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MIMESIS LGBT OMOGENITORIALITÀ Filiazione, orientamento sessuale e diritto A cura di Alexander Schuster

MIMESIS LGBT OMOGENITORIALITÀ Filiazione, orientamento sessuale e diritto

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MIMESISLGBT

OMOGENITORIALITÀ Filiazione, orientamento sessuale e diritto

A cura diAlexander Schuster

© 2011 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) Collana: LGBT n. 6 www. mimesisedizioni. it / www. mimesisbookshop. com Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono e fax: +39 02 89403935 Via Chiamparis, 94 – 33013 Gemona del Friuli (UD) E-mail: [email protected]

La presente pubblicazione è stato realizzata con il contributo della Commissione euro-pea, programma Diritti Fondamentali e Cittadinanza 2007-2013, nel quadro dell'azio-ne Equal Jus – Rete europea per la tutela giuridica dei diritti LGBT. Maggiori infor-mazioni sul progetto sono disponibili all'indirizzo http://www.equal-jus.euLa responsabilità dei contenuti è esclusivamente degli autori e non esprime in alcun modo il punto di vista della Commissione europea, la quale non sarà responsabile dell'utilizzo delle informazioni ivi contenute.

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ALEXANDER SCHUSTER

L’ABBANDONO DEL DUALISMO ETERONORMATIVO DELLA FAMIGLIA

SOMMARIO: 1. Un principio non più essenziale. – 2. Da sesso a genere. – 2.1 Per una nozione giuridica di genere. – 3. Il valore “sovversivo” del diritto europeo. – 3.1 La CEDU rivista. – 3.2. La cittadinanza dell’Unione. – 4. Conclusioni.

Toute loi trop souvent transgressée est mauvaise : c’est au législateur à l’abroger ou à la changer.1

1. Un principio non più essenziale

Per un diritto che nasce da una tradizione religiosa fondata sull’unione fra un uomo e una donna sancita dal matrimonio e la cui fi nalità primaria è la procreazione, il tema dell’omogenitorialità rappresenta una sfi da no-tevole. Tuttavia, la diffi coltà di un problema non è una giustifi cazione per non affrontarlo o, addirittura, per negarne l’esistenza. La vita procede oltre il diritto quando questo si manifesta statico e insensibile alla incessante evoluzione della storia umana. Come suggeriscono le concise ma eloquen-ti parole di Marguerite Yourcenar, quando il corso della vita travolge gli sbarramenti che il diritto gli pone, allora le leggi devono essere riviste, reinterpretate, rinnovate.

Il cammino per abbandonare il dualismo eteronormativo2 che ha confor-mato per secoli gli ordinamenti nazionali è stato intrapreso da molti Sta-

1 «Ogni legge trasgredita troppo spesso è cattiva; spetta al legislatore abrogarla o emendarla». M. Yourcenar, Mémoires d’Hadrien, Paris, Gallimard, 1974, 120, trad. it. Le memorie di Adriano, Torino, Einaudi, 1988.

2 Il termine eteronormatività indica l’esistenza di un paradigma a fondamento di norme morali, sociali e giuridiche basato sul presupposto che vi sia un orienta-mento sessuale corretto, quello eterosessuale, che vi sia una coincidenza fra il sesso biologico e il genere e che sussista una naturale e necessaria complementa-rietà fra uomo e donna, sia con riferimento ai ruoli sessuali che sociali e culturali. Pare il termine sia stato avanzato per primo da M. Warner, Introduction: Fear of a Queer Planet, in Social Text, 1991, 29, 3-17. Secondo L. Berlant, M. Warner, Sex in Public, in Critical Inquiry, 1998, 24, 547-566, 548, «[b]y heteronormativity we mean the institutions, structures of understanding and practical orientations that

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ti, europei e non. Rispetto agli altri ordinamenti della tradizione giuridica occidentale l'Italia appare arroccata su posizioni fortemente ancorate alla tradizione, con un legislatore restio ad affrontare il problema per la delica-tezza e complessità delle questioni che pone. La deferenza degli interpreti del diritto verso le presunte volontà del legislatore, deferenza che talvol-ta si riscontra in giurisprudenza e dottrina, costituisce ulteriore ostacolo all'evoluzione delle norme italiane.3 La Corte costituzionale, evidenziando la natura «creativa» che avrebbe un'interpretazione dell'articolo 29 Costi-tuzione che prescindesse dal genere della coppia, ha rimesso la questione interamente nelle mani del Parlamento.

Introdurre una simile riforma sarebbe certo un atto dalla portata radica-le, foriero di una palingenesi del diritto, chiamato a rinascere dalle ceneri eteronormative dell'ordinamento. Rimane da chiedersi se tale palingenesi sia oramai atto, per quanto diffi cile, comunque inevitabile o se essa debba piuttosto essere evitata per presunte conseguenze defl agranti che avrebbe sul sistema.

Si osserverà che l'affermazione dei diritti civili e politici nel rispetto dell'eguaglianza e della dignità delle persone può essere ritardata, ma la storia non può essere fermata. Altrove, quando il diritto nazionale ha com-piuto passi importanti per mutare di paradigma,4 la tenuta del sistema giu-

make heterosexuality seem not only coherent – that is, organised as sexuality – but also privileged. Its coherence is always provisional, and its privilege can take several (sometimes contradictory) forms: unmarked, as the basic idiom of the personal and the social; or marked as natural state; or projected as an ideal or moral accomplishment.»

3 Il riferimento è chiaramente alla sentenza 14-4-2010, n. 138 della Corte costitu-zionale, la quale ha esplicitamente statuito – e poi confermato con due ordinanze successive, 23-6-2010, n. 276, e 10-01-2011, n. 4 – che, nel richiamare la nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 Cost., afferma come in essa sia «da annove-rare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.» I giudici, tutta-via, hanno sostenuto un’interpretazione storicamente vincolata del primo comma dell’art. 29, i cui termini avrebbero un signifi cato che è quello dell’epoca dei costituenti, sicché «[q]uesto signifi cato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.»

4 L’idea del mutamento di paradigma o paradigm shift nelle scienze è stata teoriz-zata innanzitutto da T. S. Kuhn, The Structure of Scientifi c Revolutions, Chicago, University of Chicago Press, 1970, III ed., trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifi che, Torino, Einaudi, 2009. L’autore evidenzia come il cambio di paradig-

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ridico non ne è stata pregiudicata. Sono eloquenti le parole dei giudici della Corte costituzionale belga:

[L]a circostanza che la Costituzione attribuisca un’importanza particola-re all’uguaglianza fra uomo e donna . . . non ha come conseguenza che «il dualismo sessuale fondamentale del genere umano» possa essere considerato come un principio dell’ordine costituzionale belga. Nemmeno gli articoli 12 CEDU e 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici possono essere interpretati nel senso di obbligare gli Stati contraenti a considerare il “dualismo sessuale fondamentale del genere umano” come un fondamento del proprio ordine costituzionale.5

Anche la ratio del legame giuridico della fi liazione è mutata. Da vincolo di sangue, biologico e genetico diviene genitorialità elettiva e sociale, san-zione giuridica di una responsabilità che è prima di tutto morale di fronte a se stessi, al partner e alla futura prole. Sono stati così progressivamente indeboliti istituti atavici espressione di questa ricostruzione giuridica della fi liazione, che nel tempo ha abbandonato la propria origine per difendere e reiterare invece solo la sua parvenza esteriore.6

ma, dati gli alti costi che impone, sia un atto di fede e rileva come l’emergere di una situazione di crisi epistemologica giochi un ruolo importante nel determinare quel numero minimo di primi sostenitori che rappresenteranno il nucleo propul-sivo della riforma, Id., The Structure of Scientifi c Revolutions, cit., 158. Passando dalle scienze naturali a quelle giuridiche, spetta soprattutto alla dottrina svolgere un ruolo trainante per addivenire ad un cambiamento di paradigma, ponendo al centro del ragionamento il genere fi no a giungere poi anche al suo superamento. La prospettiva di diritto comparato, come emerge ampiamente nei contributi di questo Volume, è uno degli strumenti più importanti nelle mani della dottrina, strumento per “sovvertire” l’ordine: cfr. le rifl essioni di H. Muir Watt, La fon-ctionne subversive du droit comparé, in Revue internationale de droit comparé, 2000, 503.

5 Traduzione dell’autore. «La Cour répond ensuite que la circonstance que la Con-stitution attribue une importance particulière à l’égalité entre hommes et femmes, par le biais des articles 10.3 et 11bis de la Constitution, n’a pas pour effet que la “dualité sexuelle fondamentale du genre humain” puisse être considérée comme un principe de l’ordre constitutionnel belge. L’article 12 CEDH et l’article 23 du Pacte international relatif aux droits civils et politiques ne peuvent pas davantage être interprétés en ce sens qu’ils obligeraient les États contractants à considérer la “dualité sexuelle fondamentale du genre humain” comme un fondement de leur ordre constitutionnel.», Corte costituzionale belga, già Cour d’arbitrage, senten-za n. 159/2004 del 20-10-2004.

6 Ci si riferisce ad esempio alla presunzione di paternità a favore del marito coniuga-to con la madre al momento della nascita e all’assenza di legittimazione del padre biologico ad infi ciare tale presunzione, azione spettante solo ai componenti della

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Per l’Italia, la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha rappresentato, con le istanze di parifi cazione dei coniugi e dei fi gli naturali, nella sua at-tuazione della Costituzione un punto di svolta, un mutamento di prospettiva della famiglia patriarcale ribadita dal codice del 1942. Ma se tale riforma nasce dal seme gettato dai costituenti, in particolare con gli articoli 29 e 30 della Carta fondamentale, oggi l’evoluzione del diritto e i nuovi mutamenti di paradigma devono trovare la propria origine in stimoli esterni non in-compatibili con la Costituzione, senza presunti vincoli interpretativi ricol-legabili ad un momento storico oramai risalente. Questi stimoli potranno poi essere riversati in quei meccanismi di protezione dei principi cardine di dignità e eguaglianza già fulcro del testo del 1947 e tuttora idonei a consen-tire al diritto di continuare a crescere come un albero che vive, seconda la metafora costituzionale ricorrente nella giurisprudenza canadese.7

Una delle tappe più importanti affi nché l'ordinamento giuridico muti consiste nell’assumere contezza dei suoi paradigmi fondativi. Essi sono il tramite per il quale la tradizione, il pregiudizio e gli stereotipi si concre-tizzano nel diritto. Non è un modello consapevole ed esplicito a guidare il legislatore e il giudice nello scrivere e nel dire il diritto. Si tratta di una super-norma non scritta, priva di disposizioni, che si inferisce dal sistema nel suo insieme, di un crittotipo8 rappresentato da un modello di agente giuridico.

famiglia legittima. Schema atavico a difesa della famiglia “tradizionale” ancora comune a molti ordinamenti continentali, tra cui la Germania, su di esso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha in parte inciso riconoscendo al padre esclusiva-mente biologico il diritto di visita, nonostante questi non avesse potuto stabilire prima alcun rapporto sociale e familiare (sent. Anayo c. Germania, n. 20578/07, 21-12-2010). Una sintesi della decisione è proposta in http://www.duitbase.it.

7 Formulata dalla Corte Suprema del Canada in Edwards v. Attorney-General for Canada, [1930] A.C. 124, 136, questa dottrina costituzionale è saldamente radica-ta nella giurisprudenza della Corte. Così, ad esempio, essa ha rifi utato di ritenere che la nozione di common law di matrimonio fosse fossilizzata al 1867, anno di adozione del British North American Act: «The “frozen concepts” reasoning runs contrary to one of the most fundamental principles of Canadian constitutional interpretation: that our Constitution is a living tree which, by way of progressive interpretation, accommodates and addresses the realities of modern life.» Refe-rence re Same-Sex Marriage, [2004] 3 S.C.R. 698, par. 22.

8 Proprio dalla comparazione fra il diritto di famiglia dei diversi ordinamenti emer-ge la diversità delle soluzioni normative e come ciò che appariva ovvio e naturale in realtà tale non era. «Tutto il cammino della scienza procede rendendo noti dati (operanti ma) non conosciuti. Il crittotipo semplicemente è il modello che non è ancora noto e che potrà divenire noto in seguito. E solo la comparazione ha la forza di penetrazione che occorre per rendere conoscibili questi dati impliciti. .

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L'evoluzione della coscienza giuridica consente di dare progressivamen-te sostanza a ciò che possiamo chiamare, sulla scorta dell'homo œconomi-cus, l’homo juridicus, fi gurino innominato, matrice ed emblema dell’ordi-ne giuridico stesso.9 Il diritto occidentale, in particolare dall'Ottocento in poi, muove da un calco della persona come individuo di sesso (ora direm-mo di genere) maschile, bianco, cristiano,10 borghese e, da ultimo, etero-sessuale.11 L'homo juridicus non viene teorizzato a monte, ma è piuttosto defi nito per induzione dall’analisi dei formanti del diritto. Egli acquista forma paradossalmente quando le grandi rivoluzioni del diritto ne negano progressivamente un aspetto, superandolo: così è avvenuto con l’abban-dono del razzismo (ad esempio con la condanna del divieto di matrimonio interrazziale), della subordinazione femminile (con l’affermarsi del diritto di voto alle donne, con l’enunciazione della parità), con la libertà di reli-

. La scoperta di un crittotipo a mezzo della comparazione sarà facilitata quando – come spesso avviene! – una nozione implicita in un sistema sia esplicita in un altro». R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, in Trattato di diritto compa-rato, diretto da Rodolfo Sacco, Torino, UTET, 1992, 125 e ss. Vedi anche Id., Crittotipo, in Digesto IV ed. (disc. priv.), V, Torino, UTET, 39 e s.

9 Non dispiace mutuare dalle scienze economiche l’idea di un essere umano defi ni-to astrattamente come prototipo e sul quale concepire e modellare le teorie micro-economiche. Così, l’homo œconomicus è l’individuo in quanto agente economico, modello di comportamento basato sulla razionalità, astrazione dei bisogni e delle preferenze di consumo, ma anche dell’individualismo. La critica agli assunti della teoria economica classica ha posto in discussione le spiegazioni del comporta-mento umano da questa proposte. V. J. Persky, Retrospectives: The ethology of Homo economicus, in Journal of Economic Perspectives, 1995, 9 (2), 221-231. Come si dirà, nel caso del diritto il percorso è inverso, in quanto il modello è implicito e ricavato induttivamente dal sistema stesso.

10 E non già semplicemente cattolico, data la tradizione di common law, costruita prevalentemente attorno all’uomo protestante. La giurisprudenza dei paesi anglo-sassoni riguardante la posizione discriminata delle donne oppure il retaggio reli-gioso nella disciplina degli istituti del diritto di famiglia mostra come le questioni affrontate siano analoghe a quelle trattate dalle corti dei Paesi prevalentemente infl uenzati dal diritto canonico, origine comune, d’altra parte, del diritto di fami-glia occidentale.

11 Si è recentemente interessata della «fondazione antropologico-giuridica della norma eterosessuale nella cultura occidentale» A. Simone, Corpi a-normali. Ec-cedenze del diritto e norma eterossessuale, in Sociologia del diritto, 2010, 1 (di prossima pubblicazione), di cui vedi anche L’eccedenza del diritto. Intorno alla norma eterosessuale, in M. Verga (cur.), AIS Sezione di Sociologia del diritto – Quaderno dei lavori 2008, Working-paper n. 37, 2010, 16 disponibile all’URL http://www.cirsdig.it.

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gione12. Un giorno, se non già ora, questo homo potrebbe arricchirsi anche dell’immagine di essere privo di disabilità e geneticamente “sano”, così da mettere maggiormente in luce la discriminazione latente correlata a questi due profi li.

Delle caratteristiche proprie di questo modello quella che più recen-temente è stata disvelata con maggior vigore è l’eterosessualità latente nell’ordinamento, la cosiddetta eteronormatività. Il passo più importante per abbandonare il paradigma dell’eteronormatività, epigono della dispa-rità fra i generi e origine delle discriminazioni per orientamento sessuale, nella vita del singolo così come della sua famiglia, consiste nell’abbandono della categoria giuridica del sesso per abbracciare quella nuova di genere, tappa intermedia verso un cambiamento di più ampia portata.13

2. Da sesso a genere

Nelle scienze sociali esiste un dibattito pluridecennale e tuttora vivo sul-la nozione di genere e sesso e sulla relazione che intercorre fra i due con-cetti. Questo dibattito ha una matrice eminentemente teorica e si presenta in termini assai complessi.14 La ricchezza di declinazioni della nozione di genere determina, però, anche una incertezza defi nitoria. Forse per que-

12 Tutela della libertà di religione che in Italia è affermata nella sua pienezza ad esempio con la costituzionalizzazione della laicità dello Stato (v. Corte costituzio-nale, sentenza del 12 aprile 1989, n. 203).

13 In questo contributo si riprende e sviluppa un ragionamento sui termini sesso e genere che venne da questo autore per la prima volta accennato al seminario La «società naturale» e i suoi “nemici” – Amicus Curiae di Ferrara, 26 febbraio 2010, in cui si considerò più opportuno impiegare l’espressione «matrimonio (e unioni) fra persone dello stesso genere» in luogo di «dello stesso sesso».

14 Rivoluzionaria fu l’affermazione di Michel Foucault nel primo volume della Sto-ria della sessualità secondo cui non sempre abbiamo avuto un sesso, così come la statuizione chiara di Simone de Beauvoir secondo cui «non si nasce donna, lo si diventa» (Le deuxième sexe, 1, Paris, Gallimard,1949, 285 e s.). Una delle ela-borazioni più signifi cative della nozione di genere la si trova in J. Butler, Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, New York, Routledge, 1990, trad. it. Scambi di genere. Identità, sesso, desiderio, Firenze, Sansoni 2004. Per un’ampia analisi di queste questioni in Italia si rinvia a T. Pitch, Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualità, Milano, Il Saggiatore, 1998. Per una prima introduzione alle nozioni di orientamento sessuale e identità di genere si rinvia all’analisi proposta da A. Taurino in C. D’Ippoliti, A. Schu-ster (cur.), DisOrientamenti. Discriminazione ed esclusione sociale delle persone LGBT in Italia, Roma, Armando 2011, 19-33.

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sto motivo la speculazione condotta negli anni scorsi non è stata seguita né accompagnata da una trasposizione pratica nell'ambito del diritto. In particolare la scienza giuridica, non solo italiana, ha subito tutt'al più delle contaminazioni imperfette che possono produrre confusione. Ci si può in-terrogare, ad esempio, se l'uso nell'ambito delle politiche pubbliche e del diritto di espressioni come «parità di genere», «politiche di genere», ma anche «identità di genere» sia associato ad una scelta consapevole di non impiegare il termine (e la nozione) di sesso.15

Al fi ne di inquadrare la questione pare opportuno procedere dapprima ad un chiarimento dei concetti di sesso e genere in termini generali, così da cogliere anche l'uso del termine «sesso» nell'ordinamento italiano, destruttu-randolo e decifrando la sua natura di paradigma latente. Si considererà l'uti-lità di introdurre la nozione di genere quale categoria giuridica, dismettendo

15 L’identità di genere è espressione acquista dal diritto positivo italiano a livello di le-gislazione regionale: l.r. Liguria 10-11-2009, n. 52, Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere; l.r. Marche 11-02-2010, n. 8, Disposizioni contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, nonché l.r. Marche 11-11-2008, n. 32, Interventi contro la violenza sulle donne, art. 1; l.r. Piemonte 29-05-2009, n. 16, Istituzione di Centri antiviolenza con case rifugio, art. 4; l.r. Puglia 19-09-2008, n. 23, Piano regionale di salute 2008-2010; l.r. Toscana 15-11-2004, n. 63, Norme contro le di-scriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere; l.p. Trento 09-03-2010, n. 6, Interventi per la prevenzione della violenza di genere e per la tutela delle donne che ne sono vittime, art. 3; secondo un utilizzo dubbio l.p. Bolzano 08-03-2010, n. 5, Legge della Provincia autonoma di Bolzano sulla pari-fi cazione e sulla promozione delle donne e modifi che a disposizioni vigenti, art. 2. L’utilizzo di «genere» in luogo di «sesso» è presente nella legislazione sia regionale (vedi ad esempio le disposizioni in materia elettorale, come l.r. Toscana 13-5-2004 n. 25, Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale, art. 8) che statale (vedi per tutti la l. 4-11-2010 n. 183 (cd. Collegato lavoro), ad esempio l’art. 46, il quale, novellando precedente legislazione, introduce espressioni quali «differenze di genere» o «discriminazioni di genere». Infi ne, si deve far menzione della terminologia impiegata nel più recente diritto comunitario. Per quanto la Carta di Nizza (vedi art. 21 e 23) usi «sesso», la direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 riguardante l’attua-zione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), appare come una sorta di transizione semantica, coesistendo sia sesso che genere: vedi la rubrica dell’articolo 29, «Integrazione della dimensione di genere». Pare un’evoluzione da ricollegarsi anche al considerando 3 della direttiva, che codifi ca la giurisprudenza della Corte di giustizia, 17 febbraio 1998, causa C-249/96, Grant, in Raccolta, I-00621, ricom-prendendo nella tutela del genere anche le discriminazioni derivanti da un cambia-mento di sesso. Inoltre, la denominazione uffi ciale della nuova Agenzia dell’Unione sita a Vilnius è Istituto europeo per l’eguaglianza di genere.

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quella di sesso. Infi ne, occorrerà sincerarsi se il mutamento di paradigma da sesso a genere consente comunque di rileggere alla luce della nuova nozione la legislazione e la giurisprudenza antecedenti. Nella misura in cui la giuri-sprudenza ha già rilevato una discriminazione per sesso, la stessa deve poter essere riletta come attestante una discriminazione di genere, così da non co-stituire un ostacolo alla continuità con il passato. È questo un punto impor-tante per sancire il mutamento da sesso a genere, giacché ogni passaggio da un paradigma ad un altro, secondo Kuhn, si realizza soltanto se quello nuovo, oltre ad offrire risposte alle nuove sfi de epistemologiche, consente comun-que di interpretare e risolvere i precedenti problemi al pari del paradigma che intende sostituire. L'omogenitorialità è un banco di prova particolarmente utile per l'analisi di impatto normativo del nuovo paradigma di genere.

2.1 Per una nozione giuridica di genere

Sesso e genere sono spesso utilizzati quali sinonimi in espressioni quali «parità di genere», «uguaglianza di genere», «discriminazione di genere», o ancora in espressioni inglesi quali «gender-neutral» (neutro per quanto riguarda il genere, riferito spesso ad istituti del diritto di famiglia) o «gen-der balance» (bilanciamento di genere, ad esempio negli organigrammi del personale). Tuttavia, «genere» ha un signifi cato diverso da «sesso», ad esso anzi contrapponendosi proprio al fi ne di evidenziare come quest’ultimo termine identifi chi tradizionalmente il sesso biologico, quindi l’esistenza di cromosomi sessuali da cui discendono caratteristiche sessuali primarie e secondarie. Nelle scienze con genere s’intende, per contro, evidenziare non la matrice biologica dell’essere uomo o donna, quanto la dimensione psico-logica (come una persona si sente e si identifi ca nel proprio foro interiore, anche in difformità dai propri cromosomi), relazionale (come uno si col-loca socialmente nella relazione con gli altri e intende essere considerato), sociale (genere quale costrutto della società, cioè complesso di comporta-menti attesi e norme ritenute conformi ad uno schema predefi nito e binario di ruoli, maschile e femminile, profi lo evidenziato dalla nozione di ruolo di genere), culturale (genere quale costrutto culturale, oltre che sociale, e in tal senso anche costrutto della cultura giuridica di una società).

Per tale motivo, i due termini non sono sinonimi e il contrario rappresen-terebbe un uso improprio di «genere», disconoscendone l’essenza stessa.16

16 L’impiego di genere invece di sesso meramente per evitare di porre l’accento sulla dimensione sessuale dell’orientamento sessuale, inteso quindi come com-portamento sessuale, a favore invece della sfera sentimentale e affettiva evi-

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L’espressione «identità di genere» non consente nemmeno la sostituzio-ne con «sesso», proprio perché postula necessariamente una identità della persona che è ricondotta alla percezione del proprio genere in esplicita op-posizione al proprio sesso (biologico). In verità, la nozione di sesso è stata declinata non solo nella sua accezione biologica, ma anche quale «sesso psicologico», sostanzialmente assimilabile alla nozione di genere.17 È in-negabile, tuttavia, che il linguaggio corrente assuma «sesso» quale termine che si riferisce in maniera prevalente al concetto di «sesso biologico» o comunque lo ricollega alle caratteristiche biologiche dell’individuo. Ciò è sottolineato in particolare dalla disciplina in merito all’identità di genere. In Italia la riattribuzione di genere avviene – ancora – attraverso una riattri-

denzia una scelta di stile che sottende comunque l’idea che si tratti di termini intercambiabili.

17 Il ragionamento di ordine semantico che si propone in questa sede da una parte si applica alla terminologia e alla teoria giuridica italiana, dall’altra ha una portata più generale e intende valere per ogni ordinamento. Occorre tuttavia rilevare che ogni sistema giuridico conosce vicende ed usi che determinano un quadro diver-sifi cato di come siano impiegati i termini sesso e genere, in particolare a seconda che il dato normativo positivo già impieghi il termine genere (si pensi al Gender Recognition Act 2004 del Regno Unito o alla spagnola legge organica n. 1/2004 del 28 dicembre, Medidas de protección integral contra la violencia de género) oppure questo sia in uso da parte della sola giurisprudenza o dottrina. Inoltre, è opportuno distinguere fra due famiglie linguistiche in particolare. Mentre il glos-sario giuridico di lingue quali l’italiano e l’inglese utilizza già sia genere che identità di genere, vi sono lingue che non includono nella terminologia giuridica la voce genere. Si tratta segnatamente del tedesco e delle lingue scandinave, in cui il termine genere è impiegato limitatamente alle scienze non giuridiche (ad esem-pio fi losofi a e scienze mediche). La nozione di sesso (Geschlecht in tedesco, kön in svedese) è allora ricostruita sia nella sua dimensione biologica che di genere. In Germania in particolare tale situazione potrebbe evolvere sia per l’infl usso del diritto internazionale, che impiega il termine e la categoria di genere (gender), che del diritto dell’Unione. Entrambi, infatti, non impiegano la categoria tipi-camente tedesca di identità sessuale. Ulteriore fattore di cambiamento possono essere i Länder. La Turingia ha modifi cato la propria costituzione introducendo l’espressione orientamento sessuale, espressione che il legislatore federale non ha nemmeno impiegato al momento della trasposizione delle direttive europee con l’Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz (AGG) del 2005, valorizzando invece la nozione di identità sessuale. Una rifl essione terminologica attenta sull’uso più ap-propriato di sesso e genere nel linguaggio giuridico svedese è offerta nel rapporto governativo sullo stato di rifugiato e sulla persecuzione in relazione al genere Flyktingskap och könsrelaterad förföljelse, Stoccolma, SOU 2004:31, 73-76 e 163-168, disponibile all’URL http://www.sweden.gov.se/sb/d/108/a/11484, in cui si ritiene che il termine kön debba essere interpretato in linea con la prassi come inclusivo anche della nozione di genere.

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buzione di sesso.18 L’ancoraggio del dualismo normativo al dato biologico è ribadito dal requisito di una modifi ca chirurgica che non consenta più la riproduzione umana, sì da "scongiurare" un disallineamento fra il ruolo di genitore biologico e il sesso (genere) anagrafi co.19 In altri termini, ritenuta meritevole la tutela dell’identità di genere, il sistema tuttavia arranca per-ché ancorato alla categoria giuridica di sesso ed è incapace di mutare il paradigma verso la nuova categoria di genere. Quest'ultima meglio consen-tirebbe al sistema di ruotare attorno alla psiche e all’autodeterminazione dell’individuo anziché attorno ai suoi cromosomi e caratteri sessuali.

Da questa matrice biologica e dualista della genitorialità emerge come il diritto sia un costrutto eminentemente culturale. Molte sue disposizioni

18 Si veda la legge 14 aprile 1982, n. 164, Norme in materia di rettifi cazione di attribuzione di sesso. Un intervento chirurgico è imposto quando risulta neces-sario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico. Tuttavia, tale prescrizione non può non cedere di fronte al diritto del soggetto all’integrità fi sica e alla salute, beni costituzionalmente tute-lati. Può quindi essere ritenuta suffi ciente una totale e irreversibile rimozione di quegli organi che permettono all’uomo di generare, v. Trib. Pavia, 2-2-2006, in Foro it., 2006, I, 1596, secondo cui è necessaria la totale asportazione di entrambi i testicoli, mentre non è necessaria anche l’asportazione del pene.

19 L’obbligo di normoconformazione al genere di destinazione è contestato per la violazione di beni primari della persona e peraltro non più previsto già da diversi ordinamenti europei. Dopo che la giustizia costituzionale austriaca (decisione del Verfassungsgerichtshof del 3-12-2009, B 1973/08-13) si era espressa contro tale obbligo, anche la Corte costituzionale tedesca lo ha ritenuto nella sua decisione del 28-1-2011, 1 BvR 3295/07 in violazione del diritto all’integrità fi sica tutelato dall’art. 2, c. 2, della Legge fondamentale. Rileva peraltro la Corte che la possi-bilità da parte di una persona transgender, ad esempio maschile, di mantenere la capacità riproduttiva femminile e partorire fi gli pone un problema all’ordinamen-to risolvibile in analogia a quanto previsto dalla legge per i legami di fi liazione in essere prima della riattribuzione (dal Gesetz über die Änderung der Vornamen und die Feststellung der Geschlechtszugehörigkeit in besonderen Fällen (Trans-sexuellengesetz – TSG), del 10-9-1980, in BGBl. I p. 1654). Così come questi non mutano in conseguenza della successiva riattribuzione di genere negli atti di stato civile, così l’eventuale nascita ad essa susseguente consentirà comunque di deter-minare un padre ed una madre. Questa sentenza evidenzia la diffi coltà di transi-zione giuridica da sesso a genere e la diffi coltà di disancorare le fi gure genitoriali dalla loro matrice sessuale binaria in favore di un approccio che prescinda dal loro genere. Si veda anche la raccomandazione n. 4 del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, il quale nel suo rapporto Diritti umani e identità di genere del 31 luglio 2009 chiede che «dans les textes encadrant le processus de changement de nom et de sexe, de cesser de subordonner la reconnaissance de l’identité de genre d’une personne à une obligation légale de stérilisation et de soumission à d’autres traitements médicaux».

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si presentano come “naturalmente” fondate su differenze biologiche fra gli individui. In realtà, il loro fondamento reitera una visione che non è – come si vorrebbe – intrinsecamente determinata all’essere maschio o femmina (classifi cazione che la scuola di pensiero francese in particolare ha pure ri-tenuto di mettere in discussione poiché anch’essa culturalmente determina-ta), quanto piuttosto da pretesi ordini naturali, precostituiti e asseritamente immutabili di ciò che un uomo o una donna, un padre o una madre, sono e dovrebbero essere. Si pensi alla maternità come regola della genitorialità o al ruolo dell’uomo nella famiglia.

In conclusione, utilizzare «genere» in luogo di «sesso» signifi ca non certo negare che uomo e donna siano biologicamente diversi. Signifi ca assumere contezza e porre l’accento sul paradigma dell’ordinamento, un paradigma che in Italia è ancora sessista e eteronormativo. È comprendendo e affran-candosi da questo modello di homo juridicus, maschio, bianco, cristiano credente e eterosessuale, che il diritto può mutare di paradigma e adeguarsi ad una società che è profondamente mutata rispetto alle epoche delle grandi codifi cazioni continentali, sia ottocentesche che novecentesche.20

Si vuole con tale categoria negare il fatto stesso della gravidanza, con il rischio di privare il sistema delle tutele ad essa connesse? Evidentemente no. La categoria di genere consente di collocare il dato biologico in una di-mensione altra rispetto a quella del diritto, pur consentendo a quest’ultimo di prenderlo in considerazione. Se l’obiettivo è quello di creare categorie del diritto che non siano vincolate alla differenza – certo innegabile – fra l’essere maschio e l’essere femmina (o, più in generale, dall’essere dif-ferenti gli uni dagli altri), fra l’essere padre piuttosto che madre, allora è

20 È opportuno precisare che l’espressione di homo juridicus viene impiegata e uti-lizzata in questa sede in una accezione diversa rispetto a quella nota di Alain Su-piot. L’autore francese si avvale di tale espressione per ricostruire la dimensione giuridica dell’uomo, che nella visione occidentale del mondo collega la sua natura biologica e fi nita di entità fi sica con quella simbolica e infi nita di essere pensante. L’homo juridicus in Supiot è l’essenza stessa del diritto, manifestazione prima della sua funzione antropologica. A. Supiot, Homo juridicus essai sur la fonction anthropologique du droit. Paris, Seuil, 2009, 10, trad. it. Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Bruno Mondadori, Milano 2006. Non pare si possa però ravvisare altra espressione idonea a rappresentare il modello dell’attore giuridico che si descrive in questo saggio, sintesi dei crittotipi latenti nell’ordinamento, in adesione a quanto per l’appunto proposto dalle scienze eco-nomiche. Né, d’altra parte, si può omettere di rilevare come anche questo homo juridicus offra una prospettiva utile per una lettura antropologica del diritto, sulla quale vedi anche R. Sacco, Antropologia giuridica. Contributo ad una macrosto-ria del diritto, Bologna, Il Mulino, 2007, in particolare pag. 195 e 205 in merito ai crittotipi quali elementi latenti del sistema.

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necessario dissociare il genere dai tratti biologici dell’individuo, potendo così giungere, dopo una fase di transizione contraddistinta dall’assunzione della categoria giuridica di genere, all’abolizione stessa di sesso e genere, se non addirittura di madre e padre, dal discorso giuridico.21

Prendendo ad esempio la tutela della gravidanza, questa rileva in quanto tale e non in quanto essenza dell’essere donna. Il diritto reagisce di fronte ad un fatto biologico rilevando come esso possa condurre ad una discrimi-nazione nella stretta misura in cui è riconducibile ad un individuo specifi co situato in un contesto concreto. Il diritto deve reagire allora a tale fatto. Un parallelo può essere tracciato con la discriminazione per statura nell’ac-cesso all’impiego.22 Lungi dall’essere una categoria giuridica, la statura è una condizione fi sica che può determinare una disparità di trattamento discriminatoria se non giustifi cata in base ad elementi oggettivi correlati alle attività lavorative da espletare. La gravidanza può essere allora vista come un fatto considerato dal diritto in quanto tale, così come l’altezza dell’individuo o ogni altra sua condizione personale.

21 Questa, ad esempio, la provocatoria, ma coerente posizione di D. Borillo in Le sexe et le droit: De la logique binaire des genres et la matrice hétérosexuelle de la loi, di prossima pubblicazione in Jurisprudence critique, 2011, 2, secondo cui gli atti di stato civile non dovrebbero più riportare il genere e la fi liazione dovrebbe divenire sempre adozione, ponendo così al centro della stessa non il legame bio-logico (che può essere reso privo di effetti giuridici, in Francia come in Italia, con il cd. parto anonimo), bensì la sola volontà dei genitori.

22 La Corte costituzionale ebbe ad esprimersi con la sentenza n. 163 del 15 aprile 1993 sulla legittimità di una disposizione di una legge della Provincia autonoma di Trento che aveva stabilito per l’accesso alle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi il requisito di una statura non inferiore a metri 1,65, a prescindere dal genere del candidato. Stante la differente statura media di uomini e donne, la Corte ne decretò l’illegittimità in quanto ravvisò nella non differenziazione del requisito per uomini e donne una forma di discri-minazione indiretta. Il ragionamento della Corte non appare condivisibile, poiché considera la discriminazione per statura una discriminazione per genere, mentre più correttamente si poteva rilevare una discriminazione per condizione perso-nale, fondata sul dato biologico, a prescindere dal diverso impatto su uomini e donne. Se quell’altezza non appare necessaria ed essenziale per le donne, non si vede come potrebbe esserlo per un uomo che deve svolgere le medesime funzio-ni. Un approccio indifferente al genere è stato abbracciato, ad esempio, dal Tar Veneto sez. II, sentenza 12 maggio 2010, n. 1941, in Resp. civ., 2010, 2099, n. Baiona, in applicazione del principio sancito all’art. 31 del d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198, secondo cui «[l]’altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni... »

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La dissociazione fra fatto biologico e genere è passo necessario per con-sentire da una parte di sviluppare istituzioni giuridiche gender-neutral e svincolate dall’eteronormatività, dall’altra di non obliterare la differenza biologica fra gli individui. Sempre con riguardo allo stato di gravidanza, la Corte suprema degli Stati Uniti ebbe a statuire che una disparità di trat-tamento fondata su di essa non signifi ca discriminazione per genere, do-vendosi distinguere fra due categorie, quella delle donne da una parte e quella della persone in stato di gravidanza all’altra23. Sebbene il benefi cio risultasse negato in pratica alle sole donne, il fatto che il programma assi-curativo della California non coprisse il caso di perdita di lavoro a causa di una normale gravidanza poteva produrre effetti economici positivi anche per le donne non in stato di gravidanza e, in quanto ragionevole, poteva essere giustifi cato.24 Ciò che rileva in questa sede non è il merito della decisione assunta dalla Corte suprema, quanto piuttosto la disaggregazione che è stata compiuta fra genere e dato biologico.25 Il diritto statunitense ha

23 Geduldig v. Aiello, 417 U.S. 484 (1974).24 «While it is true that only women can become pregnant, it does not follow that

every legislative classifi cation concerning pregnancy is a sex-based classifi cation . . . . The program divides potential recipients into two groups-pregnant women and nonpregnant persons. While the fi rst group is exclusively female, the second includes members of both sexes. The fi scal and actuarial benefi ts of the program thus accrue to members of both sexes.», ivi, 497, nota 20. Per un’analisi della giurisprudenza nordamericana e comunitaria sulla discriminazione in ragione dello stato di gravidanza v. C. Tobler, Indirect discrimination : a case study into the development of the legal concept of indirect discrimination under EC law, Antwerpen, Intersentia, 2005, 46 e ss.

25 La necessità di disaggregare le nozioni giuridiche per valorizzare la dimensione che è loro propria è trascurata dal linguaggio giuridico. Per quanto sia evidente che il matrimonio è oggi un istituto che deve essere inteso, soprattutto dopo l’ac-cesso ad esso da parte di persone trans nel pieno riconoscimento del loro genere, come un’unione fra persone dello stesso genere, la stessa letteratura anglosassone mantiene al centro del discorso il sesso. Si noterà una preziosissima rifl essione sulla disaggregazione di sesso e genere in M.A.C. Case, Disaggregating Gender from Sex and Sexual Orientation: The Effeminate Man in the Law and Feminist Jurisprudence, in Yale Law Journal, 1995, 1. L’autrice esce dal ragionamento ac-cademico e offre una rifl essione che si rivolge esplicitamente anche agli operatori del diritto. Utilizza quale caso paradigmatico quello dell’uomo effeminato e della tutela che deve essere riconosciuta anche a questo. L’articolo si chiude con un’af-fermazione che si può estendere anche al caso del co-padre che svolge un ruolo tradizionalmente riconducibile alla madre: «By disaggregating gender from sex and sexual orientation focusing attention on the reasons why the feminine might have been devalued in both women and men, I hope to protect what is valuable about the traditionally feminine without essentializing it, limiting it to women, or limiting women to it.», ivi, 105.

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implicitamente riconosciuto questa disaggregazione nel momento in cui il Congresso ha introdotto il Pregnancy Discrimination Act 1978. Il fatto di aver statuito che la discriminazione a causa del sesso o fondata sul sesso includa anche quella per gravidanza, nascita di un bambino o per le con-dizioni mediche connesse a questi situazioni26 null’altro signifi ca se non l’estensione di una tutela giuridica già esistente, ma non incide sulla di-saggregazione ontologica fra donna e persona incinta. Del pari si può dire per la scelta operata dall’ordinamento comunitario,27 con la precisazione che l’inesistenza, almeno fi no all’entrata in vigore della Carta di Nizza, di un principio generale di non discriminazione determinava la necessità di ricondurre la tutela di una discriminazione fondata su una condizione per-sonale ad uno degli specifi ci fattori di discriminazione tutelati dal diritto comunitario, sulla falsariga di quanto si può ritenere avvenga per l’identità di genere, che è tutelata in quanto fatta ricomprendere in «sesso», nono-stante le diffi coltà teoriche che tale soluzione, eminentemente pratica, de-termina.

Il vantaggio ultimo della disaggregazione fra dato biologico e genere consente di compiere una transizione verso un sistema giuridico che abban-dona il dualismo di genere, senza con ciò negare le differenze fra gli indivi-dui. Rileggere il diritto tramite la lente della nozione di genere consente di interrogarsi sul reale fondamento di una distinzione. Tale fondamento potrà rinvenirsi in uno schema di ruoli sociali asseritamente ricollegato all’iden-tità biologica della coppia genitoriale.28 In quanto reiterazione di stereotipi sociali, potrà essere giustamente abbandonato ed essere rivisto nel senso

26 La legge federale modifi ca l’articolo 701 del Civil Rights Act del 1964 aggiun-gendo alcune disposizioni, tra cui la seguente: «The terms ‘because of sex’ or ‘on the basis of sex’ include, but are not limited to, because of or on the basis of pregnancy, childbirth, or related medical conditions».

27 La Corte di giustizia ha più volte affermato che il licenziamento di una lavoratrice a motivo della sua gravidanza rappresenta una discriminazione diretta fondata sul sesso (vedi ad esempio le sentenze 8 novembre 1990, causa C-179/88, Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund, in Racc., I-3979, p. 13; 30 giugno 1998, cau-sa C-394/96, Brown, in Racc., I-4185, p. 24-27 e 11 ottobre 2007, causa C-460/06, Paquay, in Racc., I-8511, p. 29.)

28 Come sottolinea A. Lorenzetti, La tutela della genitorialità omosessuale fra dignità e uguaglianza, in questo Volume, citando L. Scaraffi a, Introduzione a Identità e genere, Quaderni di Scienza & vita, 2, 2007, 9, «non è condivisibile l’affermazione per cui “l’ancoraggio fi sico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile costituisce un dato di fatto irriducibile e strutturante da cui non si deve prescindere”, se ciò signifi chi che maternità e pater-nità debbano realizzarsi all’interno di una coppia eterosessuale». L’inscindibilità della fi gura genitoriale dal dato biologico, per il diritto – giacché la dimensione

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di non assumere connotazioni di genere. Si pensi all’impossibilità fi no ad anni recenti del padre di godere di congedi di paternità e parentali, chiara conseguenza di schemi rigidi di genere che progressivamente sono in via di superamento.29 Ove invece il collegamento al genere è oggettivamente giustifi cato da una condizione biologica specifi ca, tale giustifi cazione og-gettiva potrà trovare spazio in una norma che tutela tale condizione o le condizioni personali in quanto tali, senza dipendere dalla classifi cazione delle persone in una categoria generale ed astratta nota come «sesso bio-logico».

Questo approccio ha il vantaggio di rendere sostenibile un sistema giuri-dico in cui vi sono persone che non sono o non vogliono essere ricondotte ad alcun genere (o sesso), ad esempio le persone intersex, senza che ciò determini una carenza di tutela, in particolare in materia di non discrimina-zione. Inoltre, la tutela dell’identità di genere evolve secondo una direttrice per la quale non è più richiesto un intervento chirurgico obbligatorio sugli organi riproduttivi. Ben potrà quindi accadere che una persona trans ma-schile (c.d. FtM – female-to-male) mantenga organi riproduttivi femminili e rimanga incinta.30 In quanto uomo non godrebbe a rigore della tutela, ad esempio comunitaria, della maternità, riservata alle donne. Una tutela disancorata dal genere rende possibile tutelare lo stato di gravidanza a pre-scindere dal fatto che la vittima della discriminazione sia una persona in cui genere e sesso siano allineati (cd. persona cisgender) o una persona in cui si registra un disallineamento (cd. persona transgender). Una rivisita-zione secondo gli schemi della disaggregazione fra genere e dato biologico consente a livello teorico di evitare soluzioni pratiche poco soddisfacenti in un’ottica sistematica.

Con riguardo alla disciplina giuridica dell’omogenitorialità, il diritto di famiglia deve essere vagliato nella stessa prospettiva, ponendo attenzione al fatto che la tutela apprestata o la regolamentazione prevista trovino una propria giustifi cazione nella eventuale caratteristica biologica della perso-na del genitore e non siano piuttosto la riproposizione di schemi e ruoli che reiterano modelli sociali inidonei a rifl ettere la ricchezza di sentimenti, affetti e legami delle famiglie contemporanee.

della presente analisi vale unicamente in tale ambito – è un assunto rinunciabile in quanto non essenziale.

29 In particolare grazie al diritto comunitario, vedi su ciò il contributo di T. Vettor in questo Volume.

30 Con riguardo al ragionamento condotto a tal proposito dalla Corte costituzionale tedesca vedi quanto detto supra, n. 19.

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Nella parte successiva si rivolgerà l’attenzione al diritto europeo31, al fi ne di dimostrare che esso è uno dei motori principali per indurre il mu-tamento di paradigma necessario per adeguare il diritto alle istanze sociali contemporanee. In molti Stati diritto della non discriminazione e diritto dell’Unione erano quasi sinonimi, tanto quest’ultimo rappresentava la fonte principale della tutela nazionale. Oggigiorno vi sono importanti strumenti di protezione che trovano fondamento sia nelle fonti costituzionali degli ordinamenti statali, sia nel diritto convenzionale, in primis della CEDU.32 Nella prospettiva italiana, in particolare, ma non solo, il diritto europeo rimane una fonte essenziale di tutela della persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, trans), sia per quanto attiene alla loro sfera individuale che a quella familiare. Esso evidenzia nuclei di un mutamento di paradigma che conduce ad abbandonare i fondamenti eteronormativi del diritto. Pur nei limiti di un sistema di tutela che non può che incidere puntualmente e mai sistematicamente sui diritti nazionali, esso instilla dei principi che mettono in crisi branche del diritto positivo statale e progressivamente aumentano la pressione per una rifondazione delle categorie del diritto stesso, in parti-colare del diritto di famiglia. Il diritto europeo usa ad esempio il principio di ragionevolezza per sconfessare insostenibili coerenze degli ordinamenti

31 Si è soliti precisare a cosa ci si riferisca quando si utilizza l’espressione «diritto europeo», potendo questa riferirsi a quello che era il diritto comunitario, oggi diritto dell’Unione europea, o al diritto convenzionale del Consiglio d’Europa o, ancora, ad entrambi. Con l’imminente adesione dell’Unione alla Convenzione e la progressiva convergenza, comunque già in atto, fra i due ordinamenti, in particolare per il tramite di entrambi i sistemi giurisdizionali, sarà sempre più diffi cile precisare che l’espressione «diritto europeo» rinvia solo ad uno di essi. Nell’ambito del diritto della non discriminazione è oramai impossibile discutere del diritto dell’Unione senza includere fra le sue fonti la CEDU e la giurispruden-za della Corte di Strasburgo. Per tali ragioni l’analisi che segue intende rapportarsi al sistema giuridico europeo secondo quest’ottica integrata e convergente, parti-colarmente necessaria quando si tratta dei temi della non discriminazione.

32 Ma non solo. Clausole di non discriminazione si trovano in molti trattati delle Na-zioni Unite: il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), 999 UNTS 171, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR), 993 UNTS 3, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD), 660 UNTS 195, la Convenzione sull’elimina-zione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW), 1249 UNTS 13, la Convenzione contro la tortura, 1465 UNTS 85, la Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC), 1577 UNTS 3, e la Convenzione sui diritti delle perso-ne con disabilità (UNCRPD), ris. A/RES/61/177. Inoltre, la Convenzione europea per i diritti umani non è l’unico strumento del Consiglio d’Europa a prevedere un divieto di non discriminazione. Si pensi alla Carta sociale europea (riveduta), STCE n. 163, Parte V, art. E.

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nazionali, incapaci di affrancarsi dalle proprie matrici sessiste ed eteronor-mative, ma nel contempo aperti ad adeguare il diritto alle istanze sociali, al punto che una nuova era codifi catoria appare necessaria.33 In appresso ci si soffermerà su alcuni aspetti del diritto europeo che mostrano l’apertura del sistema alle famiglie omogenitoriali e ad istituti del diritto di famiglia sempre più sganciati dalle categorie di genere.

3. Il valore “sovversivo” del diritto europeo

Sia il diritto comunitario che quello convenzionale del Consiglio d’Eu-ropa risultano debolmente vincolati ai retaggi della tradizione occidentale del diritto di famiglia. Essi intervengono, pur con approcci diversi, in modo necessariamente incidentale sugli ordini nazionali. Non possono, infatti, dettare un quadro generale di riforma del diritto di famiglia, né l’Unione può direttamente incidere nelle materie rimesse interamente alle compe-tenze agli Stati membri.34 Il diritto eminentemente pretorio delle corti di Strasburgo e di Lussemburgo enuncia delle regole specifi che che nascono da casi concreti, ma nel contempo progredisce all'ombra di principi molto generali, veicoli di massima espressione della dottrina dell'instrument vi-vant.35 Con riferimento all'impatto sui diritti nazionali più ancorati a schemi tradizionali della famiglia si può parlare di una vera portata "sovversiva" da parte del diritto europeo, il quale, con passo graduale ma fermo pone in discussione i paradigmi dell'homo juridicus, fi no a porre gli ordinamenti statuali di fronte all’esigenza di rifondare ab imis gli istituti del diritto di

33 Interessante è stato il recente tentativo del Governo sloveno di rifondare il diritto civile proponendo un codice civile che apre al matrimonio e all’omogenitoriali-tà. Vedi anche la rifl essione in corso in Italia in F. Bilotta, B. De Filippis (cur.), Amore civile. Dal diritto della tradizione al diritto della ragione, Udine, Mimesis, 2010.

34 L’art. 51, c. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea precisa che essa «non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifi ca le competenze e i compiti defi niti nei trattati.» Vedi anche la Dichiarazione n. 18 al Trattato di Lisbona relativa alla delimitazione delle compe-tenze («qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri»).

35 Così è qualifi cata la CEDU dalla giurisprudenza di Strasburgo, base sulla quale poggiare l’interpretazione evolutiva delle sue disposizioni. Si veda ad esempio la nota sentenza Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, serie A n. 112: «un instrument vivant, à interpréter à la lumière des conditions de vie actuelles», p. 53.

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famiglia. Alcuni esempi tratti dal diritto europeo consentono di approfon-dire tale prospettiva.

3.1 La CEDU rivista

Il linguaggio della Convenzione europea per i diritti umani si presta ad una lettura neutra dal punto di vista del genere. Storicamente erano due gli articoli che avevano offerto tutela non solo al singolo individuo, ma anche alla coppia, segnatamente l’articolo 8 e, letto congiuntamente a quest’ul-timo, l’articolo 14. Dopo Schalk36 si può ritenere che anche l’articolo 12 offra margini di tutela per le famiglie omogenitoriali e, nei termini che si dirà, sin da ora.

Nell’ambito dell’art. 8 CEDU la tutela delle relazioni familiari e affet-tive è transitata fi no al 2010 per il tramite della protezione della vita per-sonale e non familiare.37 In altri termini il destinatario della tutela era l’in-dividuo e non l’unione affettiva in quanto tale. Occorre, invero, precisare che la Corte preferisce non esporre con chiarezza la distinzione fra le due sfere di tutela dell’articolo 8 e la giurisprudenza è parsa di fatto non rite-nere determinante dare chiare indicazioni in merito. Infatti, la sussunzione di una fattispecie sotto l’una o l’altra non produce effetti distinti, in quanto in ogni caso si ravviserebbe una violazione del medesimo articolo 8. Ciò nondimeno, il fatto di considerare quale oggetto di tutela la vita famiglia-re piuttosto che quella individuale ha una importante portata semantica e simbolica. Nel 2010 è stato compiuto dalla Corte questo passo, dapprima

36 Schalk e Kopf c. Austria, n. 30141/04, CEDH 2010-…37 Prima del revirement una delle più recenti affermazioni dell’esclusione delle

unioni fra persone dello stesso genere dalla sfera di tutela della vita familiare era la sentenza Mata Estevez c. Spagna (dec.), n. 56501/00, CEDH 2001-VI. Il ricorrente si lamentava del mancato riconoscimento della pensione di vedovanza a seguito della morte del compagno. La Corte affermò chiaramente che non vi è tutela della vita familiare nel caso di convivenze fra persone dello stesso genere e che il mancato riconoscimento del benefi cio non viola l’art. 14 congiuntamente all’art. 8 CEDU. «S’agissant de déterminer si la décision en question se rapporte au domaine de la « vie familiale » au sens de l’article 8 § 1 de la Convention, la Cour rappelle que, d’après la jurisprudence constante des organes de la Conven-tion, des relations homosexuelles durables entre deux hommes ne relèvent pas du droit au respect de la vie familiale protégé par l’article 8 de la Convention».

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timidamente in Kozak38, poi chiaramente in Schalk.39 Conseguentemente, si può legittimamente dire che la CEDU ammette una nozione di famiglia che è gender-neutral. Si diparte dalla mera tutela dell’orientamento sessuale per aprire ad una nuova nozione di famiglia. Se già prima questa non era più legata all’unione coniugale, ora non lo è nemmeno alla coppia compo-sta da persone dello stesso genere. Conseguentemente, i contesti in cui i genitori sono dello stesso genere godranno della tutela garantita in generale alla famiglia dall’articolo 8.

A fronte di una interpretazione – a sua volta confermata in Schalk – dell’articolo 12 per cui questo è posto ad esclusiva tutela della famiglia fondata sul matrimonio, è evidente che la Corte di Strasburgo ha dovuto ampliare notevolmente la portata dell’articolo 8 per garantire anche tutte quelle unioni ad essa alternative, dalla coppia convivente ai fi gli cosiddetti naturali, alle unioni registrate fra persone di genere diverso (per tutti il PACS francese)40. Nel contesto italiano una fonte di diritto internazionale, l’articolo 8, diviene così il principale strumento di tutela delle famiglie omogenitoriali.

38 Kozak c. Polonia, n. 13102/02, 2 marzo 2010, in cui la Corte apre ad una moltepli-cità di schemi che possono godere della tutela della vita familiare: «[G]iven that the Convention is a living instrument, to be interpreted in the light of present-day conditions (see E.B. cited above, § 92), the State, in its choice of means designed to protect the family and secure, as required by Article 8, respect for family life must necessarily take into account developments in society and changes in the perception of social, civil-status and relational issues, including the fact that there is not just one way or one choice in the sphere of leading and living one’s family or private life.»

39 Questo principio della giurisprudenza pare dato acquisito ed è stato conferma-to ancora nella decisione sulla ricevibilità Gas e Dubois c. France (dec.), n. 25951/07, 31 agosto 2010. Confronta tuttavia la perplessità espressa dai giudici Garlicki, Hirvelä e Vučinić nell’opinione concorrente in J. M. c. Regno Unito, n. 37060/06, 28 settembre 2010, secondo cui la maggioranza della IV sezione è apparsa restia a ribadire la natura di vita famigliare delle unioni fra persone dello stesso genere, già affermata in Kozak e in Schalk, preferendo non assumere posi-zione. I tre giudici dissenzienti concludono così: «Judicial self-restraint is often a virtue, but not in cases in which courts should admit their own mistakes. It cannot be excluded that the Court was wrong already in Mata Estevez. In any case, we should not have refrained from unequivocal confi rmation that today, in 2010, the notion of family life can no longer be restricted to heterosexual couples alone.»

40 Riconduce il PACS francese all’art. 8 della CEDU, Manenc c. Francia (dec.), n. 66686/09, 21 sett. 2010, con cui la Corte comunque non ritiene in contrasto con la Convenzione il mancato riconoscimento della pensione di reversibilità al partner pacsato in quanto unione non omogenea a tal fi ne al matrimonio.

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Tuttavia, preme ora illustrare perché anche l’articolo 12 già adesso possa essere invocato a tutela di tutte quelle famiglie omogenitoriali che poggiano sul matrimonio, chiaramente in quegli ordinamenti che lo con-sentono. Schalk compie un passo importante nell’affermare che l’articolo 12, di per sé, non pone ostacoli testuali ad una sua interpretazione inclusiva delle unioni fra persone dello stesso genere. È apparsa questa l’apertura più importante della decisione, perché pare annunciare, secondo il metodo dei piccoli passi, una possibile rivisitazione in futuro del diritto di sposarsi e di fondare una famiglia41, un diritto a sposarsi per le coppie dello stesso genere che, tuttavia, per ora rimane negato.

L’elemento nell’immediato più signifi cativo della decisione di Strasbur-go, però, pare non essere stato adeguatamente colto. Per quanto la rimo-zione di una barriera testuale sia certo un passo importante verso un’inter-pretazione evolutiva che in futuro auspicabilmente imporrà un obbligo di aprire il matrimonio a due persone a prescindere dalla diversità dei rispet-tivi generi, l’affermazione della Corte ha una effi cacia immediata di tutela di alcune fattispecie omogenitoriali. Infatti, l’affermazione che l’articolo 12, pur non imponendo una apertura del matrimonio, potrebbe nondimeno, alla luce del dato semantico, abbracciare anche i matrimoni fra persone del medesimo genere, consente a tale disposizione di benefi ciare della vis actractiva dell’articolo 14.

Si consideri il seguente parallelismo. L’articolo 8 CEDU non impone agli Stati fi rmatari di introdurre l’adozione da parte delle persone single, ma tale diritto, se previsto dall’ordinamento nazionale, rientra nel suo cam-po di applicazione, sicché diviene soggetto al divieto di discriminazione

41 Questi due diritti erano considerati inizialmente dalla Commissione europea per i diritti umani come uno e un solo diritto (X. c. Belgio e Paesi Bassi, n. 6482/74, decisione 10-7-1975, D.R. 7, p. 75, 76). Tuttavia, in Hamer c. Regno Unito, n. 7114/75, rapp. della Commissione 13-12-1979, D.R. 24, p. 5, quindi in Van Oo-sterwijck c. Belgio, n. 7654/76, rapp. della Commissione, 1-3-1979, Serie B, n. 36, p. 59, e chiaramente in Corte europea dei diritti dell’uomo, Goodwin c. Re-gno Unito, cit., il diritto a sposarsi è letto in chiave autonoma rispetto a quello a fondare una famiglia. Non vale tuttavia l’inverso, poiché il secondo «non si può concepire senza quello di vivere assieme» (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28-5-1985, p. 62, Serie A n. 94 ). Esso dipende quindi dalla inter-pretazione che si dà ai termini uomo e donna, soggetto logico del primo comma. L’articolo 12 differisce in ciò chiaramente dall’art. 9 della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea, in cui il diritto a fondare una famiglia prescinde dal matrimonio.

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 55

enunciato dall’articolo 14. Si tratta del noto caso E.B. c. Francia.42 Analo-gamente l’articolo 12, per quanto non imponga il matrimonio fra persone dello stesso genere, ove esso sia comunque consentito dallo Stato fi rma-tario, la sua disciplina deve avvenire nel rispetto dell’articolo 14, ovvero senza alcuna discriminazione motivata dall’orientamento sessuale. Si può pensare a titolo di esempio a quegli ordinamenti in cui alcuni diritti ricono-sciuti alla coppia coniugata eterosessuale non siano riconosciuti alla coppia coniugata omosessuale. Si tratta per lo più di diritti legati alla genitoria-lità, quali l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita o all’adozione, sia questa congiunta o successiva in favore del secondo partner.

Sulla scorta di E.B. e di Schalk si deve ritenere, infatti, che disparità di trattamento che riposino unicamente sull’orientamento sessuale della coppia coniugata necessitino di giustifi cazioni particolarmente forti e con-vincenti per risultare legittime.43 La lettura combinata degli articoli 12 e 14 della CEDU pare essere un passo propedeutico ad una evoluzione del diritto di sposarsi e di fondare una famiglia sempre più sganciato dal para-digma eteronormativo, tanto più in un'ottica in cui questo paradigma non rappresenta un limite solo per la famiglia orizzontale, ma anche per quella verticale.44

42 E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, CEDH 2008-... Il caso è importante anche per il superamento dell’inespresso principio di precauzione che avrebbe la mag-gioranza del collegio, determinando l’esito contrario a E.B. in Fretté c. Francia, n. 36515/97, CEDH 2002-I (vedi le considerazioni nell’opinione concorrente in parte del giudice Costa). In Italia, ogni limitazione alla omogenitorialità in ter-mini di precauzione appare infondata alla luce della disciplina dell’affi do, come diversi contributi in questo Volume mostrano chiaramente. D’altra parte, è il dato concreto delle singole fattispecie a dover prevalere, fermo restando che si deve riaffermare il primato dei diritti del bambino e non del diritto al bambino e ciò a prescindere dallo schema famigliare considerato.

43 Cfr. inoltre Smith e Grady c. Regno Unito, n. 33985/96 e 33986/96, p. 89, CEDH 1999-VI e E.B., cit., p. 91 e 94.

44 Ulteriore esempio dell’abbandono degli schemi di genere da parte della Corte si ritrova nella sentenza Konstantin Markine c. Russia, n. 30078/06, CEDH 2010-…, in cui, trattando dell’illegittimità del rifi uto di congedi parentali concessi alle madri ma non ai padri nelle forze armate (violazione degli articoli 8 e 14, di-scriminazione per genere), i giudici richiamano la giurisprudenza Smith e Grady per evidenziare come la Convenzione non si allinei alla reiterazione di «ruoli di genere tradizionali» nella famiglia, ma anzi li contrasti in quanto possibili espres-sioni di disposizioni discriminatorie: «Pour autant que la différence repose sur la conception du rôle traditionnel des deux sexes [‘traditional gender roles’ nella versione inglese] qui voit avant tout dans la femme celle qui élève les enfants et dans l’homme celui qui pourvoit aux besoins de la famille, il s’agit là d’un préjugé

56 Omogenitorialità

Tale evoluzione è espressione di una crescente e anche inevitabile con-vergenza della CEDU con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione eu-ropea, in cui non solo il diritto a costituire una famiglia è distinto rispet-to al diritto a sposarsi, ma quest'ultimo è privo di riferimenti di genere e può riferirsi ad unioni fra persone sia del medesimo che di diverso genere (articolo 9 della Carta).45 Inoltre, l'affermazione di un paradigma nuovo che prescinde dal genere dei genitori si ravvisa nelle fonti convenzionali più recenti del Consiglio d'Europa. Un esempio importante è offerto dalla Convenzione europea in materia di adozione dei minori (riveduta), il cui articolo 7, comma 246, contempla anche la possibilità – rimessa comunque ad una scelta degli Stati fi rmatari – dell'adozione da parte di coppie dello stesso genere coniugate o unite per tramite di una unione registrata o, an-cora, semplicemente conviventi. Le fonti del diritto del Consiglio d'Europa convergono così verso un paradigma comune anche al diritto dell'Unione, che prima con il contrasto alla discriminazione di genere, quindi, a seguito del Trattato di Amsterdam, anche a quella fondata su altri fattori, tra cui l'orientamento sessuale, ha testimoniato la spinta verso un diritto più inclu-sivo e lontano dagli schemi di genere e dagli stereotipi.

3.2 La cittadinanza dell’Unione

Occorre innanzitutto precisare che i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU sono parte integrante delle norme di cui l’Unione europea assicura il rispetto, in quanto principi generali, conformemente all’art. 6, n. 3, TUE.

qui, selon la Cour, ne saurait justifi er à suffi sance une différence de traitement pas plus d’ailleurs que d’autres préjugés identiques reposant sur la race, l’origine, la couleur ou l’orientation sexuelle.» § 58.

45 Assai rari sono i casi in cui la Corte di Strasburgo trae fonte di ispirazione per interpretare la CEDU dalla Carta di Nizza. Gli articoli dedicati al matrimonio (rispettivamente articolo 12 e articolo 9) sono stati il primo signifi cativo esempio, sin dalle sentenze Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, p. 100, CEDH 2002-VI e I. c. Regno Unito [GC], n. 25680/94, p. 80, 11 luglio 2002. Se allora tale raffronto fu uno degli elementi che trasformarono il matrimonio di cui all’ar-ticolo 12 da unione fra due persone di sesso diverso a persone di genere diverso, in Schalk, p. 60, questo nuovo raffronto consente di compiere un ulteriore passo: dal matrimonio quale unione solo fra due persone di genere diverso al matrimonio quale unione di persone anche del medesimo genere.

46 Ma si vedano anche gli articoli 5, c. 1, 8 e 9. L’originaria Convenzione europea in materia di adozione dei minori è stata aperta alla fi rma a Strasburgo il 24 aprile 1967 ed è stata ratifi cata con legge 22 maggio 1974, n. 357. La Convenzione riveduta è stata aperta alla fi rma il 27 novembre 2008, STCE n. 202. L’Italia non vi ha ancora aderito.

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 57

Delle disposizioni della Carta di Nizza si è in parte già detto. Lo scopo della stessa era non di creare nuovi diritti, ma di confermare i diritti fonda-mentali riconosciuti dal diritto dell’Unione.47 Il divieto di «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso . . . sull’orientamento sessuale» è stato quindi inserito nell’art. 21, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali in quanto principio che già esisteva. Con riguardo all'età, ad esempio, è stato affermato che esiste un divieto generale di non discrimi-nazione che preesiste ed è autonomo rispetto al diritto derivato in quanto principio generale.48

Questo principio di non discriminazione, concretizzatosi per quanto riguarda l'orientamento sessuale nella direttiva 2000/78/CE, non impone agli Stati di rivedere il proprio diritto di famiglia49. Tuttavia, questi devono rispettarlo nell'esercizio delle loro competenze50.

La tutela delle famiglie omogenitoriali nel diritto comunitario transita, inoltre, attraverso la libertà di circolazione dei cittadini dell'Unione. In un contesto europeo in cui proprio il diritto di famiglia è lungi dall'essere ar-monizzato, il mancato riconoscimento degli status familiari, ad esempio di co-genitore, rappresenta un notevole ostacolo al pieno godimento di questa libertà fondamentale. Nella causa Garcia Avello la Corte di giustizia ha ritenuto che violasse il diritto comunitario il mancato riconoscimento del cognome secondo le norme di un altro Stato dell'Unione, quando un ge-nitore possiede la cittadinanza sia dello Stato in cui risiede che dell'altro.

47 E infatti nel preambolo della Carta vi è scritto che questa «riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internaziona-li comuni agli Stati membri, dalla [CEDU], dalle Carte sociali adottate dall’Unio-ne e dal Consiglio d’Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo».

48 Come affermato in Corte di giust., del 19 gennaio 2010, causa C-555/07, Kücükde-veci, par. 50, in Racc., I- e già prima nella sentenza 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold, in Racc. pag. I-9981, par. 74 e 76. La stessa enunciazione con riguardo all’orientamento sessuale è attesa nella decisione della Corte nella causa pendente C-147/08, Römer, v. le Conclusioni dell’Avvocato generale N. Jääskinen del 15-7-2010.

49 L’Unione europea non ha alcuna competenza a legiferare per quanto riguarda «lo stato civile e le prestazioni che ne derivano», trattandosi di legislazioni che rimangono impregiudicate dalla direttiva 2000/78/CE, come enunciato dal consi-derando 22 della stessa.

50 Come la Corte di giustizia ha chiarito nella sentenza 1º aprile 2008, causa C-267/06, Maruko c. VddB, in Racc., I-1757), par. 59, «gli Stati membri, nell’esercizio di det-ta competenza [lo stato civile e le prestazioni], devono rispettare il diritto comuni-tario, in particolare le disposizioni relative al principio di non discriminazione».

58 Omogenitorialità

Per la Corte è «pacifi co che, segnatamente a causa della vastità dei fl ussi migratori all'interno dell'Unione, diversi sistemi nazionali di attribuzione del cognome coesistono in uno stesso Stato membro, cosicché la fi liazione non può essere necessariamente valutata nella vita sociale di uno Stato membro con il metro del solo sistema applicabile ai cittadini di quest'ulti-mo Stato.»51 Non è allora concepibile che un genitore riconosciuto in uno Stato membro non lo sia in un altro e ciò anche per profi li ulteriori rispetto a quelli di tutela del benessere dei fi gli, che rimane comunque centrale.52 Per quanto non constino precedenti riguardanti l'omogenitorialità,53 il rico-noscimento all'interno dell'Unione pare un elemento inevitabile e che tra-valica il dualismo di genere presente ancora negli schemi della genitorialità di alcuni Stati.

Tuttavia, se il diritto comunitario protegge le famiglie omogenitoriali che circolano sul territorio dell'Unione, occorre domandarsi quale effetto ciò determini per le famiglie omogenitoriali che non varcano i confi ni nazionali

51 Corte di giustizia, sent. 2-10-2003, causa C-148/02, Garcia Avello, in Racc., I-11613, p. 42.

52 Lo stesso si dovrebbe dire per quanto riguarda il riconoscimento del matrimonio o di altri istituti comparabili. È noto che il Tribunale di Latina, 10-06-2005, in Famiglia e dir., 2005, 411, n. Schlesinger, Bonini Baraldi, e la Corte di appello di Roma, 13-07-2006, in Guida al dir., 2006, fasc. 35, 55, n. Bilotta, hanno ritenuto contrario all’ordine pubblico il riconoscimento di un matrimonio contratto fra due persone dello stesso genere all’estero. La fattispecie concreta, tuttavia, diffi cil-mente poteva gravitare nell’ambito del diritto comunitario (quantomeno alla luce della giurisprudenza di Lussemburgo di allora). Diversa in ogni caso potrebbe essere la situazione della omogenitorialità, appunto per il preminente interesse del bambino a continuare a godere del legame giuridicamente riconosciuto con entrambi i genitori.

53 Nel trattare un caso di maternità surrogata di genitori di diverso genere, la Corte di appello di Bari, sent. 13-2-2009, in Giur. merito, 2010, 349, n. Dell’Utri, rile-va come «nella valutazione del profi lo riguardante la nozione di ordine pubblico internazionale, rientra indubbiamente l’interesse dei fi gli minori ad avere il rico-noscimento giuridico di fi liazione con la loro madre sia che essi si trovino [nel Re-gno Unito], sia che essi vivano in Italia». La questione è ampiamente considerata nel contributo di M. Winkler, Friends to our children, in questo Volume, a cui si rinvia per approfondimenti. Il collegio riconosce l’effi cacia in Italia dei parental orders argomentando alla luce del principio relativo all’interesse superiore del fanciullo, sancito dalla Convenzione delle Nazioni unite del 20 novembre 1989 sui diritti dell’infanzia e ribadito dal regolamento (Ce) n. 2201/2003, nonché del diritto alla libera circolazione delle persone dell’Unione europea, valorizzato dal-la Corte di giustizia delle Comunità europee nei casi Garcia Avello, cit., e in sent. 14-10-2008, causa C-353/06, Grunkin, in Racc., I-07639 (entrambi riguardanti l’attribuzione e il riconoscimento dei cognomi dei fi gli di cittadini comunitari).

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 59

o che non ricadono all'interno di una delle ipotesi del diritto comunitario.54 Vi è il vero rischio che si realizzi ciò che è noto con l'espressione «discri-minazione alla rovescia» (in francese discrimination à rebours, in inglese, ma solo nell’accezione propria dell’inglese giuridico comunitario, reverse discrimination), cioè una differenza di trattamento fra cittadini e imprese nazionali da una parte e cittadini e imprese comunitari dall’altra, con una situazione di maggior favore riconosciuta a questi ultimi in virtù del diritto dell’Unione.55 Così, ad esempio, due co-madri neerlandesi che decidono di stabilirsi in Italia potrebbero godere del pieno riconoscimento del loro sta-tus, mentre due corrispondenti co-madri italiane non potrebbero.

Si potrebbe argomentare che tale forma di discriminazione è da ritenersi proibita dal diritto comunitario, in quanto si basa sul criterio della nazio-nalità e dovrebbe quindi essere vietata dall'art. 18 TFUE e dalle libertà

54 Due cittadine o cittadini italiani che non varcano i confi ni nazionali per vivere o lavorare offrono una fattispecie che è interamente interna. La regola della situa-zione puramente interna è stata annunciata dalla Corte di Giustizia nella sentenza 7-2-1979 , causa 115/78, Knoors, in Racc., 399 e poi espressamente affermata nella sentenza 28-3-1979, causa 175/78, Saunders, in Racc., 1129, p. 11. È sta-ta quindi ribadita in diversi altri casi, tra cui in sent. 14-12-1982, cause riunite 314-316/81 e 83/82, Waterkeyn, in Racc., 4337 (con riguardo ai prodotti); sent. 23-1-1986, causa 298/84, Iorio, in Racc. 247; sent. 3-10-1990, cause Nino e al-tri, causa C-54/88, C-91/88 e C-14/89, in Racc., I-3537; sent. 7-7-1992, causa C-370/90 Surinder Singh, Racc., I-4265; sent. 11-7-2002, causa C-60/00 Carpen-ter, in Racc., I-6279; sent. 5-6-1997, cause riunite C-64/96 e C-65/96, Uecker e Jacquet, in Racc., I-3171 (libera circolazione delle persone); sent. 21-10-1999, causa C-97/98, Jägerskiöld, in Racc., I-7319 (in tema di servizi); sent. 23-2-2006, causa C-513/03, Van Hilten-van der Heijden , in Racc., I-1957 (con riguardo a capitali). Vedi, infi ne, la sent. 19-10-2004, causa C-200/02, Zhu e Chen, in Racc., I-9925 (art. 21 TFUE, già art. 18 TCE). Vedi in letteratura M. Poiares Maduro, The Scope of European Remedies: The Case of Purely Internal Situations and Re-verse Discrimination in C. Kilpatrick, T. Novitz e P. Skidmore (cur.), The Future of European Remedies, Oxford, Hart, 2000, in particolare 122-123, nonché F. La-jolo, Un altro caso di discriminazione a rovescio? Nota a margine della decisione del Consiglio di Stato 23 luglio 2008 n. 3621, disponibile all’URL http://www.europeanrights.eu.

55 Si veda il recente studio di A. Tryfonidou, Reverse discrimination in EC law, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn, 2009, nonché C. Dautricourt, S. Thomas, Reverse Discrimination and free movement of persons under Com-munity law: all for Ulysses, nothing for Penelope?, in E. L. Rev., 2009, 443 e ss.; Editoriale Two-speed European Citizenship? Can the Lisbon Treaty help close the gap?, in CMLRev, 45, 2008, 1, ma già critico era S.D. Kon, Aspects of Reverse Discrimination in Community Law, in ELRev, 6, 1981, 75.

60 Omogenitorialità

fondamentali dell'Unione, corollari del principio generale di non discrimi-nazione in ragione della nazionalità.56

La Corte di giustizia, tuttavia, era ferma nell'affermare che una disparità di trattamento rappresenta una violazione dell'art. 18 TFUE o comunque delle libertà fondamentali comunitarie soltanto quando i suoi effetti deter-minano un ostacolo alla realizzazione del mercato unico. Tale effetti non sono prodotti nelle ipotesi di discriminazione alla rovescia, poiché nasco-no da una fattispecie nazionale e producono i propri effetti all'interno dei confi ni dello Stato membro.57 L'assurdità della regola era già stata messa in luce dall'Avvocato generale Slynn diverso tempo addietro, ma le conse-guenze dallo stesso giudicate inevitabili poiché discendevano dal principio di libera circolazione dei lavoratori.58

Oggi la situazione si presenta diversa, a seguito di sentenze come ad esempio Baumbast,59 e la progressiva valorizzazione della cittadinanza eu-ropea quale dimensione giuridica di ogni cittadino, a prescindere dalla sua effettiva circolazione sul territorio dell'Unione, pare essere lo strumento per andare oltre i limiti «assurdi» del principio della situazione puramente interna. Si deve tuttavia anche superare un punto fermo della stessa Corte

56 E sia consentito di osservare en passant che, come genere, pure la categoria giu-ridica di nazionalità è un artefatto del diritto, anzi, è forse la massima espressione della sua dimensione astratta.

57 V. sentenza 18-2-1987, causa 98/86, Mathot, in Racc., 809, 7; sentenza 15-1-1986, causa 44/84, Hurd, in Racc., 29. Evita di entrare nel merito della questione invece in sentenza 15-6-2006, causa C-446/04, Herrera, p. 46-52. Come ebbe a scrivere G. Gaja, Les discriminations à rebours : un revirement souhaitable, in Mélan-ges en hommage à M. Waelbroeck, Bruxelles, Bruylant, 1999, p. 993: « L’article 12 du Traité CE ne se réfère qu’aux discriminations qui relèvent directement du droit communautaire ; ce droit ne s’occupe pas des situations qui sont purement internes à un Etat membre ; la manière dans la quelle ces situations sont réglées et les discriminations à rebours qui peuvent en résulter n’intéressent pas le droit communautaire».

58 Si tratta delle conclusioni dell’Avvocato generale Sir Gordon Slynn in Corte di giust., Morson e Jhanjan, cause riunite 35 e 36/82, in Racc., 1982, 3738: «Si è detto che ciò ha conseguenze assurde se un non cittadino può entrare con la sua famiglia o se, come sostiene la Commissione, un cittadino può rimpatriare con la sua famiglia, ma non può far sì che la sua famiglia si unisca a lui nel luogo dove è sempre stato. Poiché i diritti attribuiti derivano dal principio della libera circola-zione dei lavoratori e non dal diritto di risiedere nell’intera comunità, le lacune nel diritto di una famiglia di vivere con uno dei membri sono quantomeno possibili e forse inevitabili.»

59 Corte giust., sent. 7-12-2002, causa C-413/99, Baumbast e R, in Racc., I-7091, p. 82, in cui i giudici ricordano che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri.

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 61

di giustizia, la quale con riferimento specifi co alla cittadinanza dell’Unione ha affermato che questa «non ha lo scopo di estendere la sfera di applica-zione ratione materiae del Trattato anche a situazioni nazionali che non ab-biano alcun collegamento con il diritto comunitario».60 Con la recentissima sentenza Ruiz Zambrano,61 avente ad oggetto proprio la tutela del legame genitore-fi glio, tale superamento sembra effettivamente avvenuto. La Cor-te di giustizia ha chiaramente statuito che «l’art. 20 TFUE osta a provvedi-menti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Rottmann, cit., punto 42)».62 La fat-tispecie del caso menzionato, per quanto non riguardi una famiglia omo-genitoriale, si attaglia perfettamente ad una sua applicazione a tali ultimi contesti, essendo al centro della causa Ruiz Zambrano proprio la tutela del legame fra fi gli in tenera età e genitori.

In attesa che il legislatore tragga dalla giurisprudenza comunitaria più recente le opportune conseguenze e che questa acquisti contorni più nitidi, anche con riferimento alle famiglie omogenitoriali, l’eventuale prospettiva della discriminazione alla rovescia è rimessa all’ordinamento nazionale e, quindi, alle sue corti.63 In Francia, ad esempio, la giurisprudenza ha ricono-sciuto la validità della co-genitorialità di due madri a seguito di adozione all'estero (Stati Uniti)64 e il governo ebbe già a ritenere che un matrimonio fra persone dello stesso genere e i rapporti di fi liazione ad esso correlati,

60 Corte giust., sent. 1-4-2010, causa C-212/06, Governo della Comunità francese e Governo vallone c. Governo fi ammingo, in Racc., I-1683, p. 39.

61 Corte giust., sent. 8-3-2011, causa C-34/09. La sentenza è stata integrata nel presen-te contributo quando questo era sostanzialmente concluso e meriterebbe senz’al-tro un’analisi più approfondita alla luce del portato fortemente innovativo.

62 Ivi, punto 42. Il caso riguardava il mancato rilascio da parte delle autorità belghe del permesso di lavoro e di soggiorno al padre colombiano di bambini in tenera età con cittadinanza belga. Il principio opera anche in una fattispecie, quale quella de qua, come è chiaro dalla questione posta dal giudice rimettente, in cui il fi glio non ha mai esercitato il suo diritto alla libera circolazione nel territorio degli Stati membri.

63 La Corte di giustizia rimette agli Stati membri la decisione sull’opportunità di adottare soluzioni per rimuovere situazioni di discriminazione alla rovescia nella sent. 16-6-1994, causa C-132/93, Steen (n. 2), in Racc., I-02715, e nell’ord. 24-1-2004, causa C-253/01, Krüger, in Racc. I-1191, p. 36.

64 Cass.civ., sez. II, 8 luglio 2010 (il caso coinvolgeva una cittadina non francese e riguardava l’exequatur di un provvedimento di adozione emanato da una autorità giudiziaria statunitense). La disparità di trattamento è chiara e la Corte di cassa-zione ha rivolto al Conseil constitutionnel una questione prioritaria di costituzio-nalità. I Saggi hanno rilevato la conformità dell’art. 365 c.c. con la Costituzione,

62 Omogenitorialità

inclusa l'adozione, possano essere riconosciuti, ma solo ove si tratti di per-sone di nazionalità straniera.65

Anche in Italia la Corte costituzionale ha evidenziato il limite che incon-tra il diritto comunitario.66 Si è, tuttavia, anche occupata delle conseguenze di tale situazione sui diritti fondamentali. Ha così deciso in una storica sentenza che la situazione discriminatoria determinata dall'applicazione del principio comunitario di libera circolazione delle merci a detrimento delle imprese italiane non può trovare giustifi cazione alla luce del principio di eguaglianza di cui all'art. 3, oltre che della tutela della libera iniziativa economica privata garantita dall'art. 41, 1° comma. Con parole che, mutatis mutandis, si attagliano anche alla discriminazione verso le famiglie omo-genitoriali, i giudici nel caso detto Pasta affermarono infatti che

riaffermando che solo una coppia sposata può adottare: decisione 6-10-2010, n. 2010-39 [QPC].

65 V. risposta del Governo alla interrogazione n. 41533, XII legislatura, in Journal Offi ciel del 26-07-2005, 7437. Richiamando i principi di diritto internazionale pri-vato e rilevando comunque l’«apprezzamento sovrano» dei tribunali, il Governo è stato dell’avviso che l’adozione e la fi liazione saranno validamente regolati dalla legge che si applica al matrimonio: «Une union homosexuelle ne pourra produire des effets juridiques en France que si la loi ou les lois nationales des deux époux admettent ce mode d’union. Dans le cas de partenaires de nationalité différente, une application distributive des lois en présence sera effectuée. Quoi qu’il en soit, le mariage de deux femmes ou de deux hommes de nationalité française aux Pays-Bas ou en Belgique ne pourra être reconnu en France, puisque la loi nationale française le prohibe. Dans l’hypothèse d’un mariage homosexuel étranger qui serait considéré comme conforme à la loi nationale des deux époux, ses effets personnels (comme l’adoption ou la fi liation) seraient en principe soumis à la loi du pays du mariage, tandis que ses effets patrimoniaux seraient soumis aux règles régissant le régime matrimonial en droit international privé» (grassetto nostro).

66 Nella nota sentenza Granital, 5-6-1984, n. 170, la Corte costituzionale precisò che «[f]uori dall’ambito materiale, e dai limiti temporali, in cui vige la disciplina comunitaria . . . la regola nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua effi cacia», ma ricordando tuttavia che «è appena il caso di aggiungere, essa sog-giace al regime previsto per l’atto del legislatore ordinario, ivi incluso il controllo di costituzionalità.» Più recentemente, prendendo posizione in merito agli effet-ti sull’ordinamento italiano della Carta di Nizza, la Consulta ha voluto tuttavia ribadire che è condizione per la sua applicabilità che «la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al dirit-to dell’Unione, ovvero alle giustifi cazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto»: sentenza 11-3-2011, n. 80.

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 63

... quello spazio di sovranità che il diritto comunitario lascia libero allo Stato italiano può non risolversi in pura autodeterminazione statale o in mera libertà del legislatore nazionale, ma è destinato ad essere riempito dai principî costitu-zionali e, nella materia di cui si tratta, ad essere occupato dal congiunto operare del principio di eguaglianza e della libertà di iniziativa economica, tutelati da-gli artt. 3 e 41 della Costituzione . . . . la sola alternativa praticabile dal legisla-tore – in assenza di altre ragioni giustifi catrici costituzionalmente fondate – è l’equiparazione della disciplina della produzione delle imprese nazionali alle discipline degli altri Stati membri . . . . il principio di non discriminazione . . . opera, nella diversità delle discipline nazionali, come istanza di adeguamento del diritto interno ai principî stabiliti nel trattato agli artt. 30 e seguenti; opera, quindi, nel senso di impedire che le imprese nazionali siano gravate di oneri, vincoli e divieti che il legislatore non potrebbe imporre alla produzione comu-nitaria: il che equivale a dire che nel giudizio di eguaglianza affi dato a questa Corte non possono essere ignorati gli effetti discriminatori che l’applicazione del diritto comunitario è suscettibile di provocare.67

Si ipotizzi allora che l’Italia sia tenuta a riconoscere un rapporto di geni-torialità verso due persone dello stesso genere validamente creatosi in uno Stato membro. Si può ritenere in linea con la Costituzione e con l’articolo 3 in particolare che due donne (cittadine di altro Stato UE, ma invero anche italiane) lavoratrici in Spagna e lì divenute madri, al loro rientro in Italia siano considerate ancora madri, mentre due concittadine in una situazione analoga non lo siano? Vi sono molteplici e gravi motivi per ritenere che tale conclusione non sarebbe in linea con i dettati della Carta fondamentale, a tacere di altre fonti, in primis internazionali.68

67 Corte cost., 30-12-1997, n. 443, con la quale la Consulta ha dichiarato incosti-tuzionale una disposizione normativa nella parte in cui non prevedeva che alle imprese aventi stabilimento in Italia fosse consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l’utilizzazione di ingredienti (nella fat-tispecie aglio e prezzemolo) legittimamente impiegati in base al diritto comunita-rio, nel territorio della Comunità europea.

68 L’art. 2, c. 1, della Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989, ratifi cata con leg-ge 27-5-1991, n. 176, impone agli Stati di adottare provvedimenti appropriati af-fi nché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari. Si potrebbe argomentare che anche la identità o differenza del genere dei genitori non può giustifi care un pregiudizio per la piena tutela del minore. D’altronde, il principio è insito anche nell’ordinamento italiano, come osserva G. Ferrando, Genitori e fi gli nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Fam. e dir., 2009, 1057: «anche in diritto interno da tempo l’interesse preminente del minore costituisce non solo criterio sul quale ordinare le relazioni tra genitori

64 Omogenitorialità

Gli effetti del diritto dell’Unione diviene così un fatto di cui l’ordina-mento deve prendere atto nel giudizio di eguaglianza. Per il tramite dell’ar-ticolo 3 Cost. il paradigma di un nuovo diritto affrancato dagli stereotipi di genere è instillato dalle fonti europee negli schemi nazionali. Se per la pasta con l’aglio e il prezzemolo non si sono riscontrate particolari diffi -coltà – e nonostante l’importante ruolo, anche fondativo dell’identità na-zionale, della cultura culinaria italiana – il mutamento di paradigma degli istituti fondamentali del diritto di famiglia incontra maggiori resistenze e impone un approccio sistematico, una sostanziale palingenesi delle coordi-nate dell’ordinamento italiano. Sistematicità, lungimiranza, effi cienza del sistema giuridico sono dati che colpevolmente mancano nella cronaca del diritto italiano degli ultimi decenni.

4. Conclusioni

Gli ordinamenti della cultura giuridica occidentale hanno assunto con-tezza nel Novecento della disparità di trattamento fra i sessi e della discri-minazione che ciò determinava. Hanno quindi sancito a livello interno così come internazionale l’esigenza di garantire una piena eguaglianza. Nel corso del lungo percorso, certo non ancora concluso, verso l’affermazione dell’eguaglianza degli individui, siano essi uomini o donne, il diritto ha messo in discussione singole discipline ponendole al vaglio della ragione-volezza. Ne è emerso un quadro in cui ciò che appariva un «dover essere», perché così è sempre stato, perché tradizione lo giustifi cava e perché ap-pariva naturale, poteva in verità anche non essere e, anzi, ad un più atten-to esame, non doveva essere punto. Grazie anche alla sensibilità di altre scienze sociali, il diritto si vede nudo, avvolto in una gabbia sessista, in cui dalla semplice classifi cazione delle persone e delle coppie in base ai loro cromosomi si traevano assunti comportamentali e culturali. L’attenzione si sposta allora dal sesso al genere, dal dato biologico, che permane in quanto tale, agli schemi antropologici e in particolare sociali di cui il diritto può e deve spogliarsi.

Nella seconda metà del XX secolo si afferma anche la tutela dell’identità di genere, che di questo percorso degli ordinamenti appare coerente corol-lario. Per il diritto comunitario essa diviene una dimensione della tutela antidiscriminatoria ancorata al sesso, per il diritto costituzionale tedesco

e fi gli, ma anche elemento determinante nell’attribuzione di status (artt. 250, 251, 269 c.c.)».

A. Schuster - L’abbandono del dualismo eteronormativo della famiglia 65

rientra nella tutela dell’identità sessuale, per altri (Regno Unito, Ungheria, Svezia) è autonomo fattore di tutela. Dalla sentenza del 1975 della Corte costituzionale sul transessualismo alla sentenza Goodwin della Corte di Strasburgo e alla sentenza K.B. della Corte di giustizia69, dalle leggi regio-nali italiane alle decisioni e legislazioni più recenti che vanno oltre l'ipotesi del solo transessualismo, la tutela dell’identità di genere diviene emblema di un diritto che supera – ma non nega – la dimensione biologica e che considera, infi ne, l’individuo in quanto tale.

Un ordinamento che fa consapevolmente e compiutamente propria la nozione giuridica di genere sarà allora anche pronto ad abbandonarla. Sarà un diritto che non dovrà più discutere del matrimonio o della genitorialità di due persone dello stesso genere, perché, semplicemente, ciò che rileverà saranno solo le due persone, punto.70 Già oggi, d’altra parte, il diritto tutela la persona trans ponendo importanti restrizioni all’accesso a dati che evi-denzino la sua storia pregressa e obbligando perfi no le autorità a rivedere i propri atti in modo che l’unica identità del presente sia quella attuale.71 Si può vedere in ciò la volontà di riaffermare che l’unica identità che il diritto (oltre che la società) semmai deve prendere in considerazione è quella del genere. Gli ordinamenti che – per il tramite del formante giurisprudenziale o di quello legislativo – hanno superato l’obbligo di normoconformazione del corpo al genere sono espressione dell’evoluzione del miglior diritto, quello che pone l'attenzione sul benessere della persona in quanto tale e non indulge in schemi eteronormativi del passato.

69 Sentenza 7-1-2004, causa C-117/01, K.B., in Racc., I-00541. A fronte di un di-niego di una pensione di reversibilità al convivente transessuale, la Corte ritiene incompatibile con la parità di trattamento fra uomini e donne una legislazione nazionale che, in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, im-pedisca ad una coppia eterosessuale, in cui l’identità di uno dei due membri deriva da un’operazione medica di cambiamento di sesso, di soddisfare la condizione del matrimonio, necessaria affi nché uno di essi possa godere di un elemento della retribuzione dell’altro.

70 La disaggregazione delle categorie di sesso e genere (oltre che orientamento ses-suale) contribuisce, attraverso la riaffermazione degli stereotipi e ruoli di genere, a che il diritto superi progressivamente l’approccio classifi catorio secondo rigide categorie della diversità. Vedi con riguardo a questa prospettiva anche Case, op. cit., 9, la quale suggerisce che «a separate analytic category for gender discrimi-nation may indeed help point a way beyond sameness and difference.»

71 Illuminante la decisione della Commissione neerlandese per la parità di tratta-mento, secondo cui il certifi cato universitario deve essere rilasciato in una forma aggiornata che evidenzi il genere attuale e non quello del momento in cui l’atto è stato costituito, Commissie Gelijke Behandeling (CGB) (2010) Opinion 2010-175, disponibile all’URL http://archive.equal-jus.eu/704/.

66 Omogenitorialità

Il riconoscimento e la tutela giuridica delle famiglie omogenitoriali sono il fronte più recente e più interessante della demolizione del fi gurino par excellence del diritto occidentale, di quell’homo juridicus che assomma schemi, stereotipi e pregiudizi. Se la costruzione della Nazione, la fonda-zione di ordinamenti giuridici, la realizzazione di codifi cazioni hanno ri-chiesto un passaggio obbligato rappresentato dall’adesione ad un modello preciso di agente del diritto, oggi questo dazio la società contemporanea può evitare di continuare a pagarlo. Lo suggerisce la stessa Carta costi-tuzionale italiana, lo impone il diritto europeo. Quando l’uguaglianza si-gnifi ca non discriminazione, anti-subordinazione e anti-stigmatizzazione72, l'uguaglianza si muove verso un unico genere: quello dell'essere umano. Come hanno scritto i giudici di Strasburgo, «lo Stato, nella scelta dei mez-zi deputati a proteggere la famiglia e ad assicurare, così come richiesto dall’articolo 8 [CEDU], il rispetto per la vita familiare deve necessaria-mente prendere in considerazione gli sviluppi della società e i cambiamenti nella percezione delle questioni sociali, di stato civile e relazionali, incluso il fatto che non c’è un unico modo o una unica possibilità per condurre e vivere la propria vita familiare o privata»73. Parole che esprimono con chia-rezza e semplicità ciò che taluni Stati si rifi utano di ammettere: le istanze di eguaglianza e giustizia non consentono più di ragionare per fi gurini.74

72 In questi tre profi li riassume l’agire del principio costituzionale di uguaglianza nel suo insieme di primo e secondo comma B. Pezzini, Dentro il mestiere di vivere: uguali in natura o uguali in diritto?in R. Bin et al. (cur.), La «società naturale» e i suoi “nemici” Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Giappichelli, Torino 2010, passim, con rinvio anche per i richiami agli altri saggi dell’autrice in cui sviluppa il principio di anti-subordinazione.

73 Kozak, cit., p. 98, traduzione dell’autore.74 E forse tutta la tutela dei diritti dovrebbe cessare di essere impostata essenzial-

mente su ragionamenti astratti e fi gurini: cfr. R. Bin, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza, in AA. VV., Studi in onore di Giorgio Berti, I, Napoli, Jovene, 2005, 345-374.