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Alberto Gagliardo La scuola in camicia nera. La fascistizzazione della scuola italiana nella storia del Liceo Classico di Cesena Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2005 (con una Prefazione di Maurizio Ridolfi) Introduzione Già subito dopo la conquista violenta del potere (ottenuta, com’è noto, anche a seguito di non poche debolezze della classe dirigente liberale e compiacenze delle monarchia sabauda) il fascismo, che pure non aveva un suo preciso programma sulla scuola, affrontò questo delicato ganglio della vita di un Paese, intuendone tutta la strategica centralità ai fini della costruzione del consenso popolare e, conseguentemente, della sua stessa legittimazione 1 . I due interventi più noti del governo fascista in materia scolastica furono senz’altro la serie di regi decreti che vanno sotto il nome di Riforma Gentile 2 , del 1923, e la Carta della Scuola di Bottai, del 1939. A rigore, però, la prima non fu fino in fondo organica all’idea di educazione totalitaria del regime: un po’ per la sua struttura troppo elitaria 3 , un po’ per la tendenza di fondo antiscientifica e poco attenta all’innovazione tecnica, un po’ per i problemi che poneva nei rapporti con la Chiesa 4 . Lo stesso Mussolini, che aveva inizialmente appoggiato Gentile (la cui riforma aveva definito «la più fascista fra tutte quelle approvate dal governo»), di fronte alle massicce proteste finì per convincersi della necessità di introdurre dei correttivi, che, attraverso una incessante politica di ritocchi, determinarono un processo di erosione iniziato già dal gennaio del 1925 con l’insediamento al dicastero di Pietro Fedele 5 . La seconda, invece, la Carta della scuola, delineava un sistema scolastico fascista destinato a subentrare all’ordinamento creato da Gentile, tentando di adeguare la scuola italiana alle esigenze politiche, economiche e sociali del regime. 1 Nel discorso in piazza San Sepolcro di Milano del 23 marzo 1923, Mussolini aveva detto: «Il governo esige che la scuola si ispiri alle idealità del fascismo, esige che la scuola sia non dico ostile ma nemmeno estranea al fascismo, agnostica di fronte al fascismo, esige che la scuola in tutti i suoi gradi e in tutti i suoi insegnamenti educhi la gioventù italiana a comprendere il fascismo, a rinnovarsi nel fascismo, e a vivere il clima storico creato dalla rivoluzione fascista» (cit. in G. INZERILLO, Storia della politica scolastica in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 152). 2 Eccone in sintesi lo schema: la scuola elementare, obbligatoria e gratuita, era suddivisa in due corsi: inferiore (fino alla 3° classe) e superiore (4° e 5° classe). Per l’ammissione al corso superiore bisognava superare un apposito esame di Stato. Dopo la scuola elementare, che si concludeva con l’esame per conseguire il "certificato di compimento", lo studente che desiderava proseguire la carriera scolastica fino ai più alti gradi doveva sostenere un altro esame: quello di ammissione al ginnasio. Anche il ginnasio era suddiviso in due corsi, e il passaggio dal corso inferiore a quello superiore comportava un esame, che si sosteneva alla fine della terza ginnasio. Alla fine del quinto anno di ginnasio lo studente doveva ancora sostenere degli esami, quelli conclusivi della scuola ginnasiale, e che avevano il nome di "esami di ammissione al liceo". Il superamento di questi esami permetteva l’iscrizione al liceo classico, triennale. Infine, il conseguimento del diploma di maturità classica permetteva l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Il giovane che arrivava all’università aveva quindi superato un numero di sbarramenti non indifferente: sei esami nei primi tredici anni di studi. Le materie di insegnamento del ginnasio erano italiano, latino, greco, storia, geografia, matematica, lingua straniera (dalla 2° alla 5° ginnasio), religione ed educazione fisica. 3 Cfr. A. SCOTTO DI LUZIO, Il liceo classico, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 146: «Nei due anni successivi alla riforma gli studenti diminuirono di più d’un terzo». Più colpita fu l’istruzione tecnica, meno drastico fu l’intervento sul ginnasio- liceo. Nel liceo cesenate si passò dai 63 iscritti dell’a.s. 1922/23 ai 47 del 1923/24 e, conseguentemente a tale riduzione di alunni, gli insegnati diventarono 12 dai 15 dell’a.s. precedente (cfr. R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per l’ anno scolastico 1923-24 con notizie storico-statistiche sulla vita dell’istituto, Cesena, Prem. Stab. Tip. F.lli Tonti, 1925, p. 12). 4 L’insegnamento della religione era infatti stato introdotto solo nella scuola elementare. Molte furono in seguito le modifiche, tanto da giungere, col concordato del 1929, a considerare l’insegnamento della dottrina cattolica quale fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica. 5 Cfr. J. CHARNITZKY, Riforma Gentile, in V. DE GRAZIA, S. LUZZATTO (a cura di), Dizionario del fascismo, Torino, Einaudi, 2003, pp. 511-514.

La scuola in camicia nera. La fascistizzazione della scuola italiana nella storia del liceo classico di Cesena (Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2005 - con una Prefazione di

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Alberto Gagliardo La scuola in camicia nera. La fascistizzazione della scuola italiana nella storia del

Liceo Classico di Cesena Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2005 (con una Prefazione di Maurizio Ridolfi) Introduzione Già subito dopo la conquista violenta del potere (ottenuta, com’è noto, anche a seguito di non poche debolezze della classe dirigente liberale e compiacenze delle monarchia sabauda) il fascismo, che pure non aveva un suo preciso programma sulla scuola, affrontò questo delicato ganglio della vita di un Paese, intuendone tutta la strategica centralità ai fini della costruzione del consenso popolare e, conseguentemente, della sua stessa legittimazione1. I due interventi più noti del governo fascista in materia scolastica furono senz’altro la serie di regi decreti che vanno sotto il nome di Riforma Gentile2, del 1923, e la Carta della Scuola di Bottai, del 1939. A rigore, però, la prima non fu fino in fondo organica all’idea di educazione totalitaria del regime: un po’ per la sua struttura troppo elitaria3, un po’ per la tendenza di fondo antiscientifica e poco attenta all’innovazione tecnica, un po’ per i problemi che poneva nei rapporti con la Chiesa4. Lo stesso Mussolini, che aveva inizialmente appoggiato Gentile (la cui riforma aveva definito «la più fascista fra tutte quelle approvate dal governo»), di fronte alle massicce proteste finì per convincersi della necessità di introdurre dei correttivi, che, attraverso una incessante politica di ritocchi, determinarono un processo di erosione iniziato già dal gennaio del 1925 con l’insediamento al dicastero di Pietro Fedele5. La seconda, invece, la Carta della scuola, delineava un sistema scolastico fascista destinato a subentrare all’ordinamento creato da Gentile, tentando di adeguare la scuola italiana alle esigenze politiche, economiche e sociali del regime.

1 Nel discorso in piazza San Sepolcro di Milano del 23 marzo 1923, Mussolini aveva detto: «Il governo esige che la scuola si ispiri alle idealità del fascismo, esige che la scuola sia non dico ostile ma nemmeno estranea al fascismo, agnostica di fronte al fascismo, esige che la scuola in tutti i suoi gradi e in tutti i suoi insegnamenti educhi la gioventù italiana a comprendere il fascismo, a rinnovarsi nel fascismo, e a vivere il clima storico creato dalla rivoluzione fascista» (cit. in G. INZERILLO, Storia della politica scolastica in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 152). 2 Eccone in sintesi lo schema: la scuola elementare, obbligatoria e gratuita, era suddivisa in due corsi: inferiore (fino alla 3° classe) e superiore (4° e 5° classe). Per l’ammissione al corso superiore bisognava superare un apposito esame di Stato. Dopo la scuola elementare, che si concludeva con l’esame per conseguire il "certificato di compimento", lo studente che desiderava proseguire la carriera scolastica fino ai più alti gradi doveva sostenere un altro esame: quello di ammissione al ginnasio. Anche il ginnasio era suddiviso in due corsi, e il passaggio dal corso inferiore a quello superiore comportava un esame, che si sosteneva alla fine della terza ginnasio. Alla fine del quinto anno di ginnasio lo studente doveva ancora sostenere degli esami, quelli conclusivi della scuola ginnasiale, e che avevano il nome di "esami di ammissione al liceo". Il superamento di questi esami permetteva l’iscrizione al liceo classico, triennale. Infine, il conseguimento del diploma di maturità classica permetteva l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Il giovane che arrivava all’università aveva quindi superato un numero di sbarramenti non indifferente: sei esami nei primi tredici anni di studi. Le materie di insegnamento del ginnasio erano italiano, latino, greco, storia, geografia, matematica, lingua straniera (dalla 2° alla 5° ginnasio), religione ed educazione fisica. 3 Cfr. A. SCOTTO DI LUZIO, Il liceo classico, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 146: «Nei due anni successivi alla riforma gli studenti diminuirono di più d’un terzo». Più colpita fu l’istruzione tecnica, meno drastico fu l’intervento sul ginnasio-liceo. Nel liceo cesenate si passò dai 63 iscritti dell’a.s. 1922/23 ai 47 del 1923/24 e, conseguentemente a tale riduzione di alunni, gli insegnati diventarono 12 dai 15 dell’a.s. precedente (cfr. R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per l’ anno scolastico 1923-24 con notizie storico-statistiche sulla vita dell’istituto, Cesena, Prem. Stab. Tip. F.lli Tonti, 1925, p. 12). 4 L’insegnamento della religione era infatti stato introdotto solo nella scuola elementare. Molte furono in seguito le modifiche, tanto da giungere, col concordato del 1929, a considerare l’insegnamento della dottrina cattolica quale fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica. 5 Cfr. J. CHARNITZKY , Riforma Gentile, in V. DE GRAZIA , S. LUZZATTO (a cura di), Dizionario del fascismo, Torino, Einaudi, 2003, pp. 511-514.

Ma se questi furono i provvedimenti più noti e organici sulla scuola, il regime fascista non si limitò ad essi, anzi dedicò ai problemi dell’istruzione e dell’educazione uno straordinario interesse (anche se procedette per strade non sempre rettilinee né coerenti, e per di più spesso destinate a non raggiungere i propri obiettivi). Tale attenzione «non risulta soltanto da una vistosa mole di pubblicazioni dell’epoca su questo tema, ma, per così dire, può essere quantificato in base ai relativi provvedimenti legislativi. Durante i circa vent’anni di vita del regime fascista, i suoi nove ministri della Pubblica Istruzione, ovvero Educazione Nazionale[6], vararono oltre 3500 leggi e decreti sulla scuola, di cui quasi 2500 nei soli otto anni che vanno dal novembre 1922 al dicembre 1930. A questa imponente opera legislativa sono da aggiungere i decreti del Ministero dell’Economia Nazionale, competente per le scuole professionali fino al 1928, nonché i numerosi regolamenti e le circolari di entrambi i dicasteri. Nessun altro campo della politica statale è stato tanto intensamente coltivato»7. Anche per questa ragione l’indagine sulle politiche scolastiche fasciste (pur nelle oscillazioni e nelle difficoltà da parte del regime di fissare una linea precisa e di seguirla) risulta rivelatrice, e in tal senso fedele sineddoche, della costruzione di un moderno totalitarismo. Infatti se prendiamo a modello la tipologia stabilita da Carl J. Friedrich e Zbigniew Brzezinski riassuntiva dei caratteri dello stato totalitario8 (ideologia ufficiale, partito unico organizzato in modo gerarchico e retto da un dittatore, polizia terroristica segreta, monopolio dei mass media, monopolio della violenza, direzione e controllo centrale dell’economia) vediamo bene che tutte le politiche sulla scuola risultano esemplificative, oltre che costitutive, di questo tipo di regime. D’altronde la «feroce volontà totalitaria»9 del fascismo, annunciata da Mussolini nel discorso del 22 giugno 1925 con cui concludeva il quarto congresso nazionale del Pnf, implicava la strumentalizzazione della scuola italiana allo scopo di legittimare il sistema di potere fascista e la sua ideologia. «La fascistizzazione della scuola […] avvenne sostanzialmente su tre piani: il controllo e il disciplinamento degli insegnanti e dei professori universitari, l’integrazione di alunni e studenti nelle organizzazioni giovanili del partito e l’ideologizzazione dei programmi di insegnamento»10. L’ideologizzazione, d’altronde, fu uno strumento di mobilitazione politica in ogni stadio dell’evoluzione del regime: nella sua fase iniziale di presa del potere (primi anni Venti) in quelle successive di consolidamento (seconda metà anni Venti), di costruzione del regime totalitario (anni Trenta) del tentativo di arginare la crisi ed evitare la caduta (anni Quaranta). Riepiloghiamo alcune delle date salienti in questo percorso di irregimentazione del mondo della scuola: nel 1926 fu creata l’Opera nazionale balilla (Onb); nel 1929 fu introdotto il testo unico di stato per le scuole elementari; nel 1931 venne reso obbligatorio il giuramento di fedeltà al regime per i professori universitari; dal 1932 le associazioni di dipendenti pubblici furono alle dirette dipendenze del segretario del Pnf; nel 1933 diventò obbligatoria l’iscrizione al partito fascista per poter accedere a un impiego statale; nel 1937 vi fu la trasformazione dell’Onb in Gil (Gioventù italiana del littorio). Insomma, come sintetizzava efficacemente il noto slogan, “libro e moschetto, fascista perfetto”; ma se a un primo sguardo si direbbe che nella costruzione dell’uomo fascista fu essenzialmente il primo termine a cedere al secondo, a ben guardare il ruolo del “libro” non fu poi così marginale, anche se

6 G. Gentile (31 ottobre 1922 – 1 luglio 1924), A. Casati (1 luglio 1924 – 6 gennaio 1925), P. Fedele (6 gennaio 1925 – 9 luglio 1928), G. Belluzzo (9 luglio 1928 – 12 settembre 1929), B. Giuliano (12 settembre 1929 – 20 luglio 1932), F. Ercole (20 luglio 1932 – 21 gennaio 1935), C. M. De Vecchi (21 gennaio 1935 – 15 novembre 1936), G. Bottai (15 novembre 1936 – 6 febbraio 1943), C. A. Bigini (6 febbraio 1943 – 25 aprile 1945). 7 J. CHARNITZKY , Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 6. 8 C. J. FRIEDRICH E Z. BRZEZINSKI, Totalitarian dictatorship and autocracy, Cambridge, Harvard University press, 1956, cit. in E. TRAVERSO, Totalitarismo, Milano, Bruno Mondadori, 2002, pp. 112-115. Sul tema si rimanda agli studi di A. AQUARONE, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 2003, e E. GENTILE, La via italiana al totalitarismo, Roma, Carocci, 2001. 9 E. e D. SUSMEL (a cura di), Opera omnia di B. Mussolini, Firenze, La Fenice, 1951-1963 vol. XXI, p. 362. 10 J. CHARNITZKY , op. cit., p. 293.

più difficile è valutare quanto questa invasione ideologica abbia concretamente prodotto. Lucio Lombardo Radice, per esempio, ha «parlato della “doppia scuola del ventennio”, delle due anime della scuola italiana durante il fascismo, che univa sotto lo stesso tetto una “scuola fascista” per così dire in divisa e una “scuola umanistica” liberale, nella quale sopravvivevano i valori culturali tradizionali»11. Ma questa lettura, che denuncia un evidente debito col paradigma interpretativo crociano del fascismo come parentesi, rischia di condurre all’assoluzione di ogni comportamento compromissorio della scuola italiana, coerentemente con la tendenza in atto alla «defascistizzazione retroattiva» di cui ha parlato Emilio Gentile12. Ma allora il fascismo fu davvero quell’ombra nera che tutto ammantava e permeava, oppure fu solo una vernice, una facciata dietro alla quale ciascuno pensava come meglio credeva? Alla tentazione di questa seconda lettura sembra cedere, in ambito locale, anche Augusto Campana nel suo discorso commemorativo tenuto in occasione del primo centenario del liceo classico di Cesena13. È questo, tra l’altro, nella sua brevità e occasionalità, uno dei pochissimi interventi sulla storia di questa scuola, che, pur così lunga e gloriosa, non ha ancora conosciuto uno studio completo e approfondito. In genere quelli che hanno accostato le vicende del liceo classico di Cesena lo hanno fatto con uno spirito memorialistico più che storico, e dietro la memorialistica c’è sempre in agguato il rischio dell’indulgenza. A riprova di ciò c’è, a mio giudizio, il soffermarsi su aspetti aneddotici o localistici a fronte del silenzio sulle pagine meno edificanti: ci si compiace, ad esempio, nel ricordare che, oltre ad essere luogo di studio per i giovani della città, il liceo fu nei suoi primi anni la sede dove sostenevano gli esami anche alunni esterni che sarebbero un giorno diventati famosi (il caso più noto è senz’altro quello di Giovanni Pascoli), o dove passarono illustri ispettori (tra i quali spicca il celeberrimo nome di Giosue Carducci); dove studiarono e si formarono glorie intellettuali cittadine di rinomanza nazionale (Renato Serra) e dove operarono insegnanti che avrebbero prodotto opere diversamente insigni (Rosa Calzecchi Onesti, o Lanfranco Caretti per limitarci a due soli nomi). Tra questi fasti solo di sfuggita compare la memoria delle «violenze e volgarità fasciste». E per di più, quando compare, se ne dice «non parliamone», perché in fondo si coltiva l’ingiustificata illusione che «la scuola in gran parte si salva, sotto la vernice ufficiale; e più la scuola classica, che nonostante i tentativi di conquistarla e corromperla attraverso la retorica della romanità sarà sempre intimamente permeata dal culto della libertà e dall’ideale della cultura intesa come democrazia»14. E invece no: merita parlarne perché le cose, stando a quel che emerge da una meticolosa disamina dei documenti, andarono altrimenti. Del famoso consenso furono protagonisti proprio i “chierici”15, che diedero il loro sì a Mussolini e al fascismo e se ne fecero portavoce più o meno ossequienti; il meccanismo funzionò solo grazie alla partecipazione, in generale convinta, più raramente non meditata, di stuoli di intellettuali che si trasformarono in zelanti funzionari. Il nicodemismo, vero o presunto, che caratterizzò la loro adesione, è spesso una giustificazione posteriore. Non si dimentichi mai che quando il regime pretese da parte dei professori universitari un giuramento di fedeltà, su oltre milleduecento professori soltanto undici si rifiutarono e furono per questo dimessi dalla carica16. 11 Ivi, pp. 416-417. 12 «Essa consiste nel togliere al fascismo gli attributi che gli furono propri e che ne caratterizzarono l’individualità storica. La “defascitizzazione” del fascismo si manifesta in varie forme: negando, per esempio, che vi sia stata un’ideologia fascista, una classe dirigente fascista, un’adesione di massa al fascismo, un totalitarismo fascista e perfino un regime fascista». E. GENTILE, Fascismo. Storia e interpretazione, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. VII. 13 Cfr. A. CAMPANA, I primi cento anni del liceo di Cesena, in C. PEDRELLI (a cura di), Omaggio ad Augusto Campana, «Società di studi romagnoli», Cesena, Stilgraf, 2003, pp. 423-434. 14 A. CAMPANA, op. cit., p. 432. 15 Prendo a prestito l’espressione da J. BENDA, Il tradimento dei chierici, Torino, Einaudi, 1976. 16 Ernesto Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, Roma; Mario Carrara, Antropologia Criminale, Torino; Gaetano De Sanctis, Storia Antica, Roma; Giorgio Errera, Chimica, Pavia; Giorgio Levi della Vida, Lingue Semitiche, Roma; Piero Martinetti, Filosofia, Milano; Bartolo Nigrisoli, Chirurgia, Bologna; Francesco Ruffini, Diritto Ecclesiastico, Torino; Edoardo Ruffini-Avondo, Storia del Diritto, Perugia; Lionello Venturi, Storia dell’arte, Torino; Vito Volterra, Matematica, Roma. Su questo argomento si rimanda a G. BOATTI, Preferirei di no,Torino, Einaudi, 2001.

In queste pagine si cercherà di raccontare questa complessa vicenda e di affrontare questi intricati nodi problematici della nostra storia nazionale, inquadrandoli dall’osservatorio ridotto di una scuola di provincia, il Liceo ginnasio “Vincenzo Monti” di Cesena, ma con l’obiettivo da un lato di raccontare, soprattutto ai più giovani, un ventennio di storia italiana ed europea a torto o a ragione più citato che noto, dall’altro di indagare la vicenda generale dei rapporti tra scuola e fascismo, nella convinzione che «ogni questione scolastica è, in ultima analisi, una questione sociale e politica»17. Nel seguire questo percorso si è fatto ricorso all’archivio del liceo, dal momento che gli archivi scolastici vanno intesi sia come una fonte “non tradizionale”, ma anche come “luogo della memoria”, secondo la definizione proposta da alcuni studiosi che, dalla metà degli anni ‘80, ne stanno scoprendo le potenzialità al fine di ricostruire le singole realtà scolastiche in rapporto al più vasto e complesso contesto nazionale. L’angolazione qui scelta ha tuttavia una sua spinosità non solo per la difficoltà di confrontarsi con problemi storiografici ampi e vivacemente dibattuti (quali i rapporti tra politica e cultura, o l’esistenza stessa di una cultura fascista), ma anche per la vischiosità insita naturalmente in un oggetto di ricerca, il liceo classico cittadino, che è tuttora soggetto culturale attivo in seno alla comunità. L’intento è stato quello di riuscire a verificare, attraverso un excursus e una campionatura significativa di documenti (tratti principalmente dall’archivio della scuola18, ma provenienti anche dall’archivio storico comunale e dall’archivio del gabinetto di prefettura, dai giornali dell’epoca et cetera), quale doveva essere il clima della vita scolastica durante un arco di tempo che sarebbe stato decisivo nella vita di ciascun “attore sociale” in quegli anni, e che avrebbe lasciato molti segni nell’esperienza dell’intero paese. Se il fine ultimo del totalitarismo fascista tese a ridurre l’uomo a un ingranaggio della macchina dello stato, espropriandolo delle proprie facoltà critiche e della propria individualità per fonderlo in un soggetto collettivo capace di seguire incondizionatamente la volontà di un leader carismatico, per verificarlo sarà sicuramente interessante leggere questi ordinari documenti scolastici piuttosto che tanti ponderosi trattati, che nella loro astrattezza talvolta non restituiscono i fatti della vita quotidiana. Per di più così si capirà meglio che le regole del consenso filtrano nella società e si trasformano in convinzioni attraverso gruppi di pressione, associazioni di interessi, movimenti di opinione e istituzioni, che si servono dei nuovi codici di comunicazione di massa per suscitare e alimentare gli immaginari collettivi. La scuola fu ed è, tra essi, uno dei più incisivi, e la sua funzione legittimatrice del sistema politico-sociale è più marcata laddove sono assenti (o vengono meno) altre forme di legittimazione democratica. Soltanto andando a vedere, sul tavolo anatomico della ricerca storica, quali furono i meccanismi di persuasione dello stato totalitario fascista e la sua capacità di penetrazione nel ceto intellettuale medio, si può sperare di scongiurarne un nuovo avvento magari sotto altre spoglie, anche se il compito pare particolarmente arduo in un paese in cui storiografia e discorso pubblico sulla storia marciano da tempo su strade separate. Oggi infatti sempre più forte è l’impressione che sia in atto un’edulcorazione del fenomeno, dietro cui si nasconde una pelosa autoassoluzione collettiva ormai penetrata nella cultura di massa degli italiani. Anche con tali temi del presente questo modesto lavoro ha l’ambizione di confrontarsi. Ancora una volta, insomma, la favola parla di noi. Capitolo I Il contesto storico e statistico

17 G. SALVEMINI (1908) in J. CHARNITZKY , op. cit., p. XXI. 18 Tale archivio è conservato presso la sede del liceo, ma si presenta in condizioni pessime per il disordine, la collocazione e le gravi lacune (queste ultime per vicende di cui si dirà nel corso del lavoro). Una parziale catalogazione del materiale superstite era stata avviata qualche tempo fa (durante lo svolgimento della ricerca), ma, per quanto è dato sapere, non è mai stata conclusa.

Per cominciare questa ricostruzione, potrà essere utile svolgere una rapida e sommaria ricapitolazione della storia del liceo “Monti” e, contemporaneamente, rivolgere lo sguardo ad una serie di dati socio-statistici che possono aiutare a restituire una corretta dimensione quantitativa al fenomeno di cui iniziamo ad occuparci. Il regio liceo provinciale fu istituito a Cesena il 7 novembre 1860 e solo dal 1866 esso venne intitolato al poeta di Alfonsine Vincenzo Monti. La legge 13 novembre 1859 n. 3275, che prese il nome dal conte Gabrio Casati, responsabile del dicastero dell’istruzione nel governo La Marmora, prevedeva infatti l’istituzione di un liceo (all’epoca senz’altri attributi) in ognuna delle nuove province. A favore dell’individuazione di Cesena come sede giocarono la collocazione intermedia tra Forlì e Rimini, la disponibilità immediata di una sede idonea, l’azione di illustri cesenati attivi nella politica nazionale (quali Gaspare Finali, Maurizio Bufalini, Saladino Saladini), la tradizione di una antica università attiva almeno dal tardo Cinquecento sino al 17 novembre 180019. Quella legge stabilì un allargamento dei programmi, affermò il principio di gratuità, superò la distinzione fra i sessi e richiese un’adeguata preparazione per gli insegnanti, che prima rispondevano esclusivamente alla chiesa o ai privati, cui era sostanzialmente demandata la cura dell’istruzione20. Ma certo l’Italia nata dal Risorgimento era un paese di analfabeti (dal momento che nel 1861 la percentuale di chi non sapeva leggere né scrivere arrivava all’80% della popolazione, con significative differenze tra il nord, dove la percentuale si abbassava al 50%, e sud del paese, dove invece la percentuale superava il 90%)21 e non fu certo quella legge a segnare una svolta significativa. Caduta la destra storica, i nuovi indirizzi in tema di politiche scolastiche furono dati dalla legge del 15 luglio 1877 n. 3961, che porta il nome del suo presentatore, il ministro Michele Coppino, responsabile del dicastero nel governo Depretis. Essa cercava di rendere efficiente il principio dell’obbligatorietà dell’istruzione già stabilito nella legge Casati, ma soprattutto tentava di dare alla scuola un indirizzo maggiormente laico, escludendo la religione dal novero delle materie oggetto di esame e introducendo nel corso elementare inferiore le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino. Per quel che riguarda Cesena, osserveremo come in quegli anni un decreto governativo del 1 ottobre 1887 convertì il ginnasio comunale in ginnasio regio, così che fu costituito un unico istituto classico intitolato “Regio liceo ginnasio Vincenzo Monti” sotto la direzione di un solo capo di istituto. A quell’epoca (secondo quanto emerge dal censimento del 1881) la popolazione del comune di Cesena era di 38.295 abitanti, che arrivavano a 89.304 con quella del circondario: tra questi, 68.639 (33.374 maschi e 35.265 femmine) erano analfabeti, 1.411 quelli che sapevano leggere, 19.254 quelli che sapevano anche scrivere22. La percentuale degli analfabeti raggiungeva dunque una media del 76,86% (a fronte di un 67,26% di media nazionale) con punte assai più elevate nelle campagne. Questi dati – e più in generale il profilo sociale e culturale del cesenate – sembrano confermare che alla fine dell’Ottocento la situazione locale presentava, acutizzandoli, caratteri di analogia con quella delle altre parti dell’Italia dell’epoca: anche qui la questione scolastica era strettamente legata alle condizioni sociali della popolazione, che, per la maggior parte contadina, viveva sparsa nelle

19 Cfr. A. CAMPANA, op. cit. 20 «Nello Stato pontificio, a partire dal 1824, era stato creato da Leone XII (Bolla Quod Divina Sapientia) la sacra congregazione degli studi con il compito di presiedere alla pubblica istruzione. L’anno dopo venne emanato il Regolamento sull'ordinamento scolastico. Esso prevedeva tre tipi di scuole: private, religiose e regionarie, inserite in una tradizione secolare docente. Tra l’altro, il maestro, per esercitare la sua professione, doveva essere cittadino dello Stato, credente e praticante, e munito di una licenza rilasciata dal vescovo, che fissava anche il suo stipendio. Giova aggiungere, infine, che dopo il breve periodo “liberale” di Pio IX un consiglio di censura, costituito in ogni diocesi e presieduto dal vescovo, esaminava minutamente i libri di testo in sospetto di eresie politiche e religiose» (G. INZERILLO, op. cit., p. 33). 21 Sull’argomento si rimanda a T. DE MAURO, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1984. 22 Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, Popolazione. Movimento dello stato civile, Roma, Tipografia Elzeviriana, 1882, p. 5.

campagne e nei casolari; l’analfabetismo era caratteristico della secolare minorità di questi ceti e le dure condizioni di lavoro nei campi avevano favorito il radicarsi di forti resistenze verso l’istruzione e la cultura. Ma in quegli stessi anni le cose cominciavano a cambiare anche in ambito locale, e si diffondevano sempre più le esigenze di istruzione e scolarizzazione, favorite anche dal contemporaneo affermarsi dei movimenti politici popolari e progressisti23: a partire dal 1882 a Cesena, oltre al liceo, c’era una Scuola agraria (cui, dalla riforma Gentile del 1923, venne annesso un convitto e da Scuola pratica di agricoltura divenne Scuola agraria media. «A cavallo degli anni Trenta [essa] diploma mediamente 18-20 tecnici all’anno, mentre il numero di iscritti si aggira sui 70-80 studenti»24). Il fermento e l’attivismo del liceo dell’epoca sono testimoniati da una serie di iniziative politiche ed editoriali che vedono protagonisti gli stessi studenti: «Quella di un giornale romagnolo socialista è l’idea fissa anche di alcuni giovani socialisti di mente sveglia, allievi del Liceo “Vincenzo Monti” di Cesena, Alessandro Balducci, Umberto Brunelli, i quali già quando sedevano sui banchi del Ginnasio, insieme ad altri quattro compagni di scuola, tra cui Giuseppe Lauli cesenate, si erano fatti notare in manifestazioni solidarizzanti con gli studenti francesi per la protesta “contro le mene degli ultramontani” (“Satana”, n. 47, 26 maggio 1877). Essi hanno tentato di tenere in vita due giornalini realizzati in poligrafo, “Lo Scapestrato” e “L’Atleta”, dei quali, purtroppo, non si è conservato nemmeno un esemplare, esattamente com’è avvenuto per “L’Indipendente”. Quando si affianca loro Carlo Rotondi dan vita al periodico “Catilina”, nel nome di un personaggio della Sinistra popolare romana, che era parso alla loro “giovane mente, piena di classici ricordi, il prototipo di cospiratori, degno di rappresentare” le loro aspirazioni»25. Vi è poi «la notizia data dai giornali, relativa alla sospensione degli studenti del Liceo Classico cesenate, ordinata dal preside “sino a nuova disposizione” per punirli di avere festeggiato la Comune di Parigi il 19 marzo [1879] (lunedì)»26. Infine non mancano i professori, come apprendiamo dalle «iniziative che prendono i fratelli Gargano, socialisti, i quali aggiungono alla tipografia e alla legatoria un negozio di libri, una biblioteca circolante, una casa editrice (contrada Dandini 5), la quale pubblica, sì, opere popolari quali quelle della marchesa Colombi, ma, nel biennio 1880-1881, aggiunge un volume di racconti scritti dal dalmata Bruno Sperani (Speratz), lo Statuto fondamentale del Regno d’Italia: I volume (Dello Stato e della Monarchia), opera del concittadino Giovanni Urtoller, nonché Sul Principe del Machiavelli, importante saggio, di cui è autore Pietro Morelli, professore del locale Liceo»27. Se nel 1894, su una popolazione del comune di 44.128 abitanti, gli alunni iscritti alle varie scuole erano 3.622 (per 147 insegnanti complessivi), di cui 82 al Regio Liceo-Ginnasio28, col trascorrere

23 Nello statuto-regolamento cesenate della Federazione emiliano-romagnola della FIAIL all’art. 10 si ammoniva che «i soci padri di famiglia hanno l’obbligo ed il dovere di mandare i loro figli alle scuole elementari e professionali»; all’art. 13 che «un socio che trascurasse la propria famiglia, non facesse istruire i propri figli, mancasse di rispetto ai suoi genitori, malmenasse la moglie, si abbandonasse all’ozio, al gioco, all’ubriachezza, al mal costume verrà espulso dalla Sezione» (cfr. S. SOZZI, La sezione cesenate della F.I.A.I.L. (Federazione Italiana Associazione Internazionale Lavoratori) 1872-1881, Cesena, Circolo “R. Morandi”, 1981). 24 M. LODOVICI, Economia e classi sociali a Cesena dal 1922 al 1948, in A. VARNI, B. DRADI MARALDI (a cura di), Storia di Cesena, vol. IV (Ottocento e Novecento), tomo 3 (1922-1970), Rimini, Bruno Ghgi Editore, 1994, pp. 331-332. 25 S. SOZZI, La sezione cesenate della F.I.A.I.L., cit., p. 88. 26 «(“Satana”, n. 37, 22 marzo 1879). E’ un gruppo capeggiato da Umberto Brunelli, il quale appartiene a famiglia riminese di probabile discendenza cesenate, residente a Cesena per motivi di lavoro dal 1861 al 1866, anno in cui si è trasferita a Sogliano al Rubicone. Nato in via del Teatro il 15 ottobre 1861, Umberto è ritornato nella città per gli studi completati poi a Bologna alla facoltà di medicina. E’ un giovane che si mantiene a contatto con l’ex compagno di studi Rotondi, di cui diventerà uno dei più attivi collaboratori» (Ivi, p. 52). 27 Ivi, p 69. 28 Cfr. Comune di Cesena, Ufficio di stato civile. Rassegna annuale del movimento della popolazione, Cesena, Tipografia Bettini, 1895. 100 erano gli iscritti alla scuola tecnica, 35 alla reale scuola pratica d’agricoltura, 2788 alle scuole elementari, 47 alle scuole di musica, 18 all’orfanotrofio maschile, 112 a quello femminile, 180 all’asilo

degli anni le politiche scolastiche liberali cominciavano a dare i primi frutti per quanto riguarda la lotta all’analfabetismo: nel 1901 la provincia di Forlì registrava un tasso di analfabetismo del 59%; «nel circondario di Cesena, nel 1901, su 97.669 persone censite, 52.180 risultarono analfabete, 31.152 sapevano leggere. Nel solo comune di Cesena, la situazione si presentava in questo modo: su 42.509 abitanti, 27.752 erano analfabeti (63,81%); in città, dove le comunicazioni erano più facili, l’analfabetismo era del 30,91%»29. L’8 luglio 1904 fu varata una nuova legge (n. 407) intitolata Provvedimento per la scuola e per i maestri, che prese nome dal ministro della pubblica istruzione Vittorio Emanuele Orlando. Essa migliorò le tristissime condizioni economiche dei maestri, eliminò la differenza fra grado superiore ed inferiore, stabilì minimi di stipendio, estese l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età (e di conseguenza si crearono il quinto e il sesto corso elementare), favorì l’istituzione delle scuole serali e festive. Da quello stesso anno in città cominciò a funzionare una Scuola d’arte applicata all’industria, che nell’anno successivo, «(R.D. 21 dicembre 1905) per interessamento dell’On. Ubaldo Comandini, fu trasformata in R. Scuola Industriale con una sezione per fabbri-meccanici, una per falegnami intagliatori ed una per lavoranti in giocattoli»30. Nel 1908, su una popolazione di 47.718 persone, 45 frequentavano il Regio Ginnasio e 9 il Regio Liceo31. Nel 1911 i residenti presenti a Cesena erano 46.445 e gli iscritti al liceo ginnasio circa 90; dieci anni dopo i residenti erano 50.875, di cui gli studenti del liceo ginnasio 190 circa32; nel 1931 la popolazione comunale era salita al numero di 60.93833 e, mancando i dati degli studenti del ginnasio-liceo, si può solo ipotizzare una crescita proporzionale degli iscritti . Sappiamo invece che «il liceo-ginnasio “V. Monti”, che sorge in piazza Bufalini a fianco della scuola elementare “E. Fabbri” e alla Biblioteca Malatestiana, accoglie a metà degli anni Venti circa 130-150 studenti»34. Ma più in generale «il volto di Cesena, fra il 1921 e il 1925, è sensibilmente mutato. E non solo dal punto di vista politico. Gli abitanti della città sono cresciuti da 13.827 a ben 21.028 unità, e anche il numero dei fabbricati, la cui costruzione è stata agevolata dalla legislazione post-bellica, appare sensibilmente cresciuto»35. Dal 1931 apre i battenti anche un Istituto commerciale intitolato a Renato Serra36. Al censimento del 1936, l’ultimo prima della guerra, la popolazione residente nel comune di Cesena era di 61.314, di cui 10.292 i giovani nati tra il 1917 e il 1925, cioè in età adatta alla frequenza del

d’infanzia, 102 alle scuole del seminario, 32 all’istituto Artigianelli, 22 all’educandato della “Provvidenza”, 104 all’educandato della “Sacra famiglia”. 29 M. MONTALTI, Cesena agli inizi del secolo XX, tesi di laurea inedita conservata presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, aa. 1972/73, relatore prof. R. Molinelli, p. 105. 30 E. BIAGI, La R. Scuola industriale di Cesena dal 1918 al 1925, Cesena, Stab. Tip. G. Calboli e Figli, 1926, p. 15. «Nel 1924, dopo la “riforma Gentile”, la scuola è suddivisa in tre corsi: avviamento (post-elementare), tirocinio e perfezionamento. Il corso di tirocinio ha due sezioni (triennali) di falegnameria e meccanica, due corsi annuali per radioelettricisti e radiotelegrafisti militari, […] e una scuola serale per muratori. Il settore meccanico è di gran lunga il più frequentato con una media di 50-60 iscritti (12-15diplomati) nel decennio 1924-1933, mentre nello stesso periodo concludono il triennio di avviamento poco più di 20 studenti […] su una base di iscritti che balza dai 49 del 1924-1925 ai 130-140 del periodo 1926-1932» (M. LODOVICI, op. cit., p. 332). 31 M. MONTALTI, op. cit., p.107. Ibid: «111 frequentavano la scuola tecnica, 60 la scuola industriale, 46 la scuola pratica di agricoltura, 37 la scuola professionale femminile, 40 le scuole musicali comunali». 32 I dati relativi alla popolazione scolastica del liceo sono ricavati da R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per l’ anno scolastico 1923-24, cit., p. 12. In quel medesimo a.s. gli insegnanti erano 15. 33 Istituto Centrale di Statistica, Popolazione residente e presente dei Comuni. Censimenti dal 1861 al 1971, Tomo 2 – Circoscrizioni territoriali alla data di ciascun censimento, Roma, 1977, pp. 288-291. 34 M. LODOVICI, op.cit., p. 332. 35 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), in Storia di Cesena, cit., vol. IV, p. 736. 36 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, L’Istituto tecnico Renato Serra (1931-1981), Cesena, 1981. Non sarà inutile, nel contesto di queste pagine, ricordare che il primo nome cui si pensò per l’intitolazione dell’istituto (possibilità esplicitamente vietata da alcune circolari del 1923 e 1925) fu quello di Benito Mussolini, circostanza che, se si considera che in città già l’Istituto agrario portava il nome dello scomparso fratello del duce, Sandro, è un bel record di zelo e piaggeria.

ginnasio e del liceo (dagli undici ai diciannove anni)37. Assai difficile è valutare quanti di costoro fossero, a quella data, iscritti al ginnasio-liceo e quanti ne venissero dai comuni vicini, ma non si andrà troppo lontano dal vero se si ipotizza una popolazione scolastica inferiore, ma non lontana, dal numero di duecento alunni. Infine, per concludere questo capitolo, un dato che può essere interessante valutare è quello del costo di un corso di studi completo (ossia fino al conseguimento del diploma finale) nei diversi settori dell’istruzione secondaria, riferito all’anno 1935: - ginnasio e liceo classico: Lit. 3.700 - istituto magistrale: da Lit. 1.610 a Lit. 2.400 - scuola di avviamento al lavoro: Lit. 50 - diplomarsi geometri o ragionieri costava Lit. 2.136 - chi terminava gli studi al grado inferiore degli istituto tecnici pagava in tutto Lit. 1.038. Per una più corretta valutazione di questi importi, ricordiamo che gli stipendi di quegli anni erano approssimativamente i seguenti: - paga mensile di un contadino lire 90 - di un operaio 200 - di impiegato 270 - di ragioniere impiegato 350 - di alto dirigente dalle 900 alle 1000 lire mensili38. Non è strano quindi che, nei primi anni Trenta, la popolazione universitaria in Italia fosse decisamente esigua: precisamente nel 1932 gli studenti universitari erano in totale 51.797, quanti ne conta oggi un ateneo di medie dimensioni (su una popolazione residente di circa 40 milioni, inferiore quindi solo del 25% all’attuale popolazione). Capitolo II La presa del potere e la costruzione del consenso (gli anni Venti) La prima notizia che riguarda la vicenda sulla quale qui si intende indagare non è, a rigore, compresa nell’arco di tempo prescelto, ma risulterà significativa alla luce degli avvenimenti successivi. Infatti nell’anno scolastico 1919-1920, dunque ben prima della fatidica marcia su Roma, alla III sessione straordinaria per i candidati militari, svoltasi tra il settembre e l’ottobre 1920 partecipò (al turno del 20-30 ottobre 1920) anche Italo Balbo (di Camillo, nato a Ferrara il 6 giugno 1896) all’epoca residente a Pinzano al Tagliamento (UD), venendo, unico su 14 esaminati, respinto dalla commissione esaminatrice del “Monti”39. Purtroppo la seconda calata del ras di Ferrara nel Cesenate fu invece di tutt’altro tenore e, soprattutto, ebbe un esito decisamente diverso: quando il 27 luglio 1922 venne ucciso a Cesenatico il fascista Clearco Montanari, «alla testa della sua “colonna di fuoco”, [Balbo] piombò sulla Romagna “rossa”, distruggendo, uccidendo, bruciando. Furono devastate le Camere del Lavoro “confederali” di Cesenatico, Santarcangelo, Savignano, e di altre frazioni del Ravennate e del Cesenate»40 in un’azione devastatrice che ebbe termine solo il 30 luglio successivo.

37 Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, VIII censimento generale della popolazione. 21 aprile 1936-XIV, vol. II – Province, fascicolo 38 – provincia di Forlì, Roma, Tipografia Failli, 1937. 38 I dati sono presi da P. DEOTTO, Dalla camicia nera…alla cultura grigia, in «Storia in Network», giugno 2000. Per rapportare questi importi ai valori monetari del 2002, si moltiplichi la cifra per il coefficiente 1.788,6976 (relativo all’anno 1935); il risultato andrà poi diviso per 1936,27, in modo da convertire il valore in euro (da P. P. MAGALOTTI, a cura di, L’inchiesta agraria “Jacini” nel circondario cesenate, Cesena, Stilgraf, 2004). 39 Archivio del liceo classico “Vincenzo Monti” di Cesena (d’ora in avanti ALM), A.S. 1919-1920, III Sessione straordinaria per i candidati militari – Settembre/Ottobre 1920, Esami di licenza liceale, Sezione Classica, Registro dei voti. 40 R. BALZANI , Il primo dopoguerra. Dal declino del municipalismo repubblicano all’avvento delle amministrazioni fasciste, in Storia di Cesena, cit., vol. IV, pp. 78-79.

Infine vi fu almeno uno terzo passaggio del quadrunviro ferrarese a Cesena in occasione di una sua visita, oramai in veste di membro del governo nazionale, al corso per radioelettricisti e radiotelegrafisti militari della Scuola industriale cittadina41. Così scriveva il segretario del fascio cittadino, Attilio Biagini42, «a tutti i direttori degli istituti scolastici e di educazione di Cesena il 29 maggio 1926: il giorno 6 Giugno sarà a Cesena S.E. il Generale ITALO BALBO Sottosegretario di Stato all’Economia Nazionale, figura eminente del regime Fascista, condottiero delle invitte Legioni nella Marcia su Roma. Il Fascio di Cesena rinato a nuova vita, vuole degnamente onorare S.E. Balbo e vuole che queste onoranze siano incentivo alle nuove generazioni, vuole che i giovani abbiano la visione di quello che sarà la grandiosa manifestazione di Cesena al Quadrunviro. Pertanto la S.V. è impegnata a fare si [sic] che tutto l’Istituto da lei diretto, (Insegnanti, alunni, bidelli ed inservienti) partecipi inquadrato e sotto il vessillo della Patria alla manifestazione del 6 Giugno. L’avvertiamo per tempo perché Ella possa ottenere la migliore organizzazione e pure tempestivamente Le faremo avere il programma della cerimonia»43. Due giorni dopo il preside del liceo assicurò «che questa scuola interverrà al completo alla manifestazione»44. Ma riprendiamo il filo cronologico, sul quale si disporrà questa nostra narrazione, e osserviamo come nel volgere di pochi anni da quell’a.s. 1919/1920 (in cui un Italo Balbo poteva ancora essere “impunemente” bocciato) la situazione cambiò rapidamente: a seguito della pressione esercitata dalle truppe mussoliniane su Roma (28 ottobre 1922), il re, invece di schierare l’esercito contro gli eversori, affidò al fondatore dei Fasci di combattimento (costituitisi in partito nel novembre 1921 con il congresso di Roma) il compito di formare il nuovo governo. Nella mitologia fascista questa data venne subito presentata come epocale e palingenetica, e la scuola avrebbe prontamente obbedito alle richieste celebrative. Il 28 ottobre 1925 al liceo di Cesena «il Prof. Giovanni Forgiarini dinanzi al corpo insegnante e a tutti gli alunni commemora la data della marcia su Roma»45. Probabilmente la scelta era ricaduta sul suo nome in quanto il prof. Forgiarini aveva aderito al Pnf già dal dicembre 192346 e aveva già da prima del “golpe” fascista interpretato con zelo patriottico il ruolo di celebratore ufficiale delle ricorrenze civili. Appena conquistato il potere, il fascismo, come si è detto, si dedicò subito ad un’azione capillare e penetrante sul mondo della scuola, mettendo a capo della Minerva47 un intellettuale di riconosciuta fama: Giovanni Gentile. Egli fu l’autore di una riforma scolastica a matrice idealistica e conservatrice (varata col R. D. n. 1050 del 6 maggio 1923) che diede una profonda impronta ideologica e classista alla scuola fascista (e successivamente repubblicana). Ma gli intenti e gli orientamenti ideologici di Gentile erano già stati efficacemente espressi nella circolare n. 64 del 25 novembre 1922 intitolata Per la disciplina nelle scuole, vera e propria pietra angolare della prassi del ministero dell’istruzione lungo tutto il ventennio. In essa, tra l’altro si legge: «Poiché la scuola è appunto dello Stato e della coscienza nazionale uno degli organi più delicati, in essa prima che altrove debbono prontamente inculcarsi e praticarsi il rispetto della legge, l’ordine, la disciplina, 41 La notizia è riportata da M. LODOVICI, op. cit., p. 332 senza specificare la data. «Il popolo di Romagna» di domenica 6 giugno 1926 riferisce di una visita di Balbo a Cesena per quello stesso giorno, ma senza far menzione del passaggio presso la scuola industriale. 42 Attilio Baigini il 27 febbraio 1927 si insedierà come primo podestà di Cesena, ma verrà rimosso il 15 ottobre 1928. 43 ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, Cat. E, cl. 4 Feste, inviti, beneficenza, prot. 529 29.05.1926. 44 Ibid. 45 R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per gli anni 1924-25 e 1925-26, Cesena, Tipografia Fratelli Tonti, 1927, p. 13. 46 ALM, scheda dello Stato personale del prof. Forgiarini Giovanni. 47 La sede del Ministero della pubblica istruzione, nota semplicemente come “la Minerva”, era collocata nell’edificio di un ex convento del XVI secolo, dove la tradizione vuole che fosse avvenuta l’abiura di Galileo Galilei. Solo con l'unificazione di Roma al Regno d'Italia l'edificio divenne sede del ministero, che ne occupò i locali fino alla seconda metà degli anni Venti, quando tale dicastero fu trasferito in Viale del Re (oggi Viale Trastevere). Dal 1991 vi è stata trasferita la Biblioteca del Senato, intitolata a Giovanni Spadolini.

l’obbedienza illuminata sì ma cordiale e devota all’autorità statale. In essa prima che altrove, in essa che forma il carattere, tempra l’ingegno e addestra le energie morali dei giovani ai futuri cimenti della vita deve cessare quel periodo di torbida irrequietezza che ha attraversato il paese negli ultimi anni. […] La mia opera può riuscire efficace solo a patto di poter contare sulla fervida e consapevole cooperazione di docenti e discenti». E per garantirsi la «fervida e consapevole cooperazione dei docenti» Gentile accrebbe notevolmente l’autorità dei provveditori, quali organi periferici del potere centrale, e anche quella dei presidi, il cui compito diventò principalmente quello di controllare e dirigere gli insegnanti dentro e fuori la scuola. «Il ruolo del preside, non particolarmente definito dalla legge Casati, era andato mano a mano rafforzandosi. Nei primi decenni dello Stato unitario gli si chiedeva soprattutto di essere un efficiente burocrate, dotato di bella grafia e di gusto per l’amministrazione. Nell’età giolittiana era stata vagheggiata la figura del preside capo che doveva agire da autorevole coordinatore didattico fra gli insegnanti. Con la legge Gentile diventa, secondo una felice espressione del Santoni Rugiu che riprende il linguaggio di una circolare, il preside-duce»48. Gentile, infatti, «toglie ai presidi ogni mansione didattica e rafforza, mediante le note di qualifica, il loro ruolo di controllo, anche ideologico, degli insegnanti. Lo stesso collegio dei docenti diventa un mero organo consultivo il cui unico compito è quello di ratificare decisioni già prese che scendono dall’alto e sono indiscutibili. Ai capi d’istituto inoltre compete l’obbligo di redigere con scrupolo e trasmettere annualmente ai provveditorati una nota informativa sull’attività didattica, sui meriti (o demeriti) professionali, sugli orientamenti ideologici nonché sulla moralità pubblica e privata dei docenti, obbedendo a tale consegna come res sacra, con militare devozione»49. Lo snaturamento del ruolo della scuola, e in essa degli insegnanti, è inoltre evidente nell’istituzione del giuramento di fedeltà allo Stato, che si trascina dietro tutta una serie di obblighi e condizionamenti50. Tra i motivi del successo del fascismo vi fu la capacità di sfruttare il malcontento che fece seguito alla fine della prima guerra mondiale: il mito della vittoria tradita e mutilata, e il fenomeno del reducismo crearono una miscela che la demagogia mussolinana fu in grado di catalizzare a proprio vantaggio politico. Anche in questo la nostra scuola, ossequiente, prese parte attiva: in occasione del 4 novembre 1925 «il chiarissimo Prof. Giovanni Forgiarini tenne una conferenza molto bella al R. Liceo in ricordo degli studenti morti in Guerra»51. Già dal 21 giugno 1919 era stata «inaugurata con solennità, nell’aula massima, una lapide che porta scolpiti i nomi dei giovani già appartenenti a questo Liceo-Ginnasio, caduti sul campo dell’onore. Essi sono: Costa Nicola, Bartoletti Pietro, Ghini Giovanni di Alberto, Marinelli Guido, Serra Renato, Arfelli Egidio, Amadori Giuseppe, Ricci Luigi, Borghesi Giacomo, Soldati Umberto, Pecci Gregorio, Ghini Pietro, Ghini Vittorio di Giovanni, Parisano Renato, Suzzi Alfredo, Vischia Giovanni, Abbondanza Saverio, Pascucci Silvio, Gualtieri Libero, Perugini Giovanni, Ferri Carlo». Cinque anni dopo, nel giugno 1924, questa lapide fu arricchita da «una cornice in marmo, che porta scolpite foglie di quercia e di alloro, simboli della forza giovanile e della gloria eterna»52.

48 G. RICUPERATI, La scuola italiana durante il fascismo, in L. PAZZAGLIA , R. SANI (a cura di), Società e scuola nell’Italia unita, Milano, Pubblicazioni dell’ISU, 1997, p. 271. 49 F. MACCAGNINI, Credere, obbedire, combattere. La scuola italiana sotto il fascismo, Varese, Arterigere, 2002, p. 28. 50 Eccone la formula: «Giuro che sarò fedele al Re e ai suoi Reali successori; che osserverò lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato; che non appartengo e non apparterò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concilii con i doveri del mio ufficio; che adempirò ai doveri stessi con diligenza e zelo, ispirando la mia azione al fine di educare i fanciulli affidatimi al culto della Patria e all’ossequio delle istituzioni dello Stato». Il reale significato politico di questa formula fu illustrato dalla relazione governativa che presentò il decreto, secondo la quale tra Stato e impiegato c’era un rapporto di fedeltà che «solo può contrarre colui che, per la sua mentalità e per le sue inclinazioni, viva ed agisca conformemente alle tendenze ideali e pratiche che sono proprie dell’amministrazione» (in M. D’A MELIO – a cura di – Nuovo digesto italiano, vol. VI, Torino, Utet, 1938, p. 378). 51 «Il Risveglio», 15 novembre 1925, A. IV, n. 40, p. 3. 52 R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per l’anno scolastico 1923-24, cit., p. 19.

«Creati e istituzionalizzati nell’immediato primo dopoguerra, i primi rituali della memoria bellica furono una delle forme più eclatanti di espressione di quel corale culto dei caduti che divenne l’epicentro di una religione civile di massa»53. Ben presto il cerimoniale di queste celebrazioni prese a strutturarsi e, a seguito di numerose circolari, venne a costituirsi un rituale rigido e ripetitivo: con la circolare n. 4 del 15 gennaio 1923 (firmata dal sottosegretario di Stato per l’istruzione, Dario Lupi), intitolata Viali o parchi della Rimembranza, si sottolineava l’importanza di onorare i caduti della grande guerra con alberi votivi e di insegnare agli alunni il culto degli eroi. Ma è con la circolare n. 13 del 13 febbraio 1923, recante lo stesso titolo della precedente, che si compie un ulteriore passo in avanti nella identificazione di patria e fascismo: «poiché l’aspra e amara e sanguinosa battaglia combattuta contro il bolscevismo deve, sotto l’aspetto storico e nazionale, considerarsi come la continuazione della guerra lunga ed eroica conchiusa e suggellata epicamente con la vittoria di Vittorio Veneto; e poiché la fede che condusse al sacrificio i martiri del fascismo è la stessa fede che circonfuse di gloria l’olocausto santo dei caduti in guerra, dispongo che alla memoria delle vittime fasciste siano decretati alberi votivi dove si è già costrutto o si sta per costruire il Parco o il Viale della Rimembranza»54. Il 15 dicembre 1923 Dario Lupi tornò sul tema della memoria dei caduti con la circolare n. 109 dal titolo Guardia d’onore ai monumenti ai Caduti ed ai Parchi della Rimembranza: «l’istituzione della guardia d’onore fu solo il primo passo verso la militarizzazione dell’educazione scolastica, avviata all’insegna del culto della patria e dei caduti, che trasformerà la scuola, attraverso successive riforme, in uno dei luoghi privilegiati per l’insegnamento dei dogmi e la pratica dei riti del culto del littorio»55. Momento caratteristico di queste cerimonie era il «saluto alla bandiera»: anche qui, però, l’identificazione tra fascismo e nazione era evidente, come ben spiega la circolare n. 90 del 26 ottobre 1923 intitolata appunto Saluto alla Bandiera e firmata dal solito Lupi: «Ad eliminare ogni possibile dubbio, chiarisco oggi che il saluto prescritto non può essere altro che quello nel quale rivive la nobile bellezza e la serena potenza della nostra tradizione, quello che meglio dice la cortesia, la dignità, il virile rispetto alla autorità della legge: e cioè il saluto romano». D’altronde a sottolineare la fagocitazione da parte del fascismo di una celebrazione genericamente patriottica, si osservino le parole del sottosegretario di stato Bodrero sulla legge del 9 dicembre 1923 che costituiva la guardia d’onore ai monumenti ai caduti: «È mio intendimento che questa legge, squisitamente fascista, abbia piena e rigorosa attuazione. Desidero pertanto che […] le SS. LL. procedano alla designazione degli alunni e delle alunne meritevoli della nomina a “Guardia d’onore”, dando alla nomina stessa quel carattere di solennità che le si conviene»56. Ecco come questa disposizione venne recepita dal preside del “Monti”: «In osservanza delle disposizioni ministeriali date con varie circolari, nel febbraio 1924 si procedette alla designazione degli alunni destinati a costituire la guardia d’onore al parco della rimembranza per l’anno 1924. Fra i migliori furono scelti due per ognuna delle prime tre classi ginnasiali. Eccone i nomi: Calandrini Giovanni e Domeniconi Antonio di 1° ginnasiale; Pedrelli Vicino e Sozzi Sigfrido di 2° ginnasiale; Giunchi Enrico e Landi Lando Corrado di 3° ginnasiale. Fu fornito loro il distintivo e il relativo diploma»57. Quando successivamente verranno istituite le associazioni giovanili fasciste, la partecipazione alle loro attività conferirà motivo di merito preferenziale per la nomina.

53 M. RIDOLFI, Le feste nazionali, Bologna, il Mulino, 2003, p. 61. 54 «Bollettino Ufficiale» del Ministero della pubblica istruzione, Roma, Libreria dello Stato, 1923, p. 425. 55 E. GENTILE, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 62. 56 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1926/27 Cat. A B C D, cat. B, cl. 4 – Alunni Informazioni ecc., prot. 407. 57 R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per l’anno scolastico 1923-24, cit., p. 35. E qui, forse, non sarà privo di una qualche ironia ricordare che Sigfrido Sozzi, all’epoca quattordicenne, era il fratello minore di Gastone, il giovane dirigente comunista cesenate, che in quegli stessi anni si era rifugiato in Russia perché ricercato dalle autorità di polizia e dagli squadristi fascisti a causa dei drammatici fatti di Cesenatico seguiti alla morte di Clearco Montanari nel luglio 1922.

La cerimonia novembrina aveva un suo naturale corollario nella commemorazione dello scoppio della guerra: il 24 maggio 1926 «11° anniversario dell’entrata dell’Italia nel conflitto europeo è stato festeggiato nella nostra città con due cerimonie […]. Nella mattinata al R. Liceo sono stati commemorati gli ex alunni immolatisi per la Patria, ed in onore dei più valorosi sono stati inaugurati ricordi marmorei: un busto per Renato Serra, lapidi per Saverio Abbondanza, Pietro Bartoletti, Vittorio Ghini, Umberto Soldati, Umberto Suzzi, a ciascuno dei quali è stata intitolata un’aula. Pronunciarono applauditi discorsi il Preside cav. prof. Bottari, ed il docente di Storia prof. Forgiarini»58. Insieme alla commemorazione dei martiri cittadini, la scuola italiana era impegnata anche sul fronte della celebrazione degli eroi nazionali dell’irredentismo, primo tra tutti Cesare Battisti, per il quale, secondo le parole del preside, che diffonde la proposta di colletta contenuta nella circolare ministeriale n. 10 del 10 febbraio 1926, «la scuola italiana dovrà accogliere con entusiasmo la proposta del Capo del Governo di concorrere alla erezione in Bolzano di un monumento»59. Riprendendo ora l’ordine cronologico che abbiamo scelto per questa esposizione, sarà bene ricordare come, in seguito all’assassinio Matteotti60, il regime attraversò alcuni mesi di sbandamento e confusione incalzato dall’indignazione che quel fatto aveva suscitato nel Paese e dalla scelta aventiniana delle opposizioni. Tangibile segno di questo momento di incertezza si può leggere anche nel riassetto avvenuto nei ranghi della Minerva, dove il primo luglio 1924 Gentile venne allontanato dall’incarico. Fu sostituito per pochi mesi dal liberale conservatore Alessandro Casati, il quale, però, si dimise il 5 gennaio 1925, cioè due giorni dopo il discorso mussoliniano che segnò la drastica svolta autoritaria. A volerli cogliere, c’erano già tutti i segni della degenerazione, proprio nei ranghi della scuola, ma non tutti avevano antenne così sensibili. Da una lettera che il fratello di Sigfrido Sozzi, Gastone, gli scrisse dalla Russia nell’estate del 1924, abbiamo alcune informazioni e sulla formazione culturale di questo giovane antifascista e sul clima che andava informando di sé la scuola italiana: «Mi viene da ridere quando racconti del tuo professore che parla sempre di santi e di madonne. Questo è conforme allo spirito dei tempi nuovi e forse fa parte del programma scolastico. Ma perché tu non gli fai un bello scherzo? Ora, quando riprenderanno le lezioni ed egli rinnoverà le sue filastrocche sui Sacramenti e le sue letture a fine nazionale tu scriverai una bella letterina, senza orgoglio e senza presunzione, all’“Unità” dove metterai alla berlina quell’impiastro di professore e farai risaltare come regnando l’imperatore Mussolini, nel tuo ginnasio la storia è diventata il racconto della vita dei santi, la geografia la descrizione dei viaggi dei missionari, la lingua il mezzo per imbottire i crani dei giovani scolari di menzogne. E scriverai firmando: uno scolaro di III ginnasio»61. «Il professore, cui si riferiva, era Adolfo De Pol, bellissima figura d’insegnante, uomo di grande cultura e di perfetta dedizione al dovere. De Pol apparteneva all’ordine francescano terziario e rivelava la passione che l’avvinceva alla Chiesa ad ogni istante, durante le ore d’insegnamento, sia nel modo di presentare I promessi sposi, lettura fatta in classe almeno un’ora al giorno, sia in quello

58 «Il popolo di Romagna», 6 giugno 1926, p. 6. 59 ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E, cl. 6 – Circolari, avvisi, comunicazioni diverse, 2 marzo 1926. 60 Il deputato socialista Giacomo Mattetotti in uno storico discorso del 30 maggio 1924 aveva denunciato alla Camera le intimidazioni e i brogli avvenuti durante le elezioni. Per questo motivo fu sequestrato e ucciso dai fascisti guidati da Amerigo Dùmini la mattina del 10 giugno, anche se il suo cadavere venne ritrovato solo il 16 agosto successivo. Di questo gravissimo atto, dopo mesi di incertezze e titubanze, si assunse pienamente la responsabilità Mussolini col discorso del 3 gennaio 1925, che segnò il passaggio alla definitiva soppressione del regime parlamentare. Sull’argomento si rimanda a G. MAYDA , Il pugnale di Mussolini. Storia di Amerigo Dùmini, Bologna, Il Mulino, 2004. 61 F. CHILANTI , Gastone Sozzi, Roma, Editori Riuniti, 1955 (ma qui citato nella riedizione di Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2003, p. 144).

di commentare i classici greci e latini. Sigfrido provava un profondo rispetto per quell’uomo dalla figura severa, imponente (barba nera fluente alla francescana), bonaria anche se apparentemente burbera, di cui avvertiva la sincerità dei sentimenti, ma non era ben disposto verso i continui riferimenti a soggetti religiosi, con cui il professore intercalava i suoi discorsi letterari e filosofici. Ne aveva scritto al fratello. Non si risolse, tuttavia, ad accoglierne il consiglio di scriverne a “L’Unità”, giornale che aveva cominciato a leggere durante l’estate, specialmente in riflesso al caso Matteotti»62. I due fratelli erano in contatto epistolare e il maggiore, impegnato nella scuola di partito sovietica, forniva nelle sue appassionate lettere al minore, ancora impegnato negli studi ginnasiali, fecondi spunti di critica allo stato delle cose. E questa è l’unica voce di dissenso che un giovane liceale poteva ascoltare a Cesena (o almeno è l’unica che abbiamo trovato63). Il 3 novembre 1924 «con grande solennità alla presenza delle autorità cittadine, di molto pubblico e di tutte le scuole è celebrato l’anniversario della vittoria di Vittorio Veneto e vengono ricordati gli ex alunni caduti in guerra. Dopo brevi parole del Capo-Istituto, il Prof. Giuseppe Partisani fa in particolare la commemorazione del grande concittadino Renato Serra, già alunno di questa scuola, al quale fu intitolata l’Aula Magna». Il giorno successivo «tutto il Liceo Ginnasio, Insegnanti ed alunni con la bandiera, prende parte alla cerimonia civile e militare che è tenuta al parco della Rimembranza»64. Un altro retaggio della grande guerra era il debito contratto con gli Stati Uniti e nel novembre 1925 venne lanciata la “battaglia del dollaro”, prontamente raccolta nel liceo cesenate: si trattava per ogni insegnante d’Italia di donare un dollaro Usa ogni anno per cinque anni. Il 1925 è anche l’anno in cui iniziò la “battaglia del grano” per aumentare la produzione cerealicola e diminuire le importazioni che influivano sul passivo dei conti statali. Con essa cominciò a profilarsi quella politica economica di chiusura autarchica che avrebbe avuto il suo culmine negli anni Trenta dopo le sanzioni approvate contro l’Italia dalla Società delle Nazioni per l’aggressione all’Etiopia (1935). Anche la scuola registrò i primi timidi segnali di tale orientamento autarchico: con la circolare n. 114 del 15 novembre 1925 (Uso, nelle scuole, di matite e altri oggetti di cancelleria e produzione italiana) il ministro Fedele, constatato che nelle scuole esisteva il mal vezzo di consigliare agli alunni l’acquisto di materiali di marca straniera, sollecitò il personale a «favorire lo sviluppo e il perfezionamento della produzione nazionale»65. Tra le leggi che pretendevano di controllare i rischi di qualsivoglia opposizione, ce ne fu una del 26 novembre 1925 (la n. 2029) che stabiliva l’incompatibilità per gli impiegati pubblici di aderire alle associazioni segrete. Per questo motivo il 4 gennaio del 1926 il prefetto di Forlì richiedeva con comunicazione telegrafica di segnalare il personale «che in base perquisizioni eseguite aut altra

62 G. SOZZI, Lettere dalla Russia, Cesena, Circolo di Cultura «Rodolfo Morandi», 1975, pp. 66-67. 63 Mancano per il liceo cesenate, se si fa eccezione per il caso di don Ravaglia (di cui si parla più avanti), testimonianze del tenore di quelle trovate invece per il suo omologo forlivese: «Importante è stata anche l’influenza degli insegnanti e in primo luogo quella di mia zia Maria Colomba Bazzocchi insegnante di italiano al Liceo. Era una donna di grande fascino intellettuale ed ebbe un notevole peso nella mia educazione, come in quella di molti giovani, perché faceva ampiamente dell’antifascismo a scuola; tant’è vero che ebbe a subire parecchie indagini da parte dei fascisti. Con maggiore prudenza, ma certamente con uguale dirittura antifascista era il professore Missiroli, mio insegnante di storia e filosofia. Lo stesso Cattani, di matematica e fisica, era un feroce antifascista. C’era quindi un clima di antifascismo nel Liceo di Forlì» (Testimonianza di Laura Bazzocchi contenuta in M. VALDINOSI, Movimenti e lotte femminili nel forlivese 1943-1948, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Magistero, Tesi di laurea inedita, Relatore Prof. Enzo Santarelli, aa. 1982-83, pp. 171-172). Una testimonianza orale da me raccolta nel settembre 2004 in casa del Prof. Biagio Dradi Maraldi, che frequentò il liceo negli anni Trenta, conferma questa mancanza di critica alla dittatura dentro la scuola cesenate. 64 R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per gli anni scolastici 1924-25 e 1925-26, cit., p. 11. 65 «Bollettino Ufficiale» del Ministero della pubblica istruzione, Roma, Libreria dello Stato, 1925-26, pp. 3850-3851.

fonte risulti appartengano aut abbiano appartenuto associazioni segrete»66. Da un rapporto del 4 marzo 1926 del capitano dei carabinieri comandante della legione territoriale di Bologna, sappiamo che il professor Giuseppe Partisani, insegnante di lettere del liceo cesenate risultava appartenente alla loggia massonica cittadina67. Alla documentazione manca evidentemente una parte, perché in una risposta del 23 agosto 1926 della regia sottoprefettura di Cesena al prefetto, viene assicurato «che nessun funzionario dipendente dal Ministero della P. I. di questa città, si trovava nei casi contemplati dalla legge in oggetto»68. Dal 1 dicembre 1925 viene istituito l’obbligo del saluto romano fascista nei rapporti tra superiori ed inferiori anche al di fuori d’ufficio69. Tale norma (tratta dal Bollettino ufficiale P.I. vol. I, n. 8) era visibile riprodotta su un foglio per l’affissione insieme ai programmi per le varie specie d’esame d’idoneità, ammissione e maturità classica del febbraio 192670. Ma più in generale il fascismo seppe sfruttare a proprio vantaggio un vastissimo campionario di segni e simboli ai fini di una capillare penetrazione nell’immaginario nazionale: ad esempio già dal 1923 il simbolo del fascio viene impresso sulle monete «da una e da due lire, e, poco dopo, viene riportato sui francobolli emessi per l’anniversario dell’ “ascesa del governo nazionale”. Monete e francobolli: una valenza comunicativa immensa che, attraverso i soldi e la comunicazione postale, raggiunge, con un ossessivo martellamento, tutti»71. Cominciava così la lunga sequela di miti, riti e celebrazioni che dovevano servire anche a creare uno spirito unitario e militaresco nella nazione. Tra essi quello della romanità, rielaborata oltre che in funzione identitaria, anche per preparare il terreno alla svolta imperialista. Nell’aprile del 1926 il ministro Fedele emanò la circolare n. 25, dal titolo Giornata coloniale italiana, nella quale si informavano provveditori e presidi di un’iniziativa dell’Istituto Coloniale Italiano, approvata dal capo del governo, nella quale si stabiliva che il 21 aprile (natale di Roma72) di ogni anno sarebbe stata celebrata la giornata delle colonie in tutti i capoluoghi di ogni provincia del regno. In quella occasione sarebbero stati onorati i caduti «nell’esplorazione, nella conquista e nella colonizzazione africana», e ciò, secondo il ministro, avrebbe dovuto dimostrare inequivocabilmente «la maturità raggiunta dal nostro Paese nel campo della conquista e della colonizzazione ed essere un atto di fede nel nostro avvenire coloniale»73. Conseguentemente, a Cesena, il 20 aprile 1926 «il prof. Antonio Canalini commemora la giornata coloniale, cui è dedicato il Natale di Roma di quest’anno, parlando nella sala “R. Serra” dinanzi agli insegnanti e agli alunni tutti riuniti. Vengono eseguite alcune proiezioni di diapositive appositamente preparate per l’occasione»74. L’iniziativa riesce talmente bene che il 7 maggio 1926 il provveditore agli studi dell’Emilia in una sua lettera si compiace col preside per l’organizzazione della manifestazione75. A tal proposito si consideri che far maturare la “coscienza geografica” e coloniale nel cuore degli italiani venne avvertito già dalla classe dirigente liberale come stimolo alla politica di espansione

66 Archivio di Stato di Forlì (d’ora in avanti ASF), Prefettura - Archivio di gabinetto, busta 373, fasc. 15 – Dispensa dal servizio funzionari dello Stato. 67 Ibid. 68 Ibid. 69 Cfr. ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E, cl. 5 - Varie. 70 ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E, cl. 6 – Circolari, avvisi, comunicazioni diverse. 71 G. BOATTI, Anche monete e francobolli fecero trionfare il listone, in «ttL tuttoLibri», supplemento de «La stampa», 22 gennaio 2005, p. 7. 72 La festività del natale di Roma fu istituita nel 1923 in sostituzione del 1° maggio, festa del lavoro, che venne abolita. In tal modo si intendeva suggellare con ampia portata evocativa la dura e sanguinosa azione di repressione del movimento operaio e di distruzione delle sue organizzazioni e dei suoi istituti. Sulla questione si rimanda a M. RIDOLFI, op. cit., pp. 70-72. 73 «Bollettino Ufficiale» del Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, Libreria dello Stato, 1926, pp. 1416-1417. 74 R. Liceo Ginnasio “V. Monti” Cesena, Annuario per gli anni 1924-25 e 1925-26, cit., p. 13. 75 Cfr. ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. E, cl. 4 – Feste, inviti, beneficenza.

nazionale: la geografia e l’antropologia furono le scienze espansionistiche per eccellenza e le Società geografiche italiane, tutte nate nella seconda metà dell’Ottocento, offrirono un supporto informativo e organizzativo indispensabile alle iniziative imperialistiche dell’Italia, e si rivelarono un prezioso strumento di costruzione dell’identità nazionale, nel cui solco il fascismo si collocò perfettamente76. Altro aspetto che non va sottovalutato è il ricorso alla massiccia diffusione dell’icona del capo, secondo un progetto di personalizzazione della politica e di spregiudicato uso dei linguaggi del corpo, che facevano allora le prime prove in una società che scopriva la sua dimensione di massa. Mussolini aveva compreso infatti, a differenza degli esponenti della classe dirigente liberale, l’importanza della fisicità nei codici della comunicazione, intuendo come nella politica moderna l’essenza del messaggio risiede meno nel suo contenuto che nel modo in cui viene trasmesso. A tal proposito sarà interessante vedere come, il 27 maggio 1926, il preside Amerigo Bottari (già insegnante di matematica, con incarico di presidenza dal 1919) si rivolse al commissario regio del municipio pregandolo «di avere la cortesia di concedere anche a questo istituto scolastico almeno due ritratti di S. E. Benito Mussolini, uno per l’ufficio di presidenza e l’altro per la sala degli Insegnanti. Sarebbe desiderabile collocarne uno per ogni aula scolastica; ma, per ora, non oso domandarlo, trattandosi di una spesa non indifferente»77. Attraverso il topos retorico della preterizione il preside si metteva in buona luce presso le istituzioni fasciste cittadine mostrandosi ossequiente ammiratore del capo del governo (tanto da andare ben oltre le richieste di due soli ritratti), e contemporaneamente attento alle esigenze finanziarie dell’amministrazione. Ma quello che qui più preme sottolineare è come siamo agli inizi di quel percorso di moltiplicazione (o metastasi) dell’immagine del capo che sarà uno dei tratti distintivi delle dittature novecentesche. «Il fascismo italiano si situa alle origini di questa dinamica, o patologia che dir la si voglia: serve dunque allo storico da laboratorio per studiare i nessi fra immagine del corpo e sviluppo del totalitarismo»78. Potrà servire a confermare questa intuizione sul ruolo che ebbe il corpo del capo nella costruzione anche di una liturgia del fascismo, in una sorta di scivolamento verso territori propri del sacro che trasformavano il corpo in vera e propria reliquia laica, il comportamento pubblico che fece seguito agli attentati subiti da Mussolini. Il 6 novembre 1925 alle ore 16 si svolse una manifestazione cittadina, cui partecipò tutta la scuola, per festeggiare lo scampato pericolo del duce79. Sabato 10 aprile 1926 il preside ricordava che l’indomani «alle ore 18 vi sarà in Duomo un Te Deum di ringraziamento per lo scampato pericolo di S.E. il primo Ministro, l’On. B. Mussolini. Dovrà intervenire alla cerimonia una larga rappresentanza di questa scuola»80. Il Regio Provveditorato agli studi dell’Emilia l’11 settembre 1926 scrive ai capi d’istituto: «Ancora una volta la provvidenza, salvando la vita di Benito Mussolini, ha protetto l’Italia. La scuola italiana si stringe ancora più saldamente con fedeltà immutabile intorno a colui che delle fortune della Patria è vindice e promotore. Ministero dispone che in tutti gli istituti e scuole dipendenti sia esposta la bandiera nazionale»81. La confusione dei piani del sacro e del profano, del laico e del religioso era evidente anche nel calendario scolastico dell’epoca, che celebrava, accanto alle date che celebriamo ancor oggi, il 28 ottobre la marcia su Roma, il 4 novembre la vittoria, l’11 il genetliaco del re, il 20 quello della regina madre, l’8 gennaio quello della regina, il 21 aprile la fondazione di Roma, il 13 maggio l’ascensione, il 3 giugno il corpus domini. 76 Sul tema si veda G. MONINA, Il consenso coloniale. Le società geografiche e l’Istituto coloniale italiano (1896-1914), Roma, Carocci, 2002. 77 Archivio di Stato sez. di Cesena, Archivio storico del Comune di Cesena (d’ora in avanti ASC), Titolo IX, cat. 299, fasc. 1925-1929, 27 maggio 1926, prot. N. 523 D 1. 78 S. LUZZATTO, L’immagine del duce, Roma, Editori riuniti, 2001, p. 111. 79 Cfr. ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E. 80 ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E, cl. 6 – Circolari, avvisi, comunicazioni diverse. 81 ALM, Corrispondenza ufficiale A.S. 1925/1926 D-E, cat. E, cl. 5 – Varie.

Non si dimentichi che il 1926 fu l’anno delle “leggi fascistissime”, che limitarono e a volte soppressero la libertà di parola, di associazione, di stampa, di sciopero, del sistema elettivo per le amministrazioni comunali e provinciali (il podestà di nomina governativa sostituì il sindaco). Quello stesso anno vide il varo del codice Rocco, che ripristinò la pena di morte e introdusse il tribunale speciale, e conobbe la nascita dell’OVRA (Opera vigilanza e repressione antifascista)82. Sul «Popolo di Romagna» del 1 agosto 1926 apparve il seguente articolo che ben esemplifica il nuovo clima e i riflessi che esso avrebbe avuto sulle politiche scolastiche: «Un comunicato che ha fatto il giro dei giornali politici parla di un provvedimento prossimo di esonero di tutti quegli insegnanti che per la loro condotta morale e politica si sono resi incompatibili con l’attuale regime. È noto lippis et tonsoribus qual’è [sic] il pensiero dell’Associazione fascista su questo argomento: per cui non saremo parchi di lodi al Ministro della P.I. quando il provvedimento atteso sarà un fatto compiuto. Per noi la questione si imposta semplicemente così: dato il nuovo concetto della Stato e la nuova orientazione educativa e spirituale della scuola, tutti gli avversari del Regime non possono senza equivoci e pericoli restare nella scuola. Se un antifascista impiegato in una qualsiasi amministrazione dello Stato, può anche servire in un’umile mansione esecutiva e d’ordine lo Stato Fascista, ciò non è assolutamente possibile per un insegnante. Un maestro deve dare alla Scuola qualcosa di più di un’opera meramente manuale e meccanica, deve dare la sua anima: e quando questa non è armonizzata e affiatata con le nuove direttive non può che produrre frutti velenosi per la Nazione e per il Fascismo. Il Ministro della P.I. dimostrerà coi fatti, non ne dubitiamo, di aver inteso quest’alta necessità»83. Anche quando non si arrivò a tanto, comunque tali operazioni liberticide andavano ammannite all’opinione pubblica attraverso forti iniezioni di consenso: conseguentemente ogni ambito della vita scolastica conobbe una profonda invasione di retorica e di ideologia fasciste, persino nello svolgimento delle prove apparentemente più estranee alle logiche pervasive del regime. Il 23 settembre 1926 tra le 9 e le 10.30 si svolse la prova di disegno degli esami di ammissione alla prima ginnasio: «Il Prof. Doglio disegna sulla lavagna e gli alunni riproducono sul foglio un fascio littorio. In seguito i candidati sono invitati ad eseguire il disegno spontaneo»84. È probabilmente in questo clima che si inseriscono anche i primi episodi di esplicito intervento, se non di vera e propria violenza squadrista, ad opera degli attivisti fascisti nei riguardi dei giovani studenti liceali, in special modo quei pochi non irreggimentati. Ce lo ricorda Cino Pedrelli in una sua memoria su Sigfrido Sozzi, che «si svolge una mattina, nella Piazza Bufalini, davanti al portone del Liceo-Ginnasio, dove un gruppetto di noi studenti sostava, in attesa che il portone si aprisse per l’inizio delle lezioni. Sopraggiunse un giovane “attivista” del Fascio locale, e apostrofò Sigfrido, invitandolo a mostrargli i gemelli che portava ai polsini della camicia. Riluttando Sigfrido a questo invito, fu afferrato per le braccia, non ricordo se dal solo “attivista”, o anche da qualche “camerata” che lo accompagnasse. I gemelli gli furono strappati. Certamente portavano qualche simbolo “sovversivo”: forse la falce e il martello, che qualche spia aveva segnalato. Era cominciata la persecuzione politica di Sigfrido. Non ricordo la data, neanche approssimativa, dell’episodio: se, cioè, Sigfrido fosse ancora studente ginnasiale, o già liceale. Una mattina del maggio 1930, notammo che Sigfrido era, stranamente, assente. Stranamente, perché, avvicinandosi l’esame di maturità, che doveva aprirci le porte dell’ Università, la nostra frequenza alle lezioni era assidua. Sapemmo poi che era stato arrestato, naturalmente per ragioni politiche. Di lì a poco, veniva deportato a Ponza, prima tappa del suo esilio. Non aveva ancora 20 anni»85.

82 R. D. n. 1848 del 6 novembre 1926 Leggi eccezionali per la difesa dello Stato. 83

«Il popolo di Romagna», anno V, n. 31, 1 agosto 1926, p. 1. 84 ALM, Verbali esami di ammissione I ginnasiale, AA. SS. 1923/24 – 1942/43, verbale n° 13, settembre 1926. 85 C. PEDRELLI, Sigfrido studente di ginnasio-liceo, in O. BARTOLINI, Sigfrido Sozzi, Cesena, Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2000, p. 111.

Ma la scuola pubblica da sola non era sufficiente a trasmettere l’ideologia fascista, pertanto il compito di diffondere i valori, le norme di comportamento, lo “stile” fascista venne affidato anche alle organizzazioni giovanili del partito (elevate a ruolo di organizzazioni giovanili dello Stato), che affiancarono la formazione dei giovani dalla più tenera età sino al loro ingresso nella vita adulta. Con il Regio Decreto n. 2247 del 3 aprile 1926 fu istituita l’«Opera nazionale balilla per l’assistenza e per l’educazione fisica e morale della gioventù», che divenne in pochi anni la vera scuola del fascismo, simbolo e vetrina dell’Italia fascista. Lo stretto legame tra Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn) e detta organizzazione conferì poi a quest’ultima uno spiccato carattere paramilitare, che, se si considera l’obbligo imposto dalla legge a tutti i comuni di istituire comitati per l’organizzazione di balilla (i giovani dagli 8 ai 12 anni) e avanguardisti (quelli dai 12 ai 18), lascia ben intendere la reale portata del fenomeno. I settori di competenza dell’Onb, definiti nel regolamento approvato il 9 gennaio 1927, erano: l’educazione fisica, morale e premilitare; la formazione culturale e l’istruzione tecnico-professionale; l’assistenza religiosa (che ne facevano un potenziale concorrente della scuola e comunque una «testa di ponte del partito nei territori dello stato»86). Nel 1929 essa venne posta alle dipendenze del Ministero dell’educazione nazionale. In ambito locale si consideri quanto scrive il regio provveditorato agli studi dell’Emilia ai presidi: «Quest’Ufficio, informato che le Federazioni provinciali hanno incaricato nei singoli luoghi insegnanti di vario grado, e anche studenti, di costituire le sezioni dei Balilla e degli Avanguardisti, sapendo che la detta costituzione è desiderata, anzi disposta, dal Governo Nazionale, e verrà disciplinata da opportuna legge, di non lontana pubblicazione, prega le SS. LL. non solo di non ostacolare, ma di agevolare la detta costituzione. Ricordo, a tal fine, che la imminente legge si propone lo scopo di abituare i giovinetti al rispetto della disciplina, di crescerli in un’atmosfera di studio, di lavoro e di cooperazione e di prepararli all’adempimento dei doveri militari»87. Nel dicembre 1926 «a Cesena città, gli iscritti al PNF, fra ordinari e aderenti, sono 800; 3.000 in campagna. Le Avanguardie raccolgono dentro le mura 400 individui, 600 nelle plaghe rurali; mentre Balilla e Piccole Italiane, insieme, sfiorano le 1.000 unità nell’area urbanizzata e toccano le 1.700 fuori»88. Ma il fenomeno di sostanziale militarizzazione della gioventù e dell’intera società italiana ha radici molto lunghe e profonde e passa per sentieri obliqui e impensabili. Che le scuole venissero coinvolte nella organizzazione di corsi premilitari è fatto che potrebbe non stupire più di tanto (soprattutto se lo rilegge nel segno di una continuità con una società che usciva da una guerra di massa); meno scontato è invece che «il Consiglio di Presidenza della Società di Tiro a Segno Nazionale del Mandamento di Forlì, allo scopo di diffondere fra i giovani che frequentano le scuole medie la passione per la Patriottica Istituzione del Tiro al Bersaglio, istituzione d’un carattere pienamente nazionale ed avente il fine nobile di addestrare alle armi i giovani, che un giorno dovranno essere i difensori della Patria, ha stabilito di promuovere una gara di Tiro a Segno fra tutti gli studenti delle Scuole Medie della Romagna da svolgersi in Forlì nei giorni 23 e 24 maggio [1926]. Quanto prima verrà comunicato il programma della gara. Io intanto incito fin da ora i giovani ad allenarsi per prendervi parte: nutro fiducia che questo Liceo-Ginnasio sarà degnamente rappresentato»89. Cinema e radio furono altri potenti alleati che veicolarono l’ideologia fascista in larghi strati del corpo sociale. Del loro uso massiccio e subdolo il regime ebbe sicuramente chiara consapevolezza, e seppe farne uno strumento preziosissimo nel suo percorso di nazionalizzazione delle masse: la

86 N. ZAPPONI, Il partito della gioventù. Le organizzazioni giovanili del fascismo 1926-1943, in «Storia Contemporanea», XIII, 1982, 4-5, pp.569-633. 87 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. E, cl. 2 – Educazione Fisica, prot. n. 475 del 30 aprile 1926. 88 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), cit., p. 737. 89 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. D-E.

voce del duce, trasportata nelle case, nelle piazze e nei luoghi di lavoro da quei formidabili “vettori di carisma”, erano un’epifania di Mussolini stesso il cui fine era quello di accendere il sacro fuoco della religione fascista. Cesena, ovviamente, non fu esclusa, e dal 10 ottobre 1926 abbiamo notizia di una prima audizione scolastica: si cominciò, com’è logico, con un discorso di Mussolini nella sala “R. Serra”90. Per quel che riguarda l’uso del cinema si consideri il seguente esempio ricavato da una comunicazione del preside del 16 marzo 1926: «Mercoledì 17 corrente, nel pomeriggio, nella sala del Kursaal si daranno, per iniziativa della Delegazione Provinciale del movimento giovanile fascista, le rappresentazioni cinematografiche del film Vita Nova. Tale film è la documentazione cinematografica delle grandi realizzazioni del Governo Nazionale: è quindi necessario che i giovani studenti ne abbiano precisa conoscenza per alti scopi educativi e perché ispirino così l’animo proprio a sensi di gratitudine e di devozione verso i fattori delle nuove fortune della Patria. Pertanto faccio viva raccomandazione perché tutti accorrano a questa rappresentazione»91. Vi erano infine le riviste. Il 23 aprile 1927 il provveditore agli studi dell’Emilia scrive ai presidi: «Comunico alla S.V. perché ne curi la diffusione, la seguente nota di Z. E. [sic] il Sottosegretario di Stato per la P.I.: “La Libreria del Littorio, che sotto la guida illuminata di S. E. Augusto Turati, Segretario Generale del P.N.F., si propone di recare il suo contributo fervido ed efficace alla formazione della nuova coscenza [sic] Fascista ed imperiale degli Italiani, inizierà fra qualche giorno la pubblicazione di un giornale per giovanotti dal nome augusto: IL TRICOLORE. E poiché tale giornale vuole essere – e sarà – un purissimo vessillo d’italianità diritta ed intera, chiedo a tutti gli educatori di ogni ordine e grado che vogliano secondarne la diffusione fra le floride schiere di coloro che, aprendosi appena alla vita, si preparano a diventare degni della Patria o del Fascismo, domani.” Non dubito che V. S. darà le sua fervida adesione alla nobile e opportuna iniziativa e procurerà che gli insegnanti suscitino nei loro alunni simpatia e consensi per il nuovo periodico»92. Subdolamente il giornale chiede alle scuole di «volerci segnalare il nome di due o tre scolari per ogni classe maschile e femminile, […] da scegliersi fra quelli più bravi e studiosi e che hanno vivacità di sentimento e spirito d’iniziativa per farsi i piccoli attivi diffonditori, dentro e fuori della Scuola, della nuova pubblicazione». Sul volantino, a penna, il preside aggiunge tre nominativi93. Il 14 giugno 1927 il ministero della pubblica istruzione informa tramite raccomandata il preside del liceo che «codesto Istituto avrà già ricevuto direttamente dall’Istituto Nazionale Fascista di Cultura i primi tre fascicoli della Rivista “Educazione Fascista”. Avverto che il Ministero ha provveduto ad abbonare codesto Istituto alla detta Rivista per l’anno 1927»94. Come spesso accade ancora oggi al mondo della scuola, ad ogni volgere dell’anno si ripropongono puntuali le stesse scadenze e i medesimi riti: quello della commemorazione della marcia su Roma, come si è detto, sarà uno dei più duraturi. Il 26 ottobre 1926 l’adunanza plenaria dei professori del ginnasio e del liceo, al terzo punto all’ordine del giorno, prevedeva la «commemorazione del 28 ottobre. […] Il Preside [Bottari] fa noto che il prossimo 28 ottobre dovrà commemorarsi la Marcia su Roma e che pertanto un professore terrà il discorso commemorativo alle classi. Quanto poi alla cerimonia consueta del 4 Novembre propone che gli alunni siano invitati a portare fiori alla lapide degli alunni caduti posta nell’aula “R. Serra” ed ai ritratti dei decorati collocati nelle aule loro dedicate e anche che sfilino silenziosi e salutanti romanamente davanti alla lapide che ricorda gli alunni caduti. Il Consiglio approvando prende atto»95. Si potrebbe leggere tra le righe un certo distacco o scetticismo (la

90 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1925-1929, 1926, Miscellanea. 91 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. E, cl. 6 – Avvisi, comunicazioni diverse. 92 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1926/27 A B C D, cat. B, cl. 3 – Alunni, iscrizioni, esami ecc. 93 Ibid. 94 ALM, Corrispondenza ufficiale, a.s. 1926/27 Cat. A B C D, cat. C, cl. 3 – Inventari, prot. n. 658 del 2 luglio 1927. 95 ALM, Verbale delle adunanze del Collegio dei professori del Liceo - Ginnasio, AA. SS. 1917 – 1928, pp. 250-251.

marcia dovrà essere celebrata, pertanto lo si farà, ma la vera celebrazione è quella consueta del 4 novembre, cui infatti è dedicato un programma più articolato) che pare confermato a posteriori dal fatto che l’anno successivo, alla data del 28 ottobre (1927) tra le comunicazioni varie (pertanto quasi un declassamento) «il Preside comunica che il 4 Novembre il Prof. [illeggibile] commemorerà a classi riunite la Marcia su Roma e la Vittoria»96. Ma i confini tra presa di distanza etico-ideologica e fastidio per le interferenze alla normale vita scolastica non sono mai molto chiari. D’altronde in quella occasione il liceo fu probabilmente anche il luogo dove si celebrò l’anniversario a livello cittadino. Apprendiamo infatti dai giornali che «il 28 Ottobre è stato solennizzato anche a Cesena, come nelle altre città della provincia, colla sospensione del lavoro, l’esposizione della bandiera nelle principali vie della città, nonché con discorsi commemorativi della gran data. Ricordiamo, sempre per la cronaca, il discorso del Prof. Galbucci la sera del 27 nell’aula magna del R. Liceo Ginnasio Vincenzo Monti, alla presenza di distinte persone, del personale insegnante, nonché di tutti gli scolari»97. Risale al 1926 l’intitolazione di alcune aule scolastiche ad alunni caduti e decorati di guerra, e l’acquisto di ritratti di Mussolini da esporvi98: sull’uso dell’immagine del duce e della retorica militarista relativa alla prima guerra mondiale si è già detto99, pertanto non varrà qui la pena di tornarci su ancora. C’è da dire, però, che il riproporsi e l’infittirsi di tali ricorrenze dava vita a un indotto (a volte un vero e proprio merchandising, come si direbbe oggi) su cui si avventarono privati e istituzioni. Eccone una galleria di esempi: - il Provveditorato agli studi dell’Emilia il 28 agosto 1926 comunicava alle scuole che «la fabbrica di cappelli Nino Fava […] ha fabbricato un copricapo tipo (specie di fez nero) per i fanciulli delle scuole che partecipassero a cerimonie collettivamente. Siccome tale copricapo ha incontrato favore, sia per la confezione, sia per il tipo, sia per il prezzo (£ 4), quest’Ufficio, pregatone, fa sapere alle SS.VV. che non oppone alcun ostacolo all’acquisto di esso, da parte di coloro che, naturalmente, abbiano intenzione di acquistarlo e di portarlo nelle pubbliche cerimonie»100. - La Segreteria generale amministrativa del Pnf il 30 novembre scrive alle scuole che «pubblica per l’anno 1926 un “Calendario” di propaganda descritto brevemente nell’acclusa scheda di prenotazione. Compilato per essere l’esaltazione dell’attuale Regime, ogni pagina del Calendario pone in contrasto cronologico gli avvenimenti che rattristarono la vita italiana nell’immediato dopoguerra, al meraviglioso spirito di rinascita che anima oggi tutta la Nazione per il raggiungimento di quelle mete che sembrava follia sperar di raggiungere allora e che ora non sono più lontane. Specialmente ai giovani è stata dedicata questa pubblicazione che ricorderà assiduamente, giorno per giorno, le benemerenze del Governo di Benito Mussolini, di questo grande forgiatore di anime che ha saputo elevare a nuove deità tutelari dell’Italia, il lavoro, la disciplina e il sacrificio. Ella, che così felicemente è stato preposto alla Direzione di codesto Istituto, siamo certi che, comprendendo l’importanza che avrà per la educazione patriottica della gioventù studiosa questa pubblicazione, non solo non vorrà farne rimaner privi i dipendenti uffici; ma, vorrà cooperare alla diffusione del “CALENDARIO NAZIONALE 1926” curando che sia prenotato dai giovani affidati alle Sue cure e da codesto Chiar.mo Corpo Insegnante. In attesa di questa prova di simpatia che Ella vorrà dare verso il nostro Partito, e verso il Governo Nazionale che ne è la più alta espressione, cogliamo l’occasione ben gradita per porgerLe distinti saluti»101.

96 Ibid., p. 270. 97 «Il Risveglio», 31 ottobre 1926, A. IV, n. 39, p. 3. 98 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1925-1929, 1926, Mobili, cancelleria, spese varie. Cfr anche «Il popolo di Romagna» 6 giugno 1926, p. 6, già qui citato alle note 41 e 58. 99 Cfr. S. LUZZATTO, Il corpo del Duce, Torino, Einaudi, 1998. 100 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. E, cl. 5 – Varie, prot. 704 del 30 agosto 1926. 101 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1925/26, cat. E, cl. 6 – Circolari, avvisi, comunicazioni diverse.

- Poiché dal 1927 comincia a fare la sua comparsa nei documenti conservati al liceo, accanto all’indicazione dell’anno, la numerazione romana, solo più tardi seguita da E. F. (era fascista), risale ad allora la richiesta rivolta al Comune per l’acquisto di due timbri di gomma: uno con l’emblema del fascio littorio, l’altro con la scritta «Anno… dell’era fascista»102. Vezzo velleitario (e forse anche un po’ iettatorio) delle dittature italiana e tedesca fu quello di autoproclamarsi “imperi millenari”; il fascismo si propose agli italiani come una nuova “era” e per promuovere tale immagine di sé pretese di riconteggiare gli anni a partire dalla sua presa del potere. - L’11 giugno 1927 il preside ricevette una circolare del provveditore che recita: «In accoglimento di un desiderio di S. E. Augusto Turati, Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista, S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione ha raccomandato la diffusione del “Cartello Nazionale” riprodotto su carta pesante del formato di cm. 50 x 45 e portante il ritratto di S. E. Mussolini e la seguente iscrizione: “[Io] Non per nulla ho prescelto per motto della mia vita ‘Vivi pericolosamente’ ed a voi dico come il vecchio combattitore: Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”. Dal Palazzo Littorio III aprile MCMXXVI. Prego i Sigg. Presidi di interessare le Amministrazioni provinciali o Comunali, tenute a fornire il materiale didattico alle Scuole Medie, perché acquistino il cartello». Il 12 seguente Bottari rilancia e scrive al podestà del Comune pregandolo di «voler fornire questa scuola del cartello Nazionale; data la tenue spesa [£ 5,50 cad.], non sarebbe male che esso figurasse in ogni aula scolastica: ne occorrerebbero quindi dieci». Il 20 successivo parte, con lettera raccomandata, la commissione dei dieci cartelli103. Se oggi ci viene da sorridere delle pose istrioniche ed eccessive di Mussolini e da rubricare nella categoria del grottesco l’intero apparato della liturgia fascista, non dobbiamo sottovalutare il fascino e l’attrattiva che tale estetica poteva esercitare nell’accaparramento del consenso (specie giovanile) in una nazione che si affacciava allora senza malizia alle invadenze delle strategie comunicative di massa. Come si è già avuto modo di osservare, di ciò il regime ebbe, sin dai suoi esordi, chiara percezione104. Un documento singolare di questo periodo è costituito, a mio avviso, dalla lettera del provveditore agli studi dell’Emilia ai presidi della regione. Vi si dice che «aderendo alle vive premure fatte dai rabbini Maggiori di varie città, autorizzo le SS. VV. a rimandare ad altro giorno, secondo il loro prudente arbitrio, quelle prove di esame di ammissione che siano state fissate per i giorni di sabato, alle quali debbano partecipare candidati professanti la religione ebraica»105. Tanta political correctness stupisce se letta col senno di quel che accadrà poi. Ma di ciò ci si occuperà a tempo debito. La invadente e insidiosa presenza ideologica era senz’altro più smaccata in alcuni ambiti disciplinari che in altri, ma i documenti ci riservano significative sorprese. Il 16 settembre 1927 (A[nno] V°) la commissione riunita per la scelta dei temi di dettato selezionò i seguenti tre: Il sole; La nostra guerra. Mussolini ferito; Il contadino106. Il sorteggio decise per la terza traccia e ci impedisce di conoscere quale contenuto si celasse dietro la seconda. Ribadiremo, comunque, che Mussolini, consapevole artefice e attore della propria immagine, aveva abilmente manipolato il mito della Grande guerra e «aveva trasformato le proprie ferite di combattente volontario in altrettante stigmate dell’eroe pronto a sacrificarsi per la patria»107.

102 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1925-1929, 1927, Cancelleria e stampati. 103 Ibid., prot. N. 620 D 3, 12 giugno 1927. 104 Cfr. G. L. MOSSE, Estetica fascista e società. Alcune considerazioni, in A. DEL BOCA, M. LEGNANI, M. G. ROSSI, Il regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 1995; L. MALVANO , Fascismo e politica dell’immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1988. 105 ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1926/27 Cat. A B C D, cat. B, cl. 3 – Alunni, iscrizioni, esami ecc., prot. n. 611 dell’8 giugno 1927. 106 ALM, Verbali esami di ammissione I ginnasiale, cit., verbale n° 9, settembre 1927. 107 S. LUZZATTO, L’immagine del duce, cit., p. 11.

Ma neppure i problemi di matematica erano esenti dall’invasione ideologica del regime, come ben ci evidenzia il testo del terzo problema previsto per quella medesima seduta d’esame: «Per fare la divisa ad un gruppo di balilla e piccole italiane occorrono m. 117,60 di panno nero che costa £ 25 il metro. Un terzo del panno serve per le divise delle piccole italiane ed il rimanente per quelle dei balilla. I balilla sono 70, le piccole italiane 40. Quale sarà la spesa per ogni balilla? Quale sarà la spesa per ogni piccola italiana?»108. Il 28 settembre 1927 il ministro della Pubblica istruzione Fedele dirama la seguente circolare: «L’inizio del nuovo anno scolastico mi offre l’occasione di ricordare quanto disposi e raccomandai altra volta (cioè con circolare del 14 gennaio u.s. n. 958) intorno al modo di vestire delle insegnanti. Dichiaro dunque di nuovo il mio fermo intendimento che i presidi esigano da esse abito dignitoso e modesto come norma che non ammette discussione e che deve essere a tutte imposta e da tutte seguita senza capziose distinzioni. Tale norma si intende, naturalmente, estesa al personale femminile di segreteria e di servizio. Questo sarà il mezzo migliore per ottenere che le famiglie ottemperino senza resistenze (che sarebbero ad ogni modo da vincersi) alle disposizioni date dal preside o sancite nel regolamento interno circa il vestire delle alunne e la loro tenuta di scuola. Questa deve constare di un grembiule di taglio e di colore uniforme per tutte, da indossarsi per tutto il periodo di permanenza nella scuola, e di cui ciascuna ha pure il dovere di curare la pulizia e la proprietà»109. Molti sono gli aspetti che si potrebbero sottolineare a proposito delle politiche che il regime tenne nei confronti delle donne110 volte nell’insieme a confinarle nella sfera della vita famigliare e con un ruolo decisamente subalterno al maschio (che in questa circolare arriva a sancire la “minorità” femminile addirittura nell’ambito dell’abbigliamento), ma, per limitarci solo all’ambiente scolastico liceale nel quale stiamo scavando, varrà la pena rammentare che il RD 2480 del 9 novembre 1926 aveva escluso le donne dagli insegnamenti di italiano, lettere classiche, storia e filosofia nei licei classico e scientifico e nelle classi superiori degli istituti tecnici111. Nella seconda metà di dicembre 1927 si procedette ad apporre l’emblema del fascio littorio all’esterno dell’edificio scolastico cittadino, come prescritto per tutti i pubblici edifici112, ma le richieste del preside al comune erano iniziate già il 12 febbraio precedente113. Da una lettera al podestà del 21 maggio 1928, in cui il preside Bottari pregava «di voler fornire un quadro molto grande ed artistico di S. E. Mussolini con cornice decorosa da collocarsi nella sala “R. Serra” ed un altro più piccolo da collocarsi nel Gabinetto di Fisica», apprendiamo che questi erano «i due unici locali che ne sono ancora sprovvisti». Poco dopo l’economato del Comune provvide114.

108 ALM, Verbali esami di ammissione I ginnasiale, cit., verbale n° 10, settembre 1927. Sull’argomento si veda G. GABRIELLI , M. GUERRINI (a cura di), I “problemi” del fascismo. Può la matematica essere veicolo di ideologie? Immagini e documenti sull’aritmetica nelle scuole elementari fasciste, catalogo della mostra curata dall’IBC Emilia-Romagna. 109 ALM, Prot. N. 761 B2 4 ottobre 1927. Analoghe indicazioni saranno contenute nella circolare ministeriale n. 35 del 12 febbraio 1929 (cioè il giorno dopo la firma del concordato con la Santa sede) Sul vestire delle signore insegnanti e delle alunne, a firma del ministro Belluzzo. 110 Per l’approfondimento di questo argomento si rimanda a V. DE GRAZIA , Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993. 111 Cfr. AA. VV., Piccole italiane. Un raggiro durato vent’anni, Milano, Anabasi, 1994, p. 71. 112 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1925-1929, prot. N. 188 D 3, 12 dicembre 1927 Anno VI E. F. Era stata la circolare n. 81 del 30 agosto 1927 della Presidenza del consiglio dei ministri, intitolata Emblema del fascio littorio, a stabilire il comportamento in materia. Essa, che riprendeva una analoga circolare del 16 agosto precedente, fu trasmessa dal ministero P.I. il 28 novembre. 113 Cfr. ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1926/27 A B C D, cat. D, cl. 3 – Richieste varie, prot. n. 464. 114 Ibid., prot. N. 575 D 1, 21 maggio 1928.

Appena il giorno dopo il preside si rivolse questa volta all’ufficio tecnico del Comune, pregando «di voler provvedere per il saggio ginnastico degli alunni delle scuole medie indetto dall’O.N.B.»115. Da ciò si desume la corretta scala gerarchica: l’Onb indice, la scuola esegue. Il 18 giugno 1928 la commissione riunita per lo svolgimento della prova di italiano agli esami di ammissione ginnasiale, estrasse a sorte il tema N°3 intitolato semplicemente “Nazario Sauro”. Apparentemente si presenta come uno dei molti medaglioni agiografici risorgimentalisti tanto cari agli insegnanti e alla scuola italiana fino ad anni recentissimi; ma qui succede qualcosa di più poiché la saldatura con l’ideologia dominante non è solo adombrata o implicita, ma l’insegnante proponente scova un particolare assolutamente secondario nella vicenda del Sauro per intrecciare la storia di questo alla biografia mussoliniana. Favoriti dal sorteggio possiamo leggerne lo svolgimento: «Nazario Sauro, fatto prigioniero e condannato alla forca dal Governo Austriaco, lasciava anche la madre e la sorella. Ma queste, mentre avrebbero avuto diritto all’eterna gratitudine ed ai mezzi di sussistenza sufficienti per chi dà alla Patria un figlio, un fratello, erano abbandonate nella miseria. Uno solo generosamente si ricordò di loro: Benito Mussolini. Nelle colonne del “Popolo d’Italia” aprì una sottoscrizione in loro favore e nella modestissima casetta abitata dal Sauro, il Duce di oggi consegnava alle due donne 100.000 lire, dichiarando ch’egli non portava un’elemosina, ma una prova d’affetto e un segno di venerazione»116. Meno favoriti da successivi sorteggi, non possiamo sapere quali perle celasse la traccia dei dettati del 20 luglio 1929 (“Rivoluzione fascista”)117, né quella della prova integrativa del 25 giugno1929 (“Alla passeggiata coi Balilla o le piccole Italiane”)118, né quella del 29 settembre successivo (“Luigino sentiva tutto il piacere e l’orgoglio della sua nuova divisa di balilla”)119. Varrà la pena tenere bene a mente le modalità di reclutamento del personale che svolgeva gli esami, che desumiamo da una lettera del provveditore agli studi dell’Emilia al preside: «perché quest’ufficio possa procedere alla nomina della Commissioni per gli esami di ammissione alla I^ classe degli istituti medi di 2° grado e alla 4^ classe ginnasiale, la S.V. è pregata di designare entro il 20 corrente i nomi di professori che, oltre ad essere di maggior valore ed autorità, diano affidamento di seguire i fini della riforma e le direttive del Governo Nazionale»120. Dal 1929, per volontà esplicita di Mussolini, il Ministero della pubblica istruzione cambiò nome assumendo quello di Ministero dell’educazione nazionale: che dietro le trasformazioni dell’onomastica ci fossero precisi orientamenti politico ideologici è manifestamente esibito nella nuova intitolazione, la quale esplicitava la vocazione, tipicamente totalitaria, di creare uno «Stato educatore»121. Nel marzo di quell’anno si svolse il plebiscito voluto da Mussolini, e i risultati del 24 marzo «confermano il controllo del PNF su un territorio ormai “normalizzato”. Su 15.190 iscritti, votano a Cesena in 14.131. I voti contrari al regime sono 3 e 13 le schede nulle»122. Il 13 marzo 1929 VII al secondo punto all’ordine del giorno del Consiglio dei Professori (oggi Collegio dei docenti) c’erano le «Conferenze geografiche»: dal momento che la C. M. n° 5 del 26 XII 1927/VI prescriveva che si tenessero dette conferenze agli alunni, si decise per i seguenti

115 Ibid., prot. N. 577 E 2, 22 maggio 1928. 116ALM, Verbali esami di ammissione I ginnasiale, cit., verbale n° 2, giugno 1928. 117 Ivi, verbale n° 16, luglio 1929. 118 Ivi, verbale n° 20, giugno 1929. 119 Ivi, verbale n° 26, settembre 1929. 120 ALM, Corrispondenza ufficiale, a.s. 1926/27 Cat. A B C D, cat. B, cl. 3 – Alunni, iscrizioni, esami ecc., prot. n. 537 del 14 maggio 1927. 121 Si prende qui a prestito il titolo del libro di G. TURI, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2002. 122 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), cit., p. 739.

argomenti: «La popolazione e lo sviluppo delle colonie italiane; L’oltre Giulia; Il Dodecanneso; La Dalmazia; Il Mediterraneo Orientale ed i possedimenti italiani». Al terzo punto del medesimo o.d.g. la «Revisione dei libri di testo. Il Preside in applicazione al disposto della C. M. 40 del 19-2-1929, invita i singoli Professori ad esaminare i testi attualmente in adozione e saper riferire entro il 25 Maggio p. v. su di essi, indicando quali tra essi non rispondono all’indirizzo politico, morale, culturale, demografico dato dal Fascismo e indicando pure perché li ritengano non idonei al conseguimento delle finalità che con tanta tenace operosità persegue il Governo Nazionale ed alla formazione spirituale e culturale della gioventù italiana»123. L’argomento dei libri di testo tornò nella seduta del 7 ottobre 1931, IX. Il verbale registra che «tutti gli elenchi dei libri presentati per l’approvazione sono forniti della dichiarazione che qui si ripete: “Dichiaro che tutti i testi da me proposti sono in perfetta armonia con l’indirizzo didattico della scuola Fascista e con lo spirito del Regime”(con la firma del prof. proponente)»124. Tale dichiarazione era stata espressamente richiesta dalla circolare n. 46, Scelta ed uso dei libri di testo negli istituti medi d’istruzione, dell’8 maggio 1930. In essa il ministro Balbino Giuliano, pur richiamando una presunta «libertà di scelta dei testi per parte dei singoli Collegi di professori», la subordinava ad una piena aderenza dei testi «allo spirito e all’azione del Regime», che i professori proponenti “certificheranno” con quella apposita dichiarazione di conformità che abbiamo letto qui sopra. Nel tentativo di fare un minimo di chiarezza su di un argomento così delicato (e vien voglia di dire così attuale!), segnalerò le tappe maggiormente significative di questo percorso di asservimento della scuola italiana attraverso la pratica della normalizzazione e dell’epurazione della libertà di ricerca e di insegnamento. Nel 1926 era stata pubblicata la Relazione della Commissione Ministeriale per l’esame dei libri di testo da adottarsi nelle scuole elementari e nei corsi integrativi d’avviamento professionale che recava la firma di Balbino Giuliano, filosofo idealista, futuro ministro della pubblica istruzione. «I criteri stabiliti dalla Commissione ministeriale per accertare la bontà di un libro di testo sono sostanzialmente quattro: a) la glorificazione del primo conflitto mondiale da cui il fascismo è sorto; b) il culto del Duce, “Capo infallibile”, “Derminatore” [sic], “Salvatore della nazione”; c) la celebrazione del regime e della monarchia sabauda; d) la difesa della tradizione religiosa della Chiesa cattolica di Roma, anima della nuova cultura nazionale»125. Il 19 gennaio 1929 il ministro Belluzzo indirizzò a provveditori e presidi la circolare n. 22 indicante i criteri per la Scelta dei libri di testo negli Istituti medi d’istruzione, nella quale diceva che «il Collegio dei professori deve adottare libri di testo conformi alle direttive e agli istituti onde fu informata l’opera dello Stato dal 28 ottobre 1922. Intendo cioè che nella scuola media non entrino se non quei testi nei quali ciò che si attiene alla vita nazionale in ogni campo sia, per freschezza di notizie e soprattutto per pienezza di consenso, aderente allo spirito e all’azione del regime». Come prova di quanto qui sopra affermato, e come introduzione al clima scolastico degli anni Trenta di cui ci occupiamo nel prossimo capitolo, varrà la pena fornire ora una rapidissima panoramica di quanto abbiamo rinvenuto in una superficiale (ma comunque significativa) campionatura di alcuni libri di testo reperiti nella biblioteca del liceo durante alcuni lavori di sistemazione: Giovanni Corti, Civis milesque bonus. Morfologia latina, Torino, SEI, 1936-XIV, p. 41:

123 ALM, Verbali delle adunanze consigliari. 1928-1946, verbale n. 6, pp. 13-15. 124 Ibid., pp. 70-71. La formula, con minime variazioni, ricorre anche nei verbali n. 8 (p. 91), n. 12 (p. 182), n. 9 (p. 217), 27 maggio 1940 (p. 268), 25 giugno 1942 (p. 309). In particolare è significativa l’aggiunta che ricorre più volte: «Naturalmente tale aderenza [all’azione del regime] nota il Sig. Preside non deve risultare soltanto da qualche frase particolare ma dallo spirito riformatore dell’opera in generale». 125 F. MACCAGNINI, op. cit., p. 77.

A parte il titolo, che è già tutto un programma, si leggano le proposte di traduzione: Esercizio 13, frase 6: L’Italia è temuta e rispettata per la disciplina dei cittadini e per la forza militare, ma soprattutto per la saggia, retta e invincibile forza del suo governo;

Esercizio 13, frase 9: Molti stati decadono a causa dell’eccessiva libertà. Raffaele Fimiani, La storia dei popoli nella luce di Roma. Manuale di storia per le classi inferiori dell’istituto tecnico e dell’istituto magistrale, Volume secondo - Roma imperiale, Milano, Carlo Signorelli, 1939-XVII. Didascalia della Fig. 49 a p. 78: «Botteghe intorno all’emiciclo dei mercati fatti costruire dall’imperatore Traiano, a Roma, rimessi oggi in luce dal Governo fascista». p. 110: «Molti sono i teatri romani di cui restano avanzi, e spesso altri vengono alla luce. Uno è stato recentemente dissepolto dalle sabbie del deserto, quello di Sàbratha, a circa 80 km. ad ovest di Tripoli, che è forse il meglio conservato dei teatri romani: fu inaugurato durante la visita del Duce alla colonia libica nella primavera del 1937 (XV)». Id., L’Italia nella luce di Roma. Manuale di storia per le classi inferiori dei Ginnasi, Milano, Signorelli, 1939-XVII. Alfonso Manaresi, Roma. Per la quinta ginnasiale, Bologna, Poseidonia, p. 26: «La leggenda fissa anche l’anno e il giorno della fondazione di Roma: il 21 aprile del 753 a. C., giorno che oggi noi, come già i nostri antichi padri romani, celebriamo col nome di Natale di Roma». p. 177, didascalia per la riproduzione di un bassorilievo: «Una caratteristica coppia di sposi dei bei tempi romani». p.188: «[Ottaviano] aveva scarso entusiasmo per le “libertà repubblicane”, apportatrici di anarchia, e desiderava piuttosto un governo forte, che impedisse il risorgere delle infauste guerre civili». Non è difficile scorgere in filigrana la mascella pronunciata che si celava dietro tale ritratto di Ottaviano. Capitolo III Il sistema totalitario (anni Trenta) Si può efficacemente sintetizzare l’idea della scuola nella dottrina fascista di questo periodo con le parole di un lungo articolo di Bruno Masotti sul «Popolo di Romagna» del 1938: «Compito primo della scuola fascista è quello di formare nell’individuo la coscienza del cittadino soldato, di un’idea, di una Rivoluzione e delle tradizioni. […] La dottrina fascista come non può credere ad un popolo avulso dalle correnti storiche del tempo, così non può credere nemmeno all’esistenza di un cittadino il quale non si inserisca nella realtà storica della nazione e non sia guidato dagli ideali, che rappresentano il programma di vita di un popolo. La scuola fascista vuole dei giovani capaci di prendere il loro posto di responsabilità nella vita, capaci di far corrispondere all’elevatezza intellettuale una dinamica capacità pratica, ove lo sperimentalismo è guidato e sorretto dall’intelletto e non cerca degli eruditi, dei sognatori, che non sappiano operare nella vita. Il giovane deve trasformare la cultura in vivo strumento di conquiste intellettuali, dalla quale scaturisca il carattere del cittadino e la personalità creatrice dell’uomo. Il compito formativo non può essere astratto dall’educazione politica, anzi debbono sussistere in felice connubio e la nostra scuola deve perciò professare tutte le idealità del Fascismo. Disse il DUCE nell’adunata della corporazione della scuola nel 1925: “Il Governo esige che la scuola si ispiri alle idealità del Fascismo, esige che la scuola non sia non dico ostile, ma nemmeno estranea al Fascismo o agnostica di fronte al Fascismo. Esige che tutta la scuola, in tutti i suoi gradi e in tutti i suoi insegnamenti, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a nobilitarsi nel Fascismo ed a vivere nel clima storico creato

dalla Rivoluzione fascista.” […] Si giunge così a concepire la scuola come palestra di energie spirituali, fucina di volontà, alimentatrice di forza e di virtù civiche ed esaltatrice della vita in tutte le sue ideali e pratiche espressioni»126. In un tale orizzonte, dunque, non c’era spazio per niente che non fosse totalmente fascista. E infatti il decennio si era aperto, per quel che concerne questa indagine, con una vicenda esemplare di epurazione. «Il prefetto di Forlì, scrivendo al ministro dell’interno, Leandro Arpinati, nel 1932, denunciò “certo don Ravaglia, parroco della Cattedrale, noto a questo ufficio per i suoi sentimenti antifascisti e per l’irrequieto spirito di fazione”. Il fascio locale fece pressioni sul provveditorato, il quale non richiese il consenso del preside Attilio Busato, ma espresse parere sfavorevole alla riconferma di Ravaglia, che fu sostituito da don Antonio Benini»127. Per quanto è possibile che intervenissero anche motivi di contrasto con la condotta morale di un influente fascista cesenate128, in effetti i rapporti del canonico col fascismo erano stati improntati a reciproca diffidenza, se non a vera e propria avversione, sin dagli esordi129 e per diverse ragioni: per la sua militanza nell’ala modernista del cattolicesimo “sociale” (quella murrina, entusiasta della svolta che Leone XIII impose con la Rerum novarum); per la sua adesione al Partito popolare durante gli anni dello scontro col nascente movimento dei fasci; per il suo impegno nell’educazione e coi giovani, culminato nella fondazione del primo reparto degli esploratori cattolici a Cesena (da cui il conseguente scontro col fascismo allorquando questo pretese di far dissolvere l’associazionismo cattolico e scoutistico nelle formazioni giovanili di regime all’indomani della creazione dell’Onb). Persino dopo la stipula dei Patti lateranensi il parroco della cattedrale cittadina mantenne un atteggiamento critico col regime, anche in contrasto con le posizioni ufficiali delle gerarchie ecclesiastiche nazionali e locali130. Non si trascuri il fatto che agli insegnanti di religione cattolica era richiesto dal ministero dell’educazione nazionale di «adeguare la propria cultura al grande movimento di rinascita spirituale che il nostro Paese attraversa»131. Invece parole di chiara autonomia del cattolicesimo dal fascismo erano contenute persino nel manuale scritto da Ravaglia, Armonie divine132, che egli aveva adottato nel quinquennio in cui insegnò nel liceo e, a quanto è dato capire, continuò ad essere utilizzato anche dopo la cacciata del suo autore da questa scuola.

126 «Il Popolo di Romagna», 5 marzo 1938, A. XVI, n. 9, p. 3. 127 G. MARONI, La Chiesa disciplinata di fronte al regime, in Storia della Chiesa di Cesena, Cesena, Stilgraf, 1998, vol. I, tomo 2, pp. 505-506. 128 Il Prof. Biagio Dradi Maraldi nella citata testimonianza fornitami, ricorda che il Ravaglia aveva pubblicamente stigmatizzato la relazione extramatrimoniale che il dirigente del fascio cittadino e provinciale, Pio Teodorani Fabbri, intratteneva con una donna, e ritiene che da questo scontro, di natura tutta morale e nient’affatto politica, nacque l’avversione del partito per il canonico. 129 Si veda quanto scritto sul «Popolo di Romagna» del 23 novembre 1924: «Un monsignore cesenate […] va manifestando sintomi preoccupanti di una eccessiva fobia fascista. In questo stato d’anima non sa e non vuole riconoscere alcun merito al fascismo, che per lui è la quint’essenza della delinquenza. Tutto quanto è stato fatto per la valorizzazione del principio religioso non ha che il merito di una ipocrisia e la lotta contro la massoneria è un gioco combinato tra le parti in lotta. In un pubblico esercizio recentemente affermava che un galantuomo non può non essere tra gli oppositori del fascismo. […] È tenace nel suo odio, non vi sarebbe che un mezzo per disarmarlo. Ma il fascismo non può vantare alcun diritto per la nomina dei Vescovi. Ci onori quindi ora e sempre del suo odio, il vescovo mancato, sappia che noi del giudizio di certa gente facciamo un conto relativo, e facciamo il gesto di chi se ne frega: sputiamo» (cit in O. TEODORANI, Comunisti a Cesena, Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2002, pp. 62-63). 130 Sulla figura di Giovanni Ravaglia si rimanda, oltre che allo studio citato nella nota 127, a G. MARONI (a cura di), La fede e l’intelligenza. Scritti di don Giovanni Ravaglia, Federazione delle casse rurali e artigiane dell’Emilia-Romagna, Bologna, 1987; ID., Ravaglia, Giovanni, in F. TRANIELLO, G. CAMPANINI (a cura di), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, Casale Monferrato, Marietti, 1984, pp. 680-681. 131 Circolare n. 54 del 28 marzo 1929, Insegnamento religioso nelle scuole elementari. L’insegnamento obbligatorio della religione cattolica in tutti gli istituti medi d’istruzione classica, scientifica, magistrale, tecnica e artistica, in esecuzione dell’art. 36 del Concordato, viene sancito con la legge n. 824 del 5 giugno 1930. 132 G. RAVAGLIA , Armonie divine: corso completo d’istruzione religiosa, Torino, SEI, 1920. Ne esistevano diverse versioni e numerose ristampe: Armonie divine: corso d’istruzione religiosa per il ginnasio, Torino, SEI, 1932; Armonie divine: corso d’istruzione religiosa per i licei classici, scientifici, artistici e per gli istituti superiori magistrali e tecnici, Torino, SEI, 1935.

Per tutti questi motivi i vertici del fascismo cesenate chiesero al vescovo cittadino la testa del prete recalcitrante, non esitando a forzare i regolamenti dell’epoca che, prescrivendo «semplicemente che la nomina [venisse] fatta dietro accordo fra il vescovo e il capo d’istituto», non avrebbero richiesto l’intervento del provveditorato. Ma in questo modo si metteva ben in evidenza l’accelerazione impressa dal regime sul processo di controllo imposto alla cultura e alla scuola del Paese nel corso di questo decennio133. Dal verbale della seduta consigliare del 18 ottobre 1932 veniamo a sapere che l’esigua somma assegnata allora alla scuola permetteva di effettuare «solo scarse spese, perché la maggior parte della stessa è esaurita dagli abbonamenti alle riviste e all’Enciclopedia Treccani». Non sembri un’informazione di scarso rilievo: essa infatti ci ricorda come riforma della scuola, enciclopedia nazionale e capillare diffusione mediatica (qui nella forma di riviste specializzate) siano stati gli strumenti privilegiati con cui si perseguì «l’obiettivo di unificare e controllare, a difesa dell’ordine costituito, quelle classi medie cui si rivolse l’attenzione precipua del movimento fascista: in particolare gli intellettuali spesso già politicizzati in senso conservatore dal nazionalismo e dall’interventismo»134. Non è infatti una mera coincidenza «che l’Istituto Giovanni Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti fosse costituito il 18 febbraio 1925, all’indomani del 3 gennaio che, salutato con entusiasmo da Gentile, aveva segnato l’inizio della dittatura aperta»135. Particolarmente interessante nell’ultimo verbale citato appare quanto sintetizzato al punto 5: «Per l’inaugurazione dell’anno scolastico 1932-1933 (X-XI) viene deciso che essa verrà tenuta il giorno 22 (Sabato corr. m.) e per il compiersi del Decennale Fascista avrà maggiore solennità. È stato fissato per la celebrazione il seguente Programma d’accordo col Segretario politico del Fascio e coi Presidi delle altre scuole medie cesenati: A) Adunata alle ore 9 in piazza Bufalini dove si formerà il corteo per recarsi al parco della Rimembranza B) Saluto alla Bandiera C) Deposizione di una corona sulla lapide dei Caduti D) Discorso inaugurale tenuto dal prof. Paolo Colombo del R. Liceo nella sala del Municipio»136. La cronaca di quella giornata è sinteticamente riferita (sebbene discordante in piccoli particolari) in due giornali dell’epoca: «Lunedì mattina 24 ottobre avrà luogo l’inaugurazione dell’anno scolastico delle scuole medie, che, per il compiersi del Decennale Fascista, quest’anno avrà carattere di maggior sollenità [sic]. È indetta un’adunata alle ore 9 in Piazza E. Fabbri, dove si formerà un corteo che si recherà al Parco delle Rimembranze. Verrà deposta una corona alla Lapide dei Caduti in Guerra. Il discorso inaugurale sarà tenuto dal prof. Paolo Colombo del R. Liceo, nella Sala del Ridotto del Teatro Comunale»137; «Sabato scorso, con un’austera cerimonia, è stato inaugurato l’anno scolastico delle scuole medie. Al Giardino Bufalini, alle ore 9, si sono radunati gli allievi, i presidi e gli insegnanti degli Istituti scolastici cittadini che incolonnati, dopo d’aver reso il saluto alle bandiere delle associazioni, hanno percorso le vie del centro, sino a raggiungere il Parco della Rimembranza, ove è stata deposta una corona. Sono quindi sfilati davanti al Lapidario dei caduti. Nel salone della Residenza municipale, alla presenza delle autorità ha parlato il Prof. Colombo, che

133 M. S. PIRETTI, Vent’anni di fascismo a Cesena, in Storia di Cesena, cit., vol. IV, tomo 3, p.185: «Nella zona di Cesena vengono tenuti sotto controllo Don Giovanni Ravaglia, parroco della cattedrale, Don Filippo Bersani, Parroco di Boccaquattro, Don Giuseppe Mazzoli titolare della parrocchia di San Rocco, Don Antonio Arienti e Don Soldati. Di questi Don Ravaglia e Don Mazzoli vengono esonerati dall’insegnamento religioso nelle scuole.» 134 G. TURI, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’«Enciclopedia italiana» specchio della nazione, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 20. 135 Ivi, pp. 37-38. 136 ALM, Verbali delle adunanze consigliari. 1928-1946, verbale n° 29 a.s. 1932-1933, pp. 83-85. La commemorazione della marcia su Roma, unita a quella della vittoria, è oggetto di delibera anche nel verbale n.1 dell’a.s. 1933-34, p. 98. Il prof. Colombo aveva aderito al Pnf sin dal 1926 (come si ricava dalla sua scheda di Stato personale conservata in ALM, ad nomen). 137 «Il Popolo di Romagna», sabato 22 ottobre 1932, A. X, n. 43, p. 5.

à posto in rilievo il significato del rito compiuto al Monumento che porta incisa nel marmo la lunga teoria dei Concittadini immolatisi sui campi di battaglia»138. La ricorrenza, nei due testi, di espressioni identiche lascia supporre la derivazione da una fonte comune: il fenomeno delle veline di regime lascia traccia anche nelle cronache del giornalismo locale. Ma non è questo ciò che più qui preme rimarcare, bensì che, come è stato giustamente osservato, «nello stato totalitario la vita civile era uno spettacolo continuo, dove l’uomo nuovo fascista si esaltava nel flusso di massa ordinata, con la ripetizione dei riti, con l’esposizione e venerazione dei simboli, col suggestivo richiamo alla solidarietà collettiva fino a raggiungere, in momenti di alta tensione psicologica ed emotiva, la fusione mistica della propria individualità con l’unità della nazione e della stirpe, attraverso la mediazione magica del duce. […] I simboli e i riti, le cerimonie di massa e la consacrazione mitica di atti banali della vita sociale (“la Battaglia del grano”) diventano l’unica partecipazione possibile delle masse al potere politico, come spettatrici del dramma che si svolge con loro ma al di sopra di loro»139. Se è vero che la vocazione militarista e funeralizia del fascismo (nei simboli, nel lessico e nel cromatismo adottati) fu un suo tratto distintivo sin dalle origini, è altrettanto vero che essa negli anni Trenta conobbe una macabra proliferazione, quasi per una sorta di oscura premonizione. L’anno scolastico 1934-35 vide l’introduzione di una nuova disciplina scolastica, per la quale si dovettero approntare in tutta fretta anche i libri di testo. Già dal 29 ottobre 1934, con la circolare n. 52 dal titolo Preparazione militare della Nazione, il nuovo ministro Ercole affermò che «la scuola, la base più salda e la collaboratrice più efficace del regime, è chiamata dal Duce ad assolvere un nuovo, importantissimo e delicatissimo compito. In conformità delle nuove concezioni Mussoliniane della Nazione militare, basate sul principio che le funzioni di cittadino e di soldato sono inscindibili nello Stato fascista, ed in base alle nuove disposizioni sull’istruzione premilitare, resa obbligatoria per i cittadini dagli otto ai ventuno anni d’età, e sull’insegnamento della cultura militare introdotto nelle Scuole medie e superiori, la formula fascista, profondamente significativa “LIBRO E MOSCHETTO” trova nella Scuola italiana, dalla elementare alla universitaria, la sua piena e pratica applicazione»140. Tra i vecchi libri della biblioteca del liceo “Monti” abbiamo rinvenuto un volume, privo di copertina, di questa disciplina: Elementi di cultura militare. Nella prefazione (a firma A. B. e recante la data del 10 dicembre 1934) tra l’altro si dice: «Apprestate in poche settimane, le pagine che seguono si presentano - cronologicamente - come la prima manifestazione pratica del Comandamento del Duce di iniziare, senza indugio, nel campo culturale la marcia verso la formazione di una coscienza militare del Paese». All’inizio del 1935141, cioè ad anno scolastico già avviato da mesi, vi fu la «solenne inaugurazione dei Corsi di Cultura Militare nella Scuole Medie. Alla presenza delle autorità civili, politiche e militari, tra cui abbiamo notato il Podestà, il Segretario del fascio, e il Comandante del presidio, dei capi d’Istituto e delle scolaresche, nonché di un gruppo di Ufficiali che frequentano il Corso di Radiotelegrafia presso il locale Battaglione, con una solenne cerimonia svoltasi nella palestra ginnastica del R. Liceo Ginnasio “Vincenzo Monti”, si sono inaugurati i Corsi di Coltura [sic] Militare per le Scuole Medie della nostra città. La Palestra era adorna di tricolori nel di cui sfondo figuravano due grandi ritratti del Re e del DUCE. Il prof. Meo, facente funzioni di Preside, ha dapprima presentato il nuovo insegnante magg. cav. Mariano Dominici, dotto e valoroso Ufficiale del nostro Esercito, prescelto dalle superiori Autorità militari e scolastiche per questo Corso, dicendosi lieto che un eletto rappresentante di quelle meravigliose forze armate che portarono

138 «Il Risveglio», 30 ottobre 1932, A. X, n. 41, p. 3. 139 E. GENTILE, Fascismo. Storia e interpretazione, cit., pp. 87-88. 140 «Bollettino ufficiale» del Ministero dell’educazione nazionale, Roma, Libreria dello Stato, 1934, p. 2450. 141 La legge istitutiva è la n. 2150, Norme sull’istruzione pre-militare, del 27 dicembre 1934, cui fa seguito il 31 dicembre 1934 il decreto dell’Educazione nazionale n. 2152 Istituzione di corsi di cultura militare nelle Scuole medie superiori del regno.

l’Italia alla gloria di Vittorio Veneto entri a far parte di questa famiglia scolastica. Dopo d’aver porto anche a nome dei colleghi un cordiale saluto al nuovo insegnante, esprimendo la certezza che sotto la sua direzione il Corso di Coltura Militare darà copiosi frutti, raggiungendo pienamente gli alti fini per i quali esso fu istituito, il Capo dell’Istituto ha spiegato il grande significato del prezioso dono che il genio di Mussolini volle fare alla scuola italiana, la quale saprà senza dubbio corrispondere alla fiducia del DUCE. Il Comandante del Presidio magg. cav. Marini, ha illustrato quindi la figura dell’insegnante di materie militari ed ha espresso l’augurio che metodo, fede e valore d’insegnante e di allievi accenderanno ben presto il fuoco della passione alle discipline militari nei giovani. Poscia il magg. Dominici ha pronunciato la sua prolusione al Corso. Ha messo in rilievo con una chiara e magnifica sintesi i rapporti esistenti tra istituzioni militari e istituzioni civili, dopo d’aver rivolto un deferente saluto e un ringraziamento alle autorità che hanno voluto onorare di loro presenza la cerimonia, e un affettuoso e fraterno saluto ai giovani intervenuti. Ha tratteggiato i caratteri dell’organizzazione militare nei diversi periodi storici, con particolare riferimento al periodo romano, repubblicano ed imperiale. Ha detto della necessità di essere preparati sia moralmente che materialmente alla guerra, fenomeno questo ineluttabile, che talvolta supera la volontà degli uomini, e della utilità della preparazione militare delle giovani generazioni voluta dal Regime Fascista e dal suo grande Capo. Il magg. Dominici […] ha posto termine alle sue ispirate parole ricordando il sacrificio degli eroi che immolarono se stessi per riscattare l’Italia agli italiani e la vittoria all’Italia invitando i convenuti ad elevare il pensiero alla Maestà del Re e al DUCE. Viva il RE e A Noi! hanno echeggiato altissimi e solenni con aria di entusiasmo all’indirizzo dei massimi Artefici della Patria Fascista»142. La pompa magna con la quale questo capitolo veniva aperto è esemplare di quanto stava avvenendo nella scuola e nella società italiane: l’annullamento della separazione tra vita civile e vita militare, oltre a denunciare l’aria di caserma che sempre più si andava respirando, preannuncia quell’impegno militare crescente nella vita nazionale, ma al contempo ne denuncia tutto il velleitarismo che lutti immensi porterà al paese e al mondo. Posto di fronte alla crisi economica mondiale, Mussolini reagiva militarizzando ulteriormente la società per controllarla meglio, tenerla unita e prepararla alla guerra con la quale solitamente i regimi imperialisti gestiscono le proprie difficoltà. Nel biennio 1935-1936 la Minerva fu retta da Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, il rude quadrunviro143, che accelerò la svolta autoritaria imprimendovi il suo piglio caporalesco. Ne è prova l’istituzione del “sabato fascista”144 che, liberando tutti dagli impegni lavorativi pomeridiani, destinava quel giorno alla preparazione politica e militare della nazione. Nell’aprile del 1935 a Cesena vi fu l’inaugurazione «della nuova “Casa del Balilla”, costruita nel vecchio foro boario su progetto dell’ing. Tellerini. Si tratta di un complesso dotato di numerosi servizi, dalle terrazze per cure elioterapiche alle immancabili palestre, dalla biblioteca al refettorio: un luogo di istruzione e di svago, allietato da un ampio parco, nel quale il comune è costretto a profondere notevoli risorse, che aggravano le già drammatiche condizioni in cui versa il bilancio»145. Dal mondo della scuola mancano completamente per questi anni segni di dissenso, che invece sembrano ancora sopravvivere e manifestarsi, ma provenienti da altri ambienti cittadini. C’è un documento podestarile del 24 agosto 1935, che ci informa di una vicenda singolare: il controllo capillare e ossessivo di tutti i simboli della vita pubblica da parte del regime non poteva tollerare che sotto il porticato del palazzo comunale di Cesena esistesse una lapide marmorea

142 «Il Popolo di Romagna», 16 gennaio 1935, A. XIII, p. 9. 143 Michele Bianchi, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo furono i quattro dirigenti fascisti (quadrunviri, appunto) che avevano preparato e guidato la marcia su Roma. 144 RDL n. 1010 del 20 giugno 1935. 145 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), cit., p. 742.

dedicata ad Andrea Costa. Essa era evidentemente diventata simbolo di resistenza dal momento che «sistematicamente, nottetempo, le ultime due righe della iscrizione: “i socialisti di Cesena / muovono sicuri incontro all’avvenire”, venivano sottolineate con lapis o con carbone, in modo da porle in particolare evidenza. Il che si ripeteva periodicamente ogni qualvolta la lapide veniva ripulita»146. L’autorità teme le implicazioni di questa guareschiana vicenda, e si preoccupa che la scritta e la sua sottolineatura possano cadere sotto gli occhi di tutti, considerando in particolare «che il porticato è spesso luogo di adunata di scolaresche e di associazioni per manifestazioni patriottiche»147. In occasione delle prove di ammissione del settembre 1935 il verbalizzante riportò la seguente frase: «Dato il momento che sta attraversando la Patria, come si esige da tutti i cittadini lo spirito di disciplina e di dedizione anche davanti ai più gravi sacrifici, si deve pure esigere dagli scolari che sappiano comprendere e compiere il loro dovere»148. Evidentemente il riferimento sottinteso è alla politica di “autarchia” (o autosufficienza economica), che, già messa in atto da tempo, si esasperò a partire dalla guerra di Etiopia (ottobre 1935-maggio 1936) e dalle conseguenti “sanzioni” (che nella retorica d’epoca sono sempre «inique»), cioè limitazioni dei rifornimenti da parte dei paesi aderenti alla Società delle nazioni (in primo luogo Francia e Inghilterra), paragonabili al moderno “embargo”. Questo argomento ritorna più esplicito nel documento seguente: il 13 novembre 1935 il podestà Bonicelli scrisse a presidi e direttori cittadini: «In relazione alla pronta ed energica azione di difesa contro le sanzioni che tutta la Nazione si appresta a svolgere sulle direttive impartite dal governo, prego la S. V. di esaminare subito la opportunità di adottare in codesto Istituto l’orario unico continuato che permetterebbe una notevole economia di luce e di combustibile». Il 15 il preside Busato rispose che «le prime classi di questo ginnasio hanno già orario unico fin dal 1° ottobre. Le altre classi del ginnasio hanno attualmente un solo pomeriggio occupato; le classi liceali ne hanno tre e sto studiando il modo migliore per eliminarne qualcuno prendendo anche gli opportuni accordi con l’O.N.B. per ciò che riguarda l’orario dell’Educazione Fisica che è combinato con quello delle lezioni di coltura. Confido di poter trovare una giusta conciliazione tra le esigenze didattiche e quelle doverosamente richieste da una energica azione di difesa contro le inique sanzioni. Se pur dovesse rimanere qualche pomeriggio occupato, poiché le lezioni terminerebbero, in ogni caso, verso le ore quattro pom. non si verificherebbe nessun consumo di luce e quanto al combustibile è da osservare che l’aula riscaldata alla mattina conserva senza dubbio il tepore sufficiente (12 centigradi regolamentari) anche per le lezioni pomeridiane. Del resto sarà cura di questa Presidenza di vigilare, scrupolosamente, sul consumo del combustibile anche per le ore della mattina»149. Il verbale di una riunione collegiale del gennaio 1936 ci propone un documento molto interessante: «Raccomanda il Sig. Preside che tutto l’insegnamento sia permeato profondamente di spirito fascista. Tutti gli insegnanti, anche quelli di matematica e scienze, devono concorrere a questa completa fascistizzazione della Scuola. L’educazione dev’essere essenzialmente politica e fascista. Le manifestazioni esteriori avranno un reale valore quando corrisponderanno ad uno stato d’animo realmente esistente; stato d’animo che la Scuola deve formare negli alunni con l’assidua formazione della coscienza fascista per mezzo dell’apprendimento e dell’esercizio dei propri doveri scolastici. È necessario pure intensificare i rapporti con l’O. N. B. Anzi, quando vengono annunciati gli ordini e i dispositivi dell’O. N. B. l’insegnante che li comunica si farà un dovere di commentarli e di esortare gli alunni a obbedire entusiasticamente. Così si ottiene la comunione spirituale tra

146 ASF, Prefettura– Archivio di gabinetto, busta 320, a. 1935, fasc. 38 – varie. 147 Ibid. 148 ALM, Verbali delle adunanze consigliari. 1928-1946, verbale 15 settembre 1935, p. 128. 149 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1929-1939, prot. N. 154 E/5, 15 novembre 1935, in risposta lettera del Comune prot. N. 17860 del 13 novembre 1935.

l’Organizzazione e la Scuola. Sarà poi opportuno leggere e commentare nella Scuola il Bollettino mensile dell’O. N. B. con le premiazioni. […] Un po’ di dogmatismo nell’insegnamento è necessario. […] Bisogna che l’alunno impari a scuola quanto più è possibile perché sia lasciato poi libero per l’attività assegnata all’O. N. B.»150. L’intervento, come si nota, era inusitatamente forte e schierato. La ragione va ricercata nel fatto che l’Italia era in guerra e di conseguenza le pressioni esplicite o il timore dell’occhiuta vigilanza spionistica abbiano spinto ad un intervento così plateale. Vi si scorge comunque il segno di un deciso giro di vite dell’intervento del regime nella vita scolastica. Ne abbiamo immediata conferma nel documento del 21 settembre 1936, dove il preside, dopo aver letto il saluto del provveditore Nino Fattovich, «propone di rispondere con un telegramma di omaggi al R. Provveditore assicurandogli la più fattiva collaborazione perché la Scuola possa rispondere ad ogni aspettativa del Regime. Il Preside conclude col Saluto al Duce»151. Il 12 febbraio 1937 Anno XV E. F. nel comunicare l’ordine del giorno della seduta plenaria del 15 (poi slittata al 16 per una non meglio precisata vacanza, ma verosimilmente quella di carnevale) tra le “varie” compare la voce “Istituto fascista di cultura”152. Probabilmente si tratta di un’iniziativa di cui veniamo informati dai giornali del tempo: «Nella sala del Ridotto del [sic] ha avuto luogo un Concerto organizzato dall’Istituto Fascista di Cultura locale, per gli studenti del R. Liceo-Ginnasio “Vincenzo Monti”, Presenziavano il Preside e i professori con tutti gli allievi, i quali sono iscritti all’Istituto Fascista di Cultura del Fascio Cesenate di Combattimento»153. Il 16 febbraio 1937 «il Preside […] raccomanda ai professori d’infondere sempre nell’animo dei giovani il senso dei più complessi doveri che scaturiscono dai più recenti avvenimenti militari e politici che per virtù somma del Capo, valore dei soldati, resistenza dei cittadini hanno ridato a Roma l’Impero. Il preside ricorda a tal fine la circolare del Ministro Bottai, che dà la solenne parola d’ordine: mettere la Scuola sul piano dell’Impero. Dirigenti, docenti ed alunni oltre che sentire l’orgoglio e la grandezza dell’ora, devono a questa adeguare le coscienze»154. Il 16 marzo dello stesso anno il preside, prof. Attilio Busato, diramò la circolare N. 29 con la quale comunicava che «lo scorso anno scolastico, col più vivo compiacimento delle Gerarchie del Partito e della Scuola, molti alunni di questo Istituto si sono iscritti alla Società Nazionale “Dante Alighieri”», dove è già ben visibile la priorità gerarchica che si stabiliva tra partito e istituzioni scolastiche. Sul ruolo che questa Società svolse nell’ideologia del regime, e in particolar modo sulla evoluzione della sua originaria ragione “tardo risorgimentale” ad una sua iscrizione di fatto nelle politiche culturali che si avviavano verso l’ideologia della razza, citeremo le parole dello stesso preside Busato nella medesima circolare: «Ricordo ai giovani che la Società “Dante Alighieri”, nata nel 1889 dal cuore di alcuni esuli irredenti, auspice Giacomo Venezian, morto combattendo sul Carso, lavorò con assiduità a serbare nelle terre irredente la coscienza del vincolo nazionale; incoraggiò i fratelli ad aver fede; aiutò con la scuola e col libro i connazionali emigrati a mantenere vivo il ricordo della Patria. Vi collaborarono, fervidamente, i maggiori letterati e patriotti italiani. “Nessuna associazione, scriveva Cesare Battisti, ci è stata come questa fedelmente e costantemente amica nei lunghi anni della nostra oppressione”. Dopo la grande guerra di redenzione l’attività della “Dante” è ancora rivolta dovunque l’Italia è, o potrebbe essere. Tiene acceso il sentimento delle

150 ALM, Verbali delle adunanze consigliari. 1928-1946, verbale n° 9, 24 gennaio 1936, pp. 140-142. 151 Ibid., n° 22, 21 settembre 1936, p. 159. 152 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, AA. SS. 1936/37 – 1964/65, A.S. 1936-1937, n° 25. 153 «Il popolo di Romagna», 27 febbraio 1937, p. 4. 154 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale n. 7 16 febbraio 1937, p. 175.

aspirazioni nazionali; affettuosamente vigile segue il nostro “sangue errabondo” ad impedire che esso si inquini»155. In particolare quest’ultimo passaggio suona significativo in maniera sinistra: non sarà inutile ricordare che la proclamazione dell’impero a seguito della conquista d’Etiopia è del 9 maggio 1936, e le leggi razziste (Provvedimenti in difesa della razza) giungeranno poco più di due anni dopo. Come ha oramai acclarato la più recente storiografia, l’invasione dell’Etiopia rappresentò uno spartiacque nella storia del regime fascista: quando le truppe italiane entrarono in Addis Abeba, si era ormai ineluttabilmente messa in moto una catena di eventi destinata a sacrificare milioni di vite al perseguimento di un programma imperniato sull’espansione territoriale, la purezza nazionale e l’odio razziale156. E il veleno del razzismo cominciò a propagarsi proprio attraverso l’esaltazione delle politiche imperialiste. Lo vediamo quando, il 5 aprile 1937, il preside scrisse al podestà: «È stato giustamente disposto dalle Superiori Gerarchie dell’A.F.S. che in tutte le Scuole del regno sia murata una lapide commemorativa della fondazione dell’Impero. Sarei pertanto a pregare vivamente la S.V. affinché voglia compiacersi di dare disposizioni per l’acquisto di detta lapide»157. L’esecuzione, riguardando tutte le scuole, venne affidata alla regia Scuola Industriale, che, avendo una propria fonderia, per quella data ha già approntato dei modelli di lapide commemorativa. L’inaugurazione della lapide coincise con la commemorazione della fondazione dell’impero tra il 5 e il 9 maggio che si svolse nel liceo158. Eccone la cronaca dai giornali dell’epoca: «Nel nostro Liceo-Ginnasio “Vincenzo Monti”, tra l’entusiasmo delle scolaresche, è stata solennemente commemorata la Fondazione dell’Impero. Il Preside prof. Attilio Busato ricordò e commentò agli alunni, in un ordine del giorno, il programma spirituale nuovo assegnato ai docenti ed agli insegnanti da S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale: mettere la Scuola sul piano dell’Impero; programma che non consiste nell’esaltare in uno sterile orgoglio per l’impresa romanamente ideata e compiuta, ma nel sentire una più profonda e fattiva responsabilità dei nuovi doveri e dei nuovi compiti. Alle scolaresche riunite nell’Aula Magna il prof. Umberto Marcelli di storia e filosofia, con dotte ed animate parole spiegò il significato storico e politico di questo ritorno dell’Impero sui Colli fatali di Roma, reso soltanto possibile dalla dura fatica del Capo che l’Impresa preparò con formidabili mezzi materiali, ma sopratutto temprando l’animo degli italiani uniti e fusi, come non mai, nel simbolo del Littorio, all’abnegazione, alla resistenza, al sacrificio per il trionfo di una grande Idea. Contemporaneamente fu inaugurata una lapide in bronzo recante le storiche parole del DUCE: “Il popolo italiano ha Creato col suo sangue l’Impero, lo feconderà con suo lavoro e lo difenderà contro chiunque colle sue armi”. Alla fine della cerimonia che ha avuto termine col vibrante saluto alla Maestà del RE Imperatore ed al DUCE amatissimo, gli alunni sfilavano rendendo omaggio alla Lapide e salutando la Bandiera»159. Il 16 aprile una nuova circolare avvertiva «gli alunni (Balilla, Avanguardisti, Piccole e Giovani Italiane) che domani mattina 17 corr. avranno inizio i pre-agonali della Cultura. In tutte le classi sarà svolto un tema inviato dalla Presidenza Provinciale dell’O. B. Gli alunni che si distingueranno nel lavoro scritto saranno ammessi a sostenere un colloquio di cultura generale fascista per una ulteriore e ristrettissima scelta. […] Raccomando agli alunni di svolgere il tema in classe con impegno, tanto più che esso avrà, per tutti, valore di compito trimestrale»160. Due aspetti in essa

155 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 29. 156 La stessa figura del poeta fiorentino, cui la Società si intitolava, era stata oggetto di subdola appropriazione ideologica da parte del fascismo: «una volta costruito il regime, la figura di Dante non sarebbe sfuggita alla galleria dei precursori e il culto della sua memoria sarebbe stato immesso in una delle “sagre nazionali” del regime» (M. RIDOLFI, op. cit., p. 67). 157 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1929-1939, prot. N. 467 D/1, 5 aprile 1937. 158 Ibid., prot. N. 518 D/1 27 aprile 1937. 159 «Il popolo di Romagna», 15 maggio 1937, anno XV, n. 19, p. 4 160 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 36.

colpiscono (che poi appartengono allo stesso ordine di considerazioni): l’iscrizione di tutti gli alunni entro le categorie onomastiche imposte dal regime; il fatto che la scuola assuma come prova di valutazione a tutti gli effetti la traccia di un “concorso” indetto dall’Opera Nazionale Balilla, mostra tutta la subalternità della prima alle istituzioni del partito-stato. Come si accennava prima, anche il percorso di costruzione di un nazionalismo imperialista e razzista (che avanzavano parallelamente) troverà nella scuola una potente cassa di risonanza. Lo conferma la circolare del 7 maggio 1937 che recita così: «Oggi alle 11.45 il prof. Marcelli di Storia e Filosofia ricorderà agli alunni riuniti nell’Aula Magna la Formazione dell’Impero. Tutte le classi, in perfetto ordine e silenzio, accompagnate dai propri professori si raccoglieranno in Aula Magna. Le alunne delle classi miste prenderanno posto davanti con le compagne delle altre classi femminili. Terminata la cerimonia, le classi, sempre sotto la vigilanza dei propri insegnanti, ritorneranno nelle aule a prendere i libri per recarsi a casa. Giù nell’atrio dell’Istituto, ove è murata la lapide con le storiche parole del Duce, avrà luogo, al passaggio degli alunni, il saluto alla Bandiera. Raccomando ai giovani di comportarsi col raccoglimento che la breve ma significativa cerimonia comporta. S. E. il Ministro dell’Educ. Naz. al principio dell’anno scolastico ha dato una parola d’ordine, un programma spirituale nuovo ai docenti e ai discenti: mettere la Scuola sul piano dell’Impero; programma che consiste anzitutto nel sentire non uno sterile orgoglio, ma una maggiore fattiva responsabilità dei propri doveri. Bisogna che la Scuola Italiana moltiplichi le sue forze, perché l’immenso territorio imperiale attende, assieme a quella del braccio, l’opera instancabile della Scienza»161. Non fu quella, però, l’unica cerimonia prevista per quella solennità: dai giornali apprendiamo infatti che «gli Istituti Scolastici vari coi direttori e presidi» sfilarono in corteo al seguito della bandiera del 27 reggimento di fanteria che arrivava in città162: ancora una volta scuola ed esercito si mettevano in marcia insieme sotto le stesse bandiere. Tra i fattori di modernità del regime fascista, si è detto, vi fu senz’altro quello della lungimirante comprensione delle enormi potenzialità dei mass media quali efficaci strumenti di fascistizzazione delle masse. Ma la radio, ancor più che il cinema (mancando alla triade la televisione163) svolse un ruolo capillare e penetrò ampiamente nel mondo della scuola. Ce lo ricorda la circolare del 29 maggio 1937: «Questa mattina alle ore 10.30 tutti gli alunni saranno riuniti nell’Aula Magna dove ascolteranno la trasmissione di congedo dell’annata scolastica radiofonica. S. E. il Ministro dell’Educ. Naz. parlerà agli alunni e agli insegnanti per dare le direttive per il venturo anno scolastico»164. Per meglio indagare questo connubio di nazionalismo, imperialismo, razzismo, può risultare istruttivo seguire la vicenda della commemorazione della morte di un giovane soldato cesenate. Cominciamo con le parole del preside: «Come avete appreso dai pubblici manifesti Cesena si prepara ad onorare la medaglia d’oro William D’Altri caduto eroicamente in A. O. Il 27 corrente [giugno. 1937] verrà inaugurato un busto che sorgerà in viale Carducci per sottoscrizione popolare. La Scuola non può mancare a questa glorificazione del giovane eroe uscito dalla locale Scuola industriale. Alla famiglia dell’eroe verrà offerto un album con le firme [… e un] contributo per la erezione del monumento che dovrà testimoniare la commossa ammirazione di tutto il popolo

161 Ibid., n° 40. 162 «Il popolo di Romagna», 15 maggio 1937, p. 2. 163 Sulle sperimentazioni televisive del fascismo si veda D. VERDEGIGLIO, La TV di Mussolini, Roma, Cooper Castelvecchi, 2003. 164 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 43.

Cesenate per Colui che con il Sacrificio eroico della vita contribuì a dare all’Italia il Suo Impero»165. Dai giornali dell’epoca abbiamo modo di conoscere il testo di quei «pubblici manifesti»: «Cittadini! Il 27 giugno 1936, partendo da Addis Abeba , sfidava procelle ed agguati, per portare il tricolore ai confini estremi dell’Impero, una pattuglia di veterani e di giovani scelti: fra questi un aviere cesenate: William D’Altri. Poco più che ventenne, dal tepido nido si era lanciato ad un tratto in temerari voli di guerra. Nel cielo del Tembien, sull’Amba Aradam, l’Amba Alagi e l’Ascianghi il Suo volto di adolescente eroico era splendente di gioia, sia che la bomba colpisse in pieno l’orda barbarica, sia che la fragile ala fosse squassata da colpi nemici. Pochi mesi di guerra lo resero degno di stare accanto a combattenti e volatori come il generale Vincenzo Magliocco e il colonnello Mario Calderini e quell’Antonio Locatelli la cui vita fu un’impetuosa corsa contro i pericoli, verso la morte eroica. La stessa ansia ardeva e purificava il Giovane fascista di Cesena. Né si poteva attendere la fine delle piogge per stroncare le superstiti velleità negussite e sanzioniste, ai margini dell’Impero, protette dal fango e dalle pigre nebbie, e William D’Altri si offrì volontario per il volo e il vindice sacrificio di Lekemti. Non cercò “scampo e rifugio” come attesta la motivazione della medaglia d’oro, ma si strinse “ai suoi ufficiali battendosi strenuamente e valorosamente fino all’estremo sacrificio”. Sulla soglia dell’immortalità lo accolse fraterno Ivo Oliveti. Cittadini! Il 27 giugno 1937 Cesena, con cuore materno, onorerà il Suo Figlio più eroico dedicandogli un monumento che poserà su terra raccolta a Lekemti, dove fu irrorata di purissimo sangue. Perenne nel bronzo e ancor più nel cuore del popolo William D’Altri sorriderà alla luce della gloria italiana»166. Per la consegna dell’annunciato «album con le firme» la famiglia D’Altri dovette attendere l’anno successivo: «Ricorrendo il secondo anniversario dell’eccidio di Lekemti, dove trovò gloriosa morte il giovane pilota cesenate William D’Altri, […] la nostra città ha reso omaggio con austero rito all’eroe, al monumento che sorge in viale Carducci. […] Nella residenza municipale in una suggestiva cerimonia svoltasi con l’intervento delle autorità politiche e militari e dei dirigenti le associazioni di guerra, ha avuto luogo la consegna di un album offerto dalla cittadinanza cesenate al padre del caduto»167. Ora, al di là della tragica vicenda umana del giovane caduto, bisogna ricordare con Sergio Luzzatto che le «teorie e pratiche, miti e riti del fascismo ruotarono ossessivamente intorno al tema della morte. Prima della marcia su Roma, la mitologia del sangue versato dalle camicie nere servì a legittimare la violenza squadristica. Dopo la presa del potere, il rituale dell’appello ai caduti e le cerimonie di commemorazione in generale furono momenti politicamente liturgici, stati di fusione tra la dimensione secolare del fascismo e la sua dimensione sacrale»168. Con il Regio Decreto n. 1839 del 27 ottobre 1937 venne istituita la Gioventù italiana del littorio (Gil) che assorbì, quale «organizzazione unitaria e totalitaria delle forze giovanili del Regime fascista» (che poneva alle dirette dipendenze del segretario del partito), anche l’Onb: questa vi portava in dote 5,5 milioni di aderenti, cioè il 74,9 % dei ragazzi e il 58,5% delle ragazze fra gli 8 e i 18 anni. L’articolo 1 del suo statuto sceglieva come suo motto il trittico «Credere, Obbedire, Combattere». Ogni membro, anche i bambini di sei anni, si impegnava con il giuramento, che fin dalla promulgazione dello statuto del novembre 1932 i Giovani fascisti già prestavano al loro

165 Ibid., n° 46. «Il Popolo di Romagna» (anno XV, n. 18, sabato 9 maggio 1932, p. 4) già il mese prima riferiva di come «il Ministero dell’Aeronautica […] ha fatto recapitare al Padre dell’Eroe dell’Impresa vittoriosa d’Africa Medaglia d’Oro William D’Altri, un’urna contenente la sacra terra bagnata dal sangue purissimo dei Martiri di Lekemti, immolatosi per l’Impero d’Italia. La cittadinanza ha appreso con senso di viva commozione e di legittimo orgoglio, il simbolico gesto che onora la memoria di uno dei suoi figli migliori offerti in olocausto alla Patria, al quale vorrà solennemente consacrare un Monumento che perpetui nel tempo l’affettuosa e riconoscente devozione ed il fecondo amore al giovanissimo Eroe alato, della gente della Terra del Capo». 166 «Il Popolo di Romagna», 29 maggio 1937, anno XV, n. 21, p. 4. 167 «Il Popolo di Romagna», 2 luglio 1938, anno XV, n. 26, p. 6. 168 S. LUZZATTO, L’immagine del duce, cit., p. 147.

ingresso nel partito, «nel nome di Dio e dell’Italia», a «eseguire gli ordini del Duce» affermando di essere disposto a «servire con tutte le mie forze e, se necessario, col mio sangue, la Causa della Rivoluzione fascista». Conseguenza immediata fu che il preside, poco tempo dopo, fece «obbligo a tutti gli alunni di questa scuola di procurarsi e di portare il distintivo della G. I. L.169». L’8 ottobre, alla riapertura dell’anno scolastico 1937-1938, il vice preside Meo informava che «la cerimonia inaugurale del nuovo anno scolastico avrà luogo in questo Istituto Sabato 16 corrente alle ore 8,30. Per ordine di S. E. il Ministro tutti gli Insegnanti, in divisa fascista, dovranno essere presenti»170. E così la scuola italiana, indossata la divisa, partecipava alle adunate cittadine in cui si celebravano il duce e i suoi emuli locali: «Cesena 27 ott. 1937 XV. Ai Sigg. Professori: Prego i Sigg. professori di prendere visione della lettera circolare del Segretario del fascio locale in data 26 ott. 1937 XV. In osservanza alle Superiori disposizioni prego i Sigg. professori di trovarsi alla Scuola domani alle ore 10,45 per recarsi poi in Piazza V. E. ad ascoltare la radiotrasmissione del gran Rapporto che il Duce terrà alle Gerarchie politiche di tutta Italia. F.to Il Preside Busato»171. Il 28 successivo, un giovedì, si sarebbe celebrato l’anniversario della marcia su Roma. Altro abusato veicolo di indottrinamento e, per così dire, di “proiezione mitologica” era quello della romanità e dei suoi fasti imperiali. L’8 novembre 1937 (“XVI E.F.”) il preside ricordò agli alunni che nello stesso giorno, «in ottemperanza alle Superiori disposizioni, sarà tenuta dal Preside, nell’Aula Magna, l’orazione celebrativa del bimillenario Augusteo a seguito e a completamento delle lezioni illustrative tenute nelle varie classi dai Sigg. Professori. Gli alunni si troveranno alla Scuola alle ore 15,15. […] Alla fine della conferenza celebrativa, gli alunni canteranno l’Inno a Roma»172. Un’altra circolare interessante ci fa intendere anche come l’onere economico di molte imposizioni fasciste ricadesse poi sulle tasche delle singole famiglie di alunni e insegnanti: «L’On. Ministero della Educazione Nazionale, con lettera circolare N°9754 del giorno 8 ottobre, ha disposto che ogni Istituto abbia, in sostituzione della bandiera, il proprio gagliardetto tricolore il quale rappresenti e metta in evidenza il carattere fondamentale della nuova scuola italiana fascista. Il Superiore Ministero ha inoltre disposto che la spesa relativa venga sostenuta, oltre che da Enti e associazioni, dai professori e dagli alunni dell’Istituto»173. Dal verbale della seduta ordinaria del consiglio dei professori del 19 novembre 1937, apprendiamo, di passaggio, che il «prof. Marcelli [è] partito per Addis Abeba in seguito a un concorso vinto». In effetti il professore era stato messo a disposizione del Ministero dell’Africa Italiana dal 16 novembre dello stesso anno; aveva per questo lasciato la scuola il 15 e si era imbarcato per Addis Abeba il 18 di quel mese174. Quasi tutto ignoriamo di questa vicenda, ma è evidente come essa si 169 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, in data 8 aprile, n° 23. 170 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1937-1938, n° 2. 171 Ibid., n° 5. 172 Ibid., n° 6. Inno a Roma (parole F. Salvatori, musica G. Puccini): Roma divina, a Te sul Campidoglio / dove eterno verdeggia il sacro alloro, / a Te nostra fortezza e nostro orgoglio, / ascende il coro. // Salve Dea Roma! Ti sfavilla in fronte / il Sol che nasce sulla nuova storia; / fulgida in arme, all'ultimo orizzonte / sta la Vittoria. // Rit.: [Sole che sorgi libero e giocondo / sul colle nostro i tuoi cavalli doma; / tu non vedrai nessuna cosa al mondo / maggior di Roma.] // Per tutto il cielo è un volo di bandiere / e la pace del mondo oggi è latina: / il tricolore canta sul cantiere, / su l'officina. // Madre che doni ai popoli la legge / eterna e pura come il Sol che nasce, / benedici l'aratro antico e il gregge / folto che pasce! // [Rit.: …] // Benedici il riposo e la fatica /che si rinnova per virtù d'amore, / la giovinezza florida e l'antica / età che muore. // Madre di uomini e di lanosi armenti, / d'opere schiette e di penose scuole, / tornano alle tue case i reggimenti / e sorge il sole. // [Rit.: …]. 173 Ibid., n° 8. 174 ALM, scheda di Stato personale del prof. Marcelli.

inserisca in quel grande fenomeno di migrazioni verso le colonie, che coinvolse una consistente fetta di popolazione italiana. L’Africa Orientale divenne il principale sbocco per l’ormai strutturale disoccupazione bracciantile e operaia della provincia. Nel 1935 «partono per l’AOI più di 1.000 individui, e circa altrettanti nel 1936. Nel 1937 le domande superano abbondantemente i posti disponibili, nonostante i salari bassissimi e le condizioni spesso assai precarie in cui i “colonizzatori” sono costretti a vivere. A partire dal 1938, invece, il flusso migratorio sarà dirottato verso la Germania, che assorbirà, fino al 1942, circa 7.000 lavoratori provenienti dalla provincia di Forlì»175. Più avanti, sempre nello stesso verbale, compaiono alcune interessanti considerazioni sulla programmazione didattica. In particolare «per l’insegnamento della Storia si insiste perché sia ispirato al nuovo clima imperiale e Fascista e serva a porre in rilievo soprattutto l’iniziativa e la nobiltà del popolo italiano nel corso dei secoli, l’originalità del suo rinascimento e la grandezza della nuova civiltà Fascista […] Annuncia poi che è uscito il libro di Stato per la Cultura militare. […] Prima di togliere la seduta il Preside raccomanda l’adesione e il tesseramento all’O. N. B.»176. «Cesena 18 gennaio 1938 – XVI. Agli alunni: Giovedì corrente, alle ore 9,45, avrà luogo la trasmissione inaugurale che precederà le “lezioni concerto” e i concerti corali orchestrali che saranno, alla loro volta, radiotrasmessi a partire da lunedì 24 corrente ogni 15 giorni. Con la trasmissione inaugurale S. E. il Ministro rivolgerà brevi parole ai docenti e agli studenti di tutte le scuole del Regno. Per queste audizioni che provvedono in modo, finalmente graduale e sistematico alla educazione musicale dei giovani, la scuola ha commissionato all’Ente Radio Rurale, per il tramite del locale Segretario del Fascio, un apparecchio con altoparlante. Poiché la spesa dovrà essere sostenuta dalla cassa scolastica e poiché la cassa scolastica vive anche delle offerte degli alunni, rivolgo a questi una particolare raccomandazione affinché l’offerta sia commisurata allo scopo per cui viene richiesta. L’apparecchio radiofonico metterà la scuola in condizione di udire i programmi musicali prescritti (musica liturgica, trovadorica, moderna ecc.) e non sarà richiesto agli alunni alcun ulteriore contributo per audizioni musicali»177. Ma la scuola non era solo docile destinataria della propaganda ideologica fascista; a volte gli insegnati del liceo si facevano essi stessi vettori attivi di temi e idee cari al regime rivolgendosi a un uditorio esterno alle mura scolastiche, ad esempio tenendo lezioni pubbliche, come apprendiamo da una cronaca del febbraio 1938: «Ha avuto inizio nella nostra città un corso di lezioni per operai e i dirigenti di aziende, intorno ai capisaldi dello Stato Fascista. La prima lezione tenuta dal chiarissimo prof. Paolo Colombo, ha trattato della funzione imperiale dello Stato moderno e quindi della necessità impellente per ogni grande popolo di lanciarsi per le vie della conquista dell’Impero. L’oratore ha particolarmente trattato del nuovo impero territoriale dell’Italia in terra d’Africa e del più vasto impero ideale dell’Idea fascista nel mondo: Impero che consiste nell’universalizzazione della lotta contro il bolscevismo, nella realtà dello Stato Corporativo, nella concezione della politica come attività non solo amministrativa e economica, ma anche e soprattutto morale. Tale concezione rinnovatrice della coscienza mondiale moderna è il dono che il fascismo fa all’umanità assetata di pace. L’oratore, attentamente seguito, è stato per ultimo calorosamente applaudito e complimentato»178. «Il Risveglio» nell’aprile 1938 pubblicò il programma del ciclo di conferenze di cultura fascista nel cesenate. Vi apprendiamo che a Villa Casone il Prof. Attilio Busato affrontò il tema “L’Italia e

175 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), cit., p. 743. 176 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 19 novembre 1937, pp. 204-207. 177 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 13. 178 «Il Popolo di Romagna», 12 febbraio 1938, anno XVI, n. 6, p. 4. Cfr. anche «Il Risveglio», 13 febbraio 1938, A. XVI, n. 7, p. 3. L’identico modo in cui le due testate trattano la notizia lascia ben intendere quale fosse il controllo del regime sulla stampa, anche la più periferica e provinciale.

l’Inghilterra nel Mediterraneo”; a Ponte Pietra il Prof. Paolo Colombo quello del “Momento politico attuale”179. Ma tale attivismo propagandistico si era manifestato già da più di un anno, dato che nel febbraio 1937 «al corso di Storia della Corporazione il prof. Paolo Colombo ha fatto importante esposizione, alla presenza dei dirigenti sindacali e dei lavoratori dell’Industria»180. Riportare la cronaca giornalistica dell’allocuzione può essere utile per individuare il punto di saldatura che si stabilì nella scuola italiana tra la formazione umanistica (prefascista) della classe docente e il nuovo corso del revisionismo storico fascista. Fu anche attraverso questo canale che il corpo insegnante ebbe probabilmente meno problemi ad adattarsi alle richieste di allineamento propagandistico che il regime avanzò alla scuola: «La lezione si svolge sulla storia dei nostri Comuni sorgenti dopo il 1100. L’oratore mostra l’importanza di questo movimento nella storia dell’umanità moderna. Tutta la civiltà nostra nelle linee fondamentali, dopo che da Roma e dal Cristianesimo, viene dai nostri Comuni, fenomeno, questo, prettamente italiano, indice di una genialità di cui possiamo essere ancora orgogliosi. Passa poi l’oratore a trattare sul nuovo spirito corporativo che informa le plebi rinnovate d’Italia: dappertutto è fervore d’opera tra i lavoratori stretti nelle arti o corporazioni che sono cementate da uno spirito sociale altissimo. Lo stesso fenomeno dall’Italia passa in Francia nei mestieri, in Inghilterra e in Germania nelle gilde, ma non con l’ampiezza di respiro e di vedute, soprattutto con la profondità di significato che sono caratteristiche puramente nostre. Si ferma poi l’oratore a discorrere delle corporazioni delle Armi del Comune di Bologna, riferendo dati interessantissimi ricavati dagli studi del Gaudenzi. Conchiude poi accennando in breve agli altri Comuni italiani, mostrando come dall’elevazione della classe operaia sia nata quella civiltà trecentesca che ha dato Giotto e Dante Alighieri. Il prof. Colombo è stato ascoltato con manifesto interesse dalla folla di sindacalisti e in fine salutato con una calda ovazione»181. È questo un capitolo assai delicato nel quale si registra un coinvolgimento attivo degli intellettuali nell’opera di diffusione volontaria del verbo fascista (spesso nei suoi connotati di imperialismo e razzismo). È verosimile spiegarselo con le attrattive che pubblico e pubblicazioni esercitano sugli intellettuali di ogni tempo, lusinghe per le quali alcuni furono e sono disposti a barattare dignità, libertà e senso critico. Se ciò fornisce una plausibile chiave di lettura, non può in nessun modo rappresentare una giustificazione, meno che mai per coloro che avrebbero il compito di sollecitare la riflessione critica sulla realtà e coltivare la libertà e l’indipendenza dello studio e della ricerca come i più preziosi dei beni. Il 21 febbraio 1938 (“XVI E.F”.) il preside diffuse due circolari. Nella prima avvertiva «le scolaresche che […] la quota di abbonamento all’Istituto di Cultura Fascista (sezione di Cesena) è di £ 2,50. Quelli che hanno intenzione di farsi soci dell’Istituto stesso potranno versare detta quota in Segreteria. Mi auguro che le adesioni siano numerose»; nella seconda scriveva: «In relazione alla lettera circolare del comandante della G.I.L. faccio viva raccomandazione a tutti gli alunni di portare alla scuola e di consegnare al custode il maggior quantitativo possibile di carta. Anche in questo modo si può efficacemente contribuire al successo della politica autarchica inaugurata dal Duce per la nostra completa indipendenza economica dall’estero»182. Si cercava, cioè, di coniugare le esigenze della propaganda con quelle della scarsezza di risorse; così il 14 marzo 1938 (“XVI E.F.”) il preside annunciò: «Ho abbonato all’“Azione Coloniale” un alunno per ciascuna classe del Ginnasio Superiore e del Liceo. Quelli che sono stati favoriti dal sorteggio sono invitati a far girare tra i compagni l’importante periodico. Le sei classi del Ginnasio inferiore sono state invece abbonate al settimanale illustrato “Il Balilla”. È stato fatto un

179 Cfr. «Il Risveglio», 16 aprile 1938, A. XVI, n. 15, p. 3. 180 «Il popolo di Romagna», 27 febbraio 1937, p. 4. 181 Ibid. 182 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 16.

abbonamento per ciascuna classe. Raccomando pertanto che anche questo periodico venga cameratescamente passato da alunno ad alunno in modo che tutti lo possano leggere»183. E quello della scarsezza di risorse da investire nella scuola, a fronte di un crescente impegno militare del paese, è anche dalla lettera con la quale il 1° aprile 1938 il preside Busato ricordò al podestà che «S.E. il Ministro dell’Educazione Nazionale, con circolare N. 8415 del 17 febbraio, à reso obbligatorio nelle scuole medie l’impianto radiofonico centralizzato che permetterà agli alunni di ascoltare dai loro banchi, i concerti, le conferenze, le conversazioni che verranno metodicamente trasmesse secondo un determinato programma, allo scopo di integrare la cultura degli alunni. […] Per la qual cosa mi permetto di rivolgere vivissima preghiera a cotesta On. Amministrazione affinché voglia compiacersi di elevare notevolmente il contributo annuo a favore della Cassa Scolastica di questo R. Liceo-Ginnasio»184. Ma il comune non versava in acque migliori della scuola, tant’è che il 7 aprile il podestà Bonicelli rispose che «pur riconoscendo l’utilità dell’alta iniziativa, sono spiacente non poter aderire alla cortese richiesta della S.V. […] A prescindere dal fatto che il contributo alla Cassa scolastica è già stato deliberato […] debbo confermarLe che le difficili condizioni finanziarie del Comune e le norme restrittive emanate, in materia di spese dalle superiori Autorità, non mi consentono, in modo assoluto, di assumere per le Scuole medie nuovi oneri in aggiunta a quelli rilevanti attualmente sostenuti. Tanto più ove si consideri che simile impianto dovrebbe – come ritengo per certo – essere esteso, in un secondo momento, agli altri Istituti medi della Città»185. «Nella mattina di sabato 30 [aprile1938] avrà luogo al Teatro Verdi, uno spettacolo cinematografico con la proiezione della pellicola “Scolari del Littorio”. Il Ministero fa obbligo a tutti gli insegnanti e a tutti gli alunni di intervenire. Tutti dovranno però versare la quota personale di £ 1»186. Il 7 maggio [1938] gli alunni ricevettero il seguente avviso del preside: «Lunedì 9 corr. anniversario della fondazione dell’Impero è vacanza. Il Comandante della G.I.L. mi prega di avvertire che i Balilla Moschettieri; gli Avanguardisti ordinari e Moschettieri; i Giovani fascisti e le Giovani fasciste dovranno trovarsi lunedì 9 corr. alle ore 10 alla Casa Stadio, in Divisa, dove avrà luogo la celebrazione della storica data»187. Tali attività si alternavano a quelle più tradizionalmente caratteristiche della vita scolastica: il 17 maggio1938, infatti, «gli studenti appartenenti al 1, 2 e 3 corso liceale del nostro Liceo V. Monti [sono partiti] diretti a Roma in gita ricreativa ed istruttiva»188. L’allineamento della scuola di questo territorio ai piani del regime è testimoniato dal compiacimento espresso nel giudizio inviato al provveditore dal ministro dell’Educazione nazionale, Bottai, dopo una visita svolta l’8 e il 9 giugno nella provincia di Forlì: «Durante la mia recente visita costì ho constatato che la scuola forlivese, conscia dell’alta missione a lei affidata dal regime, assolve con grande fervore, con disciplina e con nobiltà d’intenti alla sua importante funzione. La scuola romagnola è in linea e marcia sicura e fedele al comandamento del grande figlio di codesta generosa terra. Vogliate rendervi interprete presso gli educatori tutti di ogni ordine e grado delle scuole Elementari e Medie di codesta provincia del mio vivissimo elogio e dei sensi di profondo compiacimento e portare ai dirigenti, insegnanti e alunni il mio più cordiale saluto»189.

183 Ibid., n° 17. 184 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1929-1939, prot. N. 1474 C/4, 1 aprile 1938. 185 Ibid., Prot. N. 6545/299 474/C 4 7 aprile 1938. 186 Ibid., n° 25. 187 Ibid., n° 28. 188 «Il Risveglio», 24 aprile – 1 maggio 1938, A. XVI, n. 17, p. 3. 189 In C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 58.

Ma gli scambi di cortesie (che sconfinano in strisciante servilismo) muovono anche nella direzione opposta e in ambito strettamente cittadino. Il 5 agosto 1938 il preside, che si trovava da più d’un mese per ragioni di servizio a Roma, scrisse un biglietto personale al nuovo podestà in cui diceva: «Vi sono particolarmente grato delle parole di compiacimento che avete espresso a me e ai Sigg. Professori per i risultati degli esami di maturità di quest’anno. La soddisfazione Vostra e della cittadinanza di Cesena così degnamente da Voi rappresentata ci è di conforto e di sprone a continuare la quotidiana, talvolta dura, ma non ingrata fatica intesa a preparare le nuove generazioni agli ardui compiti di un’Italia nuovamente imperiale»190. Ma il 1938 è soprattutto l’anno che verrà ricordato per l’introduzione di una coerente legislazione “razziale” in Italia. Le tappe dell’escalation razzista, proprio a Cesena, sono state già dettagliatamente ricostruite altrove191, ma è significativo ricordare come, in questo percorso, un momento importante fu costituito dalla diffusione capillare della rivista di Telesio Interlandi «La difesa della Razza», cui vennero obbligatoriamente abbonate scuole e biblioteche del regno. È dunque verosimile che proprio questo infame mensile si celasse dietro la dicitura «Diffusione per la difesa della razza» riportato sul registro del protocollo della scuola alla data del 12 agosto 1938192. In particolare fu il mese di settembre di quel fatidico 1938 quello che vide l’introduzione della prima legge razzista nella nostra legislazione, ed essa riguardò proprio l’esclusione degli ebrei, insegnanti e alunni, dalla scuola193. Dal 30 settembre 1938, con la circolare n. 33 firmata dal nuovo ministro dell’Educazione nazionale Bottai, si sancì il Divieto di adozione nelle Scuole di libri di testo di autori di razza ebraica.

190 ASC, Titolo IX, cat. 299, fasc. 1929-1939, Municipio di Cesena, P.G.N. 13716 9 agosto 1938. 191 Su questo tema si rimanda a G. IACUZZI, A. GAGLIARDO, Ebrei a Cesena 1938-1944. Una storia del razzismo di Stato in Italia, Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2002. 192 ALM, Registro protocollo (1935-1938), n. 785 del 12 agosto 1938, dal Provveditorato agli studi di Forlì. Solo per rendere conto della martellante presenza della propaganda fascista svolta attraverso la diffusione di libri e riviste, si può osservare come nella stessa pagina di questo Registro vi siano annotate le comunicazioni ministeriali riguardanti l’abbonamento alla rivista «Civiltà fascista» (n.775), l’invio del volume XI degli Scritti e Discorsi del Duce, nonché dal provveditorato la chiamata in servizio di appartenenti alla M.V.S.N. 193 «Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia, visto l'art. 3, n.2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n.100; ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana; udito il Consiglio dei Ministri; sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze; abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1. All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all'assistentato universitario, né al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza. Art. 2. Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica. Art. 3. A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza. Art. 4. I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre1938-XVI. Art. 5. In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici. Art. 6. Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica. Art. 7. Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l'educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 - Anno XVI. Firmato: Vittorio Emanuele, Mussolini, Bottai, Di Revel, Visto il Guardasigilli Solmi». (Regio Decreto Legge 5 settembre 1938, XVI, n. 1390 in «Gazzetta ufficiale» del Regno d'Italia, n.209, 13/09/1938 (Convertito in Legge il 5 gennaio 1939, in « GU» n.31, 07/02/1939, senza modifiche), Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista.)

Il 15 ottobre 1938 il prefetto di Forlì Uccelli comunicò con urgenza al podestà di Cesena che «il Ministero dell’Interno (Direzione Generale della Demografia e della razza), a cui è stato inoltrato il quesito contenuto nella lettera 11 ottobre corr. n. 15793 di codesto Ufficio, comunica quanto segue: “Ministero Educazione nazionale ha comunicato che per iscrizione alunni scuole pubbliche est sufficiente dichiarazione genitori attestante appartenenza razza ariana”»194. E così a partire dall’a.s. 1938/1939 in conseguenza delle prime leggi razziste che proibivano ad alunni ed insegnanti ebrei la frequenza delle scuola del regno, cominciarono a comparire nelle domande di iscrizione a questo liceo (che ancora nell’a.s. 1935/1936 era frequentato da una Levi Graziella di Mario195 dall’inequivocabile cognome ebraico) le dichiarazioni di appartenenza alla razza ariana196. Nella più generale vicenda dell’introduzione delle leggi razziste, dato il contesto preso in esame in queste pagine, varrà la pena ricordare che nel liceo “Monti” frequentò la terza classe nell’anno 1943/1944 Ferruccio Ricordi, più tardi noto col nome d’arte di Teddy Reno. Egli era figlio dell’ingegner Giorgio Ricordi, un dirigente dell’Arrigoni, e di Paola Sanguinetti, sorella di Giorgio Sanguinetti proprietario della stessa ditta triestina che aveva un importante stabilimento di conserve in città. I Merk, questo era l’originario cognome dei Ricordi che l’avevano italianizzato a seguito delle imposizioni nazionalistiche del regime, erano originari di Trieste, ma da qui erano sfollati a Lussimpiccolo (oggi isola di Lussino o Lošinj, Croazia) a seguito dello scoppio della guerra; a Cesena i Sanguinetti dovettero fare i conti con la legislazione razzista e con l’arrivo dei tedeschi, a causa della discendenza ebraica della famiglia materna197. Anche gli insegnanti dovettero passare attraverso le maglie della nuova normativa: citiamo per tutti il caso dell’illustre prof. Lanfranco Caretti (il futuro studioso di Ariosto, Tasso e Manzoni) che il 14 novembre 1941, richiedendo al preside il “premio di natalità”198, produceva una lunga documentazione che comprendeva anche la dichiarazione di appartenenza alla razza ariana199. Che i temi del razzismo cominciassero a diffondersi già prima dell’entrata in vigore di un compiuta legislazione, è ben evidenziato dal resoconto della cerimonia inaugurale dell’anno scolastico 1938-1939: «Alla Casa Stadio della G.I.L. sono convenuti tutti i giovani appartenenti ai vari istituti con in testa i labari delle legioni balilla, avanguardista e fascio giovanile. […] Nell’Aula Magna “Renato Serra” del R. Liceo-Ginnasio “Vincenzo Monti”, alla presenza del Podestà, del rappresentante del Comando di presidio, dei professori e degli studenti, il Preside prof. Attilio Busato ha parlato ai giovani, esaltando la fisionomia dell’Italia imperiale. Ha poi trattato del problema della razza, che trova nell’azione del Duce il fattore massimo di difesa, ed ha esortato i giovani ad una sana

194 ASC, Titolo XII, cat., 235, Regia Prefettura di Forlì, prot. 22117, 15 ottobre 1938. 195 ALM, Cartelle personali alunni, ad nomen. 196 In effetti le diciture variano continuamente, a testimoniare la scarsa dimestichezza degli italiani con il linguaggio di una legislazione razzista. Eccone alcuni esempi: «Dichiara che la propria famiglia non appartiene a razza ebraica»; «Dichiara di non appartenere a famiglia ebraica»; «Non appartiene a razza ebraica»; «Dichiaro di essere di razza ariana»; «Dichiaro che entrambi i genitori non sono di razza ebraica»; «Tutti i nostri progenitori appartengono alla razza Ariana»; ecc. Spesso le dichiarazioni ricalcano la formula dell’analoga domanda di iscrizione del precedente anno scolastico; l’aggiunta della nuova formula è talmente inusuale che viene ad occupare spesso l’esiguo spazio rimasto dopo un rigo non completato o addirittura apposta in calce ad un modello evidentemente già compilato. 197 Cfr. G. IACUZZI, A. GAGLIARDO, op. cit., pp. 120-121. 198 «Nel cosiddetto “discorso dell’Ascensione”, tenutosi alla camera il 26 maggio 1927, Mussolini annunciò di voler inaugurare una battaglia demografica per irrobustire la nazione e difenderla dai pericoli posti dai paesi maggiormente popolosi. Al fine di sostenere l’incremento demografico, nel 1928 fu quindi varata una serie di provvedimenti legislativi che prevedevano agevolazioni tributarie alle famiglie numerose. […] Benché sostenuta con grande impegno propagandistico, la battaglia demografica fu senza alcun dubbio persa dal fascismo: nel ventennio la natalità tese infatti costantemente a ridursi» (L. BALDISSARA, (ad vocem) demografica, politica, in A. DE BERNARDI, S. GUARRACINO (a cura di), Fascismo. Dizionario di storia, personaggi, cultura, economia, fonti e dibattito storiografico, Milano, B. Mondadori, 1998, p. 253). 199 ALM, Cartelle personali insegnanti, ad nomen, Prot. N. 733 A/2 14 novembre 1941.

disciplina di studio e di vita elevando il pensiero agli eroi che appartennero all’Istituto e si immolarono per la grandezza della Patria»200. Particolarmente efficaci per tratteggiare il nuovo clima, sembrano le parole di questo verbale: «Oggi, 22 novembre 1938 XVII si riuniscono i professori di questo liceo. Il Signor Preside Prof. A. Busato apre la seduta cui partecipano tutti gli insegnanti del liceo, nessuno assente ed indica gli scopi di questa adunanza determinata dal fine di provocare una intesa nel campo pratico e didattico ed una sempre più grande collaborazione fra i vari insegnamenti particolarmente per ciò che concerne i punti di interferenza delle diverse discipline: tutto per raggiungere quell’intima unità ed armonia delle varie parti del sapere che – come secondo il più profondo spirito informatore delle disposizioni vigenti – è condizione imprescindibile da cui dipende la formazione spirituale dei giovani per la realizzazione di quell’ideale totalitario della vita e della cultura che è insieme l’ideale politico del Fascismo. […] Per ciò che si riferisce ai problemi autarchici appare oltremodo evidente la possibilità di collaborazione dei tre insegnanti di economia, scienze e fisica giacché spetta al professore di economia di dare rilievo attraverso le sue lezioni al fine politico immanente alla ricerca scientifica volta alla realizzazione del programma autarchico. L’autarchia prima di essere un fatto economico è un principio politico immanente al fatto stesso, dal quale il fatto stesso riceve il più profondo significato». Altre significative “interferenze” sono individuate tra cultura militare e storia, cultura militare e fisica, cultura militare e scienze naturali201. E per questa strada la nostra scuola si avviava a passo di marcia verso il decennio successivo, quello della guerra e della nuova carneficina mondiale. Capitolo IV La crisi e la caduta (anni Quaranta) Venti di guerra già da tempo soffiavano sull’Europa e a Cesena, il 12 giugno 1938, il duce in persona, presenziando al rito del giuramento di quattro battaglioni di camicie nere qui confluite da Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, lasciò balenare il fosco orizzonte che andava approntando all’Italia e al mondo. La cronaca giornalistica della giornata riporta infatti che in quella occasione «il Duce contempla a lungo la quadrata massa degli armati, poi protendendosi dal podio, esclama: “Battaglioni, ora vi faccio una domanda: in caso di guerra, c’è qualcosa di impossibile per voi?” “No”, gridano i legionari. “Un giorno Io vi ricorderò la risposta che avete data alla mia domanda”»202. Come rende ben esplicito questa affermazione, che ha tutto il sapore di una cupa minaccia, l’intera società si andava mobilitando e per esempio al regio liceo si ha notizia, già dal marzo 1938, di corsi di difesa antiaerea: «Al Corso di difesa antiaerea il direttore dott. Brunaldo Ceccaroni ha parlato agli iscritti, ai capi d’Istituto e alle rappresentanze dell’Esercito, della G.I.L. e dei vigili del fuoco convenute»203. Nell’ottobre dello stesso 1938 la Direzione generale istruzione media classica del ministero dell’educazione nazionale si rivolse al preside del regio liceo ginnasio di Cesena, informandolo che «S.E. il Ministro ha disposto che i presidi degli istituti dipendenti, di età superiore a 32 anni, che hanno obblighi militari, siano dispensati dal richiamo alle armi in caso di mobilitazione generale o parziale. Voi che per età e grado militare vi trovate nelle condizioni predette, siete invitato a trasmettere d’urgenza a questo Ufficio M.C. una copia di fotografia formato tessera da apporre alla tessera di dispensa dal richiamo alle armi»204.

200 «Il popolo di Romagna», 22 ottobre 1938, p. 4. 201 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 22 novembre 1938, pp. 243-246. 202 «Il popolo di Romagna», sabato 18 giugno 1938, p. 1. 203 «Il Popolo di Romagna», 5 marzo 1938, A. XVI, n. 9, p. 6. 204 ALM, Cartelle personale non docente, ad nomen, Prot. N. 79 A/1 5 novembre 1938.

D’altronde tra il 1936 e il 1939 l’Europa aveva fatto in terra di Spagna una prova generale del conflitto futuro, quando le armate tedesche e italiane erano intervenute a fianco del colpo di stato franchista. Nell’occasione della presa di Madrid da parte delle truppe golpiste, a Cesena «gli studenti hanno improvvisato una fervida dimostrazione di giubilo e di esultanza per la vittoria dell’esercito di Franco. In corteo i giovani si sono recati davanti alla caserma Ordelaffi, dove hanno fatto una manifestazione al glorioso Esercito italiano ed al Lapidario dei Caduti della Guerra e della Rivoluzione, cui hanno reso devoto omaggio»205. Nella seduta del 15 febbraio 1939 il Gran Consiglio del fascismo approvò la Carta della scuola, elaborata dal ministro dell’Educazione nazionale Bottai, che si ispirò alla Carta del lavoro. Essa consisteva di ventinove dichiarazioni programmatiche, di cui le prime sette definivano i «Principi, fini e metodi della scuola fascista», mentre le altre illustravano il nuovo assetto del sistema scolastico, ora differenziato in quattro ordini generali (elementare, medio, superiore, universitario) e due ordini speciali (istruzione artistica, scuole femminili). Essa, tra l’altro, mirava alla «preparazione politica e guerriera» dei giovani, all’alto senso «della disciplina e del dovere» e istituiva, a partire dalla scuola elementare, turni di lavoro manuale «nelle botteghe, nelle officine, nei campi, sul mare». Il suo rigido dirigismo, che ascriveva a ogni tipo di scuola una specifica popolazione scolastica reclutata in base a criteri sociali ed economici di appartenenza e di sesso206, tentò di adeguare il sistema scolastico italiano alle esigenze del regime, ad esempio equiparando “età scolastica” ed “età politica”207. Il 31 agosto 1939 il provveditore Nino Fattovich scrisse a tutte le autorità scolastiche della provincia che «S.E. il Ministro dell’Educazione nazionale, data la situazione politica internazionale, dispone che tutte le autorità scolastiche in congedo ordinario, rientrino subito in sede allo scopo di mantenere gli opportuni contatti con gli alunni, le famiglie, le organizzazioni del partito per svolgere la necessaria opera di preparazione morale richiesta dal momento»208. Com’è noto il giorno successivo la Germania iniziò l’invasione della Polonia e il 3 settembre Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania. Iniziava una nuova «inutile strage», che avrebbe portato lutti immensi all’Europa e al mondo. L’11 marzo 1940 (“Anno XVIII”) il preside diffuse la seguente circolare: «I sigg. Insegnanti sono invitati a dare la loro adesione al 2° corso di Cultura Fisica per Dirigenti e Insegnanti della Scuola media in conformità alla circolare del Comandante Federale n° 744 A/13 del 7 marzo 1940 XVIII» 209. Il documento nella parte inferiore è diviso in due colonne: la prima con le firme per presa visione (17), la seconda con quelle di adesione (13). Evidentemente gli inviti della presidenza avevano forza cogente, specie nel tema della educazione fisica di una nazione che si apprestava ad entrare in un conflitto dal quale si era opportunisticamente tenuta sino ad allora a distanza. La guerra infatti, iniziata nel settembre 1939, meno di un anno dopo coinvolse anche l’Italia e, a far data da quel fatidico 10 giugno 1940, la scuola «adegua il proprio ritmo al passo del

205 «Il popolo di Romagna», 1 aprile 1939, p. 6. 206 Si tenga presente che già nel 1929 Pio XI, con l’Enciclica Divini illius magistri, aveva ribadito la condanna delle classi miste nella scuola che erano state introdotte con una legge del 6 marzo 1923. Sulla stampa di parte cattolica si lessero affermazioni come questa: «Non è la scuola che deve fungere da agenzia di matrimoni», e si auspicava la divisione dei sessi anche a livello superiore. 207 Per approfondire questo capitolo si rimanda agli studi di R. GENTILI, Giuseppe Bottai e la riforma fascista della scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1979; M. OSTENC, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981; J. CHARNITZKY , op. cit. 208 ALM, Cartelle personale non docente, ad nomen, Prot. N. 634 A/1 8-9-39. 209 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1936-1937, n° 38.

combattente»210: da allora la militarizzazione dell’istruzione si fece sempre più pressante, anche nel linguaggio, dove agli inviti subentrano gli obblighi. Lo si osserva in questi tre esempi: - una comunicazione del 19 ottobre 1940 (“Anno XVIII”), in cui il preside notificò che «le Superiori Gerarchie fanno obbligo [corsivo mio] agli Insegnanti di partecipare, in divisa, alla cerimonia della XIV leva fascista che avrà luogo domani 20 corr. alle ore 17 alla Casa della G.I.L.»211; - «In applicazione della circolare ministeriale n° 11113 del giorno 11-XI-40-XIX dovrà essere immediatamente ripreso ed intensificato [corsivo mio] l’insegnamento della protezione antiaerea. Esso è affidato ai professori di lettere per le classi dell’Ordine medio o ginnasiali e al prof. di Scienze Naturali, chimica e geografia per le tre classi liceali. Saranno illustrati tra l’altro i tabelloni della protezione antiaerea appesi negli scorsi anni in tutte le classi. Verranno inoltre distribuiti ai professori, come guida per l’insegnamento appositi opuscoli […] »212. - «La circolare del Comando Generale della G.I.L. che ha per oggetto: “Rapporti tra scuola e G.I.L.” al n° 8 del “Titolo VI” dice categoricamente: “Sono vietate [corsivo mio] le interrogazioni scolastiche al lunedì”. I Sigg. Insegnanti sono pregati di uniformarsi a tale disposizione»213. Evidentemente ciò accadeva per tutelare gli impegni domenicali nelle associazioni giovanili fasciste che avevano la precedenza sulle attività domestiche assegnate dalla scuola. Intanto lo stringersi dell’abbraccio tra Italia e Germania nell’avventura bellica ebbe ripercussioni anche nell’ambito strettamente scolastico: infatti il 6 novembre 1940 il provveditore Nino Fattovich così si rivolse ai presidi: «In vista della necessità di aumentare, nelle scuole dell’ordine superiore, il numero delle cattedre di lingua tedesca, vogliate farmi pervenire» i nomi degli insegnanti con le qualifiche richieste214. Il 19 novembre 1940 il Preside valutò compiaciuto «l’osservanza di alcune norme intorno al buon andamento disciplinare dell’Istituto [specialmente] intorno alla particolare disciplina delle classi per la quale la scuola possa presentarsi come un vero e proprio complesso militare [corsivo mio]»215. Dunque all’inizio del primo anno scolastico di guerra il preside aveva assunto il piglio del sergente, e con quegli stessi toni diffonde il seguente ordine di servizio: «Cesena, 1 DIC. 1940 Anno XVIII [sic]. Ciascun professore è invitato a riferirmi per iscritto entro il giorno 7 corr. se e come ha illustrato agli alunni, nelle singole classi, i principi e la didattica della Carta della Scuola, il valore dei nostri eroici soldati, le finalità della nostra guerra di redenzione, le idealità cui sarà ispirata la ricostruzione del continente europeo, la politica economica del regime (autarchia, sprechi, ecc.) in osservanza alle circolari n° 11156 e 11157 del 13.11.40 XIX del R. Provveditorato agli Studi già prese in visione e firmate dai singoli insegnanti. Queste prime informazioni non dispenseranno naturalmente i docenti dal continuare l’opera di propaganda per tutto l’anno scolastico, tanto più che periodicamente verranno chieste altre relazioni in merito. […] Raccomando la più scrupolosa puntualità nel presentare le relazioni dovendo questo Ufficio riferire a sua volta alle Superiori Autorità. Tutti indistintamente i professori sono tenuti a riferire, perché a tutti, qualunque sia la materia d’insegnamento, può essere offerto, durante la lezione, lo spunto per tale forma di propaganda [le sottolineature sono nell’originale]»216.

210 Sono parole del provveditore agli studi Nino Fattovich riportate ne «Popolo di Romagna», 2 maggio 1942-XX, p. 5. 211 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 1, a.s. 1940-41. 212 Ibid., n° 5. 213 Ibid., n° 8. 214 ALM, Prot. N. 891 A 7/11/40-XIX, Cartelle personali insegnanti, Rossini Margherita. 215 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 19 novembre 1940, p. 289. 216 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., A.S. 1940-41, n° 11.

Ma tali finalità di propaganda bellicista determinò la precettazione degli insegnanti ben oltre il normale orario scolastico come risulta ben evidente da questi documenti: - «Oggi 11 corr. [febbraio 1941] alle ore 16,30 al Teatro Cinema Verdi saranno dati in visione, agli alunni, interessanti documentari di avvenimenti di guerra. Poiché attualmente il Comando della G. I. L. non ha un numero sufficiente di ufficiali per inquadrare gli alunni delle Scuole è fatto obbligo agli insegnanti di vigilare gli alunni durante lo spettacolo»217. Dei sedici insegnanti che firmano la circolare uno si dichiara «impossibilitato», un’altra «impegnata alla Gil». - «Cesena 19 FEB. 1941 Anno XIX. Per disposizione del Segretario del P. N. F. sabato 22 febbraio, alle ore 18,20 precise, avrà luogo un radiorapporto dell’Associazione Fascista della Scuola. Tale manifestazione raccogliendo in una ideale unità tutti i docenti della Scuola italiana dovrà costituire una prova di forza e di compattezza della nostra organizzazione. A Cesena il radioraduno avrà luogo presso la sede del R. Liceo-Ginnasio dove tutti gli insegnanti delle Scuole Medie Superiori del Comune dovranno trovarsi, in divisa, alle ore 18 precise. Il radioraduno sarà preceduto da brevi schematici rapporti dei fiduciari comunali. [F.to] Il Fiduciario Provinciale dell’A. F. S.»218. - «Cesena, 17 MAR. 1941 Anno XIX. Tutti i lunedì i professori già da me incaricati prenderanno nota sul giornale di classe delle conversazioni tenute agli alunni sugli avvenimenti militari e politici della settimana, in conformità della circolare del R. Provveditore agli Studi n° 1397 del 19-2-41. Desidero pertanto che sia presa nota, sul giornale, anche delle conversazioni già tenute e precisamente di quella del 24 febbraio e del 3 marzo»219. Anche nell’anno scolastico successivo, il secondo di guerra, l’esperienza venne rinnovata e il preside scrisse che «in applicazione della circolare 3 novembre 1941 XIX [sic] di S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale, anche quest’anno saranno brevemente, ma efficacemente illustrate ai giovani le finalità della nostra ultima guerra di riscatto nazionale, nonché gli eroismi dei nostri magnifici combattenti. In analogia a quanto è stato fatto nello scorso anno scolastico, dispongo che gli insegnanti di lettere della Scuola Media e del Ginnasio inferiore e superiore illustrino settimanalmente gli avvenimenti più significativi segnando sul giornale di classe e sul registro personale l’argomento della conversazione tenuta agli alunni. Per il Liceo [segue prospetto]. La conversazione sarà tenuta nei primi due giorni della settimana»220. Con una successiva circolare il preside, all’invito rivolto agli insegnanti «a leggere nel Bollettino Ufficiale del 22 sett. N° 42 pag. 2769 n° 38 la circolare n° 39 contenente le direttive per l’attività della Scuola nell’anno 1942-43 XXI e la circolare n° 40 a pag. 2773 avente per oggetto: La Scuola per la Vittoria nell’anno scol. 1942-43 XXI», aggiunse due sue disposizioni concernenti l’orario e la “titolarità” per il commento «settimanale dei principali avvenimenti bellici e politici»: chiese di dedicare «gli ultimi dieci minuti dell’ultima ora […] al ripasso metodico delle nozioni di cultura fascista»221. Non disponiamo di documenti per accertare quanto queste ingiunzioni venissero rispettate, ma certo non c’è traccia di addebiti di sorta avverso insegnati inadempienti. Dobbiamo dunque dedurne che essi ottemperarono a quelle richieste. Ma cosa sarebbe accaduto a chi si rifiutava? Per saperlo prendiamo quanto annota nel marzo del 1938 Michele Cifarelli – in seguito esponente del Partito repubblicano accanto a Ugo La Malfa, europeista, co-fondatore di «Italia Nostra» e altro ancora - nei suoi diari: «Malgrado l’ordine del Preside, non ho fatto lezione di Cultura Fascista ai ragazzi, per prepararli ad un tema sull’argomento, che faranno domani, uguale in tutte le scuole di Bari. A quando i temi internazionali dettati da Berlino o da Tokio? Ho fatto invece

217 Ibid., n° 16. 218 Ibid., n° 18. 219 Ibid., n° 20. 220 Ibid., n° 7, a.s. 1941-42. 221 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 7.

tre ore di lezione di latino: ogni argomento fascista mi ripugna immensamente». Per quanto ne sappiamo dai suoi diari a Cifarelli non capitò nulla di grave222. A proposito delle radioaudizioni, disponiamo dei programmi dei mesi di novembre e dicembre 1941 di queste attività relative alla scuola di ordine medio: ben sette radiogiornali e quattro puntate di Moschettieri a noi! Il successivo anno scolastico le radioaudizioni si svolsero tutti i sabati per il liceo dalle 10 alle 10,30; tutti i martedì per le classi ginnasiali223. Il numero del 2 maggio 1942 del «Popolo di Romagna» dedicò l’intera quinta pagina al tema La scuola e la guerra, con un ricco corredo di foto, grafici e citazioni mussoliniane. Non sarà inutile riportare l’intervento d’apertura del provveditore Nino Fattovich, che, sebbene con prosa gonfia e involuta, offre un utile e a suo modo involontariamente lucido compendio di quel che fosse diventato il sistema dell’istruzione dopo vent’anni di dittatura e quasi due di guerra: «Una scuola, che, come la nostra, vuol essere fondamento primo di solidarietà di tutte le forze sociali, trova nel clima di questa guerra le condizioni più adatte alla sua funzione formatrice e incitatrice delle generazioni nuove. Poderoso elemento di coesione fra le varie energie poste alla base dello Stato etico instaurato dal Fascismo – dalla famiglia, alla corporazione, al partito – essa può contribuire vigorosamente a quella resistenza del fronte interno, che oggimai rappresenta la nobiltà del nostro popolo e la condizione necessaria della Vittoria. Gli è perciò che il Duce, nel rapporto recentemente tenuto ai Provveditori agli studi del Regno, manifestava il più significativo compiacimento per l’attività appassionata e fervida svolta dalla scuola italiana per la guerra e rilevava la mirabile collaborazione prestata alla grande causa dai dirigenti, dagli insegnanti e dagli alunni. In verità la scuola forlivese sente, con sicura coscienza, di poter rivendicare a se stessa una parte, e non minima, di questo altissimo elogio. Ne è suggello il consuntivo oggi schematicamente pubblicato in questa pagina della scuola, che sono lieto di presentare non certamente per indulgere a esibizionismi per tradizione all’indole di quella lavoratrice silenziosa e modesta che la scuola è e vuol essere o per appagarci nella contemplazione dell’opera compiuta, bensì per dimostrare come nessuna attività sia stata dalla nostra scuola negletta pur di arrecare allo sforzo produttivo della Nazione una tangibile attività, pur di mostrarsi degna del sacrifizio di quanti – insegnanti o alunni – hanno lasciato le aule per accorrere volontari là dove più terribile la lotta divampa. Tutte queste attività, nonché esaurientemente illustrate, sarebbe lungo semplicemente elencare: esse vanno dalla creazione degli orti di guerra, alle esercitazioni di lavoro dirette a scopo assistenziale; dalla proficua raccolta del fiocco di lana alla lotta contro gli sprechi e la raccolta dei rifiuti; dalle sottoscrizioni davvero cospicue dei Buoni del Tesoro agli esperimenti assai fruttuosi delle tre campagne d’allevamento del baco da seta o all’esperimento, attualmente in corso, della pollicoltura. A ciò occorre aggiungere la tenace opera di propaganda svolta sugli alunni e, indirettamente, nelle loro famiglie, allo scopo di ribadire la necessità di attenersi, con consapevole disciplina, alle restrizioni e alle rinunzie imposte dallo stato di guerra, al risparmio e alla sobrietà nei sistemi di abbigliamento e di alimentazione, al senso della più rigida economia, alla severità dei costumi, a tutte, insomma, le norme di vita intese a disciplinare l’esistenza e a cementare la resistenza della Nazione nell’attuale storico momento. Né può essere passata sotto silenzio un’altra attività ideale svolta dagli insegnanti nella scuola: quella tendente a orientare i giovani sugli avvenimenti dei vari settori militari, a destare in essi interesse per i moventi ideali e politici nonché per gli aspetti economici della guerra. Con questi atti, qui appena fuggevolmente enumerati, la scuola forlivese, la quale ebbe alunno l’Eroe che sospinge oggi l’Italia verso il vertice della grandezza e della gloria, adegua il proprio ritmo al passo del combattente. Con questo fervoroso travaglio essa testimonia la fede nella vittoria

222 Cfr. M. CIFARELLI, “Libertà vo’ cercando…”. Diari 1934-1938, a cura di G. TARTAGLIA , prefazione di P. CRAVERI, Soveria Mannelli, Rubettino, 2004. 223 Ibid., n° 3, a.s. 1942-43.

e il proposito di essere domani come sempre una santa milizia agli ordini del Duce e al servizio della Patria»224. Evidentemente convinto da quelle parole che Mussolini fosse l’eroe «che sospinge oggi l’Italia verso il vertice della grandezza e della gloria», apprendiamo dal verbale del consiglio generale del 25 giugno 1942 che in sostituzione del Sommario di filosofia del Lamanna, venne adottato il testo Storia della filosofia e dottrina del Fascismo di Stefanini (edizioni S.E.I., Torino)225; e se la massima autorità scolastica provinciale riteneva che la scuola dovesse «adeguare il proprio ritmo al passo del combattente», non stupisce sapere che «il Segretario del fascio fa obbligo a tutti gli insegnanti della Scuole di Cesena di partecipare alla cerimonia celebrativa della Giornata del R.E. [regio esercito] che si svolgerà al Teatro Comunale domani 9 corr. alle ore 11,15. Per ciascun istituto sarà messo a disposizione un palco»226. Il 23 settembre 1942 il comando locale della Gil consentì la riammissione alla frequenza delle lezioni a cinque studenti dell’Istituto Tecnico “Renato Serra”, che erano stati espulsi da tutte le scuole del regno il precedente 15 gennaio, perché responsabili «di aver manifestato idee antifasciste, di aver organizzato una cellula comunista con giovani operai e con altri lavoratori, di avere pochi giorni prima imbrattato i muri della città con grandi falce e martello e di avere distribuito manifestini inneggianti alla pace, contro la guerra fascista»227. La loro vicenda sembrerebbe riguardare assai indirettamente la storia del nostro liceo, in quanto induce semplicemente all’amara riflessione che tra le file dei suoi iscritti mai sembra essersi registrato un così chiaro dissenso politico-ideologico; in effetti il legame è assai più esplicito perché uno di essi, Carlo Pollarini di Giovanni (classe 1926), decise di trasferirsi al Ginnasio-Liceo228. Le urgenze della guerra imponevano di utilizzare tutti gli uomini validi, e pertanto anche per chi era oramai in pensione si pensò ad un rientro nei cicli lavorativi, a rimpiazzo di quanti erano precettati per le superiori necessità belliche. Il ministero dell’educazione nazionale il 15 ottobre 1942 scrisse al prefetto di Forlì la seguente nota: «Interessa a questo Ministero conoscere in via riservata, relativamente ai pensionati indicati nell’unito specchio, le notizie che ivi si richiedono al fine di esaminare se possano essere utilmente riassunti in servizio civile nell’eventualità che si dovessero coprire, in via straordinaria, posti lasciati vacanti da impiegati di ruolo chiamati ad altri compiti»229. Con la nota del tenente colonnello comandante della legione territoriale dei carabinieri di Bologna, si risponde che «De Pol Aurelio fu Giuseppe, nato a Cesena il 30/5/1874, ivi residente in via Umberto N. 12, risulta in buone condizioni fisiche ed intellettuali sì da poter prestare opera proficua in caso di richiamo in servizio civile. Il predetto, che non è soggetto ad obblighi militari perché riformato di leva, è di buona condotta morale e politica ed è iscritto al P.N.F. dal 1° Gennaio 1933. Risulta di razza ariana»230. L’inizio del terzo anno scolastico di guerra, 1942/1943, sembra aprirsi nella stanca ripetizione di interventi che abbiamo precedentemente analizzato. Ad esempio il 16 ottobre 1942, in occasione del consiglio dei professori, il preside impartì innanzitutto disposizioni per economizzare la carta negli elaborati scritti, poi aggiunse che «il professore di lettere al Ginnasio ed il professore di storia e filosofia al Liceo devono curare che la

224 «Popolo di Romagna», 2 maggio 1942-XX, p. 5. 225 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 25 giugno 1942, p. 309. 226 Ibid., 8 maggio 1943, n° 22. 227 In C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 82. 228 Ivi, pp. 82-83. Dalla medesima fonte apprendiamo, però, che il Pollarini, «dopo le amare vicende del carcere, si era […] riavvicinato al Partito Fascista» (p. 98). 229 ASF, Prefettura – Archivio di gabinetto, busta 367, a. 1942/43, fasc. 44 – Ministero educazione nazionale. 230 Ibid. Il documento reca la data 13 novembre 1942: a quell’epoca, come è facile calcolare, l’ex professore del ginnasio cesenate aveva 68 anni.

cultura fascista sia conosciuta specialmente dai partecipanti ai Ludi di cultura fascista ed anche dagli altri. Dieci minuti settimanali al lunedì saranno dedicati a questa disciplina»231. Ancora il 22 ottobre 1942 la domanda di assunzione per la mansione di sorvegliante delle alunne del Liceo-Ginnasio si conclude con il fatidico «Vincere!»232: non è chiaro se si tratti di formule dettate dalla paura o di cecità di fronte all’andamento della guerra: a quell’epoca, infatti, l’offensiva italo-tedesca veniva arrestata a El Alamein, dal luglio era in corso la battaglia di Stalingrado e dal dicembre 1941 gli Stati uniti erano entrati nel conflitto (episodi che, come è noto, segneranno l’inversione di tendenza dell’andamento della guerra). Certo è però che il successivo 1943 è un vero e proprio anno epocale nella storia del nostro Paese: il 25 luglio vide la caduta di Mussolini e la nomina di Pietro Badoglio a capo di un governo che durerà quarantacinque giorni, durante i quali però l’Italia proseguì il conflitto a fianco dei tedeschi, tradendo in tal modo le speranze di pace che l’arresto del duce aveva diffuso tra la popolazione. A Cesena, infatti, il 27 luglio «gruppi di giovinastri [corsivo mio] vengono bruciando i ritratti del Duce ch’erano nelle scuole»233. In quei quarantacinque giorni, accanto alle manifestazioni di giubilo e di riconoscenza per gli antifascisti, si registrarono anche episodi di giustizia sommaria nei confronti di chi si era implicato col passato regime, che non risparmiarono ex insegnanti del liceo: il 4 settembre 1943 «è stato percosso il Prof. Alfredo Vantadori, rirettore [sic] della Biblioteca Comunale, da tempo fascista moderato e freddo; stato parecchi anni fa segretario politico del fascio di Cesena»234. Infine il marasma dell’8 settembre, la fuga del re e delle alte gerarchie militari, l’invasione delle armate tedesche, lo sbarco alleato e l’Italia spaccata in due lungo la linea Gustav. A Cesena i primi reparti germanici fecero il loro ingresso il 13 settembre, ma si «visse fino ai primi di ottobre in un clima confuso: non c’era più autorità costituita, ma solo una parvenza d’ordine pubblico, assicurato da pochi agenti. Gli stessi capi del Fascio [che si sarebbe ricostituito verso la metà di novembre], ancora disorientati, faticavano a riprendere il loro ruolo politico di dirigenti della vita cittadina: l’unica certezza era il progressivo aumentare del contingente militare tedesco»235. Dal novembre il ragioniere Pilade Ferrara venne nominato commissario straordinario del Comune di Cesena in nome della Rsi. Lo sostituì, dall’aprile successivo fino alla liberazione, il professor Gino Cellesi236. Tutte queste drammatiche vicende, qui assai sinteticamente richiamate, incisero profondamente nella vita della scuola, tanto che interferirono, pur con l’ineffabile lessico della burocrazia ministeriale, nell’organizzazione concreta delle scadenze scolastiche: il ministero dell’interno scrisse il 15 giugno 1943 ai prefetti del regno che «in seguito alla anticipata chiusura delle scuole, un buon numero di insegnanti, e specialmente quelli che non partecipano agli esami di maturità e di

231 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 16 ottobre 1942, pp. 323-325. 232 ALM, Cartelle personale non docente, Rosina Pasqualini Calmieri, Prot. N. 693 A/5 22-10-1942. Un’altra domanda d’assunzione di Dino Baldini per un posto d’assistente e meccanico nel gabinetto di fisica, fa riferimento alla regolare iscrizione del richiedente al P.N.F. (Ibid., ad nomen, 5 settembre 1942). 233 P. BURCHI, Cronaca di Cesena, dattiloscritto inedito conservato presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, p. 1. 234 Ivi, p. 5. In effetti il prof. Vantadori (nato a Cremona il 5 agosto 1894) era stato un fascista della prima ora (iscritto al Pnf dal 10 febbraio 1921), aveva preso parte alla marcia su Roma (insignito del relativo brevetto), aveva conseguito titoli di squadrista con anzianità di milizia o seniore della Mvsn fin dalla sua costituzione e comandante della coorte di Cesena (cfr. ALM scheda dello Stato personale del prof. Vantatori; ASF, Prefettura, busta 326, f. 31 – Ministero educazione nazionale). 235 A. VARNI, Il confronto politico e sociale a Cesena fra guerra e dopoguerra, in Storia di Cesena, cit., vol. IV, tomo 3, p. 459. 236 Gino Cellesi, di Giovanni e fu Mori Palmira, nato a Zavorrano (Grosseto) il 5 aprile 1895, risiedeva a Cesena dal 1933 proveniente da Riccione. Iscritto al Pnf dal 26 gennaio 1925 «ha spiegato e spiega fattiva attività quale presidente del locale comitato O.N.B.»(ASF, Prefettura, busta326, f. 31, relazione carabinieri del 13.02.1936); era stato per qualche tempo insegnante anche presso il ginnasio inferiore del “Monti”, per andare successivamente a dirigere altra scuola cittadina. Nel 1936 «per la sua attività svolta a favore dell’O.N.B.» ottenne un diploma di benemerenza del Ministero dell’educazione nazionale (ASF, Prefettura, busta326, f. 31- Ministero educazione nazionale).

abilitazione che si protrarranno ancora per qualche tempo, resta libero da impegni scolastici e ha davanti a sé un lungo periodo di tempo il quale, salvo quella parte che spetta per le ferie, può essere utilizzato per lo svolgimento di attività rispondenti alle proprie particolari attitudini in vista delle molteplici necessità della Nazione in guerra. […] ma poiché attività del genere tanto più riescono utili quanto meglio sono inquadrate in una organizzazione unitaria ed armonica, si ravvisa l’opportunità di una intesa nelle singole provincie fra i Prefetti e le Autorità scolastiche per il più adatto e rispondente impiego del personale anzidetto. Vorrete, pertanto, prendere in tale senso opportuni accordi col locale Provveditore agli Studi»237. A tali sollecitazioni il provveditorato meno di mese dopo comunicò il numero degli insegnanti «messo a disposizione della locale Federazione dei Fasci […]: 183 maestri di ruolo; 1022 maestre di ruolo; 76 professori di ruolo; 105 professoresse di ruolo. Tali insegnanti saranno adibiti […] ad opere di propaganda o ad altre attività interessanti il Partito. Le varie organizzazioni politiche, sindacali, i dirigenti degli enti economici o delle aziende private richiederanno al Segretario Federale gli elementi dei quali potranno avere di volta in volta bisogno. Al Federale essi saranno forniti dal R. Provveditore agli Studi, tenuto conto delle competenze dei singoli insegnanti e della loro idoneità al lavoro cui saranno assegnati»238. Come tutto era cambiato rispetto all’anno precedente: il 20 ottobre 1943 il caos era tale che la scuola non aveva ancora riaperto i suoi battenti per il nuovo anno scolastico, come ci informa una lettera del preside al provveditore agli studi, in cui lo avvertì «anche a nome degli altri capi d’Istituto che le famiglie fanno viva pressione affinché la scuole vengano riaperte e le lezioni incominciate, sia pure nei primi tempi con orario ridotto e magari con l’impiego dei soli insegnanti di ruolo; salvo a sospendere ogni attività scolastica qualora la situazione dovesse subire mutamenti. Qui per ora la vita cittadina si svolge con la massima calma e normalità e nessuno degli edifici scolastici è stato occupato per necessità di carattere militare, o per essere adibito a ricovero di sfollati. Nel caso che codesto Ufficio non ritenesse opportuno disporre la riapertura ufficiale della Scuola sia pure ad orario ridotto si chiede se può essere autorizzata la organizzazione presso la Scuola di corsi di preparazione ad esami di carattere privato con l’opera di insegnanti di ruolo e supplenti da retribuirsi mediante liberi contributi degli alunni amministrati dalla Segreteria della Scuola. La partecipazione degli alunni alle lezioni non avrebbe naturalmente carattere obbligatorio, lasciando a ciascuno piena libertà di provvedere come meglio crede, alla propria istruzione. So che qualche insegnante di ruolo sarebbe anche disposto a rinunciare a qualsiasi retribuzione e in tal caso le sue competenze sarebbero devolute alla Cassa Scolastica»239. Due giorni dopo il Provveditore, negando l’autorizzazione richiesta, sottolineò che «il problema della riapertura del periodo delle lezioni avrà da essere risolto solamente dopo esame di tutti quegli elementi che un singolo istituto non ha la possibilità di accogliere»240. Infatti la questione fu risolta con un provvedimento di carattere generale, che riguardò, ad esempio, anche l’Istituto tecnico “Serra”, e l’inizio delle attività venne differito al 9 novembre241. Al liceo si pensò di tamponare la situazione creatasi con un nuovo provvedimento: «Tenuti presenti il ritardato inizio delle lezioni e le difficoltà di vario ordine tra le quali si svolge in molte sedi la vita scolastica, l’Ecc. il Ministro dispone che il corrente anno 1943-44 sia ripartito, per le scuole di ogni ordine e grado, anziché in tre trimestri, nei due periodi seguenti: I periodo dall’inizio delle lezioni al 15 marzo; II periodo dal 16 marzo alla fine delle lezioni»242. Non fu l’unico aspetto: «a causa della impossibilità di distribuire per quest’anno le pagelle scolastiche, le autorità scolastiche sono autorizzate a sostituirle con un semplice foglio di carta. La

237 ASF, Prefettura - Archivio di gabinetto, busta 411, fasc. 43, Ministero Educazione Nazionale 1943-1945. 238 Ibid. 239 ALM, Lettera del preside Busato al provveditore Fattovich (Prot. N. 604 A/6 del 20 ottobre 1943). 240 ALM, Lettera del provveditore Fattovich (Prot. N. 11918 del 22 ottobre 1943) al preside del liceo. 241 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 93. 242 ALM, Lettera del provveditore Fattovich (Prot. N. 13433 del 14 dicembre 1943) al liceo (Prot. N. 873 E/1 data illeggibile).

carta dovrà consistente [sic] e offrire garanzia di conservazione»; «l’Ecc. il Ministro dispone che, in attesa della pubblicazione del provvedimento, sia sospeso da parte degli Istituti e delle Scuole d’ogni ordine e grado, statali e non statali, il rilascio di qualsiasi diploma. Agli interessati non potranno, per ora, essere rilasciati che certificati di studio»243. A questo quadro si dovrà aggiungere che, essendo giunte dall’ Abruzzo diverse persone sfollate da quel primo teatro di guerra, vennero requisiti dalle autorità i locali dell’Istituto tecnico “Serra” che, in quell’anno, trovò «ospitalità presso il Ginnasio Liceo, con lo svolgimento della attività didattica nelle ore pomeridiane»244. Questi documenti ci sembrano di una grande importanza, ma soprattutto ci raccontano come le conseguenze della guerra – per la quale, come si è visto, tutta l’istituzione scolastica era stata mobilitata – erano oramai entrate negli edifici scolastici con i corpi e le storie degli sfollati civili dai primi fronti di guerra di un’Italia spaccata in due: se la categoria non fosse assai poco storiografica, verrebbe da dire che si tratta di una sorta di nemesi, di un conto richiesto per tutti quegli anni di coinvolgimento attivo e collaborativo con la propaganda di guerra. A partire da questo periodo, dunque, la “mobilitazione per la guerra” non è un’espressione metaforica: nelle immediate vicinanze del liceo «venerdì cinque [novembre 1943] i tedeschi circondano il caffè Forti (pianterreno del palazzo del Papa di bronzo) e ingaggiano per scavo di trincea i disoccupati che erano dentro»245; per gli insegnanti a cominciare dalle vacanze natalizie del dicembre 1943 il provveditorato agli studi di Forlì autorizzò il preside del liceo «a lasciare libera dagli impegni scolastici, a decorrere dal 20 c.m., la prof.ssa Rossini Margherita, mobilitata dal VI Centro di mobilitazione della Croce Rossa Italiana»246. Tale autorizzazione venne di lì a poco perfezionata come segue: «Con decreto in corso di registrazione e a decorrere dal 21 dicembre 1942 sino a tempo indeterminato, la insegnante in oggetto è collocata in congedo per mobilitazione nella Croce Rossa Italiana»247. Intanto le incursioni aeree alleate si facevano sempre più sentire e condizionarono in vari modi l’organizzazione della vita scolastica. Eccone alcuni esempi: - «in ottemperanza alle disposizioni impartite dal Provveditore agli Studi con circolare 12182 del 20.10.43 si fa presente che un professore, per turno, dovrà fermarsi nell’Istituto per condurre al vicino ricovero gli alunni che per desiderio delle famiglie rimarranno nella Scuola»248; - il 2 dicembre 1943, durante la seduta ordinaria del collegio degli insegnanti, vennero ancora impartite «disposizioni per i casi di allarme aereo»249; - nel febbraio 1944 venne convocato un consiglio di classe per deliberare un provvedimento disciplinare a carico di un alunno, ma ci si doveva premunire, e così si ci organizzò in modo che, «in caso di allarme la seduta avrà luogo subito dopo il segnale di cessato pericolo»250. Il primo marzo 1944 si verificò un episodio che ci illumina sul cupo clima scolastico e che possiamo ricostruire con una certa dovizia di particolari: «il segretario del locale Fascio repubblicano ha invitato tutti gli insegnanti ad una riunione che avrà luogo nei locali del fascio stesso domani 2 corr. alle ore 17»251. Ignoriamo quale sia stato l’argomento di questo incontro, ma disponiamo di un’altra fonte che può fornirci qualche ragguaglio in merito: sappiamo infatti dal diario di don Leo Bagnoli che dodici

243 Ibid., rispettivamente 4 dicembre 1943 e 24 febbraio 1944. 244 C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 93. 245 P. BURCHI, op. cit., p. 13. 246 ALM, Cartelle personali insegnanti, ad nomen, Prot. N. 837 A/2, 15 dic. 1942. 247 Ibid., Prot. N. 40 A/2 19 gen. 1943. 248 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 1, 11 novembre 1943, a.s. 1943-44. 249 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 2 dicembre 1943, p. 348. 250 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 12. 251 Ibid., n° 14.

giorni dopo vi fu una analoga convocazione dal cui resoconto è agevole indurre qualche utile riflessione (oltre al fatto che essa riguarda direttamente anche un insegnante del liceo). E poi la vicinanza delle date la dice lunga sullo stato di fibrillazione in cui versavano i vertici fascisti nell’approssimarsi della disfatta, dal momento che erano costretti, dall’incalzare degli eventi bellici, ad aumentare il loro zelo attivistico. La riportiamo per intero: «15 marzo 1944. Ieri pomeriggio tutti i presidi e gli insegnanti delle Scuole Medie e Superiori della città, sono stati urgentemente convocati nella sede del fascio. Come insegnante di Religione ho dovuto partecipare anch’io. La sala che è sopra la Banca Popolare era stipatissima di professori. In fondo ad un tavolo si trovava il Segretario Politico Guido Garaffoni con alcuni esponenti del Fascio, armati. Il discorso di Garaffoni, è stato una calma ma corrucciata requisitoria contro la Scuola e i professori che hanno deluso le aspettative, che si rifiutano di collaborare in questi difficili momenti e che in definitiva si alleano con i sabotatori. Una voce l’ha interrotto: “Non è vero!” È stato il Prof. Danesi del Ginnasio-Liceo. Garaffoni l’ha fulminato con lo sguardo, ma si è dominato. Temevamo il peggio! Il professore ha spiegato il suo pensiero in tono dimesso. In difesa della Scuola si sono alzati dignitosamente a parlare il Preside Quagliotti e il Prof. Gobbi, dell’Istituto Tecnico, dicendo che in tanto marasma della Patria, la Scuola svolge ed ha svolto un’altissima missione di pacificazione degli animi. Siamo usciti mogi, mogi...»252. Per spiegare meglio la presenza di quei fascisti armati e quel riferimento a “sabotatori” varrà la pena ricordare che appena il 6 febbraio precedente «il segretario del Fascio di Cesena cadeva in un’imboscata gappista, e ne usciva ferito»253. Pure, in tanto disastro, il regime non cessò di dedicare energie e attenzione alla scuola, a conferma della centralità propagandistica che l’agonizzante repubblichina continuava ad attribuirle. Da una circolare del 20 marzo 1944 sappiamo che «il Collegio dei Professori è convocato per mercoledì 22 corr. alle ore 14,30 per trattare il seguente ordine del giorno: a) Lettura dell’opuscolo del Ministero dell’Educ. Naz.: Direttive agli uomini di Scuola; b) continuazione della propaganda per l’iscrizione degli alunni all’O. N. B.; c) eventuali. […] In caso di allarme si terrà al suono di cessato pericolo»254. Eccone il resoconto a verbale: «oggetto principale della seduta è stata la lettura dell’opuscolo: “Direttive agli uomini della Scuola dell’Eccellenza il Ministro dell’Educazione Nazionale Bigini. Il prof. Helvezio Pieri ha letto ad alta voce l’opuscolo, attentamente seguito da tutti i presenti: sono state segnate le parti da leggersi e commentarsi agli alunni secondo le istruzioni ministeriali. Il Consiglio dei Professori ha ravvisato nelle belle e giuste parole del Ministro una direttiva preziosa per l’educazione dei giovani in questo momento particolarmente difficile della vita nazionale. La parola del Ministro è venuta opportuna a dissipare dubbi e a vincere le incertezze. Secondo le istruzioni date per mezzo di circolari e a viva voce dal Provveditore in una riunione di Presidi, viene poi raccomandato ai professori di svolgere un’attiva propaganda per l’iscrizione all’O.N.B. Tale iscrizione è e rimane volontaria, ma i professori possono prendendo lo spunto e l’occasione per vincere le resistenze che si palesano nei ragazzi, esaltando soprattutto il valore e il significato patriottico dell’organizzazione e mettendone in rilievo le finalità assistenziali, ricreative e sportive [sic]. Si raccomanda pure di insistere per la raccolta di stracci di lana»255. In particolare il tema delle adesioni alle organizzazioni giovanili del partito era sentito come determinante, come si può desumere dalla seguente richiesta del preside: «Dovendo in

252 L. BAGNOLI, Gli anni difficili del passaggio del fronte a Cesena, Cesena, Stilgraf, 1986, pp. 70-71. 253 A. VARNI, Il confronto politico e sociale a Cesena fra guerra e dopoguerra, cit., pp. 460-461. GAP è acronimo per Gruppi di Azione Patriottica, unità operative partigiane specializzate nel condurre azioni di guerriglia urbana. Guido Garaffoni (di Camillo e di Cecchini Geltrude, nato il 12/09/1904 a Cesena) venne in seguito fucilato nel comune di Arsiero (Vicenza) (cfr. ASC, Titolo XIV – Oggetti diversi, cat. 454 Epurazioni, fasc. 49 – Miscellanea 1949, risposta dell’ufficio anagrafe del municipio di Cesena datata 9 giugno, al procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugina del 27 maggio 1949). 254 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 16. 255 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbale 23 marzo 1944, p. 355.

ottemperanza alla circolare del Provveditore agli Studi riferire sull’opera svolta da ciascun insegnante per l’iscrizione degli alunni all’O.N.B. invito i Sigg. Professori a farmi entro il 15 corr. una relazione sui risultati ottenuti»256. La mobilitazione della scuola, dunque, continuava a essere totale. Si consideri questo episodio: «durante la Repubblica Sociale Italiana si diede anche vita a un nuovo Istituto di Cultura Fascista Repubblicana, a cui furono invitati ad iscriversi professori ed alunni. Altrettanto invito ricevevano per l’iscrizione al partito fascista repubblicano, e i giovanissimi alla rifondata Opera Balilla. Ma non tutti accolsero l’invito. Ecco quanto racconta Pio Calisesi: “[...] Un giorno fummo convocati a un’adunata nella palestra della G.I.L. (gioventù italiana del littorio), l’edificio che oggi accoglie gli uffici della pretura. Qui, mentre gli “iscritti” erano inquadrati in ordinati manipoli, noi “sospetti” (perché non avevamo voluto accettare la tessera della ribattezzata O. N. B., opera nazionale balilla) fummo disposti in una zona senz’ordine con, visibilmente piazzati contro, diversi mitragliatori a due piedi. Eravamo molti, di tutti i licei e gli istituti superiori cittadini . A parte la messinscena, l’amarezza fu grande nell’ascoltare un degnissimo professore d’altra scuola arringarci come un gerarca e concludere, tra applausi orchestrati, col (testuale) “binomio indistinguibile Italia-duce, Italia-duce, Italia-duce”. Morì ammazzato, si disse, nell’insurrezione del Nord [corsivi miei]»257. La memoria, per quanto (forse) imprecisa, ci dice alcune cose significative: innanzitutto il fatto che molti studenti andavano prendendo le distanze dal regime e dalla guerra fascista, mentre lo stesso non si evince per i professori; e poi che il clima, al di là del probabile sostrato “goliardico” dell’esibizione dei mitragliatori, si andava sensibilmente inferocendo. Dalle ordinarie circolari emerge il quadro di una guerra che si avviava verso un esito disastroso: «A causa dell’intensificarsi degli allarmi della difesa passiva, questo Ufficio dispone che, a decorrere da lunedì 8 aprile […] le lezioni abbiano inizio alle ore 8 anziché alle 8,30 [… e] che i compiti vengano assegnati agli alunni all’inizio di ciascuna lezione non alla fine»258. Ma in quello stesso marzo, in pieno marasma, il provveditorato si preoccupava di impartire istruzioni concernenti le «Note informative relative all’anno scolastico 1943-44. Data la difficoltà di comunicazioni con talune provincie il Ministero dell’Educazione Nazionale non provvederà quest’anno all’invio del consueto fabbisogno di moduli per le note informative del personale dipendente relative all’anno scolastico in corso. Compilerete pertanto le prescritte note informative in duplice copia su moduli litografati o dattiloscritti. Le note in questione dovranno contenere per quest’anno solo le informazioni seguenti: 1) dati anagrafici e personali […]; 2) un succinto giudizio sull’attività didattica, tecnica, scientifica, o d’ufficio, e sul comportamento politico tenuto dopo il 25 luglio 1943-XXII; […] inviate entro il 15 aprile 1944-XXII»259. «Cesena, 28 apr. 1944. Data la perdita di tempo dovuta agli allarmi, autorizzo gli insegnanti a dare appuntamento a gruppi di alunni fuori dell’orario scolastico allo scopo di completare il giudizio con ulteriori interrogazioni»260. D’altronde l’anno scolastico fu sensibilmente accorciato e la sua chiusura anticipata al 2 maggio261. In quei mesi il fronte si trovava ancora tra Abruzzo e Marche, ma i comandi tedesco e fascista, presagendo che l’arrivo della buona stagione avrebbe rappresentato l’occasione per la ripresa

256 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 18. 257 C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 97. 258 ALM, lettera del provveditore agli studi di Forlì prot. N. 2762 del 29 marzo 1944. 259 ALM, lettera del provveditore agli studi di Forlì ai capi d’istituto della Provincia, prot. N. 2599 del 24 marzo 1944, prot. liceo n. 150 A/6 28 marzo 1944. 260 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 21. 261 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 95.

dell’avanzata alleata, diedero vita in Romagna ad un terribile rastrellamento antipartigiano che decimò e disperse quasi per intero la Brigata Garibaldi. Ma erano solo colpi di coda di un animale ferito a morte, e l’inanità di tali mosse era dimostrata da numerosi fatti. Uno su tutti che ha attinenza col tema di queste pagine: a Firenze il 15 aprile 1944 un commando partigiano, guidato dal gappista Bruno Fanciullacci, aveva colpito a morte Giovanni Gentile, l’ex ministro dell’istruzione, che aveva continuato ad appoggiare il regime anche nella sua stagione più fosca. Ancora una volta colpisce come, nell’approssimarsi del fronte e nel conseguente intensificarsi delle attività di una guerra sanguinosa combattuta su un fronte esterno e uno interno in cui le popolazioni civili pagavano un prezzo altissimo, l’istituzione scolastica si preoccupasse delle interrogazioni (oggi si direbbe del loro “congruo numero”) sufficienti per formulare un giudizio. Ciò sembra una lampante esemplificazione dell’assoluta autoreferenzialità senza tempo della scuola italiana. Capitolo V L’immediato dopoguerra Il verbale della seduta del 13 maggio 1944 della commissione esaminatrice è l’ultimo documento del periodo bellico; il successivo reca la data del 24 febbraio 1945. È una data importante, perché proprio nel pomeriggio di quel 13 maggio ci fu il primo violento bombardamento alleato sugli obiettivi industriali del centro e dei sobborghi; numerosi (almeno un centinaio) furono i cittadini caduti i cui corpi straziati riempirono la camera mortuaria dell’ospedale; ancora più numerosi quelli che da quel momento – ma erano destinati ad aumentare nei mesi “caldi” del passaggio del fronte - abbandonarono la città, sfollando nei luoghi che si ritenevano più sicuri, come conventi, monasteri e campagne. Segnale della violenza bellica che si abbatté anche sulla scuola fu senz’altro il fatto che lo stesso provveditore agli studi, Nino Fattovich, morì il 27 agosto 1944 «in seguito alle gravissime ferite riportate nell’incursione aerea su Forlì del 25 agosto»262. Da parte sua Cesena fu «duramente provata dagli eventi bellici: 608 case distrutte, 679 gravemente danneggiate, altre 2990 colpite parzialmente ma difficilmente abitabili. Le famiglie senza tetto sono 3.000»263. In questo quadro neanche la storica sede del liceo fu più disponibile per le sedute collegiali, tanto che nel febbraio 1945: «in una sala dell’Istituto Magistrale parif[icato] delle Suore della Carità di Cesena si è riunita la Commissione esaminatrice per gli esami di promozione e idoneità alla 5° Ginnasio»264. Da quanto apprendiamo da una lettera del preside (che è ancora Attilio Busato) al sindaco, però, «gli uffici di presidenza e di Segreteria di questo Liceo Ginnasio hanno regolarmente funzionato fino al 29 ottobre u.s. [1944]. Poi tutti i locali, tranne quelli d’abitazione del custode e i due gabinetti scientifici, sono stati requisiti dal Comando inglese e adibiti a ospedale militare. Il Comando ha trattenuto per i bisogni dell’ospedale i seguenti oggetti: a) tutti i tavoli, b) tutte le poltrone e quasi tutte le sedie, c) parecchie cattedre, d) mobili d’archivio (armadi e scaffali), e) materiale vario per la pulizia dei locali. Sono stati raccolti nei due gabinetti scientifici i seguenti oggetti: a) incartamenti d’archivio (registri, documenti ecc.), b) stampati vari, c) alcuni mobili (armadi, cattedre, pedane e parte dei banchi – il resto dei banchi è stato tratto nel corridoio della biblioteca malatestiana). […] Con la prossima settimana gli uffici della Scuola riprenderanno a

262 ASF, Prefettura – Archivio di gabinetto, busta 411, fasc. 43, Ministero Educazione Nazionale 1943-45, relazione del 13 .09.1944 del facente funzione Vero Grimaldi al ministero. 263 R. BALZANI (a cura di), Tavole cronologiche (1920-1970), cit., p. 750. 264 ALM, Verbali delle adunanze consigliari, cit., verbali 13 maggio 1944 e 24 febbraio 1945, p. 364.

funzionare nella mia abitazione in via Cesare Battisti n° 13, non avendo avuto l’esito desiderato la pratica avviata per ottenere almeno un locale dell’edificio del Liceo stesso»265. Da altra fonte apprendiamo che l’attività didattica restò sospesa in tutta la provincia fino al 5 dicembre 1944266. Almeno fino al 26 febbraio 1945 la scuola era ancora «interamente occupata da un ospedale militare inglese»267, e, fino a che anche gli altri istituti risultavano inagibili e le comunicazioni postali assai difficoltose, il preside del «regio liceo classico» svolgerà il compito di raccogliere le note nominative degli stipendi delle scuole cesenati268. In tale situazione si verificò anche il furto di «tutti i registri e i documenti relativi all’amministrazione della cassa scolastica [dell’Istituto tecnico “Serra”, che erano ospitati come si è detto nell’edificio del liceo], nonché il libretto postale della medesima cassa che conteneva un deposito di £ 4.511,55»269. La vita intanto ritornava lentamente ad una sua ferita normalità: nel corso dei primi «mesi del 1945 si era riusciti a riaprire tutte le scuole elementari e medie e ad arrivare all’istituzione di sezioni staccate del Liceo scientifico, dell’Istituto Tecnico e del Magistero della donna, mentre nessun danno fortunatamente era stato subito dalla Biblioteca Malatestiana per la quale era in corso la revisione totale dello schedario. Deplorabile era, invece, nelle parole dell’assessore [il maestro Domenico Giunchi], che molti edifici continuassero ad essere adibiti a sedi di partiti politici, sottolineando come “[fosse] indispensabile che la scuola, tempio dell’educazione dei fanciulli [fosse] libera nel modo più assoluto da inframmettenze e da interferenze esterne, per poter svolgere la sua missione educativa su di un piano di assoluta apoliticità”»270. Ma il ritorno alla normalità comportò anche la necessità di fare i primi conti col recente passato. Il 2 gennaio 1945 il Comando alleato, con una circolare firmata dal capitano dell’VIII armata Willis E. Pratt, diramò ai presidi le seguenti direttive: «ORDINI SPECIALI E AUTORIZZAZIONI PER LA RIAPERTURA E FUNZIONAMENTO DELLE SCUOLE: 1 La responsabilità per tutte le scuole elementari e superiori della provincia è affidata dal Governo Militare Alleato al Provveditore agli Studi. 2 Pertanto nel dirigere le scuole sotto la sua giurisdizione, agirà in accordo con le direttive emanate dal Provveditore agli Studi. 3 Tutte le scuole designate dal Provveditore agli Studi saranno riaperte alla data da lui fissata. 4 Lei sarà responsabile che nessuna dottrina, nessun rito, cerimonia o simboli fascisti siano diffusi e nessuna propaganda anti-Alleata sia diffusa nelle scuole sotto la sua giurisdizione. 5 Lei segnalerà al Provveditore agli Studi gli insegnanti da lei dipendenti che furono Squadristi, Sansepolcristi, o Ante-marcia, Marcia su Roma, o Sciarpa Littorio e tutti gli ufficiali della Milizia, come tutte le persone che parteciparono attivamente alla vita politica fascista o che beneficiarono per la loro adesione al partito. Lei farà pervenire al Provveditore agli Studi la scheda personale di tutti gli insegnanti suddetti e degli altri la cui attività sia incerta. 6 Lei aiuterà il Sindaco o il Prefetto a trovare il locale adatto, le suppellettili ed il materiale scolastico per le scuole sotto la sua direzione. Se necessario, per insufficienza di spazio, potrà istituire dei turni giornalieri per provvedere al maggior numero di fanciulli possibile. 7 Prima del 15 di ogni mese gli Ispettori ed i Direttori invieranno un rapporto al Provveditore col nome degli insegnanti in servizio sotto la loro direzione.

265 ALM, Attilio Busato, Relazione sul funzionamento della scuola, 19 novembre 1944, prot. N. 377 A/1. 266 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 99. 267 ALM, Lettera del preside al comando RR Carabinieri di Cesena, 26 febbraio 1945, prot. N. 31. 268 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 99. Prima del 28 marzo 1945 il sindaco di Cesena Sigfrido Sozzi scriveva a prefetto e provveditore «che questa Amministrazione ha dovuto rinviare la riapertura dei corsi in tutti gli Istituti di istruzione secondaria e primaria per necessità imprescindibili di igiene e sanità» (ASF, Prefettura - Archivio di gabinetto, busta 411, fasc. 44 - Riapertura scuole 1944-1945). 269 C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 100. 270 A. VARNI, Il confronto politico e sociale a Cesena fra guerra e dopoguerra, cit., p. 478.

8 Prima del 15 di ogni mese ogni Preside o altro Capo d’Istituto preparerà per l’Intendenza di Finanza un elenco degli insegnanti e darà le disposizioni necessarie per il pagamento del personale sotto la sua direzione e lo invierà al Provveditore agli Studi. 9 Tutti i Capi d’Istituto terranno informato il Provveditore agli Studi della data di riapertura delle scuole, del numero degli alunni iscritti, del numero e della categoria degli insegnanti in servizio, della condizione degli edifici, delle suppellettili e ogni altra informazione richiesta»271. Il 6 febbraio 1945 il provveditorato agli studi di Forlì distribuì a tutte le autorità scolastiche della provincia «copie della Scheda personale ad uso dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo»272. Il 23 febbraio, in una lettera al provveditore, il preside Busato chiese chiarimenti a proposito delle modalità di nomina di insegnanti supplenti; attraverso essa siamo informati che tali nomine venivano «fatte previe consultazioni con le Commissioni interne, da nominarsi in ogni Istituto Medio, e con la Commissione di epurazione di questo Comitato [di Liberazione Nazionale] che dovrà esaminare i precedenti morali e politici dei singoli Insegnanti e dare il nulla osta per la loro eventuale assunzione»273. Il 6 marzo 1945 il CLN di Cesena concesse al preside il nulla osta per l’assunzione di un bidello avventizio dopo averne valutato la complessa scheda personale che lo assolveva da ogni sospetto di collusione col passato regime: l’unico aspetto “inquinato”, che l’aspirante condivideva con tutti i pubblici impiegati, era ovviamente l’iscrizione al Pnf.274. Il 12 marzo riprese finalmente l’anno scolastico, che, come reso noto il 16 aprile 1945, «si chiuderà il 14 agosto»275. Col ritorno delle libertà democratiche si inaugurarono anche le prime prove di uno spirito di autodeterminazione degli studenti che era stato soffocato nel ventennio precedente276: la mancanza di riscaldamento, infatti, li spinse ad un piccolo sciopero. Così reagì il preside: «I Sigg. Insegnanti sono pregati di affiancare l’opera del preside deplorando l’atto inconsulto compiuto ieri dagli alunni con l’astensione dalle lezioni, tanto più che molti di essi sapevano che per oggi il Preside sarebbe stato in grado di provvedere al riscaldamento delle aule. Comunque la temperatura non era così rigida[277] da poter offrire il benché minimo pretesto per disertare la Scuola. Ad alunni che hanno dato prova di così scarsa maturità morale occorre far sentire il rigore di una disciplina forte ed intransigente che li riscatti dall’indolenza dall’apatia dalla leggerezza del carattere. Duole constatare che su giovani così incoscienti non possiamo fondare speranza alcuna di ricostruzione materiale e morale della Patria»278. Se, forse, si potrebbe maliziosamente leggere dietro quel «rigore di una disciplina forte ed intransigente» una implicita nostalgia per il passato regime (ma più probabilmente vi è una generica laudatio temporis acti, tipica del moralismo di certa “classe insegnante” d’ogni epoca), verrebbe ironicamente da chiosare che invece la dirigenza scolastica e intellettuale del liceo, passata indenne dalla supina acquiescenza al totalitarismo fascista ai primi vagiti della democrazia, poneva se stessa come esempio su cui «fondare [ogni] speranza di ricostruzione materiale e morale della Patria».

271 Ivi, p. 101. 272 ALM, prot. provveditorato N. 472 del 6 febbraio 1945; prot. liceo n. 318 A/6 del 13 feb. 1945. 273 ALM, prot. N. 29 A/6, 23 febbraio 1945. 274 ALM, Cartelle personale non docente, ad vocem Riguzzi Giuseppe. 275 ALM, Comunicazioni e Ordini di servizio, cit., n° 7, a.s. 1944-45. 276 Le ultime notizie di scioperi studenteschi risalivano al marzo 1921 ed erano state causate dal ripristino della versione italiano-latino negli esami (cfr. ALM, Corrispondenza ufficiale a.s. 1920/21 prot. n. 427 del 9 marzo 1921 e sgg.). 277 Si rammenti che nel 1935 il preside trovava ragionevole la temperatura «regolamentare» di 12 gradi centigradi nelle aule. 278 Ibid., n° 9.

Cominciava così, con queste parole del preside, quell’«opera di autoassoluzione individuale e collettiva sottolineando quella che, anche in buona fede, [si] riteneva una originaria e organica incomunicabilità tra cultura e fascismo»279. La stessa che avevamo riscontrato nelle parole di Augusto Campana, e dalle quali abbiamo in qualche modo preso le mosse per intraprendere questa indagine. Conclusioni Al termine di questa dettagliata ricostruzione - a tratti anche eccessivamente ricca di minuziosi particolari - permane paradossalmente la consapevolezza della incompletezza di un lavoro, al quale (è bene ribadire con nettezza quanto accennato nell’introduzione) non sono affidate né volontà esplicita né riposte intenzioni di stigmatizzare una città attraverso il suo liceo e il suo corpo insegnante dell’epoca che si è scelto di prendere in considerazione (in ciò è assoluta convinzione di chi scrive che quanto qui descritto per Cesena sia riscontrabile nella quasi totalità delle altre scuole d’Italia durante quel funesto ventennio). Infatti un aspetto problematico di questa ricerca sta nella selezione stessa del materiale adoperato: va a questo proposito senz’altro lamentata l’assenza di importanti documenti quali, per limitarci ad alcuni esempi, i registri personali degli insegnanti e i registri scolastici (ribattezzati Giornali di classe da una circolare ministeriale del 1924), i quaderni e i diari degli scolari e degli insegnanti da cui sarebbero potute sortire verifiche decisive sui reali programmi svolti in classe e, dunque, sul grado concreto di adesione al regime. Si deve però ricordare che, come si è avuto modo di dire nel corso dell’esposizione, nell’immediato dopoguerra i locali del liceo ospitarono un ospedale militare inglese e perciò furono asportati numerosi oggetti di arredo e di cancelleria; inoltre ignoti, sempre nell’immediato dopoguerra, forzarono la scrivania del preside e sottrassero, tra le altre cose, tutti i registri e altri documenti280. Nonostante questa lacuna, messo insieme tutto il materiale di cui ci si è serviti in queste pagine fa molta impressione, ma rischia di deformare l’oggetto inquadrato: si potrebbe infatti obiettare che nella loro apparente grande mole, quei documenti diventano minor cosa se distribuiti nell’arco degli oltre venti anni che durò «l’era fascista». Si tenga presente, però, che il numero delle circolari licenziate in un anno scolastico da un preside (ma discorso analogo vale anche per le riunioni di varia natura) era di gran lunga più esiguo di quanto non sia oggi, dunque quei documenti hanno, a ben guardare, una consistenza nient’affatto trascurabile, che rivela la capillarità e la pervasività della penetrazione ideologica del regime in ogni momento della sua storia. Tuttavia, sorvolando su questo aspetto “quantitativo” del problema storiografico, colpisce, nella valutazione conclusiva di questi materiali, come la perfetta normalità scolastica potesse convivere con l’assoluta emergenza delle libertà (a partire da quelle di insegnamento e di ricerca) costantemente e sistematicamente conculcate. E ciò, in ultima analisi, parrebbe confermare la tesi di coloro che interpretano l’atteggiamento degli uomini di scuola dell’epoca con la categoria del nicodemismo. A mio giudizio invece, anche a prendere momentaneamente per buona questa interpretazione, ciò dovrebbe indurre un ulteriore dubbio, per certi versi ancora più inquietante: e cioè che se la scuola si occupò sostanzialmente d’altro e i diktat fascisti furono solo una parentesi, una noiosa formalità come altre, di non grande peso nella vita dell’istituzione e della cultura, ciò potrebbe dire, e contrario, che anche i solenni impegni repubblicani, democratici e antifascisti dell’epoca successiva (fino a oggi) possono essere passati senza lasciare il segno se non nella mente di pochi. E proprio qui, forse, è l’anima del problema: della scuola, cioè, come istituzione sostanzialmente autoreferenziale e pertanto impermeabile, e che proprio per questa sua intima natura risulta perfettamente transitabile da un regime ad un altro.

279 G. TURI, Lo Stato educatore, cit., p. VII. 280 Cfr. C. RIVA , A. SPINELLI, op. cit., p. 100.

Allora da questo studio parziale si possono ricavare alcune considerazioni non sprovviste di una qualche valenza generale: ne emerge, ad esempio, che se non è possibile parlare di una intima adesione della scuola (cesenate e non solo) alla ideologia e alla propaganda del regime, certo è evidente il suo sostanziale conformismo (se non vero e proprio asservimento), che si manifestò nella pressoché totale assenza di critica, e in tal senso fu specchio di un’epoca e di una nazione; e anche per quel che riguarda l’aspetto della transizione dalla dittatura alla democrazia, le vicende scolastiche a Cesena e in Italia non si discostano troppo da quelle di altre istituzioni, per le quali il tema della continuità delle classi dirigenti repubblicane con quella fascista è stato ampiamente studiato281. Ma, ancor più che per le altre istituzioni, colpisce che proprio la scuola abbia abdicato al suo ruolo di luogo di riflessione critica, lasciandoci in eredità l’amara constatazione che non sono l’alta cultura né la frequentazione dei classici dell’arte e del pensiero a immunizzare una società dai veleni della demagogia, della violenza, del razzismo e dell’illiberalità282. Questo studio non aveva certo la pretesa di risolvere nodi problematici tanto delicati; ha cercato, tuttavia, di contribuire alla loro distesa articolazione, fornendo quegli elementi che, sebbene riguardanti un’area ristretta, si apparentano a dibattiti di più ampia portata. Esso, nel suo piccolo, spera di aver dato un contributo alla registrazione della fine di ogni immagine consolatoria della storia della scuola fascista, che era ancora presente, anche nella cultura antifascista, fino a non molti anni fa, con una sottolineatura troppo accentuata dei suoi aspetti farseschi e di improvvisazione estemporanea. Cosicché oggi la scuola, come gli altri settori della società italiana, non può chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità storiche, nascondendosi dietro l’alibi dello studio e dell’impegno culturale; tanto meno una scuola dove mancarono voci di dissenso critico che le giovani generazioni erano costrette a cercare altrove283. Infine un altro (non ultimo) intento ha mosso le ragioni di chi scrive, e lo si può definire partendo dalla celeberrima formula del filosofo americano George Santayana284, secondo la quale quelli che dimenticano il passato sono condannati a ripeterlo. Probabilmente il legame tra conoscenza del passato e comportamento (negli individui come nelle società) è assai meno deterministico di quanto questa affermazione non preveda: l’unicità di ogni avvenimento è in se stessa un’evidenza e non ha bisogno di essere argomentata. Pur tuttavia non si può rinunciare all’impegno etico di costruire un futuro migliore proprio partendo dagli insegnamenti che lo studio del passato può fornire. E oggi, nella scuola e fuori, troppi segnali vanno in una direzione che suscita non poche apprensioni in chi ha sinceramente a cuore le sorti della libertà della cultura e della ricerca, che, in ultima analisi, sono un aspetto costitutivo della democrazia. Serve la ricerca storica a contrastare certi rischi? Probabilmente no e comunque non nell’immediato di questa Italia; magari in un futuro in cui esisteranno l’attenzione e la serietà necessarie per rifletterci sopra. Guardarsi alle spalle, però, può essere un’utile occasione per soppesare i rischi insiti nel presente e di fronte ai segnali di deriva attrezzarsi per pronunciare, quando ve ne fosse il bisogno, qualche fermo no.

281 Cfr. C. PAVONE, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995. Su questo tema spunti significativi vengono anche dall’agile testimonianza di L. GEYMONAT, La società come milizia, Milano, Marcos y Marcos, 1989. 282 Si rileggano ora le parole di A. Campana citate nell’introduzione di questo lavoro: «la scuola in gran parte si salva, sotto la vernice ufficiale; e più la scuola classica, che nonostante i tentativi di conquistarla e corromperla attraverso la retorica della romanità sarà sempre intimamente permeata dal culto della libertà e dall’ideale della cultura intesa come democrazia» (A. CAMPANA, op. cit., p. 432). 283 Significativa appare a tal proposito la citata testimonianza del Prof. Biagio Dradi Maraldi, che ricorda come fu il contatto con l’esterno a far maturare in lui le prime idee antifasciste e liberal-socialiste. Nel suo caso fu un compagno maggiore di liceo, Giuseppe Angelini di Pesaro, a far da tramite col mondo dell’università pisana dove questi era iscritto e frequentava le lezioni di Guido Calogero. 284 G. SANTAYANA , L’ultimo puritano, Milano, Bompiani, 1952.