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Poteri di ordinanza, legalità, stato governativo

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1. Le ordinanze sindacali ordinarie La vicenda delle ordinanze sindacali cosiddette ordinarie è già

stata oggetto di numerosi contributi di grande interesse: ciò non-dimeno, non pare inutile dedicarle ancora qualche cenno, perché essa può servire da chiave di lettura di una parte degli assetti odier-ni dei poteri di ordinanza, e dello stesso principio di legalità.

Per quanto qui interessa va ricordato che, dopo che il decreto-legge n. 92 del 2008 ha riscritto l’art. 54 del Testo unico degli enti locali n. 267/2000, nel comma 4 di questa disposizione compariva la formula per cui «il sindaco, quale ufficiale del governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

La presenza della congiunzione anche lasciava dunque inten-dere che i sindaci, oltre alle consuete ordinanze contingibili e ur-genti, potessero emanare pure ordinanze non emergenziali, o ordi-narie, in violazione del principio di tipicità dei poteri amministrati-vi: il quale, come noto, rappresenta uno dei corollari del principio di legalità dell’azione amministrativa1.

Sulla lettura di questa formula la dottrina si era dunque divisa tra coloro che ne proponevano un qualche tipo di interpretazione adeguatrice (ad esempio, considerando la congiunzione in parola come il frutto di una mera svista redazionale), e coloro che invece ne sostenevano l’illegittimità costituzionale, nonostante che i poteri in questione fossero stati almeno in parte tipizzati nel decreto del ministro dell’interno del 5 agosto 20082.

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Dopo aver scartato la prima opzione nella sentenza n. 196/2009, nella sentenza n. 115 del 2011 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 54 «nella parte in cui comprende la locuzione anche prima delle parole contingibili e urgenti»: ed eliminando questa congiunzione ha dunque espunto dal nostro ordinamento le ordi-nanze sindacali ordinarie3.

Ai nostri fini giova ricordare pure che la Corte ha giustificato questa declaratoria tramite una motivazione sovrabbondante, quasi ridondante4.

Infatti non si è limitata a rilevare che la previsione in tema di ordinanze ordinarie «viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizio-ne di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati», precisando che la tipizzazione del relativo potere ope-rata dal decreto ministeriale dell’agosto del 2008, in considerazione de «la natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato con il decreto», «non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità ammini-strativa nei rapporti con i cittadini», e soggiungendo (non senza una certa enfasi) che «questi ultimi sono tenuti, secondo un princi-pio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge», il principio di imparzialità, perché «l’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente (…) che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fonda-mento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge», e sinanco il principio di uguaglianza, dato che, in assenza di un adeguato para-metro legislativo, «gli stessi comportamenti potrebbero essere rite-nuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci».

Ma si è spinta anche a evocare il principio di legalità sostanzia-le, rilevando che «questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri am-ministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente ‘l’assoluta indeterminatezza’ del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una ‘totale libertà’ al soggetto od organo investito della funzione

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(sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è in-dispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur ela-stica, copertura legislativa dell’azione amministrativa».

In altri termini qui la Consulta sembra avere colto l’occasione di riaffermare ciò che del principio di legalità costituisce l’accezione più forte5.

Ed è vero che la Corte afferma l’illegittimità dei poteri discre-zionali illimitati sin dalla sentenza n. 1 del 19566: ma è altrettanto vero che la giurisprudenza costituzionale spesso è stata ondivaga, o evasiva, su come debba svolgersi la predeterminazione legislativa dei parametri di esercizio del potere amministrativo7.

Eppure quella fatta dalla Corte era con tutta probabilità una scelta obbligata, per ragioni che in definitiva attengono alla nostra stessa forma di governo.

2. Un principio controverso

Per dimostrarlo occorre però partire dal principio di legalità, ricordando innanzitutto che, anche se talora viene dato per sconta-to, il principio in realtà è estremamente controverso.

Già negli anni ottanta autorevole dottrina osservava che «si fa presto a dire che il principio di legalità esprime la soggezione dell’attività dei pubblici poteri, e particolarmente di quella ammini-strativa alla legge, ma su questo principio sono state scritte intere biblioteche e ancor oggi si controverte circa il suo significato e an-che circa la sua esistenza»8: e all’inizio dello scorso decennio una dottrina altrettanto autorevole ha ribadito che «per quanto incredi-bile possa apparire, mentre c’è assoluta concordia sul rilievo fon-damentale che il principio ha (dovrebbe avere) negli ordinamenti moderni, ispirati alla teorica dello Stato di diritto, non c’è alcuna concordia sul modo in cui il principio opera (dovrebbe operare) ri-spetto ai poteri e alle attività delle amministrazioni pubbliche»9.

Certo, alcune delle questioni che avevano interessato la dottri-na meno recente sembrano superate – o magari attendono solo di potersi ripresentare sotto altre sembianze, a ennesima dimostrazio-ne del fatto che il sapere giuridico non ha carattere cumulativo10.

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Ma scorrendo le pagine degli autori che negli ultimi anni si so-no occupati dell’argomento ci si rende conto che quasi ogni altro aspetto del principio è dibattuto, talora anche aspramente.

A essere discusso è in primo luogo lo stesso ruolo complessivo del principio di legalità nel nostro ordinamento: è noto che qui si confrontano opinioni opposte, ad esempio quella per cui la stessa civiltà occidentale è «in primis, caratterizzata dal principio di legali-tà non solo in materia penale ma anche, è forse il caso di dire, ne-cessariamente anche, in materia amministrativa»11, con quella se-condo cui «l’attribuzione al principio di legalità – che pure conti-nua a svolgere un suo importante, ma limitato ruolo, come tutti i principi del passato che sono stati assimilati nelle culture o negli ordinamenti contemporanei – di un posto dominante, non è soltan-to giuridicamente errata, conduce anche ad ulteriori errori»12.

Ma anche restando nell’ottica che annette alla legalità un ruolo centrale, è controverso già il fondamento del principio: riprenden-do la classica trattazione della questione di Fois, va detto che se-condo alcune opinioni esso si fonderebbe su disposizioni di legge ordinaria (in particolare, l’art. 5 dell’allegato E della legge n. 2248/1865, e gli artt. 3 e 4 disp. prel. Cod. civ.), secondo altre su principi implici-ti nel sistema costituzionale (la «sovranità del Parlamento», lo «sta-to di diritto», la «separazione dei poteri»), e per altre ancora su precise disposizioni costituzionali (di volta in volta l’art. 76, gli artt. 13 e ss. , l’art. 23, l’art. 97, l’art. 113, l’art. 101)13.

Anche se, per vero, da ultimo l’importanza della questione sembra ridimensionata, perché è diffusa l’idea che «appassiona di meno la ricerca di una disposizione particolare che (…) sancisca (il principio di legalità), anche perché siamo convinti che ad esso si conforma il tessuto costituzionale stesso, e che ciò rappresenti un fondamento sufficiente»14.

Riguardo ai contenuti del principio, vero è che il nostro ordi-namento ha abbandonato da tempo l’idea che esso si risolva nella mera preferenza di legge, sicché, per dirla con Ranelletti, «quando la norma manchi, l’organo amministrativo può e deve ugualmente agire secondo il bisogno collettivo»15, e pare essersi indirizzato net-tamente nel senso indicato da Zanobini, ossia che «la legge dice ciò che l’amministrazione può fare»16.

Ma è altrettanto vero che negli ultimi decenni la dottrina ha continuato a discutere se il principio vada inteso in senso formale oppure in senso anche sostanziale17.

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Concordia non vi è neppure sull’ambito di applicazione, ossia se esso riguardi solo l’attività autoritativa, oppure anche l’attività di diritto privato, e in quali termini trovi attuazione nell’organizzazione18.

Incerto è poi il rapporto con la riserva di legge: in alcune pro-spettive l’una e l’altra nozione tendono a confondersi, mentre in al-tre il principio di legalità ha un’estensione molto più ampia19.

A questa stregua non deve dunque stupire se diverse linee di pensiero con la nozione di legalità finiscono coll’indicare concetti sensibilmente diversi gli uni dagli altri.

Ad esempio, ormai è noto che la legalità del Giudice ammini-strativo spesso è cosa diversa da quella della Corte costituzionale, perché nella giurisprudenza dei Tar e del Consiglio di Stato ricorre l’affermazione per cui la legalità può considerarsi garantita anche tramite una normativa regolamentare20.

A questa tendenza fa riscontro in dottrina la tesi secondo cui il principio in parola dovrebbe essere riletto nei termini della nozione francese di règle de droit, e che a questa stregua esso «assume … il significato di previa determinazione, da parte della legge o di un re-golamento, dei criteri di massima dell’azione amministrativa»: e, quindi, dovrebbe essere riletto anche in termini di «legalità regola-mentare»21.

E d’altro canto si è acutamente rilevato che sul tema costitu-zionalisti e amministrativisti spesso hanno sensibilità diverse22.

Né va dimenticato che da ultimo la legalità viene declinata dal-la dottrina e dalla giurisprudenza in accezioni che sono affatto ine-dite rispetto al passato, le quali per certi aspetti implicano un supe-ramento delle acquisizioni tradizionali.

Ad esempio come legalità ‘di risultato’23: formula questa che in sostanza postula che la legalità dell’azione amministrativa vada va-lutata non come rispondenza dell’operato della p. a. alle norme di legge, ma solo in termini di raggiungimento o meno del risultato a cui è intesa; e che pare avere ricevuto una concreta attuazione an-che nella legislazione tramite le disposizioni dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 199024.

Oppure come legalità ‘procedurale’, per cui riguardo ai poteri delle autorità indipendenti «la caduta del valore della legalità so-stanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un raffor-zamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del con-traddittorio»25.

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3. Storicità e crisi della legalità La principale ragione per cui tanti e tali aspetti della legalità

sono discussi e controversi si ricollega a ciò che potremmo definire la storicità del principio.

Quello che qui interessa in effetti è senz’altro un principio che viene dal passato, perché esso si è affermato compiutamente in un contesto istituzionale storicamente determinato.

Come noto questo principio si è affermato nel contesto dello stato nazionale dell’ottocento e dei primi del novecento, grazie a un incrocio tra democrazia e liberalismo26, perché esso assume al con-tempo una valenza democratica, ove rappresenta la prevalenza della volontà del parlamento, l’organo che rappresenta direttamente tut-ta la collettività nazionale, su ogni altro potere (è la «legge espres-sione della volontà generale» che intitola il noto saggio di Carré de Malberg27), e una valenza garantistica nei confronti degli arbìtri del potere, laddove è funzionale ad assicurare l’isonomia28, ossia l’uguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione, e la certez-za del diritto, e, quindi, «la prevedibilità e la calcolabilità dell’azione dei pubblici poteri»29.

Esso dunque origina nel contesto di stati sovrani, connotati dalla forma di governo parlamentare, che svolgevano funzioni ab-bastanza limitate per mezzo di apparati amministrativi di dimensio-ni contenute (in sintesi, quello che veniva ironicamente definito come stato-guardiano notturno), e per lo più accentrati, dato che gli enti locali avevano un ruolo decisamente defilato.

Ma quando il contesto cambia per un qualche aspetto, gioco-forza il principio è sottoposto a tensioni, o entra in crisi: e, quindi, corre il rischio di risultare inattuato per un qualche aspetto o in de-terminati settori della attività e della organizzazione amministrativa.

Ad esempio, già le tutele apprestate dalla nostra Costituzione a favore delle Regioni e degli enti locali hanno condotto a riformulare e a ridefinire la legalità: sia perché alla legge emanata dal parlamen-to si sono affiancate le leggi regionali, sia perché (soprattutto dopo la riforma costituzionale del 2001) è lo stesso primato della legge a essere messo in discussione dalle fonti normative comunali e pro-vinciali, statuti e regolamenti, che sono dotati anch’essi di una au-tonoma legittimazione democratica30.

Analoghi processi di ridefinizione si sono innescati anche in esito alle limitazioni della sovranità statale, in particolare ove si è ri-

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tenuto che il principio di legalità possa ritenersi attuato anche per il tramite di norme comunitarie31.

È poi appena il caso di ricordare che l’ampliamento delle fun-zioni pubbliche verificatosi con l’avvento dello Stato sociale spesso ha portato la legge a perdere i caratteri di generalità e astrattezza che originariamente la connotavano (o che avrebbero dovuto con-notarla, dato che questi caratteri talora facevano difetto anche in passato: come dimostrano gli studi ottocenteschi sulle leggi mera-mente formali32), ossia ad assumere la veste di ciò che oggi definia-mo come legge-provvedimento: e, quindi, a perdere ogni valenza di garanzia33.

Anche quello che per certi aspetti costituisce un processo op-posto, ossia la parziale retrazione del legislatore dagli interventi nell’economia, e la correlata devoluzione delle funzioni di regola-zione del mercato alle autorità indipendenti, ha indotto il giudice amministrativo a elaborare la nozione di legalità procedurale al fine di risolvere il notorio problema del fondamento e del contenuto dei poteri normativi delle authorithies34.

Ma si potrebbe continuare a lungo, ad esempio ricordando che il principio di legalità s’era affermato soprattutto quando l’amministrazione svolgeva per lo più un’attività d’ordine, anziché di prestazione, ai cui fini risultava particolarmente qualificante l’impiego dei poteri unilaterali e autoritativi, sicché non deve stupire che sia risultato e risulti tuttora difficoltoso applicarlo anche all’attività di diritto pri-vato e alle modalità di azione consensuale che negli ultimi anni hanno in parte sostituito l’impiego dei detti poteri, ecc. 4. Segue: legalità e mutamenti della forma di governo

Ai nostri fini interessa però evidenziare soprattutto che negli

scorsi anni il principio in parola ha dovuto confrontarsi anche con i mutamenti della forma di governo.

Per quanto riguarda il rapporto tra legge e regolamento, è stato lucidamente osservato che l’atteggiamento ordinamentale nei con-fronti dei regolamenti emanati dal governo era destinato a modifi-carsi già nel passaggio dello Stato liberale allo Stato liberaldemo-cratico: «se (…) nel quadro del parlamentarismo liberale (…) l’affermazione della natura normativa del potere regolamentare in-contrava ancora gravi remore, la situazione viene invece ad evolver-

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si con l’avvento dei regimi democratici contemporanei. In strutture costituzionali tendenzialmente monistiche, in cui l’effettivo eserci-zio del potere è affidato alle forze politiche di maggioranza, non può più stupire che la funzione normativa sia diventata una attribu-zione istituzionale dell’esecutivo»35.

Il fatto che nello Stato liberaldemocratico pure il governo ab-bia carattere rappresentativo ha dunque aperto la strada all’idea che il potere regolamentare governativo «trova un fondamento che è diverso dal fondamento dei poteri amministrativi, e che non deve essere necessariamente ricondotto né ad una espressa e puntuale at-tribuzione di competenza operata a favore dell’esecutivo dalla legge formale, né all’esistenza di una sfera discrezionale della p.a. (…) questo fondamento andrà invece in primo luogo ricercato nella co-stituzione e nella posizione istituzionale riconosciuta da questa al governo come organo produttore non solo di direttive politiche e amministrative, ma anche di norme giuridiche»36.

È a quest’ordine di idee che si riallacciano le previsioni dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, la cui lettera c) come noto viene in-terpretata nel senso del riconoscimento del potere del governo di emanare anche regolamenti indipendenti: e proprio per tale ragione quella parte della dottrina che non condivide gli orientamenti di cui s’è detto sulle implicazioni del moderno ruolo dell’esecutivo ha so-stenuto l’incostituzionalità di questa disposizione per violazione del principio di legalità37.

Ma a prescindere dai dubbi di costituzionalità, va detto che a questa stregua effettivamente si potrebbe parlare di legalità regola-mentare, o, meglio, di régle de droit: risolto il problema della legit-timazione democratica, anche il regolamento governativo ben po-trebbe adempiere a una funzione garantistica.

In sostanza si verrebbe a creare un sistema delle fonti per vari aspetti analogo a quello della Quinta Repubblica francese, ove la Costituzione del 1958 ha favorito lo sviluppo del potere regolamen-tare del governo limitando i poteri normativi del parlamento e pre-vedendo vere e proprie riserve di regolamento38.

Questo paradigma, a ben vedere, non sarebbe incoerente con i mutamenti istituzionali registratisi durante gli scorsi due decenni, soprattutto dopo le riforme elettorali del 1993, ossia la fine della centralità del parlamento (o dell’assemblearismo, a seconda dei punti di vista), e il sensibile rafforzamento della maggioranza di go-verno e dell’esecutivo39.

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E d’altro canto, se è vero che «la centralità della legge è l’altra faccia della centralità del parlamento (talché) la fortuna della legge segue sempre le alterne vicende dell’istituzione parlamentare»40, in un periodo come quello odierno, in cui sono diffusi umori antipar-lamentari che ricordano quelli della fine dell’ottocento e dell’inizio del novecento, non ci si può attendere neppure che il principio di legalità sia particolarmente in auge.

In realtà il temuto (o sperato, a seconda dei punti di vista) so-pravvento dei regolamenti governativi sulla legge a oggi non si è ve-rificato, e non pare destinato a verificarsi neppure in un prossimo futuro.

E ciò non solo perché, per quanto riguarda i regolamenti indi-pendenti, in concreto esistono ben pochi settori che non siano già legificati, ma, soprattutto, perché la riforma costituzionale del 2001 ha addirittura provocato una forte spinta alla rilegificazione.

Dal sesto comma dell’art. 117 Cost. , per cui «la potestà rego-lamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva … spetta alle Regioni in ogni altra materia», la Corte costituzionale ha infatti desunto limiti stringenti per tutti i regolamenti statali, affer-mando che «alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possi-bilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti»41.

Negli ultimi anni il governo ha comunque trovato altre strade per condizionare la produzione normativa, tant’è che la dottrina ormai non esita a definirlo come il vero «signore delle fonti»42.

E ciò sia avvalendosi degli atti aventi forza di legge, ossia de-creti legislativi e decreti-legge43: sicché per questi ultimi nella prassi sembra essersi completata la trasformazione da strumento emer-genziale a «disegno di legge governativo rafforzato», che era stata rilevata da Predieri sin dalla metà degli anni settanta del secolo scorso44.

Sia emanando atti che vogliono surrettiziamente sfuggire alle forme dei regolamenti (per evitare al contempo i limiti dell’art. 117 Cost. e i vincoli ex lege n. 400 del 1988), tant’è che spesso vengono espressamente definiti come atti «di natura non regolamentare», pur presentando senz’altro contenuti squisitamente normativi45.

Per quanto qui interessa va però rilevato che da ultimo la lega-lità deve confrontarsi pure con un ulteriore mutamento nel rappor-to tra gli organi costituzionali, che va anche al di là del rafforzamen-to del governo: ossia con la tendenza al rafforzamento del ruolo del

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capo dell’esecutivo, dovuta a svariati fattori, quale ad esempio «la derivazione popolare diretta del vertice dell’esecutivo, di cui la no-mina da parte del Presidente della Repubblica sarebbe divenuta una mera ratifica formale»46.

Una tendenza che (a seconda che la si collochi o meno nel con-testo della forma di governo parlamentare) da ultimo fa parlare di un progressivo avvicinamento al premierato, e sinanco al presiden-zialismo47. 5. Forma di governo e poteri di ordinanza

Con tutta probabilità queste tendenze sono anche le principali

responsabili delle recenti trasformazioni del ruolo dei poteri di or-dinanza.

Si sa che le emergenze, ossia gli eventi a cui non si può fare fronte tramite i poteri previsti ordinariamente dalla legge, rappre-sentano un fattore di crisi per la legalità non solo negli ultimi tempi, ma praticamente da sempre.

Basti ricordare che tra la fine dell’ottocento e l’inizio del nove-cento in dottrina erano state elaborate tesi che giustificavano i pote-ri emergenziali prescindendo da ogni inquadramento giuridico, quale il decisionismo di Schmitt, per cui «nel caso di eccezione, lo stato sospende il diritto, in virtù, come si dice, di un diritto di auto-conservazione»48, oppure che configuravano la stessa necessità co-me «la fonte prima del diritto, di quel diritto che scaturisce imme-diatamente e direttamente dalle forze sociali, in modo così catego-rico, esplicito, certo, da non permettere che tra i bisogni sociali stessi che determinano la norma giuridica e il rinvenimento e la di-chiarazione di quest’ultima si frapponga l’attività razionale degli organi competenti a questa dichiarazione»49.

A partire dagli anni venti del novecento il legislatore ha invece cercato di ricondurre l’emergenza negli schemi dello Stato di diritto e del diritto positivo, e, quindi, ha previsto ex lege poteri appositi: ad esempio, i decreti-legge vennero disciplinati nell’art. 3 della leg-ge n. 100 del 1926, e i poteri di ordinanza del prefetto nell’art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza ex r.d. n. 773 del 193150.

Questo orientamento normativo culmina nelle scelte del Costi-tuente, che si ripropone di risolvere il problema dell’emergenza tramite due istituti speciali (lo stato di guerra e lo scioglimento dei

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Consigli regionali), e uno di applicabilità generale e residuale, il de-creto-legge51.

Quanto alle ordinanze emergenziali – che nel quadro della Co-stituzione repubblicana taluno anche di recente considera un «fos-sile (dell’ordinamento statutario) del tutto incapace di adattarsi al mutato ambiente costituzionale»52 –, sin dalla sentenza n. 8 del 1956 la giurisprudenza della Consulta ha scartato la possibilità di dichiararle contrarie alla Carta costituzionale, e ha piuttosto iniziato un percorso di interpretazione adeguatrice che dopo oltre mezzo secolo prosegue tuttora, elaborando attraverso svariate pronunzie una serie di limiti stringenti per il relativo potere.

E, quindi, ha affermato che le ordinanze hanno natura ammini-strativa anziché normativa, e che di conserva devono avere sempre efficacia limitata nel tempo, che esse sono soggette al limite dei principi dell’ordinamento e a quello della riserva assoluta di legge, che devono essere proporzionate all’evento cui si vuole sovvenire, et cetera53.

Certo, a ben vedere il problema del rapporto di questo istituto con il principio di legalità non è mai stato interamente risolto: ac-canto a chi ritiene che la legalità sarebbe salvaguardata dall’obbligo di rispettare i principi dell’ordinamento, vi è chi ricorda che in de-finitiva «l’espressione legalità d’eccezione (…) di per sé è un ossi-moro (se è legalità non è eccezione; se è eccezione, sfugge alla lega-lità)»54.

Ma sia che le ordinanze emergenziali rappresentino una tra-sformazione del principio in parola, sia che invece ne segnino una attenuazione o sinanco una deroga55, sino agli anni novanta dello scorso secolo esse erano comunque destinate a costituire un feno-meno circoscritto e rinchiuso entro i confini delle emergenze, e quindi anche all’interno del recinto dei principi elaborati dalla giu-risprudenza costituzionale.

È però notorio che questi confini durante lo scorso decennio sono stati enormemente indeboliti dalla prassi applicativa delle or-dinanze di protezione civile «in deroga ad ogni disposizione vigen-te» ex lege n. 225/1992, le quali, come noto, in questo lasso di tem-po sono state impiegate correntemente per le evenienze più diverse, anche quando in realtà non sussiste alcuna effettiva emergenza.

E ciò soprattutto dopo che il comma 5 dell’art. 5-bis della legge n. 401 del 2001 di conversione del decreto-legge n. 343 del 2001 aveva consentito l’impiego dei poteri di ordinanza anche per i

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«grandi eventi» che fossero «diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato d’emergenza»: sicché i poteri in questione venivano impiegati per ogni tipo di manifestazione, non esclusa la pre-regata della Coppa America56.

Sicché già da tempo si è rilevato che a questa stregua il potere di ordinanza finisce per essere un succedaneo al decreto-legge, e, anzi, spesso sinanco «un modo per eludere l’art. 77 cost.»57, soprat-tutto perché le ordinanze sfuggono al controllo del parlamento.

A ciò si aggiunga che l’impiego surrettizio delle ordinanze di protezione civile ormai è divenuto di dimensioni tali da far parlare dell’instaurazione di «un vero e proprio sistema di diritto ammini-strativo parallelo a quello ordinario, che si estende alle categorie più diversi di fatti di amministrazione»58.

Ora, vero è che, come ha segnalato attenta dottrina, l’impiego delle ordinanze si riallaccia alla perenne dialettica tra legge e ammi-nistrazione, dato che quest’ultima cerca sempre di svincolarsi dai vincoli sanciti dal legislatore59, e pure che di questi tempi la nostra società avverte maggiormente l’incertezza, e quindi richiede inter-venti emergenziali con maggiore frequenza60.

Ma questi dati di per sé soli non bastano a spiegare perché l’incremento dell’impiego dei poteri di ordinanza si sia verificata soprattutto negli ultimi anni, sicché appare abbastanza evidente che pure questa prassi in ultima analisi ha rappresentato un altro modo per rafforzare la posizione dell’esecutivo, e, in seno a esso, la posi-zione del Presidente del Consiglio, a cui il testo originario della leg-ge n. 225 attribuiva un ruolo assolutamente preponderante.

E ciò sia perché il Dipartimento della Protezione civile è collo-cato presso la Presidenza del Consiglio, sia, soprattutto, perché al Presidente, oltre al potere di proporre al governo di deliberare lo stato di emergenza, spettava anche il potere di emanare le ordinan-ze emergenziali61.

Giova però ricordare che da ultimo, dopo gli scandali che alla fine dello scorso decennio hanno interessato la protezione civile, i poteri del Presidente del Consiglio sono stati in parte ridimensiona-ti dal decreto-legge n. 59 del 2012 convertito nella legge n. 100 del 2012, che attribuisce la competenza sulla emanazione delle ordi-nanze al Capo del dipartimento della protezione civile62, né va di-menticato che in precedenza il decreto-legge n. 1 del 2012, conver-tito nella legge n. 27 del 2012, aveva abrogato il comma 5 dell’art. 5 della legge n. 401/2001 sui «grandi eventi».

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6. Corte costituzionale e «stato governativo» A ben vedere le ordinanze sindacali ordinarie previste dall’art.

54 del Testo unico degli enti locali costituivano null’altro che uno svolgimento e uno sviluppo di questa tendenza.

Ora, è appena il caso di ricordare che dopo la legge n. 81 del 1993 la forma di governo degli enti locali ha assunto diversi tratti del presidenzialismo, e, quindi, ha recato un sensibile irrobustimen-to della posizione del Sindaco (e del Presidente della Provincia)63: per questo aspetto gli enti locali vengono anzi presi ad esempio da chi auspica un rafforzamento dell’esecutivo a livello nazionale64.

Non deve dunque stupire che, quando negli scorsi anni il pro-blema della sicurezza urbana si è aggravato (e, soprattutto, quando il problema è stato enfatizzato e drammatizzato da parte dei mezzi di comunicazione di massa), il legislatore abbia pensato di risolver-lo proprio potenziando ulteriormente il ruolo del Sindaco attraver-so il conferimento di poteri di ordinanza65.

Peraltro il fatto che si trattasse di poteri attribuiti al Sindaco quale ufficiale di governo non cambia la sostanza delle cose, per-ché, considerando la questione in ottica realistica, ci si avvede che questi poteri da sempre vengono esercitati senza particolari condi-zionamenti da parte dell’amministrazione statale66; del che pare avere preso atto pure la giurisprudenza amministrativa, che da tempo ha risolto il problema della legittimazione passiva in tema di impugnazione delle ordinanze sindacali emanate in questa veste af-fermando che essa spetta al Comune anziché al ministero dell’interno, in base alla considerazione che «l’ordinamento disciplina un feno-meno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell’atto dell’organo del Comune, nel senso che il Sindaco non diventa un ‘organo’ di un’amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, senza che il suo status sia modificato»67.

Né, tanto meno, deve stupire che accanto alle consuete ordi-nanze emergenziali nel decreto-legge n. 92 del 2008 fossero state previste anche le ordinanze ordinarie, destinate a essere emanate a prescindere dal presupposto dell’emergenza.

Questo istituto in definitiva rappresentava la traduzione legisla-tiva degli assetti concreti che si erano affermati nella prassi applica-tiva delle ordinanze di protezione civile.

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Una prassi secondo cui, come s’è visto, il potere di ordinanza oltrepassava i confini delle emergenze, e in sostanza diveniva uno strumento di amministrazione ordinario – senza poi considerare che il comma 5 dell’art. 5-bis della legge n. 401 del 2001 aveva con-sentito l’impiego dei poteri di ordinanza ex lege n. 225 per i «grandi eventi» anche senza che fosse stato deliberato lo stato d’emergenza68.

Secondo una delle possibili letture del comma 4 dell’art. 54 del T. u. e. l. il rafforzamento della posizione del Sindaco era tale che si era venuto ad avere «una sorta di sindaco legislatore con ‘giurisdi-zione’ su quasi tutti i rapporti della vita sociale nell’ambito della comunità (data la pervasiva estensione del concetto di sicurezza ur-bana)»69.

E così si andava ben al di là delle prospettive della legalità re-golamentare (che, come s’è detto, potrebbe assolvere alle funzioni svolte del principio di legalità inteso in senso tradizionale), perché, come ha puntualmente rilevato la Corte, qui veniva meno la possi-bilità di assicurare una qualche forma di isonomia e di prevedibilità dei pubblici poteri.

In sostanza, si trattava di un ritorno alla concezione del potere amministrativo di Ranelletti: o, forse, di un ritorno, o di un appro-do, a quello che Schmitt, contrapponendolo allo «stato legislativo», connotato dal rispetto del principio di legalità, definiva suggestiva-mente come «stato governativo», ove l’attività dei pubblici poteri, svincolata da ogni regola generale, è destinata a esprimersi caso per caso per il tramite della emanazione di un «comando concreto, ese-guibile o applicabile immediatamente»70.

A questa stregua il nuovo potere di ordinanza in ultima analisi costituiva dunque il culmine di una tendenza che metteva in discus-sione la stessa forma di governo prevista dalla Costituzione vigente: e che difficilmente poteva essere giustificato con una qualche lettu-ra evolutiva delle disposizioni costituzionali, o essere ascritto a un qualche tipo di trasformazione implicita della Carta fondamentale, perché sembrava piuttosto condurre a una rimozione della forza normativa di alcune disposizioni della Costituzione, e quindi evo-cava ciò che viene definito come una rottura degli assetti costitu-zionali71.

È dunque abbastanza ovvio che per la Corte era difficile esi-mersi dal censurare il nuovo istituto, e con esso il tentativo di un passaggio dallo «stato legislativo» allo «stato governativo»: soprat-tutto se si considera che a partire dalla metà degli anni novanta del-

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lo scorso secolo la Consulta ha cercato di censurare i principali abusi dell’impiego dello strumento del decreto-legge (nelle senten-ze n. 29 del 1995, sulla non sanabilità dei vizi del decreto per il tramite della legge di conversione, n. 360 del 1996, sulla illegittimi-tà della reiterazione dei decreti-legge, n. 22 del 2012, sulla illegitti-mità delle norme eterogenee rispetto all’oggetto del decreto inserite nella legge di conversione), i quali recano anch’essi un’alterazione della forma di governo, ma, a ben vedere, di gravità decisamente minore72.

NOTE

1 Su cui si veda, per tutti, R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, To-rino, 2006, p. 26 e ss., e cfr. F. Volpe, Il principio di nominatività, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 349 e ss.

2 Tra gli autori che prima delle pronunzie della Consulta si sono occupati delle ordi-nanze previste dal nuovo testo dell’art. 54 del t.u. e. l. si veda almeno A. Pajno, La ‘sicurezza urbana’ tra poteri impliciti e inflazione normativa, in Id. (a cura di), La sicurezza urbana, Ri-mini, 2010, p. 9 e ss., L. Vandelli, Le ordinanze del sindaco in materia di sicurezza urbana, in «astrid-online.it», V. Italia, G. Bottino, Il potere di ordinanza del Sindaco in materia di ‘inco-lumità pubblica’ e ‘sicurezza urbana’ nella giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regiona-li, in «Foro amm. – Tar», 2010, p. 3022 e ss., G. Meloni, Il potere ordinario dei sindaci di or-dinanze extra ordinem, in «federalismi.it», i contributi di S. Franchioni, M. Carrer, G. Ventu-ra, E. Comi, A. Lorenzetti, in A. Lorenzetti, S. Rossi (a cura di), Le ordinanze sindacali in ma-teria di incolumità pubblica e sicurezza urbana. Origini, contenuti, limiti, Napoli, 2009, e quelli di C. Caruso, F. Corvaja, T. F. Giupponi, A. Guazzarotti, F. Cortese, F. Furlan, A. Cassatel-la, P. Bonetti pubblicati nel n. 1-2/2010 de «Le Regioni», dedicato interamente alle ordinan-ze sindacali dopo il d.l. n. 92 del 2008.

3 La sentenza n. 196/2009 è commentata da P. Bonetti, La prima interpretazione costi-tuzionalmente conforme (e restrittiva) dei provvedimenti (anche ordinari) dei Sindaci in mate-ria di sicurezza urbana e l’opinabile sopravvivenza dei Sindaci quali ‘ufficiali di Governo’, e da T.F. Giupponi, ‘Sicurezza urbana’ e ordinanze sindacali: un primo (e inevitabilmente parziale) vaglio del Giudice delle leggi, in «Le Regioni», 2009, p. 1403 e ss. e 1421 e ss. Sulla sentenza n. 115/2011 si vedano i commenti di V. Cerulli Irelli, Sindaco legislatore?, di D. Morana, La rivincita dell’art. 23 Cost. sulle ordinanze di sicurezza urbana (senza bisogno di invocare un principio supremo della Stato di diritto) di A. Cardone, l’incostituzionalità della riforma delle ordinanze sindacali tra ‘presupposizione legislativa’ e ‘conformità alla previa legge’: un doppio regime per la riserva relativa?, in «Giur. Cost.», 2011, p. 1600 e ss., 1606 e ss., 2065 e ss., G. Tropea, Una rivoluzionaria sentenza restauratrice (in margine a Corte cost., n. 115/2011), in «Dir. amm.», 2011, p. 623 e ss., G. Meloni, Le ordinanze (forse non solo) ordinarie dei Sindaci in materia di sicurezza urbana tra legalità sostanziale e riserve relative (il detto e il non detto nella sentenza n. 115/2011 della Corte costituzionale), in «federalismi.it», di M. Carrer, Le or-dinanze dei Sindaci e la scorciatoia della Corte, S. Parisi, Dimenticare l’obiezione di Zagrebel-sky? brevi note su legalità sostanziale e riserva relativa nella sent. n. 115/2011, P. Cerbo, Prin-cipio di legalità e ‘nuove ed inedite’ fattispecie di illecito create dai Sindaci, nel forum on line di

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«Quad. Cost.», di A. Rissolio, Poteri di ordinanza del Sindaco dopo la sentenza della Corte co-stituzionale 4 aprile 2011, n. 115, in «Foro amm. – Tar», 2012, p. 2183 e ss.

4 Lo ha rilevato in particolare Morana, La rivincita, cit. 5 E’ la definizione di legalità sostanziale che viene data da R. Guastini, Legalità (princi-

pio di), in Dig. Disc. pubbl., Torino, 1994, IX, p. 89, che correlativamente definisce accezione debole la legalità formale e debolissima la mera preferenza di legge. In termini si veda anche G. Corso, Il principio di legalità, in M. A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministra-tiva, Milano, 2011, p. 9 e ss.

6 Gli orientamenti della giurisprudenza della Corte in proposito vengono ricostruiti fi-nemente da D. De Pretis, B. Marchetti, La discrezionalità della pubblica amministrazione, in M. Dugato, G. Dalla Cananea (a cura di), Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Na-poli, 2006, p. 341 ss. Sull’elaborazione dottrinale della legalità sostanziale si veda almeno S. Cognetti, Profili sostanziali della legalità amministrativa. Indeterminatezza della norma e limiti della discrezionalità, Milano, 1993.

7 Lo rileva in particolare S. Parisi, Dimenticare l’obiezione di Zagrebelsky?, cit. 8 M. Nigro, L’azione dei pubblici poteri. Lineamenti generali, ora in Id., Scritti giuridici,

III, Milano, 1996, p. 1618, originariamente in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1984, p. 693 e ss.

9 F.G. Scoca, Attività amministrativa, in Enc. dir. Aggiornamento, VI, Milano, 2002, p. 85. 10 Ad esempio, la pretesa dicotomia tra legalità e legittimità, ove quest’ultima venga in-

tesa come «la rispondenza (di un atto) ai valori di fondo di una comunità» – M. D’Amico, Legalità (dir. cost.), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, IV, p. 3365, riprendendo le note tesi di C. Schmitt, Legalità e legittimità, che può leggersi in G. Miglio, P. Schiera (a cura di), Le categorie del ‘politico’, Bologna, 2008, p. 211 e ss. – perché le costituzioni moderne sinora sembrano avere risolto uno dei problemi di fondo del positivi-smo giuridico incorporando al loro interno principi morali, e, quindi, operando «la stabiliz-zazione del punto di vista morale all’interno del diritto positivo» (L. Mengoni, Note sul rap-porto tra diritto e morale, ora in Id., Scritti. I. Metodo e teoria giuridica, Milano, 2011, p. 29). Non a caso nella seconda metà del secolo scorso l’espressione legittimità viene impiegata in accezioni diverse: ad es., da F. Levi, Legittimità (dir. amm.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 127 e ss., per indicare la conformità dell’azione amministrativa, oltre che alla legge, anche alle regole non scritte. Da segnalare però che da ultimo la stessa conciliazione tra dirit-to e morale operata dalle costituzioni contemporanee talora viene ritenuta non interamente soddisfacente, cfr. in proposito almeno F. Viola, Come la natura diventa norma, L. Patruno, L’oscuro fondamento del diritto di natura, entrambi in «Dir. pubbl.», 2011, p. 147 ss. e 169 ss.

11 F. Merusi, Recenti avventure e disavventure della legalità amministrativa, in Id., Sen-tieri interrotti della legalità, Bologna, 2007, p. 9 (corsivo nell’originale).

12 S. Cassese, Alla ricerca del sacro Graal. A proposito della rivista Diritto pubblico, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 1995, p. 795. Ma per un’impostazione per certi aspetti analoga si veda F. Satta, Principio di legalità e pubblica amministrazione nello stato democratico, Padova, 1969.

13 S. Fois, Legalità (principio di), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, p. 663 ss. 14 A. Travi, Presentazione del tema del convegno, in Il principio di legalità nel diritto

amministrativo che cambia, Milano, 2008, p. 29. 15 O. Ranelletti, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1949, p. 190. 16 G. Zanobini, L’attività amministrativa e la legge, ora in Id., Scritti vari di diritto pub-

blico, Milano, 1955, 206. Sull’alternativa tra queste due linee di pensiero si veda almeno F. Levi, Legittimità, cit., che tra l’altro ricorda che in passato la prima era prevalsa in particolare in Germania, e la seconda in particolare in Francia.

17 La prima opinione sinora è stata prevalente, ed è sostenuta tra gli altri da G. Zagre-belsky, Manuale di diritto costituzionale. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1999, p. 53, e da R. Balduzzi, F. Sorrentino, Riserva di legge, voce in Enc. dir., Milano, 1989, XL, p. 1218; la seconda invece in particolare da L. Carlassarre, a partire da Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966. Anche se l’alternativa sembrerebbe netta, pure qui non mancano le posizioni intermedie: quale quella di S. Fois, che in Legalità, cit., p. 689 e ss., si schiera sì per una concezione formale di legalità, ma al contempo afferma che la legge deve

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necessariamente individuare la materia oggetto del potere amministrativo e il fine a cui esso deve tendere: sicché L. Carlassarre, La concezione della legalità in Sergio Fois, in A. Vignudel-li (a cura di), La dottrina di Sergio Fois, Modena, 2012, p. 42 e s., rileva che questa concezio-ne in definitiva si avvicina alla legalità sostanziale. Né va dimenticato che parte della dottrina afferma che il principio in parola si atteggia in senso formale per gli atti normativi, e in senso sostanziale per gli atti concreti: ad es., G.U. Rescigno, Sul principio di legalità, in «Dir. pubbl.», 1995, p. 262 e ss.

18 Come noto, M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, I, p. 88, afferma che il principio «attiene all’attività amministrativa in quanto questa si esprime in atti aventi un contenuto autoritario (...)». Sull’applicazione del principio all’attività di diritto privato si veda almeno C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica ammi-nistrazione, Milano, 1982, e F. Trimarchi Banfi, Il principio di legalità e l’impiego del diritto privato per compiti dell’amministrazione pubblica, in «Amministrare», 2008, p. 5 e ss.; per quanto riguarda il rapporto tra legalità e organizzazione amministrativa si veda da ultimo A. Pioggia, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblicistica e diritto privato, Torino, 2001.

19 In questo secondo senso si veda F. Sorrentino, Lezioni sul principio di legalità, Tori-no, 2007, p. 25 e ss., e, amplius, S. Fois, La riserva di legge. Lineamenti storici e problemi at-tuali, ora in Id., La crisi della legalità. Raccolta di scritti, Milano, 2010, p. 1 e ss.

20 Lo ha dimostrato l’acuta indagine di A. Travi, Giurisprudenza amministrativa e prin-cipio di legalità, in «Dir. pubbl.», 1995, p. 91 e ss. Il peculiare approccio del G.A. nei con-fronti del principio in parola è testimoniato anche dalla recente C.S., IV, n. 1120 del 2012, annotata da M. Massa, Due sentenze ambiziose sul potere normativo dell’amministrazione, in «Giorn. dir. amm.», 2012, p. 1088 e ss.

21 La citazione nel testo è di S. Cassese, Le basi costituzionali, in Id. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, Milano, I, 2000, p. 202, ma si veda in questo senso almeno anche F. G. Scoca, Attività, cit., p. 88 e ss., e gli autori ivi citati. In termini di legalità regolamentare parla invece N. Lupo, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003, passim. Contra si veda N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, spec. p. 196 e ss.

22 A. Romano, Relazione di sintesi, in C. Pinelli (a cura di), Amministrazione e legalità, Milano, 2000, p. 95 e ss.

23 Sulla legalità di risultato si veda almeno L. Iannotta, Principio di legalità e ammini-strazione di risultato, in Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamenti, cit., p. 37 e ss., e, dello stesso a., Scienza e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministrativo tra es-sere e divenire, in «Dir. amm.», 1996, p. 579 ss., e La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in «Dir. proc. amm.», 1998, p. 299 e ss., M.R. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003, nonché i contributi pubblicati in M. Immordino, A. Police (a cura di), Principio di legalità e ammini-strazione di risultato, Torino, 2004.

24 Le norme dell’art. 21-octies, come noto, hanno dato origine a un dibattito dottrinale e giurisprudenziale quasi torrenziale: a cui qui ovviamente non si può neppure far cenno per sommi capi, sicché, per quanto riguarda il modo in cui i contenuti di questa disposizione si rapportano al principio di legalità si preferisce rinviare a D. Sorace, Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, cit., p. 363 e ss., e a S. Civitarese Matteucci, La forma presa sul serio. Formalismo pra-tico, azione amministrativa e illegalità utile, Torino, 2006.

25 È un passo di C. S., VI, n. 7972/2006, annotata in «Giorn. dir. amm.», 2007, p. 378 ss. da S. Screpanti, La partecipazione ai procedimenti regolati dalle Autorità indipendenti, cui si rinvia per riferimenti giurisprudenziali e dottrinali; oltre alla dottrina ivi citata si veda al-meno anche L. Torchia, Vent’anni di potere antitrust: dalla legalità sostanziale alla legalità procedurale nell’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in C. Rabitti Be-dogni, P. Barucci (a cura di), 20 anni di Antitrust. L’evoluzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Torino, 2010, I, p. 361 e ss., M. Ramajoli, Procedimento regolato-rio e partecipazione, in «giustamm.it», M. Macchia, Amministrazione pubblica, principio di le-

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galità e regole di diritto, in L. Torchia, Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, 2010, p. 23 e ss., N. Bassi, Principio di legalità e principio di certezza del diritto a confronto nella regolazione amministrativa dei servizi economici generali, in E. Bruti Liberati, F. Donati (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2010, p. 157 e ss., P. Pantalone, Poteri impliciti delle Authorities e ‘torsioni’ del principio di legalità, in «giu-stamm.it».

26 Si veda, in questo senso, per tutti, L. Carlassarre, Legalità (principio di), in Enc. giur. Sulle origini e sulla evoluzione del principio si veda, nella letteratura recente, B. Sordi, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia. La prospettiva storica, in Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, cit., 33 e ss., D. Zolo, Teoria e critica dello Stato di diritto, in P. Costa, D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Mila-no, 2002, p. 17 e ss., P. Costa, Lo Stato di diritto: un’introduzione storica, ivi, p. 89 e ss., N. Bassi, Principio di legalità, passim. Tra gli studi meno recenti si veda almeno S. Fois, La riser-va di legge, cit.

27 R. Carre’ De Malberg, La legge espressione della volontà generale, Milano, 2008. 28 Espressione questa che viene impiegata sia da Cassese, Le basi costituzionali, cit., sia

da Carlassarre, Legalità, cit. 29 M. Dogliani, Il principio di legalità dalla conquista del diritto all’ultima parola alla

perdita del diritto alla prima, in Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, cit., p. 66.

30 Sul rapporto tra principio di legalità e autonomie, si veda, in generale, G. Pastori, Principio di legalità e autonomie locali, in Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, Milano, 2008, p. 267 e ss., e G. Berti, Amministrazione comunale e provinciale, Pado-va, 1994, p. 31 e ss. Per il dibattito dottrinale apertosi su questo tema dopo la riforma del 2001, che come noto ha apprestato maggiori garanzie a favore di statuti e regolamenti degli enti locali si veda, per tutti, G. Di Cosimo, I regolamenti nel sistema delle fonti. Vecchi nodi teorici e nuovo assetto costituzionale, Milano, 2005, p. 61 e ss.

31 In particolare, a partire da Corte Cost. nn. 383/1998 e 425/1999 – sulla prima pro-nunzia (che, per vero, testualmente fa riferimento alla riserva di legge) si veda G. Greco, Ri-serva relativa di legge e criteri (impliciti) desunti dalla normativa comunitaria: il caso del nume-ro chiuso alla Facoltà di Medicina, in «Riv. it. dir. pubbl. com.», 1999, p. 867 e ss. In proposi-to si veda, in generale, M. Cartabia, J.H. Weiler, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costi-tuzionali, Bologna, 2000, p. 188 e ss., F. Merusi, L’integrazione fra la legalità comunitaria e la legittimità amministrativa nazionale, in «Dir. amm.», 2009, p. 43 e ss., M. Macchia, Legalità amministrativa e violazione di diritti non statali, Milano, 2012.

32 Basti vedere S. Romano, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, ora in Id., Scritti minori, I, Milano, 1950, p. 47 e ss., e la dottrina ivi citata. D’altra parte F. Satta, Prin-cipio di legalità, cit., p. 9, rileva che il principio in questione nella sua accezione più rigorosa «è praticamente irrealizzabile, e probabilmente mai è stato realizzato».

33 Si veda, per tutti, E. Forsthoff, Le leggi-provvedimento, in Id., Stato di diritto in tra-sformazione, Milano, 1973, p. 114 e ss. Sulla figura delle leggi-provvedimento si veda, nella dottrina recente, l’approfondita trattazione di S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Mi-lano, 2007, e sia permesso rinviare anche al mio Giusto procedimento e interpretazioni della Costituzione, in «Foro amm. – Tar», p. 2707 e ss. Sui guasti cagionati dall’odierno modo di legiferare si veda, per tutti, B.G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011.

34 Nell’amplissima letteratura sulle conseguenze del mutato clima istituzionale nei con-fronti dell’economia si veda almeno F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti. Un ro-manzo ‘quasi’ giallo, Bologna, 2000, e Diritto contro economia. Resistenze istituzionali all’innovazione economica, Torino, 2006, G. Di Gaspare, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2003. Sulla vexata quaestio del fondamento dei poteri normativi delle autorità si veda, riassuntivamente, G. Grasso, Le autorità amministrative indipendenti della Repubblica. Tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Milano, 2006, p. 209 e ss., e la dottrina ivi citata.

35 F. Bassi, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato, Milano, 1969, p. 48 e ss.

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36 E. Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, p. 457 e ss. (corsivi nell’originale). Ma si veda in questo senso almeno anche A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto, in Commentario Scialoja-Branca del Codice civile, I ed., Bologna-Roma, 1977, p. 202 e ss.

37 Si veda, per tutti, L. Carlassarre, Regolamento (dir. cost. ), voce in Enc. dir., XXXIX, Milano, p. 605 e ss. Il dibattito sul punto è sintetizzato da R. Bin, G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Torino, 2009, p. 185 e ss.

38 Si veda, sul punto, C. Mortati, Le forme di governo. Lezioni, Padova, 1973, p. 261 e ss. 39 Cfr., in generale, G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, Ro-

ma-Bari, 1997, e, in ordine ai poteri normativi, L. Gianniti, N. Lupo, Il governo in parlamen-to: la fuga verso la decretazione delegata non basta, in S. Ceccanti, S. Vassallo (a cura di), Co-me chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, Bologna, 2004, p. 225 e ss.

40 A. Simoncini, La teoria del diritto naturale e il disorientamento del giurista contempo-raneo, prefazione a R.P. George, Il diritto naturale nell’età del pluralismo, Torino 2011, p. 27.

41 Lo si legge in Corte cost. n. 303/2003. Si veda in proposito N. Lupo, ‘Dal regolamen-to alla legge’. Semplificazione e delegificazione: uno strumento ancora utile?, in «giustamm.it», n. 7/2005, e G. di Cosimo, I regolamenti nel sistema delle fonti, cit., p. 127.

42 È la definizione che viene data ad esempio da M. Cartabia, Il Governo ‘signore delle fonti’?, in M. Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella (a cura di), Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e giudici, Torino, 2011, p. 169 e ss.

43 Si veda, in proposito, almeno gli scritti pubblicati in A. Simoncini (a cura di), L’emergenza infinita. La decretazione d’urgenza in Italia, Macerata, 2006.

44 A. Predieri, Parlamento, in Id. (a cura di), Il Parlamento nel sistema politico italiano, Milano, 1975, p. 80.

45 Si veda G. Parodi, Le fonti del diritto. Linee evolutive, Milano, 2012, p. 302 e ss., N. Lupo, ‘Dal regolamento alla legge’, cit., e, amplius, E. Albanesi, I decreti del Governo ‘di natu-ra non regolamentare’: un percorso interpretativo, in M. Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella (a cura di), Gli atti normativi, cit., p. 169 e ss.

46 S. Ceccanti, La democrazia immediata e le sue garanzie, in T.E. Frosini, C. Bassu, P.L. Petrillo (a cura di), Il presidenzialismo che avanza. Come cambiano le forme di governo, Roma, 2009, p. 51 e s.

47 Cfr., nella letteratura giuridica, G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni del-la politica, Roma-Bari, 1998, e, più di recente, i contributi pubblicati in T.E. Frosini (a cura di), Il premierato nei governi parlamentari, Torino, 2004, e in T.E. Frosini, C. Bassu, P.L. Pe-trillo (a cura di), Il presidenzialismo che avanza. Come cambiano le forme di governo, cit. ; e, in quella politologica, F. Musella, Il premier diviso. Italia tra presidenzialismo e parlamentarismo, Milano, 2012.

48 C. Schmitt, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in G. Mi-glio, P. Schiera (a cura di), Le categorie del ‘politico’, cit., p. 39.

49 S. Romano, Osservazioni preliminari per una teoria sui limiti della funzione legislativa nel diritto italiano, ora in Id. Scritti minori, Milano, 1950, p. 194 e s. Ma in questo senso si veda almeno, dello stesso a., anche Sui decreti-legge e lo stato di assedio in occasione del ter-remoto di Messina e di Reggio-Calabria, ivi, p. 287 e ss., e G. Miele, Le situazioni di necessità dello Stato, in «Arch. Dir. pubbl.», 1936, p. 425 e ss.

50 V., per tutti, S. Cassese, I paradossi dell’emergenza, in Il diritto amministrativo dell’emergenza, Milano, 2006, p. 223, ove rileva che in generale «nella tensione, propria della disciplina dell’emergenza, tra Not e Gebot, lo Stato di diritto ha, dunque, conquistato molte posizioni rispetto alla primitiva definizione dell’emergenza».

51 Così, da ultimo, G. Marazzita, L’emergenza costituzionale. Definizione e modelli, Mi-lano, 2003, p. 323 ss. Sull’emergenza nella Costituzione oltre a questo a. si veda almeno an-che P. Pinna, L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1988, e V. Angio-lini, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986.

52 Marazzita, L’emergenza costituzionale, cit. p. 448.

GIUSEPPE MANFREDI

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53 Come noto la letteratura in proposito è vastissima: per uno sguardo d’insieme (oltre che per ampi riferimenti dottrinali) si veda comunque C. Marzuoli, Il diritto amministrativo dell’emergenza: fonti e poteri, in Il diritto amministrativo dell’emergenza, cit., p. 5 e ss. e A. Pizzorusso, Fonti del diritto, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, II ed., Bolo-gna, 2011, p. 555 e ss.

54 S. Cassese, I paradossi dell’emergenza, cit., loc. cit. Per la prima posizione cfr. R. Ca-vallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità. Le ordinanze amministrative di necessità e urgenza, Milano, 1990, spec. p. 415 e ss.

55 Cfr., in quest’ultimo senso, ad es., M. Ramajoli, Potere di ordinanza e Stato di diritto, in «giustamm. it», n. 1/2011, che rileva appunto che le ordinanze costituiscono la negazione della legalità.

56 È l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3377, del 22 settembre 2004, che viene citata come esempio delle tendenze in materia da M. Gnes, Limiti e tendenze dei poteri di urgenza, in Il diritto amministrativo dell’emergenza, cit., p. 213.

57 G.U. Rescigno, Sviluppi e problemi nuovi in materia di ordinanze di necessità e urgen-za e altre questioni in materia di protezione civile alla luce della sentenza n. 127 del 1995 della Corte costituzionale, in «Giur. cost.», 1995, p. 2189. Si veda, in questo senso, per tutti, C. Pi-nelli, Un sistema parallelo. Decreti-legge e ordinanze d’urgenza nell’esperienza italiana, in «Dir. pubbl.», 2009, p. 317 e ss.

58 V. Cerulli Irelli, Principio di legalità e poteri straordinari dell’amministrazione, in «Dir. pubbl.», 2007, p. 377. In questo senso in precedenza opinava già F. Salvia, Il diritto amministrativo e l’emergenza derivante da cause e fattori interni all’amministrazione, in Il di-ritto amministrativo dell’emergenza, cit., p. 93 e ss. Questa linea di pensiero da ultimo viene svolta da M. Brocca, L’altra amministrazione. Profili strutturali e funzionali del potere di ordi-nanza, Napoli, 2012. A prescindere dalla legittimità di questa prassi, va detto che spesso si è dubitato anche della concreta efficacia di impieghi siffatti dei poteri emergenziali: si veda, per alcune vicende concrete, C. Iannarello, L’emergenza rifiuti in Campania: i paradossi delle gestioni commissariali, in «Rass. dir. pubbl. europeo», 2007, p. 137 e ss., A. Roccella, Milano in stato di eccezione, in «giustamm.it», nonché gli scritti pubblicati in P. Mantini (a cura di), Il diritto pubblico dell’emergenza e della ricostruzione in Abruzzo, Padova, 2010.

59 Cfr. Ramajoli, Potere di ordinanza e Stato di diritto, cit. 60 Così A. Fioritto, L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, cit., passim. 61 La valenza di rafforzamento dell’esecutivo della prassi in tema di ordinanza di prote-

zione civile di recente è stata rilevata da diversi autori: le trattazioni più approfondite si de-vono a G. Razzano, L’amministrazione dell’emergenza. Profili costituzionali, Bari, 2010, p. 253 e ss., e a S. Agosta, Il potere d’ordinanza contingibile e urgente quale laboratorio costitu-zionale a cielo aperto, in M. Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella (a cura di), Gli atti norma-tivi del Governo, cit., p. 197 e ss. Questa valenza però viene rilevata anche da diversi altri au-tori, quali ad es. V. Cerulli Irelli, Sui poteri del Governo e del Presidente del Consiglio in Ita-lia, in «astridonline. it»; U. Allegretti, Sulla gravità della situazione italiana all’avvio del se-condo decennio del secolo, in «Dem. dir.», 2009, p. 13; L. Ferrajoli, Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Roma-Bari, 2011, p. 23. Anche la dottrina che esclude l’illegittimità delle prassi applicative delle ordinanze emergenziali di cui si dice nel testo la colloca nel con-testo della crisi del parlamentarismo: si veda A. Cardone, La ‘normalizzazione’ dell’emergenza. Con-tributo allo studio del potere extra ordinem del Governo, Torino, 2011, passim.

62 Si veda, in proposito, A. Fioritto, La riforma della protezione civile, in «Giorn. dir. amm.», 2012, p. 1063.

63 Si veda, in proposito, per tutti, L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, Bolo-gna, 2004, p. 120 e ss., Id., Sindaci e miti, Bologna, 1997, p. 13 e ss. e passim, e G. Vesperini, I poteri locali, Roma, 1999, p. 251 e ss.

64 Cfr. in particolare G. Baldini, La prima prova del modello neoparlamentare: il governo delle città italiane nel decennio 1993-2002, in S. Ceccanti, S. Vassallo (a cura di), Come chiu-dere la transizione, cit., p. 151 e ss.

65 Cfr. A. Guazzarotti, L’autoapplicabilità delle norme. Un percorso costituzionale, Na-poli, 2011, p. 144 e s.

POTERI DI ORDINANZA, LEGALITÀ, ‘STATO GOVERNATIVO’

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66 Come ognun sa, il potere prefettizio di annullamento delle ordinanze ex art. 54 t. u. e. l. (e, in precedenza, di quelle ex art. 38 della legge n. 142/1990) in concreto è sempre stato esercitato estremamente di rado.

67 Così C.S., V., n. 4448/2007 – che può leggersi in «dejure.it» – riprendendo un orien-tamento consolidato.

68 Non pare casuale che la dottrina che non critica a priori l’espansione dei poteri emergenziali ne affermi la continuità con i poteri amministrativi ordinari, ove rileva che il po-tere emergenziale sarebbe «insito nel più generale potere attribuito all’amministrazione per la cura di un interesse pubblico e opera come continuazione del potere amministrativo ordina-rio»: così Fioritto, L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, cit., p. 244.

69 Cerulli Irelli, Sindaco legislatore?, cit., 1604. 70 Schmitt, Legalità e legittimità, cit., p. 217. 71 La definizione della nozione che viene ripresa nel testo è di M. Luciani, Dottrina del

moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in «associazionedeicostitu-zionalisti.it», p. 3, ma nella dottrina italiana recente si veda almeno anche F. Lanchester, La Costituzione tra elasticità e rottura, Milano, 2011; sulle trasformazioni implicite della Costitu-zione, si veda, per tutti, S. Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repub-blicana, Bologna, 2004, e G. Bognetti, Per una storia autentica e integrale della Costituzione repubblicana e della sua evoluzione (appunti a margine di un libro di S. Bartole), in «associa-zionedeicostituzionalisti.it».

72 Sul parallelismo tra gli abusi del potere di ordinanza e gli abusi del decreto-legge si veda ancora Pinelli, Un sistema parallelo, cit.