22
Carocci Valdesi nel Mediterraneo Tra medioevo e prima età moderna A cura di Alfonso Tortora w

M.Fratini - Per una geografia del Valdismo mediterraneo - in Valdesi nel Mediterraneo.2010

Embed Size (px)

Citation preview

ValdesinelMediterraneo

Acura

diAlfonsoTortora

Il volume getta un rinnovato sguardo su uno spazio storico-geografico,quale fu il Mediterraneo nella prima età moderna, che apparesempre più affollato da opportunità e occasioni di mescolanzeetniche e coesistenze culturali, di circolazione delle idee e mobilitàdelle persone.In questo orizzonte il mondo valdese e l’eco delle stragi chelo colpirono a fine Cinquecento cominciano ora a trovareuna loro ben precisa e riconoscibile collocazione storica. Pertanto,i risultati delle ricerche qui riunite delineano l’articolato quadrodella vicenda valdese nel Sud d’Italia, proponendo, tra l’altro,una innovativa interpretazione dei modi e dei tempi con cuile comunità valdesi si sono diramate dalle Alpi al Mezzogiornotra medioevo e prima età moderna. Il chiaro interesse versoun’area di ricerca poco frequentata sotto l’aspetto storiograficocostituisce l’ossatura del presente volume, che apre a nuoveriflessioni sul composito mondo valdese e sulla sua vicendaumana e di fede.

€ 22,00 C Carocci

Valdesi nel MediterraneoTra medioevo e prima età moderna

A cura di Alfonso Tortora

wAlfonso Tortora insegna Metodologia della ricerca storica e Storia dei servizi sociali presso la Facoltà di Scienze Politichedell’Università degli Studi di Salerno. Alla storia dei movimentiereticali presenti nel Mezzogiorno nella prima età moderna ha dedicato alcuni studi, tra i quali figurano: Libero pensiero e correnti ereticali nel Cinquecento meridionale, Avaglianoeditore, Cava de’ Tirreni 1997; Presenze valdesi nel Mezzogiornod’Italia (secoli xv-xvii), Laveglia, Salerno 2004; La Storia e la Chiesa (secoli xvi-xvii). Ricerche e letture critiche, Plectica,Salerno 2007.

Copertina Tortora:Studi storici 8-01-2010 15:11 Pagina 1

Introduzione di Marco Fratini e Alfonso Tortora

Nel panorama degli studi storici il valdismo occupa una posizione certamente marginale. Si tratta di una marginalità che ha svariate motivazioni, fra cui, sen­za dubbio, il suo essere minoranza in un paese a grande maggioranza cattolica romana. È anche una marginalità sociale, che ha origine nell’identificazione del movimento valdese, praticamente fin dalle origini, con l’eresia, dunque corpo estraneo rispetto alla societas christiana. È, infine, marginalità geografica, essen­do identificata, oggi come in passato, con il “bastione alpino” che ha resistito nei secoli ai tentativi di annientamento.

Viene allora da chiedersi quale sia la posizione (e quale importanza assuma), nel quadro tracciato, della presenza valdese nelle regioni del Mezzogiorno d’Ita­lia. Trascurata e spesso dimenticata dagli studi, anche rispetto allo stesso “val­dismo alpino”, del quale è al massimo considerata un’appendice, si ritiene co­munemente che abbia avuto vita troppo breve e sostanzialmente limitata ad al­cuni isolati villaggi dell’appennino pugliese e calabrese per poter meritare un reale interesse e una qualche dignità entro l’orizzonte già frammentario e fra­stagliato della geografia valdese fra medioevo ed età moderna.

In questo senso, un approccio storiografico tradizionalmente orientato ad una interpretazione della storia valdese in quei luoghi in un’ottica eminente­mente religiosa non ha certo giovato. Anzi, evidenziandone inevitabilmente il “picco” storico degli eventi repressivi (con finalità polemistiche pressoché in-variate dal Cinquecento quasi fino ad oggi), esso ha finito, per contrasto, per rendere quasi impossibile l’utilizzo di un’altra chiave di lettura (il che non vuol dire, naturalmente, dimenticare il peso e il significato che la memoria delle stra­gi del XVI secolo ha avuto nella formazione e nella trasmissione del patrimonio storiografico e mitografico valdese, un tema che anzi varrebbe la pena, prima o poi, di ricostruire).

Ecco che allora il recente e soprattutto nuovo interesse per uno studio indi­rizzato non soltanto all’aspetto repressivo, e per di più da parte di studiosi an­che con forte radicamento nella storiografia del Mezzogiorno, con un occhio at­tento ai fenomeni migratori e al complesso mosaico di culture che lo caratteriz­zano, è in grado di portare nuovi elementi e nuovi sguardi per una lettura più articolata di questo quadro.

9

MARCO FRATINI E ALFONSO TORTORA

Per la verità, è da più di un quarto di secolo che grazie a Giovanni Gonnet i valdesi della Puglia e della Calabria hanno destato curiosità, oltre che per la fase repressiva, anche per le vicende delle origini. Ma, per quanto riguarda la storiografia di ambito valdese, non si è proceduto molto oltre. Parallelamente, su questi temi, una nutrita schiera di studiosi locali appassionati, tendenti in mi­sura più o meno rilevante all’erudizione, fortemente radicati nelle regioni del-l’Irpinia, della Daunia e dell’alta Calabria tirrenica hanno messo mano, in mo­do chiaramente non sistematico, ad una interessante documentazione locale, spesso tuttavia senza metterla in relazione con le altre vicende valdesi e senza comprenderne la reale importanza per la ricostruzione del fenomeno nel suo insieme.

L’aspetto repressivo è invece quello che ha goduto di maggiore fortuna, gra­zie all’interesse di Filippo De Boni, Luigi Amabile, Ernesto Pontieri, Pasquale Lopez, Mario Scaduto, fino alle aperture documentarie di Pierroberto Scara­mella e ai recenti lavori di alcuni studiosi calabresi. Questi contributi hanno or­mai fornito un quadro sufficientemente chiaro e documentato delle dinamiche inquisitoriali, dell’articolazione dei poteri coinvolti e degli interventi nei con­fronti della popolazione locale, fornendo altresì alcuni squarci di osservazione sulla vita delle popolazioni.

L’esigenza di chiarire altri aspetti di quella presenza valdese a partire dalle origini degli insediamenti, delle dinamiche sociali in rapporto con le popola­zioni circostanti, hanno portato a servirsi di altre tipologie documentarie, anco­ra quasi totalmente da individuare, soprattutto negli archivi locali. Atti di ma­trimonio, disposizioni testamentarie, compravendite, controversie, regolamen­tazioni statutarie e fiscali, e molto altro ancora, rappresentano fonti in grado di aprire nuovi spazi di ricerca e nuove occasioni di comprensione della vita di quelle comunità, anche nei loro rapporti con la società locale (tra convivenza, convenienza, tolleranza, sospetto e ostilità), i poteri feudali e le autorità eccle­siastiche.

Diviene pertanto fondamentale il coinvolgimento degli studiosi radicati sul territorio dell’Italia meridionale nell’individuazione degli archivi e delle fonti che meglio possano contribuire a colmare questi vuoti.

Tuttavia, la comprensione delle vicende delle comunità valdesi del Mezzo­giorno d’Italia sarebbe assai parziale e imprecisa se indagata soltanto nei loro rapporti interni e in quelli con i poteri locali. La peculiarità della loro storia ri­siede, oltre che nella specificità religiosa, nel loro essere comunità di immigrati. In quanto tali, la comprensione della loro specificità passa anche attraverso la ricostruzione puntuale dei legami con i luoghi di provenienza (che dopo la re­pressione della metà del Cinquecento saranno talvolta luoghi di ritorno) e con gli altri punti cardinali di quella “ragnatela migratoria”, dalla Campania alla Si­cilia. In questa geografia complessa e articolata vanno, inoltre, tenuti ben pre­senti altri punti di riferimento che si sono aggiunti in una seconda fase: in pri­mis Ginevra e le città della Riforma.

10

INTRODUZIONE

Ci si renderà conto, allora, che le prospettive di osservazione e le oppor­tunità di ricerca sono assai ampie, al punto da esaltare una interpretazione tutt’altro che marginale o locale, ma davvero europea, delle vicende dei val­desi del Mezzogiorno d’Italia, le quali, in relazione con l’altro grande nucleo, quello alpino, costituisce un insieme, variegato ma non disunito, che abbiamo voluto circoscrivere – con finalità naturalmente euristiche – con il termine “valdismo mediterraneo”.

Questo libro propone i risultati del Convegno “Valdismo mediterraneo tra medioevo e prima età moderna”, tenutosi a Fisciano e Pagani nei giorni 4 e 5 di­cembre 2008, con la partecipazione di studiosi italiani e stranieri, grazie al so­stegno dell’Università degli Studi di Salerno e della Fondazione Pagani, e con la collaborazione della Società di Studi Valdesi.

L’incontro è stato un passo significativo, nato da un percorso di confronto comune che ci ha portato più volte a coinvolgere studiosi di varia formazione e a saggiare anche l’interesse delle comunità locali dei luoghi di antico insedia­mento valdese.

Che, tuttavia, l’incontro salernitano non sia un punto di arrivo, ma un nuo­vo punto di partenza per le ricerche sul tema e per un più ampio confronto co­mune non è soltanto una conclusione che scaturisce dalle considerazioni fin qui esposte, ma anche un augurio per una migliore comprensione delle componen­ti culturali ricche e variegate del nostro paese.

11

2

Per una geografia del valdismo mediterraneodi Marco Fratini*

2.1«Calvinismo nel Mediterraneo» e valdismo mediterraneo

Nel 1951 Giorgio Spini dedicava un denso contributo alla vicenda di Nicola Gal­lo, il quale nel 1558, insieme al cosentino Valentino Gentile, nella Ginevra di Cal­vino subì un processo per aver simpatizzato per le dottrine antitrinitarie. Gallo era originario della Sardegna, nativo di Iglesias. Partendo da quella vicenda, Spi­ni seguiva le tracce di altri personaggi che «anche nella remotissima isola medi­terranea, pure così lontana dalle correnti spirituali europee del tempo e così chiusa nella sua arretrata limitatezza d’orizzonti»1, avevano manifestato simpa­tia per le idee della Riforma e le cui vicende biografiche si erano poi intrecciate con quelle di tanti altri esuli italiani approdati sulle sponde del lago Lemano.

Escludendo un movimento autoctono di Riforma nell’isola, non paragona­bile, sulla base dei dati a disposizione, ai cenacoli e ai gruppi sparsi in molte cit­tà della penisola, lo storico fiorentino rimarcava il fatto che la diffusione delle idee riformate in Sardegna sarebbe stata «frutto di importazione dal continen­te e non già di indigena maturazione di idee»2, alla quale avrebbero contribuito – per usare le parole contenute nella richiesta di aiuto che l’arcivescovo di Ca­gliari, Antonio Parragues de Castillejo, inoltrava all’imperatore Filippo II nel 1562 – l’arrivo di «predicadores» che «han salido de Geneva»3 .

Si disegnava così, agli occhi dello studioso della Riforma in Italia, un’imma­gine in cui «l’ombra del Calvino e la influenza morale di Ginevra si allungano attraverso il Mediterraneo fino a raggiungere le coste della Sardegna»4. Una geo­grafia fatta di traiettorie percorse dalle idee riformate, dalla Sicilia a Lione, dal­la Sardegna a Ginevra, e che sembravano «rimbalzare da un capo all’altro di quel mondo mediterraneo, delle cui vie di comunicazione e dei cui punti di in­crocio economico e politico»5 aveva pochi anni prima parlato Fernand Braudel nel suo ormai classico Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Per­tanto, in parallelo con il rifugio ginevrino di tanti altri riformati provenienti dal­le regioni dell’Italia meridionale, concludeva Spini, «le vicende del Gallo e de­

* Società di Studi Valdesi.

25

MARCO FRATINI

gli altri esuli sardi in Ginevra sembrano riferibili ad un fenomeno di ordine ge­nerale, alla esistenza cioè di un vero e proprio “calvinismo del Mediterraneo”»6 . Una definizione geografica che avrebbe poi trovato ulteriore conferma nelle ri­cerche di Salvatore Caponetto (particolarmente quelle dedicate alla Sicilia).

Spini individuava dunque, anche sulla base delle suggestioni del fondamen­tale libro di Braudel, la sovrapposizione fra rotte commerciali e traiettorie di dif­fusione di idee e di persone, ne metteva in rilievo l’importanza per la storia eu­ropea, fino ad attribuirle una specifica connotazione geografica.

In questi ultimi anni abbiamo riscontrato da più parti la necessità di pro­porre un’occasione di confronto sul tema della presenza valdese nel Mezzo­giorno d’Italia, in cui far confluire una varietà di approcci e metodi, con lo sco­po di valorizzare una pluralità di fonti e con il coinvolgimento di studiosi di dif­ferente provenienza culturale e geografica.

Ciò significa riaprire un capitolo di storia che per molto tempo sembrava di­chiarato concluso con la repressione delle comunità calabresi e la successiva conversione forzata di quelle pugliesi. Quella presenza è stata presto letta alla luce del suo epilogo e, di riflesso, ha finito per attirare l’attenzione soprattutto sui momenti repressivi, eccezion fatta per la curiosità di individuare il momen­to iniziale degli insediamenti. Riaprire quel capitolo della storia dei valdesi (ma anche un capitolo della storia del Mezzogiorno) significa non soltanto spostar­ne più avanti la cronologia finale, ma anche ripartire dai suoi inizi, ovvero, co­me ha avuto il merito di mettere in luce insistentemente Alfonso Tortora nelle sue recenti ricerche, prima di tutto verificarne e riaffermarne la «presenza»7 .

Perché, dunque, focalizzare lo sguardo sulla presenza dei valdesi nel Mez­zogiorno, fino ad ipotizzarne una specificità con caratteristiche proprie? L’az­zardo di questa ipotesi risiede nel tentativo di affrontarlo con un’ottica diffe­rente rispetto al passato. A partire da tre considerazioni preliminari.

Innanzitutto, si tratta di una «presenza» che è stata a lungo marginalizzata: se nella storiografia valdese della prima età moderna la storia dei valdesi del Mezzogiorno era funzionale soprattutto al dibattito e alla propaganda rifor­mata sul martirio8, la storiografia dell’ultimo secolo (tranne qualche eccezione) si è concentrata maggiormente sui valdesi delle Alpi9 e dell’Europa centrale. Segno, questo, che quella storia era ritenuta da considerare chiusa o non pro­blematica?

In secondo luogo, la recente ripresa di interesse potrebbe trarre un indub­bio vantaggio da una collaborazione con gli storici del Mezzogiorno, per af­frontare il tema di questa «presenza» come elemento problematico nella socie­tà meridionale fra medioevo ed età moderna. In questo senso, mi pare partico­larmente utile un “approccio regionale” alle vicende valdesi, a partire innanzi­tutto da una mappatura territoriale delle fonti cosiddette “locali” e da una loro adeguata valorizzazione.

Infine, in parallelo con quanto si sta facendo per i valdesi delle aree svizze­ra, francese e tedesca, questo «approccio attento al vissuto»10 costituirebbe un

26

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

potenziale stimolo ad esplorare anche le vicende dei valdesi del Piemonte dal punto di vista sociale e non soltanto religioso. Un approccio necessario perché – come ha giustamente richiamato Jean-François Gilmont in una rassegna sul­lo stato degli studi sui valdesi alpini fino al 1988 con un’affermazione tutt’altro che scontata – «tenant compte de la complexité de l’être humain, l’histoire re­ligieuse des Vaudois ne peut prétendre à une certaine qualité sans une appro­che socio-économique»11. E anche perché in questa prospettiva disponiamo, or­mai quasi da un quarto di secolo, dell’importante modello di ricerca di Gabriel Audisio sui valdesi del Luberon e, da un quindicennio, della monografia di Pier­rette Paravy su quelli del Delfinato.

2.2Un’ottica migratoria

Rispetto al citato «calvinismo del Mediterraneo», la storia delle comunità val­desi della penisola è caratterizzata da un elemento che ne influenza fortemente il destino storico. Si tratta del carattere migratorio che percorre tutta la storia dei valdesi fra medioevo e prima età moderna12. Una chiave di lettura, questa, che pare trovare conferma in alcune testimonianze contemporanee, perfino nel­la visione degli inquisitori, per i quali l’eresia si mostrava connessa con una cer­ta mobilità territoriale13 .

Il fattore geografico è uno dei problemi centrali nell’ambito degli studi del valdismo14, non soltanto per via dell’organizzazione del movimento in forma di diaspora, ma anche – legata a questa, come ha dimostrato ancora Audisio – per la loro particolare concezione dello spazio15. La consapevolezza dell’estensione della diaspora significava anche coscienza della propria collocazione spaziale in relazione ad un quadro geografico articolato che univa i luoghi in cui vivevano gli altri fratelli in fede. Se davvero la collocazione geografica e le distanze han­no in qualche modo influito sul destino storico dei valdesi del Sud Italia, riten­go che l’elemento migratorio caratterizzi questi ancor più rispetto ai valdesi al­pini.

Se è vero che l’emigrazione valdese dal Luberon alla Provenza, come verso la Puglia e la Calabria è di origine alpina (delfinatese o piemontese)16, è pur ve­ro che non possiamo considerare i nuclei valdesi del Mezzogiorno come sem­plice “appendice” del valdismo alpino, dal quale pure hanno tratto origine in seguito a ripetute migrazioni.

Infatti, la nuova condizione di quelle famiglie, gruppi, comunità organizza­te che cercarono una nuova collocazione in una terra e una società altre poneva un problema di identità: non soltanto chi fossero (ovvero quali caratteri portas­sero con sé), ma se e come si distinguessero dalle popolazioni circostanti (fra pratica delle proprie abitudini religiose e dissimulazione)17 e quali rapporti in­trattennero con le autorità politiche e religiose. Lo status di migrante, di sradi­cato, richiedeva la rinegoziazione, più o meno consapevole, del proprio modo

27

MARCO FRATINI

di essere cristiani. Il fatto di essere insediati in una nuova realtà, socialmente e politicamente differente rispetto al luogo di origine, dava vita ad una nuova de­clinazione di valdismo, che qui abbiamo voluto aggettivare come mediterraneo, per i motivi di cui sopra. Mi rendo tuttavia conto del fatto che tale definizione non sia affatto neutra, poiché influisce sulle modalità con cui lo storico guarda all’oggetto della sua ricerca: di conseguenza, egli lo osserverà in quanto mi­grante, individuo portatore di un’identità, giocata in rapporto con il luogo di origine e con quello di nuovo insediamento18 .

2.3Verso il Mezzogiorno d’Italia

Non è mio compito in questa sede quello di offrire una ricostruzione storica o un’analisi socio-economica del fenomeno migratorio valdese, che si auspica pos­sa essere oggetto del lavoro di un apposito gruppo di ricerca19, tuttavia, in as­senza di un quadro complessivo, mi limiterò a mettere in evidenza alcuni punti critici e piste di ricerca20 .

Innanzitutto le motivazioni alla base del fenomeno migratorio, se di carat­tere repressivo o economico21. Le migrazioni per motivi religiosi non sono sem­pre chiaramente individuabili e talvolta si sovrappongono a congiunture parti­colarmente negative dal punto di vista economico, a fasi di particolare depres­sione. Tuttavia, è già stato ampiamente dimostrato nelle ricerche di Gabriel Au­disio e Pierrette Paravy, rispettivamente sulla Provenza e sul Delfinato, come la cronologia della repressione religiosa consenta di leggere più chiaramente le motivazioni di certi fenomeni migratori alpini. Le fasi di maggiore accanimen­to contro i valdesi coincidono infatti con le date di partenza di gruppi numeri­camente rilevanti verso il Piemonte e l’Italia meridionale22, non senza conse­guenze economiche anche per le aree di origine23 .

Il secondo elemento è una forte coesione socio-religiosa24, che nei documen­ti delle partenze da Marsiglia nel 1477 giunge fino all’identificazione, potenzial­mente rischiosa, dell’identità religiosa del gruppo da parte del funzionario che in quell’occasione registrava l’atto di nolo dell’imbarcazione25. Il fattore di coe­sione pare inoltre confermato dalla tendenza ad insediarsi in gruppo in nuovi villaggi, creando una realtà di vita profondamente «unidimensionale»26, fino a costituire spesso la maggioranza o la totalità della popolazione di quei borghi.

Altro aspetto significativo è la lunga durata27. Il fenomeno appariva già si­gnificativo a metà del Trecento (1353), quando Innocenzo VI constatò con pre­occupazione che un certo numero di eretici avevano abbandonato le montagne di Embrun, nel Delfinato, per rifugiarsi in Calabria28. Il XIV secolo appare, in­fatti, come quello caratterizzato dalla grande fase di migrazione e dispersione del movimento valdese, nel Mezzogiorno come in molte aree d’Europa29 .

Col passare del tempo, sembra di assistere ad una progressiva organizzazio­ne del fenomeno migratorio30. Essa coinvolgeva gruppi numerosi, ma talvolta

28

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

anche più ridotti o singole famiglie. In quest’ultimo caso ciò avveniva forse sul­la base di notizie giunte dalla precedente esperienza di altri “pionieri”: è questo il caso della famiglia di Antonio Blasi, originario di Angrogna, interrogato nel 1486 nel palazzo arcivescovile di Embrun, il quale affermò di essersi diretto a Genova per imbarcarsi per la Puglia e di avervi incontrato un altro gruppo di valdesi del Piemonte («quandam societatem de partibus Pedemontium»), an­ch’essi diretti nella medesima direzione31. Altra testimonianza in tal senso è quel­la di Thomas Griot di Pragelato del 1487, secondo cui un singolo componente della famiglia dei «Jordans» si è allontanato dal paese per recarsi in Puglia32 .

Si trattò anche di una migrazione numericamente rilevante, per ondate suc­cessive33. Ciò è evidente nella dichiarazione resa ad Apt nel 1532 dal barba Pier­re Griot all’inquisitore Jean da Roma, il quale restò colpito dal fatto che «am­plius notandum est quod prefati heretici adeo multiplicati et roborati sunt in Calabria et Apulia taliter quod predicta secta quasi publice predicatur in eisdem climatibus»34, e proseguì mettendo in evidenza la centralità (per lo meno vero­simile) del valdismo nel Mezzogiorno35 .

Ne emerge poco per volta una diaspora via via più articolata, tanto che, ol­tre ai luoghi già noti, per la Puglia è stata recentemente ipotizzata, sulla base di nuovi documenti, la presenza di “valdesi” anche lungo un’estesa area costiera. Nelle testimonianze rese da Giovanni Sensi, originario della Sardegna, interro­gato nel castello di Caprie, in Valle di Susa, nel 1403 emergono infatti i suoi con­tinui spostamenti fra l’Italia meridionale, la Spagna e le Alpi piemontesi (un esempio emblematico degli itinerari culturali del valdismo mediterraneo); in par­ticolare, nella terza udienza di fronte all’inquisitore aggiunse di aver partecipa­to ad assemblee «in Ampulia Melfictuo et Manopoli Interanto in Brandicio in Barleta», località delle quali non avevamo notizia in precedenza36 .

Su questo aspetto ci si augura che lo studio delle fonti notarili, delle cessio­ni fondiarie e degli atti di matrimonio, insieme alle fonti sui luoghi di passaggio e di ospitalità, sia in grado di fornirci una prima stima relativa alla consistenza numerica degli insediamenti valdesi.

Ci si deve inoltre chiedere come questa presenza sia stata recepita ed accol­ta dalle popolazioni locali. Per esempio, per le autorità ecclesiastiche i proven­zani o ultramontani furono spesso identificati come gruppo “etnico-ereticale”37 , ovvero, come ha notato Pierroberto Scaramella, «fu nel meridione d’Italia che il problema ereticale venne ad essere sollecitato da quello etnico, per la presen­za di gruppi cristiani ortodossi, dei giudaizzanti, dei rinnegati, e soprattutto de­gli antichi eretici valdesi»38. Una situazione (una “scoperta”) a cui a metà Cin­quecento si risponderà con «una precisa strategia adottata dall’Inquisizione per uniformare il credo, i rituali e la stessa vita quotidiana di quelle popolazioni» nel tentativo, più o meno dichiarato, di «frantumare un corpo sociale avvertito co­me estraneo e nemico»39 .

Significativa è anche l’immagine che il luogo di destinazione di questa mi­grazione aveva assunto presso chi era rimasto nei luoghi di origine e agli occhi

29

MARCO FRATINI

di coloro che si accingevano a partire. Non solo perché col passare del tempo le regioni meridionali «ne représentaient plus des pays étrangers, mais plutôt l’ex­tension méridionale des prolongements familiaux et de leur communauté reli­gieuse»40. Degno di nota è anche il fatto che in più di una testimonianza, nel cor­so del Quattrocento, fra i valdesi alpini si vagheggiava di una “regione valdese”, genericamente indicata come «Pulha», che sembrava assumere un significato di “terra di speranza”41. Infatti, se ne nell’immaginario dei valdesi e dei catari del Duecento e fino ai primi del Trecento, la Lombardia (in senso ampio) era stata identificata come sorta di “terra promessa” («in Lombardia non fit malum he­reticos»)42, alla fine del secolo successivo, nelle parole di un altro inquisito, Tom­maso Guiot della Val Pragelato, emerge la convinzione che in una terra lonta­na, la «Pulhia», essi avrebbero prosperato («Item dicunt ipsi barbe quod domi­ni ecclesiastici deponentur a potestate eorum et diminuentur a potestate et quod eorum secta augebit in Pulhia et habebat eorum ecclesiam»), in attesa di un’età nuova di rinascita religiosa43 .

2.4Esilio, fuga, solidarietà

Questi alcuni dei principali temi legati alla condizioni dei valdesi come migran­ti, nel corso dei flussi diretti verso il Mezzogiorno d’Italia.

Ma cosa accadde dopo la metà del XVI secolo? A parte coloro che subirono il martirio, o furono costretti ad abiurare (ed eventualmente a dissimulare), gli altri sopravvissuti tornarono ad assumere lo status di migranti, fuggiaschi, esuli religionis causa. E anche in questo caso si tratta di un numero consistente di fug­gitivi, anche se le cifre non sono ancora ben chiare44. Qui entra in gioco un al­tro aspetto. È questo il momento in cui possono emergere con maggiore evi­denza, se vi sono stati, i legami con gli altri fratelli in fede e che per il momento possiamo distinguere almeno in tre tipologie: con i luoghi di origine; con grup­pi e comunità dei territori vicini; e, elemento che subentra verso la metà del se­colo in seguito all’avvento della Riforma, con le città europee, e con Ginevra in particolare45 .

2.4.1. Legami con i luoghi di origine

Dato il rischio di isolamento in cui i gruppi sparsi di valdesi nel Mezzogiorno vennero a trovarsi, la loro possibilità di sopravvivenza era legata anche alla ne­cessità di collegarsi con altre realtà. Al legame con i luoghi di origine, il Pie­monte46, il Delfinato e la Provenza, abbiamo già precedentemente accennato e sappiamo che fu costante nel tempo47, anche grazie all’attività itinerante dei pre­dicatori, i barba («le ciment unitarie de la diaspora»)48 e che, con altre modali­tà, proseguì nel corso del Cinque-Seicento e oltre49 .

Anche dopo la strage del 1561, le testimonianze circa viaggi di predicatori so­

30

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

no al momento molto scarse, ma comunque significative. Nel 1562, infatti, se­condo una testimonianza autobiografica del gesuita Niccolò Alfonso de Boba­dilla, inviato in missione a San Sisto e La Guardia, dove rimase per due anni, gli abitanti di quei luoghi «fuerant decepti per quedam luteranum, qui venerant ex Genevra, et demnetavit eos, qui erant et sunt semplicissimi homines»50. La no­tizia non va sottovalutata poiché la data coincide significativamente con quella, già accennata sopra, che riguarda l’arrivo di «predicadores» che «han salido de Geneva» anche in Sardegna51. Si trattò di «uno dei rarissimi casi nei quali si do­cumenterebbe una continuità nell’azione pastorale riformata fra le comunità ul­tramontane di Calabria, all’indomani del massacro»52; tuttavia non è un caso iso­lato. Una relazione inviata dall’arcivescovo di Cosenza, Giovan Battista Co­stanzo, ai cardinali della Congregazione della Santissima Inquisizione di Roma del 10 ottobre 1600, riportava infatti la seguente notizia: «Da persone degne di fede mi fu riferito che alcuni della Guardia haveano laudato quell’eretico che nell’anno 1566, quando furono inquisiti, venne da Geneva in queste parti, ripu­tandolo per santo, et non di meno con tutte le diligenze usateci, non è stato pos­sibile haver notitia [di] che siano stati quelli che l’hanno laudato»53. Il fenome­no andrebbe senz’altro studiato in modo sistematico, perché potrebbe riporta­re alla luce reti di solidarietà, punti di appoggio durante il tragitto e modalità con cui circolavano le informazioni.

La tragica situazione in cui vennero a trovarsi i valdesi del Mezzogiorno, in particolare quelli calabresi, coincise con le condizioni economiche difficili in cui versavano anche quelli delle Valli valdesi. Nel 1561, infatti, in seguito all’offensi­va sabauda contro quelli della Val Luserna, «i pastori ed altri capi del popolo valdese si sforzavano di riparare i danni causati dalla guerra. [...] A questa mi­seria si aggiungeva quella dei profughi sfuggiti all’immane ecatombe di Cala­bria, i quali per lo più giungevano privi di ogni cosa. A quell’estrema necessità supplì la carità delle altre chiese riformate»54 .

2.4.2. La «cité refuge»

Su Ginevra come «cité refuge» si è scritto non poco55 e gli elenchi di rifugiati ita­liani a Ginevra tra XVI e XVII secolo, pubblicati da John Barthélemy Galiffe nel 1881 sulla base dei registri di residenza della città, forniscono informazioni utili sui molti riformati provenienti da Campania, Calabria, Puglia e Sicilia56. Inoltre, al 1957 risale la pubblicazione in due volumi del Livre des Habitans, da parte di P.-F. Geisendorf, che, pur con lacune, copre una buona parte della seconda me­tà del Cinquecento57. Tuttavia, alcune indagini specifiche, come quella di Audi­sio sui valdesi del Luberon, hanno dimostrato come siamo ancora abbastanza lontani dall’avere a disposizione delle stime numeriche precise sulla consisten­za di quelle presenze, data l’incompletezza delle fonti58. Così come manca anche la conoscenza delle modalità con cui furono mantenuti i contatti fra gli esuli a Ginevra e le famiglie dei luoghi di origine.

31

MARCO FRATINI

Alcune “comunità” di migranti sono state in passato già studiate: per il Mez­zogiorno, disponiamo delle ricerche di Tommaso Castiglione per i calabresi59; di quelle di Arturo Pascal e di Salvatore Caponetto per i messinesi60 .

Di alcuni personaggi di spicco fuggiti poco prima della strage conosciamo anche alcuni dettagli biografici, come per il calabrese Giovanni Battista Aurelli (o Aureli), originario di San Sisto, il quale nel 1559 risultava iscritto all’Accade­mia ginevrina e nel 1570 divenne pastore della chiesa evangelica di lingua italia­na a Londra61; o per Andrea Traverso, di Guardia, iscritto all’Accademia gine­vrina dal 1560, “compagno di studi” del più noto Girolamo Miolo62 e in seguito pastore in Francia a Saintonge63. Tuttavia, poco sappiamo ancora degli itinerari di gruppi e famiglie intere verso la città del lago Lemano, la cui popolazione crebbe enormemente nel giro di pochi anni, tanto da creare problemi circa la si­stemazione di così numerosi profughi.

Il rapporto con Ginevra dovrebbe tuttavia essere analizzato anche ribaltan­do completamente la prospettiva, ovvero chiedendosi in che modo quello che per lungo tempo era stato «l’ancoraggio meridionale del mondo valdese»64 fos­se “visto da Ginevra”, ovvero la città che a metà Cinquecento più di ogni altra costituiva il punto di riferimento ideale per il mondo riformato. A metà del Cin­quecento i valdesi della Calabria, Puglia e Sicilia dovettero infatti essere consi­derati un gruppo sufficientemente numeroso se meritarono la rischiosa impre­sa dell’invio di un gruppo di maestri e predicatori, fra cui un personaggio di le­vatura intellettuale come Gian Luigi Pascale65 .

In quegli anni, informazioni del genere circolavano anche nelle città svizze­re della Riforma, come apprendiamo da una lettera che il casertano Simone Fio­rillo, catechista presso la chiesa italiana di Ginevra, nel 1556 inviò ad un altro esu­le, Gerolamo Zanchi, professore a Strasburgo: secondo le sue fonti, la popola­zione valdese di quelle zone si aggirava intorno alle quattromila anime e anda­va pertanto ritenuta degna di attenzione66 .

Circa l’importanza e la consistenza di queste comunità, Salvatore Caponetto ha ipotizzato che «Calvino e la venerabile Compagnia dei pastori compresero l’importanza della completa adesione alla riforma ginevrina di quei coloni del-l’Italia meridionale. Si sarebbe stabilito un nuovo e più saldo legame con i valdesi del Piemonte e con i nuclei di riformati in via di formazione in Sicilia e nelle altre regioni italiane»67. Essi avrebbero così potuto svolgere il ruolo di “avamposto” o “testa di ponte” per la diffusione della Riforma in Italia, una speranza che tuttavia si sarebbe presto rivelata illusoria, dato il successivo evolversi delle vicende68 .

2.4.3. Reti di solidarietà fra i valdesi del Mezzogiorno

Dobbiamo forse pensare che gli avvenimenti decisivi della metà del Cinque­cento abbiano determinato una situazione di abbandono nei confronti dei val­desi di quelle regioni, ovvero che i legami, già resi difficoltosi dalla distanza e dalla mutata situazione politico-religiosa, si siano interrotti?

32

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

Per affrontare questo problema, assume dunque grande importanza la que­stione dell’esistenza di reti di solidarietà fra le varie comunità sparse nel Sud del­la penisola, che non possiamo pensare esistenti soltanto nei momenti di perico­lo. Per quanto riguarda più in generale il variegato panorama della Riforma in Italia, Federica Ambrosini ha recentemente posto in evidenza come «sebbene manchino elementi per ipotizzare l’esistenza di un’unica rete clandestina che collegasse i centri del dissenso da un capo all’altro dell’Italia, è comunque ac­certata l’esistenza di reti di estensione più limitata, ma in grado ciò nonostante di ricoprire aree piuttosto vaste»69 .

Rispetto ai gruppi riformati cresciuti nel corso del Cinquecento, per quan­to riguarda i valdesi la situazione è ancora differente, poiché si innestava su ra­dici di ben più lunga durata e con una organizzazione strutturata. La rete di con­tatti che i barba mantenevano vivi all’interno della diaspora valdese quattrocen­tesca poté conservare una sua continuità, tanto che nel secondo Cinquecento consentì di rispondere tempestivamente ad una situazione di grande difficoltà, offrendo punti di appoggio per i fuggiaschi. Così come tempestivamente si era­no attivate la diplomazia, le iniziative di soccorso economico e le disponibilità di accoglienza nei confronti dei valdesi del Luberon già dal 1535, fino alle re­pressioni del 154570. La coscienza di costituire una comunità religiosa dotata di una coesione territoriale nelle vallate del Piemonte occidentale, dotata di pro­paggini in molte altre aree della penisola e anche dell’Europa centrale, emerge più volte nelle testimonianze valdesi fra Cinque e Seicento71 .

Dopo il massacro, per i calabresi vere e proprie destinazioni alternative a Gi­nevra e alle valli del Piemonte furono la Puglia e la Sicilia72. La fuga di interi nu­clei famigliari dalla Calabria a partire dal mese di aprile del 1559 destò presto l’at­tenzione dell’inquisizione romana e proseguì ininterrotta fino al 157273. Ma è a partire dalla fine del mese di giugno del 1561 che, probabilmente grazie all’otte­nimento mediante confessione coatta di notizie, si cominciò a parlare, anche in Calabria, delle comunità valdesi della Puglia. Lo testimonia, fra le altre, una let­tera del 21 di quel mese, immediatamente successiva alle stragi calabresi, scritta dall’arcivescovo di Reggio Calabria, Gaspare Del Fosso, che si rivolse con viva preoccupazione al cardinale Michele Ghislieri: «le informationi et depositioni loro si pigliano con diligenza, et bisognerà proveder a tutte le terre quali sono per questo Regno de simile natione, come sono la Volturara, le Celle, Faite, Monte Agoto et altre, perché tucti sono alli stessi errori»74. La rete di contatti e solidarietà cominciava dunque ad emergere sotto gli occhi degli inquisitori e a svelare le sue ramificazioni. Già in un documento pubblicato da Luigi Amabile nel 1892, relativo al “censimento” dei “fuochi” di La Guardia e San Sisto di po­co posteriore al 1561, si legge di un certo «Tomase Calvino», da circa due anni «contumace del delitto de eresia […] morto in Puglia da circa un anno, le sue robe le ha tenute et tene il regio fisco. In S. Sisto è la moglie poverissima con fi­gli piccoli»75 .

Le scarne tracce di questo fenomeno, qui esemplificate solo brevemente, po­

33

MARCO FRATINI

tranno forse, opportunamente collegate fra loro e in seguito a nuove ricerche, fornirci una nuova mappa degli insediamenti dei gruppi valdesi nel Mezzogior­no e dei loro spostamenti, quella «ragnatela migratoria» (secondo la definizio­ne di Alfonso Tortora) fondata non solo su relazioni di natura economica, ma anche e soprattutto sulla necessità di mantenere i contatti in una situazione di dispersione e di marginalità. Si presenta, dunque, una geografia di centri spar­si, in cui le comunità della Puglia, della Campania e della Calabria vanno anco­ra studiate nei loro legami con i valdesi alpini e con Ginevra, e – problema an­cora mai affrontato – nei loro rapporti con i riformati italiani, da Napoli alla Si­cilia.

Se troppo spesso le ricerche sui valdesi italiani nel Cinquecento «sembrano costituire una sorta di ramo separato»76, sembra improbabile che siano manca­te occasioni di incontro fra i valdesi del Sud Italia e i riformati di quell’area, in particolare coloro i quali avevano subito l’influenza del pensiero calvinista, ma anche che siano stati assenti mutui scambi di aiuti e solidarietà in momenti di particolare difficoltà e, infine, occasioni per la diffusione di libri riformati. Lo aveva accennato a suo tempo anche Salvatore Caponetto, sostenendo come il passaggio di Giacomo Bonello, compagno di viaggio e di predicazione di Gian Luigi Pascale nella missione diretta da Ginevra alla Calabria, arrestato a Messi­na e arso vivo a Palermo nel 1560, non fosse da considerare «come un tentativo di sfuggire agl’inquisitori calabresi, ma piuttosto una missione affidatagli dai primi esuli siciliani»77 .

Esemplificativo dei risultati a cui potrebbe portare un’indagine su questo te­ma ritengo che sia il caso di Michele Tunda di La Guardia, che dai documenti spagnoli risultava infervorato per le dottrine di Calvino apprese «de un mastro de Gineba que predicaba en un lugare donde era este que se llamaba La Guar­dia»78. Ma la notizia più interessante è contenuta in una lettera indirizzata al car­dinale Flavio Orsini a Roma da parte del vescovo di Muro, Filesio Cittadino, in­caricato di una visita pastorale nei casali abitati dagli ultramontani nell’ottobre del 1569, riferendo che «Michele Tunda detto Fiamengho si partì da La Guar­dia et se ne andò in Palermo, dove intendo che ricetta questi che si parteno da La Guardia et che ci habia pur recettati li fugitivi passati». Questi avrebbe dun­que agito da tramite per la fuga di valdesi dalla Calabria verso la Sicilia, appog­giandosi ad una rete di solidarietà già esistente, «una vera e propria rete clan­destina che supportava e proteggeva i transfughi valdesi in Sicilia»79. Successi­vamente egli è citato nel memoriale dell’autodafé celebrato il 1° giugno 1572 a Pa­lermo: arrestato a Messina in data non precisata, fu poi portato dalla Sicilia in Calabria, ma morì durante il viaggio80. Ancora in Sicilia, nel 1568 Antonio Ni­colino di La Guardia era stato rilasciato nell’autodafé celebrato a Messina il 28 novembre di quell’anno81. La preoccupazione circa l’esistenza di appoggi ga­rantiti ai valdesi in fuga anche nelle altre regioni del Mezzogiorno è molto effi­cacemente espressa dal già citato vescovo di Muro nel 1569, il quale, dopo aver riferito della vicenda di Tunda, annuncia: «ho pensato che un giorno che mi fer­

34

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

marò in qualche luogo a pigliar fiato, dimandar queste depositioni al’Inquisi­tione di Sicilia, per farli pigliare et habiurare. Scriverò semelmente ala Voltura­ra, dove si dubita che stia Tomaso Gaudino, principal heretico che fugì a tem­po di lor giustitia»82 .

Ancora nel corso del Seicento sono documentati spostamenti di valdesi dei borghi calabresi, come riferisce la lettera di Matteo Rocco «abbate di San Sisto» al cardinale Giangarzia Millini del 13 gennaio 1624, che contiene vari elementi di interesse. Essa riferisce che dopo l’intervento delle autorità ecclesiastiche, «par­te di quelli restarono in detti paesi» dopo di che ricevettero varie imposizioni, fra cui anche il divieto di «scrivere nelli paesi oltramontani», ma anche che «quelli genti pure sono fugiti da detto loco alcune persone et andandosene ne’ loro paesi et alla loro setta» e fra questi «hora si è trovato ch’è in Napoli è capi­tato uno Antonio Giaimo di S.to Sisto quale pubblicamente s’ha lassato dire es­ser uscito da sua terra per andarsene in Genevra a retrovare li suoi parenti, il che presuppone sia mandato dalle loro reliquie che tuttavia sempre stanno con il vi­tio». Si suggerisce, cioè, forse sulla base di altri casi documentati, l’esistenza di viaggi (con ritorno?) di alcuni di loro inviati a Ginevra o in Piemonte per pren­dere contatto con membri di quelle famiglie che erano fuggite precedentemen­te83 .

Sul tema degli spostamenti, anche a grande distanza, di singoli e famiglie, soprattutto a partire dagli anni Sessanta del XVI secolo e fino a tutto il XVIII, ci si augura che vengano d’ora in poi proficuamente studiate le fonti dei luoghi di passaggio che, dai primi sondaggi come quello di Eduardo Zumpano in questo volume, relativo al “Venerabile Hospedale di Spezzano Piccolo”, ci forniscono dati rilevanti anche sotto il profilo quantitativo ed eventualmente la possibilità di seguire gli spostamenti di singoli individui, rintracciarne la provenienza e, ci si augura, i possibili luoghi di destinazione.

Ancora, sarebbe interessante capire se e con quale frequenza la fuga si tra­mutasse in un’emigrazione definitiva o se invece si concludesse con un ritorno nei luoghi di origine per riallacciare i legami parentali ed offrire aiuto a coloro che non erano riusciti ad allontanarsi. Le testimonianze a nostra disposizione sono poche, ma vorrei almeno citare l’episodio legato a Felice Pergola di Mon­talto, arrestato nel 1567, che all’indomani della strage era fuggito «per pagura de non essere castigato come furono l’altri»84. Sappiamo che si diresse dapprima in Piemonte e poi a Lione e nel 1564 ricomparve negli elenchi dei rifugiati calabresi a Ginevra, dove intrattenne rapporti con «heretici et perseverano nelle opinio­ni heretiche» e che sarebbe poi, però, rientrato nei luoghi natii per portare in­formazioni sui correligionari transfughi, corrispondenza e «certi libri pessimi heretici»85 .

Nel 1569 la curia napoletana aveva notizie della presenza in città di una con­venticola di eretici calabresi natii dei casali della Guardia e Montalto, dove un certo Vincenzo Bruno, capo del gruppo eterodosso86, «li legeva et dava instruc­tioni»; questi, inoltre, aveva sempre mantenuto rapporti con i valdesi calabresi

35

MARCO FRATINI

«che ha forse da vinti anni, che ha sempre avuto intelligentia con quelli che so­no stati abbrusciati, come sono quelli della Guardia et Bisignano et Santo Vin­cenzo, casali di Montalto» e, ancora, come riferiva nella sua deposizione Gio­vanni Tommaso Policastrello alla curia del vescovo di Capri, prima e dopo la strage una «congregatione» di uomini e donne dei casali cosentini aveva rap­porti con Vincenzo Bruno e «tutti erano complici et pratticavano et con esso sempre correvano et andavano et venivano»87. Tutto ciò in un panorama che ve­deva, come varie ricerche anche recenti hanno contribuito a far emergere, i ten­tativi dei valdesi di continuare a praticare di nascosto la propria fede anche do­po le repressioni, anche se ad alcuni ecclesiastici avvertiti era evidente che quel­le popolazioni «sonno heretici come prima»88. Da questa situazione emerge an­cora più urgente la volontà politica da parte delle autorità ecclesiastiche di ri­durre i contatti con le comunità delle valli alpine e con Ginevra89. Un legame che continuava a sopravvivere anche dopo la strage, se ancora nell’agosto del 1592 un documento pontificio, redatto su sollecitazione della congregazione del Sant’Uffizio, prescriveva che «de ditta terra senza licenza inscritta della Santa Inquisizione sud.ta possa andare, mandare né scrivere in Piemonte, in Geneva, o vero in qual si voglia parte ove sono eretici o d’heresie sospetti»90 .

In conclusione, la presenza di questa rete di contatti è un aspetto che meri­ta di essere approfondito, soprattutto se osservato entro un quadro geografico che per i valdesi si andò significativamente restringendo proprio dopo la metà del Cinquecento, quando alla repressione degli insediamenti nella Provenza se­guì quella nel Marchesato di Saluzzo91 e nella pianura pinerolese92 .

Note

1. G. Spini, Di Nicola Gallo e di alcune infiltrazioni in Sardegna della Riforma protestante, in “Rinascimento”, II, 1951, pp. 145-78, in part. p. 161.

2. Ibid. 3. Ivi, p. 162. 4. Ivi, p. 172. 5. Ivi, p. 173. 6. Ivi, p. 174. 7. Cfr. A. Tortora, Presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia (secoli XV-XVII), Laveglia, Salerno

2004. 8. Sul ruolo degli insediamenti valdesi nel Mezzogiorno nella prima storiografia valdese: Tor­

tora, Presenze valdesi, cit.; Id., Tra storia e storiografia: linee di ricerca storica sulle presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia (secoli XVI-XVII), in Id., La Storia e la Chiesa (secoli XVI-XVII). Ricerche e let­ture critiche, Plectica, Salerno 2007, pp. 9-28 (già apparso in “L’Acropoli”, 1, 2006). Sulla funzio­nalità ai fini della propaganda riformata si vedano in questo volume gli interventi di Jean-François Gilmont e Albert de Lange.

9. Sulla centralità storica dei valdesi del Piemonte: G. G. Merlo, Valdesi e valdismi medievali, II. Identità valdesi nella storia e nella storiografia. Studi e discussioni, Claudiana, Torino 1991, p. 35; G. Audisio, Preachers by Night: The Waldensian Barbes (15th-16th Centuries), transl. by C. Davison, Brill, Leiden-Boston 2007, p. 81.

10. G. Audisio, La fin des Vaudois (XVIè siècle)?, in Les vaudois des origines à leur fin (XIIe-XVIe), Actes du Colloque international (Aix-en-Provence, 8-10 avril 1988), sous la direction de G. Audi­sio, Meynier, Torino 1990, pp. 96, 98.

36

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

11. J.-F. Gilmont, Les Vaudois des Alpes: mythes et réalités, in “Revue d’histoire ecclésiastique”, LXXXIII, 1988, fasc. 1, pp. 69-89: p. 70.

12. G. Audisio, Unité et dispersion d’une diaspora européenne: les Vaudois (XVe-XVIe siècles), in Dissidences religieuses et sorcellerie: une specificité montagnarde?, in “Heresis”, 39, 2003, pp. 77-89. Audisio ha scritto della storia dei valdesi come di un «exode toujours renouvelé»: G. Audisio, Un exode vaudois organisé: Marseille-Naples (1477), in Histoire et Société. Mélanges offerts à Georges Duby, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence 1992, vol. IV, t. 1, Le couple, l’ami, le prochain, pp. 197-208: 206. Sul carattere “itinerante” che caratterizza gran parte della storia dei valdesi, cfr. M. Fratini, W. Jourdan, Valli valdesi: terra di viaggi e di viaggiatori, in “La beidana”, 52, 2005, pp. 2-15.

13. G. Audisio, Un aspect des relations entre le Piémont et la Provence aux XVe et XVIe siècles: les vaudois, in “Bullettin de la Société d’histoire du protestantisme français”, 1975, pp. 484-515. Sul te­ma della mobilità degli eretici, cfr. G. G. Merlo, Eretici e inquisitori nella società piemontese del Trecento, Claudiana, Torino 1977, pp. 87-97. Un caso particolare, forse non isolato, è nella testi­monianza dell’inizio del XIV secolo tratta dagli interrogatori di Jacques Fournier nella diocesi di Pa­miers, dove un personaggio dichiaratosi come cataro afferma: «dans la cave de notre maison, il y avait deux lits, un dans lequel couchaient mon père et ma mère, et l’autre pour l’hérétique de pas­sage»: cfr. G. Audisio, Le barbe et l’inquisiteur. Procés du barbe vaudois Pierre Griot par l’inquisi­teur Jean de Roma (Apt, 1532), Edisud, Aix-en-Provence 1979, p. 41. Sui predicatori itineranti come forma di adattamento alla situazione di dispersione: cfr. G. Audisio, L’organisation de la clandesti­nité vaudoise, in Religion et exclusion. XIIe-XVIIIe siècle, sous la direction de G. Audisio, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence 2001, pp. 61-70; Id., Preachers by Night, cit., p. 66; M. Benedetti, Alcune riflessioni sui predicatori itineranti valdesi nel Cuneese tra medioevo ed età moderna, in Uomini risorse comunità delle Alpi occidentali (metà XII-metà XVI secolo), Atti del Con­vegno (Ostana, 21 ottobre 2006), a cura di L. Berardo e R. Comba, UNCEM Piemonte-Comune di Ostana-Società per gli Studi Storici della Provincia di Cuneo, Cuneo 2007, pp. 49, 52.

14. Sulla geografia valdese fra Cinque e Settecento: D. Tron, La definizione territoriale delle Valli valdesi dall’adesione alla Riforma alla Rivoluzione francese, in “Bollettino della Società di Stu­di Valdesi”, 189, 2001, pp. 5-26; M. Fratini, Una frontiera confessionale. La territorializzazione delle Valli valdesi del Piemonte nella cartografia del Seicento, in A. Pastore (a cura di), Confini e frontie­re: un confronto fra discipline, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 127-43.

15. Audisio, Unité et dispersion, cit., p. 83. 16. G. Audisio, La montagne: un refuge pour les vaudois?, in Clergés, communautés et famil­

les, Actes du Colloque “Religion et montagne” (Tarbes, mais-juin 2002), Publications de la Sor­bonne, Paris 2005, pp. 237-42: p. 241. Sull’emigrazione valdese in area alpina, cfr. G. Audisio, Le repeuplement piémontais de la Provence au XVIe siècle, in Migrazioni attraverso le Alpi Occidenta­li. Relazioni tra Piemonte, Provenza e Delfinato dal medioevo ai nostri giorni, Atti del Convegno internazionale (Cuneo, 1-3 giugno 1984), a cura di M. Cordero e D. Jalla, Regione Piemonte, To­rino 1988, pp. 407-23; Id., Une grande migration alpine en Provence (1460-1560), in “Bollettino sto-rico-bibliografico subalpino”, 1989, fasc. I-II, pp. 65-139. Sulle caratteristiche delle migrazioni al­pine, cfr. R. Comba, Il retroterra economico-sociale dell’emigrazione montana, in Migrazioni attra­verso le Alpi Occidentali, cit., pp. 25-36; D. Albera, P. Corti (a cura di), La montagna mediterra­nea: una fabbrica d’uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (secoli XV-XX), Ca­vallermaggiore, Gribaudo 2000. R. Comba, Emigrare nel Medioevo, in R. Comba, G. Piccinni, G. Pinto (a cura di), Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, ESI, Napoli 1984, pp. 45-74; A. Courtemanche, De l’Italie à Manosque: aspects des migrations internes en Provence à la fin du Moyen Age, in “European Review of History/Revue Européenne d’Histoire”, 5, 1998, pp. 127-50. Il contributo più recente è di C. Vangelista, M. Reginato, L’emigrazione valdese, in Sto­ria d’Italia. Annali 24. Migrazioni, Einaudi, Torino 2009, pp. 161 ss., anche se purtroppo non pri­vo di errori e scarsamente aggiornato sullo stato degli studi.

17. Sulla distinzione fra “nicodemismo” e “dissimulazione” fra i valdesi, cfr. le considerazioni di Audisio, Preachers by Night, cit., pp. 131-3. Opportuna anche la precisazione di Merlo, Valdesi e valdismi medievali, II. Identità, cit., p. 142: «I comportamenti dissimulatori, che opportunamente non sono qualificati come nicodemitici [...] di norma sono fatti dipendere dalla necessità di so­pravvivenza: cosa che nessuno può negare. Tuttavia interessanti appaiono talune testimonianze re­

37

MARCO FRATINI

lative ai processi psicologici di “cattiva coscienza”, di “colpa” ingenerati dalla dissimulazione». Sulla pratica della dissimulazione fra i valdesi del Luberon: Audisio, Vaudois du Luberon, cit., pp. 224-5, 275-8.

18. Gabriel Audisio ha mostrato le conseguenze dello sradicamento dei valdesi della Proven­za in seguito alla loro emigrazione forzata («ce caractère d’immigrés a dû fortement marquer la vie de ces nouveaux colons»): G. Audisio, Les vaudois du Luberon. Une minorité en Provence (1460­1560), Association d’Etudes Vaudoises et Historiques du Luberon, Mérindol 1984, p. 101.

19. P. Paravy, Recherches sur la mobilité de la population des vallées vaudoises du Dauphinè à la fin du moyen âge: l’évolution de la communauté de Vallouise aux XIVe et XVe siécles, in Migrazioni at­traverso le Alpi Occidentali, cit., pp. 471-85; Id., Les recherches régionales sur la population à la fin du Moyen-Age. Sondages sur le problème des mouvements migratoires à travers le témoignage des re­visions des feux du Dauphiné, in Travail et migration dans les Alpes françaises et italiennes, VIIe Col­loque franco-italien d’Histoire alpine (Annecy, septembre 1981), Centre de Recherche d’Histoire d’Italie e des Pays Alpines, Grenoble 1982, pp. 5-23.

20. Per alcune chiavi di lettura, cfr. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., pp. 197-208. 21. Ivi, pp. 200-1. Di parere differente G. Gonnet, Gli stanziamenti valdesi nell’Italia meridio­

nale (Calabria e Puglia); fenomeno migratorio di carattere più economico che religioso, in Valdismo e Valdesi di Calabria, Atti del Convegno organizzato dal Centro Studi “G. Gangale” (Catanzaro, 11-12 ottobre 1985), Brueghel, Cosenza 1988, pp. 5-22. Sulla corrispondenza fra ondate di repressio­ne e aumento delle migrazioni, cfr. P. Paravy, De la chrétienté romaine à la Réforme en Dauphiné.Évêques, fidèles et déviants (vers 1340-vers 1530), 2 voll., École Française de Rome, Roma 1993 (“École Française de Rome”, 183), pp. 961 ss.

22. Paravy, De la Chrétienté romaine à la Riforme, cit., p. 992. 23. Sul flusso migratorio dal Delfinato alla «Puglia», cfr. ancora ivi, pp. 1056-9; Ead., Recher­

ches sur la mobilité, cit. 24. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., pp. 197-9. 25. Ivi, pp. 198, 204. 26. Tortora, Presenze valdesi, cit., p. 55, nota 17. La nascita di queste realtà non poteva non ave­

re conseguenze anche dal punto di vista sociale, economico e religioso: «La politica di esenzioni tributarie a loro favore operata dalla giurisdizione feudale di quelle regioni, sino alla metà del se­colo, aveva permesso il consolidamento di comunità perfettamente autonome dalla Chiesa di Ro­ma. In effetti, l’ampia autonomia fiscale e giurisdizionale della quale godevano i feudi meridiona­li permise a singoli eretici, conventicole o estese comunità di insediarsi, vivere ed espandersi qua­si del tutto indisturbate. L’immigrazione valdese seguì questa logica ed approfittò delle concrete possibilità offerte dalla protezione dei baroni meridionali: P. Scaramella, Inquisizione, eresie e po­teri feudali nel Viceregno napoletano alla metà del Cinquecento, in Per il Cinquecento religioso ita­liano. Clero cultura società, Atti del Convegno internazionale (Siena, 27-30 giugno 2001), a cura di M. Sangalli, Edizioni dell’Ateneo, Roma 2003, vol. II, pp. 512-21.

27. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., p. 202. Sulla sopravvivenza della “fede valdese” nei casali calabresi fino al XVIII secolo, si veda il quadro riassuntivo di E. Stancati, Gli Ultramonta­ni. Storia dei Valdesi di Calabria, Pellegrini, Cosenza 2008 (II ed. riv. e ampliata), pp. 239 ss.

28. J. Marx, L’inquisition en Dauphiné. Étude sur le développement et la répression de l’hérésie et de la sorcellerie du XIVe siècle au début du règne de François Ier, Champion, Paris 1914, p. 13; Para­vy, Recherches sur la mobilité, cit., pp. 473, 477.

29. Tortora, Presenze valdesi, cit., pp. 45 ss. 30. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., pp. 203-5. 31. Benedetti, Alcune riflessioni, cit., p. 48, 55, nota 23. 32. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., p. 203. 33. Ivi, p. 205; Paravy, De la chrétienté romaine à la Riforme, cit., p. 1059. 34. Audisio, Le barbe et l’inquisiteur, cit., p. 105; Audisio, Vaudois du Lubéron, cit., p. 235. 35. «[...] il est vérité que ceste secte règne principalement en Calabre et en la Poulle et se pre­

sche là quasi publicquement»: Audisio, Le barbe et l’inquisiteur, cit., p. 105. 36. L. Canalia, Il processo contro il valdese Giovanni Sensi di Sardegna, in “Bollettino della So­

cietà di Studi Valdesi”, 199, 2006, pp. 3-50, in part. p. 20; da integrare con le opportune correzioni di L. Patria, “Sicut canis reddiens ad vomitum”. Lo spaesamento dei valdesi nel balivato sabaudo del­

38

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

la Diocesi di Torino fra Tre e Quattrocento, in M. Benedetti (a cura di), Valdesi medievali. Bilanci e prospettive di ricerca, Claudiana, Torino 2009, pp. 121-61: 131, nota 38.

37. Sul tema eretico/straniero e sul controllo dell’immigrazione in area provenzale: G. Audi­sio, Le déclenchement de la poursuite des hérétiques en Provence vers 1530, in H. Schilling, M.-A. Gross (hrsg.), Im Spannungsfeld von Staat und Kirche: “Minderheiten” und “Erziehung” im deutsch­französischen Gesellschaftsvergleich 16.-18. Jahrhundert, in “Zeitschrift für Historische Forschung. Vierteljahresschrift zur Erforschung des Spätmittelalters u. der frühen Neuzeit”, 31, 2003, pp. 127­40: pp. 138-9.

38. Scaramella, Le lettere della Congregazione, cit., p. L, LIII. 39. P. Scaramella, Inquisizioni, eresie, etnie, in L’inquisizione e gli storici: un cantiere aperto, Ta­

vola rotonda nell’ambito della Conferenza annuale della ricerca (Roma, 24-25 giugno 1999), Acca­demia nazionale dei Lincei, Roma 2000, pp. 97-108, in part. 107. Sul “peccato di moltitudine” le­gato al “problema etnico”: Id., Le lettere della congregazione del Sant’Ufficio ai Tribunali di Fede di Napoli (1563-1625), Edizioni dell’Università di Trieste-Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Trieste-Napoli 2002, pp. LXXVII-LXXVIII; Id., Inquisizioni, eresie, etnie, dissenso religioso e giustizia ecclesiastica in Italia (secc. XVI-XVIII), Cacucci, Bari 2005.

40. Audisio, Un exode vaudois organisé, cit., p. 203. 41. Ivi, p. 206. 42. Merlo, Eretici e inquisitori, cit., p. 89; Id., Migrazioni di eretici tra le Alpi Occidentali nel XII

e agli inizi del XIII secolo, in Migrazioni attraverso le Alpi Occidentali, cit., pp. 395-406, in part. p. 396; Paravy, De la chrétienté romaine à la Riforme, cit., pp. 961, 989.

43. M. Benedetti, I processi contro Tommaso Guiot. Dimensioni cronachistiche e biografiche de­gli atti inquisitoriali, in “Bollettino della Società di Studi Valdesi”, 192, 2003, pp. 3-27, in part. p. 23. Il barba Pietro di Iacopo di Castro Albano confessa all’inquisitore che «in regno Apulia» sarebbe­ro esistite chiese bianche, senza ornamenti pittorici, in cui vi sarebbero stati “sacerdoti” della loro setta: M. Benedetti, «Qualche poco di farina papale»: i Valdesi in chiesa, in “Quaderni di storia re­ligiosa”, 6, 1999, pp. 117-53; Id., «De patria Spolitana»: due predicatori itineranti di fine Quattrocen­to, in “Francescana”, II, 2000, pp. 259-78. Anche un gruppo di “frati spirituali”, nel secondo de­cennio del Trecento, abbandonarono Béziers e Narbonne per sottrarsi alle persecuzioni organiz­zate da Giovanni XXII e dall’inquisitore Michel Le Moine; la loro destinazione sarebbe stata l’Ita­lia meridionale dove si sarebbero uniti ad altri frati «che aveano chominciato a osservare la regho­la [la regola francescana] a lictera»; «non conosciamo il percorso seguito da quei francescani, ma non si può escludere che le terre piemontesi tra la multiforme folla di viaggiatori che le percorre­vano abbiano visto anche quei “solenni frati”. È altamente probabile che i numerosi eretici della zona di Embrun emigrati nella lontana Calabria verso la metà del Trecento siano transitati per le strade del Piemonte»: Merlo, Eretici e inquisitori, cit., p. 91. Cfr. anche Paravy, De la chrétienté ro­maine à la Riforme, cit., p. 991; D. Maselli, Il valdismo e i movimenti spirituali francescani: appunti di una ricerca di équipe, in “Bollettino della Società di Studi Valdesi”, 136, 1974, pp. 93-8.

44. Per i casali di San Sisto e di Guardia, a metà giugno del 1561 i documenti ipotizzano la ci­fra di ben 450 fuggitivi, mentre alla fine del mese, dopo la cattura di quanti si erano rifugiati nei dintorni, ne risulterebbero ancora 250: cfr. A. Perrotta, I valdesi a San Sisto, Guardia, Montalto, San Vincenzo, Vaccarizzo, Argentina e Piano dei Rossi, Pellegrini, Cosenza 2005, rispettivamente le pp. 153, 156.

45. Comprendere questi legami sarà utile anche per verificare quanto il discorso su valdi­smo/valdismi mantenga la sua rilevanza circa la coesione all’interno del mondo valdese.

46. Una lettera di Matteo Rocco «abbate di San Sisto», non datata ma riferibile al 1637, indi­rizzata alla Congregazione del Santo Uffizio e al vicario di Cosenza, riporta che «pochi anni sono forno relassi et detti abitatori di ditti luoghi ne sono andati al vallo di Lucerna dove vivono da ere­tici»: cfr. Perrotta, I valdesi a San Sisto, cit., p. 272.

47. L. Amabile, Il Santo Officio dell’Inquisizione in Napoli. Narrazione con molti documenti ine­diti, S. Lapi, Città di Castello 1892, vol. II, p. 91, cita un matrimonio contratto fra Ester, figlia del pastore Jacques Gay negli anni Venti del Seicento, con Giovan Battista Luga, calabro-valdese fug­gito dai casali cosentini e rifugiatosi nelle Valli del Piemonte. Cfr. anche Stancati, Gli Ultramonta­ni, cit., p. 294, nota 14.

48. Audisio, Les vaudois du Luberon, cit., p. 436.

39

MARCO FRATINI

49. Sui legami fra valdesi delle Alpi e quelli del Mezzogiorno: M. Fratini, Fra le Valli valdesi e il Subappennino dauno. Itinerari della predicazione e della storiografia alla vigilia della Riforma, in Valdesi. Da Guardia Piemontese a Monteleone di Puglia. Direzioni di ricerca storica tra Medioevo ed Età Moderna, Atti del Colloquio internazionale (Monteleone di Puglia, 7 agosto 2005), a cura di A. Tortora e M. Fratini, Editrice Gaia, Angri (SA) 2009, pp. 25-42. Nel Seicento, uno dei pastori in ser­vizio nelle Valli Valdesi, Daniele Rosello, era nato a San Giovanni (Luserna), «[...] mais d’une fa-mille qui semble s’y être réfugiée de la Calabre»; fu pastore a Bobbio Pellice nel 1629-30, morì in quell’anno durante l’epidemia di peste: cfr. J. Jalla, Synodes Vaudois de la Réformation à l’exil, par­te V (1621-1647), in “Bulletin de la Société d’Histoire Vaudoise”, 25, 1908, pp. 19-37: p. 28. Per que­ste notizie rimando al repertorio biografico dei pastori delle Valli Valdesi di prossima pubblica­zione da parte di Daniele Tron, che ringrazio. Fra Sei e Settecento la documentazione del “Vene­rabile Hospedale di Spezzano Piccolo”, sull’appennino cosentino, attesta il transito di numerosi valdesi provenienti dalle valli piemontesi: cfr. il saggio di Eduardo Zumpano in questo volume. A fine Settecento (6 luglio 1784) un «Dominique Spinelli calabrois [...] muni d’attestat» ricevette un sussidio dalla chiesa valdese di Prali, in Valle Germanasca: il documento è citato da Scaramella, L’inquisizione romana e i valdesi di Calabria, cit., pp. 178-9, ma con vecchia segnatura; quella at­tuale è: Archivio della Tavola Valdese (Torre Pellice), Chiesa di Prali, Sezione Diaconia, Borsa dei Poveri, registro 120, p. 76. Ringrazio Gabriella Ballesio per la verifica.

50. F. Monteleone, Aspetti della Riforma e Controriforma religiosa in Calabria, Tipografia G. La Badessa, Vibo Valentia 1930, p. 90, citato in Stancati, Gli Ultramontani, cit., p. 264, nota 76. L’in­vio di Bobadilla in quei casali calabresi era già stato collegato alla presenza in quei luoghi di un pre­dicatore proveniente da Ginevra: A. Marranzini, I gesuiti Bobadilla, Croce, Xavierre e Rodriguez tra i valdesi di Calabria, in “Rivista storica calabrese”, n.s., IV, 1983, fasc. 3-4, p. 408.

51. Spini, Di Nicola Gallo, cit., p. 162. 52. Scaramella, L’inquisizione romana e i valdesi di Calabria, cit., p. 92, nota 27. 53. Ivi, p. 237; ora anche in F. Samà, I segni della storia nei due centri religiosi di Guardia Pie­

montese, Tipolitografia R. Gnisci & Figli, Paola 2006, pp. 197-201; cfr. ivi, p. 198. 54. G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580),

Claudiana, Firenze 1914 (rist. Claudiana, Torino 1982), p. 197: Gerolamo Selvaggio, pastore nella congregazione di lingua italiana di Torino, «scrisse annunziando che dei soccorsi s’andavano rac­cogliendo in più luoghi con sollecitudine. Altrettanto avveniva in Francia, specialmente in Pro­venza; ma i torbidi che tosto scoppiarono in quel paese impedirono che se ne ricavasse tutto il frut­to sperato» (ibid.). Altre collette furono raccolte a Ginevra e altrove: il 29 ottobre 1561, Guillaume Houbraque e Girolamo Zanchi scrissero a Calvino da Strasburgo, inviando, tramite l’italiano Gia­como Campagnola, una somma di denaro che Zanchi aveva ricevuto dai riformati della Lorena «pour les eglises de la valee dangronne et autres voisines»: Ioannis Calvini Opera quae supersunt omnia, ed. by G. Baum, E. Cunitz, E. Reuss et al., 59 voll., Braunschweig, 1863-1900, vol. 19, coll. 85-86. Il 14 luglio 1561 Calvino si rivolse ai ministri della chiesa riformata di Zurigo, raccomandan­do loro alcuni «fratres ex valle Angronia et aliis vicinis ad rogandum inopiae suae subsidium»: ivi, vol. 19, coll. 555-556. Un’altra lettera di Farel a Calvino dell’8 agosto 1561 riferiva del viaggio attra­verso la Svizzera da parte di Farel insieme ad alcuni deputati valdesi per raccogliere collette: cfr. ivi, vol. 18, coll. 600-602.

55. Per una panoramica storiografica rimando a S. Adorni Braccesi, Le chiese italiane del rifu­gio e i luoghi dell’esilio, in Ph. Benedict, S. Seidel Menchi, A. Tallon (éds.), La Réforme en France et en Italie. Contacts, comparaisons et contrastes, École Française de Rome, Roma 2007, pp. 513-34.

56. J. B. Galiffe, Le Refuge italien de Genève aux XVIme et XVIIme siècles, H. Georg Libraire-édi­teur, Genève 1881.

57. P.-F. Geisendorf, Livre des Habitants de Genève, Tome I, 1549-60, Droz, Genève 1957; Id., Livre des Habitants de Genève, Tome II, 1572-74 et 1585-1587, Droz, Genève 1963.

58. Su questo problema cfr. le avvertenze di Audisio, Vaudois du Lubéron, cit., pp. 39, 340. Sul­la popolazione ginevrina in quegli anni: W. Monter, Historical Demography and Religious History in Sixteenth-Century Geneva, in “Journal of Inter-Disciplinary History”, 9, 1979, pp. 399-427.

59. T. R. Castiglione, Il rifugio calabrese a Ginevra nel XVI secolo, in “Archivio storico per la Ca­labria e la Lucania”, VI, 1936, fasc. III-IV, pp. 165-201, in part. pp. 175 ss.

60. A. Pascal, La Colonia messinese di Ginevra e il suo poeta Giulio Cesare Paschali, in “Bol­

40

2. PER UNA GEOGRAFIA DEL VALDISMO MEDITERRANEO

lettino della Società di Studi Valdesi”, 62, 1934, pp. 118-34; 63, 1935, pp. 36-64; S. Caponetto, Gine­vra e la Riforma in Sicilia, in Ginevra e l’Italia, Sansoni, Firenze 1959, pp. 289-306 (poi in Studi sul­la Riforma in Italia, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Storia, Firenze 1987, pp. 177­97); Id., Messina e Ginevra, in Il calvinismo nel Mediterraneo, Claudiana, Torino 2006, pp. 87-95.

61. L. Firpo, La comunità evangelica italiana a Londra, in Ginevra e l’Italia, cit., pp. 307 ss. Ca­stiglione, Il rifugio calabrese, cit., pp. 183-4. Della sua fuga si riferisce in una revisione dei “fuochi” immediatamente successiva alla strage: Amabile, Il Santo Officio, cit., pp. 82 ss.; Perrotta, I valde­si a San Sisto, cit., pp. 195 («Jo. Batt. Aurelli a. [anni] 23 – dicono che va fogenno per luterano»), 199. Cfr. anche Scaramella, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria, cit., p. 88; Stancati, Gli Ul­tramontani, cit., p. 259, nota 63; O. Boersma, A. J. Jelsma (eds.), Unity in Multiformity. The Minu­tes of the Coetus of London, 1575, and the Consistory Minutes of the Italian Church of London, 1570­1591, London 1997, pp. 38 ss.

62. E. Balmas, Introduzione a G. Miolo, Historia breve et vera de gli affari de i Valdesi delle Val­li, a cura di E. Balmas, Claudiana (“Storici Valdesi”, 3), Torino 1971, p. 32.

63. A. Armand Hugon, I Valdesi di Calabria, in Atti del III Congresso storico calabrese (Reg­gio Calabria, 19-20 maggio, Catanzaro, 21-22 maggio, Terme di Guardia Piemontese, 23-24 maggio, Cosenza, 25-26 maggio 1963), Fiorentino, Napoli 1964, p. 223, nota 19.

64. Audisio, Vaudois du Lubéron, cit., p. 23. 65. Su Pascale si veda ora il nuovo contributo di Jean-François Gilmont in questo volume. 66. Hieronymi Zanchii, Epistolarum libri duo..., Hanouiae, apud Gulielmum Antonium, 1609,

lib. II, p. 360, citato in Castiglione, Il rifugio calabrese a Ginevra, cit., p. 172. 67. Caponetto, Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, cit., p. 393. 68. Sul ruolo dei valdesi del Mezzogiorno nel progetto di Riforma ginevrino, cfr. A. de Lange,

Calvino, i valdesi e l’Italia, Claudiana, Torino 2009, pp. 41-2. 69. F. Ambrosini, I reticolati del dissenso e la loro organizzazione in Italia, in La Réforme en

France et en Italie, cit., pp. 87-103: 101. 70. Audisio, Vaudois du Lubéron, cit., pp. 335-9. 71. Cfr. Tron, La definizione territoriale delle Valli valdesi, cit.; Fratini, Una frontiera confes­

sionale, cit. Un significativo passaggio dell’Histoire des Vaudois divisée en trois parties di Jean Paul Perrin (Matthiev Berjon, Genève 1618-19) fa riferimento ai «[...] descendans des premiers Vaudois [...]. C’est des habitans de ladite vallee qu’ont esté peuplees les vallees Vaudoises de Piedmont, la Perouse, Sainct Martin, Angrogne & autres: comme aussi celles des Vaudois habités en Provence & Calabre, sont venus desdits lieux du Dauphiné & Piedmont» (ivi, libro II, p. 110).

72. A. Garufi, Contributo alla storia dell’Inquisizione in Sicilia nei secolo XVI e XVII. Note ed ap­punti dagli Archivi di Spagna, in “Archivio storico siciliano”, 1914, pp. 264-329: pp. 307 ss.

73. Scaramella, L’inquisizione romana e i valdesi di Calabria, cit., p. 89. 74. Richiamando in proposito la vicenda di alcuni fuggitivi: «quelli haveno fatto tanto romo­

re di Sant’Agata sono stati quelli quattro che fugirono della Mantea», che definisce come «più ma­ligni di questi tramontani e de cervello greco»: ivi, pp. 212-3. Perrotta, I valdesi a San Sisto, cit., p. 247.

75. Amabile, Il Santo Officio, cit., pp. 82 ss.; Perrotta, I valdesi a San Sisto, cit., p. 199 (a p. 196: «dicono che va fogenno»).

76. G. Dall’Olio, La storiografia italiana della Riforma in Italia (1975-1997), in Cinquant’anni di storiografia italiana sulla Riforma e i movimenti ereticali in Italia 1950-2000, Atti del XL Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia, a cura di S. Peyronel, Claudiana, Torino 2001, p. 58.

77. Caponetto, Ginevra e la Riforma in Sicilia, cit., p. 292; Caponetto, Studi sulla Riforma in Italia, cit., pp. 55-6.

78. Caponetto, Ginevra e la Riforma in Sicilia, cit., pp. 300-1. «La presenza di predicatori stra­nieri nelle piccole comunità ereticali propriamente calviniste stanziate nell’Italia meridionale fa pensare, già per gli anni Quaranta, ad un loro autonomo contatto con le capitali della Riforma pro­testante»: cfr. P. Scaramella, La Riforma e le élites dell’Italia centromeridionale (Napoli e Roma), in La Réforme en France et en Italie, cit., pp. 283-308: 306 ss.

79. Scaramella, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria, cit., pp. 89-90, documento alle pp. 224-6; Ambrosini, I reticolati del dissenso, cit., p. 102.

41

MARCO FRATINI

80. Caponetto, Ginevra e la Riforma in Sicilia, cit., pp. 190-1 (poi in Studi sulla Riforma in Ita­lia, cit., pp. 190-1); Scaramella, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria, cit., pp. 89-90 e nota a p. 90.

81. F. Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti, le persone, Sellerio, Palermo 1997, pp. 311, 338; Sca­ramella, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria, cit., p. 90.

82. Ivi, p. 225. 83. Ivi, p. 125; Perrotta, I valdesi a San Sisto, cit., pp. 266-7. 84. Perrotta, I valdesi di San Sisto, cit., p. 196 (alla voce n. 1233: Filice Pergola a 15 [anni 15?]»). 85. Ivi, p. 99. Nel censimento dei fuochi dei casali di San Sisto e La Guardia successivi alla stra­

ge risultava che Pergola «da circa dui anni è andato, come va fugendo per eretico [...] et la Regia Corte tene la roba; la moglie vive poverissimamente in Baccarizzo» (ivi, p. 99, nota 43).

86. Questi aveva mandato una sua nipote a Ginevra per sposare Ascanio Musitano, originario di Castrovillari, sospetto di eresia: ivi, p. 100. Su Bruno e Musitano, cfr. anche A. Tortora, Eretici ed eresie nella Calabria del ’500, in A. Placanica (a cura di), Storia della Calabria moderna e Con­temporanea. Età presente – approfondimenti, vol. 2, Gangemi, Reggio Calabria 1997, pp. 475-81 (rie­dito in Id., Libero pensiero e correnti ereticali nel Cinquecento meridionale, Avagliano, Cava de’ Tir­reni 1997, pp. 55-67).

87. P. Lopez, A proposito dei Calabro-Valdesi (Da due documenti inediti del Sant’ufficio di Na­poli), in “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa”, n.s., XI, 1979, pp. 51-61; Scaramella, L’Inquisi­zione romana e i Valdesi di Calabria, cit., p. 100.

88. Il cappuccino Basilio da Castelluccio, che a partire dagli anni 1554-55 aveva frequentato le popolazioni ultramontane della Puglia e vi era tornato anni più tardi (prima del 1572), riferiva alla Congregazione a Roma che non solo quegli «heretici» dissimulavano e fingevano di essersi conver­titi al cattolicesimo, «ma il pegio è che ne convertono molti alle loro heresie, imperoché vanno li po­veri homini idioti et conversano con quelli simplicimente, ed essi astutamente ad poco ad poco, con belle parole sotto manto de santità, li fanno restare allacciati alle loro heresie»: ivi, pp. 102-3.

89. Ivi, pp. 106, 108. 90. Ivi, p. 233; Perrotta, I valdesi a San Sisto, cit., p. 257. 91. Sul Marchesato di Saluzzo, cfr. D. Bouteroue, Discorso breve delle persecuzioni incorse in

questo tempo alle Chiese del Marchesato di Saluzzo (1620), a cura di E. Balmas e G. Zardini Lana, Claudiana, Torino 1978; A. Pascal, Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il pe­riodo della dominazione francese 1548-1588, Sansoni, Firenze 1960; L’annessione sabauda del Mar­chesato di Saluzzo, tra dissidenza religiosa e ortodossia cattolica (secc. XVI-XVIII), Atti del XLI Conve­gno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia (Torre Pellice-Saluzzo, 1-2 settembre 2001), a cura di M. Fratini, Claudiana, Torino 2004.

92. Jalla, Storia della Riforma, II, cit., pp. 673-4.

42