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Filippo Juvarra 1678-1736, architetto in Europa architettura e potere 3 Campisano Editore

L’anello mancante: Juvarra, sogno e realtà di un’urbanistica delle capitali nella Lisbona settecentesca

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Filippo Juvarra1678-1736, architetto in Europa

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3

Campisano Editore

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In copertina,Filippo Juvarra, fantasia architettonica,MCT, vol. I, c. 64r, n. 95, 1797/DS, particolare

Campisano Editore

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a cura diElisabeth KievenCristina Ruggero

Filippo Juvarra

Lo Stato sabaudo e la costruzione

dell’immagine in una corte europea

architettura e potere3

1678 -1736, architetto dei Savoia,architetto in Europa

vol. 2: Architetto in Europa

Comitato scientificoe direzione della collana

Paolo CornagliaElisabeth KievenAndrea MerlottiCostanza RoggeroCristina RuggeroAlberto Vanelli

Redazione scientificadella collana e traduzioni

Cristina Ruggero

Si ringraziano tuttele istituzioni che hanno consentito le ricerche e la riproduzione delle immagini.

Collana

Lo Stato sabaudo e la costruzione

dell’immagine in una corte europea

architettura e potere

BIBLIOTHECA HERTZIANAMAX-PLANCK-INSTITUTFÜR KUNSTGESCHICHTE

POLITECNICODI TORINO

Indice

pag. 7 Presentazione

11 Introduzione/TitoloElisabeth Kieven, Cristina Ruggero

FILIPPO JUVARRA: IL DISEGNO E LE ARTI

17 Juvarra on-line. La digitalizzazione e messa in rete degli album di disegni del Museo Civico di TorinoClelia Arnaldi di Balme

33 Gli schizzi di Juvarra. Disegnare in piccolo e pensare in grandeLaura Orsini

47 Filippo Juvarra argentiere: i princìpi dell’architettura nell’arte orafa e l’influenza sulla scuola romana Claudio Franchi

65 Architettura e Storia: «varj frammenti di verità» nell’incontro tra Filippo Juvarra e Scipione MaffeiEleonora Pistis

PROGETTI E INTERVENTI DI FILIPPO JUVARRA NEI CENTRI ITALIANI

81 Dalla realizzazione al modello didattico: la sequela dei progetti per palazzo Borromeo e Isola Bella da Carlo Fontana a Filippo JuvarraGiuseppe Bonaccorso

95 Il soggiorno a Napoli e i pensieri per il Concorso Clementino del 1706Fulvio Lenzo

109 Progetti e realizzazioni di Filippo Juvarra per la committenza Orsucci: un’idea nuova del giardino e della residenza in villa a LuccaAlessandra Del Nista

121 Filippo Juvarra e l’architettura religiosa a Brescia nel primo Settecento. Il caso esemplare del Duomo Nuovo tra architettura e tecnicaIrene Giustina, Elisa Sala

133 Il palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza a Brescia nell’ambito dell’architettura dei palazzi di Filippo JuvarraAlessandro Brodini

149 La cupola juvarriana del duomo di Como: politiche culturali e scelte architettoniche per una nuova immagine della cittàAndrea Spiriti

163 Juvarra e il modello borrominiano di Sant’Andrea alle Fratte in tre cupole “ai margini”Mauro Bonetti

FILIPPO JUVARRA E LE CORTI EUROPEE

183 L’anello mancante: Juvarra, sogno e realtà di un’urbanistica delle capitali nella Lisbona settecentescaWalter Rossa

197 La reggia di João V di Portogallo.Il progetto per Buenos Aires a LisbonaSandra Sansone

209 Filippo Juvarra a Lisbona: due progetti per un teatro regio e una complessa questione musicaleGiuseppina Raggi

229 «Il giro per l’Inghilterra, e la Francia».Il Grand Tour architettonico di Filippo JuvarraTommaso Manfredi

255 «Disegni di Prospettiva ideale»: un album di Filippo Juvarra per la corte di Dresda (1732)Cristina Ruggero

273 El proyecto de Filippo Juvarra para el Palacio Real de MadridJosé Luis Sancho

289 Architecture and the Representation of Power:Filippo Juvarra in a European PerspectiveJohn Pinto

APPARATI

306 Abbreviazioni

307 Bibliografia

341 Indice dei nomi

350 Referenze fotografiche

L’anello mancante: Juvarra, sogno e realtà di un’urbanistica delle capitali nella Lisbona settecentesca 1

Walter Rossa

Filippo Juvarra arrivò a Lisbona nel gennaio del 1719, invitato dal re Gio-vanni V (regno 1707-1750). Si trattenne presso la corte portoghese per circa seimesi e partì tra gli onori regi e il pronostico del suo ritorno. Per diverse ra-gioni questo famoso episodio della vita dell’architetto è rimasto nell’ombra.Juvarra non ha lasciato opere in Portogallo e questo è uno dei primi motivi.In realtà ha lasciato delle tracce, ma è difficile provarlo e, di conseguenza, se-guire il ragionamento che presenterò.

Iniziamo da un contesto più ampio, quello della politica regia, della riaffer-mazione del Portogallo nel panorama delle nazioni e delle case reali europee,dopo la caduta dell’Unione Iberica, ovvero con il processo di Restaurazionedell’Indipendenza, tra il 1640 e il 1668. La Santa Sede fu l’ultimo ente interna-zionale a riconoscere l’indipendenza del Portogallo, nel 1669 e, a parte le per-dite territoriali che il primo impero portoghese subì sotto la dinastia degliAsburgo, il Patronato Regio fu sottoposto a rilevanti privazioni, vista l’azionepraticata dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, creata nel1622 e con antecedenti che risalgono al 1572.

Oltre a una politica matrimoniale tra gli infanti della casa di Braganza e iprincipi delle più importanti dinastie reali europee, il Portogallo riservò forzee mezzi per ottenere una rappresentanza presso la corte papale. La Restaura-zione del Patronato Portoghese sarebbe dovuta avvenire anche simbolica-mente e retoricamente. Infatti, la diplomazia portoghese si batté per ottenereuna serie di riconoscimenti e distinzioni papali, tra i quali il titolo di sua mae-stà fedelissima al re e di Patriarca Metropolita al cardinale di Lisbona, cosìcome l’acquisizione di una serie di privilegi del papa da parte del titolare delcattolicesimo portoghese, che seguiva una chiara logica di emulazione delsommo pontefice. Si aggiunga, inoltre, la libertà della corona di nominare inunzi apostolici e la risoluzione di un problema teologico essenziale riguar-dante i Riti Cinesi.

L’intenzione della corona portoghese era palese: promuovere l’ascensionedel suo più importante prelato (controllato dal re) così da attribuire a costuiuno statuto particolare e prossimo a quello del papa. Infatti, si arrivò anche afare pressioni minacciando la secessione della Chiesa portoghese che, vista lasua estensione geografica, rappresentava una parte importante di tutto il catto-licesimo. L’adesione, sin dal 1716, del Portogallo all’armata che l’anno successi-

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vo vinse i turchi a Matapan fu decisiva, così come l’entrata ufficiale e trionfan-te dell’ambasciatore portoghese a Roma quello stesso anno. Furono queste leazioni culminanti che permisero ai portoghesi la concessione papale di unaparte dei requisiti ambiti. La pressione si mantenne fino a fine regno, e causòanche un periodo di sospensione delle relazioni diplomatiche (1728-1732).

Le azioni riferite non miravano a vanagloriare per chissà quali ragioni i mo-narchi portoghesi, al contrario, aspiravano a ripristinare e a valorizzare il pre-stigio imperiale della corona nella sede del cattolicesimo che, come sappiamo,dinamizzava le attività artistiche romane. Le azioni diplomatiche portoghesi aRoma dovettero, proprio per questo motivo, svilupparsi anche attraverso l’ar-te, potenziando un grande flusso artistico tra Roma e Lisbona.

In quest’ambito fu di fondamentale importanza il ruolo di Rodrigues de SáAlmeida e Meneses (1676-1733), terzo marchese di Fontes e primo marchese diAbrantes, detentore di una cultura generale e artistica affermata, tanto quantodi una solida formazione ed esperienza come ingegnere militare e come archi-tetto. Ben presto, infatti, egli divenne il consigliere artistico, ma anche diploma-tico, di Giovanni V che, a fine 1708, lo nominò ambasciatore speciale e plenipo-tenziario presso la Santa Sede. È tuttavia necessario riferire anche dell’esistenzadi un gruppo di lavoro che operò con grandi sforzi e del quale faceva parte ilnormale ambasciatore, André de Melo e Castro (1668-1753), conte di Galveias 2.

Il percorso dell’ambasciata di Fontes a Roma fu davvero molto lento. Si ri-cordano alcune date: nel gennaio del 1712 il marchese partì per Roma e vi ar-rivò a maggio. Nell’aprile dell’anno successivo fece la sua prima comparsapubblica, in un corteo di visita al papa composto da centoventi carrozze. Tut-tavia, il momento più alto dell’ambasciata di Fontes si realizzò con il memora-bile episodio della consegna formale delle credenziali, che ebbe luogo solo nelluglio del 1716, data già riferita. Nell’aprile del 1718 l’ambasciatore tornò a Li-sbona con una preparazione specializzata.

Fontes si era istallato a Roma con una vera e propria corte di artisti che fe-cero ottenere lui una fama e uno statuto del tutto inusuali. Tutto ciò di fronteall’esasperazione dei cortigiani di Lisbona, visti i lunghi tempi e i troppi spre-chi per il raggiungimento di quella che ritenevano fosse la vera missione.È una questione nota a molti autori.

Eppure, la missione di Fontes si basava anche su un elemento aggiuntivo chegiustifica il presente studio: tracciare e sviluppare un piano per il rinnovamentodi Lisbona a immagine e somiglianza di Roma, una nuova Roma, come si dicevaallora. Il ruolo svolto dall’illustre ambasciatore è più che ovvio, così come ilcoinvolgimento del re. Non si trattava di un’idea meramente retorica, bensì diuna realizzazione urbanistica nel senso paesaggistico e scenografico della parola.

Non si trattava neanche di un piano segreto o personale, ma di un progettoche si attuava sul campo e che era direttamente legato alla missione diplomati-ca portoghese a Roma. In una lettera del 5 novembre del 1716, l’11° conte di Re-dondo espresse al re la seguente opinione: «quam conveniente seria, se fossepossivel, fazer-se nessa Corte a obra, q na de Roma, com tanto applauso exe-cutou Domiciano» 3; riferendosi in seguito all’approvazione papale che preve-

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 185

deva la divisione di Lisbona in due unità ecclesiastiche: Lisbona orientale e Li-sbona occidentale, zona, quest’ultima, in cui la cappella reale sarebbe statapromossa a cattedrale. La bolla papale In supremo apostolatus solio fu emessadue giorni dopo.

La lettera serviva a rimandare all’autorizzazione del re il rilevamento di tuttala città in cui si tracciava la proposta della divisione riferita. Nella Lisbonaorientale – la città vecchia – sarebbe rimasta l’antica cattedrale romanica, men-tre Lisbona occidentale – la città nuova – avrebbe avuto come centro il palazzoe la cappella reale, situati a ponente del Terreiro do Paço (piazza del Palazzo).Era quest’ultimo un sistema edificato a cui, sin dagli inizi del 1500, erano statiaggiunti edifici con diverse destinazioni davanti ai quali, sul fiume, alla fine delXVI secolo Filippo II (regno 1581-1598) aveva fatto costruire un torrione. Era sta-to, fino a quel momento, l’ultimo sforzo, giunto a realizzazione, di dotare Li-sbona della parvenza di capitale.

Infatti, la riforma urbanistica di Lisbona ambiva a conferire alla città l’im-magine di una capitale che corrispondesse alla sua importanza di caput di ungrande impero su scala mondiale 4. Per ovvi motivi, il periodo dell’Unione Ibe-rica (1580-1668) e, di conseguenza, la guerra di Restaurazione, impedirono ilraggiungimento di tale aspirazione. Nonostante ciò, Filippo II, il primo dei trere spagnoli, dette un nuovo aspetto al palazzo, e contribuì anche allo sceno-grafico rinnovamento del monastero di São Vicente de Fora. Furono precoci,dunque, le sperimentazioni di idee e progetti che riguardavano sempre il rin-novamento e l’ampliamento del Paço da Ribeira (palazzo della Ribeira) e l’e-voluzione dello spazio opposto ricavato dal fiume – il Terreiro do Paço – sedisimbolo del potere.

Uno dei fatti più rilevanti, sia per l’episodio appena menzionato, sia perquello che è oggetto del presente contributo, ebbe luogo in occasione del vin-colo matrimoniale contratto tra Vittorio Amedeo II di Savoia e la primogenitadi Pietro II di Portogallo, Isabella Luisa di Braganza, celebrato nel 1680 e maigiunto a compimento, viste le precarie condizioni di salute della principessache la portarono presto alla morte. Vittorio Amadeo II sarebbe divenuto altri-menti il successore diretto del suocero Pietro II.

Fu ancora una volta un pretesto per pianificare il rinnovamento e l’amplia-mento del Paço da Ribeira. L’intento era di mettere a disposizione del futuroerede al trono una residenza a lui degna nella città di Lisbona, giacché il palaz-zo si trovava in uno stato di tale degrado da costringere il futuro Pietro II a ri-siedere, a quei tempi, nel palazzo di Corte Real situato a ponente, sul fiume,nelle immediate vicinanze 5. Nello spazio compreso tra i due palazzi, avrebbedovuto essere effettuato un ampliamento, visto che non c’erano altri spazi adisposizione – come sarà oggetto di altri progetti posteriori, tra cui quello cheJuvarra delineò a Roma nel 1717, ovvero prima di conoscere Lisbona nel 1719.

A comprovare ciò è la lettera dell’ambasciatore spagnolo a Lisbona indiriz-zata al Consiglio di Stato e datata 28 agosto 1679:

depuesto el primer pensamiento de fabricar la dilatada Galeria y nuebo quarto pordonde se comunicase con el de los Marqueses de Castelo Rodrigo en que al presente

186 WALTER ROSSA

biue el Principe como tambien otra planta que posteriormente se tubo ideada de en-sanchar el Palaçio cortando con nuebo edifiçio la mitad de la plaza que llaman el ter-rero con dos lienzos el uno à mano jzquierda y el otro en frente de su frontispiçio de lapropria arquitectura hasta el mar, y leuantar en su remate otra torre en correspon-dençia de la que mui hermosa mandó leuantar el Señor Rey Don Phelipe Segundotambien sobre el mar, hauiendo se omitido uno y otro jntento en la consideraçion dela jmportancia de los grandes gastos 6.

Le ricchezze portoghesi stavano per esaurirsi e il progetto non fu perciò rea-lizzato. Tuttavia è interessante notare che la seconda ipotesi presa in considera-zione avrebbe portato alla realizzazione di una piazza aperta sul fiume con ilpalazzo reale circondando le altre tre facciate e due torrioni alle estremità delledue ali, sul fiume. Fatta eccezione per l’uso degli edifici – destinati agli ufficidel governo e non della corte – tale idea fu recuperata per la ricostruzione del-la città dopo il terremoto del 1755. Quest’ultima soluzione era più cara dellaprima, poiché implicava delle espropriazioni. Sicuramente, il pensiero di Juvar-ra del 1717, condizionato dal marchese di Fontes, fu fatto per realizzare l’altraipotesi: una nuova ala del palazzo estesa frontalmente sul fiume e connessa alpalazzo Corte Real.

Per rendere ancora più espliciti i propositi di rinnovamento di questo com-plesso architettonico, possiamo ora tornare alla lettera del 1716 che il conte diRedondo scrisse al re riferendosi al tipo di intervento che Domiziano (regno81-95) aveva realizzato sul Palatino romano. Il nuovo palazzo reale e patriarcaleera la dimostrazione del rinnovamento o, in altre parole, la costruzione di que-sta nuova Lisbona, usando chiaramente Roma come modello.

Per portare a termine il piano stabilito, il marchese di Fontes, da Roma, co-municava al re i pareri di alcuni architetti e numerose descrizioni riguardantidiversi aspetti della città papale; descrizioni scritte e disegnate e maquette. Ap-pena tornato a Lisbona portò ben altro: passato poco meno di un anno arriva-va nella capitale Filippo Juvarra, risultato di un’accurata selezione eseguita dalre e dal marchese.

Dopo tale episodio, tutti gli architetti reclutati a Roma per servire Giovanni Vdi Portogallo, sarebbero arrivati dall’atelier di Carlo Fontana (1638-1714), mae-stro romano e architetto del papa che, durante il regno precedente, era sta tonominato architetto reale portoghese, ricevendo la più importante onorificenzaportoghese: il titolo di cavaliere dell’Ordine Militare di Cristo. Fontana fu an-che l’autore delle decorazioni funebri per la morte del re Pietro II, realizzatenel settembre del 1707 nella chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi a Roma 7.

L’iconografia del catafalco (fig. 1) 8 rivela, senz’ombra di dubbio, che Romafos se stata scelta come luogo simbolo per recuperare lo splendore dell’imperoportoghese e del suo patronato. Juvarra, a quei tempi assistente di Fontana, pro -babilmente partecipò al progetto, come dimostra il disegno dal titolo Per il fune-rale del Re di Portogallo Pietro I (è chiaro che c’è un errore, visto che si trattavadi Pietro II) 9: questo è il primo contatto conosciuto tra Juvarra e il Portogallo.

Sappiamo del vuoto che la morte di Fontana, nel 1714, aveva lasciato tra gliarchitetti dell’Arcadia romana e quanto ciò fosse stato decisivo, l’anno succes-

1. Filippo Juvarra, Per il funerale del Re di Portogallo Pietro I, 1707, BNT, Ris. 59.4, fol. 104

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 187

2. Filippo Juvarra, pensiero per il palazzo reale e patriarcale di Lisbona, 1719, MCT, vol. I, c. 97r, n. 157,1859/DS

188 WALTER ROSSA

sivo, per il concorso riguardante il progetto della nuova sacrestia di San Pie-tro. I discepoli della cerchia di Fontana che presentarono le loro proposte –Filippo Juvarra, Tommaso Mattei e Antonio Canevari – furono successivamen-te coinvolti nel progetto per Lisbona, anche se Mattei non visitò mai la città eCanevari (a Lisbona dal 1727 al 1732) fu vittima di un’intricata situazione legataall’acquedotto das Águas Livres (delle Acque Libere) della capitale portoghe-se, essendo per questo costretto ad abbandonare il Portogallo, pur lasciandoqualche opera sia a Coimbra che a Lisbona.

Nel 1717, ovvero nello stesso anno in cui portò a compimento i suoi obblighidiplomatici nei confronti del papa, il marchese di Fontes mandò a Lisbona al-meno due studi per il nuovo palazzo patriarcale, uno di Mattei e l’altro di Ju-varra. In una lettera datata 22 giugno il re commentò la proposta di Mattei,che non fu di suo gradimento, e chiese al marchese di tornare a Lisbona perdiscutere sull’argomento. Non si sa nulla sulla proposta di Mattei e pochissi-mo su quella di Juvarra.

Grazie alla testimonianza di Vieira Lusitano 10 – un pittore portoghese che aitempi studiava a Roma –, ma soprattutto grazie alla biografia di Juvarra 11, siapprende che nel 1717 Fontes chiese all’architetto di realizzare, in prospettiva,«un modello di sua invenzione» per il nuovo palazzo reale e patriarcale di Li-sbona. Tale modello fu raffigurato in un quadro a olio da Gaspar van Wittel,padre del famoso architetto pittore Luigi (Vanvitelli), e inviato al re. Ancorauna volta, si manifesta un’immagine affascinante del potenziale architettonicoe scenografico dell’architetto, più che un vero e proprio progetto.

I disegni riguardanti Lisbona, della collezione vanvitelliana di Caserta 12, siriferiscono a tale episodio, rappresentando con una certa attinenza alcune par-ti della città che sicuramente il pittore non visitò. Tutto ciò mi porta a pensare

3. Filippo Juvarra, pensiero per il palazzo reale e patriarcale di Lisbona, 1719, MCT, vol. I, c. 98r, n. 158,1860/DS

che tali dettagli gli siano stati forniti dall’ambasciatore portoghese, con l’obiet-tivo di inquadrare la proposta di Juvarra per la costruzione dell’ala palatina,menzionata precedentemente, e che univa il palazzo reale al palazzo CorteReal. Purtroppo non si conoscono né il quadro, né altri elementi grafici e l’i-potesi di Lavagnino 13 ha solo contribuito a rendere il tutto più confuso.

Sia chiaro che non sono stati rinvenuti altri documenti grafici relativi a que-sti episodi, così come non si ha altro materiale di architettura romana inviato aLisbona, pur esistendo alcune fonti e delle notizie dei cronisti. Tutto quelloche sappiamo proviene, quindi, da informazioni scritte, anche se filtrate, vistoche a un certo punto la questione si era fatta difficile dal punto di vista diplo-matico, soprattutto per il Vaticano. Agli inizi del 1717 il nunzio, con una certapreoccupazione, comunicava a Roma che il progetto era stato messo in discus-sione 14. Come è ovvio, con la crescita di un santuario di potere come il patro-nato si rischiava una secessione del cattolicesimo portoghese.

Come tutti sanno, una delle maggiori caratteristiche dell’opera di Juvarra èil suo potere scenografico, la costruzione di paesaggi edificati e monumentali,urbani o meno. In un certo qual modo, dunque, l’ipotesi che costui eseguisseprogetti per luoghi senza conoscerli non è valida e ciò fu decisivo per la sceltadell’autore del nuovo complesso palatino, che avrebbe finalmente esauditol’ambizione di un innalzamento aulico della monarchia portoghese sfruttandola potenzialità politica e simbolica del suo patronato attraverso la modernizza-zione dell’immagine della sua capitale.

Gli antichi legami con casa Savoia facilitarono l’ottenimento delle autorizza-zioni necessarie per il viaggio a Lisbona di Juvarra, nel gennaio del 1719. L’ar-chitetto fu ricevuto con grandi onori, come una figura d’eccellenza, e tale trat-tamento si mantenne per tutto il periodo che egli trascorse in Portogallo, in

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 189

4. Filippo Juvarra, pensiero per il palazzo reale e patriarcale di Lisbona, 1719, MCT, vol. I, c. 4r, n. 7,1706/DS

190 WALTER ROSSA

particolare quando partì per Londra a giugno. Oltre a una copiosa ricompensae ai doni offerti, Juvarra ricevette, come Fontana, il titolo di cavaliere dell’Or-dine Militare di Cristo. La sua presenza fu gradita e l’onorificenza doveva fun-zionare come una promessa che garantisse il suo ritorno per seguire personal-mente il progetto che aveva tracciato e la cui costruzione era iniziata due gior-ni prima della sua partenza. Juvarra però non tornò e i lavori furono interrotti.

Non fu certo il suo protettore sabaudo a impedire il ritorno dell’architetto,poiché in una lettera diretta al sovrano portoghese e datata 14 ottobre 1719 fului a dichiarare di aver concesso l’autorizzazione 15. Devo ancora scoprirne leragioni, poiché quelle finora incontrate sembrano troppo ovvie e banali. Tutta-via abbiamo altre notizie sul periodo che Juvarra trascorse a Lisbona.

Nella lettera del 18 luglio 1719 inviata a Roma, il nunzio – che dall’arrivo del-l’architetto a gennaio fino a settembre elencò gli avvenimenti – riferiva che Ju-varra aveva lasciato «delle bellissime piante, e disegni magnificentissimi» 16.Dalla lettera del 14 febbraio era chiaro che si trattava «di una gran chiesa, e pa-lazzo patriarcale, unito all’altro regio di struttura all’uso di Roma» 17. Il bio-grafo di Juvarra fu ancora più preciso, dichiarando che si trattava di un dise-gno di tanta magnificenza e bellezza da promettere una fabbrica non pure se-conda, ma uguale alla gran mole di San Pietro degna della grandezza di quelre 18. Sappiamo inoltre che, per la sua realizzazione, sarebbero stati messi a di-sposizione di Juvarra mezzo migliaio di muratori lombardi.

Inizialmente si era pensato, come sempre, di recuperare e ampliare il com-

5. Filippo Juvarra, faro monumentale di fronte alla Roccia del conte di Óbidos, Lisbona, 1719, BNT, Ris. 59.1, foll. 22-23

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 191

plesso della Ribeira rispettando i progetti provenienti da Roma. Era l’ipotesisostenuta da Fontes. Tuttavia, qualcosa o qualcuno decise di cercare un altroluogo e, infatti, furono molte le passeggiate in carrozza del re in compagnia diJuvarra, nei dintorni di Lisbona, così come in barca, nel fiume. Scrive il bio-grafo anonimo: «per trovare un sito adeguato per si gran fabrica si durò faticaTre mesi» 19. Gli argomenti affrontati nella documentazione si riferiscono es-senzialmente alla necessità di trovare un luogo più agevole e salubre e la con-ferma di ciò è il processo di selezione stesso, al quale parteciparono i medici ei fisici della corte: la sommità e la pendice di una collina che dà sul fiume, zo-na designata a quei tempi Buenos Aires, ovvero, d’aria buona.

Esistevano due pareri differenti, e si preferì la seconda delle ipotesi. Delprogetto in sé non è rimasto nulla e conosciamo solamente i tre pensieri di Ju-varra della collezione del Museo Civico di Torino che si riferiscono a questafase del processo 20 (figg. 2-4). In questi è rappresentato un complesso palatinocon una chiesa situata a sud, su una pendice che dà sul fiume. Non sono il pri-mo ad aver identificato le citazioni di alcuni progetti di Juvarra in esecuzione aTorino, così come altri rimandi romani, specialmente la cupola della chiesa pa-triarcale, forse a pianta centrale, che avrebbe fatto concorrenza a San Pietro.

In effetti, in un altro passo della biografia di Juvarra leggiamo che il re

[...] ordinogli che facesse un disegno del Palazzo Reale, Chiesa Patriarcale, Palazzoper il Patriarca, e Canonica, con questa specialità, che dopo la rinomata Fabbrica egran mole di S. Pietro in Roma fosse la sua [...] 21.

Gli obiettivi della corona non potrebbero essere più espliciti nella letteradel nunzio del 28 marzo, dalla quale evinciamo che il complesso comprendevaanche «Giardino e Zappada per animali silvestre, si è molto bello e salutifico,sopra la collina che domina la città e scopre l’entrata del mare sia li due castellidi San Giuliano e del Bugio, e tutta la Bayra fuori» 22.

A questo punto è opportuno introdurre un quarto pensiero di Juvarra su Li-sbona 23 (fig. 5). Scrive il biografo:

6. Pedro Miguel Costa Rodrigues, scalaprincipale della zona conventuale delPalazzo di Mafra, 2002, assonometria insupporto digitale, Dipartimento diArchitettura dell’Università di Coimbra,prova di laurea

192 WALTER ROSSA

La prima ordinazione che ricevette fu quella di un disegno per il fanale del porto;per il quale avendo ideato una colonna sullo stile antico ad imitazione di quelle che sivedono in Roma, con l’arme del re in mezzo retta da due fame, ed in cima un gran fa-nale [...] per imitare le opere degli antichi imperatori.

Sulla sommità sarebbe stata collocata una statua del re e a metà il suo stem-ma. In lontananza si sarebbe vista la sagoma del Paço da Ribeira, con maggiorrisalto per il torrione costruito da Filippo II (1527-1528).

Il monumento che avrebbe avuto come podio un bastione, sarebbe stato col-locato sulla sponda nord del fiume, di fronte alla Rocha do Conde di Óbidos(dove attualmente si trova il Museo d’Arte Antica) e ai piedi del nuovo com -plesso palatino. Come ho riferito prima, quest’ultimo sarebbe stato situato nel-la zona conosciuta come Buenos (o Boinos) Ayres, comprendendo grossomodole zone di Estrêla, Alcântara e Santos. A provare ciò sono i nomi delle vie, maanche riferimenti diversi, tra i quali i disegni e i rilevamenti dell’epoca, comepure altri relativi alla ricostruzione della città dopo il terremoto del 1755 24.

Durante la sua permanenza a Lisbona probabilmente fu chiesto a Juvarra direalizzare altri progetti, anche per strutture temporanee come la processionedel Corpus Domini. Nel frattempo, il suo contributo più importante nell’ar-chitettura portoghese fu indiretto. È evidente, infatti, che alcuni dettagli del-l’opera di Mafra abbiano molto a che vedere con i linguaggi e le caratteristichedi Juvarra; si prenda come esempio la scala dell’ala conventuale (fig. 6).

Il processo di costruzione del palazzo reale e convento di Mafra, con ante-cedenti che risalgono al 1712, iniziò ufficialmente nel 1717; l’abbandono delprogetto palatino di Lisbona, avvenuta solo due anni dopo, infatti, aveva sicu-ramente aumentato l’interesse per la realizzazione del secondo. La direzionegenerale dell’opera fu consegnata a Frederico Ludovice (1670-1752), un tede-sco arrivato in Portogallo nel 1700 come orafo e che prima aveva lavorato a

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 193

Roma nell’atelier di Carlo Fontana. Prendendo in considerazione l’opera, dicui prove documentali certificano l’autorità di Ludovice, sorgono molti dubbisul fatto che egli sia l’unico artefice dell’intero progetto di Mafra.

Ludovice fu uno delle personalità consultate per stabilire la localizzazionedel complesso palatino di Lisbona, il che rese possibile l’uso di alcuni di questielementi per il progetto di Mafra, anche perché l’abbandono del primo pro-getto aveva sicuramente messo a disposizione impegno e mezzi per la realizza-zione del secondo. La connessione tra i due progetti deve ancora essere chiari-ta. Si noti, infatti, che alcuni muratori lombardi, Carlos e Antonio BaptistaGarbo, avevano diretto alcuni aspetti tecnici dell’opera di Mafra. Facevanoforse parte della squadra che Juvarra aveva contrattato per Lisbona?

Tornando alla capitale, concentriamoci ora sull’influenza che Juvarra proba-bilmente ebbe nell’ampliamento urbanistico – che è l’eredità più rilevante la-sciata dall’architetto a Lisbona – per la realizzazione del quale fu decisivo lostretto legame di lavoro che questi aveva stabilito con l’ingegnere militare Ma-nuel da Maia (1678-1763). Infatti, fu Maia a dirigere il lavoro di rilevamento diLisbona e dintorni che servì come base per la divisione della città e dunqueper il progetto palatino. In seguito egli farà parte della commissione incaricatadi scegliere l’ubicazione del complesso palatino. In ultimo, sappiamo ancheche fu Maia a dirigere i lavori – essenzialmente di rilevamento del terreno edelle infrastrutture – fino al ritorno di Juvarra.

Probabilmente Manuel da Maia diresse anche altri lavori complementarinella città, ai quali, ancora una volta, si riferisce il nunzio in una lettera del1719 datata 12 settembre, ovvero già dopo la partenza di Juvarra: «PersisitindoSua Maesta nell’intenzione della gran Fabrica della Patriarcale, fa prendere va-rij disegni per aprire per la città lunghe strade, e larghe che conduchino diret-tamente sino al sito di essa» 25. Ciò successe perché, nel 1718, Manuel da Maiaaveva disegnato il progetto di apertura di una strada che avrebbe unito «as ci-dades de Lisboa Ocidental e Oriental à cidade de Mafra» 26.

Quarant’anni più tardi un cronista 27 racconta che Juvarra si astenne al mo-mento della votazione per la localizzazione del nuovo complesso palatino; no-nostante tutto è ovvio che la sua costruzione in una zona nuova, ovvero, diampliamento, appartenga all’architetto. Quest’ipotesi, infatti, sorse all’arrivodi Juvarra a Lisbona e non possiamo neanche dimenticare i lavori di amplia-mento di Torino che l’architetto aveva diretto poco tempo prima e a cui Ma-nuel da Maia fa riferimento nel 1756, usando le parole che seguono: «acrescen-tar Turim novo a Turim velho, fazendo em hum sítio plano contiguo a Turim,hum aditamento a Turim» 28.

Fino alla fine del regno, e soprattutto una volta terminata la costruzione diMafra, Giovanni V di Portogallo favorì la realizzazione di varie opere: l’acque-dotto delle Águas Livres (1728), il palazzo e il convento delle Necessidades(1742), il nucleo manifatturiero della fabbrica di seta nel Rato (1734), una stra-da marginale lungo il fiume Tago tra il centro della città e il complesso palati-no di ristoro di Belém (1733), ecc.: tutto realizzato nei territori a ponente e anord-est della città. Già nel 1740, con un progetto di Frederico Ludovice 29, si

presentò l’opportunità di costruire in quella zona una nuova chiesa patriarca-le, ma ancora una volta il progetto non fu portato a termine.

Nel frattempo, e attraverso una serie di riforme dirette da Ludovice, l’anticocomplesso palatino situato nella Ribeira fu soggetto a importanti trasformazio-ni che interessarono la comodità e la monumentalità: la cappella reale fu am-pliata, così come la residenza del cardinale patriarca e fu costruito un campa-nile progettato da Antonio Canevari.

Giuseppe I (regno 1750-1777) seguì le orme del padre e fece costruire un tea-tro reale. Cinque anni dopo il suo incoronamento, la catastrofe che colpì lacittà il 1 novembre del 1755, rappresentò l’opportunità concreta per realizzare ilsogno di ‘rinnovamento’ di Lisbona. Il ministro Sebastião José de Carvalho eMelo (1699-1782) – che passerà alla storia come marchese di Pombal (1769) –non si fece scappare l’occasione e considerò il progetto e la sua realizzazione,mantenendo uno stretto legame con Manuel da Maia.

Manuel da Maia – ovvero il collaboratore portoghese più vicino a FilippoJuvarra – era l’ingegnere-maggiore del regno e si consacrò come lo strategadelle ricostruzioni, l’urbanista della Lisbona ‘pombalina’, assistito da un’eccel-lente squadra di esecutori come Eugénio dos Santos (1711-1760) e Carlos Mar-del (1695-1763). Oltre a quanto descritto in precedenza, e tra molte altre fun-zioni svolte, l’ingegnere fu uno dei disegnatori dell’acquedotto, progettato perrifornire d’acqua le aree della nuova Lisbona che, nonostante l’abbandono delprogetto di costruzione del palazzo reale e patriarcale, la corona voleva porta-re a termine.

Dalla relazione di analisi in cui si descriveva la strategia per la ricostruzione,intitolata Dissertazione... 30, passando per il piano risalente al maggio del 1758, einfine per tutta la legislazione di inquadramento e sviluppo, risulta chiaro chealla base di tutto c’è il dibattito per lo sviluppo urbanistico di Lisbona, iniziatocon l’arrivo di Juvarra nella capitale, 36 anni prima. Il centro della città era di-strutto e, com’è ovvio, la priorità era stata data alla ricostruzione di questa zo-na. Si decise dunque che il palazzo reale – che non prendeva più in considera-zione quello del patriarca e la cattedrale – sarebbe dovuto essere eretto vicinoal luogo scelto da Giovanni V e da Juvarra. Lo Stato smise così di dividere conla corte il centro della piazza che da Terreiro do Paço passò a chiamarsi Praçado Comércio (piazza del Commercio).

Lisbona era finalmente diventata una capitale moderna, devota ai consumidell’impero come l’immagine di una Roma del patriarcato metropolitano re-gnante sugli oceani. Il tutto sulle rovine dei progetti e delle iniziative di Gio-vanni V, così come sugli insegnamenti di Juvarra. Eduardo Lourenço, illustrepensatore portoghese, ha scritto nel 1995: «Il re Magnanimo fu indubbiamentela maggiore vittima tra tutte quelle causate dal famoso terremoto di Lisbonadel 1755» 31. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, quindi, le idee più im-portanti di Juvarra su Lisbona furono prese in considerazione, anche se qual-cosa impedì che l’architetto non ritornasse nella città per mettere in pratica isuoi progetti.

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NOTE

1 Il presente articolo si basa su una serie di miei studi già pubblicati e riguardanti lo sviluppo urba-nistica di Lisbona durante il XVIII secolo che ebbe come conseguenza la ricostruzione della città do-po il terremoto del 1755. Tutti i dati e le argomentazioni presenti in tali lavori fanno da supporto aquesta relazione. Passo quindi a citare i quattro studi più importanti, in modo da evitare la loro ecces-siva menzione nel testo limitandomi, dunque, a riportare in nota solo i riferimenti a citazioni dirette:ROSSA 1998; ROSSA 2005; ROSSA 2008; ROSSA 2012.

2 Sulla diplomazia portoghese a Roma in questo periodo si consulti: DE BELLEBAT 1709; BRAZÃO1937; BRAZÃO 1938; BRAZÃO 1942; BRAZÃO 1973; Giovanni V 1995; DELAFORCE 2002. Nella pubbli-cazione del 1937 di Eduardo Brazão sono state pubblicate le disposizioni che il re mandava al mar-chese di Fontes, così come altri documenti importanti sul suo operato a Roma.

3 «sarebbe ben conveniente, se ci sarà la possibilità, che in questa Corte si realizzasse un’opera co-me quella che a Roma, con tanti onori, fece fare Domiziano», Biblioteca da Ajuda, 54-XI-38 (2). Pub-blicato in ROSSA 1998, pp. 160-161.

4 Tra i molti studi il mio testo ROSSA 2005 tratta questa questione. Si consultino anche: ROSSA 2004e ROSSA 2010.

5 Questo palazzo passò ad appartenere ai domini regi dopo la Restaurazione dell’Indipendenza(1640), poiché i suoi proprietari, il marchesi di Castelo Rodrigo, erano rimasti nel versante spagnolo.Divenne così un’estensione del palazzo reale da Ribeira, sovente usato dai monarchi.

6 «dopo aver rinunciato all’idea di costruire la lunga Galleria e la nuova abitazione dalla quale sisarebbe potuto comunicare con quella dei marchesi di Castel Rodrigo in cui vive ora il Principe, cosìcome a un’altra pianta ideata posteriormente per allargare il Palazzo tagliando la piazza che chiamanoil ‘terreiro’ a metà con un nuovo edificio le cui facciate sono una sul lato sinistro e l’altra davanti alfrontone della stessa architettura fino al mare, e innalzando alla sua estremità un’altra torre in corri-spondenza a quella molto bella che fece costruire il Signore Re Don Filippo Secondo, anch’essa sulmare, furono trascurati sia il primo che l’altro intento in considerazione degli alti costi». Archivo Ge-neral de Simancas, Estado, legajo 7056 documento n. 85. Tale informazione mi è stata fornita da Pe-dro Cardim, che ringrazio.

7 Funerale 1707 (con bassorilievi di Giovanni Girolamo Frezza e Domenico Franceschini).8 Il riferimento al re portoghese è errato, trattandosi invece di Pietro II.9 BNT, Ris. 59.4, fol. 104.10 VIEIRA LUSITANO 1780.11 Pubblicata in Juvarra 1966.12 Palazzo reale di Caserta, inv. nn. 204, 131. Disegni pubblicati da VITZTHUM 1971 e da GARMS

1995b, pp. 54-55. Raccolti e pubblicati anche in Luigi Vanvitelli 1998, p. 179 e Disegni di Luigi Vanvi-telli 1974. Mentre Garms sostiene che Luigi Vanvitelli abbia partecipato al processo come assistentedel padre, Vitzthum afferma che furono «taken from natural», per questo motivo né Juvarra, né Ga-spare o Luigi Vanvitelli possono esserne considerati autori. Garms, tuttavia, presenta dei dubbi, poi-ché Luigi aveva a quei tempi solo 17 anni.

13 LAVAGNINO 1940.14 ASV, Portogallo, Seg. 74, fol. 44r.15 MASINI 1920, p. 283.16 ASV, Portogallo, seg. 75, fol. 175r.17 Ivi, fol. 26r.18 Vita 1981, p. 284.19 Ibidem.20 MCT, vol. I, c. 97, n. 157, 1859/DS; c. 98, n. 158, 1860/DS e c. 4, n. 7, 1706/DS.21 Vita 1981, p. 284.22 ASV, Portogallo, seg. 75, fol. 63r.23 BNT, Ris. 59.1, foll. 22-23.24 Planta dos terrenos de Boinos Ayres, Arquivo Histórico Militar, PT/AHM/Div.3/47/AH3-

1/18439; Francisco António Ferreira, Mapa topográfico dos Terrenos que medeião entre a Pampulha e aCalçada da Estrela..., Biblioteca Nacional de Portugal, D101R; José Monteiro de Carvalho, Planta daNova Freguezia de N.Sª da Lappa, Torre do Tombo, Casa Forte 153; Filipe Rodrigues de Oliveira, Ma-nuel Alvares Calheiros, Pedro Gualter da Fonseca, Lourenço José Botelho, Tomás Rodrigues da Co-sta, Planta que compreende os terrenos das partes contiguas de Lisboa [...] em 6 de Abril de 1756, Mu-seu da Cidade (Lisboa), DES 982. Cfr. ancora DE CASTRO 1762-1763, III (1762) 1962, p. 193.

JUVARRA, SOGNO E REALTÀ NELLA LISBONA SETTECENTESCA 195

25 ASV, Portogallo, Seg. 75, foll. 208v-209.26 «le città di Lisbona Occidentale e Lisbona Orientale alla città di Mafra». Manuel da Maia, Carta

topografica que comprehende todo o terreno desde as cidades de Lisboa Occidental e Oriental té a vila deMafra, com todos os lugares, q. contem na sua extenção. Real Academia de la Historia de Madrid,R. 196, Sign. C/Ic2p.

27 DE CASTRO 1762-1763, III (1762), p. 193.28 «aggiungere alla nuova Torino la vecchia Torino, creando in un unico spazio un piano contiguo

di Torino, un allargamento di Torino», DA MAIA 1910.29 Museu Nacional de Arte Antiga, Fundo Antigo, Inv. 1652 e Biblioteca Nacional de Lisboa,

D14R.30 Manuel da Maia (1755-1756), cfr. DA MAIA 1910.31 Giovanni V 1995, p. 1.

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