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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI Centro di Studi Interdisciplinari sulle Province Romane "L'AFRICA ROMANA", XX Convegno internazionale di studi Alghero, 26-29 settembre 2013 «Momenti di continuità e rottura: bilancio di 30 anni di convegni de L’Africa Romana». Alfonso Stiglitz L'invenzione del Sardo Pellita: biografia di una ricerca Testo letto in occasione del Convegno Riassume lo studio che andrà in stampa negli atti la cui pubblicazione è prevista per il 2014.

L’invenzione del sardo pellita. Biografia di una ricerca (testo intervento)

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U N I V E R S I T À D E G L I S T U D I D I S A S S A R I Centro di Studi Interdisciplinari sulle Province Romane

"L'AFRICA ROMANA", XX

Convegno internazionale di studi Alghero, 26-29 settembre 2013

«Momenti di continuità e rottura: bilancio di 30 anni di convegni de L’Africa Romana».

Alfonso Stiglitz

L'invenzione del Sardo Pellita: biografia di una ricerca

Testo letto in occasione del Convegno

Riassume lo studio che andrà in stampa negli atti la cui pubblicazione è prevista per il 2014.

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Annus mirabilis

Siamo qui per celebrare i 30 anni dei Convegni su “l'Africa romana”, nati con la prima edizione del 19831. In quello stesso anno, felice combinazione, uscì a Cambridge un famoso libro curato da Eric Hobsbawn e da Terence Ranger, dal significativo titolo: The Invention of Tradition2.

Il mio intervento vuole essere un omaggio a questi due eventi, ancora oggi di stretta attualità, e un ricordo di Eric Hobsbawn, scomparso esattamente un anno fa e del suo, lui gallese, "innamoramento" per Nino, sardo, inteso come il nostro Antonio Gramsci3.

Il titolo si muove nel duplice significato del termine invenzione:

- quello attuale di “prodotto della fantasia umana”

- e il significato antico, etimologico, di “ritrovamento”.

È in questa ambiguità del termine che si è giocata, nel tempo, la possibilità di dare una risposta alla complessità delle identità della Sardegna antica. In particolare è stato l’uso ideologico, all’origine del termine “sardo pellita”, a trasformare i gruppi sociali della Sardegna antica in entità astratte impedendo il loro ritrovamento concreto sul terreno.

Per motivi di tempo mi limito alla presentazione della scaletta della ricerca, indicando le fasi principali della biografia.

1 L'Africa romana. Atti del 1° Convegno di studio (Sassari, 16-17 dicembre 1983) a cura di Attilio Mastino. Sassari, Gallizzi, 1984 [http://eprints.uniss.it/]. 2 E. Hobsbawn – T. Ranger (eds), The Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1983 [trad. It. L'invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987]. 3 E. Hobsbawn, Lettera a Nino, 2007, in occasione dei 70 anni dalla morte di Gramsci. (http://www.youtube.com/watch?v=PZ_vj9Kng1k)

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Nascita di un'invenzione

Compare per la prima volta in Cicerone in senso dispregiativo: pelliti testes4, mastrucati latruncoli5; come acutamente sottolineato da Quintiliano “Cicerone, nell’atto di sbeffeggiare (i Sardi), a bella posta adoperò la parola mastruca”6.

4 Cic., pro Sc. 22, 45. 5 Cic., de prov. Cons. VII, 5. 6 Quint. I, 5, 8.

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L'occhio dello straniero

L’origine del nome rientra, quindi, nella definizione colonialista dell'altro, ovviamente barbaro, incivile e, conseguentemente, vestito di pelli; e, ovviamente, “senza pensieri e travagli, contenti dei cibi semplici”7, come diceva Diodoro Siculo. Descrizioni che possiamo far rientrare nell'Etnografia colonialista; gli autori, infatti, mostrano come dice Lilliu “Una conoscenza epidermica del paese reale visto con la lente della cultura superiore greco-latina”8.

Come ha argutamente osservato Marco Aime, “L’occhio con cui guardiamo l’altro e l’altrove, è sempre l’occhio di uno straniero”9.

7 Diod. V, 15, 5. 8 G. Lilliu, Costante resistenziale sarda. Cagliari, Fossataro, 1971 [http://www.sardegnadigitallibrary.it]. 9 M. Aime – D. Capotti, L'altro e l'altrove: antropologia, geografia e turismo. Torino, Einaudi, 2012.

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Etnografia applicata

Più tardi, ma sempre nella stessa ottica dell'osservatore colonialista esterno, Tito Livio utilizza la denominazione come indicazione di qualcosa di più preciso, anche se non meno dispregiativo, come sostituto di un “etnico” o, comunque, del nome, a lui ignoto, di un gruppo10.

Acutamente Attilio Mastino ha posto in relazione la denominazione liviana (Sardi Pelliti) con quella di Tolomeo che “nei pressi di Cornus indica i Kornénsioi oi Aichilénsioi11 che può essere forse interpretato con riferimento ai Cornensi coperti di pelli di capra, se il secondo componente contiene la radice della parola aix, aigós capra”12.

Resta da capire, nel caso dell’interpretazione come “coperti di pelli”, se il dato tolemaico non dipenda da quello liviano, perdendo quindi la veste di conferma del dato.

10 LIV. XXIII, 40. 11 Ptol. III, 6. 12 A. Mastino, Storia della Sardegna Antica. Nuoro, Il Maestrale, 2005 [http://www.sardegnadigitallibrary.it].

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Invenzione di una tradizione

La riscoperta romantica nell'800 è connessa all'epopea di Hampsicora, intrinsecamente legato ai sardi pelliti. È un fiorire di opere biografiche e poetiche: pensiamo all’opera di Pietro Martini, con questa poesia dedicata ad Ampsicora [La terra che fuvvi benigna nutrice / Gli altari, le spose, la vostra cervice / Al giogo togliete del crudo oppressor / S’imbeva il terreno del sangue aborrito / Ei narri la strage del patrio suo lito /

Paventi in eterno d’Icnusa il valor]13.

Una riscoperta che ha al suo centro la nobiltà della sconfitta, con l’esaltazione romantica del personaggio, all’interno di un quadro di forte patriottismo cittadino caratterizzato dalla costruzione di glorie locali. La necessità di creare una tradizione funzionale alla costruzione di un passato comune per ristabilire un’identità nel periodo successivo alla fallita rivoluzione angioiana (una sconfitta, appunto).

Un modello che, pur con linguaggi più moderni, è rimasto alla base dell’invenzione del sardo pellita. Una costruzione che, incardinandosi con le Carte d’Arborea, crolla miserevolmente con la scoperta dei falsi: un crollo che trascina con sè anche cose interessanti e non necessariamente false. I Sardi Pelliti o Ampsicora non sono falsi, ovviamente, è falso il modello.

13 F. Alziator, Storia della letteratura di Sardegna. Cagliari, Edizioni della Zattera, 1954.

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La storia decolonizzata

Nel ‘900, col progredire della ricerca scientifica il problema della romanizzazione e dello studio delle molteplici comunità sarde viene inserito nel quadro più ampio della resistenza al colonialismo, in sintonia con gli avvenimenti che dal secondo dopoguerra caratterizzano le strutture coloniali moderne. Per la Sardegna è l’opera di Giovanni Lilliu14, precoce nel proporre un modello resistenziale, che troverà in Marcel Bénabou, il corrispettivo per quanto riguarda l’Africa15.

14 G. Lilliu, Sopravvivenze nuragiche in eta romana, in L'Africa romana. atti del 7° Convegno di studio (Sassari, 15-17 dicembre 1989), a cura di Attilio Mastino. Sassari, Gallizzi, 1990 [http://eprints.uniss.it/]. 15 M. Bénabou, La résistence africaine à la romanisation, Paris : F. Maspero, 1976.

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Perdita dell'innocenza

Nell’ambito dei Convegni su L’Africa Romana, sarà la VII edizione del 1989 a essere dedicata al tema (Sopravvivenze puniche e persistenze indigene nel Nord Africa e in Sardegna in età romana)16, con una bella introduzione dello stesso Bénabou, che rilegge il proprio modello, aprendolo a nuove strade, a partire dalla critica dei termini utilizzati nel convegno, “sopravvivenze” e “persistenze”, con la negazione che si tratti di categorie storiche utili e sottolineandone la non "innocenza".

16 L'Africa romana. atti del 7° Convegno di studio (Sassari, 15-17 dicembre 1989), a cura di Attilio Mastino. Sassari, Gallizzi, 1990.

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Histoire décolonisée / inverse

Ma già il dibattito sorto con la pubblicazione del volume di Bénabou (La résistence africaine à la romanisation)17 produce gli stimoli necessari per il superamento di questo modello dualista (civiltà/barbarie, colonizzatore/colonizzato); in particolare con le felici intuizioni di Yvon Thebert18, che rifiuta l’esistenza di due afriche (nel nostro caso due Sardegne) indigena e romanizzata. Esiste una sola Africa e le sue divisioni interne fanno parte della sua definizione. È indispensabile lo studio delle formazioni sociali per riuscire a dare una interpretazione coerente. Detto in altre parole: diversificazione sociale vs romanizzazione, per restituire agli africani, per lui, ai sardi, per noi, il suo posto sulla scena storica.

17 Annales, 1978, 33.1: interventi di Yvon Thebert, Philippe Leveau e Marcel Bénabou [http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/issue/ahess_0395-2649_1978_num_33_1] 18 Y. Thebert, Romanisation et déromanisation en Afrique: histoire décolonisée ou histoire inversée? Annales, 1978, 33.1.

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un futuro alla ricerca

Le prospettive della biografia della mia ricerca personale, partita dalle riflessioni di Thebert, si sviluppa con l'impatto degli studi postcoloniali dopo Said19

19 E. Said, Orientalism, New York, Pantheon Books, 1978 [tr. It. Orientalismo. Torino, Bollati Boringhieri, 1991].

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Egemonia e subalternità

e la conseguente riscoperta di Antonio Gramsci. Sulla scia del pensiero di questo grande sardo, l’analisi non si pone più come ricerca sui resistenti, sopravviventi, paleosardi ma come studio dei gruppi sociali subalterni, e dei rapporti di potere connessi, una linea di lettura che permette di dare conto della complessità del mondo sardo antico.

Subalternità nel senso pieno di Gramsci20, non come mera espressione di un indistinto mondo di oppressi, i resistenti della costante resistenziale, ma un complesso insieme di settori (o classi) sociali, da identificare con chiarezza. Il che significa anche differenziare i vari gradi di subalternità e di potere.

In questa contrapposizione tra il potere dominante e i gruppi sociali subalterni, si inserisce la capacità egemonica del primo che riesce da una parte a inglobare con spazi di potere, anche ridotti, esponenti delle classi subalterne, dall’altra a promuovere un processo di trasformazione molecolare, che porta a un cambiamento culturale dei subalterni.

20 In particolare le note del Quaderno 25, ma non solo cfr. G. Liguori, Tre accezioni di «subalterno» in Gramsci.Critica marxista 6 (2011) [http://criticamarxistaonline.files.wordpress.com/2013/06/6_2011liguori.pdf].

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Dislivelli di subalternità

Il riconoscimento e il ritrovamento del Sardo Pellita si gioca, quindi, su una pluralità di livelli, nei quali la distinzione non si fonda più su basi etniche, ma su livelli di potere e di subalternità, che possono essere visivamente illustrati dalle stele funerarie di Quintus Volusius Nercau, cittadino romano e di Nispeni, priva di tale status, assieme al marito Urseti. In cui entrambi (Nercau e Nispeni) si affidano agli dei mani, entrambi usano formulari romani, entrambi scrivono in latino, parzialmente dimentichi dell’origine pellita, sintomo della capacità egemonica, in questo caso in campo culturale, del potere dominante romano.

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Ostentazione e travestimento

Ma allo stesso tempo sono memori delle proprie identità altre, manifeste nei loro nomi e non solo. Nel caso di Quintus Volusius Nercau, la stele funeraria ostenta lo status di cittadino e, quindi, di partecipe al potere, ma è anche luogo di travestimento delle altre identità di cui Nercau è portatore:

la raffigurazione schematizzata del viso, che rimanda agli stilemi per così dire archetipici delle antiche statue di Monti Prama, "è una forma simbolica utilizzata per celare identità destinate all'alterità, confinate nel silenzio e nell'invisibilità”21.

21 G. Proglio, Orientalismi: nuove prospettive interpretative. Altre modernità, saggi, 8-11 (2012) [http://riviste.unimi.it/index.php/AMonline/article/view/2533/2768]

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Oltre il teorema di Morcef

In conclusione si vuole superare l’ideologia (nel senso dell'invenzione del Sardo Pellita) come schermo che ha oscurato la realtà,

come nell’Oriente di Albert Morcef, personaggio del conte di Montecristo, che davanti al racconto di Haydee, la schiava del conte, esclama:

“mi trovo in Oriente, nel vero Oriente, non come l'avrei potuto vedere, ma come lo sogno” (cap. 76)

Il compito della ricerca è quello di dare, cioè, una storia a quelle donne e uomini che abitavano in Sardegna in epoca coloniale, non come li sognamo ma come li avremo potuti vedere.