8
Gruppo di lavoro MS (2008). Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica, Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e Province Autonome, 3 vol. e DVD. Gruppo di lavoro MS-AQ (2010). Microzonazione sismica per la ricostruzione dell’area aquilana, Regione Abruzzo Dipartimento della Protezione Civile, 3 vol. e DVD. P. Imprescia, M. Coltella, G. Naso (2013). Il percorso metodologico per gli studi di microzonazione sismica, in questo volume. LA MICROZONAZIONE SISMICA DI PRIMO LIVELLO IN AREE VULCANICHE: L’ESPERIENZA DELLE AREE ETNEE S. Catalano 1 , G. Romagnoli 1 , G. Tortorici 1 , F. Pavano 1 , G. Sturiale 1 , A. Torrisi 2 , C. Bennici 1 , S. Rosa 1 1 Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali – Sezione di Scienze della Terra, Università di Catania 2 Regione Sicilia - Dipartimento Regionale di Protezione Civile- Servizio Regionale per la Provincia di Catania Introduzione. Gli studi di microzonazione sismica di I livello effettuati nei comuni dell’area etnea, hanno messo in evidenza che molti dei presupposti teorici dei modelli di risposta di sito e delle definizioni contenute negli “Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica” (Gruppo di lavoro MS, 2008) e nel supplemento a “Ingegneria Sismica” (Dolce et al. , 2011) non trovano immediata applicazione nei terreni di natura vulcanica. I caratteri peculiari dei terreni lavici incidono sulla definizione delle componenti essenziali che concorrono ai modelli di risposta di sito. Le successioni litostratigrafiche sono, infatti, caratterizzate da un’alternanza di terreni rigidi e terreni soffici, con ripetute inversioni di velocità delle onde sismiche lungo la verticale (Fig. 1). In particolare, terreni con Vs >800 m/s, che individuerebbero la presenza del basamento sismico, frequentemente ricoprono terreni soffici di copertura. Ciò crea numerose incertezze nella individuazione della profondità del bedrock sismico. Le stesse caratteristiche creano incertezze anche nell’attribuzione delle diverse unità laviche ai terreni di copertura o al substrato geologico. Negli “Standard di rappresentazione e archiviazione informatica-Versione 2.0beta-II”, le unità geologico-tecniche vengono distinte in terreni di copertura e substrato geologico rigido o non rigido. Nella definizione della litologia dei terreni di copertura, gli standard si avvalgono del sistema di classificazione dei suoli “Unified Soil Classification System” (leggermente modificato, ASTM, 1985). Tale sistema permette la classificazione di terreni incoerenti e pseudocoerenti ma non prevede la classificazione dei litotipi propri delle colate laviche, caratterizzate da un’estrema variabilità verticale e laterale delle litofacies, cui corrispondono profonde variazioni delle caratteristiche litotecniche. Ai problemi di rappresentazione si aggiunge una generale inadeguatezza dei dati geologici di base, oggetto di elaborazione nel corso della prima fase di approfondimento, che non sempre forniscono le informazioni di dettaglio rappresentative del reale assetto delle diverse litofacies che compongono i diversi orizzonti lavici. Le geometrie di sottosuolo dei modelli geologici di riferimento, inoltre, si discostano molto dai modelli fisici monodimensionali, che risultano troppo semplificati e poco rappresentativi degli assetti geologici reali. Lo stesso concetto di microzone omogenee risulta poco indicato, in quanto il concetto di omogeneità riferito all’assetto geologico in effetti andrebbe sostituito da un concetto di variabilità di comportamento tra due estremi definiti per ogni microzona, per quanto attiene la reale risposta sismica. Va, dunque, sottolineato che, anche in prospettiva dei successivi livelli di approfondimento, nell’area etnea non ci sono le condizioni per l’applicazione degli abachi basati su un assetto geologico e geotecnico costituito da orizzonti continui, con caratteri litotecnici definiti, sovrapposti tra loro e vincolato ad un aumento della velocità delle onde s con la profondità. Le aree vulcaniche sono caratterizzate, infatti, da un accumulo veloce di prodotti che vanno a sigillare superfici topografiche estremamente articolate. L’interazione tra vulcanismo e morfogenesi definisce una varietà di geometrie tridimensionali di sottosuolo (es. valli o versanti terrazzati sepolti) che non solo causano improvvise discontinuità dei livelli, ma ne influenzano anche le loro caratteristiche litologiche e meccaniche. 202 GNGTS 2013 SESSIONE 2.2

La microzonazione sismica di primo livello in aree vulcaniche: l'esperienza delle aree etnee

  • Upload
    unico

  • View
    0

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Gruppo di lavoro MS (2008). Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica, Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e Province Autonome, 3 vol. e DVD.

Gruppo di lavoro MS-AQ (2010). Microzonazione sismica per la ricostruzione dell’area aquilana, Regione Abruzzo Dipartimento della Protezione Civile, 3 vol. e DVD.

P. Imprescia, M. Coltella, G. Naso (2013). Il percorso metodologico per gli studi di microzonazione sismica, in questo volume.

la miCroZoNaZioNE SiSmiCa di Primo liVEllo iN arEE VulCaNiCHE: l’ESPEriENZa dEllE arEE EtNEES. Catalano1, G. romagnoli1, G. tortorici1, f. Pavano1, G. Sturiale1, a. torrisi2, C. Bennici1, S. rosa1 1Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali – Sezione di Scienze della Terra, Università di Catania2Regione Sicilia - Dipartimento Regionale di Protezione Civile- Servizio Regionale per la Provincia di Catania

Introduzione. Gli studi di microzonazione sismica di I livello effettuati nei comuni dell’area etnea, hanno messo in evidenza che molti dei presupposti teorici dei modelli di risposta di sito e delle definizioni contenute negli “Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica” (Gruppo di lavoro MS, 2008) e nel supplemento a “Ingegneria Sismica” (Dolce et al., 2011) non trovano immediata applicazione nei terreni di natura vulcanica. I caratteri peculiari dei terreni lavici incidono sulla definizione delle componenti essenziali che concorrono ai modelli di risposta di sito. Le successioni litostratigrafiche sono, infatti, caratterizzate da un’alternanza di terreni rigidi e terreni soffici, con ripetute inversioni di velocità delle onde sismiche lungo la verticale (Fig. 1). In particolare, terreni con Vs >800 m/s, che individuerebbero la presenza del basamento sismico, frequentemente ricoprono terreni soffici di copertura. Ciò crea numerose incertezze nella individuazione della profondità del bedrock sismico. Le stesse caratteristiche creano incertezze anche nell’attribuzione delle diverse unità laviche ai terreni di copertura o al substrato geologico. Negli “Standard di rappresentazione e archiviazione informatica-Versione 2.0beta-II”, le unità geologico-tecniche vengono distinte in terreni di copertura e substrato geologico rigido o non rigido. Nella definizione della litologia dei terreni di copertura, gli standard si avvalgono del sistema di classificazione dei suoli “Unified Soil Classification System” (leggermente modificato, ASTM, 1985). Tale sistema permette la classificazione di terreni incoerenti e pseudocoerenti ma non prevede la classificazione dei litotipi propri delle colate laviche, caratterizzate da un’estrema variabilità verticale e laterale delle litofacies, cui corrispondono profonde variazioni delle caratteristiche litotecniche. Ai problemi di rappresentazione si aggiunge una generale inadeguatezza dei dati geologici di base, oggetto di elaborazione nel corso della prima fase di approfondimento, che non sempre forniscono le informazioni di dettaglio rappresentative del reale assetto delle diverse litofacies che compongono i diversi orizzonti lavici. Le geometrie di sottosuolo dei modelli geologici di riferimento, inoltre, si discostano molto dai modelli fisici monodimensionali, che risultano troppo semplificati e poco rappresentativi degli assetti geologici reali. Lo stesso concetto di microzone omogenee risulta poco indicato, in quanto il concetto di omogeneità riferito all’assetto geologico in effetti andrebbe sostituito da un concetto di variabilità di comportamento tra due estremi definiti per ogni microzona, per quanto attiene la reale risposta sismica. Va, dunque, sottolineato che, anche in prospettiva dei successivi livelli di approfondimento, nell’area etnea non ci sono le condizioni per l’applicazione degli abachi basati su un assetto geologico e geotecnico costituito da orizzonti continui, con caratteri litotecnici definiti, sovrapposti tra loro e vincolato ad un aumento della velocità delle onde s con la profondità. Le aree vulcaniche sono caratterizzate, infatti, da un accumulo veloce di prodotti che vanno a sigillare superfici topografiche estremamente articolate. L’interazione tra vulcanismo e morfogenesi definisce una varietà di geometrie tridimensionali di sottosuolo (es. valli o versanti terrazzati sepolti) che non solo causano improvvise discontinuità dei livelli, ma ne influenzano anche le loro caratteristiche litologiche e meccaniche.

202

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 202 07/11/13 08.37

io
Rettangolo

Nel presente lavoro vengono analizzati alcuni casi rappresentativi delle problematiche emerse nel corso degli studi di microzonazione sismica di primo livello delle aree vulcaniche etnee, che hanno già comportato integrazioni agli standard di rappresentazione, ma richiede-rebbero una più ampia riflessione, sui criteri di analisi e sui modelli di risposta di sito, anche in prospettiva dei successivi livelli di approfondimento.

Successione litostratigrafica dell’area etnea. L’apparato vulcanico del Monte Etna si è sviluppato su un substrato sedimentario, rappresentato dalle aree frontali della Catena Appen-ninico-Maghrebide, soggetto ad un processo di sollevamento tettonico attivo, cui è corrisposta una evoluzione morfologica molto intensa. Le prime manifestazioni vulcaniche sono rappre-sentate da eruzioni sottomarine di lave tholeiitiche, di età compresa tra 0.58 to 0.46 Ma (Gillot

Fig. 1 – Indagini geognostiche e geofisiche realizzate nell’area comunale di Santa Venerina (CT). Sondaggio geognostico interpretato (A) e relativo profilo di velocità verticale ottenuto tramite indagine down-hole (B); tomografia sismica a rifrazione (C).

203

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 203 07/11/13 08.37

et al., 1994), che si trovano intercalate alle argille marnose infrapleistoceniche, alla base del versante sud-orientale del vulcano. Orizzonti tholeiitici più recenti (320-250 ka) di ambiente sub-aereo, affioranti alla base del versante sud-occidentale, sanciscono l’inizio della graduale emersione dell’area (Catalano et al., 2004). Questa si manifesta anche nelle aree orientali, con la messa in posto, in condizioni sub-aeree, di prodotti vulcanici di transizione da tholeiitici ad alkalini, la cui età varia da 225 ka a 168 ka (Gillot et al., 1994). A partire da questa fase, la messa in posto dei prodotti alkalini si è realizzata durante i processi di morfogenesi attiva dell’area. Questo aspetto, insieme ad una netta variazione dello stile eruttivo da fissurale a cen-trale, determina una differente giacitura dei prodotti lavici. Nella fase finale di sollevamento, i prodotti antichi, caratterizzati da una notevole continuità laterale e giaciture regolari per il loro appoggio su superfici sub-orizzontali, sono stati modellati dai terrazzi marini più recen-ti, lungo la costa, mentre nei settori più interni sono stati reincisi da profonde valli fluviali. I prodotti più recenti, successivi all’inizio della morfogenesi, mostrano giaciture e continuità laterale profondamente influenzate dalla morfologia subvulcanica. Le diverse superfici di ero-sione che suddividono i prodotti lavici sono generalmente associate allo sviluppo di ingenti volumi di epiclastiti, riferibili alle principali fasi di deglaciazione tardo-quaternaria (Catalano e Tortorici, 2010)

Substrato geologico e bedrock sismico nell’area etnea. Un aspetto prioritario da affrontare nel contesto vulcanico etneo è la definizione univoca dei criteri per l’attribuzione delle diverse unità litologiche al substrato geologico o ai terreni di copertura.

I soli criteri litotecnici non sono sufficienti, in quanto nella successione stratigrafica etnea bisogna prevedere che livelli molto rigidi, tipici di un bedrock sismico, siano in effetti intercalati all’interno di tipici terreni di copertura, costituiti da depositi epiclastici e vulcanoclastici (Fig. 1). Nell’esecuzione degli studi di microzonazione di primo livello, è stata prevista la possibilità di attribuire i prodotti lavici alternativamente al substrato geologico, indicandoli come alternanza di litotipi, o alle coperture, catalogandoli, a loro volta, in funzione della geometria e della giacitura rispetto agli elementi topografici sepolti. Sono state omologate al substrato geologico tutte le lave che, alla scala delle aree di studio dei singoli comuni, poggiano direttamente sulle successioni sedimentarie del substrato pre-etneo, senza l’interposizione di depositi clastici di copertura. In questo caso va comunque sottolineato che non è implicito omologare le lave del substrato al bedrock sismico, in quanto esse generalmente poggiano su orizzonti argillosi non rigidi, con un contatto che marca una notevole discontinuità delle proprietà meccaniche. Le lave attribuite al substrato geologico non sono necessariamente appartenenti ad una determinata unità lito-stratigrafica. Tale attribuzione ha valenza locale e generalmente si riferisce agli orizzonti lavici che nelle varie aree pre-datano il terrazzamento marino e l’approfondimento del reticolo idrografico (Fig. 2).

Al contrario, sono state omologate alle coperture, a prescindere dai caratteri litotecnici, tutti gli orizzonti lavici che non mostrano una continuità laterale a scala delle aree di studio, in quanto hanno ricoperto superfici topografiche articolate, oppure che poggiano o sono intercalate all’interno di livelli clastici di copertura. In entrambi i casi, si è ritenuto utile contemplare e distinguere alcune condizioni tipo di giacitura delle successioni laviche in funzione della geometria delle superfici di erosione sepolte. Tale approccio ha consentito di stabile una relazione diretta, verificata puntualmente sul terreno, tra le forme esterne dei campi lavici ed i loro caratteri litologici, primo fra tutti la ripartizione verticale e laterale tra porzione scoriacea e porzione massiva. Questa connessione tra morfologia esterna e litofacies è stata utilizzata come strumento per guidare la trasferibilità laterale delle informazioni delle stratigrafie dei pozzi, che sarebbe altrimenti risultata del tutto arbitraria. I caratteri tecnici riscontrati nei log di perforazione sono state, così, estese a tutti gli orizzonti appartenenti alla forma lavica attraversata dai sondaggi. La metodologia adottata ha richiesto una sostanziale revisione dei rilievi geologici disponibili, con l’acquisizione di una notevole mole di nuovi dati di terreno, ben al di là di quanto previsto per gli studi di primo livello. Tale necessità è nata

204

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 204 07/11/13 08.37

dall’esigenza di dettagliare maggiormente le informazioni contenute nella cartografia pregressa che, a prescindere dalla scala di dettaglio, è in genere basata su suddivisioni dei terreni lavici in unità litostratigrafiche, piuttosto che in singole unità di flusso, ad eccezione delle colate storiche per le quali sono stati tracciati i limiti con estremo dettaglio. Le integrazioni dei rilievi sono consistite nella delimitazione delle singole colate e, dove possibile, dei singoli flussi lavici all’interno di campi complessi, al fine di individuare i contorni di campi lavici semplici, assimilabili ad una geometria semplificata con la sovrapposizione di un orizzonte scoriaceo su un orizzonte massivo. La revisione delle carte geologiche di base ha inoltre fornito gli elementi utili per definire l’ordine di sovrapposizione tra le varie colate. Tale informazione, poco dettagliata nella cartografia disponibile, ha permesso di individuare la presenza di barriere morfologiche sepolte, generalmente riferibili a strutture tettoniche o edifici vulcanici antichi, che hanno condizionato il flusso delle colate laviche recenti. I dati di superficie così evidenziati hanno avuto positivi riscontri con i dati di sottosuolo, con il risultato di localizzare topografie sepolte, prima non conosciute (Fig. 2). L’inserimento nelle carte geologico-tecniche di un simbolo relativo ai bordi di colata è stato inoltre motivato dal fatto che sia i fianchi che il fronte delle colate sono discontinuità che possono costituire elementi di concentrazione dell’amplificazione sismica in quanto generalmente caratterizzati da una notevole quantità di materiale scoriaceo fittamente alternato a livelli di lave massive, in contrapposizione alle porzioni centrali di riempimento di canali, dove possono prevalere lave massive sormontate da uno spessore variabile di scorie.

Per quanto attiene i profili di velocità delle onde sismiche nei terreni vulcanici etnei, le indagini geofisiche (down-hole) preesistenti indicano la presenza nella successione litostra-tigrafica di orizzonti lavici caratterizzati da Vs superiori a 1000 m/s al di sotto dei quali si osservano sempre livelli, presumibilmente clastici, in cui la Vs è ben inferiore a 800 m/s (Fig.

Fig. 2 – Profili geologici realizzati nelle aree comunali di Aci Castello (profilo 1), Trecastagni (profilo 2) e Catania (profilo 3).

205

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 205 07/11/13 08.37

1 A e B). Inoltre, indagini di sismica a rifrazione hanno evidenziato considerevoli variazioni orizzontali di velocità delle onde sismiche, legate a discontinuità o eterogeneità laterali (Fig. 1 C). Tali condizioni impediscono una individuazione univoca del bedrock sismico, così come definito negli “Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica” (Gruppo di lavoro MS, 2008).

Il “vero” bedrock sismico probabilmente è da ricercare all’interno della potente successione argilloso-marnosa che costituisce il substrato sedimentario pre-vulcanico. In mancanza di misure dirette sulla velocità delle onde sismiche, facendo riferimento a dati raccolti nell’area di Catania, i valori delle Vs all’interno dei livelli più superficiali delle argille sono di circa 500-600 m/s, per cui il bedrock sismico va ricercato nei livelli più profondi della successione, in corrispondenza dei quali si raggiungono stabilmente velocità superiori agli 800 m/s.

Casi di studio. I risultati degli studi condotti nell’area etnea hanno permesso di definire una serie di geometrie tipo delle sequenze vulcaniche che sono state sintetizzate, prendendo spunto da alcuni casi di studio illustrati da altrettanti profili geologici realizzati lungo il basso versante orientale del Monte Etna (Fig. 2). La chiave di interpretazione adottata per la ricostruzione del modello di sottosuolo parte dal presupposto che nelle aree sommitali il grande volume di materiale vulcanico accumulato ha rapidamente fossilizzato la morfologia pre-esistente, rendendola di fatto ininfluente sulla distribuzione dei prodotti eruttivi successivi. Questi hanno dunque risentito esclusivamente della presenza di barriere topografiche costituite da edifici piroclastici o da lineamenti morfostrutturali connessi a faglie e campi di fratture. Al contrario, si è tenuto conto che nelle aree periferiche del vulcano, dove la frequenza delle invasioni laviche è stata inferiore e le colate laviche si sono accumulate con spessori limitati, i bassi morfologici hanno esercitato un controllo permanente, canalizzando le colate laviche, i depositi di flusso piroclastici e i depositi epiclastici di smantellamento degli edifici pre-esistenti. Pertanto, nelle aree periferiche del vulcano, morfologie superficiali apparentemente monotone, possono nascondere in sottosuolo notevoli spessori di lave, in corrispondenza di paleovalli oggi completamente sepolte, cui si contrappongono le zone degli originari alti morfologici, dove la copertura lavica recente è estremamente sottile o addirittura assente.

Profilo 1. Il profilo 1 mostra le geometrie dei campi lavici distribuiti su un versante costiero terrazzato, nelle aree di Acicastello. In questo caso il substrato geologico è rappresentato dalle argille marnose pleistoceniche con la loro copertura sabbiosa. Nel caso specifico, le lave più antiche (Lave pleistoceniche) poggiano al tetto della successione sedimentaria e possono essere omolagate al substrato geologico. Il resto delle coperture laviche, rappresentate dalle colate laviche oloceniche e storiche, pur ricoprendo le superfici di abrasione modellate sulle argille senza l’interposizione di depositi clastici, sono state attribuite alle coperture. Tra le lave di copertura sono state distinte con un soprassegno rappresentativo della forma i prodotti lavici che compongono i ventagli di lava, rispetto alle colate che mostrano una distribuzione areale più uniforme. Le due differenti geometrie sono direttamente riconducibili alle caratteristiche reologiche degli originali flussi lavici, al gradiente della paleotopografia che esse hanno ricoperto e all’orientazione degli elementi morfologici pre-esistenti, rispetto alla direzione del flusso. Il versante sepolto dalle lave nel profilo 1 è stato raggiunto da flussi lavici circa ortogonali. In questo caso, le singole colate laviche tendono a mantellare, con spessori generalmente esigui, le porzioni di versante ad elevata acclività circa ortogonali al flusso, presentando spessori minimi in corrispondenza di orli di scarpata. In questi tratti, generalmente le colate si restringono e la loro morfologia è caratterizzata da una potente copertura scoriacea o a lastroni, connessa alla frammentazione delle porzioni più esterne raffreddate causata dall’accelerazione del flusso interno in corrispondenza del cambio di pendenza. Il risultato è che gli apici delle scarpate sepolte e tutti i tratti più acclivi dei versanti sono sepolti da una successione di lave poco spessa e costituita da una fitta alternanza di livelli scoriacei e massivi circa paralleli al versante sepolto. Una netta differenziazione delle geometrie delle lave di copertura contraddistingue le rotture di pendio al piede dei versanti sepolti. Nel caso di colate poco alimentate e di elevata viscosità, la colata tende a formare ventagli, caratterizzati da una fitta alternanza di

206

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 206 07/11/13 08.37

scorie e banchi massivi clinostratificati, caratterizzati da notevole discontinuità sia laterale che verticale. I ventagli di lava sono caratterizzati da spessori minimi all’apice e al piede, mentre raggiungono spessori massimi di oltre 50 m nella parte centrale, in corrispondenza della verticale del piede del pendio sepolto dalle lave. Nel caso di colate ben alimentate e molto fluide, la colata tende ad espandersi lateralmente sulle superfici sub-pianeggianti, dando luogo a banchi massivi metrici sub-orizzontali, con notevole continuità laterale, generalmente interessati da intensa fessurazione verticale, con copertura scoriacea limitata o assente. In alcuni casi, gli espandimenti possono raggiungere anche spessori fino a circa 25 m. Nel settore mediano del profilo sono riprodotti più ventagli di lava sovrapposti che hanno colmato una depressione morfologica e che sono stati mantellati dalle colate laviche più giovani che si sono espanse su una morfologia più blanda.

Per rendere in pianta quanto rappresentato nel profilo, si è fatto ricorso ad una serie di simboli, lineari e areali, per indicare l’ubicazione delle scarpate e dei terrazzi sepolti dalle lave, la cui localizzazione è stata in gran parte desunta dalla morfologia dei campi lavici. Tutti gli elementi hanno contribuito, insieme alle forme delle lave, a definire l’estensione delle microzone omogenee, nell’accezione specificata nell’introduzione.

Profilo 2. Nel profilo 2, relativo al comune di Trecastagni, illustra gli effetti di una barriera morfologica sulla distribuzione dei flussi lavici. Nel profilo si riconoscono lave basali di incerta attribuzione che, per la loro continuità laterale sono assimilabili al substrato geologico. Le sovrastanti colate laviche di copertura si sono accumulate sul fianco di un vecchio rilievo costituito da piroclastiti, interpretato come un originario edificio vulcanico oggi sepolto. In questo caso, la dettagliata ricostruzione della successione verticale delle colate laviche è stata decisiva per l’individuazione degli elementi topografici sepolti. In particolare, la presenza dell’edificio sepolto, precedente a quello estesamente affiorante nell’area, è stata riconosciuta dalla notevole riduzione dello spessore delle lave indicate come “intermedie” che si apprezza da nord-ovest verso sud-est. Tale fenomeno è conseguenza dell’effetto barriera esercitato dall’edificio stesso sui flussi lavici che, invece di proseguire secondo la direzione NO-SE, determinata dalla pendenza del fianco sud-orientale dell’Erna, sono stati in gran parte deviati verso SO (ortogonalmente al profilo), lungo il fianco dell’edificio sepolto. I rilievi originali effettuati nell’area hanno confermato la notevole estensione dei prodotti piroclastici dell’edificio sepolto, raggiunti anche da alcune perforazioni. Il notevole accumulo di lave a monte dell’edificio ha del tutto annullato la paleotopografia, sostituendola con un’area di accumulo sub-pianeggiante. In questo caso, per segnalare la presenza del fianco sepolto, che costituisce una discontinuità meccanica di primo ordine, è stato introdotto un simbolo lineare, che indica l’orlo del versante sepolto, ed un simbolo areale, che indica l’estensione in sottosuolo dell’edificio. Nel caso specifico, il fianco dell’edificio rivolto a valle è, invece, ancora oggi in parte scoperto o nascosto sotto una sottile coltre di lave recenti e corrisponde al versante a forte acclività posto tra gli abitati di Trecastagni e Viagrande, rappresentato nella porzione orientale del profilo. La presenza dell’edificio sepolto nell’area di Trecastagni ha imposto che venisse definita una microzona rappresentativa dell’appoggio delle lave contro il fianco che difficilmente può essere inquadrata nel concetto di omogeneità di comportamento. In questo caso si sono manifestati enormi gradi di incertezza riguardo l’ubicazione del limite stesso della microzona, in funzione delle variazioni laterali della successione dei terreni, determinata dalla concomitante variazione di spessore tra lave di copertura ed piroclastici dell’edificio. La ricostruzione del modello geologico di Trecastagni evidenzia una geometria, con la presenza di più edifici vulcanoclastici di età diversa separati da orizzonti di lave, che è risultata molto diffusa nel versante meridionale dell’Etna, anche se non segnalata né nella letteratura geologica né nella cartografia disponibile. Infatti, è stato possibile verificare che le aree di distribuzione dei coni piroclastici recenti sono state sede di attività esplosiva più antica, i cui prodotti sono stati interamente seppelliti dalla copertura lavica recente. Le discontinuità geometriche determinate dalla presenza di barriere topografiche che ostacolano i flussi lavici, costituisce un

207

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 207 07/11/13 08.37

target principale, la cui risoluzione dovrà necessariamente richiedere una sostanziale revisione di tutta la cartografia accompagnata da una massiccia raccolta di dati di sottosuolo.

Profilo 3. Il profilo 3 attraversa il centro urbano di Catania ed è significativo dell’articolazione della morfologia sub-vulcanica nelle aree costiere, caratterizzata dalla presenza di ampi terrazzi marini interrotti da valli che generalmente risultano interamente sepolte da notevoli spessori di prodotti di riempimento. La tematica delle paleovalli sepolte costituisce uno degli aspetti più complessi nella definizione sia del modello geologico che di risposta di sito. Le forme vallive sepolte sono molto diffuse in tutte le aree periferiche del vulcano. L’evoluzione delle valli sepolte può essere ricondotta a due distinte condizioni tipo. In aree distanti dalla costa, l’approfondimento delle valli ha sommato gli effetti delle diverse fasi di reincisione, scandite dalle variazioni climatiche e regolate dal sollevamento tettonico regionale. Il risultato finale è quello di valli generalmente molto approfondite e sepolte sotto un riempimento costituito da colate laviche e alluvioni, il cui spessore è direttamente collegato all’esposizione dell’area alle invasioni laviche. Pertanto, è frequente trovare sia paleovalli del tutto nascoste in superficie, perché interamente riempite da flussi lavici, che valli solo parzialmente sepolte. Nel caso di Catania, estendibile a tutte le aree prossime alla costa che, nel corso del Pleistocene superiore rientravano nella fascia soggetta al ciclo regressivo-trasgressivo delle oscillazioni glacio-eustatiche, ciascuna fase di approfondimento fluviale è stata seguita dal riempimento delle paleovalli sia da parte dei terreni trasgressivi del successivo alto eustatico. Parte del riempimento può essere anche costituito parzialmente dalle lave, messesi in posto fra il momento dell’incisione e quello del colmamento della valle, che da depositi continentali, tra i quali prevalgono i terreni argillosi lacustri rispetto ai depositi alluvionali grossolani. È interessante notare che nel caso di Catania, l’intera successione della paleovalle viene sigillata da depositi costieri di un terrazzo marino che si estendono in continuità anche alle zone delle antiche dorsali spartiacque, dove poggiano direttamente sul substrato argilloso. Di fatto, quindi, le paleovalli possono risultare del tutto nascoste o addirittura i dati di superficie potrebbero indicare geometrie di sottosuolo completamente differenti da quelle realmente riscontrate dai dati di sottosuolo. Nell’area di Catania, i terreni di colmamento delle paleovalli relative ad un determinato ciclo eustatico, risultano generalmente reincise da forme vallive, riempimente da depositi alluvionali e lave e sigillate dai depositi del terrazzo del ciclo eustatico successivo. La presenza delle paleovalli nel sottosuolo di diverse aree urbane alla periferia dell’Etna è un aspetto caratteristico che determina condizioni di estrema variabilità laterale dell’assetto geologico. I fianchi delle valli, infatti, sono in gran parte modellati su successioni argillose, generalmente sormontate da depositi sabbiosi terrazzati, affioranti in corrispondenza della cresta degli antichi spartiacque, in gran parte sepolti. Su tali dorsali, la copertura lavica è estremamente ridotta di spessore o del tutto assente. Al contrario, le valli sepolte sono riempite da alternanze di litotipi caratterizzate da elevatissimi contrasti di impedenza tra i diversi orizzonti, con frequenti inversioni di velocità. Generalmente, il contatto tra riempimento e fianco della paleo valle corrisponde anche ad un limite di permeabilità che canalizza il flusso delle acque sotterranee in corrispondenza dell’asse della paleovalle. Dai caratteri peculiari delle due tipologie di riempimento delle paleo valli, è prevedibile una differente risposta sismica dei riempimento accumulati in aree interne e prossime alla costa.

Per visualizzare le valli sepolte sono stati prevalentemente utilizzati elementi di rappre-sentazione lineari, indicanti l’orlo dei fianchi sepolti e l’ubicazione dell’asse della paleo valle, rispettivamente. L’ampiezza della valle sepolta è quindi desumibile dalla distanza in pianta tra i due simboli. Come nel caso degli edifici piroclastici sepolti da lave, anche per le valli sepolte è stata definita una microzona, all’interno della quale è facilmente prevedibile un comporta-mento estremamente eterogeneo, molto diverso dalla risposta attesa nelle aree di culmina-zione degli spartiacque di natura sedimentaria, dove è prevedibile una maggiore omogeneità. L’assetto geologico del sottosuolo di Catania, pone una questione di carattere locale, che può avere comunque risvolti di interesse generale. Le valli sepolte da lave creano le condizioni di

208

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 208 07/11/13 08.37

brusche variazioni litologiche laterali che interessano non i singoli orizzonti stratigrafici, come può accadere all’interno di una colata, ma intere successioni di terreni. I fianchi delle paleo-valli agiscono quindi come barriere meccaniche di primo ordine che separano successioni a comportamento molto differente anche fino ai 50 m di profondità. In questo caso, il limite in superficie tra le microzone adiacenti potrebbe costituire un elemento critico di debolezza, lega-to al comportamento fortemente disomogeneo registrato ai suoi due lati. Queste considerazioni sono estendibili non solo a tutti i contatti a giacitura inclinata che, raggiungendo la superficie, separano successioni a diversa competenza, ma in generale andrebbero verificate lungo tutti i limiti tra microzone omogenee che, per definizione, separano aree che rispondono diversamen-te alle sollecitazioni di un evento sismico. BibliografiaCatalano S., Torrisi S., Ferlito C.; 2004: The relationship between Late Quaternary deformation and volcanism of Mt. Etna

(eastern Sicily): new evidence from the sedimentary substratum in the Catania region, J. Volcanol. Geotherm. Res., 132, 311-334.

Catalano S., Tortorici G.; 2010: La carta geologica del basso versante orientale del Monte Etna: nuovi vincoli per la ricostruzione del sottosuolo. In: AUTORI VARI. Microzonazione sismica del versante orientale dell’Etna. Studi di primo livello. p. 113-141, CATANIA:Le nove Muse

Dolce M., Albarello D., Castellaro S., Castenetto S., Colombi A., Compagnoni M., Di Filippo M., Di Nezza M., Eva C., Foti S., Martini G., Naso G., Pergalani F., Santucci de Magistris F., Mugnozza Scarascia G., Silvestri F.; 2011: Contributi per l’aggiornamento degli “Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica”. Ingegneria Sismica XXVIII, n. 2. Supplemento alla rivista trimestrale.

Gillot P.Y., Kieffer G., Romano R.; 1994: The evolution of Mount Etna in the light of potassium-argon dating. Acta Vulcanol., 5, 81-87.

Gruppo di lavoro MS; 2008: Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica. 3° Vol. e DVD.Gruppo di lavoro MS; 2008: Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica, Glossario.

EffEtti di Sito iNdotti da Valli SEPoltE NEllE arEE PErifEriCHE dEl moNtE EtNa: il CaSo dEl tErrEmoto di SaNta VENEriNaS. Catalano1, S. imposa1, G. tortorici1, a. torrisi2, G. romagnoli1, S. Grassi11Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali - Sezione di Scienze della Terra, Università di Catania2Regione Sicilia - Dipartimento Regionale di Protezione Civile - Servizio Regionale per la Provincia di Catania

Introduzione. Studi di microzonazione sismica condotti in aree colpite da recenti eventi sismici offrono l’opportunità di poter confrontare i risultati ottenuti con lo scenario dei danni effettivamente causati dal terremoto. Tale opportunità è ancora più rilevante se riguarda aree vulcaniche, per le quali i modelli di risposta di sito generalmente risultano non immediatamente applicabili (Catalano et al., 2013a). Nel caso del comune di Santa Venerina, nel basso versante orientale dell’Etna, i risultati degli studi di microzonazione di primo e secondo livello possono essere confrontati con la distribuzione dei danni censiti in seguito all’evento sismico del 28 ottobre 2002 (Autori Vari, 2010). L’area di maggior danneggiamento risulta concentrata in una fascia ristretta, allungata secondo la direzione di un ampio campo di fratture al suolo che si è sviluppato in occasione dell’evento. La coincidenza dei due fenomeni è stata interpretata come il risultato dell’attivazione di un segmento di circa 1 km di lunghezza della Faglia di Santa Venerina (Azzaro, 2004), intorno alla quale si sarebbe sviluppata l’area mesosismica dell’evento. Gli studi geologici condotti nell’area (Catalano et al., 2013b) hanno rilevato l’impossibilità di collegare il campo di fratture al suolo ad una struttura radicata in profondità ed evidenziato che l’area mesosismica è, in effetti, concentrata all’interno dei terreni di riempimento di una valle sepolta, costituiti da una alternanza di depositi alluvionali e colate laviche, che attraversa l’abitato in direzione circa NO-SE. Gli stessi studi hanno evidenziato che i danni si riducono drasticamente laddove affiorano le successioni che costituiscono le dorsali spartiacque, che delimitano la valle sepolta. Questo caso di studio costituisce quindi una opportunità per poter investigare quali siano i parametri che influenzano la diversa

209

GNGTS 2013 SeSSione 2.2

131218 - OGS.Atti.32_vol.2.sez.2.20.indd 209 07/11/13 08.37

io
Rettangolo