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ANNALI DELLA FONDAZIONE PER IL MUSEO «CLAUDIO FAINA» VOLUME XXII ORVIETO NELLA SEDE DELLA FONDAZIONE EDIZIONI QUASAR 2015 estratto

Lo scavo nella cavità n. 254 in Via Ripa Medici, Orvieto, in Annali della Fondazione per il Museo \"Claudio Faina\", 22, 2015,pp. 515 - 534

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A N N A L ID E L L A F O N D A Z I O N E

P E R I L M U S E O « C L A U D I O F A I N A »

VOLUME XXII

ORVIETONELLA SEDE DELLA FONDAZIONE

EDIZIONI QUASAR2015

estratto

LA DELIMITAZIONE DELLO SPAZIO FUNERARIO IN ITALIA DALLA PROTOSTORIA ALL’ETÀ ARCAICA

RECINTI, CIRCOLI, TUMULI

Atti del XXII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria

a cura di Giuseppe M. Della Fina

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ISBN 978-88-7140-677-0

© Roma 2015 - Edizioni Quasar di Severino Tognon srlvia Ajaccio 41-43 - 00198 Romatel. 0685358444, fax 0685833591www.edizioniquasar.it

Finito di stampare nel mese di novembre 2015

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Il progetto che si presenta in questa sede1 è stato reso possibile dalla collaborazione fra il titolare della concessione di scavo (la Fon-dazione per il Museo “Claudio Faina” di Orvieto), la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria2, i proprietari della cavità me-desima, Maria Perali e Antonio Pagliaccia, la cui liberalità è stata determinante per l’indagine, così come il supporto logistico di Spe-leotecnica s.r.l. Direttori scientifici sono David B. George3 e Claudio Bizzarri4. Il progetto Orvieto Ipogea5 comprende anche la Cavità 254, i cui ambienti sono situati lungo il margine sud-ovest della rupe di Orvieto, in corrispondenza dell’area del plateau tufaceo dalla quale oggi si può dominare la piana di Campo della Fiera e le balze che salgono verso il territorio di Porano. È una delle oltre 1200 cavità

1 Per una prima segnalazione si veda BizzArri 2013.2 Per l’organo periferico dello Stato si devono ringraziare per la fattiva col-

laborazione Paolo Bruschetti e Maria Cristina de Angelis i quali, nell’ordine, si sono avvicendati in qualità di ispettori.

3 Direttore del Dipartimento di studi classici del Saint Anselm College di Manchester nel New Hampshire (USA). A lui si deve il breve contributo introduttivo sulle iscrizioni rinvenute sinora.

4 Direttore del Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano e professor in residence dello University of Arizona Study Abroad Program. Il responsabile delle ope-razioni sul campo è Paolo Binaco; Francesca Bellagamba e Nicola Bruni hanno curato il laboratorio sino al 2014, mentre nella campagna 2015 è subentrata Tania Bonifazi; i rilievi di dettaglio sono stati eseguiti dall’architetto Simone Moretti Giani con la con-sueta perizia. Si ringraziano, per i molti e preziosi consigli Simonetta Stopponi, Pietro Tamburini, Filippo Delpino, Benedetta Adembri e Fernando Gilotta; agli ultimi due si deve l’energico “suggerimento” di presentare in questa sede i risultati preliminari dello scavo.

5 Il progetto prevede l’indagine selettiva di alcune realtà sotterranea d’epoca etrusca in Orvieto, la fine di sistemizzare la tipologia alla quale si farà poi riferimento.

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artificiali censite nel centro storico per le quali, in altra sede, è sta-to proposto un inquadramento tipologico, con particolare riferimento alle emergenze d’epoca etrusca6; in tale ambito la struttura in oggetto rappresenta un’anomalia. Il complesso ipogeo è caratterizzato infatti dalla presenza di almeno tre strutture aventi forma troncopiramida-le, sinora non testimoniate ad Orvieto e, a quanto risulta, neanche in altri contesti culturali affini. La superficie dei vani aumenta, man mano che si procede verso il basso, con un andamento piuttosto rego-lare a pianta quadrangolare. Si è pertanto ritenuto opportuno tentare di indagare sistematicamente almeno una di queste strutture, al fine di acquisire informazioni relative alla sua funzione e cronologia. Al termine della campagna 2014 la cavità misurava sei metri per sette ed aveva raggiunto una profondità di 10 metri dal piano attuale della città.

Le ricerche hanno preso avvio nel maggio 2012, all’interno del vano convenzionalmente denominata “A” (Fig. 1). Questo ambiente è caratterizzato dalla presenza di una serie di gradini ricavati nella roccia (Fig. 2), che discendono da Sud a Nord lungo la parete Ovest del vano. La parte superiore della cavità è stata compromessa dai ri-facimenti degli edifici d’epoca medievale e moderna, e dalla creazione della cantina, verosimilmente da datare al XVIII secolo ed utilizzata fino alla seconda metà del secolo scorso. Al disotto di una serie di scarichi contemporanei, peraltro ricchi di frammenti ceramici medie-vali e moderni, è stato riconosciuto un piano di calpestio in calce e tufarina battuta. La sua asportazione ha permesso di mettere in luce uno strato di terreno a matrice argillosa, di colore marrone e stra-ordinariamente ricco di materiale d’epoca etrusca. Questo è stato il primo di una serie di scarichi, caratterizzati da marcate differenze nella composizione, e la cui morfologia segue, in genere, quella del cono di detriti, in cui lo sversamento ha fatto sì che i materiali liti-ci e fittili di maggiore pezzatura si siano di norma arrestati solo a ridosso delle pareti. Eccezionale è il secondo scarico messo in luce, spesso oltre un metro, costituito da sabbia e pozzolana e totalmente privo di inclusi. L’apice di questo cono detritico è stato individuato al centro del vano A, a differenza di tutti gli altri scarichi che appaiono rovesciati dall’angolo nord-ovest dell’ambiente. L’affidabilità strati-grafica dell’intero deposito, sigillato dal piano di calpestio moderno, è ottima. Osservando l’interfaccia superiore di una delle ultime unità individuate (US 45 - Fig. 3) saltano all’occhio alcuni elementi: si trat-ta di uno scarico costituito quasi esclusivamente da frammenti fittili

6 Per una classificazione di queste emergenze si rimanda a BizzArri 2007, con bibliografia di riferimento.

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e lapidei, legati da poco terreno a matrice sabbiosa con molti inclusi di natura organica. I reperti, in questo caso, sono distribuiti omoge-neamente su tutta la superficie del vano e l’interfaccia superiore dello strato presenta una pendenza media superiore ai 30° che si riscontra già dal punto di contatto con la parete nella quale è conservata la sca-la elicoidale7. Questa struttura prende avvio dal centro della parete meridionale del vano ed in prossimità dell’angolo nord-ovest si notano chiaramente tracce di un distacco di materiale roccioso, avvenuto cer-tamente in antico. Tale evento dovette danneggiare la scalinata me-desima che venne ripristinata con la messa in opera di una struttura lignea, testimoniata dagli incassi dei pontoni.

Tutte le unità stratigrafiche restituiscono materiali assoluta-mente omogenei per tipologia e cronologia; la successiva catalogazio-ne dei reperti ha consentito di verificare la presenza di numerosi at-tacchi fra frammenti provenienti da varie unità, indicando quindi che il materiale è stato accumulato in un breve lasso di tempo ed in una probabile unica soluzione operativa. Allo stato attuale delle ricerche sembrerebbe che l’ambiente “A” sia stato defunzionalizzato e riempi-to entro la fine del V secolo8.

Molti frammenti sono riferibili alla classe degli impasti non torni-ti. Si tratta di materiali residuali, che sembrano coprire un intervallo cronologico compreso tra il Bronzo Finale e l’Orientalizzante Antico9. Per la prima fase si segnalano, in particolare, un frammento della parete di una forma chiusa decorata da larghe solcature (Fig. 4.1) ed un frammento di sopraelevazione a corna ramificate, forse riferibile ad una tazza o ad una ciotola10. Tutta la fase villanoviana è ben do-cumentata, grazie a frammenti di forme chiuse ed aperte con appa-rati decorativi che includono gruppi di solcature, cerchielli impressi e motivi a falsa cordicella11 (Fig. 4.2). All’Orientalizzante Antico sono invece riferibili frammenti di forme aperte, caratterizzate da superfi-ci lucidate a stecca e ornate da bugne. Tali caratteristiche permetto-no di avvicinare i reperti ad esemplari integri restituiti dai contesti

7 La campagna di scavo 2015, iniziata nel mese di maggio, ha già consentito il recupero di svariate centinaia di chili di laterizi, tutti molto omogenei dal punto di vista tipologico.

8 A questo orizzonte cronologico riportano alcuni reperti in ceramica attica a vernice nera.

9 Si ringrazia Maria Cristina de Angelis, che si è detta disponibile per lo stu-dio dei frammenti rinvenuti, per i preziosi consigli.

10 Ad Orvieto un frammento analogo è stato rinvenuto nel corso delle ricerche condotte al disotto della Chiesa di S. Andrea. BABBi - delPino 2004, p. 348, fig. 5.9,A, con bibliografia di confronto.

11 Per il Villanoviano a Orvieto e nel suo territorio si rimanda a tAMBurini 2003.

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funerari delle necropoli volsiniesi, oltre che a sporadici frammenti dall’area urbana12 (Fig. 5).

I buccheri risultano essere la classe più attestata, immediatamen-te dopo la ceramica grezza, e coprono un arco cronologico compreso tra la fine del VII - inizi VI sec. a.C. ed il V sec. a.C. Al termine crono-logico più alto è riferibile il frammento di un calice in bucchero nero, proveniente dal vano “B” e caratterizzato da carena diamantata e de-corazione a ventaglietti impressi. A pochissimi frammenti di bucchero nero sottile e di bucchero transizionale grigiastro, in un caso decorato da ventaglietti impressi, si affiancano alcuni frammenti di bucchero nero pesante. La classe del bucchero grigio è massicciamente docu-mentata, con vasi spesso integri o comunque interamente ricostrui-bili, elemento che conforta la supposta cronologia dello sversamento del deposito. Numerose sono le coppe emisferiche su piede ad anello13 (Fig. 6) ed i piattelli su piede14. È opportuno segnalare il recupero di almeno una coppa biansata con vasca carenata ed orlo rientrante15, di alcune coppe emisferiche su piede a stelo16 e di frammenti riferibili ad almeno due lekanai, con orlo assottigliato e battente esterno orizzon-tale (Fig. 7)17. Alla classe del bucchero si ascrivono anche una coppa emisferica su piede ad anello ed un piattello, caratterizzati da superfi-ci omogeneamente arrossate. Molto indicativa è la presenza di alcuni kyathoi e di coppette miniaturistiche in bucchero grigio; queste ultime sono talvolta caratterizzate da orlo ingrossato18 (Fig. 8).

Alla classe della ceramica di uso comune sono ricondotti mate-riali dalle caratteristiche assolutamente diversificate. La ceramica grezza è documentata da abbondantissime olle cilindro-ovoidi e da ciotole-coperchio19 (Fig. 9); queste ultime sono molto spesso riferibili

12 Per i corredi di Crocefisso del Tufo si rimanda a BrusChetti 2012, pp. 34-50, con particolare riferimento ai reperti ceramici. Per i reperti dall’area urbana si vedano BABBi - delPino 2004, p. 350, fig. 5.17.

13 Riconducibili alle forme XVIII 2 di Tamburini., diffuse tra la seconda metà del VI ed il V sec. a.C. tAMBurini 2004, pp. 208-211.

14 Molti sono riferibili a forma XIX 1 di Tamburini, documentati tra seconda metà VI e V sec. a.C. tAMBurini 2004, pp. 210-213.

15 Vicina al tipo XIV 2 A(2) di Tamburini, databile entro il terzo quarto del VI sec. a.C. tAMBurini 2004, pp. 202-203.

16 Forma XVIII,1 di Tamburini, in uso nel VI sec. a.C. tAMBurini 2004, pp. 208-211.17 Lekanai in bucchero pesante, che riprendono prototipi di importazione gre-

ca, sono note nel territorio di Chiusi. Si tratta di oggetti caratterizzati da vasca ampia e poco profonda, anse a nastro con risalti laterali e coperchio con presa a pomello. A proposito di questi oggetti si veda MArtelli 2009, pp. 124-125, forma 210. Si ringrazia Tania Bonifazi per la restituzione grafica del reperto.

18 Sono inquadrabili nel tipo 8d proposto da Tamburini per le forme miniatu-ristiche. Si datano tra la seconda metà del VI ed il V sec. a.C. tAMBurini 2004, p. 216.

19 Tali forme vascolari sono frequentemente attestate nei contesti urbani. Per i butti del Palazzetto Faina si veda CenCiAioli 1985, nn. 5, 8-10, 21 (olle), nn. 4, 7, 15 (ciotole-coperchio); CenCiAioli 1991, pp. 172 ss., nn. 9-10, 12-15, 22-25, 28-29.

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alla cosiddetta “officina della spirale a stralucido”, attiva ad Orvieto tra VI e V sec. a.C.20. Tra i manufatti in ceramica grezza spicca una piccola protome umana (altezza 9 cm), caratterizzata da un corpo ce-ramico scarsamente depurato e di colore marrone-bruno; in essa sem-bra possibile riconoscere il frammento di un foculo, databile entro la seconda metà del VI sec. a.C. (Fig. 10). Tra le ceramiche depurate da mensa si riscontra la presenza di numerosi piattelli, oltre a più rare forme chiuse (in particolare olle biansate ed oinochoai).

Il gruppo dei dolia, dei bacili e dei bracieri raccoglie numerosi e significativi manufatti. Spiccano in particolare frammenti di grandi bacili/mortai dall’orlo decorato con motivi a ghiande, ma anche da meandri e/o da semplici linee. Al gruppo dei bracieri si riconduce, con qualche riserva, un notevole gruppo di manufatti, assolutamen-te omogeneo (altezza media 20 cm, diametro medio 56 cm). Si tratta di forme circolari, con orlo ispessito e modanato nella parte inferio-re (Fig. 1121). Al centro della bassa vasca, piatta e molto regolare, si nota la presenza di un foro passante; è sempre presente un alto sostegno a profilo troncoconico, con pareti piuttosto sottili. Alcuni elementi sembrano suggerire utilizzi alternativi: quasi nessuno de-gli oggetti presenta tracce di esposizione al fuoco ed in un caso si è riscontrata la presenza di un restauro antico effettuato con una stri-scia di piombo; questo escluderebbe la possibilità di esporre il pezzo a fonti di calore. Ancora da individuare anche la funzione del foro, forse atto all’alloggiamento di un chiodo di fissaggio o comunque di un perno.

Per la ceramica d’importazione sono stati riconosciuti frammenti di anfore vinarie di produzione greca, fra i quali molti sono assegnabi-li ad una o più anfore “à la brossé”22. Abbondanti sono le ceramiche de-corate, spesso di buona qualità. Tra quelle a figure nere di produzione attica, si ricorda la presenza di frammenti di un’anfora del Gruppo Tirrenico (databile attorno al 550 a.C. - Fig. 12) e di varie kylikes, in un caso “ad occhioni” (530-510 a.C.). Raro è un piatto a figure nere su fondo bianco, databile entro l’ultimo terzo del VI sec. a.C. e documen-tato per ora da pochi frammenti che non permettono di apprezzarne compiutamente l’apparato decorativo. Le ceramiche a figure rosse

20 Sulla ceramica d’uso comune si rimanda a tAMBurini 1987.21 Per la resa grafica del reperto si ringrazia la Tania Bonifazi che, curando il

laboratorio nel corso della campagna 2015, ha contribuito notevolmente al prosieguo del progetto con rigore professionale.

22 Un esemplare è documentato anche dal santuario di Campo della Fiera. stoPPoni 2009, pp. 427-428 e stoPPoni 2012, p. 25. Si rimanda alla scheda relativa ad un esemplare recentemente rinvenuto nella necropoli delle Pianacce di Sarteano per un aggiornato elenco delle attestazioni. MenCArelli 2012, p. 28, n. 2.61.

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sono più abbondanti23. Ben documentate sono le kylikes, in qualche caso riconducibili alla cerchia del Pittore di Pentesilea (Fig. 13). Si segnala anche la presenza di frammenti riferibili a skyphoi, stem-less cups e ad almeno una glaux. Uno degli skyphoi è decorato da un’erma di Dioniso in visione frontale. La statua è ornata da un diadema, da pinakes e da una corona, appoggiata al fallo24 (Fig. 14). Inconsueta è anche una grande lekythos, documentata da un frammento del corpo con personaggio alato/ammantato rivolto verso destra. All’interno del gruppo delle ceramiche attiche a vernice nera, di cui fanno parte in prevalenza coppe e skyphoi, spicca il frammento di una forma aperta (mug o kantharos) con impressa la raffigurazione del mito di Perseo (Fig. 15). Il recipiente si inserisce all’interno di un piccolo gruppo di manufatti, datati al 440-430 a.C.25. Si riconosce chiaramente la figura dell’eroe, imberbe, che indossa un corto chitone e corre verso sinistra tenendo al petto la kìbisis mentre l’harpè è nella mano sinistra. Nella parte destra del frammento si nota parte dell’ala di una delle Gorgo-ni impegnate nell’inseguimento26. Entro la seconda metà del secolo è databile anche una coppa a vernice nera con decorazione sovradipin-ta, di cui sono stati recuperati alcuni frammenti; all’esterno dell’orlo si trova un fregio fitomorfo, costituivo da tralci d’olivo orizzontali. Il fregio ha andamento destrorso, e le foglie si dispongono simmetrica-mente lungo il ramo27. Al medesimo orizzonte cronologico rimandano anche pochi frammenti di coppe a vernice nera con la vasca decorata da incisioni ed impressioni.

Molto meno frequenti sono le ceramiche dipinte di produzione etrusca. Si tratta di pochi piattelli con decorazione lineare e di alcuni frammenti riferibili ad oinochoai con decorazione a bande policrome. A botteghe locali si riferiscono frammenti di lekythoi globulari con decorazione a fasce e una forma chiusa frammentaria assegnabile al Gruppo Orvieto.

23 Per un quadro sulla diffusione della ceramica attica a figure rosse in ambito volsiniese vedi BizzArri 1999.

24 Raffigurazioni di erme in veduta frontale sono poco diffuse. Tra le attesta-zioni che è stato possibile rintracciare figurano una coppa di Douris, ora al Museo Archeologico Nazionale di Firenze (BeAzley 1963, n. 439.159) ed una pelike del Pittore di Pan, conservata all’Antikensammlung di Berlino (BeAzley 1963, n. 1659.91bis).

25 Per l’analisi di questo piccolo nucleo di vasi si veda sPArkes 1968.26 L’organizzazione dello schema decorativo sembra assimilabile a quella sul

kantharos di Bruxelles, per il quale si rimanda a sArti 2012, pp. 86-87.27 Vasi attici a vernice nera con decorazione sovradipinta sono ben documen-

tati nelle zona di Spina e di Adria, ma anche nei contesti marchigiani di Numana e Sirolo. Per un quadro aggiornato si rimanda a Wiel - MArin 2014. Tralci di olivo ornano piatti dalle necropoli di Spina, Sirolo e Numana, mentre rami di mirto e edere costituiscono l’apparato decorativo del c.d. “Gruppo degli Skyphoi con Fregio Fitomor-fo”. Wiel - MArin 2002 e Wiel - MArin 2005, pp. 240-249, nn. 885-909.

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Pregevoli sono alcune delle rare terrecotte architettoniche resti-tuite dallo scavo. Il reperto senz’altro più prestigioso è un piccolo alto-rilievo, raffigurante un personaggio maschile inginocchiato e rivolto verso sinistra28 (Figg. 16 e 17). L’aggetto è molto marcato e l’appendi-ce sulla destra, rotta, è decorata a linguette nere e rosse. Una leggera ma marcata curvatura indica la non pertinenza ad una lastra. Que-sto fattore, l’assenza di decorazione sul retro e l’accenno relativo ad un sostegno (forse un rampante) che gemma dalla nuca acroma del soggetto, costituiscono una serie di elementi sui quali ragionare. La policromia è ben conservata e l’incarnato è reso con colore rosso; la barba ed i capelli sono di colore blu ed anche lo sfondo ha ampie zone colorate sempre in blu mentre i particolari della corazza sono in nero/bruno. Anche se le analogie maggiori sono costituite dai sistemi deco-rativi di Vigna Marini-Vitalini a Cerveteri29 (di dimensioni maggiori del nostro, però, e con una maggior compostezza fisica dei soggetti), è interessante notare alcune analogie con l’acroterio da Cannicella, studiato da Simonetta Stopponi30, per il quale, analogamente al pezzo in oggetto, rimane valida una datazione attorno al 480 a.C. Purtroppo risulta mancante la parte apicale della calotta della testa ma la larga lacuna che si può osservare appena al di sopra della fronte potrebbe suggerire la presenza di un’acconciatura simile a quella dell’eroe di Cannicella. Altro interessante parallelo potrebbe essere istituito con le c.d. appliques, sempre da Cerveteri, per le quali l’esemplare in og-getto si avvicinerebbe per dimensioni ma non per la conformazione plastica della porzione posteriore31. Per il nostro guerriero, ancora senza nome, come indicazione del tutto preliminare, si potrebbe pen-sare che la cifra stilistica dei tratti scomposti del volto, gli occhi sgra-nati e la bocca semiaperta possano evocare lo stupore di Capaneo, che tutti conosciamo grazie all’altorilievo frontonale di Pyrgi. Più comuni sono invece alcune tegole di gronda, caratterizzate da corpo ceramico giallognolo e decorate da vivaci anthemia e/o meandri. Nel caso di quest’ultima decorazione sembra talvolta possibile riscontrare la pre-senza di linee preparatorie incise (Fig. 18).

Le tegole e i coppi non decorati, tutti caratterizzati da corpo cera-mico bruno-rossiccio con numerosi piccoli inclusi di origine vulcanica, sono stati campionati.

Scarsissimi sono i reperti in metallo. Pregevole, ma del tutto iso-lato, è un frammento di foglia d’oro. In bronzo sono la capocchia di uno spillone a rotella, alcune borchiette, alcune fibule molto ossidate

28 Altezza conservata 24 cm; larghezza conservata 22 cm.29 roMizzi 2003; lulof 2008.30 stoPPoni 2011.31 MAggiAni - Bellelli 2006; Bellelli 2011

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e dell’aes rude. In ferro sono diversi chiodi. Relativamente abbondan-ti sono le scorie, riconducibili sia alla lavorazione del bronzo sia a quella del ferro. Altre scorie, vetrificate, devono verosimilmente esse-re associate alla cottura dell’argilla.

Ingentissima è la quantità di materiale osteologico presente all’in-terno degli scarichi. In attesa dello studio sistematico32, che potrà for-nire notevoli informazioni sull’allevamento degli animali e sul consu-mo di carni, ci si limita a segnalare la presenza di bovini, suini (sia d’allevamento che selvatici), volatili e pesci, questi ultimi attestati da alcune vertebre e lische. Molte delle ossa presentano evidenti segni di macellazione e di esposizione al fuoco. In pochi casi, relativi in partico-lare alle ossa lunghe di grandi animali, sono chiaramente individuabili tracce di lavorazione. Alle ossa sopra elencate si aggiungono gusci di conchiglie e di lumache.

Sono state effettuate campionature di tutti gli strati, al fine di analizzarne chimicamente la composizione. Grazie al laboratorio di chimica del Saint Anselm College sono inoltre in corso analisi su cam-pioni prelevati al momento del rinvenimento dall’interno di alcune decine di reperti ceramici (con particolare riferimento a forme chiuse in ceramica comune), al fine di verificare la presenza di eventuali residui organici, riducendo al minimo le possibilità di una contami-nazione esterna.

Ai materiali sopra elencati devono aggiungersi numerosi pesi da telaio troncopiramidali ed alcune fuseruole in terracotta. Tra i reperti in pietra si ricordano frammenti di macine “a sella” in leucitite. La loro presenza è indicativa, giacché la pietra lavica è assolutamente compatibile con quella degli affioramenti localizzati lungo i margini orientali dell’altopiano dell’Alfina; sono stati individuati sia fram-menti pertinenti alla base fissa, il levigatoio, che ai macinelli; benché di tipologia assolutamente diversa dalle molae versatiles ricordate da Plinio, costituiscono ad oggi la più antica testimonianza dell’utilizzo di questo materiale in area volsiniese33.

Un ultimo dato che è opportuno considerare è l’individuazione, sui manufatti ceramici, di oltre cento iscrizioni (attualmente 188) in carat-teri etruschi. In massima parte sono incomplete e circa la metà è com-posta da segni non alfabetici. Esse si trovano, principalmente, entro la

32 Una prima analisi è stata curata nella campagna 2015 da Angela Trentacoste.33 Un frammento di levigatoio in associazione a frammenti di coppe emisferi-

che in bucchero grigio è stato rinvenuto all’interno di un’area di frammenti fittili a Sud di Orvieto, probabilmente in corrispondenza di un insediamento rurale. Il reperto era in associazione ad un frammento di coppa emisferica del tipo Tamburini XVIII 2b. Bi-nACo 2010, p. 14. Macinelli litici sono frequentemente documentati in contesti arcaici e tardo arcaici; si veda PelACCi 2014, p. 140.

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vasca di coppe (sia in bucchero che in ceramica comune) o sull’orlo di olle in ceramica da fuoco (cfr. l’appendice curata da David B. George).

La documentazione archeologica purtroppo non si presta ad un’in-terpretazione univoca (Fig. 19). Per la funzione originaria del vano l’as-senza d’impermeabilizzazione permette di escludere una destinazione a conserva idrica mentre le pareti ben rifinite, con l’eccezione di quella orientale, non sembrano compatibili con l’estrazione di materiale da costruzione; peculiare è la presenza della scala elicoidale.

Anche la natura del riempimento consente interpretazioni diver-sificate. Come s’è visto accanto a ceramiche di uso comune si riscontra la presenza anche di terrecotte architettoniche che non necessaria-mente devono essere messe in relazione con l’area sacra individuata al disotto della Chiesa di San Giovanni Evangelista, circa 200 metri ad Ovest dell’area di scavo34. La grande quantità di detrito e l’omo-geneità cronologica del riempimento indica una ristrutturazione/re-cupero di un’ampia parte dell’area urbana. Da tenere presente che oltre all’obliterazione dell’ambiente “A” della cavità 254, si riscontra il contemporaneo abbandono di un complesso di cunicoli idraulici in Piazza Ranieri35 ed il riempimento di ambienti ipogei etruschi in Via Pianzola, dove sono stati recuperati anche frammenti di una kylix da attribuibile alla cerchia del pittore di Codro36. Una cisterna, recen-temente individuata nei pressi della chiesa di San Francesco, all’in-terno della cavità artificiale n. 27, presenta un riempimento databile ancora nell’ambito della seconda metà del V sec. a.C.37 A questo in-sieme di testimonianze potrebbe doversi sommare la riorganizzazione che interessa sia il Tempio del Belvedere che quello al quale erano pertinenti le terrecotte di via San Leonardo38. Non sembra dunque possibile escludere che la riorganizzazione di una parte dell’area ur-bana, se non della città nel suo complesso, possa essere stata prevista dall’autorità cittadina, come indicato per altre realtà urbane, la cui concausa potrebbe essere legata ad un evento traumatico, non altri-menti documentato dalle fonti. Speriamo di poter comprendere, col prosieguo dell’indagine, se l’atto legato al riempimento, chiaramente organizzato e “voluto”, sia anche da considerarsi “dovuto” e questo, ovviamente, con tutte le implicazioni del caso.

34 stoPPoni 2007, pp. 235-238, con una planimetria della città e la localizzazio-ne delle aree di culto.

35 Si ringrazia per l’informazione Archeostudio, società di consulenza archeo-logica, che nel 1995 ha seguito i lavori per la realizzazione del complesso delle scale mobili quale parte del sistema di mobilità alternativa della città di Orvieto.

36 La sorveglianza archeologica funzionale al recupero della cavità privata è stata affidata a Paolo Binaco.

37 Informazione fornita su base autoptica da Paolo Binaco38 stoPPoni 2007

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REFERENZE BIBLIOGRAFICHE

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estratto

525LO SCAVO NELLA CAVITÀ N. 254 IN VIA RIPA MEDICI, ORVIETO

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estratto

526 CLAUDIO BIZZARRI - PAOLO BINACO

Appendice

Le iscrizioni dalla cavità 254 in Orvieto

David B. George

La cavità ha restituito sinora 188 frammenti ceramici con iscrizioni etrusche, delle quali la maggior parte sono state incise sull’orlo, sul fondo esterno ed interno di forme vascolari pertinenti a ceramica comune e a buc-chero grigio. Al momento non sembra possibile evidenziare differenze dettate dal supporto utilizzato. All’incirca la metà delle iscrizioni è costituita da una lettera o da una sequenza di lettere, mentre la restante metà sono cosiddetti sigla, individuati anche in altri siti, sempre nella medesima collocazione sul reperto ceramico, e costituiti da lineae radiantes, forma dimidians, forma quadrans, ancore, bipennis, caticula, pentacula affiancati da un certo numero di rami sicci.

La lettera che compare con frequenza maggiore è il lambda assieme alla combinazione lambda-alpha. Quasi tutte le sequenze di lettere corrono da destra verso sinistra, come avviene comunemente in area volsiniese. Per una minoranza, come nel caso della combinazione CNA, si riscontrano entrambe le redazioni, due destrorse e cinque sinistrorse; tale bidirezionalità è natural-mente comune nelle iscrizioni arcaiche.

Altre sono le sequenze interessanti che compaiono su più di un orlo - ad esempio sono attestate quattro CAVI; forse una forma abbreviata per cava(tha), come sul fegato di Piacenza.

Di seguito si presentano alcune iscrizioni a titolo esemplificativo:

N. Inv. 12A557 (Fig. 20).Sull’orlo di un’olla in ceramica comune acroma si leggono tre letter: lar.

Le lettere hanno un’altezza di 1,5 cm e sono spaziate tra loro di altri 1,5 cm. Vi sono tracce di una quarta lettera sulla sinistra, spaziata da 1,9 cm; il segno è stato tracciato inizialmente dall’alto verso il basso e continua con un seg-mento inciso dal basso verso l’alto. Come prima impressione si può pensare a laru ma siccome il secondo tratto si arresta con precisione fluida a circa tre quarti dell’altezza della lettera si può ipotizzare che sia un lambda. Di conseguenza, data anche la cesura, seppur limitata, fra la r del primo nucleo e la lettera che segue, si possono ipotizare due parole: lar l…; Lar starebbe ad indicare quindi un lemma con significato proprio (come un prenome mas-chile etrusco). Se si predilige la lettura del segno come u allora Laru potrebbe indicare la versione arcaica del prenome Laris-Larth ampiamente attestato ad Orvieto.

N. Inv. 13A5241 (Fig. 21)Un altro caso interesssante è dato da un frammento assegnato all’officina

della spirale a stralucido, parte di una ciotola/coperchio, sulla cui base in-terna compare un’iscrizione che al momento non trova paralleli. Vi si legge pruš redatta con lettere alte circa 1,5 cm, ma distanziate irregolarmente. Nel medesimo scavo sono state individuate altre iscrizioni simili, conservate solo a livello delle prime tre lettere (pru…); ad esempio, sull’orlo di un fram-mento in ceramica comune acroma (12A1957: Fig. 22), si ha pru seguito da un tratto parzialmente inciso dal basso verso l’alto che, anche sulla scorta

estratto

527LO SCAVO NELLA CAVITÀ N. 254 IN VIA RIPA MEDICI, ORVIETO

dell’iscrizione in oggetto, potrebbe essere l’ìinizio di un san. In ogni caso la dimensione delle lettere, 1,5 cm in altezza con una distanza fra le medesime di circa 1 cm, indica che potrebbe trattarsi della sequenza iniziale per una pa-rola più lunga, ma la frammentarietà del supporto ceramico suggerisce una certa cautela. Comunque, al momento non sono noti paralleli ed il significato rimane incerto.

N. Inv. 12A561 (Fig. 23)Si tratta dell’interessante combinazione di una sigla a forma di penta-

gramma al centro del fondo esterno di una ciotola/coperchio con la lettera lambda e, nello stesso campo, una v rovesciata, probabilmente il numerale etrusco cinque. Esempi di lettere si trovano sul fondo di una coppa in buc-chero grigio (n. inv. 12A1863 - Fig. 24) che presenta un lambda, mentre un digamma compare sull’orlo di un’olla in ceramica comune acroma (n. inv. 12A558 - Fig. 25).

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528 529CLAUDIO BIZZARRI - PAOLO BINACO LO SCAVO NELLA CAVITÀ N. 254 IN VIA RIPA MEDICI, ORVIETO

Fig. 1 - Planimetria della cavità 254, ambiente A, in fase di scavo.

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530 CLAUDIO BIZZARRI - PAOLO BINACO

Fig. 2 - La serie di gradini rispar-miati nella parete ovest della cavi-tà tronco-piramidale.

Fig. 3 - Lo strato 45, ricco di materiale ceramico e laterizi.

Fig. 4 - Frammenti di impasto non tornito.

Fig. 5 - Frammento di ciotola non tornita con bugna.

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531LO SCAVO NELLA CAVITÀ N. 254 IN VIA RIPA MEDICI, ORVIETO

Fig. 6 - Coppa in bucchero grigio su piede ad anello.

Fig. 7 - Disegno della coppa biansata con vasca carenata in bucchero gri-gio (lékane).

Fig. 8 - Coppa miniaturistica in buc-chero grigio.

Fig. 9 - Frammenti di ciotola/coper-chio pertinente all’officina della spi-rale a stralucido.

Fig. 10 - Frammento di foculo con protome umana.

Fig. 11 - Disegno di uno dei “bracie-ri”.

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532 CLAUDIO BIZZARRI - PAOLO BINACO

Fig. 12 - Frammento di anfora del Gruppo Tirrenico.

Fig. 13 - Kylix a figure rosse del-la cerchia del Pittore di Pentesilea (all’esterno teoria di personaggi am-mantati).

Fig. 14 - Frammento di skyphos con erma di Dioniso in visione frontale, i pinakes hanno satiri danzanti rivol-ti verso destra.

Fig. 15 - Frammento di mug o kan-tharos a vernice nera con figura di Perseo.

Fig. 16 - Terracotta architettonica con guerriero inginocchiato.

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533LO SCAVO NELLA CAVITÀ N. 254 IN VIA RIPA MEDICI, ORVIETO

Fig. 17 - Testa del guerriero inginoc-chiato.

Fig. 18 - Tegola di gronda con deco-razione a meandro.

Fig. 19 - Planimetria del vano tronco-piramidale della cavità 254 nelle prime fasi di scavo (rilievo Simone Moretti Giani).

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534 CLAUDIO BIZZARRI - PAOLO BINACO

Fig. 20 - Orlo di olla in ceramica co-mune acroma (inv. 12A557).

Fig. 21 - Ciotola/coperchio dell’offi-cina della spirale a stralucido (inv. 13A5241).

Fig. 23 - Ciotola/coperchio in cerami-ca comune acroma (inv. 12A561).

Fig. 22 - Orlo di olla in ceramica co-mune acroma (inv. 12A1957).

Fig. 24 - Coppa in bucchero grigio (inv. 12A1863).

Fig. 25 - Orlo di olla in ceramica co-mune acroma (inv. 12A558).

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