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La vta del Borgallo, il « Pagus Vignolensis »e il «Castrum Grundulae» L'antica via del Borgallo, tra l'alto Taro e le valli occi- dentali del superiore bacino della Magra, della quale si trova solo qualche cenno in tardi documenti, non è mai stata ricor- data, distinta e illustrata dagli studiosi, perchè rimasta, in certo modo, confusa, come una dupliDazione o una devia- zione, con quella del Bratello. Ma questa antica via, Iidot- tasi nel recente passato a via di mercanti di bestiame, e, or- mai, a sentiero di pastori, le cui testimonianze, rimaste lungo le sue tracce, non sembrano più che bizzarrie del caso, ha avuto invece, in età remote, ben altra importanza, del tutto perduta e quasi del tutto dimenticata, perchè, in questo tratto della regione appenninica, le trasformazioni territoriali e de- mografiche, dall'età antica alla moderna, sono state profonde e regressive tanto da non lasciare, in una contrada montuosa e isolata, se non scarse e poco notevoli tracce dei suoi assetti più remoti. Ma la geografia e alcune testimonianze istituzio- nali possono aiutarci a ritrovare non solo il tempo e la ragione di questa via, ma a darci anche modo di far sorgere, dagli spunti che esse ci offrono, i lineamenti del paesaggio u- mano, come dicono i geografi, che da essa era stato suscitato e animato nell'età antica. Se infatti si esamina una carta orografica di questa parte occidentale dell' Appennino settentrionale, si può osservare oomé, nel rioorrdato h·atto più largo del massiccio tra il Po e il Golfo della Spezia, le comunicazioni tra NO e SE vengono a cadere, quasi per un ponte naturale allineato col meridiano, rispetto alla valle padana occidentale e alle sue relazioni col Mar Ligure di levante e con l'Italia centrale tirrenica, proprio

Manfredo Giuliani: La via del Borgallo, il pagus vignolensis e il castrum Grondolae

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La vta del Borgallo, il « Pagus Vignolensis »e il «Castrum Grundulae»

L'antica via del Borgallo, tra l'alto Taro e le valli occi­dentali del superiore bacino della Magra, della quale si trova solo qualche cenno in tardi documenti, non è mai stata ricor­data, distinta e illustrata dagli studiosi, perchè rimasta, in certo modo, confusa, come una dupliDazione o una devia­zione, con quella del Bratello. Ma questa antica via, Iidot­tasi nel recente passato a via di mercanti di bestiame, e, or­mai, a sentiero di pastori, le cui testimonianze, rimaste lungo le sue tracce, non sembrano più che bizzarrie del caso, ha avuto invece, in età remote, ben altra importanza, del tutto perduta e quasi del tutto dimenticata, perchè, in questo tratto della regione appenninica, le trasformazioni territoriali e de­mografiche, dall'età antica alla moderna, sono state profonde e regressive tanto da non lasciare, in una contrada montuosa e isolata, se non scarse e poco notevoli tracce dei suoi assetti più remoti. Ma la geografia e alcune testimonianze istituzio­nali possono aiutarci a ritrovare non solo il tempo e la ragione d~essere di questa via, ma a darci anche modo di far sorgere, dagli spunti che esse ci offrono, i lineamenti del paesaggio u­mano, come dicono i geografi, che da essa era stato suscitato e animato nell'età antica.

Se infatti si esamina una carta orografica di questa parte occidentale dell' Appennino settentrionale, si può osservare oomé, nel rioorrdato h·atto più largo del massiccio tra il Po e il Golfo della Spezia, le comunicazioni tra NO e SE vengono a cadere, quasi per un ponte naturale allineato col meridiano, rispetto alla valle padana occidentale e alle sue relazioni col Mar Ligure di levante e con l'Italia centrale tirrenica, proprio

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in questa direzione e, in vari tratti, non solo con molta faci­lità di valico, ma anche di viabilità naturale.

Infatti l'arco della catena tra il Gottero (m. 1640) e il Molinatico (m. 1540), dove accentua la sua direzione verso

·NE, presenta quattro passi che, per la viabilità antica e me­dievale, sono stati di notevole importanza: la Foce dei tre confini, già Foce della Colla di Monte Gottero (m. 1394), dalla quale, lungo il crinale tra Magra e Vara correva la così detta « via regia» (l); quello del Faggio Crociato (m. 1367), alle sorgenti del Tarodine; quello del Borgallo (m. 1017); e la sella del Bratello (m. 951), nella Val d'Ena suf lato destro del bacino di Tarodine.

Il passo del Borgallo si apre, sul fianco SO del monte omonimo, alla distanza di circa un chilometro, in linea d' a­ria, dalla cima: la vecchia strada vi saliva dal Taw, per la valle del Tarodine, toccava la Valdena dorve si vedono le ro­v:ine del castello degli Ena presso cui sorse il villaggio che prese il nome dalla chiesa di S. Maria, e, superato il valico, presso il quale era sorto l'ospedaletto di S. Bartolomeo, scen­deva nella valle del Verde, per Nàvola, S. Lorenzo o Vese­rada, proseguiva poi sulla riva sinistra del torrente che var­cava oltre Baselica, nei pressi della confluenza con la Verde­sina, per continuare sulla riva destra, verso il Bagno, nel ter­ritorio. della vicina Pieve di Vignola, sino a sboccare nel piano di V erdeno, in prossimità della influenza del Verde nella Magra. Questo tratto di strada, che, in un documento viscon­teo nel 1356, quando Pontremoli e Borgotaro erano sotto la stessa Signoria, è detto appunto via montis Burgali, si trova descritto anche negli Statuti del Comune di Pontremoli, nelle disposizioni concernenti il mantenimento delle strade, in una

(l) Forse, originariamente, una strada confinale di compascui tra p agi e popoli circostanti: la tradizione locale la ricorda, o la ricordava nel recente passato, come via diretta tra Piacenza e Luni. Ad essa si riconnettono i caratteristici distretti rurali arcaici di Zeri e Rossano. Sulle vicende della " via regia " cfr. il Inio scritto: Note di topografia antica e medioevale del Pontremolese, in questo A.rchivio, voi. XXXV, n.s. (1935), pp. 107 e sgg.

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delle quali si ordinava che «reficiatur et manteneatur et aptettir via qua itur per silvam vignolensem [cioè il descritto terri­torio sulla destra del Verde] ad Mulpedem » [cioè, come più oltre si vedrà, la circoscrizione distrettuale di Baselica o Gui­nadi], e che tali opere di manutenzione fossero eseguite a· cura degli uomini di tale territorio (2). Nelle immediate vici­nanze di Pontremoli esiste tuttora, ridotta a strada campestre, il tratto di questa via che si staccava dall'antico ponte supe­riore del Verde e, con un tracciato quasi retto, giungeva al torrente Betnia nel territorio vignolense (3).

In questo tratto della comunicazione bisogna certamente riconoscervi la sua fase medioevale più antica, posteriore alla comparsa di Pontremoli: ma la leggenda della « Strada di Annibale », rimasta viva in questi territori, accenna fantasio­samente a uno stato di cose ben più remoto, anteriore alla comparsa del nuovo centro comunale, quando la via del Bar­gallo doveva tenersi più a occidente, nella direzione dei cen­tri rurali antichi. La h·adizione popolare ne traccia l' anda­mento tra le due pievi di Vignola e di Urceola-Saliceto, men­tre il ricordo di Annib.ale la ricongiunge evidentemente a Pia­cenza (4).

La ragion d'essere nel tempo e dell'andamento di questa via, che faceva capo al Bmgallo, nel tratto più connesso al valico, è caratteristicamente indicata da un allineamento di

(2) Per la via montis Burgali cfr. Statuta Pontremuli, Parma, Viotto 1571, nel Libr. IV, cap. 2, cart. 166 v., e, per le disposiziorù circa la via per silV'am vignolensem, e i ponti di Baselica e sulla Ve.rdetina, Lib. IV, Cap. 36 e 47.

(3) La via, che nella struttura rivela la priirùera importanza, è tuttora popolarmente indicata come la via del Borgallo per Pia­cenza: nel suo percorso, sulla riva destra del Verde, sorge una cap­pelletta della Madonna delle GTazie, recentemente rifatta, ma dalla tradizione popolare indicata come di origine molto remota.

(4) Riferendosi a sparsi avanzi di ciottolati stradali, la tradi­zione popolare attribuisce alla via il seguente andamento: Vignola, Casa Corvi, Dozzano o Vico, Vallunga, S. Oristoforo (guado della Gordana), Pieve di Urceola Saliceto e oltre. Anche nell'alta valle del Taro si ritrovano le tracce di questa leggenda della " via di Annibale", come a S. Maria, Tornolo, Tarsogno, Buzzò, dove si ri· corda il " prato di Anrùballo " . .

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pievi, o scomparse, o ridotte a povere chiese rurali. In qucl, territorio si trovavano infatti la pieve di Bedonia, sulla smt­stra del Taro, quelle di Campi e di S. Giorgio, sulla destra, l'ultima nei pressi della confluenza del Tarodine, di faccia alla miedievale Torresana, e all'attuale Borgotaro; la Pieve di Vi­gnola, che estendeva la sua giurisdizione nell'alta valle del Tarodine e, a mezzogiorno deL valico, nella valle del Verde e della Magriola; le più lontane pievi di Urseola-Saliceto e di Vico o Vigo o di Castevoli, sulla destra della Magra.

Secondo l'andamento accennato dalla situazione delle Pie­vi, evidenti indicazioni di precedenti antichi centri territoriali, la via del Borgallo, percorsa, come si è visto, la valle del V er­de, proseguiva, per quella della Gordana, nel territorio della Pieve dei SS. Ippolito e Cassiano di Urceola (dove, ancora nel 981, si ricorda l'esistenza di un mercatum), e, quindi, conti­nuava, per la Pieve di Vigo, dopo aver attraversato il tratto occidentale del Territorio della Pieve di Surano o Filattiera, antica e importante pieve nel centro della valle, che allargava i suoi confini sui due lati della Magra. Da Vigo, per i monti, si poteva scendere verso le marine, come si diceva, ovvero verso il porto di Luni, da un valico tuttora frequentato, o, al­trimenti, guadare la Magra a Groppofosco per continuare sia verso la pianura lunense o verso la Garfagnana e Lucca c oltre (5).

Ma era possibile varcare la Magra anche più a monte, presso la foce della Gordana, ad un guado, che toccava la

(5) Le pievi, sia della valle del Taro che della Val di Magra, vanno considerate, indipendentemente dalla loro antichità e vicende propriamente ecclesiastiche, come indicazioni di preesistenti istitu­zioni pagensi. Per le p. di S. Giorgio, di Oampi e di Bedonia cfr. P . RAMERI, La pieve di Borgo Val di Taro, nella Giovane Montagna, A. 38, n. 4, e U. FoRMENTINI, Per la Storia della Pieve di S. Giorgio in Val di Taro, lvi, A. 40, n. 4; per le pievi di Val di Magra: U. MAZ­ZIN!, Per i confini della Lunigiana, nel Giornale Storico della Luni­giana, Vol. I , 4 e sgg.; G. SFORZA, La più antica pieve del Pontremo­lese, nelle Memorie e Documenti per servire alla Storia di Pontre­moli, P. I, Appendice III, p. 610 e sgg.; le Note di top. cit., p. 127 sgg., anche per i rimandi bibliografici. - Per il mercatum in plebe S. Cassiani, generalmente riferito alla pieve di Urceola, cfr. Codice Pelavicino, Genova, 1913, p . . 27.

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sponda sinistra del fiume in una località anticamente chiamata il <<Groppo della Tavernella, (ora S. Lazzaro di Pontremoli}, dove era sorta, ed esiste tuttora, una chiesetta molto antica già intitolata a S. Martino.

Nella sua decadenza questa via si prestò quale alterna­tiva della via romea di Monte Bardane, o Francigena, o della Cisa, tanto che in un suo tratto, che attraversa il territorio di Mulazzo, ha conservato, sino ai nostri giorni, la denomina­zione di via Francesca. In alcune disposizioni degli Statuti del Comune di Ponitremoli (sec. XIV) si ordina che in caso di in~ terruzione della via della Cisa, a mezzogiorno di Pontremoli, in un tratto detto la << Lama » o, anche, la lama di S. Pelle­grino, soggetto ai danni delle piene della Magra, il traffic:J sia avviato sulla riva destra del fiume (6).

Il Comune di Pontremoli aveva anche cura di tenere a­perta la via del Borgallo per le soldatesche di pass•aggio che si volevano allontanare dal borgo, specie all'aprirsi delf età moderna, quando, con le guerre tra Francia e Spagna, si fe­cero più frequenti i movimenti di truppe tra il porto della Spezia e la Lombardia.

Giova aggiungere, per completare quanto si è detto circa' i caratteri di alternativa connessi a questa comunicazione, ine­renti del resto ai tracciati della viabilità naturale, qualche no­tizia circa il ricordato passo del Faggio Crociato (Fò Crosà), o Foce Grande, o dei Due Santi, a SO del valico del Borgallo. Per f asprezza della sua posizione, tra ripidi monti, a m. 1367 di a., non è stato generalmente considerato che come un sen­tiero di pastori,. o di mercanti di bestiame, senza interesse sto­rico, sebbene nel passato, questa foce abbia avuta notevole importanza nelle comunicazioni dei territori di quel nodo montuoso. Essa, infatti, collegava le valli del Tarodine, della Gotra, del Verde e della Gordana, e, più immediatamente,

(6) Cfr. Statuta cit., Lib. IV, cap. 41. Per la denominazione di Lama di S. Pellegrino v. SFORZA, op. cit., P. I , p. 777; e per la via Francesca sulla destra della Mag,ra si veda BRANCHI, La Lunigiana Feudale, Pistoia, 1897, II, p. 195.

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congiungeva così Albareto e Bedonia con Zeri, con Vignola e con Pontremoli, come Zeri con Borgotaro. Il tracciato, per il castello di Zeri acquistava importanza meno locale, giacchè, per quella via, chi proveniva dalla valle del Taro poteva rag­giungere la già ricordata via regia dei monti, e, per questa, proseguire verso la pianura di Luni e per Lucca e oltre, qua­lora, per ragioni politiche e militari, avesse voluto tenersi lon­tano da Pontremoli (7).

Il valico del Borgallo era compreso nel territorio della Pieve di S. Pancrazio di Vignola lma delle cinque già ricor­date per richiamare il carattere del territorio connesso a que­sta via. La chiesa plebana di S. Pancrazio sQirge (a m. 370) su­gli ultimi colli del montuoso fianco destro· della Valle del Verde, all'aprirsi della boscosa gola sul piano di Verdeno (Var­dena), sulla sperone che scende alla confluenza della Betnia col Verde, estreme pendici del monte Guzzana o Grezzana, propaggine dello Spiaggi.

La chiesa è circondata da piccole ville e casali (antichi vichi e vicoli?), sparsi sulla costa omonima e su quelle di Bel­vedere Bas·sone. Era una costruzione a tre navi, la quale, nelle parti esterne e nel campanile, malgrado le deturpazioni di ri­pètuti rifacimenti e restauri, rivela l'originaria architettura di palese influenza lombarda. La giurisdizione plebana si sten­deva oltre che sulla valle del Verde, su quelle della Magriola a Levante, della Gotra a Occidente, e del Tarodine a Tramon­tana, scendendo, quindi, nel versante del Taro sino a toccare i confini delle pievi di Campi e di S. Giorgio. In queste valìi

(7) Il vecchio faggio crociato della Foce grande, che segnava il confine tra i territori di Pontremoli e di Borgotaro, fu abbattuto da alcuni uomini di Zeri nel 1680 in uno dei tanti episodi di violenza occorsi durante le lunghe vertenze per le frequenti contestazioni di quei confini. Nel luogo già occupato dal grosso e vecchio faggio, per segnarne la esatta posizione, furono poi C180i3) costruiti due pilastri con due santi (La Vergine e S. Antonio da P.), onde la nuova de­nmninazione. Si v. anche per altre notizie sulla località: G. B. Po­LETTI, Brevi cenni storici di Buzzò, Borgotaro, 19i34, p. 40.

J,

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erano sparsi numerosi oratori e cappelle, in parte diventati poi parrocchie, o scomparsi (8).

I confini del descritto territorio ricalcavano probabilmen­te quelli di circoscrizioni più remote, secondo un procedi­mento, nelle linee generali, ben noto; ma in quello stesso ter­ritorio, nelle parti più vicine alla dorsale appenninica, l'at­tenta osservazione può rilevare l'esistenza di superstiti tracce caratteristiche di altri oscuri elementi istituzionali, testimo­nianze di una pagina di storia del tutto dimenticata, ma ricca d' interesse locale · e generale.

In un diploma di Federico II, del 1245, concernente il \

territorio di Grandola nell'alta valle del Verde, si trova no-tizia di una circoscrizione territoriale, della quale non è fa­cile spiegare l'origine e la funzione. Del territorio sono· nomi­nati i monti, le acque, gli abitati, designandolo col suo nòme collettivo. Sono elencate le ville della Cervara, di Monti, di Navola, di S. Lorenzo, Baselica, Achina, Cobloba, Bratto e Braia, « quae omnes , è dichiarato nel documento, « vocantur Mulpe,. Il nome di Mulpe è indeclinato: era dunque, già a quel tempo, un relitto linguistico, un termine di cui si igno­rava il significato, che forse era comparso in un passato lon­tano per designare una unità territoriale corrispondente a una funzione giurisdizionale, o trasformata o venuta a mancare, . sebbene ne sia poi continuata a lungo la dizione (9).

(8) Nel rendiconto di decime " pro subsidio regni Gicilie " esatte nel 1297 nella Diocesi di Luni, le cappelle suffraganee della pieve di Vignola ricordate sono cinque: c. de Grundula, c. de Succisa, c. de Basilica, c. de Mulpe, c. de Burgallç> [Ospedale di S . Bartolo­meo]: in altro elenco del 1299 sono ripetuti gli stessi nomi con la qualificazione però " de loco puntoli" aggiunta alla c. de Basilica (Arch. Vat, arm. XXXV, n. 13 e n. 15); nel noto estimo delle chiese della stessa Diocesi (1470-71) le cappelle dipendenti da V. appaiono ' invece otto, comparendovi in più le seguenti: c. Sanctorum Laurentii e Georgi de Cervaria, c. de Braia et Brato, c. di Hena, c. de Monte­mesio (Grondala): la "c. de Mulpe " è qui designata come " c. de Basilica et Mulpedis " (SFORZA, Un Sinoào sconosciuto della Diocesi di Luni-Sarzana (1470'-71), nel Giornale Storico e Letterario della Liguria, V (1904), p. 225).

(9) Si veda il dipl. di Federico II nello SFORZA, Mem. e Doc. cit., P. II, p. 292.

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Si sono già ricordate le numerose piccole chiese, molte delle quali scomparse, caratteristicamente frequenti nel terri­torio più vicino alla catena appenninica, chiesette di antica intitolazione, con particolare riguardo ai Santi dei romei e viandanti, come S. Pietro, S. Lorenzo, S. Giorgio, S. Bartolo­meo, S. Martino, S. Cristoforo, ecc., che attestano una fase arcaica della locale formazione ecclesiastica. Ma questo ca­rattere arcaico è anche più esplicitamente indicato dalla so­pravvivenza di una terminologia che va riportata ai primi tem­pi della diffusione del Cristianes•imo nelle campagne e nei più isolati territori di montagna. La . presenza delle voci basilica, (le chiese di S. Pietro di Guinadi sul Verde e di S. Benedetto di Pontolo sulla destra del Taro), titulus (Tiedoli di Borgo­taro), menwria (Momarola? orat. presso Bedonia) fanno ricor­dare il periodo in cui questi termini ed altri, come cella, oraculum, capella, si contrastavano il predominio per desi­gnare chiese o chiesette non battesimali.

In un mio vecchio studio sullo stesso argomento avevo supposto che la Baselica di Guinadi, sul Verde, fosse una di quelle chiese non battesimali, sorte, come l'altra sul Taro, se­condo la nota ipotesi dello Iud, nei territori di tarda penetra­zione del cristianesimo, tra il IV e il V secolo, per opera di signori laici od ecclesiastici, a scopo di propagazione della fed~, nei ' vici, nelle ville, nei praedia e saltus. E' stato no­tato che nell'Italia settentrionale la frequenza delle basiliche coincide con i territori dove il cristianesimo è penetrato tardi e si è diffuso con lentezza. Non è certo inverosimile che an­che il territorio di questa parte dell'Appennino si trovasse in tali condizioni di persistenza del paganesimo, oltre che per l'indole conservatrice delle popolazioni montanare, anche per la mancata influenza di forti e attivi centri cittadini cristiani. Mancava nell'alta Val di Magra, dove la resistenza del genti­lesimo è documentata :fu:to al sec. VIII, un centro, quale . più tardi fu Ponh·emoli, di mediazione tra quelle isolate vallate e la lonltana sede vescovile di Luni, come non dovevano essere giunte dalle città padane forti influenze di · evangelizzazione nemmeno nell'alta valle del Taro dove l'insediamento, tanto

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più tardo, dei monaci di Bobhio meglio che ad opera di assi­stenza stradale sembra persino accennare ai caratteri dell' a­zione missionaria (10)

Nell'alta valle del Verde esistono le rovine e gli avanzi di due chiese dedicate a S. Pietro, l'una delle quali, molto pic­cola, sorgeva tra gli attuali villaggi di Cervara e S. Lorenzo, sostituita poi da altra fabbricata nel luogo dell'attuale Base­lica di Guinadi, in seguito evidentemente al cambiamento di direzione della via del Borgallo, dove, rimaneggiata e in­grandita, divenne in seguito la sede parrocchiale intitolata a S. Pietro e Paolo. In questi cambiamenti edilizi, sono evidenti dunque le fasi di una trasformazione ecclesiastica per cui il modesto oratorio trasferito in luogo più importante e più centrale del primitivo, dette vita a una vicinia religiosa, so­vrapponendosi forse all' antico ordinamento territoriale deSi­gnato dal nome Mulpe. Non è dunque da escludersi che, co­me in altri casi, questa Baselica possa indicare una antica i­stituzione rurale, che, per l' evolversi degli assetti di quelle popolazioni si sia poi andata sciogliendo e scindendo in più piccole circoscrizioni di nuove parrocchie modeme.

Non so se l'ipotesi suesposta si possa estendere, con i ne­cessari riferimenti alla situazione locale, anche all'origine del­la Baselica di Pontolo, sulla riva destra del Taro, a oriente di Borgotaro. Non va, comunque, trascurato, per l'una e per l'al­tra delle due località, di tener presente la probabilità di una diversa origine della voce, la quale potrebbe essere derivata dalla forma sostantivata di un aggettivo qualificante strade o terre di ragione regia o imperiale, come ~7-.v~À~r.·h y·~, terra del fisco, e ~wnÀ~x.·h ò~6~ , via regia. Per quest'ultimo caso bisogna avvertire che, sulla via del Borgallo, poco distante dalla Baselica di G~1inadi, esiste un piccolo villaggio detto Stra che, in certo modo, è l'equivalente dialettale dell' espres-

(10) Ofr. il riassunto del mio studio su Mulpe e Baselica negli Atti della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria, fase. della tornata 14 Nov. 1937, Pontremoli, 1938, pp. 6-8. C'fr. pure U . MAz­ZIN!, La Lunigiana nella " Descrittione della Liguria » di A. Giusti­niani, nel Giorn. Star. e Lett. della Liguria, IX, p. 153 e 162, n. 74.

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sione greca, mentre per la prima espressione occorre ricorda­re che proprio su queste dorsali appenniniche si stendevano quei territori demaniali dai quali provennero ai Comuni i

bona delle concessioni imperiali. In tali circostanze il termine si sarebbe unito al nome della chiesa a indicare la posizione (p. es.: S. Pietro a Basilica o in Basilica), fissandosi e preva­lendo come nome di località (11) .

. A parte, dunque, il problema del toponimo Basilica, la caratteristica distribuzione, sulle rive del Taro e nella valle del Verde, delle numerose chiese e chiesette delle quali si <~

parlato rilevandone gli aspetti arcaici, ci offre, per così dire, aperta dinanzi una pagina della storia della diffusione del cri­stianes-imo in questo territorio montano e pagense, e di una fase della sua penetrazione ancora dovuta a zelo di pii pri­vati, anteriore forse all'insediamento o alla piena attività della organizzazione diocesana. Anche la pieve di Vignola ci ripor­ta a questo momento della penetrazione del cristianesimo nel­la montagna, ma nella fase sua più conclusiva di sistematica organizzazione, con la vivacità delle sue tradizioni popolari,

(11) L'attuale par,rocchiale di Baselica di Guinadi h a subito var1 rifacimenti, anche recenti, resi necessari dalla inst abilità del ter­reno. Nell'attuale fabbricato sono evidenti materiali di varie età, tr,a cui alcune antiche colonne di arenaria che sorgono isolate sul sag;rato senza ragione architettonica, che potrebbero far pensare a un antico complesso edilizio non destinato solamente alla ch iesa, ma an­che a una sede per le magistrature e adunanze di un capoluogo di comunità rurale o saltuaria, quale poteva essere il misterioso " Mul­pe , , più tardi trasformato in Mulpes-edis. Si potrebbe anche dubi­tare che la circoscrizione basilicale abbia veramente sostituito, come in altri casi, la circoscrizione .civile: nel diploma federiciano (1245), che ricorda " Mulpe , come denominazione collettiva di un territo­rio, si trova nominata, tra altre località, una sola " Baxelega , ; le cit. decimazioni del 1297 e 1299 qualificano Baselica solamente la c. di Pontolo sul Taro, mentre l'altra sul Verde è detta c. de Mulpe; il Sinodo del 1470-71, designa quest'ultima come " c. de Basilica et Mulpedis , , distinzione che si trova anche negli Statuta ci t. Intorno all'origine delle Pievi, alle varie ipotesi sul toponimo Basilica, e alla ipotesi dello Iud sul tardo diffondersi del cristianesimo nelle aree di Basilica, si vedano i ben noti magistrali studi di ALFREDO ScHIAFFINI: Per la Storia di " Parochia , e " Plebs , e Intorno al nome e alla storia delle chiese non parrocchiali nel Medioevo (a proposito del toponimo "Basilica,), nell'Archivio Storico Italiano, A. XXX, 1922, p . 65 sgg. e A. XXXI, 1923, p. 25 sgg,

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così evidentemente originarie da essersi quasi inserite nel cul­to: così il persistente ricordo di una ara murata in un'abside della stessa pieve, e il tradizionale falò annuale che viene ac­ceso in occasione della festa di S. Croce (14 Settembre), in me­moria della conversione e degli idoli gettati sul fuoco· (12).

Per quanto, infatti, la pieve di S. Pancrazio non compaia ricordata in documenti anteriori ad una bolla papale del 1148, anche se si deve reputare relativamente tarda la sua comparsa o la sua efficacia spirituale, tuttavia va considerata come l'e­sponente cristiano di una antica istituzione legata alle caratte­ristiche territoriali della località. L'ipotesi già fatta che questa pieve avesse origine da uno smembramento del territorio della pieve di Urceola Saliceto poteva essere giustificato dalla considerazione dello stato attuale di essa, sperduta tra i mon­ti, come una piccola parrocchia rurale senza storia.

Ma questa scarsa importanza anche remota di centro re­ligioso era appunto dovuta all'essere sorta in un momento di trapasso tra l'era antica e la medievale, quando, per cambia­menti di antichi assetti territoriali e delle comunicazioni, an­che l'istituzione sulla quale si era consolidata andava perden­do, nell'isolamento, la sua attività di centro appenninico. E' proprio questa natura antica e sorpassata del primitivo pago che spiega la mancata vitalità e l'oscura decadenza della suc­cessiva pieve.

Quanto si è detto si protrebbe ripetere a proposito di cin· que delle sei pievi più volte ricordate: due di esse, infatti, quel­la di S. Giorgio e l'altra di Campi, sulla destra del Taw, sono sorte e scomparse tra un~ grande oscurità delle loro vi­cende e non lasciando alla vista che qualche rovina; men­tre le altre tre allineate sulla destra della Val di Magra non sono più che umili chiese di villaggi solitari, su strade diven­tate campestri, in silenziose campagne dove l'eco della lon­tana storia è rimasto appena come un murmure di conchi-

(12) Cfr. per questa leggenda relativa al tempio e agli idoli bru­ciati quanto ho scritto in Leggende pontremolesi, nell'Archivio per la Etnografia e la Psicologia della Lunigiana, vol. III (1914) pp. 21-22.

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glia. E, p. es., quel Vico, che aveva dato il nome alla Pieve di Castevoli, che gli studiosi hanno assai penato a ricono­scere, del quale non si trovano nemmeno più le rovine, era evidentemente un centro importante di un pago esteso ad un ampio territorio, che la pieve perdette per il deviamento delle comunicazioni di transito e, più tardi, anche per il so­pravvenire delle partizioni feudali e per il formarsi della par­rocchia moderna.

Il pago dove sorse la pieve di S. Pancrazio doveva avere i caratteri di un ordinamento territoriale saltuoso, e, cioè, di un complesso di selve, boschi e pasture. Lo dimostra la fre­quenza dei toponimi attinenti a valle (Navola, Nola), a monte (Monti, Mompero), a selva (Cervara da Silvaria) che si riferi­scono evidentemente più che agli aspetti fisici del suolo, a caratteri giuridici, a diritti consuetudinari, di possesso, di uso. Anche l'estensione del territorio della dorsale appenninica, fa ricordare quegli agri di confine che dividevano e insieme u­nivano pagi e popoli, sui quali si andarono formando i de­mani romani e germanici; dai quali, nel caso nostro, proven­nero ie Alpes delle concessioni imperiali al Comune pontre­molese. E, infatti, nella terminologia comunale, continuano a mantenersi evidenti questi caratteri giuridici antichi. La « silva vignolensis » i « montes Vignolae et Cervariae » le '' valles » i « nemora et boscha » e altre simili denominazioni eh~ ricorrono negli Statuta del Comune di Pontremoli,, e specialmente dove sono raccolti i risultati delle revisioni dei beni comunali (sec. XIII), sembrano richiamare la gromatica . della tavola di Veleia, dove si descrivono i gruppi di terri­tori della regione montuosa di questi stessi tratti appenninici, quasi con . le stesse dizioni: « saltus praediaque iuncta qui montes appellanrtur ,, ; ovvero: « saltus praedia quae Betunias si ve quo alio vocabulo sunt ,, ; oppure: « collem Muletatem cum silvis ,, ecc. (13).

(13) Tab. Tr., Columna I, !in. 2; coL VI, 60-63. - Va anche no­tato, a proposito della " silva vignolensis ,, il termine " gualdianum , (dalla voce germ. (Wald-bosco regio), rife1ito a un balneum nei pressi

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Nè il feudalismo, almeno per un certo tempo, aveva al­terato questo stato di cose. Infatti, non lontano dalla pieve si trovano gli avanzi di un castello, che forse è quel castrum di Belvedere di cui fu confermata la investitura a Obizzo Malaspina, dall' imperatore Federico, nel 1164, castello e curia ricmdati nello stesso diploma, insieme con altri luoghi del territorio che ci interessa, come Zeri e Montelungo in Val di Magra, e la Valdena, Compiano, Bedonia, ecc., nella valle del Taro (14). Il castrurn di Belvedere sorgeva sopra un erto , colle, detto la Bardera, tra i torrenti Pilacca e Betinia, in faccia al colle della Pieve. I confini della curia di Belvedere dovevano coincidere con qu~lli del territorio plebano, come avvenne in seguito per la circoscrizione della curia del ca­strurn Grondulae.

Le ragioni del profondo sconvolgimento degli ordina­menti antichi del territorio vanno cercati nei turbinosi avve­nimenti del periodo comunale. Cotesti avvenimenti si inseri­rono, accelerandolo, nel processo di una lenta trasformazio­ne della demografia locale, proceduto dalla fine dell'età an­tica e continuato sino allo scorcio del medioevo. In questo periodo, in seguito alla scomparsa di V elleia, si era deter­minato', sia rispetto alla montagna piacentina e parmense, sia rispetto alla Val di Magra, un movimento, per così dire, di raddrizzamento degli assetti territoriali rispetto ai centri cit­tadini, dalla direzione trasversale a quella longitudinale del­le valli, con tendenza di Parma a sostituirsi a Piacenza nel dominio dell'alta valle del Taro. Nel versante meridionale della stessa montagna, e, cioè, nella Val di Magra, lo stesso movimento andava spostando l'andamento delle comunica­zioni da ponente a levante, unificandole sul fondo valle.

della pieve, riferibile a stanziamenti longobardi dei primi tempi della conquista. Ofr. la mia nota. Il bagno gualdiano, nel Campa­none, almanacco pontremolese, 1942, Pontremoli, Artigianelli, p. 110 e sgg.

(14) MURATORI, Ant. Estensi, I, 161.

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Queste trasformazioni territoriali furono la conseguenza della battaglia antifeudale che, consolidate le nuove istitu­zioni cittadine, si estendeva alla liberazione del territorio. Protagonisti di questa violenta, lunga e tenace guerra furow le città di Piacenza e di Parma, da una parte dell'Appennino; e, dall'altra, il piccolo, ma vigoroso Comune pontremolese, antifeudale: per dare respiro ai loro territori e per aprirsi i valichi meridionali ai liberi traffici verso il mare e l' Italia centrale, le prime; per uscire dalle angustie . della primitiva curia immunitaria, il secondo, e rompere l'assedio Malaspi­niano, e per avere via libera alle città lombarde e al mercato marittimo di Genova (15). Sui monti stavano i Malaspina, ul­timi degli Obertenghi, rimasti sclle antiche sedi appenniniche, fedeli alla legge longobarda, tenaci difensori della potenza dei castelli, dei diritti feudali, dei pedaggi, ultime resistenze della conquista. .

Come il prevalere della attività della via di Montebar­done per la Cisa e il conseguente crescere della importanza militare e politica di Pontremoli avevano determinato lo spo­stamento della via dalla destra alla sinistra del Verde, dal Bar­gallo al facile varco del Bratello, così anche il centro militare di Belvedere venne a spostarsi sullo scosceso fianco sinistro della valle, sui colli di Grandola, forte posizione che domi­nava i due valichi · e lo stesso oppidurn di Pontremoli. Gron­dolà non è nominata nel citato diploma di Federico tra i luo­ghi confermati nella investitura di Obizzo: forse aveva allora minore impmtanza ed era nelle mani di vassalli come altre forti posizioni dei Malaspina nella valle del Taro, infeudate agli Ena e agli Oldeberti. Il nuovo stato di cose aveva reso importante quella posizione che si inseriva tra i due valichi. Da Pontremoli, infatti, si poteva andare a Grondala, e di qui procedere per il Bratello, ovvero continuare per il Giogallo e la Pelata, o, anche, scendere a Succis-a per Montelungo, e rag-

(15) Si veda la mia memoria, Relazioni economiche tra Pontre­moli e Genova, ecc. in Stuài Colombiani, Genova, vol. III, p. 501, anche per la Bibliografia.

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giungere, dall'una o dall' altra parte, il passo della Cisa. A p~ punto come nodo vitale delle comunicazioni era assai stretta­mente collegata a Pontremoli, tanto che in uno dei tanti trat­tati di pace tra Malas;pina, Piacentini, Parmigiani e Pontremo~ lesi, quello del 1191, si trovano ricordate, e in quella circo­stanza riconosciute e ristabilite, le consuetudines che i pontre­molesi avevano da tempo a Grandola (16). I Malaspina ave­vano fart:to di questo punto strategico un caposaldo della di­fesa contro l'espansione dei Comuni e un potente strumento di dominio dei valichi appenninici e delle vie connessevi. Per comprendere bene l'importanza del castrum non bisogna con­siderare solamente il castello del quale rimangono le ultime rovine, che so·rgeva sul poggio, aguzzato dalla erosione, quasi a picco sulla stretta gola del Verde. Grondala era invece una ampia fortezza che s•i allargava dal Verde verso la Magra, do­minando non solo i valichi e le vie del Verde, ma anche il valico e la via di Montebardone. Di questo genere erano in­fatti i castelli medievali . montani di importanza militare, nei quali la forza del castrum centrale era completata da tutte le fortificazioni del territorio, cioè turres, cimaeo fortitudines, steccati, fossati, argini ecc., di h1tto quanto• insomma, nel ter­ritorio, poteva acquistare valore e capacità di offesa e di di­fesa. E, difatti, quando, nel 1195, i Malaspina, fiaccata la loro resistenza, furopo costretti a vendere Grandola ai piacentini, rifacendosene poi infeudare e, in tal modo, divenendo vassalli del Comune, dovettero dichiarare di cedere << nominative de podio Grondule et omnibus aliis podiis quae sunt in tota cu­ria Grondule; ita quod nec illud podium, neque aliud, nec aliquod possit etdificari neque levari in tota curia Gron­dule (17).

E si può giudicare della raggiunta importanza del campo d'azione della fortezza oss8trvandone i confini giurisdizionalì i quali si trovano descritti, col << territorio pertinenciis et cu­ria , , nel citato privilegio di Federico II, del 1245. Era una

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(16) SFORZA, op. cit., P. II, 257. (17) Id., Ib., II, 267, doc. n. 14.

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vasta circoscrizione che includeva tutte le alte valli del Verde e della Magriola, dominando dallo spartiacque le vallecole della riva destra del Taro, i valichi e le vie del Borgallo e del Bratello, e le vie e il passo della Cisa con Montelungo e, più a oriente, con Gravagna, dove si vedono tuttora i ruderi di un fortilizio.

Ma questa creazione militare dei vecchi dominatori del­l'Appennino contro Piacentini, Parmigiani e Pontremolesi, di­venne poi, nella vicenda degli eventi, di offesa di feudatari, vassalli e parmigiani contro piacentini e pontremolesi; quindi, di parmigiani, pontremolesi e vassalli contro Piacentini e Ma­laspina. In questa vicenda, per buona parte del sec. XIII, ri­sulta decisa e vigorosa l'azione di Piacenza, la quale non solo occupò l'alta valle del Taro, ma, come si è visto, si impadronì anche di Grondola, assicurandosi in tal modo una posizione dominante nell'Appennino e nell'alta Val di Magra, mercè an­che l'alleanza con Pontremoli, la quale, per la disparità delle forze, finiva per assomigliare ad una accomandigia (18).

Queste relazioni, prima, a lungo, amichevoli, e, quindi, altretta~to ostili tra Pontremoli e Piacenza, e cioè, come è stato osservato, tra due Comuni separati dall'Appennino, sono generalmente sembrate, agli scrittori di storia lunigianese, do­vute a vicende di lotte faziose e di guerre tra città rivali estrin­seche alla storia regionale. Ma a osservarle, ben circostanziate n~lla realtà geografica e incluse nel vitale momento del pro­cesso storico, è facile riconoscere la loro aderenza agli inte­ressi delle due parti, la loro coerenza e la 1om necessità. Per assicurare la forza d'espansione della città, i Pia centini dove­vano necessariamente procurare al Comune la libertà del ter­ritorio appenninico sottraendo alle signorie feudali l'alta valle del Taro per aprirsi la via al mare e all'Italia centrale. Alla battaglia antifeudale giovava l'alleanza con i pontremolesi per circondare ed espugnare Grondala che dava ai Malaspina il

(18) Alleati dei pontremolesi, i piacentini sollecitarono anche per i pontremolesi, per tre volte, la protezione imperiale e del re Enrico. Cfr. SFORZA, op. cit., II, 246, doc. n. 4; 251, doc. n. 6 e p.254, doc. n. 7.

f111LAHO J. CAQTA ti' lffSIE11E {L'A,>,P e n, i M f,. il Po e il - /'!.u li,CU'e) REMONA

Disegno di BRuNo PRUNO

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dominio dei valichi appenninici. A sua volta, il piccolo Comu­ne pontremolese non poteva che appoggjarsi, per convergenza d'interessi, a quella vigorosa potenza cirttadina per fronteggia­re gli stessi nemici feudali, i quali non solo da Grondala, ma dai loro dòmini di Val di Magra tentavano di serrare e isolare il suo angusto territorio.

Il raccogliersi e fortificarsi dei Malaspina tra i monti della Lunigiana, respinti dai baluardi appenninici dalle forze cit­tadine della valle del Bo e del Genovesato, aveva creato un pericolo mortale per il piccolo Comune pontremolese. Nel pro­cesso di disgregamento del gentilizio Obertengo, il governo dei vicedomini et vassalli aveva favorito un movimento di affran­camenti e di autonomie che, in questa parte più settentrionale della Val di Magra, sul rovescio del fianco sudoecidentale del­la val padana aperto, da facili foci, alle immediate relazioni con le città della Lombardia, aveva. stimo~ato quel centro at­tivo di libera vita economica e civile che aveva dato origine al Comune di Pontremoli.

Con i Malaspina si era appunto presentata minacciosa e stringente la controffensiva della restaurazione feudale. Il pic­colo Comune si era difeso, a settentrione, entrando nell'orbita delle alleanze delle città lombarde, le quali e11ano anche inter­venute per mettere pace tra piacentini, pontremolesi e parmi­gi~ni in contrasto per la contesa dei valichi; a mezzogiorno, cercando solidarietà e alleanza col Vescovo di Luni, esso pure minacciato dai Malaspina nei suoi domini temporali, e col Co­mune di Lucca, forte centro aptifeudale e lontano sbocco delle vie connesse ai valichi appenninici (19).

Si è visto quale importanza abbia avuto per Pontremoli, nello sforzo della difesa della sua libertà, la stretta e lunga alleanza con Piacenza. La oaduta di Grandola in mano ai pia­centini doveva separare gli interessi dei due Comuni. Crollata la potenza malaspiniana sull'alto Appennino settentrionale, dalla Val Staffora alla Val di Taro, e, dopo la perdita di Pietra

(19) Per gli interventi delle città lomba,rde cfr. nello SFORZÀ, op. cit., P. II, i dccc. n. 3, n. 9, n. 10, e per le alleanze, P. I , p. 129.

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Corva e, quindi, di GrondoJa, Alberto o Corrado fatti citta- · dini e vassalli di Piacenza, la politica dei piacentini doveva necessariamente prendere un diverso indirizzo. Pontr~oli

non era che un picco1o centro nell'alta Val di Magra ormai inutile per Y opera di espansione . del Comune piacentino: i Malaspina, ormai cittadini e vassalli, non erano più perico­losi nell'Appennino, ma, anzi; come signori ancora potenti nel resto della Val di Magra e, padroni, quindi, delle comunica­zioni sul lato destro di essa, assicuravano alla città padana la via al golfo lunense, a Luni e a Lucca. Inoltre, Piacenza volle assicurarsi il pieno dominio del traffico appenninico, intercet­tandolo ai rivali parmigiani: infatti, come. ricorda un cronista piacentino, Codagnello, nel 1199, e, cioè, quattro anni dopo l'acquisto di Grondoia, « strata romea [o della Cisa] mu.tata fuit . per Valdetarium » (20).

Allontanati i Malaspina, fu appunto questa la vicenda del­la rivalità tra Piacenza e Parma per il dominio dei valichi: secondo la prevalenza dell'una o dell'altra di queste due città, il traffico delle vie appenniniche veniva convogliato per la strada di Montebardone Cisa, se predominava Parma, e, come si è visto, veniva «mutata per Valdetarium » (Borgallo o Bra­tello), se si avvantaggiava Piacenza.

Queste interruzioni e alternative di traffici erano causa di gravi danni alla economia commerciale di Pontremoli, ed era, dunque, una necessità vitale per il Comune che, pur tra tanti altri pericoli di fazioni e di potenti che minacciavano la sua libertà, dirigesse tutti i suoi sforzi a ristabiJire la sicurezza del­le comunicazioni con accorgimenti di alleanze e con la forza delle armi. Piacenza era diventata aperta nemica e, insieme con i Malaspina, aveva portato la guerra e la devastazione nel territorio pontremolese. Il Comune, sebbene di antica e ferma tradizione guelfa, si indusse allora a cercare la protezione Ji Federico II, il quale, per la violenta « briga » a dirla con Dante, che aveva nell'Italia superiore, costretto per le ragioni della guerra . a percorrere la via di Monte Bardone, si era fer-

(20) Chronica tria Placentina, p. 23.

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mato varie volte a Pontremoli:l'Imperatore accolse volentieri la domanda per farsi amica una terra fortificata in una posi­zione militarmente importante, e nel farlo, ne confermò ed ampliò gli antichi privilegi. Ma quando, nel 1241, i pontre­molesi, di sorpresa, si impadronirono di Grondola, dovettero pagar cara la loro audacia, perchè, in seguito alle proteste dei parmigiani, l'Imperatore ordinò, per castigo, la distruzio­ne delle porte e delle torri del loro stesso borgo. Più fortu­nati i lorro avversari i quali, quattro anni dopo, in compenso .dei servigi che avevano allora, prevalsa la parte ghibellina, potuto rendere alla causa imperiale, ebbero il dono, perpetuo, del castello di Grondola e dell'ampio distretto descritto nel già citato documento.

Malgrado ciò, i pontremolesi si mantennero fedeli a Fe­derico, anche quando Parma e alcuni Malaspina gli si volta­rono contro. Avendo essi prestato al re Enzo il loro aiuto per la espugnazione di Berceto, sperarono col consenso suo non solo di aver modo di ricostruire le porte e le torri abbattute della loro terra, ma, anche, di riprendere Grondola e di po­terla, finalmente, avere in sicuro possesso: vana però fu quA­st'ultima speranza, perchè l'Imperatore, se annullò la dona-

. zione fatta ai parmigiani, con un . decreto del 1248 'revocò Grondola alla Camera imperiale «ad nostram et imperli ca­:meram », chiara dimostrazione della importanza militare di quel territorio che, specialmente allora, ebbe veramente il va­lore di « clavis » e di «porta» dei valichi appenninici tra l'I­talia superiore e l'Italia centrale (21).

Scomparso Federico e i suoi successori, cadute le fortune della parte ghibellina, Pontremoli era tornato ad avvici­narsi alle città guelfe. Verso l'ultimo quarto del secolo, me-

(21) Per queste vicende e per le relazioni con Federico II, cfr. SFORZA, op. cit., P. I, cap. nr, spec. p. 131 e sgg., e P. II, docc. n.ri 20-23. ;Nel 1313, Iacopo da Cassio così scriveva in una ambasciata ad Arrigo VIIT: " Pontremulum est clavis et porta ad veniendum de Lombardia in Tusciam, et per quam gens Ser. Principis commodius et agilius ire potest a civitate Placentie ad civitatem Pisarum " (SFORZA, op. cit., P. n, doc. n. 28).

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diante la << Società dei Crociati » , fazione popoJaresca di ac­ceso guelfismo sorta a Parma contro i nobili, e propagatasi sino a Pontremoli, i due Comuni, dimenticate le precedenti inimicizie, giunsero ad avvicinamenti ed intese che si con­clusero con una alleanza, nella quale l'esausto Comune pontre­molese sperava di trovare aiuto e difesa contro le discordie intestine e i pericoli esterni. Tra i capitoli del lungo trattato di alleanza, steso nel 1271, ne fu inserito uno che concerneva il ristabilimento della via di Monte Bardane. E' interessante, per la nostra indagine, riferirne il testo,: << Item, quod procuretur et fiat per Comune Parme et Comune Pontremoli, quod strata pisana, lucana, et parmensis reducatur er vadat per Monbar­dum et Pontremulum ,, . Era questa, dd resto, la norma dei parmigiani, come si è visto, di riportare la comunicazione del Taro alla Cisa, quando potevano farsi padroni della situazio­ne militare locale. Ma è, invece, di notevole importanza la clausola con la quale si fissano le norme per l'integrale riSII:a­bilimento della contrastata via, poichè tali norme sembrano contenere accenni utili per chiarire il problema delle antiche comunicazioni dell'Appennino parmense. Infatti pare chiaro che con le citate disposizioni si intenda ordinare di riportare alla Cisa non una ma due comunicazioni, perchè il tracciato di una via pisana, lucchese e parmigiana non poteva essere lfJ stesso di quello della via che passava per la Val di Taro. Vi era dunque, deviato dalla romea, oltre che il traffico della via del Taro per Piacenza, anche quello di una parmense lucana da' << reducere » facendo sì che anche questa venisse a passa­re per la Cisa e per Pontremoli, dove evidentemente non pa:>­sava. Quale era dunque questa via Parma-Lucca che il Comu­ne parmense apriva quando, come nei casi ricordati, gli veniva chiuso il passo Cisa-Pontremoli? E' il vecchio problema della via antica Parma-Lucca.

Nel 1271, per rendere più sicuro il dominio della via di

Monte Bardone, i parmigiani d'accordo con i Pontremolesi ricostruirono il castello di Grandola, e, due anni dopo, vi fab­bricarono, evidentemente contro i piacentini, una torre, che

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è forse quella della quale si vedono ancora gli avanzi (22). E' questa, nel suo tipico aspetta> medievale comunale, una delle ultime vicende della alternativa delle comunicazioni appenni­niche rispetto ai valichi dominati da Grondola: le ultime bat­taglie tra Bratello e Cisa possono sembrare faziose e arbi­trarie se non si collegano alle formazinni dei territori con;m­nali e agli interventi, come quello di Federico II, di poteri politici più vasti e più forti e tali da sostituirsi alle città nel dominio, diretto o indiretto, delle grandi vie.

Sulla via del Bratello esiste uno scritto di Giovanni Ma­dotti, riferito dallo Sforza in un suo saggio Sulle strade del Bratello e della Cisa, il quale, anche se destinato a un gior­nale politico con intenti pratici, è senza dubbio il più acuto e realistico e meno libresco dei nnn molti pubblicati sull'argo­mento. Nell'indagine lo soccorse nnn solamente la sua larga e snlida informazione storica, ma anche il suo esperto interesse di archeologo, e gli giovò la conoscenza dei luoghi dovuta alla sua passinne di turista e di alpinista. « Il valico del Bra­tello (egli scrive) è il più depresso e il più comodo tra quanti se ne aprono dal Parmigiano alla Lunigiana attraverso la catena principale dell'Appennino. In questo punto infatti la gibgaia del monte si abbassa fra le due vallate del Verde e del Tarodine sino ai 951 m. s. l. d. m. Un valico così facile non poteva a meno di essere attraversato da una via sino dai tempi antichi, e infatti non mancano ivi i ricordi e i monu­menti di una antica via romana, che appunto pel valico del Bratello tendeva a Luni, Velleia, Piacenza » . Anzi, giusta­mente commenta lo Sforza, conviene credere che la via del

(22) Il doc., importante anche per altri aspetti della vita comu­nale della regione, si trova nel cit. vol. dello SFORZA, P. II, n. 25. -Per la via Parma-Luca da riferire al Girone ed alla Rocca Sigil­lina, che fu la Grondola sud-orientale del terr. pontremolese, vedi il mio studio La via Lombarda del Cirone ecc. in questo Archivio, 1lV s., vol. III, p. 29 e sgg. Per la ricostruzione del castello di G . v. SFORZA, id., I, p. 142.

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Bratello sia anteriore all'altra della Cisa, perchè appunto da quel valico, toccando Velleia, s'andava a far capo a Piacenza, dedotta a colonia sino dall'anno 218 a C., la quale con Cre­mona, quattro anni dopo la fine della guerra gallica, fu una delle prime coJonie latine dedotte nella Cisalpina. Ma anche al Mariotti, come allo Sforza ed ad altri precedenti scrittori, avvenne di confondere la via del BrateUo con la via del BOT­gallo: in tal modo gli sfuggì la completa individuazione della via romana della quale aveva avuto una così sicura intui­zione. Come si è visto, la via del Bratello è una via medievale subordinata alle condizioni del periodo comunale, e connessa col sistema Grondola-Pontremoli: la via romana, trà Luni e Piacenza, che si doveva svolgere sulla destra del Verde e della Magra dove esistono le testimonianze di istituzioni antiche e altomedievali, preromane, romane e cristiane, anteriori a Pon­tremoli, trovava il valico più comodo sul fianco occidentale del Borgallo. Nè la determinazione dell'andamento di una co­municazione è · sempre conseguenza della minore elevazione di un valico. Senza dubbio, come osserva il Mariotti, uh va­lico cos.ì basso come quello del Bratello deve essere stato at­traversato da una via sino dai tempi più antichi, ma sul trac­ciato di una comunicazione di transito nelle condizioni natu­rali della viabilità, necessariamente da pedoni e da somieri, la preoccupazione della direzione doveva prevalere sulle altre, e la convenienza della direzione era condizionata da situazioni variabili nel tempo con la geografia storica regionale (23).

Il passo del Bratello, anche nei tempi antichi, non poteva certo rimanere escluso dal sistema delle comunicazioni rego­late dalla via del Borgallo, ma ciò avveniva sussidiariamente. La via . serviva ai bisogni del traffico attinente alle parti più occidentali della regione padana: ma per quello connesso alla

(23) SFORZA, op. cit., P. II, App. I, p. 367 e sgg., e, per le relazioni con l'Abbazia di Leno, App. II, Il villaggio di Montelungo. Anche il MoLOssr (Vocabolario topografico ecc., Parma, 1832-34) alla voce Ta­verne, ricorda un tracciat<> di via romana Piacenza, Quarta, Set tima, Colonese, Velleia, Taverna, Val del Ceno e del Taro, Val di Magra, Lucca, dove vari toponimi hanno carattere di indicazione st radale.

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media valle del Taro era certo preferibile il più vicino passo del Bra:tello. Da questo, una via costeggiante il lato destro della Verdesina, tributaria del Verde, S'erviva di collegamento con quella del Borgallo. Più tardi avvenne il caso inverso: il valico del Borgallo si fece sussidiario a quello del Bratello: l'antica via del Borgallo si innestava a Guinadi con quella del Bratello-Pontremoli.

Non bisogna dimenticare, nel rilevare gli spostamenti di queste comunicazioni appenniniche, che essi rispondevano ai caratteri di virtualità della viabilità naturale, poichè, in que­sti casi, la qualificazione di vie romane non ha che un valore cronologico, perchè esse non erano consolari o pretorie, nel complesso del grande ordinamento statale romano, mancando ' di ciò, specie nel versante meridionale dell'Appennino, ricordi ed avanzi e qualunque genere di traccia: vanno perciò rico­nosciute come vie locali e regionali, adattamenti di itinerari esi­stenti dalle epoche più remote, che ebbero, nel periodo ro­mano, funzioni sussidiarie, sia commerciali che militari, e, nel medioevo, rovinata la grande rete stradale romana, e ri­dotte le comunicazioni ai sistemi viari locali, acquistarono, in alcuni casi, importanza di vie « maestre » o « regie >> , o « romee "·

Riassumendo si può dunque concludere che, prescin­dc,mdo dalla cosidetta « Via Regia » della « Foce dei tre con­fini », la via Borgallo Vignola, in relazione alle sue relazioni con i centri antichi, preromani, romani e alto medievali (Vel­leia, Piacenza, Cremona, Pavia, Bobbio, nella valle del Po occidentale, e, con la regione marittima lunense ( « portus Lunae » e« Luna ») e l'Italia centrale (Luca e Pi'sae), coni­sponde, nei limiti storici di questa sua funzione, alla fase an­tica, nella storia delle comunicazioni del tratto dell'Appen­nino settentrionale COI11p·reso tra il Gottaro e l'Orsaro. L'alli­neamento, nel tratto del territorio più strettamente appenni­nico, delle sei pievi ricordate è l'indicazione più espHcita di questo suo carattere, perchè in esse non va cercato solamente il ricordo dei primitivi ordinamenti rurali cristiani, ma, te­nendo conto del modo come sono sorte queste istituzioni ec-

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clesiastiche, le testimonianze di più antiche e anche arcaiche istituzioni e dei loro confini e delle loro distribuzioni intorno a centri dell'alta Valle del Taro e del lato destro ()(X)identale della Val di Magra, decaduti o soomparsi con lo spostamento delle oorrenti dei traffici e degli assestamenti demografici. La oscurità che ha avvolto le vicende della via del Borgallo e dei territori ad essa oonnessi proviene appunto dal loro risa­lire ad una fase dell'età antica ormai superata e chiusa, per la quale, rispetto a quei territori, è mancato il richiamo di in­teressi e bisogni della vita pratica che ne abibiano tenuto at­tivo anche l'interesse storico.

Ciò spiega perchè dagli storici regionali sia stata con­fusa, dove pure aveva lasciato ricordi e tracce preistoriche o romane, con la via del Bratello Grondola, la quale più che genericamente al medioevo va · riferita alle condizioni spe­ciali e alle particolari esigenze di un momento . di esso, il pe­riodo comunale, come dimostrano le vicende rievocate. Al contrario, la ricca letteratura formatasi intorno alle vicende della via di Monte Bardone Cisa è appunto dovuta all'inte­resse · pratico sempre presente e sempre crescente, che, da oltre 12 secoli, preme intorno a questa via, da quando, cioè, essa sri affaccia alla storia nella sua funzione di comunica­zione di transito.

Ed è questa, per le ragioni delle sue origini, e per le caratteristiche della sua formazione, e in questi suoi limiti sto­rici, la comunicazione di fase propriamente medievale, aper­tasi, quasi al centro del bacino dell'alta Magra e del medio Taro, nel descritto arco dell'Appennino tra Gottaro e Or­saro. Le ragioni della sua comparsa furono determinate dalle condizioni politiche, militari, economiche e religiose, createsi nell'Italia superio:re dopo la conquista longobarda e le guerre con i bizantini.

Interventi di re longobardi e di Monasteri di ogni parte d'Italia, con mire ad interessi di varia e larga portata, furono diretti a rendere stabile un tracciato, sottratto a interessi strettamente locali, per dare alla comunicazione carattere di transifo, così da raccogliere il traffico dell'occidente e del

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settentrione padano ed europeo in relazione ai territori longo­bardi dell'Italia centrale e al centro religioso di Roma. Il trac­ciato si andò in tal modo fissando, come via di vetta, a set­tentrione della Cisa, sul montuoso fianco destro della valle del Taro, e, a mezzogiorno, ai piedi delle erte propaggini del valico, come via di fondo valle, sulla riva sinistra della . Magra, con lenta vicenda prevalendo e precludendo l' attività delle comunicazioni dipendenti dagli altri valichi. Caratteristica via medioevale, nei contrasti della composizione dei suoi elementi generali e particolari, il suolo di essa rimasto alle em e dei de­boli e disorganici poteri locali, mantenne, in gran parte, i suoi primitivi aspetti sino all'età moderna avanzata: la sua capa­cità di traffico, solo da allora, con una progressiva riforma della sua struttura fisica, potè essere adattata alle esigenze, non ancora del tutto soddisfatte, di una via moderna di gran­de comunicazione (24).

Nel fondo della Val di Magra, dove la Romea si conso­lidò e si svolse, la prima testimonianza di vita antica si in­contra a Filattiera dove le pittoresche rovine della sua Piev0, che estendeva i confini della sua vasta circoscrizione sulle due rive del fiume, conservano la testimonianza di un importante centro di sosta rispetto ai monti, che il medioevo, con la crea­zione di Pontremoli, aveva avvicinato al valico della Cisa.

Dalla parte opposta dell' Appennino, per trovare una pieve e, quindi, tracce di assetti di vita antica, occorre giun­gere a Bardone e a Fomovo, all'uscita della valle del Taro, in posizione specialmente la seconda, ambivalente per le due di-

(24) Le condizioni ancora del tutto naturali della vi~ romea della Cisa sono descritte con p,recisione da geografo nei Mémoires di CoMMINES, personaggio del seguito di Carlo VIII, nel 1495, al ri­torno dalla impresa di Napoli: " ... ce merveilleux chemin de mon­tagnes (ainsi le puis-je appeler, r:our estre hautes et droites, et où il n'y a pointe de chemin, et ay vu toutes !es principales montagnes d'Italie et d'Espagne, mais trop aisées eussent esté au prix de ces monts),.. . "Le plus fort n'estoit point de monter; car inconti­nent après on trouvoit une vallée, car le chemin est tel que la na­ture l'et tait, et n'y a riens adoubé, (SFORZA, op. cit., P. I, p. 539-40).

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rezioni del traffico tra settentrione e mezzogiorno, o tra le­vante e ponente (25).

Tra questi avanzi dell'antichità, risalta caratteristicamen~ te il tracciato della romea di Monte Bardane Gis>a, indicato da una linea di monasteri, elementi della civiltà medievale che ne determinarono il corso, sia come organi di espansione religiosa, sia còme istituzioni di attività sociale, quali per ri­cordare i più importanti, l'Abbazia di Berceto, fondata dal re Liutprando; l'Abbazia di S. Salvatore e di S. Benedetto di Leno (presso Brescia), fondazione del re Desiderio, la quale ebbe diritti di pedaggio sulla via, e vi teneva l'Ospedale di S. Benedetto di Montelungo, la chiesa di S. Giorgio di Pon­tremoH, e, fmse, la chiesa di S. Cristina è S. Salvatme, antico e importante nucleo· di popolazione; la chiesa di S. Alessandre> e Nicolò, dipendenza dell'Abbazia di S. Caprasio dell'Aullà, intorno alla quale sorse la parrocchia del primo . raggruppa­mento burgense di Pontremoli; l'antico Monastero di S. Gio­vanni di Pontremoli (dipendenza del S. Giovanni di Parma?) che dette origine alla parrocchia di una importante vicinia centrale del borgo; la Prioifia di S. Pietro dipendenza della Abbazia di Brugnato, poi Vescovato, centro di una impor­tante vicinia inserita poi nella parte inferiore del borgo, e di una tenuta di case e terreni, estes·a in un largo raggio del ter­ritorio comunale: in fine, la Prioria benedettina di S. Giusti­na, a mezzogiorno di Pontremoli, nei pifessi della Lama di S, Pellegrino, nel ricordato tratto pericoloso della romea, dipen­denza, si ritiene, del Monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma, probabile fondazione degli Attoni.

MANFREDO GIULIANI.

(~5) Glr. GIOVANNI MARIOTTI, La Pieve di S. Maria di Fornovo, Parma, La Giovane Montagna, 1931.