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Lucio COCO Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma] Nec tam copia quaeri librorum, quam bonitatem cum dilectu Giusto Lipsio Nota introduttiva Psychés iatreion 1. Giusto Lispio (Joost Lips, Overijse 1547 – Louvain 1606), umanista belga e padre del neostoicismo moderno, è autore di opere importanti sul tema etico 1 ed etico-politico. 2 Vasta è anche la sua attività di filologo (con edizioni di Tacito, Valerio Massimo e Seneca) e di erudito tanto che Montaigne parlava di lui come dell’uomo più colto del suo tempo. 3 In contatto con intellettuali dell’epoca molto noti, come attestato dalle numerose lettere scambiate, oltre che con lo stesso Montaigne, con Paolo Manuzio, Francisco de Quevedo, Ugo Grozio e diversi altri letterati, filosofi e artisti, Lipsio scrisse il Saggio sulle biblioteche verso la fine della sua vita. La seconda e la terza edizione dell’opera uscirono postume nel 1607 e nel 1619, segno questo di un evidente interesse per il libro che ne decretò non solo il successo e le re- impressioni che ne seguirono (25 in latino e 4 in traduzione) ma rese anche il saggio un punto di riferimento per le successive ricerche storiografiche sulle biblioteche. 2. L’opera, nella quale egli fa mostra della sua grande erudizione, inserendo numerosissime citazioni (più di cento, di una quarantina di autori greci e latini), si presenta come un excursus storico sulle biblioteche antiche in particolare quelle pub- bliche, per raccomandare ai principi, in questo caso Carlo III di Croy a cui il lavoro è dedicato, l’apertura di nuove strutture e più precisamente per esortarli a rendere ac- cessibili quelle che invece solitamente restavano chiuse: « Infatti se esse rimangono vuote, con qualche raro visitatore, se non c’è nessuno che le frequenti e le pratichi, voglio dire, perché questa congerie di libri?». 4 Quello della lettura è un problema che 1 J. LIPSIUS, De constantia in publicis malis, apud Christophorum Plantinum, Antuerpiae 1584. 2 J. LIPSIUS, Politicorum sive civilis doctrinae libri sex, ex officina Plantiniana, apud Franciscum Raphelengium, Lugduni Batauorum 1590. 3 M. DE MONTAIGNE, Les Essais, 2, 12, ed. Villey-Saulnier, PUF, Paris 1992, p. 578: «Justus Lipsius, le plus sçavant homme qui nous reste». 4 Cf. infra, cap. XI.

Lucio Coco (ed.), Justus Lipsius, De bibliothecis syntagma, Schede Medievali, n.51, gen.-dic. 2013, pp.177-236

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Lucio CoCo

Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Nec tam copia quaeri librorum, quam bonitatem cum dilectuGiusto Lipsio

Nota introduttiva

Psychés iatreion

1. Giusto Lispio (Joost Lips, Overijse 1547 – Louvain 1606), umanista belga e padre del neostoicismo moderno, è autore di opere importanti sul tema etico1 ed etico-politico.2 Vasta è anche la sua attività di filologo (con edizioni di Tacito, Valerio Massimo e Seneca) e di erudito tanto che Montaigne parlava di lui come dell’uomo più colto del suo tempo.3 In contatto con intellettuali dell’epoca molto noti, come attestato dalle numerose lettere scambiate, oltre che con lo stesso Montaigne, con Paolo Manuzio, Francisco de Quevedo, Ugo Grozio e diversi altri letterati, filosofi e artisti, Lipsio scrisse il Saggio sulle biblioteche verso la fine della sua vita. La seconda e la terza edizione dell’opera uscirono postume nel 1607 e nel 1619, segno questo di un evidente interesse per il libro che ne decretò non solo il successo e le re-impressioni che ne seguirono (25 in latino e 4 in traduzione) ma rese anche il saggio un punto di riferimento per le successive ricerche storiografiche sulle biblioteche.

2. L’opera, nella quale egli fa mostra della sua grande erudizione, inserendo numerosissime citazioni (più di cento, di una quarantina di autori greci e latini), si presenta come un excursus storico sulle biblioteche antiche in particolare quelle pub-bliche, per raccomandare ai principi, in questo caso Carlo III di Croy a cui il lavoro è dedicato, l’apertura di nuove strutture e più precisamente per esortarli a rendere ac-cessibili quelle che invece solitamente restavano chiuse: « Infatti se esse rimangono vuote, con qualche raro visitatore, se non c’è nessuno che le frequenti e le pratichi, voglio dire, perché questa congerie di libri?».4 Quello della lettura è un problema che

1 J. Lipsius, De constantia in publicis malis, apud Christophorum Plantinum, Antuerpiae 1584.2 J. Lipsius, Politicorum sive civilis doctrinae libri sex, ex officina Plantiniana, apud Franciscum

Raphelengium, Lugduni Batauorum 1590.3 M. de Montaigne, Les Essais, 2, 12, ed. Villey-Saulnier, PUF, Paris 1992, p. 578: «Justus

Lipsius, le plus sçavant homme qui nous reste».4 Cf. infra, cap. XI.

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esisteva già allora: «Pochi leggono e ancor meno sono quelli che studiano», avrebbe ripetuto tristemente qualche anno più tardi ancora Lipsio a proposito delle abitudini della gente di Lovanio, presa naturalmente solo come esempio di un più universale modo di fare.5

3. In questo primo scorcio di Seicento l’apertura delle biblioteche al pubblico per incentivare gli studi e l’attività della lettura è un tema quanto mai affrontato e dibattuto. Nel 1615 il teologo protestante Johannes Olearius pubblica una Oratio de Bibliothecis earumque origine, necessitate et usu,6 in cui argomenta a lungo sulla necessità delle biblioteche7 e sul loro uso,8 fornendoci tra l’altro questo delizioso elogio del libro: «Il libro è un maestro muto che il lettore che sa leggere può far par-lare; testimone dei tempi, memoria della vita, vita della memoria, a specifico servizio della ragione e del discorso, due fra le più eccellenti facoltà dell’uomo».9 Più tardi, il bibliofilo e letterato francese Roland Desmarets nelle Epistolae philologicae, oltre a insistere sul fatto che «una biblioteca non deve essere privata ma pubblica e deve servire al bisogno di tutti»,10 aggiungerà un altro tassello a questa storia delle biblio-teche pubbliche, mettendo in evidenza la necessità che esse si aprano al prestito: «A poco giova agli studiosi quella biblioteca che non dà in prestito i libri».11

4. In un contesto, che avverte la necessità che del sapere custodito nei libri delle biblioteche tutti possano fruire mediante la lettura diretta dei testi, anche il saggio di Lipsio con i suoi continui riferimenti alle biblioteche pubbliche vuole seg-nalare e serve a marcare la nuova tendenza e il diverso bisogno che sta sorgendo nel mondo della cultura. Nel fare ciò egli ne ripercorre la storia: quella fatta delle luci dell’entusiasmo, quando esse vengono create, fondate e accresciute fino a raggiun-gere, anche per il nostro oggi fatto di biblioteche digitali, numeri ragguardevoli, se si pensa ai settecentomila volumi della biblioteca di Alessandria o ai duecentomila di quella di Pergamo. Ma Lipsio non manca di accennare alle ombre della tristezza che nei secoli hanno avvolto questi edifici, quando il caso, un fulmine per esempio fece

5 J. Lipsius, Lovanium: sive oppidi et academiae eius descriptio, ex Officina Plantiniana, Antverpiae 1605, p. 112.

6 J. oLearius, Oratio de Bibliothecis earumque origine, necessitate et usu, typis Christophori Bismarci, Halae Saxonum 1615.

7 Ivi, pp. 37-50.8 Ivi, pp. 50-64.9 Ivi, p. 19.10 r. desMarets, Epistolae philologicae, apud Edmundum Martinum, Parisiis 1655; Ep.

XXXIV, A Guidone Patino: «Non tam privata dici debet quam publica, utpote quae omnium usibus promiscue pateat», p. 103.

11 Ivi, Ep. X, A Guidone Patino: «Bibliothecas parum prodesse studiosis, quibus libri non commodentur», p. 29.

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bruciare la biblioteca Capitolina al tempo di Commodo,12 oppure una guerra, come quella combattuta da Cesare contro Pompeo che portò alla distruzione dei quartieri del porto e della vicina biblioteca di Alessandria,13 o anche la mania di uomini ne hanno decretato la fine e la cancellazione per sempre: è il caso della distruzione della biblioteca del Serapeo, ordinata da Teodosio, perché ritenuta un ricettacolo di su-perstizioni14 oppure del rogo ordinato, stando a Giovanni di Salisbury,15 da Gregorio Magno, che pose termine alla storia della biblioteca Palatina di Roma.16

5. Come può l’uomo creatore, l’uomo fabbro di biblioteche diventarne anche il carnefice? Giusto Lipsio non si pronuncia; la sua sapienza sta nell’accennare al fatto e farci pensare ad esso, con l’equilibrio tipico del filosofo stoico. Altre volte è semplicemente il tempo a farle scomparire. Delle ventinove biblioteche di Roma, censite da Publio Vittore, egli ne può contare solo sette.17 Le tante altre, sparse nei diversi municipi e colonie o semplicemente nelle case di campagna dei ricchi si-gnori, si interroga che fine abbiano fatto. Come in un trionfo petrarchesco, il tempo consuma e divora le cose degli uomini. Continuamente il suo stoicismo, che osserva la realtà del mondo con distacco e nostalgia, cede il passo al moralista. La critica più aspra che egli muove ai possessori di libri e di biblioteche è che per loro si tratta solo di un qualcosa da esibire, da mostrare. A questo scopo lascia parlare diretta-mente il suo maestro, il Seneca del De tranquillitate animi dove stigmatizza il triste costume di servirsi dei libri «non per lo studio ma per tappezzare le pareti delle sale da pranzo».18 Ma c’è anche un’altra mania, stavolta non degli indotti, ma di un certo tipo di gente di cultura, che prova piacere nell’esibire le sue tante letture. Queste persone, a differenza delle precedenti, i libri, è vero, li leggono, ma anche in questo caso il loro sforzo è vano. Di Epafrodito di Cheronea, vissuto al tempo di Nerone, si dice infatti che fosse giunto a possedere una biblioteca privata di circa trentamila volumi. Una cosa certamente lodevole tuttavia, fa notare Giusto Lipsio, «non si rich-iede [ai libri] la quantità ma la qualità e il piacere».19 Egli lascia così riecheggiare in questa espressione l’antico detto latino per il quale bisogna «non multa sed multum legere»20 e segnala al lettore la via di una lettura qualitativa e fatta cum dilectu, per

12 Cf. infra, cap. VII.13 Cf. infra, cap. II.14 Cf. infra, cap. II.15 g. di saLisbury, Policratici sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum, 2, 26, ed. C.

C. I. Webb, e typ. Clarendomiano, Oxonii 1909, p. 142.16 Cf. infra, cap. VI.17 Cf. infra, cap. VII.18 seneca, De tranquillitate animi, 9, 5.19 Cf. infra, cap. VIII: «Laudo hoc ultimum: nec tam copia quaeri, quam bonitatem cum dilectu». 20 pLinio iL giovane, Epistolae, 7, 9.

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usare le sue stesse parole, capace cioè si suscitare il piacere di leggere perché, come già faceva notare san Gerolamo, nella lettura prevalga non il labor, ma la delectatio, non lo sforzo ma il diletto.21

6. Intrecciate a queste storie di biblioteche riaffiorano anche storie di libri particolari, storie che li strappano all’anonimato delle centinaia di migliaia di vo-lumi che ogni edificio conteneva: è il caso dei libri che una donna, Phantasia, aveva deposto nel tempio di Vulcano a Memfi e che avrebbero ispirato Omero per i suoi poemi.22 Oppure del «libro elefantino» conservato a Roma nella biblioteca Ulpia, che avrebbe fatto sicuramente la gioia di tanti bibliofili per essere esso scritto, ma lo stesso Lipsio ha dei dubbi, «su tavolette d’avorio oppure su pelle di elefante».23 Di altri ci è appena consentito di seguirne la traccia incerta e scorgerne i destini non sempre fortunati e felici, come quando, per esempio, accenna alla sorte di quelli di Aristotele che nella versione di Ateneo costituiranno il fondo della futura biblioteca dei re tolemaici di Alessandria24 e che invece, secondo Strabone, «furono posti dagli eredi sotto terra, dove furono mangiati dalle tarme e dai tarli».25 Altre volte è l’incendio fortuito della biblioteca a decretarne la fine: è il caso dei centoventimila volumi della biblioteca di Bisanzio, al tempo dell’imperatore Basilisco (V sec.), andati completamente perduti e distrutti e con essi anche un esemplare magnifico dell’Iliade e dell’Odissea scritto a lettere d’oro sul “supporto”, oggi quanto mai curioso, di un intestino di dragone.26

7. Si è già accennato al successo editoriale del libro. Nella riedizione del 1607 è lo stesso Lipsio a inserire una postilla in fondo all’opuscolo per assicurarsi che venisse pubblicato in quell’Officina Plantiniana di Anversa, il cui motto Labore et Costantia e la marca tipografica del compasso saranno segni per tre secoli di un’arte della stampa raffinata ed elegante. Alla morte del suo fondatore Christophe Plantin (1520-1589) l’attività passò nelle mani del genero Jan Moret (1543-1610) e Lipsio in questa clausola con poche parole lascia intuire il legame profondo lo univa allo stam-patore scomparso: «Per l’amicizia che c’è e ci fu con Plantin (ahimè, un tempo il mio Plantin) e la sua famiglia, a te Jan Moret consento di stampare e pubblicare per i tuoi tipi il mio De bibliothecis syntagma».27 In seguito il Saggio fu inserito nelle varie edizioni degli Opera omnia. Figura in quella ufficiale, pubblicata da Balthasar More-

21 geroLaMo, Epistolae, n. 130; PL 22, 1119.22 Cf. infra, cap. I.23 Cf. infra, cap.IX.24 Cf. infra, cap. III e ateneo, Deipnosophistai, 1, 4.25 strabone, Geographica, 13, 1, 54.26 Cf. infra, cap. III.27 De bibliothecis syntagma, p. 38 (ed.1607), riprodotta anche in quella del 1619 p. 38.

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tus ad Antwerp nel 1637,28 e nelle successive fino ad arrivare all’edizione di Wesel29 del 1675 da cui è stata tratta una ristampa anastatica dall’editore Olms.30 La mia tra-duzione si basa sulle tre edizioni apparse singolarmente a stampa di cui ho riportato in nota le varianti. Si può notare che tra la seconda e la terza edizione le differenze sono minime. Benché l’editore, Balthasar Moret, il figlio di Jan, che alla sua morte gli era subentrato nella tipografia, sul frontespizio scriva che si tratta dell’ultima rivista dall’autore (Editio tertia, et ab ultima auctoris manu) essa è sostanzialmente una ristampa della seconda e non avrebbe potuto essere diversamente, essendo morto Lipsio nel 1606 ed essendo già apparse le sue modifiche nell’edizione del 1607. Le differenze più importanti vanno cercate quindi tra la seconda e la prima edizione. A parte la clausola finale, una specie di testamento in cui l’autore, come si è detto, esprime la sua volontà di essere pubblicato solo dall’Officina Plantiniana, si segnal-ano varianti significative per estensione ai cap. IX e X e altre più brevi ai cap. III, VI, VIII, che ho puntualmente indicate nelle relative note a piè pagina. Questo stesso testo viene inserito, con alcune piccole differenze di carattere grafico e tipografico, nelle diverse edizioni degli Opera omnia con l’unica omissione della summenzio-nata clausola.

8. Dopo le edizioni e le riedizioni seicentesche,31 l’attenzione sul Saggio sulle biblioteche torna agli inizi dell’Ottocento. Gabriel Peignot (1767-1849), bib-liotecario e soprattutto bibliografo tra i più stimati del secolo, nel pubblicare il suo Manuel bibliographique,32 inserisce in testa a questo importante lavoro il Traité de bibliotheques anciénnes di Giusto Lipsio, fornendo una traduzione francese,33 tal-volta alquanto parafrastica, data le difficoltà e le asperità che presenta l’ostico la-tino dello scrittore fiammingo. Egli fa precedere al testo una Notice préliminaire sull’opera di Giusto Lipsio34 e in appendice aggiunge una sua piccola storia delle biblioteche moderne «come supplemento» al lavoro lipsiano.35 All’alba del nuovo

28 J. Lipsius, Opera Omnia postremum ab ipso aucta et recensita: nunc primum copioso rerum indice illustrata, 4 vols., ex Officina Plantinana Balthasaris Moreti, Antverpiae 1637; [si tratta della prima edizione ufficiale degli Opera omnia] il De Bibliothecis Syntagma è inserito nel vol. III, pp. 623-636.

29 J. Lipsius, Opera omnia, postremum ab ipso aucta et recensita: nunc primum copioso rerum indice illustrata, apud Andream ab Hoogenhuysem et societatem, Vesallae 1675.

30 J. Lipsius, Opera omnia, Olms, Hildesheim 2001 [Nachdruck der Ausgabe Wesel 1675]; De Bibliothecis Syntagma: Band III, Teil 2, pp. 1122-1140.

31 Da ricordare l’inserimento del Syntagma nell’antologia di scritti bibliografici di J. J. Mader, De Bibliothecis atque Archivis, Hammius, Helmstedt 1666.

32 g. peignot, Manuel bibliographique, Villier, Paris 1800.33 Ivi, pp.1-39.34 Ivi, pp. xi-xv.35 Ivi, Notice abrégé des principales bibliothèques modernes, pp. 41-52.

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secolo John Cotton Dana, bibliotecario della Free Public Library di Newark (New Jersey) e autore di numerose pubblicazioni sulla storia delle biblioteche, traduce il libro in inglese.36 Questo lavoro sotto il profilo testuale risulta più attento e rispettoso della originaria traccia latina. Manca tuttavia del tutto in esso qualsiasi ricerca sulle numerosissime fonti greco-latine di cui si serve lo scrittore umanista e che rappre-sentano per il ricercatore di storia del libro e delle biblioteche un dato sicuramente non trascurabile. La presente traduzione, la prima in lingua italiana, ha cercato di sopperire alle lacune delle due precedenti, attenendosi rigorosamente al testo lip-siano e, fin dove è stato possibile, riportando in nota i riferimenti bibliografici delle citazioni inserite dall’autore. Nel testo a fronte che fornisco (per i criteri usati vedi supra, § 7) ho riportato le notazioni adottate dal Lipsio. Esse tuttavia in molti casi non risultano corrispondenti per capitoli e numero di paragrafo a quelle attuali che invece è possibile reperire nelle note alla traduzione italiana. Infine, ancora sulle citazioni, esse presentano delle varianti rispetto alle attuali edizioni riferimento; ho preferito indicare solo quelle più significative, diversamente ho lasciato invariato il rimando. In alcuni casi, in presenza di un grande scarto tra il testo di riferimento e quello citato, ho inserito la dicitura citazione non letterale fra parentesi quadre.

9. Dalla biblioteca di Giusto Lipsio filtra la luce verde, «molto riposante per gli occhi»,37 delle venature dei marmi prescelti, preferibile a ogni altro tipo di decorazione. Oltre al comune arredo, scaffali, scansie, ripiani, sgabelli, egli loda l’abitudine di posizionare nelle sale di lettura immagini o statue, con un gusto che sembra ricordare la biblioteca di Isidoro di Siviglia, anch’essa ornata di gessi e busti sotto i quali il vescovo spagnolo metteva dei versi38 che sono andati a formare la raccolta dei Versus in Bibliotheca39 dell’autore del libro delle Etymologiae così tante volte citato nel suo studio. E anche noi oggi, eredi delle biblioteche descritte da Gi-usto Lipsio, sotto questa luce vorremmo riposare i nostri occhi e proteggerli, come già lui faceva, da ciò che rischia di abbagliarli non sono realmente ma anche meta-foricamente, per ritrovare in esse, al di là di ogni frastuono dell’epoca, quel luogo di ricreazione e di ristoro, di ricetto dell’anima, di Psychés iatreion, proprio come all’inizio di questa storia un antico re egizio aveva definito la sua biblioteca.

36 J. c. dana (ed.), A brief outline of the history of libraries by Iustus Lipsius, A. C. McClurg & Co. Publishers, Chicago 1907.

37 Cf. infra, cap. IX.38 Cf. isidoro di sivigLia, Isidoriana; PL 81, 576.39 id., Versus in bibliotheca; PL 83, 1107-1114.

189Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Nota bibliografica

Edizioni del De Bibliothecis Syntagma

Justus Lipsius, De bibliothecis syntagma, ex officina Plantiniana, apud Ioan-nem Moretum, Antverpiae 1602.

Justus Lipsius, De bibliothecis syntagma. Editio secunda, et ab ultima aucto-ris manu, ex officina Plantiniana, apud Ioannem Moretum, Antverpiae 1607.

Justus Lipsius, De bibliothecis syntagma. Editio tertia, et ab ultima auctoris manu, ex officina Plantiniana, apud Balthasarem Moretum et viduam Ionannis Mo-retti, Antverpiae 1619.

Justus Lipsius, Opera Omnia postremum ab ipso aucta et recensita: nunc pri-mum copioso rerum indice illustrata, 4 vol., ex Officina Plantinana Balthasaris Mo-reti, Antverpiae 1637; [si tratta della prima edizione ufficiale degli Opera omnia] il De Bibliothecis Syntagma è inserito nel vol.I II, pp. 623-636.

Justus Lipsius, Opera omnia, postremum ab ipso aucta et recensita: nunc pri-mum copioso rerum indice illustrata, apud Andream ab Hoogenhuysem et societa-tem, Vesallae 1675.

Justus Lipsius, Opera omnia, Olms, Hildesheim 2001 [Nachdruck der Ausga-be Wesel 1675]; il De Bibliothecis Syntagma: Band III, Teil 2, pp. 1122-1140.

Altre fonti, traduzioni, articoli

John Cotton Dana, A brief outline of the history of libraries by Iustus Lipsius, A. C. McClurg & Co. Publishers, Chicago 1907 [traduzione in inglese del De Biblio-thecis Syntagma].

Roland Desmarets, Epistolae philologicae, Apud Edmundum Martinum, Pa-risiis 1655.

Johann Kupfermann (Johannes Olearius), Oratio de Bibliothecis earumque origine, necessitate et usu, Typis Christophori Bismarci, Halae Saxonum [Halle an der Saale] 1615.

Gabriel Peignot, Manuel bibliographique, Villier, Paris 1800; inserisce una traduzione del De Bibliothecis Syntagma (intitolandolo: Traité de bibliotheques an-ciénnes) all’inizio del volume, pp. 1-39.

Alfredo Serrai, Storia della bibliografia, vol. V. Trattatistica Biblioteconomi-ca, a cura di Margherita Palumbo, Bulzoni, Roma 1994.

Ferdinand van der Haeghen–Marie-Thérèse Lenger, Bibliotheca belgica: bi-bliographie générale des Pays-Bas, 7 vols., Culture et civilisation, Bruxelles 1964-1975; per una completa descrizione bibliografica di tutte le edizioni di Giusto Lipsio, t. III, 1964, pp. 883-1125 .

Thomas D. Walker, Iustus Lipsius and the Historiography of Libraries, in

190 Lucio Coco

«Libraries & Culture» 26.1 (1991), pp. 49-65.Thomas D. Walker, Ancient Authors on Libraries: An Analisys and Biblio-

graphic History of De biobliothecis syntagma by Justus Lipsius, in Justus Lipsius Europae lumen et columen, Supplementa Humanistica Lovaniensia XV, ed. G. Tournoy-J. De Landtsheer-J. Papy, University Press, Leuven 1999, pp. 233-247.

191Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

192 Lucio Coco

De bibliothecis syntagmaAd lectorem

Breve hoc De Bibliothecis, id est libris, habes: quid nobis dignius, quid nobis dignius, qui libros assidue tractamus? Etsi revera οὐδ’ ὄναρ1 hoc cogitaram, nisi me Principis Viri, cui dicatum ivimus, in hac re studium excitasset. Atque hos tales in bonis altisque consiliis confirmare aut et inflammare, optimo publico censeo equi-dem fieri. Quam pauci magnatum se eo dant? quam ad pristinas sordes et tenebras omnia videntur ire? Quam etiam, spretis antiquis et veris, nova quaedam hodie pro-cudunt doctrinarum! quibus illud iure dixeris:

Ὁδοῦ παρούσης τὴν ἀτραπὸν ζητέεις.2

Viderint. nos prisca adhaeremus: et utiliter saepe (ita confido) eruimus, dige-rimus, illustramus. Fave tu, bonae mentis lector.

Iusti LipsiiDe Bibliothecis Syntagma

Cap. I3

Bibliotheca, et Libraria, quid? Reges veteres habuisse, atque illos Ægypti.

Bibliotheca tria significat, Locum, Armarium, Libros. Graeca vox Latinis in usum etiam venit, et quamquam Librariam dicunt, tamen magis est ea voce taber-nam capi, in qua venales libri extant. Sed Bibliothecarum res vetus, et, nisi fallor, cum ipsis litteris adinventa. Nam simul ac scire et sapere natum est, mox etiam scri-bere: et istud esse cum fructu non potuit, nisi ut libri adservarentur et disponerentur,4 ad praesentium et posterorum usum. Privata primum ea cura, et quisque sibi suisque struebat: postmodum Reges et Dinastae usurparunt, nec in usum solum, sed ambi-tionem aut splendorem. Sane multos congerere, vix fuit privati hominis aut census: cum tarda et impediosa descriptio esset: donec utilissima haec Typographia rem in compendium misit. Qui primus Regum illustrem habuit (quod memoria servet) is fuit Osymanduas, Ægypti. qui inter alia operum praeclara, Sacram Bibliothecam struxit, et in ejus fronte praescipsit, Ψυχῆς ἰατρεῖον. aniMi Medica officina. Ita

1 Nec per somnium.* [Nota 1: faccio seguire da asterisco le note marginali presenti nel testo latino].

2 Prompta via et patente, quaeris semitam.*3 Cap. I: 1602.4 et: 1619.

193Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Saggio sulle bibliotecheAl lettore

Abbi questo breve saggio Sulle biblioteche, ovvero sui libri: cosa di più degno per noi che assiduamente trattiamo di libri? Anche se per vero neanche in sogno ci avrei pensato, se non mi avesse spinto la passione sull’argomento del nobile Princi-pe, a cui l’ho dedicato.1

Che questi [sc. i principi] possano incoraggiare o anche ispirare buoni e alti propositi, penso che certo possa essere cosa buona per tutti. Come sono pochi quelli che si impegnano generosamente in ciò! Come tutto sembra andare verso le passate bassezze e verso le tenebre! Quali nuove dottrine oggi si escogitano, in dispregio dell’antico e del vero! Ad esse a buon diritto potresti indirizzare il detto:

«C’è la strada e scegli il sentiero».2

Si capisca questo: noi rimaniamo legati alle cose antiche e spesso utilmente (così spero) cerchiamo, esponiamo, spieghiamo. Tu, lettore, sii ben disposto e guar-da con favore questo lavoro.

Giusto LipsioSaggio sulle biblioteche

Capitolo I

Che cosa sono una biblioteca e una libreria? I re antichi ne hanno avute e anche quelli d’Egitto.

Biblioteca sta a significare tre cose, un luogo, un armadio, dei libri. Il voca-bolo greco venne in uso anche presso i latini, che parlano pure di libreria, anche se bisogna intendere con questo nome più il locale in cui si vendono i libri. Le biblio-teche sono un fatto antico e, se non mi inganno, vanno insieme all’invenzione delle stesse lettere. Infatti conoscere e sapere sono nati nello stesso tempo e presto anche lo scrivere: e questo non potrebbe avvenire con vantaggio se i libri non venissero conservati e disposti ad uso dei presenti e dei posteri. In origine questa cura era una questione privata e ognuno se le allestiva per sé e per i suoi. In seguito re e sovrani se ne sono appropriati non con un fine d’uso ma per ambizione e splendore. In vero

1 Il dedicatario dell’opera è Carlo III di Croy (1560-1612), un importante collezionista di stam-pe, di monete e di libri: All’illustrissimo ed eccellentissimo principe Carlo/ duca di Croy e di Arschot,/ principe del Sacro Impero,/ cavaliere del Toson d’Oro.

2 Riprende l’antico proverbio greco: ὁδοῦ παρούσης τὴν ἀτραπὸν μὴ ζήτει (Se c’è la strada non cercare il sentiero).

194 Lucio Coco

Diodorus.5 Et quamquam6 ille inter veteres Regum fuerit, non tamen dubito exem-plum, si non ipsam rem, mansisse, et in Ægypto Bibliothecas semper aliquas exinde exstitisse: idque in templis praecipue, et sacerdotum cura. Multa argumento, tum et illud de Homero: quem Naucrates quidam plagij accusat, et in Ægyptum cum venis-set, libros repperisse Phantasiae faeminae, quae Iliadem atque Ulyessam scripserit, et Memphi in templo deposuerit Vulcani.7 Homerum igitur vidisse, sibi adscripsisse, et edidisse. Quae in viro, opinor, falsa, rem tamen et morem firmant.

5 Lib. I.* [Nota 2: per quanto riguarda il criterio adottato per i riferimenti ho mantenuto inalter-ato quello delle note marginali del testo latino; nella traduzione italiana ho riportato quello aggiornato, in base alle edizioni più recenti].

6 Quanquam: 16027 Eustat. in Praefat. Odyss.*

195Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

raccogliere molti libri era difficile per le tasche dei privati, essendo la trascrizione lenta e dispendiosa, finché questa assai utile arte della stampa ha reso più semplice [il procedimento].

Il primo fra i re che ebbe una biblioteca importante (in base a ciò che viene tramandato dalla storia) fu Osimandia d’Egitto. Questi tra le altre splendide opere, «co-struì una biblioteca sacra e sulla sua facciata fece scrivere Ψυχῆς ἰατρεῖον [Ospedale dell’anima]». Così Diodoro.3 Anche se era uno dei re più antichi, non ho dubbi sul fatto che, se non la costruzione stessa, almeno l’esempio sia rimasto e che in seguito in Egitto fossero sempre esistite delle biblioteche, in particolare presso i templi [affidate] alla cura dei sacerdoti.

Molto si può dire a riguardo, per esempio quello che si riferisce di Omero. Un certo Naucrate lo accusò di plagio dal momento che, essendo venuto in Egitto e avendo trovato le opere di una donna, Phantasia, che aveva scritto i libri dell’Iliade e dell’Odissea e li «aveva deposti nel tempio di Vulcano a Memfi»,4 Omero li avrebbe dunque visti, se ne sarebbe appropriato e li avrebbe pubblicati. Io credo falsa questa storia su di lui, tuttavia essa testimonia che ci fosse l’usanza [delle biblioteche].

3 Cf. diodoro sicuLo, Bibliotheca historica, 1, 49, 3. Si tratta della iscrizione della biblioteca sacra all’interno del complesso tombale del faraone Ramses II a Tebe, la cui descrizione è ripresa da Ecateo di Abdera, uno storico del III sec. a. C. (c. MüLLer, Fragmenta historicorum Graecorum, 2, 389-291).

4 eustathius, Commentarii ad Homeri Odysseam, Praefatio, ed. J. G. Stallbaum, Leizpig 1825 [Ripr. anastatica Olms, Hildesheim-New York 1970].

196 Lucio Coco

Cap. II

Alexandrina Bibliotheca, cui Philadelphus primus et praecipuus auctor. Varietas et numerus ibi librorum. Combusta, et iterum instaurata.

Sed reliquae ibi in obscuro sunt, Ptolomaei Philadephi Regis in magna luce et laude fuit. Is Ptolomaei Lagi filius, secundus eo nomine et stirpe Ægypti regum: ar-tium et ingeniorum cultor, et quod adhaeret, librorum. Itaque Alexandriae ingentem Bibliothecam composuit: instructione et exemplo Aristotelis adiutus, imo et ipsis eius libris. Nam Aristoteles, ut post dicam, copia et dilectu insignem Bibliothecam adornaverat. de qua Strabo: Ἀριστοτέλης [ί] πρῶτος ὧν ἴσμεν συναγαγὼν βιβλία καὶ διδάξας τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ βασιλέας βιβλιοθηκής σύνταξιν: Aristoteles pri-mus, quos norimus, collector librorum fuit, et reges in Ægypto docuit Bibliothecae structuram.8 Quae tamen caute et cum sua interpretatione legenda: nec enim vel primus omnino fuit; et certe aevo anterior, docere Philadelphum hunc non potuit, nisi, ut dixi, exemplo. Hoc fortasse verum, quod Athaeneo scriptum: Aristotelem, Theophrasto libros reliquisse, hunc Neleo. a quo mercatus Ptolomaeus, cum iis quos Athenis et Rhodi coëmerat, omnes in pulchram Alexandriam transferri curavit.9 Etsi alij tamen dissentiunt, ut in loco dicam. Sed Bibliothecam igitur ille undique, et omne genus libris, instruxit: etiam sacris, et e Iudaea petitis. Nam cum aures eius fama tetigisset Hebraeae sapientiae, misit qui libros deposcerent, et idoneos simul homines conduxit, qui in Graecam linguam verterent, communi omnium usui. Ea in-terpretatio est, quam Septuaginta, a numero scilicet qui operam dederunt, dicunt. Id evenisse anno eius regni XVII. Epiphanius tradidit, Olympiade CXXVII.10 Praeerat Bibliothecae, vir scriptis et factis illustris, Demetrius Phalereus, exsul a suis Athenis: et quem rex benigne habitum ad haec et maiora ministeria admovit. Idemque a Chal-daeis, Ægyptiis, Romanis etiam libros petivit, et pariter in linguam Graecam tran-sfundi curavit. De quibus Georgium Cedrenum capio: Philadelphus libros Sacros, Chaldaicos, Ægyptios, et Romanos, aliosque diversilingues in Graecam omnem con-verti curavit, in universum ad centum millia voluminum: quae omnia in bibliothecis suis Alexandriae reposuit.11 Duo noto, et curam peregrinos libros vertendi, utilem meo animo, et vobis principibus etiamnunc usurpandam: et numerum librorum, grandem satis, sed non pro vero, si de universis capiamus. Quod abnuo, et Cedreni mentem de conversis tantum esse arbitror atque ipsos primogenios Graecos, longe superasset. Hoc alij scriptores dixerint, qui valde adaugent. ut Seneca noster: Qua-dringenta millia librorum Alexandriae arserunt, pulcherrimum regiae opulentiae

8 Lib. I.*9 Lib. I.*10 De ponder. et mensur.*.11 Lib. XXII.*

197Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo II

La biblioteca di Alessandria, di cui Filadelfo fu il primo e principale artefice. La varietà e il numero dei libri lì conservati. Bruciata e di nuovo ricostruita.

Le altre biblioteche lì [in Egitto] non sono tuttavia note; ebbe grande fama e lode quella di Tolomeo Filadelfo. Questi era figlio di Tolomeo Lago e gli succedet-te per nome e dinastia dei re d’Egitto:5 fu cultore delle arti e delle scienze, e cosa che sta bene insieme, dei libri. Egli costituì una ingente biblioteca ad Alessandria, aiutato dalle istruzioni e dall’esempio di Aristotele e forse anche dai suoi stessi li-bri. Infatti Aristotele, come dirò dopo, aveva formato una biblioteca considerevole per numero e qualità, della quale Strabone dice: «Ἀριστοτέλης […] πρῶτος ὧν ἴσμεν συναγαγὼν βιβλία καὶ διδάξας τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ βασιλέας βιβλιοθηκής σύνταξιν [Aristotele è il primo che conosciamo che raccolse libri e che ai re in Egit-to insegnò la struttura di una biblioteca]».6 Queste informazioni devono essere prese con cautela e vanno correttamente interpretate. Egli non fu il primo in assoluto ed essendo vissuto in un’epoca precedente non poté insegnare a Filadelfo se non, come ho detto, fungendo da esempio. Forse è vero ciò che Ateneo ha scritto che «Aristo-tele abbia lasciato i libri a Teofrasto e questi a Neleo, dal quale li comprò Tolomeo, che insieme ai volumi che aveva acquisiti ad Atene e a Rodi li fece trasferire ad Alessandria»,7 anche se altri, come dirò a suo luogo, non sono d’accordo. Egli mise su una biblioteca con libri che provenivano da ogni parte e di ogni genere, anche [testi] sacri richiesti ai Giudei. Infatti quando giunse alle sue orecchie la fama della sapienza ebraica, mandò a chiedere quei libri e chiamò gente capace di tradurli in greco a comune uso di tutti. Questa traduzione è quella che chiamano la Settanta, dal numero cioè di coloro che vi lavorarono. Ciò avvenne nel diciassettesimo anno del suo regno, come ci tramanda Epifanio, al tempo della 127a Olimpiade.8 A capo della biblioteca era Demetrio Falereo, uomo stimato per gli scritti e per le opere, esule dalla sua Atene. Il re lo aveva trattato con benevolenza affidandogli questa e altre maggiori funzioni. Egli fece lo stesso chiedendo dei libri ai Caldei, agli Egizi, ai Romani e parimenti si preoccupò di farli tradurre in greco. A tal proposito cito Gior-gio Cedreno: «Filadelfo ebbe cura di far tradurre nella lingua greca i libri sacri dei Caldei, degli Egizi, dei Romani e altri di diverse lingue, in tutto centomila volumi; tutti questi li conservò nella sua biblioteca di Alessandria».9 Due cose noto: [primo] la cura di far tradurre libri dall’estero, si tratta di una cosa a mio parere utile e che

5 Secondo discendente della dinastia tolemaica regnò dal 285 a. C. al 246 a. C.6 strabone, Geographica, 13, 1, 54. 7 ateneo, Deipnosophistai, 1, 4 [citazione non letterale].8 epifanio di saLaMina, De mensuris et ponderibus, 12: PG 43, 256.9 giorgio cedreno, Historiarum compedium, 165: PG 121, 325 [citazione non letterale].

198 Lucio Coco

monumentum.12 Sane pulcherrimum, et supra gemmas omnes vel aurum: sed quanto pulchrius, si uberius? Nam nec is Senecae numerus ex vero satis, et ad Septingenta millia redigendus. Iosephus doceat, qui tradit Demetrium (illum Parefectum, de quo dixi) aliquando interrogatum a Philadelpho, quot millia librorum iam haberet? Re-spondisse, ducenta millia admodum, sed sperare brevi ad quingenta.13

12 De tranq. cap. IX.*.13 XII. Antiq. cap. I et Euseb. De praepar. lib. VIII ex Aristea.*

199Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

deve essere adottata anche oggi da te che sei il Principe; [secondo] il numero dei li-bri, abbastanza grande, ma assolutamente non vero, se parliamo di tutti i libri. Io non lo accetto, e penso che Cedreno avesse in mente soltanto quelli tradotti e che quelli che erano originariamente in greco fossero di gran lunga di più. Questo altri scrittori lo hanno detto e costoro di molto lo hanno aumentato. È il caso del nostro Seneca: «Quattrocentomila libri, monumento bellissimo della opulenza dei re, bruciarono ad Alessandria».10 Davvero bellissimo ben al di là di ogni gemma e dell’oro: ma quanto più bello, se fosse stato più ricco? Il numero di Seneca infatti non è in vero esatto e deve essere portato a settecentomila. Lo dice [Flavio] Giuseppe che narra che «De-metrio (il prefetto di cui ho parlato), interrogato da Tolomeo su quante migliaia di libri avesse raccolto, avesse risposto che al momento ne aveva duecentomila e che sperava in breve tempo di giungere a cinquecentomila».11

10 seneca, De tranquillitate animi, 9, 5 [con punteggiatura modificata].11 fLavio giuseppe, Antiquitates Iudaicae, 12, 2, 1 [citazione non letterale].

200 Lucio Coco

Vides, quam auxerit: sed quanto magis postea, atque etiam alij Reges? Pro-fecto ad Septingenta millia venerunt, Agellio disertim scribente: Ingens numerus librorum in Ægypto a Ptolomaeis regibus vel conquisitus (empitone) vel confectus (descriptione) est, ad millia ferme voluminum septingenta.14 Idem Ammianus, verbis statim dandis: idem Isidorus, sed emendandus: Septuaginta millia librorum Alexan-driae, Philadelphi temporibus, inventa sunt. Scribendum, inquam, septingenta. O thesaurum, sed in re aeterna non aeternum! Nam totum hoc, quidquid fuit librorum, bello civili Pompeiano periit, cum Caesar in ipsa urbe Alexandria bellum cum inco-lis gereret, et tuitionis suae causa ignem in naves misisset; qui et vicina navalibus, ipsamque Bibliothecam comprehendit et absumpsit. Triste fatum, et Caesari (etsi ab-sque destinata culpa) pudendum! itaque nec ipse in tertio Civilium, nec Hirtius dein-de meminere: alij tamen; ut Plutarchus, Dio, etiam Livius, uti ex Seneca facile est haurire. Nam post superiora illa verba, addit: Alius luadaverit, ut Livius, qui, elegan-tiae regum curaeque, egregium id opus ait fuisse. Sunt ipsa Livij verba, ubi de hoc incendio: et iusto elogio in rem et Reges. Sed de hoc tristi igne etiam Ammianus: In-ter templa eminet Serapeum, in quo Bibliothecae fuerunt inaestimabiles; et loquitur monumentorum veterum concinens fides, septingenta voluminum millia, Ptolomaeis regibus vigiliis intentis composita, bello Alexandrino, dum diripitur civitas, sub Dic-tatore Caesare conflagrasse.15 Ipse in direptione evenisse vult: itemque Agellius. Ea omnia volumina, inquit, bello priore Alexandrino (ad discrimen eius, quod sub Antonio) dum diripitur civitas, non sponte neque opera consulta, sed a militibus forte auxiliariis incensa sunt.16 Excusat vero ipse non Caesarem tantum (quo quid librorum aut ingeniorum amantius?) sed romanos milites, et culpam hanc ad exteros auxiliares ablegat. Ceterum de direptione, non ita Plutarchus aut Dio: quos est vide-re. Hic igitur finis nobilis Bibliothecae, Olympiade CLXXXIII: cum vix CCXXIII-I.17 annos fuisset. Etsi revixit tamen, non eadem (qui id potuit?) sed consimilis, et eodem loci, id est in Serapeo, collocanda. Auctor reparandi Cleopatra, illa amoribus Antonij famosa: quae ab eo in auspicium et velut fundamentum operis impetravit Bibliothecam Attalicam sive Pergamenam. Itaque totam cum dono cepisset, et tran-sferri curasset, iterum adornata auctaque est, et Christianorum etiam temporibus, in vita et fama fuit. Tertullianus: Hodie, apud Serapeum, Ptolomaei Bibliothecae, cum ipsis Hebraicis litteris, exhibentur.18 Nota, ad Serapeum iterum fuisse, id est in eius porticibus: atque id vicinum portui et navalibus, ex Strabone aliisque discas. Nota, et Ptolomaei Bibliothecas dici: etsi revera non illae iam essent, sed consimiles, et primogenij illi Hebraici libri, unaque LXX. interpretatio, flamma periissent. Tamen

14 Lib. VI. cap. ult.*15 Lib. XXII.*16 Lib. VI. cap. ult.*17 CCXXIV: 1619.18 Apolog. XVIII.*

201Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Vedi di quanto l’aveva accresciuta e quanto più grande sarebbe diventata dopo anche con gli altri re? Senza dubbio il numero salì a settecentomila. Aulo Gellio lo scrive chiaramente: «Un ingente numero di libri dai re tolemaici in Egitto fu raccolto (mediante l’acquisto) o fu costituito (mediante la trascrizione) e si attestava sui sette-centomila volumi».12 Lo stesso [faceva] Ammiano, che sarà citato fra poco, e anche Isidoro, che va rettificato. [Egli scrive che] «ai tempi di Filadelfo c’erano settanta-mila volumi»;13 [il numero] va corretto, dico, con «settecentomila». O tesoro! Eterno ma non di fatto. Infatti tutto questo – per quanti libri ci fossero – andò perduto nella guerra civile con Pompeo, avendo Cesare intrapreso una guerra con gli abitanti della città nella stessa Alessandria. Per proteggersi egli aveva fatto fuoco sulle navi, fuoco che raggiunse i vicini quartieri del porto e anche la biblioteca, distruggendola. Triste destino! E Cesare se ne sarebbe dovuto vergognare (benché non avesse una colpa diretta)! Perciò né lui, nel terzo libro delle Civili,14 né Aulo Irzio ne fanno menzione. Altri invece sì, come Plutarco, Dione e Livio, cosa che facilmente si può vedere in Seneca. Infatti dopo le parole citate in precedenza, aggiunge: «Altri l’hanno lodata, come Livio il quale afferma che si trattava di un’opera egregia dell’eleganza e della cura dei re».15 Sono le parole stesse di Livio, dove si parla di questo incendio e si fa il giusto elogio dell’edificio e dei re. Di questo triste incendio parla anche Ammiano: «Tra i templi è notevole il Serapeo,16 dove c’era una biblioteca inestimabile, stando all’opinione concorde delle antiche testimonianze, si parla di settecentomila volumi, raccolti dall’attenta cura dei re tolemaici, che andarono bruciati durante la guerra alessandrina, mentre la città, con Cesare dittatore, veniva saccheggiata».17 Egli vuole che ciò avvenisse durante il saccheggio. Lo stesso pensa Aulo Gellio: «Tutti quei volumi, dice, furono bruciati, durante la prima guerra alessandrina (per differenziarla da quella sotto Antonio), durante il saccheggio della città, non volontariamente né deliberatamente, ma casualmente da milizie ausiliarie».18 Egli scusa non solo Ce-sare (per il quale che cosa c’era di più amabile dei libri e della cultura?) ma anche i soldati romani e dà la colpa di questo alle milizie ausiliarie. Inoltre si può vedere che sul saccheggio non la pensavano così né Plutarco né Dione. Questa dunque la fine della nobile biblioteca, durante la 183a Olimpiade, essendo durata quasi 224 anni. Tuttavia tornò a vivere, non la stessa (come avrebbe potuto?) ma una simile,

12 auLo geLLio, Noctes Atticae, VII, 17, 3.13 isidoro di sivigLia, Etymologiarum libri, 6, 3, 5 [citazione non letterale].14 cesare, Commentarii de bello civili, III, cap.110-112 dove si parla della battaglia nel porto,

dell’incendio delle navi e della guerra nella città.15 seneca, De tranquillitate animi, 9, 5 [con punteggiatura modificata].16 Si tratta della biblioteca minore di Alessandria sorta successivamente all’edificazione della

biblioteca maggiore della città.17 aMMiano MarceLLino, Res gestae, 22, 12-13.18 auLo geLLio, Noctes Atticae, VII, 17, 3.

202 Lucio Coco

ecce, tanta auctoritas et fides ab antiquo eius Bibliothecae, ut Tertullianus gentiles advocet aut amandet. Credo stetisse, quamdiu ipsum Serapeum, immensae molis et stupendi artificij templum: quod Christiani denique, Theodosij maioris imperio, ut arcem superstitionis, demoliti a fundo sunt, Ecclesiasticis scriptoribus traditum et laudatum.19

19 Ruffin. II cap. XXIII. itemque Socrates, et Sozomen. alij.*

203Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

collocata nello stesso luogo cioè nel Serapeo. A promuovere la ricostruzione fu Cle-opatra, famosa per i suoi amori con Antonio. Questa richiese, in segno di favore per porre le basi dell’opera, la biblioteca Attalide o di Pergamo. Quindi avutala tutta in dono e fattala trasferire, tornò a impreziosirla e ad accrescerla, tanto che c’era ed era famosa anche ai tempi di cristiani. Tertulliano [scrive]: «Oggi, presso il Serapeo, c’è la biblioteca di Tolomeo, con gli stessi testi in ebraico».19 Nota che la biblioteca era posta di nuovo presso il Serapeo, cioè presso i suoi portici, mentre da Strabone e da altri sappiamo che questo era vicino al porto e all’arsenale. Nota che dice «la biblioteca di Tolomeo», ma in verità non si tratta di quella ma di una simile, mentre gli originali testi ebraici, insieme con la traduzione dei Settanta erano andati bruciati. Tuttavia l’autorità e l’affidabilità fin dai tempi antichi era tanta che Tertulliano la usa come richiamo e come riferimento per i gentili. Io credo che la biblioteca sia esistita insieme con il Serapeo, un tempio dalla mole immensa e dalla struttura stupenda, finché i cristiani, sotto Teodosio il grande, come è tramandato con approvazione dagli scrittori ecclesiastici, non lo hanno demolito fin dalle fondamenta, ritenendolo un ricettacolo di superstizioni.

19 tertuLLiano, Apologeticum, 18, 8.

204 Lucio Coco

Cap. III

Graecae Bibliothecae. Pisistrati et Aristotelis praecipuae, itemque Byzantina.

Atque ista de Ægypti Bibliothecis repperi, pauca et parva fortasse de multis et magnis. Sed aevum scilicet absorpsit: quod et in Greciae Bibliothecis liceat ac-cusare. De quibus nobilioribus, strictim Atnenaeus: ubi Laurentium suum ita in hoc studio parandorum librorum dilaudat, ut dicat eum, Polycratem Samium, Pisistratum tyrannum, Euclidem Atheniensem, Nicocratem Cyprium, Euripidem poëtam, Aristo-telem philosophum superasse.20 Et de omnibus istis singillatim non habeo dicere: nisi de Pisistrato, cui et laudem primi auctoris in hoc studio Agellius adscripsit. Et sane Polycrates aevo fere concurrit. Sed Agellij verba: Libros Athenis disciplina-rum liberalium, publice ad legendum praebendos, primus posuisse dicitur Pisistra-tus tyrannus.21 Magnus vir (odiosum hoc modo cognomen tolle) et cui Homerum etiam digestum et correctum mumquam soluturi debemus. Adeo Critica haec cura olim Principum, imo Regum, fuit. Ea Bibliotheca ab ipsis deinde Atheniensibus va-rie aucta, donec spoliavit et avexit Xerxes, Athenarum potitus. Sed eosdem, multis post annis,22 Seleucus Nicanaor, Syriae rex, liberaliter remittendos Athenas curavit, donavitque. Et mansisse deinde ad Sullae tempora, qui et ipse Athenas cepit, diripuit, afflixit: postea tamen instauratam, iuste opinor. quomodo enim mater artium, sine instrumento hoc librorum? Imo plures ibi Bibliothecae postea: et Hadrianus Imp. Jovis Panellenij aedem Athenis struxit, et ea Bibliothecam, Pausaniae scriptum.23 Sed de Euclide, quod ait Athenaeus: hunc Archontem fuisse, inter primus eius ma-gistratus comperior: nec ultra. De Aristotele autem, Strabo magnifice in verbis, quae supra dedi: et addidi ex Athenaeo, Bibliothecam eius tandem ad Ptolomaeos Reges venisse: etsi Strabo atque alij videantur negare. Nam ille ita: Libros Aristotelis, qui ad Neleum venissent, ad posteros deinde transmissos, ineruditos homines; et qui sub clavibus eos, sine usu ullo habuissent. Denique sub terram conditos, a blattis et tineis vitiatos, tandem Apelliconi Teio magna pecunia addictos fuisse. Qui erosos lacerosque describi, vulgari, et si24 parum bona fide aut iudicio curasset. Eo autem mortuo, Sullam Athenis potitum, eosdem libros suos fecisse, Romam misisse, ibique Tyrannionem Grammaticum iis usum, atque (ut fama est) intercidisse, aut invertis-se.25 Quibus similia aut eadem Plutarchus, in Sulla. Quae si vera, quomodo ad Phila-delphum a Neleo venerint, Athenaeo supra assertum? Nisi forte (atque ego arbitror)

20 Lib. I.*21 Lib. VI.*22 Olimp. CXVII.*23 [Imo... scriptum] manca in 1602; e presente in 1607, 1619. Iovis: 1619.24 etsi:1619.25 Lib. XIII.*

205Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo III

Le biblioteche greche, in particolare quella di Pisistrato e di Aristotele e quelle di Bisanzio.

Questo ho trovato delle biblioteche d’Egitto, poche e piccole cose forse ri-spetto a tante e grandi. Ma il tempo le ha inghiottite, cosa che si può dire anche del-le biblioteche di Grecia. Delle più importanti brevemente [parla] Ateneo nel passo dove loda Larensis per il suo impegno nel procurarsi i libri e dice che lui «ha supe-rato Policrate di Samo, Pisistrato il tiranno, l’ateniese Euclide, Nicocrate di Cipro, il poeta Euripide e il filosofo Aristotele».20 Di tutti questi presi singolarmente non ho niente da dire, se non di Pisistrato del quale Aulo Gellio ha tracciato la lode per essersi impegnato per primo in questo [sc. nella formazione di una biblioteca], anche se Policrate appartiene alla sua stessa epoca. [Queste] le parole di Aulo Gellio: «Si dice che il tiranno Pisistrato per primo ad Atene abbia messo pubblicamente a di-sposizione per la lettura dei libri di discipline liberali».21 Un grande uomo (è il caso di togliere l’appellativo tiranno che oggi ha un significato odioso), senza del quale non avremmo avuto il testo ordinato e corretto di Omero. La cura critica [dei testi] a quei tempi fu prerogativa dei principi e dei re. Quella biblioteca [sc. di Pisistrato] fu quindi variamente accresciuta dagli stessi ateniesi, finché non se ne impossessò e la portò via Serse, quando prese Atene. Ma quegli stessi libri, molti anni dopo,22 Se-leuco Nicanore generosamente ebbe cura di restituirli e di donarli ad Atene. Questa [biblioteca] rimase quindi fino ai tempi di Silla, che a sua volta prese, saccheggiò e devastò Atene. Successivamente essa fu ricostruita, giustamente credo, come infatti sarebbe potuta essere la madre delle arti senza lo strumento dei libri? In seguito [si contano] molte altre biblioteche: «L’imperatore Adriano – scrive Pausania – costruì ad Atene il tempio di Giove Panellenico e pose in esso una biblioteca». Di Euclide dice Ateneo che fu un arconte; so che si tratta della più alta magistratura della città: niente di più. Di Aristotele parla Strabone con quelle magnifiche parole che ho citato in precedenza e ho aggiunto, da Ateneo, che la sua biblioteca fosse quindi pervenuta ai re tolemaici, anche se Strabone e altri sembrano negarlo. Infatti egli così [scrive]: «I libri di Aristotele che erano pervenuti a Neleo, passarono ai discendenti, gente non colta che li tenne sotto chiave senza servirsene affatto. Quindi furono posti sotto terra, dove furono mangiati dalle tarme e dai tarli, finché non furono acquistati a gran prezzo da Apellicone di Teo. Questi, anche se non fedelmente e senza un cri-terio [adeguato] fece trascrivere e pubblicare i volumi consumati e laceri. Alla sua

20 ateneo, Deipnosophistai, 4, 3 (citazione non letterale).21 auLo geLLio, Noctes Atticae, 7, 17, 1.22 Durante la CXVII Olimpiade.

206 Lucio Coco

ipsos quidem Aristotelis libros, ab illo, inquam, scriptos Neleus tenuerit, posterisque transmiserit, ut peculiarem thesaurum: at reliquam vim alienorum scriptorum, ven-diderit Philadelpho. Neque memoratu digna alia de Graeciae Bibliothecis legere me-mini: et Romani, haud dubie pleraque talia ad se transduxerunt, Graecia iam potiti: nisi placet Byzantinam his accensere; quae Principum aevo fuit. Nam Zonaras et Cedrenus tradunt, Basilisci imperio, Bibliothecam ibi conflagrasse, in qua centum viginti millia librorum essent recondita: inter ea Draconis intestinum, CXX. pedes longum, cui aureis litteris Homeri Ilias26 atque Odyssea fuerint inscripta. Etsi haec Thraciae proprie, non Graeciae attribuenda.

26 Jlias: 1602, 1619.

207Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

morte, quando prese Atene, Silla si appropriò dei libri e li portò a Roma. Qui se ne servi il grammatico Tirannione, il quale (come si narra) o tolse delle parti o invertì l’ordine».23 Cose simili se non le stesse dice Plutarco nel Silla.24 Se ciò fosse vero, in che modo i libri sarebbero potuti passare da Neleo a Filadelfo, come sopra asserito da Ateneo? A meno che (come credo) Neleo non si sia tenuto i libri di Aristotele, scritti da lui, per consegnarli ai posteri come uno straordinario tesoro e abbia ven-duto a Filadelfo la parte restante dei libri scritti da altri. Non ricordo di aver letto altro degno di essere menzionato delle biblioteche greche. I romani senza dubbio, dopo la conquista della Grecia ne trasferirono molte da loro. Oltre queste cose vorrei citare quella di Bisanzio, dell’epoca imperiale. Infatti Zonaras e Cedreno riferiscono che, sotto l’imperatore Basilisco, «fosse bruciata la biblioteca nella quale erano con-servati centoventimila volumi, tra cui un’Iliade e un’Odissea scritte a lettere d’oro su un intestino di dragone lungo centoventi piedi».25 Anche se propriamente questa biblioteca era da considerare di Tracia non di Grecia.

23 strabone, Geographica, 13, 1, 54 (sparsim et intercise).24 pLutarco, Vita Sullae, 26.25 giovanni Zonaras, Annales, 14: PG 134, 1212; giorgio cedreno, Historiarum compedium,

616: PG 121,670 [entrambe le citazioni non sono letterali].

208 Lucio Coco

Cap. IV27

Attalica Bibliotheca, cui Eumenes auctor. Plinij et Vitruvij aliqua hic forte incon-siderantia. Quanta, et quam diu fuit.

Sicut et Attalica sive Pergamena, Asiae: quae proxima claritate ab illa Alexan-drina fuit. Nam Attalici Reges, e parvis progressi, cum societate opibusque Romanis crevissent: sedem regni Pergamum varie, tum et Bibliothecis, exornarunt. Eume-nem, Attali Regis filium, auctorem huic rei Strabo prodidit: Eumenes, inquit, urbem instruxit, et donariis et Bibliothecis, uti nunc est, eleganter excoluit.28 Et Plinius. qui scribit, aemulatione circa Bibliothecas Regum, Ptolomaei et Eumenis, supprimente chartas Ptolomaeo, membranas Pergami, ut Varro auctor est, repertas.29 Cui paria Hieronimus, in Epsitola ad Chromatium, itemque Ælianus tradiderunt: sed Attalum, pro Eumene, nominantes. Enimvero de neutro horum satis convenit, si tempora exa-minas: quoniam isti posteriores Philadelpho, toto fere saeculo, fuerunt. Quomodo igitur, quod Plinius ait, aemulatio inter eos? Nisi hoc subvenit, Ptolomaeum simpli-citer nominari: qui alius a Philadelpho esse potuit, et Ptolomaeus Quintus, cogno-mento Epiphanes, cum Eumene vixit. Atque ille fortasse (quamquam30 de insigni eius studio in Bibliothecas nihil proditum) chartam suppressit, invidia, ne alter vete-rem illam nova sua aequaret. Sed error sive incospectio clarior in Vitruvio, quis his verbis scripsit: Reges Attalici magnis Philologiae dulcedinibus inducti cum egregiam Pergami Bibliothecam, ad communem delectationem, instituissent: tunc item Ptolo-maeus, infinito zelo cupiditatisque studio incitatus, non minoribus industrijs,31 ad eumdem modum contenderat Alexandriae comparare.32 Quid? Ut Attalici reges ante Alexandrinos in hoc studio? Ut exemplum ardoremq.33 Isti ab ijs34 sumpserint? Imo vero contra fuit, et peregerant iam, cum nec illi cogitarent. Nisi et hic placet de po-steriore aliquo Ptolomaeo adducere et velare, sed velare. Ceterum Bibliotheca haec nec copia nec aevo, Alexandrinam aequavit. Nam de utroque isto Plutharcus scribit, Antonium III.virum, fascinatum amoribus Cleopatrae, χαρίσασθαι μὲν αὐτῇ τὰς ἐκ περγάμου βιβλιοτήκας, ἐν οἷς εἴκοσι μυριάδες βιβλίων ἁπλῶν ἦσαν:35 gra-tificatum ei Bibliothecam Pergami, in qua essent ducenta millia singularium libro-

27 Cap. IIII: 1602; 1607.28 Lib. XIII.*29 Lib. XIII. cap. XI.*30 quanquam:1602.31 industriis:1602.32 Lib. VII initio.33 ardoremque:1602; 1619.34 Iis:1602, 1619.35 In M. Antonio.*

209Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo IV

La biblioteca Attalide, fondata da Eumene. Alcune considerazioni sbagliate di Plinio e di Vitruvio a proposito di essa. Quali furono le sue dimensioni e la sua durata.

Parimenti anche la biblioteca Attalide o di Pergamo, in Asia, fu prossima per fama a quella di Alessandria. Infatti i re attalidi, che si erano fatti da niente e si erano accresciuti mediante un sodalizio e una collaborazione con i romani, avevano abbel-lito Pergamo, la capitale del regno, in vari modi e anche con una biblioteca. Strabone narra che Eumene, il figlio del re Attalo, ne fu il promotore: «Eumene, dice, ingrandì la città e la fornì, come è ora, di templi e di una elegante biblioteca».26 E Plinio scrive che «a causa della competizione tra le biblioteche dei re, Tolomeo e Eumene, avendo Tolomeo fatto divieto di esportare il papiro, come racconta Varrone, era stata inven-tata la pergamena».27 Cose simili ci hanno trasmesso Gerolamo nella lettera a Cro-mazio ed Eliano, ma parlano di Attalo invece che di Eumene. In verità, a guardare i tempi, non si può parlare di nessuno dei due: questi infatti vennero quasi un secolo dopo Filadelfo. Come è possibile, dunque, che Plinio dica che ci fu competizione tra i due re? A meno che non si faccia riferimento a un Tolomeo in generale, che avrebbe potuto essere diverso da Filadelfo, e Tolomeo V, detto Epifane, fu contemporaneo di Eumene. È probabile che questi (benché niente ci sia stato tramandato del suo impe-gno per favorire la biblioteca) abbia vietato, per invidia, l’esportazione della carta, affinché un’altra biblioteca di nuova istituzione non facesse concorrenza a quella antica. L’errore o l’incongruenza risultano più evidenti in Vitruvio che così scrive: «I re attalidi, spinti dal gusto della lettere, istituirono per il piacere di tutti, la celebre biblioteca di Pergamo; allora Tolomeo, mosso da uno zelo infinito e da un intento ambizioso con non minore laboriosità si impegnò a procurarne ad Alessandria una simile».28 Come? I re attalidi [si sono impegnati] in questa attività prima di quelli di Alessandria? Tanto che questi presero esempio e spunto da quelli? In verità fu il con-trario: questi l’avevano già realizzata, mentre quelli non ci pensavano. A meno che non si voglia parlare di un Tolomeo che è venuto dopo ma senza nominarlo. Per il resto questa biblioteca non è comparabile con quella alessandrina né per dimensioni né per epoca. Infatti di entrambe Plutarco scrive che il triumviro Antonio, che subi-va il fascino degli amori di Cleopatra, «χαρίσασθαι μὲν αὐτῇ τὰς ἐκ περγάμου βιβλιοτήκας, ἐν οἷς εἴκοσι μυριάδες βιβλίων ἁπλῶν ἦσαν [per farle piacere le donò la biblioteca di Pergamo nella quale erano duecentomila singoli libri]»,29 cioè

26 strabone, Geographica, 13,1,54 [citazione non letterale].27 pLinio iL vecchio, Naturalis Historia, 13, 7028 vitruvio, De architectura, 7, 4.29 pLutarco, Vita Antonii, 58.

210 Lucio Coco

rum, id est voluminum. Hoc enim opinor ἁπλὰ βιβλία dici, cum in uno volumine plures saepe libri: quos non vult in numerum hunc venire. Ergo eaipsa statim post Alexandrinam periit, sed in ea vixit: an et in loco suo revixit? Certe Strabonis supra verba si attendis, significant: cum ait, Uti nunc est, excoluit. Quando nunc? Strabonis scribentis, id est, Tiberij aevo. Ut appareat, aut revectam ab Augusto victore esse, qui pleraque irrita Antonij fecit; aut certe exscriptam iterum, et instauratam. De quo, praeter suspicari, non equidem dicam.

211Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

volumi. Questo infatti credo che voglia dire ἁπλὰ βιβλία [singoli volumi], poiché in un volume spesso ci sono molti libri: il che significa che il numero [dei libri] non era quello. Dunque questa biblioteca perì subito dopo quella alessandrina per rivivere in essa. Ma forse tornò a vivere anche nel suo luogo d’origine? Certo, a leggerle bene le parole di Strabone citate sopra vogliono dire questo, poiché egli scrive: «Fornì, come è ora». Quando «ora»? Mentre scriveva Strabone, cioè al tempo di Tiberio. Potrebbe sembrare o che sia stata riportata [a Pergamo] dal vincitore Augusto, che aveva reso nulle molte iniziative di Antonio o che, più probabilmente, sia stata ritra-scritta e di nuovo ristabilita [nella città]. Di ciò tuttavia non posso parlare se non per supposizione.

212 Lucio Coco

Cap. V

Romanae Bibliothecae privatae: et prima Publica Asinij Pollionis.

Atque hae Bibliothecae, quas memoratu dignas apud exteri repperi: veniamus ad Romanas, situ et aevo magis propinquas. Satis enim tarda ibi haec cura aut stu-dium, apud Martis non Musarum proles: etsi, cum bono Deo, hic quoque cultus et elegantia denique invaluit, parviis primo initiis, ut solet. Isidori notatio est: Romam primus librorum copiam advexit Æmilius Paullus, Perse Macedonum rege devicto; deinde Lucullus e Pontica praeda. Duos nominat, qui libros advexere, sed publici usus aut iuris non prorsus fecere. Et de Æmilio, haud ultra legi: de Lucullo, Pluthar-cus ubertim. Laudanda eius impensa, inquit, et studium in libris. Nam et multos, et eleganter scriptos, conquisivit: eosque ut liberaliter paravit, ita etiam utendis dedit. Patebant enim omnibus Bibliothecae, et in porticus adiectas atque exedras Graeci praesertim recipiebantur: qui velut ad Musarum aedem eo ventitabant, tempusque inter se iucunde traducebant, ab aliis curis liberi. Saepe et ipse cum iis versabatur, et philologis se immiscebat, ad has porticus et ambulationes veniens. Ex quibus vides, iLLustrissiMe princeps, velut publicas fuisse has bibliothecas, et quamquam ius mancipiumque sibi retineret, usum tamen eruditis concessisse: quod et benigne vos facere soletis. At vero tertium etiam his duobus licebat addere, Conelium Sul-lam, postea Dictatorem: qui e Graecia Athenisque magnam librorum vim traduxit et Romae deposuit ac disposuit: quod, praeter Plutarchum, Lucianus36 etiam scripsit. Tamen his omnibus vere Publica Bibliotheca nondum structa: quam cogitationem primus magnanimus et magnificus ille Iulius Caesar concepit, ac, nisi fata inter-pellassent, effecisset. Suetonius de eo: Destinabat Bibliothecas Graecas et Latinas, quam maximas posset, publicare, data M. Varroni cura comparandarum ac diri-gendarum. O rem magni animi, atque item consilij! Nam quis in orbe terrarum huic curae aptior M. illo Varrone, doctissimo inter Graecos Latinosque? Sed destinavit Caesar, non perfecit: Augustus, adoptione filius, inter alia ornamenta urbis et imperij, hoc quoque plurifariam adiunxit. Nam eo invitante atque incitante, Asinius Pollio, orator et Senator nobilis, (Suetonio narrante) Atrium libertatis exstruxit, atque in eo Bibliothecam publicavit. Isidorus: Primus Romae bibliothecas publicavit Pollio, Graecas Latinasque, additis auctorum imaginibus, in Atrio, quod de manubiis ma-gnificentissimum instruxerat. De manubiis, inquit: nempe Dalamatarum, quos vicit. Item Plinius: Asinius Pollio, primus Bibliothecam dicando, ingenia hominum rem publicam fecit.37 In atrio libertatis fuisse, id est in monte Aventino, ex istis constat: quod tamen instructum aut reparatum ab eo magis dixerim, quam exstructum. Nam

36 Adversum indoctum.*37 Lib. XXXIIII. cap. II.*

213Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo V

Le biblioteche private romane e la prima pubblica di Asinio Pollione.

Queste le biblioteche degne di essere ricordate che ho trovato all’estero: veniamo alle romane, più vicine per posizione e per epoca. Abbastanza tardi arrivò qui questa cura e attenzione [per le biblioteche]: [i romani] erano figli di Marte non delle Muse. Nondimeno pure [a Roma] infine si affermarono, grazie a Dio, la cultura e la raffinatezza, dapprinci-pio, come accade, in misura minore. Isidoro nota che «il primo che trasferì a Roma una gran quantità di libri fu Emilio Paolo dopo la vittoria su Perse, re dei macedoni».30 Egli nomina due persone che portarono i libri senza farne tuttavia un uso pubblico. Di Emilio non ho letto altro; di Lucullo Plutarco parla diffusamente: «Occorre lodare le sue spese e la sua attenzione per i libri. Infatti ne raccolse molti, scritti anche in maniera elegante, e li mise generosamente a disposizione, dandoli anche in uso. La sua biblioteca era aperta a tutti e nel portico e nelle stanze antistanti venivano accolti i greci, che vi giungevano come al tempio delle Muse e tra di loro vi passavano il tempo in maniera lieta, senza pensare ad altro. Spesso anch’egli si intratteneva con loro, disquisiva con i letterati, venendo a passeggiare sotto il porticato».31 Da ciò puoi vedere, Principe Illustrissimo, che queste biblioteche erano come se fossero pubbliche e, benché appartenessero loro per diritto di proprietà, costoro permettevano che le persone colte le frequentassero, cosa che anche tu benevolmente fai. In verità bisognava aggiungere un terzo a questi due: Cornelio Silla, il futuro Dittatore. Questi dalla Grecia e da Atene portò una gran quantità di libri, depositan-doli e riordinandoli [in una biblioteca] a Roma: di questa cosa, oltre che Plutarco, ha scritto anche Luciano.32 Malgrado tutto ciò non c’era ancora in verità una biblioteca pubblica. Il primo a pensarla fu il magnanimo e magnifico Giulio Cesare e, se il destino non lo avesse chiamato a sé, l’avrebbe realizzata. Svetonio scrive di lui che «si proponeva di rendere pubbliche le più grandi biblioteche greche e latine e di dare a M. Varrone la cura di allestir-le e di dirigerle».33 Cosa di un animo grande e di un altrettanto grande giudizio! Chi infatti al mondo era più idoneo per questo compito di quel Marco Varrone, il più dotto tra i greci e i latini? Cesare propose, non realizzò. Augusto, il figlio di adozione, tra i diversi ornamenti della città e dell’impero aggiunse in più luoghi anche questo. Infatti su suo invito e inci-tamento, Asinio Pollione, oratore e nobile senatore, costruì «l’Atrio della libertà», come narra Svetonio,34 e in esso creò una pubblica biblioteca. Isidoro [afferma] che «il primo che istituì una biblioteca pubblica a Roma fu Pollione, con libri greci e latini e le statue

30 isidoro di sivigLia, Etymologiarum libri, 6, 5, 1.31 pLutarco, Vita Luculli, 42 [citazione non letterale].32 Cf. Luciano, Adversus indoctum et libros multos ementem, 4.33 svetonio, De vita Caesarum, 1, 44, 2 [citazione non letterale].34 Cf. svetonio, De vita Caesarum, 2, 29, 5.

214 Lucio Coco

iamdiu ante id fuisse, et quidem a Tib. Graccho, patre Gracchorum, Plutarchus atque alij scriptores dicunt. Itaque ipse refecit, et ad hunc usum splendide concinnavit. De eo Ovidius capiendus:

Nec me, quae doctis patuerunt prima libellis,Atria Libertas tangere passa sua est.38

Non enim viros doctos audio, qui haec ad λέσχην, sive conventum poëtarum, ducunt. Palam libellus conqueritur, non receptum se in Bibliothecam Asinij, quae prima patuit, sive publicata est, doctis libris.

38 III Trist. eleg. I.*

215Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

degli autori nell’Atrio, reso magnifico con quello che era stato il bottino di guerra».35 Il bottino di guerra di cui parla era quello dei dalmati che aveva vinto. Ancora Plinio [scrive] che «Asinio Pollione, il primo a creare una biblioteca, rese di pubblico dominio l’ingegno gli uomini».36 Da questi [scrittori] risulta che l’Atrio della libertà fosse sul colle Aventino. Io direi che questo fu adattato e ricostruito da lui [per la biblioteca] piuttosto che costruito [appositamente]. Infatti esso esisteva fin da prima, dal tempo di Tiberio Gracco, il padre dei Gracchi, stando a Plutarco e ad altri scrittori. Pertanto egli lo rifece e lo destinò a questo splendido uso. A suo riguardo occorre citare Ovidio:

La Libertà mi ha impedito di toccare i suoi atri,dove per la prima volta la cultura dei libri colti fu resa disponibile.37

Non sono d’accordo con quegli interpreti che riconducono questi [atri] al [ter-mine greco] λέσχην, cioè raduno di poeti. È chiaro che il libro si lamenta del fatto di non essere stato messo nella biblioteca di Asinio, che per prima rese disponibile, cioè pubblica, la cultura dei libri.

35 isidoro di sivigLia, Etymologiarum libri, 6, 5, 2 [citazione non letterale].36 pLinio iL vecchio, Naturalis Historia, 35, 2.37 ovidio, Tristia, 3, 1 vv. 71-72.

216 Lucio Coco

Cap. VI

Augusti, Octavia; itemque Palatina. Praefecti et custodes iis.

Atque haec igitur sub Augusto prima Publica fuit: duae mox aliae, ab ipso. Prior, Octavia: quam sororis suae memoriae et nomini dedicavit. De ea Dio Cassius, in actis anni DCCXXI. Augustus Porticus et Bibliothecas, a sororis nomine Octavias dictas exstruxit.39 Etsi Plutarchus tamen in ipsam Octaviam transcribere hoc opus vi-detur: Εἰς δὲ τιμὴν αὐτοῦ (Μαρκέλλου) καὶ μνήμην Ὀκταβία μὲν ἡ μήτηρ τὴν βιβλιοθήκην ἀνέθεκεν, καῖσαρ δὲ θέατρον ἀναγράψας Μαρκέλλου: In hono-rem ac memoriam defuncti Marcelli mater Octavia Bibliothecam dedicavit, Caesar Augustus Theatrum, Marcelli nomine inscriptum.40 Falli Plutarchum opinor: quia Dionis quidem notatio totis decem annis citerior est Marcelli morte. Atque addit, ex Dalmatarum manubiis opera ea structa: miro concursu, ut prima atque altera biblio-theca genti Barbarae debeantur. De hac et Suetonius, in Melisso Grammatico: Cito manumissus, Augusto etiam insinuatus est, quod eleganter curam ordinandarum Bi-bliothecarum in Octaviae porticu suscepit. Nota, in ipsa Porticu fuisse; quomodo? superiore eius parte, uti arbitror, tuto et decore; cum inferior ambulationi modo esset. De hac Ovidius idem sensit:

Altera templa peto, vicino iuncta theatro: haec quoque erant pedibus non adeunda meis.41

Nam et ab hac Bibliotheca spretum se libellus queritur: et locum ubi fuerit, designat. Quem? vicinum Theatro Marcelli. Templa autem dicit quia in hac Porticu Iunonis aedes fuit, et nobiles in ea statuae: quod Plinius dicit.42 Altera porro ab eo-dem Augusto Bibliotheca est, Palatina, a loco dicta: quia in ipso Palatio. Suetonius: Templum Apollinis in ea parte Palatinae domus excitavit, quam fulmine ictam de-siderari a Deo haruspices responderant. Addiditae Porticus, cum Bibliotheca Lati-na Graecaque.43 Id factum anno Urbis DCCXXVI, ut ex Dionis LIII. initio discas. Itaque temporum ordinem in Bibliothecis recensendis Ovidius secut est, cum primo Asiniam, tum Octaviam, denique istam Palatinam sic adnumerat:

39 Lib. XLIX.*40 In Marcello.* 41 III. Trist. eleg.I.*42 [Templa... dicit]: 1607, 1619; [Nam quod Templa appellat, nihil est: et Loca intellegit tantum,

publico usui consecrata. Etsi in templis, aut iuxta, saepe fuisse, alia ostendunt: sed hic tale non legi]: 1602.

43 Cap. XXIX.*

217Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo VI

Le biblioteche di Augusto: l’Ottavia e la Palatina. I loro prefetti e custodi.

Questa fu sotto Augusto la prima biblioteca pubblica. Presto altre due dipendono da lui. La prima, l’Ottavia che dedicò al nome e alla memoria di sua sorella. Di essa Dione Cassio, negli atti dell’anno 721 [scrive]: «Augusto costruì un portico e una biblioteca, detta Ottavia, in nome della sorella».38 Anche se Plutarco sembra attribuire quest’opera a Ottavia stessa: «Εἰς δὲ τιμὴν αὐτοῦ (Μαρκέλλου) καὶ μνήμην Ὀκταβία μὲν ἡ μήτηρ τὴν βιβλιοθήκην ἀνέθεκεν, καῖσαρ δὲ θέατρον ἀναγράψας Μαρκέλλου [La madre Ottavia dedicò in onore e alla memoria del defunto Marcello la biblioteca; Cesare Augusto il Teatro e gli diede il nome di Marcello]».39 Ritengo che Plutarco sbagli, poiché quanto riferisce Dione è di dieci anni anteriore alla morte di Marcello. Egli aggiunge che quest’o-pera fu costruita con il bottino di guerra dei dalmati:40 straordinario concorso di cose per cui la prima e la seconda biblioteca si debba a genti barbare. A capo di questa, [scrive] Sve-tonio, «fu subito messo, per incarico di Augusto, il grammatico Melisso, che si diede cura di ordinare la biblioteca nel portico di Ottavia».41 Nota che si trovava nello stesso Portico: in che modo? Nella sua parte superiore, io ritengo, per sicurezza e decoro, mentre la parte inferiore era destinata per passeggiare. Di esso Ovidio dice ancora:

Vado verso altri templi prossimi a un vicino teatro:pure a questi i miei piedi non potevano accedere.42

Il piccolo libro si lamenta di essere stato disdegnato dalla biblioteca e designa il luogo dove [essa] si trovava. Quale? Quello vicino al teatro di Marcello. Parla di «tem-pli» perché in questo portico c’era «un altare di Giunone» e altre eleganti statue, come dice Plinio.43 C’è poi un’altra biblioteca di Augusto, la Palatina, detta così perché si trovava nello stesso Palazzo. Svetonio: «Egli elevò un tempio ad Apollo in quella parte del suo palazzo che, colpita da un fulmine, era stata indicata dagli aruspici come voluta da Dio e vi aggiunse un portico con una biblioteca di libri greci e latini».44 Questo fu fatto nell’anno 726 della fondazione della città, come attesta Dione all’inzio del cap. LIII.45

38 dione cassio, Historia romana, 49, 43, 8.39 pLutarco, Vita Marcelli, 30 [citazione non letterale].40 Cf. dione cassio, Historia romana, 49, 43, 8.41 svetonio, De grammaticis et rhetoribus, 1, 21 [citazione non letterale].42 ovidio, Tristia, 3, 1 vv. 69-70.43 [Parla... Plinio]: 1607, 1619; [Infatti templi non indica altro che dei luoghi destinati ad uso

pubblico. Anche se nei templi, o vicino, si vuole che ci fossero delle biblioteche, non è da intendersi così qui]: 1602.

44 svetonio, De vita Caesarum, 2, 29, 3 [citazione non letterale].45 dione cassio, Historia romana, 49, 53, 1.

218 Lucio Coco

Inde timore44 pari gradibus sublimia celsis Ducor ad intonsi candida templa Dei, Signa peregrinis ubi sunt alterna columnis, Belides, et stricto barbarus ense pater, Quaeque viri docto veteres fecere novique Pectore, lecturis inspicienda patent. Quaerebam fratres, exceptis scilicet illis, Quos suus optaret non genuisse pater. Quaerentem frustra, custos et sedibus illis Praepositus, sancto iussit abire loco.

Prater alia, ostendit et Praepositum, sive Custodem huic loco fuisse: quem Sue-tonius facit C. Iulium Higinum. Is in Grammaticis celebris, praefuit, ut inquit, Palati-nae Bibliothecae; nec eo secius plurimos docuit.

Imo seorsim Graeca custodem suum habuit, et Latina. In marmore prisco: antiochus. ti. cLaudi. caesaris. a. bibLiotheca. Latina. apoLLinis. In alio: c. iuLius. faLyx. a. bibLiotheca graeca. paLat. Et similes alibi inscriptiones. Huis Bibliothecae meminit et Plinius: Videmus Apollinem, in Bibliotheca templi Augusti Tuscanicum, quinquaginta pedum a pollice.45 Etsi possis referre etiam ad Vespasiani Augusti Bibliothecam, quae in Pacis templo fuit. Apertius de Palatina, idem Plinius alibi: Veteres Graecas litteras fuisse easdem paene, quae nunc sunt Latinae, indicio erit Delphica tabula antiqui aeris, quae est hodie in Palatio, dono Principum, Mi-nervae dicata, in Bibliotheca.46 Hanc diutissime Romae mansisse, inducor credere verbis Io. Sarisberiensis, qui scribit: Doctorem sanctissimum illum Gregorium, non modo Mathesim pepulisse ab Aula, sed ut traditur a maioribus, incendio dedisse probatae lectionis

Scripta, Palatinus quaecumque recepit Apollo.In quibus erant praecipua, quae celestium mentem, et superiorum oracula

hominibus videbantur revelare.47 Notandum.

44 Così Lispio, nell’originale al v. 59 «tenore»; in seguito v. 63 «facere» nell’originale «cepere» e v. 67 «et» nell’originale «me».

45 Lib. XXXIII. cap. XXVII.*46 Lib. VII. cap. LVIII.*47 Lib. II. De nug. Cur.*

219Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Quindi Ovidio nell’indicare le biblioteche ha seguito un ordine temporale, enumerandole così prima l’Asinia, poi l’Ottavia e infine la Palatina:

Di qui con pari timore mi sono diretto ad alti gradinial tempio sublime e splendido del dio chiomato,dove si trovano alternate ad esotiche colonne le statue delle Belidi e il loro barbaro padre con la spada sguainatae tutto quello che gli antichi e i moderni concepirono con animo colto è messo a disposizione per la lettura.Cercavo i fratelli tranne quelli che mio padre non avrebbe voluto aver generato.Mentre li cercavo invano, il custode che di quelle sediè il preposto, mi ordino di uscire da quel luogo santo.46

Tra l’altro si fa manifesto che in questo posto c’era un Preposito o un Custode. Svetonio ci dice che era C. Giulio Igino. Questi, celebre grammatico, «fu a capo – dice – della biblioteca Palatina e insegnò a molti la sua professione».47

Nello specifico la biblioteca greca e quella latina ebbe ognuna un suo custode. Su un marmo antico [è scritto]: Antioco [preposto] alla biblioteca latina di Tiberio Claudio [nel tempio] di Apollo. In un altro: C. Giulio Falyx [preposto] alla biblio-teca greca della Palatina.

Di questa biblioteca anche Plinio fa menzione: «Vediamo una statua toscana di Apollo di cinquanta piedi di altezza nella biblioteca del tempio di Augusto».48 Anche se è possibile che si riferisca alla biblioteca di Vespasiano che era nel tempio della Pace. Più chiaramente lo stesso Plinio scrive altrove della Palatina: «Le antiche lettere greche erano pressoché le stesse di quelle latine attuali, come ne è prova l’an-tica tavola Delfica di bronzo, dedicata a Minerva, dono degli imperatori, che oggi si trova nella biblioteca del Palazzo».49 Questa durò a lungo a Roma, sono indotto a credere dalla parole di Giovanni di Salisbury che scrive: «Quel santissimo dottore Gregorio non solo cacciò dalla sua corte la matematica ma, come raccontano gli antichi, diede alle fiamme valide letture provate e

gli scritti conservati nel tempio di Apollo al Palatino.In particolare quelli in cui era contenuto ciò che sembrava svelare agli uomini

i disegni celesti e gli oracoli divini».50 Cosa questa da notare.

46 ovidio, Tristia, 3, 1 vv. 59-68.47 svetonio, De grammaticis et rhetoribus, 1, 21.48 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 34, 39 [citazione non letterale].49 Ivi, 7, 58.50 Giovanni di Salisbury (Ioannes Saresberiensis), De nugis curialium et vestigiis philosopho-

rum, 26, 2 [citazione non letterale]; il verso citato è di Orazio, Epistulae, 1, 3, 17.

220 Lucio Coco

Cap. VII

Tiberij, Traiani, Vespasiani, item Capitolina: aliae ignotae.

Sub Augusto igitur, artium ingeniorumque amantissimo Principe, duae istae fuerunt. quid ab aliis? aliae. Videtur enim cetamen in hac re Principum fuisse, et velut contendisse de palma. Ecce Tiberius statim ad Augusto, in ipso Palatio etiam struxit, ea parte qua Viam Sacram spectat. Nam illic Tiberij domum fuisse, curiosi talium hodie autumant: et in domo eius haec locatur. Ab Agellio: Cum in domus Ti-berianae Bibliotheca sederemus, ego et Apollinaris.48 A Vopisco item: qui usum se, scribit, libris e Bibliotheca Ulpia, item ex domo Tiberiana.49 Videtur et Vespasianus deinde struxisse; et adiunxisse templo Pacis. de qua Agellius: Commentarium L. Aelij [...], qui magister Varronis fuit, studiose quaesivimus, eumque in Pacis Biblio-theca repertum legimus.50 Meminitque et Galenus, De composit. medicamentorum.51 Fuit item a Traiano alia, de qua etiam Agellius: Sedentibus forte nobis in bibliotheca templi Traiani.52 Atque est eadem, quae a gentili Principis eius nomine, Ulpia passim nominatur. Vopiscus: Haec ego a gravibus viris comperi, et in Ulpiae bibliothecae53 libris relegi.54 Iterumque: Et si his contentus non fueris, lectites Graecos, linteos etiam libros requiras, quos Ulpia tibi bibliotheca, cum volueris, ministrabit. Hanc in foro Traiani initio fuisse, ubi Principis eius alia opera, facile persuadeor: sed aevo mutasse, et translatam in collem Viminalem, ad ornandas Diocletiani Thermas, (an ab ipso Diocletiano?) Vopiscus inducit. Usus sum, inquit, praecipue libris ex Biblio-theca Ulpia, aetate mea Thermis Diocletianis. Cum diserte de sua dicit, ostendit igitur, alia aetate aliter fuisse. Reperio et Capitolinam, in urbe. de qua Eusebius, in rebus Commodis Imperatoris: In Capitolium fulmen ruit, et magna inflammatione facta, Bibliothecam, et vicinas quasque aedes, concremavit. Uberius hoc ipsum ita Orosius: Flagitia regis poena urbis insequitur. Nam fulmine Capitolium ictum, ex quo facta inflammatio Bibliothecam illam, maiorum studio curaque compositam, aedesque alias iuxta sitas, rapaci turbine concremavit.55 Quis tamen eius auctor? adserere haud liceat, divinare libeat, Domitiuanum fuisse. Nam ille, servatus olim in Capitolio, templum ibi Princeps struxit: quid si et hanc Bibliothecam? Etsi nemo tradidit, qui nunc extant: Suetonius hoc tantum de eo universe: Bibliothecas incen-

48 Lib. XIII. cap. XVIII.*49 In Probo.*50 Lib. XVI. cap. VIII.*51 Lib. I.*52 Lib. II. cap. XVIII.*53 Bibliothecis: 1607, 1619 [evidentemente per un refuso].54 In Aureliano.*55 Lib. VII. cap. XVI.*

221Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo VII

Le biblioteche di Tiberio, Traiano, Vespasiano ed altre ignote.

Sotto Augusto, principe assai amante delle arti e delle scienze, furono dunque due le biblioteche. E degli altri? Altre. Sembra infatti che ci fosse una gara tra gli imperatori a riguardo e che si contendessero la palma. Ecco Tiberio, successore di Augusto che se ne fece una nel suo palazzo, in quella parte che guarda sulla Via Sacra. Lì infatti, pensano oggi i curiosi di simili cose, era la casa di Tiberio e in essa si trovava la biblioteca, [come scrive] Aulo Gellio: «Io e Apollinare sedevamo nella biblioteca della casa di Tiberio.51 Vopisco [scrive] di aver usato i libri della biblioteca Ulpia e [quelli] della casa di Tiberio».52

Sembra che anche Vespasiano in seguito ne abbia fatta una e l’abbia posta nel tempio della Pace. Di questa scrive Aulo Gellio: «Abbiamo cercato con cura un commentario di L. Elio, che fu maestro di Varrone, e l’abbiamo letto, avendolo trovato nella biblioteca del tempio della Pace».53 Galeno anche la ricorda nel De compostione medicamentorum.54 Un’altra fu quella di Traiano, di cui [scrive] anche Aulo Gellio: «Noi sedevamo nella biblioteca del tempio di Traiano».55 Si tratta della stessa che è chiamata Ulpia, dal nome gentilizio dell’imperatore [Traiano]. Vopisco [scrive]: «Ho appreso queste cose dagli anziani e ho potuto rileggerle nei libri della biblioteca Ulpia».56 E ancora: «Se non ti basta ciò, leggi i libri greci, cerca anche le cronache scritte sul lino, che la biblioteca Ulpia ti potrà offrire se lo vorrai».57 Sono persuaso che questa si trovasse all’inizio del foro di Traiano, dove c’erano altre ope-re di quell’imperatore. In seguito è stata trasferita e portata sul colle del Viminale per ornare le terme di Diocleziano, forse dallo stesso Diocleziano, come fa credere Vopi-sco che scrive: «Mi sono servito in particolare dei libri della biblioteca Ulpia, ai miei tempi presso le terme di Diocleziano».58 Dicendo al «suo» tempo, rende manifesto che in un’altra epoca era altrove. Ritrovo anche una Capitolina, di cui parla Eusebio [Gerolamo] a proposito dell’imperatore Commodo: «Sul Campidoglio si abbatté un fulmine e il grande incendio [che ne seguì] fece bruciare la biblioteca e gli edifici vicini».59 Lo stesso accadimento ricorda Orosio in maniera più ampia: «La città espia

51 auLo geLLio, Noctes Atticae, 13, 20, 1.52 fLavio vopisco, Vita Probi, 2.53 auLo geLLio, Noctes Atticae, 16, 8, 2.54 Cf. gaLeno, De compositione medicamentorum, 1, 1.55 auLo geLLio, Noctes Atticae, 11.17, 1.56 fLavio vopisco, Vita Divi Aureliani, 24.57 Ivi, 1.58 fLavio vopisco, Vita Probi, 2.59 geroLaMo, Chronicon, p. 209 ed. Helm.

222 Lucio Coco

dio absumptas impensissime reparari curavit, exemplaribus undique petitis, missi-sque Alexandriam, qui describerent emendarentque.56 Ubi observes, etiamtunc illam Alexandrinam velut originem et matricem aliarum habitam, et has corruptas ex ea iterum refectas et adornatas. Amplius, Principum studio ab interitu vindicatas: quod nisi fuisset, quomodo tam multae illae ad P. Victoris, id est Costantini aevum, venis-sent? Nam ille sic inter singularia urbis notat: Bibliothecae publicae, undetriginta. ex iis57 praecipuae duae, Palatina et Ulpia. Heu, quam etiam a memoria perierunt! nam ex illis XXIX. vix septem industria nostra indagare potuit, et nomina saltem ab oblivione vindicare.

56 Cap. XX.*57 ijs: 1607.

223Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

i crimini dell’imperatore. Infatti essendo stato colpito il Campidoglio da un fulmine, l’incendio che ne seguì bruciò come un turbine rapinoso la biblioteca, costruita con la cura e l’impegno degli antichi, e gli altri edifici che si trovavano vicino».60 Chi l’aveva fondata? Non si può affermare ma si può ipotizzare che fosse stato Domizia-no. Infatti egli, essendo scappato alla morte nel Campidoglio, divenuto imperatore, aveva eretto lì un tempio e, perché no, pure questa biblioteca? Anche se non se ne parla nei documenti che restano. Svetonio a tal proposito solo questo genericamen-te [scrive]: «Si preoccupò di restaurare con grandissime spese la biblioteca colpita dall’incendio, chiedendo dappertutto delle copie [di libri] e inviando ad Alessandria delle persone per copiarli e correggerli».61 A ben vedere la biblioteca Alessandrina fungeva da modello di riferimento per le altre e, quando queste subivano un danno, ad essa si attingeva per reintegrare i documenti. Diversamente se non fossero state preservate dalla rovina dall’impegno degli imperatori, come avrebbero potuto esser-cene così tante al tempo di P. Vittore, cioè all’epoca di Costantino? Infatti egli nota tra le cose singolari della città ventinove biblioteche e tra esse due in particolare, la Palatina e la Ulpia. Ahimè, quante anche nel ricordo sono andate perdute! Infatti di quelle 29 appena sette ne abbiamo potuto contare nella nostra ricerca, strappando in qualche modo i nomi all’oblio.

60 paoLo orosio, Historiae adversum paganos, 7, 16, 3.61 svetonio, De vita Caesarum, 8, 20, 1.

224 Lucio Coco

Cap. IIX

Tiburtina, et quaedam etiam Privatorum uberiores. Habebant in Balneis, atque item in agris.

Plures, inquam, Publicas non eruo: non quidem in urbe. iuxta eam, Tibu-ri, etiam unam. De qua Agellius: Meminimus in Tiburti Bibliotheca invenire nos in eodem Claudij libro scriptum.58 Iterumque: Promit e Bibliotheca Tiburti, quae tunc in Herculis templo instructa satis commode libris erat.59 Hic et alibi de Tem-plis adnotes, et fere iuxta ea aut in illis fuisse. Quidni, sacra illa ingeniorum opera, in locis sacratis? Fortassis autem Hadrianus Imp. illam Tybure instruxit, quem eo loco et secessu impense delectatum constat, variaque et ampla inaedificasse. Etsi mihi certum, aliis municipiis coloniisque Bibliothecas sparsas fuisse, aeque atque artium istum cultum. Sed et privatim viri divites, usus et famae causa, sibi pararunt: et nobiles ex iis60 quasdam. Sicut Tyrannio Grammaticus, Sullae temporibus: qui tria millia librorum possedit.61 Sicut ille62 Epaphroditus Chaeroneus, item63 Gram-maticus professione. quem Suidas tradit, sub Nerone ad Nervam Romae vixisse: et adsidue libros ementem, usque ad triginta millia collegisse, optimorum quidem et selectorum. Laudo hoc ultimum: nec tam copia quaeri, quam bonitatem cum dilectu. Optarim hunc fuisse, qui Epictetum, apicem verae Philosophiae, in servis habuerit: et aevum consentit: sed titulus et munus vitae dissentit, cum iste Grammaticus fue-rit, alter e custodibus corporum Neronem, eodem Suida prodente. Sed quisquis iste, superavit eum Sammonicus Serenus in hoc studio: qui Bibliothecam habuit in qua sexagintaduo millia librorum censebantur. Is moriens eam reliquit Gordiano minori, qui gustavit Imperium: Capitolino traditum, cum hoc elogio: Quod Gordianum qui-dem ad caeLuM tuLit. siquidem tantae Bibliothecae copia et splendore donatus, in famam hominum litteratorum decore64 pervenit. Vide iLLustrissiMe princeps, quam haec cura gratiam famamque pariat, vobis magnis insatiabiliter parandam. Atque hi, aut pauci alijj, proditi sunt insigniores Bibliothecas habuisse. plures tamen fuere: et Seneca commune hoc studium iamtunc65 suo aevo ostendit, et damnat. Damnat. qua-re? Non enim in studium, inquit, sed in spectaculum comparabant, sicut plerisque ignaris etiam servilium litterarum, libri non studiorum instrumenta, sed cenatio-

58 Lib. IX. cap. XIIII.*59 Lib. XIX. cap. V.*60 ijs: 1607. 61 [Sicut... possedit]:1607, 1619.62 ille: 1602.63 item:1607, 1619.64 Legi malim: hominum, litteratorum ore pervenit.*65 iam tunc: 1619.

225Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo VIII

La Tiburtina e alcune importanti biblioteche private. Se ne trovavano presso i bagni o in campagna.

Non ho trovato, come ho detto, molte biblioteche pubbliche [a Roma], tuttavia non in città, ma vicino ad essa, a Tivoli, ce n’era una. Di questa [scrive] Aulo Gellio: «Ricordiamo di averlo trovato scritto nello stesso libro di Claudio nella biblioteca di Tivoli».62 E ancora: «Proviene dalla biblioteca di Tivoli che allora era collocata abbastanza comodamente nel tempio di Ercole».63 Nota che qui come altrove si parla di templi e che le biblioteche erano poste vicino o all’interno di essi. Perché non mettere quelle sacre opere dell’ingegno in luoghi sacri? Forse è stato l’imperatore Adriano a costruire quella [di Tivoli] e risulta che in quel luogo ritirato per diletto e senza badare a spese abbia realizzato diverse e grandi opere. Sono d’altronde certo che biblioteche erano sparse in altri municipi e colonie dove si praticava questo culto delle arti. Nondimeno anche ricchi privati, per uso o per fama, ne hanno allestite per sé e alcune di esse davvero eccellenti. Come quell’Epafrodito di Cheronea, gramma-tico di professione di cui Suida narra che «era vissuto a Roma sotto Nerone e Nerva, il quale aveva acquistato assiduamente libri fino a raccoglierne trentamila, di ottima qualità e selezionati».64 Io lodo quest’ultimo: tuttavia non si richiede [ai libri] la quantità ma la qualità e il piacere. Tendo a credere che costui fosse quello che Epit-teto, vertice della vera filosofia, aveva tra i suoi servi: l’epoca lo consente, tuttavia il rango e la funzione no, in quanto uno era un grammatico e l’altro una guardia del corpo di Nerone, come attesta lo stesso Suida. Tuttavia chiunque egli fosse, fu supe-rato in questo campo da Sammonico Sereno. Questi ebbe una biblioteca di sessan-taduemila volumi. Morendo la lasciò a Gordiano il Giovane, in seguito imperatore. Fu donata alla Capitolina con questa iscrizione: Questo ha reso immortale Gordiano, che giunse a una dignitosa65 fama tra i letterati per il dono di una così grande e splendida biblioteca. Vedi, Illustrissimo Principe, quanto favore e fama porta questa cura [per i libri], [favore e fama] che senza fine possono essere procurate al vostro gran nome. A parte costoro, pochi altri erano dotate di biblioteche cospicue. Tutta-via ce n’erano tante [di ordinarie] e Seneca denuncia questo comune modo di fare e lo condanna. Lo condanna, perché? «[La biblioteca] viene apprestata – dice – non per lo studio ma per dare spettacolo, come per molti che non conoscono neppure i sillabari i libri non sono strumenti di studio ma ornamenti delle sale da pranzo».66 E

62 auLo geLLio, Noctes Atticae, 9, 14, 3.63 Ivi, 19, 5, 4.64 suida, Lexicon, s.v. Epahroditus; Cf. PG 117, 1256: Index Scriptorum.65 Forse di dovrebbe leggere: giunse alla fama, per bocca dei letterati.*66 seneca, De tranquillitate animi, 9, 5.

226 Lucio Coco

num ornamenta sunt.66 Et mox addit: Apud desidiosissimos ergo videbis, quidquid orationum, historiarumque est, tecto tenus exstructa loculamenta. Iam enim, inter balnearia et thermas, Bibliotheca quoque, ut necessarium domus ornamentum expo-litur. Male, fateor: et utinam tamen nostri divites sic67 lasciviant! semper cum alieno aliquo, si non suo, usu et bono. Observare autem hic est de Balneis et Thermis etiam: sicut supra notavimus, illam Ulpiam in Diocletiani Thermis dicatam. Cur autem ibi? credo, quia corpori curando otiose tunc vacabant: et igitur occasio erat legendi ali-quid, hominibus alias occupatis, vel audiendi. Enimvero etiam in Villis et Praetoriis68 passim habebant: ab eadem hac, otij et vacationis ibi, causa. Ad quem more Pauli Icti responsum dirigitur: Fundo legato libros quoque et Bibliothecas, quae in eodem fundo sunt, legato contineri. Plinius, de sua villa: Parieti, in Bibliothecae speciem, armarium inseritur.69

Martialis, alterius cuiusdam Iulij Martialis, villaticam Bibliothecam commen-dat:

Ruris Bibliotheca delicati,Vicinam videt unde lector urbem,Inter carmina sanctiora siquisLascivae fuerit locus Thaliae,Hos nido licet inseras vel imoSeptem quos tibi misimus libellos.70

66 De Tranq. cap. IX.*67 si: 1607 [per un refuso].68 Praetorijs: 1607.69 Lib. II epist. XVII.*70 Lib. VII.*

227Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

subito dopo aggiunge: «Presso i più pigri vedrai tutte le orazioni e i libri di storia e scaffalature che giungono fino al soffitto. Infatti ormai tra i bagni e le terme si lustra anche la biblioteca come un arredo necessario della casa».67 Cosa che non va, dico. Oh se fosse questo il lusso dei ricchi! [I libri] potrebbero andare a beneficio e uso, se non di loro, di qualcun altro. Occorre notare che anche qui si parla di bagni e terme, come sopra a proposito della biblioteca Ulpia alle terme di Diocleziano. Perché lì? Credo perché trascorrendovi oziosamente il tempo per la cura del corpo, avevano l’occasione, specialmente se ti trattava di uomini impegnati in affari, di leggere o di ascoltare qualcosa. Per la stessa ragione, ovvero per ozio e per diporto essi tenevano [dei libri] in ville e residenze di campagna. Lo si può notare da questo responso del giureconsulto Paolo:68 «Nel lascito di un fondo, i libri e la biblioteca che si trovano in quel fondo appartengono al legato». Plinio, parlando della sua casa di campa-gna, [scrive] «di aver fatto inserire nella parete un armadio, che va a formare una libreria».69

Marziale segnala la biblioteca di campagna di un certo Giulio Marziale:

Biblioteca di una graziosa casa di campagna,da cui il lettore vede la città vicina,se tra i carmi più altivi fu posto per la lasciva Talia,è lecito mettere sullo scaffale più in bassoquesti sette libri che ti abbiamo mandato.70

67 Ivi, 9, 7.68 Giureconsulto dell’epoca di Adriano.69 pLinio iL giovane, Epistulae, 2, 17.70 MarZiaLe, Epigrammata, 7, 17.

228 Lucio Coco

Cap. IX

Ornatus Bibliothecarum, ebore et vitro. Armaria, et Foruli, et Plutei, et Cunei.

Peregi de Bibliothecis: et produxi, quas aevum quidem non subduxit. Ut rem dicam, paucas e multis: et stillicidium de situla, veteri verbo: tamen vel haec satis ad stimulum, et exemplum. An et addam aliquid de ornatu earum sive instructo? fiat. In Isidoro lego: Peritiores architectos neque aurea lacunaria ponenda in Bibliothecis putasse: neque pavimenta alia, quam e Carystio marmore. quod auri fulgor hebetet et Carystii71 viriditas, reficiat oculos. Bono hoc iudicio iste, sive a quo hausit. Nam de fulgore, certum est et mihi compertum, intentioni et stilo officere: sicut de virore, liquet oculis recreandis esse. Boëtius hoc ampius in Consolatione suggerit: comptos ebore et vitro parietes fuisse. Quid,72 parietes laterales? Non ergo Armaria aut Plutei ad parietes (neque enim conspicuus sic ornatus ille ornatus fuisse) sed in medio di-sposita, ut hodie quoque publicae fere Bibliothecae usurpant. Sane Vitra olim in qua-dras, orbes, ova, aut thombos distincta parietes ornabant, non aliter quam mormoreae crustae, saepius tamen cameras, et lacunar. Ita enim Plinius, libro XXXVI Pulsa ex humo pavimenta in cameras transiere, e vitro: novitium et hoc inventum. Novitium ita, ut tamen esset Neronis et Senecae aevo. Nam ut de re vulgata Seneca, epist. LXXXVI de Balneis: Nisi vitro absconditur camera: atque ibi me vide. Tamen in parietibus etiam fuisse, praeter Boëtium, Vopiscus ostendit in Firmo: Nam et vitreis quadraturis, bitumine aliisque medicamentis insertis, domum induxisse perhibetur. Bitumen autem hic ad committendum nectendumq. parieti accipio insertum, non ad ipsas quadras iungendas: quas decore magis ebur (ut in Boëtio) distinxit. Atque id etiam in Armariis ipsis fuit: unde Eborea Bibliotheca in Pandectis legum; et in Se-neca, Armaria cedro atque ebore aptantur.73 Armaria autem fuisse in Bibliothecis, res et hodierna usio demontrant: sed addo numeris sui distincta. Ita Vopiscus: Ha-bet Bibliotheca Ulpia in Armario sexto librum elephantinum. Elephantinum. an ex ebore,74 an in corio elephanti perscriptum? Vetus Scholiastes Iuvenalis, in illud: Hic libros dabit et forulos. ] Armaria, inquit, bibliothecam. Etsi proprie, opinor, Foruli,

71 Caristij: 1607, 1619,72 [Quid... aptantur]: 1607, 1619; l’edizione del 1602 presenta il seguente testo: «Quomodo

ebore? Nempe ut ipsa Armaria sive Loculi fuerint eburna? Luxus an elegantia veterum ita habuit; et in Legum libris hodieque legimus: Bibliotheca alias locum significat, alias Armarium. sicut cum dici-mus Eboream Bibliothecam emit. Armaria igitur ex ebore: sed Vitrum cui rei? Opinor, ipsa Armaria antrorsus et in fronte clausa vitro fuisse: ut et a sordibus libri immunes praestarentur, et tamen nobiles ac conspicui per vitrum adventoribus essent. Nos etiam in armariis quibusdam, aut eorum reliquiae, usurpamus».

73 De tranq. cap. IX.*74 Ebore: 1619.

229Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo IX

Le decorazioni delle biblioteche, di avorio e vetro. Gli scaffali, le mensole, i ta-voli e le sedie.

Ho trattato delle biblioteche parlando di quelle che il tempo non ha distrutto. A dire il vero ho detto poche cose di molte, una goccia da un secchio per dirla con un antico pro-verbio. Tuttavia è stato sufficiente a dare un impulso e un esempio. È il caso di aggiungere qualcosa sulle loro decorazioni e struttura? Sì. In Isidoro leggo: «Gli architetti più esperti ritenevano che per le biblioteche non dovessero esserci né soffitti dorati né pavimenti di altro tipo se non di marmo di Caristo,71 in quanto il riflesso dell’oro abbaglia mentre il ver-de del marmo di Caristo riposa gli occhi».72 Questa valutazione è buona indipendentemen-te da dove provenga. Infatti il fulgore, ne sono certo per esperienza, disturba l’attenzione e crea difficoltà nello scrivere, il verde invece serve molto a riposare gli occhi. Boezio parla più ampiamente [delle decorazioni] nel De consolatione [dicendo] che «le pareti erano coperte di avorio e vetro».73 Cosa, le pareti laterali?74 Gli armadi e gli scaffali non erano posti contro le pareti (in tal caso la decorazione non si sarebbe vista) ma al centro [della sala] come anche oggi usano fare le biblioteche pubbliche. I vetri, fatti a forma di quadrati, di cerchi, di ovali, di rombi, non diversamente dal marmo, ornavano un tempo i muri e più spesso le volte e i soffitti. Così infatti Plinio scrive: «Piastrelle fatte di terra venivano tra-sformate in vetro e messe nelle volte: si tratta di una invenzione recente».75 Un’invenzione recente, riferita al tempo di Nerone e Seneca. Seneca ne parla come di una cosa risaputa [e scrive]: «A meno che la volta non è coperta da vetro»;76 a tal proposito vedi quello che ho scritto sui bagni [romani].77 Che fosse usato anche nelle pareti lo dimostra Vopisco nel Fermo dove «si dice che aveva coperto la casa con formelle di vetro tenute da bitume e al-

71 Isola dell’Egeo nell’Eubea dove si estraeva un marmo dalle venature verdastre.72 isidoro di sivigLia, Etymologiarum libri, 6, 11, 2.73 boeZio, De consolatione philosophiae, 1, 5, 6.74 [Cosa... avorio]: 1607, 1619; l’edizione del 1602 presenta il seguente testo: In che senso di avorio?

Erano di avorio gli armadi o gli scaffali? Il lusso e l’eleganza degli antichi si esprimeva così per cui anche oggi si legge nei testi di diritto: «Biblioteca sta ad indicare o un luogo, o un armadio così come diciamo che si compra una biblioteca di avorio [Pandectarum libri, 32, 52, 7]». Gli armadi dunque erano di avorio, ma perché il vetro? Penso perché questi stessi armadi sul davanti erano chiusi dal vetro di modo che i libri non si sporcassero e tuttavia si offrissero eleganti e numerosi alla vista degli avventori. Lo steso facciamo noi con gli armadi dove mettiamo reliquie e cose sacre.

75 pLinio iL vecchio, Naturalis Historia, 36, 64.76 seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 86, 6.77 Il riferimento è al cap. VIII (De balneis, Thermisque et breviter de Rostris) del terzo libro del

trattato lipsiano Admiranda, sive de magnitudine romana libri quatuor (apud J. Moretum, Antverpiae 1603).

230 Lucio Coco

ipsi nidi, ut cum Martiale dicam, librorum, sive cum Seneca, distincta loculamenta. Sidonius et haec et alia in Bibliothecis collocat: Hic libri affatim in promptu. videre te crederes aut Grammaticales Pluteos, aut Athenaei Cuneos, aut Armaria exstructa Bibliopolarum.75 Pluteos, id est tabulas inclinatas trasnversim, quibus libris legendi imponerentur: Cuneos, scamnorum seriem, ut in Athenaeo, sic digestam:76 Armaria autem plena et alta, quae dixi. Ea Pegmata Cicero ad Atticum videtur appellasse.77

75 Lib. II. epist. IX.*76 digesta: 1602.77 Lib. I.*

231Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

tri materiali».78 Io ritengo che il bitume sia stato usato qui per legarlo e tenerlo alla parete, non per unire le singole formelle, che l’avorio separava con più decoro (come in Boezio). L’avorio era usato anche per gli armadi, perciò si parla di «Biblioteca d’avorio» nelle Pan-dette79 e in Seneca che scrive di «armadi fatti di legno di cedro e di avorio».80 Questo fatto e l’usanza odierna dimostrano che gli armadi erano nella biblioteca e aggiungo che questi erano distinti per numero. Vopisco così [scrive]: «La biblioteca Ulpia ha nel sesto armadio un libro elefantino».81 [Non so se] elefantino sta a significare d’avorio oppure scritto su pelle di elefante. Un antico scoliasta di Giovenale nel commentare il verso: «Questi darà libri e scaffali [forulos]»,82 parla di armadi, di libreria. Anche se propriamente, io credo, foruli sono gli scomparti dei libri, «nidi» per dirla con Marziale.83 Sidonio colloca in bi-blioteca questa ed altre cose: «Qui c’è un numero straordinario di libri a disposizione. Ti sembrerà di vedere i tavoli [pluteos] dei grammatici, gli sgabelli [cuneos] di Ateneo, gli armadi [armaria] alti dei venditori di libri».84 I plutei sono i ripiani inclinati sui quali poggiare i libri da leggere; i cunei sono le file di scranni come è spiegato in Ateneo; gli armaria, le scaffalature piene e alte di cui ho parlato e che Cicerone sembra chiamasse in una lettera ad Attico scansie.

78 fLavio vopisco, Vita Firmi, Saturnini, Proculi et Bonosi, 3.79 Pandectarum libri, 32, 52, 7.80 seneca, De tranquillitate animi, 9, 6.81 fLavio vopisco, Vita Taciti, 8.82 giovenaLe, Saturae, 3, 219.83 MarZiaLe, Epigrammata, 7, 17.84 sidonio apoLLinare, Epistularum libri, 2, 9, 4.

232 Lucio Coco

Cap. X

Imagines in iis78 doctorum, laudabili more: cui origo ab Asinio.

Sed vel praecipuus ornatus, et imitandus, meo iudicio, nondum hodie imitatus, sunt Imagines sive et Statuae doctorum, quas una cum libris disponebant. Nonne pulchrum, et suave oculis ac cogitationi fuit? Natura trahimur ad simulacra et ef-figies magnorum virorum noscendas, et illa corpora, sive hospitia, quibus celestis se animus inclusit: ecce hic erat. Homeri, Hippocratis, Aristotelis, Pindari, Virgilij, Ciceronis, et alia scripta videres aut libares oculis: una etiam imaginem scriptoris adiunctam. Iterum repeto, pulchrum: et, te iLLustrissiMe praeëunte, cur non usur-pamus? Romanum hoc inventum videtur: ne omnia bella ad Graeciam referantur: et Plinius inclinat. Nullum maius (inquit pulcherrima gnoma) felicitatis specimen arbitror, quam semper omnes scire cupere, qualis fuerit aliquis. Asinij Pollionis hoc Romae inventum, qui primus Bibliothecam dicando, ingenia hominum rem publicam fecit. An priores coeperint Alexandriae et Pergami reges, qui Bibliothecas magno certamine instituere, non facile dixerim.79 Itaque Asinius videtur auctor. qui etiam (eodem Plinio prodente) M. Varronis, in Bibliotheca, quae prima in urbe (absurde in orbe alij) publicata Romae est, unius viventis posuit imaginem.80 Quod tamen et aliis postea, indulgentia an iudicio, datum video: et nominatim Martiali poetae. qui gloriatur, quod Stertinius imaginem eius ponere in Bibliotheca sua voluit.81 Sed plerumque mortuorum, et quos famae consensus iam sacrasset. Plinius: Non est pra-etereundum et novitium inventum. siquidem non solum ex auro argentove, aut certe ex aere in Bibliothecis dicantur illi, quorum immortales animae in iisdem locis loqu-untur, quinimo etiam quae non sunt, finguntur, pariuntque desideria non traditi vul-tus.82 Appellat novitium, id est Pollionis, inventum. ostendit mortuorum, et e metallo plurimum fuisse: sed addo etiam e gypso, in privatis (pro cuiusque scilicet copia) Bibliothecis. Iuvenalis:

quamquam plena omnia gypsoChrysippi invenias.

Imo et in Tabulis, opinor, imagines fuere: et fortasse in librorum fronte pictura etiam expressae. Seneca: Ista exquisita, et cum imaginibus suis descripta, sacro-

78 ijs: 1607.79 Lib. XXXV cap. II.*80 Lib. VII cap. XXX.*81 Praefat. lib. IX.*82 Lib. XXXV cap. II.*

233Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo X

Le immagini dei sapienti, un’usanza lodevole la cui origine risale ad Asinio.

L’ornamento in particolare da imitare e, a mio giudizio, oggi non ancora imitato sono le immagini o le statue dei sapienti che venivano allineate insieme con i libri. Non era forse una cosa bella e soave per gli occhi e per la mente? Per natura siamo portati a conoscere i tratti dei grandi uomini e a vedere come lo spirito celeste si sia impresso su quei corpi: ecco essi sono qui. Leggendo gli scritti di Omero, Ippocrate, Aristotele, Pindaro, Virgilio, Cicerone e altri potresti vedere e gustare al contempo con gli occhi la relativa immagine dello scrittore. Si tratta di una cosa bella, ripeto ancora, perché, eccel-lenza Illustrissima, non imitarla? Pare che questa sia una invenzione romana: non sempre tutte le cose belle derivano dai greci! Plinio lo lascia credere: «Ritengo che non c’è niente di più delizioso – dice con una bellissima espressione – che conoscere come era fatta una persona; a Roma fu questa un’invenzione di Asinio Pollione. Questi aveva allestito per primo una biblioteca per rendere di pubblico dominio il sapere degli uomini. Non saprei dire se prima [a farlo] siano stati i re di Alessandria e di Pergamo che istituirono delle bi-blioteche facendo a gara tra di loro».85 Pertanto l’ideatore sembra essere Asinio. «Questi – dice Plinio – nella prima biblioteca che era stata aperta della città – è assurdo affermare, come altri fanno, del mondo –, aveva posto l’immagine di un vivente, M. Varrone».86 La qual cosa, o per cortesia a buon diritto, vedo che fu fatta in seguito per altri. Per esempio per il poeta Marziale che si gloriava del fatto che «Stertinio avesse voluto porre nella pro-pria biblioteca la sua immagine».87 Nella maggior parte dei casi però si trattava di morti che il successo e la fama avevano già consacrato. Plinio [scrive]: «Non si può tacere di una nuova usanza, per cui si mettono in biblioteca non solo le statue d’oro, d’argento o di bronzo di quelli le cui anime immortali parlano lì [attraverso i loro libri], ma anche di quelli di cui non ci sono stati conservati i ritratti.88 La nuova usanza di cui parla è quella di Pollione. Egli mostra altresì che le statue dei morti erano di diversi metalli; e aggiungo anche di gesso nelle biblioteche private (per la facilità a riprodurle). Giovenale scrive:

benché sia tutto pienodi gessi di Crisippo.89

Inoltre credo che si facessero anche dei ritratti e che probabilmente venissero posti all’inizio dei libri. Seneca [scrive]: «Esaminate le opere dei grandi ingegni il-

85 pLinio iL vecchio, Naturalis Historia, 35, 2, 10.86 Ivi, 7, 30, 115,87 MarZiaLe, Epigrammata, premessa al libro IX.88 pLinio iL vecchio, Naturalis Historia, 35, 2, 9.89 giovenaLe, Saturae, 2, 3-4.

234 Lucio Coco

rum opera ingeniorum.83 Suetonius in Tiberio: Scripta eorum et imagines, publicis Bibliothecis, inter veteres et receptos auctores, dedicavit.84 Plinius in Epistolis: He-rennius Severus, vir doctissimus, magni aestimat in Bibliotheca sua ponere imagines Corneli Nepotis et Titi Attici. Itaque utrumque, et Statuae et Imagines fuere. Plinius idem, de Silio Italico: Plures iisdem in locis villas possidebat. multum ubique libro-rum, multum statuarum, multum imaginum: quas non habebat modo, verumet iam venerabatur. Virgilij ante omnes. Vopiscus de Numeriano: Huius oratio [...] tantum habuisse fertur eloquentiae ut illi statua, non quasi Caesari, sed quasi Rhetori de-cerneretur, ponenda in Bibliotheca Ulpia, cui subscriptum est: nuMeriano. caesari. oratori. teMporibus. suis. potentissiMo. Sed et Sidonius sibi ibidem positam, iure gloriatur:

Cum meis poni statuam perennemNerva Traianus titulis videret,Inter auctores utriusque fixam

Bibliothecae.

Signifcat, et in graeca et latina Bibliotheca, statuam se habuisse. Ceterum85 minores illae imagines sive statuae pluteis86 plerumque impositae videntur, ante suos quaeque libros. Iuvenalis:

Et iubet archetypos Pluteum servare Cleanthas.

Veteris distichi ea mens, quod Imagini tali Virgilianae subscriptum fuit:

Lucis damna nihil tanto nocuere poëtae,Quem praesentat honos carminis et Plutei.

Significat, videri vivere, qui in libris et imagine vivit. Inde et Sigilla Plutealia apud Ciceronem ad Atticum. Nam iamtunc Bibliothecas exornabant Deorum, si non auctorum sigillis.

83 De Tranq.*84 Cap. LXX.*85 [Ceterum... sigillis]: 1607.86 Pluteis: 1619.

235Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

lustrate con i loro ritratti».90 Svetonio a proposito di Tiberio: «Mise le opere e il loro ritratti nella biblioteca pubblica accanto agli antichi autori ammessi».91 Plinio nelle Epistole: «Erennio Severo, uomo dottissimo, ritiene una gran cosa mettere nella sua biblioteca i ritratti […] di Cornelio Nepote e di Tito Attico».92 Pertanto si faceva uso di entrambe, di statue e ritratti. Ancora Plinio a proposito di Silio Italico: «Possedeva in questi stessi posti diverse ville […]. Vi erano molti libri, molte statue e molti ritrat-ti: non li possedeva soltanto ma li venerava, quello di Virgilio soprattutto».93 Vopisco [scrive] di Numeriano: «Si narra che fosse così eloquente nel discorso […] che si stabilì di fargli una statua non da Cesare ma da retore e di metterla nella biblioteca Ulpia con la seguente iscrizione: All’imperatore numeriano il più grande oratore del suo tempo».94 Sidonio giustamente si vanta di una statua dedicatagli nello stesso posto:

Nerva Traiano ha visto che per i miei scrittiuna statua a perenne memoria fosse postatra gli autori dell’una e dell’altra biblioteca.95

Il che significa che c’era una sua statua nella biblioteca latina e in quella greca. Inoltre96 sembra che piccoli ritratti e statue erano poste ognuno davanti ai rispettivi libri. Giovenale scrive:

E ordina che sugli scaffali faccia da guardia un ritratto originale di Cleante.97

Questo il significato di un antico distico apposto a una immagine di Virgilio:

Nessun male può derivare al poeta a cui si fa l’onore di carmi e scaffali.

Il che vuol dire che sembra rivivere chi vive nelle immagini e nei libri. Lo stesso valore hanno le immaginette sopra gli scaffali di cui parla Cicerone scrivendo ad Attico. Infatti ai suo tempi si ornavano le biblioteche con statue di dei oppure con immaginette degli autori.98

90 seneca, De tranquillitate animi, 9, 7, 7.91 svetonio, De vita Caesarum, 3, 70, 2.92 pLinio iL giovane, Epistulae, 4, 28.93 Ivi, 3,7.94 fLavio vopisco, Vita Cari et Carini et Numeriani, 11, 3.95 sidonio apoLLinare, Epistularum libri, 9, 16, 3.96 [Inoltre... autori]: 1607.97 giovenaLe, Saturae, 2, v.8.98 cicerone, Epistulae ad Atticum, 1, 10, 3.

236 Lucio Coco

Cap. XI

In occasione de Museo Alexandrino. docti viri ibi habiti atque aliti, in publicum bonum. Reges aut Imperatores ei curabant.

Et plura equidem super Bibliothecis, quae ἀξιόλογα87 sint, non habeo: unum etiam, quod ad earum fructum. Nam si solae eae, aut rarus adventor, si homines, inquam, non sunt qui frequentent et evolvant: quo ista congeries? et quid nisi studio-sa quaedam luxuria sint, ut Seneca appellat? Providerunt hoc quoque Alexandrini Reges: et una cum illis Museum (ita dixerunt, quasi Musarum aedem) exstruxerunt, in quo fas esset Musis operari, a ceteris rebus feriatos. Imo et a vitae victusque curis vacuos: cum alimenta iis hic e publico darentur. Praeclarum institutum! quod unus Strabo optime describit: Τῶν δὲ βασιλείων μέρος ἐστὶ καὶ τὸ Μουσεῖον, ἔχον περίπατον καὶ ἐξέδραν καὶ οἶκον μέγαν ἐν ᾧ τὸ συσσίτιον τῶν μετεχόντων τοῦ Μουσείου φιλολόγων ἀνδρῶν. Ἔστι δὲ τῇ συνόδῳ ταύτῃ καὶ χρήματα κοινὰ καὶ ἱερεὺς ὁ ἐπὶ τῷ Μουσείῳ τεταγμένος τότε μὲν ὑπὸ τῶν βασιλέων νυνὶ δ’ ὑπὸ Καίσαρος:88 Pars etiam Regiae est Museum, quod ambulationi et sessui loca habet, et magnam unam domum, in qua convivunt et comedunt una, qui Musei consortes sunt, litterati viri. Habet autem hoc collegium et pecuniam sive vectigalia in commune, et Sacerdotem item, qui Museo praeest, olim a regibis, nunc a Caesare constituendum. Primum ait, Regiae sive Aulae partem fuisse. Scilicet adnecti sibi et iungi voluerunt Reges, ut in propinquo et promptu essent eruditi isti, cum quibus dissererent, cum libitum, animo docendo, et pascendo. Habuit Porticus et Exedras: illas exercitio corporis, has animi, et ubi considentes altercarentur et conferrent. Fuit et Domus, ubi communis iis victus et mensa: quod sic etiam Philostratus expressit, de Dionisyo: quem in Museum receptum scribit, additque: τὸ μουσεῖον τράπεζα αἰγυπτία ξυγκαλοῦσα τοῖς ἐν πάσῃ τῇ γῇ ἐλλογίμοις:89 Museum autem est Ægip-tia mensa, quae convocat omnes in universa terra litteratos. Verba pensitari cupio. omnes ex omni terra: et viden’ numerum, nec rem tenuem et parvi impendij fuisse? Quod et Timon Sillographus indicat, etsi more et instituto suo carpens:

Πολλοὶ μὲν βόσκονται ἐν αἰγύπτῳ πολυφύλῳΒιβλιακοὶ χαρακεῖται, ἀπείριτα δηριόωντες,Μουσέων ἐν ταλάρῳ.Permulti pascuntur in Ægipto populosaPugnantes libris, ac semper digladiantesMusarum in cavea.

87 digna dici.*88 Lib. XVII.*89 In vita Dionysii Milesij.*

237Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Capitolo XI

A proposito del Museo di Alessandria. Qui a spese pubbliche si dava alloggio e vitto agli studiosi. I re e gli imperatori si prendevano cura di esso.

Sulle biblioteche altro non ho che sia degno di essere detto: una cosa soltanto relativa al loro uso. Infatti se esse rimangono vuote, con qualche raro visitatore, se non c’è nessuno che le frequenti e le pratichi, voglio dire, perché questa congerie [di libri]? E cosa sono se non una «ricercata ostentazione di lusso», come dice Seneca?99 I re alessandrini, che avevano previsto questo, insieme con la biblioteca costruirono un Museo (lo chiamarono così, quasi si trattasse della «casa delle Muse») in cui era lecito [per gli studiosi] darsi all’attività delle Muse, liberi da ogni altro lavoro e senza pensiero di vitto e alloggio, in quanto gli alimenti venivano loro forniti a spese pub-bliche. Nobilissima istituzione! Solo Strabone ne dà un’ottima descrizione: «Τῶν δὲ βασιλείων μέρος ἐστὶ καὶ τὸ Μουσεῖον, ἔχον περίπατον καὶ ἐξέδραν καὶ οἶκον μέγαν ἐν ᾧ τὸ συσσίτιον τῶν μετεχόντων τοῦ Μουσείου φιλολόγων ἀνδρῶν. Ἔστι δὲ τῇ συνόδῳ ταύτῃ καὶ χρήματα κοινὰ καὶ ἱερεὺς ὁ ἐπὶ τῷ Μουσείῳ τεταγμένος τότε μὲν ὑπὸ τῶν βασιλέων νυνὶ δ’ ὑπὸ Καίσαρος: [In una parte del palazzo c’è il Museo, dove ci sono posti per passeggiare e per riposare e una grande sala dove i letterati che fanno parte del Museo convivono e mangiano insieme. Questa istituzione ha dei fondi comuni per il sostentamento e un sacerdote che presiede ad essa di nomina un tempo dei re oggi di Cesare]».100 All’inizio dice che era una parte del palazzo regale, certamente perché i re avevano voluto che fosse connesso e colle-gato con loro affinché, essendo questi letterati vicini e disponibili, potessero discutere con loro quando volevano, insegnando e nutrendo lo spirito. C’erano dei portici e dei sedili, gli uni per tenere esercitato il corpo, gli altri l’anima, e qui sedendo discutevano e si confrontavano. C’era anche «una sala dove si conviveva e si mangiava insieme»; questo lo afferma anche Filostrato nella Vita di Dionisio. Costui, egli scrive, fu «rice-vuto nel Museo» e aggiunge: «τὸ μουσεῖον τράπεζα αἰγυπτία ξυγκαλοῦσα τοῖς ἐν πάσῃ τῇ γῇ ἐλλογίμοις [Il Museo è un convito egizio al quale sono chiamati tutti i letterati della terra]».101 Vorrei che si riflettesse sull’espressione «tutti i letterati della terra». Ti accorgi che non si tratta di un numero da poco e di poco conto? La stessa cosa dice Timone il Sillografo, con la sua forma e il suo modo:

Πολλοὶ μὲν βόσκονται ἐν αἰγύπτῳ πολυφύλῳΒιβλιακοὶ χαρακεῖται, ἀπείριτα δηριόωντες,

99 seneca, De tranquillitate animi, 9, 5.100 strabone, Geographica, 17, 1, 8.101 fLavio fiLostrato, Vitae sophistarum, ed. Kayser, Heidelberg 1838 [Ripr. anastatica Olms,

Hildesheim-New York 1971], 1, 22 [In Dionisyum], 3.

238 Lucio Coco

Nam, esxplicante Atheneo, τὸ μουσεῖον τάλαρόν που φησιν ἐπισκώπτων τοὺς ἐν αὐτῷ τρεφομένους φιλοσόφους, ὅτι ὣσπερ ἐν πανάργῳ τινὶ σιτοῦνται καθάπερ οἱ πολυτιμότατοι ὄρνιθες:90 Museum dixit Caveam, irridens Philoso-phos qui in eo alebantur, velut pretiosa quaedam aves. Iste Philosophos nominat, sed Strabo universe ἐλλογίμους ἄνδρας dixit, litteratos doctosque viros: et omne genus haud dubie receptum. Sed viros ait: non ergo pueros aut iuvenes, et qui velut in spem studiorum (hodie solitum) educarentur. Non. quin istud velut praemium eruditis, et quies quaedam honesta fuit: haud aliter quam Athenis, bene de rep. meritis victus in Prytaneo. Ubi estis principes? Et quos urit aut excitat honestus aemulandi ignis? Sed pergit

90 Lib. I,*

239Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Μουσέων ἐν ταλάρῳ.[Molti mangiano nell’Egitto popoloso,scribacchini che combattano incessantementenella gabbia delle Muse].

Infatti, spiega Ateneo che «τὸ μουσεῖον τάλαρόν που φησιν ἐπισκώπτων τοὺς ἐν αὐτῷ τρεφομένους φιλοσόφους, ὅτι ὣσπερ ἐν πανάργῳ τινὶ σιτοῦνται καθάπερ οἱ πολυτιμότατοι ὄρνιθες [Timone chiama il Museo una gabbia per prendersi gioco dei filosofi che lì erano nutriti come si alimentano in una voliera de-gli uccelli assai di pregio]».102 Questi li chiama filosofi, ma Strabone in maniera ge-nerica ἐλλογίμους103 ἄνδρας, uomini dotti, letterati», per indicare ogni categoria di persone che vi trovava accoglienza. Egli parla di «uomini»: non di ragazzi o giovani che (come oggi accade) sono avviati a un percorso di studi. Non si trattava di questo, ma di una sorta di premio, che [assicurava loro] un giusto riposo. Non diversamente da come accadeva ad Atene per i benemeriti della città ai quali era assicurato il vitto nel Pritaneo. Dove siete Principi e [voi] tutti che questo fuoco onesto di emulazione brucia ed eccita?

102 ateneo, Deipnosophistai, 1, 41.103 In realtà nel passo di Strabone, citato da Lipsio, si parla di φιλολόγων ἀνδρῶν; ἐλλογίμους

è un termine usato da Filostrato.

240 Lucio Coco

Strabo, et Sacerdotem praeficit, Regum aut Caesarum dilectu. Magna igitur di-gnitas, et quae ab ipso Caesare conferenda. Sed quid, quod ipsa ibi loca idem Caesar assignaret? Ita enim Philostratus, de Dionysio Sophista: Ἀδριανὸς γὰρ σατράπην μὲν αὐτὸν ἀπέφῃσεν οὐκ ὀλίγων ἐθνῶν, κατέλεξε δὲ τοῖς δημοσίᾳ ἱππεύουσι καὶ τοῖς ἐν τῷ μουσείῳ σιτουμένοις: Hadrianus Imp. Satrapam sive Praefectum eum constituit non exiguarum gentium: et adscripsit inter eos qui publice equo vehe-rentur: itemque qui in Museo alerentur. Iterum de Polemone: κατέλεξε δὲ αὐτὸν καὶ τῷ τοῦ μουσείου κύκλῳ ἐς τὴν αἰγυπτίαν σίτησιν: Allegit eum (Hadrianus) et Musei conventui, ad Ægyptiam mensam. Sed notem ibi vocem κύκλῳ, circulo (etsi ego Conventui reddidi:) qua significari arbitror, in orbem rem ivisse, et quosdam al-lectos tempestive, et in antecessum: id est, priusquam locus vacuus etiam esset. Sed spes sustentabat, et ordine succedebant, qui sic adscripti: ut hodie in beneficiorum collatione Principes quidam usurpant. Athenaeus denique huius donationis a Princi-pe etiam meminit: ubi ait Pancratem quemdam poëtam,91 ingeniose Hadriano adula-tum de Antinoo suo: atque ille, inquit, ἡσθεὶς τῇ εὑρέσει, τὴν ἐν μουσείῳ σίτησιν αὐτῷ ἔχειν ἐχαρίσατο, delectatus inventiuncula, cibum in Museo illi gratificatus est. Atque haec Strabo alijque,92 super loco et instituto: licet addere, non vacuam omnino aut otiosam ibi vitam vixisse (qui possent viri bono publico nati?) sed aut scripsisse, aut disseruisse, et recitasse. Ita Spartianus tradit, Hadrianum Alexandriae in Museo multas quaestiones Professoribus proposuisse, aut propositas dissolvisse. Adde Suetonium, in Claudio:93 qui et Museum hoc, altero addito, adauxit: ut certi libri ibi quotannis recitarentur. Desino.

dux iLLustrissiMe, et te e magnis, ad omnia magna natum, hortor viam hanc verae laudis porro insistere, et libris litterisque propagandis, aeternitati tuum nomen consecrare.

Tibi Joannes Morete, pro amicitia quae mihi cum Plantino (heu, quondam meo) et Plantinianis est ac fuit, tibi, inquam, permitto, uti hoc meum de bibLiothe-cis syntagMa typis tuis excudas ac divulges. Nequis alibi alius praeter te, cupio sive iubeo, ex lege quam magnus Caesar et Reges dixerunt.94

Justus Lipsius

91 Lib. XV.*92 alique: 1602; aliique: 1619.93 Cap. XLVII.*94 [Tibi... dixerunt]: 1607.

241Giusto Lipsio, Saggio Sulle Biblioteche [De Bibliothecis Syntagma]

Continua Strabone che a guida di esso c’era un sacerdote, scelto dai re a da Cesare. Si trattava di una carica importante che veniva attribuita dallo stesso Cesare. Ma forse tutti lì erano su nomina di Cesare? Così scrive Filostrato, a proposito del sofi-sta Dionisio: «Ἀδριανὸς γὰρ σατράπην μὲν αὐτὸν ἀπέφῃσεν οὐκ ὀλίγων ἐθνῶν, κατέλεξε δὲ τοῖς δημοσίᾳ ἱππεύουσι καὶ τοῖς ἐν τῷ μουσείῳ σιτουμένοις [L’impe-ratore Adriano lo fece satrapo o prefetto di molte genti, lo inserì tra quelli che dovevano ricevere i pubblici onori e stabilì che fosse mantenuto a spese del Museo]».104

E ancora di Polemone [scrive]: «κατέλεξε δὲ αὐτὸν καὶ τῷ τοῦ μουσείου κύκλῳ ἐς τὴν αἰγυπτίαν σίτησιν [Adriano lo fece membro del collegio del Museo e che fosse mantenuto con pubbliche spese]».105 Vorrei che si notasse qui il termine κύκλῳ, circolo (anche se io l’ho tradotto con collegio); ritengo che con esso si vuole indicare che vi si era ammessi a turno e che c’era una lista di membri effettivi e di altri in attesa non appena un posto si fosse reso libero. Li manteneva la speranza di accedere a loro volta e di entrare a far parte del Museo: come accade oggi per cui alcuni sperano di entrare nei favori del principe. Anche Ateneo infine ricorda questo beneficio dell’imperatore, quando dice che un poeta, Pancrate, che si era ingraziato Adriano con il chiamare un fiore Antinoo, per cui «ἡσθεὶς τῇ εὑρέσει, τὴν ἐν μουσείῳ σίτησιν αὐτῷ ἔχειν ἐχαρίσατο [deliziato dalla trovata gli concesse il beneficio di mangiare nel Museo]».106 Così può bastare riguardo a quanto detto da Strabone e altri circa l’istituzione del Museo. È giusto tuttavia aggiungere che lì non si faceva affatto una vita vuota e oziosa (come avrebbero potuto uomini nati per fare il bene di tutti?) ma che si scriveva, si discuteva e si declama-va. In tal senso Spartiano narra che «Adriano nel Museo avesse posto molte questioni ai professori e ne avesse ricevuto risposta». Metti anche Svetonio che [narra] che Claudio aggiunse a questo Museo un secondo per farvi leggere ogni anno dei libri.107 Concludo.

Illustrissimo Duca, io esorto anche te, nato da cose grandi per fare grandi cose, a insistere su questa via della vera lode e, diffondendo i libri e le lettere, a consacrare il tuo nome all’eternità.

A te,108 Jan Moret, per l’amicizia che c’è e ci fu con Plantin (ahimè, un tempo il mio Plantin) e la sua famiglia, a te, dico, consento di stampare e pubblicare per i tuoi tipi il mio De bibliothecis syntagma. Nessun altro voglio e comando che lo fac-cia tranne te in base alle leggi che il grande Cesare e i re hanno fissato.

Giusto Lipsio

104 fLavio fiLostrato, Vitae sophistarum, 1, 22 [In Dionisyum], 3.105 Ivi, 1, 25 [In Polemonem], 3.106 ateneo, Deipnosophistai, 15, 21.107 svetonio, De vita Caesarum, 5, 42, 2.108 Questa clausola figura nell’edizione del 1607.