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Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 183 Protocollo per il risparmio di sangue associato al- l’utilizzo di circuiti rivestiti di eparina per il bypass cardiopolmonare: risultati clinici immediati e tardivi Original article Nicola Troisi * , Luigi Di Tommaso ° , Giovanni Battista Pinna ° , Mario Monaco ° , Gabriele Iannelli ° * Cattedra di Chirurgia Vascolare, Università degli Studi di Firenze ° Dipartimento di Medicina Interna, Geriatria, Patologia Cardiovascolare e Immunitaria e Cardiochirurgia - Università degli Studi di Napoli “Federico II” Nicola Troisi Viale dei Mille, 125 50131 Firenze -FI- cell. 328/0205530 e-mail: [email protected] Protocol of blood saving in association with the use of heparin-coated circuits for the cardiopulmonary bypass: early and late clinic results Summary Bleeding and the need for transfusion after cardiac surgery continues to be a major concern, which influences patient management in the early postoperative period. The aim of this study was to compare early and late clinical outcomes for patients undergoing cardiac surgery with or without a protocol of blood saving and preservation with heparin-coated cardiopulmonary circuits. Long-term follow-up did not show the same bene- fits registered in the early postoperative period. Troisi N, Di Tommaso L, Pinna GB, et al. Protocol of blood saving in association with the use of heparin-coated circuits for the cardiopulmonary bypass: early and late clinic results. Trends Med 2006; 6(3):183-189. © 2006 Pharma Project Group srl Key words: cardiopulmonary bypass heparin Il sanguinamento postoperatorio e, di conse- guenza, la necessità di effettuare trasfusioni per supplire alla perdita ematica dopo interventi di cardiochirurgia, continua a rappresentare una grossa preoccupazione, che influenza il ma- nagement del paziente sia in sala operatoria che nell’immediato periodo postoperatorio in te- rapia intensiva cardiochirurgica 1 . Il bypass cardiopolmonare espone il sangue a superfici estranee, e ciò provoca un danno meccanico alle componenti ematiche con suc- cessiva attivazione di varie cascate biologiche 2 ; questi meccanismi possono contribuire allo sviluppo di sanguinamento profuso sia duran- te l’intervento che subito dopo il suo termine, creando i presupposti per l’instaurarsi della cosiddetta sindrome da postperfusione 3 . Numerosi studi hanno valutato e quantificato la risposta infiammatoria sistemica, che si rea- lizza in conseguenza del contatto del sangue con le superfici estranee dei circuiti e degli os- sigenatori della macchina cuore-polmone du- rante il bypass cardiopolmonare 1,2,4 . Per que- sto motivo, nella nostra struttura nel mese di Febbraio del 1995 abbiamo utilizzato, in un numero limitato di pazienti, superfici interne rivestite da eparina nei circuiti della circola- zione extracorporea, considerato che già si era dimostrato che questi circuiti erano più bio-

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Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 183

Protocollo per il risparmio di sangue associato al-l’utilizzo di circuiti rivestiti di eparina per il bypass

cardiopolmonare: risultati clinici immediati e tardivi

Original article

Nicola Troisi*, Luigi Di Tommaso°, GiovanniBattista Pinna°, Mario Monaco°, GabrieleIannelli°

*Cattedra di Chirurgia Vascolare, Università degli Studi diFirenze°Dipartimento di Medicina Interna, Geriatria, PatologiaCardiovascolare e Immunitaria e Cardiochirurgia - Universitàdegli Studi di Napoli “Federico II”

Nicola TroisiViale dei Mille, 12550131 Firenze -FI-cell. 328/0205530e-mail: [email protected]

Protocol of blood saving in association with the use of heparin-coatedcircuits for the cardiopulmonary bypass: early and late clinic results

SummaryBleeding and the need for transfusion after cardiac surgery continues to be a major concern, which influencespatient management in the early postoperative period. The aim of this study was to compare early and lateclinical outcomes for patients undergoing cardiac surgery with or without a protocol of blood saving andpreservation with heparin-coated cardiopulmonary circuits. Long-term follow-up did not show the same bene-fits registered in the early postoperative period.

Troisi N, Di Tommaso L, Pinna GB, et al. Protocol of blood saving in association with the use of heparin-coatedcircuits for the cardiopulmonary bypass: early and late clinic results. Trends Med 2006; 6(3):183-189.© 2006 Pharma Project Group srl

Key words:cardiopulmonary bypassheparin

Il sanguinamento postoperatorio e, di conse-guenza, la necessità di effettuare trasfusioni persupplire alla perdita ematica dopo interventidi cardiochirurgia, continua a rappresentareuna grossa preoccupazione, che influenza il ma-nagement del paziente sia in sala operatoria chenell’immediato periodo postoperatorio in te-rapia intensiva cardiochirurgica1.Il bypass cardiopolmonare espone il sangue asuperfici estranee, e ciò provoca un dannomeccanico alle componenti ematiche con suc-cessiva attivazione di varie cascate biologiche2;questi meccanismi possono contribuire allosviluppo di sanguinamento profuso sia duran-te l’intervento che subito dopo il suo termine,creando i presupposti per l’instaurarsi dellacosiddetta sindrome da postperfusione3.Numerosi studi hanno valutato e quantificatola risposta infiammatoria sistemica, che si rea-lizza in conseguenza del contatto del sanguecon le superfici estranee dei circuiti e degli os-sigenatori della macchina cuore-polmone du-rante il bypass cardiopolmonare1,2,4. Per que-sto motivo, nella nostra struttura nel mese diFebbraio del 1995 abbiamo utilizzato, in unnumero limitato di pazienti, superfici internerivestite da eparina nei circuiti della circola-zione extracorporea, considerato che già si eradimostrato che questi circuiti erano più bio-

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compatibili e meno trombogenici dei circuitistandard; infatti, i circuiti eparinati permetto-no una riduzione del grado di eparinizzazionesistemica, un ridotto bisogno di protamina e,di conseguenza, una minore necessità di tra-sfusioni nell’immediato periodo postoperato-rio5-8.Allo scopo di conservare un buon livello diemostasi, in combinazione con l’utilizzo deicircuiti eparinati per il bypass cardiopolmo-nare abbiamo istituito un protocollo standardper il risparmio di sangue, il cui obiettivo eraquello di ridurre il sanguinamento durante esubito dopo l’intervento; numerosi altri cen-tri di cardiochirurgia hanno sperimentato neltempo protocolli con l’obiettivo di aumentarela biocompatibilità e la tromboresistenza deicircuiti di circolazione extracorporea9-12.Si è dimostrato che l’uso dei circuiti rivestitida eparina offre un’ottima soluzione per mi-gliorare la biocompatibilità dei circuiti stan-dard della macchina cuore-polmone, e ciò siottiene con la riduzione dell’attivazione deigranulociti neutrofili e del sistema del comple-mento, con la riduzione della depauperazionepiastrinica e con la diminuzione dell’attivitàdel sistema fibrinolitico e della cascata dellacoagulazione6-8,13,14.Lo scopo di questo lavoro è quello di valutarel’esperienza del nostro centro con i circuitieparinati e con l’applicazione di un nostro pro-tocollo per il risparmio di sangue, confrontan-do soprattutto i dati relativi all’emostasi nel-l’immediato periodo postoperatorio e i tassidi mortalità e di sopravvivenza libera da even-ti cardiovascolari nel controllo a 10 anni didistanza dall’effettuazione degli interventi.

Materiali e metodi

Pazienti

Nel mese di Febbraio del 1995, presso la no-stra struttura, 40 pazienti consecutivi sono statisottoposti ad intervento cardiochirurgico conbypass cardiopolmonare, con o senza l’appli-cazione di un nostro protocollo per il rispar-mio di sangue. I pazienti sono stati divisi indue gruppi con caratteristiche cliniche preo-peratorie simili. Nei primi 20 pazienti (grup-po A) abbiamo utilizzato il nostro protocollocon i circuiti eparinati per il bypass cardiopol-monare, mentre nei secondi 20 pazienti (grup-po B) abbiamo usato circuiti e ossigenatori stan-

dard senza applicare il nostro protocollo per ilrisparmio di sangue.I pazienti esclusi dal nostro studio sono statiquelli in insufficienza renale cronica in tratta-mento emodialitico o con creatininemia mag-giore di 2.0 mg/dl, quelli con più di 80 anni dietà, quelli con coagulopatie congenite o acqui-site e quelli sottoposti all’intervento in regimedi emergenza o di urgenza. Inoltre, altri crite-ri di esclusione sono stati: supporto respirato-rio preoperatorio; sepsi; insufficienza epaticacon bilirubinemia superiore a 3.0 mg/dl; dia-bete mellito tipo I; malattie cerebrovascolari.

Il nostro protocollo per il risparmio disangue

Allo scopo di ottenere una buona emostasi siain sala operatoria sia in terapia intensiva car-diochirurgica nell’immediato periodo postope-ratorio, abbiamo utilizzato un protocollo stan-dard, che consisteva in: 1) emodiluizione preo-peratoria con ematocrito non inferiore al 20%;2) somministrazione routinaria di aprotinina15

al dosaggio di 2000000 UI; 3) uso intraopera-torio di colle biologiche per l’emostasi; 4) usodi pompe altamente biocompatibili in caso direinterventi o di procedure che avrebbero ri-chiesto un lungo tempo di circolazione extra-corporea; 5) Activated Clotting Time (ACT)costantemente superiore a 480 secondi duran-te il bypass cardiopolmonare; 6) somministra-zione di sangue autologo quando possibile; 7)uso di antitrombina durante la circolazioneextracorporea per quei pazienti con anomaliedella coagulazione (deficit di proteina C, pro-teina S e antitrombina).

Operazioni e bypass cardiopolmonare

Tutti gli interventi sono stati condotti in ane-stesia generale, indotta mediante la sommini-strazione endovenosa di propofol (3 mg/kg/h) e di fentanyl (10-15 mg/kg/h); per ottenereil blocco neuromuscolare è stato usato il pan-curonio al dosaggio di 0.10-0.15 mg/kg. Inol-tre, in tutti gli interventi sono state cateteriz-zate, con tecniche standard, un’arteria e unavena centrale.Vari tipi di procedure sono state effettuate,sempre con tecniche standard, che compren-devano una sternotomia mediana e l’istituzio-ne del bypass cardiopolmonare previa cannu-lazione dell’atrio destro per la linea venosa edell’aorta ascendente per la linea arteriosa.Nel primo gruppo (A), il bypass cardiopolmo-

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Protocollo per il risparmio di sangue associato all’utilizzo di circuiti rivestiti di eparina per il bypass cardiopolmonare

nare è stato istituito con l’utilizzo di pompebiocompatibili, ossigenatori e circuiti eparina-ti forniti dalla Carmeda Medtronic Incorpora-ted, mentre nel secondo gruppo (B) abbiamoutilizzato le pompe, gli ossigenatori e i circuitistandard.La soluzione di innesco è stata la stessa in en-trambi i gruppi (tabella 1). L’eparinizzazionesistemica è stata garantita con la somministra-

Ringer lattato 1000 ml

Glucosio 5% 500 ml

Mannitolo 18% 200 ml

Albumina 20% 50 ml

NaHCO3

50 mEq

Eparina* 5000 UI

Insulina 8 UI

* solo nel gruppo B

Tabella 1. Soluzione di innesco.

Gruppo A Gruppo B(20 pazienti) (20 pazienti)

Età (anni) 57.5 ± 10.1 61.6 ± 5.7

Sesso

maschi 16 (80%) 17 (85%)

femmine 4 (20%) 3 (15%)

Classe funzionale NYHA

II 6 (30%) 7 (35%)

III 11 (55%) 10 (50%)

IV 3 (15%) 3 (15%)

Malattia aterosclerotica coronarica 14 (70%) 15 (75%)

1 anastomosi 1 (7.1%) 1 (6.7%)

2 anastomosi 4 (28.6%) 6 (40%)

3 anastomosi 9 (64.3%) 8 (53.3%)

Valvulopatia 3 (15%) 3 (15%)

Reintervento 3 (15%) 2 (10%)

Frazione di eiezione

>50% 6 (30%) 7 (35%)

40-50% 9 (45%) 8 (40%)

<40% 5 (25%) 4 (20%)

Ematocrito 39.1 ± 7.1 41.2 ± 2.0

Piastrine 211 ± 69x109/L 263 ± 140x109/L

Tempo di clampaggio aortico (minuti) 44.3 ± 21.8 50.2 ± 10.8

Durata del bypass cardiopolmonare (minuti) 82.6 ± 35.6 79.2 ± 19.5

Tabella 2. Caratteristiche cliniche preoperatorie.

zione di 300 UI/kg di eparina, seguita da suc-cessivi boli di 5000 UI allo scopo di mantenerecostantemente l’ACT al di sopra del valore di480 secondi. Infine, in tutti gli interventi sonostati utilizzati un flusso non pulsatile di 2.4 l/min/mq a 30-32oC con una pressione arterio-sa media di 50 mmHg e una soluzione antero-grada fredda cardioplegica per la protezionedel miocardio.

Registrazione dei dati e analisi statistica

La tabella 2 mostra le caratteristiche clinichedei pazienti e i dati preoperatori di ciascungruppo. In ciascun paziente è stato posiziona-to prima dell’intervento un catetere di Swan-Ganz e sono stati raccolti i dati emodinamiciprima, durante e dopo l’intervento; inoltre,sono stati considerati anche i dosaggi di epari-na e protamina somministrati durante le pro-cedure.I campioni di sangue analizzati per ciascunpaziente sono stati ottenuti in momenti pre-stabiliti secondo il seguente schema: T0 - pri-

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ma dell’intervento; T1 - al momento dell’in-duzione dell’anestesia; T2 - 30 minuti dopol’inizio del bypass cardiopolmonare; T3 - dopo2 ore dall’ingresso in Unità di Terapia Intensi-va (UTI); T4 - 24 ore dopo l’ingresso in UTI.Le variabili dosate in ciascun campione emati-co sono riportate nella tabella 3. Nell’imme-diato periodo postoperatorio abbiamo tenutoconto anche dei decessi e degli eventuali even-ti neurologici.Dopo 10 anni dall’intervento, abbiamo richia-mato questi pazienti e, analizzando la loro sto-ria clinica, abbiamo confrontato tra i due grup-pi i tassi di mortalità e di sopravvivenza liberada eventi cardiovascolari.Nel lavoro tutti i dati sono presentati comemedia più o meno la deviazione standard. Ledifferenze tra i due gruppi rispetto ai dati pe-rioperatori e ai dati tardivi sono state valutatecon il test di Student e con il test del c2. Una pminore di 0.05 è stata considerata statisticamen-te significativa.

Risultati

Le tabelle 4 e 5 mostrano che in ciascun grup-po c’è stata una evidente attivazione del siste-ma della coagulazione (basso livello di anti-trombina a T2); la perdita piastrinica è statanotevole in entrambi i gruppi, senza differen-ze statisticamente significative. Come dimo-strato anche in altri studi2,7,8,13,14, la differenzastatisticamente più significativa tra i due grup-pi è stata a carico dei livelli dell’attività del com-plemento. I dati mostrano anche che la massi-ma attivazione del complemento durante ilbypass cardiopolmonare e 3 ore dopo il termi-ne dell’intervento si è verificata nel gruppo B,mentre nel gruppo A abbiamo riscontratoun’attivazione del complemento relativamen-te modesta, con livelli che sono tornati nellanorma a T4. Inoltre, in entrambi i gruppi ab-biamo osservato un incremento dell’attivazio-ne del complemento a T2, più evidente nelgruppo B, con un decremento verso i valorinormali a T3 nel solo gruppo A.

Coagulazione PT, PTT, TT, fibrinogeno, AT III, ATM, proteina C, F1+2

Fibrinolisi Plasminogeno, alfa-2-antiplasmina, PAI-1, D-dimero

Attività piastrinica Conta piastrinica

Attività leucocitaria IL-1, IL-2, IL-6, TNF-alfa, mieloperossidasi, lattoferrina

Attività del complemento C3, C5, TCC

PT=tempo di protrombina; PTT=tempo di tromboplastina parziale attivata; TT=tempo di trombina;AT=antitrombina; ATM=antitrombina modificata; F1+2=frammenti trombinici; PAI-1=inibitoredell’attivatore tissutale del plasminogeno tipo 1; IL=interleuchina; TNF=fattori di necrosi tumorale;TCC=complesso terminale del complemento.

Tabella 3. Parametri dosati per ciascun campione ematico.

T0 T1 T2 T3 T4

Coagulazione (AT) (mU/ml) 88±3.6 88±4.7 60±6.1 70±4.4 72±3.9

Conta piastrinica (x 109/L) 211±68.6 190±37.5 91±36.6 110±41.7 130±44.4

Attività del complemento (mU/ml) 6±1.3 8±2.1 30±5.8 15±3.8 6±1.6

T0 T1 T2 T3 T4

Coagulazione (AT) (mU/ml) 95±4.2 100±8.7 55±9.4 90±11.3 73±5.8

Conta piastrinica (x 109/L) 263±139.7 240±92.6 92±33.6 99±26.8 111±40.3

Attività del complemento (mU/ml) 8±1.7 10±2.2 47±11.2 26±4.3 10±1.8

Tabella 4. Dati relativi alla coagulazione, all’attività piastrinica e all’attività del complemento nei pa-zienti appartenenti al gruppo A.

Tabella 5. Dati relativi alla coagulazione, all’attività piastrinica e all’attività del complemento nei pa-zienti appartenenti al gruppo B.

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Protocollo per il risparmio di sangue associato all’utilizzo di circuiti rivestiti di eparina per il bypass cardiopolmonare

Per quanto riguarda il sanguinamento posto-peratorio, un solo paziente appartenente algruppo A con valore di ematocrito preopera-torio del 28% ha richiesto una trasfusione,mentre ben 6 pazienti del gruppo B sono statitrasfusi (p <0.01). Il tempo di supporto respi-ratorio non è stato significativamente differentenei due gruppi, ma i pazienti del gruppo Bhanno richiesto una maggiore pressione di PO

2

nelle prime 12 ore dopo l’intervento, quandosi è riscontrato anche un caso di ARDS. Unsanguinamento profuso ha richiesto il reinter-vento in un paziente del gruppo B. Non ci sonostati né episodi di coagulazione intravascolaredisseminata né episodi neurologici di originevascolare in nessuno dei due gruppi. Infine, iltempo di degenza in UTI e il tempo totale didegenza ospedaliera sono stati significativamen-te più lunghi nei pazienti appartenenti al grup-po B, tra i quali si è anche verificato un deces-so nell’immediato periodo postoperatorio perun infarto acuto del miocardio, a differenzadei pazienti del gruppo A, che sono tutti so-pravvissuti a questa fase critica.Dopo 10 anni, abbiamo richiamato i pazientisopravvissuti e abbiamo valutato la loro storiaclinica. Innanzitutto, sono deceduti 6 pazienti

dei 39 di partenza, di cui 3 appartenenti al grup-po A e 3 al gruppo di quelli trattati senza l’ap-plicazione del nostro protocollo. I tassi dimortalità a 10 anni nel gruppo A e nel gruppoB sono stati, rispettivamente, del 15 e 20% (pnon significativa). Tutti e 6 i pazienti sonomorti per eventi cardiaci (4 per infarto acutodel miocardio e 2 per edema polmonare acu-to). Per quanto riguarda la sopravvivenza libe-ra da eventi cardiovascolari, essa è stata neisopravvissuti del gruppo A e del gruppo B, ri-spettivamente del 76.5 e del 75% (p non signi-ficativa). I parametri postoperatori raccolti perciascun paziente e i risultati clinici tardivi sonoriportati nella tabella 6.

Discussione

I pazienti che si sottopongono ad interventi dicardiochirurgia con bypass cardiopolmonaresono a rischio di sanguinamento microvasco-lare, dovuto soprattutto a problemi legati al-l’emostasi2,16. Numerosi studi hanno dimostra-to l’importante relazione tra i leucociti e l’en-dotelio nelle reazioni immunitarie ed infiam-matorie, e il ruolo dell’endotelio nei processidell’emostasi e della coagulazione2,6,8. Il con-

Gruppo A Gruppo B p(20 pazienti) (20 pazienti)

Sanguinamento (ml) 190 ± 60 310 ± 110 <0.01

Trasfusioni 1 (5%) 6 (30%) <0.01

Tempo di degenza in UTI (giorni) 2.01 ± 0.3 2.35 ± 0.6 <0.05

Tempo di degenza ospedaliera (giorni) 7.2 ± 0.8 7.90 ± 0.7 <0.01

Reintervento per sanguinamento - 1 (5%) n.s.

Dose di eparina (UI/kg) 300 327 ± 30 <0.01

Dose di protamina (mg/kg) 3.42 ± 0.4 3.90 ± 0.6 <0.01

PT preoperatorio (%) 89 ± 19 88 ± 17 n.s.

PT postoperatorio (%) 61 ± 7.7 48 ± 3.9 <0.01

aPTT preoperatorio (secondi) 30.6 ± 2.9 30 ± 3.7 n.s.

aPTT postoperatorio (secondi) 36.7 ± 4.0 41.3 ± 7.0 <0.05

Tempo di intubazione (ore) 11.8 ± 1.7 12.7 ± 0.5 n.s.

Mortalità ospedaliera - 1 (5%) n.s.

Tasso di mortalità a 10 anni di distanza 15% 20% n.s.

Sopravvivenza libera da eventicardiovascolari a 10 anni di distanza 76.5% 75% n.s.

n.s.: non significativa

Tabella 6. Risultati.

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N. Troisi, L. Di Tommaso, G.B. Pinna, et al.

tatto del sangue con superfici estranee è unpotente stimolo per l’attivazione delle piastri-ne e del sistema della coagulazione. Lo svilup-po dei circuiti rivestiti da eparina per il bypasscardiopolmonare ha migliorato sensibilmentela biocompatibilità della macchina cuore-pol-mone e vari studi hanno dimostrato i beneficiassociati all’uso di questi circuiti per la circola-zione extracorporea4,9,14,17.Durante questi ultimi anni, gli interventi dibypass aortocoronarico senza l’ausilio della cir-colazione extracorporea (off-pump) hanno rag-giunto grande popolarità18; numerosi centri dicardiochirurgia hanno adottato una strategiadifferente per ridurre gli effetti negativi e le com-plicanze legate alla circolazione extracorporea,ossia l’utilizzo dei circuiti rivestiti di eparina.Per molti tipi di interventi al cuore non è possi-bile utilizzare le tecniche off-pump e il bypasscardiopolmonare è inevitabile, come negli in-terventi di sostituzione valvolare; per questomotivo, in questi ultimi anni c’è stato un in-cremento dell’utilizzo dei circuiti eparinati19.Nel nostro studio abbiamo dimostrato chel’uso di questi circuiti, in associazione con unprotocollo standard per il risparmio di sangue,riduce considerevolmente le complicanze po-stoperatorie; infatti, nei nostri due gruppi distudio c’è stata un’uguale attivazione del siste-ma del complemento, anche se solo nel grup-po A si è verificata una significativa riduzionedella perdita ematica durante e dopo l’inter-vento, con sostanziale riduzione della necessi-tà di effettuare trasfusioni per compensarequesta perdita. Ciò può essere spiegato con lariduzione del consumo dei fattori della coagu-lazione e con la riduzione dei dosaggi di epari-na e di protamina.Sempre nell’immediato periodo postoperato-rio, abbiamo dimostrato in questo studio che i

circuiti rivestiti di eparina riducono: 1) l’atti-vazione del sistema della coagulazione; 2) latendenza al sanguinamento postoperatorio; 3)le richieste di trasfusione; 4) le dosi di eparinae protamina somministrate; 5) l’attivazione delcomplemento e, di conseguenza, la rispostainfiammatoria alla circolazione extracorporea2.Nonostante questi incoraggianti risultati nel-l’immediato periodo postoperatorio, l’applica-zione del nostro protocollo per il risparmio disangue in associazione all’utilizzo dei circuitirivestiti da eparina non ha mostrato significa-tivi miglioramenti nella storia clinica dei pa-zienti dei due gruppi di studio; infatti, la mor-talità e gli eventi cardiovascolari hanno avutopressoché la stessa incidenza nei due gruppi.

Conclusioni

Quanto detto sinora indica che il nostro pro-tocollo, insieme ai circuiti eparinati, è moltoutile nel management del paziente subito dopol’intervento, ma a lungo termine esso non ap-porta significativi benefici ai pazienti a cui essoè stato applicato. Nonostante questi risultatiincoraggianti, riportati anche da molti centridi cardiochirurgia che utilizzano i circuiti epa-rinati e propri protocolli per il risparmio disangue20, questa strategia terapeutica per ri-durre i rischi e le complicanze della circola-zione extracorporea è utilizzata da meno del20% dei centri di cardiochirurgia nel mondo.Questo è un dato sorprendente, consideran-do che l’uso routinario di questa strategia (pro-tocollo per il risparmio di sangue + circuitieparinati) ha la potenzialità di ridurre di moltola necessità di effettuare trasfusioni e, di con-seguenza, può permettere la preservazione digrossi quantitativi di sangue, da destinare adaltro uso19.

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190 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 191

Original article

A new bacterial lysate protects by reducing infectiousexacerbations in moderate to very severe COPD

A double-blind, randomized, placebo-controlled trial

Mario CazzolaVia del Parco Margherita, 2480121 Naples, ItalyE-mail: [email protected]

Mario CazzolaPneumology and Allergology Unit and RespiratoryClinical Pharmacology Section,Department of Respiratory Medicine,A. Cardarelli Hospital, Naples, Italy

Chronic obstructive pulmonary disease(COPD) is a condition characterized by air-flow limitation which cannot be fully rever-sed. This airflow limitation is usually bothprogressive and associated with an abnormalinflammatory response of the lungs to noxiousparticles or gases. The most frequent cause ofCOPD is a long smoking history1.The Global Initiative for Chronic Obstructi-ve Lung Disease (GOLD) guidelines give adefinition and provide a classification systemfor airway obstruction2. Diagnosis of COPDis confirmed by a low forced expiratory volu-me in 1 second (FEV

1). There are five stages of

COPD, ranging from stage 0 for patients ‘atrisk’, to stage 4 for patients with ‘very severeCOPD’.COPD is characterized by an accelerated de-cline in lung function as well as periods of acuteexacerbation (AECOPD), particularly as thedisease progresses3. Prospective studies indica-te that patients with moderate to severe COPDexperience an average of 1.5 to 3 exacerbations

Key words:bacterial lysatebronchitisacute exacerbationcor pulmonaleprevention

SummaryBackground. Infectious exacerbations are the most common complication in patients with chronic obstructivepulmonary disease (COPD). Some studies have shown that administering antigens extracted from a lysate ofthe most common bacterial species involved in respiratory exacerbation may reduce hospitalization rates andthe global burden of the disease. However, at present time, the effectiveness of bacterial lysates in reducing thefrequency of acute exacerbation of COPD (AECOPD) is debatable.Purpose. The trial aimed to evaluate the clinical effectiveness of a new bacterial lysate (Ismigen®) in patientssuffering from moderate to very severe chronic obstructive pulmonary disease. A subset of these patients werealso affected with chronic cor pulmonale.Methods. 178 patients were randomized into two different groups: one group was treated with a bacteriallysate (first 10 days of each month for three consecutive months) and the other with placebo. The trial wasdouble blind. At the end of treatment, patients were followed for a further nine months.Results. Selected clinical endpoints were seen to be significantly lower in the group treated with the lysatethan in the placebo group. Ismigen® treatment led to a highly significant reduction in the frequency (215 vs248 cases) and duration (10.6 vs 15.8 days) of exacerbations, as well as a decrease in antibiotic consumption(-270 doses) and hospitalization time (275 vs 590 days).Conclusions. These results suggest that prophylaxis with Ismigen® can reduce the incidence, severity andduration of AECOPD episodes even in patients with severe COPD and comorbidities.

Cazzola M. A new bacterial lysate protects by reducing infectious exacerbations in moderate to very severeCOPD. A double-blind, randomized, placebo-controlled trial. Trends Med 2006; 6(3):191-199.© 2006 Pharma Project Group srl

192 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

M. Cazzola

per year4,5. Most exacerbations are caused by aviral or bacterial infection of the tracheobron-chial tree, and some may be caused by an in-crease in air pollution6-8. Infection of thelower respiratory tract has been suggested toaccount for up to 80% of AECOPD episo-des. There are 3 classes of pathogens that arecommonly implicated in exacerbations3: (1)respiratory viruses, with or without a supe-rimposed bacterial infection, are associatedwith 30% of cases; the viral pathogens mainlyinclude influenza, parainfluenza, and rhino-viruses; (2) atypical bacteria, mostly Chlamy-dia pneumoniae, are implicated in <10% ofcases; (3) aerobic gram-positive and gram-ne-gative bacteria occur in approximately 40%to 60% of cases.AECOPD has negative effects on the healthof patients, and its impact most likely increa-ses with the frequency of episodes9. It has beenshown that exacerbation frequency in parti-cular is an important determinant of lung fun-ction decline in COPD10. Obviously, strate-gies for preventing COPD exacerbations mayhave an important impact on the natural courseof this disease and on the morbidity and deathrates of these patients. Sadly, despite the pre-valence and seriousness of COPD, there is awidely-held belief that little can be done to treatthe disease other than stop patients from smo-king. A much more assertive and optimisticapproach should be adopted, since there is cle-ar evidence that the various treatments availa-ble improve the condition of patients in a va-riety of ways, although they are unable to curethe disease.A systematic review of 9 randomized placebo-controlled trials concluded that regular admi-nistration of oral antibiotics reduced bronchi-tic exacerbation rates to a small but statistical-ly significant degree (P <0.05)11. However,many experts believe that the widespread - andperhaps indiscriminate - prescription of anti-biotics for respiratory infections has contribu-ted towards the emergence of antibiotic-resi-stant strains among common bacterial patho-gens12.Influenza immunization is arguably the singlemost effective way currently available of pre-venting severe COPD exacerbations13. Althou-gh the evidence is not as strong as for influen-za immunization, pneumococcal vaccine mayalso have some protective effect against seriousCOPD exacerbations14. Specific immuniza-

tions against other viral and bacterial patho-gens commonly found in the respiratory tractare not currently available, but several mole-cules are being developed. There are intriguingreports that the immune-modulating agentOM-85 (the alkaline proteolysis product ofHaemophilus influenza , Streptococcus pneumo-niae, Klebsiella pneumoniae, Klebsiella ozaenae,Staphylococcus aureus, Streptococcus pyogenes,Streptococcus viridans, and Moraxella catarrha-lis lysates) may have substantial protective ef-fects against COPD exacerbations and hospi-talization15,16. The trials available so far withthis oral bacterial lysate were assessed in a re-cent meta-analysis17. When only the three mostrecent well designed trials were combined, thenumber needed in treatment to prevent an exa-cerbation was calculated to be ~15.4 (95%CI 5.5- )17. Overall, there are still very fewstudies in patients with well-defined COPDin advanced GOLD-stages, and a lack of stu-dies longer than 6 months.A new treatment has recently been introdu-ced with a new type of bacterial lysate, fruitof a new technique based on mechanical ly-sis. Bacterial lysis using chemical substances(such as the chemical proteolysis used toobtain OM-85) may lead to structural altera-tion of antigenic macromolecules and conse-quently weaken the expected immune respon-se. There is documentary evidence that seve-ral vaccines fail precisely because the vaccinemolecules which induce the immune responseare not suitably structurally conserved18.The mechanical lysis of bacterial cells, on theother hand, prevents contamination with che-mical substances potentially able to denaturethe antigenic structures they are used to obtain,with the advantage of producing a bacteriallysate containing structurally intact antigenicmacromolecules which are therefore able toinduce a more effective immune response. Ismi-gen® is a killed, freeze-dried bacterial lysateobtained by mechanical lysis of the eight mostcommon respiratory pathogens (S. aureus, S.pyogenes, S. viridans, K. ozaenae, H. influenzae,M. catarrhalis, and six serotypes of S. pneumo-niae). Ismigen® tablets are administered sublin-gually so that the antigenic molecules mayeasily spread in the upper respiratory tractmucous membrane and stimulate regional im-munity, thus avoiding the gastric digestionof protein macromolecules which would oc-cur if the tablet were swallowed.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 193

A new bacterial lysate protects by reducing infectious exacerbations in moderate to very severe COPD

Previous random controlled clinical trials haveshown that bacterial lysates obtained bymechanical lysis have a greater protective ef-fectiveness than traditional lysates against re-spiratory infection in patients with recurrentaffections of the upper and lower respiratorytract19,20.The aim of this study was to examine whetherismigen® tablets administered sublingually re-peatedly for 10 days a month for 3 consecuti-ve months, with a follow-up of a further 9months, could protect patients with modera-te-very severe COPD complicated with corpulmonale against acute exacerbations thou-ght to be related primarily to respiratory tractinfections.

Patients and methods

This double-blind, randomized, placebo-con-trolled trial, started on August 2003 and fi-nished on October 2004. The study protocolwas approved by a local ethics committee, andsigned informed consent was obtained fromeach patient before inclusion.

Population

A total of 229 outpatients suffering from mo-derate to very severe COPD according to theGOLD severity classification (II to IV)2 werescreened from August to October 2003. Theyhad to be able to understand instructions gi-ven by medical staff, and be cooperative and

Screeningn=229

Exclusionn=51

Randomizedn=178

Placebon=86

Ismigenn=92

Completedstudyn=83

Completedstudyn=89

Missedn=5

Withdrawnn=6

Deceasedn=2

Missedn=3

Withdrawnn=5

Deceasedn=5

Completedfollow-upn=76

Completedfollow-upn=70

August 1st

2003

Follow-up 1

Start(Oct 2003)

T1 T2 T5

Withdrawnn=3

Withdrawnn=3

T3 T4

Basal

Follow-up 2

Follow-up 3

Follow-up 4

Month3

Month6

Month9

Month12

(end)Oct 2004

TREATMENT FOLLOW-UP

Figure 1. Study design and patient flow during the trial.

194 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

M. Cazzola

able to reach our centre regularly. Patientssuspected of having lung cancer, those whoneeded continuous domiciliary oxygen the-rapy, and those with a body mass index (BMI)<19.5 and >30.0 were excluded. Patientstaking or who took corticosteroids, azathio-prine and other immunosuppressive drugsduring the previous six months were also exclu-ded, as were those who had had an episode ofacute exacerbation treated with antibioticswithin the previous month.Fifty-one patients did not meet the inclusioncriteria and were excluded. One hundred andseventy eight patients were therefore random-ly split into two parallel groups (mean age of67 years). The enrolled population was com-posed of males and females (70% male) withprevious smoking experience; about 43% ofpatients still smoked. Seventy-one patients suf-fered from stage IV COPD (FEV

1/FVC

<70%; FEV1 <30%) and 32 of them also suf-

fered from chronic cor pulmonale. All rando-mized patients underwent renal and hepaticassessment laboratory tests and a chest X-raybefore starting the treatment. The clinical datacollected for the eligible patients revealed 249episodes of AECOPD in the six months befo-re randomization; thirty-nine of them requi-red hospitalization, corresponding to a rate of498 episodes of AECOPD/year with 78 casesof hospitalization/year.

Study design and endpoints

The trial aimed to evaluate the efficacy of threecourses of Ismigen® in preventing AECOPDin susceptible patients. Patients were followedup for 12 months after the first course. Thetwo primary study outcomes were the num-ber of AECOPD events which occurred du-ring the trial period and the follow-up, andthe duration and severity of exacerbation epi-sodes. Secondary outcomes included the rateand length of hospitalization due to AECOPD,and the use of antibiotics and other respira-tory drugs.Figure 1 shows the trial design and the patientflow during the course of treatment (1 cycle/month for 3 months) and follow-up (9 mon-ths). Five examinations were scheduled: uponrandomization (T1), at the end of treatment(T2), and every three months during the fol-low-up until trial completion (T3-T5). Out ofthe 178 randomized patients, 83 patients fromthe placebo group and 89 patients from thelysate group completed the treatment proto-col. At the end of the follow-up, 70 placeboand 76 lysate group patients were assessable.

Randomization and treatment groups

The eligible patients were randomized into twofairly uniform groups from the point of viewof their demographic and baseline data (table1). Patients had to take one Ismigen® (Zam-

Table 1. Demographic characteristics and clinical profile of patients included.

Parameter Treated Placebo(N=92) (N=86)

Sex (male/female) 60/32 59/27

Age (years) 66 (±2) 67 (±3)

Still smoking (pts) 41 37

Length of chronic bronchitis (years) 15.8 (±3.1) 16.6 (±2.4)

FEV1 (% pred.) 46.2 (±13.2) 45.7 (±12.8)

FEV1 (L) 1.0 (±0.41) 1.1 (±0.39)

FVC (% pred.) 62.4 (±13.3) 63.8 (±15.4)

FVC1 (L) 1.98 2.06

N° AECOPD during previous year 266 232

N° AECOPD/pts during previous year 2.9 (±0.6) 2.7 (±0.4)

N° hospitalzations during previous year 37 41

Stage II (Pts) 36 32

Stage III (Pts) 20 19

Stage IV (Pts) 21 18

Stage IV and cor pulmonale (Pts) 15 17

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 195

A new bacterial lysate protects by reducing infectious exacerbations in moderate to very severe COPD

bon, Bresso, Italy) or placebo tablet sublingual-ly in the morning, every day repeatedly for 10consecutive days per month for 3 consecutivemonths. Each Ismigen® 50 mg tablet contai-ned 7 mg of freeze-dried bacterial lysate. Uponrandomization, many patients were receivingregular treatment for COPD and/or cardio-vascular comorbidities. No previously prescri-bed treatments were suspended during the stu-dy period or follow-up.

Evaluation

To optimize clinical evaluation, patients wereallocated to five groups: an investigator andtwo nurses were assigned to each group. Pa-tients were suitably trained to evaluate chan-ges in respiratory function (dyspnoea), sputumproduction and purulence compared with ba-seline, and were taught how to record theiruse of medication and changes in dyspnoea andsputum with respect to baseline conditions ondiary cards. All patients were asked to phoneor report to their centre in the event of sus-pected exacerbation. An event was consideredto be an episode of acute exacerbation whenthe patient met the following three conditions:(1) change in sputum characteristics; (2) occur-rence of at least one of the following additio-nal symptoms: breathlessness, coughing or fe-ver; (3) evidence of the nontrivial nature ofthe episode (as determined either by an un-scheduled medical examination and/or use ofantibiotics). The investigator assigned to eachgroup confirmed the diagnosis of AECOPDin 407/463 cases; 56 other episodes were dia-gnosed by the family doctor. Patients withAECOPD were treated at home with an oral-ly administered antibiotic (ciprofloxacin for 7-10 days); the number of antibiotic tablets takenby each patient was recorded.

Statistical analysis

The Statistical Package for Social Sciences ver-sion 10.0 (SPSS Inc., Chicago, Illinois, USA)was used for all analyses. The comparisonsbetween groups were made using appropriatestatistical methods (Fisher exact test for cate-gorical analyses, and Student’s t test and theMann-Whitney U test for continuous varia-bles). P<0.05 was considered significant.

Results

One hundred and forty-six out of the 178 ran-domized patients (82%) completed the trial.During the follow-up period 7 patients died: 5receiving placebo (6%) and 2 receiving Ismi-gen® (2%). Moreover, 11 placebo patients and14 lysate patients did not complete the trialdue to poor protocol compliance. In line withthe results of other studies, the incidence andseverity of the AECOPD cases were strictlyrelated to FEV

1. Two hundred and seventy-

three of the 463 total cases occurred in the 71stage IV patients (3.8 episodes/patient/year);101 episodes took place in the 68 stage II pa-tients (1.5 episodes/patient/year), and another89 cases occurred in the 39 stage III patients(2.3 episodes/patient/year). The highest exa-cerbation rate was observed in the 32 stage IVpatients with chronic cor pulmonale: 57 episo-des in the 15 patients treated with lysate (3.8episodes/patient/year) and 80 episodes in the17 patients in the placebo group (4.7 episodes/

Placebo Treated

3

2,5

2

1,5

1

0,5

0

Cases/y

ear/

patient

Stage AECOPD cases

Lysate Placebo

II 47 54

III 44 45

IV 67 69

IV + (CP)a 57 80

Overall 215 248

aCP= Cor pulmonale

Table 2. Frequency of acute exacerbation casesoccurred in each group broken down by COPDstage.

Figure 2. AECOPD episodes per treated patientper year compared to placebo patients.

p<0.05

196 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

M. Cazzola

patient/year). Table 2 shows the number ofAECOPD cases which occurred in each groupbroken down by COPD stage.

Acute exacerbations

A total of 463 episodes of AECOPD occurredduring the study: 215 in lysate group patients(2.3 cases/patient/year) and 248 in placebopatients (2.9 cases/patient/year). The mediancase reduction averaged 21% per year per pa-tient (figure 2). Since the trial lasted a total of12 months, the observed exacerbation ratecorresponded to an average of 2.3 (±0.3) epi-sodes/patient/year among the lysate grouppatients and 2.9 (±0.4) episodes/patient/yearin the placebo group, that is a reduction of 33episodes per year in the lysate group (p<0.05).In comparison with the AECOPD rates of theprevious year (see table 1), the exacerbationrates measured were notably lower for the ly-sate group (-0.6 episode/year) and higher inthe control group (+0.2 episodes/year).

Duration and severity of AECOPD

The mean duration of the 215 AECOPD ca-ses which occurred in the lysate group patien-ts was 10.6 days, whereas the mean durationobserved in the placebo group was 15.8 days.The 5.2 day difference between the two groupswas statistically significant (p<0.05). This dif-ference had a potential significant economicimpact on the population: in fact, the 5.2-daydecrease for each case which occurred multi-plied by the 33-case difference between theplacebo group (248 cases) and the lysate group(215 cases) implies a reduction in total hospi-talization time of about 171 days for a smallcohort of only 92 treated patients. Respiratorysymptoms were also less severe in immunizedpatients (table 3). Lastly, lysate administrationled to a greater rate of clinical success.In our trial, clinical success was defined as the

complete remission of respiratory distress andresumption of the patient’s everyday life acti-vities. Under the same antibiotic regimen, cli-nical recovery was attained in 89.3% of thepatients treated with lysate compared with81.8% of the control patients (p<0.02). Pa-tients in the lysate group took fewer antibioti-cs (8.7 days of treatment) than placebo patien-ts (12.8 days of treatment). More than 90% ofthe total episodes were treated with ciproflo-xacin (500 mg twice daily). As a consequence270 doses of this antibiotic were saved in theimmunized group.

Hospitalization rates and length of stay

During the trial period, there were 87 cases ofhospitalization due to respiratory diseases: 56in the placebo group and 31 in the lysate group,amounting to a total of 865 days (average du-ration of 9.9 days ± 3.7). All deaths were asso-ciated with cardio-respiratory failure and allhappened after an AECOPD episode. Althou-gh the difference in mortality rate betweenlysate treatment and placebo was not statisti-cally significant, the figures suggest that activeimmunization with Ismigen® might reducehospitalization rates and - perhaps - overallmortality in high risk patients. This trial onlyconsidered hospitalization related to respira-tory diseases and did not take hospitalizationdue to other causes into account. Hospitaliza-tion mainly lasted 8.9 days (±2.2) in the lysategroup and 10.5 days (±3.7) in the placebogroup (p<0.05).

Tolerability and adverse events

The lysate treatment was seen to be safe andwell tolerated even though the population waselderly with moderate to very severe COPDand several comorbidities for which they weretaking many respiratory and cardiovasculardrugs. No clinically relevant differences were

Table 3. Respiratory symptoms and clinical success rates.

Parameter Lysate (215 episodes) Placebo (248 episodes)

Clinical success 192 (89.3%) 203 (81.8%)

Coughinga 14 (6.5%) 34 (13.7%)

Dyspnoeaa 16 (7.4%) 31 (12.5%)

Mucopurulent sputum 23 (10.6%) 51 (20.5%)

Rales/Rhonchia 11 (5.1%) 18 (7.2%)

a=Moderate-severe

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 197

A new bacterial lysate protects by reducing infectious exacerbations in moderate to very severe COPD

noted between the groups concerning clinicallysignificant abnormalities in physical assessmen-ts or clinical laboratory tests; no adverse even-ts were reported by patients. No patients di-scontinued the treatment protocol due to un-favourable reactions. Twenty-five patientsdropped out of the trial by failing to returnfor study examinations or due to noncomplian-ce with the trial medication.

Discussion

Several studies have shown that bacterial ex-tracts increase the expression of adhesion mo-lecules at the surface of polymorphonuclearleucocytes, and enhance natural killer cell ac-tivity and the production of Tumour Necro-sis Factor-a, interleukin (IL)-1, IL-2, and in-terferon g by human peripheral blood mono-nuclear cells21-24. It is not a surprise, therefore,that some trials have shown that active immu-nization with bacterial lysates administeredwith the same schedule as we used in this trialis able to reduce the incidence and duration ofAECOPD16,25-28. There are however differen-ces in results between lysates obtained by che-mical lysis administered by ingestion and thebacterial lysate obtained by mechanical lysisadministered sublingually, presumably due tothe different ways in which the immune re-sponse is induced.The ability of lysates obtained by chemical lysisto reduce the frequency of exacerbation ismuch more debatable, although there is cleardocumentary evidence that bacterial extractsfunction by enhancing the postnatal matura-tion of Th1 function, which is normally dri-ven by stimuli from the commensal gastroin-testinal microflora. The Th1-stimulatory ef-fects observed are likely to contribute to theclinical efficacy of bacterial lysates in enhan-cing resistance to infections29. OM 85 BV wasevaluated in a meta-analysis, which showed a0.6 reduction in exacerbations per 6 months30.In a more recent systematic review the relati-ve risk of exacerbation was only modestly re-duced by chemical bacterial lysates, but theyimproved symptoms in COPD patients17.Furthermore, a controlled and well conductedtrial was unable to demonstrate that OM-85BV administration could reduce the rate ofexacerbation, although the likelihood of se-vere respiratory events leading to hospitali-zation was significantly lower among the ly-

sate group patients than in the placebogroup16. It is apparent that, although there isno sufficiently strong evidence to suggest thatbacterial extracts play a role in preventing exa-cerbations, there is clear evidence that theyimprove symptoms in patients suffering fromCOPD. This is an important conclusion thatkeeps interest in the topic alive31.As regards the administration of the new bacte-rial lysate obtained by mechanical lysis, itshould be emphasized that the significant de-crease in incidence of upper and lower respi-ratory tract relapses, even in trials which in-volved patients in “extreme” environmentalconditions (such as prisoners or secluded nuns),may be attributed to the greater immune re-sponse induced by sublingual administrationof structurally intact antigenic macromolecu-les. Experimental immunology studies haveshown that lysated macromolecules obtainedby mechanical lysis are able to stimulate thematuration of dendritic cells, which are re-sponsible for activating the two immunitybranches, innate and acquired32. In particu-lar, in vivo tests in man have shown that,thanks to this peculiar mechanism, admini-stering the new bacterial lysate obtained bymechanical lysis significantly increases syste-mic IgG levels and above all secretory IgAs33.Secretory IgAs are the most important armsin regional immune response when the respi-ratory mucous membrane is attacked by pa-thogens, also because immunization of theupper respiratory tract generally causes anintense immune reaction throughout thewhole respiratory tract34.Bacteria clearance remains a debatable aspectin patients with COPD even after optimalantibiotic treatment35. Several studies have do-cumented the presence of the same bacterialstrains as were isolated in previous episodesof AECOPD despite apparent microbiologi-cal eradication with an appropriate antibio-tic regimen36. This suggests that antibioticagents may spread poorly into mucopurulentsputum or that, even when the concentrationsare high enough, locally produced enzymesreleased during acute inflammation (i.e. ela-stase, metalloproteinase, etc.) may reduce theantibiotic effect. In this situation, even smallclusters of bacteria which survive in elderlyand/or immunocompromised patients mayestablish new centres of infection. Bacteriallysates can improve bacterial clearance by sti-

198 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

M. Cazzola

mulating the secretion of both local and syste-mic globulins (IgA, IgE and IgG). This mecha-nism has been observed in many experimen-tal models37,38.The duration of our trial - at least regarding itsfollow-up - was longer than other publishedtrials. Furthermore, an interim analysis sixmonths after the beginning of the trial revea-led a risk reduction (-41%) that appeared tobe larger than the one recorded at the end ofthe follow-up (12 months). This result sugge-sts that, although the benefits of immuniza-tion are long lasting, they are greater up tothree-six months after the last cycle. This ob-servation suggests that frequent immune-re-freshing could be useful in preventing relap-ses, at least in elderly and/or immunocom-promised patients. In any case, the durationof exacerbation and the hospitalization ratesobserved in this trial are in line with the re-sults of other reports. This is an importantfinding because the majority of the enrolledpatients were at high exacerbation risk, and a

sub-group of them was even affected withsevere right ventricular haemodynamic failu-re.Both the lower incidence and shorter dura-tion of AECOPD cases allowed better allo-cation of economic resources, with notablecost savings in terms of drugs and hospitali-zation. In fact, 270 doses of an oral antibioticand 315 hospitalization days (275 days in thelysate group vs. 590 days among control pa-tients) were saved in one year on a smallcohort of 92 patients. If we had treated a cohortof 1,000 patients with the same clinical profileas the sample we studied, the antibiotics savedwould have averaged 2,930 doses a year.In conclusion, on the basis of the importantclinical results of this trial, i.e. lower inciden-ce of exacerbations and greater efficacy of an-tibiotic treatment in patients immunized withbacterial lysates, it is possible to state that thistherapeutic approach should always be consi-dered in patients suffering from moderate tovery severe COPD. TiM

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200 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 201

Review

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemiacritica degli arti inferiori non immediatamente

rivascolarizzabile

Elio Melillo, Marco Nuti,Alberto BalbariniU.O. Angiologia Universitaria,Dipartimento Cardio ToracicoAzienda Ospedaliera UniversitariaPisana

Elio MelilloAngiologia Universitaria,Dipartimento Cardio Toracico,Azienda Ospedaliera UniversitariaPisanaVia Paradisa 2, 56124 Cisanello-PisaTel: 050/996896, 050/996844Fax: 050/996896e-mail: [email protected]

Diagnostic and therapeutical algorhythm in lower critical limb ischemiawhere immediate revascularization procedures are impossible

SummaryAt present, prostanoids (Iloprost and PGE1) represent the pharmacological treatment of choice in patients withun-reconstructable Critical Limb Ischemia (CLI). Iloprost resulted to be more effective than PGE1, in a sixmonths follow-up, both in limb savage and in the prevention of cardiovascolar death, either in diabetic or nondiabetic CLI patients. In our experience, in patients who have responded to a first cycle of therapy (EarlyResponders), performed for at least two-three weeks, the cyclic annual further treatments with iloprost, aregenerally able to stabilize the arteriopathy, with a regression to a Fontaine II stage and, in absence of furtherarterial complications, with a complete limb preservation for an unlimited period of time. Our recent betteroutcomes are related to earlier microvascular diagnosis and to earlier, eventually repeated, treatments withiloprost, because in Non Responder patients, who are not urgently supposed to undergo amputation, a secondcycle of Iloprost carried out within few months from the first one, is able to increase the percentage of respon-ders to prostanoids (Late Responders). We suggest to treat even the Late Responders with further annualprostanoids cycles, as we do with the Early Responders. Transcutaneous O

2 and CO

2 monitoring improves the

possibility of an earlier diagnosis of microvascular damages and categorize CLI patients in Responders andNon Responders after prostanoid treatments. In Non Responders it will be useful to verify the outcomes offurther attempts to save the symptomatic limb by Spinal Cord Stimulation, genic or staminal therapy, eventual-ly surgical retiming.

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini. Diagnostic and therapeutical algorhythm in lower critical limb ischemia whereimmediate revascularization procedures are impossible. Trends Med 2006; 6(3):201-234.© 2006 Pharma Project Group srl

Key words:Critical Limb IschemiaIloprostTranscutaneous oxygen andcarbon dioxide measure-ments

Si definisce ischemia criticadegli arti inferiori (ICAI)

la condizione di arteriopatiaperiferica, documentata ogget-tivamente, caratterizzata clini-camente dalla presenza di cro-nico dolore a riposo e/o lesio-ni trofiche, quali ulcere e/ogangrene, di natura ateroscle-rotica, insorti da oltre 15 gior-ni, il cui esito più probabile,in assenza di consistenti mi-glioramenti emodinamici, èrappresentato da una amputa-zione maggiore nell’arco deisei/dodici mesi successivi1,2.Tale condizione è caratteriz-zata sul piano emodinamicodalla presenza di pressioni ar-teriose sistoliche ridotte, siaalla caviglia (<50 mmHg) che

all’alluce (<30 mmHg) e/o,sul piano microcircolatorio,dalla riduzione locale dellatensione transcutanea di ossi-geno (<30 mmHg) all’avam-piede sintomatico2.Rispetto alla più semplice clas-sificazione di Leriche-Fontai-ne, in cui gli stadi III e IV sonodefiniti, rispettivamente, dapresenza di dolore a riposo edi lesioni trofiche, il termineICAI, introdotto nel 1991 daEuropean Consensus Confe-rence1 e confermato da Trans-Atlantic Inter-Society Con-sensus del 20002, appare piùappropriato, perché chiariscepiù precisamente la gravitàdelle condizioni cliniche dellaarteriopatia, anche attraverso

202 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

una coerente spiegazione fisio-patologica. Le ostruzioni ma-croangiopatiche dei principa-li distretti arteriosi degli artiinferiori, infatti, non potreb-bero determinare i segni cli-nici tipici di ICAI, quali pre-senza di dolore a riposo e/odi lesioni trofiche, in assenzadi grave scompenso tissutalemicrovascolare regionale, con-seguente alla abolizione od allamarcata riduzione al di sottodella domanda minima perfu-sionale tissutale del flusso nu-trizionale capillare. Va sotto-lineato, inoltre, come la ipo-tetica successione temporaledella arteriopatia perifericadegli arti inferiori, basata, se-condo Leriche-Fontaine, sul-l’evoluzione in quattro stadiclinici, progressivamente in-gravescenti di malattia, costi-tuiti, rispettivamente, da pa-zienti asintomatici, cioè coniniziali lesioni macroangiopa-tiche non emodinamiche (sta-dio I), poi da soggetti con clau-dicatio intermittens (CI, sta-dio II), quindi da arteriopaticicon dolore a riposo (stadio III)ed infine da vasculopatici conpresenza di lesioni trofiche e/o gangrena (stadio IV), risultautile, dal punto di vista scola-stico, per fissare mnemonica-mente una ipotetica sequenzacronologica di eventi, ma,purtroppo, raramente si tra-duce nella pratica clinica (gior-naliera) del moderno labora-torio vascolare. Infatti, se daun lato la diagnosi clinica distadio I di Leriche-Fontainerisulta impossibile in assenzadi valutazione diagnosticastrumentale eco-(color) -Dop-pler, dall’altro lo stadio II, cheè quello più comunementediagnosticato già sulla scortadei soli sintomi di claudicatio,nella maggioranza dei casi puòrestare stabile per molti anni,

od addirittura per sempre, sen-za evolvere ulteriormente ne-gli stati più avanzati di vascu-lopatia (caratterizzati clinica-mente dalla presenza di cro-nico dolore a riposo e/o lesio-ni trofiche)1,2.Inoltre, non è affatto infre-quente che ICAI possa esor-dire come tale fin dall’inizioin arteriopatici, fino a quelpunto apparentemente asinto-matici, soprattutto se in etàavanzata e/o con attività mo-torie comunque ridotte e/oaffetti da diabete mellito ditipo II, nei quali ultimi, in par-ticolare, la sintomatologia pe-riferica, al precedente stadio diCI, è spesso mascherata dallaconcomitante neuropatia dia-betica3.A conferma di quanto sopra,infatti, nello studio di Matzkee Lepantalo4 relativo a 100 dia-betici consecutivi ricoveratiper ICAI, addirittura la metàdei pazienti presentava lesio-ni trofiche distali agli arti in-feriori, come primo segno diesordio della grave arteriopa-tia distale, mentre nel trialmulticentrico europeo di Dor-mandy e collaboratori5, rela-tivo a 713 pazienti sottopostiad amputazioni sottogenicola-te per ICAI, oltre la metà deipazienti non aveva presenta-to sintomi di ischemia perife-rica nei sei mesi precedenti lademolizione chirurgica.

Epidemiologia

La incidenza di ICAI risultalargamente sottostimata, dalmomento che i dati della gra-ve arteriopatia degli arti infe-riori vengono solitamente ri-feriti ad estrapolazioni deri-vanti dalla evoluzione dellaclaudicatio intermittens (CI),la quale, a sua volta, secondola letteratura, è presente in

misura del 2-6% nella popola-zione adulta e tende a cresce-re progressivamente con l’età6-

20. La prevalenza di CI sinto-matica, pur in presenza dinotevoli variazioni, a secondadell’età e della popolazioneselezionata, risulta comunquenettamente più elevata neglistudi provenienti dal NordEuropa, rispetto ai dati epide-miologici che riguardano iPaesi mediterranei11,17-20. Tra lecasistiche nordeuropee, infat-ti, la prevalenza di CI è varia-ta da 1.6% dello studio di Rot-terdam18, relativo a soggetti dietà superiore a 55 anni, al 3.8%della popolazione olandese diLimburg17 di età tra 40 e 78anni, al 4.5% della popolazio-ne di Edimburgo11 di età tra 45e 65 anni, al 7.7% della popo-lazione rurale finlandese21 dietà tra 55 e 74 anni, ed infinead un ulteriore 7.7% nel recen-te trial osservazionale diDiehm e collaboratori22, rela-tivo ad una popolazione tede-sca, non selezionata, di età su-periore a 65 anni. Viceversa, inun recente studio italiano, ef-fettuato su una popolazionenon selezionata del Sud Italia,con età compresa tra 40 e 80anni, la prevalenza complessi-va di CI è risultata mediamen-te più bassa (1.6%) rispetto allecasistiche nordeuropee ed hacolpito prevalentemente il ses-so maschile (2.4% per i maschie 0.9% per le femmine, rispet-tivamente)20.L’osservazione epidemiologicadell’incidenza di CI, migliora-ta da studi longitudinali su ca-sistiche non selezionate e sen-za estrapolazioni fittizie ricava-te dalla popolazione genera-le7,11,12,14,16,18, mostra, tuttavia,nei diversi studi, risultati dif-formi, dal momento che, quan-do la diagnosi viene posta subase strumentale (mediante in-

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 203

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

dici pressori caviglia-braccio etecniche ultrasonograficheDoppler ed Eco-Doppler), laprevalenza di CI risulta decisa-mente superiore a quella otte-nuta sulla scorta dei soli daticlinici e sintomatologici riferi-ti dai pazienti7,9,11,14,17,22,23. Ingenerale, nelle stime che fan-no derivare l’incidenza di ICAIdalla evoluzione naturale diclaudicatio intermittens, si ipo-tizza, nei 5 anni successivi alladiagnosi di CI, un tasso teori-co complessivo di 5% di ische-mia critica degli arti inferiori,e, quindi, una incidenza annuadi ICAI di 1%24. Consideratala notevole diversità, comun-que, dei risultati ottenuti nellevarie casistiche internazionali,risulta probabilmente più rea-listico il calcolo diretto del nu-mero dei pazienti con ischemiacritica degli arti inferiori sot-toposti a ricovero ospedaliero,presso strutture pubbliche eprivate accreditate. A questoproposito, uno studio di rile-vazione epidemiologica nazio-nale, portato a termine dallaSocietà di Chirurgia Vascolaredi Gran Bretagna ed Irlanda, hadocumentato una prevalenzadi 20.000 pazienti ICAI nellapopolazione generale, con unaconseguente incidenza annuadi circa 400 pazienti per milio-ne di abitanti25.In un nostro recente studio26,relativo a tutte le procedure

demolitive degli arti inferiorieffettuate, per cause ischemi-che e non, nell’anno 2002 nel-la popolazione residente dellaToscana nord-occidentale(1.234.000 abitanti), si è osser-vata nei pazienti con ischemiacritica degli arti inferiori unaprevalenza di 117 amputazio-ni maggiori/annue per milio-ne di abitanti ed una conse-guente incidenza calcolata diICAI (rivascolarizzabile e non)di quattro volte superiore, cioèdi 468 nuovi casi annui permilione di abitanti, dal mo-mento che, come comunemen-te assunto in letteratura1,2,27, giàal momento della prima dia-gnosi di ICAI, circa il 25% deipazienti sarà comunque co-stretto ad una amputazionemaggiore nel giro di un anno(tabella 1).L’estrapolazione di tali dati atutta la popolazione italiana26

(57.000.000 abitanti) mostrauna incidenza annua comples-siva di ICAI attestantesi dram-maticamente in circa 26.700pazienti, con una numerositàdi amputazioni maggiori, percause di tipo ischemico, cheraggiunge la cifra complessivadi circa 6.700 casi, per ognianno. Poichè tutti i dati di let-teratura concordano nel sotto-lineare come circa un quartodei pazienti ICAI risulterà ino-perabile già al momento delladiagnosi e sarà quindi indiriz-

zato a terapie mediche e di sup-porto presso reparti non chi-rurgici1,2,26-28, ne consegue che,ogni anno, un numero di arte-riopatici gravi, altrettanto con-sistente (circa 6.700 pazienti intutta Italia) necessiterà di tera-pie mediche intensive, sia a li-vello locale che sistemico, neltentativo di salvataggio d’artofarmacologico, da condurre inambiente nosocomiale protet-to, possibilmente in reparti al-tamente qualificati e di tipo an-giologico.

Fattori di rischio

Lo sviluppo di ICAI è legato,da una parte, alla drammaticaprogressione della aterosclero-si localizzata agli arti inferiorie, dall’altra, alla presenza dinumerosi fattori di rischio, siatradizionali che di più recen-te scoperta, risultati progno-sticamente negativi1,2. Si calco-la, comunque che, dallo stadiodi claudicatio intermittens,soltanto il 20-40% dei casi,evolva ulteriormente in stadiclinici più avanzati, caratteriz-zati dalla presenza di doloricronici a riposo e/o lesionitrofiche periferiche. I fattoridi rischio tradizionali, progno-sticamente negativi, sono co-stituiti principalmente dall’in-cedere dell’età anagrafica, dal-l’abitudine reiterata al fumo disigarette, dal diabete mellito,

Popolazione di riferimento Ischemia critica arti inferiori(abitanti) Incidenza annua

Amputazioni maggiori Ischemia Critica

Area Vasta Pisana (1 milione) 117 468*Area Vasta Pisana (1.234.000) 144 578*Toscana (3.534.000) 408* 1.638*Italia (57.000.000) 6.652* 26.676*

*=dati estrapolati

Tabella 1. Incidenza di amputazioni maggiori per causa ischemica e di ischemia critica degli arti inferio-ri osservata nell’anno 2002 nell’Area Vasta Pisana (Toscana nord-occidentale).

204 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

dalla ipertensione arteriosa edalle dislipidemie1,2, mentrenel novero dei fattori di ri-schio più recenti, di naturaemostatica, vanno annoveratisoprattutto la presenza di ipe-romocisteinemia, di iperfibri-nogenemia e di aumentata con-centrazione serica di proteinaC-reattiva.Il fumo è probabilmente il fat-tore di rischio più importanteper lo sviluppo di arteriopatiaperiferica, dal momento cherisulta più strettamente corre-lato alla presenza di tale pato-logia, che non di coronaropa-tia29. La probabilità di svilup-po di arteriopatia periferica neifumatori rispetto ai non fuma-tori risulta doppia e la gravitàdella malattia risulta diretta-mente correlata al numero disigarette fumate ed al periododi tempo di abitudine alfumo30. Il fumo triplica il ri-schio di aggravamento dell’ar-teriopatia e raddoppia il rischiodi amputazione1,2. Nei pazien-ti sottoposti a rivascolarizza-zione, la persistenza dell’abitu-dine al fumo di sigaretta tripli-ca il rischio di ostruzione post-operatoria e raddoppia il nu-mero di riocclusione dei by-pass distali1,2.Il diabete mellito rappresentaun potente fattore di rischiocardiovascolare, ha una inci-denza in continuo aumento acausa dello stile di vita moder-no che favorisce l’obesità31,aumenta da 2 a 4 volte il rischiodi malattia coronarica ed espo-ne ad un rischio di eventi car-diovascolari pari al soggettonon diabetico che ha già avutoun infarto miocardico1,2. Inol-tre, l’incidenza di infarto mio-cardico ed angina instabile, cosìcome la mortalità post-infar-tuale, risulta maggiore nei dia-betici rispetto ai non diabeti-ci32. Studi epidemiologici han-

no dimostrato infine che il ri-schio di mortalità cardiovasco-lare è da due a tre volte mag-giore negli uomini diabetici, eda tre a cinque volte maggiorenelle donne diabetiche, rispet-to alla popolazione non diabe-tica ed, in generale, la patolo-gia cardiovascolare rappresen-ta il 70% di tutti i decessi deidiabetici33. In una determinataarea geografica, i soggetti dia-betici costituiscono il 25% ditutti i pazienti sottoposti a pro-cedure di rivascolarizzazionechirurgica degli arti inferiori34.Nei soggetti con diabete melli-to, l’ICAI mostra una frequen-za tripla rispetto alla corrispon-dente arteriopatia non diabeti-ca e presenta un tasso di am-putazione 15 volte maggiore1,2.L’ipertensione arteriosa costi-tuisce un fattore di rischio co-mune per numerosi disordinivascolari, tra cui l’arteriopatiaperiferica degli arti inferiori.Circa il 2-5% dei soggetti in cuiviene diagnosticata l’iperten-sione arteriosa, alla prima visi-ta, presenta sintomi di CI,mentre il 35-55% degli arterio-patici alla prima visita risulta-no affetti da ipertensione arte-riosa35. Il rischio complessivodi infarto del miocardio e diictus risulta notevolmente au-mentato se coesistono iperten-sione arteriosa e arteriopatiaperiferica degli arti inferiori.Nonostante tale correlazione,tuttavia, nessun grande trialsulla terapia antiipertensiva haverificato se la diminuzionedella ipertensione arteriosapossa eventualmente contribu-ire ad una incidenza ridotta diarteriopatia periferica degli artiinferiori35. In ogni caso, la pre-senza di ipertensione arteriosa,come fattore di rischio indipen-dente di complicanze cardiova-scolari, sembrerebbe avere unaimportanza minore rispetto

alle altre variabili (fumo e dia-bete mellito), anche se appareormai definitivamente supera-to il concetto di non trattaregli ipertesi, nel timore di ridur-re ulteriormente la pressione diperfusione tissutale regionale.L’iperlipidemia è presente nel50% degli arteriopatici perife-rici ed è ormai noto, dallo stu-dio Framingham, come unaipercolesterolemia a digiunosuperiore a 270 mg% sia statacorrelata ad una incidenza dop-pia di CI14.Sorprendentemente, tuttavia,l’ipercolesterolemia non hamostrato alcun ruolo come fat-tore di rischio indipendente intutti gli studi effettuati sugliarteriopatici periferici, e que-sto dato appare chiaramente incontrasto con gli studi riguar-danti la cardiopatia ischemica,che mostrano invece un mani-festo effetto nella progressionedella malattia aterosclerotica:ciò potrebbe spiegarsi con ladurata ridotta (inferiore a dueanni) dei trials effettuati neiclaudicanti36, che potrebbeaver ridotto la forza del fatto-re dislipidemia rispetto ad al-tre variabili in grado, comun-que, di influenzare il decorsodella malattia37.Il ruolo che attualmente i fat-tori emostatici possono eserci-tare sulla formazione dell’arte-riopatia obliterante cronicaperiferica è oggetto di attentaspeculazione. Sicuramente do-cumentata è l’associazione traarteriopatia periferica ed ipero-mocisteinemia. Nei soggetticon iperomocisteinemia, infat-ti, l’associazione con l’arterio-patia obliterante periferica ri-sulta sestuplicata38, così comelo stesso grado di progressionedi CI è risultato significativa-mente correlato ai livelli pla-smatici di omocisteina39. L’ipe-romocisteinemia, inoltre, costi-

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Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

tuisce attualmente motivo diattivo interesse perché rappre-senta un importante fattore dirischio, oltre che per la vascu-lopatia aterosclerotica localiz-zata a livello periferico, ancheper quella coronarica o cere-brale40,41. Rimane, comunque,tuttora da stabilire se il tratta-mento dell’iperomocisteine-mia sia in grado di ridurre glieventi ischemici, contribuendoalla regressione dell’arteriopa-tia42.A tutt’oggi, altri consistentievidenze derivano dalla corre-lazione esistente tra iperfibri-nogenemia ed iperviscosità pla-smatici, da un lato, ed arterio-patia periferica dall’altro43.L’iperfibrinogenemia rappre-senta inoltre un fattore di ri-schio indipendente nella predi-zione negativa di mortalità to-tale nei pazienti con ICAI44.Con il progredire delle cono-scenze che inquadrano la ate-rotrombosi come malattia in-fiammatoria45, particolare rile-vanza ha assunto il ruolo pato-genetico della proteina C-reat-tiva (PCR), da considerare or-mai non soltanto come sempli-ce marker di infiammazione,ma anche come fattore essen-ziale nella flogosi collegata al-l’aterosclerosi. Le concentra-zioni plasmatiche della PCRsono pertanto da considerareattualmente come fattore dirischio cardiovascolare moltopiù importante del colesteroloHDL46.In una sottoanalisi del trialPhysicians Health Study, rela-tiva a 144 soggetti sani, che nei60 mesi successivi avevano svi-luppato una arteriopatia peri-ferica, erano documentati livel-li basali di PCR significativa-mente più elevati di quelli ri-scontrati in un analogo grup-po di controllo che non avevasviluppato l’arteriopatia47. Da

quanto esposto, appare eviden-te l’importanza dell’identifica-zione precoce della arteriopa-tia obliterante cronica perife-rica ad uno stadio clinico menoavanzato, quale quello di CI,non solo per interrompere laprogressione della malattia ver-so le lesioni trofiche o la gan-grena tipiche di ICAI, ma an-che e soprattutto perché l’ar-teriopatia periferica costituisceun marker preciso di ulteriorilesioni emodinamiche in altridistretti importanti, quali quel-li cardiaci e cerebrali, a progno-si frequentemente molto peg-giore della stessa arteriopatiaperiferica e che comportanonei claudicanti una mortalità 3-4 volte superiore a quella dellapopolazione generale1,2,24.Diversi studi parlano, inoltre,di un probabile effetto protet-tivo esercitato dalla dieta ditipo mediterraneo e dall’azio-ne antiossidante dei vini rossi48-

52 sull’evoluzione della arterio-patia obliterante degli arti in-feriori. L’ipotesi peraltro chela popolazione italiana, per isuccitati effetti protettivi, pos-sa essere meno suscettibile allacomparsa di arteriopatia sinto-matica degli arti inferiori ed allesue complicanze, viene raffor-zata dalle osservazioni riguar-danti la riduzione del rischiocardiovascolare nelle popola-zioni mediterranee rispetto aquelle nord-europee53.Il possibile ruolo protettivodella dieta mediterranea vieneevocato anche in un recentestudio di Brevetti e collabora-tori che, in una popolazionenon selezionata del sud Italia,con età compresa tra 40 e 80anni, rilevano una prevalenza(1.6%) ed una comorbilità car-diovascolare, di arteriopatiadegli arti inferiori sintomatica,decisamente più basse di quel-le riscontrate in analoghe casi-

stiche nord-europee e nord-americane20. Infine, sempre piùnumerosi ed importanti trialsinternazionali hanno ormaiampiamente documentato l’ef-fetto protettivo sui fattori dirischio cardiovascolari ed ilruolo fondamentale, esercitatodall’uso abituale di antiaggre-ganti, ACE-inibitori e statine,nella mancata progressionedell’arteriopatia degli arti infe-riori, oltre che nella prevenzio-ne primaria e secondaria delleeventuali complicanze cardio-vascolari54-60.

Prognosi

La prognosi degli arteriopaticicon ischemia critica degli artiinferiori è particolarmente se-vera a causa dei pesanti tassi,sia di mortalità che di morbili-tà ad essa correlati, evidenzia-bili già entro pochi mesi di fol-low-up dalla diagnosi di ICAI.Infatti, i tassi di amputazionimaggiori e di mortalità, osser-vati dalla Consensus Europeae successivamente dalla TASC,hanno riguardato, nella egualemisura di 20-25%, rispettiva-mente, tutti i pazienti ICAI giàentro un anno dalla diagno-si1,2,61,62.Uno studio multicentrico ita-liano relativo a 1.560 pazienticon ICAI non rivascolarizza-bile, inoltre, ha documentato,un tasso di amputazioni mag-giori del 12%, entro un annodalla diagnosi, mentre quello dimortalità è risultato, rispettiva-mente, del 13% entro sei mesi,del 22% entro 1 anno e del31.6% entro due anni, con cau-sa di morte attribuita ad acci-dente cardiovascolare in oltreun terzo dei casi62. Il precocee pesantissimo tasso di morta-lità dei soggetti ICAI risulta,pertanto, del tutto sovrappo-nibile a quello riscontrato nel-

206 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

le neoplasie più aggressive2 e laterapia relativa, per risultarepiù efficace, dovrà necessaria-mente essere di tipo intensivo(e possibilmente personalizza-ta). Dopo la diagnosi di ICAI,infatti, il trattamento della gra-ve arteriopatia distale dovràessere indirizzato preferenzial-mente a pratiche invasive di ri-vascolarizzazione, quali quelledi tipo ricostruttivo chirurgi-co e/o interventistico endova-scolare (angioplastica endolu-minale e/o applicazione distents), di cui inizialmente po-trà beneficiare circa il 50-60%dei pazienti, mentre un rima-nente 20-25% andrà incontroad amputazione primariad’embleè ed il restante 20-25%dei casi ICAI sarà sottoposto atrattamenti temporanei, com-prendenti terapie mediche ditipo farmacologico e/o alterna-tive (quali elettrostimolazionemidollare cronica, ossigenote-rapia iperbarica, etc.)1,2. La gra-vità della condizione ICAI,inoltre, è testimoniata dalleimportanti ricadute socio-eco-nomiche della malattia che, perquanto numericamente assai

meno rilevante di CI, richiedeun impegno sproporzionata-mente più ampio di mezzi erappresenta attualmente ilmaggior carico di lavoro deireparti di chirurgia vascolare27.

Diagnosi

La diagnosi di ICAI si avvaledi una valutazione clinica,comprendente anamnesi edesame obiettivo, in cui vannoidentificati segni e sintomidella severa arteriopatia dista-le e di una valutazione stru-mentale, comprendente sia lostudio della macrocircolazio-ne che della microcircolazio-ne periferica degli arti inferiori(tabella 2).

Studio della macro-circolazione

Lo studio della macrocircola-zione parte da metodiche di pri-mo livello, semplici ed incruen-te quali:1) misurazione delle pressioni

segmentarie sistoliche, effettua-te a livello del terzo superioreed inferiore di coscia e gamba;

2) misurazione della pressionealla caviglia ed all’alluce;

3) misurazione del rapportopressorio caviglia/bracciomediante sonda Doppler (adonda continua);

e comprende anche sofisticatetecniche di imaging riguardanti:4) valutazioni incruente non

invasive, come Ecografia-Duplex, Ecografia-Color-Doppler;

5) valutazioni invasive o par-zialmente invasive, quali an-giografia periferica degli artiinferiori a sottrazione di im-magine, Angio-RMN, An-gio-TAC e TAC spirale.

Gli esami ecografici (Ecografia2D e Color) permettono, dimonitorare la progressionedella malattia aterosclerotica,di pianificare le eventuali pro-cedure interventistiche e digestire nel tempo le condizio-ni del paziente sottoposto adintervento chirurgico od an-gioplastica. I vantaggi ecogra-fici derivano da:a) valutazione anatomica, checonsente la caratterizzazionemorfologica della parete arte-

Tabella 2. Valutazione clinica e strumentale macro- e micro-circolatoria nell’inquadramento diagnosti-co del paziente con ischemia critica degli arti inferiori.

Valutazione clinica AnamnesiEsame obiettivo (segni e sintomi)

Metodiche semplici incruente

• Pressioni segmentarie sistoliche (coscia, gamba)• Pressione alla caviglia

Studio del • Pressione all’alluceMACROcircolo • Rapporto pressorio caviglia/braccio con sonda

Doppler (Indice di Winsor)

Tecniche di Imaging

Esami Non • Ecografia (color) Dopplerstrumentali invasive • TAC spirale

Invasive • Arteriografia a sottrazione di immagine• Angio RMN, Angio TAC

Studio del • Tensiometria transcutanea di O2 e CO

2

MICROcircolo • Flussimetria Laser Doppler• Capillaroscopia statica e dinamica

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 207

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

riosa, la visualizzazione, la lo-calizzazione e l’analisi morfo-logica delle placche ateroma-siche, il calcolo della percen-tuale di stenosi, ed infine lostudio dei by-pass;b) valutazione funzionale (me-diante analisi del segnale Dop-pler pulsato), che consente lavalutazione diretta o indirettadelle lesioni stenotico-ostrutti-ve, la loro ripercussione sul-l’emodinamica arteriosa e laformazione di eventuali circo-li collaterali.Esistono, tuttavia, anche alcu-ne limitazioni nell’uso degliultrasuoni a causa della presen-za di artefatti legati alle estesecalcificazioni, che interessanoprevalentemente le arterie digamba nel soggetto diabetico,così come per la presenza di ste-nosi vascolari multiple o per lamisurazione non sempre affi-dabile dell’indice pressorio allacaviglia a causa della incompri-mibilità parietale delle arterietibiali.L’angiografia periferica a sottra-zione di immagine costituiscetutt’oggi il gold standard nellavalutazione di pazienti ICAIcon indicazione alla rivascola-rizzazione chirurgica e/o in-terventistica. Le informazioniderivanti dall’angiografia peri-ferica consistono, dal punto divista morfologico, nella visua-lizzazione e localizzazione del-le lesioni emodinamiche, nelcalcolo della percentuale di ste-nosi, nell’analisi della morfolo-gia della placca, nella visualiz-zazione diretta dei circoli colla-terali e nello studio dei by-pass,mentre, da quello funzionale,permettono la valutazione del-la velocità di progressione delmezzo di contrasto iodato equella del run-off distale.Gli svantaggi dell’angiografiasono legati alla sua invasività,alla presenza inevitabile di sue

temibili complicanze (in parti-colare embolizzazione distaleda mobilizzazione di placcheateromasiche), ai costi elevati,alla presenza di personale qua-lificato e di strutture dedicate,che spesso sono assenti negliospedali periferici. Proprio perquesti motivi, sono in fase diavanzata sperimentazione ulte-riori tecniche sofisticate di ima-ging comprendenti la TACspirale e la Angio-RMN.La Tomografia Assiale Compu-terizzata-spirale (TAC-Spirale)costituisce una tecnica parzial-mente invasiva, che fornisce imigliori risultati nelle lesioniarteriose prossimali, particolar-mente a livello aorto-iliaco,anche se alcuni studi mostra-no una ottima sensibilità e spe-cificità nella valutazione di ste-nosi od ostruzioni arteriose siaa livello sovrapopliteo (sensi-bilità e specificità rispettiva-mente dell’88% e 94% nelle ste-nosi e del 100% e 100% nelleostruzioni) che sottopopliteo(sensibilità rispettivamente del94% e 100% nelle stenosi e del100% e 98% nelle ostruzioni)63.La Risonanza Magnetica Nucle-are (Angio-RMN) costituisceprobabilmente la tecnica diimaging del futuro, perché rap-presenta un pratico compro-messo tra ultrasuoni ed angio-grafia, anche se attualmentecon tecniche correnti non sem-pre è possibile distinguere trastenosi serrate ed occlusionicomplete delle lesioni aorto-iliache. In alcuni studi, tutta-via, questo limite è stato supe-rato con la dimostrazione siadi adeguatezza nella valutazio-ne della stenosi che di capacitàdiscriminatoria tra stenosi edocclusione (specialmente conricorso a contrast enhance-ment). In un altro studio, An-gio-RMN ha dimostrato addi-rittura di essere sovrapponibi-

le ad angiografia convenziona-le, perché è risultata in grado dimostrare tutte le stenosi angio-grafiche, ed è riuscita a visua-lizzare il run-off distale addirit-tura in misura maggiore (22%)rispetto ad angiografia, anche sepurtroppo ha sovrastimato lepercentuali di stenosi64.

Commento

Il ricorso agli ultrasuoni po-trebbe costituire già attualmen-te una suggestiva alternativaalla angiografia, perché forni-sce la maggior parte delle in-formazioni anatomiche e fun-zionali, e non ne presenta glisvantaggi, perchè meno costo-sa e completamente innocua,anche se ha il limite di essereoperatore-dipendente, di nonfornire una copia cartacea com-pleta dell’albero arteriosoesplorato e, soprattutto, spes-so incontra ancora la diffiden-za della maggioranza dei chi-rurghi vascolari che, comun-que, pretendono una angiogra-fia periferica prima di ogni pro-cedura di rivascolarizzazione.Tuttavia va sottolineato come,a tutt’oggi, necessitino ulterio-ri studi per valutare appienofino a che punto le suggestivevalutazioni strumentali alter-native all’angiografia, rappre-sentate oltre che dalle metodi-che ultrasonografiche, soprat-tutto dalla angio-RMN (ed al-tre nuove modalità di indagi-ne di imaging), possano real-mente in futuro rimpiazzarecompletamente l’angiografiaperiferica.

Studio della micro-circolazione

Le principali tecniche utilizza-te nel moderno laboratoriovascolare, per lo studio dellamicrocircolazione cutanea,sono di tipo non invasivo e

208 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

sono rappresentate, rispettiva-mente, da:• tensiometria transcutanea di

O2 (TCpO

2) e CO

2 (TCpCO

2);

• flussimetria laser Doppler;• capillaroscopia statica e dina-

mica.La descrizione dettagliata diqueste tecniche con la loro ap-plicazione pratica nel pazientearteriopatico con gradi diversidi severità della patologia va-scolare è stata ampiamente trat-tata altrove65.

Tensiometria transcutaneadi O

2 (TCpO

2)

La TCpO2 risulta la tecnica

attualmente più diffusa perchésemplice, affidabile, facilmen-te riproducibile, sia a breve66

che a lunga67 distanza di tem-po, scarsamente operatore-di-pendente, nonché poco costo-sa. La sua importanza vienesottolineata dall’essere l’unicamisura microcircolatoria inclu-sa tra i criteri di definizione diICAI sia dalla Consensus Eu-ropea del 1991 che dalla TASCdel 20001,2. L’eccesso delle mo-lecole di ossigeno che, dai glo-buli rossi del lume capillare,passano attraverso gli spazi in-terstiziali, alla superficie cuta-nea, può essere misurato in-cruentemente tramite un mi-suratore di O

2 transcutaneo

(elettrodo di Clark). Poiché laquota di ossigeno destinato alconsumo cellulare costituisceuna piccola parte ed è pratica-mente costante, la restante quo-ta di flusso sanguigno cutaneorisulta correlata con la TCpO

2

misurata: infatti, con un altoflusso cutaneo, il rilascio di O

2

eccede grandemente il consu-mo e la TCpO

2 si avvicina alla

pO2 arteriosa misurata cruen-

temente, mentre, per flussi cu-tanei molto bassi, la TCpO

2

decresce e può arrivare a livel-li non valutabili. La misurazio-

ne della TCpO2 viene abitual-

mente effettuata bilateralmen-te al piede, in clino- e talora inorto-statismo, previo riscalda-mento della sonda termostata-ta a 44° C, con condizioni co-stanti di temperatura ambien-te di 22-24° C, pressione baro-metrica di 760 mmHg ed umi-dità relativa di 40% (figura 1).In una review di 160 lavoripubblicati dal 1978 al 1992, re-lativi alla valutazione dell’ar-teriopatico periferico, Schef-fler e Rieger68, concludonoche la TCpO

2 non aggiunge

informazioni sostanziali in pa-zienti con ostruzioni asinto-matiche o con claudicatio in-termittens, ma è di importan-te impatto clinico negli arti inischemia critica, che può esse-re agevolmente individuataquando i valori ossimetrici,rilevati con sensore riscaldatoa 44° C, al piede sintomatico,non superano rispettivamen-te i 10 e 45 mmHg in posizio-ne supina e declive68.La TCpO

2, oltre che nella più

precisa caratterizzazione dia-gnostica dell’arteriopatico, ri-sulta molto vantaggiosa nelladefinizione del livello di am-putazione o nel monitoraggioterapeutico a breve e lungo ter-mine dei pazienti sottoposti aterapia chirurgica e/o terapiealternative. Il rischio di ampu-tazione d’arto in pazienti ICAI

con marcata ipossia all’avam-piede sintomatico, è documen-tato da valori assoluti diTCpO

2 in posizione supina,

collocati rispettivamente al disotto di 10 mmHg69, di 20mmHg70, od addirittura di 25mmHg71. Becker e collabora-tori72 nel 1989 hanno inveceutilizzato, in ICAI con TCpO

2

supina al piede sintomatico<10 mmHg, l’eventuale in-cremento ortostatico diTCpO

2, identificando così tre

sottogruppi di pazienti contassi di amputazione decre-scenti (da 85% a 45%, fino a5%), correlati inversamente amisure ossimetriche

declivi

crescenti, e collocate, rispetti-vamente, al di sotto di 10mmHg, tra 11 e 40 mmHg, oal di sopra di 41 mmHg. Nel1999, Ubbink e collaboratori73

hanno confermato, in ICAInon rivascolarizzabile, comefattore predittivo negativo lapresenza di TCpO

2 supina al

disotto di 10 mmHg, cui hacorrisposto un tasso di ampu-tazione a 6 e 12 mesi, rispetti-vamente, di 58% e 87%. Nel-lo stesso studio, invece, netta-mente migliore è apparsa lasorte dei soggetti con TCpO

2

tra 10 e 30 mmHg che hannopresentato, negli stessi perio-di, integrità d’arto rispettiva-mente in percentuali di 80% e63% od addirittura di 88% e

Figura 1. Misurazioni clino-orto-statiche bilaterali all’avampiede (Ispazio intermetatarsale) della tensio-metria transcutanea di O

2 e CO

2.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 209

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

88% quando la TCpO2 supina

ha superato i 30 mmHg.

Tensiometria transcutaneadi CO

2 (TCpCO

2)

Se vi è comunque generaleconcordanza di giudizio favo-revole sulla capacità dellaTCpO

2 nel categorizzare la

gravità metabolica del pazien-te ICAI, a tutt’oggi, appareancora indefinito invece, ilruolo da attribuire alla tensio-ne transcutanea di CO

2

(TCpCO2) nella individuazio-

ne precoce dei pazienti ICAIad alto rischio di perdita d’ar-to. Per la sua valutazione vie-ne utilizzato un sensore com-binato per O

2 e CO

2 (elettrodi

di Clark e Severinghaus) in gra-do di campionare con esattez-za, oltre all’ossigeno, anche laconcentrazione transcutanea dianidride carbonica. La relazio-ne esistente tra gli indici fun-zionali microcircolatori tran-scutanei di O

2 e CO

2 e l’anda-

mento clinico del paziente ar-teriopatico74 è stata analizzatain un nostro studio relativo a129 soggetti, costituiti da 27controlli sani e da 102 arterio-patici, suddivisi in 39 claudican-ti e 63 affetti da ICAI. I valorimedi di TCpO

2 risultarono più

elevati negli arti di controllo(m=51 mmHg) rispetto aiclaudicanti (m=40, p<.01), enotevolmente ridotti in ICAI(m=1, p<.0001), mentre, vi-ceversa, la TCpCO

2 risultò so-

vrapponibile negli arti di con-trollo rispetto ai claudicanti(37.6 vs 40 mmHg, p=NS), masignificativamente elevata inICAI (m=52, p<.0001). Ana-lizzando nei 255 arti di tutti isoggetti studiati l’andamentocombinato dei due parametriTCpO

2 e TCpCO

2, si dimo-

strò una correlazione inversa,altamente significativa (r=0.71,p<.0001), marcatamente non

lineare, con andamento dellacurva caratterizzato da un au-mento iperbolico della anidri-de carbonica (talvolta superio-re a 100 mmHg) per valori cor-rispondenti di ossigeno inferio-ri a 10 mmHg (figura 2).In altri termini, mentre l’ossi-geno, con il progredire del dan-no ischemico, si abbassò daivalori di normalità fino allozero strumentale, la anidridecarbonica permase invariatafino al raggiungimento dei cor-rispondenti 10 mmHg di O

2,

al di sotto dei quali la TCpCO2

rimase ancora nei limiti dellanorma solo in pochi casi (12%),mentre, in tutti gli altri pazien-ti, si innalzò cospicuamentecon il progredire della acidosimetabolica locale indotta daldanno ischemico (figura 2).L’ipotesi di una eventuale cor-relazione tra aumento inmmHg della TCpCO

2 supina

e la maggior gravità clinica diICAI (espressa da tassi di am-putazione progressivamentecrescenti) è stata poi conferma-ta da un nostro ulteriore stu-dio relativo a 62 ICAI conse-cutivi (47 con lesioni trofiche:23 maschi, età media 72±10anni e 15 soggetti con dolore ariposo: 10 maschi, età media71±9 anni) documentati angio-graficamente, il cui follow-up

ha avuto la durata minima di 4anni75. Nel follow-up a quattroanni, il tasso complessivo diamputazioni maggiori è statodi 19.4%, dimostrandosi signi-ficativamente più elevato nelsottogruppo di ICAI con lesio-ni trofiche (23.4%) rispetto alsottogruppo con dolore a ripo-so (6.6%, p=.01), mentre il tas-so di mortalità generale, com-plessivamente elevato (53.2%,n=33), è risultato quasi sovrap-ponibile nei due gruppi (51%ICAI con lesioni trofiche vs60% con dolore a riposo,p=NS). La suddivisione deipazienti in quattro sottogrup-pi (quartili) in base ai valori alpiede sintomatico di TCpCO

2

supina (rispettivamente <40mmHg nel primo quartile,<49.5 mmHg nel secondo,<91 mmHg nel terzo, >92mmHg nel quarto) ha mostra-to una differenziazione signi-ficativa, poiché la percentua-le di amputazioni maggiori èrisultata assente nel primoquartile, è aumentata a 6% nelsecondo, a 27% nel terzo edaddirittura ha raggiunto il44% nel quarto quartile conTCpCO

2 superiore a 92

mmHg. Viceversa, non vi èstata alcuna correlazione tragravità della acidosi metaboli-ca locale ed elevata percentua-

Figura 2. Relazione tra i parametri di TCpO2 e

TCpCO

2 misurati in

posizione supina ed all’avampiede di 27 controlli e 102 arteriopaticiperiferici, suddivisi in 39 claudicanti e 63 pazienti con ischemia criti-ca degli arti inferiori.

120

110

100

90

80

70

60

50

40

30

20

-10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

TCpO2 mmHg

TCpO

2 m

mH

g

N=255 arti

210 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

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le di mortalità generale, so-pravvenuta per lo più per cau-se cardiovascolari e risultatadel tutto sovrapponibile neiquattro sottogruppi sovracita-ti in cui il tasso di mortalità èstato rispettivamente di 53%,50%, 53% e 56% (p=NS).

Flussimetria laser-Doppler(LDF)

LDF è basata sull’effetto dop-pler di un fascio di luce laserHE-NE di bassa potenza (cir-ca 2 mW) che penetra nel tes-suto per una profondità di 1mm, subisce in parte variazio-ni di frequenza ad opera dellestrutture in movimento, vieneretrodiffusa e, con un sistemadi fotodetezione, produce unsegnale che, a bassi e medi va-lori di ematocrito capillare, èdirettamente proporzionale alflusso ematico cellulare delpunto esaminato. Il segnale la-ser-Doppler risulta proporzio-nale al flusso, definito comenumero di globuli rossi per laloro velocità media, dal mo-mento che in condizioni nor-mali globuli bianchi e piastri-ne costituiscono quota trascu-rabile delle cellule in movimen-to. Poiché in 1 mm2 di cutepossono essere presenti, a se-conda delle zone, 20-50 ansecapillari, arteriole, venule edanastomosi Arteriolo-Venula-ri, LDF perciò misura la per-fusione globale della microcir-colazione cutanea, e principal-mente quella più profonda,sub-papillare, di tipo termo-re-golatorio, mentre solo una por-zione molto piccola del segna-le è generata dal flusso di san-gue dei capillari più superficia-li di tipo nutrizionale. Poichégià in condizioni fisiologiche lostudio in vivo della microcir-colazione cutanea presentanotevole variabilità temporo-spaziale a causa della sua estre-

ma sensibilità a stimoli internie ambientali, occorre un rigo-roso controllo ambientale (Ta 22-24° C), ed individuale (pa-ziente supino, a riposo per al-meno 30 minuti) per una buo-na riproducibilità dei risultati76.Risulta pertanto fondamenta-le con questa metodica rileva-re, oltre ai valori di flusso ba-sale in condizione di riposo(Resting Flow, RF), che risul-ta ridotto in caso di ischemiamarcata, neuropatia diabetica,shock ed altre condizioni dimancata autoregolazione mi-crocircolatoria, anche quelliottenuti dopo stimolazione ter-mica (mediante aumento dellatemperatura della sonda termo-statata a 36° C e 44° C) e po-sturale (passaggio dalla posizio-ne supina alla posizione sedu-ta, Standing Flow, SF), chemisura il riflesso veno-arterio-lare (VAR) attivato normal-mente dalla vasocostrizionesimpatica delle arteriole preca-pillari e che si traduce in unasensibile riduzione (>60%) delsegnale laser-doppler rispettoalla misura ottenuta in clino-statismo. I valori perfusori ot-tenuti vengono espressi in mi-sure semiquantitative denomi-nate Unità di Perfusione (PU).Il segnale laser-Doppler è sta-to studiato in 10 soggetti sanidi controllo (CON, 20 arti) e19 arteriopatici, suddivisi in 10claudicanti (CI) e 9 ICAI me-diante misurazioni effettuatesulla superficie pulpare dell’al-luce ed in corrispondenza del Ispazio intermetatarsale in po-sizione supino/declive77.In condizioni basali, all’alluce,i valori LDF ottenuti nei con-trolli (mRF=99 PU) si sonodifferenziati significativamen-te (p<.001) sia da quelli di CI(mRF=15 PU) che di ICAI(mRF=3 PU). Dopo riscalda-mento a 36° C, si è evidenziato

un incremento di RF, indottodalla conseguente vasodilatazio-ne, nei controlli (mRF=166PU, p<.0001) e nei CI(mRF=26 PU, p<.05), mentrenon si sono evidenziate varia-zioni in ICAI rispetto ai valoribasali. In ortostatismo il de-cremento del segnale LDF, in-dotto dall’attivazione localedel VAR, è stato presente solonei controlli (mSF=74 PU,p<.001), mentre la sua disfun-zione è stata evidenziata conun paradosso incremento diflusso, sia in CI (mSF=149PU, p<.001) che in ICAI(mSF=54 PU, p<.001). A li-vello del I spazio intermetatar-sale, le misurazioni LDF effet-tuate a 36° C non hanno evi-denziato differenze significativetra i valori mediani dei control-li (mRF=19 PU) e quelli, rispet-tivi, di CI (mRF=24 PU) e diICAI (mRF=12 PU). In talesede, viceversa, il VAR è risul-tato conservato, sia nei controlli(mSF=6.5 PU, p<.001), che inCI (mSF=4 PU, p<.01), maassente o con flusso invertito,in ICAI dove la vasocostrizio-ne posturale è risultata abolita(mSF=29 PU, p<.01).I nostri dati incoraggiano per-tanto l’estensione dell’uso diLDF negli arteriopatici croniciperiferici, a condizione che lemisurazioni vengano effettua-te non solo in condizioni ba-sali, ma anche dopo tests pro-vocativi termici e posturali,possibilmente in più sedi ana-tomiche (superficie pulparedell’alluce e dorso del piede).L’impiego del segnale LDFnella diagnostica della arterio-patia obliterante periferica cro-nica e nel suo monitoraggio,tuttavia, risale ai decenni piùrecenti e poiché si avvale anco-ra di pochi studi clinici, neces-sita, pertanto, di più consisten-ti validazioni di letteratura78-81.

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Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

Capillaroscopia

E’ una metodica per immagi-ni, eseguibile in vivo e sull’uo-mo, adatta allo studio morfo-logico ed emodinamico delmicrocircolo, che andrebbedefinita più correttamente bio-microscopia, dal momento checon essa si indagano non solo icapillari, ma anche le arterio-le, le venule, le anastomosi ar-teriolo-venulari ed il connetti-vo interstiziale. Nel 1891 Hun-na pose le basi della modernacapillaroscopia con il rilievodella trasparenza della cutedopo applicazione sulla stessadi olio di vaselina. Sfruttandotale proprietà ed utilizzando unfascio di luce incidente, Lom-bard nel 1912 visualizzò conbuona definizione di immagi-ne i capillari della plica ungue-ale. Nel 1963 Zimmer intro-dusse la capillaroscopia televi-siva e fu possibile uno studioanche quantitativo più precisodella emodinamica microcirco-latoria.Negli ultimi 25 anni l’introdu-zione di metodiche video-fo-tometriche ha consentito,principalmente grazie aglistudi di Bollinger, Fagrell edIntaglietta, lo sviluppo dellamoderna capillaroscopia di-namica computerizzata82,83.Nel 1988 Fagrell perfezionòun sofisticato sistema di sof-tware denominato Capi-flow84, che consente la misu-razione automatica, oltre chedi densità e di diametro capil-lare, anche della velocità deiglobuli rossi nei capillari nu-trizionali e che permette,inoltre, tramite l’uso di colo-ranti vitali fluorescenti, unmiglioramento del contrastodelle immagini, e soprattuttolo studio di fenomeni altri-menti inesplorabili, quali dif-fusione e grado di permeabi-lità delle molecole presenti in

soluzione, visualizzazione emorfometria degli aloni peri-capillari, la valutazione dellaomogeneità di perfusione deimicrovasi. Il Capiflow offre ilmassimo dell’attendibilità edel confronto delle immagini,ma è limitato alla ricerca spe-rimentale di pochi laboratoriprivilegiati per la mole dell’ap-parecchiatura, la sua scarsamaneggevolezza, la limitazio-ne di poche sedi di esplorazio-ne, oltre all’elevato costo glo-bale e di esercizio.Il progredire delle acquisizio-ni tecnologiche nel campo del-le fibre ottiche e dell’informa-tica ha permesso, infine, nel1992, la messa a punto di unnuovo video-capillaroscopio asonda ottica (VSCO), propo-sto contemporaneamente daThulesius85 (27) e Curri86 (28).Tale strumento è di pronto efacile impiego per la visualiz-zazione dei microvasi cutaneisu tutta la superficie corporea,consente lo studio in temporeale della microangiotettoni-ca regionale e distrettuale e deimovimenti di traslazione en-docapillare ed endovenularedegli elementi figurati del san-gue. I vantaggi della capillaro-scopia a sonda ottica sono rap-presentati dalla sua estrema ma-neggevolezza, dalla possibilitàdi esplorare i microvasi cuta-nei in ogni regione della super-ficie corporea, anche se persi-ste una certa difficoltà nella in-terpretazione dei dati per la va-riabilità di reperti nelle diver-se sedi e la polimorfia dei qua-dri patologici. Tradizional-mente le indagini capillarosco-piche negli arteriopatici vengo-no eseguite con paziente in po-sizione seduta, a livello dellaplica ungueale dell’alluce e sul-la cute del dorso del piede, in-dagando in particolare la den-sità capillare, l’ordine delle anse

e la loro morfologia (tortuosi-tà, dilatazioni, ramificazioni),la eventuale presenza di micro-edema e di microemorragie, lavisualizzazione del plesso ve-noso subpapillare, la conserva-zione del flusso.Nel 1973 fu proposta da Fagrelluna classificazione capillaro-scopica semplificata87, tuttoravalida, in stadi A, B e C e basa-ta sul grado crescente di gravi-tà degli arteriopatici periferici,caratterizzata da quadri inizia-li con presenza di modeste di-latazioni capillari ed isolatimicroaneurismi (stadio A), perpassare a quadri costituiti dacapillari indistinti, per edemao sclerosi, e microemorragie(stadio B), fino a quadri estre-mi di riduzione di densità odaddirittura di rarefazione capil-lare (stadio C).Nel 1984 la capacità predittivadella capillaroscopia fu con-frontata con la pressione all’al-luce sintomatico da Fagrell eLundberg in 69 pazienti, congrado diverso di arteriopatia,osservati per i successivi tremesi. La probabilità di svilup-po di necrosi cutanea, al piedesintomatico, quando venneprevista sulla base della solavelocitometria pressoria all’al-luce inferiore a 30 mmHg, ri-sultò essere di circa il 60%,mentre la predittività capilla-roscopica per sviluppo di lesio-ni trofiche si innalzò progres-sivamente dal 5% nello stadioA, al 60% nello stadio B, fino araggiungere il 93% nello stadioC88.

Commento

Le principali tecniche di tiponon invasivo utilizzate per lostudio della microcircolazionecutanea di ICAI, nel moder-no laboratorio vascolare, sonoessenzialmente rappresentatedalla tensiometria transcuta-

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nea di O2 e CO

2, dalla flussi-

metria laser Doppler e dallacapillaroscopia. Tali tecnicheconsentono una definizionepiù precisa di “run off” micro-circolatorio, permettendo sulpiano clinico di avere criterimeno approssimati di monito-raggio diagnostico e terapeuti-co ed una interpretazione deirisultati della rivascolarizzazio-ne chirurgica e/o endovasco-lare e/o di terapie farmacolo-giche ed alternative, non piùaffidata semplicemente alla sog-gettività del paziente. Va peròsottolineato, a scanso di equi-voci, che pur trattandosi di tec-niche promettenti, esse sono dapoco passate dal piano della ri-cerca sperimentale a quellodella applicazione clinica. Inparticolare, la metodica laserDoppler che attualmente vie-ne utilizzata con successo nel-l’inquadramento diagnostico diICAI e nel suo monitoraggioclinico, abbisogna di ulteriorichiarimenti sulla sua riproduci-bilità temporo-spaziale, sullamorfologia del tracciato nellesue varie estrinsecazioni ed in-terpretazioni funzionali e suisuoi rapporti con la microan-giotettonica dei distretti cutaneiin cui l’esame viene eseguito.La videocapillaroscopia a son-da ottica ha consentito un map-paggio morfologico accuratodei vari distretti cutanei e giu-stifica, per la diversità dei qua-dri di microangiotettonica daessa rilevati nei vari distrettiesplorati, la difficoltà di dareuna univoca interpretazionedel segnale laser-Doppler.La tensiometria transcutanea diO

2 risulta la tecnica attualmen-

te più diffusa perché semplice,affidabile, facilmente riproduci-bile sia a breve che a lunga di-stanza di tempo, scarsamenteoperatore-dipendente, nonchépoco costosa. La sua importan-

za viene sottolineata dall’esserel’unica misura microcircolato-ria inclusa tra i criteri di defini-zione di Ischemia Critica ArtiInferiori (TASC, 2000).La tensione transcutanea diCO

2 fornisce un contributo

nella caratterizzazione dell’en-tità del danno metabolico di-strettuale e nella valutazioneprognostica, soprattutto nei casimetabolicamente più gravi incui la corrispondente ossimetrianon è in grado di discriminareulteriormente i pazienti ICAI,perché ha già raggiunto i limitidi risoluzione della metodica(zero strumentale).

Terapia medica

Principi generali

L’arteriopatia obliterante cro-nica periferica degli arti infe-riori (PAD), ed in particolarela ICAI, è gravata da alti tassidi morbilità e mortalità, en-trambi dovuti, nella maggiorparte dei casi, a cause cardio-vascolari1,2. Infatti, la coesisten-za tra malattia arteriosa perife-rica e malattia cardiovascolare(CAD) è documentata da mol-ti dati di letteratura, che dimo-strano come il grado di comor-bilità osservato tra le due pato-logie sia proporzionale alla sen-sibilità del test usato per indivi-duarle89. Quando la coprevalen-za di CAD nei pazienti arterio-patici è basata sulla loro storiaclinica ed elettrocardiografica,essa si attesta intorno a 30-40%,mentre raggiunge il 60% in stu-di che utilizzano il treadmilltest90 o la scintigrafia miocardi-ca con diripidamolo91, ed addi-rittura percentuali tra 70 e 90%con studi angiografici92,93.Analogamente, molti studiconfermano un eccesso di ma-lattie cerebrovascolari negliarteriopatici periferici, ed an-che in questo caso, la sensibili-

tà del test diagnostico riflette ilgrado di comorbilità tra le duepatologie. Infatti, mentre laanamnesi di pregresso stroke èriportata positivamente in cir-ca 15% degli arteriopatici quan-do documentata solo clinica-mente6,94, lo screening ultraso-nografico con eco-duplex perstenosi carotidee >30% evi-denzia una prevalenza di ma-lattie cerebrovascolari superio-re a 50% nei casi con PAD95.Tuttavia, nonostante l’ormainota coprevalenza tra CAD e/o malattia cerebrovascolare ePAD, ed anche probabilmen-te per carenza di dati definitivisul miglioramento della pro-gnosi dell’arteriopatia periferi-ca con il trattamento sistemi-co dell’aterosclerosi, tuttoranei medici curanti risulta an-cora inveterata la tendenza atrattare meno intensivamentei fattori di rischio cardiovasco-lare in PAD che CAD96.Alla luce delle precedenti con-siderazioni appare quindi evi-dente come tale tendenza vadarovesciata e, per tentare di ri-durre i pesanti tassi di morbili-tà e mortalità tipici di ICAI, laterapia medica debba essere siadi tipo sistemico, ivi compren-dendo la correzione dei fattoridi rischio (fumo, diabete mel-lito, ipertensione arteriosa, di-slipidemia, sindromi da iperco-agulabilità), la prevenzione pri-maria e secondaria degli even-ti cerebro- e cardio-vascolari, iltrattamento delle patologieconcomitanti (cardiopatiaischemica, scompenso ed arit-mie cardiache, insufficienzarespiratoria e renale croniche,etc.), che locale, mediante trat-tamento topico delle lesionitrofiche e quello farmacologi-co di salvataggio d’arto, di tipointensivo, che diventa indi-spensabile quando il pazienteICAI, dopo angiografia perife-

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Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

rica, viene ritenuto al momen-to inoperabile.

Terapia medica sistemicae locale

Nel trattamento complessivodi ICAI devono pertanto esse-re previsti (tabella 3):a) correzione dei fattori di ri-

schio cardiovascolari e del-le patologie concomitanti(abolizione del fumo, stret-to controllo metabolico deldiabete mellito medianteutilizzo di insulina in pre-senza di lesioni trofiche,correzione farmacologicadello scompenso cardiaco,della cardiopatia ischemicae delle aritmie cardiache,monitoraggio attento dellaterapia antiipertensiva edanticolesterolemica);

b) terapia farmacologica disupporto con antiaggregan-ti, anticoagulanti, statine edACE-inibitori nella preven-zione primaria e secondariadegli eventi cerebro- e car-

dio-vascolari;c) impiego di una efficace te-

rapia analgesica (antidolori-fici, oppiacei, marcaina epi-durale);

d) trattamento topico delle le-sioni ulcero-gangrenose(sbrigliamento chirurgicodelle zone necrotiche e pe-riodiche medicazioni loca-li, uso di calzature appro-priate, eventuale utilizza-zione di ossigenoterapiaiperbarica);

e) terapia antibiotica per via si-stemica in presenza di lesio-ni trofiche (dopo tamponecutaneo ed antibiogramma);

f) terapia farmacologica conprostanoidi (che possonoessere usati per via endo-ar-teriosa od endo-venosa),che costituiscono attual-mente il trattamento di ele-zione di pazienti ICAI.

Il trattamento con prostanoi-di deve essere personalizzato edi tipo intensivo: ogni pazien-te abbisogna di uno stretto

monitoraggio sia clinico chestrumentale microcircolatorio,da cui estrarre i parametri es-senziali per valutare nel tem-po quando effettuare la terapiafarmacologica prostanoidea,stabilirne efficacemente sia laposologia che la durata, predi-re il fabbisogno di ulteriori ci-cli di terapia. I cicli di tratta-mento con prostanoidi posso-no variare da due a quattro set-timane e possono essere ripe-tuti a distanza di tempo, a se-conda dei parametri clinici emicrocircolatori osservati.

Terapia farmacologica

Teoricamente, nel manage-ment odierno del pazienteICAI, la terapia di tipo nonchirurgico od interventisticopuò essere formulata con diver-se sostanze farmacologiche,anche se nella realtà clinica essarisulta basata esclusivamentesull’uso di tre differenti cate-gorie di farmaci costituite sche-maticamente da (tabella 4):• farmaci convenzionali non

appartenenti alla categoriadei prostanoidi;

• terapia genica e cellulare sta-minale;

• prostanoidi.

Terapia farmacologicasenza prostanoidi

I farmaci non-prostanoidisono costituiti fondamental-mente da antiaggreganti piastri-nici, anticoagulanti e fibrinoli-tici, emoreologici o vasoattivi.I principali farmaci antiaggre-ganti sono rappresentati daaspirina, ticlopidina e clopido-grel, che prevengono il dannoendoteliale secondario alla ag-gregazione piastrinica, ed han-no dimostrato una efficace pro-tezione cardiovascolare dellecomplicanze aterosclerotichenegli stadi più precoci di arte-

a) Correzione dei fattori di rischio• abolizione del fumo• stretto controllo glicemico (insulina in presenza di

lesioni trofiche)• controllo della pressione arteriosa• controllo dell’assetto lipidico• correzione iperomocisteinemia, etc.

b) Controllo delle patologie associate

c) Terapia farmacologica in prevenzione primaria esecondaria (antiaggreganti, anticoagulanti, ACE-inibitori, statine)

d) Trattamento topico delle lesioni ulcero-gangrenose(sbrigliamento chirurgico delle zone necrotiche e medica-zioni locali quotidiane, eventuale utilizzazione diossigenoterapia iperbarica)

e) Terapia analgesica (antidolorifici, oppiacei, marcainaepidurale)

f) Terapia antibiotica per via sistemica in presenza dilesioni trofiche (dopo tampone cutaneo edantibiogramma)

g) Terapia farmacologica con prostanoidi

Tabella 3. Terapia medica sistemica e locale in pazienti con ischemiacritica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile.

214 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

riopatia. I dati favorevoli dellaterapia antiaggregante sullaprevenzione secondaria dellecomplicanze cardiovascolarisono stati infatti estrapolatinon da trials controllati, effet-tuati in pazienti con ICAI, mada studi su arteriopatici affettida claudicatio intermittens.Nello studio STIMS, infatti, laticlopidina ridusse sia la mor-talità (del 29%) che la morbili-tà per infarto miocardico e va-sculopatie cerebrali (di 11.4%)nei claudicanti confrontati conplacebo97. Nella meta-analisiAntiplatelet Trialist’ Collabo-ration del 1994, comprenden-te 28 studi riguardanti un tota-le di 3.864 pazienti, molti deiquali sottoposti a chirurgia ri-costruttiva, si rilevò come ilbeneficio assoluto sulla morta-lità vascolare, negli studi ri-guardanti le arteriopatie peri-feriche, fosse uno dei più ele-vati, rispetto ad altri criteri diingresso, con 15 morti evitatein 1.000 pazienti in un perio-do di due anni54.Anche la recente meta-analisicompiuta dalla Anti-thrombo-tic Trialist’ Collaboration del2002 conferma l’effetto positi-vo di aspirina e ticlopidina, conuna riduzione di circa il 27%di eventi cardiovascolari mag-giori quali stroke, infarto mio-cardico e morte vascolare nel-la claudicatio intermittens econ una riduzione della rioc-clusione dei grafts periferici dicirca il 22%55. Una ulterioreriduzione di 8.7% del rischio

relativo di incidenza di infartomiocardico, stroke o morte va-scolare annuo, inoltre, fu do-cumentata nello studio CA-PRIE nel sottogruppo di oltre6.000 claudicanti trattati conclopidogrel (75 mg/die) rispet-to a quello dei pazienti trattaticon aspirina (325 mg/die)98.Per quanto riguarda invece iltrattamento di pazienti conICAI, un unico studio giappo-nese pubblicato nel (lontano)1982 dimostrò una percentualepiù alta di ulcere guarite (24%versus 14%), associata a ridottotasso di amputazione (2% ver-sus 4%), in soggetti trattati persei mesi con ticlopidina (500mg/die) confrontati con pazien-ti trattati con placebo99.Per quanto riguarda i farmacianticoagulanti, va sottolineatocome, a dispetto dell’uso pro-ficuo della eparina non frazio-nata, utilizzata frequentemen-te nella profilassi od in associa-zione con procedure chirurgi-che vascolari, non sono statiperò pubblicati trials che neabbiano dimostrato una analo-ga efficacia nella ischemia cri-tica, anche se due studi, in aper-to, con eparina a basso pesomolecolare, attualmente prefe-rite rispetto alle non fraziona-te per migliori facilità di impie-go e tolleranza individuale,hanno tuttavia mostrato unariduzione del dolore a riposoed un miglioramento delle ul-cere trofiche resistenti ad altritrattamenti convenzionali100-102.I farmaci vasoattivi, una volta

definiti impropriamente vaso-dilatatori, perché ritenuti capa-ci di aumentare la portata ema-tica distrettuale, in realtà sonocaratterizzati da altre proprie-tà, i cui effetti principali sonodi tipo: a) emoreologico, tra-mite la riduzione della viscosi-tà ematica; b) incremento del-la deformabilità eritrocitaria eriduzione della contrattilitàdella miocellula arteriolare edella sua responsività ai nume-rosi stimoli costrittori presen-ti nella aterosclerosi, tramitemodulazione della liberazionedegli ioni Calcio; c) inibitoriodella aggregazione piastrinica edella attivazione leucocitaria;d) riduzione del rilascio di ra-dicali liberi di ossigeno; e) va-sodilatante sul tono arteriola-re ed aumento della perfusio-ne tessutale, tramite azionemodulatoria sull’endotelio conriequilibrio tra MFRS (micro-vascular flow regulating sy-stem) e MDS (microvasculardefense system). Alcuni di que-sti farmaci (pentossifillina, bu-flomedil, naftidrofuryl, calcio-antagonisti) sono risultati effi-caci nella claudicatio intermit-tens, ma nessuno di essi hamostrato efficacia clinica in stu-di controllati su casistiche am-pie di soggetti con ICAI.La pentossifillina è stata impie-gata per via parenterale in ICAIin due trials multicentrici con-trollati con placebo. Nel pri-mo studio europeo, effettuatonel 1995, la pentossifillina, im-piegata alla dose di 600 mg perdue volte al dì, e per tre setti-mane in ICAI con dolore a ri-poso, ha dimostrato un signi-ficativo miglioramento dellasintomatologia dolorosa (58%versus 42%), ma i risultati deltrial furono fortemente inficia-ti dal fatto che l’uso degli anal-gesici era permesso in tutti ipazienti, dall’inesistente mi-

• Farmaci convenzionali non appartenenti alla catego-ria dei prostanoidi (vasoattivi, emoreologici,anticoagulanti, antiaggreganti);

• Prostanoidi (Alprostadil, Iloprost);

• Terapia genica e con cellule staminali

Tabella 4. Principali presidi terapeutici impiegati nel trattamentodel paziente con ischemia critica degli arti inferiori, non immediata-mente rivascolarizzabile.

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Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

glioramento del percorso dimarcia su tappeto ruotante,oltre che dalla mancanza asso-luta di risultati a sei mesi103. Nelsuccessivo studio norvegese,condotto con lo stesso proto-collo, seppure in un numerodi pazienti ridotto, si osservòsolo un lieve, ma non signifi-cativo, miglioramento nei trat-tati con pentossifillina104.Buflomedil, ad azione alfa1 edalfa2 antiadrenergica, fu valu-tato in uno studio controllatocon placebo in pazienti connecrosi cutanea e mostrò unsignificativo miglioramentocapillaroscopico (72% versus23%), anche se successivamen-te non sono stati condotti ul-teriori studi in pazienti inICAI105.Naftidrofuryl, antagonista del-la serotonina, ha dimostrato inpazienti con dolore a riposo unincremento della distanza dimarcia ed un aumento della ten-sione transcutanea di ossigenoal piede sintomatico in uno stu-dio, mentre in un piccolo stu-dio controllato con placebo inpazienti ICAI, il miglioramen-to soggettivo risultò analogo inentrambi i gruppi106,107.L’uso dei calcio-antagonisti, inparticolare Nifedipina, puresercitando un effetto sul siste-ma vascolare periferico, nonha, tuttavia, ancora provato unevidente beneficio clinico108.Tra i nuovi farmaci vanno an-noverati L-arginina ed alfa-tri-nositolo. L-arginina, che è pre-cursore dell’ossido nitrico en-dogeno, induce una vasodilata-zione periferica ed inibisce laaggregazione piastrinica: nono-stante la infusione singola delfarmaco sia in grado di incre-mentare il flusso sanguignonella arteria femorale dei pa-zienti con ischemia severa, tut-tavia, nessun effetto positivosul follow-up a lungo termine

è stato ancora dimostrato109.Anche con il farmaco alfa-tri-nositolo, antagonista del neu-ropeptide NPY (co-trasmetti-tore simpatico con adrenalina,e perciò dotato di potente azio-ne vasocostrittrice), sono statiosservati, in un piccolo studioclinico su diabetici in ischemiacritica, effetti favorevoli, dimo-strati con metodiche di studioincruento microcircolatorio,quali ossimetria transcutanea,flussimetria laser-Doppler, ca-pillaroscopia: anche in questocaso, però, rimane da dimostra-re l’effetto del farmaco sul lun-go periodo110.Un farmaco più recente, Cilo-stazolo, inibitore della fosfodie-sterasi ad azione antiaggregan-te e vasodilatatoria, in com-mercio attualmente solo negliStati Uniti d’America, ha mo-strato in un trial randomizza-to ed in doppio cieco, effettifavorevoli sull’aumento delladistanza di marcia e sulla qua-lità di vita, con effetti collate-rali comprendenti cefalea ediarrea, che ne sconsiglianol’impiego nei pazienti con ri-dotta riserva cardiaca111.

Commento

I pochi farmaci vasoattivi im-piegati in modo appropriatonel trattamento di ICAI, han-no fornito risultati poco con-vincenti o negativi e, pertanto,il loro impiego non può esseresuggerito nei pazienti conICAI. Viceversa, pur in assen-za di conclusioni definitive sul-l’uso degli antiaggreganti inICAI, tale terapia in questi pa-zienti deve essere fortementeraccomandata, proprio per laloro dimostrata capacità di ri-durre significativamente la in-cidenza di infarto del miocar-dio e di stroke e, conseguente-mente, di mortalità cardiova-scolare. Per quanto riguarda,

invece, il trattamento a lungotermine con anticoagulantiorali, vi è ancora a tutt’ogginecessità di stabilire se sia real-mente utile nel garantire unamaggiore sopravvivenza diarto nei pazienti trattati.

Terapia genica ecellulare staminale

Viene definita terapia genicala introduzione di geni nellecellule di organi bersaglio perindurre l’espressione di un de-terminato fenotipo. La veico-lazione dei geni può avveniremediante plasmidi (tratti diDNA) nudi, inseriti passiva-mente nelle cellule, o con in-troduzione di DNA all’inter-no di liposomi aderenti allamembrana cellulare e liberan-ti il contenuto nel citoplasmacellulare, oppure, come siste-ma più utilizzato, legandolo algenoma di un virus modifica-to, in grado di infettare la cel-lula bersaglio e di inserire ilgene “terapeutico” all’internodel genoma cellulare. L’ische-mia ipossica sembra costituirelo stimolo principale per la in-duzione dell’angiogenesi, rea-lizzata principalmente median-te liberazione di diversi fattoridi crescita vascolare, tra i qualiparticolarmente importanti ri-sultano VEGF (Vascular Endo-telial Growth Factor), angio-poietina e FGF (FibroblastGrowth Factor). Negli ultimianni è stato dimostrato come,mediante formulazioni ricom-binanti di fattori di crescitaangiogenetici, sia stato realiz-zato l’incremento della circo-lazione collaterale in un artoischemico.I primi studi sperimentali eclinici sull’angiogenesi sonostati realizzati mediante lasomministrazione o la induzio-ne in loco di un singolo fatto-

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re di crescita, come il VEGFprodotto da varie linee cellula-ri, in particolare cellule endo-teliali e muscolari lisce. IlVEGF ha come unico bersa-glio la cellula endoteliale: ciòconfigura sia un sistema para-crino, perché le cellule musco-lari lisce sono poste nella pare-te vascolare accanto a quelleendoteliali, che autocrino, per-ché le cellule endoteliali pro-ducono il VEGF e sono a lorovolta bersaglio di questa glico-proteina. I principali effettibiologici del VEGF sono co-stituiti dalla induzione dellaproliferazione e della migrazio-ne delle cellule endoteliali, dal-l’aumento della permeabilitàcapillare (che permette la fuo-riuscita dal capillare delle cel-lule endoteliali per formareneovasi, ma favorisce ancheformazione di edema), la indu-zione del rilascio di ossido ni-trico e di proteasi interstiziali,che favoriscono il rimodella-mento vasale della neoangioge-nesi. La terapia genica median-te trasferimento del plasmideDNA-VEGF a dosi scalari (apartire da 100 microgrammi)fu effettuata in tre pazientiICAI, con dolore a riposo, trat-tati con 1.000 microgrammi:dopo un anno di follow-up, siosservò incremento di flussosanguigno e scomparsa del do-lore; l’incremento della dose a2.000 microgrammi evidenziòla formazione di neoangioge-nesi sia istologica che angiogra-fica112.Nel 1998 Baumgartner e colla-boratori somministrarono pla-smide nudo di VEGF al dosag-gio di 4.000 microgrammi me-diante microiniezioni nellemasse muscolari di 10 artiischemici di ICAI non rivasco-larizzabili (di cui 7 con ulceretrofiche), osservando dopo duesettimane un picco nella con-

centrazione di VEGF nellavena reflua dall’arto, un incre-mento dell’indice di Winsor,una neoformazione di vasi col-laterali visibili angiografica-mente (in 7 arti), ed un aumen-to di flusso distale, medianterisonanza magnetica (in 8 casi).Le ulcere trofiche guarirono omigliorarono in 4/7 arti, con-tribuendo al salvataggio d’artodi tre pazienti destinati ad am-putazione sottogenicolata,mentre le complicanze furonolimitate ad edema transitoriodegli arti inferiori, secondarioalla aumentata permeabilitàcapillare VEGF-dipendente113.In uno studio cinese non ran-domizzato, relativo a 21 pa-zienti ICAI, di cui 16 con ulce-re trofiche, VEGF veicolato daplasmide a dosi variabili tra 400e 2.000 microgrammi venneiniettato direttamente nell’ar-to ischemico, con ripetizionedell’iniezione intramuscolaredopo 28 giorni, al medesimodosaggio114. L’efficacia del trat-tamento fu testimoniata clini-camente dalla guarigione o dalmiglioramento delle ulcere nel75% dei pazienti e dalla cessa-zione del dolore a riposo in 20/21 casi, mentre la neoformazio-ne di vasi fu evidenziata trami-te risonanza magnetica. In que-sto studio venne osservato l’ef-fetto dose-dipendente della te-rapia e la assenza di eventi col-laterali sfavorevoli, ad eccezio-ne della comparsa di edema del-l’arto sintomatico trattato114.Gli studi clinici che hanno uti-lizzano VEGF in ICAI sebbe-ne promettenti, rimangonotuttavia aneddotici e non con-trollati ed, in generale, non pos-sono essere trascurati i limitialla utilizzazione clinica dei fat-tori vascolari di crescita, costi-tuiti dalla possibilità di svilup-po di tumori preesistenti, dalpeggioramento della retinopa-

tia diabetica, nonché dall’indu-zione di angiogenesi all’inter-no della placca ateromasica sta-bile, che potrebbe determinar-ne una pericolosa instabilità.Una più recente prospettivaterapeutica per la induzionedella neoangiogenesi è deriva-ta dalla utilizzazione delle cel-lule staminali del midollo os-seo che, in studi sperimentali,hanno dimostrato di potersidifferenziare in progenitori dicellule endoteliali (EPC), capa-ci di partecipazione a neoangio-genesi in tessuti ischemici, disecrezione di fattori di cresci-ta, come i suddetti VGEF eFGF, di neoendotelizzazionedella superficie luminale delleprotesi vascolari, di differenzia-zione monocitaria e di rilasciodi citochine, molecole di ade-sione e fattori di crescita vasco-lari115,116. La superiorità dell’au-totrapianto di cellule stamina-li, rispetto alla somministrazio-ne di singoli fattori di crescitao di geni, consisterebbe, quin-di, sia nell’evitare i rischi dellaterapia genica che nel vantag-gio di poter usare elementi na-turali. L’angiogenesi stimolatadalla terapia cellulare stamina-le, infatti, può essere stimolatao mediante impiego di tutta lapopolazione midollare, o me-diante utilizzo della sola frazio-ne mononucleata midollareossea comprendente, in parti-colare, cellule monocitoidi olinfocitoidi che sembrano con-tenere le EPC, od, infine, me-diante una popolazione cellu-lare selezionata contenente lesole EPC. Nel trial giappone-se TACT di Tateishi-Yuyamae collaboratori, randomizzatoed in doppio cieco, fu esplora-ta la possibilità di neoangioge-nesi mediante innesto autolo-go di cellule midollari nell’ar-to sintomatico ICAI. Nellostudio venne dimostrata, nel

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Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

gruppo trattato con cellulemononucleate, un migliora-mento clinico, evidenziato dalsalvataggio da amputazioni di-gitali in 15/20 casi, dal miglio-ramento delle ulcere trofichein 6/10 casi e dalla remissionecompleta del dolore a riposoin 22 pazienti, mentre il miglio-ramento strumentale, rispettoai controlli veniva testimonia-to dall’incremento degli indicipressori, angiografici ed ossi-metrici dell’arto ischemico117.Nello stesso studio l’inocula-zione, in un sottogruppo ICAI,di cellule mononucleate delsangue periferico non ha datoi medesimi risultati positivi ot-tenuti con l’impiego delle cel-lule staminali midollari, con-traddicendo in tal modo altristudi osservazionali che aveva-no utilizzato favorevolmentesia cellule mononucleate peri-feriche118 che i soli leucocitiperiferici119.

Commento

Alla luce dei pochi lavori cli-nici effettuati, si rileva la neces-sità di condurre studi ben con-trollati in grado di compren-dere l’esatta efficacia del trat-tamento, i suoi meccanismi fi-siopatologici e la durata neltempo dei risultati ottenuti. Inparticolare, va definitivamen-te dimostrato, mediante end-points condivisi, che la neoan-giogenesi ottenuta nel musco-lo di ratto o coniglio, preven-tivamente ed acutamente ische-mizzato, sia efficacemente ot-tenibile nell’arto ischemico delpaziente ICAI in cui la presen-za di infezioni locali, danniossei, muscolari e neurologicipossono determinare necessitàdi amputazioni, a prescinderedagli eventuali miglioramentiindotti dalle modifiche dellaperfusione locale dell’arto inischemia critica.

Terapia con prostanoidi

Costituisce un dato ormai con-solidato che i prostanoidi rap-presentino attualmente i far-maci di prima scelta in ICAIinoperabile ed a rischio di per-dita d’arto1,2,120. Questi farma-ci hanno dato luogo al piùgrande numero di studi suICAI negli ultimi 15 anni e ini-zialmente hanno dato risultatispettacolari ed incoraggianti sucasi clinici o su casistiche limi-tate, anche se studi controllatisuccessivi hanno parzialmentemitigato l’ottimismo iniziale.La dissonanza rilevata tra i di-versi risultati di letteratura puòprobabilmente essere spiegatacon la maggiore o minore pre-cocità con cui è stata formula-ta la diagnosi di ischemia criti-ca, ed ancor più, con la even-tuale conseguente tempestivi-tà di trattamento instaurato.Inoltre, dal momento che lapotente azione terapeutica deiprostanoidi si svolge esclusiva-mente a livello microcircolato-rio, appare intuitiva la consi-derazione che il loro impiegosia tanto più efficace, quantopiù sia ancora efficiente la ri-serva microvascolare cutaneanell’arto sintomatico, od alme-no che la stessa risulti deterio-rata in misura non completa-mente irreversibile. I prosta-noidi maggiormente usati sonostati la prostaciclina naturale(PGI2), la prostaglandina(PGE1) e la prostaciclina sta-bile di natura sintetica (ilo-prost).Poiché la PGE1 naturale, im-piegata nei primi studi su ICAI,ha una emivita di pochi minu-ti, attualmente sono impiegatiesclusivamente dei derivati disintesi, come iloprost, ad azio-ne prolungata, con i quali sonostate realizzate in Europa lemaggiori esperienze sull’ische-

mia critica. Una meta-analisi ditrials randomizzati e control-lati versus placebo in paziential III e IV stadio di Fontainetrattati con farmaci diversi, tracui anche i prostanoidi (An-crod, Naftidrofuryl, PGI2,PGE1, iloprost) ha mostrato,in generale, una azione poten-zialmente utile di tutti i farma-ci esaminati sulla microcirco-lazione, riducendo il dolore ariposo ed accelerando la guari-gione di ulcere trofiche, men-tre, quando sono stati esami-nati, come end-points finali, itassi di amputazione maggioree di mortalità, soltanto il trat-tamento con iloprost ha mo-strato benefici statisticamentesignificativi120.

PGE1 (Alprostadil)

Impiegato nei primi studi cli-nici per via intra-arteriosa, perevitare la rapida inattivazionepolmonare, successivamente èstato impiegato tramite acces-so endovenoso in pazienti al IIIstadio di Fontaine o confron-tato con pentossifillina, chetuttavia non può essere consi-derata una terapia attiva di ri-ferimento121.Nello studio randomizzatocontrollato, in aperto, di Alsta-ed e collaboratori, relativo a228 pazienti con ulcere trofi-che, con e senza diabete melli-to, PGE1, confrontata con ilo-prost, mostrò una responsivi-tà complessiva al trattamento,intesa come assenza di doloreischemico e guarigione di ulce-re, di grado minore (43.1% vs52.7%). La risposta in ICAItrattata con iloprost risultòanaloga nei sottogruppi costi-tuiti da soggetti diabetici e nondiabetici (53% vs 51%), men-tre in ICAI sottoposta a PGE1la responsività dei diabetici, ri-spetto ai non diabetici, apparvesignificativamente minore (36%

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E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

vs 53%). Nel follow-up a seimesi il tasso di pazienti vivi econ arto integro risultò uguale(62%) nei due gruppi, mentrenel gruppo trattato con PGE1il tasso di amputazione fu lieve-mente minore (27% vs 32%),ma nettamente più alto quellodi mortalità (14.6% vs 7,5%)122.Lo studio italiano ICAI multi-centrico62,123, controllato e ran-domizzato, condotto in aper-to, di particolare rilevanza perla numerosità del campione(1.560 pazienti ICAI trattaticon Alprostadil o con terapiaconvenzionale per un periodomassimo di 28 giorni) previde,come end-points finali, la com-binazione di sovraggiunti gra-vi eventi cardiovascolari, qualimortalità, amputazioni mag-giori, infarto del miocardio,ictus e persistenza di ischemiacritica, valutati sia al momen-to della dimissione ospedalierache durante il successivo fol-low-up a sei mesi. Lo studio di-mostrò come la terapia con Al-prostadil avesse significativa-mente ridotto la incidenza dieventi cardiovascolari, al mo-mento della dimissione ospeda-liera, rispetto al gruppo di con-trollo (63.9% vs 73.6%, rispet-tivamente, con rischio relativodi 0.87, p<0.001), anche se talebeneficio tendeva ad annullar-si nel corso del rimanente fol-low-up a sei mesi (52.6% vs57.5%, rispettivamente, conrischio relativo di 0.92,p<0.074). Anche in questo la-voro, come negli altri citati,sono, però, mancate le indica-zioni relative al trattamento deisoggetti con ICAI persistenteed al loro successivo destino.

Iloprost

Costituisce l’analogo stabile disintesi della prostaciclina PGI2,con potente azione antiaggre-gante piastrinica in vitro (me-

diata dall’attivazione della ade-nilciclasi, con conseguente au-mento di formazione di AMPcintrapiastrinico) e di marcataazione vasodilatante, prevalen-te sul distretto arterioso, da at-tribuire in gran parte all’au-mento dei livelli di AMPc nel-le cellule muscolari lisce vasalied in parte ad altri meccanismi,quali la riduzione della rispo-sta vasocostrittrice al trombos-sano A2 e l’interazione con laneurotrasmissione simpatica,sia pre- che post-sinaptica, del-la muscolatura liscia vasale124.Recenti lavori sperimentali sumodello corneale murino,inoltre, dimostrano in vivo ilruolo angiogenetico di ilo-prost, mediato dalla induzionedel fattore di crescita vascolareendoteliale (e fortemente ridot-to dalla inibizione di VEGF) emodulato dalla attivazione spe-cifica di recettori localizzati nelnucleo cellulare125. L’utilizza-zione nella pratica clinica di ilo-prost nei pazienti ICAI parte,pertanto, dall’ipotesi che la suaazione a livello microcircola-torio blocchi l’interazione trapiastrine ed endotelio danneg-giato, determinando il miglio-ramento del flusso ematico edil ripristino dell’equilibrio fisio-logico tra prostanoidi endoge-ni, soprattutto prostaciclina, etrombossano. L’efficacia di ilo-prost agli inizi degli anni ’90fu valutata in 6 studi prospet-tici, multicentrici, randomizza-ti ed in doppio cieco, condottiin diversi Paesi europei ed ef-fettuati su un totale di 705 pa-zienti ICAI, al III e IV stadiodi Fontaine, non rivascolariz-zabili chirurgicamente: il far-maco fu somministrato al do-saggio di 0.5-2 ng/Kg/min per6 ore consecutive, per un ciclodi terapia variato da due a quat-tro settimane consecutive120.La meta-analisi dei risultati dei

6 studi126-128 sostanziò una signi-ficativa percentuale di respon-ders ad iloprost, confrontaticon quelli trattati convenzio-nalmente (51.5% versus 29.1%),mostrando una significativa ri-duzione del dolore ischemico(odds ratio=1.58) ed un incre-mento di guarigione delle ul-cere trofiche di almeno il 30%(odds ratio=2.48)120. La meta-analisi, inoltre, di tre studi confollow-up completato a tre(studio francese) e sei mesi (stu-di inglese e svedese) mostrò unasignificativa riduzione del tas-so di amputazione a favore diiloprost (p<.001)126-128. Lacombinazione dei tassi di am-putazioni maggiori e di mor-talità nei due studi con follow-up a 6 mesi evidenziò, inoltre,una significativa riduzione del-la prevalenza nel gruppo trat-tato con iloprost (35%; n=45/130), rispetto a quello trattatocon placebo (55%; n=68/124),dimostrando come in ogni pa-ziente ICAI l’uso di iloprostfosse significativamente asso-ciato (p<.001) ad una più ele-vata probabilità di rimanerevivi, e con i propri arti ancoraintegri120. La efficacia di ilo-prost, ripetutamente dimostra-ta negli studi su ICAI dei pri-mi anni ’90, indusse gli Autoriad abbandonare per motivi eti-ci l’uso del placebo negli studieffettuati negli anni successivi,limitando il confronto alla te-rapia medica convenzionale odad altra classe di prostanoidi,come PGE1, oppure misuran-do la efficacia e la tollerabilitàdi iloprost in aperto, con valu-tazione nel follow-up a distan-za di end-points importanti,come tassi di amputazionemaggiore, di mortalità e dicomplicanze cardiovascolari.Uno studio multicentrico ita-liano (GISAP Study)129 del1994, effettuato su 146 ICAI

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 219

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

trattati per 3-8 settimane alladose massima tollerata di 2 ng/Kg/min per 6 ore consecutivemostrò, invece, ad un anno difollow-up, tassi sensibilmenteinferiori, sia di amputazioni,maggiori e minori (19.9%), chedi mortalità (6.8%), concentratiprincipalmente entro un mesedal trattamento, in misura didue terzi, sul totale delle am-putazioni e, di circa metà, sultotale dei decessi. Nel GISAP,inoltre, la distribuzione deglieventi risultò ben bilanciata trapazienti diabetici e non, con untasso di amputazione significa-tivamente più elevato al IV sta-dio (26%) rispetto al III(6.5%)129.A differenza dello studio italia-no, in cui dopo un anno oltre80% dei pazienti ICAI rimasevivo e con arti integri, i datiriportati dalla Consensus Eu-ropea sull’ischemia critica ave-vano mostrato, dopo un anno,rispettivamente, una percen-tuale di sopravvissuti con artiancora integri nel solo 55% deicasi, associati ad un altro 25%di amputazioni maggiori ed unrimanente 20% di exitus1,2. Nelconfronto con PGE1, effettua-to dallo studio tedesco del 1993di Alstaedt e collaboratori, eprecedentemente summenzio-nato, il sottogruppo di pazientiICAI, di natura diabetica, trat-tato con iloprost, dimostrò unapercentuale di responders signi-ficativamente più elevata diquelli trattati con alprostadil(53% versus 36,6%, p<0.05)122.Un altro studio tedesco, inaperto, relativo a 900 paziential III e IV stadio di Fontaine econdotto nel 1996 da Staben eAlbring, dimostrò come l’effi-cacia del trattamento con pro-stanoidi risulti tanto maggiorequanto minore sia la compro-missione microcircolatoria,espressa dallo stadio clinico di

appartenenza dei pazienti: in-fatti, la percentuale di respon-ders risultò complessivamentedi 66%, negli appartenenti allostadio III, e di 41.8% nello sta-dio IV di Fontaine, mentre nelsottogruppo di ICAI diabeticale percentuali furono rispetti-vamente di 75.9% e di 44.6%al III e IV stadio, con una effi-cacia, quindi, del trattamentocon iloprost sostanzialmentesovrapponibile, sia nei sogget-ti non diabetici che diabetici130.Un ulteriore studio tedesco131

(DAWID Study Group) di 302pazienti ICAI, suddivisi inquattro sottogruppi, sottopo-sti, rispettivamente, a dosaggicrescenti di iloprost (25, 50, 100e 200 microgrammi/die perquattro settimane), dimostrò,invece, come la responsivitàalla terapia, documentata dascomparsa di dolore a riposo emiglioramento di lesioni trofi-che, ed attestatasi complessiva-mente tra 48.7% e 53.5%, nonfosse dose-dipendente, e comeil dosaggio ridotto a 50 micro-grammi avesse la stessa effica-cia di quello massimo titrabile,con il non indifferente vantag-gio di ridurre sensibilmente glieffetti collaterali del farmacodovuti alla vasodilatazione.Nello studio francese di Du-thois e collaboratori132, effet-tuato nel 2000, infine, 90 ICAIfurono trattati con iloprost per28 giorni consecutivi e la re-sponsività alla terapia (intesacome riduzione sensibile oscomparsa di dolore ischemi-co, riduzione di lesioni trofi-che ed incremento del percor-so di marcia) risultò di 47%,mentre dopo sei mesi, uno edue anni di follow-up il tassodi mortalità fu rispettivamen-te di 11%, 20% e 25%, quellodi amputazioni maggiori fu di27%, 30% e 32%, con una per-centuale complessivamente

decrescente di pazienti vivi econ arti integri, da 68% a 62%a 56% nei periodi sovraindica-ti. Anche in questo studio nonsi evidenziarono differenze si-gnificative, a sei mesi, tra ICAIdiabetici e ICAI non diabeticiin relazione, rispettivamente, atassi di mortalità (12% vs 10%),di amputazioni maggiori (23%vs 35%) od a percentuale com-plessiva di pazienti vivi e conarti integri (70% vs 65%)132. Lostudio francese, che utilizzò in66/90 pazienti ICAI la ossime-tria transcutanea come indicepredittivo, dimostrò come,dopo terapia con iloprost per28 giorni, la tensione parzialedi O

2 in posizione supina/de-

clive si fosse incrementata, si-gnificativamente, nei respon-ders passando, mediamente da6/34 mmHg a 26/42 mmHg,mentre rimase pressoché im-modificata nei non responders,passando da 5/29 a 13/28mmHg132.

Commento

La terapia medica con prosta-noidi deve essere considerata iltrattamento di elezione neipazienti con rischio di perditad’arto, in cui le procedure dirivascolarizzazione risultinoimpossibili, abbiano poca pos-sibilità di successo o siano pre-cedentemente fallite e, in par-ticolare, quando l’unica alter-nativa sia l’amputazione. Persfruttare a fondo la grande po-tenzialità di questi farmaci,occorre tuttavia sollecitarnel’impiego soprattutto nelle fasiiniziali della ischemia critica(dolore a riposo, lesioni trofi-che limitate) o nei casi in cuiICAI risulti non immediata-mente rivascolarizzabile (perle scarse possibilità di succes-so dell’intervento di riabilita-zione vascolare, per le scadu-te condizioni generali e/o l’età

220 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

avanzata del paziente o co-munque nelle situazioni in cuile procedure chirurgiche e/oendovascolari possano essereprocrastinate senza ulterioridanni per il paziente).

Casistica personale

La quasi totalità degli studicon i prostanoidi è basataesclusivamente su dati clinici eciò può aver condizionato ri-sultati contraddittori formula-ti su valutazioni soggettive ta-lora divergenti. Per superarequeste limitazioni, nel nostrolaboratorio vascolare vieneabitualmente effettuato lo stu-dio del microcircolo cutaneodell’arto ischemico mediantemisurazioni transcutanee del-le pressioni parziali di ossige-no ed anidride carbonica, del-la flussimetria laser-Doppler edella videocapillaroscopia asonda ottica65.In un nostro primo studio ef-fettuato nel 1995133 su una pic-cola casistica di 8 pazienti (7maschi, età media di 66 anni,range 46-86 anni, 1 diabetico,87% al IV stadio di Fontaine)affetti da ICAI non immedia-tamente rivascolarizzabile, eperciò trattati, nel tentativo disalvataggio d’arto, con iloprost,al dosaggio di 1.6 ng/kg/minper 6 ore/die e per 28 giorniconsecutivi, fu enfatizzata laimportanza di utilizzare la mi-surazione della tensione tran-scutanea di O

2 e CO

2, effettua-

ta bilateralmente all’avampie-de, sia in posizione supina chedeclive, previo riscaldamentodella sonda termostatata a 44°C, nel monitoraggio dei pa-zienti. La risposta clinica altrattamento, nel follow-up abreve termine, fu giudicata fa-vorevole in presenza di com-pleta scomparsa del doloreischemico, di cessazione asso-

luta dell’uso degli analgesici odoppiacei134 e di parziale guari-gione delle lesioni trofiche di-stali. Tre pazienti risultaronoresponders (R, 38%): due di essiavevano in precedenza effet-tuato, senza esito, simpaticoli-si percutanea fenolica, mentrenei rimanenti cinque non re-sponders (NR, 62%), tre arte-riopatici erano stati già sotto-posti inutilmente a simpatico-lisi percutanea fenolica e duead elettrostimolazione midol-lare epidurale cronica (SCS).Nel follow-up a tre mesi, si re-gistrarono un decesso e duetentativi estremi di rivascola-rizzazione chirurgica, di cuiuno fallito e gravato di unaamputazione maggiore ed unoseguito da exitus, nei mesi suc-cessivi (figura 3).Nel follow-up a sei mesi, soloil 50% dei pazienti ICAI dellanostra casistica risultò ancoravivente e con arto integro,mentre furono parimente ele-vati sia il tasso di amputazionemaggiore (25%) che quello dimortalità (25%) (figura 3). Nelfollow-up a 12 mesi tali percen-tuali risultarono invariate.La riconsiderazione da partedei chirurghi vascolari di effet-tuare un tentativo estremo di

rivascolarizzazione chirurgica,precedentemente escluso dopoindagine angiografica, nondeve essere considerato con-tradditorio, dal momento chele Linee Guida internazionaliconsigliano il ricorso alla tera-pia farmacologica con prosta-noidi, quando gli interventi dichirurgia ricostruttiva e/o en-dovascolare risultino impossi-bili, abbiano poca possibilità disuccesso o siano precedente-mente falliti1,2. Ulteriori auto-revoli indicazioni suggerisco-no, inoltre, che la terapia conprostanoidi possa essere effet-tuata anche quando il disegnosperimentale dello studio assi-cura che, nei pazienti ICAIeventualmente eleggibili per lachirurgia ricostruttiva, l’even-tuale tentativo farmacologicocon prostanoidi non rimandio ritardi eccessivamente l’inter-vento ricostruttivo e/o endo-vascolare, compromettendonel’esito134.Dal punto di vista strumentalemicrocircolatorio, la TCpO

2

supina mostrò complessiva-mente un andamento erraticoal piede sintomatico, incremen-tandosi però significativamen-te, dopo terapia con iloprost,nei tre R (passati da valori ba-

8 pazienti ICAIciclo di Iloprost 28 gg

3 responders 5 non responders

Follow-upa 3 mesi

1 decesso

Follow-upa 6 mesi

5 vivi con artointegro

2 by-pass

4 vivi con artointegro

1 decesso 2 amputazionimaggiori

Figura 3. Follow-up a 6 mesi di 8 pazienti con ischemia critica degliarti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile, trattati con sin-golo ciclo di terapia infusionale con iloprost.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 221

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

sali di 0, 3 e 24 mmHg a quellifinali di 11, 45 e 50 mmHg, ri-spettivamente) e rimanendo,invece, pressoché invariata neirestanti 5 NR (figura 4A). Inposizione ortostatica, vicever-sa, i livelli di TCpO

2 si incre-

mentarono significativamente(p<.02) in tutti i pazienti dopotrattamento con iloprost (figu-ra 4E). La TCpCO

2 supina al

piede sintomatico dei tre re-sponders mostrò un netto de-cremento dopo iloprost, pas-sando dai valori basali di 99, 44e 40 mmHg a quelli finali, pa-rafisiologici di 41, 38 e 37mmHg, rispettivamente, cor-relandosi così inversamentecon il corrispondente e signifi-cativo incremento ossimetricosupino/declive (figura 4C).Viceversa, nei 5 NR, TCpCO

2

supina post-trattamento risul-tò immodificata od addirittu-ra peggiorò incrementandosiulteriormente, in parallelo aduna corrispondente TCpO2,risultata sovrapponibile a zerommHg, e rimasta largamenteimmodificata dopo iloprost (fi-gura 4C). La misurazione di

TCpO2 e TCpCO

2, all’avam-

piede dell’arto controlaterale,documentò, in tutti gli 8 pa-zienti, significativi (p<.02) eparalleli incrementi ossimetri-ci e decrementi capnometrici,sia in posizione supina che de-clive, confermando, attraversola dimostrazione indiretta del-la efficacia di iloprost anche intale sede, il suo effetto sistemi-co, senza alcun fenomeno diemostorno dal lato sintomati-co (figura 4B,D,F,H).L’andamento dei parametrigasanalitici transcutanei, valu-tati bilateralmente al piede deipazienti, pertanto, configuraun modello sperimentale, co-stituito da un arto sintomati-co, in gravissima ischemia cri-tica, ed uno controlaterale, cor-rispondente ad uno stadiomeno severo di ICAI, confer-mando, peraltro, chiaramentecome la terapia farmacologicacon prostanoidi risulti tantopiù efficace, quanto più preco-cemente venga instaurato ilrelativo trattamento, dopo laformulazione diagnostica diICAI non immediatamente ri-

vascolarizzabile. Nella nostracasistica, infatti, il successo te-rapeutico si è realizzato nellatotalità degli arti ICAI contro-laterali, in cui la compromis-sione limitata e reversibile delmetabolismo microcircolato-rio locale ha corrisposto a sta-di clinici di ICAI meno seve-ra. Al piede sintomatico, inve-ce, dei responders, la riservamicrovascolare cutanea è risul-tata parzialmente esaurita, per-mettendo sul piano clinico lascomparsa di dolore a riposo ela lenta guarigione di lesionitrofiche.Specularmente, l’insuccessoregistrato all’arto sintomaticodei non responders è stato con-seguenza, con tutta probabili-tà, di una condizione moltopiù avanzata di ischemia criti-ca, in cui la suddetta riservamicrovascolare è risultata ir-reversibilmente esaurita. Leinevitabili e gravissime conse-guenze di ciò si sono tradotte,sul piano metabolico, nella per-sistenza di marcata ischemiaipossica, associata a grave aci-dosi tissutale locale (al piede

Figura 4. Misurazioni tensiometriche transcutanee di O2 e CO

2 effettuate prima e dopo trattamento con

iloprost, in posizione clino-ortostatica, all’avampiede sintomatico e controlaterale di 8 pazienti con ischemiacritica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile.

A B C D

E F G H

222 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

sintomatico) e sul piano clini-co, da un quadro sintomatolo-gico con persistenza di dolorea riposo, peggioramento edestensione di lesioni trofiche egangrena, che in alcuni casihanno obbligato alla demoli-zione chirurgica.Un nostro lavoro successivo èstato invece focalizzato sullaindividuazione di un eventua-le iter diagnostico-terapeutico,di tipo intensivo, da adattare alsingolo paziente e da sviluppa-re, nel management farmaco-logico di ICAI non immedia-tamente rivascolarizzabile, nelfollow-up a lungo termine, cer-cando di definire più precisa-mente la posologia, la durata ela periodicità dei cicli di tera-pia con prostanoidi28. Ventiseipazienti ICAI consecutivi (21con presenza di lesioni trofichedistali, 31 arti sintomatici, 15maschi, età media di 75.9 anni,range 59-84), portatori di dia-bete mellito di tipo II, compli-cato nella maggior parte deicasi da neuropatia periferica egiudicati inoperabili dopo an-giografia periferica, furono sot-toposti, in regime di ricovero

ordinario o di Day Hospital, acicli di terapia, per periodi didue-tre settimane, medianteinfusione giornaliera di ilo-prost (mediana di 1.2 ng/kg/min ev, per 6-10 ore consecu-tive die)28. I pazienti furonosottoposti a valutazioni clini-che e microcircolatorie (me-diante tensiometria transcuta-nea di O

2 e CO

2 degli arti infe-

riori) effettuate in condizionibasali, alla fine del ciclo di te-rapia con iloprost, dopo tre,sei, dodici, diciotto e ventiquat-tro mesi di follow-up. Anchein questo studio fu considera-ta risposta favorevole al tratta-mento la associazione di unmarcato miglioramento clini-co (completa remissione deldolore ischemico e cessazionedella terapia antalgica, progres-siva guarigione delle lesioni tro-fiche, eventuale incremento diautonomia di marcia) con quel-lo microcircolatorio, espressodal significativo incremento deiparametri tensiometrici di O

2

in clino/orto-statismo e dal ri-pristino di valori fisiologici diCO

2 in clinostatismo (figura 5).

Sul piano clinico, dopo un pri-

mo ciclo di terapia con ilo-prost, 14 pazienti (54%) risul-tarono responders ed i rima-nenti dodici (46%) furono giu-dicati non responders (figura6). Dopo conferma, nel corsodel follow-up, del buon anda-mento clinico e strumentaledell’arteriopatia diabetica, i 14responders furono invitati adeffettuare un nuovo ciclo diterapia con prostanoidi per ladurata di almeno due settima-ne, una volta all’anno, a parti-re dall’anno successivo al pri-mo trattamento (figura 6).L’evoluzione clinica dei rima-nenti 12 (46%) NR risultòmolto diversificata, dal mo-mento che tre pazienti (12%)furono riconsiderati, nei mesisuccessivi, per chirurgia riabi-tativa dell’arto sintomatico, neltentativo estremo di salvatag-gio d’arto, uno (4%) subì unaamputazione maggiore, nonpiù evitabile, mentre gli ottopazienti rimanenti (30%) effet-tuarono, nel giro di tre mesi,un nuovo ciclo di terapia coniloprost, per dosaggio (1.2 ng/kg/min ev) e durata (media didue settimane), analogo al pri-

Avampiede destro Basale Post-terapia Follow-up Follow-up Follow-up Follow-up3 mesi 6 mesi 12 mesi 24 mesi

TCpO2 supino/declive 0/25 25/41 35/49 42/52 42/60 51/56

mmHg mmHg mmHg mmHg mmHg mmHg

TCpCO2 supino/declive 53/40 40/39 40/39 39/38 38/35 36/35

mmHg mmHg mmHg mmHg mmHg mmHg

Figura 5. Andamento clinico (guarigione della lesione trofica, presente al quinto dito del piede sintoma-tico) e microcircolatorio di paziente con ischemia critica degli arti inferiori, non immediatamenterivascolarizzabile ed affetto da Eritremia Essenziale, trattato con singolo ciclo di iloprost effettuato per 15giorni consecutivi. Levalutazioni tensiome-triche transcutanee diO

2 e CO

2 all’avampiede

sintomatico sono stateeffettuate in clino/ortostatismo prima edopo terapia con ilo-prost e nel follow-up atre, sei, dodici e venti-quattro mesi, rispettiva-mente.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 223

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

mo trattamento. Cinque degli8 pazienti sottoposti a secon-do ciclo di iloprost mostraro-no, seppur più tardivamente,una risposta favorevole alla te-rapia (Late Responders, LR),elevando così la percentualecomplessiva dei responders daun iniziale 54% fino a 73% asei mesi. Degli altri tre pazien-ti trattati secondariamente coniloprost, uno subì un’amputa-zione maggiore per infezioneosteomielitica del calcagno sin-tomatico, nonostante il cospi-cuo miglioramento della per-fusione locale indotto dall’elet-trostimolatore midollare spina-le (SCS), impiantato dopo ilo-prost; un’altra paziente fu sot-toposta ad angioplastica dista-le bilaterale, che permise di li-mitare l’amputazione ad unsolo dito del piede più compro-messo e l’ultima proseguì atempo indefinito la terapiamedica con oppiacei ed antido-lorifici, conservando però adistanza di 24 mesi l’integritàdell’arto ischemico (figura 6).Nel follow-up a 6 mesi, dei dia-betici ICAI, si registrarono dueamputazioni maggiori (6.5% su

31 arti sintomatici) ma non siregistrò alcun decesso e quin-di, a tale data, si documentòcomplessivamente un tasso disopravvivenza del 100% (73%di responders e 27% di NR) (fi-gura 7). Nel follow-up a 12mesi, invece, il tasso comples-sivo di mortalità fu di 11%(n=3 pazienti, di cui una pre-cedentemente amputata) percause cardiovascolari, mentrevi furono tre amputazionimaggiori (9.7% su 31 arti) eduna minore (limitata ad undito) in una paziente preceden-

temente sottoposta con succes-so ad angioplastica distale. En-tro un anno, pertanto, i pazien-ti ICAI, ancora vivi e con artointegro, costituirono una per-centuale complessiva di 80.7%(n=21/26) rispetto alla casisti-ca iniziale (figura 7). Nel corsodel secondo anno di follow-up,infine, l’osservazione clinicadocumentò un tasso comples-sivo di mortalità (per cause car-diovascolari) rispettivamentedi 15.3% e 19.2%, a 18 e 24mesi, mentre la percentuale disoggetti amputati rimase inva-riata (9.7% su 31 arti, 11.5% deltotale dei pazienti) e non furo-no praticate ulteriori rivasco-larizzazioni o terapie antidolo-rifiche aggiuntive. In conclu-sione, i pazienti, ancora vivi econ arto integro, costituironouna percentuale complessiva di77% (n=20/26) a 18 mesi e di73% (19/26) a 24 mesi, rispet-to alla casistica totale iniziale(figura 7).La notevole gravità di ICAIdiabetica della nostra casisticavenne documentata sul pianostrumentale microcircolato-rio, sia dalla marcata riduzio-ne della TCpO

2 in clino/orto-

statismo, che dal discreto incre-mento ortostatico di TCpCO

2

al piede sintomatico (tabella 5).

Figura 6. Follow-up a 6 mesi di 26 diabetici in ischemia critica degliarti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabili, trattati con unoo due cicli di terapia infusionale con iloprost.

26 diabetici di tipo III ciclo con iloprost

14 responders 12 non responders (NR)

8 NRII ciclo con iloprost

3 NRChirurgia vascolare

1 NRamputazione

maggiore

5 responderstardivi

1 NRnon

amputazione

1 NR: PTA +non

amputazione

1 NR: SCS +amputazione

maggiore

PTA: angioplastica percutanea; SCS: elettrostimolazione midollare spinale

Figura 7. Tassi di sopravvivenza e di pervietà di arto nel follow-up alungo termine (36 mesi) di 26 diabetici con ischemia critica degli artiinferiori, non immediatamente rivascolarizzabile e sottoposti a cicliripetuti di terapia con iloprost.

110

90

80

70

Sopravvivenza Pervietà di arto

%

0 3 6 12 18 24 36Totale pazienti (n=26)

Vivi 26 26 26 23 22 21 20

Deceduti 0 0 0 3 1 1 1

Amputati 0 1 1 1 0 0 0

224 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

In condizioni basali, infatti, laTCpO

2 supina mostrò valori

ossimetrici inferiori a 5 mmHgnel 55% dei casi e la TCpO

2

declive risultò inferiore a 30mmHg nel 52% dei pazienti,mentre la TCpCO

2 in clinosta-

tismo fu superiore a 50 mmHgin oltre un terzo (35%) dei pa-zienti (tabella 5).Il dato strumentale microcirco-latorio ossi-capnometrico risul-tò ben correlato con la suddi-visione clinica dei pazienti (inresponders e non responders),a seconda della efficacia delprimo ciclo di trattamento coniloprost. Dal punto di vista mi-crocircolatorio, infatti, la ri-sposta (favorevole o sfavorevo-le) dopo primo ciclo di iloprostfu stratificata mediante tertilidi TCpO

2 (<1 mmHg, tra 1 e

23 mmHg e >23 mmHg) e diTCpCO

2 (<40 mmHg, tra 40

e 53 mmHg e >53 mmHg),mentre mediante likehood ra-tio fu quantificato il poterepredittivo positivo (percentua-le di successi diviso percentua-le di fallimenti) o negativo (per-

centuale di fallimenti divisopercentuale di successi) di que-sti due parametri. La suddivi-sione in tertili fu usata per lamancanza di riferimenti biblio-grafici circa la definizione diparametri normali di TCpCO

2

che fossero di utilità praticanella categorizzazione diagno-stica e nella predittività pro-gnostica dei pazienti ICAI135.Negli ICAI più compromessi(tertile di TCpCO

2 >53

mmHg e di TCpO2 <1

mmHg) le rispettive likehoodratio hanno corrisposto, rispet-tivamente a 10.7 e 3.3 mentre,viceversa, nei diabetici ICAImeno gravi (tertile di TCpO

2

>23 mmHg e di TCpCO2

<40 mmHg) le rispettivelikehood ratio corrisposero inmodo inverso, rispettivamen-te a 17.8 e 3.8. Dal momentoche soltanto quando la likeho-od ratio supera 10 (oppure<0.1), tale parametro è in gra-do di modificare le attitudinidiagnostico-terapeutiche con-solidate, si evince come la pre-dittività negativa (di insuc-

cesso del trattamento con ilo-prost) sia stata espressa moltopiù efficacemente dall’incre-mento di TCpCO

2 al disopra

di 53 mmHg (10/11 arti) piut-tosto che dalla riduzione diTCpO

2 al di sotto di 1 mmHg

(10/13 arti).Al contrario, la predittivitàpositiva (del successo della te-rapia) è stata espressa molto piùvalidamente da misure diTCpO

2 superiori a 23 mmHg

(9/9 arti) di quanto abbia con-tribuito la TCpCO

2 inferiore

a 40 mmHg (8/10 arti), con unindubbio vantaggio clinico de-rivante dalla possibilità di piùprecise stratificazioni progno-stiche e di più razionali strate-gie terapeutiche135. La ulterio-re suddivisione clinica dei pa-zienti non responders28, dopoun secondo ciclo di iloprost,effettuato entro pochi mesi didistanza dal primo, nei due sot-togruppi di responders tardivie definitivi non responders,inoltre, risultò correlato con irispettivi, parziali od assenti,miglioramenti dei parametri

Pazienti Responders Responders tardivi Non Responders

n=26 (Arti=31) n=14 (Arti=16) n=5 (Arti=6) n=7 (Arti=9)

mmHg N % N % N % N %

TCpO2

< 5 16 52 3 19 5 83 8 89Supina 6-20 4 13 3 19 1 17 0 -

21-30 9 29 8 50 0 - 1 11>31 2 6 2 12 0 - 0 -

TCpO2

<10 5 16 2 12 0 - 3 33Declive 11-20 4 13 0 - 2 33 2 23

21-30 8 26 4 26 1 17 3 3331-40 3 10 2 12 1 17 0 ->41 11 35 8 50 2 33 1 11

TCpCO2

<40 17 55 14 88 1 16 3 33Supina 41-50 3 10 1 6 1 16 0 -

51-60 5 16 1 6 3 50 1 11>61 6 19 0 - 1 17 5 56

Tabella 5. Distribuzione dei valori tensiometrici medi di O2 e CO

2 rilevati basalmente all’avampiede

sintomatico (n=31 arti) di 26 diabetici con ischemia critica degli arti inferiori non immediatamenterivascolarizzabile. I valori sono rapportati all’esito clinico del follow-up a sei mesi dopo trattamento conuno o due cicli infusionali con iloprost.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 225

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

tensiometrici indicativi dellagravità di ICAI, già dopo ilprimo ciclo di prostanoidi (ta-bella 6). Il miglioramento de-gli indici metabolici più seve-ramente compromessi (TCpO

2

supina <5 mmHg, TCpO2 de-

clive <30 mmHg e TCpCO2

supina >50 mmHg), infatti, fuosservato solo parzialmente inLR, ma risultò completamen-te assente in NR, dopo il pri-mo ciclo di iloprost (tabella 6).

Considerazioni

Nel confronto tra i nostri duelavori si evidenzia come i mi-gliori risultati siano stati otte-nuti nel secondo (54% di re-sponders vs 38%, p=.01), in cuii pazienti ICAI, pur essendopiù anziani (media 75.6 anni vs65.9, p=.01) e più compromes-

si (81% di appartenenti al IVstadio vs 75%, p=NS), usufru-irono, paradossalmente, di untrattamento con iloprost piùefficace, effettuato per un pe-riodo temporale più breve(14.1 gg vs 28 gg, p=.001) ed adosaggi ridotti (1.2 ng/kg/minvs 1.6 ng/kg/min, p=.01) (ta-bella 7). A nostro avviso, taleparadosso trova possibile spie-gazione in una sopravvenutamaggior precocità di diagnosimicrocircolatoria, che ha con-sentito la tempestiva intercet-tazione di ICAI in una fase incui l’arteriopatia mostrava unariserva microvascolare menocompromessa e perciò teori-camente più reattiva a ilo-prost, come viene evidenzia-to dalla presenza di parametrimetabolici ossi-capnometrici

più gravi (TCpO2 supina <5

mmHg, TCpO2 declive <30

mmHg e TCpCO2 supina

>50 mmHg) che costituiva-no rispettivamente 87%, 62%e 50% nel primo studio con-tro 55%, 52% e 35% nel secon-do (p=.01) (tabella 7).Un altro importante punto dasottolineare, comunque è co-stituito dalla assoluta carenzadi Linee Guide internaziona-li, che indichino il percorsodiagnostico-terapeutico da se-guire nel management del pa-ziente ICAI, non solo nell’os-servazione a breve termine,ma anche, e soprattutto, nelfollow-up a lungo termine. E’presumibile infatti congettura-re che, data la brevità dellaemivita di iloprost, che vieneinattivato al primo passaggio

Pazienti AS TCpO2

TCpO2

TCpCO2

n=26 n=31 Supina <5 mmHg Declive <30 mmHg Supina >50 mmHg

Basale Post-terapia Basale Post-terapia Basale Post-terapia

Responders 14 16 25% 0% 38% 6% 6% 0%

Responders tardivi 5 6 83% 66% 50% 66% 67% 33%

Non responders 7 9 89% 89% 78% 78% 67% 67%

AS: Arti sintomatici

Tabella 6. Distribuzione dei valori tensiometrici medi di O2 e CO

2 nei pazienti con ischemia critica degli

arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile, metabolicamente più compromessi, rilevati primae dopo unico ciclo di terapia con iloprost e suddivisi in base alla risposta clinica nel follow-up a 6 mesi.

Tabella 7. Caratteristiche demografiche e valutazioni microcircolatorie basali di 2 gruppi di pazienti conischemia critica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile, confrontati con risposta clini-ca a singolo ciclo di terapia con iloprost.

I studio134 (n=8) II studio28 (n=26) p

Età (media anni) 65.9 75.7 .01Sesso (% maschi) 87% 58% < .05•Diabete mellito (%) 12% 100% .001•Classe IV di Fontaine (%) 75% 81% ns

•TCpO2 supina (<5 mmHg) 87% 52% .01

•TCpO2 declive (<30 mmHg) 62% 55% ns

•TCpCO2 supina (>50 mmHg) 50% 35% < .05

Terapia iloprost- media durata (gg) 28 14.1 .001- medio dosaggio (ng/kg/min) 1.6 1.2 .01- regime ricoveriale ordinario ordinario/DHResponders (I ciclo) (%) 37% 54% .01

226 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

Retimingchirurgico

Amputazioneprimaria

intrapolmonare (da ciò la ne-cessità di infusioni prolunga-te per ore, per aumentarnel’efficacia), quando il reversi-bile vantaggio iniziale, conse-

Figura 8. Algoritmo diagnostico terapeutico dell’ischemia critica degliarti inferiori.

AngiografiaEco Color Doppler

Tensiometria di O2 e CO2

Rivascolarizzazione Rivascolarizzazioneimpossibile

Responders doporivascolarizzazione

ProstanoidiI ciclo

Fallimento proceduraprecoce/tardivo

Monitoraggio TCpO2-CO2

Monitoraggio clinicoAntiaggreganti, statine,

ACE-inibitori

Amputazione

Nonresponders Responders

ProstanoidiII ciclo

Responderstardivi

Terapia annualecon prostanoidi

Nonresponders

SCSprovvisorio

Monitoraggio TCpO2-CO2

SCSdefinitivo

Terapia genicaCellule staminali

RespondersNonresponders

Amputazione

Figura 9. Valutazione di TCpO2 supina al piede sintomatico (N=31 arti) nel follow-up a lungo termine

(12 mesi) di 26 diabetici con ischemia critica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile,sottoposti ad uno (responders) o due cicli (responders tardivi e non responders) di terapia infusionale coniloprost (ILO).

*secondo ciclo di iloprost

guito con i primi trattamenti,è destinato ad esaurirsi, il pa-ziente è costretto, in mancan-za di ulteriori interventi tera-peutici, sia di tipo farmacolo-

gico che non, a ritornare dal-lo stadio clinico di claudicatioa quello di ischemia critica,con la conseguente riproposi-zione di una nuova fase di ri-schio elevato di perdita d’arto(figura 8).La necessità di trattamenti in-fusionali con iloprost, uni opluri-annuali ripetuti è, peral-tro, suggerita dalla osservazio-ne dell’andamento emogas-analitico transcutaneo di O

2 e

CO2 osservato al piede sinto-

matico dei soggetti R, LR eNR nel corso del primo annodi follow-up (figura 9 e figura10). In base a tale andamento,si può infatti ipotizzare chel’effetto favorevole del tratta-mento con iloprost, quando simanifesta, non si esaurisca alsolo periodo temporale di te-rapia infusionale, come ritenu-to in passato, ma che prose-gua anche nei primi mesi suc-cessivi alla terapia stessa.Nei soggetti responders, infat-ti, gli effetti favorevoli di ilo-prost sul metabolismo localedell’arto ischemico, espressidall’incremento significativodi ossigeno all’avampiede sin-tomatico, si estrinsecano mas-simamente entro tre mesi, sistabilizzano nel primo seme-stre e tendono a ridursi nelsemestre successivo, rendendonecessari, negli anni successi-

SCS=elettrostimolazione midollare spinale

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 227

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

vi, ulteriori cicli di terapia far-macologica per conservare ilvantaggio iniziale conseguitocol primo trattamento (figura9 e figura 11). Nei soggetti LRsolitamente un primo tratta-mento non aumenta significa-tivamente l’ossimetria in cli-nostatismo, ma tende ad ab-bassare la corrispondente edelevata CO

2 supina, mentre

solo dopo un secondo tratta-mento si incrementano signi-ficativamente i valori ossime-trici e si stabilizzano definiti-vamente quelli capnometrici;anche in tali pazienti, la cicli-cità annua dei successivi trat-tamenti tende a collocare iparametri gasanalitici al di fuo-ri del range metabolico, in cuiè presente rischio di perditad’arto (figura 9, figura 10 e fi-gura 12).Nei pazienti NR, invece, iparametri ossi-capnometricirimangono immodificati dopocicli ripetuti e soltanto la ri-mozione invasiva, chirurgicae/o endovascolare, di lesioniemodinamiche macroangiopa-tiche, può modificare il dram-matico trend sfavorevole ini-ziale (figura 9, figura 10 e fi-gura 13). La possibilità, peral-tro che l’intervento chirurgi-co e/o endovascolare di riabi-tazione vascolare degli arti in-feriori possa essere preceduto

Figura 10. Valutazione di TCpCO2 supina al piede sintomatico (N=31 arti) nel follow-up a lungo termi-

ne (12 mesi) di 26 diabetici con ischemia critica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabili,sottoposti ad uno (responders) o due cicli (responders tardivi e non responders) di terapia infusionale coniloprost (ILO).

*secondo ciclo di iloprost

Figura 11. Valutazioni tensiometriche transcutanee di O2 effettuate

bilateralmente ed in posizione clino-ortostatica, all’avampiede di pa-ziente diabetica con ischemia critica degli arti inferiori, non immediata-mente rivascolarizzabile, responder a primo ciclo di terapia con iloprost,e sottoposta a successivi cicli infusionali, ripetuti annualmente.

80

70

60

50

40

30

20

10

0

25/0

7/19

9817

/11/

1998

27/0

9/20

00

04/0

7/20

00

03/0

3/19

9930

/07/

1999

13/0

2/20

0119

/03/

2001

15/0

3/20

0214

/10/

2002

O2 declive Sx

O2 declive Dx

O2 supina Sx

O2 supina Dx

Figura 12. Valutazioni tensiometriche transcutanee di O2 e CO

2 ef-

fettuate al piede sintomatico di paziente diabetica, con ischemia cri-tica degli arti inferiori, non immediatamente rivascolarizzabile,responder tardiva dopo secondo ciclo di terapia con iloprost e sotto-posta a successivi cicli infusionali, ripetuti annualmente.

Iloprost Iloprost Iloprost Iloprost Iloprost

mm

Hg

60

50

40

30

20

10

0

24/0

2/20

00

mm

Hg Iloprost Iloprost Iloprost Iloprost Iloprost

02/0

5/20

03

22/0

3/20

03

22/1

1/20

02

14/1

2/20

01

10/0

7/20

01

15/0

2/20

02

25/0

7/20

0025

/10/

2000

12/0

1/20

0121

/03/

2001

30/0

3/20

0004

/05/

2000

31/0

5/20

00

CO2 supinaCO2 declive

O2 declive

O2 supina

228 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Melillo, M. Nuti, A. Balbarini

o seguito da ulteriori cicli diterapia farmacologica con pro-stanoidi, è evenienza tutt’altroche infrequente, e trova unsuo razionale, nel manage-ment di ICAI, diabetica e non,soprattutto quando viene uti-lizzata routinariamente la va-lutazione microcircolatoriatranscutanea di O

2 e CO

2, che

permette il trattamento inten-sivo farmacologico nei mo-menti più indicati (figura 14).

Conclusioni

Il trattamento medico di tipofarmacologico in prima inten-zione attualmente riguarda cir-ca il 20-25% dei pazienti ICAI,oltre ad una piccola percentua-le di soggetti per i quali, dopoil fallimento parziale o totaledell’atto chirurgico, una ampu-tazione secondaria d’embléepossa essere evitata. La terapiafarmacologica rimane di secon-da scelta (da effettuarsi quan-do la chirurgia non è assoluta-mente eseguibile o quando èsconsigliata nell’immediato),ma non deve essere considera-ta solo come l’estremo tentati-vo da praticare in caso di falli-mento o di improponibilità dirivascolarizzazione cruenta,quanto piuttosto come inter-vento talora complementare ofinalizzato a pratiche di riva-scolarizzazione che diano mag-giori risultati a distanza (figura8). Il trattamento farmacologi-co si giova essenzialmente del-l’uso dei prostanoidi, ed in par-ticolare di un analogo dellaprostaciclina, iloprost, chemostra una maggior efficaciarispetto alla prostaglandinaPGE1, soprattutto nei sogget-ti diabetici, seppur in presenzadi un maggior numero di ef-fetti collaterali. La nostra espe-rienza suggerisce che il primotrattamento con iloprost può

Figura 13. Valutazioni tensiometriche transcutanee di O2 e CO

2 ef-

fettuate bilateralmente ed in posizione supina all’avampiede di pa-ziente diabetica, con ischemia critica degli arti inferiori, non imme-diatamente rivascolarizzabile, non responder dopo secondo ciclo diterapia con iloprost e sottoposta con successo ad angioplasticapercutanea.

Figura 14. Valutazioni tensiometriche transcutanee di O2 e CO

2 ef-

fettuate bilateralmente ed in posizione supina all’avampiede di pa-ziente non diabetica, con ischemia critica degli arti inferiori, nonimmediatamente rivascolarizzabile, non responder dopo secondo ciclodi terapia con iloprost ed a SCS provvisorio, sottoposta con successoa rivascolarizzazione mediante bypass femoro distale e trattata suc-cessivamente con cicli ripetuti di iloprost.

PTA=Angioplastica percutanea;SCS=Elettrostimolazione midollare spinale

120

100

80

60

40

20

0

mm

Hg

O2 supino Dx CO2 supino Dx

O2 supino Sx CO2 supino Sx

Inefficaciadi

pregressoSCS

definitivo

ILOluglio2001

I ciclo

ILOsettembre

2001II ciclo

PTA

pros.destra

Dic. 2001

dist.sinistra

Mar. 2002

01/0

1/0

1

03/0

8/0

1

25/0

7/0

1

30/0

6/0

1

06/1

0/0

1

10/0

9/0

1

28/0

3/0

3

10/1

2/0

1 data

T.M.G. (F) 60 aa NIDNon Responder

PTA=Angioplastica percutanea;SCS=Elettrostimolazione midollare spinale

120

100

80

60

40

20

0

mm

Hg

O2 supino Dx CO2 supino Dx

O2 supino Sx CO2 supino Sx

01/0

1/02 data

20/1

2/02

11/0

1/03

27/0

1/03

11/0

3/03

15/1

2/03

30/0

3/04

04/0

6/04

28/0

9/04

27/1

0/04

22/0

4/05

22/0

7/05

Inefficaciadi cicli

infusionaliAlprostandil

Iloprost17 gg

SCSprovvis.

Feb.2003

Bypassfemorodist.

destro+

amputaz.avampiede

destroMag. 2003

SCSdefinitivaLug. 2003

Iloprost14 gg

Iloprost15 gg

DeS. B. (F) 83 aaICAI bilaterale

Iloprost14 gg

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 229

Algoritmo diagnostico e terapeutico dell’ischemia critica degli arti inferiori non immediatamente rivascolarizzabile

essere ottimizzato limitando laterapia ad un periodo di due-tre settimane consecutive (an-ziché quattro), ad un dosaggioridotto (1.2 ng/kg/min) e pro-lungato fino a 10 h/die, che ri-sulta molto meglio tollerato dalpaziente e mostra efficacia so-vrapponibile a quella dellemassime dosi titrabili consiglia-te inizialmente dall’industriafarmaceutica. Nei soggetti re-sponders, la ripetizione ciclicaannua di un singolo trattamen-to con iloprost della durata didue-tre settimane, a dosaggi ri-dotti, è in grado di stabilizzarela arteriopatia, evitando, in as-senza di complicanze macroan-giopatiche, la perdita d’arto perperiodi di tempo illimitati (fi-gura 8).Nei soggetti non responders,un secondo ciclo di terapia coniloprost, effettuato a distanzadi pochi mesi dal primo, puòcontribuire ad elevare in misu-ra percentualmente consisten-te la responsività (tardiva) di ul-teriori arteriopatici ICAI, an-che quando un primo ciclo diterapia è apparso inefficace. Lasola valutazione clinica nel mo-nitoraggio a lungo tempo deipazienti ICAI è, a nostro avvi-so, insufficiente nel deciderel’opportunità di effettuareeventuali ulteriori periodicitrattamenti con prostanoidi,uni- o pluri-annuali. Lo studiodella microcircolazione cuta-nea periferica e, in particolare,l’uso della tensiometria tran-scutanea di O

2 e CO

2 appare il

parametro più sensibile nelmonitoraggio della ICAI (figu-ra 8). Dopo un primo tratta-mento con iloprost, infatti, lapersistenza di marcata ischemiaipossica del piede sintomatico,in posizione supina/declive, inconcomitanza di persistenteipercapnia clinostatica (supe-riore a 53 mmHg), conferma

pericolo di perdita d’arto e con-figura la necessità di prolunga-re il trattamento con ulterioricicli di iloprost e/o il ricorsoeventuale a terapie alternative(per esempio elettrostimolazio-ne midollare cronica, terapiagenica/staminale) o la eventua-le riproposizione di praticheinvasive (re-timing chirurgico,angioplastica distale), in primaistanza non praticabili permotivazioni diverse (figura 8).Viceversa, una terapia con ilo-prost che abbia determinato unincremento tensiometrico su-pino di O

2 superiore a 23

mmHg con normocapnia, in-dica miglioramento della ICAIcon relativa stabilizzazionedella macroangiopatia e regres-sione clinica al II stadio di Le-riche-Fontaine. Valori ossime-trici clinostatici intermedi (tra1 e 23 mmHg) con normocap-nia indicano invece la persi-stenza di una ancora relativainstabilità della macroangiopa-tia ICAI, che pertanto necessi-ta di un più stretto monitorag-gio diagnostico strumentale eterapeutico, ma che, con mol-ta probabilità, potrà beneficia-re favorevolmente del solotrattamento medico con pro-stanoidi. La selezione dei pa-zienti ICAI da trattare conprostanoidi è comunque ne-cessaria, poiché è del tutto inu-tile proporre un trattamentolungo e costoso, che allevi soloparzialmente il perdurantecorteo sintomatologico e fac-cia posticipare solo di qualchesettimana una amputazionealtrimenti inevitabile in sog-getti da molto tempo provatipsichicamente e fisicamente(figura 8). Risulta invece essen-ziale formulare al più prestola diagnosi di ischemia criticae sottoporre il paziente ICAIinoperabile ad un trattamen-to medico intensivo persona-

lizzato, in cui sia previsto an-che un largo uso di prostanoi-di, ben sapendo che, comun-que, il costo sociale di unaamputazione risulta decisa-mente superiore ad un tratta-mento intensivo prolungatonel tempo.La elevata mortalità di ICAIper cause cardiovascolari (25%entro un anno dalla diagnosisecondo TASC 2000) rendeindispensabile il ricorso a te-rapie farmacologiche di sup-porto con antiaggreganti, sta-tine, ACE-inibitori, proprioper la prevenzione delle temi-bili complicanze cardiache ecerebrali tipiche dell’arterio-patia cronica periferica (figu-ra 8). I risultati promettentiottenuti nell’ultimo decenniocon l’uso dei prostanoidi neireparti di angiologia e chirur-gia vascolare impegnati neigrandi trials nazionali ed in-ternazionali, con tutta proba-bilità, non sono automatica-mente estensibili a centri ospe-dalieri non specializzati neltrattamento di questi pazien-ti. Da tutto ciò, a nostro avvi-so, sorge la necessità di crearestrutture angiologiche e/ochirurgiche vascolari o co-munque centri di riferimentocon competenze pluri-specia-listiche integrate e qualificate,in grado di fornire competen-ze mediche capaci non solo dievitare amputazioni estese inpazienti anziani e defedati, maanche di fornire scelte terapeu-tiche complessive, adatte a ga-rantire una qualità di vita ac-cettabile per arteriopatici gra-vemente e sistemicamentecompromessi.

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Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 235

Review

Protezione cerebrovascolareParte 2. I risultati dei nuovi trial con statine

Enzo Manzato1,Pier Luigi Malini2

1Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche, Università degli Studi,Padova2Dipartimento di Medicina Interna,Policlinico “S. Orsola-Malpighi”,Università degli Studi, Bologna

Enzo ManzatoDipartimento di Scienze Medico-ChirurgicheUniversità degli StudiVia Giustiniani 235128 Padova

Cerebrovascular protectionPart 2. Outcome of new trials including blood pressure and lipid lowering drugs

SummaryThe results coming from clinical trial performed in last years are modifying our knowledge about the real roleof some therapeutic intervention in stroke’s prevention and treatment. The benefit of blood pressure loweringdrugs has been consolidated from these trials; on the other hand the benefit of lipid lowering treatments isgrowing both in primary and secondary prevention. An emerging feature of these two class of drugs is theclinical benefit associated with their ancillary properties (anti-inflammatory, antioxidant etc.). In this review weshow the data coming from the most recent trials in an homogeneous way, in the convincement that only acomprehensive rather than a fragmentary vision allows the clinicians the best therapeutic choice.

Manzato E, Malini PL. Cerebrovascular protection. Part 2. Outcome of new trials including blood pressure andlipid lowering drugs. Trends Med 2006; 6(3):235-245.© 2006 Pharma Project Group srl

Key words:strokelipidshypertensiontrial

La relazione esistente fra co-lesterolemia ed eventi ce-

rebrovascolari è stata per mol-ti anni controversa: i dati diepidemiologia osservazionalenon sono infatti univoci e co-erenti e, salvo rare eccezioni,non hanno dimostrato inmodo chiaro l’esistenza di unarelazione certa fra colestero-lemia totale (CT) ed ictus1,2.Nel Multiple Risk Factor In-tervention Trial (MRFIT) èstata osservata per la primavolta una relazione fra coleste-rolo ed eventi cerebrovascola-ri, ma solo a partire da valoridi colesterolemia totale >190mg/dL (figura 1)3. Questo ri-sultato non è stato conferma-to però da studi longitudinalisuccessivi ed altrettanto accu-rati: per esempio Shahar e col-laboratori hanno monitoratoper 12 anni consecutivi 14.175pazienti inclusi nel The Athe-rosclerosis Risk In Communi-ty study (ARIC) senza rileva-

re alcuna relazione fra ictus enumerosi parametri lipidici:LDL-C, Apo-B, HDL-C,Apo-A1 e trigliceridi4.Risultati ambigui sono statiriportati anche da Wanna-methee e collaboratori su unacoorte di 7.683 maschi di etàcompresa fra 40 e 59 anni, se-guiti per 16.8 anni: in questostudio una relazione inversa èstata registrata solo fra HDL-C ed ictus non fatale, mentrela relazione diretta fra coleste-rolo totale ed ictus è risultatanon significativa5. Allo statodei fatti si può affermare chegli studi osservazionali, anchedi dimensioni congrue perpazienti inclusi e durata delfollow-up, non sono stati ingrado di individuare l’esisten-za di una relazione certa fracolesterolo totale (e colestero-lo-LDL) e rischio cerebrova-scolare. E’ interessante infinenotare che, a fronte di unascarsità di dati fra CT ed ic-

236 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Manzato, P.L. Malini

tus, l’esistenza di una relazio-ne fra colesterolo-HDL ed ic-tus è stata invece individuatada numerosi rilevamenti, an-che se con diversa forza neidue sessi6-8.

Ictus e terapiaipolipemizzante

Anche negli studi di interven-to, la relazione fra LDL e ri-schio cerebrovascolare è ap-parsa controversa fino a quan-do non sono divenuti dispo-nibili i risultati dei primi me-gatrial con statine9,10. Un am-pio margine di incertezza esi-ste infatti fino al 1995, primadell’introduzione delle statine.Due studi sono particolarmen-te suggestivi in questo conte-sto, uno di tipo chirurgico, ilPOSCH, ed uno con clofibra-to11,12. Nel PrOgram on theSurgical Control of theHyperlipidemias (POSCH),pazienti obesi con dislipide-mia familiare furono sottopo-sti a bypass ileale parziale: iltrattamento chirurgico ridus-se i livelli di colesterolo totaledel 23%, di LDL-C del 38% edincrementò i livelli di HDL-C del 4% rispetto al gruppodi controllo; a fronte di que-

ste variazioni dei parametrilipidici si registrò una riduzio-ne a cinque anni della morta-lità coronarica (-28%) ed unariduzione del 35% del nume-ro di infarti miocardici acuti(IMA), senza alcuna variazio-ne significativa degli eventi ce-rebrovascolari11. In uno studiocon clofibrato, a fronte di unariduzione del colesterolo tota-le dell’8% si osservò addirit-tura un raddoppio dei casi diictus12.Solo dopo l’introduzione del-le statine, si è osservato un ca-povolgimento delle precedentiacquisizioni. La maggior par-te dei trial con statine ha in-fatti mostrato una riduzionedegli eventi cerebrovascolarisostanzialmente sovrapponi-bile alla riduzione degli even-ti coronarici13-16. Inoltre, stu-di recenti hanno evidenziatouna prognosi migliore nei pa-zienti pre-trattati con statinerispetto a quelli non pre-trat-tati dopo un evento cerebro-vascolare acuto17.La discrepanza fra studi osser-vazionali e studi di interven-to apre la strada a due possibi-lità: 1) le statine sortiscono ri-sultati positivi in prevenzionecerebrovascolare perchè ridu-

cono in misura assai maggio-re dei trattamenti precedentila colesterolemia; 2) le statinehanno altri effetti, oltre quel-lo ipocolesterolemizzante, uti-li nella prevenzione dell’ictus.In altri termini, per spiegarequesto apparente “paradosso”,si potrebbero invocare mecca-nismi specifici di neuroprote-zione colesterolo-indipenden-ti, associati cioè alle statine enon ad altri farmaci o modali-tà di riduzione del colesterolo(come il baypass ileale, la die-ta o le resine). Questi effettisembrano essere peculiari del-le statine (effetti di classe) edesprimersi con meccanismod’azione indipendente da quel-lo primario sulla HMG-CoAreduttasi. Nella prima parte diquesta rassegna abbiamo di-scusso degli effetti “ancillari”associati ad alcuni antiiperten-sivi, dimostrando che l’inter-ferenza con taluni sistemi bio-chimici può sortire effetti be-nefici supplementari rispettoall’azione primaria nota (ridu-zione pressoria). In questa se-conda parte saranno esamina-ti i dati oggi disponibili chesembrano deporre a favore diun’azione cerebroprotettivadelle statine colesterolo-indi-pendente.

Effetti colesterolo-indipendenti

La maggior parte dei beneficiassociati al trattamento constatine nella riduzione deglieventi coronarici sono chiara-mente connessi all’effetto ini-bitorio della HMG-CoA re-duttasi ed alla conseguente ri-duzione della frazione LDL(effetti colesterolo-dipenden-ti). Questo meccanismo è re-sponsabile del rallentato pro-cesso di accrescimento delleplacche coronariche. Nella

Figura 1. Relazione osservata fra colesterolemia totale e rischio diictus ischemico nei pazienti dello studio MRFIT. (Dati da Iso H et al19893).

7

6

5

4

3

2

1

0

Mort

alità

a 6

anni

aggiu

sta

ta p

er

età

(‰

)

<160 160-199 200-239 240-279 >280

Colesterolo totale (mg/dL)

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 237

Protezione cerebrovascolare

patogenesi dell’ictus, i possibi-li effetti sull’accrescimentodella placca sono però piùmodesti rispetto all’IMA, poi-ché solo una quota degli ictusischemici origina dall’occlu-sione significativa di un vasocarotideo; un significativocontributo agli eventi ischemi-ci proviene infatti da embolidi provenienza sistemica o car-diaca. Ne consegue che gli ef-fetti di stabilizzazione dellaplacca sono, in prevenzionecerebrovascolare, di gran lun-ga più importanti che in pre-venzione coronarica, per ri-durre gli episodi tromboem-bolici. Questo effetto di sta-bilizzazione è in buona misu-ra colesterolo-indipendente.In che modo le statine contri-buiscono alla stabilizzazionedelle placche?Nella via metabolica (interrot-ta dalle statine) che dall’Ace-til-coenzima A porta alla for-mazione del colesterolo, visono almeno due metaboliti, ilgeranil pirofosfato (Geranil-PP) ed il farnesil pirofosfato(Farnesil-PP), da cui originanonumerosi mediatori implicatinell’aterogenesi (figura 2). La

L’instabilità di placca gio-ca un ruolo determinantenella patogenesi dell’ictus.

Figura 2. Possibili effetti antitrombotici ed antinfiammatori mediatidalle statine ed indipendenti dall’azione ipocolesterolemizzante.

Acetil Coenzima A

Idrossimetilglutaril CoA

Mevalonato

Mevalonato pirofosfato

Isopentil pirofosfato

Geranil pirofosfato

Farnesil pirofosfato

Squalene

Colesterolo

HMG-CoAreduttasi

• Aterogenesi

• Trombosi

• Instabilità di placca

•Stress ossidativo

• Infiammazione

•Aggregazione piastrinica

•Vasocostrizione

Endotelio Infiammazione/Coagulazione Processi ossidoriduttivi

Vasodilatazione Migrazione cellule infiammatorie Perossidazione lipidica

Modulazione di NOS Molecole di adesione (VCAM-1, Insulto da radicali liberiICAM-1, P-selectina,CD-11b/CD18, etc.)

Interfaccia flusso/intima IL-1b e TNF-a Conservazione del sistema SOD

Attivazione leucocitaria Viscosità plasmatica Conservazione sistemalocale delle paraoxonasi

Legenda: NOS=Ossido Nitrico Sintetasi; VCAM=Vascular Cell Adhesion Molecule; TNF=Tumor NecrosisFactor; SOD=Super Ossido Dismutasi

Tabella 1. Possibili azioni neuroprotettive indotte dalla somministrazione di statine sul circolo cerebrale.

ridotta produzione di questidue metaboliti si traduce in im-portanti effetti, sia a livello diplacca sia a livello di circolo.Complessivamente, gli effettinon-lipidici delle statine pos-sono essere suddivisi in tregruppi (tabella 1). Alcuni diquesti effetti si esprimono se-lettivamente sul circolo cere-brale e rendono conto di nu-merose osservazioni speri-

mentali, come l’aumento delflusso cerebrale e la riduzionedell’area infartuata in rattinormocolesterolemici pre-trattati con statine18,19.

Ampiezza degli effettiextra-lipidici neglistudi clinici con statine

La maggior parte dei dati at-tualmente disponibili in pre-

238 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Manzato, P.L. Malini

venzione cerebrovascolareproviene da trial originaria-mente condotti in pazienticon malattia coronarica. Nel-la stragrande maggioranza diquesti studi il farmaco era co-stituito da una statina. Ne con-segue che i risultati che di se-guito andremo ad illustraresono riferibili a questa classedi farmaci e, fino a prova con-traria, non possono essereestrapolati, anche a parità dieffetto ipocolesterolemizzan-te, ad altri ipolipemizzanti.Questi risultati sono coerenticon quelli ottenuti in variemeta-analisi. Nel 1997 fu pub-blicata la prima meta-analisiestensiva su 16 studi clinicicon statine, per complessivi29.000 pazienti valutati per 3.3anni20. Nella meta-analisi fu-rono inclusi 13 studi di pre-venzione secondaria (pazienticon pregresso IMA) e tre stu-di di prevenzione primaria. Irisultati di questa e di altre tremeta-analisi sono sintetizzatiin tabella 2. In questa valuta-zione comparativa, i pazienticon pregressa diagnosi di va-sculopatia aterosclerotica (32studi clinici per complessivi2.311 eventi registrati), hannoevidenziato una riduzione delrischio relativo di ictus trom-boembolico pari al 28% per 1mmol/L (39 mg/dL) di ridu-

zione delle LDL, un valoresovrapponibile a quello osser-vato in questa stessa analisi perla cardiopatia ischemica dopotre anni di follow-up (-31%).Ancora più recentemente ilgruppo di Corvol ha esamina-to 38 trial clinici per comples-sivi 83.161 pazienti inclusi eper una durata media del fol-low-up di 4.7 anni22. In questameta-analisi sono stati presi inesame 15 trial con statine, 13trial con farmaci diversi (resi-ne, fibrati e niacina), 7 trial cheavevano adottato solo restri-zioni dietetiche e 3 trial di al-tro tipo [dieta più sospensio-ne del fumo, bypass ileale(POSCH), o lovastatina piùcolestiramina (PCABGT)]. Irisultati di questa meta-analisisono sostanzialmente sovrap-ponibili a quelli delle prece-denti valutazioni, ma hannofornito informazioni comple-mentari.In primo luogo è stato indivi-duato un valore di cut-off del-la colesterolemia totale post-trattamento, al di sopra delquale la riduzione del rischionon è più apprezzabile (232mg/dL). L’esistenza di unasoglia di colesterolemia, oltrela quale i benefici non sonopiù apprezzabili, costituisceuna sostanziale differenza ri-spetto alla prevenzione coro-narica, per la quale non è sta-

Gli effetti del trattamentoipocolesterolemizzante sulrischio di ictus sono propor-zionali all’ampiezza dellariduzione delle LDL e com-paiono precocemente, giàa partire da riduzioni del2-5%. Il punto di cut-off,oltre il quale i benefici nonsono più apprezzabili, siaggira intorno a valori fi-nali del colesterolo totaleprossimi a 232 mg/dL.

Autore (anno) RR (%)

Hebert PR (1997)20 -29 (fatali e non fatali)

Ross SD (1999)21 -23 (fatali)-31 (non fatali)

Corvol JC (2003)22 -15 (prevenzione primaria)-26 (prevenzione secondaria)

Law MR (2003)23 -28 (prevenzione secondaria)

Briel M (2004)24 -25 con CHD-23 senza CHD

Tabella 2. Principali meta-analisi degli studi di intervento che han-no esaminato il rapporto fra colesterolo ed ictus.

ta invece rilevata l’esistenza dialcun valore soglia (figura 3).Questo dato si sposa bene coni risultati “paradossali” deglistudi osservazionali, in quan-to suggerisce che la relazionecolesterolo-ictus è forte solo inun range di valori ristretto equindi, in una popolazionecampione nella quale è presen-te un range di valori basalimolto ampio, il rapporto frale due variabili diventa ambi-guo.Questo dato ha inoltre note-vole valenza clinica in quantoindica che, seppur in un ran-ge più ristretto di valori ini-ziali e finali, il trattamento constatine è più “efficace” nel ri-durre gli eventi cerebrali chenon quelli coronarici. Nellapratica clinica quindi, per ot-tenere risultati apprezzabili intermini di riduzione dell’ictus,sono importanti due aspetti:• valori basali e finali (dopo il

trattamento);• colesterolemia basale non

troppo elevata.

Un altro aspetto importanteemerso dalla meta-analisi diCorvol ed evidente in figura3 è che i benefici cerebrova-scolari delle statine per ridu-zioni della colesterolemiacomprese fra 230 e 135 mg/dLsono significativi anche per va-riazioni minime rispetto al ba-

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 239

Protezione cerebrovascolare

sale (2-4%): ad una modesta ri-duzione della colesterolemiacorrisponderà infatti una im-portante riduzione degli ictus.Nel caso degli eventi coronari-ci, invece, i benefici sono apprez-zabili indipendentemente daivalori iniziali e finali, ma sonomeno marcati a parità di effet-to ipolipemizzante. La meta-analisi più recente è quella diBriel, che ha confermato l’esi-stenza di un beneficio soloquando l’ipolipemizzante èuna statina: nessun effetto èstato infatti osservato per fi-brati e resine24.

Prevenzionecerebrovascolare neipazienti ad alto rischio

Conformemente a quanto ri-portato nelle Linee Guida

NCEP-III del 2001, sono clas-sificati ad alto rischio di even-ti non solo i pazienti con pre-cedente ictus o TIA, ma tuttiquelli ad elevato rischio atero-trombotico, ovvero con fatto-ri multipli di rischio o convasculopatia aterosclerotica inqualunque sede25. I fattori dirischio per ictus più forti ri-mangono comunque la fibril-lazione atriale ed un preceden-te episodio cerebrovascolare(ictus, TIA).

Lo studio 4S

Nello Scandinavian Simvasta-tin Survival Study (4S), con-dotto in pazienti con pregres-so IMA o angina instabile econ colesterolemia totale>270 mg/dL, la somministra-zione di simvastatina (10-40mg/die) ha ridotto dopo cin-

que anni di trattamento glieventi coronarici del 34% el’incidenza di ictus e TIA del30% (p=0.024)15. La riduzio-ne del rischio relativo sum-menzionata era prevalente-mente da imputarsi alla ampiariduzione del numero di TIApiuttosto che di ictus. Poichèla valutazione diagnostica nonera stata predisposta in manie-ra sufficientemente sensibileper porre diagnosi differenzia-le con altri disturbi neurolo-gici transitori e potenzialmen-te confondibili con i TIA, ildato del 4S rimane importan-te dal punto di vista tenden-ziale.

Lo studio CARE

I risultati del 4S sono stati peròconfermati dal CholesterolAnd Recurrent Event(CARE), nel quale 4.159 pa-zienti con precedente IMA ecolesterolemia totale <240mg/dL sono stati randomizza-ti al trattamento con pravasta-tina (40 mg/die). I risultati diuna sub-analisi del CARE han-no dimostrato una riduzionedel rischio relativo di ictus del31% ed una riduzione di ictuspiù TIA del 27%13.

Lo studio HPS

Nello studio HPS sono statiinclusi 3.280 pazienti con pre-gressa diagnosi di malattia ce-rebrovascolare su un totale di20.536 (16%). I pazienti inclu-si avevano un’età media di 65anni, presentavano un ampiorange di valori lipidici ed altrifattori di rischio e furono al-locati al trattamento con sim-vastatina (40 mg/die) o place-bo per una durata media di 4.6anni. La riduzione del rischiorelativo di un nuovo evento èrisultata pari al 25% per gliictus totali (ischemici piùemorragici) ed al 30% per i soli

Figura 3. Relazione fra colesterolemia e rischio di ictus (linea scura)e colesterolemia e rischio di IMA (linea chiara): la pendenza dellaretta è maggiore nel caso dell’ictus ma si azzera per valori post-trattamento (finali) del colesterolo totale >232 mg/dL. Nel caso del-l’infarto acuto la pendenza della curva è minore ma i benefici sonopresenti anche per valori della colesterolemia finale >300 mg/dL.(Modificata da Corvol JC et al 200322).

0

-10

-20

-30

-40

135 155 175 195 215 235 255 275 295 310

Colesterolo finale (mg/dL)

Ris

chio

rela

tivo (

%)

240 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Manzato, P.L. Malini

ictus ischemici. I maggiori be-nefici sono stati osservati perriduzione delle LDL a valorisierici <117 mg/dL16.Gli effetti del trattamento constatine sul tasso di eventi ce-rebrovascolari sono apparsipiù modesti quando il pazien-te non era affetto da pregressadiagnosi di vasculopatia atero-sclerotica (prevenzione prima-ria). Come noto, tutti i pazien-ti inclusi nell’HPS erano adalto rischio. Oltre ai 3.280 pa-zienti con precedente ictus eoltre agli 11.926 pazienti conCHD, tutti i pazienti inclusipresentavano comorbilità car-diovascolari o metabolichemultiple tali da configurare unelevato rischio di eventi ate-rotrombotici (>20% a 10anni). Dei 3.280 pazienti con

diagnosi di malattia cerebro-vascolare all’inclusione, 1.460(44.5%) erano anche portato-ri di CHD. La recente sub-analisi di questo sottogruppoha fornito una imponentemole di dati dopo stratificazio-ne per vari parametri lipidici,fattori di rischio o copatolo-gie (tabella 3).Lo studio HPS si distinguedagli altri trial fino ad oggipubblicati per le dimensionidel campione incluso e, con-seguentemente, per il nume-ro molto elevato (n=1.029) dieventi cerebrali totali (ictus eTIA) registrati durante il fol-low-up. Questa caratteristica,insieme all’eterogeneità clini-ca del campione, fornisce datimolto utili e non sempre di-sponibili per altri trial. Alcu-ni di questi dati non sono sta-ti ancora sufficientemente ela-borati in forma aggregata.Trattandosi di soggetti convarie comorbilità cardiovasco-lari, tutte registrate all’inclu-sione, è utile ricercare even-tuali relazioni esistenti nonsolo fra lipidi ed ictus, ma an-che fra lipidi, altre comorbili-tà ed ictus. Per esempio, cherapporto esiste fra pressionearteriosa, valori di LDL (o diHDL) e rischio di ictus?Dall’analisi di questi dati sipuò notare che l’effetto di sim-vastatina nei pazienti con va-lori di PAS più modesti (140-

160 mmHg) è maggiore (RR-28%) rispetto agli effetti regi-strati in pazienti con valoripressori più elevati (>160mmHg), nei quali si osservauna riduzione del rischio com-presa fra il 10 ed il 15%. Ciòsignifica che, pur in presenzadi valori ottimali della pressio-ne arteriosa, il trattamentocon simvastatina non deve es-sere trascurato e ciò, come sivedrà in seguito, indipendente-mente dalla colesterolemia ba-sale. Inoltre questo trend siosserva anche in pazienti convalori di LDL-C basali <100mg/dL e che in corso di trat-tamento avevano raggiuntovalori medi intorno a 75-80mg/dL. In conclusione, la pre-senza di “buoni” valori lipidici(LDL-C <100 mg/dL) e pres-sori (<140/90 mmmHg) nonimpedisce il recupero di un ul-teriore margine di protezioneimpiegando simvastatina alladose di 40 mg/die.Complessivamente, dai datiprovenienti dallo studio HPSsin qui menzionati, si può af-fermare che il trattamento consimvastatina riduce sostanzial-mente gli eventi ischemici(RR-30%) con nessun effettosignificativo sulla quota dieventi emorragici. Inoltre, inaggiunta a quanto dimostratodalle varie meta-analisi primacitate, questi risultati sono in-dipendenti dalla presenza di

Gli effetti protettivi asso-ciati alla somministrazionedi simvastatina, sono ap-parsi nello studio HPS in-dipendenti dai valori basa-li di colesterolo e di altrifattori di rischio: beneficisignificativi sono stati os-servati anche nei pazienticon valori di LDL-C <100mg/dL, in quelli con pres-sione arteriosa normale(<140/90 mmHg), nei piùgiovani (<65 anni) ed in-dipendentemente dall’as-sunzione di ASA ed altriantiaggreganti.

Evento RR per tipo di paziente incluso (%)

Con ictus Senza ictus Tutti

Ictus ischemici totali -18 -34 -30

Ictus ischemici fatali/gravi -3 (p=ns) -27 -19

Ictus ischemici lievi/moderati -1 (p=ns) -40 -30

Ictus emorragici totali +1 (p=ns) -28 -5 (p=ns)

Ictus tutti (emorragici+ischemici) -25 (p<0.0001)

Tabella 3. Effetti del trattamento con simvastatina (40 mg/die) sul rischio di nuovi eventi cerebrali(prevenzione primaria) o recidive (prevenzione secondaria) nello studio HPS. (Dati da HPS 200416).

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 241

Protezione cerebrovascolare

altri fattori di rischio (pressio-ne, età, precedente IMA, etc.)e dai valori basali di LDL-C.Quest’ultima caratteristicasembra avallare, ancora unavolta, l’ipotesi che il coleste-rolo eserciti i suoi effetti sullamalattia cerebrovascolare conmodalità (parzialmente) diver-se rispetto a quelle note per lamalattia coronarica, e che unaparte dei benefici del tratta-mento con statine siano cole-sterolo-indipendenti. Inoltre,se si considera che per valoridel colesterolo totale >230mg/dL si perde gran parte del-la protezione cerebrovascola-re e che 40 mg/die di simvasta-tina riducono il colesterolo to-tale di circa 50-55 mg/dL, neconsegue che, per garantire unabuona cerebro-protezione, ipazienti con colesterolemiatotale >280 mg/dL dovrebbe-ro essere trattati con dosaggimaggiori di 40 mg/die.

Prevenzione in pazientia basso rischio

Nei pazienti a rischio basso-moderato, i dati di prevenzio-ne cerebrovascolare sono scar-si a causa del ridotto numerodi trial eseguiti. I pazienti in-clusi nel West Of SCotlandPrevention Study (WO-SCOPS), per quanto conven-zionalmente considerati inprevenzione primaria, presen-tavano tuttavia livelli moltoelevati di colesterolemia e dicomorbilità e, per questo mo-

tivo, dovrebbero essere con-siderati a rischio quanto menomoderato (>10%)26. Purtrop-po, neppure per i pazienti in-clusi nel Air Force/TexasCoronary AtherosclerosisPrevention Study (AFCAPS/TexCAPS), sono stati riporta-ti i tassi specifici di icuts eTIA27.

Lo studio ASCOT

L’Anglo-Scandinavial COlla-borative Trial (ASCOT) è sta-to condotto su una popolazio-ne di 19.342 pazienti senzaprecedente diagnosi di malat-tia coronarica, ma con nume-rosi fattori di rischio varia-mente combinati (ipertensio-ne, ipertrofia ventricolare si-nistra, diabete mellito, etc.)28.In questa variegata popolazio-ne, 10.297 pazienti con cole-sterolemia lievemente aumen-tata (<250 mg/dL) e già interapia antiipertensiva, furonoassegnati al trattamento conatorvastatina (10 mg/die) oplacebo. A 5 anni di follow-up è stata osservata una ridu-zione dell’ictus pari al 27%, inaggiunta ad una riduzione del40% ottenuta grazie al tratta-mento antiipertensivo. Que-sto studio indica chiaramentela necessità di un approccioglobale al rischio cardiovasco-lare, poichè il trattamento ipo-lipemizzante, pur sommini-strato in presenza di ipercole-sterolemia solo lievemente ele-vata, si è dimostrato altamen-te efficace in aggiunta al trat-tamento antiipertensivo.

Lo studio JLIT

Il Japan Lipid InterventionTrial (JLIT) costituisce il piùampio studio prospettico maicondotto in un “contesto rea-le”, costituito da pazienti dimedicina generale con iperco-lesterolemia lieve-moderata

seguiti per oltre 4 anni29. Inuna sub-analisi recente sonostati esaminati gli effetti deltrattamento con simvastatinaa basse dosi (5-10 mg/die) suuna coorte di 41.088 pazientia basso rischio, con colestero-lemia totale all’inclusione paria 270 mg/dL e colesterolemiamedia durante il trattamentopari a 220 mg/dL30. Questostudio è significativo poichèha consentito di correlare ilnumero di eventi (ischemicied emorragici) a vari parame-tri lipidici (tabella 4).Questo studio dimostra che ilrischio di eventi cerebrovasco-lari aumenta sensibilmenteper valori soglia di TC 240mg/dL e per valori di LDL-C160 mg/dL. La stratificazio-

ne per altri parametri lipidiciha evidenziato, per la primavolta e in modo esplicito, ilruolo della trigliceridemia:mentre il tasso di eventi coro-narici è aumentato sensibil-mente per valori di TG 300mg/dL, il rischio di ictus ini-zia ad aumentare per valori diTG 150 mg/dL, suggerendouna relazione molto più stret-ta fra trigliceridi ed ictus chenon fra trigliceridi ed IMA. Inconclusione, dall’analisi dellaprecedente tabella 4, si evin-cono cinque punti importan-ti:1. il colesterolo totale è un

predittore più sensibile ecostante di eventi cerebro-vascolari rispetto al coleste-rolo-LDL;

2. una CT borderline (200-219 mg/dL) comporta unaumento del rischio del26% rispetto ad una CT<200 mg/dL;

3. la trigliceridemia è un fat-tore di rischio cerebrovasco-lare forte e con una sogliamolto bassa, già a partire davalori di 150 mg/dL;

Lo studio HPS ha dimostra-to che il trattamento consimvastatina riduce sensi-bilmente il numero di ictusanche in presenza di valo-ri di colesterolemia e pres-sione arteriosa border-line.

242 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

E. Manzato, P.L. Malini

4. un aumento della frazioneHDL di 5 mg/dL (da 39 a44 mg/dL) riduce il rischiodel 48%;

5. tutti i benefici summenzio-nati rimangono di ampiez-za invariata se il paziente èsottoposto a contempora-neo ed efficace trattamen-to antiipertensivo, che ri-duca i suoi valori di pres-sione sistolica al di sotto di140 mmHg.

Statine vs altri tratta-menti antitrombotici

Nonostante l’impressionantemole di dati accumulatasi ne-

Parametro (mg/dL) Ictus ischemici Ictus emorragici

RR p RR p

TC

<200 1.00 1.00

200-219 1.26 0.216 0.98 0.940

220-239 1.38 0.100 0.61 0.112

240-259 1.76 0.012 0.85 0.638

260 2.49 <0.001 1.15 0.718

TG

<150 1.00 1.00

150-299 1.54 0.002 0.99 0.957

300 2.31 <0.001 0.73 0.504

HDL-C

<40 1.00 1.00

40-49 0.52 <0.001 0.68 0.217

50-59 0.49 <0.001 0.54 0.061

60 0.41 <0.001 0.60 0.117

LDL-C/HDL-C

<2.0 1.00 1.00

2.0-2.4 0.90 0.597 1.02 0.943

2.5-2.9 1.11 0.611 0.84 0.582

3.0-3.4 1.37 0.136 0.95 0.877

3.5 2.13 <0.001 1.75 0.061

Tabella 4. Ictus (ischemici ed emorragici) osservati nel Japan LipidIntervention Trial dopo trattamento con simvastatina a basse dosi (5-10 mg/die). La riduzione del rischio è stata ottenuta dopostratificazione per vari parametri lipidici di inclusione ed una ridu-zione media della colesterolemia totale in corso di trattamento paria circa 50 mg/dL. (Dati da Nakaya N 200530).

gli ultimi anni circa i beneficidel trattamento con statinenella prevenzione degli even-ti cerebrovascolari, rimane lacrescente sensazione che que-sto bagaglio di prove non siaancora sufficientemente“sfruttato” dalle figure coin-volte nella gestione del pazien-te con (o a rischio di) ictus.Deve però essere sottolineatoche il primo documento uffi-ciale nel quale è stata enfatiz-zata l’utilità del trattamentocon statine in prevenzioneprimaria risale solo al 200131.In questo documento inoltre,le ambiguità circa il ruolo delcolesterolo nella patogenesi

dell’ictus, provenienti daglistudi osservazionali, sono an-cora tutte presenti, benché irisultati delle sub-analisi del4S, del CARE e di altri trialfossero già noti. Nell’ultimarevisione del 2004 sono inve-ce riportati i dati della primapubblicazione dello studioHPS32 e si fa espresso riferi-mento alla meta-analisi diCorvol22, come elemento dievidenza a favore del tratta-mento ipolipemizzante. Inquesto documento purtrop-po, i dati della sub-analisi del-l’HPS relativa all’ictus e pub-blicati da poche settimanenon erano stati ancora acqui-siti16.Complessivamente si percepi-sce ancora l’esistenza di un gapfra dati acquisiti dagli studi diintervento, loro incorporazio-ne nelle Linee Guida, e prati-ca clinica33; questo aspetto èancora più sentito nel pazien-te diabetico34. Tale atteggia-mento non nasce dalla man-canza di robustezza dei datisperimentali, univoci e con-cordanti verso un effetto cer-to ed ampio delle statine, mapiuttosto dall’abitudine conso-lidata da anni di pratica clini-ca, a ritenere “ottimali” (e for-se non ulteriormente miglio-rabili) protocolli di prevenzio-ne cerebrovascolare costituitisostanzialmente solo da antii-pertensivi ed antiaggreganti.

Le statine conferiscono unaprotezione cerebrovasco-lare di ampiezza simile agliantiipertensivi ed agli an-tiaggreganti (lo standarddi riferimento) e per que-sto motivo non devono es-sere “omesse” nel pianoterapeutico del paziente arischio di ictus/TIA.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 243

Protezione cerebrovascolare

In questo contesto, la sommi-nistrazione di statine appare sìutile, ma “complementare” aitrattamenti summenzionati equindi, per ragioni di com-pliance (e/o di costi), moltipazienti non beneficiano deibenefici addizionali conferitidall’assunzione di una statina.Per colmare questo gap e fu-gare ogni dubbio circa la rea-le utilità del trattamento constatine, è utile comparare i be-nefici del trattamento con sta-tine con quelli dei farmaciconsiderati il golden standardin prevenzione cerebrovasco-lare.In tabella 5 sono stati riassun-ti risultati di diverse strategiedi prevenzione. Nel caso deltrattamento ipolipemizzante,

Strategia Riduzione del rischio di ictus

Prevenzione primaria

Antiipertensivi 30-40%

Aspirina in precedente IMA 36%

Statine 18-22%

Endoarterectomia (per stenosi sintomatiche) 423 volte

Prevenzione secondaria (o pazienti ad alto rischio)

Antiipertensivi 28%

Antiaggreganti (Meta-analisi ATC) 22%

Ipolipemizzanti (Meta-analisi di Corvol) 26%

Endoarterectomia (per stenosi sintomatiche) 44%

ATC=Antithrombotic Trialists’ Collaboration

Tabella 5. Efficacia comparativa di differenti strategie di prevenzione cerebrovascolare. Gli effetti sonoriferiti al rischio globale di ictus (ischemici più emorragici) se non espressamente specificato. (Dati daStraus SE 200235, Corvol 200322, ATC 200236).

più o meno adeguato degli al-tri fattori di rischio.

Conclusioni

Alla luce dei dati provenientida numerosi studi di interven-to, di ampie dimensione e rag-guardevole durata del fol-low-up, vi sono evidenze per-suasive che la somministrazio-ne di statine protegge i pazien-ti, anche a basso rischio di ic-tus, da un primo evento, e chetale protezione è ancora mag-giore nei pazienti ad alto ri-schio. Alla protezione cere-brovascolare degli eventiischemici non si associa nél’aumento degli ictus emorra-gici né aumentata mortalitàper cancro.

i risultati ottenuti nei pazien-ti ad alto rischio sono sovrap-ponibili a quelli conseguiti conantiaggreganti o antiiperten-sivi: in tal senso l’effetto del-le statine non deve quindi es-sere considerato “comple-mentare”. Inoltre, lo studioHPS ha dimostrato che i ri-sultati del trattamento consimvastatina si sommano aquelli ottenuti con antiiper-tensivi ed antiaggreganti, dacui sono totalmente indipen-denti. Alla luce di questi daticonsegue che la gestione otti-male del paziente ad alto ri-schio dovrebbe sempre preve-dere la prescrizione di unastatina a dosaggio intermedio,indipendentemente dai valoribasali di LDL e dal controllo

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than-average cholesterol concen-

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246 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 247

Review

Losartan e fibrillazione atrialeLe basi fisiopatologiche e i risultati degli studi di intervento

Bruno TrimarcoDipartimento di Medicina ClinicaUniversità degli Studi “Federico II”Via S. Pansini, 580131 Napoli

Losartan and atrial fibrillationThe pathophysiologic bases and the results of intervention studies

SummaryIn the last few years a great deal of data from both experimental studies and clinical trials have shown thatdrugs able to interfere with the renin-angiotensin system might be beneficial independently of their effect onblood pressure. All the pressure independent effects seem to be directly or indirectly ascribable to inhibition ofthe angiotensin II receptor AT1. In this context, the LIFE study provided an irreplaceable and unexpected cropof data, some of which seems to indicate that the losartan molecule has specific peculiarities. This reviewexamines the data currently available in order to explain the mechanisms behind the protective effects losartanhas on the whole cardiovascular system.

Trimarco B. Losartan and atrial fibrillation. The pathophysiologic bases and the results of intervention studies.Trends Med 2006; 6(3):247-255.© 2006 Pharma Project Group srl

Key words:atrial fibrillationnatriuretic peptideprevention

Lo studio LIFE, oltre ad of-frire la prima dimostra-

zione che, riducendo in pa-zienti ipertesi con ipertrofiaventricolare sinistra i valoripressori con un trattamentoa base di losartan, è possibi-le ridurre il rischio di mor-talità o di eventi cardio e ce-rebrovascolari del 13% inpiù rispetto ad un’eguale ri-duzione dei valori pressoriottenuta con una terapia abase di atenololo, ha fornitoun’ampia messe di ulterioried interessanti osservazionicliniche1,2.Tra queste, particolare inte-resse ha suscitato il riscontrodi una sostanziale riduzionedel rischio di andare incon-tro a fibrillazione atriale (FA)nei soggetti in ritmo sinusaletrattati con losartan rispettoa quelli trattati con atenolo-lo (figura 1).

ARB e riduzione delrischio di fibrillazioneatriale (FA)

Studi retrospettivi e meta-analisi

Questa osservazione, apparsainizialmente sorprendente, haindotto a svolgere un’analisiretrospettiva di studi condot-ti con ACE-inibitori (ACE-I)o bloccanti dei recettori AT

1

dell’angiotensina II (ARB),volta a confermare o smenti-re il risultato ottenuto3,4; inol-tre, studi prospettici, apposi-tamente disegnati, sono staticondotti per approfondirequesto argomento5,6. Più re-centemente, Healey e coll.7

hanno pubblicato i risultati diuna revisione sistematica del-la letteratura mirata ad indivi-duare tutti gli studi che han-no valutato l’effetto di ACE-

248 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

B. Trimarco

8

7

6

5

4

3

2

1

00 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66

Mesi

Pazie

nti c

on p

rim

o e

vento

(%

)

Losartan

Atenololo

inibitori e bloccanti dei recet-tori AT

1 dell’angiotensina-II

sullo sviluppo di FA. In parti-colare, sono stati presi in con-siderazione solo studi clinicirandomizzati, controllati,condotti con un disegno agruppi paralleli. In questomodo sono stati selezionati 11trial che hanno complessiva-

Figura 1. Insorgenza di fibrillazione atriale nei pazienti arruolatinello studio LIFE. (Modificata da Watchell et al 20052).

Tabella 1. Effetti del trattamento con ACE-I ed ARB sul rischio di fibrillazione atriale rilevati da Healey ecollaboratori attraverso una revisione sistematica della letteratura. (Dati da Healey et al 20057).

Studio Trattamento Controlli RRn/N n/N (95%CI random)

ACE inibitoriVan Den Berg 2/7 7/11 0.45 (0.13, 1.57)SOLVD 10/186 45/188 0.22 (0.12, .043)TRACE 22/790 42/787 0.52 (0.31, 0.87)Ueng 18/70 32/75 0.60 (0.37, 0.97)CAPP 117/5492 135/5493 0.87 (0.68, 1.11)STOPH2 200/2205 357/4409 1.12 (0.95, 1.32)GISSI 665/17615 721/8846 0.92 (0.83, 1.02)Totale ACE-inibitori 1034/17615 1339/19609 0.72 (0.56, 0.93)

ARBMadrid 9/79 22/75 0.39 (0.19, 0.79)ValHeFT 116/2209 173/2200 0.67 (0.53, 0.84)Charm 179/2769 216/2749 0.82 (0.68, 1.00)LIFE 179/4417 252/4387 0.71 (0.59, 0.85)Totale ARB 483/9474 663/9411 0.71 (0.60, 0.84)

Totale generale 1517/27069 2002/29220 0.72 (0.60, 0.85)

n=eventi, N=pazienti.

mente incluso circa 57.000 pa-zienti (tabella 1).Quattro di questi studi aveva-no incluso pazienti con insuf-ficienza cardiaca, 3 avevanoincluso pazienti con iperten-sione arteriosa; 2 studi aveva-no incluso pazienti già sotto-posti a cardioversione elettri-ca per FA ed altri 2 studi ave-

vano incluso pazienti con in-farto del miocardio in fase acu-ta. La riduzione totale del ri-schio di sviluppo di FA offer-ta dal trattamento con farma-ci che interferiscono con il si-stema renina-angiotensina-al-dosterone è risultata pari al28% per entrambe le classi difarmaci prese in esame. In par-ticolare, si è riscontrata una ri-duzione del rischio di FA dipoco inferiore al 50% nei pa-zienti con insufficienza cardi-aca ed in quelli sottoposti acardioversione elettrica. Alcontrario, questo fenomenonon è apparso statisticamentesignificativo nei pazienti conipertensione arteriosa, eccettoche nello studio LIFE, realiz-zato in pazienti ipertesi e conipertrofia ventricolare sini-stra1.Queste differenze di effettonei diversi tipi di paziente, esoprattutto la grande efficaciadi ACE-inibitori ed antagoni-sti dei recettori AT

1 dell’an-

giotensina II in pazienti con

p<0.001

RR-33%

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 249

Losartan e fibrillazione atriale

100

80

60

40

20

00 10 20 30 40 50 60

Stress (mmHg/cm2)

insufficienza cardiaca, sembra-no avvalorare l’ipotesi di uneffetto protettivo che si realiz-za prevalentemente medianteil miglioramento delle condi-zioni emodinamiche.

Studi prospettici e basifisiopatologiche dell’ef-fetto protettivo sulla FA

L’ipotesi che il miglioramen-to dell’emodinamica possa ri-durre il rischio di FA sembrasuffragata, in particolare, dairisultati dello studio Val-HeFT8. L’analisi multivariata,condotta per individuare nelsingolo paziente i predittoriindipendenti di FA, dimostrache, oltre all’età ed al sesso, ilpredittore più importante perlo sviluppo di questa aritmiaè rappresentato da elevate con-centrazioni plasmatiche dipeptide natriuretico cerebrale(BNP) all’atto dell’arruola-mento. Nei pazienti del Val-HeFT, nei quali dopo quattromesi dall’ingresso nello studioi livelli di BNP si erano ridot-ti maggiormente, o nei qualila frazione d’eiezione era au-menta più della media, si è re-gistrata una più bassa proba-bilità di sviluppare FA, indi-pendentemente dal tipo ditrattamento ricevuto. Questodato si sposa con la relazionefra Fattore Natriuretico Atria-le (ANF) e stress di parete, unpotente fattore di rischio perfibrillazione, precedentemen-te osservata da altri Autori (fi-gura 2).In altre parole, il miglioramen-to della performance miocar-dica, determinando una ridu-zione della pressione di riem-pimento ventricolare, riducela tensione parietale dell’atriosinistro. Questa condizione èal tempo stesso un determi-nante della concentrazioneplasmatica dei peptidi natriu-

Figura 2. Correlazione fra stress di parete dell’atrio sinistro e livelliplasmatici di ANF (Modificata da Condorelli M 19899).

retici9 e della progressiva dila-tazione dell’atrio, fenomenoche a sua volta favorisce l’in-sorgenza di FA. Anche i risul-tati sulla intera casistica dellostudio CHARM non sono incontrasto con questa ipotesi,in quanto anche in questocaso, la riduzione del rischiodi FA riscontrata nel bracciotrattato con l’aggiunta di AT

1

bloccanti alla terapia standard,si associa ad un miglioramen-to della performance cardiaca,come testimoniato da una mi-nor percentuale di pazientiospedalizzati per insufficienzacardiaca10. Questo tipo di spie-gazione non rende conto peròdi un’altra osservazione ormaiconsolidata, cioè la netta ridu-zione della probabilità di ri-correnza di FA offerta dal trat-tamento con ACE-inibitori oAT

1-antagonisti nei pazienti

sottoposti a cardioversioneelettrica.

Losartan e FA: oltrel’effetto pressorio

Se le iniziali osservazioni diMadrid5, con irbesartan asso-ciato ad amiodarone, e diUeng e collaboratori6 con ena-

A parità di riduzione deivalori pressori, losartan ri-duce la mortalità e la mor-bilità cardio- e cerebrova-scolare in misura significa-tivamente maggiore ri-spetto ad atenololo: que-sta osservazione introducel’ipotesi che altri effetti,oltre quelli pressori, possa-no giustificare la maggiorprotezione offerta da lo-sartan rispetto ad altreclassi di farmaci o ad al-tre molecole della stessaclasse.

lapril, potevano lasciare il dub-bio che l’effetto protettivo deifarmaci che interferiscono conil sistema renina-angiotensinadipendesse solo dalla riduzio-ne della pressione sistolica, chepure costituisce un fattore in-dipendente di rischio per FA,un recente studio di Fogari ecollaboratori ha escluso inmodo univoco questa ipote-si11. In questo studio infattisono stati valutati 222 pazien-ti con reperto anamnestico direcente episodio di fibrillazio-ne atriale ed ipertensione digrado lieve. I pazienti sono sta-

AN

F (

pg/m

l)

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Losartan + amiodarone

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Follow-up (mesi)

Pazie

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ive (

%)

ti sottoposti a trattamento conamiodarone associato a losar-tan o amlodipina. Il trattamen-to antiipertensivo (losartan oamlodipina) era stato aggiun-to con l’intento di correggerei livelli pressori. I pazientisono stati seguiti per un annoe l’efficacia del controllo pres-sorio offerto dai due diversitrattamenti è stata valutatacon il monitoraggio ambula-torio della pressione arterio-sa nelle 24 ore, eseguito men-silmente. L’osservazione che39/111 pazienti (35.1%) ran-domizzati al trattamento conamlodipina hanno presentatonel corso dell’anno almenoun episodio di FA contro 13/111 pazienti (11.7%) nel grup-po randomizzato a losartan,ha confermato chiaramenteche l’effetto antiaritmico le-gato al blocco dei recettoriAT

1 è indipendente da quello

correlato alle riduzioni pres-sorie (figura 3).Il riscontro di una piena cor-rispondenza dei valori pres-sori raggiunti nei due gruppiapre dunque il quesito su qua-le possa essere il meccanismoalla base dell’azione antiarit-mica del losartan. Diviene aquesto punto importante com-prendere anche perché nellapopolazione generale dei pa-zienti ipertesi, l’interferenzafarmacologica con il sistemarenina-angiotensina non ridu-ca in eguale misura il rischio disviluppare FA. Torna utile atal fine considerare quale pos-sa essere il denominatore co-mune tra ipertesi con pregres-so episodio di FA ed ipertesicon ipertrofia ventricolare, leuniche due tipologie di pazientinei quali è stata dimostrata lacapacità dei farmaci che inter-feriscono con il sistema reni-na angiotensina di ridurre ilrischio di FA.

Figura 3. Riduzione della recidiva di fibrillazione atriale durantetrattamento con losartan o amlodipina, entrambi in aggiunta adamiodarone. (Modificata da Fogari et al 200611).

Pazienti ipertesi con FA oipertrofia ventricolaresinistra

Nei pazienti inclusi nel LIFEè evidente il ruolo di primopiano svolto dal sistema reni-na angiotensina, sistema cherisulta potenziato a livello car-diaco, come dimostrano le au-mentate concentrazioni diRNA messaggero dell’enzimadi conversione dell’angiotensi-na nel ventricolo sinistro sot-toposto a sovraccarico di pres-sione. Un’aumentata espressio-ne dell’enzima di conversionedell’angiotensina è stata docu-mentata anche nell’atrio disoggetti con FA12. Inoltre èstato dimostrato che l’angio-tensina II è coinvolta nella ge-nesi delle alterazioni struttu-rali degli atri che si realizzanodurante la FA, e che sono re-sponsabili della cronicizzazio-ne dell’aritmia13. D’altra par-te il ruolo fondamentale svol-to dall’attivazione del sistemarenina-angiotensina, in parti-colare mediante i recettoriAT

1, è confermato anche da

recenti studi di elettrofisiolo-gia, che dimostrano la capaci-tà dell’angiotensina II di au-mentare il batmotropismo edil cronotropismo dei miocitilocalizzati intorno allo sboc-co delle vene polmonari14.L’importanza di queste cellu-le nello sviluppo degli episodidi FA è testimoniata dall’os-servazione che esse rappresen-tano un obiettivo privilegiatodelle manovre di correzionedell’aritmia mediante ablazio-ne. Pertanto, la constatazioneche losartan è in grado di spe-gnere l’effetto aritmogeno del-l’angiotensina II su questi mio-citi15 può spiegare i meccani-smi alla base dei positivi effet-ti sulle aritmie osservati in stu-di quali il LIFE1 e quello di Fo-gari11.La conferma ulteriore della pe-culiare attività di losartan sul-la prevenzione della FA pro-viene proprio dallo studio diMadrid5. Esiste infatti una so-stanziale differenza tra l’anda-mento temporale dell’effettoantiaritmico di irbesartan de-

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 251

Losartan e fibrillazione atriale

1

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Follow-up (giorni)

Pazie

nti lib

eri d

a r

ecid

ive (

%)

scritto da Madrid e quello ri-scontrato nel LIFE e da Foga-ri: nello studio di Madrid, ladifferente incidenza di FA trai due gruppi si realizza sostan-zialmente nel primo mese ditrattamento, mentre successi-vamente l’incidenza nei trat-tati con irbesartan è pressoc-chè parallela a quella del grup-po placebo (figura 4).Al contrario, nei due studicondotti con losartan sembrache la protezione offerta dalblocco dei recettori AT

1 si

mantenga nel tempo (figure 1e 3). Questa differenza non èsecondaria, perché potrebbeavere grande rilevanza nelladefinizione del comportamen-to più corretto da tenere nella

pratica clinica riguardo alladurata del trattamento farma-cologico.

Pazienti sottoposti abypass aorto-coronarico

A conferma di questa ipotesi,è interessante ricordare quan-to è stato dimostrato sia nel-l’animale da esperimento sianell’uomo sulla prevenzionedi episodi di FA dopo inter-venti di cardiochirurgia16.Nello studio di Carnes e col-laboratori sono stati valutati86 pazienti sottoposti ad in-tervento di bypass coronari-co: l’intervento chirurgico èstato realizzato dopo rando-mizzazione dei pazienti in duegruppi omogenei (n=43); adun gruppo è stato sommini-strato, prima dell’interventoe per i 5 giorni successivi, unantiossidante (acido ascorbico500 mg bid), mentre al grup-po di controllo è stato som-ministrato un placebo. Nelgruppo di controllo, 15/43pazienti (34.8%) hanno svi-luppato FA, evento registra-to solo in 7/43 pazienti(16.2%) trattati con acidoascorbico. Anche in questo

caso è interessante seguirel’andamento temporale del-l’effetto protettivo svolto daltrattamento antiossidante: nelgruppo di controllo la proba-bilità di sviluppare l’aritmia siriduce progressivamente nelperiodo post operatorio; diconseguenza, la differenza nel-la percentuale di pazienti confibrillazione o “flutter” atria-le nei due gruppi si attenuaprogressivamente, fino a ri-manere costante. Si tratta cioèdi un andamento analogo aquello riscontrato da Madriddopo somministrazione di ir-besartan in pazienti sottopostia cardioversione elettrica5.L’importanza di questa attivi-tà antiossidante descritta risie-de sia nel contributo conosci-tivo che fornisce ai meccani-smi patogenetici di manteni-mento della FA, sia in un suopotenziale ruolo aggiuntivorispetto a quello svolto dalblocco dei recettori AT

1 nel

prevenire la FA stessa.Questa considerazione è suf-fragata sperimentalmente da-gli studi condotti sull’anima-le, che dimostrano come il“pacing” atriale determini unaumento dello stress ossidati-vo e quindi della concentrazio-ne di perossinitriti nel tessutoatriale, un meccanismo arit-mogeno che può essere preve-nuto dal pre-trattamento conacido ascorbico. La produzio-ne di radicali liberi dell’ossi-geno sembra quindi uno deifattori responsabili di insor-genza e cronicizzazione dellaFA. Esiste una relazione bio-chimica fra radicali liberi e si-stema renina-angiotensina? E’oggi noto che il recettore AT

1

stimola la NADPH ossidasi,enzima fondamentale per laproduzione di radicali liberi ein definitiva per l’aumentodello stress ossidativo17. E’

Figura 4. Recidiva di fibrillazione atriale nel gruppo trattato consolo amiodarone (linea punteggiata) o amiodarone più irbesartan(linea continua). (Modificata da Madrid AH 20025).

L’effetto di losartan sulla FAosservato nel LIFE si man-tiene nel tempo e sembraessere associato all’inibi-zione dell’effetto aritmoge-no dell’angiotensina II sualcune popolazioni di mio-citi, per esempio quelli lo-calizzati intorno allo sboc-co delle vene polmonari.

252 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

B. Trimarco

possibile quindi immaginareche l’azione antiaritmica dellosartan si realizzi anche attra-verso una riduzione dellostress ossidativo. La sua pecu-liare efficacia infatti sarebbedovuta sia al blocco dei recet-tori AT

1, che ad un effetto

specifico correlato all’attivitàdi un suo metabolita. Ad unodei metaboliti del losartan noncoinvolti nel controllo dellapressione arteriosa (EXP 3179)è stata recentemente attribuitala capacità di aumentare in ma-niera significativa i livelli pla-smatici di NO, attraverso unmeccanismo che è affine aquello in grado di esercitareun’azione antiproliferativa alivello ventricolare sinistro18.Per valutare la fondatezza diquesta ipotesi può essere utileconsiderare i meccanismi allabase degli altri risultati fornitidallo studio LIFE.Come precedentemente ricor-dato, il LIFE è stato il primo,e finora l’unico studio, ad averdimostrato che in pazienti conipertensione arteriosa ed iper-trofia ventricolare sinistra, untrattamento basato sul losar-tan può indurre, a parità dicalo pressorio, una riduzionedella morbilità e mortalità car-diovascolare superiore a quel-lo indotto da una terapia abase di atenololo1. L’unicità diquesto risultato sta però anchenel fatto che esso non è statoconfermato in studi simili con-

dotti con altri AT1 antagonisti

in pazienti ipertesi egualmen-te ad alto rischio cardiovasco-lare, anche se con caratteristi-che cliniche diverse dalla po-polazione inclusa nel LIFE.

Ricadute cliniche deglieffetti “extra-pressori”di losartan

E’ opportuno quindi partireda questo risultato, conside-rando in particolare che essoè legato alla riduzione deglieventi cerebrovascolari, men-tre non si rilevano differenzesostanziali relativamente aglieventi coronarici; è lecitoquindi chiedersi se si tratti diun effetto peculiare del losar-tan, che si realizza esclusiva-mente a livello cerebrale, o diun effetto generalizzato. Laseconda ipotesi rimane soste-nibile anche in assenza di dif-ferenze significative nel nume-ro di eventi coronarici, inquanto è noto che il farmacodi paragone, l’atenololo, è ac-creditato di una capacità dicardioprotezione che potreb-be compensare, magari condiverso meccanismo, la prote-zione offerta anche a livellocardiaco dal losartan.

Riduzione dellaproteinuria

Per dirimere questo dubbio,può essere utile considerare unsottostudio del LIFE che haindagato gli effetti dei due di-versi trattamenti sul dannod’organo renale, valutato me-diante dosaggio della proteinu-ria19. In questa ricerca, il trat-tamento con losartan ha deter-minato una riduzione piùmarcata della proteinuria ri-spetto all’atenololo. Questorisultato suggerisce una prote-zione renale più intensa, checorrela con la più marcata ri-

duzione degli eventi cerebro-vascolari, sostenendo l’ipote-si di un’azione protettiva ubi-quitaria del losartan.Rimane da chiarire però ilmeccanismo alla base di que-sta specifica azione protetti-va. Una prima possibilità daprendere in considerazione èil ben noto effetto dei farma-ci che interferiscono con ilsistema renina-angiotensina-aldosterone sulla elasticità deigrandi vasi.

Ipertensione sistolicaisolata

A supporto di questa ipotesidepone l’osservazione che l’ef-fetto protettivo del losartan èparticolarmente evidente neipazienti con ipertensione si-stolica isolata20. In questa po-polazione, infatti, è più impor-tante il contributo eziopato-genetico proveniente dalla al-terata elasticità dei grandi vasiarteriosi, che impedisce l’effet-to mantice che essi fisiologi-camente svolgono. Si realizzacosì un aumento della pressio-ne massima, in quanto i vasinon aumentano sufficiente-mente di diametro in conco-mitanza della sistole cardiaca,e si riduce la pressione mini-ma, perché viene meno l’au-mento di flusso sanguigno as-sicurato durante la diastole dalritorno al diametro iniziale deivasi che non si erano dilatatidurante la sistole. Anche il ri-scontro di una uguale pressio-ne sistolica ottenuta nei duegruppi di trattamento nonesclude che l’effetto del losar-tan sulla distensibilità possaavere un ruolo nel migliora-mento della prognosi. Infatti,la corrispondenza riguarda ivalori pressori riscontrati inperiferia, valori che possonoriprodurre non fedelmentequelli rilevati nei grandi vasi.

Numerosi dati clinici e spe-rimentali suggeriscono chela prevenzione della fibril-lazione atriale, associataalla somministrazione dilosartan, possa essere cor-relata anche alla riduzio-ne dello stress ossidativomediata dall’inibizionedella NADPH ossidasi.

Luglio 2006 Volume 6 Numero 3 Trends in Medicine 253

Losartan e fibrillazione atriale

Analogamente, l’osservazioneche il beneficio persiste ancheescludendo questi pazienti,non contrasta con l’importan-za di questo meccanismo, inquanto una riduzione dell’ela-sticità delle grandi arterie è sta-to descritta anche in pazienticon ipertensione sisto-diasto-lica.

Aggregazione piastrinica

La sottopopolazione dello stu-dio LIFE che mostra beneficipiù marcati dopo trattamen-to con losartan è quella dei pa-zienti con FA. In questo grup-po, la riduzione di pressionearteriosa ottenuta con losartandetermina una riduzione dicirca il 50% del rischio di an-dare incontro ad un ictus ri-spetto alla popolazione tratta-ta con atenololo. La riduzionedegli eventi riguarda pressoc-chè esclusivamente l’ictustromboembolico, la forma piùfrequente nei pazienti con FA.Questa osservazione richiamasubito alla mente un’azione ti-pica del losartan che non sem-bra legata alla capacità del far-maco di bloccare il recettoreAT

1 dell’angiotensina-II. In

particolare, studi in vitro han-no dimostrato che losartan èin grado di svolgere un effet-to antiaggregante piastrinico,che potrebbe risultare partico-larmente utile in pazienti conFA, nei quali la ridotta mobi-lità delle pareti atriali favori-sce la formazione di trombicon conseguente aumento delrischio embolico21. Anche inquesto caso, come in quellodell’ipertensione sistolica iso-lata, è possibile accettare que-sta ipotesi di lavoro, senza tut-tavia escludere dal beneficioanche i pazienti che non pre-sentano FA. Infatti il miglio-ramento della prognosi cere-bro- e cardiovascolare indot-

to dal losartan rispetto all’ate-nololo è individuabile ancheconsiderando isolatamentequesta parte della casistica delLIFE.

Rimodellamentoventricolare

Ipotesi alternative circa lamaggiore protezione d’organoofferta da losartan vengono dadue ulteriori sottostudi delLIFE. Il primo di questi haindagato con metodica ecocar-diografica tradizionale le mo-difiche di massa e geometriadel ventricolo sinistro indot-te dai due trattamenti antiiper-tensivi in una popolazione dicirca cinquecento pazienti pergruppo22. Il risultato più inte-ressante è che losartan nonsolo ha ridotto maggiormen-te lo spessore delle pareti ven-tricolari sinistre ma, attra-verso una contemporanea ri-duzione dei diametri ventrico-lari, che per la legge di Lapla-ce sono direttamente propor-zionali allo stress di parete,riesce ad ottenere un effettopositivo anche su questo pa-rametro che, come noto, co-

stituisce un importante fatto-re di progressione della cardio-patia ipertensiva, che annove-ra la FA tra le sue principalicomplicanze.

Attività antifibrotica

L’altro sottostudio LIFE da ri-cordare, per cercare di spiega-re il miglioramento della pro-gnosi cardio-, cerebrovascola-re e renale nel gruppo tratta-to con losartan, è quello cheha indagato, con una partico-lare tecnica ultrasonografica econ l’uso di appositi marcato-ri biochimici, gli effetti dei due

Gli effetti “extra-pressori”di losartan, per i quali esi-stono oggi prove relativa-mente certe, possono esse-re ricondotti a diversi mec-canismi: 1) attività antios-sidante, 2) azione antiag-gregante, 3) capacità diagire favorevolmente sulrimodellamento ventricola-re sinistro, sia in senso ana-tomico (miglioramento deidiametri) sia in senso strut-turale (riduzione dellacomponente fibrotica).

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Losartan Atenololo Basale Terapia Basale Terapia

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Figura 5. Percentuale di tessuto fibroso (area colorata) e della com-ponente muscolare (area sfumata) in pazienti in trattamento conlosartan o con atenololo. Il trattamento con losartan ha ridotto lapercentuale di fibrosi interstiziale del 21%. (Dati da Ciulla et al 200423).

394331 52

254 Trends in Medicine Luglio 2006 Volume 6 Numero 3

B. Trimarco

trattamenti antiipertensivi sul-la composizione della paretemiocardica23. Nel gruppo lo-sartan non solo si è avuta unamaggiore regressione dell’iper-trofia ventricolare ma, e que-sto è il dato più interessante,la perdita di massa è risultataascrivibile prevalentementealla riduzione della compo-nente fibrosa. Infatti, mentrenel gruppo atenololo il rap-porto tra componente musco-lare e componente fibrosa nonsi è modificato, nei trattati conlosartan esso si inverte, realiz-zandosi dopo il trattamentouna netta prevalenza dellaquota muscolare su quella fi-brosa (figura 5). Questo effettoè tipico del blocco del sistemarenina-angiotensina, che noto-riamente svolge un’azione di at-tivazione della collagenosinten-si ed inibisce la collagenolisi.Conseguentemente, non sor-prende che il blocco dei recet-

tori AT1 dell’angiotensina si

risolva in una netta riduzionedella componente fibrosa del-la massa cardiaca.

Conclusioni

Alla luce delle considerazionifin qui esposte, si può conclu-dere quindi che i diversi bene-fici clinici osservati con losar-tan derivano dalla capacità dibloccare il sistema renina-an-giotensina sia con effetti diret-ti mediati dal blocco recetto-riale, sia con effetti indiretticorrelati ad attività peculiari dimolecola (come quella prece-dentemente descritta per ilmetabolita EXP 3179), che intaluni casi si sommano con ri-sultati additivi18. Da questopunto di vista risulta pertantoparticolarmente intrigante lacapacità di inibire gli effetti le-gati all’eccessiva produzionedi radicali liberi dell’ossigeno

dovuta allo stress ossidativo,data la sua correlazione ad al-cune condizioni patologiche:esso infatti sembra contribui-re allo sviluppo di ipertrofiaventricolare sinistra ed all’in-sorgenza di FA, aggravare leconseguenze del danno ische-mico cerebrale e cardiaco econtribuire alla progressionedel danno renale, favorendo ladisfunzione endoteliale. Infine,si è recentemente ipotizzatoche l’eccessiva produzione diradicali liberi dell’ossigeno pos-sa essere una delle componen-ti primarie nella patogenesi del-lo sviluppo di diabete mellitodi tipo 2 in pazienti ipertesi oa rischio cardiovascolare. Inquesto contesto tutti i risultatidello studio LIFE, soprattuttoquelli correlati alla prevenzio-ne di FA, rappresentano unaconferma della peculiarità ecompletezza d’efficacia clinicadimostrate da losartan.

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Clinical case

The role of new cardiovascular risk factorsin the assessment of silent coronary artery

disease in diabetic patients:when attending guidelines may not be enough

Carmine Gazzaruso, Emanuela De AmiciIRCCS Fondazione Maugeri Pavia

Carmine Gazzaruso, MD PhDVia Aselli 527100 PaviaE-mail: [email protected]

SummarySilent coronary artery disease (CAD) is common among diabetic patients. The presence of silent CAD is consi-dered a powerful predictor of future cardiovascular events and early death, particularly in diabetic patients.Early identification of diabetic patients with silent CAD can permit their early treatment and consequent impro-vement of the cardiovascular prognosis. Recent studies showed new powerful predictors of silent CAD indiabetic patients. These predictors are: lipoprotein(a), homocysteine, insulin-resistance and, above all, erectiledysfunction. The case suggests that these new predictors could be effectively used in clinical practice, in orderto early identify diabetic patients with silent CAD.

Gazzaruso C, De Amici E. The role of cardiovascular risk factors in the assessment of silent coronary arterydisease in diabetic patients: when attending guidelines may not be enough. Trends Med 2006; 6(3):257-260.© 2006 Pharma Project Group srl

A 51 years old man attended our outpatientsdiabetes clinic on september 2001 because ofthe recent onset of type 2 diabetes mellitus.He had fasting glycemia: 199 mg/dl, hemoblo-bin A1c: 9.5%, total cholesterol: 253 mg/dl,HDL: 39 mg/dl, triglycerides: 257 mg/dl. LDLwas calculated according to the Friedewaldformula and was 163 mg/dl. Systolic bloodpressure was 165 mmHg and diastolic bloodpressure 95 mmHg. These values of blood pres-sure were similar to those measured in severalprevious occasions. His waist circumferencewas 116 cm. According to the National Cho-lesterol Education Program (NCEP) criteria,the patient had metabolic syndrome. A hypo-caloric and hyposodic diet was prescribed. Mildto moderate physical activity was suggested.Therapy with metformin (1500 mg/die) wasstarted.To better stratify his global cardiovascular riskand to verify the presence of possible compli-cations, the patient was required to performseveral laboratory and instrumental checks.Some of the so-called new cardiovascular riskfactors, such as homocysteine, Lipoprotein(a)and Homeostasis Model Insulin-resistanceAssessment (HOMA) index were also sugge-sted. As any diabetic male, the patient was scre-ened for the presence of erectile dysfunction

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C. Gazzaruso, E. De Amici

(ED) by the validated self-administered que-stionnaire International Index Erectile Func-tion-5 (IIEF-5), that is a 5-item simple question-naire to verify the presence and the degree ofED. The patient reached a score of 12. So wediagnosed the presence of ED. We informedthe patient that ED can be treated effectivelywith phosphodiesterase-5 inhibitors and thatthese drugs can be prescribed as soon as theglobal risk for cardiovascular disease is asses-sed. Nevertheless, the patient stated that at themoment he did not want to be treated for ED.Three months after, he had fasting glycemia:151 mg/dl, hemoblobin A1c: 8.3%, total cho-lesterol: 241 mg/dl, HDL: 39 mg/dl, triglyce-rides: 221 mg/dl. LDL was 158 mg/dl. Systo-lic blood pressure was 160 mmHg and diasto-lic blood pressure 90 mmHg. His waist circu-mference was 115 cm. These data suggested animprovement in metabolic control. Lipids andhypertension were improved, but their valueswere higher than those recommended by scien-tific associations. Indeed in diabetic patientsNCEP guidelines recommend LDL levelslower than 100 mg/dl. In addition AmericanDiabetes Association (ADA) guidelines recom-mend blood pressure values lower than 130/80 mmHg. The patient had additional cardio-vascular risk factors: microalbuminuria (34mg/die), family history of CAD, smokinghabits, high Lipoprotein (a) levels (31,1 mg/dl), marked insulin-resistance (HOMA index:6.7). Interestingly, basal ECG showed the pre-sence of abnormal T-waves and a Q-wave onDIII. Nevertheless, Rose questionnaire to as-sess the history of cardiovascular disease wasnegative. Fluvastatin (80 mg/die) and valsar-tan (80 mg/die) were prescribed. Dosage ofmetformin was increased (2550 mg/die).According to the ADA consensus conferenceon the diagnosis of silent coronary heart dise-ase (CAD) in diabetic patients, an exerciseECG testing was performed, which was nega-tive for stress- induced ischemia. Echocardio-graphy showed normal features. So, accordingto the current guidelines, no additional testingwas suggested by the cardiologist in order todetect the presence of silent CAD. Anyway,considering the elevated cardiovascular risk ofthe patient, aspirin therapy was started.One year later, the patient referred to cardio-logy outpatient unit bacause of new onset dy-spnea (with lung crackles) and edema of thelimbs; he recently had had flu-like syndrome

(cough and mild fever), treated by the familydoctor with antibiotic therapy. Basal ECG fe-atured inferior myocardial ischemia. The pa-tient was admitted to cardiology unit. Echo-cardiography showed diffused hypocinesiawith globally depressed systolic function (EF:45%). Considering the relatively recent nega-tive exercise ECG testing, symptoms and si-gns of the patient were first considered as fea-tures of metabolic hypokinetic cardiomyopa-thy. Clinical conditions gradually improved.A few months later, a control echocardio-graphy displaied normal systolic functionwithout any abnormal cynetic pattern.Anyway, considering the high global cardio-vascular risk of the patient, a myocardial scin-tigraphy was performed; it revealed mild-to-severe grade inducible myocardial ischemia,involving the basal area. The patient was con-sequently addressed to coronarography, whi-ch showed bivasal coronary stenosis, succes-sfully treated with percutaneous transluminalcoronary angioplasty (PTCA) and paclitaxel-eluting stent. After PTCA the patient did notcomplain either angina or dyspnea any more.No more edema of the limbs was reported.Echocardiography did not show abnormal fin-dings, with improved systolic function (EF:53%). A control myocardial scintigraphy,which was performed after dipiridamol-indu-ced stress, did not exhibit abnormal perfusionand global findings were significantly impro-ved compared with those before PTCA.

Silent CAD is an important life-threateningcondition that is particularly common in dia-betic patients1. Asymptomatic CAD is a strongpredictor of future coronary events and earlydeath, especially in diabetic patients1. The ear-ly identification and treatment of subjects withsilent CAD is very important since in this wayit is possible to improve greatly their progno-sis1. ADA recommends screening for silentCAD in diabetic patients either with compli-cations or ECG abnormalities at rest or in thepresence of two or more cardiovascular riskfactors among those listed in Table 1. Never-theless, the most recent American Heart As-sociation guidelines are much more conserva-tive in their recommendations for CAD scre-ening in diabetes. Indeed they conclude thatscreening is not recommended on a routinebasis at this time because it would not changemanagement or lead to improvement in ou-

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The role of cardiovascular risk factors in the assessment of silent coronary artery disease in diabetic patients

tcomes1. However, the Adult Treatment Pa-nel III of the National Cholesterol EducationProgram has recently suggested that in peopleat very high cardiovascular risk, such as diabe-tic patients with CAD, an LDL goal of <70mg/dl is a reasonable clinical strategy1. In highrisk persons, such as diabetic patients withoutevidence of CAD, the recommended LDL goalis <100 mg/dl1. The identification of subjectswith asymptomatic CAD may help to decidethe therapeutic option1.Increasing evidence is accumulating about theimportance of new cardiovascular risk factorsin the identification of people at elevated riskfor silent CAD. Indeed, we showed thatLipoprotein(a) levels, homocysteine levels andapo(a) phenotypes can be reliable markers ofasymptomatic CAD has been shown in diabe-tic patients1. Moreover, in these patients a si-gnificant association of ED and HOMA indexwith asymptomatic CAD has been recentlyreported2,3. ED has been even proposed as an“atypical” sign of silent CAD4. Taken together,the above studies seems to show that “new”cardiovascular risk markers, such as geneticrisk factors, insulin-resistance and ED may beincluded into a “global risk panel” in order tobetter identify subjects to screen for the pre-sence of silence CAD. In addition, among the-se new cardiovascular risk factors, the presen-ce of ED should be regarded as an atypical signof silent CAD, especially in diabetic patientswith additional traditional cardiovascular riskfactors.In our diabetic patient silent CAD was notdiagnosed at the moment of the screening forCAD, but when symptoms occurred. All gui-delines have been followed; nonetheless silent

CAD was not identified by using usual first-line screening testing. On the basis of the re-cent evidence of the literature, the present casesuggests the importance to the so-called “new”risk factors in the assessment of global cardio-vascular risk in diabetic patients. Indeed, in ourpatient three “non traditional” risk factorswere present (high Lipoprotein(a) levels, EDand high HOMA index) in addition to othercardiovascular risk factors reported in Table1. Moreover, abnormalities of resting ECGwere present. Therefore the risk for silentCAD in our patient appeared to be extremelyhigh. In particular the presence of ED stron-gly predicted the presence of asymptomaticCAD. This suggests that in selected diabeticpatients who have both “new” and traditionalrisk factors, especially when show abnormalbasal ECG and have ED, an exercise- ECG-testing should not be considered sufficient todetect silent CAD. Exercise ECG is the mostwidely used screening approach in generalpractice. Although a negative exercise testingat high workload provides reassurance thatsevere CAD is not present, standard exercisetesting has limitations, including a relativelylow sensitivity for the detection of moderateCAD. Therefore, cardiac assessment shouldrequire further testing in selected diabetic pa-tients at very high risk of silent CAD. Impor-tant additional information can be given bystress myocardial perfusion imaging or stressechocardiography, that are able to increasesensitivity and specificity of exercise ECG.This approach may permit the identificationof a higher proportion of subjects with silentCAD and their earlier treatment with possi-ble improvement of cardiac prognosis.

• Total cholesterol >240 mg/dl, LDL >160 mg/dl, or HDL <35 mg/dl

• Blood pressure >140/90 mmHg

• Smoking

• Family history for CAD

• Micro or macroalbuminuria

Table 1. Risk factors to be considered for a possible indication for exercise testing in uncomplicateddiabetic patients according to the American Diabetes Association guidelines

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Infezione da HIV trattata con successo con terapiaantiretrovirale, ma complicata da molteplici recidive

di carcinoma vescicale maligno

Clinical case

Roberto Manfredi, Sergio SabbataniDipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimenta-le, Sezione di Malatte Infettive,“Alma Mater Studiorum”Università di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi,Bologna

Roberto ManfrediMalattie Infettive, Università di BolognaPoliclinico S. Orsola, Via Massarenti 1140138 BolognaTelefono: 051-6363355Telefax: 051-343500E-mail: [email protected]

HIV infection successfully treated with antiretroviral therapy, butcomplicated by recurrent malignant bladder carcinoma

SummaryA very infrequent case report of bladder transitional cell carcinoma associated with HIV infection in a patientsuccessfully treated with combined antiretroviral therapy is described, and discussed on the ground of the mostrelevant and updated literature resources. Only 13 cases of bladder carcinoma have been reported until nowin the setting of HIV infection, but only in three anecdotal reports the clinical, therapeutic, and outcome issuesof this rare disease association were described with some detail. In our patient, macrohematuria was the cluefor in-depth diagnosis and prompt treatment, which was initially limited to multiple local interventions, butfinally required a radical cystectomy. In our case, no relationship was found with the very favourable under-lying HIV-related clinical, virological, and immunological status.

Manfredi R, Sabbatani S. HIV infection successfully treated with antiretroviral therapy, but complicated by recur-rent malignant bladder carcinoma. Trends Med 2006; 6(3):261-268.© 2006 Pharma Project Group srl

Key words:bladder carcinomaHIV infectionHIV-associated rare malignanciesantiretroviral therapyepidemiologydiagnosisclinical courserelapsesoutcome

Introduzione

L’impatto esercitato dalla terapia antiretrovi-rale ad elevata attività (highly active antiretro-viral therapy, o HAART) sulle neoplasie AIDS-correlate diverse dal sarcoma di Kaposi e dallinfoma cerebrale primitivo è ancora scarsa-mente definito, poiché i dati riguardanti la sto-ria naturale, il trattamento e l’esito delle piùfrequenti patologie neoplastiche che compli-cano il decorso dell’infezione da HIV sonoancora molto limitati e non raccolti in apposi-ti registri1. Infatti, soltanto il sarcoma di Ka-posi, i linfomi di Hodgkin ed il carcinoma cer-vicale invasivo sono soggetti a notifica obbli-gatoria nei pazienti che per la prima volta ven-gono diagnosticati come affetti da AIDS con-clamata, mentre anche le stesse patologie cheoccorrano in pazienti già notificati in prece-denza per AIDS non vengono al momentoconteggiate su scala nazionale2. In ogni caso,la concomitante somministrazione del-l’HAART rappresenta un presidio in genereraccomandato, al fine di sopprimere la repli-cazione del virus HIV e di riportare quantopiù possibile nella norma i parametri immuni-tari (e di ridurre quindi i conseguenti effettiindiretti esercitati dal potenziale oncogeno di

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R. Manfredi, S. Sabbatani

HIV stesso e di numerosi infezioni opportuni-stiche, e di accrescere le competenze immuno-logiche anche nei confronti delle cellule can-cerose). Anche le possibili interazioni traHAART, terapia citotossica e/o trattamentiradianti non rappresentano un problema se-vero e frequente, per cui i pazienti HIV-posi-tivi possono seguire tali schemi di managementin occasione di complicanze neoplastiche1,3.Venendo ora a focalizzare la nostra attenzio-ne sull’epidemiologia e gli aspetti clinici delcarcinoma vescicale in corso di infezione daHIV, c’è da segnalare che il Registro Naziona-le delle neoplasie HIV-correlate4 riporta sol-tanto sette casi di carcinoma vescicale urote-liale, nel periodo compreso tra l’anno 1984 edil 31 dicembre 2004, nell’ambito di un nume-ro complessivo di tumori solidi registrati paria 412: essi costituivano quindi soltanto l’1.7%degli episodi riportati da tale Registro nell’ar-co di 11 anni4. Una casistica Italiana di 435patologie tumorali HIV-associate intervenutein epoca pre-HAART (anni 1986-1990)5, malimitato alla popolazione con pregressa o at-tuale tossicodipendenza, evidenziava l’incre-mento dei casi di carcinoma invasivo del collodell’utero (che diveniva quindi l’ultima pato-logia tumorale aggiunta tra quelle definentil’AIDS conclamata nell’anno 1993)2, ma rac-coglieva una casistica estremamente modestadi altri tumori solidi, nessuno dei quali relati-vo alla vescica5.Nei Paesi in via di sviluppo, la precoce pande-mia di HIV risultava responsabile di un incre-mento significativo delle patologie oncologi-che HIV-associate, che contribuiva per la suaentità ad alterare il profilo dell’epidemiologiadel cancro nella popolazione generale studia-ta6-8. Nella decade 1980-1989, in Zambia veni-va osservato un aumento significativo dell’in-cidenza cruda di sarcoma di Kaposi e di carci-noma mammario, nell’ambito di un program-ma nazionale di sorveglianza comprendente7.836 episodi di neoplasia, mentre le malattielinfoproliferative maligne mostravano una fre-quenza sostanziamente stabile nel tempo7.Nello stesso studio, il carcinoma vescicalemostrava un’incidenza rilevante (pari al 6,3%),sebbene il presentarsi della pandemia da HIVnon mostrasse modificazioni temporali di que-sto indice7. Sempre in epoca pre-HAART (anni1989-1991), un secondo registro di sorveglian-za africano delle patologie neoplastiche tenu-to in Uganda8 forniva informazioni relative alle

modificazioni epidemiologiche riscontrate neltempo nell’ambito della popolazione genera-le, analizzando quelle correlabili alla recentediffusione dell’infezione da HIV: in questocaso, veniva registrata una riduzione di fre-quenza di casi di carcinoma vescicale, associa-ta dagli Autori ad un incrementato livello igie-nico8.Passando ora al mondo Occidentale, uno stu-dio di popolazione relativo al rischio di svi-luppo di cancro tra eroinomani seguiti a NewYork dal 1985 al 1991 (epoca antecedente ladisponibilità dell’HAART) nell’ambito di unprogramma di terapia sostitutiva metadonica,consentiva di far rilevare soltanto 15 casi dineoplasie maligne non definenti l’AIDS tra2.174 soggetti seguiti nel loro complesso per5.491 persone-anno9. Sorprendentemente, intale casistica la frequenza complessiva di tu-mori non strettamente AIDS-correlati supera-va quella di sarcoma di Kaposi e linfomi mali-gni, e le sedi più frequentemente identificatedalle patologie oncologiche comprendevanopolmone, laringe e cervice uterina, mentre nonveniva riscontrato alcun caso di carcinomauroteliale vescicale9. Un’indagine retrospetti-va effettuata su 2.560 pazienti HIV-positiviseguiti in un singolo centro clinico in Spagnadall’anno 1989 al 2000 permetteva nei 12 annidi osservazione di valutare l’entità numericaed altre caratteristiche di tumori inusuali10. Trai 43 episodi riscontrati, si osservava una preva-lenza di adenocarcinoma polmonare (13 epi-sodi), mentre veniva registrato un solo caso ditumore vescicale, di cui non erano forniti ul-teriori dettagli diagnostici, clinici, terapeuticie prognostici10. Due ulteriori casi di carcino-ma vescicale, purtroppo privi di una dettaglia-ta descrizione, venivano riportati in un altroregistro di patologie tumorali HIV-associate te-nuto in Scozia, in una popolazione di 2.574pazienti HIV-positivi seguiti tutti in epoca pre-HAART (anni 1981-1996)11.Venendo ora ai singoli casi di letteratura fino-ra disponibili, in epoca pre-HAART venivadescritto un episodio di carcinoma vescicale acellule transizionali favorevolmente trattatocon rimozione cistoscopica12: gli Autori, dalPaese di origine (Qatar), affermavano che ilcaso da loro riportato nel 1996 costituiva ilprimo report di letteratura di associazione tramalattia da HIV e carcinoma vescicale12. Nel1998, un singolo caso di associazione tra le duepatologie, questa volta ad evoluzione fatale,

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Carcinoma vescicale ed infezione da HIV

veniva descritto da ricercatori Spagnoli13. L’ul-timo dei tre casi riportati aneddoticamente hacoinvolto in Svizzera un paziente trattato conHAART e descritto nell’anno 2001; la malat-tia, esordita con macroematuria, è stata con-trollata tramite terapia endoscopica transure-trale14.Nel complesso quindi, dopo un’attenta e com-pleta revisione di tutta la letteratura finora di-sponibile sull’argomento effettuata anche at-traverso database elettronici, venivano finoraindividuati soltanto 13 casi di pazienti HIV-positivi risultati affetti da carcinoma vescica-le4,10-12,14, di cui larga parte dei dati epidemiolo-gici, diagnostici, clinici, terapeutici e progno-stici risulta lacunosa o del tutto mancante pertutti gli episodi estrapolati da registri naziona-li di patologie oncologiche, tenuti in Italia,Spagna e Scozia4,10,11. Coneguentemente, i solitre casi riportati in dettaglio forniscono im-portanti dettagli clinici12-14, pur non permet-tendo un inquadramento della patologia, an-che a distanza di oltre 20 anni dall’inizio dellapandemia di HIV. Due dei tre episodi soprariassunti intervenivano in epoca antecedentela disponibilità dell’HAART12,13 ed un esito in-fausto si verificava in uno solo dei casi descrit-ti13. L’unico caso verificatosi in un paziente giàtrattato con HAART presentava guarigione dimalattia a lungo termine14, e rappresentava nelcontempo il più recente report pubblicato ne-gli ultimi quattro anni, risalendo all’anno200114.Abbiamo quindi ritenuto significativo ripor-tare la nostra esperienza relativa ad un caso dicarcinoma vescicale uroteliale insorto in cor-so di terapia HAART risultata perfettamenteefficace sui versanti virologico ed immunolo-gico, e ciò nonostante complicato da numero-se recidive, inizialmente controllate per viaendoscopica e topica, ed in seguito sottopostoa cistectomia radicale.

Caso clinico

Un paziente di 58 anni con infezione da HIVnota da cinque anni, dopo i primi sei mesi difollow-up clinico-laboratoristico iniziava unaterapia antiretrovirale di combinazione con-tenente stavudina, didanosina e nevirapina, peril persistere di elevati livelli replicativi del vi-rus HIV (HIV-RNA >500.000 copie/mL),associati ad un progressivo depauperamentodelle difese immunologiche cellulo-mediate

(come espresso da una conta di linfociti CD4+pari a 437 cellule/µL, con perdita di circa 200cellule/µL rispetto al baseline). Sei mesi dopo,la terapia antiretrovirale veniva modificata, conl’introduzione di zidovudina, lamivudina edindinavir, a seguito del persistere di viremia>20.000 copie/mL. Circa 18 mesi più tardi,in presenza di un’eccellente risposta immuno-virologica alla terapia anti-HIV (viremia com-pletamente soppressa, conta dei linfociti CD4+compresa tra 750 e 1.250 cellule/µL), un im-provviso episodio di macroematuria non pre-ceduto da altri segni e sintomi consigliava unimmediato consulto urologico, che portava aduna diagnosi macroscopica ed istopatologicadi carcinoma vescicale a cellule transizionali(figura 1). In anamnesi, non si rilevavano fat-tori di rischio specifici, né familiarità per car-cinoma delle basse vie urinarie. La resezioneper via endoscopica transureterale era seguitada sei cicli settimanali di chemioterapia adiu-vante effettuati con instillazione endovescica-le di BCG e mitomicina C. Sei mesi più tardi,in presenza di un perfetto controllo della ma-lattia da HIV (HIV-RNA <200 copie/mL,conta dei linfociti CD4+ >900 cellule/µL),l’emergere di disuria, ematuria e dolore al fian-co raccomandava l’effettuazione di un nuovocontrollo cistoscopico, che permetteva di dia-gnosticare una recidiva del carcinoma vescica-le papillare in sede posteriore e parietale de-stra, trattato con ulteriore resezione per via

Figura 1. Immagine cistoscopica della prima dia-gnosi di carcinoma vescicale. Una neoformazionepapillifera di diametro di circa 3 cm si rileva sullaparete laterale sinistra del viscere, con meati libe-ri. L’esame istopatologico ha evidenziato uncarcinoma papillare a cellule transizionali di gra-do II-III, associato ad infiltrazione della tonaca pro-pria della mucosa.

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R. Manfredi, S. Sabbatani

transuretrale. Il successivo studio istopatolo-gico riportava una diagnosi di carcinoma pa-pillare di tipo transizionale di grado II-III (se-condo la classificazione di Ash), con inizialeinfiltrazione dei sottostanti strati sottoepitelialie corionici. Una nuova stadiazione (diagnosti-ca per immagini tramite TC ed ultrasonogra-fia) permetteva di escludere fenomeni infiltra-tivi locali, e linfoadenomegalie correlate. Dopol’intervento di resezione locale, veniva messain atto terapia locale con epirubicina (alla dosedi 50 mg alla settimana per sei settimane). Unulteriore controllo cistoscopico effettuato a solitre mesi di distanza, mostrava purtroppoun’estesa ripresa della malattia, con molteplicifoci neoplastici (figure 2a e 2b), associata adinfiltrazione della lamina propria, ma non deltessuto muscolare (stadio III). Le lesioni si ren-devano evidenti con un grossolano difetto diriempimento anche ad uno studio radiografi-co convenzionale (figura 3), mentre una ripe-tizione dell’indagine TC con mezzo di contra-sto confermava l’assenza di un’ulteriore esten-sione locale di malattia e di lesioni metastati-che (figura 4). A questo stadio, si è imposto unintervento di cistectomia radicale con costru-zione di una uretero-ileo-neostomia (secondola tecnica di Bricker). Dopo ulteriori dieci mesidi follow-up, a dispetto di un’eccellente con-

Figura 2. Aspetto cistoscopico relativo al secondo episodio di recidiva del carcinoma vescicale prece-dentemente diagnosticato e trattato nel nostro paziente HIV-positivo. La vescica appare di capacitàridotta, ed i meati uretrali sono in sede ortotopica. Lo studio istologico dimostrava molteplici neoformazionivescicali papillifere aggettanti nel lume e localizzate in tutti i quadranti vescicali, nell’uretra prostatica,ed infiltranti il veru montanu (grado II-III, secondo Ash), la lamina propria appare solo occasionalmentee localmente infiltrata, mentre la tonaca muscolare è indenne da neoplasia.

Figura 3. Radiografia del bacino eseguita a se-guito della seconda recidiva di carcinoma vescicale.In fase post-minzionale, risultano ben visibili an-che nell’imaging tradizionale le ampie lesioni oc-cupanti spazio a partenza dalla parete vescicale,che si proiettano ed aggettano all’interno del vi-scere.

trollo dell’infezione da HIV (viremia di HIVindosabile, conta dei CD4+ >1.000 cellule/µL), grazie ad una terapia di combinazione la-sciata immodificata, la ricomparsa di dolorelombo-sacrale ed alla coscia sinistra, associatoa modesta ematuria, poneva le basi per ulte-

A B

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Carcinoma vescicale ed infezione da HIV

riori accertamenti strumentali nel corso delfollow-up urologico, che evidenziavano unaripresa di malattia locale, pur in assenza di se-condarismi loco-regionali ed ossei (come esclu-so da studio TC e scintigrafico). Un ulterioreintervento chirurgico è quindi in programmaper le prossime settimane.

Discussione

Dopo l’introduzione su larga scala del-l’HAART (intervenuta a partire dalla fine del-l’anno 1996), la grande maggioranza delle pa-tologie neoplastiche AIDS-correlate hanno vi-sto declinare la loro incidenza complessiva,come parte della straordinaria modificazionedella storia naturale della malattia da HIV.Come anticipato, soltanto quattro affezionitumorali (sarcoma di Kaposi, linfomi non-Hodgkin, linfoma cerebrale primitivo, e car-cinoma cervicale invasivo) sono però menzio-nate nell’ultimo aggiornamento della definizio-ne di “Caso di AIDS conclamata” elaborata ascopo epidemiologico dai CDC di Atlanta nel-l’anno 19932, e di esse si ha completa registra-zione soltanto quando intervengano come pri-ma patologia definente l’AIDS. Infatti, il siste-ma di notificazione elaborato negli anni ‘80 enei primi anni ‘90 risulta ormai obsoleto ai finiepidemiologici e clinici, tanto più dopo lemodificazioni indotte dall’introduzione del-l’HAART: tale classificazione2 riporta le sin-

gole patologie AIDS-correlate solo al momen-to della prima diagnosi di malattia, mentre tuttele altre affezioni anch’esse potenzialmente de-finenti l’AIDS ma intervenute successivamen-te nel decorso clinico di un soggetto già notifi-cato per AIDS non vengono segnalate (se noneventualmente al momento del decesso), e ri-sultano quindi largamente sottostimate dai re-gistri nazionali tenuti a livello nazionale edinternazionale, i quali tengono conto soltantodei casi di AIDS di nuova diagnosi2.Comunque, attraverso i dati rilevati da regi-stri locali, da appositi studi di sorveglianza, eda gruppi di studio dedicati, si è potuto con-statare un progressivo declino dei casi di sar-coma di Kaposi fin dall’epoca dell’introdu-zione dell’HAART (dato probabilmente at-tribuibile ad effetti diretti ed indiretti dei far-maci antiretrovirali su HIV, HHV-8, e suicofattori angiogenetici)3, ed una caduta diincidenza degli episodi di linfoma cerebraleprimitivo (in cui appare confermato un ruo-lo carcinogenico primario promosso dallastessa infezione da HIV)1,3, mentre altre pa-tologie emolinfoproliferative mantengonouna frequenza stabile o lievemente variabileda una casistica all’altra, con un crescentenumero di Autori che ne sottolineano unprogressivo, relativo incremento di inciden-za. Lo stesso fenomeno è atteso per le neo-plasie diverse da quelle ricomprese nell’elen-co di quelle definenti l’AIDS2, e la loro persi-stenza o il loro incremento di incidenza puòtrovare conferma nel marcato prolungamen-to dell’aspettativa di vita dei pazienti HIV-positivi, successivamente alla disponibilitàdell’HAART. Inoltre, la persistenza delle al-terazioni del sistema immune innescate dallasottostante infezione da HIV, il vieppiù tar-divo riconoscimento dell’infezione retrovi-rale in persone che avevano ignorato o tra-scurato la loro condizione per lungo tempo(i cosiddetti “AIDS presenters”, che talora sof-frono di molteplici patologie AIDS-correlatefin dal momento della prima diagnosi), e pro-babilmente la compresenza di cofattori piùsottili e meno conosciuti3, possono agire comefattori di rischio per l’espandersi, lento maprogressivo, di questo fenomeno. In genera-le, nel corso dei due decenni di pandemia daHIV i registri locali e gli studi di coorte a ciòfinalizzati hanno riportato un aumento di fre-quenza sia dei tumori ematologici sia dei tu-mori solidi nei soggetti HIV-positivi rispetto

Figura 4. Indagine TC addomino-pelvica con mez-zo di contrasto, eseguita in occasione della secon-da recidiva. La vescica presenta multiple forma-zioni aggettanti nel lume a base di impiantoparietale, di tipo eteroplastico. Non sono presentiadenopatie lombo-aortiche o pelviche apprezza-bili, né altri secondarismi.

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R. Manfredi, S. Sabbatani

alla popolazione generale4,5. Tra le neoplasiesolide, i rilievi più frequenti sono a carico dipolmone, fegato, ano, colon, laringe, testico-lo, orofaringe, rene, pancreas, vulva, mammel-la, cute e tessuti molli, sistema nervoso centra-le e stomaco. D’altra parte, le basse vie urina-rie, e la vescica in modo particolare, sembranoessere state coinvolte in misura estremamentemodesta nell’ambito delle neoplasie HIV-cor-relate, cosicché sono stati finora riportati sol-tanto alcuni casi aneddotici1,4,10-14, mentre gliepisodi riferiti con maggior dettaglio ammon-tano soltanto a tre di questi12-14.La nostra esperienza relativa al caso descrittodi carcinoma vescicale papillifero a cellule tran-sizionali, con andamento recidivante, apparedi interesse per gli Specialisti Urologi ed In-fettivologi, che necessitano di maggiore con-sapevolezza e confidenza con tale patologia,per ora infrequente nel campo dell’infezioneda HIV e dell’AIDS9, ma che può presentarsiin forma severa e ricorrente anche in corsodi HAART e di una situazione ottimale rela-tiva all’andamento dell’infezione da HIV. Lastoria clinica faceva inoltre escludere una fa-miliarità e fattori di rischio di natura tossicao ambientale, mentre l’infezione da HIV eranota da circa cinque anni e si presentava com-pletamente controllata dai versanti virologi-co ed immunologico dalle terapie antiretro-virali effettuate, in assenza di qualsivoglia al-tra patologia HIV-associata sofferta nel pas-sato. Nonostante il nostro paziente sia statotrattato per lungo tempo con un’HAARTefficace basata su inibitori delle proteasi, que-st’ultima prerogativa non contribuiva peral-tro a proteggerlo dal rischio di sviluppare uncarcinoma vescicale maligno gravato da mol-teplici recidive. L’eventuale effetto favorevoleesercitato dall’HAART sulle neoplasie HIV-associate è stato oggetto di numerose specu-lazioni ma rimane tuttora da stabilire: se ap-pare più evidente sull’incidenza di sarcomadi Kaposi e di linfoma primitivo cerebrale,lo stesso andamento non sembra osservarsinel caso di altre affezioni tumorali15. Una re-centissima esperienza pubblicata nel Dicem-bre 2005 ha fatto luce sulla possibilità chealcune nuove classi di farmaci antiretrovirali(i cosiddetti inibitori di ingresso, tra cui lamolecola denominata CXCR4), attraversomolteplici azioni sul network delle chemochi-ne possano esercitare meccanismi di bloccosulla migrazione di cellule vescicali neoplasti-

che, prevenendo in tal modo la disseminazio-ne della malattia ed i secondarismi16.Nella nostra esperienza, le molteplici ricorren-ze di malattia hanno portato ad un approccioterapeutico via via più invasivo, dalle terapielocali transuretrali fino alla cistectomia radi-cale, e anche quest’ultimo trattamento non haassicurato la guarigione a medio termine, vistal’ulteriore recidiva registrata dopo 10 mesi difollow-up dall’intervento demolitivo. La dispo-nibilità di un supporto specialistico Urologicosi è dimostrata di grande vantaggio ed efficacianell’individuazione e nella cura precoce dellamalattia, e nel predisporre un adeguato moni-toraggio del paziente9, che ha necessitato dimolteplici controlli ed interventi per via cisto-scopia (mirati ad eradicare la malattia esisten-te, e possibilmente a prevenirne la progressio-ne e le recidive)17, sebbene tale stretta collabo-razione non abbia potuto evitare il ricorso adun trattamento chirurgico radicale. In una bre-ve disamina delle terapie mediche del carcino-ma vescicale, il ruolo di una chemioterapiaadiuvante e/o neo-adiuvante nei differenti sta-di della malattia, prima o dopo interventi diresezione, rimane argomento tuttora dibattu-to17,18, mentre alcuni Autori pongono l’accen-to su un effetto più rilevante di un ampio spet-tri di immunoterapie locali, tra cui in parteconsolidate dall’esperienza, in parte ancora infase di studio17,19. La radioterapia può d’altraparte giocare un ruolo rilevante nei casi di neo-plasia infiltrante i tessuti muscolari20.La diagnosi differenziale della microematuriae della macroematuria in corso di infezione daHIV non dovrebbe trascurare un ampio spe-tro di condizioni patologiche di pertinenzanefrologica ed urologia9. Tuttavia, infezioniconcomitanti la cui strada è aperta dalla con-comitante immunodeficienza HIV-correlatapossono essere causate da batteri, micobatteri,ma anche patogeni opportunisti tra cui virused il protozoo Toxoplasma gondii)21,22. Da te-nere in conto infine i possibili eventi avversicausati dall’HAART e dai singoli farmaci dacui le combinazioni sono composte (es. nefro-litiasi, ematuria e coliche renali provocati daindinavir)23. Tutte le condizioni cliniche sopramenzionate sono di riscontro molto più co-mune rispetto allo sviluppo di una neoplasialocale, che necessita comunque in ogni caso diessere esclusa nella maggior parte delle situa-zioni11,21,24. Sia la presentazione iniziale, sia ipiù comuni esami strumentali (es. quelli ultra-

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Carcinoma vescicale ed infezione da HIV

suonografici) non possono escludere in via ca-tegorica una neoformazione [F, T]. Da ricor-dare infine come accanto a sporadici casi dicarcinoma vescicale siano stati segnalati ancheepisodi di linfomi extranodali a localizzazionevescicale24,25.In conclusione, nonostante lo sviluppo di que-sta patologia tumorale rappresenti un eventorelativamente raro in corso di infezione daHIV, e non vi sia alcuna correlazione evidentecon l’andamento clinico e laboratoristico del-l’affezione retrovirale di base, siamo di fronteall’ipotesi di un’associazione del tutto occasio-nale tra due disordini tra loro non correlati,oppure possiamo ipotizzare che anche il carci-noma vescicale possa subìre un lento e pro-gressivo incremento di incidenza (come nume-

rosi altri tumori solidi), dovuto all’aumentodell’età media dei pazienti HIV-positivi ed allaserie di potenziali cofattori precedentementericordati1,3,5. Di conseguenza, I Clinici che han-no in trattamento pazienti HIV-positivi conematuria dovrebbero tenere in debito contoanche la possibilità di un carcinoma urotelia-le11,14,20,22, e dovrebbero indirizzare il loro sfor-zo diagnostico al fine di assicurare una rapidadiagnosi, una terapia efficace, e la prosecuzio-ne di un follow-up specialistico, al fine di evi-tare diagnosi ritardate o trascurate, che posso-no portare a stati di malattia neoplastica avan-zata e/o complicata, sebbene la letalità anchenell’ambito della popolazione affetta da ma-lattia da HIV sia stata finora molto contenu-ta13.

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