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FATA MORGANA 69 Il dispositivo cinematografico tra psicoanalisi e ideologia Ismaela Goss Il problema dell’ideologia va tenuto presente oggi più che mai, nell’epoca che Jean-François Lyotard ha definito della fine delle grandi narrazioni 1 . Se le storiche strutture di pensiero economico, politico e sociale hanno in un certo senso cessato di esporsi palesemente, nella teoria come nella pratica comunicativa, ciò non significa che l’uomo si trovi in una posizione di liber- tà extra ideologica. Accogliendo come centro di ogni questione il soggetto inteso nella sua definizione moderna che, a partire da Husserl, lo individua come un essere che si riconosce primariamente nell’intersoggettività 2 , pos- siamo considerare base di ogni ideologia il bisogno primario dell’uomo di essere: ottenere un riconoscimento esterno per potersi dotare di identità 3 . Questa definizione, accolta in parte anche da Lacan 4 , può servire a spiegare in termini psicoanalitici la struttura delle ideologie; l’uomo necessita di un altro per trovare il significato del suo esistere: l’ideologia vive nell’essere che desidera essere, garantendogli l’accesso alla rete simbolica e alla legge che costituiscono la società, con la speranza di vedere un giorno appagato pienamente il suo desiderio ontologico. I sistemi di comunicazione e di produzione sono sempre stati sia la culla teorica della costituzione ideologica sia la loro messa in pratica, e sono an- che il luogo in cui da sempre emerge il pensiero critico. Paradossalmente, quest’ultimo ha spesso portato a un rinsaldamento dell’ideologia stessa, poiché 1 J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, tr. it., Feltrinelli, Milano 2002. 2 E. Husserl, Meditazioni cartesiane, tr. it., Armando, Roma 1999. 3 Per l’appropriazione dell’essere della propria identità in relazione al pensiero di Husserl si rimanda, tra gli altri, a E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, tr. it., Jaca Books, Milano 2006; per una visione politica dell’essere in relazione all’altro si rimanda a J.P. Sartre, Critica della ragione dialettica. Teoria degli insiemi pratici, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1963. 4 Per il rapporto tra Lacan e la filosofia cfr. S. Monetti, Jacques Lacan e la filosofia, Mi- mesis, Milano 2008.

Il dispositivo cinematografico tra psicoanalisi e ideologia (Fata Morgana 24-Dispositivo)

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FATA MORGANA 69

Il dispositivo cinematografico tra psicoanalisi e ideologia

Ismaela Goss

Il problema dell’ideologia va tenuto presente oggi più che mai, nell’epoca che Jean-François Lyotard ha definito della fine delle grandi narrazioni1. Se le storiche strutture di pensiero economico, politico e sociale hanno in un certo senso cessato di esporsi palesemente, nella teoria come nella pratica comunicativa, ciò non significa che l’uomo si trovi in una posizione di liber-tà extra ideologica. Accogliendo come centro di ogni questione il soggetto inteso nella sua definizione moderna che, a partire da Husserl, lo individua come un essere che si riconosce primariamente nell’intersoggettività2, pos-siamo considerare base di ogni ideologia il bisogno primario dell’uomo di essere: ottenere un riconoscimento esterno per potersi dotare di identità3. Questa definizione, accolta in parte anche da Lacan4, può servire a spiegare in termini psicoanalitici la struttura delle ideologie; l’uomo necessita di un altro per trovare il significato del suo esistere: l’ideologia vive nell’essere che desidera essere, garantendogli l’accesso alla rete simbolica e alla legge che costituiscono la società, con la speranza di vedere un giorno appagato pienamente il suo desiderio ontologico.

I sistemi di comunicazione e di produzione sono sempre stati sia la culla teorica della costituzione ideologica sia la loro messa in pratica, e sono an-che il luogo in cui da sempre emerge il pensiero critico. Paradossalmente, quest’ultimo ha spesso portato a un rinsaldamento dell’ideologia stessa, poiché

1 J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, tr. it., Feltrinelli, Milano 2002.

2 E. Husserl, Meditazioni cartesiane, tr. it., Armando, Roma 1999.3 Per l’appropriazione dell’essere della propria identità in relazione al pensiero di Husserl si

rimanda, tra gli altri, a E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, tr. it., Jaca Books, Milano 2006; per una visione politica dell’essere in relazione all’altro si rimanda a J.P. Sartre, Critica della ragione dialettica. Teoria degli insiemi pratici, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1963.

4 Per il rapporto tra Lacan e la filosofia cfr. S. Monetti, Jacques Lacan e la filosofia, Mi-mesis, Milano 2008.

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inevitabilmente si muove in una prospettiva interna a essa. L’ideologia, per funzionare davvero bene, necessita di spazi di rottura, di luoghi in cui la rete simbolica di cui è costituita non riesce a coprire ciò che sta dietro: la critica può utilizzare queste pieghe, svelando ciò che non è simbolizzabile e che rappresenta una realtà che, nella sua interezza, non sarebbe sostenibile perché costitutivamente violenta. L’ideologia del postmoderno, del tardo capitalismo, risiede nello sguardo ironico sulle ideologie del passato, nel riutilizzo cinico dei (dis)valori di cui esse erano portatrici e soprattutto nell’imposizione a ogni soggetto a essere tramite la trasgressione all’ideologia; quest’ultimo passaggio è facilitato dalle nuove forme di autorappresentazione/affermazione/ricono-scimento (potenzialmente) globale della comunicazione digitale. Si potrebbe quasi affermare, con un paradosso esplicativo della nostra era, che oggi la vera critica risieda nel non essere critici o meglio, nel non trasgredire, ma nel cercare di riformulare il sistema di pensiero di base. Il cinema si propone come territorio ideale per questa indagine: oggetto complesso, è prima di tutto una tecnologia industriale, nascendo inevitabilmente impregnato dei dati politici, culturali ed economici contemporanei… Volendo indagare la struttura ideologica della società, per scoprirne il funzionamento e individuarne le apo-rie, il dispositivo cinematografico si offre dunque come mezzo che dispone (etimologicamente) davanti a noi la realtà con i suoi meccanismi, come una lente di ingrandimento che ci permette di raccogliere ciò che nel quotidiano sfugge alla nostra visione.

Jean-Louis Baudry, con il saggio da cui prendiamo le mosse, Effets idéolo-giques produits par l’appareil de base (1970)5, si inserisce nel dibattito sessan-tottino sulla valenza politica del cinema, partito dalle pagine di Cinéthique. Qui appare un’intervista a Jean Thibaudeau e Marcel Pleynet, nella quale quest’ul-timo afferma, nella scia delle domande sulla rilevanza politica del cinema:

Non credi che prima di pensare alla loro “funzione militante”, i registi dovrebbero indagare bene sull’ideologia prodotta dall’ap-parato (la macchina da presa) che costituisce il cinema? L’apparato cinematografico è strettamente ideologico; dissemina ideologia borghese prima di ogni altra cosa. Prima che un film venga montato, la costruzione tecnica operata dalla macchina da presa già produce ideologia borghese […]. Vorrei espandere questo concetto: mostrare come la macchina da presa sia stata costruita per “rettificare” ogni anomalia nella prospettiva, per riprodurre nella sua massima autorità il

5 J.L. Baudry, Effets idéologiques produits par l’appareil de base, 1970, in Id., L’Effet Cinéma, Albatros, Paris 1978, pp. 13-27.

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codice della visione speculare, così come fu definito dall’umanesimo rinascimentale6.

Baudry opera una scissione tra quello che chiama appareil de base, cioè la base tecnologica del cinema, e dispositif, che riguarda gli effetti psicologici della proiezione sullo spettatore. L’appareil de base del cinema restituisce allo spettatore un’impressione di realtà, un più che reale, che non solo è immagine lontanissima del mondo quotidiano, ma per di più è realizzata in modo che lo spettatore sia il punto di convergenza (soggetto trascendente) di una prospet-tiva centrale ereditata dalla pittura Rinascimentale. Il soggetto, posto in una condizione di visione che lo immobilizza, di fronte ad uno schermo in cui è costretto, grazie alla tecnica, a (ri)specchiarsi, si trova per Baudry in un mo-mento assimilabile alla fase dello specchio descritta da Lacan. In questo modo però, essendo costretto a credere a una realtà fittizia, il soggetto si costituisce assorbendo quelle linee ideologiche impresse nel dispositivo dalla struttura tec-nologica, risultando così costitutivamente deformato; infatti, prosegue Baudry,

Il meccanismo ideologico al lavoro nel cinema sembra essere concentrato nella relazione macchina da presa-soggetto […]. Costi-tuisce il “soggetto” nell’illusoria posizione di essere centrale, come può esserlo un dio o ogni altro suo sostituto. È un apparato destinato ad ottenere un preciso effetto ideologico, necessario all’ideologia dominante: creando una “fantasmatizzazione” del soggetto, collabora fortemente al mantenimento dell’idealismo […]. Il cinema può essere visto anche come una sorta di apparato di sostituzione psichica, cor-rispondente al modello definito dall’ideologia dominante7.

L’autore riprende il concetto di ideologia in particolare da Althusser, il cui pensiero in merito si esprime in Ideologia ed apparati ideologici di Stato8. Baudry si riferisce alla concezione materiale althusseriana, che vede l’ideologia non solo come struttura della sfera spirituale del soggetto, ma presente nel quo-tidiano delle rappresentazioni degli apparati della società. Ancora, l’ideologia, per il filosofo francese, si costituisce in quanto interpellazione del soggetto: l’individuo si presenta come un sempre-già formato dall’ideologia a partire dall’attesa della sua nascita, in quanto è chiamato dalla struttura famigliare a

6 G. Leblanc, Économique, idéologique, formel, in “Cinéthique”, n. 3 (1969), pp. 7-14.7 J.L. Baudry, Effets idéologiques produits par l’appareil de base, cit., p.46.8 L. Althusser, Ideologia e apparati ideologici di Stato. Appunti per una ricerca, in Id., Lo

Stato e i suoi apparati, a cura di R. Finelli, Editori Riuniti, Roma 1997.

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prendere il nome del padre, poi dall’ideologia di genere ad assumere identità sessuale, poi da quella religiosa a essere membro della comunità credente e così via, fino all’appartenenza politica. Anche Jean-Louis Comolli, negli stessi anni, in sei articoli apparsi sui Cahiers du cinéma, riprende il dibattito, ampliando il discorso alle tecnologie del visibile9.

A partire dalla metà del XIX secolo, la società ha richiesto di poter vedere sempre più e sempre meglio il mondo. Questa domanda, sostenuta dall’ideologia del capitalismo, si è tradotta nell’invenzione di macchinari che restituiscono un ordine alle cose tramite la loro (ri)messa in vista predisposta ad arte, dalla fotografia agli spettacoli ottici fino al cinematografo. Il tutto, naturalmente, unito alla natura di prodotti industriali delle visioni stesse. L’unica via di sal-vezza, per Baudry e Comolli, è infrangere il dispositivo, introducendo elementi disturbanti e metacritici che facciano apparire la tecnica, facendola penetrare «nella carne e nel sangue»10 dello spettatore, per farlo uscire dalla caverna di Platone in cui il cinema lo costringe11. La crisi di questo approccio analitico al cinema avviene solo negli anni ottanta, sebbene, come nota Ruggero Eugeni, Christian Metz avesse tentato di ridimensionare gli argomenti di Baudry e colleghi, puntualizzando che:

Le tecnologie non agiscono direttamente e deterministicamente sul film imprimendovi l’ideologia di cui sono portatrici; la tecnolo-gia viene piuttosto presa in un gioco complesso di determinazioni che trovano il loro snodo fondamentale nella precostituzione di atteggiamenti interpretativi dello spettatore da parte dell’istituzione cinematografica12.

Inoltre Metz, negli scritti raccolti nel 1977 in Le signifiant imaginaire, amplia l’interpretazione della fase dello specchio in Lacan, contestando a Baudry il coinvolgimento primario che quest’ultimo aveva proposto: lo spettatore non si identifica nello schermo come nello specchio, con un oggetto che si vede, bensì con un vedente:

9 Ampliati e raccolti in J.L. Comolli, Tecnica e ideologia, tr. it., Pratiche, Parma 1982.10 J.L. Baudry, Effets idéologiques produits par l’appareil de base, cit., p. 47.11 In un saggio successivo Baudry infatti prosegue la sua analisi paragonando la sala cine-

matografica al mito della caverna di Platone: J.L. Baudry, Le dispositif: approches métapsycho-logiques de l’impression de réalité, in “Communications”, n. 23 (1975) , pp. 56-72.

12 R. Eugeni, Film, sapere, società. Per un’analisi sociosemiotica del testo cinematografico, Vita e Pensiero, Milano 1999, p. 38.

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Lo spettatore è assente dallo schermo come percepito, ma anche (le due cose sono inevitabilmente legate) vi è presente, anzi onni-presente come percipiente. Sono nel film, in ogni momento, con la carezza del mio sguardo. Questa presenza, spesso, rimane vaga, spazialmente indifferenziata, ugualmente distribuita su tutta la su-perficie dello schermo; o più esattamente fluttuante come l’ascolto dello psicanalista, pronta ad agganciarsi preferibilmente a questo o a quel motivo del film13.

Come si diceva, è però solo negli anni ottanta che l’idea di Baudry sulla pregnanza ideologica del cinema dispositif e appareil de base sembra crollare, grazie alla scuola anglofona e alla volontà di introdurre una componente scien-tifica all’interno dell’analisi del film. David Bordwell, in particolare, apre gli studi sul cinema alla dimensione cognitiva, cogliendo gli spunti di Metz volti a una maggiore focalizzazione sugli strumenti di interpretazione del soggetto rispetto al film, e operando una rimozione di ciò che aveva fatto problema nel pensiero teorico dalla fine degli anni sessanta. Il clima politico completamente rinnovato, con la caduta dei regimi comunisti, ha portato anche al discredito della lettura althusseriana dell’ideologia, che era stata la base del dibattito riassunto più sopra. David Bordwell e Noël Carroll proclamano, nel volume manifesto Post-Theory. Reconstructing Film Studies: «if there is an organizing principle to the volume, it is that solid film scholarship can proceed without employing the psychoanalytic frameworks routinely mandated by the cinema studies establishment»14.

Rotto il dualismo storico che aveva contrapposto il comunismo al capi-talismo, nonché data per elaborata (cioè sottoposta a critica e dunque risolta) l’ideologia di quest’ultimo, la comunità anglofona di studi cinematografici si poggia sull’idea che l’epoca attuale sia post ideologica. Se la (Grand) Theory si basava sull’intreccio tra psicoanalisi, politica, società, la Post Theory restituisce la dimensione corporea allo spettatore, proponendo una sorta di materialismo e positivismo scientifico: è la subject-position theory. Il dispositivo cinemato-grafico viene analizzato ponendo al centro lo spettatore con le sue capacità di interpretazione e le sue reazioni emotive e fisiche: si guarda a come le immagini

13 C. Metz, Cinema e psicanalisi, tr. it., Marsilio, Venezia 2002, p. 66.14 D. Bordwell, N. Carroll, Introduction, in Post-Theory. Reconstructing Film Studies, a cura

di Id., University of Wisconsin Press, Madison 1996, p. xiii. Bordwell manifesta apertamente la rottura con la Theory in questo volume del 1996, ma già dal suo primo importante lavoro, Narration in the Fiction Film, University of Wisconsin Press, Madison 1985, imposta l’analisi sulle linee cognitiviste rigettando quasi del tutto la psicoanalisi.

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orientano il soggetto, indagando negli schemi di comprensione che egli mette in azione durante la visione di un film. Questi schemi derivano dalla familiarità con un certo tipo di cinema (americano classico), ma anche dalle esperienze personali del soggetto e dalle circostanze in cui si consuma la visione. L’oggetto film viene esaminato dal punto di vista dell’intreccio (o syuzhet, termine ripreso da Bordwell dai formalisti russi), della fabula e dello stile (tecnico-linguistico). Torben Grodal ha anche proposto uno schema cognitivo, chiamato PECMA (Perception-Emotion-Cognition-Motor-Action), grazie al quale si cerca di descrivere l’intero flusso neurofisiologico e cognitivo messo in gioco dallo spettatore durante la visione di un film15.

Al di là dei dati reali e scientifici di questo orientamento, che si avvale anche di scoperte di area neurologica applicate all’estetica, il problema del cinema come dispositivo ideologico rimane. Jonathan Crary, ad esempio, rilegge la storia delle tecniche del visuale alla luce della formazione dello spettatore e soggetto moderno: la componente artistico visuale della cultura farebbe parte di una più vasta strategia di modernizzazione sociale, di cui una sempre maggiore libertà di vedere è contrapposta alla normalizzazione della visione stessa16.

Tornando a Lacan, la nuova scuola ispirata alla sua psicoanalisi si appella alla mancata considerazione del fattore ideologico da parte dei cognitivisti, rimettendo in gioco la bontà di una Theory, riveduta e corretta. Slavoj Žižek, filosofo e psicoanalista sloveno, caposcuola dei nuovi teorici, nei suoi numerosi scritti fa emergere come in realtà buona parte della Theory presenti dei vizi di fondo. Egli ripercorre l’evoluzione dei primi teorici lacaniani, evidenziando come essi si siano fermati allo scritto del 1949 dello psicoanalista, Lo stadio del-lo specchio come formatore della funzione dell’io17, tralasciando l’importante svolta del Seminario XI18 del 1964-65. Due sono le accuse fondamentali: l’aver ignorato la questione dello sguardo come oggetto e non aver dato importanza alla dimensione del Reale, indagando solo nel Simbolico e nell’Immaginario19. Inoltre, è basilare la convinzione di Žižek che oggi non viviamo affatto in

15 T. Grodal, Moving Pictures. A New Theory of Film, Genres, Feelings and Cognition, Oxford University Press, New York 1997.

16 J. Crary, Le tecniche dell’osservatore. Visione e modernità nel XIX secolo, tr. it., Einaudi, Torino 2013.

17 J. Lacan, Scritti, tr. it., Einaudi, Torino 2002.18 Id., Il seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, tr. it., Einaudi,

Torino 2003.19 Per l’elaborazione del pensiero della triade lacaniana si rimanda a J. Lacan, Il seminario.

Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi 1954-1955, tr. it., Einaudi, Torino 2006.

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una società post ideologica; l’unica differenza con il passato è che nell’epoca contemporanea la funzione critica è stata sostituita dall’atteggiamento cinico, che paradossalmente è ancora più asservito all’ideologia: si è passati da «non lo sanno, ma lo stanno facendo» de Il Capitale di Marx (1867), a «sanno benissimo cosa stanno facendo, ma nonostante ciò continuano a farlo», come Žižek stesso riformula20, attingendo dal pensiero kinico di Peter Sloterdijk21. Riagganciando la topica lacaniana di Reale-Simbolico-Immaginario all’analisi del funzionamento del singolo come della società, lo psicoanalista individua nel Simbolico «la costruzione della realtà attraverso un processo di formazione psichico e poi sociale, un processo attraverso il quale la realtà si differenzia, si distanzia dal Reale»22.

Si tratta dell’ordine sociale, la catena di significanti che permette la forma-zione dell’individuo e l’instaurarsi dell’intersoggettività. Il Reale è ciò che sta dietro e su cui si articola il Simbolico; è una realtà fuori dal linguaggio, che sfugge alla rete significante e può manifestarsi tramite il Trauma, che rivela questa mancanza nel Simbolico; ma il Reale può apparire anche come fonte del godimento osceno della jouissance (desiderio di ricongiunzione con l’irrap-presentabile), objet petit a (un residuo della castrazione simbolica del soggetto all’ingresso nel Simbolico: immaginando di potersi ricongiungere all’objet petit a, il soggetto diventa desiderante e quindi individualizzato nella sua personale fantasia23), o ancora Das Ding, la Cosa informe e orripilante che sta prima del linguaggio. Infine, l’Immaginario «è lo schermo stesso su cui proiettiamo le nostre impasse simboliche e che, alla pari delle altre due istanze, struttura originariamente il soggetto»24. È dunque una modalità dell’uomo di coprire gli squarci nel simbolico e non incorrere nel Trauma. È inoltre l’ambito in cui si forma il piccolo altro nello stadio dello specchio. Arrivando al cinema, quando ci si trova nel campo del visibile, l’objet petit a è lo sguardo25. Questo segna un punto di rottura con la prima interpretazione di Lacan, un’inversione vera

20 S. Žižek, Il cinismo come forma di ideologia, in Id., L’oggetto sublime dell’ideologia, tr. it., Ponte alle Grazie, Milano 2014, pp. 52-54.

21 P. Sloterdijk, Critica della ragion cinica, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 2013.22 F. Carmagnola, Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy,

Mondadori, Milano 2006, p. 195.23 «La fantasy media tra la struttura formale simbolica e la concretezza degli oggetti che

incontriamo nella realtà, fornisce uno schema secondo il quale alcuni oggetti nella realtà possono assumere la funzione di oggetti del desiderio, riempiendo gli spazi vuoti aperti nella struttura formale simbolica», S. Žižek, The Plague of Fantasies, Verso, London 1997, p. 19, (t .d. A.).

24 S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario, tr. it., Meltemi, Roma 2004, p. 312.25 J. Lacan, Seminario XI, cit., p. 104.

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e propria dell’autore che non era stata considerata. Come sottolinea Recalcati:

Non è il soggetto che percepisce l’opera come se fosse un sem-plice oggetto della sua visione, ma è l’opera che, come avviene per l’oggetto-sguardo che secondo Lacan è situato nel campo dell’Altro, tocca il soggetto, lo implica a se stessa26.

Appare chiaro come questo slittamento faccia non solo afferire lo sguardo al campo del Reale e non più a quello dell’Immaginario (come asseriva Metz), ma anche come esso diventi un oggetto funzionale all’ideologia e quindi un suo punto debole. Per Žižek «cinema is the ultimate pervert art. It doesn’t give you what you desire - it tells you how to desire»27. Nel dispositivo cinematografico lo sguardo come objet petit a del desiderio appare in tutta la sua fragilità: l’uo-mo va al cinema per vedere. Lo sguardo come oggetto non sarebbe possibile da sostenere nella quotidianità: l’ideologia lavora costantemente nella censura dello sguardo, che potrebbe altrimenti rivelare l’inesistenza del Grande Altro (l’impossibile simbolizzazione totale del Reale, cioè le falle nell’ideologia), la sua impotenza nel supportare l’identità simbolica che ha imposto al sogget-to stesso, e dunque denunciare, come afferma Paul Eisenstein, «la stupidità del principio che ci renderebbe capaci di dare senso al mondo»28. Al cinema (come nel sogno29), regna invece l’immagine che mostra: noi non ci possiamo avvicinare se non inseguendo lo sguardo, e ci troviamo nella posizione di poter incorrere nel Trauma, cioè in un incontro con il Reale. L’abilità nello sfuggire all’ideologia non sta tanto quindi nel riconoscerla e distanziarsi da essa tramite una riflessione cosciente (che la stessa ideologia oggi prevede per funzionare), bensì nel localizzare i suoi punti di rottura. Per Todd Mc Gowan,

Quando il cinema culla il soggetto nel suo sognante, fantasmatico al di là, può inserire il soggetto nell’ideologia, ma può anche aprire la possibilità di un incontro con il Reale traumatico che disturba il

26 M. Recalcati, Il miracolo della forma. Per un’estetica psicoanalitica, Mondadori, Milano 2011, p. 55.

27 The Pervert’s Guide to Cinema (Fiennes, 2006).28 P. Eisenstein, Traumatic Encounters: Holocaust Representation and the Hegelian Subject,

State of New York University Press, New York 2003, p. 71.29 «La nostra posizione nel sogno, in fin dei conti, è quella di essere fondamentalmente colui

che non vede. Il soggetto non vede dove ciò conduce, segue, talvolta può persino staccarsi, dirsi che è un sogno ma, in nessun caso, potrebbe cogliersi nel sogno nel modo in cui, nel cogito cartesiano, egli si coglie come pensiero», J. Lacan, Seminario XI, cit., p. 75.

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potere dell’ideologia […]. Una buona teoria psicoanalitica del film, richiede l’immersione completa nella fascinazione cinematografica e il focalizzare dei punti di rottura dove emerge lo sguardo. Questi sono i punti dove il film disturba lo spettatore, ma allo stesso tempo sono quelli dove egli prova jouissance30.

Bordwell e i suoi seguaci negano l’esistenza dello sguardo come oggetto, che però, si è visto, segna profondamente il desiderio stesso di andare al cinema, poiché, come afferma Joan Copjec, «al di là di tutto quello che si presenta al soggetto, egli continua a chiedersi “che cos’è che mi viene nascosto?”»31. Le emozioni, per i lacaniani contemporanei, non sono negate, anzi in esse risiede la possibilità del cinema di funzionare: sono in fondo sentimenti scatenati dal film che collegano il soggetto con la sua fantasy e dunque con l’objet petit a che è lo sguardo. Žižek utilizza una dialettica fatta di continui esempi e rimandi al cinema proprio per scoprire, grazie alle proprietà tecniche e narrative del film, come si possano trovare i punti scoperti nell’ideologia che domina il quotidia-no. Lo schermo ha la proprietà di far vedere il mondo e il suo funzionamento come non lo si può vedere mai, attirando lo spettatore dentro uno scenario fantasmatico in cui si situa la promessa della soddisfazione del desiderio. Mi sembra particolarmente esplicativa la sua critica al saggio di Richard Maltby su Casablanca32 (Curtiz, 1942), apparso proprio in Bordwell e Carroll. Maltby evidenzia come, grazie all’ellissi nella sequenza in cui Ilsa si reca nella stanza di Rick, che ama ancora, a cercare le lettere di transito per lei e suo marito, lo spettatore è portato a elaborare due supposizioni che si escludono a vicenda: i due hanno fatto l’amore o non lo hanno fatto. Per l’autore questa sottigliezza formale è dovuta alla volontà degli autori del film a soddisfare sia lo spettatore più malizioso e sofisticato (che vuole andare al di là dei sani principi esibiti nella pellicola), sia quello più semplice, che è soddisfatto dal rispetto della moralità comune. Per Žižek, in realtà, le due interpretazioni stanno in un unico spettatore, perché in quei secondi

Per il Grande Altro, cioè l’ordine dell’apparenza pubblica, i due

30 T. Mc Gowan, The Real Gaze. Film Theory after Lacan, State of New York University Press, Albany 1997, p. 15.

31 J. Copjec, The orthopsychic subject: Film theory and the reception of Lacan, in “Octo-ber”, n. 49 (1989), http://www.jstor.org/discover/10.2307/778733?uid=3738296&uid=2&uid=4&sid=21104053622687

32 R. Maltby, A Brief Romantic Interlude: Dick and Jane Go to 3 1/2 Seconds of the Clas-sical Hollywood Cinema, in Post-Theory. Reconstructing Film Studies, a cura di D. Bordwell, N. Carroll, cit, pp. 434-459.

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non l’hanno fatto, ma lo hanno fatto per la nostra immaginazione fantasmatica indecente; questa è la struttura della trasgressione innata allo stato puro: Hollywood ha bisogno di ambedue i livelli per fun-zionare […]. Al livello della Legge simbolica pubblica non avviene nulla, il testo è pulito, mentre a un altro livello bombarda il lettore con l’ingiunzione “Godi! Abbandonati alla tua immaginazione oscena!”33.

In questo passaggio appare chiaro come, grazie alla negazione dell’objet petit a, nello spettatore nasca la consapevolezza dell’ideologia nella sua fan-tasia: sa cosa sta facendo, eppure lo fa ugualmente. Il film, la prassi cinemato-grafica, gli ha insegnato come desiderare che si realizzi il suo desiderio, la sua jouissance. Credo che questo fattore sia ricollegabile alle teorie di Bordwell: l’abitudine a un certo tipo di narrazione nel film cui l’uomo ha imparato a rispondere cognitivamente, il fatto che l’estetica si sia modellata via via su quelle risposte, hanno creato un immaginario e un desiderio di cinema che non possono essere analizzati senza considerare anche la struttura ideologica sottesa. Sostenere che il cinema sia strutturato per determinare reazioni emotive tramite l’identificazione nel personaggio e l’engagement34, mi sembra rivelare quanto esso sia non solo ideologico, ma che risponda comunque a un bisogno dell’uomo che va al di là della necessità di emozionarsi. L’epoca del Postmo-derno35 ha creato una miriade di prodotti cinematografici che recuperano pezzi di Storia americana, con un citazionismo che invita lo spettatore a guardare alla propria storia nazionale con uno sguardo ironico, distaccato, dall’alto: insistere sull’ipotetica libertà ideologica dello spettatore contemporaneo, non è forse il desiderio sul quale la stessa ideologia lavora incessantemente? Una delle accuse lanciate contro la Grand Theory è che si sia voluto creare uno spettatore ideale inesistente, ignorando le prove empiriche e le reali condizioni del pubblico; eppure affermare che sia giunto il momento per una serie di altre varie teorie36, ognuna applicata a un genere di film a seconda della cultura e

33 S. Žižek, Lacrimae Rerum. Saggi sul cinema e il cyberspazio, tr. it., Scheiwiller, Milano 2011, p. 190.

34 Una sorta di impegno dello spettatore di immaginare le vicende mostrate anche senza il punto di vista interno al film, Cfr. M. Smith, Engaging characters. Fiction, emotion, and the cinema, Oxford University Press, New York 1995.

35 Per il cinema del Postmoderno si rimanda, tra gli altri, a L. Jullier, Il cinema postmoderno, tr. it., Kaplan, Torino 2006; per un inquadramento dell’epoca, F. Jameson, Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, tr. it., Fazi, Roma 2007 e P. Carravetta, Del Postmoderno. Critica e cultura in America all’alba del Duemila, Bompiani, Milano 2009.

36 Post-Theory. Reconstructing Film Studies, a cura di D. Bordwell, N. Carroll, cit., pp. xiii-xvii.

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della politica locale, sembra voler tendere all’estremo opposto. Baudry aveva operato in uno spirito che avrebbe potuto forse accomunare

la scuola lacaniana con quella cognitivista o post-teorica, precisamente nella ricerca di basi scientifiche sul funzionamento della mente rispetto al cinema. Lo studioso francese aveva infatti trovato negli studi di Lacan sui meccanismi psicologici la spiegazione del condizionamento ideologico dello spettatore operato dalla tecnologia stessa del cinema. La scuola di Bordwell cerca nella scienza cognitiva i meccanismi che presiedono alla capacità conoscitiva ed emotiva dello spettatore di fronte alla narrazione del film. I nuovi lacaniani ricorrono alle prassi psicoanalitiche per indagare il complesso rapporto tra spettatore, dispositivo cinematografico e mondo reale. Oggi ci troviamo di fronte a una spaccatura tra le scuole, che sembrano aver smarrito l’intenzione di Baudry, di rendere cioè conto di come il cinema possa rispecchiare, influen-zare ma anche svelare criticamente il comportamento mentale di un singolo e quello della società.

Essendo il cinema luogo di condensazione, analisi e anticipazione del pano-rama visuale e culturale della società, ma anche momento di intima riflessione ed esperienza emotiva, ignorare la questione del dispositivo come strumento comunicativo ideologico (nel bene o nel male), così come tralasciarne le po-tenzialità conoscitive/cognitive, significa depotenziarne l’effettiva valenza.

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