is being talked about has led to the reprehensible but natural habit of borrowing opinions. Any one who frequents a group of mechanical readers soon becomes accustomed to their socialisticuse of certain formulas, and to the rapid process of erosion and distortion undergone by much-borrowed opinions. There have been known persons heartless enough to find pleasure in taking the mechanical reader unawares with the demand for an opinion;and it must be owned that the result sometimes justifies the theory that no sports are so diverting as those which are seasoned with cruelty. In such extremities, the expedients resorted to by mechanical readers often do justice to their inventiveness; as when a lady, on being suddenly asked what shethought of "Quo Vadis," replied that she had no fault to find withthe book except that "nothing happened in it."

The far the subject has dealt only with what may be called the average mechanical reader: a designation embracing the immense majority of book-consumers. There is, however, another and more striking type of mechanical reader -- he who, wearying of the Philistine diversion of "understanding the obvious," boldly threads his way "amid the bitterness of things occult." Transcendentalism owes much of its perennial popularity to a reverence for the unintelligible, and its disciples are largely recruited from the class of readers who consider it as great an intellectual feat to read a book as to understand it. But these votaries of the esoteric are too few in number to be harmful. It is the average mechanical reader who really endangers the integrity of letters; this may seem a curious chargeto bring against that voracious majority. How can those who create the demand for the hundredth thousand be accused of malice toward letters?

In that acute character-study, "Manoeuvring," Miss Edgeworth says of one of her characters: "Her mind had never been overwhelmed by a torrent of wasteful learning. That the stream of literature had passed over it was apparent only from its fertility." There could hardly be a happier description of those who read intuitively; and its antithesis as fitly portrays the mechanical reader. His mind is devastated by that torrent of wasteful learning which his demands have helped to swell. It is probable that if no one read but those who know how to read, none would produce books but those who know how to write; but it is the least offence of the mechanical reader to have encouraged the mechanical author. The two were made for each other and may prey on one another with impunity.

The harmfulness of the mechanical reader is fourfold. In the firstplace, by bringing about the demand for mediocre writing, he

facilitates the career of the mediocre author. The crime of luring creative talent into the ranks of mechanical production is in fact the gravest offence of the hanical reader.

Secondly, by his passion for "popular" renderings of abstruse and difficult subjects, by confounding the hastiest rechauffe of scientific truisms with the slowly-matured conceptions of the original thinker, he retards true culture and lessens the possible amount of really abiding work.

The habit of confusing moral and intellectual judgments is the third cause of his harmfulness to literature. The inadequacy of "art for art's sake" as a literary creed has long been conceded. It is not by requiring that the imaginative writer shall be touched "to fine issues" that the mechanical reader interferes with the production of masterpieces, but by his own inability to discern the "fine issues" of any book, however great, which presents some incidental stumbling-block to his vision. To those who regard literature as a criticism of life, nothing is more puzzling than this incapacity to distinguish between the general tendency of a book -- its technical and imaginative value as a whole -- andits merely episodical features. That the mechanical reader shouldconfound the unmoral with the immoral is perhaps natural; he may be pardoned for an erroneous classification of such books as "La Chartreuse de Parme" or the "Life of Benvenuto Cellini";his harmfulness to literature lies in his persistent ignorance of the fact that any serious portrayal of life must be judged not by the incidents it presents but by the author's sense of their significance. The harmful book is the trivial book: it depends on the writer, and not on the subject, whether the contemplation of life results in Faust or Faublas. To gauge the absence of this perception in the average reader, one must turn to the ordinary "improper" book of current English and American fiction. In these works, enjoyed under protest, with the plea that they are

"unpleasant, but so powerful," one sees the reflection of the image which the great portrayals of life leave on the minds of the mechanical reader and his novelist. There is the collocation of "painful" incidents; but the rest, being unperceived, is left out.

Finally, the mechanical reader, by his demand for peptonized literature, and his inability to distinguish between the means andthe end, has misdirected the tendencies of criticism, or rather, has produced a creature in his own image -- the mechanical critic. The London correspondent of a New York paper recently quoted a "well-known English reviewer" as saying that people no longer had time to read critical analyses of books -- that whatthey wanted was a resume of the contents. It is of course an open question (and hardly within the scope of this argument) how much literature is benefited by criticism; but to speak as though the analysis of a book were one kind of criticism and the cataloguing of its contents another, is a manifest absurdity. The born reader may or may not wish to hear what the critics have tosay of a book; but if he cares for any criticism he wants the only kind worthy of the name -- an analysis of subject and manner. He who has no time for such criticism will certainly spare none to the summing-up of the contents of a book: an inventory of its incidents, ending up with the conventional "But we will not spoil the reader's enjoyment by revealing, etc." It is the mechanical reader who demands such inventories and calls themcriticisms; and it is because the mechanical reader is in the majority that the mechanical plot-extractor is fast superseding the critic. Whether real criticism be of service to literature or not, it is clear that this pseudo-reviewing is harmful, since it places books of very different qualities on the same dead level of mediocrity, by ignoring their true purport and significance. It is impossible to give an idea of the value of any book, except perhaps a detective-story, by the recapitulation of its contents; and even those qualities which differentiate the good from the

bad detective-story lie not so much in the collocation of incidents as in the handling of the subject and the choice of means used for producing a given effect. All forms of art are based on the principle of selection, and where that principle is held of no account in the sum-total of any intellectual production, there can be no genuine criticism. It is thus that the mechanical reader systematically works against the best in literature. Obviously, it is to the writer that he is most harmful. The broad way that leads to his approval is so easy to tread and so thronged with prosperous fellow-travellers that many a young pilgrim has been drawn into it by the mere craving for companionship; and perhaps it is not until the journey's end, when he reaches the Palace of Platitudes and sits down to a feast of indiscriminate praise, with the scribblers he has most despised helping themselves unreproved out of the very dish prepared in his honor, that his thoughts turn longingly to that other way -- the strait path leading "To The Happy Few."

VI

- Allora che ne dici? - chiese Pierluigi.- Non sarà facile tradurlo - risposi - Lo scritto della Wharton è un pezzo di bravura. E' una sequela di giravolte. E' come spadacciana che duelli con più avversari contemporaneamente.- E, in fin della licenza io tocco - aggiunse Pierluigi citando il Cyrano de Bergerac di Rostand.Sorrisi. Mio padre da giovane, amava recitare e con la sua filodrammatica aveva impersonato anche il ruolo di Cyrano. - Si - convenni - Tocca e fa male perché dice la verptà. La sua tesi. aggiunsi, è che esiste un sistema che si autoalimenta. Gli scrittori forniscono agli editori i libri che i lettori desiderano leggere e così si chiude il cerchio. Un vero e proprio sistema a reatroazione positiva che fa riempire le pagine di banalità. L'Ethan From non venne scritto dalla Wharton per accappararsi la simpatia dei lettori. Ethan Frome è un libro duro che lascia nellettore l'amaro in bocca. Ma è anche un libro che scava profondamente nell'anima umana. Cercherete invano in Ethan Frome il "monologo interiore", il "flussso di coscienza" che caratterizzano tanti capolavori del Novecento. da Mrs Dalloway di Virginia Woolf a Ulisse di James Joyce. Tale metodo di scrittura raggiune la perfezione con Finnegans Wakes di Joyce. Ipersonaggi del romanzo della Wharton non non sono degli "eroi borghesi in crisi". Ethan non è il Dedalus di Joyce. Non ha studiato dai Gesuiti. E' un personaggio fatto di carne e di ossa. Non sa nulla di Freud. Non ha letto Alberoni. Però ama, ama contutto se stesso e nonostante tutto. -Sputa l'osso - fece Pieluigi.

_ Ora, la domanda da farci - ribattei - e che un "lettore meccanico" non si farà mai, è come ha potuto, una donna della

American upper class, nata e cresciuta in un mondo che Mattie avrebbe giudicato come il mondo delle favole, concepire un romanzo così duro, così antipatico, ma così affascinante come Ethan Frome? La risposta è che si tratta di uno di quei miracoli che solo l'Arte può realizzare.

- Allora - osservò Pierluigi - Lo "scrittore meccanico" era per la Wharton, chi scriveva per compiacere il "lettore meccanico" conla complicità dell' "editore meccanico". Ciò che la Wharton criticava era un "sistema" che prosperava sulle mode del momento. . Esatto - conveni - Per capire la critica della Wharton, occorrerebbe leggere il quasi coevo saggio sulla moda di Georg Simmel, laddove Simmel spiegava che la moda "ottunde il nostro cervello". Non è perciò un caso che, in un mondo che vive di moda, nessuno legga più Simmel né si interroghi sulle critiche della Wharton. Schopenhauer nei Parerga distingueva fra chi viveva "per" la letteratura e chi viveva "di" letteratura. Lo"scritore meccanico" vive "di" letteratura. L'arma migliore di cuidispone uno scrittore per combattere l'ottundimento delle menti operato dalle mode culturali, è l'ironia. Edith Wharton era una maestra anche in questo campo.

- Non è un caso perciò se oggi non si parla di letteratura ma di ficion.- Esatto - ribattei- La fiction è la negazione della letteratura. Tu definiresti Guerra e Pace un'opera di fiction?- Neanche Il buon soldato Shweick- Centrato e affondato - commentai sorridendo.

- Virginia Woolf, in Per le strade di Londra, sosteneva che l'unico consiglio che si può dare nel campo della lettura è quello di non darne. Una persona dovrebbe essere lasciata libera di scegliere il libro che vuole leggere - notò Pierluigi.

- Il problema - ribattei - è che non siamo liberi. E' dai tempi di Vance Packard, cioè, dall'inizio degli anni 50 del secolo scorso che si parla di "persusori occulti". Lo stesso Vance Packard era, però, in ritardo sui tempi. Come dimostrò lo storico francese Marc Ferro, i nazisti avevano sviluppato delle tecniche raffinatissime di peruasione occulta nella loro propaganda antisemita. Ferro portava come esempio il film Suss l'ebreo. Recentemente, il sociologo americano Benjamin Barber ha dimostrato, in un voluminioso saggio, che anche chi si crede libero di scegliere quando va al supermercato, in realtà è sottoposto a ogni sorta di condizionamenti. Ciò manda a gambe all'sris il mito liberista della libertà di scelta.

Il lettore di giornali agisce come un qualunque consumatore. Acquista un prodotto e lo consuma attraverso la lettura. Ciò che legge sui giornali contribuisce alla formazione della sua visione del mondo. Nel nostro cervello accanto all'apparato che ci fornisce l'immagine del mondo fisico, c'è un apparato, come spiegò Lorenz in L'altra faccia dello specchio, che ci fornisce l'immagine del mondo non-fisico. Il funzionamento di questo apparato è complesso. Un fatto, comunque, è certo. L'immagine del mondo che esso ci fornisce dipende in modo fondamentale dalle informazioni che noi forniamo ciò che noi forniamo all'apparato che ci fornisce la nostra immagine del mondo. Ciò avviene con i buoni uffici di quello che Popper in L'Io e il suo cervello, chiamò Mondo 3, il mondo della nostra produzione culturale. Ciò che colpì gli americani l'11 settembre, fu che qualcuno ce l'avesse con loro fino al punto da mettere in atto un simile attaccco terroristico. Gli americani erano convinti, infatti,d'essere un "popolo scelto da Dio". Se chiedevate a un americano, non solo al classico uomo della strada, come considerava gli americani, egli vi avrebbe risposto che essi erano il popolo più buono del mondo, più disinteressato del mondo e che tutto ciò che faceva lo faceva in vista del bene

altrui.

- Anche in Vietnam? Anche a My Lay. Anche il tenente Calley autore del massacro di My Lay durante la guerra in Vietnam era un uomo buono?- chiese Pierluigi.- Certamente -risposi - Quello di My Lay fu un incidente. I marines credevano che nel villaggo, ci fossero dei vietcong. Poi,visto che i vietcong non c'erano si misero a ammazzare vecchi, donne e bambini. Se voi domandavate lumi a questo proposito, eravate un comunista. - E l'incidente del Tonchino? In quel caso carta canta. I documenti segreti del Pentagono sulla guerra in Vietnam pubblicati dal New Yotk Times parlano chiaro. Gli Usa cercavano il casus belli e non trovandolo, lo inventarono. Così essi poterno intervenire ufficialmnete in Vietnam per difendereLa risposta della mia ex era che gli americani erano andati in Vietnam per difendere i vietnamiti dal comunismo, bombardandoli giorno e notte, usando l'agente arancio, il napalm.. - Per anni - spiegai - gli americani vennero tenuti all'oscuro di quello che accadeva in Vietnam. Inoltre, in Vietnam andavano i negri. Quando il presidente Lyndon B. Johnson, sulla base d'un consiglio datogli dal suo consigliere per la sicurezza nazionale, John Califano, ordinò che i rgazzi perbene, quelli dei college, non potessero ottenere più l'esenzione per motivi di studio e cominciarono a partire anche loro per il Vietnam, allora, le famiglie perbene protestarono. I ragazzi dei college non potevano andare in Vietnam. In Vietnam si moriva e finché morivano i negri pazienza, era il costo della pace. Ma i bianchi non dovevano comunque morire. Fu così che Johnson si giocò larielezione a presidente, anche se aveva fatto più di qualunque altro presidente per gli "haves not". Per contro, attorno al presidente Kennedy, sebbene Kennedy sia stato tutto fuorché un grande presidente, sopravvive il mito. Kennedy venne ucciso in

diretta televisiva. Tutti noi abbiamo visto il suo corpo sobbalzaretre volte, come se fosse stato colpito tre volte. Tutti i presenti hanno udito distintamente tre colpi. Tutti noi abbiamo rivisto la scena nel filmato girato da Zapruder. Il presidente è sobbalzato tre volte. Ciò sgnifica che a sparare non fu solo il fucile di precisione di Robert Lee Oswald, un Carcano modificato; ma furono altre due armi e a sparare furono probabilmente due agenti della agenzia per la sicurezza nazionale. Magrado ciò, nessun giudice americano ha mai voluto prendere in considerazione il filmato Zapruder. Chiarito ciò, ritorniamo a Virginia Woolf: la libertà di scelta del lettore. Vediamo come funziona. L'industria che produce libri è un'industria come le altre. Il libro è una merce. Ha un costo di produzione. Ha un prezzo di vendita. Le regole di gestione sono quelle di qualunque merce. Se il numero dei libri venduti supera il break even point, ovvvero punto a profitto zero, l'editore ha un guadagno. Altrimenti ha una perdita. Ne deriva che l'edtore produrrà quei libri per i quali pensa ci sia un mercato. Eviterà di pubblicare gli altri. Ciò spiega il motivo per il qual degli analfabeti possono vincere importanti premi letterari. Importantesaper compiacere il pubblico. Edith Wharton non era interesata aciò. se fosse stata interessata a cià, non avrebbe scritto l'Ethan Frome. Edith Wharton era una scrittrice tutt'altro che convenzionale, anche quando trattava temi convenzionali, come in Notturno veneziano.

"Era il mese di Febbraio del 1760 e il giovane Tony, appena diventao maggiorenne, a bordo d'un mercantile appartenente ala flotta del vecchio Backwell, sentì il cuore balzargli in petto, quando gli apparve, remolante nell'aria la forma ancora indistinta a causa dellla distanza, della città di Venezia. Fin dallasua infanzia il nome di Venezia era sempre stato una sorta di bacchettra magica.

Nella hall della vecchia casa di Bracknell a Salem pendeva una serie di stampe ingiallite che lo zio Richard Saulsbee aveva portato a casa da uno dei suoi lunghi viaggi: vedute di moschee e palazzi, del Serraglio del Grande Turco, della Chiesa di San Pietro in Roma; e, in un angolo - vicina allla rastrelliera dove erano appesi i vecchi flintlocks - c'era stampa che raffgurava Piazza San Marco a Venezia popolata di gente indaffarata che aveva attratto in modo singolare la immaginazione del piccolo Tony. ..."