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FACOLTÀ DI LETTERE, FILOSOFIA, SCIENZE UMANISTICHE E STUDI ORIENTALI. CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE STORICHE, MEDIOEVO, ETÀ MODERNA, ETÀ CONTEMPORANEA. Il caso Moro negli atti del Ministero per la sicurezza di Stato della Repubblica Democratica Tedesca. Relatore: Laureando: Prof. Emmanuel Betta. Marco Bruni. Correlatore: Prof. Raffaele Romanelli. ANNO ACCADEMICO 2014/2015. 1

Il caso Moro negli atti del Ministero per la sicurezza di Stato della Repubblica democratica tedesca

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FACOLTÀ DI LETTERE, FILOSOFIA, SCIENZE UMANISTICHE E STUDI

ORIENTALI.

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE STORICHE,

MEDIOEVO, ETÀ MODERNA, ETÀ CONTEMPORANEA.

Il caso Moro negli atti del Ministero per la sicurezza di Stato della Repubblica

Democratica Tedesca.

Relatore: Laureando:

Prof. Emmanuel Betta. Marco Bruni.

Correlatore:

Prof. Raffaele Romanelli.

ANNO ACCADEMICO 2014/2015.

1

Indice generale

.....................................................................................................................................................3Introduzione................................................................................................................................4Capitolo 1. Il ruolo dei servizi segreti nel contesto della guerra fredda.....................................9

1.1. Il concetto di Intelligence e suo ruolo strategico. (1945-età contemporanea).................91.2. La C. I. A.......................................................................................................................161.3. I servizi segreti italiani..................................................................................................201.4. GRU e KGB. ................................................................................................................251.5. La Stasi..........................................................................................................................291.6. Conclusioni....................................................................................................................34

Capitolo 2. Terrorismo rosso in Italia e Germania. Origini, fatti, azione di contrasto..............382.1. Terrorismo.....................................................................................................................382.2. In Germania: la Rote Armee Fraktion...........................................................................45

2.2.1. Il legame delle prime formazioni armate tedesche col '68....................................452.2.2. La Rote Armee Fraktion........................................................................................482.2.3. La risposta dello Stato...........................................................................................58

2.3. In Italia: le Brigate rosse...............................................................................................602.3.1. Il '68 italiano. Movimento operaio, rivolta studentesca e culture a confronto......602.3.2. Le Brigate rosse.....................................................................................................662.3.3. La risposta dello Stato...........................................................................................75

2.4. Conclusioni....................................................................................................................78Capitolo 3. La Raf e la Stasi.....................................................................................................81

3.1. La discussione storiografica..........................................................................................813.2. DDR, Stasi e terrorismo................................................................................................883.3. I primi contatti. (1962-1970).........................................................................................943.4. Il periodo 1970-78 e la vicenda degli Aussteiger........................................................1003.5. I procedimenti operativi Stern I e Stern II...................................................................1053.6. La Stasi e la terza generazione della Raf.....................................................................1103.7. Un bilancio..................................................................................................................112

Capitolo 4. Brigate rosse e Stasi..............................................................................................1174.1. Storia dell'ente: Il BStU. .............................................................................................117

4.1.1. I canali informativi del MfS nella “lavorazione” delle Br...................................1224.2. La dietrologia sulle Br. La “pista Hyperion.”..............................................................125

4.2.1. La pista del blocco comunista..............................................................................1304.2.2. Il MfS, l'Italia e il terrorismo nella pubblicistica.................................................134

4.3. Le Brigate rosse negli atti del MfS..............................................................................1374.4. Integrazioni/1. Interesse prolungato e utilizzo di agente IM.......................................141

4.4.1. Integrazioni/2. Le Brigate rosse agli occhi della Stasi........................................1434.5. Conclusioni..................................................................................................................148

5. Capitolo 5. Il caso Moro negli atti del ministero per la sicurezza di stato della Repubblica democratica tedesca................................................................................................................151

5.1. Premessa......................................................................................................................151

2

5.2. Il sequestro Moro. Gli eventi e il dibattito pubblico...................................................1535.3. Il sequestro Moro. La letteratura.................................................................................158

5.3.1. La Commissione stragi........................................................................................1615.4. Il caso Moro negli atti del BStU. Il sequestro e l’esecuzione.....................................163

5.4.1. Il caso Moro negli atti del BStU/2. Misure di controllo ed osservazione nel contesto del sequestro Moro..........................................................................................1665.4.2 Le fonti dell'MfS nell'analisi del caso Moro: il ruolo della stampa nella formulazione delle ipotesi sulle Brigate Rosse..............................................................174

5.5. Conclusioni..................................................................................................................183Riflessioni conclusive.............................................................................................................185Bibliografia.............................................................................................................................193

3

Introduzione.

L'obiettivo di questo lavoro è quello di presentare le vicende relative al sequestro e omicidio

del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro da un punto di vista finora quasi

completamente ignorato, andando ad indagare nella fattispecie le conclusioni a cui il servizio

segreto della Repubblica democratica tedesca, il Ministerium für Staatssicherheit (MfS), più

comunemente noto col nome di Stasi, pervenne in merito alla vicenda, ai suoi prodromi ed

esiti politici, ai suoi esecutori materiali, ai suoi supposti mandanti. A questo scopo, ci si è

avvalsi dell'uso di fonti documentarie provenienti in primis dagli archivi del

Bundesbeauftragter für die Stasi-Unterlagen (BStU), l'istituzione federale che dal 1990 si

occupa di gestire e rendere fruibile il lascito documentale degli archivi del decaduto servizio

segreto tedesco-orientale, con sede a Berlino.

La ricerca storica dell'ente è tuttavia ostacolata nel proprio lavoro di analisi da alcuni gravi

problemi che affliggono la documentazione da esso conservata.

Innanzitutto, il materiale archivistico su cui il presente lavoro si fonda presenta delle gravi

lacune, dovute alla distruzione quasi totale della documentazione relativa alla sezione HV A

dell'MfS, quella deputata allo spionaggio estero, avvenuta tra la fine del 1989 e l'estate del

1990. In questo lasso di tempo, oltre il novanta percento degli atti della divisione guidata da

Markus Wolf è stato bruciato o tritato di nascosto. Questo ha fatto si che le fonti su cui oggi si

tenta di ricostruire le modalità dello spionaggio estero della Stasi siano estremamente

incomplete. La documentazione superstite proviene solo in rari casi dagli uffici dell'HV A, il

cui operato è stato in parte possibile ricostruire solo in virtù dello stretto grado di

collaborazione di tutte le altre unità operative coinvolte a più livelli nelle operazioni di

Aufklärung.

Due sono inoltre i casi fortunati nei quali è stato possibile attingere ad informazioni

provenienti direttamente da questa unità operativa. Il primo è quello rappresentato dal

cosiddetto Dossier Rosenholz, una copia in microfilm di uno schedario relativo alle spie

dell'HV A attive in Germania federale, giunto in non pienamente chiarite circostanze in mano

alla CIA tra il 1989 e il 1990 e restituito al Governo tedesco solo nel 2003.

Il secondo caso è rappresentato dalla fortunata coincidenza che ha permesso il ritrovamento di

una copia digitale dell'archivio elettronico SIRA, contenente dati generici su spie ed

operazioni condotte dall'HV A. Questa copia, prodotta nel 1987, è fortunosamente sfuggita

alla distruzione degli atti e la sua documentazione è stata stampata e resa pubblica dal BStU

4

nel 1998.

Alla luce di quanto detto risulta evidente come la ricerca da me operata non possa avere

pretese di esaustività. La documentazione presa in esame, seppur cospicua, si presenta in

numerosi casi estremamente frammentaria, fattore che rappresenta il limite più grande per chi

voglia in futuro cimentarsi nello studio degli atti relativi alle attività di spionaggio estero

dell'MfS.

La suddetta documentazione è redatta per la quasi totalità in lingua tedesca, e le traduzioni nel

corso di questo lavoro sono tutte a cura dell'autore.

Configurandosi come un lavoro incentrato sull'interazione tra servizi segreti e terrorismo, la

presente tesi si propone anche di apportare un contributo propriamente storico alla vasta

letteratura esistente sul caso Moro; letteratura che ha visto prevalere opere di carattere

giornalistico e pubblicistico, nelle quali si è non di rado chiamato in causa il discorso

dell'interferenza di servizi d'intelligence, tanto occidentali quanto orientali, nella gestione del

sequestro e nella tragica conclusione della vicenda. Una letteratura, infine, di cui si terrà

ampiamente conto nel corso del presente lavoro, e che verrà puntualmente citata e, ove lo si

riterrà necessario, opportunamente integrata o apertamente criticata.

Nel primo capitolo si presenterà un quadro sintetico del sistema di alleanze caratteristico del

periodo in cui gli eventi descritti in questa tesi si collocano, la guerra fredda, spostando il

punto di vista dalla parte dei servizi segreti dei due blocchi. Dopo una breve introduzione

incentrata sul tema del concetto di intelligence e i suoi usi nel periodo qui trattato, si passerà a

descrivere brevemente alcune delle operazioni condotte dai due servizi segreti centrali e

contrapposti, la CIA e il KGB, andandone a evidenziare i tratti salienti; si procederà poi ad un

analogo confronto tra i servizi di due Paesi alleati delle superpotenze, andando a tracciare

brevemente la storia dei servizi segreti italiani e le azioni che maggiormente incarnarono lo

Zeitgeist del periodo nella prospettiva del blocco occidentale, quelle cioè condotte nella logica

dell'anticomunismo, in linea con le direttive dell'Alleanza Atlantica. Si passerà poi in ultima

battuta a chiarire sinteticamente la posizione occupata nello scacchiere geopolitico europeo

dalla Ddr, per concentrare l'attenzione sul servizio segreto che della difesa di tale posizione

venne incaricato: la Stasi. Lo scopo è quello di rendere chiaro un punto fondamentale, ovvero

che la guerra fredda fu una guerra di servizi.

5

Nel secondo capitolo ci si occuperà da un lato di introdurre il concetto di terrorismo,

fornendone una breve storia e riportandone quella definizione che sia quanto più possibile

condivisa a livello internazionale; dall'altro si metteranno in relazione il fenomeno, nella sua

tipologia di ispirazione comunista e rivoluzionaria, e le interazioni di questo con i due

apparati d'intelligence dei Paesi europei che maggiormente furono investiti dal dipanarsi della

violenza politicamente motivata di matrice marxista nel corso degli anni '70: l'Italia e la

Germania (l'altra grande categoria di terrorismo politico europeo, quella di stampo

nazionalista propria di gruppi come l'IRA o l'ETA esula invece dagli obiettivi di questo lavoro,

e sarà pertanto solamente menzionata).

Nel fare questo, si offrirà innanzitutto un quadro generale sulla storia degli studi circa le

motivazioni e le radici del terrorismo rosso nei due contesti nazionali; si passerà poi a

descrivere quanto più sinteticamente possibile gli eventi di cui le due maggiori formazioni di

lotta armata per il comunismo sorte nei due Paesi, le Brigate rosse e la Rote Armee Fraktion,

si resero protagoniste; infine, pur tenendo conto delle diverse tempistiche con cui gli apparati

repressivi delle due giovani democrazie intervennero nel tentativo di arginare il fenomeno, si

evidenzieranno i numerosi tratti comuni riscontrabili nelle modalità operative di contrasto

attuate nei differenti contesti trattati. Così facendo, diverrà più agevole introdurre un discorso

che operi un parziale cambio degli attori in campo, che avrà luogo nella seconda parte del

presente lavoro: qui si analizzeranno, di nuovo, le interazioni tra questa forma particolare di

terrorismo politico e apparati d'intelligence, spostando stavolta la prospettiva dalla parte del

servizio segreto della Repubblica democratica tedesca.

Coerentemente con quanto appena enunciato, il terzo capitolo si occuperà di tracciare una

storia dei rapporti tra il suddetto servizio segreto e la Rote Armee Fraktion. I documenti resi

pubblici con l'apertura del BStU hanno permesso di trovare la conferma ai sospetti

dell'opinione pubblica e del mondo politico federale circa la copertura fornita dalla Stasi al

terrorismo di sinistra tedesco occidentale. Se, da un lato, ad emergere saranno quegli aspetti,

tipici dell'operare dei servizi segreti, secondo i quali la Stasi si impegnò fin dalle prime

manifestazioni del fenomeno terroristico in operazioni approfondite di ricerca informativa,

allo scopo di scoprire quanto più possibile circa le intenzioni e i membri di una formazione

che, seppur ideologicamente vicina al campo socialista, poteva rappresentare un rischio per la

sicurezza interna della Ddr in virtù dell'imprevedibilità delle azioni compiute da gruppi

6

terroristici con connotazioni internazionalistiche, dall'altro si metterà in evidenza l'uso

strumentale che il servizio segreto orientale tentò di fare della Raf, arrivando a fornire ad

alcuni dei suoi membri supporto logistico e addestramento militare nella speranza di rendere

compiacenti i soggetti ospitati nel proprio territorio, così da poterli poi utilizzare contro

obiettivi condivisi e in modo da immunizzare i propri confini. Diverrà evidente, nel corso di

questo capitolo, come il comportamento della Stasi nei confronti della Raf rispecchiasse

l'atteggiamento comunemente tenuto dalla Ddr nei confronti del fenomeno terroristico nel suo

complesso, nel quale lo stato tedesco orientale scorse le possibilità derivanti dall'alimentare

un fattore di instabilità in territorio nemico.

Il quarto capitolo sarà dedicato ai rapporti tra la Stasi e le Brigate rosse, un tema lasciato

finora quasi completamente da parte dalla ricerca storiografica e che ha assistito alla comparsa

di un numero estremamente ridotto di opere dedicate al tema, di stampo prettamente

giornalistico e divulgativo. Nel corso di questa sezione verrà dato ampiamente conto di come

l'interesse del Ministero per la sicurezza di stato della Ddr nei confronti della maggiore e più

influente formazione terroristica italiana sia da ricondursi all'attenzione suscitata a livello

internazionale dalla più clamorosa azione da essa condotta, in un momento particolare di

quell'esperienza in cui la dialettica del gruppo andava assumendo connotati sempre più

spiccatamente internazionalistici, ovvero il sequestro Moro. Sulla base delle fonti d'archivio

disponibili e con l'aiuto della succitata letteratura, che di quel corpus documentario ha saputo

fare un uso più o meno valido a seconda dei casi, si andrà a delineare la storia di

quell'interesse nel periodo 1978-1989, descrivendo eventuali contatti tra i due attori nonché

delineando quanto più minuziosamente possibile, in considerazione delle consistenti lacune

presenti nella documentazione, i canali informativi utilizzati dalla Stasi nello sforzo di

comprensione di e prevenzione dal pericolo per lo Stato (pericolo in verità più potenziale che

reale) derivante dall'azione brigatista.

Questo capitolo introduce dunque la vera e propria sezione di ricerca sull'argomento,

proponendosi da un lato di integrare e correggere quanto già detto da altri circa la storia dei

rapporti tra Brigate rosse e Stasi, dall'altro di introdurre poi la sezione conclusiva del presente

lavoro, quella relativa al caso Moro visto dal punto di vista dei sistemi d'intelligence della

Germania comunista.

Il quinto capitolo si configura principalmente come una ricerca inerente la percezione del

7

fenomeno brigatista da parte della Stasi. Si descriveranno le idee circolanti negli ambienti

dell'MfS riguardo al fenomeno brigatista, preoccupandosi di andare ad indagare

approfonditamente i canali informativi attraverso i quali a tali idee e convinzioni si pervenne.

Come si avrà modo di vedere, il sequestro Moro valse da fattore scatenante dell'attenzione del

MfS nei confronti delle Brigate rosse. Questo non significa che lo spionaggio tedesco

orientale si fosse fino a quel momento disinteressato della situazione politica e sociale

italiana, come dimostra d'altronde la copiosa documentazione d'archivio relativa al nostro

Paese conservata dal BStU. Ma il fatto che, fino al 16 marzo 1978, la Stasi non avesse

provveduto a raccogliere informazioni sui brigatisti può essere agevolmente spiegato dalla

circostanza per cui i primi anni di attività del gruppo furono dedicati al conseguimento di

obiettivi di dimensione squisitamente nazionale, configurandosi così come sostanzialmente

innocui nei confronti di paesi stranieri, Ddr compresa. A questa considerazione si aggiunge

poi un altro fattore determinante, quello cioè per cui la Stasi non dispose, fino al 1975, di

un'apposita unità operativa dedita al contrasto del terrorismo, e che alla decisione di istituirne

una, l'Abteilung XXII, si pervenne solo in seguito ai timori suscitati dall'azione di Settembre

Nero alle Olimpiadi di Monaco che anche la Ddr potesse rimanere vittima di atti simili.

8

Capitolo 1. Il ruolo dei servizi segreti nel contesto della guerra fredda.

1.1. Il concetto di Intelligence e suo ruolo strategico. (1945-età contemporanea).

Nel capitolo introduttivo di questo lavoro andremo a confrontarci con il ruolo svolto dai

servizi segreti nel contesto della guerra fredda, concentrandoci in particolare su quelle azioni

che possono essere ricondotte alla categoria di “attività d'intelligence” e andando a descrivere

alcune delle operazioni condotte dai servizi dei due blocchi che siano indicative delle

rispettive modalità operative. La definizione di intelligence fornita dal generale Mario Mori,

dal 2001 al 2006 direttore del servizio segreto italiano SISDE, riportata nell'enciclopedia

Treccani recita: “l'intelligence è l'insieme delle attività informative volte ad acquisire le

conoscenze necessarie a sostenere ogni processo decisionale di natura complessa.”1

Quanto agli ambiti privilegiati di queste attività, “le prime applicazioni di quella funzione che

poi si definirà intelligence si rintracciano storicamente nel campo militare.”

Sul ruolo dell'attività d'intelligence nella sua fase attuale essa viene “praticata anche da

soggetti e organizzazioni private, ma quella degli Stati resta la più significativa. Si riferisce,

infatti, direttamente alla sicurezza nazionale che, globalmente intesa, riguarda trasversalmente

ogni settore della vita pubblica. Essa, infatti, tende ad assicurare il regolare ed efficace

funzionamento del 'sistema Stato', sia all'interno, rispetto ai consociati, sia all'esterno, nei

confronti di partner e competitori.”

In questa definizione, l'aspetto sicuramente predominante è costituito dalla segretezza: “La

necessità di un'azione a carattere preventivo in ambiti di minacce inedite, emergenti o

embrionali, e quella di avvalersi di strumenti e metodologie informali hanno indotto le

strutture di intelligence ad assumere canoni di segretezza e clandestinità oggetto sovente di

valutazioni negative. L'attività segreta dei servizi, peraltro, attiene alla sensibilità delle

informazioni trattate, ai meccanismi di ricerca di conoscenze 'non altrimenti acquisibili' e alla

necessaria tutela del rapporto con le fonti delle notizie. Si perfezionano in tal modo circuiti

che sono orientati a perseguire una prevenzione strategica tesa spesso a conseguire il 'non

evento' (impedire che accadano fatti dannosi per il paese), vincolata solo agli oneri di

dipendenza/comunicazione verso l'autorità politica, che ne traccia gli orizzonti generali. Il

meccanismo costituisce il valore aggiunto dell'intelligence di sicurezza, in termini di

competenze, più elastiche e aderenti all'emergenza della minaccia, e di modello operativo,

1 Mario Mori, Il libro dell'anno 2005, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/ (visto il 2.12.2015).

9

flessibile, autonomo e aperto a ogni utile tecnica di ricerca.”2

A rappresentare un secondo aspetto cruciale, particolarmente importante ai fini di questa

ricerca, è l'affermazione per cui l'intelligence “è lo specchio del paese (e dell'ordinamento,

N.d.A.) per cui opera.” Volendo interpretare: le differenze ravvisabili tra i servizi di

intelligence dei paesi ad ordinamento democratico e quelli ad ordinamento dittatoriale sono

profondissime, e sono legate in primo luogo alla percezione ed interpretazione dei concetti di

“sicurezza di Stato” e “minaccia”.

Tra le attività d'intelligence rientrano:

a) azione diretta: si tratta di attacchi militari di breve durata ed altre azioni offensive in piccola

scala, condotte nella forma di operazione speciale in ambienti ostili o politicamente sensibili,

allo scopo di raggiungere obiettivi precisi. Sono considerate operazioni caratterizzate da un

rischio politico e umano ridotto3, e dall'utilizzo di forze speciali appositamente addestrate. In

questa categoria rientra, ad esempio, l'operazione condotta il 2 maggio 2011 dal corpo

americano dei Navy Seals, che ha portato all'uccisione di Osama bin Laden.4

b) operazioni false flag: tattiche segrete pensate per apparire come effettuate da altri enti o

organizzazioni. Un esempio di questo tipo lo si ritrova nell'episodio della strage di marca

fascista di piazza Fontana, dove in un primo momento la colpa venne fatta ricadere sugli

ambienti anarchici.

c) operazioni clandestine o covert operations: operazioni segrete volte a cambiare le

condizioni politiche di uno Stato estero.5

d) attività di controspionaggio: operazioni volte a contrastare sia lo spionaggio da parte di

fazioni ostili all'interno dello Stato che lo spionaggio da parte di altri Stati.6

e) guerra elettronica: portare a termine operazioni che impediscano o limitino fortemente, per

mezzo di interferenze e disturbi, l'utilizzo dello spettro magnetico da parte del nemico,

inibendone così la capacità di utilizzo delle onde elettromagnetiche nei contesti di

comunicazione e monitoraggio.7

Prima di proseguire con la nostra analisi dell'importanza dell'intelligence nel contesto della

guerra fredda, è bene premettere che in questo capitolo ci si limiterà a riportare solo

2 Ibd. 3 Versione online della Joint publication 1-02 of the Department of Defense Dictionary of Military and

Associated Terms, Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, 12.7.2007. (visto il 2.12.2015).4 Aldo Giannuli, Come funzionano i servizi segreti, Adriano Salani Editore, Zingonia (BG) 2009, p. 175.5 Ibd., p. 1786 Ibd., p. 178.7 Ibd., p. 179.

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brevemente la storia e alcune delle vicende legate ad operazioni d'intelligence relative in

primis ai due servizi segreti protagonisti del periodo, concentrando le nostre attenzioni sulla

CIA e sul KGB, tra le cui funzioni rientravano e rientrano, quando non ne costituirono (e

costituiscono tutt'ora, nel caso della CIA) il compito unico, le attività rivolte all'estero. Il

capitolo andrà poi a chiudersi con un'analisi più approfondita delle modalità operative proprie

del servizio segreto tedesco-orientale, quel Ministerium für Staatssicherheit (MfS) i cui

archivi sono stati aperti al pubblico dopo la dissoluzione della Ddr, seppur con numerose

restrizioni e condizionamenti, e di cui si tratterà ampiamente nel par. 4.2., e dei servizi segreti

italiani, così da andare a delineare un quadro composto dai “servizi guida” e da due alleati

rispettivamente di Urss e Usa.

Nel contesto del Patto di Varsavia così come all'interno della Nato, i due servizi segreti

sovietico e statunitense svolgevano un ruolo guida nei confronti dei servizi dei paesi alleati.

Se l'Unione Sovietica si occupò di istituire, praticamente in tutti i Paesi del Patto, servizi che

ricalcavano molto fedelmente le strutture e la divisione di incarichi proprie dei direttorati di

cui il servizio sovietico era costituito, gli Stati Uniti utilizzarono almeno in parte le strutture

preesistenti nei paesi membri dell'Alleanza Atlantica (NATO), e procedettero solo in alcuni

casi alla costituzione di servizi ex-novo, come per il servizio segreto della Corea del Nord,

che prese il nome di Nord Korean-CIA, del Bundesnachrichtendienst della Repubblica

federale e del servizio segreto militare italiano Sifar.8

Il concetto alla base dell'intelligence americana e di quella dei suoi alleati era quello della

“difesa collettiva.” L'articolo 5 del trattato istitutivo della NATO recita:

“Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America

settentrionale deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza

concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di

autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni

Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in

concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l'uso della forza

armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell'area Nord Atlantica.”

Certa come fatto storico-materiale, è l'esistenza di "protocolli segreti" annessi al Patto

Atlantico, che verosimilmente impongono una specie di “servitù” agli apparati di sicurezza

dei paesi "satelliti" degli Stati Uniti.9

8 Aldo Giannuli, op. cit., p.149.9 Giovanni de Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all'intelligence del XXI secolo, Sperling & Kupfer,

11

Su di un principio analogo si basavano gli accordi di mutua protezione che ispiravano il Patto

di Varsavia. L'articolo 3 recita: “Le Parti Contraenti si consulteranno fra di loro su tutte le

importanti questioni internazionali che tocchino interessi comuni, avendo in vista il

consolidamento della pace e della sicurezza internazionali. Si consulteranno d’urgenza per

assicurare una difesa collettiva e per mantenere la pace e la sicurezza, ogni volta che, su

parere di una di esse, si presenterà una minaccia di aggressione armata contro uno o più degli

Stati parti al trattato.”

L'articolo 4 invece “nel caso in cui uno o più degli Stati parte al trattato fossero oggetto, in

Europa, di attacco armato da parte di un qualsiasi Stato o di un gruppo di Stati, ogni Stato

parte al trattato, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva,

riconosciuto dall’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, accorderà, individualmente e

d’accordo con gli altri Stati parti al trattato un’assistenza immediata allo Stato o agli Stati

vittime dell’aggressione, con tutti i mezzi che riterrà opportuni, compreso l’impiego della

forza armata.”

Va da sé come un compito difensivo così rilevante non potesse prescindere da una costante e

tempestiva circolazione delle informazioni all'interno dei servizi segreti degli stati membri

delle due macroalleanze, allo scopo di prevenire le mosse avversarie ed organizzare una difesa

preventiva.

La CIA e il KGB funsero in sostanza da organi d'intelligence centrale, verso i quali

confluivano tutte le informazioni raccolte ed analizzate dai servizi alleati, e alla CIA e al KGB

spettava il compito ultimo di organizzare e guidare l'eventuale difesa.

Il passaggio, con la fine della II Guerra mondiale, da una guerra aperta ad una caratterizzata

dall'assenza di scontri militari diretti tra i due maggiori contendenti segna un punto di svolta

nello sviluppo ed affinamento delle tecniche di spionaggio, conferendo al servizio segreto un

ruolo di rilevanza pressoché assoluta. Se, sul piano dell'opinione pubblica e delle

dichiarazioni politiche, lo scontro tra i due blocchi si sviluppa in un'ottica di demonizzazione

del nemico, sul piano militare si combatte una guerra atipica, caratterizzata dal vasto impiego

di tecniche non convenzionali, nelle quali proprio la segretezza rappresenta il prerequisito

fondamentale per il conseguimento dell'obiettivo preposto.

I due blocchi, evitando apertamente lo scontro frontale, avvertono l'esigenza di prevenirsi

dalle mosse della controparte. In un simile quadro geopolitico, la ricerca informativa si

Milano 1998, p. 45.

12

rivelava lo strumento necessario per comprendere non solo i disegni del diretto antagonista,

ma anche le criticità locali che potevano incidere sui rispettivi assetti di potere nello scenario

internazionale. L'intelligence si occupava anche di propaganda e contropropaganda, in un

quadro più ampio di manipolazione delle informazioni che ciascun contendente perseguiva

per sostenere la propria penetrazione ideologica in campo avversario. In sintesi si trattava di

un confronto che richiedeva uno sforzo d'intelligence pressoché totalizzante.10

La differenze principali tra i servizi segreti del blocco occidentale e quelli di matrice sovietica

consistevano innanzitutto nella concentrazione di poteri ed incarichi, che nei primi erano (e

sono tutt'ora) ripartiti tra più enti, mentre nei secondi erano attribuiti ad un solo organismo: il

KGB riuniva tra le sue prerogative la direzione dello spionaggio estero, la vigilanza sulla

sicurezza nazionale e su quella tra le Repubbliche socialiste sovietiche e i paesi membri del

Patto di Varsavia,11 compiti che nell'articolato sistema dei servizi statunitensi vengono divisi

rispettivamente tra CIA, NSA ed FBI.

La seconda differenza di rilievo consisteva nella presenza, all'interno di tutti i servizi segreti

del blocco comunista, di un corpo di polizia segreta deputato alla repressione del nemico-

dissenso interno. La sua azione si espletava in forma riservata, solitamente per ragioni

strettamente connesse con l'aspetto politico-ideologico del reato e con regole e mezzi simili a

quelli dei servizi segreti stessi. Le polizie segrete del blocco comunista erano spesso esentate

dall'obbligo di rispettare sia l'ordinamento giuridico vigente che i diritti civili dei soggetti

indagati. L'aspetto della repressione interna deve purtroppo essere lasciato da parte in questo

lavoro, essendo interessati in questo frangente a concentrarci su quella attività portate avanti

dai servizi dei due blocchi al di fuori dei propri confini, in un'ottica di prevenzione,

intimidazione, erosione del consenso e, il fattore più importante, destabilizzazione del nemico.

Operazioni sotto copertura vennero effettuate per destabilizzare Stati e causarne lo

spostamento sullo scacchiere politico mondiale, determinare l'esito di elezioni, ottenere

informazioni militari, tecnologiche, strategiche ed economiche riservate. I due blocchi

procedettero alla sistematica e reciproca infiltrazione delle strutture nemiche, siano state esse

governi, organi di stampa, movimenti sociali e di protesta.

Un altro aspetto di fondamentale importanza, in verità proprio quello che più ci interessa nel

contesto di questo lavoro, fu rappresentato dal manifestarsi, intorno all'inizio degli anni '70,

10 Mario Mori, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/.11 Per una storia dettagliata del KGB e delle sue principali operazioni di intelligence estera cfr. Cristopher

Andrew, Oleg Gordievsky, La storia segreta del KGB, Rizzoli, Milano 2005.

13

della violenza politicamente motivata perpetrata da gruppi terroristici con inclinazioni

prettamente antisistema. Nel caso specifico europeo, i servizi di intelligence furono in grado

di ricavare una grande mole di informazioni sul mondo dell'eversione politica, per mezzo di

pratiche di infiltrazione mirate e, cosa ancor più rilevante, si proposero di sfruttare il

fenomeno del terrorismo politico per fini strettamente collegati al confronto tra i due blocchi,

un discorso questo che assume valenza indistintamente dalla parte interessata.

Se è vero, come avremo modo di vedere, che il terrorismo di matrice politica rappresentava un

rischio per la stabilità interna di uno Stato, allora esso si prestava in maniera particolarmente

indicata ai fini del conseguimento quantomeno di una parte degli obiettivi strategici dei due

blocchi contrapposti. I gruppi terroristici potevano essere, ed effettivamente vennero in alcuni

casi, strumentalizzati o, qualora la strada dell'influenza diretta sulle loro azioni si fosse

rivelata impraticabile, si adottarono strategie volte a garantirsene, se non una collaborazione

diretta, quantomeno una tacita benevolenza.

Nell'ottica della guerra fredda, ogni mossa di natura militare, politica o tattica che

danneggiasse il nemico era accettata dai governi dei due blocchi, così come alleanze tra o

sostegno fornito ad altri Stati erano dettate da logiche di comodo. Solo la logica strumentale,

finalizzata al contrasto indiretto dell'avversario, poteva essere all'origine, ad esempio, del

sostegno fornito dagli Stati Uniti alla dittatura fascista del generale Augusto Pinochet, quegli

stessi Stati Uniti che avevano combattuto e sconfitto Hitler e Mussolini appena un trentennio

prima, e che ora appoggiavano una dittatura militare, così da evitare l'espandersi dell'area di

influenza di Mosca in un settore geografico pericolosamente a ridosso dei propri confini.

Questi erano i compiti delle intelligenze estere dei due blocchi, portati a termine con vasto

impiego delle tecniche che abbiamo descritto in apertura di paragrafo.

Con la fine della guerra fredda, l'intelligence si rinnova in funzione della mutata situazione

geopolitica; non esistono più due blocchi contrapposti, mentre si assiste ad una

diversificazione della realtà politica mondiale che lascia ampi spazi di manovra a nuove

minacce economiche, sociopolitiche e religiose.

La caduta dell'URSS e il mitigarsi del confronto Ovest-Est, producono la liberazione

incontrollata di tensioni locali, che si legano talvolta in una minaccia reticolare di ancor

maggiore pericolosità. La fine della guerra fredda ha dunque privato l'intelligence di un

14

riferimento certo, identitario e definito in una sorta di gioco delle parti.12 A partire dalla

dissoluzione dell'impero sovietico, e in conseguenza dell'enorme sviluppo dell'IT

(information technology), i servizi d'intelligence hanno iniziato ad indirizzarsi sempre più

verso una ricerca di informazioni ottenuta per tramite di sofisticatissime apparecchiature

elettroniche e contestualmente tramite lo sfruttamento di internet.

Questa nuova mentalità ha portato a trascurare le attività d'intelligence in cui l'uomo è il

principale strumento di acquisizione delle informazioni (Human Intelligence, HUMINT).

I fatti dell'11 settembre 2001 hanno però dimostrato che, per quanto si possa disporre di

tecnologie costosissime ed avanzatissime, queste non riescono a fornire da sole una

percezione sufficiente dei sentimenti e delle intenzioni di popolazioni, gruppi sociali o singoli

individui.

Per questo motivo, a partire dall'attentato alle Torri gemelle, si è riscoperto lo HUMINT come

strumento indispensabile per capire effettivamente verso quale direzione si sta muovendo la

minaccia reale o potenziale e in quali forme potrebbero concretizzarsi le sue azioni.13

La globalizzazione, che connette mercati e popolazioni e sembra ormai superare il concetto di

frontiera, finisce per accelerare processi di disfacimento istituzionale, aumenta la richiesta di

separatismi e amplia il distacco tra le società che hanno accesso ai benefici del nuovo modello

mondiale di economia e quelle escluse, ancor più emarginate. Fioriscono focolai locali di

tensione che sfociano in sanguinosi confronti civili ed etnici. Esemplari, a riguardo, i conflitti

nella ex Iugoslavia e nelle Repubbliche musulmane della dissolta Unione Sovietica.

Al terrorismo e alle variegate forme di eversione nazionali, che appaiono ciclicamente negli

scenari locali affinando anche legami transnazionali sempre più forti, si affiancano fermenti

anarchici diffusi ed aggressivi. Inoltre, i contrasti etnici fanno da sfondo e spesso da occasione

per l'innesco di tensioni integraliste di estrazione islamica che dall'area d'origine si

trasferiscono sempre più in Occidente. La matrice religiosa veste i tentativi di alcune

organizzazioni, appoggiate da gruppi di potere interessati, determinate ad assumere la

referenza delle istanze fondamentaliste. L'intervento dell'intelligence si estende

geograficamente ma diventa anche più puntiforme e selettivo, dovendo coniugare ricerca e

sicurezza, all'estero e all'interno. Soprattutto, deve rinnovare la conoscenza di un mondo più

12 Mario Mori, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/.13 Intelligence contemporanea,

www.difesa.it/SMD_/Staff/Reparti/II/CIFIGE/Pagine/Intelligence_contemporanea.aspx (visto il 2.12.2015).

15

complesso e non diviso da alcuna cortina.14

Tornando al periodo storico che ci interessa, vediamo ora nel dettaglio qualche esempio, utile

a chiarire meglio e delineare nella pratica i principi teorici fin qui enunciati.

Nelle pagine che seguono si è dovuto necessariamente operare una selezione. La trattazione

portata avanti in questo capitolo non ha pretesa di esaustività, non pretende cioè di raccontare

la storia completa delle operazioni di tutti i principali servizi di intelligence attivi nei

quarant'anni della guerra fredda, ma si configura più come esemplificativa del tipo di

operazioni che i servizi dei due blocchi furono in grado di compiere, a danno della controparte

ed in difesa dei propri interessi politici, economici e commerciali.

1.2. La C. I. A.

C.I.A. è l'acronimo di Central Intelligence Agency, l'agenzia statunitense responsabile

dell'ottenimento e dell'analisi delle informazioni sui governi stranieri, sulle società, sugli

individui ed incaricata della segnalazione di queste informazioni ai vari rami del governo

degli Stati Uniti.15

Fondata nel 1947 in seguito ad una riorganizzazione del servizio di intelligence estera OSS

(Office of Strategic Services), a sua volta costituitosi per fare fronte alle necessità informative

nel contesto della seconda guerra mondiale, assiste il suo direttore nello svolgimento dei

seguenti incarichi:

a)Collecting intelligence through human sources and by other appropriate means, except that

he shall have no police, subpoena, or law enforcement powers or internal security functions;

b) Correlating and evaluating intelligence related to the national security and providing

appropriate dissemination of such intelligence;

c) Providing overall direction for and coordination of the collection of national intelligence

outside the United States through human sources by elements of the Intelligence Community

authorized to undertake such collection and, in coordination with other departments, agencies,

or elements of the United States Government which are authorized to undertake such

collection, ensuring that the most effective use is made of resources and that appropriate

account is taken of the risks to the United States and those involved in such collection; and

14 Ibd.15 La storia dell'ente viene riportata molto brevemente sulla homepage del sito internet ufficiale a lui dedicato,

dove ovviamente non viene fatta esplicita menzione delle covert operations storicamente attribuibili alservizio americano in periodo di guerra fredda. www.cia.gov (visto il 3.12.2015).

16

d) Performing such other functions and duties related to intelligence affecting the national

security as the President or the Director of National Intelligence may direct.16

Al fine di portare a termine questi incarichi, “the CIA engages in research, development, and

deployment of high-leverage technology for intelligence purposes. As a separate agency, CIA

serves as an independent source of analysis on topics of concern and also works closely with

the other organizations in the Intelligence Community to ensure that the intelligence

consumer - whether Washington policymaker or battlefield commander - receives the best

intelligence possible.”

Come si può notare, l'aspetto militare dell'azione della C.I.A. ricopre un ruolo di primaria

importanza. Questa considerazione assume un valore ancora maggiore se rapportata al

contesto della guerra fredda, dove le operazioni di guerra non convenzionale assursero a

pratica comune nella sfida mondiale tra i due blocchi.

La storia dell'ente è costellata da covert operations nel contesto internazionale. Alcune di

queste hanno contribuito in maniera decisiva a diffondere l'immagine di una C.I.A.

onnipresente ed onnipotente, in grado di influenzare con la sua azione le vicende politiche

mondiali e determinare il corso della storia di alcuni Paesi, immagine questa che trova una

conferma almeno parziale nelle vicende di una parte di questi. Azioni come quelle che

andremo ora a raccontare si inserivano in una pianificazione strategica di ampio respiro, volta

ad erodere o contrastare l'espandersi dell'influenza sovietica in zone cruciali dello scacchiere

geopolitico.

Tra le operazioni di intelligence condotte dalla C.I.A. sotto forma di covert operations va

annoverata ad esempio quella che ha portato alla caduta, il 19 agosto 1953, del governo

democratico iraniano guidato dal nazionalista Mohammad Mossadeq, condotta in

collaborazione con il servizio segreto britannico e conosciuta col nome di operazione

“Ajax”(operazione “Boot” per gli inglesi). Nel 1951, Mossadeq aveva portato a termine la

nazionalizzazione dell'industria petrolifera, ottenendo un grande consenso politico e popolare

e assurgendo al ruolo di eroe nazionale, conducendo ad una progressiva limitazione dei diritti

di sfruttamento petrolifero concessi al governo britannico.17

Il governo di Mossadeq viene deposto il 19 agosto del 1953 da un colpo di Stato guidato dallo

Scià Mohammad Reza Pahlavi e appoggiato dall'Ayatollah Kashani.

16 Ibd. 17 Cfr. Stefano Beltrame, Mossadeq. L'Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della Rivoluzione Islamica,Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.

17

Ad organizzare e dirigere il colpo di stato furono le forze congiunte dei servizi segreti

britannici e dell'intelligence estera statunitense. Di questo fatto, che per gli oltre quarant'anni

della guerra fredda ha costituito molto più che un sospetto, seppure mai confermato da fonti

ufficiali,18 si è dichiarato ufficialmente responsabile il governo degli Stati Uniti d'America in

occasione del sessantesimo anniversario del colpo di stato, tramite la pubblicazione sul sito

internet della National Security Agency dei documenti relativi alla pianificazione del golpe.19

Il colpo di stato iraniano del 1953 rappresenta solo uno dei molteplici casi in cui il governo

americano operò per mezzo dei propri servizi segreti, allo scopo di prevenire e\o ostacolare

un'avanzata in termini strategici, politici ed economici del blocco comunista. Il settore

mediorientale rappresentava, e rappresenta tutt'ora, un quadrante di rilevanza fondamentale

nel controllo delle risorse energetiche fossili, dal cui possesso poteva dipendere l'efficienza

militare dei due blocchi. Il governo americano agì infatti mosso da interessi di carattere sia

militare che economico, come diventa evidente dal momento in cui si leggano le condizioni a

cui offrì il proprio appoggio alla Gran Bretagna. Si pretese la fine del monopolio dell'AIOC,

la compagnia britannica titolare della concessione, e la partecipazione allo sfruttamento

petrolifero delle maggiori compagnie statunitensi, della Compagnie Francaise des Pètroles e

della Royal Dutch Shell (nota semplicemente come “Shell”).20

Ma l'attività della C.I.A. non si limitò all'azione di contrasto in medio oriente. Anche se non è

possibile sostenere con certezza che la C.I.A. abbia programmato e condotto il colpo di Stato

che, nel 1973, sotto la direzione del generale dell'esercito Augusto Pinochet, portò alla caduta

e morte del presidente socialista del Cile Salvador Allende e all'istituzione di una dittatura

militare di destra, tuttavia una serie di documenti desecretati durante la presidenza Clinton

dimostrano come la C.I.A. avesse tentato di deporre Allende già nel 1970, immediatamente

18 D'altra parte si è già detto di come le operazioni di intelligence siano caratterizzate dal peso dato al fattoresegretezza. A questo proposito si pensi agli attentati documentati della CIA alla vita di Fidel Castro, riguardoai quali il direttore del servizio Richard Helms affermava, in data 5 marzo 1972, che “no such activity oroperations be undertaken, assisted or suggested by any of our personnel”, riportato in Matthew S. Pape, Canwe put the Leaders on the “Axis of Evil” in the Crosshairs?, in “Parameters, US Army War CollegeQuarterly”, vol XXXII, n° 3, 2002, p. 64. Operazioni ad alto rischio politico, come l'omicidio di leader esteri,venivano pianificate secondo una strategia denominata della plausible deniability, consistente nellaformazione di catene di comando vaghe ed informali nei governi ed altre grandi organizzazioni. In caso diassassinii politici ed altre operazioni sotto copertura, le alte cariche possono agevolmente negare il lorocoinvolgimento o la consapevolezza stessa dello svolgersi di tali atti, portati avanti secondo procedure chemirino a non lasciare tracce.

19 Malcolm Byrne, NSArchive Electronic Briefing n° 453, “Campaign to install pro western government in Iran.”

20 Stefano Beltrame, op. cit., p. 158.

18

dopo la sua elezione.21

Tra gli altri documenti, tutti liberamente consultabili nell'archivio digitale dell'NSA,

l'NSArchive, è possibile leggere anche la trascrizione di una conversazione telefonica tra il

presidente Richard Nixon e il consigliere di Stato Henry Kissinger, risalente al 16 settembre

1973, in cui il primo ammette di aver aiutato le forze golpiste cilene.22

Operazioni simili furono portate avanti in quasi tutti i Paesi del Sud America, per il quale sono

storicamente accertati i casi del Guatemala (1954), della Repubblica Dominicana (1961) e del

Brasile (1964), dove l'intervento della C.I.A. portò alla caduta di governi socialisti in favore di

dittature militari.23

Una delle operazioni più celebri resta il fallito tentativo, da parte di un gruppo di esuli cubani

e mercenari addestrati dalla CIA, di conquistare militarmente l'isola di Cuba. L'episodio,

durato dal 17 al 19 aprile del 1961, è quello noto col nome di “Invasione della Baia dei porci”.

Le milizie cubane, equipaggiate e sostenute dai paesi del campo socialista, respinsero

l'invasione senza grosse difficoltà. 24

Il terzo settore strategico di rilevanza cruciale consisteva nell'occidente europeo. E' sul

territorio europeo che i due blocchi contrapposti venivano a confrontarsi più direttamente.

Territorialmente contigui, i paesi membri della Nato a diretto contatto con quelli del Patto di

Varsavia rappresentavano il quadrante maggiormente esposto ad una possibile invasione

militare dell'Urss, rischio avvertito come estremamente concreto dai vertici della NATO

all'inizio degli anni '50, in caso della quale le forze statunitensi non avrebbero potuto condurre

fin dall'inizio le operazioni di difesa.

La CIA procedette così alla formazione, nei paesi membri dell'alleanza atlantica su suolo

europeo, di organizzazioni di tipo stay behind, ovvero formazioni di tipo paramilitare da

attivare in funzione difensiva nell'eventualità di un'invasione sovietica. Anche l'Italia ebbe la

sua stay behind, denominata “Gladio” e attiva dal 1956, la cui esistenza è stata ammessa per

la prima volta dall'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti nella seduta della Camera

dei Deputati del 24 ottobre 1990, appena due mesi dopo lo scioglimento dell'organizzazione,

avvenuto il 27 luglio dello stesso anno.25

21 Peter Kornbluh, Chile documentation Project in NSArchive, 13.11.2000. (visto il 3.2.2015).22 Peter Kornbluh, NSArchive Briefing Book n° 123. 26 maggio 2004 (visto il 3.2.2015).23 Per una storia dettagliata della CIA cfr. l'opera di Antonella Vilasi Colonna, Storia della CIA, Sovera

Edizioni, Roma 2014, o ancora il libro di Mario del Pero, La C.IA. Storia dei servizi segreti americani,pubblicato dal Gruppo Editoriale Giunti per la Collana XX secolo, Firenze 2001.

24 Mario del Pero, op. cit., pp., 67-73.25 “24 Ottobre 1990: Andreotti ammette l'esistenza di Gladio”, http://www.lalottacontinua.it/?p=596, (visto il

19

In questo rapido excursus ritengo sia diventato estremamente chiaro un principio di fondo,

ovvero quello per cui dietro l'azione del servizio segreto si cela sempre una logica di comodo,

che porta alla scelta di alleanze in funzione di un nemico comune. Che gli Stati Uniti

appoggiassero golpe fascisti in tutto il mondo non era certamente dovuto al fatto che

l'America fosse un paese intimamente fascista, bensì rientravano in una strategia di più ampio

respiro, volta a limitare dove e nel modo più efficace possibile l'influenza politica, economica

e culturale dell'Urss.

1.3. I servizi segreti italiani.

La storia dei servizi segreti italiani negli anni della guerra fredda presenta una complessità

fuori dal comune. Nati per diretta emanazione e sotto il controllo degli Stati Uniti, nel corso

della storia repubblicana essi furono più volte riformati. In questa sede ci preoccuperemo non

tanto di riportarne in maniera precisa e puntuale tutte le vicende, la cui narrazione andrebbe

accostata ad una approfondita analisi della situazione politica italiana che, per ovvie ragioni,

non è possibile operare in questa sede, quanto piuttosto a descrivere brevemente quelle

vicende che, per rilevanza politico-tattica, si collocano alla perfezione nel clima particolare

del conflitto tra i due blocchi.

Dal 1946 in poi, i servizi segreti italiani lavorarono sotto stretta tutela anglo-americana. La

loro storia è altamente rappresentativa del grado di dipendenza da cui i servizi del Patto

Atlantico erano legati all'intelligence statunitense. L'Italia rappresentava un settore

strategicamente fondamentale all'interno del sistema di alleanze americano, così come era

avvertito come un fattore di rischio la presenza del maggiore Partito Comunista al di fuori del

Patto di Varsavia, pur se escluso dal governo. La data di nascita del primo servizio segreto

italiano dell'era repubblicana coincise quasi perfettamente con la stipula dell'Alleanza

atlantica, rispettivamente 30 marzo e 3 aprile 1949. Alla direzione del neonato SIFAR

(Servizio Informazioni Forze Armate) venne nominato il generale Giovanni Carlo Re.26

Il SIFAR venne pienamente coinvolto, a partire dal 1956, nelle vicende che portarono alla

nascita di Gladio, nome italiano dell'organizzazione di tipo stay behind voluta dalla CIA in

Europa per opporre una prima resistenza in caso di aggressione sovietica.27

26.11.2015).26 Giovanni Carlo Re in www.Archivio900.it (visto il 26.11.2015).27 Giuseppe de Lutiis, op. cit., pp.40-49.

20

Le vicende più rilevanti nella storia di questo primo servizio furono quelle che videro

protagonista il generale Gennaro de Lorenzo, giunto nel 1955 a ricoprire la massima carica

dirigente del SIFAR, incarico mantenuto per sette anni. De Lorenzo rimarrà famoso per aver

intrapreso una vasta opera di schedatura di tutte le maggiori personalità politiche italiane del

tempo, di cui nei fascicoli a loro relativi venivano evidenziate amicizie e contatti, vizi e

debolezze, e per essere stato la mente di un mai realizzato colpo di stato, il cosiddetto Piano

Solo, che nell'estate del 1964, in concomitanza con la sopraggiunta crisi del I governo Moro,

avrebbe dovuto portare l'arma dei Carabinieri a prendere il potere in Italia. Al golpe militare

sarebbe dovuto seguire il trasferimento, in località appositamente preposte, di 731 soggetti del

mondo della politica e del sindacato ritenuti altamente pericolosi.28

Piani difensivi contro il pericolo comunista erano stati predisposti dalla NATO in tutti i paesi

membri dell'Alleanza. Tuttavia, il contesto storico in cui avrebbe dovuto svolgersi il Piano

Solo presenta delle peculiarità legate a vicende politiche strettamente italiane. Infatti dal 1962

si era aperta in Italia la fase del tutto nuova del centrosinistra, con promesse di riforme

strutturali che solo in parte furono mantenute, ma che comunque andarono a minacciare un

assetto burocratico-militare che mutuava uomini e metodi dal periodo fascista, di cui il Piano

Solo avrebbe rappresentato la reazione.29

Il SIFAR cessa di esistere nel 1966, circa un anno dopo la nascita del nuovo servizio segreto

militare SID (Servizio Informazioni Difesa). Le vicende del SID si intrecciano con la storia

del cosiddetto “golpe Borghese”. Tra il 7 e l'9 settembre 1970, l'ex generale fascista Junio

Valerio Borghese giunse, alla testa del Corpo forestale, alle fasi finali di un colpo di stato che

avrebbe dovuto istituire in Italia un regime militare di destra. Dal 1951 membro onorario del

Movimento Sociale Italiano, da cui si distaccò gradualmente negli anni '60 avvicinandosi agli

ambienti estremi della destra extraparlamentare, Borghese aveva fondato nel 1968 il Fronte

Nazionale, che secondo l'osservatorio del SID avrebbe avuto lo scopo di sovvertire le

istituzioni dello Stato con disegni eversivi.30 Il golpe, organizzato in collaborazione con gli

ambienti della estrema destra eversiva, venne annullato mentre era già in pieni svolgimento.

L'allora capo del SID Vito Miceli venne arrestato nel 1974 con l'accusa di cospirazione contro

lo stato. Secondo i magistrati, egli sarebbe stato coinvolto nell'abortito tentativo di putsch, del

quale avrebbe volutamente mancato di avvertire il Ministero della Difesa, a cui i servizi

28 Ibd., p. 45.29 Ibd., p. 46.30 Ibd., p. 72.

21

militari italiani facevano capo.31 Miceli era stato indagato già dal 1970 nel contesto

dell'inchiesta sull'organizzazione eversiva di destra “Rosa dei Venti”, che in pochi mesi aveva

portato all'arresto di numerosi personaggi del mondo politico, imprenditoriale e militare, e dai

cui ambienti sarebbe scaturito il progetto Borghese. La Magistratura era giunta alla

conclusione che Miceli fosse stato da tempo informato del piano, ma avesse volutamente

rinunciato ad un intervento di contrasto perché direttamente coinvolto nei progetti di futura

riorganizzazione politica del paese.32 Nel 1978 Miceli venne assolto da tutte le accuse con

formula piena, sentenza confermata in appello nel 1984 e in cassazione nel 1985. Paul

Ginsborg ha voluto porre l'attenzione su due elementi particolari, che hanno contribuito a

gettare una luce oscura sull'inchiesta relativa alla Rosa dei Venti: in primis, che questa era

stata avviata dalla Magistratura di La Spezia, e poi trasmessa nel 1973 a quella padovana,

sotto l'egida del Pubblico Ministero Giovanni Tamburrino. In seguito, la Corte di Cassazione

aveva disposto il trasferimento del caso alla Magistratura romana, che si sarebbe dimostrata

molto meno determinata nel condurla a termine. Il secondo elemento consiste nel fatto che,

nel 1979, il Pubblico Ministero Claudio Vitalone avrebbe invocato il segreto di Stato,

contribuendo a far calare il silenzio sulla vicenda.33

Ora, partendo dalla considerazioni per cui gli ideali fascisti fossero, soprattutto negli anni

dell'immediato dopoguerra, largamente diffusi e fortemente radicati nella borghesia italiana, i

cui rappresentanti avevano ricoperto alti incarichi negli anni del regime ed avevano poi

intrapreso in molti casi brillanti carriere politiche o militari nella società repubblicana e che,

quindi, non si possa dubitare della circostanza per cui i ripetuti tentativi di colpo di stato

progettati in quegli anni fossero effettiva espressione della volontà, da parte di una classe

politica decaduta, di tornare al potere con la forza e di arginare le proposte di istanza sociale

di cui il movimento del '68 era espressione, tuttavia per la Rosa dei Venti vennero fin da

subito formulati sospetti di ingerenze internazionali. In due sedute del 4 e 12 maggio 1974, di

fronte alla Magistratura ligure Arnaldo Forlani dichiarava a riguardo:

[...] Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne facciano parte solo militari

ma anche civili, industriali e politici. soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei

vertici parziali. Tale organizzazione è militare, ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice

31 Una descrizione dettagliata della storia Italiana in relazione al ruolo del nostro Paese nello scenariointernazionale negli anni della guerra fredda è fornita da Massimo de Leonardis in Guerra fredda e interessinazionali, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014.

32 Giuseppe de Lutiis, op. cit., pp. 40-63.33 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 1989, p. 470.

22

dell'organizzazione militare stanno senz’altro dei militari; non posso dire che si tratti della vecchia

struttura di De Lorenzo (con riferimento al Piano Solo, N.d.A.) […]. L'organizzazione serviva a

garantire il rispetto del potere vigente e dei patti NATO sottoscritti riservatamente, nonché del regime

sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia ispiratrice è quella dell’appartenenza

dell’Italia al blocco occidentale inteso come immutabile, mobilitato permanentemente contro il

comunismo e finalizzato ad impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre.34

Storicamente, se da un lato non è mai stato possibile definire pienamente il carattere di

Gladio, né tantomeno gli eventuali coinvolgimenti di questa con organizzazioni eversive

quale la succitata Rosa dei Venti, dall'altro è stato tuttavia possibile delinearne dei tratti

peculiari: si trattò di un servizio di controspionaggio atlantico, sorto in previsione di una

possibile insurrezione filosovietica, che venne bilanciato dalla contemporanea esistenza di

quella che è stata definita dalla stampa italiana “Gladio rossa”35 e la cui esistenza in Italia è

emersa per la prima volta con le dichiarazioni rilasciate da Andreotti nel 1990 e già riportate

in apertura di capitolo, la cui dimensione è però estremamente complessa ed esula dagli

obiettivi di questo lavoro, rientrando in un più vasto campo di ricerca sulle strutture

paramilitari dei due blocchi in Italia durante la guerra fredda.

Se l'organizzazione Rosa dei Venti e il golpe Borghese si collocavano all'interno di un piano

reazionario, strettamente connesso con le vicende politiche italiane e l'apertura a sinistra

intrapresa a partire dal primo governo Moro, è comunque necessario fare ancora una volta

appello al clima tutto particolare della guerra fredda per comprendere più a fondo quelle

vicende. Le organizzazioni di tipo stay behind erano state concepite sull'onda del crescente

timore alleato di un'invasione sovietica dell'Europa, e gli Stati Uniti trovarono nella destra

estrema italiana un potente alleato nella prevenzione del pericolo comunista. D'altra parte, è

di pubblico dominio il fatto che gli Stati Uniti fossero pronti all'azione armata non solo in

caso di invasione dell'Italia per opera di forze del blocco orientale, ma anche nell'ipotesi che il

Pci avesse vinto le elezioni. La pianificazione risulta abbastanza chiara e dettagliata nella

direttiva "National Security Council 1/3" del 1948, adottata significativamente alla vigilia

politica delle prime elezioni che avrebbero restaurato il Parlamento dopo il fascismo e

34 Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera, Rizzoli, Milano 2008 , p. 234.35 Valentino Paolo, La Gladio rossa del Pci, “Il corriere della sera”, 14 giugno 1992. Ci si riferisce in questo

caso all'apparato paramilitare del Pci, messo in piedi da ex partigiani che rifiutarono di consegnare le armidopo l'8 settembre e della cui esistenza Mosca aveva piena coscienza.

23

denominata “operazione Demagnetize”.36

Il golpe Borghese si inserisce a pieno titolo nel contesto più generale della cosiddetta

“strategia della tensione.” Generalmente fatta coincidere con il periodo compreso tra le stragi

neofasciste di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e della stazione di Bologna (2 agosto 1980),

essa identifica una lunga serie di attentati dinamitardi, effettuati da formazioni della destra

extraparlamentare e coperti dallo Stato e dai servizi, che avrebbero dovuto favorire

l'emanazione di leggi speciali limitative delle libertà civili, e preparare così il Paese ad una

svolta autoritaria in funzione anticomunista, essendosi riacutizzati i timori verso il nemico in

seguito alle proteste studentesche del '68 e all'avanzata delle sinistre. Il ruolo della CIA nella

pianificazione della strategia, attribuitole per la prima volta dal giornalista britannico Leslie

Finer nel 1969, pochi giorni prima della strage di piazza Fontana37, non è stato mai

pienamente confermato, ma negli anni sono stati lentamente desecretati dal governo Usa

documenti che hanno dato indizio del sostanziale benestare americano a singoli episodi

ascrivibili alla strategia, tra cui lo stesso golpe Borghese.38

L'ipotesi di un pesante condizionamento americano dei sanguinosi eventi che sconvolsero la

difficile stagione politica e sociale italiana compresa tra i movimenti del '68 e del '77 appare

altresì verosimile, alla luce dei casi simili verificatisi negli stessi anni in numerosi altri Stati

dell'America latina, del Medio Oriente e del Sud-est asiatico, dove operazioni mirate di

intelligence vennero segretamente condotte con l'obiettivo di limitare l'influenza nemica in un

determinato settore strategico.

Restringendo il campo al solo contesto italiano, e volendo escludere per un momento le

influenze straniere che non si può escludere abbiano attraversato il nostro paese, le inchieste

sulle stragi degli anni '60 e '70 hanno consegnato alla giustizia quantomeno gli esecutori

materiali di quegli attentati, membri di gruppi terroristici neofascisti. Quel che è possibile

sostenere contro ogni ragionevole dubbio è che dirigenti delle forze armate e del

controspionaggio italiano abbiano operato per impedire l'accertamento dei responsabili di

quelle stragi.

La politica si serve del terrorismo, lo strumentalizza ai propri fini trasformandolo nel braccio

armato del potere. Una pratica questa, si è già detto, che fu comune ai servizi segreti dei due

blocchi. Come andremo a vedere, un esempio per la controparte del Patto di Varsavia è

36 Giovanni de Lutiis, op. cit. p.41.37Leslie Finer, 480 held in terrorist bomb hunt, in “The Observer,” 12 dicembre 1969 .38 Adriano Monti, Il golpe Borghese, Lo Scarabeo, Torino 2006, pp.122-125.

24

rappresentato (seppur nel senso inverso, ovvero che l'azione del servizio si volse alla

destabilizzazione del nemico sul suo stesso territorio e alla riduzione del rischio all'interno dei

propri confini) dal servizio segreto della Germania Est, la Stasi, che tra la fine degli anni '70 e

la metà degli anni '80 giunse a forme estremamente strette di collaborazione diretta con il

terrorismo antisistema della Rote Armee Fraktion, ed evitando apertamente di ostacolare

quelle forme di terrorismo che potessero in qualche modo rappresentare un fattore di

instabilità per il nemico.

1.4. GRU e KGB.

Il sistema sovietico disponeva di due servizi segreti. Durante gli anni della guerra fredda,

l'esistenza del GRU restò praticamente sconosciuta al di fuori dei confini dell'Urss. Fondato

nel 1918 dallo stesso Lenin, è un servizio segreto militare operante ancora oggi, a differenza

del KGB, dalle cui ceneri sono sorti l'SVR (intelligence estera) e l'FSB (sicurezza federale).

Il GRU può essere a giusto titolo considerato il primo servizio segreto del blocco orientale, e

durante la guerra fredda costituiva un terzo centro di potere alternativo a quello del PCUS e

del KGB. Diversamente da quest'ultimo infatti, il GRU non dipende(va) direttamente dal

comando maggiore delle forze armate. Tra le operazioni più significative direttamente

ascrivibili a questo servizio segreto ci limiteremo qui a ricordare le vicende relative alla figura

di Robert Philip Hanseen.

Nessun altro servizio segreto al mondo può vantare i successi raggiunti da quelli dell'Unione

Sovietica nelle pratiche di controspionaggio e disinformazione. L'apparato spionistico

dell'Urss poteva contare su una quantità sterminata di informatori, da cui dipendeva l'accesso

a informazioni riservate di ogni tipo. Non sempre però le informazioni venivano raccolte

grazie al successo di operazioni pianificate di intelligence. Come diverrà più chiaro nel

paragrafo successivo con le vicende relative a Günter Guillame, la fortuna e il caso furono

spesso ingredienti fondamentali per l'ottenimento di dati sensibili.

Robert Philip Hanseen inizia a lavorare per l'FBI nel 1976, e nel 1979 è attivo nel

controspionaggio dell'agenzia. A lui viene affidato l'incarico di cercare di delineare un quadro

dettagliato dell'apparato d'intelligence sovietica. Nello stesso anno, forse in virtù della

posizione raggiunta, viene contattato ed ingaggiato dal GRU. Le informazioni da lui

trasmesse al servizio russo, tra cui una lista di sospetti agenti sovietici stilata dall'FBI, portano

25

nel 1986 all'arresto del generale dell'armata sovietica Dmitri Polyakov, informatore della CIA,

e alla sua esecuzione per alto tradimento nel 1988.39 Trasferito nel 1981 alla sezione operativa

del dipartimento di Washington D.C., col ruolo di responsabile deputato al controllo della

sorveglianza elettronica, tra il 1985 e il 1991 Hanssen fornisce al GRU numerose

informazioni sulle pratiche di valutazione dei disertori sovietici che si erano offerti

spontaneamente di collaborare con l'FBI, allo scopo di identificare eventuali doppi agenti.40

Nel 1985 offre poi la propria collaborazione al KGB, con una missiva nella quale fornisce i

nomi di tre agenti sovietici operanti negli USA come doppi agenti per conto della CIA: Boris

Yuzhin viene condannato a sei anni di carcere, mentre Valery Martynov e Sergei Motorin

vengono giustiziati.41

Tramite una complessa opera di depistaggio, Hanssen riuscì poi ad evitare l'incriminazione

dell'ufficiale del Dipartimento di Stato Felix Bloch, anch'egli collaboratore dei sovietici, che

vennero prontamente informati delle indagini in corso su di lui. Forse proprio i sospetti nati in

seguito ai depistaggi operati da Hanssman condussero al suo arresto nel 2001, dopo che

l'agente aveva continuato a lavorare ininterrottamente per la Federazione Russa fin dalla

caduta dell'Urss.42

Il GRU partecipò attivamente all'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1979, tramite l'invio

sul posto di formazioni dei reparti speciali, gli Specnaz, termine con cui si indicano

genericamente tutti i reparti speciali dell'esercito e dei servizi sovietici e russi. Le

informazioni sull'attività di questi reparti in periodo di guerra fredda sono sfortunatamente

ancora molto ridotte. Le poche certezze riguardano le loro finalità operative: controllati

direttamente dal GRU, erano addestrati per operazioni dietro le linee nemiche. Al loro interno

operavano poi unità scelte che si occupavano di compiti più impegnativi e rischiosi, come

l'assassinio di personalità di alto valore, la conduzione di gruppi insurrezionali di comunisti

locali o operazioni in incognito in abiti civili o con uniformi di eserciti stranieri.43

Se il controspionaggio sovietico diede prova di straordinaria efficienza, limitando al minimo

la penetrazione di agenti nemici nei territori del Patto di Varsavia, l'intelligence di Mosca

operò con successo anche sul campo della disinformazione, com'è evidente pensando alla

39 David Wise, Spy: the inside story of how the FBI's Robert Hanssen betrayed America, Random House,Monaco 2003, p. 21.

40 Ibd., pp. 21-23.41 Ibd., p. 37.42 Ibd., pp. 240-247.43 Steven J. Zaloga, James Loop, Truppe d'elite del blocco sovietico, Osprey Publishing\Rba Italia, Oxford

2009, pp.42-46.

26

massiva campagna mediatica portata avanti dagli agenti del KGB nei confronti del presidente

del neonato stato del Bangladesh Ziaur Rahman, volta a screditarne la figura tramite la

pubblicazione congiunta su numerosi quotidiani di articoli che lo accusavano di intessere

rapporti con gli Stati Uniti. Già nel 1959 era stato fondato all'interno del KGB il

“Dipartimento per le misure attive”, specializzato nella “propaganda nera” e nella

disinformazione. Organi simili vennero costituiti tra il 1961 e il 1964 in tutti i servizi segreti

dei Paesi membri del Patto di Varsavia.44 Nonostante il compito principale fosse quello di

promuovere l'immagine dell'Urss all'estero, le “misure attive” erano in realtà pensate per

provocare demoralizzazione interna ed erosione del potere nei paesi target.

Il successo maggiore il KGB lo ottenne però nei confronti del “nemico principale”,

definizione con cui fin dalla fine della seconda guerra mondiale si indicavano gli Stati Uniti.45

Nonostante le restrittive misure di sicurezza adottate, la stessa NSA non fu in grado di

prevenire la propria infiltrazione. Al soldo del KGB lavorarono ad esempio gli agenti Bernon

Mitchell e William Martin, che nel 1960 defezionarono e portarono con sé in Urss preziose

informazioni riguardanti l'intelligence elettronica degli Stati Uniti. Un altro caso eclatante è

rappresentato dalla storia dell'ufficiale dell'esercito Joseph George Helmich, reclutato dal

KGB già a partire dal 1963 e che passò ai servizi sovietici informazioni tecnologiche

riguardanti il sistema di criptaggio KL-7. Una collaborazione, la sua, che poté essere scoperta

solo nel 1980, e che condusse l'anno seguente al suo arresto e condanna all'ergastolo.

Sulla capillare diffusione in tutti i settori strategicamente rilevanti di agenti sovietici, e in

particolar modo sulla difficoltà da parte dell'FBI di monitorare costantemente il flusso di

cittadini del blocco comunista che ogni anno visitavano gli Stati Uniti per i più disparati

motivi, si era espresso nel 1968 lo stesso direttore del Bureau John Edgar Hoover.46

Gli stessi organi internazionali rappresentavano un ottimo punto di appoggio per le attività di

spionaggio del KGB. Secondo Arkady N. Shevchenko, delegato dell'Urss all'assemblea delle

Nazioni Unite che nel 1978 aveva defezionato riparando negli Usa, la metà dei circa cento

membri della delegazione sovietica al congresso erano spie del KGB.47

Ancora dal punto di vista della disinformazione, gli esperti militari sovietici erano al corrente

del fatto che gli Alleati cercassero di delineare un quadro coerente delle capacità militari

dell'Unione Sovietica. Per far si che l'Ovest giungesse a conclusioni errate, il KGB faceva44 Ladislav Bittman, The KGB and soviet disinformation. An insider's view, Pergamon, Oxford 1985, p.1.45 Ibd., p. 24.46 Ibd., p. 86.47 Ibd., p. 27.

27

appositamente giungere agli agenti occidentali noti una grande mole di dati falsati, tattica

questa che si inseriva in una strategia disinformativa di lungo termine preparata dai vertici

militari e ratificata dalla dirigenza politica.48

Tra le misure militari attive di maggior successo e rilevanza c'erano poi quelle di supporto alle

“guerre di liberazione nazionale.” Il collasso del sistema coloniale dopo la seconda guerra

mondiale offrì all'Urss la possibilità di colmare i vuoti di potere lasciati dalla ritirata delle

potenze coloniali, inserendosi nella “battaglia” per il Terzo Mondo. Provvedere al sostegno

delle guerriglie comuniste, per mezzo sia di operazioni pubbliche che sotto copertura, nel

tentativo di favorirne la presa del potere, si rivelò un mezzo potente per la futura

manipolazione di quei paesi in cui il supporto fornito portò alla vittoria della guerriglia. Il

vincitore si rivelava grato all'Urss, aprendo canali che permettevano la penetrazione sovietica

nella politica del nuovo governo, cosa che accadde ad esempio a Cuba, in Vietnam,

Nicaragua, Repubblica di El Salvador, Guatemala e Colombia.49

Le forme di sostegno prevedevano nella regola un addestramento militare della milizia e un

suo indottrinamento ideologico, sebbene su quest'ultimo punto l'Urss diede prova di una certa

flessibilità, preponendo l'interesse contingente dell'impedimento nei confronti del blocco

occidentale all'effettiva penetrazione degli ideali comunisti nelle guerriglie appoggiate.50

Passando ora ad esaminare la questione che maggiormente si attiene all'argomento del

presente lavoro, non esiste una sola prova che dimostri un ruolo guida dell'Urss e del KGB

nella conduzione del terrorismo internazionale. Tuttavia, se il terrorismo inteso come forma di

violenza individuale veniva largamente rifiutato e condannato dagli organi di stampa sovietici,

che lo etichettavano come inconcludente e causa di gravi situazioni di anarchia, un prodotto

degli intrighi del mondo imperialista o dell'ideologia di derivazione maoista, il KGB

considerava il fenomeno come un male infettante, che indeboliva l'avversario e che avrebbe

lentamente portato alla sua disgregazione.51 Il sistema sovietico supportò ampiamente

l'eversione di sinistra in maniera indiretta, tollerando la presenza di terroristi internazionali sul

proprio territorio e non impedendo in alcun modo che questi potessero pervenire ad armi o

pianificare attentati. Essendo l'Urss pienamente consapevole del potere destabilizzante del

fenomeno terroristico sulle società occidentali, esso venne generalmente lasciato agire

48 Ibd., p. 135.49 Ibd., p. 140.50 Cristopher Andrew, The World was going our way. The KGB and the battle for the Third World, Basic

Books, Cambridge 2005, p.109.51 Ladislav Bittman, op. cit., p. 177.

28

indisturbato dai suoi servizi segreti, e sono decisamente pochi i casi in cui si possa ravvisare

una qualche forma di collaborazione diretta ed intenzionale tra gruppi terroristici e Paesi del

Patto di Varsavia. Di uno di questi tratteremo brevemente nel prossimo paragrafo, e poi più

estesamente nel capitolo 3 di questo lavoro.

Quel che invece è stato possibile appurare a livello storico è il sostegno fornito dall'Unione

Sovietica all'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), considerato un

movimento di liberazione popolare e i cui membri ricevettero armi e training militare in Urss

da parte di addestratori del KGB. Le armi vendute all'OLP avrebbero poi indirettamente

rifornito il terrorismo europeo, giungendo ad esempio fin nelle mani delle Brigate Rosse.52

Insomma, in parte divergenti e in parte simili a quelle operate dai servizi segreti del blocco

occidentale furono le modalità con cui l'Urss cercò di contrastare l'espandersi della zona di

influenza americana. Così come nel caso gli Stati Uniti nel contesto della NATO, i servizi

sovietici svolsero il ruolo di guida dell'intelligence del Patto di Varsavia per tutti i consociati, i

quali si mossero nel solco tracciato dai centri di potere moscoviti nella guerra al nemico

imperialista. Il caso della Stasi servirà a spiegare in maniera più dettagliata il funzionamento

di un servizio satellite del KGB, nonostante sia stato possibile solo parzialmente ricostruire le

modalità operative dello spionaggio estero e le misure attive miranti alla destabilizzazione del

nemico condotte da questo servizio segreto.

1.5. La Stasi.

Stasi sta per Staatssicherheit, sicurezza di stato, ed è la sigla con cui si indica il Ministerium

für Staatssicherheit (Ministero per la sicurezza di Stato, MfS), il servizio segreto deputato sia

alla sicurezza interna che allo spionaggio estero della ex Deutsche Demokratische Republik

(Repubblica democartica tedesca, Ddr). Che di democratico il regime di Berlino est avesse

solamente il nome e un'apparenza formale, è diventato di dominio pubblico alla dissoluzione

del suo sistema di potere in seguito alla caduta del Muro. Con l'apertura al pubblico, pochi

mesi dopo, del lascito documentario del suo servizio segreto, è stato possibile constatare con

assoluta certezza la natura repressiva e il ruolo di polizia segreta svolto dall'ente a partire dalla

sua istituzione all'inizio del 195053.

52 Ibd., p. 178. Sui rapporti tra OLP e Brigate Rosse cfr anche Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse,Odradek, Roma 2007; Valerio Morucci, A guerra finita, Il Manifesto libri, Roma 1994; Mario Moretti, CarlaMosca, Rossana Rossanda, Brigate Rosse. Una storia italiana, Anabasi, Milano 1994.

53 Cfr. Heiner Timmermann (a cura di), Diktaturen in Europa im 20. Jahrhundert-der Fall DDR in Dokumente

29

Per la Ddr, la sicurezza di Stato abbracciava uno spettro vastissimo di ambiti, in parte comuni

a quelli classici dei paesi democratici come la criminalità comune o la lotta all'eversione

politica, in parte tutti quei reati di tipo ideologico che potessero mettere in dubbio la linea del

partito SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands). Il motto della Stasi, “Scudo e spada

del partito”, colloca il servizio segreto della Ddr direttamente nel solco della tradizione che,

passando per il KGB, giunge a ritroso fino alla Čeka, la prima polizia segreta sovietica e

antenata del suddetto servizio, voluta da Lenin e Dzerzinskij nel 1917 allo scopo di difendere

la rivoluzione dalle forze della controrivoluzione e dal sabotaggio. In sostanza, la Stasi

affiancava ai compiti delle polizie tradizionali quelli propri delle polizie segrete ideologiche di

stampo sovietico.

Nata per diretta emanazione e ricalcando la struttura del servizio “padre” KGB, tra la fine

degli anni '50 e lungo tutto il corso degli anni '60 il rapporto tra la dirigenza politica e il

servizio segreto si fa complicato, data la tendenza, che rappresenterà una caratteristica del

MfS, ad arrogarsi compiti e diritti di cui non era stato investita dal potere politico, questo

stesso tenuto strettamente sotto sorveglianza.54

Se repressione interna e sorveglianza sul potere politico costituivano i principali campi di

azione del MfS sul fronte interno, il servizio segreto tedesco-orientale non venne mai meno ai

suoi compiti di intelligence estera, le cui operazioni erano affidate in primo luogo alla

divisione HV A (Hauptverwaltung Aufklärung), ma alle quali collaboravano in forme più o

meno accentuate tutte le divisioni del Ministero.55 Data la contiguità territoriale con la

Repubblica Federale e l'anomalia rappresentata da Berlino Ovest, isola di democrazia al

centro della Ddr, era logica conseguenza che lo spionaggio estero della Stasi si concentrasse

principalmente su quello che in gergo tecnico veniva definito semplicemente come OG

(Operationsgebiet, Campo delle operazioni), ovvero Berlino e la Germania Ovest. Una

considerazione importante da fare è quella per cui alla base dell'idea centrale di spionaggio e

controspionaggio della Stasi è che ogni forma di opposizione sia riconducibile all'influenza

del nemico.56 Sul tema dei rapporti con il servizio sovietico, il KGB delega ai “compagni”

tedesco-orientali oltre l'80% delle attività di spionaggio e controspionaggio in Germania

und Schriften der Europäischen Akademie Otzenhausen, Band 79, Duncker und Humblot, Berlino 1996.54 Siegfried Suckut, Staatssischerheit und SED in Timmermann H. (a cura di.), op. cit., pp. 303-312.55 Hubertus Knabe, West-Arbeit des MfS: das Zusammenspiel von Aufklärung und Abwehr, in

Wissenschaftliche Reihe des Bundesbeauftragten für die Unterlagen des Staatssicherheitsdienstes derehemaligen Deutschen Demokratischen Republik, Abteilung Bildung und Forschung, Berlino 1999, p.10.

56 Gianluca Falanga, Il ministero della paranoia. Storia della Stasi, Carocci, Roma 2012, p. 179.

30

Ovest: L'HV A rappresenta il principale fornitore per l'Urss di informazioni riservate su Bonn

e sulle strutture NATO in Europa centrale.57

La Stasi si ritrovò ad operare in una situazione di assoluta eccezionalità: la Ddr condivideva il

suo confine con quello che, almeno fino alla “svolta” del 1975 con la firma dei trattati di

Helsinki, figura nella documentazione come “nemico”.58 I nuovi accordi prevedevano anche

maggiore libertà di accesso alla Ddr da parte di giornalisti e turisti occidentali, per la Stasi

tutti potenziali spie, che vennero per questo costantemente tenuti sotto osservazione.

Se da una parte era relativamente difficile per lo spionaggio occidentale penetrare nei gangli

di una società “tenuta sotto chiave” dalla sua stessa classe dirigente, circostanza che renderà le

frontiere della Ddr praticamente impermeabili all'infiltrazione nemica almeno fino alla fine

degli anni '70, dall'altro la Stasi seppe approfittare delle situazioni contingenti che via via si

presentarono, riuscendo a trasformare momenti di debolezza in potenziali (e poi reali)

successi.

Alla metà degli anni '50, nel pieno corso del processo di destalinizzazione, il movimento di

espatrio dalla Ddr si fa imponente, e la Repubblica perde quasi due milioni di cittadini in

appena un lustro. L'emorragia, un serio problema per la società tedesco-orientale che vede

espatriare la sua gioventù più preparata, verrà arrestata con la costruzione della “barriera di

difesa antifascista”, la cui funzione in chiave anti-fuga, mai ufficialmente ammessa dalla

dirigenza della SED, verrà confermata dall'apertura degli archivi del BStU e dall'esame dei

documenti da esso conservati.

Nel 1952, l'allora vicedirettore del MfS Markus Wolf viene incaricato di rimodellare la

sezione HV A e ne diventa, a soli 30 anni, il direttore.59 Wolf fu abbastanza acuto da afferrare i

potenziali vantaggi derivanti dal movimento di espatrio, e decise di procedere ad una diffusa

opera di infiltrazione della società tedesco-occidentale “semplicemente” inviando numerosi

agenti del MfS in Germania Ovest a costruirsi vite e carriere nelle istituzioni della Repubblica

di Bonn.

Quanto andremo ora a descrivere rappresenta il maggiore successo mai conseguito

dall'intelligence estera del MfS, un'operazione talmente ben orchestrata e riuscita da aver

contribuito ad accrescere la notorietà della Stasi ben oltre i confini nazionali e a conferirle

un'aura di grande efficienza, confermata questa nella sua totalità o quasi, se si analizzano le

57 Ibd. p. 227.58 Hubertus Knabe, op. cit, pp. 60-118.59 Gianluca Falanga, op. cit., p.226.

31

forme e i modi del controllo totale esercitato sulla popolazione tedesco-orientale, un controllo

che per quasi quarant'anni riuscì ad evitare preventivamente o sopprimere ogni forma di

dissenso sociale.

Stiamo parlando delle vicende che condussero un'agente del Ministero, Günter Karl Heinz

Guillaume, fino ai più alti uffici della dirigenza politica dell'SPD. Nato nel 1927 a Berlino,

alla fine della seconda Guerra mondiale torna a vivere nella capitale della Ddr, dove lavora

come fotografo. Nel 1950 diventa redattore della casa editrice di Berlino est Volk und Wissen.

Nello stesso anno viene avvicinato ed ingaggiato dal MfS in qualità di IM (Inoffizieller

Mitarbeiter, collaboratore ufficioso). Nel 1952 sposa la sua segretaria Christel Boom,

anch'essa collaboratrice del Ministero. Quando, come ricordato poco fa, alla metà degli anni

50 il movimento di espatrio si fa consistente, dando vita a quel fenomeno che negli ambienti

politici della Repubblica federale viene descritto come indice del consenso popolare nei

confronti del regime comunista nella Ddr e definito “votare coi piedi”, ovvero esprimere con

la fuga il proprio dissenso,60 Guillame e la moglie sono tra quelli che Markus Wolf decide di

“spedire” all'Ovest, con lo scopo di costituire una rete di spionaggio estero radicata sul

territorio. Nel 1956 Guillame e la moglie si trasferiscono così a Francoforte sul Meno, dove

aprono una piccola attività commerciale.

Nel 1957 Guillame si iscrive all'SPD, e dal 1964 inizia a dedicarsi esclusivamente all'attività

politica. In virtù del suo talento, l'agente riesce a farsi strada nella politica del partito, e nel

1965 viene eletto consigliere comunale della città. Nel 1969 dirige la campagna elettorale

dell'allora ministro dei trasporti Georg Leber, portando una consistente mole di voti. La SPD

vince le elezioni, e il governo si forma sotto la guida del sindaco di Berlino Ovest Willy

Brandt. Questo successo induce Leber a proporre Guillame nel ruolo di referente per la

sezione di politica economica, finanziaria e sociale della cancelleria federale. Il costante

impegno e la dedizione alla causa del partito mostrate da Guillame, nel 1972 inducono Brandt

a convocarlo direttamente a far parte del suo team di fiducia.61 Certamente un colpo di fortuna

inaspettato per il MfS, che non poteva prevedere una simile carriera per il suo agente.

Il controspionaggio federale, il Bundesnachrichtendienst, teneva Guillame e la moglie sotto

osservazione già dal 1973, ma è solo nell'aprile del 1974 che decide di agire ed arrestare la

coppia, che viene condannata per alto tradimento a 13 (Guillame) e 8 (Boom) anni di

60 Bernd Eisenfeld, Kampf gegen Flucht und Ausreise- die Rolle der Zentralen Koordinierungsgruppe, inHubertus Knabe, op. cit., p. 273.

61 Gianluca Falanga, op. cit. p. 235.

32

reclusione. Nel 1981, la coppia verrà scambiata dal governo federale con altre spie e, fatto

ritorno nella Ddr, verrà accolta da Wolf e da Erich Mielke, direttore della Stasi, con tutti gli

onori attribuiti a degli eroi di guerra.62

L'operazione Guillaume non differisce, nelle ragioni e possibilità di fondo che stettero alla sua

origine, da quelle analoghe condotte dal KGB agli inizi degli anni '50: si sfruttò il movimento

d'espatrio per “impiantare” materiale umano nelle pieghe della società nemica.

Sul fronte delle operazioni di intelligence volte alla disinformazione, i risultati ottenuti dal

ministero di Mielke furono invece decisamente deludenti, se confrontati con la quantità dei

mezzi messi in campo. Un esempio su tutti è rappresentato dalla campagna mediatica con cui

la Stasi cercò, per mezzo della stampa occidentale pesantemente infiltrata da collaboratori

ufficiosi, di screditare il secondo presidente della repubblica federale Heinrich Lübke, dipinto

come “architetto di campi di sterminio”, nel tentativo di gettare fango sulla sua figura e sul

sistema parlamentare di cui la sua presidenza era espressione. Tentativo questo che non fu

coronato da successo.63

Un ambito in cui l'HV A riuscì invece a conseguire dei risultati pratici consistenti è quello

dello spionaggio tecnico-industriale. L'arretratezza tecnologica del blocco comunista si

rispecchiava anche in quella tecnologica ed industriale della Ddr, i cui impianti di produzione

risalivano spesso al periodo pre-bellico. Lo spionaggio condotto dall'HV A si concentrò

principalmente sulle grandi case produttrici di attrezzature elettroniche ed industriali, dove nel

1989 furono scoperte spie piazzate negli uffici di Texas Instruments, Siemens, Digital

Equipment Corporation.64 La tecnologia acquisita con lo spionaggio estero trovò in numerosi

casi un utilizzo concreto all'interno del sistema produttivo tedesco-orientale, nel contesto del

quale la Stasi cercava di trovare un antidoto alla cronica arretratezza del sistema facente capo

al Cremlino.65

Come abbiamo avuto modo di vedere fin qui, l'operato dell'HV A non era dissimile nelle

forme al lavoro di intelligence portato avanti dal servizio sovietico durante la guerra fredda.

Operazioni sotto copertura, volte ad influenzare la linea politica di un Paese nemico,

inquinarne gli organi di stampa, sottrarne segreti industriali e militari facevano parte del

repertorio comune dei servizi segreti dei due blocchi. L'obiettivo della destabilizzazione del

nemico venne perseguito senza esclusione di colpi, facendo ampio uso di tutti i mezzi a62 Ibd. p. 236.63 Ibd. p. 238.64 Ibd. p. 240.65 Hubertus Knabe, op. cit., pp. 133-279.

33

disposizione.

In precedenza si è accennato al rapporto tra servizi segreti e fenomeno terroristico. Allo Stato

attuale della ricerca, e prendendo cioè in considerazione l'obiettivamente solo parziale

disponibilità di documentazione interrogabile proveniente da servizi dell'ex blocco comunista,

come ad esempio quelli bulgari e lo stesso KGB, è possibile ipotizzare che la Stasi sia stata

tra i servizi che maggiormente intrecciarono contatti con quel mondo, quando non quello che

ne ebbe più di tutti. Mentre per alcuni servizi, sia occidentali che orientali, è stato possibile

solo giungere a delle mezze verità o formulare delle congetture circa il loro grado di

coinvolgimento nelle sanguinose vicende che segnarono il comparire e l'acutizzarsi della

violenza politica sul contesto internazionale, grazie all'apertura degli archivi del BStU è stato

possibile da una parte trovare conferma e dall'altra delineare le forme e i modi del supporto

fornito, dalla fine degli anni '70 alla metà circa degli anni '80, dalla Stasi a gruppi terroristici

di matrice internazionale, indistintamente dalla loro provenienza o colore politico. Così ad

esempio, il terrorista internazionale Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come Carlos, poté in

questo periodo ripetutamente soggiornare indisturbato a Berlino Est, da cui preparò attentati e

da dove poté liberamente muoversi all'interno dei Paesi del Patto di Varsavia. Di maggiore

inerenza per l'argomento trattato in questo lavoro risultano invece i contatti tra la Stasi e il

terrorismo tedesco-occidentale, in particolare con la Rote Armee Fraktion (Raf), che si

configurano come estremamente esemplificativi di come la guerra venisse condotta dai servizi

orientali, nel totale disprezzo dei principi etici e politici di cui la classe dirigente comunista si

faceva promotrice.

Lo scontro tra i blocchi si rispecchia alla perfezione nei tentativi di destabilizzazione operati

dal MfS ai danni della Repubblica federale, e il tentativo, non riuscito in toto, di

strumentalizzare la Raf per indurla a compiere attentati contro il nemico comune, in questo

caso i punti d'appoggio della NATO in Germania ovest, rappresenta un indizio in più di come

la guerra fredda si sia configurata e sia stata portata avanti dalle due superpotenze come

“guerra di servizi.”

1.6. Conclusioni.

Se, sul piano dell'opinione pubblica, il confronto tra i due blocchi negli anni della guerra

34

fredda si svolse in un'ottica di reciproca demonizzazione dell'avversario,66 sul piano militare,

la consapevolezza della potenza distruttiva degli arsenali a disposizione delle due

superpotenze contribuì da un lato a diffondere il timore costante dello scoppio di una guerra

nucleare, dall'altro costituì il fattore deterrente decisivo affinché lo scontro non si verificasse

mai, sebbene avvenimenti internazionali come il blocco di Berlino, la crisi dei missili di Cuba

e quella legata all'operazione “Able Archer 83” abbiano raggiunto livelli di criticità tali da far

temere il peggio.

Una tale situazione, caratterizzata dunque dalla rinuncia al confronto militare diretto tra le

parti, fece si che lo scontro si configurasse come una guerra tra servizi, ed acquisisse nei

metodi la segretezza propria della attività d'intelligence.

Era essenziale conoscere preventivamente i piani dell'avversario, allo scopo di contrastarne

l'accrescimento della sfera di influenza e la penetrazione ideologica sullo scacchiere politico

internazionale. Le attività di spionaggio assurgono ora al ruolo di protagonista. Esse non si

accompagnano più alla normale pratica bellica, ma la sostituiscono quasi in toto.

Il Patto di Varsavia e la NATO servono gli interessi delle due superpotenze, e i servizi segreti

degli alleati si configurano come propaggini dei loro macroapparati difensivi.

Abbiamo visto di come la CIA abbia appoggiato e sostenuto apertamente regimi militari in

tutto il mondo67, e di come sia arrivata ad organizzarne altri dall'inizio alla fine, allo scopo di

eradicare o prevenire la presenza sovietica in aree strategicamente rilevanti del globo. Allo

stesso modo, abbiamo avuto modo di vedere come i servizi alleati giocarono un ruolo chiave

nello svolgimento dei progetti statunitensi, orientando la loro azione in funzione di direttive

americane.

L'operato dei servizi segreti attivi durante la guerra fredda risulta non pienamente

comprensibile se estrapolato dal contesto di riferimento dello scontro in atto. I servizi dei

paesi membri della NATO seguivano linee operative strettamente connesse agli interessi di

Washington, da cui la CIA svolgeva un ruolo cardine di coordinamento.

Organizzazioni segrete di tipo stay behind, fondate in Europa negli anni '50 dai servizi segreti

americani e locali sull'onda del timore di una nuova invasione sovietica dell'Europa, che

avrebbero dovuto svolgere un ruolo difensivo in caso d'emergenza, permasero attive e

dormienti fino alla dissoluzione dell'Urss, segno del fatto che la prevenzione della minaccia66 Letizia Magnolfi, Il ruolo dei mezzi di comunicazione negli anni '60 della Guerra Fredda , in “In Storia:

rivista online di storia e informazione” n° 42 giugno 2011,http://www.instoria.it/home/usia_guerra_fredda.htm (visto il 4 12 2015).

67 Mario del Pero, op. cit., pp. 52-66.

35

giocò un ruolo primario durante tutti i quattro decenni del conflitto.

Nel caso particolare dell'Italia trattato in questo capitolo, abbiamo visto come appaia

verosimile la ricostruzione di una storia in cui, di fronte all'apertura a sinistra del I governo

Moro e alle proteste del movimento del '68, intelligenze straniere abbiano pianificato una

strategia della tensione, volta a causare un forzato riflusso delle tensioni sociali e favorire una

svolta autoritaria appoggiandosi su frange neofasciste degli organi statali e dei servizi segreti.

Dall'altro lato della cortina di ferro, i servizi segreti dei Paesi membro del Patto di Varsavia

collaborano strettamente con i servizi di Mosca. GRU e KGB si rendono protagonisti di

operazioni false flag sia per la repressione del consenso interno che per la guerra al nemico

esterno, come dimostrato dall'utilizzo di Specnaz in uniforme afgana durante l'invasione del

1979.

Sul piano generale, Mosca opera soprattutto con operazioni di spionaggio per mezzo di agenti

sotto copertura, trovando nel movimento di espatrio un valido alleato per la diffusione di

informatori nei paesi del blocco occidentale, in primis verso gli Stati Uniti. Su questa linea,

dettata dalla Lubjanka, si mossero anche i servizi satellite, come dimostrato dal caso della

Stasi tedesco-orientale, il cui maggior successo, l'infiltrazione di un agente fin nel gabinetto

politico del cancelliere tedesco-occidentale Willy Brandt, fu dovuto anche ad una buona dose

di fortuna.

Il capillare spionaggio sovietico raggiunse tutti i settori sensibili, e i segreti militari e

tecnologici di cui Mosca venne costantemente rifornita trovarono un utilizzo concreto sia sul

piano economico che su quello strategico.

Se gli Stati Uniti supportarono golpe militari e svolte autocratiche, le unità speciali del GRU e

del KGB si rivelarono attive nel sostegno alle guerriglie comuniste ed ai movimenti di

liberazione popolare del terzo mondo, fornendo appoggio ad organizzazioni come l'OLP e

collaborando all'addestramento delle milizie vietcong.

L'opera di destabilizzazione del nemico portata avanti da Mosca e dai suoi alleati passò anche

per atteggiamenti volutamente lassisti nei confronti di un fattore esterno quale il terrorismo

internazionale. Manifestatosi soprattutto in Europa e in Sud America in tutta la sua violenza a

partire dalla fine degli anni 60, il fenomeno non trovò mai posto all'interno del sistema

comunista, dove le polizie segrete lavoravano preventivamente e con gli stessi mezzi e poteri

dei servizi con lo scopo di soffocare sul nascere ogni forma di dissenso organizzato.

Rinunciando ad ostacolarlo ed offrendo il proprio retroterra alla fuga di singoli membri,

36

l'Unione Sovietica puntava al perdurare di tensioni sociali nei territori del nemico.

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Capitolo 2. Terrorismo rosso in Italia e Germania. Origini, fatti, azione di contrasto.

2.1. Terrorismo.

Il dispiegamento concettuale del termine terrorismo appare ancora oggi tanto problematico da

risultare quasi impossibile. Nel corso degli anni, numerosi studiosi hanno tentato di dare una

definizione soddisfacente e universalmente valida del termine, senza che se ne sia però giunti

ad una unitaria. Gli anni '70 segnano l'apparire sulla scena internazionale di nuove forme di

terrorismo con connotazioni marcatamente antisistema, alimentando un fervente dibattito

destinato a protrarsi fino ai giorni nostri, in virtù dei nuovi interrogativi sorti in seguito ad un

riacutizzarsi del fenomeno agli inizi degli anni duemila, stavolta nella sua declinazione a

carattere religioso. Si riporteranno qui solo alcune delle definizioni formulate a più riprese dal

mondo della ricerca a partire dagli anni '70, allo scopo di trasmettere la dimensione della

difficoltà nell'afferrare pienamente il concetto di terrorismo.

Nel 1976, il ricercatore della Columbia University e dal 1977 fondatore e direttore delle

riviste “Terrorism An International Journal” e “International Journal on Minorities and

Group Rights” Alexander Yonah affermava: “terrorism is the use of violence against random

civilian targets in order to intimidate or to create generalized pervasive fear for the purpose of

achieving political goals.”68

Nel suo volume del 1987 “The age of terrorism”, Walter Laqueur proponeva la seguente

definizione: “Terrorism is the use or the threat of the use of violence, a method of combat, or

a strategy to achieve certain targets […] It aims to induce a state of fear in the victim, that is

ruthless and does not conform with humanitarian rules[…] Publicity is an essential factor in

the terrorist strategy.”69

Nel 1988, lo studioso di terrorismo e alto ufficiale degli organi di prevenzione contro il

terrorismo delle Nazioni Unite Alex Schmid pubblicava ad Amsterdam, insieme ad Albert

Jongman, il volume “Political Terrorism, a new guide to actors, authors, concepts, data bases,

theories and literature”, edito da North Holland Publishing, nel quale i due studiosi

formulavano una personale definizione del fenomeno terroristico internazionale: “Terrorism is

an anxiety-inspiring method of repeated violent action, employed by (semi-)clandestine

individual, group or state actors, for idiosyncratic, criminal or political reasons, whereby-in

68 Alexander Yonah, International terrorism. Regional, national and global perspectives, “Praeger”, New York1976, p. 16.

69 Walter Laqueur, The Age of Terrorism, Little & Brown, Boston 1987, p. 143.

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contrast to assassination-the direct target of violence are not the amin targets. The immediate

human victims of violence are generally chosen randomly (targets of opportunity) or

selectively (representative or symbolic targets) from a target population, and serve as message

generators.”70

In tempi più recenti, ulteriori sforzi sono stati intrapresi dalla ricerca nel tentativo di fornire

una definizione quanto più possibile universale del concetto di terrorismo. Nel 2006, lo

storico e direttore degli studi sulla sicurezza dell'università di Georgetown Bruce Hoffmann

presentava il risultato di un nuovo tentativo di sintesi del concetto: “Terrorism is ineluctably

political in aims and motives, violent-or, equally important, threatens violence, designed to

have far reaching psychological repercussions beyond victim or target, conducted by an

organization with an identifiable chain of command or conspiratorial cell structure (whose

members wear no uniform or identifiyng insignia), and perpetrated by sub-national group or

non-state entity.”71

Nonostante le obiettive difficoltà che caratterizzano la ricerca di una definizione univoca, i

punti su cui oggi si concorda circa le caratteristiche del fenomeno terroristico nel suo

complesso hanno dato modo di formularne quantomeno una che possa valere come

universalmente riconosciuta. Per terrorismo si intende oggi infatti, secondo la definizione

riportata nell'Enciclopedia Treccani, “l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere

terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine,

mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei; possono farvi ricorso sia

gruppi, movimenti o formazioni di vario genere (ma anche individui isolati), che vogliono

conseguire mutamenti radicali del quadro politico-istituzionale, sia apparati, istituzionali o

deviati, di governo interessati a reprimere il dissenso interno e a impedire particolari sviluppi

politici.”72

Peculiarità basilare della lotta terroristica è la sua organizzazione: infatti, non potendo

esaurirsi in uno o più atti singoli, essa implica un’articolata strategia, elaborata da un gruppo

che agisce deliberatamente e con continuità.73 Questo disegno si sviluppa in una serie di

70 Alex P. Schmid, Albert Jongman, Political Terrorism, a new guide to actors, authors, concepts, data bases,theories and literature, North Holland Publishing, Amsterdam 1988, p. 26.

71 Bruce Hoffman, Inside terrorism, Columbia University press, New York 2006, p. 43.72 Terrorismo, Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/terrorismo/ (visto il 10.9.2015). 73 Lorenzo Sacco, Materiali per un dibattito sul fenomeno terroristico internazionale con particolare

riferimento a quello islamico, in “Iuria Orientalia II”, Università di Roma “La Sapienza”, Roma 2006, p. 142.

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azioni dimostrative aventi lo scopo di rendere instabile il potere delle istituzioni che

s’intendono colpire. Gli obiettivi strategici del terrorismo non sono quelli di una guerra

convenzionale, come ad esempio l’occupazione militare di un territorio o la distruzione del

potenziale bellico nemico. L’intento, al contrario, è quello di alterare lo status quo mediante

l’intimidazione, la paura e la crisi. Per ottenere questo risultato, i terroristi si avvalgono di uno

strumento specifico: la spettacolarizzazione dell’evento.

Una distinzione importante in seno al terrorismo è quella tra terrorismo “internazionale” e

terrorismo “interno”: il primo implica un tipo di violenza che coinvolge cittadini di stati

diversi, mentre il secondo agisce entro i confini geografici di un solo stato e, a volte, in uno

specifico territorio. Ciononostante, è alquanto difficile trovare esempi di campagne

terroristiche esclusivamente “interne”, giacché il terrorismo, assai spesso, mira ad ottenere

supporto logistico, politico e finanziario oltre i propri confini. Altre ripartizioni si riferiscono

al terrorismo “nazionalista”, “ideologico”, “politico-religioso”, al terrorismo di stato (o

supportato da uno stato) e, infine, al terrorismo “suicida”. Il terrorismo “nazionalista” intende

instaurare un clima favorevole alla ricerca della propria autodeterminazione politica. I

terroristi, in questa prospettiva, combattono una guerra ad oltranza nel territorio che

desiderano, per così dire, “liberare” (si pensi, ad esempio, al movimento basco denominato

“ETA”, oppure all’Esercito Repubblicano Irlandese IRA, casi particolari di terrorismo la cui

analisi esula dagli obiettivi del presente lavoro). Lo scopo del terrorismo “ideologico” è

quello di mutare radicalmente il sistema politico, economico e sociale di uno stato favorendo

l’instaurarsi di una forma di governo estrema orientata verso sinistra oppure verso destra (tra

gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, esempi di questa tipologia di terrorismo

erano costituiti, ad esempio, dalle Brigate Rosse, in Italia, e dalla Rote Armee Fraktion, in

Germania, entrambi orientati verso un modello politico d’estrema sinistra e oggetto

privilegiato della presente trattazione).74

La suddivisione del fenomeno in tipologie terroristiche, così come è stata appena presentata,

si arricchisce per ovvi motivi di nuove categorie, risultato delle esperienze vissute dalla

comunità internazionale a partire dagli attacchi dell'11 settembre 2001. Il XXI secolo ha

assistito al prepotente ritorno sulla scena del fenomeno terroristico, nella sua accezione a

carattere religioso. Concentrando però l'attenzione sul contesto cronologico degli anni '60 e

74 Ibd., p. 144.

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'70, ad offrire una griglia interpretativa efficace delle caratteristiche del fenomeno in quel

lasso di tempo contribuisce ancora oggi l'opera di Walter Laqueur “History of terrorism”,

edita per la prima volta nel 1977 e ristampato dalla casa editrice Transaction Publishers nel

2011.

Laqueur individua tre forme di terrorismo attive sulla scena internazionale nel 1977:

separatista-nazionalista; Latino-americano; terrorismo urbano.

E' alla terza categoria che Laqueur riconduce quei gruppi sorti in Nord America, Europa

occidentale e Giappone i cui membri, delusi dal fallimento della nuova sinistra post-bellica,

scelsero l'opzione terroristica per sovvertire il sistema, ed è in questo gruppo che rientrano a

pieno titolo, pur con le dovute differenze di cui si renderà conto nel presente capitolo, la Rote

Armee Fraktion e le Brigate rosse. 75 Mentre però in Italia e in Germania si scelse, dopo la

delusione del '68, la strada della lotta armata, in altri contesti quali gli Stati Uniti o la Francia

sorsero gruppi che predilessero azioni dimostrative, come ad esempio i Weathermen.

Il terrorismo degli anni '70 si distinse dalle precedenti forme a carattere nazionale del

fenomeno per via delle forme di collaborazione tra gruppi dediti al terrore, operanti in Paesi

diversi, e alla luce di numerose “fertilizzazioni incrociate”. La Raf, ad esempio, ammise

apertamente e fin dal principio di ispirarsi all'esperienza dei Tupamaros, e portò avanti la

convinzione che una forma simile di guerriglia fosse applicabile al contesto delle realtà

urbane occidentali.76

Un'ulteriore differenza fu rappresentata dall'entrata in gioco di attori finora rimasti

sostanzialmente esclusi dalle logiche del terrore: le potenze straniere, che fornirono supporto

diretto o indiretto ai gruppi terroristici. Questo si tramutò nel manifestarsi di un numero

sempre maggiore di operazioni all'estero, col risultato di generare confusione in merito

all'identità e agli obiettivi dei singoli gruppi, che andarono spesso ad integrarsi o sovrapporsi

tra loro.77 Già nel 1977, Laqueur disponeva di dati sufficienti a delineare con precisione il

caso emblematico rappresentato a questo proposito dall'ambiguità dell'Urss. Nonostante i

portavoce sovietici avessero sempre condannato il terrorismo internazionale, giudicato

avventurista, elitario e obiettivamente consono agli interessi del nemico di classe, secondo

una tradizione che si richiamava a Lenin, l'Urss procurò armi, aiuti finanziari, addestramento

militare e, occasionalmente, supporto politico a vari gruppi terroristici, quelli cioè che

75 Walter Laqueur, History of terrorism, Transaction Publishers, Londra 1977, qui edizione del 2011, p. 198.76 Ibd., p. 178.77 Ibd., p. 179.

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rientrassero nella categoria di “movimenti di liberazione popolare”.78

La caduta dei terrorismi in occidente fu determinata da una moltitudine di fattori, di cui il più

rilevante viene identificato da Laqueur nel consenso popolare di cui un gruppo gode. In paesi

come l'Italia e la Germania, il terrorismo venne sconfitto nel momento in cui esso divenne

diffusamente impopolare agli occhi della popolazione. Questo avvenne solo quando il

terrorismo cessò di essere una pura e semplice “seccatura”, iniziando a causare seri

inconvenienti all'interno della società e portando alla graduale accettazione di leggi restrittive

delle libertà personali, giustificate dalla necessità di combattere efficacemente il fenomeno.79

In un saggio di recente pubblicazione, Lorenzo Bosi e Maria Serena Piretti hanno rilevato

come molte delle manifestazioni che, in età contemporanea, hanno assunto nei rapporti di

potere carattere violento, siano riconducibili ad un duplice schema interpretativo, costituito

dal weberiano monopolio dell'uso legittimo della forza, elemento fondante dell'esistenza di

uno Stato, e da un ulteriore fattore, che si trova prima della formazione degli Stati nel

concetto di obbligazione politica, ovvero il limite dell'obbligazione identificato nel diritto di

resistenza, il diritto cioè di opporsi a quel comando che venga meno al patto che lega i sudditi

al sovrano.80

E' solo ad una forma Stato organizzata, composta da una comunità di individui che vi si

riconosca pienamente e che riconosca a chi detiene il potere sia l'uso legittimo del ricorso alla

violenza nel rapporto con gli altri Stati, nonché il potere di reprimere il nemico interno, che si

può rapportare un discorso sul fattore di legittimità\illegittimità, necessario per definire il

confine labile tra ciò che rende legittimo o meno un tale comportamento tra i consociati o tra

loro e i detentori del potere.81

Nella generale stabilizzazione politica seguita al primo conflitto mondiale, è verso l'interno

della comunità-Stato che emerge la nuova natura dell'uomo nuovo come uomo in armi, nel

perpetrarsi di una politica guerriera nella quale il nemico interno, l'opposizione, può solo

essere annientata.

La caduta dei totalitarismi restituisce un quadro geopolitico contrassegnato da una dicotomia

bene\male che, sviluppandosi in un clima caratterizzato da una conflittualità “latente”

78 Ibd., p. 197.79 Ibd., p. 188.80 Lorenzo Bosi, Maria Serena Piretti, Violenza e terrorismo: diversi approcci di analisi e nuove prospettive di

ricerca, in “Ricerche di Storia Politica” 3/2008, Il Mulino, Milano 2008.81 Ibd., p. 266.

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contribuisce a dare voce alle forze antisistema, che si sentono legittimate all'uso della

violenza.82 Il caso italiano e quello tedesco rappresentano l'esempio emblematico di contesti

geografici dove una parte più o meno consistente di quei “sudditi” ritenne, a cavallo tra la fine

degli anni '60 e nel corso degli anni '70, che quel patto fosse stato violato, e che per questo

fosse giunto il momento di esercitare quel diritto di resistenza che gli era proprio.

In quanto entità giuridico-politica violenta, lo Stato, all'interno dei propri confini e del proprio

ordinamento, delegittima qualsiasi forma di violenza (sebbene organizzata) relegandola, ex

lege, in criminalità e terrorismo, mentre la pace esterna è garantita dal diritto internazionale.

Al combattente, irregolare per definizione, e alla sua forma di lotta, asimmetrica per

condizione, non sono attribuibili spazi politici né status giuridici.83 Egli è a tutti gli effetti un

criminale, anziché un combattente.

All'interno delle realtà sociali che maggiormente ci interessano ai fini di questo lavoro, quella

italiana e tedesca nel corso degli anni '70, la considerazione appena riportata si tradusse nella

pratica in un totale non-riconoscimento di una qualsivoglia statura politica degli antagonisti in

campo. Le due giovani democrazie parlamentari non ritennero mai di doversi confrontare col

fenomeno terroristico di estrema sinistra come con un problema politico, e gli apparati

d'indagine e repressione statale dei due paesi reagirono, secondo tempi e modalità dissimili,

come di fronte ad un problema di ordine pubblico e criminalità comune.

Lo scopo di questo capitolo consiste da una parte nel tracciare un quadro sintetico delle

vicende che videro il manifestarsi della violenza politica in Italia e Germania ovest,

argomento sterminato e sul quale esiste una letteratura imponente, restringendo però il campo

unicamente alla violenza di sinistra nella forma conferitole dalle due maggiori formazioni di

lotta armata per il comunismo sorte sul suolo europeo, ovvero la Rote Armee Fraktion e le

Brigate rosse; dall'altro si vuole offrire una visione d'insieme che descriva le modalità con cui

i rispettivi organismi statali si adoperarono nel contrasto del fenomeno, introducendo così un

discorso analogo, ma con attori in parte differenti, che verrà portato avanti nei capitolo 3, 4 e

5 di questo lavoro, dove si andranno ad indagare i rapporti tra le suddette formazioni

terroristiche e il servizio segreto della Germania orientale.

La ricerca italiana e tedesca insiste oggi sul fatto che la lotta al terrorismo abbia costituito in

quegli anni un processo di apprendimento che, data la sostanziale novità rappresentata dal

82 Ibd., p. 266.83 Antonio Cerella, Terrorismo: storia e analisi di un concetto, in “Trasgressioni. Rivista quadrimestrale di

cultura politica”, Arianna editrice, Firenze 2009.

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terrorismo rosso, si distinse al suo interno per la presenza di numerose insicurezze e conflitti

di competenze, mentre ci si preoccupava di fornire all'opinione pubblica l'immagine di uno

Stato “dinamico e pronto all'azione”, circostanza che si tradusse in alcuni casi nell'esecuzione

di pure operazioni di facciata da parte degli organi di polizia.84

La differenza sostanziale ravvisabile nei due contesti consistette da una parte nella reazione

statale tedesca, definita a più riprese esagerata in relazione all'effettiva minaccia portata dalle

azioni della Rote Armee Fraktion la quale, è bene specificarlo, non andò mai oltre una

consistenza numerica di effettivi nell'ordine delle poche decine di militanti; dall'altra nel

sostanziale immobilismo degli apparati d'indagine italiani, i quali ad una reazione decisa

pervennero solo dopo il sequestro Moro e la cui blanda azione di contrasto permise il

diffondersi del sospetto che allo Stato fosse mancata, almeno nelle fasi iniziali del fenomeno,

la volontà politica di operare in tal senso.

Estremamente interessante risulta a questo proposito la tesi proposta dal politologo Giorgio

Galli, il quale sosteneva che l'apparato dello stato avesse predisposto gli strumenti per

reprimere il terrorismo per tempo, ricordando come nel 1974 il neocostituito nucleo speciale

antiterrorismo guidato da Dalla Chiesa fosse pervenuto in pochi mesi all'arresto di Curcio e

Franceschini e dei vertici delle prime Br. Proprio questa precoce consapevolezza del pericolo

terrorista e la dimostrazione di essere in possesso di strumenti efficaci per contrastarlo fin dai

primi anni '70 hanno indotto Galli a pensare che il successivo sviluppo e successo del

terrorismo siano stati agevolati dal mancato utilizzo di queste capacità repressive. A riprova di

questa tesi, Galli sostiene che dopo Moro fu precisamente con queste che il terrorismo fu

sconfitto.85

Uno dei fattori che accomunò le esperienze di lotta al terrorismo dei due Paesi è costituito

dalla promulgazione di leggi speciali atte a contrastarne preventivamente la minaccia, di cui si

darà conto nel corso del presente capitolo.

84 Marica Tolomelli, Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta, ilMulino, Bologna 2006, p. 93.

85 Cfr. Giorgio Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi, Baldini eCastoldi, Milano 2004, qui con riferimento all'edizione del 2013.

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2.2. In Germania: la Rote Armee Fraktion.

2.2.1. Il legame delle prime formazioni armate tedesche col '68.

La storiografia tedesca non pone più in discussione il legame tra il movimento del '68 e la

storia della Raf, pur persistendo una distinzione tra due impostazioni predominanti: ci si

chiede oggi se la Raf non sia da intendersi come il risultato del crollo del movimento del '68,

in conseguenza del quale alcuni soggetti particolarmente politicizzati ed idealisti avrebbero

risposto con la lotta armata, nel tentativo, disperato ed isolato, di portare a termine la

rivoluzione da esso inaugurata; o se essa non sia in realtà da interpretarsi, con un'operazione

inversa, come il frutto in un certo qual senso malato delle istanze di cui quel movimento si era

fatto promotore. In breve, ci si domanda se la Raf abbia rappresentato un passo in avanti o

indietro dei suoi membri rispetto al movimento di cui essa, per definizione della stessa Ulrike

Meinhof, si sentiva figlia.86

Un recente contributo alla ricerca storica sulle origini della violenza politica in Germania e in

Italia è stato apportato dal volume a cura di Christoph Cornelissen, Brunello Mantelli e Petra

Terhoeven “Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in

Italia negli anni sessanta e settanta”, edito da il Mulino nel 2012, ai cui saggi si fa riferimento

nel presente paragrafo.

I riferimenti ideologici cui il gruppo sorto intorno ad Horst Mahler faceva capo sembrano

potersi rintracciare in primis in una delle entità che aveva contribuito ad animare e guidare il

'68 tedesco, quell'SDS all'interno del quale, già a partire dal 1967, la frazione autodefinitasi

antiautoritaria aveva preso il sopravvento, e il cui leader era il carismatico Rudi Dutschke.

Kraushaar ha messo in luce come proprio il leader dell'SDS fosse stato il primo a utilizzare il

concetto di “guerriglia urbana” nel contesto tedesco,87nella convinzione che occorressero

forme d'azione specificamente violente, quando non propriamente militari, per poter

migliorare le prospettive di un cambiamento rivoluzionario della situazione. Non va

dimenticato come un'altra caratteristica che differenziava fortemente l'impianto ideologico

della Raf da quello delle Br fosse una discordante idea della prospettiva rivoluzionaria,

lontana e da costruirsi nel tempo per la prima, “dietro l'angolo” per la seconda.

86 Wolfgang Kraushaar, Il '68 e gli inizi del terrorismo tedesco-occidentale, in Terhoeven, Cornelissen, Mantelli(a cura di), Il decennio rosso, contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli annisessanta e settanta, il Mulino, Bologna 2012, p. 204.

87 Ibd., p. 209.

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Rudi Dutschke poneva alla base della propria concezione rivoluzionaria quella ereditata dalla

guerriglia di stampo guevariano, ovvero quella del focolaio rivoluzionario. L'idea di base era

quella di completare la guerriglia operante nel terzo mondo con una guerriglia urbana nelle

metropoli occidentali. Questa considerazione vale, agli occhi di Kraushaar, a conferire al

pensiero di Dutschke una parte non irrilevante nel costituirsi dell'ideologia del gruppo, cosi'

come nella scelta di ingaggiare una guerra contro lo Stato da condursi nella forma di una

guerriglia urbana.

Un altro dei soggetti politici più attivi nel contesto del '68 tedesco fu il gruppo, decisamente

eterogeneo per composizione sociale, comunemente denominato come

Ausserparlamentarische Opposition (opposizione extraparlamentare, abbreviato in APO).

Nessuno dei membri originari della Raf può essere propriamente definito come leader

all'interno di questa variegata compagine, tuttavia Kraushaar ha potuto rintracciare un nesso

tra la componente più apertamente incline alla violenza di questo gruppo e il progetto di

guerriglia urbana nella nascita della prima formazione armata passata alla clandestinità già

nell'autunno del 1969, i Tupamaros tedeschi, nelle sue articolazioni Tupamaros West-Berlin e

Tupamaros Münich. Questi due gruppi erano guidati da Dieter Kunzelmann e Fritz Teufel, due

dei leader, insieme a Georg von Rauch, della cellula afferente alla frangia antiautoritaria

dell'APO denominata Kommune I, e alcuni dei cui membri sarebbero confluiti

successivamente nella Bewegung 2 Juni e nella Raf, come nel caso di Bommi Baumann,

Irmgard Möller e Brigitte Monhaupt.

A partire dal momento del passaggio in clandestinità, i contatti col mondo legale vennero

tenuti da Kunzelmann e Rauch per mezzo di Horst Mahler, che già nel settembre del '69 aveva

dovuto subire il rifiuto da parte di Dutschke a collaborare alla formazione di unita' di

guerriglia urbana, considerata avventata in relazione alla prospettiva rivoluzionaria della

Germania federale.88

Poco prima dell'attentato a Rudi Dutschke, la violenza aveva già iniziato a dilagare all'interno

del movimento, che tra il 1967 e il 1969 si era fortemente espanso dai suoi centri nevralgici di

Berlino e Francoforte, assumendo le caratteristiche di un movimento giovanile e perdendo

gradualmente i suoi connotati squisitamente studenteschi.89 In questo senso, l'attentato a

Dutschke contribuì a rinfocolare ancor di più le agitazioni giovanili, facendo si che il

88 Ibd., p. 215.89 Christoph Cornelissen, Centri e periferie del movimento studentesco nella Repubblica federale tedesca alla

fine dagli anni sessanta in Ibd., pp. 108-114.

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movimento si arricchisse di nuove componenti sociali e radicalizzando la discussione sul tema

della legittimità dello Stato tedesco federale.

Kraushaar, nel delineare le tappe che condussero una parte nettamente minoritaria dei

sessantottini tedeschi alla decisione di imbracciare le armi e passare alla clandestinità, indica

alcuni eventi chiave che sembrano suggerire quantomeno la tendenza di alcuni soggetti delle

frange più apertamente violente del movimento a muoversi in questa direzione.

Dopo il suddetto attentato a Dutschke iniziarono i primi attentati dinamitardi, i quali presero

di mira principalmente simboli americani. E' in questo clima che matura e viene compiuto

l'attentato incendiario ai danni dei grandi magazzini di Francoforte, che vide protagonisti per

la prima volta Baader ed Ensslin. L'incendio, appiccato nottetempo e quindi rimasto senza

conseguenze per le persone, si presentava come un attacco simbolico ai principi del

capitalismo americano, essendo stato condotto contro un “tempio del consumo”. Si tratto' solo

di danni materiali, ma l'evento segnò l'oltrepassamento di una soglia che fino a quel momento

si era apertamente evitato di superare.

Giunti a questo punto, e prima di procedere ulteriormente, Kraushaar tira le somme parziali

dell'analisi da lui condotta, giungendo alla conclusione per cui, sul piano delle ideologie e

delle teorie, “alcune delle più importanti figure del pensiero degli ultimi gruppi clandestini

derivano dall'arsenale di alcuni militanti di spicco dell'SDS, in particolare da Rudi Dutschke.

[…] (come ad esempio) la teoria del focolaio e una specifica forma della guerriglia urbana”,

mentre in riferimento alla questione dei collegamenti personali “non si può stabilire

concretamente una correlazione globale tra il movimento del '68 e il terrorismo di sinistra”

dovendo far risalire la scelta dell'escalation della violenza solo ed esclusivamente ad una

cerchia ristretta di soggetti, interni all'SDS e vicini alla figura di Rudi Dutschke la quale, dopo

aver fatto inutilmente pressione per favorire l'esplodere della violenza rivoluzionaria, percorse

quella strada autonomamente e di propria iniziativa.90 Le radici del terrorismo tedesco sono

dunque da ricercarsi, secondo le conclusioni a cui Kraushaar è giunto, in un piccolo gruppo

avanguardista che risponde al nome di Azione Sovversiva. Fu questa la prima formazione a

perseguire il concetto di un profondo rinnovamento della società, che prevedeva all'interno la

distruzione della famiglia borghese e verso l'esterno quella dell'imperialismo, mentre le figure

carismatiche di Rudi Dutschke e Dieter Kunzelmann funsero da “ponte” per la trasmissione di

concezioni radicali della società al movimento del '68.

90 Wolfgang Kraushaar, op. cit. in Ibd., p. 219.

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Insomma, Kraushaar ritiene di poter sostenere che nel momento culminante del '68 siano

riconoscibili due linee che portarono alla formazione dei primi gruppi terroristici, ma al

contempo viene messo in evidenza come queste linee direttrici non abbiano in nessun modo

rappresentato né il movimento del '68, né tantomeno l'SDS nel suo complesso, consistendo

semmai in una parte minoritaria della sua frangia antiautoritaria.91

2.2.2. La Rote Armee Fraktion.

Prima di descrivere brevemente le vicende che portarono la Rote Armee Fraktion alla ribalta

nazionale, occorre in questa sede citare alcuni punti cardine, inerenti le motivazioni che

spinsero il governo tedesco a reagire in maniera pronta e decisa contro il terrorismo del

gruppo. Per una riflessione complessiva sui sistemi di intelligence nel contesto germanofono,

non possiamo dunque non citare un fatto che si ricollega al tema generale del terrorismo

internazionale, pur senza toccare direttamente il tema che ci siamo proposti: la vicenda di

Settembre nero e il trauma che quella vicenda rappresentò per la Germania tutta. Se, come

andremo a vedere nel prossimo capitolo, la strage di Monaco e i timori da essa suscitati

portarono alla decisione, dall'altro lato della cortina di ferro, di istituire un'apposita unità

operativa del servizio segreto tedesco-orientale deputata alle attività di antiterrorismo, in

Germania ovest il fallimento dei sistemi d'indagine preventivi e la tragica conclusione della

vicenda aveva portato alla sola formazione di una unità speciale antiterrorismo, la GSG9.

Provvedimenti più radicali verranno adottati nel corso degli anni per far fronte alla minaccia

portata dalla Raf, ma l'esperienza di Monaco causò una ferita profonda nell'apparato statale

tedesco, circostanza che può in parte giustificare la reazione “esagerata” dello Stato di fronte

ad un fenomeno estremamente ristretto.

La storiografia tedesca ha operato una tripartizione della storia della Raf sulla base di alcuni

eventi chiave, descrivendo le vicende del gruppo secondo un ordine cronologico che ha

permesso nel tempo di definire gli estremi di tre generazioni di terroristi a lei ascrivibili. Per

una presentazione di carattere puramente evenemenziale, merita qui una citazione l'opera del

procuratore generale Klaus Pflieger, pubblicata nel 2004 dalla casa editrice Nomos, dal titolo

“Die Rote Armee Fraktion. 14.5.1970 bis 20.4.1998”. Il magistrato tedesco, il quale ha

collaborato nel tempo e con funzioni di volta in volta diverse in numerosi processi contro91 Ibd

48

membri del gruppo, presenta una storia completa delle azioni rivendicate dalla Raf, senza però

esibirsi in valutazioni di alcun tipo per quanto riguarda l'ideologia del gruppo, i suoi legami

col '68, la sua dimensione internazionale. Siamo di fronte ad una trattazione di lungo periodo

della storia della Raf che restituisce la profondità temporale dell'intera vicenda, aiutandoci a

focalizzare l'attenzione sull'ordine cronologico dello svolgimento degli eventi.

Secondo la ricostruzione da lui proposta, e come già accennato universalmente riconosciuta

come valida ed accettata anche dal mondo della ricerca, le tre generazioni della Raf sono

identificabili come segue:

1) La prima generazione va dalla liberazione di Andreas Baader, il 14 maggio 1970, alla

quale era seguito il primo comunicato, composto da Ulrike Meinhof e firmato Raf dal

titolo “Die Rote Armee aufbauen”. Questo nucleo originario può considerarsi

sostanzialmente sconfitto in seguito all'arresto di Baader, Ensslin e Meinhof nel

giungo 1972, mentre Mahler si trovava in carcere già a partire dall'ottobre del 1970.

2) La seconda generazione si forma a partire dal 1973, con la nascita di numerose

formazioni in diversi contesti geografici che, pur non avendo in passato mantenuto

alcun contatto diretto con i membri della prima generazione, prendono a firmarsi Raf,

dichiarando così la propria vicinanza al gruppo e supportandone apertamente il

programma politico. Stiamo parlando in particolare della Bewegung 2 Juni, che nel

1978 confluì sotto la firma della Raf. Dal carcere, il nucleo storico continua invece a

costituire un gruppo omogeneo e a portare avanti il progetto di diffondere la lotta

armata nella Repubblica federale. L'obiettivo dei membri incarcerati, che si

autodefiniscono prigionieri politici, è quello di portare avanti la lotta con i mezzi a

disposizione, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle dure condizioni

carcerarie a cui sono sottoposti, in un processo di auto-vittimizzazione teso a proporre

analogie tra la propria situazione e quella degli ebrei rinchiusi nei lager nazisti. Non a

caso, il paragone verrà posto nei termini di una dicotomia

Vernichtungshaft\Vernichtungslager.92 Il mezzo privilegiato di questa forma di lotta

diventa lo sciopero della fame. Sul piano politico, i membri in libertà perseguono

l'obiettivo dichiarato di liberare i compagni detenuti. A tale scopo, la seconda

generazione della Raf si rende protagonista delle azioni più clamorose della storia del

gruppo, ovvero la tragica occupazione dell'ambasciata tedesca di Stoccolma e il

92 Letteralmente “detenzione di annientamento\campo di annientamento-sterminio”.

49

sequestro Schleyer. La fine della seconda generazione viene tradizionalmente fatta

coincidere con il suicidio dei fondatori del gruppo nel carcere di Stammheim, seguita

al fallito dirottamento del volo Landshut e alla tragica conclusione del sequestro

nell'autunno del 1977, a cui seguono tra '78 e '79 gli arresti della nuova dirigenza

composta da Brigitte Mohnhaupt, Christian Klar e Adelaide Schulz. L'unico

comunicato prodotto della seconda generazione, sulle cui argomentazioni si baserà

l'operato della terza, è quello pubblicato nel 1982 dai membri ancora in libertà,

intitolato “Guerrilla, Widerstand und antiimperialistische Front”, nel quale si

ammetteva che la situazione in Germania federale non fosse ancora matura per lo

sviluppo della guerriglia urbana, e si paventava l'unione dei movimenti guerriglieri

europei in un unico fronte contro l'imperialismo americano.

3) Anche questa ondata di arresti non segna però la fine del progetto, che trova nuova

linfa vitale sotto la guida di Helmut Pohl, Henning Beer, Stefan Frey, Gisela Dutzi e

Ingrid Jakobsmeier. Un dettaglio da tenere in considerazione, soprattutto in rapporto

alla reazione statale federale, è l'estremamente ridotta consistenza numerica degli

attori in campo, laddove le varie generazioni della Raf non arrivarono mai a contare

oltre una trentina di militanti. La repressione poliziesca scatenata dallo Stato tedesco

in seguito al sequestro Schleyer costringe la terza generazione a muoversi in maniera

sempre più marcatamente cospirativa, portando ad un accentuato isolamento del

gruppo. Sul piano politico, la Raf si ritrova senza più referenti nazionali, e le già

scarse simpatie conquistate dalla prima e seconda generazione all'interno della società

tedesca si dissolvono completamente. Questo conduce ad un ampliarsi degli orizzonti

strategici del gruppo, ora fortemente concentrato nella ricerca di contatti e

collaborazioni internazionali che lo porteranno a fondersi nel 1984 con i francesi di

Action Directe, nel nome di un comune fronte antimperialista, e a cercare con

insistenza di instaurare un legame con il gruppo scissionista delle Br-Pcc. La Raf

proclama il proprio autoscioglimento con un comunicato il 20 aprile 1998.

Nel paragrafo precedente abbiamo potuto constatare come si tenda oggi a conferire al

movimento del '68 un ruolo non irrilevante nella nascita del terrorismo tedesco-occidentale e

della Raf nello specifico. Tra gli storici che maggiormente si sono confrontati con la storia

dell'organizzazione, e le cui opere rappresentano un valido aiuto ai fini della comprensione

della profondità temporale delle vicende ad essa relative, mi sembra doveroso citare Tobias

50

Wunschik, collaboratore del BStU che da ormai vent'anni si dedica alla storia del terrorismo

tedesco occidentale. Nel libro “Baader-Meinhofs Kinder”, Wunschik offre un'analisi

estremamente dettagliata delle vicende, delle strategie e dell'ideologia della seconda

generazione dell'organizzazione, ponendola in diretta continuità con il gruppo originario sorto

intorno a Mahler.93 Ma prima di fare ciò, Wunschik conferma quanto sostenuto nel precedente

paragrafo di questo lavoro, ovvero come la storiografia tedesca sia sostanzialmente d'accordo

nel tracciare una linea di continuità quantomeno tra alcuni elementi dell'ideologia della Raf e

il movimento del '68. Viene posto ad esempio in risalto come nei primi comunicati composti

da Meinhof e Mahler il riferimento al movimento studentesco fosse costante, e di come

nell'ideologia della Raf abbiano giocato un ruolo chiave anche quelle tematiche prettamente

terzomondiste che avevano animato la discussione del '68 tedesco: elementi quali la

solidarietà verso i popoli oppressi del terzo mondo, la concezione del sé come avanguardia e

il rifiuto della società attuale, intesa come illegittima ed autoritaria, così come la convinzione

di doverla superare in favore di un modello più giusto di convivenza sociale, erano tematiche

proprie dello Studentenbewegung, riproposte dalla prima generazione della Raf.94

Si è detto di come lo Stato tedesco abbia reagito con veemenza alla minaccia portata dal

terrorismo della Raf. Questo avvenne praticamente da subito, se si pensa che già nel giugno

del 1972 le indagini portarono alla cattura di Jean-Carl Raspe, Andreas Baader, Holger Meins,

Gudrun Ensslin e Ulrike Meinhof.95 Nel 1975 si apre ufficialmente il processo al “nucleo

storico” della Raf, preceduto di qualche mese dall'istituzione di una serie di leggi pensate

appositamente per facilitarne ed accelerarne lo svolgimento.96

Partendo dalla realtà di fatto per cui la seconda generazione del gruppo non pubblicò

comunicati che ne dichiarassero i progetti e le intenzioni, limitandosi la produzione

dell'organizzazione in questa fase ai soli volantini di rivendicazione delle azioni compiute,

l'autore sostiene che essa non avrebbe avvertito il bisogno di rilasciare dichiarazioni, essendo

la linea strategica della firma Raf già stata ampiamente chiarita dagli scritti di Meinhof e

Mahler.97 Non si ravvisano, a detta di Wunschik, ulteriori evoluzioni sul piano ideologico,

93 Tobias Wunschik, Baader-Meinhofs Kinder. Die Zweite generation der Raf, Westdeutscher Verlag, Opladen 1997.

94 Ibd., pp. 122-123.95 Klaus Pflieger, Die Rote Armee Fraktion. 14.5.1970 bis 20.4.1998, Nomos, Baden-Baden 2004, pp. 37-40.96 Ibd., p.63.97 Tobias Wunschik, op. cit., p. 160.

51

cosicché si è potuto affermare che dovesse valere per questo gruppo l'impostazione

antifascista ed antimperialista già formulata dai fondatori dell'organizzazione nei quattro

scritti da essa prodotti.98 99

Nonostante la diffusione dei proclami avvenisse in forma collettiva, sotto la firma Raf, è

possibile ricondurre gli scritti ad autori precisi. Ulrike Meinhof compose i comunicati “Rote

Armee Fraktion-Das Konzept Statdguerrilla” (aprile 1971), “Rote Armee Fraktion-

Stadtguerrilla und Klassenkampf” (aprile 1972) e quello intitolato “Die Aktion des Schwarzen

September in München- zur Strategie des anti-imperialistischen Kampfes” (novembre 1972,

dal carcere), mentre alla penna di Horst Mahler si deve la composizione del comunicato

“Kollektiv RAF: über den bewaffneten Kampf in Westeuropa” (maggio 1971), considerato lo

scritto decisivo per la comprensione dell'ideologia della prima e, di conseguenza, anche della

seconda generazione dell'organizzazione.100

E' importante a questo punto soffermarsi brevemente su un aspetto del terrorismo della Raf.

Sul piano puramente organizzativo, il gruppo non disponeva di veri e propri quadri dirigenti.

Meinhof, Mahler e Baader non ricoprirono mai un ruolo specifico di vertice tra i militanti (pur

rappresentando fino alla morte degli Stammheimer il soggetto privilegiato delle rivendicazioni

della seconda generazione), e le decisioni relative agli obiettivi e alle modalità secondo le

quali eseguire un'azione venivano decise in maniera collettiva, per mezzo di riunioni alle quali

partecipavano tutti i membri del gruppo che volessero prendervi parte.101 La Raf, dunque, non

si identificava con un leader, ma con i concetti e le idee espresse dai teorici del gruppo, ruolo

questo che fu ricoperto, almeno fino al 1982, dagli scritti di Mahler e Meinhof.

Questo non significa d'altra parte che determinati membri del gruppo non godessero di una

considerazione privilegiata da parte dei nuovi arrivati: sotto questo aspetto, un ruolo di primo

piano viene assunto nel corso del 1977 da Brigitte Mohnhaupt. Arrestata nel 1971 e tornata in

libertà nel 1977, è considerata il cervello dell'Offensive '77, conclusasi con la morte di

Schleyer e il fallimento del progetto di liberazione dei compagni detenuti.

La morte dei fondatori Baader ed Ensslin significò per la Raf un fallimento di proporzioni

epocali, e segnò l'inizio di un lento percorso di decadimento che, accelerato dalla sempre

98 Su questa stessa posizione si è attestato nel 2014 anche il politologo Christian Leutnant, il quale riprende edamplia alcuni aspetti delle affermazioni di Wunshik nell'opera “Im Kopf der Bestie”- Die Raf und ihrinternationalistisches Selbstverständnis, Tectum Verlag, Marburg. (vedi cap. 3.1.).

99 Il carattere antimperialista dell'organizzazione si ritrova fin dall'inizio, nel primo comunicato programmaticodiffuso dal gruppo nell'aprile 1971, composto da Ulrike Meinhof ed intitolato “Das Konzept Stadtguerrilla”.

100Tobias Wunschik, op. cit, p. 161.101Klaus Pflieger, op. cit., p. 23.

52

maggiore violenza ed autoreferenzialità delle azioni del gruppo, lo avrebbe condotto alla

perdita delle già flebili simpatie di cui godeva all'interno dell'opinione pubblica tedesca.102

Da parte dello Stato tedesco, il biennio 1976-1977 si caratterizza per un effettivo

potenziamento dei mezzi di repressione e contrasto. Il 18 agosto del 1976, il governo federale

introduceva nel proprio codice penale il reato di partecipazione ad associazione terroristica. Il

nuovo articolo prevedeva la punibilità anche per coloro verso i quali non fosse rintracciabile

prova alcuna dell'aver preso parte ad azioni delittuose rivendicate dal gruppo. In sostanza, la

sola appartenenza alla Raf costituiva di per sé reato penale, senza che fosse necessario

dimostrare la partecipazione di uno o l'altro membro del gruppo ad un'azione specifica.

Un'ulteriore provvedimento legislativo venne attivato durante il sequestro Schleyer: partendo

dalla considerazione per cui i membri detenuti della Raf fossero in grado di comunicare con

l'esterno (circostanza resa possibile dagli stessi avvocati dei terroristi detenuti), e che si

dovesse quindi puntare al loro totale isolamento al fine di mettere alle strette i sequestratori,

privandoli dei necessari contatti con i referenti diretti delle loro azioni, venne stabilita la

cosiddetta Kontaktsperregesetz (legge del blocco dei contatti). Entrata in vigore il 2 ottobre

1977, in pieno svolgimento del sequestro Schleyer, essa sottoponeva i detenuti più pericolosi

ad un totale isolamento, e venne disattivata già il 21 ottobre dello stesso anno, tre giorni dopo

la morte di Schleyer e degli Stammheimer.103

Nei primi anni del dopo Schleyer, l'organizzazione visse un periodo di grande incertezza, e il

gruppo si vide costretto a ripiegare su sé stesso, anteponendo la propria esistenza alla

formulazione di un qualsivoglia programma politico. Semplicemente, i membri della seconda

generazione non disponevano di un piano alternativo, nel caso in cui la liberazione dei suoi

“quadri dirigenti” fosse fallita. Ma il gruppo era fortemente intenzionato a proseguire la lotta

armata, e fu questa volontà, meramente autoreferenziale, a permettergli di riorganizzarsi, pur

dovendo modificare profondamente il proprio modus operandi. Ad ogni modo, la forsennata

lotta per la sopravvivenza di quel progetto fece si, a detta di Wunshik, che i suoi fautori non si

resero pienamente conto della sconfitta politica subita nel '77, circostanza che dovette stare

alla base della determinazione con cui i membri rimasti in libertà ripresero ad attaccare.104

Nel giro di alcuni anni, dopo aver oltretutto subito una perdita consistente nella base dei

102Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., p. 75.103Klaus Pflieger, op. cit., p. 112.104Tobias Wunschik, op, cit., p. 184.

53

militanti, dieci dei quali avevano deciso di abbandonare la lotta armata e riparare nella Ddr,

nel maggio 1982 il gruppo pubblicò il comunicato programmatico “Guerrilla, Widerstand und

antiimperialistische Front”. Lo scritto si collocava nella tradizione dettata da Meinhof e

Mahler sulla necessità di condurre una guerra antimperialista, ma presentava un elemento di

novità non irrilevante, che può a tutti gli effetti essere interpretato come una velata

ammissione di “ritirata”: la prospettiva internazionale assumeva carattere totalizzante, e si

affermava che non fosse possibile condurre una guerriglia armata nella Germania federale,

data la condizione “non matura” del proletariato urbano. L'invito, o meglio la chiamata alle

armi, rivolto a tutti i gruppi europei dediti alla guerriglia era quello ad unirsi in un comune

fronte antimperialista, prendendo di mira le istituzioni della Nato nei rispettivi paesi.105

I quadri più rappresentativi del gruppo, quei membri che da più lungo tempo portavano avanti

il progetto della Raf, vennero arrestati nello stesso anno, segnando la fine della seconda

generazione: il 26 ottobre 1982, un cercatore di funghi scopriva casualmente un arsenale del

gruppo, rivelatosi poi essere il principale di quelli a sua disposizione, in una foresta nei pressi

di Heusenstamm. L'11 novembre, Brigitte Mohnhaupt ed Adelaide Schulz vengono arrestate

dalla polizia mentre depongono nuove armi al suo interno. Cinque giorni dopo, anche

Christian Klar viene arrestato106. Con lui finisce in carcere l'ultima delle menti della seconda

generazione, senza che questo costituisca però la fine della storia dell'organizzazione.

I membri ancora in libertà condussero nel corso degli anni '80 una serie di attacchi contro

istituzioni e personalità del mondo militare e politico, concentrando le proprie attenzioni sulle

istituzioni Nato in Germania ovest e promuovendo un'europeizzazione del fronte di lotta,

strategia che condusse nel 1984 alla fusione con il gruppo francese di Action Directe. In

realtà, la cooperazione tra le due organizzazioni non andò mai oltre il livello simbolico; il 25

gennaio 1985, Action Directe uccide René Audran, direttore per gli affari internazionali della

delegazione generale per gli armamenti del Ministero della difesa francese. Il volantino di

rivendicazione porta la firma del “Kommando Elisabeth von Dyck”, e indica come il gruppo

francese avesse in un certo qual senso raccolto l'invito lanciato dalla Raf nel“Mai Papier”.

All'omicidio, segue un comunicato comune tra i due gruppi dal titolo “Für die Einheit der

Revolutionäre in Westeuropa”107. Raf ed Action Directe annunciavano la nascita di un comune

105Kai Lemler, Die Raf im Kontext des internationalen Terrorismus, pp. 132-145.106Klaus Pflieger, op. cit., p. 133.107Per l'unità dei rivoluzionari nell'Europa dell'ovest.

54

fronte antimperialista su suolo europeo, mettendo in scena un atto fortemente simbolico di

autorappresentazione che Tobias Wunshik non ha esitato a definire esagerato108, in relazione

all'effettiva consistenza numerica dei due gruppi, i cui militanti si attestavano nel 1985 ben

sotto la soglia delle cento unità.109 Da questo momento in poi, e fino allo smantellamento di

Action Directe nel 1987, gli attentati della Raf porteranno le firme di entrambe le

organizzazioni.

Le caratteristiche di questa terza generazione dell'organizzazione sono state descritte in

maniera approfondita dallo storico dell'università di Regensburg Alexander Strassner, che

nell'opera del 2003 “Die dritte Generation der Raf. Entstehung, Struktur, Funktionslogik und

Zerfall einer terroristischen Organisation” ne offre una lettura basata sui caratteri che

differenziarono questo (in parte) nuovo gruppo dalla seconda generazione, ancora legata ai

principi enunciati dai leader storici e i quali ancora perseguivano un obiettivo, la loro

liberazione, insignito di una valenza politica.

I parametri di valutazione proposti dall'autore fanno riferimento ai quattro concetti di base di

“Entideologisierung”, “Isolierung”, “Professionalisierung” ed “Internationalisierung”.110

Col primo termine si è voluto indicare la sostanziale mancanza di tematiche prettamente

ideologiche negli scritti pubblicati a partire dal 1984. Se, come abbiamo appena descritto, la

liberazione dei compagni detenuti rappresentò l'obiettivo essenziale dei successori del gruppo

fondatore, con la morte di questi e la nascita del mito della “notte della morte di Stammheim”

venivano a verificarsi due ordini di conseguenze: cadeva ogni obiettivo politico, ma nasceva

un mito destinato ad attrarre nuovi membri, fattore che sembra aver giocato un ruolo di primo

piano nella sopravvivenza dell'organizzazione alla dura sconfitta dell'Offensive 77.

La nuova generazione di terroristi fa del “primato della pratica” la propria ragion d'essere. Il

concetto era presente già in Meinhof e Mahler, nei quali scritti costituiva certamente un punto

fermo dell'azione del gruppo, ma con la terza generazione questo aspetto assume ora

caratteristica di esclusività. Le prime due generazioni della Raf avevano scelto gli obiettivi dei

propri attacchi basandosi sul criterio della rappresentazione simbolica del sistema attraverso la

vittima111 (così Schleyer rappresentava ad esempio quella classe politica di provenienza

nazista che ora, ricoprendo ruoli di responsabilità e potere nella Repubblica federale,

108Tobias Wunscik, op. cit., p. 404.109Klaus Pflieger, op. cit p. 144.110Alexander Strassner, Die dritte generation der Raf. Entstehung, Struktur, Funktionslogik und Zerfall einer

terroristischen Organisation, Vs Verlag fuer Sozialwissenschaften, Wiesbaden, 2003, pp. 278-324.111Ibd., p. 278.

55

costituiva un legame di continuità tra i comuni caratteri repressivi della dittatura e dello Stato

moderno). In quest'ottica, gli efferati omicidi perpetrati dalla terza generazione, di cui molti

portati avanti con una finalità puramente pratica, come nel caso dell'omicidio del ventenne

soldato statunitense Edward Pimental, non potevano trovare alcuna giustificazione ideologica,

né tantomeno favorire l'accrescimento del consenso intorno alle azioni del gruppo. Pimental

venne adescato il 7 agosto del 1985 in un nightclub di Francoforte da Birgitte Hogefeld,

condotto in un bosco ed ucciso con un colpo alla testa, allo scopo di sottrarne il pass personale

per poter accedere alla base aerea Nato di Reno-Meno. Il giorno seguente, un'autobomba

esplose nel piazzale della base uccidendo un militare, una donna, e provocando 17 feriti.

L'azione venne rivendicata in comune con Action Directe. L'omicidio Pimental venne

duramente criticato sulle pagine del TAZ (Berliner Tageszeitung) del 15 agosto. Il 25 agosto,

la Raf pubblicò un comunicato dove giustificava debolmente l'omicidio, adducendo finalità

pratiche (la necessità di ottenere il suo pass).112

Per quanto riguarda i parametri di Isolierung e Profesionalisierung, si è già detto di come la

Raf godesse agli albori degli anni '80 di una cerchia di simpatie estremamente ristretta,

essendosi ormai interrotto ogni legame tra il gruppo e gli ambienti della sinistra

extraparlamentare tedesca. Le aspirazioni internazionalistiche della Raf avevano condotto ad

un totale abbandono di tematiche nazionali, rappresentando al contempo la causa e l'effetto

del suo progressivo isolamento.113Nella sostanza, le operazioni della terza generazione non si

andarono mai a collocare in una strategia organica volta a migliorare le condizioni di vita

della classe lavoratrice tedesca. A questi fattori si aggiunse un comportamento di estrema

cautela da parte dei membri del gruppo, giustificato dagli arresti dell'82 e dell'estate '84, che si

tramutò in un sempre più rigorosa osservanza delle regole della clandestinità e condusse ad un

sempre minor numero di arresti, andando di contro ad aggravare la già citata situazione di

isolamento.114 Diretta conseguenza di questa rinnovata cautela fu un accentuato processo di

professionalizzazione terroristica: gli attentati compiuti nel corso degli anni '80, perlopiù

dinamitardi, vennero pensati e realizzati per ridurre quanto più possibile i rischi di un

arresto.115

All'inizio degli anni '90, la Raf si trova ad operare in un quadro geopolitico completamente

mutato. L'Urss cessa di esistere, la Ddr si dissolve nel processo di riunificazione tedesca, i112Klaus Pflieger, op. cit., p. 146.113Alexander Strassner, op. cit., pp. 283-290.114Tobias Wunschik, op. cit., p. 406.115Ibd., p. 407 e Alexander Strassner, op. cit., pp. 291-297.

56

membri del gruppo che ivi risiedevano vengono arrestati. La Wiedervereinigung viene bollata

col termine di “annessione” della Ddr da parte dell'imperialista Repubblica federale,116

dichiarazione a cui la Raf fa seguire pochi mesi dopo il suo ultimo omicidio, quello del

direttore del Treuhandanstalt117 Detlef Carsten Rohwedder.

L'omicidio Rohwedder segna la conclusione dell'esperienza militare della Raf: questa, pur

continuando formalmente ad esistere e dichiarando il proprio autoscioglimento solo il 4 aprile

1998, pubblica il 10 aprile 1992 un documento, redatto dagli illegali e accettato dai membri

in carcere, tra cui quadri di primo piano della seconda generazione come Christian Klar e

Brigitte Mohnhaupt, dove si rinuncia ad un'ulteriore escalation dello scontro, prendendo atto

delle mutate condizioni politiche seguite alla fine della guerra fredda. Il crollo dell'Urss, il

fallimento della rivoluzione antimperialista mondiale e l'amara constatazione di non essere

più in grado, come organizzazione, di attrarre a sé nuovi membri, conducono la Raf alla

decisione di interrompere le proprie azioni, tuttavia alla condizione che i membri ancora in

carcere vengano liberati. Se quindici anni prima la seconda generazione aveva perseguito

l'obiettivo della liberazione dei prigionieri politici per mezzo di azioni violente, sequestri ed

attacchi dinamitardi, stavolta la rivendicazione assumeva i connotati di un debole ricatto: se la

richiesta non fosse stata accolta, gli attacchi sarebbero ricominciati. Consapevole della propria

debolezza, l'organizzazione cerca in sostanza di pervenire quantomeno ad un minimo

risultato.118

Ad incidere sulle sorti del gruppo contribuisce all'inizio degli anni '90 il fenomeno della

dissociazione. Ispirandosi alla situazione italiana, dove la legge sulla dissociazione aveva

favorito nel corso degli anni '80 la lotta al terrorismo, il 9 giungo 1989 il governo tedesco

promulga una legge di simile tenore, prevedendo un consistente sconto di pena per quei

terroristi o ex-terroristi che si fossero dichiarati pronti ad abbandonare o rinnegare la lotta

armata, nonché a fornire informazioni sui membri ancora attivi del gruppo, “scomparsi dallo

schermo radar” proprio in virtù della crescente cautela osservata.119

Il primo a beneficiare della nuova legge è Werner Lotze, uno dei dieci Aussteiger, costituitosi

di propria spontanea volontà nel Luglio 1990 e seguito poco dopo da Inge Viett, Monika

Helbing, Silke Maier Witt, Henning Beer, Sigrid Sternbeck e Ralf Baptist Friedrich.

Il 6 gennaio 1992, il ministro della giustizia federale Klaus Kinkel propone di scarcerare quei116Tobias Wunschik, op. cit., p. 408.117Ente federale per la privatizzazione delle imprese pubbliche della ex-Ddr.118Tobias Wunschik, op. cit., p. 410.119Klaus Pflieger, op. cit., p. 167.

57

terroristi condannati all'ergastolo e in cella già da lungo tempo che accettassero di

abbandonare per sempre il progetto di lotta armata. Nel novembre dello stesso anno sette

membri detenuti fanno richiesta di scarcerazione, dopo aver scontato oltre quindici anni di

pena. La richiesta viene accolta dal governo federale e nel corso del 1994 numerosi ex-

terroristi vengono rilasciati.

Il fenomeno della dissociazione conduce ad una rottura nel gruppo. Una frazione dei detenuti,

costituita sostanzialmente dai membri della seconda generazione e con a capo Brigitte

Mohnhaupt, critica duramente i compagni dissociati in una lettera diffusa il 28 ottobre 1993,

accusandoli di aver tradito la storia dell'organizzazione e di aver trattato con lo Stato.

La fine non tarda ad arrivare: alla fine di maggio del 1996, Helmut Pohl auspica uno

scioglimento del gruppo, prendendo atto del fatto che il contrasto tra illegali e prigionieri non

abbia condotto all'auspicata trasformazione della Raf in una forza politica rivoluzionaria. Non

potendo in alcun modo essere rifondata, il suo progetto deve concludersi.120

La risposta dei membri ancora in clandestinità arriva per mezzo di un comunicato all'agenzia

di stampa Reuters, due anni dopo. Il 20 aprile del 1998 la Raf cessa ufficialmente di esistere,

lasciando dietro di sé trentaquattro vittime, che diventano trentasette se vi si aggiungono

quelle provocate dalle azioni della Bewegung 2 Juni, confluita nella Raf nel 1978.121

2.2.3. La risposta dello Stato.

Ai fini di una trattazione che si propone di analizzare nel dettaglio metodi e forme

d'intervento degli apparati repressivi nei confronti del terrorismo rosso nei contesti presi in

considerazione, allo scopo di introdurre poi un discorso che veda come protagoniste quelle

stesse formazioni di lotta armata e i loro rapporti o meno con un'intelligence del blocco

comunista, un aspetto fondamentale è rappresentato proprio dalla descrizione delle modalità

con cui gli apparati dei Paesi dove il fenomeno si manifestò si rapportarono alle suddette

formazioni.

Per la Germania, un quadro d'insieme è stato composto dal già ripetutamente menzionato

storico e collaboratore del BStU Tobias Wunschik, in un articolo apparso nel 2008 sulla

rivista “Ricerche di Storia Politica”, nel quale l'autore mette a confronto le metodologie della

lotta al terrorismo nei due diversi contesti tedeschi. E' sulla sua sintetica ed esemplificativa

120Ibd., p. 178.121Ibd., p. 183.

58

trattazione che si sviluppa questo breve paragrafo.

In Germania, la lotta al terrorismo fu portata avanti in prima istanza dalle forze di polizia, che

procedettero per mezzo di indagini ufficiali e riservate. Sul piano legislativo, ci si mosse nella

direzione di attribuire al ramo esecutivo nuove competenze, circostanza che diventa evidente

nel caso della legge sull'associazione terroristica. Questo comportò un accentramento, un

rafforzamento, una centralizzazione ed una specializzazione delle forze di polizia, la cui

consistenza numerica aumentò di circa il 40% tra il 1970 e il 1980.122 La polizia tedesca si

avvalse con successo, soprattutto nella seconda metà degli anni '70, delle pratiche accurate di

censimento dei fiancheggiatori, e il compito venne agevolato dalla collaborazione spontanea

degli affittuari dei combattenti clandestini, che spesso denunciavano gli inquilini e che

portarono a numerosi arresti. Nonostante ciò, gli organi di polizia mostrarono sempre delle

lacune, portando in qualche caso alla fuga di elementi di spicco della Raf.

Parallelamente, gli apparati d'informazione vennero gradualmente riorganizzati e coinvolti

nelle operazioni. Nel giugno 1972, il Verfassungsschutz (servizio per la difesa della

costituzione) assunse ufficialmente le competenze relative all'impiego degli strumenti di

acquisizione delle informazioni, vedendo crescere i propri effettivi dai 2200 del 1968 alle

circa 8000 unità del 1980.123 Si creò una situazione caratterizzata da forti limitazioni dei

compiti tra polizia e servizio, laddove quest'ultimo doveva investigare senza l'autorità della

seconda, e la seconda doveva perseguire i crimini, pur essendo spesso chiamata a prevenirli,

dando vita a frequenti incertezze nelle decisioni e conflitti. Nella lotta al terrorismo, il

Verfassungsschutz si avvalse principalmente di mezzi tradizionali quali le intercettazioni

telefoniche, mentre l'utilizzo di infiltrati e informatori si rivelò sempre molto problematico:

gruppi come la Raf, l'identità dei cui membri era spesso ignota e i quali agivano in forma,

come si è visto, strettamente cospirativa, offrivano un ristretto margine d'azione.124

Wunschik cita a titolo d'esempio il caso di Klaus Steinmetz, considerato l'informatore di

maggior spicco negli ambienti della Raf. Vicino agli ambienti dell'estrema sinistra, Steinmetz

viene ingaggiato dal servizio per la difesa della costituzione della Renania-Palatinato già nel

1971. Nel febbraio 1972 viene contattato dalla clandestinità da Birgit Hogefeld che tentava di

riorganizzare il gruppo dopo i primi arresti, cercando un dialogo con l'ambiente della sinistra

122Tobias Wunschik, I servizi segreti e il terrorismo di sinistra nella Repubblica federale e nella Ddr, in“Ricerche di Storia Politica” n° 3\2008, il Mulino, Bologna 2008, p. 311.

123Ibd., p. 313.124Ibd., p. 313.

59

estrema. La sua collaborazione portò all'identificazione di Hogefeld ed altri membri, ma il suo

caso resta una fortunata eccezione.

Si è detto di come nel corso degli anni '80 la Raf fosse andata incontro ad un sempre più

marcato isolamento, accentuato ulteriormente proprio dalla rinnovata cautela ed adesione alle

regole della clandestinità. Questa circostanza rese più difficili le indagini della polizia, che

mutò la propria strategia tentando di separare autori di reati disponibili alla collaborazione dai

loro gruppi nel tentativo di dar vita a fenomeni diffusi di dissociazione, ma anche questa

iniziativa riportò un successo solo parziale, data la refrattarietà dei terroristi a denunciare

compagni ancora in libertà.125 Una spinta decisiva in questo senso fu rappresentata dalla

promulgazione, nel 1989, del regolamento per i collaboratori di giustizia, che riduceva le pene

di un terzo per coloro i quali si fossero dimostrati disponibili a fornire indizi utili

all'identificazione e cattura dei membri ancora in attività. Di tale regolamento usufruirono

principalmente gli Aussteiger, da tempo fuori dalle vicende e arrestati nella Ddr nel corso del

1990, mentre i terroristi detenuti si mostrarono poco propensi a ricevere ricompense per il

tradimento dei propri compagni.126

2.3. In Italia: le Brigate rosse.

2.3.1. Il '68 italiano. Movimento operaio, rivolta studentesca e culture a confronto.

La violenza politica in Italia si dispiegò con intensità e durata del tutto peculiari nello scenario

europeo, peculiarità dovuta ai tratti specifici assunti nel nostro paese dalla mobilitazione

giovanile e sociale sviluppatasi in Europa e negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli

anni '60, nonché ai contesti e le culture sociali che alimentarono quei movimenti e il loro

radicalismo. Se, fino a questo momento, il tentativo di dare una risposta ai numerosi

interrogativi sull'origine e le caratteristiche della violenza politica italiana hanno alimentato

una vasta letteratura, che ha tuttavia visto prevalere testi di carattere giornalistico o

pubblicistico, nonché memorialistico, la ricerca storica propriamente detta è invece in

consistente ritardo, e questo nonostante istituzioni come l'Istituto Cattaneo abbiano dedicato

già a partire dal 1981 un'attenzione specifica alle vicende storiche delle organizzazioni

armate.127 Tra le opere di recente pubblicazione che hanno tentato di colmare questa lacuna

125Ibd., p. 317.126Ibd., p. 317.127Emmanuel Betta, Violenza politica e anni settanta in “Contemporanea” a. XVI, n. 4 ottobre-dicembre 2013,

60

meritano menzione in primis (in un'ottica di studi comparativi dei terrorismi nei due paesi) il

già citato volume curato da Cornelissen, Mantelli e Terhoeven, nonché la raccolta di saggi a

cura di Simone Neri Serneri “Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra

radicale degli anni Settanta”, edita nel 2012 dalla casa editrice bolognese il Mulino, che offre

una rassegna di contributi utili a comprendere meglio alcuni dei fattori che concorsero alla

scelta, operata da una parte consistente del mondo dell'estrema sinistra, di passare alla

clandestinità e sposare l'idea di un abbattimento violento del sistema politico vigente.

Le tensioni in Italia, il meno sviluppato dei paesi capitalistici Europei, riflettevano da un lato

l'inadeguata redistribuzione di un accresciuto benessere, dall'altro furono il frutto

dell'inadeguatezza delle classi dirigenti nel fronteggiare e governare le aspettative scaturite dai

cambiamenti epocali cui il paese era andato incontro nel corso di una sempre più accentuata

industrializzazione.128

Il divampare della violenza politica fu, secondo quanto ha sostenuto Neri Serneri, il sintomo

estremo di una crisi del sistema politico imperniato sui partiti di massa e, al tempo stesso, il

banco di prova della loro capacità di rinnovamento. Una prova sostanzialmente fallita, se è

vero che il dispiegarsi della violenza politica valse ad arginare la profonda crisi di prospettiva

e proposta in cui versava il partito di governo, costringendo l'opposizione comunista a

legittimarsi sul terreno della difesa delle istituzioni anziché portare avanti un serio programma

di riforme strutturali della società italiana.129

Il '68 italiano fu il completamento di un processo iniziato nel dopoguerra. Esso segnò il

manifestarsi di istanze e tensioni scaturite dagli stessi processi che avevano trasformato

radicalmente le società postbelliche e costretto le sue culture a rifondarsi, per dare un senso e

un ordine al mondo nuovo davanti al quale ci si trovava. In Italia, la constatazione che a

guidare il processo di rinnovamento fossero sostanzialmente ancora delle elite ristrette,

nonché in gran parte eredi di un passato, il ventennio fascista, che ancora aleggiava

pesantemente sulla storia della giovane democrazia, portò allo svilupparsi di un movimento

che faceva della parola chiave dell'antiautoritarismo il proprio cavallo di battaglia. Questo

contribuì ad espandere il conflitto in tutti quegli ambiti ove fosse percepita la presenza di

Il mulino, Bologna 2012.128Simone Neri Serneri, Contesti e strategie della violenza e della militarizzazione nella sinistra radicale, in

Simone Neri Serneri (a cura di) Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra radicale deglianni settanta, Il Mulino, Bologna 2012, p. 13.

129Ibd., p.15.

61

un'autorità coercitiva delle libertà personali: la scuola, il lavoro, la famiglia.130

In Italia, questi fattori trovarono espressione in una mobilitazione sociale particolarmente

ampia, che nel biennio '67-'69 andò a coinvolgere e vide confluire in forme organizzative

comuni componenti molto eterogenee della società, portando alla fusione delle proteste

studentesche e giovanili con le rivendicazioni operaie. Le lotte sindacali per il rinnovo del

contratto, radicalizzatesi nel '69 e portate avanti da una classe operaia relativamente giovane e

meno intenzionata che in passato a lasciar condizionare la propria vita dal lavoro di fabbrica,

vengono “autogestite” e incontrano il movimento studentesco, portando alla nascita dei

“collettivi operai-studenti”; il movimento operaio gestisce le sue lotte in autonomia, fuori dai

dettami dei propri referenti storici, sindacati e Pci. Tuttavia, il riflusso di queste lotte entro i

canali sindacali, tramite un'azione di recupero volta a riabilitare il ruolo del sindacato in

qualità di mediatore delle proteste operaie rappresentò, nell'autunno del '69, la sconfitta delle

sinistre rivoluzionarie, ampiamente presenti negli ambienti di fabbrica. Inoltre, il clima di

mobilitazione generale dell'autunno '69 aveva contribuito a favorire il ritorno, nella classe

media italiana e tra i ceti dirigenti, di timori nei confronti di ulteriori spostamenti a sinistra

dell'asse politico. In questo contesto, la situazione si rese allarmante anche agli organi

dell'alleanza atlantica, portando all'esecuzione della strategia della tensione. Le lotte, invece

che tramutarsi in una spinta decisiva verso l'ulteriore apertura del sistema politico-

istituzionale, finirono per provocarne la paralisi, ponendo tutte le premesse per la chiusura

definitiva dell'esperienza riformatrice del centro-sinistra e per la lunga crisi degli anni '70.131

Un discorso sulla violenza politica e la lotta armata non può prescindere dal rapporto di questa

con le culture dominanti nel contesto italiano, quella marxista e quella cattolica.

Marco Scavino ha messo in luce come tutta la sinistra estrema traboccasse, all'inizio degli

anni '70, di retorica rivoluzionaria, e di come all'interno di questa retorica una ruolo non

indifferente fosse ricoperto dalla non esclusione a priori dell'uso della forza.132 Su tutti, pesava

la consapevolezza di avere di fronte a se uno stato permeato a tutti i livelli di tentazioni

autoritarie, che copriva il terrorismo neofascista ed agiva in una condizione di sovranità

limitata dalle esigenze strategiche dell'imperialismo statunitense.133 All'indomani del '68-69,

130Ibd., p. 19.131Marco Scavino, La mobilitazione dei lavoratori industriali in Italia nel biennio 1968-1969, in Cornelissen,

Mantelli, Terhoeven (a cura di), op. cit., pp. 147-165.132Marco Scavino, La piazza e la forza. I percorsi verso la lotta armata dal Sessantotto alla metà degli anni

settanta, in Simone Neri Serneri (a cura di ), op. cit., pp. 117-203.133Ibd., p. 137.

62

quando cioè il movimento era già in forte riflusso, si sviluppò sempre più un discorso sulla

lotta armata, che sembrava essersi resa necessaria in virtù dello stragismo di Stato.

Piazza Fontana, che nella riflessione storiografica e memorialistica sulle vicende che stettero

all'origine della lotta armata rappresenta una chiave di svolta nella riflessione e che viene

spesso considerata nella costruzione del mito della “perdita dell'innocenza”, rappresenta

ancora, a detta dello storico Marco Crispigni, il vero fattore di eccezionalità del '68 italiano.

Fu la miccia che, per Crispigni, innescò e fece esplodere quella bomba, la quale, fino ad

allora, si era palesata solo nella forma di una forte retorica rivoluzionaria, presente fin da

subito nel movimento, all'interno del quale la tradizione marxista rivoluzionaria rappresentava

la corrente maggioritaria. Lo stato risponde con le stragi alle richieste di cambiamento,

portando la prospettiva della violenza da un livello di non escludibile possibilità ad uno

ulteriore di necessità.134

Ad ogni modo, non tutti i gruppi della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria scelsero la

strada lotta armata. Gruppi come Lotta continua e Potere operaio svilupparono un tipo di

dibattito interno tale da costituire in un certo senso il retroterra politico-ideologico, ma anche

pratico organizzativo, di quasi tutte le esperienze combattenti che maturarono

successivamente. Se queste due organizzazione possono essere definite come movimentiste,

muovendo dal presupposto per cui alla fine del 69 ci si trovasse ancora in una situazione tale

da rendere la rivoluzione impraticabile, perché immatura, linea questa tenuta anche nel corso

degli anni '70 in aperta critica nei confronti delle Br, queste invece vollero alzare il livello

dello scontro attaccando lo Stato e svincolandosi così dal movimento.135 Ingaggiare uno

scontro diretto con lo stato in quanto organizzazione armata d'avanguardia e pretendere di

formare un “partito comunista combattente” dall'esterno dei movimenti di massa non

costituivano affatto una prospettiva valida, per quanti continuavano invece a cercare i modi

per coniugare strettamente la violenza di massa e quella d'avanguardia, le lotte sociali e le

azioni armate, la dimensione di movimento e quella del gruppo combattente.

Il dibattito dei rapporti tra la cultura cattolica e la lotta armata degli anni '70 affonda le sue

radici nel clima teso dei giorni del sequestro Moro. Se le Brigate rosse facevano parte del

“ritratto di famiglia” del Partito comunista italiano, Giorgio Bocca si era di contro domandato

134Marco Grispigni, La strage è di stato. Gli anni settanta, la violenza politica e il caso italiano, in Simone NeriSerneri (a cura di), op. cit., pp. 93-116.

135Marco Scavino, La piazza e la forza, p. 172.

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se non vi fosse una matrice religiosa alle origini del fenomeno brigatista, coniando il concetto

di “cattocomunismo”:

Si è trovato persino un nome per il padre del terrorismo rosso: cattocomunismo. Non solo perché alcuni dei

terroristi più noti […] sono stati cattolici praticanti […], ma per il modo totalizzante di porsi di fronte alla vita e

alla società, perché è cattolico e comunista il bisogno di risposte totali e definitive, il rifiuto del dubbio, la

sostituzione del dovere ragionato con la fede, il bisogno della Chiesa di autorità, di dogma, giustificato dal

solidarismo sociale, e l’attesa dell’immancabile paradiso, in cielo o in terra. […] I “cristiani del dissenso”, quelli

che vogliono il vangelo in terra, non conoscono tappe intermedie, non approdano a partiti laici o liberali, vanno

di filato in un’altra chiesa, marxista-leninista. Il cattocomunismo infatti non è soltanto il padre del terrorismo

rosso, è anche la contraddizione di fondo di una nazione, l’italiana, messa insieme dalla borghesia laica e

risorgimentale, con una cultura costruita dai laici liberali o socialisti; che nel 1948, improvvisamente, alla prova

della democrazia di massa, del voto universale, scopre di essere cattolica e comunista e consegna la costruzione

della democrazia a un partito di governo, la Dc, e a uno di opposizione, il Pci, entrambi di tradizioni e di cultura

antidemocratiche.136

In tempi più recenti, questo dibattito si è arricchito dell'apporto fornitogli dalle opere di Guido

Panvini, ricercatore dell'università della Tuscia, prima in un articolo del 2012, intitolato

“Cattolici e violenza politica” e pubblicato nel 2012 dalla casa editrice Aracne all'interno del

volume curato da Vincenzo Schirripa “L'Italia del Vaticano II”, poi nel 2014 con la

pubblicazione del volume monografico “Cattolici e violenza politica. L'Altro album di

famiglia del terrorismo italiano”, edito da Marsilio.

Panvili indaga il rapporto tra violenza e cultura cattolica negli anni '60 e '70, mostrando come

la concezione etico-teologica della violenza e la liceità morale del suo ricorso furono temi

ampiamente circolanti nei diversi ambiti del cattolicesimo politico e sociale degli anni '60,

decennio in cui si assiste ad una ripresa dell'antiautoritarismo cattolico erede della Resistenza,

in una nuova accezione di stampo anticomunista. Il campo sembrò dividersi tra quanti si

proponevano di respingere il comunismo con riforme istituzionali e quanti con mezzi illegali.

Gli esecutivi di centro-sinistra al governo negli anni '60 avevano rappresentato per molti

l'anticamera della dittatura sovietica, spingendo così numerosi cattolici verso l'estrema destra

reazionaria e stragista.137

Un percorso di mobilitazione inverso sembra essere invece quello percorso dagli elementi

136Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano, 1970-1978, Rizzoli, Milano 1978, p. 24.137Guido Panvini, Cattolici e violenza politica. L'Altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio

Editori, Padova 2014, p. 7.

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cattolici che si avvicinarono alla lotta armata “rossa”. Il Concilio Vaticano II aveva spostato la

lente d'ingrandimento sui popoli sfruttati del terzo Mondo, mettendo a nudo le contraddizioni

del sistema capitalistico anche di fronte al mondo cattolico. Nell'enciclica Populorum

Progressio, Paolo VI ammetteva che, di fronte ai progressi dell'economia e della scienza, la

povertà in quei territori non fosse più tollerabile e la ribellione, anche armata, diveniva uno

stato di necessità, teologicamente giustificata dalla stessa dottrina della Chiesa.138 Nonostante

la moderatezza dei toni, l'enciclica del '67 venne interpretata da molti militanti cattolici come

il segno che il vero pericolo per l'umanità provenisse dal capitalismo, anziché dal comunismo.

Si diffuse la percezione, così Panvini, che “un nuovo potere si stesse impossessando della

terra”139, che “la società dell'opulenza avesse allontanato gli uomini dalla fede” in

un'inarrestabile spirale di “scristianizzazione” del genere umano. Questo potere stava

portando miseria e distruzione nel terzo Mondo, e cerando forme inedite di povertà nelle

società occidentali.

Ci si domandò allora se non fosse lecito ricorrere alla violenza per arginare la deriva in corso,

prendendo esempio da quanto accaduto in America Latina a partire dai primi anni '60, dove

molti religiosi cristiani avevano sposato la Teologia della liberazione e imbracciato le armi

contro le dittature. Risulta evidente, ad un'analisi più approfondita, come questa serie di fattori

abbia influito profondamente nei singoli percorsi di mobilitazione seguiti dai cattolici durante

le proteste sociali della fine del decennio, portandoli in un numero di casi non irrilevante a

stringere contatti con il mondo del marxismo, predominante nel movimento del '68, e ad

imbracciare il fucile contro lo Stato nella sua veste di “filiale” dell'imperialismo.140

La durata temporale del fenomeno, che subì un'escalation durante tutto il decennio 70

raggiungendo il suo apice in concomitanza del movimento del '77, risultò strettamente

connessa da un lato all'incapacità della classe dirigente italiana di guidare il paese attraverso

un cambiamento epocale, dall'altro dalla recrudescenza dello stragismo neofascista durante

tutti gli anni '70, un fenomeno “in attesa di sistemazione storiografica” secondo la definizione

di Aldo Giannuli, il quale ha posto l'accento sulla situazione attuale degli studi in materia di

terrorismo nero, estremamente lacunosi se paragonati a quelli sulla lotta armata

rivoluzionaria, dove si produce un'asimmetria vistosa, in virtù delle numerose pubblicazioni

138Ibd., p. 8.139Ibd., p. 8.140Guido Panvini, Cattolici e violenza politica, in Vincenzo Schirripa (a cura di), L'Italia del Vaticano II,

Aracne, Roma 2012.

65

uscite per mano di magistrati e studiosi che si sono occupati di terrorismo rosso.141 Questa

tendenza si pone come sintomo della difficoltà a confrontarsi con un fenomeno che godette di

ampio sostegno, da parte di settori non marginali della borghesia italiana, e i cui esecutori

materiali furono collusi con altrettanto importanti settori degli apparati di sicurezza, tanto

italiani quanto americani.142

2.3.2. Le Brigate rosse.

In questo contesto di forte conflittualità sociale si inserisce l'esperienza brigatista. Esse non

furono l'unica organizzazione a praticare la lotta armata in Italia, pur essendo quella che

meglio seppe strutturarsi e darsi obiettivi ambiziosi.143 Già nell'ottobre del 1969 nasceva a

Genova su iniziativa di Mario Rossi, Augusto Viel, Rinaldo Fiorani e Silvio Malagoli il

gruppo denominato XXII Ottobre, il quale si rese protagonista del primo episodio di lotta

armata sequestrando, il 5 ottobre 1970, l'imprenditore Sergio Gadolla, ed ottenendo il

pagamento di un riscatto di 200 milioni di lire.144

L'ondata di arresti seguita alla rapina all'Istituto autonomo case popolari (IACP) del 21 marzo

1971, nel corso della quale aveva perso la vita il commesso trentunenne Alessandro Floris,

portò già nel corso di quell'anno allo smantellamento del gruppo, i cui membri ancora in

libertà confluirono nei Gruppi di Azione Partigiana (GAP), fondati dall'editore e guerrigliero

Giangiacomo Feltrinelli a Milano nel 1969.

La formazione di Feltrinelli, fermamente convinto della necessità di organizzare una

guerriglia di resistenza in Italia in previsione di un imminente colpo di stato fascista, e i cui

timori si erano fatti più giustificabili in seguito alla strage di piazza Fontana e alla successiva

ondata di indagini ed arresti nel mondo della sinistra estrema, si contraddistingueva per una

concezione della lotta armata che, pur rifacendosi come modello originario alla guerra di

liberazione partigiana, si presentava come fortemente influenzata da elementi tipici della

teoria fuochista guevariana. Le testimonianze dei brigatisti hanno dimostrato il ruolo di “padre

spirituale” della lotta armata svolto dall'editore, amico personale di Fidel Castro e impegnato

141Aldo Giannuli, Stragismo, movimenti e sistema politico. Dalla strage di piazza Fontana all'attentato allastazione di Bologna, in Cornelissen, Mantelli, Terhoeven (a cura di), op. cit., pp. 249-265.

142Ibd., p. 252.143Marco Clementi, op. cit., p. 20.144Giorgio Galli, op. cit., p. 7.

66

in quegli anni ad intessere rapporti con la sinistra rivoluzionaria europea. Feltrinelli ipotizzava

un “esercito internazionale del proletariato” composto da “avanguardie strategiche

rivoluzionarie”, ispirandosi ai movimenti guerriglieri cubani, vietnamiti e all'esperienza

maoista e divenendo il maggior divulgatore in Italia della nuova tendenza rivoluzionaria

terzomondista, che sarebbe divenuta fonte ispiratrice del movimento del Sessantotto. La casa

editrice da lui fondata nel 1954 pubblicò scritti di Castro, Guevara, Mao, Ho Chi Minh, Giap

e altri leader e teorici rivoluzionari; in particolare, Feltrinelli diresse tra il 1962 e il 1967

l'edizione italiana di Tricontinental, organo bimestrale dell'Organizzazione di solidarietà dei

popoli d'Asia, Africa e America Latina, organismo sorto dopo la conferenza dell'Avana del

1966.145

Piazza Fontana convinse l'editore che i tempi fossero maturi per un golpe, e che solo la lotta

armata e il passaggio in clandestinità avrebbero potuto contrastare il corso degli eventi.

I primi contatti tra Feltrinelli ed il nucleo originario delle Brigate rosse vengono fatti risalire

da Curcio al 1968, anno in cui il fondatore dell'organizzazione militava negli ambienti intorno

a Sinistra proletaria e del Collettivo Politico Metropolitano (CPM).146

Le prime due brigate nascono ed operano nei due grandi complessi industriali milanesi della

Pirelli e della Sit-Siemens, in un contesto politico che nella primavera del '70 ha visto

approvare lo Statuto dei lavoratori, una delle più grandi conquiste dei mondo operaio nel

secondo dopoguerra, ma che coincise con una profonda ristrutturazione nelle fabbriche del

nord, che portò al taglio di molti posti di lavoro e provocò la ripresa, nel luglio di quello

stesso anno, di una durissima lotta operaia.147

La prima azione firmata Brigata rossa fu compiuta il 17 settembre 1970 contro l'auto del

manager della Sit-Siemens Giovanni Leoni, in seguito alla quale venne diffuso il comunicato

n. 1 intitolato “Repressione, Capi, Capetti, Fascisti”. Il volantino denunciava il tentativo della

dirigenza aziendale di reprimere la classe operaia attraverso licenziamenti, denunce e l'uso di

manovalanza di destra per intimorire le maestranze. Già a partire dal primo volantino,

risultano evidenti alcuni tratti caratteristici del brigatismo: una lettura della società divisa in

classi, ereditata dalla tradizione marxista-leninista; l'antifascismo; il legame con il contesto

operaio, soggetto rivoluzionario per eccellenza di cui le Br cercarono le simpatie, e dal quale

145Francesco M. Biscione, Giangiacomo Feltrinelli, Enciclopedia Treccani, www.treccani.it (visto il17.12.2015).

146Cfr Mario Scialoja, Renato Curcio (a cura di), A viso aperto. Vita e memorie del fondatore delle Br,Mondadori, Milano 1993.

147Marco Clementi, op. cit., p. 18.

67

trassero a lungo la linfa vitale che le permise di esistere.

Il linguaggio del gruppo si caratterizzò fin da subito per i richiami all'esperienza della

Resistenza, di cui si proponeva di continuare l'opera incompiuta: la rivoluzione, a cui il Partito

comunista italiano aveva voltato le spalle nel corso della sua “lunga marcia verso le

istituzioni”. Il collegamento con la guerra partigiana rappresenta, soprattutto fino all'arresto

dei leader storici Alberto Franceschini e Renato Curcio nel 1974, una tematica imprescindibile

nel linguaggio brigatista, nonché un riferimento simbolico ed autolegittimante dell'azione del

gruppo.

Le prime azioni brigatiste consistono in piccoli atti di giustizia proletaria, strettamente

connessi al mondo di fabbrica, durante i quale vengono danneggiati beni materiali

appartenenti a dirigenti d'azienda, ma l'escalation non tarda ad arrivare, e già nel corso del

1971 le Br escono dalle fabbriche, individuando due nuovi nemici della classe operaia: il

Movimento Sociale Italiano e la Democrazia cristiana, nel gergo brigatista “fascisti in camicia

nera e bianca”.148 Nel 1972, nel corso di una campagna contro l'elezione del democristiano

Giovanni Leone alla presidenza della Repubblica, vengono incendiate le auto di numerosi

dirigenti della destra nazionale, ma il vero punto di svolta viene raggiunto col primo

rapimento politico della storia dell'organizzazione. Il 3 marzo viene sequestrato brevemente il

dirigente della Sit-Siemens Idalgo Macchiarini. Caricato su un furgone Fiat 850, Macchiarini

viene sottoposto ad un rapido “processo popolare”, fotografato con una pistola puntata alla

testa e ed una sulla guancia, un cartello appeso al collo riportante la stella a cinque punte e la

scritta “Brigate rosse. Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne

cento. Tutto il potere al popolo armato”.

Tuttavia, l'area della sinistra extraparlamentare era già dall'anno precedente tenuta sotto stretta

osservazione. Dopo il sequestro Macchiarini, si decise di smantellare l'organizzazione,

ritenuta la più pericolosa tra quelle dell'estrema sinistra. Alla metà di marzo, la polizia arrestò

un folto gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, ma non poté trattenerli a lungo

perché la legislazione vigente non permetteva l'arresto preventivo. Molti dei rilasciati erano

brigatisti, come Giorgio Semeria ed Heidi Ruth Peusch.149

Il 15 marzo moriva Giangiacomo Feltrinelli durante un'operazione di sabotaggio, segnando la

fine dell'esperienza gappista. Le Brigate rosse condussero un'inchiesta, della quale

pubblicarono i risultati nel documento “Cronaca della morte del compagno Osvaldo”. Si

148Marco Clementi, op. cit., p. 34.149Ibd., p. 40.

68

concludeva che egli fosse morto per “imperizia”. Il compagno Osvaldo era salutato come

“autentico rivoluzionario”, e a lui si doveva il grande impulso dato alla conoscenza del Che

Guevara e alla riformulazione di una strategia che, attraverso Marighella e i Tupamaros,

spostò l'epicentro della rivoluzione dalla campagne ai grandi centri urbani.150

Il primo duro colpo, le Br lo subirono in seguito alla collaborazione dell'ex brigatista Marco

Pisetta con il servizio segreto italiano SID. Pisetta era stato arrestato nel marzo 1970 ed aveva

rilasciato ai carabinieri una serie di dichiarazioni che avevano condotto all'arresto di alcuni

militanti. Tornato in libertà, il 2 maggio del '72 egli viene arrestato di nuovo nell'ambito di

una vasta operazione contro l'organizzazione, che porta gli organi d'indagine a scoprire alcune

basi milanesi e ad arrestare una trentina di militanti, e tutto proprio grazie alla delazione del

suddetto. Mara Cagol, Alberto, Franceschini, Renato Curcio, Mario Moretti e pochi altri

sfuggono all'arresto, e nel corso del '73 l'organizzazione riesce a ricostituirsi e tornare in

attività.

Nel 1974, le brigate rosse decidono di “alzare il livello dello scontro”, nel contesto di una

strategia di ampio respiro che punta ora a disarticolare le strutture stesse dello stato. Viene

rapito a Genova il giudice Mario Sossi, responsabile dell'arresto dei membri della XXII

Ottobre. É il primo sequestro lungo della storia dell'organizzazione, e le Br pongono la

condizione della liberazione dei “compagni della XXII ottobre”.151 Evenienza che lo Stato

seppe evitare con uno stratagemma, fornendo in un certo qual senso il pretesto per quello che

sarà il comportamento intransigente tenuto dall'organizzazione nei giorni del sequestro Moro.

Questo “balzo in avanti” ricevette forti critiche da parte degli altri gruppi della sinistra

extraparlamentare, in particolare da parte di Lotta continua e Potere operaio, più propensi a

muoversi all'interno del movimento per indirizzarne e gestirne le istanze che non a condurre

azioni militari illegali. Come la Raf, anche le Brigate rosse si percepiscono come

un'avanguardia armata che guida ed orienta il partito, ma a differenza dei tedeschi i brigatisti

dispongono di una non pienamente definibile area di simpatizzanti all'interno delle fabbriche.

L'innalzamento del livello dello scontro e la progressiva fuoriuscita dal contesto di fabbrica,

in favore di una battaglia condotta contro quella Dc che i brigatisti identificano in toto con lo

Stato, porta ad una prima frattura tra questa avanguardia e la classe sociale di cui essa sostiene

di rappresentare gli interessi.

Tuttavia l'anno 1974 è stato identificato dalla storiografia recente come un anno di svolta, che

150Ibd., p. 41.151Ibd., p. 47.

69

segna l'acuirsi della violenza politica nel suo complesso, sia rossa che nera.152 Sul piano

nazionale ed internazionale, esso segna la fine della cosiddetta età dell'oro dell'economia

occidentale, inaugurata dalla grave crisi petrolifera del '73 e conclusasi con lo scandalo

Watergate e il crollo delle dittature fasciste in Portogallo, Grecia e Spagna.

In Italia si assiste ad un espansione del fenomeno della lotta armata, con la nascita dei Nuclei

Armati Proletari (NAP) e di tante altre formazioni caratterizzate da una marcata

estemporaneità. La crisi in cui i gruppi extraparlamentari erano andati incontro nel corso del

1973 aveva portato allo scioglimento di Potere operaio e al riversarsi di numerosi militanti

nelle file delle Br o del magmatico mondo dell'Autonomia operaia. Abbracciando una vasta

cerchia di circoli giovanili composti perlopiù da un proletariato urbano nuovo, prodotto della

crisi del '73 e che abbracciava studenti lavoratori e precari di settori marginali del terziario,

“l'Operaio sociale” teorizzato dal leader di Potere operaio Toni negri, contribuì a diffondere

l'illegalità di massa grazie al ruolo decisivo svolto dalle riviste legali “Senza tregua” e

“Rosso”, divenute dopo il sequestro Sossi punti di riferimento per gli ex militanti di Lotta

continua e Potere operaio.

Alcune delle formazioni derivate dal bacino dell'Autonomia confluirono nel '74 in Prima

Linea. Questa proponeva un modello di lotta armata alternativo a quello brigatista,

caratterizzato da movimentismo e iniziale rifiuto della clandestinità. Tramite un riadattamento

dell'operaismo di Lotta continua al nuovo contesto sociale, il gruppo teorizzava l'identità tra

massa ed avanguardia, in contrasto alla visione brigatista che attribuiva questo ruolo al partito

armato.153

I primi omicidi delle Brigate rosse giungono quasi per caso, e non sono ancora il sintomo di

un ulteriore innalzamento del livello dello scontro. Il 17 giugno, durante un'azione contro una

sede dell'Msi a Padova rimasero uccisi, si dirà per inesperienza del brigatista che sparò, due

giovani militanti missini, circostanza che venne valutata come un errore in un volantino

successivo.154 Se Moretti descrive però questo episodio come una tragica fatalità, opinione

ripresa da Marco Clementi nel suo “Storia delle Brigate Rosse”, non è dello stesso avviso

Giorgio Galli, il quale riporta la notizia di un'esecuzione vera e propria, dimostrata dalla

presenza dei cadaveri stesi a terra e con le mani legate.155

152Monica Galfré, La lotta armata. Forme, tempi, geografie, in Simone Neri Serneri (a cura di), op. cit., pp. 63-91.

153Ibd., p. 80.154Mario Moretti, Carla Mosca, Adriana Rossanda (a cura di), op cit., p. 72.155Giorgio Galli, op. cit., p. 60.

70

Alla metà di luglio di quello stesso anno, il ministro della Difesa Giulio Andreotti destituì un

gruppo di generali e ammiragli allo scopo, lo dichiarerà poi, di sventare un colpo di stato

previsto per il 10 agosto. Il 4 agosto, una bomba di provenienza neofascista esplose sul treno

Italicus, provocando 12 morti e 105 feriti, segnando un riacutizzarsi della strategia della

tensione.

I successivi arresti di Curcio e Franceschini rappresentarono uno dei maggiori successi

conseguiti dallo Stato italiano nei confronti del terrorismo brigatista. Tramite una sapiente

operazione d'intelligence, i carabinieri erano riusciti ad infiltrare nell'organizzazione Silvano

Girotto, un parroco conosciuto come “frate mitra” in virtù dei suoi trascorsi di guerrigliero in

America Latina. Questi condusse all'arresto dei due dirigenti del gruppo l'8 settembre 1974.

Moretti scampò all'arresto.156

La vicenda Girotto apre uno spiraglio su un punto cruciale dell'esperienza brigatista,

concernente il tema della risposta dello Stato al fenomeno: questa fu segnata da profonda

discontinuità, alternando grandi successi a momenti di estrema stagnazione. Ritengo si possa

considerare sostanzialmente valida l'impostazione proposta da Giorgio Galli, e confermata in

altra sede da Marco Clementi,157 secondo cui gli organi d'indagine e repressione furono

attraversati nel corso degli anni '70 dal manifestarsi di numerosi conflitti di competenze,

nonché dal manifestarsi di due tendenze in contrasto tra loro; quella cioè di chi avrebbe voluto

estirpare il brigatismo fin da subito e chi, nel tentativo di “destabilizzare” (il paese) per

“stabilizzare” avrebbe invece lasciato agire il brigatismo per un periodo di tempo

estremamente lungo e funzionalmente alla strategia della tensione.158

Il '75 fu un anno difficile, nel corso del quale le Br subirono numerosi arresti e dovettero

assistere alla morte di un altro membro del gruppo storico: il 5 giugno, Margherita Cagol

muore in uno scontro a fuoco con i carabinieri, giunti alla cascina Spiotta di Acqui Terme nel

corso delle ricerche della prigione dell'industriale Vallarino Gancia, sequestrato dalle Br a

scopi di autofinanziamento poche ore prima.

Sembra che l'organizzazione debba dissolversi definitivamente sotto i colpi degli uomini del

generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, ma il gruppo riesce nuovamente a

riorganizzarsi e ad attrarre a se nuovi militanti. Un successo l'organizzazione lo registra con la

liberazione di Renato Curcio, condotta da un commando guidato da Cagol poco prima della

156Ibd., p. 63.157Cfr Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Milano 2003.158Giorgio Galli., op. cit., p. 51.

71

sua morte.

Tuttavia, i nuclei di dalla Chiesa riescono già nel gennaio 1976 ad individuare il covo

milanese di via Maderno, grazie all'aiuto di un informatore, ed ivi trovano ed arrestano, dopo

una breve sparatoria, Nadia Mantovani e, di nuovo, Renato Curcio.

Il 1976 è anche l'anno che segna l'inizio del maxiprocesso al nucleo storico delle Brigate rosse

e della svolta politica operata dal Pci in favore della nuova idea berlingueriana di

Eurocomunismo, che significa in sostanza una completa rottura del Pci con Mosca e, nella

percezione brigatista, il completo abbandono dell'idea rivoluzionaria. Molti dei procedimenti

contro membri e simpatizzanti dell'organizzazione arrestati a partire dal 1972 vengono

riunificati, e il processo si apre a Torino il 17 maggio.

Il processo di Torino rappresenta un importante esempio di come le Brigate rosse sfruttassero

il piano simbolico nel tentativo di autolegittimarsi davanti allo stato e all'opinione pubblica. I

membri processati trasformarono il procedimento in un ”processo guerriglia”, cercando di

operare un'inversione dei piani che trasformi gli accusatori in accusati. Circa il processo, che

venne accompagnato all'esterno da una consistente azione di propaganda armata da parte dei

militanti in libertà, mi sembra di poter concordare con l'affermazione di Marco Clementi,

secondo cui esso segnò un mutamento nel modus operandi delle Br: le azioni brigatiste

iniziarono a non presentarsi più come espressione di uno scontro di classe, ma come uno

scontro aperto tra il gruppo e lo Stato, compiendo un ulteriore passo nel processo di

“scollamento” dell'avanguardia dalla sua base, quella operaia.159

A Torino, i brigatisti sotto processo revocarono il mandato ai difensori d'ufficio, dichiarandosi

combattenti comunisti e puntando al riconoscimento dell'esperienza brigatista come un

fenomeno politico, anziché criminale. In questo contesto prese forma e maturò l'omicidio, l'8

giugno, del procuratore generale di Genova Francesco Coco. Nel '74, Coco si era opposto alla

liberazione dei detenuti politici richiesta dalle Br nel corso del sequestro Sossi, e la sua

esecuzione venne rivendicata il giorno seguente in sede di processo. Per Moretti, questo fu il

punto in cui le Br iniziarono a perdere sempre di più ogni riferimento alla classe operaia: da

questo momento in poi, la “sola verifica della nostra linea starà nella capacità di metterla in

atto, riprodurci e durare.”160

Il 1977 segnò per l'Italia l'inizio di una nuova ondata di protesta sociale, sfociata in un vasto

movimento che vede nella contestazione al sistema dei partiti e della rappresentanza sindacale

159Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 147.160Mario Moretti, Carla Mosca, Rossana Rossanda, op. cit., p. 98, in Clementi, Ibd, p. 150.

72

la propria ragion d'essere. Il movimento del '77 fu caratterizzato da una violenza diffusa e

generalizzata, alla quale presero parte solo alcune categorie sociali e dalla quale la classe

operaia rimase sostanzialmente esclusa. Le Brigate rosse non presero parte a quegli eventi,

concentrandosi nel proseguire la propria offensiva contro lo Stato-Dc.

All'interno della strategia di disarticolazione dei poteri dello Stato, l'organizzazione brigatista

si pose in netto contrasto nei confronti dell'uso generalizzato della violenza, che nelle azioni

brigatiste veniva sempre debitamente modulata dal significato politico conferito all'obiettivo e

al tipo di azione condotta: un rapimento, un omicidio o un ferimento non ricoprivano la stessa

valenza simbolica. Per dirlo ancora una volta con le parole di Moretti le brigate rosse

credevano di “controllare il messaggio (politico) graduando la ferita inferta”.161

Nel corso della campagna per impedire lo svolgimento del processo di Torino si passò

all'attacco degli organi di stampa, accusati di demonizzare la guerriglia e di essere per questo

parte del sistema fascista e repressivo dello Stato. Vennero portati a termine i ferimenti dei

giornalisti Vittorio Bruno, Indro Montanelli e del direttore del Tg 1 Emilio Rossi.

Il '77 segna l'apparire di una nuova creazione teorica delle Br, il cosiddetto Stato Imperialista

delle Multinazionali (SIM). Con questa definizione, i brigatisti ipotizzavano l'esistenza di un

governo ombra mondiale formato dalla “trilateral”, ossia dai maggiori rappresentanti dei

governi statunitense, giapponese e dell'Europa atlantica, che stava dirigendo la ristrutturazione

della Nato, del Fondo monetario internazionale e di altre organizzazioni intergovernative per

trasformarli in reali momenti di dominio internazionale sui singoli paesi. A questi organismi si

sarebbe aggiunta l'istituzione di speciali unità “antiguerriglia”, col compito di reprimere la

rivoluzione del proletariato.162 Una simile teorizzazione fu probabilmente in parte dovuta

all'esperienza del sequestro Schleyer, dove l'unità speciale GSG9 aveva operato su suolo

straniero lasciando sospettare la formazione di simili unità anche in Italia, e delle quali i

nuclei speciali di Dalla Chiesa avrebbero fatto parte.

La Dc rappresentava l'asse portante del progetto di costruzione dello SIM, mentre il Pci, pur

essendosi ormai ridotto al ruolo di un partito revisionista, non ne avrebbe fatto direttamente

parte.

In questo stesso anno, se da un lato l'entrata in funzione del circuito dei camosci

rappresentava una svolta nella politica di sicurezza portata avanti contro il terrorismo,

161Ibd., pp. 111-112.162Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 179.

73

dall'altro i servizi segreti italiani andarono incontro ad una profonda ristrutturazione. E' in un

contesto di non piena efficienza degli apparati d'indagine e polizia e che vede la ripresa, nel

gennaio, del processo di Torino, che nel marzo 1978 matura il sequestro Moro.

Con Moro si ritenne di colpire il “cuore dello Stato”, il presidente della Dc, colui che più di

ogni altro dirigente politico aveva dedicato la propria vita alla ricerca di una via che

permettesse l'ingresso del Pci nei palazzi del potere.

Secondo la logica brigatista il processo a Moro, concepito come processo a quella Dc in toto

di cui l'uomo politico rappresentava solo un potente simbolo, avrebbe portato a galla le

profonde contraddizioni in cui versava lo stesso Pci. Mettendo la Dc con le spalle al muro,

sarebbe emersa la volontà della base comunista di fare pressione sul Pci, costringendolo ad

operare, se non per la rivoluzione, almeno per una sostanziale trasformazione del sistema

socio-politico italiano, anziché arroccarsi nella difesa dello status quo e di un'astratta idea di

Stato, come poi inaspettatamente avvenne.163

La tragica conclusione del sequestro Moro rappresentò un fallimento politico di grandi

proporzioni per le Brigate rosse, le quali non riuscirono ad ottenere il tanto agognato

riconoscimento politico e si avviarono da quel momento in poi sulla via del tramonto. Si perse

completamente la capacità di incidere sugli equilibri politici del paese, precipitando sempre

più in una spirale di autreferenzialità a cui si aggiunsero le spinte scissioniste seguite alla

cattura dell'ultimo leader carismatico del gruppo, Mario Moretti, avvenuta il 4 aprile del 1981.

Un altro dei fattori che contribuirà alla fine dell'esperienza brigatista è costituito

dall'introduzione, in data 6 febbraio 1980, della legge sulla dissociazione, che garantiva una

significativa riduzione di pena per i condannati per reati di terrorismo che si mostrassero

disposti a collaborare con le forze dell'ordine, fornendo indicazioni utili all'individuazione di

covi brigatisti e militanti sconosciuti agli inquirenti.

Le azioni brigatiste si fecero via via più rarefatte nel corso degli anni '80, segnando

un'ulteriore evoluzione destinata ad accentuare il già citato scollamento delle Br dal contesto

operaio nel quale esse si erano costituite. L'imperialismo americano diventa l'obiettivo

primario delle azioni delle scissioniste Br-pcc (Partito comunista combattente), e il 17

dicembre 1981 l'organizzazione rapisce il generale statunitense James Lee Dozier. La sua

liberazione, avvenuta quarantadue giorni dopo per mano dei gruppi speciali guidati da Dalla

Chiesa, costituì il punto di non ritorno per l'organizzazione, falcidiata dagli arresti e successivi

163Giorgio Galli, op. cit., pp. 106-128.

74

pentimenti del commando guidato da Antonio Savasta, figura sulla quale non verranno mai

sopiti i dubbi che si trattasse già da tempo di un collaboratore dei servizi segreti.164

Proponendosi di lanciare un “Fronte Internazionale Antimperialista”, progetto nel quale

maturerà l'omicidio del generale e diplomatico statunitense Leamon Hunt, ucciso il 15

febbraio dell'84 a Roma, le Br-Pcc si presentano come quelle che maggiormente tentarono di

inserirsi in un contesto di lotta dai caratteri marcatamente internazionalisti, pur concependo e

giustificando le proprie azioni in un'ottica ancora legata alla situazione italiana. E' a questa

frangia del brigatismo italiano che si deve il tentativo, promosso dalla Raf a partire dalla

seconda metà degli anni '80, di costituire un fronte internazionale di guerriglia; proposito che

non andò mai oltre una semplice dichiarazione d'intenti, con la diffusione nel settembre 1988,

poco prima dell'autoscioglimento delle Br, di un comunicato congiunto nel quale si

giustificava tale necessità alla luce del fatto per cui “L’Europa occidentale è il PUNTO

CARDINE nello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.”.165

Il 1988 segna la fine dell'esperienza brigatista, sancita dalla pubblicazione in data 23 ottobre

di un lungo documento166 da parte di alcuni membri detenuti tra cui Prospero Gallinari e

Bruno Seghetti, in cui si dichiarava la fine della lotta armata brigatista e la sconfitta del

movimento rivoluzionario, resasi inevitabile in virtù della mutata situazione politica italiana

ed internazionale.

2.3.3. La risposta dello Stato.

Analogamente al discorso intrapreso per le forme che la lotta al terrorismo assunse nel

contesto tedesco federale, è necessario ai fini di questa trattazione riportare brevemente anche

la storia delle suddette modalità nel nostro paese.

In Italia, la lotta al terrorismo si sviluppò in modo intermittente, alternando grandi successi a

periodi di stagnazione pressoché totale, aggravata da conflitti di competenze che

contribuirono a rendere più complicata l'opera di contrasto del fenomeno. Se da un lato questa

circostanza ha indotto storici, politologi167 e giornalisti a formulare il sospetto che fosse

mancata per un certo lasso di tempo la volontà politica di intervenire, una risposta a tali

164Ibd., pp. 199-209. 165http://www.bibliotecamarxista.org/serra/1988_10_13%20Roma.htm (visto il 19.12.2015).166Prospero Gallinari, “Partiamo una volta tanto da un dato che ci riguarda”, stralci in Marco Clementi, op. cit.,

p 372.167Si è già detto a tale proposito di come già Giorgio Galli prediligesse questa impostazione nel volume

“Piombo Rosso”.

75

sospetti è stata data nel 2001 dalla Commissione stragi, la quale è giunta alla conclusione per

cui è impossibile negare, almeno fino al 1978, la presenza di carenze ed omissioni nella

prevenzione e nella repressione sia delle varie formazioni della sinistra estrema che della

destra eversiva, ma sostenendo anche come queste carenze siano da ricondursi più

ragionevolmente alla casualità o all'insuccesso di operazioni ispirate ad una specifica tecnica

di contrasto, descritta dalle parole del colonnello Umberto Bonaventura, uno dei più stretti

collaboratori del generale Dalla Chiesa, come condotta dalla logica investigativa secondo la

quale si tese a “colpire i rami secchi”, lasciando in libertà i soggetti più in vista allo scopo poi

di controllarli e sviluppare ulteriormente le indagini.168

Ad ogni modo, l'area della sinistra extraparlamentare venne costantemente monitorata fin dai

primi mesi degli anni '70, ma è solo in seguito al sequestro Macchiarini che si decide di

passare all'azione contro la più pericolosa delle formazioni che, in quell'ambiente,

propagandavano la lotta armata, ovvero le Brigate rosse. A metà marzo, l'arresto di numerosi

militanti della sinistra extraparlamentare e il loro rilascio pressoché immediato pose il

problema dell'assenza di una legislazione in grado di offrire maggiori possibilità

investigative.169

L'attività d'intelligence si espletò fin dalle fasi iniziali nell'uso di informatori, come diventa

chiaro nella circostanza che portò all'arresto di una trentina di militanti e alla scoperta di

alcune basi milanesi grazie alla defezione di Marco Pisetta nel 1972.

Nel 1974, in pieno svolgimento del sequestro Sossi, si assiste all'istituzione del Nucleo

speciale di polizia giudiziaria guidato dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa,

deputato esclusivamente al contrasto del terrorismo. A questa unità speciale si deve l'arresto di

Alberto Franceschini e Renato Curcio, grazie ad una sapiente operazione d'intelligence che

porterà ad infiltrare il religioso guerrigliero Silvano Girotto tra le file brigatiste.

Il 1975 segna la promulgazione della prima legge speciale contro il terrorismo, la legge Reale,

le cui innovazioni, essenzialmente di tipo repressivo, sono rinvenibili nei seguenti articoli:

-l'art. 3 estendeva il ricorso alla custodia preventiva, anche in assenza di flagranza di reato, di

fatto permettendo un fermo preventivo di 96 ore (48+48) entro le qual andava emesso decreto

di convalida da parte dell'autorità giudiziaria.

-l'art. 5 vieta l'uso del casco e di altri elementi potenzialmente atti a rendere in tutto o in parte

168Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabilidelle stragi, doc. XXIII n° 64, Volume primo, Tomo 1, p. 21-22.

169Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, pp. 39-42.

76

irriconoscibili i cittadini partecipanti a manifestazioni pubbliche, svolgentesi in pubblico o in

luoghi aperti al pubblico.

-l'art. 14 consente alle forze dell'ordine di usare legittimamente le armi non solo in presenza di

violenza o di resistenza, ma comunque quando si tratti di «impedire la consumazione dei

delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio

volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona».170

Un'ulteriore misura repressiva da parte dello Stato era già stata istituita con l'articolo 90 della

legge di riforma del sistema penitenziario italiano del 1975, la quale prevedeva la creazione di

un circuito di carceri speciali per gli autori di atti pericolosi per la sicurezza di Stato. Il

“Circuito dei camosci” venne inaugurato tra la fine del 1976 e il luglio del 1977, con la

costituzione di reparti speciali da utilizzare all'interno degli impianti prescelti e dei quali

venne messo a capo Dalla Chiesa.

E' il sequestro Moro a segnare un'improvvisa accelerazione nelle indagini e negli arresti. Nel

1978 vengono alla luce i reparti speciali antiterrorismo della polizia (GIS, Gruppo

d'Intervento Speciale) e dei carabinieri (NOCS, Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza).

Inoltre, con un decreto interministeriale il Presidente del Consiglio Andreotti, di concerto con

il Ministro dell'Interno Rognoni e il Ministro della difesa Ruffini, il 9 agosto del 1978

nominano il generale Dalla Chiesa “Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti

Informativi per la lotta contro il terrorismo” a decorrere dal 10 settembre 1978 fino al 9

settembre 1979, un accentramento di competenze con cui si voleva mettere fine ai continui

conflitti operativi tra i vari apparati informativi e repressivi. Nel settembre del 1979, allo

scadere del mandato che conferiva poteri speciali al generale, lo stesso venne rinnovato senza

termini di data. Tale reparto, lavorando a stretto contatto con i magistrati, riuscì nella cattura

di Patrizio Peci, primo pentito nella storia dell'organizzazione, le cui dichiarazioni portarono

alla scoperta della base genovese di via Fracchia e allo smantellamento della colonna

genovese.

Ulteriori passi vengono compiuti, sul fronte legislativo, nel corso del 1980. Si assiste

all'emanazione della legge n° 15 del 6 febbraio 1980, meglio nota come “legge Cossiga”,

nella quale si attribuivano maggiori poteri esecutivi ai corpi di polizia e che introduceva in

Italia il principio giuridico della dissociazione: questa legge nasceva come un'evoluzione di

un decreto straordinario antiterrorismo, emanato nel dicembre del '79, con alcune modifiche

170Il testo completo della legge venne pubblicato sul n° 136 del 24 maggio 1975 della Gazzetta ufficiale dellaRepubblica italiana.

77

ad articoli del codice penale, per favorire la lotta contro i gruppi terroristici agevolandone

l'uscita dalla lotta armata degli aderenti tramite sconti di pena offerti a chi forniva

informazioni.171

Si dovette invece ad un colpo di fortuna la scoperta della base brigatista più importante

d'Italia, quella in via Monte Nevoso a Milano: il ritrovamento del borsello di Lauro Azzolini,

smarrito nel luglio 1978 a Firenze, permette agli uomini di Dalla Chiesa di rintracciare il

brigatista. Una serie di pedinamenti consente di individuare altre basi, e il primo ottobre scatta

il blitz decisivo che ne causa la caduta.172

Merita menzione un'ulteriore e problematica vicenda, per mezzo della quale lo Stato italiano

credette di poter risolvere il problema del terrorismo rosso, ovvero il cosiddetto “teorema

Calogero”. Gli arresti nel mondo dell'Autonomia operaia del 7 aprile 1979, effettuati nella

convinzione che esso costituisse il “mare in cui il terrorismo nuotava” e che si dovesse quindi

prosciugare questo mare, furono una pratica ai limiti della legalità. Il processo che ne seguì,

conclusosi con poche e, nella maggior parte dei casi, effimere condanne, si attirò le aspre

critiche di Amnesty International, che accusò le autorità italiane di aver commesso numerose

irregolarità nel procedimento contro Negri e gli altri, di aver manipolato la vicenda e di una

carcerazione preventiva lunga (configuratasi come pena anticipata, in assenza di giudizio,

sminuendo l'importanza del dibattimento e quindi della difesa).173

2.4. Conclusioni.

Nel presente capitolo si è voluto tracciare un quadro sintetico delle vicende che precedettero e

poi videro lo sviluppo delle due più longeve formazioni terroristiche sorte sul suolo europeo,

rintracciandone brevemente il legame con le mobilitazioni sociali del '68. I due gruppi si

presentarono, sia in Italia che in Germania, come fattori fortemente destabilizzanti

dell'ordinamento sociale e politico delle due giovani democrazie, suscitando in entrambe i

contesti una più o meno decisa reazione statale.

Proprio la reazione statale e le misure di contrasto messe in campo dagli apparati repressivi

nei due differenti contesti geografici, di cui si è dato conto nei paragrafi 2.2.3 e 2.3.3.,

171Il testo completo della legge è visualizzabile online sul sito del Ministero di grazia giustizia, www.giustizia.it(visto il 3.11.2015).

172Cfr. Giorgio Galli, op. cit., p. 135 e Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse., p.225.173Luther Blissett Project, Dal Teorema Calogero al diritto di difesa su “Nemici dello Stato. Criminali, “mostri”

e leggi speciali nella società di controllo”, http://www.lutherblissett.net/archive/078-07_it.html (visto il17.12.2015).

78

rappresentano il punto di partenza per introdurre il discorso della seconda parte di questo

lavoro. Come abbiamo avuto modo di vedere, il governo federale e quello italiano applicarono

metodi e strategie non molto diverse tra loro, facendo uso al tempo stesso dei mezzi

investigativi tradizionali e delle operazioni di intelligence propriamente dette, quali

l'infiltramento delle organizzazioni armate o il reclutamento di informatori nella scena

dell'estrema sinistra.

In entrambe gli Stati si fece ricorso all'istituzione di leggi appositamente pensate per

contrastare efficacemente e preventivamente il terrorismo, dotando di maggiori poteri gli

organi repressivi e cercando, nella fase di riflusso del fenomeno negli anni '80, di ottenere

quanti più dati possibile dalle confessioni dei terroristi detenuti, ai quali vennero offerti

consistenti sconti di pena.

Invertendo il punto di osservazione, oltrepassando cioè idealmente la cortina di ferro,

andremo ora a confrontarci con un tema analogo, quello dei rapporti tra organi repressivi e

terrorismo, affrontandolo però dal punto di vista del Ministerium für Staatssicherheit della

Ddr. Come si rapportò la Stasi alla nascita e allo sviluppo del terrorismo internazionale e, più

nel dettaglio, delle formazioni di lotta armata trattate nel presente capitolo?

Nei capitoli che seguono si cercherà di darne conto in maniera puntuale, andando a descrivere

l'esistenza (o meno) di questi contatti nei due contesti geografici, la loro modalità, la loro

durata, la loro finalità, dando conto delle numerose teorie di carattere dietrologico sorte

intorno al tema dei rapporti tra terrorismo rosso e blocco comunista e fornendo un quadro

d'insieme sui risultati della ricerca propriamente storica sull'argomento. Ricerca che si è

basata, a partire già dai primi anni novanta, quasi esclusivamente sulle fonti d'archivio dell'ex

MfS, conservate e gestite da un apposito ente federale.

Se per gli apparati statali italiani e tedeschi il terrorismo fu un fenomeno caratterizzato da un

processo di apprendimento continuo, la stessa affermazione sembra valere nei confronti della

Ddr che, pur non avendo vissuto entro i propri confini esperienze traumatiche come quella di

Monaco, pose però anch'essa proprio quell'evento alla base delle proprie preoccupazioni,

nonché della decisione di dotarsi di una specifica unità di controllo, analisi e valutazione del

rischio derivante dall'attività di gruppi terroristici. In una società chiusa e sottoposta ad un

rigido controllo sociale come quella tedesco orientale, l'eventualità che sorgessero gruppi

intenzionati ad abbattere l'ordinamento statale con la forza era un'ipotesi assai remota; questo

fece si che la natura dell'antiterrorismo tedesco orientale differisse sostanzialmente da quello

79

dei paesi occidentali, assumendo contorni non propriamente definibili come difensivi,

nonostante le dichiarazioni di alcuni testimoni riportate nel presente lavoro abbiano tentato di

sostenere il contrario.

Il caso della Stasi lascia emergere, come avremo modo di vedere, una finalità puramente

strumentale nel relazionarsi al mondo del terrorismo. Dietro le dichiarazioni ufficiali rilasciate

dalla dirigenza politica, che esprimevano in pieno la linea sovietica in materia, si lavorò su un

doppio binario cercando di rendere compiacenti i soggetti più pericolosi, offrendo supporto

logistico e retroterra per la fuga, allo scopo di scongiurare attacchi entro i propri confini, e

pretendendo in cambio la completa disponibilità a fornire dichiarazioni su intenzioni e

membri dei gruppi con cui si venne a contatto.

Il terrorismo tedesco occidentale venne lasciato agire indisturbato. Così facendo, la Ddr

scongiurava una possibile minaccia per il proprio territorio, permettendo il persistere di

minacce per il territorio federale nell'ottica di una strategia destabilizzatrice nella quale, in

alcuni casi, l'azione (o consapevole inazione) della Stasi è stata confermata da prove

documentarie.

80

Capitolo 3. La Raf e la Stasi.

3.1. La discussione storiografica.

Da quando, all’inizio del 1990, sono venuti alla luce i documenti che attestano la

collaborazione tra alcuni attivisti della RAF e gli organi del Ministerium für Staatssicherheit,

la ricerca si è subito concentrata nello studio degli atti superstiti, cercando di ricostruire in

maniera puntuale ed esaustiva la storia di questi rapporti.

Come per la storiografia ufficiale sulla lunga attività del MfS, anche la ricerca storica sul tema

dei contatti tra RAF e Stasi portata avanti dal mondo accademico ruota da ormai 25 anni

principalmente intorno agli archivi del BStU, al cui interno lavorano fin dalla sua istituzione

storici e politologi che si confrontano anche col tema dei rapporti tra la Stasi e il terrorismo

internazionale.

Il BStU ha curato l'opera “Anatomie der Staatssicherheit. Geschichte, Struktur und Methoden.

MfS Handbuch”, una collana ordinabile online o scaricabile in formato pdf, in cui più studiosi

hanno contribuito, a partire dal 1993, alla descrizione puntuale della storia di tutte le strutture

del MfS, concentrandosi in particolare sulle funzioni svolte dai singoli dipartimenti nelle varie

fasi di vita del ministero. All'interno di questa pubblicazione, Tobias Wunschik, storico e

politologo tedesco che dal 1993 collabora con la sezione Bildung und Forschung del BStU, ha

curato la parte relativa alla storia e alle modalità operative della divisione XXII Terrorabwehr

dell'apparato di Mielke, intitolata “Die Hauptabteilung XXII: Terrorabwehr”, a tutti gli effetti

un vero e proprio manuale sul funzionamento di questo organismo e opera imprescindibile per

chi voglia familiarizzare con quelle strutture all'interno delle quali venivano decise le linee da

seguire nel campo della difesa dal pericolo terroristico nella DDR. Wunschik si cimenta da

più di un ventennio con la storia dei rapporti tra la Stasi e il terrorismo internazionale, ed ha

all'attivo una lunga lista di pubblicazioni per le quali la documentazione originale del BStU

rappresenta la fonte primaria. Tra queste meritano particolare menzione, per l'argomento

particolare trattato in questo capitolo, l'articolo “Baader-Meinhof international?” pubblicato

sul numero 40-41, anno 2007, dell'allegato alla rivista settimanale “Das Parlament”, organo

ufficiale dell'istituzione federale Bundeszentrale für politische Bildung “Aus Politik und

Zeitgeschichte” dove, nel fornire un quadro conciso ma allo stesso tempo esauriente della

dimensione e dei contatti internazionali della RAF, vengono descritti anche i rapporti tra

81

l'organizzazione e il MfS, nonché l'articolo “Magdeburg statt Mosambique, Köthen statt Kap

Verden. Die Raf-Aussteiger in der DDR”, pubblicato nel secondo volume dell'opera a cura di

Klaus Biesenbach “Zur Vorstellung des Terrors: die Raf Ausstellung”, Göttingen 2005.

Sul tema più vasto dell'internazionalismo della Raf e sui suoi legami fuori dalla Germania

federale sono state pubblicate in Germania molte opere, tra le quali non posso mancare di

citarne ancora una di Wunschik. Mi riferisco in questo caso all'articolo “Abwehr und

Unterstützung des internationalen Terrorismus: die Hauptabteilung XXII”, pubblicato

nell'opera del 2005 a cura di Hubertus Knabe “West-Arbeit des MfS- das Zusammenspiel

zwischen Abwehr und Aufklaerung”, facente parte della “Wissenschaftliche Reihe des

Bundesbeauftragten fuer die Unterlagen des Staatssicherheitsdienstes der ehemaligen

Deutschen Demokratischen Republik.”

Pur essendo l'autore più prolifico, Wunschik non e' stato ovviamente l'unico a cimentarsi con

la storia della Raf. Tra le opere di recente pubblicazione mi sembra opportuno citarne due in

particolare. La prima e' quella composta dal politologo tedesco e ricercatore presso

l'università di Coblenza Kai Lemler, “Die Entwicklung der Raf im Kontext des

internationalen Terrosismus”, pubblicata nel 2008 a Bonn all'interno della collana “Forum

Junge Politikwissenschaft” della casa editrice Bouvier. Nell'opera i contatti tra la Raf e Stasi

sono trattati solo marginalmente, concentrandosi l'autore in particolare su tutti i legami

intessuti dall'organizzazione terrorista nella sua ricerca di partner di lotta con cui costituire un

comune fronte antimperialista.

La seconda opera degna di menzione e' quella pubblicata nel 2014 per la casa editrice tedesca

Tectum dallo storico Christian Lütnant, “Im Kopf der Bestie. Die Raf und ihr

internationalistisches Selbstverständnis.” Partendo dall'assunto per cui l'internazionalismo

costituisce una caratteristica peculiare dell'ideologia marxista, l'autore si propone di

analizzare, e lo fa a mio avviso brillantemente, la concezione internazionalista che la Raf

aveva di se stessa basandosi sullo studio dei testi prodotti e diffusi dall'organizzazione.

Altri hanno analizzato fin dal principio la vicenda del sostegno fornito dalla DDR alla Raf

partendo dal piano ideologico, e degna di nota in questo senso e’ il saggio di Konrad Löw

“Marxismus und Terrorismus: war die Begünstigung der terroristischen Rote Armee Fraktion

durch die DDR ideologisch zu begründen?” pubblicato nel 1994 dalla Gesellschaft für

Deutschlandforschung174 in “Terror und Extremismus in Deutschland. Ursachen,

174“Societa' di ricerca sulla Germania”. Istituzione nata nel 1978 a Berlino ovest con lo scopo di avviare studi specifici sulla scena politica tedesca. Promotrice della riunificazione tedesca fin dalla sua fondazione, si

82

Erscheinungsformen, Wege zur Überwindung”, dove l’aiuto ricevuto dalla RAF da parte del

MfS viene analizzato cercandone una giustificazione nelle affinità tra il pensiero politico

dell’organizzazione e quello del partito della SED, giungendo alla conclusione secondo cui il

fattore ideologico debba aver svolto un ruolo non secondario nella decisione di offrire aiuto

logistico e materiale all'organizzazione.

Argomento a sé stante costituiscono invece i problemi con cui ancora oggi la storiografia

tedesca si confronta nel tentativo di ricostruire e comprendere a fondo la storia problematica

della terza generazione della Raf e le relazioni di questa con il MfS, per cui rimando

direttamente al paragrafo 3.7. del presente capitolo.

Il tema dei rapporti tra la Stasi e la Raf costituisce un punto molto sensibile non solo per la

ricerca storica ma anche e soprattutto, come anche l'intera storia ed operato del MfS, per

l'opinione pubblica, che negli ultimi due decenni e' stata costantemente tenuta informata dal

mondo del giornalismo.

Immediatamente dopo l'apertura degli archivi del BStU si assiste negli anni '90 alla nascita di

un filone di pubblicistica “filo-DDR”, composta principalmente per mano di ex-quadri del

MfS tesa a riabilitare la storia della dittatura in Germania Est, fornendone una visione degli

eventi dal punto di vista degli uomini di Mielke. Non va dimenticato di come siano da

prendere con le dovute cautele, ai fini della ricerca storica, le dichiarazioni di ex-dirigenti del

MfS, spesso troppo coinvolti emotivamente negli eventi narrati e spinti dalla necessita' di

fornire una giustificazione del proprio operato tesa a riabilitare moralmente la storia della

Stasi. D'altra parte, alcune loro dichiarazioni possono tornare utili nella ricostruzione per

quanto possibile puntuale degli eventi, specialmente laddove queste trovino conferme nei

documenti superstiti. Principale promotrice di quest'opera di revisionismo e' dal 1991 la casa

editrice berlinese Edition ost, fondata dall'ex agente IM Frank Schumann, che diffonde

tutt'oggi principalmente pubblicistica sul tema della DDR scritta dai diretti interessati, siano

essi ex agenti IM, ex guardie di frontiera o esponenti di alto grado dell'apparato di Mielke, e

che si occupa in particolare della pubblicazione di opere nell'ambito della Insiderkomeitee

zur Förderung der kritischen Aneignung der Geschichte des MfS (IFAG). Cosi' come la

Insiderkomitee, anche questa casa editrice non è stata esente da accuse di revisionismo.

Dichiarazioni precise sono state espresse da Michael Lühmann, politologo e storico, docente

dichiara disposta ad accettare tra le sue file anche storici provenienti dalla ex-DDR. Il suo direttore viene eletto nel mondo accademico ed e' svincolato dai partiti.

83

presso il Göttinger Institut Fuer Demokratieforschung, in un articolo comparso nel 2007 sul

quotidiano “Die Welt” riguardo alle intenzioni della casa Edition Ost: “Das offensive

Reinwaschen der SED-Diktatur ist schliesslich Programm der Edition Ost, die mit ihren

Veröffentlichungen die DDR vom Schrecken des sozialistischen Regimes zu entkleiden

versucht. (…) Doch Bücher und Autoren der Edition Ost apostrophieren genau jene Freiheit,

stellen kontrastierend zum historisch verbürgten Mainstream knallhart auf

Geschichtsrevisionismus ab. Der Verlag bietet den sektiererischen Kreisen ehemaliger Stasi-

Kader eine Bühne, die diese immer offensiver nutzen.”175

Nel 2008 anche il giornalista tedesco Karl Wilhelm Fricke si e' espresso in termini

decisamente poco lusinghieri sulla casa editrice Edition Ost, anche da lui accusata di

promuovere una vasta opera di revisionismo storico per mezzo delle numerose pubblicazioni

di carattere nostalgico-sentimentale da lei curate.176 Tra i suoi autori, la Edition Ost ha potuto

contare in passato persino sullo stesso Erich Mielke, che nell'estate del 1994 ha pubblicato il

suo “Moabiter Notizen”, diario dei cinque mesi trascorsi nel carcere berlinese di Moabit.

Tra i temi trattati dalla suddetta casa editrice non poteva mancare quello dei rapporti tra la

RAF e la Stasi, esposto da Robert Allertz, pubblicista indipendente vicino alla commissione,

nell'opera “Die Raf und das MfS. Fakten und Fiktionen”, pubblicata nel 2008 e scritta a

quattro mani con l’ex tenente generale della Stasi Gerhard Neiber, responsabile delle

procedure di accoglienza degli Aussteiger per conto della divisione XXII del MfS. In questo

caso ci troviamo di fronte ad un testo composto da interviste a vari esponenti del MfS sul

tema dei rapporti tra gli uomini di Mielke e i terroristi tedesco-occidentali, in cui viene fornita

un'interpretazione della vicenda dal punto di vista del Ministero. Qui l'instaurarsi dei contatti

tra DDR e Raf viene letta dal tenente Gerhard Neiber come un fatto sorto in maniera

involontaria, dettato dalla esclusiva volontà di alcuni terroristi di abbandonare la lotta armata

e dalla positiva disposizione della Stasi a favorirne la latitanza, secondo modalità dettate da un

mix di principio, fedeltà alla costituzione e calcolo politico-strategico.177 Il valore di un'opera

175L'offensiva opera di pulizia della dittatura della SED e' il programma della casa editrice Edition Ost la qualetenta, con le proprie pubblicazioni, di spogliare il regime socialista della sua componente di terrore. (...)Illibri e gli autori di della casa Edition Ost pongono l'accento sulla loro libertà, mentre si basano sulrevisionismo storico in contrasto alle diffuse conoscenze in materia. La casa editrice offre ai settari circoli deiquadri della Stasi una scena che essi utilizzano in maniera sempre piu' offensiva. Lühmann, Michael. “DieWelt”, 17.8.2007.

176Cfr. Karl-WIlhelm Fricke, “Geschichtsrevisionismus aus MfS-Perspektive. Ehemalige Stasi-Kader wollenihre Geschichte umdeuten”, in Forum, rivista ufficiale del Gedenkstaette Berlin-Hohenschoenhausen, Marzo2006, Colonia.

177Robert Allertz, Die Raf und das MfS. Fakten und Fiktionen, Edition Ost, Berlin 2008, p.45.

84

simile non risiede tanto a mio avviso nella veridicità della ricostruzione dei fatti fornita da

esponenti di spicco del MfS, ricostruzione per la quale ci si può basare ai fini della ricerca

storica unicamente sui documenti d'archivio, quanto nelle convinzioni ideologiche e di

metodo espresse dai protagonisti riguardo all'attività di difesa dal pericolo terrorista portata

avanti dai quadri della divisione XXII. Neiber, che non nega l'esistenza di quei contatti,

d'altronde ormai comprovati dai documenti relativi ai procedimenti operativi “Stern” I e II

rinvenuti negli archivi del BStU e di cui si tratterà nello specifico nel presente capitolo, ne

offre semmai un'interpretazione volta a minimizzarne la rilevanza in chiave offensiva,

valorizzandone al contempo l'efficacia difensiva nei confronti sia della DDR che della

Repubblica federale. Siamo sicuramente di fronte ad un'interpretazione di parte, scritta con

chiari intenti apologetici nella speranza di una riabilitazione morale del proprio operato e di

quello del MfS, ma ritengo che una simile impostazione meriti un'attenzione tutta particolare,

nel momento in cui si andranno a delineare nelle prossime pagine le numerose componenti

che possono aver giocato un ruolo nella decisione di accogliere gli Aussteiger.

Per quanto riguarda invece gli organi ufficiali di stampa, siano essi articoli sui quotidiani o

opere complete di giornalisti e pubblicisti, si incontrano sia pubblicazioni di un certo valore,

anche storiografico, che campagne mediatiche di stampo prettamente giornalistico, volte a

suscitare scalpore nell'opinione pubblica, annunciando scoperte documentarie che vengono

presentate come punti di svolta epocali nel delineare il ruolo svolto dalla Stasi nella

radicalizzazione del movimento studentesco del '68 e quindi, per diretta conseguenza, nella

nascita e sviluppo del fenomeno terrorista nella repubblica federale. Un esempio su tutti

merita di essere analizzato per comprendere meglio quali siano le tendenze del mondo

giornalistico ogni qualvolta si tocchi il tema dei rapporti tra la Raf e la Stasi. Mi sembra

necessario premettere che il mondo del giornalismo ha operato secondo linee direttrici

abbastanza unitarie, essendo in tutti i casi esaminati ravvisabile la stesso modus operandi

votato al sensazionalismo e al suggerire ipotesi non dimostrabili. In occasione dei trent’anni

dal sequestro Schleyer, l'agenzia di stampa del quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”

(FAZ) annuncia il ritrovamento negli archivi del BStU di un documento che costituirebbe il

filo conduttore tra la RAF e gli organi della sicurezza di stato tedesco orientale.178

178Staadt, Jochen. Eine deutsche Waffenbrüderschaft, “FAZ”, 26.9.2007. http://www.faz.net/aktuell/politik/die-gegenwart-1/deutsche-geschichte-n-eine-deutsche-waffenbruederschaft-1491828.html, (visto il 27 ottobre2015).

85

Il documento in questione, relativo ad un “compagno della prima ora” di Andreas Baader ed

Ulrike Meinhof, Hans Juergen Bäcker, costituirebbe senza ombra di dubbio la prova della

comune pianificazione di attentati sul territorio della Germania federale da parte della RAF e

del MfS, e viene messo in diretto rapporto con gli attentati del 1972 alle basi americane di

Francoforte e Heidelberg.

L’articolo, pubblicato in data 5 ottobre 2007 da Jochen Staadt, all’epoca direttore della

“Forschungsverbund SED-Staat”179 della Freie Universität di Berlino, lancia l’idea secondo

cui dopo questa scoperta si dovrebbe riscrivere per intero la storia della RAF, arrivando a

sostenere che essa non sarebbe diventata quella pericolosa organizzazione senza il sostegno

della Stasi. La notizia viene ripresa dallo “Stern”180 gia’ nello stesso giorno, riportando la

notizia secondo cui “das DDR-Ministerium für Staatssicherheit war offenbar über bis heute

unbekannte Anschlagspläne der Rote-Armee Fraktion gegen US-Einrichtungen in Westberlin

informiert'. 181

Lo scoop viene ripreso da altri giornali, che non riportano come fonte nessun’altra che non sia

quella di partenza, ovvero proprio il succitato articolo di Staadt. Il documento in questione

non sembra invece dimostrare nulla di quel che viene suggerito. Si tratta infatti di un normale

verbale di interrogatorio, steso in occasione del transito di Bäcker in Germania est di ritorno

dal periodo di addestramento nel vicino oriente, a cui i membri della prima generazione della

RAF si sottoposero nelle settimane successive alla liberazione di Baader e al loro passaggio in

clandestinità. Il contatto ci fu’, ma il documento e le dichiarazioni in esso contenute rientrano

nella natura di quei rapporti tra Stasi e RAF tipici dei primi anni '70, quando una

collaborazione in senso stretto non era ancora stata stabilita, e dei suddetti attentati non viene

fatta menzione alcuna. Come andremo a vedere più avanti, spesso i membri della Raf non

esitarono a “parlare” in caso di arresto da parte delle autorità della DDR, in cambio della

promessa di poter continuare ad agire indisturbati e in virtù della paura di venire consegnati

alla polizia federale.

Un altro caso in cui la stampa non ha rinunciato al tentativo di destare emozioni nell'opinione

pubblica è rappresentato da quello relativo ad Horst Mahler, avvocato simbolo dell'

179“Comunita’ di studio sullo stato-SED.” 180Stasi wusste von RAF Anschlagspläne, “Stern”, 27.9.2007. http://www.stern.de/politik/deutschland/verhoer-

protokoll-stasi-wusste-von-raf-anschlagsplaenen-3263112.html. (Visto il 27 ottobre 2015).181Il Ministero per la sicurezza di stato era chiaramente a conoscenza di piani di attacco della Raf controistituzioni delle forze armate americane a Berlino Ovest.

86

Ausserparlamentarische Opposition (APO) tedesco-occidentale e difensore di fronte alla

giustizia di figure simbolo di quegli anni come Rudi Dutschke e Andreas Baader, nonché

fondatore della Raf insieme a quest'ultimo ed Ulrike Meinhof. Il 31 luglio 2011 alle ore 00:37

esce sulla pagina online del quotidiano “Bild” un articolo dal titolo “War Horst Mahler Stasi-

Spitzel?.”182 Nel testo vengono riportate le conclusioni a cui la magistratura berlinese sarebbe

giunta sul caso della morte dello studente Benno Ohnesorg, ucciso da un colpo di pistola

sparato dall'agente Karl-Heinz Kurras durante una manifestazione studentesca contro la visita

dello Scià di Persia a Berlino Ovest. Questo evento, così come la successiva assoluzione di

Kurras, contribuirono in modo decisivo alla radicalizzazione delle frange più estremiste del

movimento studentesco.183 Quando, nel maggio 2009, il BStU ha scoperto che Kurras operava

all'interno della polizia tedesco-occidentale in qualità di IM della Stasi, la magistratura ha

ripreso ad indagare sulla morte dello studente. Secondo l'articolo qui esaminato, nel corso

delle nuove indagini la magistratura berlinese sarebbe arrivata a “conclusioni spettacolari”,

che gettano luce sul ruolo svolto da Mahler nella radicalizzazione delle proteste. Mahler

aveva infatti rappresentato la famiglia di Ohnesorg al processo in cui Kurras era stato

pienamente assolto dall'accusa di omicidio. Dal 1967 al 1970, cosi' “Bild”, anche Mahler

avrebbe lavorato come agente IM per conto della Stasi, e la piena assoluzione di Kurras

avrebbe portato proprio al risultato sperato di suscitare sdegno e reazioni violente all'interno

dello Studentenbewegung. La notizia viene ripresa già nello stesso giorno dallo “Spiegel”184 e

dal “Die Welt”.185 La relazione finale della magistratura non viene pubblicata, e l'unico ente

ad averne preso visione in quel contesto risulta essere l'agenzia stampa della “Bild”, che ha

diffuso la notizia e secondo la quale tra i documenti del BStU visionati dai magistrati durante

le indagini sul caso Ohnesorg si troverebbero gli atti che proverebbero il ruolo svolto da

Mahler in qualità di IM negli anni compresi tra il 1967 e il 1970, quando la collaborazione si

sarebbe interrotta in occasione della fuga di Mahler in Giordania insieme ad Andreas Baader,

Ulrike Meinhof e ai membri della prima generazione della Raf.

Sulla vicenda si è poi pronunciato il giorno seguente il già nominato Jochen Staadt dalle

182Kayhan Oezgenc, Olaf Wilkee, War Horst Mahler Stasi-Spitzel? http://www.bild.de/politik/inland/spionage/war-horst-mahler-stasi-spitzel-19142422.bild.html. 183Si ricordi ad esempio come proprio a questo evento si ispiro' la formazione terroristica “Bewegung 2. Juni”

nella scelta del nome. Per una piu' approfondita analisi del contesto sociale in cui maturarono le condizioniper la nascita del fenomeno terroristico in Germania ovest cfr. Marica Tolomelli, op. cit.

184http://www.spiegel.de/politik/deutschland/ex-raf-terrorist-mahler-der-anwalt-und-die-stasi-a-777547.html185Horst Mahler Wurde von der Stasi als IM geführt.http://www.welt.de/politik/deutschland/article13517675/Horst-Mahler-wurde-von-Stasi-als-IM-gefuehrt.html.

87

pagine del “FAZ”, riportando le dichiarazioni rilasciate dalla magistratura in un comunicato

stampa secondo le quali sulla vicenda non esisterebbe ancora nessuna relazione finale,

smentendo così in un colpo solo le affermazioni della “Bild” circa l'esistenza di tali prove, e

limitando le proprie affermazioni all'esistenza di carte su Horst Mahler in cui gli ufficiali della

Stasi avevano espresso una certa ammirazione per il personaggio, costantemente monitorato

dagli uomini di Mielke già a partire dagli inizi degli anni '60 in virtù della sua vicinanza alle

posizioni della SED su argomenti chiave come l'imperialismo americano, fortemente

osteggiato da Mahler fin dagli inizi della sua militanza politica.186 Inoltre viene detto di come

sull'argomento non sia stata rilasciata alcuna dichiarazione dallo stesso BStU. Lo stesso

Mahler negherà qualche giorno dopo ogni contatto con la Stasi, incolpando i media di aver

creato il caso ad arte.187

Su queste ipotesi, riguardo alle quali la storiografia ufficiale non si è ancora espressa e sulle

quali non sono dunque disponibili testi accademici, ha cercato di fare luce la giornalista

Regine Igel nel libro “Terrorismus Lügen. Wie die Stasi im Untergrund agierte”, Herbig,

Monaco 2012, dove dei documenti disponibili si offre un'interpretazione tutta personale

tipicamente dietrologica, tanto cara a chiunque si cimenti col tema dei servizi segreti, volta a

suggerire l’immagine, già ampiamente diffusa, di una Stasi non solo pienamente informata dei

piani terroristici della RAF, ma che avrebbe svolto un ruolo attivo nei processi di

radicalizzazione dello Studentenbewegung considerati il leit-motiv del verificarsi della

violenza politica di stampo terrorista. Come vedremo, i documenti raccolti dalla pubblicista

sono di indubbio valore storiografico. Problematiche, perché non pienamente dimostrabili,

sono semmai le ipotesi avanzate dall'autrice, soprattutto in rapporto ai presunti legami della

SED con personaggi chiave della scena extraparlamentare tedesco-occidentale. Ipotesi queste

che andremo ad analizzare nel paragrafo 3.3., dedicato al periodo 1962/1970.

3.2. DDR, Stasi e terrorismo.

Prima di concentrarci sulla storia dei rapporti tra la Raf e il MfS è utile introdurre il discorso,

descrivendo le convinzioni ideologiche degli uomini di Mielke e mettendole in parte in

186Joachen Staadt, Er hinterlässt einen positiven Eindruck, http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/horst-mahler-und-die-stasi-er-hinterlaesst-einen-positiven-eindruck-11113943.html

187Horst Mahler zu Stasi Vorwürfen, http://www.spiegel.de/politik/deutschland/horst-mahler-zu-stasi-vorwuerfen-intrigenspiel-bestimmter-medien-a-778633.html

88

relazione con l'operato pratico del ministero e le dichiarazioni rilasciate da alcuni dei

protagonisti di quelle vicende. Le parole di due importanti testimoni della storia tedesco-

orientale negli anni della guerra fredda, Gerhard Neiber e Gerhard Plomann, sono illuminanti

per comprendere a fondo l’atteggiamento ufficiale della DDR nei confronti del fenomeno

terroristico. I due, rispettivamente funzionario del ministero col grado di tenente generale e di

tenente colonnello, sono coautori del capitolo “Abwehr von Terror und anderen Gewaltakten”

dell’opera “Die Sicherheit. Zur Abwehrarbeit des MfS”, pubblicata nel 2003 dalla casa

editrice Edition ost e curata da Reinhard Grimmer, Werner Irmler, Willi Opitz e Wolfgang

Schwanitz.188 Nel testo, estratto da un’intervista del 2003 riportante un discorso di Neiber di

fronte agli specialisti antiterrorismo dei paesi membri del Patto di Varsavia, leggiamo:

Wir lehnen den Terrorismus als Mittel zur Herbeiführung revolutionärer Veränderungen, zur Lösung von

Problemen jeglicher Art ab. Wir stehen voll und ganz hinter dem Bestreben unserer Staatengemeinschaft,

Terrorismus mit den Wurzeln auszutigeln und den Kampf gegen den Terrorismus zum Bestandteil eines

allumfassenden internationalen Sicherheitssystems werden zu lassen. Dem Terrorisums entschieden

entgegenzutreten gehört für die Deutsche demokratische Republik zum Kampf fuer Frieden und

Menschenrechte, für das Recht aller Völker, sich frei und unabhängig zu entwickeln. Vor allem

staatsterroristische Aktivitäten betrachten wir als Schlag gegen Grundpfeiler der internationalen Stabilität und

gegen die Menschenrechte.189

Per la DDR, cosi’ Plomann, considerato a tutti gli effetti il braccio destro di Neiber, “der

Terrorismus galt als eine zur politischen Strategie erhobene, äusserst zugespitzte Form der

Reaktionären Gewaltausübung” e il terrore “ war eine Wesenäusserung des Imperialismus und

der aggressiven Politik imperialistischer Staaten.190

188I quattro autori hanno ricoperto ruoli di alta responsabilità nei ranghi del MfS. Opitz ricopri' dal 1985 al 1989il ruolo di rettore della “Hochschule des Ministerum für Staatssicherheit” di Potsdam, l'università che sioccupava di formare i quadri dirigenti del MfS. Schwanitz fu attivo fino al 1989 come confidente di Mielke,e ricoprì la presidenza dell'AfnS nell'anno in cui essa fu in attività. Imler fu il direttore dello ZAIGininterrottamente dal 1965 al 1990, assistito nei suoi compiti dal suo braccio destro, tenente colonnelloReinhard Grimmer.

189 Noi rifiutiamo il terrorismo come mezzo veicolante di cambiamenti rivoluzionari e come soluzione aproblemi di qualsiasi tipo. Siamo completamente e senza riserve dalla parte delle ambizioni della nostracomunità statale di estirpare il terrorismo alla radice, nonché di far si che la lotta al terrorismo diventi parteintegrante di un sistema onnicomprensivo di sicurezza internazionale. La decisa lotta al terrorismo rientra per laDDR nella lotta per la pace e i diritti umani, per il diritto di tutti i popoli a svilupparsi liberi ed indipendenti. Inparticolar modo, consideriamo le attività terroristiche alla stregua di attacchi contro i pilastri fondanti dellastabilità internazionale e contro i diritti umani. G. Neiber; discorso presso il “consiglio multilaterale degli organifratelli” a Varna, Novembre 1987.190Il terrorismo corrisponde ad una forma estremamente affilata di esercizio della violenza reazionaria, volta alperseguimento di una strategia politica” e il terrore in sé ad una “espletazione della sostanza dell’imperialismo e

89

Queste parole, pronunciate in occasione di una “Multilaterale Beratung der Bruderorgane”191

esprimono la linea ufficiale pubblicamente sostenuta dalla SED in materia di terrorismo, ma

non bisogna dimenticare l'intenzione apologetica con cui sono state riportate nell'opera di

Allertz. E' opportuno in questa sede ricordare come la visione del Politbüro non fosse una

creazione originale, bensì affondasse le sue radici nella tradizione marxista-leninista e nel suo

rifiuto a priori del terrorismo, in vece delle implicazioni che esso comporta dal momento in

cui si espleta in maniera dannosa nei confronti di soggetti terzi completamente innocenti.

La tradizione della violenza rappresenta una costante nella storia della teoria rivoluzionaria

marxista-leninista, e ad essere condannata non è infatti la violenza in sé, bensì alcune forme di

violenza individuale considerate controproducenti ai fini della conquista del potere. Neiber

riporta a questo proposito le parole pronunciate da Lenin nel 1903 in occasione del II

congresso del Partito operaio socialdemocratico russo: “Il congresso rifiuta con decisione il

Terrore e con esso la pratica di singoli omicidi politici come mezzo di lotta politica.” Questo

compendio di convinzioni etiche, politiche e morali veniva sostenuto nella pratica da leggi ad

hoc, appositamente inserite nello Strafgesetzbuch (Codice penale) della DDR. Mi sembra

opportuno citare alcuni degli articoli più significativi ed onnicomprensivi. L'articolo 101

prevedeva la punibilità per chiunque portasse a termine “attacchi armati, rapimenti di ostaggi,

attacchi o esplosioni” nonché per chi si fosse reso complice di “distruzioni, avarie o altri atti

violenti allo scopo di provocare agitazioni e ribellione contro l’ordinamento sociale e statale

della DDR.” L'articolo numero 102 prevedeva invece la punibilità per crimini contro lo stato

per “colui che attenta alla vita o alla salute di un cittadino della DDR nell’espletarsi delle sue

funzioni statali o sociali, o chi in altro modo fa uso contro di esso della violenza allo scopo di

danneggiare l’ordine statale o sociale della DDR.” In casi particolarmente gravi le pene

consistevano nell’ergastolo quando non, fino al 1987, nella pena di morte.

Andiamo ora a descrivere brevemente con quali modalità e strumenti avveniva invece, all'atto

pratico, la difesa della DDR dal fenomeno terroristico. Nonostante il rifiuto del terrorismo in

sé, espresso a chiare lettere dall'elite politica della SED di fronte all'opinione pubblica

nazionale e internazionale, la Stasi collaboro' strettamente col terrorismo internazionale,

della politica aggressiva degli stati imperialisti. G. Plomann; Terror diskreditiert jede politische Bewegung, inAllertz, op. cit., p. 65.191Consiglio multilaterale degli organi fratelli: riunione annuale di tutti gli esperti antiterrorismo dei paesi

membri del Patto di Varsavia, tenuta allo scopo di pianificare strategie comuni di difesa contro possibiliattacchi rivolti verso i paesi del campo socialista.

90

secondo una logica puramente strumentale tipica dei servizi segreti, ma che trovava in alcuni

casi giustificazione ideologica nell'interpretazione del sostegno offerto a quei gruppi

terroristici internazionali visti come movimenti di liberazione popolare. La Abteilung XXII

viene ufficialmente alla luce nel 1975, e le sue origini sono da ricercarsi nell'aumento

esponenziale della violenza politica sulla scena internazionale all'inizio degli anni '70. Dopo

l'attentato del gruppo terrorista palestinese “Settembre nero” alle olimpiadi di Monaco del

1972, la DDR temette che attentati di simile portata potessero verificarsi anche dentro i propri

confini. Le origini operative della divisione antiterrorismo possono essere fatte risalire

all'iniziativa del tenente generale Bruno Beater, il quale costituì nel 1973 un Zentrale

Einsatzgruppe (ZEG), incaricato di scongiurare eventi simili durante le celebrazioni per i

decimi giochi della gioventù a Berlino est.192 Dello ZEG faceva parte anche il tenente Harry

Dahl, che nel 1975 viene incaricato della direzione di una nuova Abteilung indipendente, la

XXII Terrorabwehr. Scopo della neonata divisione era quello di indagare sul fenomeno del

terrorismo internazionale e raccogliere quante piu' informazioni possibili sulle organizzazioni

di sinistra critiche nei confronti della DDR, nonché sui gruppi di estrema destra e sugli

avversari politici della SED nella repubblica federale.

Se le strutture della prima fase dell'organismo sono di difficile identificazione, si assiste tra il

1979 e il 1980 ad una prima ristrutturazione, che comporto' la nascita di tre sottodivisioni

caratterizzate da compiti specifici. Cosi, la Unterabteilung 1 si occupava di terrorismo in

generale e dell'estremismo di sinistra, la numero 2 era incaricata delle misure di valutazione e

monitoraggio e la 3 si vedeva affidato il compito di studiare il fenomeno dell'estremismo di

destra.

Nel periodo compreso tra il 1981 e il 1983, la divisione XXII viene nuovamente ristrutturata,

ulteriormente espansa e le sue Unterabteilungen investite di compiti sempre piu' specifici,

arrivando a raggrupparne ben otto. Le mansioni di cui il Terrorabwehr si faceva carico sono

cosi' riassumibili: Abteilung 1: Neonazismo; Abteilung 2: minacce di violenza anonime o sotto

pseudonimo; Abteilung 3: estremismo di sinistra; Abteilung 4: estremismo di destra e gruppi

anticomunisti; Abteilung 5: gestione delle unita' operative specifiche per la lotta al terrorismo;

Abteilung 6: valutazione e controllo; Abteilung 7: misure pratiche di messa in sicurezza;

Abteilung 8: terrorismo internazionale e, dal 1986, estremismo di sinistra a seguito dello

scioglimento della Abteilung 3.

192Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 29.

91

Gli agenti del MfS avevano in primo luogo il compito di reperire tutte le informazioni

disponibili sui gruppi terroristici. Le operazioni di Aufklärung (indagine-chiarimento) si

ponevano come obiettivo l'identificazione dei membri di questi gruppi, l'indagine finalizzata

alla scoperta delle loro intenzioni nonché la ricerca di eventuali contatti con cittadini della

DDR, ed erano inoltre mirate a scoprirne l'eventuale direzione da parte di servizi segreti

occidentali.193 Ogni tipo di violenza politica andava combattuta con forza se diretta nei

confronti della DDR, all'interno della quale il minimo segno di ostilità veniva duramente

represso, mentre un certo grado di sostegno e comprensione era invece conferito alle “forze

progressiste”, primi su tutti i movimenti di liberazione popolare del terzo mondo, nei quali la

SED vedeva un valido alleato contro il comune nemico imperialista. In particolare il

terrorismo palestinese veniva considerato a tutti gli effetti un movimento di liberazione. I

terroristi palestinesi trovarono regolarmente ospitalità a Berlino est, dove soggiornarono

potendo tenere con se persino le armi e da dove poterono preparare attacchi contro l'ovest

capitalista. In particolare, il gruppo sorto intorno alla figura del terrorista internazionale

Carlos trovo' regolarmente copertura nella DDR tra il 1980 e il 1984, fungendo al contempo

da fonte d'informazione sulla scena terroristica mondiale. Nel caso specifico in questione e'

stato possibile mettere in relazione diretta il sostegno della Stasi con un evento preciso, quello

dell'attentato alla “Maison de France” di Berlino Ovest, nel contesto del quale un compagno

di Carlos, Johannes Weinrich, utilizzò le proprie connessioni con l'ambasciata siriana a

Berlino est per farsi restituire il materiale esplosivo sequestratogli dal MfS. Il maggiore della

Stasi Helmut Voigt approfitto' in quell'occasione della copertura dell'immunità diplomatica

per far si che l'esplosivo giungesse a Berlino ovest nascosto dentro veicoli con targa

diplomatica siriana.194 In cambio del supporto ricevuto, i terroristi dovevano rendere noti i

propri piani agli organi del MfS. Un certo grado di limitazione ai loro movimenti veniva

imposto nel caso in cui si temesse di essere scoperti. La raccolta di informazioni rilevanti

poteva pero' avvenire in diversi modi. Un esempio in questo senso e' fornito dai familiari dei

membri detenuti della Raf, i quali venivano trattenuti per colloqui informali in caso di transito

nella DDR.195Il metodo più diffuso consisteva nel reclutamento di IM (Inoffizieller

Mitarbeiter) tra le fila dei cosiddetti Szenenkenner (letteralmente “conoscitori della scena”),

persone vicine alle organizzazioni ma che spesso non ricoprivano alcun ruolo in esse. Vennero

193Ibd. p. 30194Ibd., p. 45.195Walter Lindner, colonnello del MfS in “Süddeutsche Zeitung” del 9 gennaio 1992, p.6.

92

cosi' vincolati soprattutto ex-terroristi, membri delle loro famiglie o avvocati.196 La strategia

della Stasi mirava a far si che questi gruppi non pensassero di rivolgere i propri attacchi

contro la DDR, che pur essendo vista come un alleato era ben consapevole

dell'imprevedibilità dell'azione di quelle formazioni. Per questo motivo non era minimamente

presa in considerazione l'ipotesi dell'estradizione di quei terroristi noti alle forze

antiterrorismo federali e internazionali, la cui presenza veniva tenuta nascosta anche allo

scopo di generare confusione, quando non si agi' direttamente per depistarne le indagini. In

alcuni casi la Stasi impiego' verso i singoli gruppi terroristici un certo numero di infiltrati, ad

esempio verso la francese Action Directe e la palestinese Abu Nidal.197

Ulteriori misure preventive erano il controllo del traffico in entrata e uscita dalla DDR per

mezzo della Abteilung VI (Passkontrolle) cosi' come lo scambio di informazioni con i

Bruderorgane per mezzo dell'archivio elettronico SOUD.198 Tra le altre divisioni che

collaboravano strettamente alle operazioni di difesa dal terrorismo c'erano poi la XX, deputata

all'analisi dei pericoli derivanti dell'azione di organizzazioni sovversive clandestine, e la HV A

(spionaggio estero). A quest'ultima in particolare spettava il compito specifico di procedere

all'infiltrazione mirata dei singoli gruppi.

Nel campo delle strategie di difesa dal pericolo terroristico attuate dalla DDR vanno

annoverati poi anche tutti quei comportamenti indirizzati non tanto ad attaccare frontalmente

il nemico, quanto a confonderlo e lasciarlo brancolare nel buio per mezzo di opere di

disinformazione rivolte verso gli organismi statali federali impegnati nella caccia ai

terroristi.199 A questo proposito, Wunschik riporta le dichiarazioni rilasciate al quotidiano

“Süddeutsche Zeitung” dal comandante della Stasi Walter Lindner, il quale afferma come

fosse pratica ricorrente, in relazione al caso della Raf, quella di verificare tramite i propri

canali informativi se i passaporti falsi dei terroristi fossero noti alle autorità occidentali,

avvisando poi i diretti interessati del pericolo e mandando cosi' a monte l'arresto.200

Andiamo ora ad analizzare nello specifico la storia dei rapporti tra il MfS e la RAF, le

modalità con cui la Stasi si procuro' le informazioni di cui aveva bisogno e di cui cercò, a

196Tobias Wunschik, I servizi segreti ..., p. 321.197Ibd. p. 320.198System der vereinigten Erfassung von Informationen über den Gegner, archivio elettronico condiviso dagli

stati membri del Patto di Varsavia per la raccolta e lo scambio di informazioni sensibili sulle attività e le intenzioni del nemico.

199Cfr. Tobias Wunschik, I servizi segreti , e Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”.200Ibd., p. 319.

93

partire dalla fine degli anni '70, di influenzare direttamente l'operato.

3.3. I primi contatti. (1962-1970).

Partendo dalla tradizionale tripartizione della storia della RAF201 è possibile affermare, allo

stato attuale della ricerca, che la prima generazione dell’organizzazione non ricevette un

sostegno materiale o logistico da parte della DDR,202 limitandosi la Stasi in questo periodo

alla sola osservazione e controllo del gruppo allo scopo di reperire informazioni utili ad

evitare l’espletarsi di atti terroristici sul proprio territorio. Resta ad ogni modo da osservare

come i membri della prima generazione, le cui identità erano note agli organi della sicurezza

di stato tedesco-orientale, venissero lasciati liberi di oltrepassare le frontiere della DDR, in

particolare quelle tra le due metà di Berlino, e di come utilizzassero l’aeroporto Schönefeld di

Berlino Est per dei voli esteri.203 Già a partire dall’estate 1970 sembra essere stata questa la

via preferita dai terroristi per raggiungere i campi di addestramento giordani. Non una

collaborazione diretta, non un aiuto concreto ma un tacito consenso ha segnato i rapporti tra la

RAF e la Stasi204 sia nel periodo precedente che in quello immediatamente successivo alla

nascita dell’organizzazione. Con “periodo precedente” si vuole indicare un arco di tempo che

va approssimativamente dal 1956, anno della messa al bando del KPD nella Germania

federale, al primo fascicolo relativo ad uno degli attori della prima generazione della RAF al

tempo in cui l’organizzazione non si era ancora costituita, quella su Horst Mahler.

Nell’opera di recente pubblicazione di Igel viene ripercorsa, sulla base dei documenti

rinvenuti nell’archivio centrale del BStU, la storia dei rapporti tra alcuni dei singoli membri

dell’organizzazione e il Ministero per la sicurezza di stato tedesco orientale205. I toni della

trattazione risultano, come gia’ premesso, in un certo qual modo e per certi versi molto simili

a quelli della letteratura dietrologica inerente il caso Moro. Le carte citate e prese in esame

dalla giornalista evidenziano come, in alcuni casi, l'interesse della Stasi nei confronti di

soggetti che avrebbero poi fatto parte della RAF affondasse le sue radici alcuni anni indietro

201Cfr. Klaus Pflieger, op. cit.202 Cfr. Kai Lemler, Die Entwicklung der RAF im Kontext des internationalen Terrorismus, Bouvier Verlag,Bonn 2008, p. 186.203Tobias Wunschick, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, in MfS Handbuch, a cura di BStU. Berlino

1996, p. 44.204 Da questo punto di vista si può parlare di un “non impedimento” da parte della Staatssicherheit alla nascita esviluppo di quei processi che avrebbero portato in breve tempo all’esplosione della violenza politica di stampoterroristico della Rote Armee Fraktion. 205 Crf. Regine Igel, Terrorismus Lügen; wie dei Stasi im Untergrund agierte, Herbig, Monaco 2012.

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nel tempo rispetto alla nascita della “Banda Baader-Meinhof”. Il primo dei personaggi presi in

esame da Igel è il già citato Horst Mahler. Membro del SPD, ne viene espulso nel 1960 a

causa della partecipazione, a partire dal 1953, all’attività del SDS (Sozialistischer Deutscher

Studentenbund). Ad alcuni anni di distanza dall’ingresso nel SDS Mahler inizia a dichiararsi e

ad agire pubblicamente in una maniera che rispecchia da vicino le linee direttrici dell’azione

della SED, tanto che da un rapporto del 1962 steso dall’IM della Stasi “Erich”, nel 1994

identificato nella persona di Dietrich Staritz, nel 1968 redattore dello “Spiegel”, leggiamo:

“Horst Mahler ist seit geraumer Zeit, seit ca. 6 Jahren, Mitglied des SDS und hier eigentlich

immer sehr inaktiv gewesen. Erst im Jahre 1959 begann er, sich aktiver für die SDS-Arbeit zu

interessieren, und zwar in einer Masse, dass ihn der Verdächtigung aussetzte, ein Provocateur

irgendwelcher Stelle zu sein.”206

Tra gli altri, Mahler difese di fronte alla giustizia tedesca Rudi Dutschke e Andreas Baader, ed

è considerato uno dei membri fondatori della RAF. Il fascicolo che Igel ha potuto visionare

relativo alla sua figura risale al 13 novembre 1962 ed è per sua stessa ammissione sottile e in

gran parte annerito.207 Questo consiste in una proposta inoltrata da “Erich” alle autorità

competenti del MfS di verificare la possibilità di instaurare una collaborazione con l'avvocato.

Si tratta in questo caso di un cosiddetto “Vorlaufakte”, ovvero un atto indicante l'intenzione

del ministero a procedere ad una verifica preventiva, basata su dati derivanti dall'osservazione

del soggetto prescelto, volta a rilevare l'esistenza delle condizioni necessarie per il

reclutamento del nuovo IM.

L'interesse del MfS risulta in questo contesto di facile interpretazione: qualora un personaggio

di tale caratura si fosse rivelato disponibile a collaborare con gli organi della sicurezza di

stato, questi avrebbero potuto approfittare della presenza tra le proprie fila di un contatto

privilegiato all'interno della scena extraparlamentare tedesca.

Tra le carte riguardanti il personaggio si trova poi un documento datato 3 gennaio 1964

recante il timbro della sezione XII\4 del MfS, quella preposta ai viaggi da e verso il territorio

della DDR, il quale certifica la concessione a Mahler di un visto di transito con destinazione

Cecoslovacchia. L’importanza del visto, la cui validità ricopre il periodo dal 28 dicembre

1963 al 23 gennaio 1964, è stata, agli occhi dell’autrice, finora sottovalutata. La poca

206 Horst Mahler e' da lungo tempo, circa sei anni, membro del SDS, contesto nel quale è sempre stato moltoinattivo. E’ solo dal 1959 che egli inizia ad impegnarsi più attivamente nel lavoro del SDS, e in un modo tale daattirarsi il sospetto di essere un provocatore di una certa posizione. BStU, MfS-HAVI-17489\64, tomo 1, pp.22\23 e 33f.207Regine Igel, op. cit., p. 29.

95

importanza data dalla ricerca ad un documento di questo tipo risiederebbe nella scarsa

coscienza presente negli ambienti tedeschi circa il ruolo giocato dalla Cecoslovacchia

nell’addestramento di terroristi di altre nazionalità, prime su tutti le Brigate Rosse. Ancora una

volta si rientra qui nel campo della dietrologia, non essendo mai stata provata la

partecipazione di membri della Br a campagne di addestramento militare sul suolo di altri

paesi del patto di Varsavia, circostanza negata tra l'altro dallo stesso Franceschini.208 Il senso

del viaggio di Mahler risulta molto chiaro agli occhi di Igel: la Stasi accordava all’avvocato il

permesso di attraversare il territorio della DDR per recarsi in un campo di addestramento

militare in Cecoslovacchia. Anche questa affermazione della giornalista sembra rientrare piu'

nel campo della speculazione giornalistica che non in quello della ricerca storiografica, non

essendo riportati altri documenti su Mahler che ne indichino la partecipazione a sessioni di

addestramento militare in nel suddetto paese.

Tornando invece agli atti effettivamente visionati dalla scrittrice, a quella del Vorlaufakte e

della concessione del suddetto permesso di transito verso la Cecoslovacchia segue la lettura

ed interpretazione dell'ultimo documento disponibile sull'avvocato, il riferimento al quale

nell'opera di Igel e' purtroppo impreciso, laddove l'autrice nomina solo la cartella che lo

contiene ma non la numerazione esatta della pagina da cui ricava le informazioni. Stando a

quanto riportato dall'autrice, in data 20 novembre 1964 viene presa all'interno della

Hauptabteilung XX/6, successivamente ad un colloquio con l'avvocato, la decisione di

sospendere le operazioni di “arruolamento” del candidato Mahler. Dalla lettura del documento

offerta da Igel apprendiamo che il contatto con l'avvocato venne effettuato “unter Legende”,

espressione che nel gergo della Stasi stava ad indicare l'avvicinamento del soggetto senza che

questi fosse consapevole di interloquire con un agente del servizio segreto. L'autrice afferma

immediatamente dopo che questa circostanza non possa escludere una successiva

collaborazione bilaterale tra Mahler e gli organi per la sicurezza di stato della DDR, ma a

questa supposizione non viene accostata nessuna prova documentaria ed e' quindi da ritenersi

di scarso valore storiografico.

Nella sua trattazione sui contatti pregressi tra la Stasi e i futuri membri della RAF Igel si

sofferma poi sull’indagine dei rapporti che legarono già a partire dagli anni ‘50 Ulrike

Meinhof alla SED e al MfS. Su Meinhof la storiografia concorda essenzialmente circa il

periodo in cui sarebbe avvenuta la rottura della futura terrorista con gli organi di partito della

208Alberto Franceschini in Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), Che cosa sono le Br, Bur,Milano 2004, p. 98.

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SED, intorno alla metà degli anni ’60. Igel pone invece l’accento sull’ininterrotta

appartenenza di Ulrike Meinhof al KPD tedesco-occidentale, aspetto che dovette essere

volutamente ignorato da Berlino Est alla luce del deciso rifiuto ufficiale del terrorismo come

mezzo lecito di lotta politica da parte della SED e del mondo comunista in generale. La

tendenza sembra essere stata di stampo simile a quella sviluppatasi in Italia nei casi analoghi

di terroristi provenienti dalle file del partito comunista, dove l’appartenenza politica del

combattente era vista come fonte di discredito nei confronti dell’attività e della storia del

partito, che rischiava di vedersi addossare la responsabilità politica e morale del fenomeno.

Ulrike Meinhof si impegnò con veemenza fin dall’inizio della sua attività politica, affidando i

propri programmi alle pagine della rivista di sinistra tedesco-occidentale Konkret. Nel 1990,

alla caduta del muro cui seguì la dissoluzione della DDR e del suo apparato di sicurezza, è

stato possibile rinvenire negli archivi del neonato BStU una serie di documenti che attestano

come la rivista fosse stata fondata nel 1957 su decisione del consiglio della Freie Deutsche

Jugend (FDJ), l’organizzazione giovanile paramilitare di massa della SED, e da essa

segretamente finanziata. Caporedattore della rivista sarebbe diventato poco dopo Klaus Rainer

Röhl, futuro marito di Meinhof ed anch’egli membro del bandito KPD.209 Fino al 1959 il

governo di Berlino est si preoccupò di inviare presso la redazione della rivista dei propri

istruttori in occasione delle riunioni del direttivo, allo scopo di influenzare direttamente la

linea editoriale di Konkret. Va ad ogni modo detto come non si possa definire tale rivista un

vero e proprio giornale di partito della SED in territorio alleato: la linea politica di Konkret

non corrispondeva pienamente a quella di Berlino est e i suoi redattori si esibirono spesso in

serrate critiche al regime tedesco orientale, attirandosene le antipatie e vedendosi ridotti i

finanziamenti a causa di non meglio precisate “ambiguità su questioni ideologiche”210. La

storia della collaborazione tra Ulrike Meinhof e la rivista Konkret si chiude nell’aprile del

1969, allorché la futura terrorista dichiarerà che essa si sta trasformando “in uno strumento

della controrivoluzione.”211

E' ormai provato che nel periodo immediatamente successivo Meinhof si sia recata in

Giordania, assieme ad altri terroristi e al succitato Horst Mahler, per un periodo di

addestramento in un campo militare di Al-Fatah212. In questo contesto e lasso di tempo si

209 Ibd., p. 43.210 Ibd., P. 44.211 Ulrike Meinhof in Regine Igel, op. Cit., p. 44.212 Christian Lütnant, Im Kopf der Bestie. Die Raf und ihr internationales Selbstverständnis, Tectum Verlag,Marburg 2014. p. 75.

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inserisce anche la vicenda di Juergen Hans Bäcker. Bäcker atterra il 6 agosto all'aeroporto di

Berlino Schönefeld, primo del gruppo a tornare dal periodo di addestramento, dove viene

arrestato e consegnato dalle guardie di frontiera agli uomini della Stasi. Il suo verbale

dimostra che nell'interrogatorio che ne seguì egli mise al corrente il MfS circa alcuni obiettivi

strategici del gruppo e fornì informazioni sulla preparazione di attentati sul suolo della

Repubblica federale,213 ma non quanto sostenuto dalla stampa, il cui operato in merito è stato

descritto poco sopra e che non ha esitato a mettere in relazione quell'incontro con fatti ben

precisi, ovvero i due attentati del 1972, rivendicati dalla RAF, alle basi americane di

Francoforte e Heidelberg.

Bäcker avrebbe funto così da tester per il resto del gruppo, che voleva assicurarsi di non

incorrere in un arresto ed una eventuale estradizione all'ovest in caso di transito per la DDR.

Allo stato attuale della ricerca non è stato possibile trovare elementi che dimostrino però un

coinvolgimento diretto del MfS nella pianificazione e direzione di attentati in territorio

nemico in questa fase, e il contatto rientra dunque in quella categoria di rapporti di cui si e'

detto poco fa, tramite il quale la Stasi mirava a raccogliere quante più informazioni possibile

sul terrorismo internazionale.

Al suo ritorno Ulrike Mainhof si recò presso la sede della FDJ di Berlino est, dove espresse il

desiderio di discutere circa importanti questioni di tipo politico-ideologico. Secondo gli atti

della Stasi oltrepassò le frontiere della DDR in data 17 agosto 1970, sotto il falso nome di

copertura “Michele Ray.”214 Giunta nella sede della FDJ di Berlino est ad Unter den Linden

dichiarò il suo vero nome e venne ricevuta dai tenenti Werner Lamberz e Horst Schumann.

Nei 20 minuti di discussione che seguirono, Meinhof richiese tra l’altro di poter parlare

direttamente con un funzionario della SED o un alto ufficiale della Stasi. Sui contenuti di

queste conversazioni possono essere formulate solo delle ipotesi, circostanza dovuta in primis

alla mancanza di documenti relativi ai suddetti incontri negli archivi del BStU. Tobias

Wunschick ha sostenuto che con ogni probabilità si sia discusso sulla possibilità di utilizzare

il territorio della DDR per sferrare attacchi contro la Repubblica federale215, possibilità a cui la

Stasi si dimostrò in quel caso poco incline.

213Tobias Wunschik, Baader-Meinhof international?, in “Aus Politik und Zeitgeschichte” nr. 40-41, Berlino2007. p.27. Cfr. anche Lütnant, Ibd. p.79.

214BStU, MfS-HAXXII 10454/76, p.27.215Cfr. Tobias Wunschik, “Abwehr” und Unterstützung des internationalen Terrorismus- Die HauptabteilungXXII, in Hubertus Knabe (a cura di) op. cit.

98

Giunti a questo punto della vicenda bisogna ricordare come il punto di svolta fosse ormai già

stato raggiunto e superato: il 14 maggio dello stesso anno aveva avuto luogo la liberazione di

Andreas Baader, prima azione e dunque atto di nascita della Rote Armee Fraktion. In seguito

a quell’azione, Meinhof era stata ufficialmente iscritta nel registro dei ricercati della

Repubblica federale, motivo per il quale probabilmente le venne rifiutato un nuovo ingresso

nella DDR già al giorno successivo. Questo secondo tentativo di contatto sarebbe avvenuto

con la speranza di veder accettata la sua richiesta di parlare direttamente con un alto

funzionario della SED.216 Dietro il rifiuto di accordare un secondo ingresso a Meinhof è

possibile scorgere i timori della classe politica della DDR. Il pericolo di venire scoperti ad

intessere rapporti con una ormai conclamata terrorista andava evitato a tutti i costi da parte

della SED, che all’inizio degli anni ’70 lavorava al riconoscimento internazionale della DDR

e che vedeva nel nuovo cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt un prezioso partner in

questo senso. Con la sua ascesa alla cancelleria nel 1969 si era infatti inaugurata nei rapporti

tra le due Germanie la fase politica della Ostpolitik, processo che portava con se indubitabili

vantaggi politici ed economici a cui la DDR non poteva assolutamente rinunciare. Inoltre, la

visita di Ulrike Mainhof a Berlino est è precedente sia al manifestarsi generalizzato della

violenza politicamente motivata sullo scenario europeo, che vede la nascita di numerose

formazioni terroriste con aspirazioni internazionalistiche, che alle vicende delle olimpiadi di

Monaco, evento cardine alla base della decisione del MfS di munirsi di strumenti efficienti

nella lotta al terrorismo.

Dopo questo episodio non risultano dagli atti del BStU altri casi di ingresso nella DDR da

parte di Ulrike Meinhof, che non sembra dunque aver funto da fonte diretta al tempo in cui la

Raf muoveva i suoi primi passi. Con queste affermazioni non si vuole quindi in alcun modo

sostenere che Meinhof e Röhl si fossero impegnati a collaborare ufficialmente con la Stasi,

ovvero che avessero firmato un contratto IM. Le forme della collaborazione tra giovani

attivisti politici della sinistra extraparlamentare tedesco occidentale e la DDR erano varie e

multiformi, e non passavano necessariamente per le maglie della Staatssicherheit. E’ bene

infatti porre l’accento sul fatto per cui la Stasi costituiva un vero e proprio stato nello stato,

che perseguiva spesso obiettivi primari diversi da quelli dei quadri dirigenti della SED e che

poteva operare in completa autonomia rispetto alle linee seguite o indicate dal Politbüro.

Detto ciò risulta lievemente più semplice delineare i tratti di una realtà in cui l’azione del

216Regine Igel, op. Cit., p. 45.

99

partito e quella del ministero non sempre coincidevano. Al deciso rifiuto del terrorismo

ostentato dai dirigenti politici faceva da contrasto la flessibilità con cui il braccio armato del

partito si relazionava al fenomeno, secondo uno stile e un modus operandi tipici di tutti i

servizi segreti, fedeli al principio per cui “il nemico del mio nemico e’ mio amico”, e per cui

ogni operazione che danneggi l’avversario può e deve essere sostenuta. A questo si aggiunga

la paranoia strutturale propria dell'apparato di Mielke, caratterizzata da quella che Tobias

Wunschik ha definito “ipocondria della sicurezza di stato”217, che portò negli anni successivi a

trattare col terrorismo internazionale allo scopo di scongiurare attacchi sul proprio territorio.

Alla luce di quanto detto finora e' dunque possibile escludere un'influenza diretta del MfS nel

periodo di formazione e nascita della RAF. Sono semmai evidenti le intenzioni del ministero

di raccogliere tutti i dati reperibili sul fenomeno, sfruttando le occasioni di contatto che si

vennero a creare fin dai primi mesi di vita dell'organizzazione.

Per quanto riguarda invece la cartella IM relativa a Horst Mahler, non è a mio avviso in alcun

modo possibile inserirla nella storia dei contatti tra Raf e Stasi, ma ritengo che vada

considerata come una delle tante possibilità, ben sfruttate dal ministero di Mielke, di acquisire

informazioni rilevanti sulla scena extraparlamentare tedesco-occidentale. Mahler era, in quel

contesto, uno dei personaggi più in vista, e per questo anche uno dei più appetibili per gli

scopi del MfS. E' altamente probabile, ma non dimostrabile, che la Stasi fosse stata tenuta al

corrente del processo di nascita e sviluppo della RAF, ma non è questo il momento di

maggiore coinvolgimento del MfS negli affari dell'organizzazione. Ad una collaborazione

diretta, intenzionale e “bilaterale” si giungerà solo sul finire degli anni '70, nel contesto delle

vicende che portarono alcuni membri del gruppo ad abbandonare la lotta armata e a trovare

rifugio ad est del muro.

3.4. Il periodo 1970-78 e la vicenda degli Aussteiger.

Come accennato poco fa, l’evento decisivo per la storia della RAF è unanimemente

considerato quello dell’azione di liberazione di Andreas Baader, il 14 maggio 1970, portata a

termine da Meinhof insieme alla compagna di Baader, Gudrun Ennslin. Fu in seguito al

successo di questa operazione che la firma RAF venne utilizzata per la prima volta nel

comunicato n.1, dal titolo “Die rote Armee aufbauen”.218 Da questo momento in poi, anche

217Tobias Wunschik, “I servizi segreti...” p 320.218“Costruire l’armata rossa.”

100

Meinhof sarà ricercata dalla polizia federale e costretta ad operare in clandestinità. E’ solo a

partire dalla data esatta del 14 maggio 1970 che si può costruire una storia di quei rapporti

che abbia come attori la RAF e il MfS, ed è in questa storia che certamente va collocata la

visita della Meinhof a Berlino Est, unico caso in cui si sarebbe potuta realizzare una

collaborazione propriamente detta, caratterizzata da obiettivi comuni e strategie condivise.

Il mutamento dello status giuridico dei soggetti coinvolti intercorso in seguito alla liberazione

di Baader comportò un’inversione di tendenza nella natura dei rapporti tra il MfS e i suddetti.

Non si trattava più di fornire supporto economico e tentare di indirizzare le linee politiche di

testate giornalistiche giovanili attive sul territorio nemico, così come non si trattava nemmeno

più di concedere o meno un permesso di transito ad avvocati penalisti graditi al regime. Il

rischio era quello di infangare l’immagine internazionale della DDR. A cambiare radicalmente

le linee operative della Stasi dovette contribuire, come già menzionato, il massacro di

Monaco, che convinse gli uomini del ministero della necessita' di dotarsi di una divisione

interamente dedicata alla difesa dal terrorismo e che portò alla nascita della Abteilung XXII.

Così, nel corso dei primi anni '70 si diede inizio alla sistematica raccolta di dati sulle

organizzazioni e sui singoli membri, sfruttando ogni possibile occasione di contatto. Un

esempio su tutti rappresenta il caso del membro della Raf Michael Baumann, arrestato nella

DDR nel dicembre del 1973 e costretto a fornire informazioni sui compagni ancora in

circolazione. Stando alle sue dichiarazioni, ad influire sulla scelta di collaborare sarebbero

stati il totale isolamento a cui era stato sottoposto, nonché il terrore psicologico subito nelle

prigioni della DDR e la minaccia di estradizione nella Repubblica federale.219

I contatti durante tutto il decennio sono però sporadici, come risulta dai documenti del BStU.

L'ipotesi proposta da Igel, secondo cui la scarsità di atti relativi ai membri del gruppo per il

periodo 1970/1978 si spiegherebbe con la rapidità con cui questi atti sarebbero stati fatti

sparire, allo scopo di coprire il perpetuarsi di una collaborazione tra la Raf e il MfS220 non e',

proprio in virtù della mancanza di dati concreti, di facile verificabilità, e rientra nel campo

della speculazione giornalistica.

L'efficacia con cui gli organi di polizia portarono avanti la lotta al terrorismo negli anni

compresi tra il 1972 e l’inizio dell’Autunno tedesco aveva comportato un necessario

restringimento dell’azione della Raf, che a cavallo tra la prima e la seconda generazione aveva

219Tobias Wunschik, “I servizi segreti...”. p. 321.220Crf Igel, R., op. cit., pp. 20-21.

101

subito sconfitte di tale durezza da ritrovarsi a lottare per la propria pura sopravvivenza e da

vedersi costretta ad abbandonare ogni prospettiva politica, fattore da cui scaturì la progressiva

perdita da parte dell’organizzazione delle già ristrette simpatie di cui essa godeva all’interno

della società tedesca.221

Dopo la morte di Ulrike Meinhof nel carcere di Stammheim il 9 maggio 1976, il punto di

svolta va individuato proprio nella tragica conclusione, in data 19 ottobre 1977, del sequestro

Schleyer, seguita al dirottamento del volo Lufthansa “Landshut” e alla sua liberazione il 17

ottobre così come nel suicidio, avvenuto la notte seguente, dei detenuti Baader, Ennslin,

Raspe e il fallito tentativo in questo senso della Möller. Per quello che ci interessa e come già

accennato, tra il 1970 e il 1978 sono decisamente esigui i documenti rinvenibili negli archivi

del BStU che indichino il sussistere di rapporti di collaborazione diretta tra i terroristi e il

MfS. Stando ai documenti superstiti è solo verso la fine degli anni ’70 che questi legami

ricominciano ad intrecciarsi. Tra le motivazioni che spinsero il MfS ad offrire asilo ai

dissidenti della RAF ci fu certamente la necessità di reperire maggiori e più precise

informazioni sull’organizzazione, stringendo rapporti con quei terroristi che, vuoi per mutate

convinzioni personali, vuoi a causa della succitata repressione poliziesca, decisero di

abbandonare le file dell’organizzazione per riparare in “territori amici”, ma la logica

strumentale giocò certamente una parte prevalente che non quella finalizzata alla

Erkenntnissgewinnung.

Torniamo ora alla narrazione di questi eventi. Robert Allertz, pubblicista per la

"Insiderkomitee zur Förderung der kritischen Aneignung der Geschichte des MfS"222, ha

intrattenuto una serie di colloqui con dipendenti ai più alti livelli dell’Abteilung XXII della

Stasi che si propongono di fare luce sul ristabilirsi di questi legami di collaborazione intorno

alla fine degli anni ’70. Per quanto non si possano, come premesso all'inizio di questo

capitolo, investire di una credibilità assoluta le affermazioni di ex-dirigenti del ministero, vale

tuttavia la pena ascoltarne la voce nella ricostruzione di questa vicenda, laddove essa sia utile

a confermare il quadro d'insieme delineato dalla ricerca storiografica. Stando a quanto

affermato in una di queste interviste dal maggiore della Stasi D.Y.223, impiegato di lungo corso

dell’Abteilung XXII, è solo nel clima di repressione poliziesca e nel contesto di una ormai

221Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., Cap. 3.1.222“Commissione interna per la promozione della comprensione della storia del MfS”.223 Il nome è tenuto nascosto dall’autore su esplicita richiesta dell’intervistato.

102

disperata lotta per la sopravvivenza che alcuni membri della RAF entrarono nuovamente in

contatto con la Stasi. Nel marzo del 1978 gli uomini del MfS identificarono ed arrestarono

Inge Viett mentre cercava di attraversare le frontiere della DDR. Il maggiore intervistato non è

in grado di ricordare se l’arresto sia avvenuto casualmente o se il MfS fosse stato avvertito dei

movimenti di Viett dai servizi cecoslovacchi. Ad ogni modo egli sembra voler suggerire, ed

anzi lo fa apertamente224, la casualità di questo primo contatto. Viett sarebbe stata ricevuta dal

direttore dell’Abteilung XXII in persona, Harry Dahl.225 La motivazione che spinse il più alto

ufficiale di quella divisione a conferire personalmente con la terrorista si può forse spiegare

con la rilevanza di cui il personaggio in questione godeva presso gli organi di sicurezza

tedesco-occidentali e orientali. Si trattava di una terrorista affermata, con alle spalle anni di

militanza e numerosi attacchi dinamitardi sul territorio della Repubblica federale tedesca. Di

certo “kein kleiner Fisch”.226

Dalla conversazione sarebbe emerso che Viett versava in uno stato di totale consunzione

psichica, era stanca e desiderava abbandonare la lotta armata. Viett avrebbe poi sondato il

terreno a nome di altri compagni desiderosi di uscire dalla lotta armata in merito al permesso

di attraversare la DDR senza essere arrestati. Dopo questo primo colloquio i quadri dirigenti

del ministero, preso atto del fatto che la donna non sembrasse intenzionata a pianificare e

condurre attacchi contro la DDR, la lasciarono libera di andare. A giugno venne di nuovo

arrestata insieme ad altre due terroriste a Praga, dove si erano rifugiate dopo che nel maggio

dello stesso anno avevano preso parte attiva all’evasione di Till Meyer227 dal carcere di

Berlino-Moabit.228 Al momento dell’arresto Viett e le sue due complici, Regina Nicolai e

Ingrid Siepmann, chiesero di poter essere trasferite nella DDR. Il MfS si occupò direttamente

del caso,229 e secondo D.Y. sarebbe stato Erich Mielke in persona ad incaricare Dahl di

224D.Y. in Robert Allertz, op. cit. P. 22.225Tobias Wunschik, Magdeburg statt Mosambique, Koethen statt Kap Verden. Die Raf-Aussteiger in der DDR

in Klaus Biesenbach (a cura di) “Zur Vorstellung des Terrors: die Raf Ausstellung”, Goettingen 2005. p.238.226Ibd. p. 22.227Nel 1992 e' venuta alla luce la collaborazione fornita da Meyer alla Stasi in qualita' di IM. Dopo la

liberazione da parte del commando guidato da Viett, Meyer viene nuovamente arrestato in Bulgaria.Distanziatosi dalla lotta armata negli anni di carcere, nel 1986 viene liberato con la condizionale e inizia alavorare nella redazione del Tageszeitung. Nel 1987 viene contattato dalla Stasi e arruolato tra le sue fila. Ilcompito di Meyer, come da lui stesso dichiarato nell'opera autobiografica “Staatsfeind. Erinnerungen”,Hoffmann und Campe Verlag, Amburgo 1996, consisteva nel diffondere informazioni false in caso didomande scomode riguardo ai membri della Raf ancora ricercati. Siamo qui di fronte ad un esempio dellepratiche descritte da Lindner nell'introduzione di questo capitolo, volte a depistare le indagini della poliziafederale.

228Tobias Wunshik, “I servizi segreti...”, p.320.229Cfr. Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44.

103

risolvere la faccenda con le autorità cecoslovacche230, affermazione questa per la quale

troviamo conferma anche in Wunschik.231

Il politologo tedesco ha intervistato lo storico capo dello spionaggio estero della Stasi Markus

Wolf, il quale ha spiegato, in un articolo apparso sul TAZ del 25 agosto 1994, le simpatie di

Mielke nei confronti del terrorismo di sinistra tedesco-occidentale, rimandandole alla

speranza di utilizzare l'organizzazione in operazioni di sabotaggio all'ovest in caso di

conflitto.232 Da questo punto di vista e' possibile comprendere meglio l'operato del MfS, che

se per un certo periodo si comporto' passivamente nei confronti del terrorismo di sinistra, nel

1978 colse l'occasione offerta dagli Aussteiger per avvicinarsi ulteriormente a quel mondo,

tramite forme di sostegno volte ad indirizzarne l'operato in chiave offensiva. Al ritorno di

Viett nella DDR, le autorità del ministero si spesero nell’accontentare le richieste della donna

nella speranza di instaurare con il mondo del terrorismo rapporti maggiormente amichevoli,

finalizzati dunque non solo all’acquisizione di informazioni preziose per l’analisi

approfondita del fenomeno, ma appunto anche nella speranza di poter in qualche modo

conquistare la fiducia di certe figure, col fine ultimo di indirizzarne l'azione verso obiettivi

condivisi.

Tra il 1978 e il 1980 furono stabiliti i contatti con il gruppo degli Aussteiger. D.Y. racconta di

come alcuni volessero raggiungere l’Angola, altri il Mozambico, altri ancora il vicino oriente

e di come, una volta analizzate le difficoltà che avrebbe comportato nascondere delle persone

di pelle bianca in simili contesti, sia scaturita da parte del MfS la proposta di rifugiarsi nella

DDR.233 Stando alle parole di D.Y. fu insomma una proposta spontanea, dettata dalla facilità

con cui si sarebbero potute poi nascondere le suddette persone in un contesto etnico e

linguistico identico a quello di provenienza.

Ovviamente, come avremo modo di vedere, non si può considerare una simile proposta come

una semplice dimostrazione di solidarietà, come diverrà chiaro più avanti, quando si andrà a

trattare dei modi, i tempi e dei processi operativi con cui gli Aussteiger vennero accolti e

“lavorati”. Cominciano qui a definirsi più chiaramente le motivazioni che sottendevano

all’interesse del MfS nei confronti delle organizzazioni di lotta armata per il comunismo:

l’analisi dei dati raccolti dal MfS sembra mirare all’obiettivo della difesa dello stato tramite lo230 D.Y. in Robert Allertz, op. cit. P. 22.231Tobias Wunschik, Magdeburg statt Mosambique, Köthen statt Kap Verden. p. 238.232Cfr. Wunschick, T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 45.233 D.Y. in Robert Allertz, op. cit. p.23.

104

studio, la prevenzione e la neutralizzazione del pericolo terroristico, ma il fine ultimo nonché

la speranza del MfS era quella di influenzare il fenomeno allo scopo di destabilizzare il

nemico. L’atteggiamento del ministero per la sicurezza di stato nei confronti della RAF non

sembra discostarsi da quello abbastanza tipico di tutti i servizi di intelligence, mirato allo

sfruttamento dei vantaggi potenzialmente derivanti dalla presenza di un nemico comune.

3.5. I procedimenti operativi Stern I e Stern II.

Dopo la caduta del muro e la fine della DDR, gli archivi della BStU hanno permesso di

ricostruire, seppur con alcune lacune, le procedure di “accoglienza” degli Aussteiger. I

documenti in questione hanno contribuito a svelare la funzione di supporto nei confronti della

RAF svolta dal MfS in alcuni momenti della sua attività. Ritengo a questo proposito di dover

ancora una volta distinguere tra la facciata offerta dalla nomenklatura comunista, preoccupata

di diffondere un’immagine di sé come paese democratico e perfettamente inserito nello

scacchiere politico internazionale, e l’azione sotto copertura del MfS, che del proprio operato

non doveva rendere conto a nessun altro che a se stesso.

Una simile netta divisione dei compiti ha fatto si che molti dirigenti comunisti siano scampati

all’arresto dopo la caduta della dittatura, adducendo nei vari processi una presunzione di

ignoranza dei fatti più gravi, che almeno in parte può a mio avviso essergli riconosciuta

proprio in virtù della struttura rigidamente compartimentata del MfS. Un simile discorso

assume un valore ancora maggiore se rapportato alle strutture della divisione XXII, all'interno

della quale la trasmissione delle informazioni era regolamentata in maniera cosi' restrittiva da

far si che delle stesse connessioni Raf-Stasi non si sapesse nulla all'esterno della linea

deputata al Terorabwehr.234

Fino all’inizio degli anni ’80, tutte le informazioni raccolte riguardanti la Raf erano state

inserite nell’OV-Express. Dopo l’avvenuta accoglienza degli Aussteiger si procedette ad un

corposo rafforzamento della divisione XXII e all’attivazione di due nuovi procedimenti

operativi (OV=Operativer Vorgang) denominati “OV-Stern I” e “OV-Stern II”. Non priva di

fondamento sembra essere l’ipotesi di Kai Lemler235, secondo cui il nome dei procedimenti

farebbe riferimento al simbolo dell’organizzazione (Stern significa infatti “stella”). Il

procedimento operativo “Stern I” ereditava, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, i compiti e la

234Cfr. Wunschick, T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 44.235Lemler, K., op. cit.. p.82.

105

totalità del compendio di informazioni accumulate negli anni all’interno dell’OV-Express, e si

occupava nello specifico delle mansioni di “controllo operativo ed elaborazione”: in sostanza,

scopo di questo procedimento era quello di proseguire il lavoro di Express, ovvero la raccolta

di informazioni sul mondo terroristico tramite l’uso di agenti IM reclutati nell'area dei

fiancheggiatori dell'organizzazione. In un documento datato 1 aprile 1981 leggiamo: “Der

OV-Stern I wird mit dem Ziel angelegt, Sicherheitsrisiken und Gefahren fuer die DDR und

Ihre Verbündeten, die sich aus den Aktivitäten einer terroristischen Gruppierung ergeben,

einzuschränken bzw. zu verhindern.”236

Insomma, ancora una volta si fa riferimento solo ai compiti difensivi del procedimento e alla

sua funzione di strumento di controllo finalizzato alla difesa dello stato e dei suoi alleati.

Si noti qui come un simile discorso possa forse valere per Stern II, che causò l'uscita di scena

di dieci terroristi e quindi la loro effettiva disattivazione, mentre altre sembrano essere state le

finalità di Stern I, a ragione inserito anche da Tobias Wunschik tra le forme di collaborazione

attiva tra le due parti. 237

Col passaggio da “Express” a “Stern I”, segnato dalla ripresa dei contatti inaugurata da Inge

Viett, si assiste appunto ad una modificazione dei comportamenti del MfS, che non si limiterà

più alla sola raccolta di informazioni ma tenterà di sfruttare il gruppo terroristico a proprio

vantaggio. Inge Viett, Henning Beer, Christian Klar, Helmut Pohl e Adelheid Schulz entrarono

nella DDR il 19 settembre 1980,238 dove soggiornarono per due settimane nella Fortshaus

Briesen, nome in codice “Objekt 74”, una tenuta di campagna nel Brandenburgo. Stando a

quanto sostenuto da Neiber, ai membri dell’organizzazione non vennero fornite armi,

affermazione questa impossibile da sostenere, ma vennero inseriti in un programma di

allenamento che comprendeva “solo” sedute al poligono di tiro e corsi di Judo.239 Questa

interpretazione risulta riduttiva se confrontata con i documenti del BStU relativi a Stern I,

fondamentali per ricostruire il contenuto di questo allenamento: e' stato infatti appurato che

l'addestramento in questione comprese anche quello all'utilizzo di un lanciarazzi anticarro,

circostanza che è stata messa in relazione all'attentato del 15 settembre 1981 al generale della

NATO Frederick Kroesen per mano di Christian Klar, per cui e' stata appurata la

236 BStU, MfS-XV 2205/81, 17462/91, p. 00001. “Il procedimento operativo Stern I viene attivato allo scopo dievitare o limitare pericoli e rischi per la sicurezza della RDT e I suoi alleati derivanti dale attivita’ di gruppi terroristici.”237Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 44.238 Kai Lemler.; op. cit. p. 89.239 Gerard Neiber in Robert Allertz, op. cit. p. 67.

106

partecipazione agli addestramenti nell'ambito di Stern I. Quel che non e' stato al momento

possibile definire con certezza, data ancora una volta l'incompletezza della documentazione

disponibile, è se l'attentato sia stato portato a termine prima o dopo il suddetto addestramento

con il lanciarazzi, per il quale non è stato possibile stabilire una data certa.240

Nel periodo 1980-1984 membri della RAF soggiornarono nella DDR almeno due o tre volte

l'anno241. Scopo di questo programma di addestramento, che comprendeva tra l’altro la

preparazione di ordigni esplosivi, era quello di far si che i terroristi potessero trasmettere date

competenze militari ai compagni in attività nella Repubblica federale una volta rientrativi.

Stando alle carte del BStU, il programma si sarebbe interrotto intorno alla meta’ del 1984242,

interruzione che Lemler giustifica con la parziale delusione sorta da ambo i lati circa i risultati

di una simile cooperazione, dalla quale sia i terroristi che la Stasi si sarebbero aspettati

qualcosa in più.243 Sul lungo periodo le basi della collaborazione tra I due soggetti coinvolti si

sarebbero rivelate molto più esigue di quanto non si pensasse all’inizio, limitandosi ad una

comune percezione del nemico e ad una parziale condivisione della visione del mondo.

Wunschik identifica tra i fattori che portarono la Stasi a privare del proprio supporto

incondizionato non solo la Raf, ma il terrorismo internazionale nel suo complesso, lo

scetticismo degli uomini del ministero nei confronti di alcune forme di terrorismo individuale,

considerate controproducenti nell'ottica di una strategia di lungo periodo.244 A queste

considerazioni di carattere ideologico vanno aggiunte quelle, sempre presenti, di carattere

politico: il rischio per la DDR di venire scoperta a fornire addestramento ai membri

dell’organizzazione era troppo elevato in rapporto agli effettivi vantaggi che questa

collaborazione comportava, anche in virtù del fatto che, così come le Brigate rosse, anche la

Raf rimase sempre fortemente orgogliosa della propria autonomia e difficilmente i suoi

membri si sarebbero lasciati controllare pienamente dalla Stasi.

Passiamo ora ad esaminare il procedimento OV-Stern II, relativo alla strategia utilizzata per

far letteralmente scomparire nel tessuto sociale della DDR coloro i quali avevano espresso

apertamente l’intenzione di abbandonare la lotta armata.

Come già accennato nel precedente paragrafo, il fallimento dell’offensiva ’77, conclusasi con

240Wunschik T., Baader-Meinhof international?, p.28.241Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44.242BStU, MfS-A/M 264/91-1, pp. 17-19.243 Kai Lemler, op.cit. p. 92.244Wunschik T., “I servizi segreti...”, p. 323.

107

l’omicidio Schleyer, inaugurò un periodo difficilissimo per i membri dell'organizzazione. La

repressione poliziesca seguita al dirottamento del volo Landshut costrinse l’organizzazione ad

una lotta per la sopravvivenza, lotta da cui alcuni dei membri del gruppo ritennero opportuno

sottrarsi una volta visto sfumare l’ultimo obiettivo di stampo politico rimasto: la liberazione

dei compagni detenuti. La “defezione” dei compagni Silke Maier-Witt, Susanne Albrecht,

Monika Helbing, Ekkehard von Seckendorff-Gudent, Werner Lotze, Christine Dümlein,

Sigrid Sternebeck e Baptist Ralf Friedrich, etichettata come un grosso errore da coloro che

erano rimasti nel gruppo, poneva quest’ultimi in una situazione delicata e rischiosa. Gli

Aussteiger necessitavano di un luogo sicuro per la latitanza: dovevano sparire dalla vista degli

organi di sicurezza della RFT e allo stesso tempo prevenirsi da eventuali vendette, essendo

alto il rischio di essere reputati dei traditori. Qui rientra in gioco Inge Viett: a lei viene affidata

la richiesta, comunicata direttamente ad Harry Dahl alla fine di maggio 1980, di cercare aiuto

presso il MfS allo scopo di favorire la fuga e la latitanza dei compagni. Ed è proprio durante

questo colloquio che Dahl in persona, forse spinto dallo stesso Erich Mielke,245 propone al

gruppo di riparare nella DDR. In questo modo, la Stasi prendeva i due proverbiali piccioni

con una fava: da un lato si assicurava il controllo a vista di soggetti potenzialmente pericolosi,

dai quali poteva attingere informazioni di prima mano, e allo stesso tempo li “disattivava”,

tirandoli fuori dal contesto del terrorismo internazionale e riabilitandoli come cittadini con

pieni diritti.

Nel settembre 1980 si compì il trasferimento dei soggetti nel già citato “Objekt 74”. Qui gli

ufficiali della Stasi stesero le loro nuove biografie, adattandole al contesto della DDR. Agli

Aussteiger veniva lasciata la scelta del nuovo nome ed era concesso esprimere desideri

lavorativi. La nuova residenza veniva invece stabilita dalla Stasi.246 Lemler fa notare a questo

punto della vicenda come all'interno del gruppo degli Aussteiger ben sei formassero delle

coppie, lasciando presupporre che non solo il clima politico ma anche motivazioni personali

possano aver influito sulla decisione di abbandonare la lotta armata.247 Gli ex terroristi

vennero poi divisi e nascosti in posti diversi. Dalle loro nuove residenze intrattenevano

regolari rapporti con i relativi ufficiali incaricati di guidarne l’inserimento a livello sociale e

245Cosi’ sembra voler suggerire Gerhard Neiber nella sua intervista con Robert Allertz: pur non potendo eglistesso dare una certezza assoluta riguardo questa affermazione, ci tiene a sottolineare come una simileoperazione non fosse cosa da poco, motivo per il quale dovettero esserne sicuramente informati sia Mielke cheHonecker.(n.d.a.)246Kai Lemler, Intervista a Silke Maier-Witt, 20.2.2008. in op. cit. p. 137.247Ibd., p.86.

108

lavorativo. I membri del gruppo vennero naturalizzati in tempi e contesti cronologici separati:

i primi raggiunsero la DDR in tre gruppi separati nel corso del 1980 e ricevettero la

cittadinanza in data 8 ottobre. A questi si aggiunsero Henning Beer (inizio 1982) ed Inge Viett

(fine ’82-inizio ’83). La divisione in gruppi e i diversi momenti di accesso dei singoli

terroristi rese più facile farli passare inosservati. I soggetti vennero poi dislocati in luoghi

diversi e con una nuova identità.

L’unico problema si sarebbe verificato nel 1986, al che una cittadina tedesco orientale in

viaggio nella RFT riconobbe su un manifesto segnaletico il volto della sua vicina di casa Silke

Maier-Witt, facendone saltare la copertura e costringendo il MfS a procurarle nuove

generalità, un nuovo lavoro, un nuovo domicilio.248 Nel contesto dell’ OV-Stern II, le

abitazioni dei nuovi cittadini venivano costantemente tenute sotto controllo audio, i soggetti

osservati (a loro insaputa) da agenti della Stasi. Ancora una volta sulla base dei documenti

rinvenuti negli archivi del BStU, è stato possibile stabilire il numero di agenti che ruotavano

intorno alla vicenda, preoccupandosi che le vere identità degli Aussteiger restassero segrete.

Così Wunschik249 indica in due il numero di agenti con qualifica IMB e in diciotto quelli con

qualifica di IMS250 a cui l'incarico era affidato. Alcuni di questi terroristi vennero ad ogni

modo persino ingaggiati con la qualifica di IM, tra i quali la stessa Viett. Stern II si estese

cronologicamente fino alla caduta del regime della SED. Tra il 6 e il 18 giugno del 1990 tutti

gli Aussteiger vennero rintracciati ed arrestati, senza che nessuno di loro provasse a sottrarsi

alla cattura. Interessante a questo proposito mi sembra la teoria proposta da Tobias Wunschik,

secondo il quale la caduta del Muro, la fine della DDR e la conseguente rinuncia ad ogni

tentativo di sottrarsi all’arresto possano essere interpretati come un gesto di rassegnata

“sottomissione al destino”.251

248D.Y. in Robert Allertz, op. cit. p. 30.249Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44250IMB= inoffizieller Mitarbeiter der Abwehr mit Feindverbindung: “collaboratore ufficioso a contatto col

nemico”, una figura particolare di IM che agiva a stretto contatto col soggetto da osservare. Nel casoparticolare del terrorismo, questa categoria di IM veniva solitamente reclutata negli ambienti deifiancheggiatori.IMS= inoffizieller Mitarbeiter für Sicherheit: “collaboratore ufficioso per la sicurezza”. IM ingaggiato tracoloro che, pur non disponendo di un contatto o una conoscenza diretta del nemico, operano nelle suevicinanze e ne riportano comportamenti che possano mettere a rischio la sicurezza dello stato. Si tratta nelcaso specifico di cittadini incaricati di segnalare al MfS qualunque segnale di una imminente scoperta delterrorista da parte di soggetti che abitano nello stesso contesto del soggetto osservato.

251Tobias Wunschik, intervista con Kai Lemler, 28.01.2008 in Kai Lemler, op, cit. p.89.

109

3.6. La Stasi e la terza generazione della Raf.

Cosi come la polizia federale alla metà degli anni '80 sembra aver perso di vista, o meglio

dallo “schermo radar”, la terza generazione della Raf, un discorso analogo sembra poter

essere fatto anche per gli organi del MfS. Wunschik ha voluto concludere, sulla base della

carente documentazione esistente, che anche la Stasi brancolava sostanzialmente nel buio.252

Questo non significa però che il MfS avesse rinunciato ad indagare sui membri

dell'organizzazione. Pur avendo infatti smesso di appoggiare il terrorismo internazionale

indiscriminatamente al più tardi nel 1984, l'apparato di Mielke proseguì il suo lavoro di

raccolta informazioni sui nuovo membri dell'organizzazione, servendosi degli stessi metodi

fin qui descritti quali l'utilizzo di agenti IM e i colloqui informali alle frontiere. Si ravvisa

semmai per il periodo qui descritto un'oggettiva difficoltà della Stasi a identificare con

esattezza questi nuovi membri. Così ad esempio si verificano situazioni in cui la Stasi può

affermare con certezza di aver identificato un terrorista, e che questa affermazione sia stata

smentita dalle sentenze pronunciate dai tribunali tedeschi in seguito alla riunificazione. Un

caso in questo senso e' quello della terrorista Andrea Klump, condannata per numerosi

attentati tra la metà degli anni '80 e i primi anni '90, ma per cui l'appartenenza alla Raf non è

mai stata dimostrata in sede legale. La Stasi riteneva invece di poterla collocare con assoluta

certezza tra i membri del gruppo.253

Per quanto riguarda invece la questione del supporto fornito all'organizzazione, sembra non si

possa rintracciare negli archivi un solo documento che attesti il sussistere di forme di

collaborazione minimamente paragonabili a quelle viste in Stern I.254 Si è già detto in

precedenza di come all'origine del raffreddarsi dei rapporti tra la Raf e la Stasi intorno alla

metà degli anni '80 possano aver influito fattori di vario carattere, a partire da considerazioni

relative all'immagine internazionale della Ddr fino a insanabili o non più ammissibili

divergenze di carattere strategico e ideologico venutesi a verificare in quel periodo.

Se è vero che la seconda generazione della Raf era andata via via perdendo ogni prospettiva

politica, in seguito al fallimento dei propositi di liberazione dei compagni detenuti intercorso

con la morte in carcere dei suoi fondatori, questo processo di Entpolitisierung aveva assunto

connotati sempre più profondi nel caso della terza generazione dell'organizzazione.

252Tobias Wunschik, “I servizi segreti ...”, p.324.253Alexander Strassner, op. cit., p.277.254Ibd. p.271.

110

L'involuzione politica viene sancita dalla pubblicazione del comunicato “Guerrilla,

Widerstand und antiimperialistische Front”.

Il nuovo corso militaresco intrapreso dall'organizzazione e il progressivo dissolversi della

componente ideologica alla base delle sue azioni porto' rapidamente ad un mutato

atteggiamento da parte delle autorità tedesco-orientali. Quando divenne noto che l'omicidio

del soldato americano Edward Pimental255 fosse da attribuirsi con certezza alla Raf, gli organi

della sicurezza di stato della Ddr presero la decisione ufficiale di non concedere più asilo

dentro i propri confini ai membri del gruppo.256 Questo non significò d'altra parte che ai

membri noti dell'organizzazione non venisse più concesso di utilizzare liberamente l'aeroporto

di Berlino-Schönefeld, come affermato anche dallo stesso Till Meyer.257 Fu insomma la logica

dell'acquisizione di informazioni a dettare anche in questa fase le linee guida all'azione del

MfS. Pur non essendoci gli estremi per una collaborazione, era importante per la Ddr

continuare la sua analisi del fenomeno e l'indagine approfondita delle intenzioni

dell'organizzazione, allo scopo di prevenire rischi per la sicurezza di stato.

Il timore di rimanere vittima di attentati è leggibile ancora negli atti immediatamente

precedenti alla caduta della dittatura comunista in Germania, tanto che in un piano operativo,

relativo alle misure da intraprendere verso l'organizzazione per l'anno 1989, viene deciso di

prolungare il compito degli agenti IM “Walford” (sconosciuto) e “Taler” (Klaus Croissant,

avvocato difensore dei membri della prima generazione della Raf detenuti nel carcere di

Stammheim), incaricati di identificare nuovi membri e sostenitori del gruppo e di scoprirne gli

eventuali contatti nella Ddr.258

Il lavoro di Aufklaerung portato avanti dalla divisione XXII prosegue dunque

ininterrottamente fino alla dissoluzione dello stato della SED, ma come abbiamo potuto

vedere non ci sono indizi che lascino pensare che la terza generazione della Raf abbia ricevuto

dalla Stasi un sostegno paragonabile a quello del periodo 1980-1984.

L'ultima fase di vita della Ddr sembra dunque essere segnata dal ritorno alla gestione di quei

rapporti in una chiave di studio ed osservazione, e questo sulla base dei documenti esistenti.

Ovviamente, non e' possibile escludere con assoluta certezza il persistere anche sul finire

255Pimental viene ucciso l'8 agosto 1985 da Birgit Hogefeld. Il suo tesserino viene utilizzato il giorno dopo perpiazzare un'autobomba nella base aerea americana di Rhein-Main.

256Ibd. p.271.257Till Meyer, op. cit. p.365.258BStU, Atti IM-Taler, MfS-HAXXII 19271, p.18

111

degli anni '80 di forme di collaborazione, ma va detto che, semmai ci furono, esse non sono

dimostrabili, vuoi per la carenza di documentazione esistente, forse dovuta al fatto che

collaborazione non ci fu, vuoi per la distruzione di gran parte della documentazione delle

Abteilung XXII e HV A, dato di fatto con cui la ricerca deve da sempre confrontarsi nella

ricostruzione di queste vicende e che potrebbe aver compromesso anche questo campo

d'indagine.

3.7. Un bilancio.

Alla luce di quanto detto finora si può cercare di trarre una conclusione circa la questione del

sostegno ricevuto dalla RAF da parte dei quadri dirigenti del MfS. Come abbiamo avuto

modo di vedere, la storiografia tedesca ha ampiamente indagato il fenomeno, giungendo a

conclusioni precise. L'opera di ricerca svolta all'interno del BStU ha fornito un supporto

essenziale per delineare più chiaramente le modalità entro le quali si espletò il supporto del

MfS nei confronti delle organizzazioni terroriste internazionali.

Per il caso specifico della Raf è stato possibile dimostrare non solo la tolleranza di cui

l'organizzazione godette nella sua fase embrionale e iniziale da parte dell'MfS, ma ha anche

gettato luce sulle strette forme di collaborazione a cui si giunse per alcuni anni a partire dal

1978, collaborazione che in almeno un caso, quello dell'attentato al generale statunitense

Frederik Kroesen, sembra aver portato a conseguenze pratiche nell'azione della Raf, pur non

essendo questa circostanza pienamente dimostrabile a causa delle lacune presenti nella

documentazione disponibile relativa ai procedimenti operativi Stern. La lettura dei documenti

superstiti ha quindi delineato l'immagine di una Stasi consapevole dei rischi derivanti

dall'attività di gruppi terroristici di matrice internazionale, verso i quali vennero prese misure

volte a prevenirsi da possibili attacchi dentro i confini della DDR. Anche il tenore di queste

misure è stato delineato con chiarezza: si puntò a minimizzare il rischio per il proprio stato

tramite una diffusa tolleranza nei confronti di quelle organizzazioni che non sembrassero

intenzionate a rivolgere i propri attacchi contro la DDR.

Analoghe considerazioni furono alla base delle linee guida seguite dal MfS anche nei rapporti

con la Raf, i cui membri erano lasciati liberi fin dall'inizio di attraversare il territorio della

DDR senza incorrere in arresti o estradizioni all'ovest. Da questo comportamento derivò un

112

certo grado di sicurezza per la DDR. Ad ogni modo, il rischio che sul suolo della Repubblica

democratica tedesca si verificassero attentati di matrice internazionale era molto basso, come

ha voluto sottolineare anche Wunschik,259 essendo la DDR considerata dai membri di quelle

organizzazioni più come un alleato che non un nemico. Inoltre, proprio a causa della forte

repressione interna e dello stretto controllo sociale subito dalla popolazione, era altamente

improbabile che all'interno delle proprie frontiere si verificassero le condizioni tali da

permettere la nascita di gruppi eversivi.

Credo si possa qui sorvolare sulle ipotesi formulate dalla stampa sul ruolo della Stasi nella

radicalizzazione del movimento studentesco del '68, non essendo comprovata da certe fonti

documentarie nessuna delle teorie proposte, o sarebbe meglio dire “lanciate”, dalla stampa

tedesca nel corso degli oltre due decenni di vita del BStU. Questo tema non è stato ancora

trattato in maniera scientifica dal mondo accademico. Gli unici ad essersi occupati

dell'argomento sono state finora solo figure provenienti dal mondo del giornalismo, e il libro

di Regine Igel rappresenta in questo senso il più recente lavoro di carattere dietrologico sulla

questione. Per quanto invece riguarda la storia dei rapporti tra la Raf e la Stasi è stato

possibile per la ricerca storiografica ricostruire gli eventi in maniera abbastanza definita.

Per la Stasi era di fondamentale importanza reperire quante più informazioni possibile sul

fenomeno, originale per il periodo, del terrorismo internazionale, allo scopo di capirne i

meccanismi e valutare la misura del rischio potenzialmente derivante dall'attività di questi

gruppi. Occasioni di contatto con quel mondo si presentarono fin da subito. La ricca

documentazione d'archivio in materia reperibile presso il BStU dimostra di come il servizio

segreto della DDR si sia interessato precocemente all'apparire del fenomeno della violenza

politica sulla scena internazionale, sfruttando ai fini dell'indagine non solo dati raccolti dalle

proprie Abteilungen, ma anche le informazioni circolanti all'interno degli organi degli stati

membri del patto di Varsavia, uno su tutti il sistema elettronico SOUD.

Dopo l'attentato alle olimpiadi di Monaco nel 1972, iniziò a circolare negli ambienti del

ministero il timore che la DDR potesse rimanere vittima di attacchi simili. Le considerazioni

che ne derivarono portarono alla nascita e sviluppo di una divisione interamente deputata

all'analisi preventiva del fenomeno, la Abteilung XXII-Terrorabwehr.

La visita di Ulrike Meinhof a Berlino Est nella fase iniziale della sua latitanza vale da un lato

259Tobias Wunschik, “I servizi segreti...”, p. 318.

113

come indizio del fatto che la DDR non fosse ritenuta un possibile bersaglio

dall'organizzazione, dall'altro dimostra come la Stasi non avesse ancora maturato, nei primi

anni di vita della Raf, una conoscenza sufficiente delle sue intenzioni che permettesse di

procedere attivamente alla sua “lavorazione”. La vicinanza geografica e il comune retroterra

ideologico giocarono un ruolo fondamentale nell'intrecciarsi dei rapporti tra terroristi della

Raf e Stasi. In particolare quest'ultimo fattore, tendenzialmente estraneo alla logica del

servizio segreto legata al principio per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, e per cui

le alleanze si creano sulla base di obiettivi condivisi svincolati dalle convinzioni ideologiche,

ha svolto un ruolo di relativa importanza nel sostegno offerto dalla Stasi ai terroristi tedeschi.

Contatti tra i due attori furono cosa abbastanza diffusa nel corso degli anni '70, e la Stasi

continuò a raccogliere tutte le informazioni di cui aveva bisogno sfruttando a dovere le

possibilità che si presentarono, fossero esse contatti diretti avvenuti in occasione

dell'attraversamento delle proprie frontiere da parte di terroristi della Raf o informazioni

reperite per mezzo di agenti IM, in qualche caso operanti presso gli organi di indagine e

sicurezza della repubblica federale.

Nel 1978, l'ennesima occasione di contatto offerta dall'arresto di Inge Viett e dalla vicenda che

ne scaturì, all'interno della quale dieci terroristi della RAF abbandonarono la lotta armata e

vennero accolti nella DDR, diede modo alla Stasi di avviare una nuova fase nella storia dei

rapporti con l'organizzazione. Nell'addestramento offerto ai membri della RAF nel contesto

del procedimento operativo Stern I e' ravvisabile il cambio di strategia operato dagli uomini di

Mielke. Per quanto non sia stato possibile mettere in relazione certa l'attentato contro Frederik

Kroesen con quel periodo di addestramento, esso rivela comunque le intenzioni della Stasi di

sfruttare l'organizzazione a fini offensivi. All'interno della logica strumentale dei servizi

segreti e nel periodo particolare della guerra fredda, non era un qualcosa di particolarmente

eccezionale il fatto che la Stasi tentasse di sfruttare a suo vantaggio una formazione

terroristica che si proponeva, con la sua azione, di destabilizzare ed abbattere uno stato

nemico.

L'unico limite che la Stasi si diede nella gestione di questi rapporti fu la cautela con cui i

colonnelli di Mielke si mossero quando si temeva di venire scoperti. Dal 1983-1984 divenne

sempre più difficile per la DDR tenere nascosta la presenza di terroristi internazionali sul

proprio territorio, e l'apparato iniziò a temere le conseguenze politiche che sarebbero potute

114

derivare dal venire scoperti.

E' in questo periodo che Stern I si interrompe e che la Stasi ritira il suo supporto al gruppo del

terrorista internazionale Carlos.260 Ancora ricercati, ma non più attivi sulla scena del

terrorismo e per questa ragione più facilmente controllabili e tollerati restavano i membri della

Raf inseriti nel procedimento operativo Stern II, che si concluse solo con il collasso della

dittatura comunista in Germania Est.

Se il retroterra ideologico ed una visione condivisa del mondo possono aver avuto una parte

relativamente consistente nella nascita dei rapporti tra i due attori, sicuramente giocarono un

ruolo anche nella decisione di interrompere l'addestramento paramilitare di Stern I. I terroristi

della Raf mal sopportavano la teoria sovietica della “coesistenza pacifica”, così come non

riconoscevano il ruolo guida dei partiti comunisti. A queste condizioni era impossibile per la

Stasi pensare di portare avanti una collaborazione nella quale il servizio segreto non fosse in

grado di controllare completamente le mosse e dettare le linee di azione dell'alleato.

Questa affermazione risulta forse più comprensibile se relazionata alle vicende della terza

generazione della Raf, nel qual caso la perdita di prospettive politiche e la scarsa consistenza

ideologica da cui l'organizzazione era ormai “affetta” portarono al progressivo alienarsi delle

simpatie che la Stasi certamente nutriva nei confronti del gruppo. Inoltre, la Ddr versava

ormai dall'inizio degli anni '80 in una gravissima crisi finanziaria, che aveva portato il regime

della SED ad indebitarsi pesantemente con il governo di Bonn per garantire la propria

sopravvivenza. La Stasi non mancò di registrare l'evolversi del processo di crisi, e ne segnalò

prontamente i rischi alla dirigenza politica, mettendo in guardia gli organi di partito dal

tentativo di garantire il benessere della propria popolazione “pompando” artificialmente

crediti esteri nel proprio sistema economico.261 La dipendenza dai crediti tedesco-occidentali

può aver indotto il servizio per la sicurezza di stato a muoversi con una cautela direttamente

proporzionale al timore di venire scoperti, timore che sarà andato a sua volta a crescere a

mano a mano che anche la dipendenza da Bonn si sarà fatta più forte, processo che

raggiungerà il suo apice proprio sul finire del decennio.262

Giunti a questo punto della vicenda, mi pongo la domanda se il servizio segreto della260Ibd., p. 322.261Walter Süss, Die staatssicherheit im letzten Jahrzehnt der Ddr. In BStU (a cura di) Anatomie der

Staatssicherheit. Geschichte, Struktur und Methoden. Berlino 2009. p. 27.262Cfr. Ibd.

115

Germania est non possa aver nutrito un certo interesse nell'intessere rapporti di qualche

genere con le formazioni di lotta armata per il comunismo sorte in Italia negli anni '70, ovvero

se non abbia cercato di prevenirsi dalla possibilità di attacchi sul proprio territorio da parte di

quelle formazioni antisistema che operarono sullo scacchiere politico del nostro paese con le

stesse modalità con cui questo avvenne per la Raf.

In particolare, è possibile ravvisare nell'atteggiamento tenuto dal MfS nei confronti delle

Brigate Rosse l'intenzione di sfruttare anche questa formazione a proprio vantaggio nella

destabilizzazione del nemico? Qui una premessa è d'obbligo, e ci aiuterà a capire meglio la

natura dell'interesse che la Stasi sviluppò anche nei confronti delle Brigate Rosse: il raggio

d'azione dei brigatisti italiani e le loro aspirazioni politiche erano, almeno nella fase iniziale,

strettamente legate al contesto in cui si svilupparono, quello scenario politico italiano

dominato dalla dialettica tra la DC e il Pci.

L'assenza di aspirazioni internazionali nella stessa dialettica delle Br nella loro prima fase ha

fatto si che quest'ultime non potessero essere ricondotte a quei gruppi di terroristi

internazionali da cui la DDR temeva potessero derivare attacchi sul proprio territorio.

A questo va aggiunta l'errata percezione che la Stasi maturò nei confronti dell'organizzazione,

i cui membri e il cui operato venivano fatti risalire, nelle prime informative circolanti nel

ministero nel periodo del sequestro Moro, all'azione di servizi segreti occidentali impegnati a

destabilizzare la situazione politica italiana e a screditare il mondo socialista. Va infatti

premesso di come l'interesse della Stasi per le Brigate Rosse rimase decisamente basso fino al

sequestro dello statista democristiano, sequestro in seguito al quale le ambizioni

internazionalistiche della nuova dirigenza delle BR, guidate da Mario Moretti, sembrerebbero

aver fatto temere l'espletarsi di attacchi sul suolo della DDR da parte di questa

organizzazione, da quel momento in poi osservato speciale dell'apparato di Mielke.

116

Capitolo 4. Brigate rosse e Stasi.

4.1. Storia dell'ente: Il BStU.

I documenti che andremo ad analizzare nel presente capitolo provengono tutti da un unico

ente, il Bundesbeauftragte für die Unterlagen des Staatssicherheitdienstes der ehemaligen

Deutschen demokratischen Republik (BStU). Compito dell'istituzione è quello di rendere

l'opinione pubblica cosciente della struttura, i metodi e del modo in cui gli organi per la

sicurezza di stato tedesco-orientali agivano, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali,

allo scopo di assicurare la permanenza al potere dell'elite comunista.263 La storia di

quest'ufficio affonda le sue radici nei giorni della rivoluzione pacifica in Germania est, e

rappresenta il frutto della volontà popolare di impedire che le prove del controllo totale subito

durante i quarant'anni della dittatura andassero perdute. Procedendo con ordine, è possibile

delineare alcuni passaggi chiave sulla via che porta alla costituzione dell'ente, passaggi che

vanno di pari passo col progressivo deterioramento della credibilità e del potere della SED in

Germania Est. Nel dicembre 1988 il regime della SED rifiuta di seguire il programma di

riforme politico-economiche lanciato da Gorbacev in Unione Sovietica. Non c'è posto per la

perestrojka dentro i confini tedeschi. Allo stesso tempo, la DDR deve preoccuparsi di

mantenere le promesse fatte davanti alla comunità internazionale di garantire al proprio

popolo libertà di informazione, di opinione e di viaggio. A questo si aggiungono le

preoccupazioni destate da un'opposizione civile interna sempre più organizzata.

Quando, nel marzo 1989, il governo dirama una nuova regolamentazione dei viaggi ancora

più restrittiva di quella vigente, la reazione popolare costringe il regime di Honecker a ritirare

il provvedimento, segnando un passo avanti nel rapido processo di disgregazione del potere

comunista. Il MfS si adegua alle decisioni politiche di una classe dirigente ormai

completamente screditata ed in balia delle istanze di rinnovamento sociale di cui l'opposizione

civile si fa promotrice.

Un ulteriore passo viene compiuto nel giugno dello stesso anno. La violenta repressione delle

proteste studentesche in Cina e i fatti di piazza Tienanmen indignano l'opinione pubblica di

tutto il mondo, ma non la classe dirigente tedesco-orientale, che anzi esprime solidarietà al

regime di Pechino sui media e in un pronunciamento alla Camera del Popolo. Così facendo, il

regime di Honecker perde definitivamente il briciolo di credibilità rimastogli agli occhi della

263 www.bstu.bund.de

117

propria popolazione. L'ultimo quarto del 1989 è segnato dall'insorgere e dal definitivo

montare delle proteste popolari. Il 7 ottobre, in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni

della DDR, quasi tutte le grandi città sono teatro di violenti scontri tra polizia e manifestanti,

mentre il 9 ottobre ha luogo a Lipsia una manifestazione a cui prendono parte 70.000 persone.

Il processo di progressiva corrosione del potere comunista in Germania Est procede a grandi

passi, e il 17 ottobre Honecker è costretto alle dimissioni da un gruppo golpista costituitosi

intorno ad Egon Krenz, che viene eletto nuovo segretario generale della SED ed annuncia

riforme e una maggiore disposizione al dialogo. Il 31 ottobre è lo stesso Mielke a dimettersi

dalla direzione della Stasi, emanando l'ultimo ordine della sua gestione, il primo di carattere

difensivo nella storia del ministero: agli impiegati e ai colonnelli viene chiesto di difendere le

sedi del MfS, che si teme possano ora diventare bersaglio della rabbia popolare.

Il 7 novembre il governo Krenz rassegna le dimissioni, sostituito da uno guidato dal

comunista e vicino alla linea politica di Gorbacev Hans Modrow.

Il nuovo governo decreta la fine della Stasi, o meglio la sua riforma: nasce l'Amt für

Nationale Sicherheit (AfnS).264 Il suo capo, non più ministro, renderà conto al primo ministro

e risponderà al parlamento, come tutti i servizi di sicurezza dei paesi democratici.265

In data 15 novembre viene comunicato ai quadri della Stasi, dei cui dipendenti nessuno è stato

finora licenziato o messo in aspettativa, che il loro futuro è incerto. Resta ora lo spinoso

problema della gigantesca mole di documenti prodotti negli anni dall'apparato di Mielke. Il

capo della Stasi aveva ordinato già alla fine di ottobre la messa in sicurezza dei documenti più

rilevanti e compromettenti, e adesso impartisce il comando di bruciarne una parte e spostarne

il resto negli archivi periferici, più facili da difendere. Da questo momento in poi comincia

una sistematica distruzione della documentazione per mezzo di tritacarte industriali.

L'opinione pubblica avrà notizia del fatto solo il 4 dicembre, quando un funzionario dell'AfnS

dichiarerà di aver assistito alla distruzione dei documenti. In quello stesso giorno le sedi

distaccate della Stasi vengono prese d'assalto dalla popolazione e il capo dell'agenzia

Wolfgang Schwanitz, già braccio destro di Mielke, ordina agli impiegati di sospendere la

macerazione dei documenti per scongiurare il rischio di linciaggi.

Inizia cosi il braccio di ferro tra il governo Modrow e la “tavola rotonda” delle opposizioni

circa il destino di quell'imponente lascito documentario. Le opposizioni pretendono ed

264Agenzia per la sicurezza nazionale.265Falanga G., op. cit. ,p.262.

118

ottengono lo scioglimento immediato dell'AfnS, considerata dai più come un tentativo da

parte degli ex colonnelli di Mielke di salvare il salvabile. Il 12 gennaio Modrow dichiara che

l'agenzia sarà smantellata completamente, senza essere reintegrata in un nuovo servizio di

intelligence. Nel pomeriggio del 15 gennaio una folla si raduna davanti ai cancelli della sede

centrale del decaduto MfS a Berlino, pretendendo lo smantellamento di tutte le strutture della

Stasi nella DDR. La popolazione avanza la richiesta di entrare nell'edificio accompagnata da

un magistrato, allo scopo di porre i sigilli sugli archivi.

Il 18 gennaio 1990 il governo Modrow annuncia ufficialmente lo scioglimento totale di ogni

residua struttura dell'apparato.

L'8 febbraio 1990 il governo accetta di sottoporre al controllo civico lo scioglimento delle

strutture della Stasi formando un Comitato per la liquidazione del MfS. Il 18 marzo 1990 si

tengono le prime elezioni libere nella DDR, vinte da una coalizione di centro-destra sostenuta

dalla CDU e dal cancelliere tedesco occidentale Helmut Kohl. La tavola rotonda della

opposizioni cessa di esistere, ma nell'ultima seduta a cui ha preso parte si è già iniziato a

discutere la questione del destino dei documenti della Stasi.

L'apertura al pubblico degli archivi del ministero ha rappresentato fin dai primi momenti uno

dei cavalli di battaglia della rivoluzione pacifica, e il primo passo in questa direzione viene

compiuto dall'ultimo governo della DDR nell'agosto 1990 con l'emanazione di una legge che

assicura la conservazione dei documenti e l'impegno delle istituzioni a renderli accessibili a

vittime e studiosi.266

Poco prima della riunificazione il governo di Bonn, esposti i pericoli che una gestione

incontrollata dei documenti può provocare, ne propone lo spostamento nell'Archivio federale

di Coblenza, già sede degli archivi degli stati tedeschi “decaduti” quali l'impero del Kaiser, la

Repubblica di Weimar, la dittatura nazista. Gli archivi della stasi avrebbero seguito lo stesso

destino degli altri, sottoposti all'osservanza della Bundesarchivgesetz (legge federale per la

gestione degli archivi) che prevede un blocco di 30 anni prima dell'apertura al pubblico. La

comunità civile fa di nuovo sentire la sua voce, occupando nuovamente in settembre la sede

centrale della Stasi e inaugurando uno sciopero della fame contro l'esproprio dei documenti e

il loro trasferimento all'Ovest. Al testo dell'Einigungsvertrag viene aggiunta una clausola che

garantisce l'impegno del parlamento federale a varare al più presto una nuova legge ispirata ai

principi di quella già varata dalla Camera del popolo.

266 Ibd. p.271.

119

Il 3 ottobre 1990, data della riunificazione tedesca, il pastore anticomunista di Rostock

Joachim Gauck viene nominato Sonderbeauftragter der Bundesregierung für die Stasi-

Unterlagen.267 Questo primo embrione prenderà la sua forma definitiva il 29 dicembre del

1991, con l'emanazione da parte del governo federale di una legge ad hoc che regola la

gestione e l'accessibilità degli archivi per uso privato, pubblico o a scopi di ricerca.268 La legge

segna la nascita ufficiale del nuovo ente, che assume il nome di Bundesbeauftragte für die

Unterlagen des Staatssicherheitdienstes der ehemaligen DDR.

Di fondamentale importanza è la decisione del governo federale di mantenere il nuovo organo

indipendente dai partiti, e in questa chiave ha giocato un ruolo fondamentale la decisione di

non sottoporlo al controllo del ministero federale dell'interno. Dal 1991 il suo direttore viene

proposto dal governo e necessita dell'approvazione parlamentare. Il primo a ricoprire tale

carica fu quel Gauck già nel 90 incaricato di gestire il lascito documentario della Stasi. Il

mandato ha durata quinquennale, e la rielezione è possibile per un massimo di due mandati

consecutivi. Ad ottobre 2000 l'incarico viene conferito a Marianne Birthler, attivista tra i

maggiori protagonisti della rivoluzione pacifica.

Oltre alla funzione di strumento di ricerca, il BStU ne ha svolte anche altre di carattere civile

ed amministrativo: le aziende pubbliche e private hanno il diritto di inoltrare all'ente una

domanda di verifica, per controllare se nelle file della propria attività si annidino ex agenti IM

o figure che possano in qualche modo aver avuto a che fare con gli organi del ministero di

Mielke. La stessa possibilità viene offerta alle amministrazioni pubbliche, nonché ai partiti e

agli organi statali nel loro complesso.

Vale la pena ora spendere qualche parola sul grado di accessibilità dei documenti permesso da

questo ente federale. Mentre alle vittime della dittatura è permesso leggere in chiaro tutta la

documentazione che le riguarda, allo studioso o al pubblicista che inoltri richiesta vengono

imposte delle limitazioni a protezione della privacy. Nell'analizzare la documentazione ci si

ritrova così di fronte a documenti nei quali i nomi per i quali non si è fatta esplicita richiesta

sono anneriti. Il compito di oscurare i suddetti nomi con una riga di pennarello nero è affidato

all'archivista che si occupa della ricerca, il quale mette poi a disposizione del ricercatore i

documenti “censurati”.

Ai fini di questa ricerca gli annerimenti sono risultati fortunatamente di poco conto, essendo i

267 Incaricato speciale del governo federale per i documenti della Stasi. 268 Si tratta della c.d. Stasi-Unterlagen Gesetz, legge sui documenti della Stasi.

120

protagonisti citati nei suddetti documenti da tempo noti alle forze dell'ordine o avendo essi già

da tempo saldato il proprio conto con la giustizia. Resta purtroppo l'incognita

dell'incompletezza della documentazione, per cui non è dato sapere se e in quale misura parte

della documentazione utile a questa ricerca sia andata distrutta. Fra il dicembre 1989 e il

gennaio 1990 è stato possibile recuperare nelle sedi del ministero numerosi sacchi pieni di

strisce di carta, documenti tritati che sarebbero stati bruciati se il corso degli eventi non avesse

preso la giusta piega permettendone il recupero.

Dal 1995, il BStU si è fatto carico della ricostruzione manuale di questi documenti, e i

risultati sono stati finora così incoraggianti da portare ad ulteriori sviluppi: nel 2000 il

parlamento federale ha infatti deciso di sostenere un progetto di accelerazione della

ricomposizione di questi documenti. Nel 2004 l'Istituto Frauenhofer ha vinto un concorso

bandito dal BStU dando il via ad un progetto di sperimentazione di ricostruzione virtuale

automatica, la cosiddetta Stasi-Schnipselmaschine.269 Gli atti ricostruiti saranno presto messi a

disposizione del pubblico, e nulla esclude che nei prossimi anni possano essere resi

consultabili altri documenti di grande importanza ai fini della ricerca sul tema dei rapporti tra

la Stasi e il brigatismo italiano.

Nella teoria, il BStU dovrebbe chiudere i battenti nel 2019, ma la speranza che tale termine

venga prorogato è molto più che una pura illusione. Un bilancio numerico di vent'anni di

attività dimostra infatti ancora oggi l'assoluta importanza di un simile ente, se si considera il

crescente numero di richieste di visualizzazione degli atti ricevuto dal BStU nei suoi

venticinque anni di vita.

Nel periodo 1992-2011 sono state inoltrate circa 6.5 milioni di richieste, riassumibili come

segue;

a) 2.791.126 domande di privati cittadini richiedenti informazioni, visione e copia di

documenti che li riguardano personalmente.

b) 1.754.449 domande di verifica di persone impiegate nella pubblica amministrazione.

c) 433.600 ulteriori domande di verifica di singole persone.

d) 25.581 domande di visione documenti a scopo scientifico o pubblicistico da parte di

giornalisti, accademici e storiografi.

e) 480.492 domande per cause di riabilitazione (ad esempio, pensione per perseguitati politici

o restituzione di beni espropriati).

269Gianluca Falanga., op. cit. p. 276.

121

f) 1.144.172 domande relative a pratiche di contabilità pensionistica.270

4.1.1. I canali informativi del MfS nella “lavorazione” delle Br.

Come abbiamo avuto modo di vedere nel precedente capitolo, la Stasi si preoccupò di

documentarsi sul terrorismo internazionale fin dalle prime apparizioni del fenomeno, allo

scopo dichiarato di prevenirsi da possibili attacchi sul proprio territorio.

Se per la Raf la Stasi aveva potuto contare sulla collaborazione, volontaria o estorta, dei

membri del gruppo, un simile discorso non può essere fatto per quanto riguarda le Brigate

rosse, la cui retorica si presentava, almeno fino all'operazione Moro, come fortemente legata a

dinamiche autoctone. Il raggio d'azione prettamente nazionale dei brigatisti, le loro

rivendicazioni e gli obiettivi politici perseguiti si inquadravano perfettamente all'interno della

situazione italiana. Le Br si proponevano di dare seguito al processo di presa del potere da

parte delle masse interrotto dal Pci dopo la seconda guerra mondiale, e il mito della

“resistenza tradita” giocò un ruolo chiave nel dipanarsi dell'azione brigatista dei primi anni.

Pur con la consapevolezza dell'avvenuta distruzione di gran parte della documentazione, da

un'analisi preliminare degli atti più datati sulle Br si può ragionevolmente supporre che la

raccolta di informazioni sul gruppo sia iniziata proprio nel 1978. Lo si deduce in primis

dall'inesattezza delle informazioni riportate, così come dalle evidenti storpiature “inflitte” ai

nomi dei brigatisti citati.

L'inizio della raccolta sistematica sui membri e sulle azioni delle Brigate rosse inizia dunque

proprio in concomitanza con il sequestro di Aldo Moro, e prosegue ininterrottamente per oltre

dieci anni, fino alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell'apparato di Mielke. Si

può ragionevolmente supporre che il caso Moro abbia contribuito in maniera decisiva a

destare l'interesse del MfS nei confronti della maggiore organizzazione terrorista italiana, la

quale in seguito a quella tragica vicenda era andata sempre più accostandosi a tematiche di

respiro internazionale. Circostanza questa da cui può essere scaturita la decisione del MfS di

approcciarsi al gruppo italiano come a uno di quei gruppi di terroristi internazionali da cui

sarebbero potuti derivare dei rischi per la stessa DDR.

Ad occuparsi di questa sistematica raccolta di dati fù in primo luogo lo ZAIG.271 Se, nel caso

270Www.bstu.bund.de 271“Zentrale Auswertungs- und Informationsgruppe”: Organo informativo del MfS, allo stadio finale della sua

evoluzione nel 1989 contava oltre 400 dipendenti. Si occupava di raccogliere ed elaborare materiali necessaria tenere continuamente aggiornata la dirigenza della DDR sulla situazione sociale interna. Tra i suoi compiti

122

specifico della Raf, le occasioni di contatto con membri dell'organizzazione erano state fin dal

principio numerose, legate alla vicinanza geografica tra i due stati e alle circostanze che

avevano portato membri della Raf a transitare in più occasioni per il territorio della DDR,

permettendo così una conoscenza approfondita degli intenti e del modus operandi del gruppo,

la mole più consistente di informazioni relative alla strategia dei brigatisti veniva raccolta

principalmente servendosi delle notizie riportate dalla stampa. Il fatto che la quasi totalità dei

quotidiani pervenuti allo ZAIG provenga dalla Germania occidentale si spiega facilmente con

necessità di carattere linguistico. Così si trovano negli atti del BStU centinaia di copie di

quotidiani tedesco-occidentali, riportanti di volta in volta notizie riguardanti attentati

rivendicati dal gruppo, arresti e indagini degli organi di polizia italiani. Una parte

fondamentale veniva svolta dagli agenti IM presenti nelle redazioni degli organi di stampa

tedesco-occidentale. Del ruolo svolto, ad esempio, da Till Meyer presso la redazione del

“TAZ” si e' parlato anche nel precedente capitolo.

Ovviamente, le informazioni raccolte seguendo questi canali sono di una qualità inferiore

rispetto a quelle che si sarebbero potute ottenere dal contatto diretto, o mediato da eventuali

fiancheggiatori, con i membri del gruppo che si voleva studiare, e nelle informative sul

fenomeno sono ravvisabili di volta in volta tutti i passi avanti compiuti dai nostri organi

d'indagine e lotta al terrorismo, così come sono ben individuabili i momenti di stagnazione o

confusione da loro subiti.

Trattandosi in questo caso di uno spionaggio “di sponda”, le conoscenze ottenute dalla Stasi

sulle Brigate rosse, oltre a rispecchiare pienamente quelle ricavate dagli organi di stampa e di

indagine nella precisa descrizione degli eventi presentata dai quotidiani, per i quali si trova

coincidenza cronologica esatta nella documentazione analizzata, (particolare che svela in

primo luogo la priorità dell'oggetto, laddove le informazioni venivano fatte pervenire allo

ZAIG praticamente in tempo reale), giungono a fare proprio il punto di vista dell'osservatore.

Nella documentazione proveniente dallo ZAIG troviamo in primo luogo copie di articoli

estratti dalla stampa tedesco occidentale. Tutte le maggiori testate giornalistiche trovano

rappresentanza all'interno di questo corpus: “Süddeutsche Zeitung”, “Die Welt”, “Der

Tagesspiegel”, “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Frankfurter Rundschau”, “Spandauer

vi era anche quello di raccogliere e valutare le informazioni ottenute dalla lettura ed interpretazione dellastampa occidentale. Venne spesso incaricato di compiti specifici, come nel caso dell'analisi del terrorismointernazionale. Per una ricostruzione puntuale di questa divisione nelle diverse fasi della sua storia cfr. RogerEngelmann, Frank Joestel: Die Zentrale Auswertungs- und Informationsgruppe in BStU (a cura di) MfSHandbuch, Berlino 2009.

123

Volksblatt”, “Welt am Sonntag”, “Der Spiegel”, “Die Zeit”, “Kölner Stadtanzeiger”, “Der

Abend”. Tra i quotidiani non nazionali in lingua tedesca troviamo anche lo svizzero “Neue

Zürcher Zeitung”.272

Alla lettura della cronaca veniva affiancata quella della stampa specialistica. Un esempio in

questo senso è rappresentato dalla traduzione di un articolo sulle Br, apparso in data 1

febbraio 1982 sul settimanale inglese “Newsweek” e riportante un'intervista a Brian Jenkins,

direttore della statunitense RAND Corporation, società di ricerca sul terrorismo fondata nel

1976.273

La Stasi è in sostanza costretta ad affidarsi ad interpretazioni esterne del fenomeno brigatista,

non disponendo di contatti diretti coi membri del gruppo.

Non furono solo la cronaca occidentale e gli studiosi stranieri a preoccuparsi di analizzare le

vicende brigatiste. Il fenomeno venne studiato anche all'interno dei confini della Ddr, nelle

sue università, e anche su quanto teorizzato da docenti tedesco-orientali sembra essersi

concentrata l'attenzione della Stasi. Sul terrorismo italiano vennero pubblicati due articoli

scritti dal politologo e professore dell'università di Potsdam Hermann Mierecker. Il primo in

ordine cronologico, intitolato “Die neofaschistische Gefahr in Italien. Das Paktieren des

bürgerlichen Staates und der Justiz mit dem Neofaschismus”, appare sul numero 11 del 1980

della rivista “Staat und Recht”, pubblicazione ufficiale della suddetta istituzione, e viene

prontamente acquisito dalla Stasi e trasmesso alla divisione XXII274 insieme ad un altro dello

stesso autore, pubblicato questa volta sulla rivista ufficiale ad uso interno della Nationale

Volksarmee (NVA) “Militärwesen” in due parti tra il luglio e l'agosto del 1980 e intitolato “So

schuf die CIA die Roten Brigaden.”275

La maggior mole di documenti superstiti fa riferimento al periodo 1978-1981, durante il quale

la Stasi, come abbiamo appena accennato, si approccia per la prima volta all'analisi del

terrorismo delle Brigate rosse.

Pur rappresentando una valida base di partenza per accrescere le proprie conoscenze

sull'organizzazione, la semplice lettura della stampa non costituiva però l'unica strada

percorribile. Altri canali informativi provenivano dallo spionaggio in Germania Ovest. Così

ad esempio il Direttorato Estero HV A di Markus Wolf ed il II dipartimento centrale

272La documentazione appena citata può essere visualizzata nella serie di atti BStU, MfS-ZAIG 10477.273BStU, MfS-HA XXII 19961, pp. 419-430.274BStU, MfS-HA XXII 1841/42, pp. 22-27.275BStU, MfS-HA XXII 1841, pp. 42-54.

124

(controspionaggio) disponevano di un'efficiente rete di agenti infiltrati in tutte le istituzioni

tedesco-occidentali che si occupavano di terrorismo ed eversione politica: il ministero degli

Interni a Bonn, la sezione antiterrorismo TE 12 della polizia criminale a Wiesbaden, le polizie

regionali, la polizia doganale, il cosiddetto Verfassungsschutz (Agenzia per la tutela

dell'ordine costituzionale) e l'intelligence estera, il Bundesnachrichtendienst (BND).276 A

questi canali si accompagnava lo sfruttamento dei collegamenti internazionali degli organi di

sicurezza nell'ambito della NATO e dell'Interpol, tramite i quali venivano raccolte ad esempio

liste di ricercati e fascicoli di indagine. Così facendo, la Stasi si procurava una sconfinata

mole di informazioni riguardanti non solo le generalità dei terroristi, bensì disponeva anche di

dati utili a conoscere e seguire i loro movimenti e quelli dei loro inquirenti.

4.2. La dietrologia sulle Br. La “pista Hyperion.”

Così come nel caso della Raf, anche per la storia delle Br sono state proposte negli anni

numerose interpretazioni di carattere dietrologico, che si sono proposte di smascherare le

interferenze dei servizi segreti nazionali ed esteri nell'operato delle Brigate rosse. Si vedrà nel

capitolo finale di questo lavoro come il caso Moro in particolare si sia prestato bene nel corso

degli anni a favorire lo sviluppo di una miriade di teorie ed interpretazioni, più vicine per

modalità d'indagine al mondo giornalistico che non a quello accademico e storiografico.277

La tesi dietrologica più radicata per quanto riguarda la storia delle Brigate rosse è quella del

“grande vecchio”. Con questa espressione si fa riferimento alla figura di Corrado Simioni.

Alla fine degli anni '50 è membro della Gioventù Socialista insieme a Bettino Craxi. Nel 1974

lascia l'Italia e fonda a Parigi la scuola di lingue “Hyperion” insieme a Vanni Mulinaris e

Duccio Berio. L'istituto viene indicato, dal Pm padovano Pietro Calogero nell'ambito

dell'inchiesta “7 aprile”278 e da altri magistrati del caso Moro, come una centrale del traffico di

armi del terrorismo internazionale.

Nel 1980 Bettino Craxi interviene nella discussione sulle centrali del terrorismo e parla di un

276Gianluca Falanga, Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi. Carocci, Roma 2014. pp. 126-157.277Cfr. Sergio Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1988.278 L'espressione “processo 7 aprile" è una locuzione giornalistica che si riferisce ad un serie di processi penali,seguiti ad arresti preventivi, contro membri e presunti simpatizzanti dell'Autonomia Operaia tra il 1979 e il 1988in riferimento a fatti degli anni di piombo, in seguito all'inasprimento della lotta al terrorismo seguita alrapimento e all'omicidio di Aldo Moro. Secondo il “teorema Calogero”, l'Autonomia era parte integrante delterrorismo rosso e ne costituiva la base. Questo teorema non venne accertato in sede giudiziaria e molti degliarrestati vennero assolti. Cfr. anche Fabrizio Carbone, Liliana Madeo, “Arrestati gli ideologi di Autonomia. Sonoaccusati di insurrezione armata”, La Stampa, 8 aprile 1979, pp. 1-2.

125

“grande vecchio” che a molti osservatori sembra il ritratto di Simioni: “Bisognerebbe andare

indietro con la memoria, ripensare a quei personaggi che avevano cominciato a fare politica

con noi, che avevano mostrato di avere qualità, doti politiche, e che poi all'improvviso sono

scomparsi. Gente di cui si parlava una decina di anni fa...Certo molti di loro avranno smesso,

si saranno accontentati di una sistemazione qualsiasi, qualcuno sarà anche morto. Però, dico,

ci sarà pure chi invece ha continuato nella clandestinità, magari oggi starà a Parigi, a lavorare

per il partito armato...”.279

Tra i massimi sostenitori della teoria dietrologica concernente le attività della scuola Hyperion

troviamo uno dei capi fondatori delle Br, Alberto Franceschini. I suoi sospetti che le Br

possano aver inconsapevolmente favorito gli interessi dei servizi segreti, sia italiani che esteri,

affondano le loro radici in un episodio che l'ex capo brigatista ha raccontato nella sua

autobiografia, curata da Pier Vittorio Buffa e Franco Giustolisi nel 1988 ed edita da

Mondadori, “Mara, Renato e io. Storia dei fondatori delle Br.” In merito all'anno 1972,

Franceschini racconta di come l'organizzazione avesse rischiato di instaurare pericolose

collaborazioni: “un pericolo lo corremmo realmente quando gli israeliani ci cercarono. Fu un

compagno di “Controinformazione” a dirci, non senza imbarazzo, che si erano messi in

contatto con lui degli uomini dei servizi segreti di Tel-Aviv. Volevano fornirci armi e

munizioni moderne senza chiedere una lira in cambio. A loro interessava che i paesi

Mediterranei come l'Italia, non in pessimi rapporti coi palestinesi, continuassero a vivere in

una situazione di instabilità al loro interno.280

D'altronde il timore che l'organizzazione venisse infiltrata dall'esterno si giustificava con i

recenti eventi del gruppo, che in seguito alla defezione di Marco Pisetta, e all'ondata di arresti

che ne era seguita, aveva subito un colpo durissimo.281

A distanza di oltre un decennio, le convinzioni di Franceschini si sono trasformate in un

disegno coerente, del quale l'ex brigatista traccia un quadro di fronte alle istituzioni italiane. Il

17 marzo 1999, nell'ambito delle indagini della Commissione parlamentare d'inchiesta sul

terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione delle stragi, Franceschini

dichiarava in merito alla scuola di lingue Hyperion: “Pensate ad una organizzazione che si

muove a livello europeo, a cui fa riferimento una serie di soggetti che come compito hanno

quello di orientare le organizzazioni di lotta armata esistenti nei vari paesi .[…] Ritengo

279Mario Moretti, Carla Mosca, Rossana Rossanda (a cura di), op cit., p. 15.280Alberto Franceschini, Giovanni Fasanella (a cura di), op. cit., pp. 74-75.281Cfr. Marco Clementi. Storia della Brigate rosse, pp. 43-48.

126

certamente che uno dei centri […] sia la scuola Hyperion. […] La vedo come una sorta di

camera di compensazione tra una serie di servizi; cioè, credo […] che la chiave di lettura è

Yalta. La chiave di tutto sono gli accordi di Yalta, il rispetto di questi accordi, il fatto che i

singoli stati nazionali non potevano trasbordare rispetto a certe linee.”282

Nel libro-intervista del 2004 pubblicato dal giornalista di “Panorama” Giovanni Fasanella ed

edito da Bur “Che cosa sono le Br”, Franceschini sposa definitivamente la teoria del “grande

vecchio”, indicante un'entità che avrebbe collaborato con servizi segreti di diversi stati e

infiltrato l'organizzazione, portando ad una sua marcata militarizzazione e costringendola ad

“innalzare il livello dello scontro.” Anche secondo Franceschini, si tratterebbe della struttura

clandestina costituita all'inizio degli anni '70 da Corrado Simioni, denominata Superclan

(Superclandestina). Pur avendo il Superclan cessato di esistere agli inizi del 1971, i suoi ex-

membri Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris fondarono nel 1974 a Parigi la scuola

Hyperion, che avrebbe rappresentato la base operativa del gruppo di Simioni. Per supportare

la sua tesi, Franceschini elenca una lunga serie di aneddoti riguardanti la figura di Mario

Moretti. Simioni aveva fondato, insieme a Curcio, il collettivo politico metropolitano, di cui

anche Moretti era membro. Corrado Simioni viene descritto da Franceschini come l'uomo

delle relazioni,283 colui che intratteneva legami in particolare con i gruppi francesi “Vive la

revolution” e “Gauche proletarienne”.284 Il compito di Simioni all'interno del Cpm era quello

di preparare il passaggio alla clandestinità del gruppo. A tale scopo era stato costituito il

gruppo delle cosiddette “zie rosse”, che Franceschini considera un'avanguardia militare in

seno al Cpm, a cui era affidato il compito di servizio d'ordine durante i cortei, così come

quello di eseguire azioni durante le manifestazioni. I suoi membri colpivano determinati

obiettivi e poi “rientravano mimetizzandosi in mezzo agli altri.“285

Nella primavera del 1970, Moretti lascia il Cpm, accusando i suoi membri di scarso impegno

nel passaggio alla lotta armata. Franceschini viene informato da Mara Cagol, già membro

delle “zie rosse”, del fatto che in realtà Moretti si sta unendo al Superclan di Simioni, e le sue

dichiarazioni sono da spiegarsi con la necessità di procurarsi una copertura nel momento del

suo passaggio in clandestinità.286

282Atti della Commissione stragi. Audizione 50a, 17 marzo 1999.283Fasanella, Franceschini (a cura di), op. cit., p. 51.284Gruppi francesi di ispirazione marxista-leninista che teorizzavano la lotta armata. 285Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), op. cit. p.51.286Ibd. p.55.

127

In seguito alla prima azione firmata Brigate rosse, l'incendio dell'auto del dirigente della Sit-

Siemens Giovanni Leoni, sarebbero sorti dei contrasti tra Franceschini e Simioni.287 L'ex

brigatista racconta di come Simioni rimproverasse agli autori del gesto una generale

ristrettezza di vedute sul tema della “propaganda armata”. Obiettivo del gruppo non sarebbe

dovuto essere quello di condurre piccole azioni di giustizia proletaria, bensì quello di

organizzarsi nell'ottica di una più estesa lotta antimperialista.288

Stando alle parole di Franceschini, Simioni avrebbe esplicitamente affermato di voler

infiltrare tutti i gruppi della sinistra per indurli ad innalzare il livello dello scontro,

affermazione dalla quale sarebbe maturata la decisione di interrompere ogni forma di

collaborazione con lui.289

Franceschini sostiene inoltre che i progetti di Simioni sarebbero diventati realtà, per quanto

riguarda le Brigate rosse, per mezzo di Mario Moretti, il quale si ripresenta a lui e Curcio

nella primavera del 1971, sostenendo di aver trascorso un periodo di clandestinità in

compagnia di non meglio identificati esuli sudamericani, con i quali avrebbe organizzato

qualche rapina.290 Il gruppo si sarebbe sfasciato, e Moretti avrebbe maturato la sua decisione

di tornare in quello di Curcio e Franceschini, il quale ritiene di poter sostenere, essendo a

conoscenza del fatto che Moretti avesse in realtà operato per il Superclan di Simioni, che

fosse stato lo stesso Simioni a rimandare indietro Moretti con lo scopo di “prendersi le Br”.291

Il fatto che, dopo l'arresto dei capi fondatori delle Br, la guida del gruppo sia stata assunta da

Moretti rappresenta, agli occhi di Franceschini, l'avvenuta infiltrazione del gruppo da parte

dell'organizzazione guidata da Corrado Simioni. Ulteriore prova di questo fatto sarebbe

proprio lo spiccato processo di militarizzazione a cui l'organizzazione andò incontro, seguito

all'uscita dai giochi dei membri del gruppo storico come Curcio, Franceschini (arrestati) e

Cagol (uccisa in uno scontro a fuoco con la polizia le cui dinamiche non sono state mai del

tutto chiarite), e dalla presa del comando da parte di Moretti, coincidente con un effettivo

innalzamento del livello dello scontro e con un ampliamento dell'orizzonte politico in cui le

Br morettiane tentavano di inserirsi, dal momento in cui iniziarono ad interpretare l'azione

della DC come parte di un più vasto programma politico portato avanti sotto le direttive

287Di questi dissapori Franceschini ha parlato apertamente anche di fronte alla commissione stragi nella sedutadel 17 marzo 1999.

288Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), op. cit., p.63. 289Ibd. p.72.290Ibd. p.102.291Ibd. p.103.

128

dell'imperialismo americano.

Il nome di Corrado Simioni viene di nuovo accostato alla figura del “grande vecchio”

dall'architetto e faccendiere di Craxi Silvano Larini, che nel 1993 dichiara alla magistratura

presieduta da Antonio di Pietro, nel corso dell'inchiesta “Mani pulite”, di essere assolutamente

certo del ruolo di burattinaio svolto da Simioni nel contesto del terrorismo brigatista. Le

accuse mossegli sono state prontamente smentite da Simioni in un'intervista telefonica

rilasciata al “Corriere della Sera” in data 16 marzo 1993.292

L'autonomia della Brigate rosse e' stata fortemente messa in dubbio non solo da suoi

autorevoli membri quali Franceschini, ma anche da rappresentanti politici strettamente

coinvolti nelle operazioni di indagine sulla vicenda Moro. Un esempio su tutti e' rappresentato

da Sergio Flamigni.

Pur non rifacendosi in alcun modo alla teoria del “grande vecchio”, dubbi sulla suddetta

autonomia delle Br sono stati mossi anche da Flamigni, parlamentare del PCI e membro della

commissioni parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, che dell'interpretazione dietrologica

della vicenda ha fatto una professione.293 294 Al nascere e svilupparsi di teorie di carattere

dietrologico sembra aver concorso anche un atteggiamento reticente della sinistra italiana, di

cui Flamigni può forse essere assurto ad esempio caratterizzante, a confrontarsi con una

storia, quella del brigatismo, che affonda le sue radici in quella del Pci, e che non ha

rinunciato ad avallare negli anni le varie interpretazioni proposte, laddove queste valessero a

deresponsabilizzare il partito supponendo l'espletarsi, per mano delle Br, di azioni ordinate o

inquinate da servizi segreti. Si è in sostanza teso a negare pubblicamente l'autoctonia del

fenomeno e della sua strategia, così come a sminuire i suoi legami col Pci, quando in realtà,

come ha sostenuto Rossana Rossanda, le Br non erano simili alle organizzazioni di stampo

nazionalista come l'Eta o l'Ira, ne' tantomeno nascevano con lo scopo di liberare un territorio o

per affermare l'indipendenza di un popolo. Per loro l'essenziale fu il fatto che in Italia fosse in

atto un conflitto di classe, di cui loro rappresentarono il braccio armato.295

292 Ulderico Munzi. “Corrado Simioni: Macché grande vecchio delle Br. Io sono buddista.” su “Corriere dellaSera”, 16 marzo 1993. p. 3.293Cfr. Sergio Flamigni, op. cit. pp.204-208.294Dello stesso autore cfr. anche: Il covo di stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1999;

Il mio sangue ricadrà su di loro, Kaos edizioni, Milano 1999; Patto di omertà. Il sequestro e l'uccisione diAldo Moro: i silenzi e le menzogne della versione brigatista, Kaos edizioni, Milano 2015.

295Rossana Rossanda in Moretti, Mosca, Rossanda. (a cura di.), op. cit., p. XIX.

129

4.2.1. La pista del blocco comunista.

Se, come abbiamo avuto modo di vedere, la storia della Br si è prestata ad interpretazioni

dietrologiche inerenti il ruolo svolto nella loro “direzione” da parte di servizi segreti del

blocco occidentale, allo stesso modo si sono sviluppate teorie di pari tenore sul legame che

condurrebbe le Br ai paesi del mondo comunista. Una di queste si è proposta ad esempio di

svelare i contatti intrattenuti tra alcuni brigatisti e la Repubblica popolare cecoslovacca. A

fornire per primo indizi in questa direzione è stato l'ex generale della Difesa del Comitato

Centrale Cecoslovacco ai tempi del governo guidato dal filosovietico Antonin Novotny, Jan

Sejna.

Quando, il 5 gennaio 1968, Novotny viene sostituito da Mosca con il riformista Alexander

Dubcek, Sejna diserta l'esercito e fugge prima in Inghilterra, per poi riparare definitivamente

negli Stati Uniti e mettersi al servizio delle CIA. A partire da allora, Sejna avrebbe rilasciato

dichiarazioni inerenti la presenza di campi di addestramento militari per terroristi

internazionali, organizzati da Mosca sul suolo Cecoslovacco a partire dal 1964. Campi di

addestramento che avrebbero goduto della presenza, tra gli altri, anche di esponenti di spicco

della sinistra extraparlamentare italiana, tra i quali Giangiacomo Feltrinelli (GAP), Sergio

Spazzali, Augusto Viel (Gruppo XXII ottobre), Ferruccio Gambino e Antonio Negri

(Autonomia Operaia).296 Fatta eccezione per Spazzali, che in qualità di avvocato difese di

fronte alla giustizia numerosi militanti della sinistra extraparlamentare e delle Br, nessuno dei

nomi riportati dalla commissione ha mai fatto parte delle Brigate rosse. Certo è che, alla luce

di queste considerazioni, non possa che risultare improprio chiamare in causa le Br, anche per

un secondo motivo: le dichiarazioni rilasciate da Sejna si riferiscono al periodo 1964-1968,

anni in cui le Brigate rosse non si erano ancora costituite.

La pista Cecoslovacca non trova conferma alcuna nella memorialistica dei membri del

gruppo, laddove non vengono mai menzionati rapporti diretti coi paesi del blocco

comunista,297 e viene smentita anche da Franceschini, quando di fronte alla Commissione

stragi afferma di aver visitato la Cecoslovacchia per la prima volta solo nel 1998, sei anni

dopo la fine della sua detenzione, così come di non essere a conoscenza del fatto che altri

296Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, Volume I, Tomo I, p.34.297Cfr. Aldo Grandi, L'ultimo brigatista, Bur, Bologna 2007; Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli,

Bompiani, Milano 2012; Mario Moretti, Brigate rosse: una storia italiana, Anabasi, Milano 1994.

130

brigatisti si siano sottoposti ad un simile addestramento.298

Ad ogni modo le dichiarazioni di uno dei leader storici dell'organizzazione non sono servite a

placare il fervore giornalistico per le sensazionali scoperte, il cui quadro si sarebbe

compiutamente definito pochi mesi dopo con la comparsa di una serie di documenti relativi ai

piani di invasione dell'occidente preparati da Mosca. Stiamo parlando del cosiddetto Archivio

Mithrokin, la cui sezione dedicata all'Italia è conosciuta col nome di Dossier Mitrokhin.

I documenti contenuti nell'archivio Mitrokhin rappresentano innanzitutto un problema

storiografico, e sono stati protagonisti di una storia complicata. Essi sarebbero il frutto di

un'opera ventennale di trascrizione portata avanti dall'agente del KGB Vasilij Mitrokhin299,

che nel 1992 decide di consegnarli al servizio inglese SIS. La parte riguardante l'Italia venne

trasmessa dal servizio segreto inglese MI6 a quello italiano SISMI a più riprese tra il 30

marzo 1995 e il 18 maggio 1999.300 Non si tratta, come appena enunciato, di documenti

originali trafugati dagli archivi del KGB, né tantomeno di loro fotografie. Mitrokhin sostenne

di aver letto i documenti originali e di averli poi trascritti in una scrittura stenografica di sua

invenzione, circostanza questa che lo rendeva l'unico soggetto in grado di decifrarli

pienamente.301

Tra le informazioni relative al nostro paese, Mitrokhin riportava i nomi di numerosi esponenti

della sinistra italiana che avrebbero collaborato col Kgb nel periodo compreso tra il 1948 e il

1984, annoverandole a tutti gli effetti tra le spie del servizio segreto russo su suolo italiano.

Dell'esistenza di questo documento l'opinione pubblica e la classe dirigente italiana sono

venute a sapere nel 1999, in concomitanza con la pubblicazione a New York del libro

autobiografico di Mitrokhin curata dallo storico dell'università di Cambridge Christopher

298Atti della Commissione stragi. Audizione 50a, 17 marzo 1999.299 E' lui stesso a raccontare la sua storia nel libro “The Sword and the Shield. The Mitrokhin Archive and thesecret History of the Kgb”, pubblicato nel 1999 dalla casa editrice newyorkese Basic Books ed edito nello stessoanno anche in Italia da Rizzoli. Militare ed agente del Kgb a partire dal 1948, alla morte di Stalin e dell'alloracapo del Kgb Lavrentij Berija nel 1953, rimase deluso dal processo di destalinizzazione avviato da Kruschev, edespresse critiche alla ancora fortemente centralizzata gestione del potere da parte di Mosca. Questo gli costò lacarica militare, e venne trasferito a lavorare nella sede del Primo Direttorato Centrale (sede dell'intelligenceestera del servizio russo) presso il palazzo moscovita della Lubijanka. In particolare due episodi vengono messiin risalto nella sua biografia come quelli che avrebbero contribuito in maniera determinante alla sua decisione didocumentare i crimini del Kgb: la rinuncia al premio Nobel da parte di Boris Pasternak, avvenuta nel 1958 sottopressioni del Cremlino, e la Primavera di Praga, repressa dai carri armati sovietici. Nel giugno del 1972Mitrokhin e' incaricato di supervisionare il trasferimento dell'archivio del Primo Direttorato Centrale da Moscaad una nuova struttura. Nel farlo, Mitrokhin avrebbe trascritto, in una scrittura stenografica di sua invenzione,centinaia di documenti riservati relativi all'azione del cosiddetto Direttorato S, una sottodivisione del PrimoDirettorato Centrale riguardante l'attivita' di agenti del Kgb infiltrati nei sistemi di governo esteri, tra cui l'Italia.300Commissione Mitrokhin. Relazione di minoranza sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian,

Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, p. 22.301Vasilij Mitrokhin, Christopher Andrew (a cura di), op. cit., p.32.

131

Andrew, “The Sword and the Shield. The Mitrokhin Archive and the secret History of the

Kgb”.

Il documento è stato al centro di un dibattito politico che ha trovato forma nell'istituzione

sotto il secondo governo Berlusconi, in data 7 maggio 2002, di una “Commissione

parlamentare d'inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l'attività d'intelligence italiana”,

presieduta dal giornalista e al tempo senatore della Casa delle Libertà Paolo Guzzanti.

L'istituzione della Commissione si rese necessaria in seguito alle supposte irregolarità nella

gestione del dossier Mitrokhin da parte del SISMI, che avrebbe insabbiato i contenuti del

dossier e rinunciato alle attività di controspionaggio necessarie,302 le quali avrebbero potuto

portare ad eventuali processi contro membri del decaduto Pci e provocare così forte

imbarazzo ai governi della XIII legislatura.303 Ad ogni modo, pur avendo ravvisato e

puntualizzato tutte quelle che agli occhi della maggioranza parlamentare apparivano come

irregolarità, la commissione non ha portato in nessun caso a procedimenti penali,304 ed è stata

a sua volta oggetto di forti critiche da parte della fazione opposta, che nell'incipit della sua

relazione di minoranza affermò che essa “è il sunto delle accuse infondate, delle insinuazioni,

dei tentativi di fornire una ricostruzione arbitraria, distorta e faziosa delle vicende dei

precedenti governi allo scopo di delegittimare l'opposizione, intentati dalla Casa delle Libertà

in questi due anni di lavori.”305 Un'affermazione questa non del tutto priva di fondamento, se

si guarda alla retorica fortemente anticomunista sulla quale Silvio Berlusconi ha in parte

costruito le proprie fortune politiche all'inizio della sua carriera nelle istituzioni.

La commissione parlamentare si occupò tra l'altro anche di cercare tracce di possibili

collegamenti tra il gruppo terroristico sorto intorno ad Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, il

terrorismo italiano e i servizi segreti dell'est. Che Carlos avesse ricevuto sostegno logistico ed

economico da vari servizi comunisti è cosa documentata e ripetutamente affermata dallo

stesso terrorista. Nella relazione finale della Commissione sul dossier Mitrokhin viene

delineato il quadro di un rapporto tra Br e KGB mediato da Carlos, quando si afferma che

“[…] Carlos mirava al ruolo di coordinatore e direttore dell'attività di varie organizzazioni

302Commissione Mitrokhin, Relazione sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian. Doc. XXIII, n.10,16 dicembre 2004, p.117.

303XIII Legislatura della Repubblica Italiana. 9 maggio 1996-29 maggio 2001. Governi Prodi, D'Alema I e II, Amato.

304Commissione Mitrokhin, relazione di minoranza, Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, pp. 122-123.305Ibd. p. 1.

132

terroristiche. Aveva instaurato legami stretti, collaborava e aiutava (fornendo attrezzature) le

seguenti organizzazioni terroristiche: 1. Brigate Rosse; 2. ETA militare (Spagna); 3. IRA

(Irlanda del Nord); 4. Cellule rivoluzionarie (Germania Ovest); 5. Prima Linea; 6. Lavoro

illegale (Svizzera); 7. 17 Novembre (Grecia); 8. ELA (Grecia). […]. Sulla base di documenti e

informazioni acquisite da una perquisizione segreta dell'11 dicembre 1980, risulta che i

rapporti tra il gruppo Carlos e le Brigate rosse italiane era particolarmente stretto. Emerge

altresì che fossero proprio le BR ad effettuare il trasporto di armi in Egitto dalla Bulgaria,

passando attraverso l'Italia, e ad occuparsi del loro stoccaggio temporaneo. […] Inoltre, in

seguito ad una perquisizione segreta nella base di Carlos a Budapest, del 26 marzo 1985,

emergevano i seguenti nominativi di soggetti che figuravano nelle annotazioni personali di

Carlos: Alessandro Girardi (BR), Antonio Savasta (BR), Renato Curcio (BR). […].”306

Le informazioni acquisite dalla Commissione non dimostrano nulla di nuovo o di diverso dal

fatto assodato per cui il blocco comunista si rese complice del terrorismo internazionale. Le

forme di sostegno e addestramento fornite alla Raf da parte della Stasi, di cui si è trattato nel

capitolo precedente, lo hanno in gran parte chiarito e ne hanno delineato le modalità. Tuttavia,

la presenza di appunti scritti riportanti i nomi di brigatisti italiani, rinvenuti nel covo di un

noto terrorista internazionale, non possono a mio avviso in nessun modo ritenersi sufficienti

per affermare, con Paolo Guzzanti, che “Si, le Br erano manovrate dal KGB.”307Le categorie

di “sostegno” ed “eterodirezione” tendono a confondersi e sovrapporsi nel contesto particolare

della guerra fredda, ma ritengo che non si possano usare con una simile leggerezza espressioni

di carattere totalizzante. Sostenere che “le Br facevano parte del sistema operativo del KGB,

compivano azioni richieste dal KGB e rispondevano al KGB attraverso una ferrea catena di

comando”308significa voler ricondurre il fenomeno brigatista esclusivamente ad agenti esterni,

ignorando il contesto sociale operaio in cui esso nacque, le rivendicazioni sociali ad esso

sottese e l'esistenza, nel corso dello sviluppo dell'organizzazione, di quel “filo rosso” che

legava i brigatisti all'esperienza partigiana e resistenziale italiana.

Nel sostenere questo, Guzzanti va oltretutto contro a quanto sostenuto alcuni anni prima dal

Parlamento italiano nell'ambito della Commisione stragi, che evidenziava “il carattere

nettamente nazionale del fenomeno brigatista e la genuinità della sua dichiarata ideologia

[…], e quindi escludeva, allo stato delle acquisizioni, la possibilità di un'eterodirezione o di306Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta Mitrokhin. Doc. n. 374, 15 marzo 2006.

pp. 280-283.307Paolo Guzzanti, Si, le Br erano manovrate dal Kgb. “Panorama”, 20 gennaio 2005.308Ibd.

133

un pressante condizionamento dall'esterno.”309

Prima di passare ora a cimentarci con la documentazione relativa alle Brigate rosse rinvenuta

negli archivi del BStU, riporto le osservazioni mosse dalla relazione di minoranza310 sul

dossier Mitrokhin, che riassumono in poche righe la sostanza della problematicità inerente

l'utilizzo del documento in sede giudiziaria, laddove non e' stato possibile verificare a fondo la

provenienza:

“La non disponibilità, da parte di Gran Bretagna e Russia, ad accogliere le rogatorie

internazionali inoltrate dalla procura di Roma hanno impedito di accertare elementi

fondamentali quali: l'esistenza di Vasilij Mitrokhin, il suo presunto ruolo all'interno

dell'archivio del Kgb, se egli avesse effettivamente trascritto le informazioni contenute nei

report, la mancata acquisizione della documentazione originale consegnata da Mitrokhin al

servizio britannico. Pertanto, il dossier Mitrokhin è da ritenersi giudiziariamente infondato.”311

Le suddette considerazioni valgono a mio avviso anche quando si cerchi di utilizzare le

informazioni riportate nel documento ai fini della ricerca storica, che dovrebbe basarsi

unicamente su documenti originali, ai quali l'accesso è stato però, nel caso specifico,

apertamente negato.

4.2.2. Il MfS, l'Italia e il terrorismo nella pubblicistica.

l tema dell'esistenza di contatti tra la Stasi e le Brigate rosse è stato trattato in due opere di

carattere pubblicistico apparse in Italia negli ultimi anni. La prima è quella scritta da Antonio

Selvatici nel 2009 e pubblicata dalla casa editrice bolognese Pendragon, dal titolo “Chi spiava

i terroristi. Kgb, Stasi-Br, Raf. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell'Europa

comunista”, nella quale l'autore si propone di svelare i rapporti tra Brigate rosse, altri gruppi

terroristici internazionali e i paesi oltre la cortina di ferro basandosi, per quanto riguarda i

brigatisti italiani, sulla documentazione d'archivio consultabile presso il BStU.

Selvatici viene descritto sul sito della casa editrice come un giornalista d'inchiesta, interessato

all'intelligence economica. Ha conseguito un master presso lo “Space”, il centro europeo per

309Commissione stragi, Doc. XXIII, n. 64, Volume I, Tomo I, 26 aprile 2001, p. 29.310Relazione di minoranza presentata dai deputati Bielli, Duilio, Giordano, Albonetti, Carboni, Diliberto,

Molinari, Papini, Quartiani e dai senatori Marino, Zancan, Cavallaro, Dato, Garraffa, Gasbarri, Maconi eNieddu.

311Commissione Mitrokhin, relazione di minoranza, Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, p. 114.

134

gli studi sulla protezione aziendale dell'università Bocconi, e ricopre il ruolo di docente del

“Master d'intelligence economica” presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. E'

inoltre consulente per la “Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della

contraffazione e della pirateria in campo commerciale”, nonché giornalista attivo per il

quotidiano nazionale “Il Giornale”. Se da un lato si può riconoscere all'opera di Selvatici il

merito di aver tentato di scrivere una storia dei rapporti tra Brigate rosse e servizi segreti

dell'est basandosi sull'analisi di documenti originali, ovvero proprio quelli del BStU, dall'altra

gli si deve purtroppo necessariamente rimproverare una superficialità e una mancanza di

approccio storico pressoché totali. Selvatici ha ampiamente promosso la sua opera in una

lunga serie di interviste a svariati quotidiani online. In una di queste affermava, riferendosi

alla documentazione analizzata, che quelle pagine “provano in maniera inconfutabile che

alcuni brigatisti rossi italiani passarono la frontiera (della Ddr, N.d.a.). Ma la cosa importante

è che non la passarono in forma anonima ma la passarono identificandosi o comunque

identificati come membri delle Brigate rosse italiane.”312

Selvatici non si ferma qui, e poco dopo si chiede “il problema è: una volta oltrepassata la

frontiera che facevano? Si incontravano con quelli della Stasi? Andavano ad addestrarsi

(come facevano quelli della Raf che se ne andavano in Giordania sugli aerei della Interflug,

linea aerea di copertura della Stasi) andavano per musei per aggiornarsi sulla storia

dell’arte?”. Le domande poste conducono così inevitabilmente in una direzione, fornendo al

giornalista l'opportunità di proporre “l’ipotesi più probabile”, ovvero “che andassero ad

addestrarsi all’interno dei campi paramilitari della DDR.”313

Mi limiterò qui a citare un esempio emblematico della mancanza di accuratezza storica

ravvisabile nel testo, ricollegandomi direttamente alla documentazione visionata da Selvatici e

sulla base della quale ha potuto rilasciare le dichiarazioni appena riportate: a pagina 27,

commentando il documento MfS-HAVI 12863, p.32, Selvatici sostiene trattarsi di una lista di

cittadini italiani, tra cui brigatisti, che avrebbero oltrepassato la frontiera della DDR nel

maggio del 1979.

L'analisi del documento rivela invece ben altro: non si tratta del risultato di operazioni di

filtraggio alle frontiere, bensì di una tabella riportante il numero di cittadini italiani ricercati a

livello internazionale, suddivisi in categorie in funzione del crimine per cui era stato spiccato

312Intervista ad Antonio Selvatici in www.cristianolovatelliravarinonews.com, 12 febbraio 2010. (visto il6.10.2015).

313Ibd.

135

il mandato di cattura. Questa lista era stata redatta pochi giorni prima, in seguito a delle

telefonate di minaccia ricevute dall'ambasciata della Ddr a Bonn indirizzate ad Honecker e la

cui voce si era identificata come membro delle Brigate rosse. Un ulteriore indizio della scarsa

accuratezza con cui il lavoro è stato portato a termine da Selvatici è rappresentato dalla

bibliografia utilizzata dall'autore, nel quale non è riportata nessuna delle parti che

compongono il MfS-Handbuch prodotto dal BStU, il quale, come già delineato nel paragrafo

4.1., rappresenta uno strumento d'indagine imprescindibile ai fini della comprensione dei

documenti del MfS, ricchi di sigle e caratterizzati da un linguaggio fortemente burocratico e

personalissimo. In sostanza, dall'errata interpretazione di un documento si giunge a suggerire

esattamente quel che ci si proponeva di dimostrare, ovvero i rapporti di collaborazione tra le

Brigate rosse e i servizi del blocco comunista, senza disporre però di una sola prova

documentaria a sostegno di questa teoria.

Chi invece del MfS-Handbuch sembra aver fatto un uso decisamente appropriato è Gianluca

Falanga, pubblicista indipendente che dal 2010 collabora con lo Stasi Museum di

Ruschestrasse e con il Gedenkstätte Berlin-Höhenschönhausen, il museo istituito nell'edificio

del carcere berlinese della Stasi. Falanga è nato nel 1977 a Salerno, ha studiato letterature

comparate tra Torino e Copenaghen e dal 2002 vive e lavora a Berlino. Già autore del saggio

“Il ministero della paranoia. Storia della Stasi”, nell'ottobre 2014 ha pubblicato per Carocci un

nuovo testo dal titolo “Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi.”

Sulla base dei documenti del BStU, Falanga dipinge un quadro coerente e minuziosamente

documentato delle forme e delle modalità dell'attività di spionaggio della Stasi nei confronti

del nostro paese. Tramite la raccolta dei dati superstiti provenienti dal database elettronico

centrale dello spionaggio estero del MfS314(HV A, Hauptverwaltung Aufklärung), Falanga

ripercorre quasi quarant'anni di storia italiana dal punto di vista del servizio segreto della

Repubblica democratica, portando alla luce le considerazioni del Ministero sullo sviluppo

delle vicende politiche italiane negli anni della guerra fredda. Il risultato finale consiste a mio

avviso in un'opera di indubbio valore storiografico, per quanto pensata per un pubblico non

314Si intende qui il database elettronico del progetto SIRA, System der Informationsrecherche derAuslandsaufklärung, iniziato nel 1974 e consistente nell'informatizzazione, tramite registrazione su nastromagnetico, delle informazioni raccolte nell'ambito delle operazioni di spionaggio estero. I nastri magneticidel database vennero distrutti per il 90% tra la fine del 1989 e il febbraio 1990, mentre in autunno venneritrovata, nella centrale informatica delle ex forze armate della DDR a Pätz, a sud di Berlino, una copia diback-up contenente sezioni dell'archivio informatico. Il problema delle lacune nella documentazione delBStU è stato più volte sottolineato anche in questo lavoro.

136

accademico, in cui l'autore dimostra di saper mettere in relazione più piani di una stessa,

complicata vicenda. Il riferimento alle fonti documentarie è preciso e puntuale, come ho avuto

modo di verificare personalmente prendendo visione della stessa serie di atti. Questo aspetto

risalta in maniera particolare quando si passa a trattare l'argomento che più ci interessa: i

rapporti tra la Stasi e il terrorismo italiano.

4.3. Le Brigate rosse negli atti del MfS.

Basandosi sulla documentazione disponibile, Falanga offre una ricostruzione della storia dei

rapporti tra le Brigate rosse e la Stasi con la quale posso ritenermi sostanzialmente d'accordo,

eccezion fatta per l'interpretazione di un punto in particolare, di cui si discuterà nel paragrafo

successivo.

Dalla ricostruzione di Falanga emerge come le Brigate rosse fossero state, per i loro primi

anni di attività, quasi completamente ignorate dalla Stasi. La documentazione aumenta in

maniera esponenziale ed è caratterizzata da una certa continuità solo a partire dal sequestro

Moro, circostanza questa di facile spiegazione con l'improvvisa notorietà internazionale

acquisita dall'organizzazione in seguito a quell'operazione.315

I giorni del sequestro sono segnati da una fervente attività all'interno del ministero, che in una

serie di informative sulla situazione politica italiana mette in luce la rilevanza dell'azione

brigatista in rapporto allo svolgersi dell'attività parlamentare. Di questa serie di documenti si

parlerà più ampiamente nel paragrafo 4.3., dedicato alle osservazioni ed integrazioni che

ritengo di dover apportare al discorso di Falanga.

Il giorno seguente al ritrovamento del corpo di Aldo Moro, una delegazione del Pci composta

da residenti in Germania e guidata da Angelo Sarto si reca presso l'ambasciata italiana nella

DDR per portare le proprie condoglianze. In quest'occasione un funzionario, il cui nome nella

documentazione è coperto da omissis, esprime i propri sospetti sul fatto che dietro al

rapimento si celino organi internazionali, tra cui anche il MfS.316

La ricostruzione e l'interpretazione dei documenti che seguono offerta da Falanga mi sembra

ancora una volta soddisfacente: le dichiarazioni del funzionario dell'ambasciata mettono in

allarme il Ministero, che il 10 maggio ordina una serie di controlli alle frontiere sul traffico in

entrata, uscita e transito da e verso la DDR di cittadini italiani che possano in qualche modo

315G. Falanga, Spie dall'est, p. 130.316BStU, MfS-HA XXII 406/10, p.82.

137

essere ricollegati alle Brigate rosse.317 I controlli non portano ad alcun risultato, e vengono

sospesi in data 16 agosto.318

L'istituzione di simili misure di controllo rappresenta una prova del fatto che la Stasi non

avesse praticamente provveduto, fino a quel momento, a documentarsi sulle Brigate rosse.

Non disponeva di dati sui membri del gruppo, né tantomeno poteva contare, nel 1978, sulle

informazioni derivanti dalla presenza di agenti IM reclutati tra i fiancheggiatori o tra gli

Szenenkenner, così come non si era ancora realmente preoccupata di tracciare i fili degli

eventuali legami tra brigatisti e cittadini della DDR.

Al problema della carenza di conoscenze dirette sull'organizzazione si cerca di ovviare nel

1979. L'Abteilung XXII viene a conoscenza dell'esistenza di legami tra un cittadino italiano,

residente fino al 1977 nella DDR e sposato ad una cittadina tedesco-orientale, e una coppia

composta da un'altra cittadina della Repubblica democratica e un brigatista italiano. Il

brigatista in questione è Pietro Morlacchi, dal 1965 al 1969 rifugiato politico nella DDR e

marito di Heidi Ruth Peusch.

L'interesse della Stasi per Peusch si manifesta già nel 1977. Nell'estate di quell'anno, la Stasi

intercetta una missiva recapitata dalla donna ad un parente di Jean Carl Raspe, membro della

Raf detenuto a Stammheim, in qualità di rappresentante dell'Associazione familiari dei

prigionieri politici in Italia.319 Dalla lettera emerge come Heidi Ruth Peusch fosse in rapporti

di collaborazione politica con lo studio legale dell'avvocato Klaus Croissant a Stoccarda.

Croissant verrà reclutato negli anni '80 (IM “TALER”) allo scopo di spiare i terroristi tedeschi

francesi e belgi.320

Nell'autunno 1979, il VI dipartimento comunica all'Abteilung XXII/2 che la Peusch si era

recata di recente al consolato della DDR di Milano per richiedere un visto di accesso, con lo

scopo di visitare dei parenti a Radeberg. Qui emerge che per Peusch e Morlacchi era stato

istituito il più assoluto divieto di accesso nella DDR già a partire dal 1974, a causa dei loro

trascorsi brigatisti.321 La decisione proveniva direttamente dal Comitato centrale della SED,

timorosa che la DDR potesse venire screditata se scoperta ad ospitare terroristi ricercati.

In un documento del 24 gennaio 1980 le Brigate rosse appaiono per la prima volta nella lista

317BStU, MfS-HA VI 12863, p.4.318BStU, ibd, p.1.319G. Falanga, Spie dall'est, p.144.320T. Wunschik, “I servizi segreti...”, p. 322.321Gianluca Falanga, Spie dall'est, p.145.

138

delle organizzazioni “lavorate” in cosiddetti FOA (Feindobjektakte),322e nel documento

relativo al gruppo viene riportata la dicitura indicante il piano operativo proposto per

l'organizzazione: lavorazione operativa con impiego di IM.323

Pur riferendosi il suddetto documento al 1980, è in realtà già nel 1979 che viene presa in

considerazione l'ipotesi di allacciare contatti indiretti con il gruppo, e il caso Peusch ne

rappresenta la prova inconfutabile.

In seguito alla richiesta di visto presentata dalla donna, la Abteilung XX (unità d'indagine

contro attività sovversive) propone di concedere alla donna il permesso di accedere alla DDR,

allo scopo di approfittare dell'occasione per valutare la sua disponibilità a fornire informazioni

sui membri della Br e sulle loro connessioni internazionali.324 Come notato anche da Falanga,

il piano operativo in questione era firmato dal tenente Peter Zaumseil e recava il visto del suo

superiore, il capitano Helmut Voigt, entrambe impiegati anche nelle procedure di

accoglimento degli Aussteiger.325

Il permesso di accesso viene però negato da Gerhard Neiber in persona dopo un colloquio con

la dirigenza politica, che ribadisce il rischio che la DDR possa venire screditata a livello

internazionale se sorpresa a fornire appoggio a terroristi internazionali.326 Un'affermazione

palesemente ipocrita, se si tiene conto del fatto che nel periodo preso in esame erano stati già

allacciati i contatti con il gruppo degli Aussteiger e si stava preparando la loro latitanza nella

DDR, circostanza di cui anche la nomenklatura comunista dovette essere perfettamente a

conoscenza.

Ad ogni modo, la documentazione esaminata sia dal sottoscritto che da Falanga indica che la

Stasi, su decisione della dirigenza politica, non sfruttò la possibilità offerta dalle circostanze

legate al contatto con la moglie di Morlacchi.

Ma questo non significa che la Stasi avesse rinunciato a penetrare più a fondo nelle maglie del

gruppo, e la documentazione dimostra in realtà come, in seguito al sequestro Moro e sulla

base delle similitudini ravvisabili tra l'agguato di via Fani e l'analoga operazione condotta

322La sigla “FOA” accostata ad un'organizzazione stava ad indicare la valutazione che ne veniva data dal MfS,ovvero quella di “organizzazione ostile”. Si trattava in sostanza di una procedura standard: fascicoli FOAvennero aperti praticamente per tutte le organizzazioni sovversive esistenti negli anni 70 e 80, ed indicavanol'intenzione del Ministero di portare avanti il lavoro di Aufklärung sui gruppi osservati, per poi decidere seprocedere o meno alla loro infiltrazione per mezzo di agenti IM. Cfr. Wunschik, Die Hauptabteilung XXII:Terrorabwehr.

323BStU, MfS -HA XXII 5778. Jahresplan 1980 des Leiters der Abteilung XXII, pp. 1420-1470.324BStU, MfS-AKK 2700/85, pp.251-252.325Gianluca Falanga, Spie dall'est, p. 148.326BStU, MfS-AKK 2700/85, p. 258.

139

pochi mesi prima dalla Raf a Colonia, quella nel corso della quale era stato sequestrato il

presidente della confindustria tedesca Hans Martin Schleyer, la Stasi iniziasse a nutrire dei

sospetti circa le relazioni tra i due gruppi. Ci si trova così di fronte a una serie di documenti,

siano essi articoli di giornale o comunicazioni pervenute per mezzo dei Bruderorgane, relativi

ai casi di alcuni terroristi svizzeri considerati gli anelli di raccordo tra il terrorismo italiano e

quello tedesco occidentale. Se per il periodo 1978-1982 le informazioni sulle figure di

Giorgio Bellini, Petra Krause e Susanne Mordhorst vennero raccolte principalmente per

mezzo di quotidiani,327 un ruolo non marginale venne svolto a partire dal 1983 dalla

compagna di Claus Croissant Brigitte Heinrich, reclutata come agente IM dallo stesso

avvocato e inserita nel database SIRA col nome di copertura “Beate Schäfer”.328

La donna procuro' alla Stasi informazioni di primo piano sulle connessioni Raf-Br, come

attesta un documento datato 16 febbraio 1983 consistente in un colloquio con il suo

Führungsoffizier329, il maggiore Helmut Voigt, al tempo capo della divisione XXII/8.330

Un altro dei canali utilizzati dalla Stasi per raccogliere informazioni identificati da Falanga

consisteva nelle informazioni pervenute alla Stasi da parte del Jihaz al-Rasd, il servizio

segreto dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), come dimostra un

documento risalente all'estate del 1979. Si tratta di un'informativa, compilata dall'OLP e

commentata da un ufficiale della Stasi, nella quale vengono ripercorse rapidamente sia la

storia dell'organizzazione che quella dei suoi legami internazionali.331

La ricostruzione degli eventi presentata da Gianluca Falanga appare come curata e

decisamente ben documentata, e credo di poter in questa sede affermare con lui che non si

possono trovare nelle carte prese in esame nemmeno i più piccoli indizi di una frequentazione

regolare tra brigatisti e MfS. In definitiva, nulla di quanto visto per la Raf sembra essersi

concretizzato nel caso delle Brigate rosse. Le due entità non pervennero in nessun momento

della loro storia a forme di sostegno e collaborazione diretta, né tantomeno sembrano aver

avuto luogo incontri volti a pianificare azioni in funzione di obiettivi comuni.

Mi sembra semmai doveroso puntualizzare alcune questioni, relative all'intenzione del MfS di

327E' ancora una volta sulla base delle notizie apprese dalla stampa occidentale che la Stasi va alla ricerca diconnessioni tra terrorismo svizzero e brigatismo, come dimostrano i numerosi ritagli di giornale fattipervenire dallo ZAIG alla divisione XXII.

328BStU, Akte XV/5276/82.329Il Führungsoffizier era solitamente un alto ufficiale del MfS, a cui era affidato il compito di guidare le

operazioni dell'agente IM secondo le linee guida impartite dal Ministero. Cfr. Helmut Mueller-Enbergs, Dieinoffiziellen Mitarbeiter in BStU (a cura di) MfS-Handbuch, Berlino 2008, pp. 7-9.

330BStU, MfS-AIM 278/89, p. 308.331BStU, MfS-HA XXII 18163, pp. 128-134.

140

penetrare più a fondo nell'organizzazione, che a Falanga sembrerebbero essere sfuggite o a cui

l'autore sembra aver deciso di non attribuire quella rilevanza che, a mio avviso, deve invece

essergli riconosciuta.

4.4. Integrazioni/1. Interesse prolungato e utilizzo di agente IM.

Se è vero, come sostenuto da Falanga, che la maggior parte della documentazione e' databile

ad un periodo compreso tra il sequestro Moro e gli ultimi mesi del 1979, così come è

incontestabile che non esista, nel complesso della documentazione, una sola traccia di contatti

tra la Stasi e le Brigate rosse, ritengo però che non si possa sorvolare completamente o quasi,

come l'autore fa, sulla pur consistente mole di documentazione relativa al periodo 1980-1989.

Sulla base di questa parte della documentazione, mi sembra di poter contestare l'affermazione

di Falanga, secondo il quale alla chiusura del fascicolo su Morlacchi in data 1 gennaio 1985332

sarebbe seguita la decisione di “abbandonare il proposito di penetrare operativamente più in

profondità nell'organizzazione brigatista.”333 D'altronde è lo stesso Falanga, poco più avanti, a

chiamare in causa un altro documento, ovvero una “lista di agenti”334 IMB infiltrati nelle varie

organizzazioni terroristiche, composta nel febbraio 1989 e nella quale sono riportati il numero

di registrazione e il nome in codice dell'informatore. Per le Brigate rosse viene riportato un

solo agente, nome in codice “Else Brunner”, numero di registrazione XV 4005/86.335 Falanga

sembra non dare nessuna importanza particolare a questo documento, dal momento in cui

afferma quanto detto poco fa in relazione al caso Peusch-Morlacchi e in considerazione del

fatto che lo identifica come semplice lista di agenti.

La prima obiezione che credo di poter muovere a Falanga è riferita al codice di registrazione

dell'IM “Else Brunner.”336 Se è vero, come sostenuto anche da Falanga, che la sigla “XV” si

riferisce ad un agente attivo all'estero, è però anche vero che l'autore sbaglia quando afferma

che l'ultimo numero del codice stia ad indicare un semplice numero di registrazione.337 Questo

332BStU, MfS-AKK 2700/85, pp 308-330. 333Gianluca Falanga, Spie dall'est, p.149.334Ibd., p.146.335BStU, MfS-HAXXII 289/1.336Non e' stato possibile scoprire l'identità dell'agente, per il quale si dispone solo della sua menzione nel

documento qui considerato.337Gianluca Falanga, Spie dall'est, p. 12.

141

si riferisce in realtà all'anno in cui è iniziata la collaborazione con il MfS, ovvero il 1986,338 e

ritengo che questo fatto contribuisca ancora una volta a smentire l'affermazione di Falanga,

secondo cui dopo la chiusura del fascicolo Peusch-Morlacchi si sarebbe rinunciato a

penetrare più a fondo l'organizzazione.

La seconda considerazione che mi sento in dovere di muovere è più complessa e può esser

riassunta come segue: se la Stasi aveva rinunciato ad infiltrare l'organizzazione già nel 1985,

in concomitanza con la chiusura della pratica Morlacchi, come si spiegherebbe allora la

presenza, in una lista redatta nel 1989, di un agente IMB collegato alle Brigate rosse? Il

dubbio che mi pongo è se i dati della lista non siano da interpretarsi come riferiti non solo a

spie ancora attive, ma anche ad altre che hanno concluso il loro lavoro presso le rispettive

organizzazioni. In tal caso, l'affermazione di Falanga circa Morlacchi sarebbe fondata, ma in

realtà credo di poter sostenere che la suddetta asserzione sia da ricondursi ad un errore di

interpretazione del documento preso in esame. Nella nota numero 98 al capitolo 2 del testo di

Falanga troviamo non solo il riferimento al documento d'archivio,339ma scopriamo che lo

stesso è stato già visualizzato ed interpretato da Tobias Wunschik, il quale nella nota 232 del

suo lavoro Die Hauptabteilung XXII: Terrorabwehr, pagina 47, lo descrive per quello che

effettivamente è: non una lista di spie, bensì la “copertina” di un documento più vasto e

andato perduto, consistente in una “Analyse des Leiters der Abteilung XXII/8, Oberstleutnant

Helmut Voigt” in relazione ai risultati raggiunti nell'anno 1988 nell'espansione e

qualificazione del “reparto” agenti IM. Insomma, venivano elencati tutti gli agenti ancora in

attività nel 1988, compreso il nostro “Else Brunner”.

La Stasi si interrogò ripetutamente, nel corso degli anni '80, sulla necessità di portare avanti la

“lavorazione” del gruppo. Date le difficoltà incontrate dall'organizzazione a partire dalla

tragica conclusione del sequestro Moro, cui erano seguiti nel 1981 l'arresto di Mario Moretti e

si erano andate intensificando le spinte scissioniste al suo interno, nel 1986 ci si poneva il

problema dell'utilità dello spendere uomini e risorse nel controllo di un'organizzazione le cui

strutture potevano considerarsi ormai annientate.340

La risposta la si trova in primis nell'arruolamento, nello stesso anno, dell'agente IMB “Else

Brunner”, e in seconda istanza nel fascicolo FOA dedicato alle brigate rosse datato 1988, nel

338Helmut Mueller-Enbergs, op. cit., in BStU (a cura di) MfS-Handbuch, Berlino 2008, p. 12.339BStU, MfS-HA XXII 521.340BStU, MfS-HA XXII 16917, p.119.

142

quale viene indicato il tipo di lavoro che ci si propone di svolgere sull'organizzazione

nell'anno 1989: monitoraggio analitico-operativo dell'evoluzione della situazione per

assicurarsi la disponibilità a fornire informazioni.341

Il FOA sulle Brigate rosse viene chiuso nel dicembre del 1989, ma un altro documento mostra

come l'interesse della Stasi per l'organizzazione si sia spento definitivamente solo nei primi

mesi del 1990, in concomitanza con gli eventi che portarono alla fine del regime comunista in

Germania est. Si tratta di un'informativa riassuntiva relativa all'attività dei gruppi terroristici

osservati dalla Stasi nel biennio 1988/1989 e da me rinvenuta nel fascicolo “Separat”, nome

con cui si indicava il gruppo terroristico operante intorno a Carlos. Insieme all'Eta e al gruppo

di Ilich Ramirez Sanchez figurano un'ultima volta le Brigate rosse. Su di loro viene affermato:

“Im Berichtszeitraum 1988/1989 konnte die italienische Polizei und die Abwehrorgane

weitere Fahndungserfolge verzeichen. (…) Gegenwärtig kann eingeschätzt werden, dass noch

existierende Teile der “Roten Brigaden” versuchen, sich zu reorganisieren. (…) Im

Planzeitraum 1990 wird dieses Potential kontrolliert und überwacht.”342

4.4.1. Integrazioni/2. Le Brigate rosse agli occhi della Stasi.

C'è un aspetto della documentazione su cui l'opera di Gianluca Falanga sorvola

completamente, ovvero la percezione che il MfS ebbe delle Brigate rosse dal momento in cui

iniziò ad interessarsene.

Data la natura pubblicistica dell'opera e l'ampiezza del tema trattato, penso non si possa

rimproverare a Falanga l'assenza di un'analisi della documentazione in chiave ideologica,

laddove al tema del terrorismo italiano sono dedicate poco più di trenta pagine, che pure

costituiscono il frutto di una seria ricerca storiografica. E' tuttavia un aspetto che ho ritenuto

di dover trattare più ampiamente. Chi erano le Brigate rosse per la Stasi? E' possibile

rintracciare delle differenze nella percezione del gruppo, da parte del MfS, nel corso degli

oltre dieci anni in cui l'organizzazione venne costantemente monitorata?

Come abbiamo già menzionato, l'apertura di un fascicolo FOA rappresentava una pratica

standard nello studio del fenomeno terroristico. Negli anni '80 ne esisteva uno per ogni sigla

341BStU, MfS-HA XXII 289/1, p. 32-33.342Nel periodo 1988-89, gli organi di polizia e difesa italiani hanno ottenuto altri successi nella caccia ai

ricercati. (…) Al momento si può ipotizzare che parti ancora esistenti delle Brigate rosse tentino diriorganizzarsi. (…) Nel piano per il 1990, questo potenziale verrà controllato e monitorato. BStU, MfS-XV2833/81 “Separat”, 17423/91, Tomo 10, pp. 93-94.

143

del terrorismo internazionale (Eta, Ira, Br, Raf, Action Directe, Separat),343segno del fatto che,

in principio, tutte queste organizzazioni rappresentavano un pericolo per la sicurezza interna

della Ddr. Tramite il discorso dei rapporti tra la Raf e la Stasi abbiamo già visto come però,

all'atto pratico, l'intenzione reale del Ministero fosse di natura ben più aggressiva che non

finalizzata alla semplice difesa dei propri confini, tendenza questa che si concretizzò nel

supporto attivo ai “combattenti” tedesco-occidentali e al terrorista Carlos.

L'instaurarsi di rapporti di collaborazione con membri attivi delle organizzazioni terroristiche

poteva essere favorito da alcuni fattori chiave: in primis una comunanza di obiettivi, secondo

la già esposta logica strumentale tipica del servizio segreto, nell'ottica della quale “il nemico

del mio nemico è mio amico.” In seconda istanza, nella decisione di avvicinare

un'organizzazione piuttosto che un'altra, o di dare la priorità alla ricerca di contatti con una

piuttosto che con un'altra, può essere determinante il fattore ideologico.

Pur non rinunciando infatti ad avvicinare organizzazioni di stampo neofascista e neonazista,344

la collaborazione con un'organizzazione ideologicamente più affine era quella che si

configurava come potenzialmente più foriera di vantaggi per la Stasi. Il pur marginale ruolo

giocato dal fattore ideologico nel caso della Raf dimostra almeno in parte questa ipotesi, e

ritengo che la storia dei non-rapporti tra il MfS e le Br possa essere letta, perlomeno sulla base

della scarsa documentazione esistente, anche in questa chiave. Volendo riassumere in poche

righe quantomeno il periodo 1978-1979, del quale si andrà a discutere in maniera più

approfondita nel capitolo finale di questo lavoro345, mi sembra necessario esporne

quantomeno le caratteristiche peculiari.

Una serie di documenti datati tra marzo e dicembre 1978, consistenti in informative sulla

situazione politica italiana pervenuti all'Abteilung VI dall'ambasciata romana della Ddr e nei

quali il rapimento Moro ricopre un ruolo primario, rivelano quale fosse la luce sotto la quale il

Ministero vedeva le Brigate Rosse. Con una certa continuità ricorrono temi quali la “strategia

della tensione” o il ruolo dei servizi segreti e delle forze neofasciste italiane nelle stragi di

stato verificatesi a partire da piazza Fontana. Come si vedrà nel capitolo seguente,

343Cfr. T. Wunschik, Die Hauptabteilung XXII. “Terrorabwehr”.344Un caso su tutti quello del neonazista “Wehrsportgruppe Hoffmann”, nel 1980 messo fuorilegge dal governo

di Bonn e i cui membri vennero aiutati dalla Stasi a riparare in Libano. Qui il gruppo venne addestrato daistruttori dell'OLP a compiere attentati contro obiettivi americani ed israeliani. Cfr. Ibd.

345La scelta di trattare il suddetto periodo, in questa sede, solamente accennandovi, si deve al tema stesso delpresente lavoro, laddove il caso Moro costituisce l'oggetto d'indagine primario e conclusivo, e verrà pertantotrattato in un capitolo a se' stante. Tuttavia, non sarebbe possibile esporre l'argomento di questo paragrafo inmaniera esaustiva senza fare riferimento al biennio 1978-1979, periodo per il quale la documentazioneconsiste al 90% in pagine relative al sequestro e all'omicidio di Aldo Moro.

144

nell'approcciarsi allo studio del gruppo il MfS mise in relazione tutte le informazioni di cui

era venuta a conoscenza negli anni '70. Che la Stasi si fosse interessata alle vicende che

segnarono quella drammatica fase della storia del nostro paese lo dimostra tra l'altro uno dei

pochi documenti superstiti sul terrorismo italiano precedente il delitto Moro, ovvero la scheda

relativa alla figura di Giuseppe Pinelli.346 Sotto al nome di Pinelli troviamo, tra parentesi, il

nome di Pietro Valpreda, seguito da un appunto riportante una notizia estratta dal numero 13

del quotidiano “Der Spiegel” del 1972 circa le indagini in corso sull'attentato di piazza

Fontana, in un primo momento attribuito proprio all'anarchico italiano.

Il filo conduttore alla base di queste informative è sostanzialmente uno e ben evidenziato: le

Brigate rosse sono una formazione profascista, probabilmente creata ad arte dai servizi segreti

allo scopo di gettare discredito sul mondo comunista. Esse sarebbero in sostanza un tassello di

cui si compone il grande puzzle della strategia della tensione, creato allo scopo di favorire una

svolta reazionaria e di ostacolare l'ingresso del Pci all'area di governo.347

La domanda che mi sono posto è se sia possibile individuare un momento ben preciso, o

quantomeno un lento procedere in questa direzione, in cui l'opinione della Stasi nei confronti

delle Br sia andata mutando, se il Ministero sia stato cioè in grado, da un certo momento in

poi, di accorgersi della vera natura dell'organizzazione. Oltre alla già enunciata circostanza,

quella per cui il MfS sembra essere ben informato circa le caratteristiche della strategia della

tensione in Italia, a costruire l'immagine delle Brigate rosse come strumento dei servizi

sembra aver contribuito almeno in parte la lettura della stampa tedesco-occidentale, che non

mancò di dipingere il sequestro Moro in chiave dietrologica.348 La mancanza di un contatto

diretto con l'organizzazione ha fatto si che ci si dovesse fare un'idea più precisa delle

intenzioni del gruppo basandosi sulle notizie apprese da fonti terze. Nonostante questa

limitazione, nel 1979 la Stasi dimostra di aver raccolto una consistente mole di informazioni,

come dimostra un'informativa riassuntiva in cui viene per la prima volta tracciato quel “filo

rosso” che ricollega le Brigate rosse all'esperienza partigiana.349

346BStU-MfS-ZAIG 11054, p.302.347BstU-MfS-HA IX-2600, p. 27.348In un documento del 25 aprile 1979 viene fornita una relazione di quanto appreso dalla stampa internazionale

sul ruolo svolto da soggetti esterni all'interno dell'organizzazione. Il quadro generale viene riassunto con lafrase “italienisches terroristen-hauptquartier angeblich in Paris”, con chiaro riferimento alle teorie riguardantiil ruolo dell'Hyperion nella direzione del terrorismo internazionale. BStU-MfS-HAXXII 19961, p. 254. Cfr.anche BStU, MfS-HA IX-2600, pp. 22-29 e MfS-HA IX 19356, p. 99.

349Nel documento in questione la storia delle Br viene fatta iniziare con la fondazione dei GAP (imprecisione)da parte di Giovanni Battista Lazagna, della quale esperienza partigiana viene fatta esplicita menzione. BStU,MfS- HA XXII 406/9, pp. 136-140, qui p. 136.

145

Da questo momento in poi la il servizio segreto della Ddr sembra aver raggiunto una

conoscenza maggiore dell'organizzazione, derivata da una maggiore attenzione al fenomeno

nonchè dall'analisi dell'ideologia del gruppo, ricavata dai comunicati brigatisti350. Fatto sta che

la dicitura “profascista” smette di essere accostata al nome dell'organizzazione al più tardi

dall'inizio del 1980. A questo cambio di tendenza può in un certo qual grado aver contribuito

anche la vicinanza della Stasi all'Olp, con cui le Br strinsero degli accordi sulla fornitura di

armi nel 1979 e che si preoccupò di passare alla Stasi le informazioni di cui disponeva

sull'organizzazione.351

Se per questo periodo, come già enunciato nel cap. 3.2., le strutture dell'Abteilung XXII sono

di difficile identificazione, con la ristrutturazione della divisione antiterrorismo del MfS nel

1981 si giunge ad una rigida suddivisione degli incarichi tra le nuove Unterabteilungen. La

numero XXII/8 verrà incaricata, a partire da questo momento in poi, dello studio e della

“lavorazione” del terrorismo di sinistra e di quello internazionale, ed è a questa struttura che

verrà affidata, tra le altre, la “pratica” Br.

L'affidamento della lavorazione del gruppo alla divisione deputata al controllo delle

organizzazioni terroriste di matrice internazionale dimostra come, pur a fronte della scarsa

documentazione disponibile, all'inizio degli anni '80 la Stasi disponesse di tutte le

informazioni necessarie a catalogarla come tale. D'altronde questa circostanza ricalca

perfettamente la tendenza dell'organizzazione, a partire dai primi anni '80, a proporsi sempre

più sulla scena internazionale. Che proprio l'internazionalizzazione degli obiettivi del gruppo

sia stato alla base dell'incremento d'interesse da parte della divisione Terrorabwehr trova

conferma a mio parere in numerosi documenti dei primi anni '80, dove delle Br si parla spesso

in relazione ad altri gruppi eversivi e si cerca di individuarne eventuali connessioni.352 Un

documento in particolare merita di essere “raccontato” nella sua interezza. Si è già parlato350Che la Stasi abbia portato avanti una sistematica analisi dei testi prodotti dal gruppo e' dimostrata dalla

presenza di alcuni comunicati Br nella documentazione d'archivio. Di particolare interesse e' ladocumentazione relativa allo svolgimento del processo al nucleo storico delle Brigate rosse, per il quale laDDR disponeva di un referente in loco.

351BStU, MfS-HA XXII 18163, pp. 128-134.352Rilevanti a questo proposito, solo per riportarne alcuni, il documento della divisione XXII/8, BStU, MfS-

HAXXII 17225, pp. 60-62, relativo al primo sequestro di un non italiano portato a termine dalle Br, quellodel generale della NATO James Lee Dozier, nel quale viene riportata una notizia ottenuta da fonti nonufficiali sui rapporti tra la Raf e le Br, quella secondo cui “in der Vergangenheit Verbindungen logistischerArt gab. Gegenwärtig bestehen zwischen beiden Organisationen jedoch keine direkten Kontakte.” trad: “nelpassato ci sono state connessioni di tipo logistico. Al momento non persistono rapporti tra le dueorganizzazioni.”; e il documento MfS-HA XXII 406/9, dove a p. 59 vengono riportate notizie, ancora unavolta estratte dalla stampa occidentale, che metterebbero in collegamento le Br con i francesi di ActionDirecte.

146

dell'articolo sulle Br tratto da Newsweek, in relazione alle strade percorse dalla Stasi nel

portare avanti le operazioni di Aufklaerung sul gruppo. Ebbene, ritengo di dover chiamare

ancora una volta in causa il suddetto articolo, allo scopo di evidenziare di nuovo l'importanza

del processo di internazionalizzazione delle Brigate rosse nel destare le attenzioni del MfS.

Dalla copia da me visualizzata è possibile infatti ricavare una testimonianza concreta delle

direttive d'interesse seguite dall'apparato di Mielke, consistente nella breve sottolineatura

apportata dal funzionario di turno ad un passaggio della relazione riassuntiva sui temi

dell'articolo analizzato: a pagina 421 del tomo MfS-HA XXII 19961 viene infatti sottolineata

a penna nera la circostanza per cui “mit der Dozier-Entführung zeigt sich ein zunehmend

internationaler Charakter der Gruppe.”353

Riassumendo, il primo decennio di vita dell'organizzazione sembra aver interessato poco la

Stasi, data la tendenza dell'organizzazione brigatista a concentrarsi esclusivamente su obiettivi

nazionali, strettamente legati al contesto della lotta di classe contro la Dc. A partire dal

sequestro Moro, data la risonanza internazionale che l'azione raggiunse, la Stasi si attiva e

sfrutta tutti i canali di cui dispone per raccogliere informazioni rilevanti su ideologia, membri

e intenzioni del gruppo.

L'approcciarsi alle Brigate rosse viene segnato, nei primi anni, da una visione se non distorta

quantomeno profondamente influenzata dalla stampa occidentale, che porta il MfS a crearsi

l'immagine di un gruppo di matrice fascista, funzionale ad un disegno reazionario, ma

mascherato da gruppo rivoluzionario comunista. Circostanza questa abbastanza

comprensibile, se si considerano fattori quali l'assenza di un contatto diretto all'interno del

gruppo nonchè la consapevolezza del modus operandi dei servizi segreti nell'ambito di

operazioni false flag, di cui lo stesso MfS fece un vasto impiego nel corso della sua storia.

Ad ogni modo, con la ristrutturazione del 1981 il MfS sa esattamente dove collocare le Br,

ovvero tra quei gruppi terroristici internazionali la cui imprevedibilità d'azione avrebbe potuto

comportare seri pericoli per la Ddr. A questa considerazione si deve dunque ricondurre la

decisione di “infiltrare” le Brigate rosse, presa nel 1980 e, a quanto pare, realizzata nel 1986,

proprio in concomitanza con l'inizio dell'attività di spionaggio avviata nei confronti del

gruppo francese Action Directe.354 Il proposito di stringere i rapporti sembra dunque essere

nato solo dopo aver appurato l'inclinazione ideologica del gruppo, laddove era ormai divenuto

353Con il sequestro Dozier si ravvisa un accrescimento della dimensione internazionale del gruppo. BStU, MfS-HA XXII 19961, p. 421.

354Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”. p.45.

147

chiaro che obiettivo finale delle Brigate rosse fosse la presa del potere in Italia e che esse non

fossero un mero prodotto dei servizi segreti occidentali.

4.5. Conclusioni.

La scarsa documentazione disponibile sull'attività di controllo svolta dal MfS nei confronti

delle Brigate rosse non ha restituito una sola pagina che permetta di sostenere l'ipotesi di una

collaborazione tra il gruppo e la Stasi. Il servizio segreto tedesco-orientale si disinteressò

completamente delle Br fino al rapimento Moro, e si propose di studiarle in maniera più

approfondita solo a partire dal 1980, anno in cui la mole di informazioni raccolta nei primi

due anni di indagini permise una conoscenza maggiore della natura del gruppo e degli

obiettivi dei suoi attacchi, ora sempre più apertamente indirizzati contro istituzioni cardine

dell'imperialismo americano. Si cercarono così punti di contatto nella scena italiana, come il

caso Morlacchi-Peusch, descritto in maniera esauriente da Gianluca Falanga, ha ampiamente

dimostrato. Un'ulteriore punto di interesse mi sembra proprio il fatto che nello stesso anno,

quel 1980 in cui ci si propose di infiltrare le Brigate rosse, la Stasi fosse ormai nel pieno del

suo coinvolgimento negli affari della Raf, con l'attivazione dei procedimenti operativi Stern. I

vantaggi, ormai appurati, derivanti dall'intessere rapporti direttamente all'interno del gruppo

tedesco, possono aver svolto un ruolo di primo piano nella maturazione dell'idea di operare in

maniera analoga nei confronti di quella che si presentava come una delle piu' influenti

formazioni terroristiche attive sullo scenario europeo. Questa strada si rivelo' pero' non

percorribile, e d'altronde abbiamo gia' menzionato anche il fatto per cui, se per la Raf le

occasioni di contatto furono precoci e numerose, per le Br non si presento' praticamente mai

l'occasione di un contatto diretto con terroristi, ex terroristi, fiancheggiatori o Szenenkenner,

rappresentando il caso Morlacchi-Peusch un unicum in questo senso, che però non venne

sfruttato a causa di pregresse decisioni politiche.

L'esempio della Raf, con la quale era stato possibile, in un certo qual modo, stabilire un

rapporto maggiormente amichevole e con la quale si era giunti, a quanto sembra dimostrare il

caso dell'attentato al generale NATO Frederik Kroesen, a forme molto strette di

collaborazione attiva, può aver guidato la decisione degli uomini del MfS di cercare un

contatto, dal momento in cui divenne chiaro che anche le Br stavano subendo una “deriva”

148

internazionalistica, pur con le dovute differenze di contesto: l'Italia intratteneva buoni rapporti

con la Ddr, e l'idea, descritta nel caso della Raf, di utilizzare il gruppo in operazioni di

sabotaggio in caso di conflitto poteva valere solo nel caso della Germania Ovest, vero centro

nevralgico dell'attività d'intelligence tedesco-orientale. Questa intenzione avrebbe trovato un

(invero minimo) grado di realizzazione solo nel 1986, con l'ingaggio dell'agente IMB “Else

Brunner.” La sigla IMB identifica l'agente come collaboratore ufficioso a contatto col nemico,

vale a dire non un fiancheggiatore o un terrorista attivo355, ma una persona che, per la sua

vicinanza all'organizzazione, doveva essere in grado di fornire informazioni di grande

rilevanza sui membri e sui piani del gruppo. Poteva trattarsi di un parente, di un conoscente di

un qualsiasi brigatista o anche di un avvocato di qualche membro dell'organizzazione,

sull'esempio dell'agente Croissant/Taler. Purtroppo, del suddetto agente si conosce oggi solo il

codice identificativo, e non è stato possibile rinvenire un solo documento da lui trasmesso alla

divisione XXII, motivo per il quale non e' stato possibile ricavare indizi sulla qualita', la

quantita' e la frequenza dei dati forniti. La dicitura più ricorrente nelle informative sul gruppo

relative al periodo 1981-1989 e' infatti “Laut westlichen Massenmedien/ Laut Presse”, che

dimostra come la lettura della stampa occidentale abbia costituito sempre il canale

informativo predominante nello studio delle Brigate rosse.

Quel che e' possibile affermare, contro ogni ragionevole dubbio, è che la Stasi non rinunciò

mai a tenere sotto osservazione il gruppo, nemmeno in una fase in cui le scissioni all'interno

della Br e i ripetuti successi delle forze di polizia italiane avevano condotto ad un suo

consistente ridimensionamento ed indebolimento.

Se, come abbiamo avuto modo di vedere, le relazioni tra i due soggetti non sembrano aver

superato la soglia della raccolta di dati, a scopo informativo e preventivo, da parte del MfS,

mi sembra allora di poter suggerire, con Falanga, l'assenza di un qualsiasi tipo di

coinvolgimento diretto della Staatssicherheit tedesco-occidentale negli affari brigatisti.

Questo è quanto risulta dall'analisi della documentazione esistente.

Sarebbe invece estremamente interessante riuscire a delineare in maniera più precisa e

coerente il quadro intorno ad “Else Brunner.” Indagine questa che potrebbe essere portata

avanti, qualora la ricostruzione sistematica dei documenti cartacei tritati effettuata nel

contesto del progetto “Stasi-Schnipselmaschine” dovesse restituire pagine a lui relative.

355Era molto difficile che la scelta ricadesse su terroristi ancora attivi, data la pericolosità di cui i soggetti eranoinvestiti dall'analisi del MfS. Cfr. Ibd., p.47.

149

Se dovessero persistere dubbi sull'assenza pressoché totale di relazioni tra le due parti, il

capitolo seguente cercherà di fugare ogni residuo sospetto, analizzando nel dettaglio la

documentazione relativa al sequestro e all'omicidio del presidente della Dc presente negli

archivi del BStU, argomento per il quale la dietrologia ha trovato terreno fertile e che più

volte, nel corso dei decenni trascorsi da allora, è tornato prepotentemente all'attenzione

dell'opinione pubblica italiana e internazionale, in relazione al supposto ruolo-guida di servizi

segreti nella pianificazione, attuazione e tragica conclusione del sequestro di Aldo Moro.

150

5. Capitolo 5. Il caso Moro negli atti del ministero per la sicurezza di stato dellaRepubblica democratica tedesca.

5.1. Premessa.

Abbiamo detto di come il rapimento di Aldo Moro rappresenti il punto di svolta, evento

cardine in grado di suscitare definitivamente ed in maniera improvvisa l’interesse della Stasi

nei confronti delle Brigate rosse, fino a quel momento tenute in poca considerazione in virtù

del loro raggio d’azione strettamente legato al contesto italiano e quindi poco propenso a

derive internazionalistiche, da cui sarebbero potuti potenzialmente derivare pericoli per la

DDR. D’altra parte il sequestro Moro coincide proprio con un periodo della storia

dell’organizzazione che segna un aumento dell’interesse brigatista nei confronti di tematiche

più che mai internazionalistiche. Sotto questo punto di vista non sembra difficile spiegare per

quale motivo l’attenzione dei generali del MfS si sia concentrata sulle Br solo a partire da

quel fatidico 18 marzo 1978. Ma come reagirono nella pratica i dipendenti del ministero ad un

evento di tale portata politica e di così grande risalto per la cronaca italiana ed internazionale?

Quali furono le misure adottate dall’apparato di Mielke per proteggersi da eventuali

ripercussioni, e quali idee circolavano negli ambienti della Stasi circa il movente e i mandanti

del sequestro? Inoltre, quali furono i fattori che maggiormente contribuirono alla

formulazione, da parte del MfS, delle suddette idee? Abbiamo detto nel precedente capitolo di

come non sia possibile rinvenire una sola prova, nella massa di documenti esaminati,

dell'esistenza di una qualche forma di collaborazione propriamente detta tra il Ministero e

l'organizzazione.

L'inizio dell'attività dell'agente IMB “Else Brunner”, che deve necessariamente collocarsi al

1986 e che permette dunque di escludere con buona probabilità la possibilità che la Stasi

disponesse, nel 1978, di un informatore con una qualche conoscenza nell'ambiente delle

Brigate Rosse, non può nemmeno essere elevata a prova del fatto contrario in relazione al

decennio successivo, non essendo possibile stabilirne l'identità. Tale circostanza infatti, pur

suggerendo che la Stasi abbia disposto di un informatore potenzialmente in grado di attingere

informazioni rilevanti direttamente da ambienti vicini alle Brigate rosse a partire dalla metà

degli anni '80, non implica automaticamente che i membri del gruppo con cui “Else Brunner”

potrebbe essere entrato\a in contatto fossero a conoscenza dell'attività svolta dall'agente in

questione. Prove di un supporto logistico fornito dalla Stasi alle Brigate rosse, nella forma di

forniture di armi e munizioni e\o addestramento militare, sul modello di quanto descritto nel

151

capitolo 3 in relazione ai rapporti tra Stasi e Raf, non sono disponibili per quanto riguarda i

terroristi italiani.

In definitiva, dall'analisi compiuta direttamente sulle fonti dell'MfS e dal confronto con la

letteratura secondaria che si è occupata del tema del rapporto tra Stasi e Brigate rosse è

possibile affermare, allo stato attuale della ricerca, che non sono emersi documenti che

testimonino di un contatto diretto tra queste e la Stasi. A questa affermazione va tuttavia

aggiunta una considerazione non irrilevante, più volte riproposta in questa sede: la

documentazione conservata presso il BStU, e nel caso specifico quella relativa allo spionaggio

estero proveniente dall'Hauptabteilung HV A, ha subìto nei primi mesi del 1990 una

distruzione la cui entità si attesta intorno al novantanove percento del totale, circostanza che ci

pone dunque di fronte all'impossibilità di indagare più a fondo e che potrebbe almeno

parzialmente risolversi con il proseguimento del progetto Stasi-Schnipselmaschine.

Detto ciò, resta la realtà di fatto per cui i canali informativi percorsi dall'antiterrorismo

tedesco-orientale si riducono, anche e soprattutto per il periodo 1978-79, alla sistematica

lettura della stampa di lingua tedesca e segnatamente tedesco-occidentale, e in alcuni casi

all'utilizzo di contatti all'interno degli organi di sicurezza della Germania federale.

Si è deciso di suddividere il capitolo in tre sezioni tematiche. Nella prima ci si preoccuperà da

un lato di presentare brevemente gli eventi, dal rapimento al ritrovamento del corpo di Aldo

Moro, con riferimento al dispiegarsi della discussione politica e mediatica in Italia riguardo la

trattativa per la sua liberazione, mentre dall'altro si offrirà una panoramica generale, con

riferimento ad alcuni testi, delle teorie sorte nel corso degli ultimi trentacinque anni intorno

alla morte dello statista.

Nella seconda parte si presenterà una sorta di breve rassegna della documentazione relativa al

sequestro rinvenuta negli archivi del BStU, evidenziando in particolare quei fattori che

portarono il MfS ad alzare il livello di guardia nei confronti delle Brigate Rosse istituendo,

come vedremo, misure eccezionali di controllo e filtraggio alle proprie frontiere, andando così

ad integrare e chiarire alcune questioni trattate solo marginalmente nell'opera di Gianluca

Falanga. Si metterà inoltre più marcatamente in risalto quell'aspetto particolare, già

menzionato nel capitolo 4. e presente fin da subito nelle convinzioni della Stasi, che nella

documentazione vede le Br figurare come un gruppo neofascista, direttamente ascrivibile alla

“strategia della tensione”.

152

La parte conclusiva di questo capitolo si concentrerà infine sull'analisi dei canali informativi

che stettero all'origine delle convinzioni del Ministero. Si metterà cioè l'accento sulla

mediazione svolta dalla stampa di lingua tedesca nell'analisi della vicenda, e con essa del

fenomeno brigatista nella sua totalità e complessità. Non è possibile, infatti, scindere la

questione delle ipotesi formulate dai colonnelli dell'MfS sul conto delle Brigate Rosse da

quella inerente i canali informativi per mezzo dei quali a tali considerazioni si pervenne.

L'assenza di un contatto diretto, se da un lato trova conferma proprio nella priorità assegnata

al mezzo giornalistico nella raccolta di informazioni, dall'altro si pone anche come come

fattore discriminante e limitante, e sta con ogni probabilità all'origine della scelta di affidarsi

alla lettura dei quotidiani nello sforzo di penetrare più a fondo nell'essenza

dell'organizzazione.

Fonti di natura diversa dalla stampa rappresentano qui una sparuta minoranza, attestandosi

intorno al 2% della documentazione complessiva. L'Abteilung XXII lavorò a stretto contatto

con l'HV A, condividendone nel 1990 il destino proprio in virtù della rilevanza internazionale

delle operazioni condotte da questa unità di servizio nel corso della sua storia.

5.2. Il sequestro Moro. Gli eventi e il dibattito pubblico.

La mattina del 16 marzo 1978 in via Mario Fani, Roma, le Brigate rosse prelevarono Aldo

Moro dopo aver eliminato la sua scorta composta da cinque persone. Il nucleo che agì era

composto da nove brigatisti operativi e da una decima persona, una ragazza, che aveva il

compito di segnalare l'arrivo del convoglio delle macchine con la scorta e il presidente

democristiano e, quindi, abbandonare immediatamente la zona. La dinamica del sequestro è

stata descritta in maniera puntuale da Marco Clementi, alla cui “Storia delle Brigate rosse” si

rimanda per la presentazione dei particolari. L'ostaggio venne portato in via Montalcini, dove

fu tenuto prigionieri in una “prigione del popolo” gestita da Anna Laura Braghetti, Germano

Maccari e Prospero Gallinari. Nel covo, Mario Moretti interrogava Moro e riferiva

all'esecutivo dell'organizzazione, che per motivi di sicurezza si riuniva a Firenze e non nella

capitale, dove massima era l'allerta delle forze dell'ordine.356

Le Br tennero Moro segregato per 55 giorni, nel corso dei quali diffusero 9 comunicati. Per

mezzo di questi, le Br rivendicarono il rapimento, chiarirono la loro linea politica, resero note

alcune conclusioni politiche dell'interrogatorio e, quindi, chiesero una contropartita per la

356Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 203.

153

liberazione dell'ostaggio, scontrandosi col netto rifiuto della classe politica.

All'eccidio di via Fani il governo italiano guidato da Andreotti, costituitosi poco dopo la

diffusione della notizia del sequestro, oppose una linea definita “della fermezza”, inasprendo

immediatamente le pene per gli esecutori di atti particolarmente violenti attraverso il decreto

legge del 21 marzo 1978.357

Tra i partiti, la linea più intransigente venne tenuta dal Pci, che per la prima volta dopo un

trentennio si ritrovava all'interno delle istituzioni. Il prezzo politico per la salvezza di Moro,

ovvero quello di riconoscere politicamente le Br quale controparte belligerante di una guerra

condotta al “cuore dello stato”, avrebbe costituito la fine del progetto di solidarietà nazionale.

Marco Clementi ha voluto individuare nella linea tenuta dal Pci una certa “miopia

prospettica”, coincidente con l'incapacità di condurre una politica di ampio respiro, a cui si

preferì mantenere una posizione di forza derivata da una visione parziale della vita politica

italiana, che anteponeva al bene generale quello particolare del partito. Il Pci, così Clementi,

sarebbe rimasto contrario ad ogni apertura in direzione di una trattativa, che avrebbe

certamente condotto ad un'uscita del Pci dalla maggioranza parlamentare, con l'obiettivo di

non perdere la “patente di affidabilità democratica” faticosamente conquistata.358 Pur non

volendo in nessun modo contestare quanto affermato su quest'aspetto da Clementi, questa

affermazione va tuttavia integrata: non era solo la suddetta “patente di affidabilità

democratica” a preoccupare il Pci, bensì ad un tale irrigidimento dovette contribuire in modo

rilevante la consapevolezza che le Brigate rosse non fossero poi così lontane dalla propria

tradizione storica, e che fosse in sostanza elevato il rischio e fondato il timore di vedersi

attribuire la paternità morale del fenomeno.

Riguardo alle numerose lettere scritte da Moro, rivolte a colleghi di partito, ai rappresentanti

delle istituzioni e persino al pontefice Paolo VI, se una parte della Dc rifiutò di prendere in

considerazione le lettere dello statista con la motivazione che esse non fossero moralmente

ascrivibili al presidente della Dc, il quale si sostenne scrivesse sotto costrizione, o comunque

non nel pieno delle proprie facoltà mentali,359 fu però proprio il Pci a respingere l'ipotesi di

una qualsiasi credibilità delle parole provenienti dalla prigione del popolo.360 Le Br

costituivano, agli occhi dei comunisti, solo ed esclusivamente una banda armata, e di357Ibd., p. 204.358Ibd., p. 205.359Cfr. Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Milano 2006.360Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 205.

154

conseguenza era fuori discussione l'eventualità di una trattativa con referenti ai quali si

rifiutava, con fermezza appunto, di riconoscere una qualsivoglia statura politica. Per dirla

ancora con le parole di Clementi, “la fermezza del Pci significò […] un no alla trattativa, e un

no al riconoscimento delle Br. Null'altro.”361

Tentativi per spezzare il fronte della fermezza furono intrapresi solo dal Psi, che in seguito

alla diffusione, il 15 aprile, del comunicato numero 6, tramite il quale le Br annunciavano la

fine del processo e la condanna a morte dell'ostaggio, colse la possibilità di uno spazio di

manovra autonomo, per mezzo del quale cercò una strada per salvare la vita di Moro. Claudio

Signorile e Giuliano Vassalli cercarono cosi' di entrare in contatto con le Br, e vi riuscirono

per mezzo degli esponenti dell'Autonomia operaia Franco Piperno e Lanfranco Pace.

Pace contattò Valerio Morucci e Adriana Faranda, ex membri di Potere operaio e contrari

all'esecuzione, ma il tentativo falli' a causa di una serie di circostanze. In primo luogo, il

contatto era avvenuto si per sollecitazione del Psi, tuttavia questi non aveva intercesso

direttamente, delegando la trattativa non ad un esponente politico, ma a rappresentanti della

sinistra extraparlamentare. Inoltre, le Br non erano interessate ad un riconoscimento da parte

dei socialisti, ma solo ed esclusivamente da quella della Dc, il nemico al quale

l'organizzazione aveva dichiarato guerra, identificando il partito di governo con lo Stato tout

court.

Il secondo fattore alla base del fallimento consisteva nella proposta socialista di affidare la

mediazione ad enti terzi, quali le Nazioni Unite e Amnesty International, che avrebbe aperto

la strada ad un “salvacondotto umanitario”, ma che escludeva di contro un riconoscimento

politico delle Br, obiettivo ultimo del sequestro.362

Nel corso del sequestro, le Brigate rosse passarono gradualmente dalla richiesta di scambio di

13 detenuti politici, poi di uno ad uno, per arrivare infine ad “accontentarsi” del solo

riconoscimento politico in cambio della vita di Moro. Vedendo negate tutte le proprie richieste

di scambio, e cercando di evitare il tragico epilogo della vicenda, l'ala cosiddetta

“movimentista”363, rappresentata di Morucci e Faranda, si assunse la responsabilità di

contattare di propria iniziativa la famiglia Moro. Morucci telefonò personalmente a casa Moro

il 30 aprile, affermando che l'esecuzione, già da tempo decisa e più volte rimandata, si sarebbe

361Ibd., p. 206.362Ibd., p. 208.363Definizione questa che, secondo Clementi, è stata impropriamente utilizzata nel caso del sequestro Moro.

Una vera e propria scissione dell'organizzazione, legata alle diverse tendenze presenti all'interno delle Br, sisarebbe avuta solo dopo il sequestro Moro. Ibd., pp. 212-213.

155

potuta evitare se il segretario della Dc, Benito Zaccagnini, avesse riconosciuto politicamente

le Br in un intervento pubblico, riconoscimento che, com'è noto, non avvenne, conducendo la

vicenda al suo tragico epilogo.

Liberare l'ostaggio senza contropartita avrebbe significato la fine delle Brigate rosse, come

dichiarato dallo stesso Moretti di fronte alla Commissione stragi.364

I 55 giorni del sequestro furono segnati dall'espletarsi di un acceso dibattito sulla stampa e

nell'opinione pubblica. Le pagine dei quotidiani nazionali furono occupate per quasi due mesi

da articoli e dibattiti sul rapimento. La stampa si rivelo' relativamente debole sul versante

delle informazioni precise circa lo svolgimento delle indagini, e si preoccupò maggiormente

di riempire le proprie pagine di articoli interessati da un lato a sviluppare considerazioni sulle

matrici teorico-culturali del terrorismo, dall'altro a comprendere la posizione del mondo

intellettuale del tempo e a coniugare discorsi di condanna del fenomeno e legittimazione dello

Stato.365

Così ad esempio, già in data 16 marzo il mondo dell'Autonomia espresse una dura condanna

dell'accaduto, giudicando il sequestro come un grave errore tattico, dal quale sarebbe

certamente scaturita una feroce repressione della sinistra extraparlamentare da parte dello

Stato.366

Marica Tolomelli ha messo in risalto da una parte l'operato della stampa, che nel suo

complesso tentò di conferire alle diffuse manifestazioni di dissenso della popolazione un

carattere totalizzante e molto più vasto di quanto realmente avvenne, e dall'altro proprio la

nascita di considerazioni negative negli ambienti della sinistra extraparlamentare. Se lo Stato

e la stampa si preoccuparono di divulgare appelli all'unità, allo scopo di favorire la

costituzione di un fronte comune di condanna dell'azione brigatista e in difesa dello Stato, la

sinistra extraparlamentare, e con essa il mondo intellettuale italiano, fece d'altro canto notare

come non fosse possibile schierarsi con lo Stato a priori, quello Stato, capace di stragi, che

ora chiedeva il supporto incondizionato dell'opinione pubblica. Considerazioni di questo tipo

furono alla base della nascita del famoso slogan “né con lo Stato, né con le Br”, e Lotta

continua si schierò apertamente contro l'immagine di mobilitazione totale che la stampa di

partito aveva promosso nell'opinione pubblica in rapporto alle reazioni di sdegno di cui essa, a

364Commissione stragi, seduta 22, Mario Moretti, riportato in Ibd., p. 212.365Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., pp. 145-208.366Ibd., p. 163.

156

caldo, si era resa protagonista.367

Dal canto loro, gli intellettuali italiani espressero forte risentimento nei confronti del mondo

politico, dal quale si videro, nei giorni del sequestro, sottoposti ad un'elevata pressione

morale, con cui le istituzioni statali incarnate dai partiti chiedevano al paese e alla società

italiana un incondizionato consenso rispetto all'ordine sociale e politico esistente.368

Abbiamo già premesso di come Tolomelli abbia individuato un ulteriore asse tematico su cui

il dibattito si sviluppò nei giorni del sequestro, ovvero quello della responsabilità politica del

fenomeno brigatista. Il quadro presenta le forze della Dc esibirsi in accuse velate nei confronti

del Partito comunista, cui venne rimproverato di mantenere un carattere di doppiezza nel

senso della persistenza, al suo interno, di una componente rivoluzionaria non pienamente

conforme ai principi statali, sintomo di un'evoluzione incompleta in senso democratico.369 Se

le accuse rivolte dalla Dc al Pci si mantennero sempre su toni prudenti, cercando così di non

entrare in diretto scontro col secondo partito del paese, critiche ben più aspre vennero

indirizzate al mondo della sinistra extraparlamentare, accusata di condividere “la stessa

visione politica espressa dalle Brigate rosse nei comunicati di quei giorni.”370

Il Pci si preoccupò di respingere le suddette accuse di doppiezza, concentrando la propria

difesa in un discorso teso da un lato a ricordare gli eventi in cui esso aveva mantenuto un

comportamento di rigorosa legalità nei confronti delle istituzioni democratiche, dall'altro

volto a suggerire la presenza di un complotto internazionale, che vedeva nelle Br un gruppo di

fanatici manovrati dall'esterno.371

Nella ricostruzione fornita da Tolomelli diventa dunque evidente come a svolgere il ruolo di

catalizzatore dell'opinione pubblica furono, in sostanza, i partiti e, in misura minore, il mondo

intellettuale e della sinistra extraparlamentare, tendenzialmente contraria al sequestro e

impegnata nel corso dei cinquantacinque giorni in una riflessione interna sulla congruità

dell'uso della violenza come mezzo di lotta politica.372

Il caso Moro avrebbe avuto pesanti ripercussioni politiche sulle Brigate rosse, che si

ritrovarono isolate rispetto a molti gruppi di estrema sinistra, critici nella maggior parte dei

367Ibd., p. 167.368Ibd., p. 177.369Ibd., p. 188.370Ibd.371Ibd., p.189.372Ibd., pp. 191-192.

157

casi sull'esito dell'operazione. Si veda a questo proposito il testo di un volantino del collettivo

politico della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma “La Sapienza”, riportato da Clementi

a pagina 215 della sua “Storia delle Brigate rosse”, nel quale le Br sono accusate di

rappresentare uno strumento nelle mani di chi, comandandole, sperava di sbarrare la strada

alle rivendicazioni del movimento del '77 e favorire uno spostamento a destra dell'asse

politico in Italia e nel Mediterraneo.

5.3. Il sequestro Moro. La letteratura.

Il caso Moro è stato oggetto, nei quasi quarant'anni che lo separano dalla quotidianità, di

numerosi saggi, così come molti sono i tasselli che, per mezzo di dichiarazioni spontanee,

rilasciate ai giornali dai diretti protagonisti politici del tempo, o tramite le dichiarazioni

fornite da questi, dalla classe politica e dai rappresentanti delle forze di sicurezza che

operarono nei cinquantacinque giorni del sequestro di fronte alle numerose audizioni della

Commissione stragi, hanno alimentato per oltre un trentennio la letteratura, dietrologica e non,

sul sequestro dello statista democristiano.

Se la storia della Brigate rosse si e' prestata nel tempo, come abbiamo avuto modo di vedere

nel precedente capitolo, ad interpretazioni e letture in chiave cospirativa, che abbiano cioè

volutamente posto l'accento su quegli elementi poco chiari delle vicende brigatiste, allo scopo

di suggerirne un'eterodirezione da parte di servizi segreti ora del blocco occidentale, ora

orientale, un discorso analogo può essere fatto per la vasta letteratura inerente il sequestro e la

morte del presidente della Dc.

Se dichiarazioni volte a suggerire simili circostanze vennero rilasciate già a partire dai giorni

del e dagli anni immediatamente successivi al sequestro,373 si è assistito in Italia al nascere e

svilupparsi, negli ultimi tre decenni, di un filone di letteratura divulgativa che mette in

relazione tutti i sospetti di un intervento americano nel caso Moro, restituendo un'immagine di

un presidente della Dc vittima, per mano delle Br incaricate dell'esecuzione, della sua stessa

politica di apertura a sinistra, che sarebbe stata fortemente sgradita agli Usa. In ricostruzioni

di questo tipo si è posto in risalto il ruolo svolto da figure direttamente coinvolte nella

gestione politica della trattativa con le Br, in primis quella dell'esperto in materia di terrorismo

del pentagono Steve Pieczenik, inviato da Washington in Italia appositamente per assistere il

373Cfr. a questo proposito “L'Unita'” del 19 marzo 1978 in Tolomelli, Terrorismo e società, p. 189, e LucianoGuerzoni in “Guerzoni conferma: Kissinger ebbe un duro scontro con Moro” in “La Stampa”, 11 novembre1982.

158

governo nella risoluzione della crisi, il quale avrebbe volutamente indirizzato gli sforzi

dell'esecutivo nella direzione sbagliata, quella cioè di lasciar uccidere l'ostaggio.374

L'autore più prolifico appartenente a questo filone è sicuramente Sergio Flamigni, dal 1968 al

1987 parlamentare del Pci e membro delle commissioni parlamentari d'inchiesta sul caso

Moro, sulla loggia P2 e sulla Mafia. Tra le sue opere merita menzione in particolare la prima

in assoluto, considerata il capostipite della letteratura dietrologica sul caso Moro, pubblicata

nel 1988 dalla casa editrice Kaos e intitolata “La tela del ragno. Il delitto Moro”, ma l'autore

ha portato avanti le proprie teorie in numerosi altri lavori usciti nel corso degli ultimi

trent'anni, tra cui “Il covo di Stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro”, Kaos edizioni, Milano

1999; La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti,

Milano, Kaos, 2004; La prigione fantasma. Il covo di via Montalcini e il delitto Moro,

Milano, Kaos, 2009, tutte opere legate da un filo conduttore che vede il sequestro come un

disegno ordito e condotto da ambienti della politica e dei servizi di sicurezza legati alla loggia

massonica P2.

Flamigni può forse essere indicato come estremamente esemplificativo di quella dirigenza

politica comunista che non volle e tutt'ora non vuole riconoscere alle Br il legame diretto con

la tradizione del Pci, riconducendo la ragione stessa del loro modus operandi all'attività di

servizi occidentali e non all'espressione estrema di idee largamente circolanti negli ambienti

della sinistra italiana.

A metà strada tra teorie del complotto e ricostruzione storica si colloca invece un altro lavoro

inerente il caso Moro, pubblicato nel 2000 dalla casa editrice Einaudi e intitolato “Segreto di

Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, consistente in una lunga intervista del giornalista

Giovanni Fasanella al senatore dell'ex Pci Giovanni Pellegrino: questi ha ricoperto dal 27

settembre 1996 al 29 maggio 2001 il ruolo di presidente della Commissione parlamentare

d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili

delle stragi, dei cui risultati si parlerà più avanti. La sua proposta oscilla fra interpretazioni

374Nella stessa direzione vanno poi le dichiarazioni rilasciate da Giovanni Galloni a Rainews24 e riportatenell'articolo “Moro mi disse che sapeva di infiltrati della CIA e Mossad nelle Br”, “Next”, 5 luglio 2005.Teorie simili sono state riproposte a piu' riprese nel libro di Rita di Giovacchino, Il libro nero della primarepubblica, Fazi Editore, Roma 2005, cosi' come nell'inserto de “La Repubblica” dal titolo “I giorni di Moro”del 15 marzo 2008, ed hanno di contro trovato una decisa smentita nelle parole dell'allora segretario di StatoHenry Kissinger in una dichiarazione rilasciata al “Sole 24ore” nello stesso giorno.

159

che riportano la vicenda all'interno della storia italiana della sinistra eversiva (l'album di

famiglia di cui ha scritto Rossana Rossanda) e quelle complottiste, che parlano di "sequestro

in appalto", e sostengono l'esistenza di cospicue zone d'ombra nella ricostruzione degli

avvenimenti.

Nella direzione opposta, quella cioè di contestare le supposte “stranezze” evidenziate dai

fautori della linea dietrologica sul caso Moro si sono mossi ad esempio Vladimiro Satta, con il

volume “Odissea nel caso Moro”, Edup, Roma 2003, e lo storico Marco Clementi, con il libro

dal titolo “La pazzia di Aldo Moro”, edito da Odradek già nel 2001 e continuamente

aggiornato in due successive edizioni, una del 2006 per la casa editrice Rizzoli e l'ultima,

sempre per Rizzoli nella collana BUR, pubblicata nel 2008. La tesi di fondo a cui i due autori

sono giunti, per mezzo di serrate critiche volte a contestare punto per punto ogni singola

incongruenza e a fugare ogni dubbio circa l'operato di servizi statunitensi, risulta in sostanza

allinearsi con quanto stabilito nel 2001 dalla Commissione stragi, fonte che andremo a trattare

separatamente nelle prossime pagine: le Brigate rosse furono un fenomeno squisitamente

autoctono, il sequestro Moro l'atto più alto di una strategia ben definita e non ispirata

dall'esterno, così come le difficoltà, incontrate dagli organi di sicurezza italiani

nell'individuazione del covo di via Montalcini, sarebbero da ascriversi solo ed esclusivamente

a disorganizzazione e mancanza di coordinazione tra i vari apparati, indeboliti da una riforma

che, al momento del sequestro, era ancora nel pieno del suo svolgimento e non permise, per

questo, la piena efficienza dei mezzi d'indagine.

Una lettura alternativa, che non si concentri cioè sull'azione degli apparati di sicurezza italiani

e che non si proponga di svelare o “smontare” misteri e complotti, è rappresentata dal volume

di Agostino Giovagnoli “Il caso Moro”, edito nel 2005 dalla casa editrice “Il Mulino”.

Nell'opera viene tracciata un'analisi dei cinquantacinque giorni del sequestro in chiave

storico-politica, condotta sulla base di quegli elementi che, provenissero essi dalle reazioni

dell'opinione pubblica, dalle discussioni parlamentari o dai mezzi di stampa, condussero al

rifiuto della trattativa e, con esso, al formarsi del “fronte della fermezza” e alla morte

dell'uomo politico. Il caso Moro non viene qui trattato come un fatto criminale da punire, ma

sotto la lente di una tragedia umana e politica che la Dc, grazie, e a causa, della sua tradizione

storica di partito istituzionale, non fu in grado di evitare in nessun modo. L'obiettivo è quello

160

di operare una sorta di discolpa della Dc, dimostrandone la lontananza politica dal fenomeno

brigatista.

C'è poi chi, ancora come per il caso generale delle Br, ha voluto proporre una seconda pista

d'indagine, quella che ha indicato cioè nel terrorismo rosso italiano un braccio armato del

KGB. I sostenitori di questa ipotesi, proposta per la prima volta dal senatore della Casa delle

Libertà Paolo Guzzanti, in seguito ai due anni in cui ricoprì il ruolo di presidente della

Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Impedian, hanno affermato che Mosca abbia

diretto, se non le Br nel loro complesso e per tutto l'arco di esistenza dell'organizzazione,

quantomeno alcune delle loro più sanguinarie azioni, ivi compreso il sequestro Moro, allo

scopo di alimentare, in un paese strategicamente fondamentale per la NATO come l'Italia, un

grave fattore di destabilizzazione quale il fenomeno brigatista.375

C'è stato anche chi, recentemente, ha affermato che la verità sul caso Moro sia da ricercarsi

proprio negli archivi della Stasi. Mi riferisco alle dichiarazioni rilasciate dallo storico e

senatore del Pd Miguel Gotor, che il 24 settembre 2013 ha proposto un decreto legge per

l'istituzione di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi, resasi necessaria

e possibile in virtù delle nuove prove documentarie consultabili negli archivi dei servizi

segreti dei paesi dell'ex Patto di Varsavia, primi su tutti quello tedesco-orientale e

cecoslovacco.

5.3.1. La Commissione stragi.

Il Parlamento italiano si attivò presto nel tentativo di fare piena luce sulla vicenda. Il 23

novembre 1979 veniva istituita una “Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via

Fani”, presieduta dal senatore repubblicano Oddo Biasini e i cui lavori si sono svolti fino al 29

giugno 1983. Le indagini portate avanti da questo organo sono confluite poi nel 1988 nella

piu' vasta indagine della “Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle

cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” (più semplicemente,

Commissione stragi), presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino e i cui lavori, pur non

avendo mai prodotto una relazione finale, sono giunti al termine il 26 aprile del 2001.

Abbiamo già visto, nel cap. 4.1., quali convinzioni vennero espressa da questa commissione al

375Si veda ancora a questo proposito il già citato articolo di Paolo Guzzanti “Si, le Br erano manovrate dalKGB”, ma nella stessa direzione si e' mosso anche Antonio Selvatici nel suo Chi spiava i terroristi. KGB,Stasi-Br, Raf. Pendragon, Bologna 2010.

161

momento di delineare l'eventualità di un'eterodirezione delle Brigate rosse. Dello stesso tenore

sono state, d'altronde, anche le considerazioni espresse in relazione alla vicenda Moro. Alle

pagine 21-22 dell'ultima relazione prodotta da questa commissione bicamerale leggiamo:

“nel voler contro ogni evidenza rintracciare la causa ultima di quella terribile stagione

nell'attività di servizi stranieri (la CIA e all'opposto il KGB) significa colpevolmente

rimuovere dalla memoria nazionale l'ampiezza e la profondità dello scontro sociale che

infiammò l'Italia negli anni '70. Con ciò non vuole escludersi, giova ribadirlo, che apparati

stranieri siano stati ampiamente attivi nel territorio nazionale, com'era ineludibile data

l'importanza strategica dell'Italia nello scacchiere del Mediterraneo. Ma ciò non può eludere il

rilievo attribuibile a un dato oggettivo, e cioè quello di un'intera generazione, che negli anni

'70 fece scelte estreme.” Poco più avanti viene poi affermato che “anche sul punto (la strage di

via Fani, n.d.a.) le ulteriori acquisizioni operate convincono che anche nella vicenda Moro le

Br furono ciò che dichiaravano di essere: rapirono Moro, non per mandato altrui, ma secondo

un loro progetto, lo processarono e lo condannarono secondo un loro codice, mossero dalla

condanna per tentare di aprire una trattativa che rientrava nei loro interessi e, quando la

trattativa falli' […], decisero di sopprimere l'ostaggio secondo una logica propria.”

Se dunque poteva escludersi a pieno titolo l'idea che le Br, e con loro il sequestro Moro,

fossero il risultato di una pianificazione nel suo complesso gestita da apparati di intelligence

stranieri, la cui azione trasversale non poteva però essere esclusa a priori, tuttavia restavano

da appurare le responsabilità degli organi informativi, di sicurezza e statali italiani, indagando

in particolare su quelle circostanze che concorsero alla nascita di sospetti circa la volontà

politica di non salvare Moro, e cioè che le carenze ravvisabili nella complessiva risposta dello

Stato fossero da considerarsi così gravi da rendere certo o probabile che siano state, almeno in

parte, volute.376 La Commissione giungeva a negare questa possibilità, affermando che, allo

stato attuale delle acquisizioni documentarie, si potesse concludere quanto segue:

a) nel sistema di sicurezza italiano si produssero delle falle, tali da agevolare l'azione delle Br

e influire negativamente sull'efficienza dell'attività degli apparati.

b) non si può sostenere la tesi del cosiddetto “delitto in appalto”, ovvero che il sequestro sia

stato commissionato alle Br dall'esterno, e che nella decisione di sopprimere l'ortaggio esse

siano state eterodirette.

376Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, Vol. I, Tomo I.

162

c) non si può nemmeno affermare con certezza, né tantomeno con ragionevole probabilità, la

sussistenza a livello istituzionale di un deliberato intento di non pervenire alla salvezza

dell'onorevole Moro.377

5.4. Il caso Moro negli atti del BStU. Il sequestro e l’esecuzione.

Il primo documento cronologicamente successivo al sequestro Moro che andiamo ad

incontrare è un’informativa recapitata alla Stasi dalla sede dell’ambasciata della DDR a

Roma378, da cui sono tratte tutte le pagine relative al quadro politico che andremo ad

esaminare. Nelle tre pagine che compongono il documento è riportato un resoconto della

situazione politica italiana in data 23 marzo 1978, dove le necessarie considerazioni circa la

formazione del nuovo governo Andreotti e quelle sul sorprendente risultato elettorale del PCI

vengono accostate ad altre concernenti il terrorismo in Italia, quando nell’informativa

leggiamo: “aufgrund der Eskalation des politischen Terrorismus (Entfuehrung Moros) erfolgte

im Parlament eine schnelle Übereinkunft ohne grössere Auseinandersetzungen.”379 Il

sequestro Moro viene insomma messo subito in relazione alla nascita del nuovo governo, con

la cui rapida formazione “wurde ein Ziel der reaktionären Kräfte, die Verhinderung der

Bildung der Regierung Andreotti, abgewehrt.”380

Ancora più chiaramente viene espressa poco dopo l’opinione del redattore, non dissimile da

quella propria degli ambienti del ministero nel suo complesso, secondo cui “den Terrorakt

gegen den DC-Präsidenten Moro versuchen die reaktionären Kräfte zu nutzen, um die

Linkskräfte zurückzudraengen, gegen den Kompromiss zwischen DC und IKP vorzugehen

und gezielt die neue Regierung zu eliminieren.”381 Non risparmiano poi commenti inerenti il

modus operandi della stampa italiana nei giorni immediatamente successivi al rapimento,

affermando che ‘’von der bürgerlichen Presse wird der Terrorakt weiterhin benutzt,

sozialistischen Ländern die Mitverantwortung für die Steuerung solcher Akte zu

unterstellen.”382

377Ibd., pp. 31-32.378 BStU, MfS-HA VI 12683, pp. 9-11.379 A causa dell’escalation del terrorismo politico (sequestro Moro) e’ stato raggiunto un rapido accordo senza grosse opposizioni. Ibd. p.9.380 E’ stato scongiurato uno degli obiettivi delle forze reazionarie, quello di impedire la costituzione del governoAndreotti. Ibd.381 Le forze reazionarie usano l’atto terroristico per respingere indietro le forze di sinistra, procedere contro il compromesso tra DC e Pci e per eliminare il nuovo governo. Ibd. p. 10.382 L’atto terroristico viene sfruttato dalla stampa borghese per addossare la corresponsabilità nella guida di simili atti ai paesi socialisti. Ibd.

163

Preso atto del fallimento dell’obiettivo primario delle suddette forze reazionarie, quello di

compromettere il processo di avvicinamento tra Dc e Pci colpendone il principale promotore,

vengono infine tratte delle conclusioni chiare, accompagnate da previsioni politiche che

ancora una volta non si discostano da quanto detto finora circa la percezione del fenomeno

terroristico da parte del MfS: “es ist zu erwarten, dass die hinter der Aktion stehenden

Rechtskreise versuchen werden, durch Offenhalten des Falles Moro Teilziele doch noch zu

erreichen.”383

Il solo fatto di veder menzionati probabili agenti oscuri dietro la vicenda, in un documento ad

uso interno quale quello che stiamo analizzando, costituisce un indizio del non

coinvolgimento della Stasi o di altri servizi del Patto di Varsavia nel sequestro, o quantomeno

si può a ragione sostenere che il MfS non ne fosse a conoscenza.

La situazione politica italiana viene monitorata costantemente, ma il caso Moro sembra essere

anche agli occhi della Stasi il fattore che più di ogni altro la condiziona ed indirizza- visione

che corrisponde effettivamente a quella che fu la realtà di quei cinquantacinque giorni- tanto

da trovare posto in tutte le informative dei giorni successivi.

Il documento successivo384 riporta la data del 5 aprile e pone particolare attenzione

sull’atteggiamento della DC in relazione al rapimento: “Unter Ausnutzung der Moro-

Entführung hat die DC in Vorbereitung auf die im Mai stattfindenden Teilkommunalwahlen

eine massive antikommunistische Kampagne begonnen, um sich als katholische Massenpartei

des gemässigten Zentrums zu profilieren und langfristig zur Mitte-Links-Politik

zurückzukehren.”385 Allo stesso modo viene preso nota degli atteggiamenti degli ambienti

dell’estrema destra, i quali intraprendono grandi sforzi per coordinare atti terroristici di destra

e “sinistra”, allo scopo di esasperare la già tesa situazione sociale e politica.386

Nella ricerca della documentazione ci si trova poi ad un punto morto, un “buco” di alcuni

giorni dovuto probabilmente a più fattori, quali la sostanziale immobilità della classe politica

italiana, che non portò a risultati tanto nelle ricerche quanto nelle trattative per il rilascio del

sequestrato, e che quindi potrebbe aver indotto i diplomatici tedesco-orientali a non compilare

383 C’è da aspettarsi che le forze di destra che stanno dietro all’azione tenteranno, tramite il protrarsi del casoMoro, di raggiungere obiettivi parziali. Ibd. p. 11.384Ibd., pp.12-14.385Approfittando del sequestro Moro e In preparazione alle elezioni regionali di maggio, la DC ha iniziato unamassiva campagna anticomunista, allo scopo di presentarsi come partito cattolico di massa del centro moderato eper tornare nel tempo ad una politica di centro sinistra.386Ibd., p. 13.

164

rapporti di alcun tipo, nonché alla già citata mancanza di documenti derivata dalla distruzione

parziale degli archivi seguita alla fine della DDR.

Bisogna attendere fino al 28 aprile per trovare un nuovo resoconto, nel quale stavolta la

vicenda Moro merita attenzione totale. Il rapporto si apre infatti con la considerazione

secondo cui “die innenpolitische Situation Italiens ist gegenwärtig in starkem Masse durch die

Auswirkungen der Entführung des Vorsitzenden der Christdemokratischen Partei, Moro,

geprägt.387”

Ancora in questa informativa si riprende la concezione di base della false flag, secondo cui

dietro al sequestro starebbero forze reazionarie interne ed esterne, ben organizzate sia a livello

logistico che finanziario. Mentre nei primi due documenti ci si dilungava proprio sulla

situazione politica e le obiettive difficoltà nella governabilità del Paese, stavolta è la vicenda

Moro a farla da protagonista, laddove il dibattito tra i partiti si riduce ad una pura cornice

testuale.

I nostri informatori esprimono la loro teoria, e sembra degno di nota un passaggio in

particolare in cui l’azione brigatista viene inserita in un disegno più ampio e che aveva già

avuto modo di indignare l’opinione pubblica: il sequestro Moro altro non sarebbe che il

naturale proseguimento della strategia della tensione, compiuto con l’obiettivo parziale di

paralizzare l’attività politica del nuovo governo e con quello di lungo corso di provocare

l’attivazione di misure repressive sulla popolazione che preparino il paese ad una svolta

autoritaria.388

Nella relazione viene presentata poi un’altra valutazione dell’operato delle BR, opinione

questa per la quale non è dato sapere in che misura abbiano influito gli eventi e le voci

circolanti negli ambienti dell’ambasciata romana: “Es ist offensichtlich, dass es den

Entführern nicht in erster Linie um einen Austausch Moros mit inhaftierten Terroristen geht,

sondern dass sie Moro benutzen, damit innerhalb der DC und den anderen politischen

Parteien permanente Auseinandersetzungen über die Art und Weise des Vorgehens gegenüber

den Terroristen geführt werden. Durch immer neue Ankündigungen, Drohungen und

Ultimaten sollen die Auseinandersetzungen, vor allem in der DC, ständig angefacht sowie die

ursprünglich nahezu einheitliche Front der Parteien in ihrer Ablehnung gegenüber

387La situazione politica interna Italiana risulta al momento profondamente influenzata dalle ripercussioni del sequestro del presidente della DC Aldo Moro. Ibd., p. 15.388Ibd., p.15.

165

Verhandlungen mit den Terroristen aufgebrochen und dabei die IKP isoliert werden.”389

Nella linea seguita dal PCI viene poi individuata la misura più efficace per scongiurare il

pericolo di una svolta reazionaria, per mezzo di quella mobilitazione di massa che agli occhi

del redattore appare essere il segno più tangibile del radicamento dei principi

dell’antifascismo nella società italiana.390

Con il documento appena analizzato si chiude la serie di rapporti sulla situazione politica

italiana nei giorni del sequestro. La vicenda non può però dirsi conclusa e, se la Stasi sembra

rinunciare da questo momento in poi a dei resoconti dettagliati, un evento in particolare

suscita preoccupazione negli ambienti del ministero per la sicurezza di stato. Preoccupazioni

che non si attenuano come un fuoco di paglia, ma che sollevano dubbi profondi e che

convincono l’apparato di Mielke della necessità di mettersi in moto per scongiurare eventuali

rischi, sia per la sicurezza interna dello stato che per l’immagine internazionale della DDR.

Stiamo parlando qui della visita ricevuta dall’ambasciata italiana nella DDR da parte di una

delegazione del PCI composta da militanti residenti in Germania, in data 10 maggio, che

costituisce l’impulso per l’istituzione di una serie di misure preventive che andarono a

coinvolgere alcune divisioni del ministero e che ora andremo ad analizzare nel dettaglio.

5.4.1. Il caso Moro negli atti del BStU/2. Misure di controllo ed osservazione nel contestodel sequestro Moro.

Come accennato, il 10 maggio 1978 una delegazione del PCI guidata da Angelo Sarto, negli

anni ’60 inviato dell’ “Unità” e di “Rinascita” a Berlino est,391 si reca all’ambasciata italiana

della capitale tedesco orientale per portare un messaggio di cordoglio per la morte del

presidente della DC.

La Stasi ne viene subito informata e il documento di notifica, riportante I tratti salienti del

colloquio tra Sarto e il funzionario dell’ambasciata (il cui nome e’ annerito), riconducibile alla

sezione Relazioni internazionali del comitato centrale della Sed ed indirizzato al suo direttore

389Risulta evidente come ai sequestratori non interessi tanto scambiare Moro con terroristi detenuti quantopiuttosto utilizzarlo, in modo tale da suscitare contrasti permanenti sia nella DC che negli altri partiti circa lemodalità secondo cui si dovrebbe procedure contro di loro. Per mezzo di nuove anticipazioni, minacce eultimatum si vogliono rinfocolare I contrasti, in special modo all’interno della DC, e allo stesso tempo sivuole spezzare il fronte della fermezza circa le trattative con I terroristi ed isolare il Pci. Ibd., p.15.

390 BStU, MfS-HAVI 12863, p.13.391Gianluca Falanga, Spie dall’est, p. 139.

166

Hermann Axen, è controfirmato da Honecker e Mielke in persona.392

Sarto ribadì l’impegno dei comunisti italiani nella difesa della costituzione e la ferma

condanna dell’accaduto. Per tutta risposta, il funzionario dell’ambasciata sollevo’ il dubbio

secondo cui dietro all’assassinio si sarebbero celati mandanti oscuri e altri organi

internazionali, tra cui esprime la convinzione esservene anche di tedesco-orientali. La

relazione continuava esternando la preoccupazione dei comunisti italiani nel notare “il recente

e significativo aumento dei soggiorni di cittadini italiani nella DDR che hanno rapporti con

certi organi della DDR e con le Brigate rosse in Italia”, risposta che non deve essere affatto

piaciuta al delegato, se gli ufficiali della Stasi si sono premurati di riportarne la reazione

infastidita.393

Ma quel che ci interessa arrivati a questo punto della trattazione non sono tanto le reazioni di

un delegato comunista quanto quelle del ministero nel suo complesso, che nelle mosse

seguenti darà prova al tempo stesso tanto di tutta la sue efficienza e rapidità di azione quanto

del suo tratto più tipicamente paranoide, caratteristica questa che porto’ sul lungo periodo ad

una sopravvalutazione del rischio comportato dall’attività della maggiore formazione di lotta

armata per il comunismo che sia mai sorta nel cuore dell’Europa capitalista.

La visita di Sarto e le affermazioni che in tale contesto vengono formulate destano una

preoccupazione pressoché immediata negli ambienti della Staatssicherheit, i cui quadri

decidono di passare immediatamente all’azione. Riporta la stessa data della suddetta visita un

documento riconducibile alla divisione VI del MfS, quella deputata, come già delineato nel

precedente capitolo, al controllo del traffico automobilistico in entrata e uscita dalla DDR.

Dall’ufficio centrale di questa Abteilung viene impartito l’ordine a tutti i checkpoint di Berlino

Est di controllare con accuratezza tutti gli accessi effettuati da parte di cittadini italiani, con

effetto a partire dalle ore 24:00 del giorno medesimo e obbligo di rapporto dettagliato ogni sei

ore. 394

Scopo principale dell’ordine è quello di verificare la fondatezza delle affermazioni del

funzionario circa la collaborazione tra brigatisti ed elementi governativi o sociali della DDR,

passando al setaccio il traffico da e verso la capitale di cittadini italiani noti alle forze

dell’ordine e ricollegabili in qualche modo alle Br. Anche in questo caso ci troviamo di fronte

ad un ulteriore indizio della totale assenza di collaborazione tra i nostri terroristi e il MfS. Se

392BStU, MfS-HAXXII 406/10, p.82.393Ibd., p.82.394BStU, MfS-HAVI 12863, p. 4.

167

tale collaborazione ci fosse stata, sarebbe la stessa attivazione di misure di questo tipo a

perdere ogni significato.

Per favorire la comprensione del tenore di certe misure e per dare un’idea più precisa delle

modalità operative della VI divisione del MfS, mi sembra opportuno riportare per intero il

testo del documento, nella fedele traduzione che ne da Gianluca Falanga e con cui mi trovo

pienamente d’accordo395:

In relazione all’omicidio di Moro e della situazione contingente si devono intensificare le

procedure di filtraggio per il riconoscimento di eventuali estremisti di sinistra o di destra in

transito, in particolare fra i cittadini dotati di passaporto della Repubblica Federale Tedesca, di

Berlino Ovest e della repubblica Italiana. Tali procedure vanno eseguite in modo tale che le

persone in transito alle frontiere non si accorgano che sono in corso misure di controllo

eccezionali. Gli altri organi impiegati ai checkpoint non devono essere informati

dell’applicazione di queste procedure speciali. I resoconti ottenuti nel processo di filtraggio

vanno immediatamente comunicati alla centrale operative del VI dipartimento. In casi che

richiedono una decisione per autorizzare il transito a soggetti individuati, e’ dovere degli

agenti di interpellare la centrale operativa (…)

Alla centrale operativa del VI dipartimento vanno comunicati a partire dall’11/5.1978

quotidianamente alle ore 6:00/12:00/18:00/24:00:

1) Il numero di tutti I cittadini della repubblica italiana in transito.

2) Il numero di tutti I soggetti ostili delle categorie 400/600.000, suddivisi nelle singole

sottocategorie (provocatori, fascisti, terroristi ecc.) a loro volta ulteriormente suddivisi

in:

a) Transito in entrata nella DDR (compresi visti giornalieri)

b) Altre forme di transito

c) Passaggio secondo il trattato di transito di Berlino (vale a dire chi, proveniendo dalla

Germania Ovest, attraversasse il territorio della DDR per raggiungere Berlino ovest).

Come già enunciato in precedenza, fino al sequestro Moro la Stasi disponeva di una mole

relativamente ridotta di informazioni riguardanti i terroristi italiani. Ma ancor prima che ci si

possa chiedere su quali dati e alla ricerca di chi dovessero svolgersi le operazioni di filtraggio,

395Gianluca Falanga, Spie dall'est, pp 140-141.

168

ecco che il fascicolo restituisce un documento di fondamentale importanza: una lista

dell’Interpol, sede di Roma, datata 26 aprile 1978, in cui sono riportati alcuni nomi di

brigatisti, o presunti tali, ricercati a livello internazionale. Il documento viene trasmesso alla

divisione XXII in data 12 maggio, e nella lista sono presenti, tra gli altri, anche i nomi di

Corrado Alunni, Adriana Faranda, Prospero Gallinari, Valerio Morucci, Patrizio Peci e

Susanna Ronconi.396 397

Il documento si chiude di nuovo con una precisa convinzione: “Bei den genannten Personen

handelt es sich um Mitglieder der profaschistischen italienischen Terrororganisation “Rote

Brigaden”.(…)398 Ancora una volta, fascisti laccati di rosso.

La prima informativa del dopo Moro399 prosegue l’analisi basandosi sulle medesime

convinzioni, enunciate stavolta in maniera ancora più chiara e decisa: “Die Entführung des

DC-Vorsitzenden Moro war durch reaktionäre Kräfte organisiert worden, um die

Handlungsfähigkeit der Regierung Andreotti einzuengen, die Beteiligung der IKP an der

parlamentarischen Mehrheit zu hintertreiben und langfristig den Weg für eine autoritäre

Regierungsform freizumachen.”400

Non manca un puntuale riferimento alla dubbia gestione delle forze dell’ordine e

dell’apparato giudiziario nel suo complesso, agli occhi dei colonnelli del ministero indizio di

complicità delle istituzioni con le forze di destra che hanno agito dietro il sequestro.401

Non va dimenticato come analisi di questo genere derivassero dalla conoscenza dei metodi

operativi dei servizi segreti in generale: la Stasi ha voluto vedere nel caso Moro atteggiamenti

che conosceva bene, rappresentando questi ultimi elementi tipici del suo stesso modus

operandi. Operazioni false flag e utilizzo di cosiddetti Hintermänner facevano da decenni

parte del repertorio delle polizie politiche dei paesi comunisti, di cui rappresentavano alcune

delle armi più affilate nella destabilizzazione del nemico esterno e nella repressione di quello396BStU, MfS-HAXXII 5734/3, pp. 135-136.397 I nomi sono accompagnati dalla dicitura “non presenti nella divisione XXII”, la quale fornisce un indiziosullo stato delle conoscenze a disposizione del ministero riguardo ai terroristi italiani nel periodo riguardante ilsequestro Moro. La schede personali informative, particolarmente ricche di dettagli per il periodo 1980-1989,sono, in questa fase della raccolta di informazioni, praticamente assenti. 398Nel caso delle seguenti persone Si tratta di membri dell’organizzazione terrorista profascista italiana BrigateRosse. Ibd., p. 36.399 Il sequestro del presidente della DC Moro e’ stato organizzato da forze reazionarie per restringere lacapacita’ di manovra del governo Andreotti, per contrastare la partecipazione del PCI alla maggioranzaparlamentare ed aprire sul lungo periodo la strada ad una forma di governo autoritaria. BStU, MfS-HAVI 12863,pp. 17-18.400 Ibd., p. 17.401 Ibd., p. 17.

169

interno.

I timori di Mielke e dei suoi colonnelli si rivelano fin qui infondati. Le misure di filtraggio

non hanno condotto a nessun riscontro, così che già in data 18 maggio viene impartito un

nuovo ordine alle unità di controllo passaporti di Berlino Est: le operazioni di controllo

devono continuare, ma data la non necessità di una simile intensità di rapporti la loro

frequenza viene ridotta a due al giorno.402

Il caso Moro e il modo in cui gli eventi si svilupparono nei giorni del sequestro, segnati dalle

difficoltà del governo Andreotti e dall'azione della stampa italiana, resasi protagonista di una

violenta campagna anticomunista, ma soprattutto i fatti del 10 maggio presso l'ambasciata

italiana a Berlino costituirono per gli uomini della Staatssicherheit l'occasione per una

riflessione interna, portata avanti stavolta proprio dai colonnelli della XXII divisione. Ne

troviamo traccia evidente in un altro documento ad uso interno, datato 19 maggio e la cui

prima parte è dedicata proprio all'analisi della visita di Sarto, intitolata “Provokatorische

Verleumdung der Organe des MfS anlässlich der Ermordung des Vorsitzenden der

italienischen Christdemokraten Aldo Moro durch terroristen der profaschistischen Roten

Brigaden.”403

In questo documento, il “caso Sarto” assume una dimensione generica, ricoprendo il ruolo di

punto di partenza per l'enunciazione e l'analisi di alcuni aspetti caratteristici della visione che

la Stasi aveva del fenomeno terroristico. Nell'informativa si afferma che si è in presenza di un

caso emblematico di come “die Aktionen der Roten Brigaden geeignet sind, politische

Diffamierung gegen die sozialistischen Länder, insbesondere gegen ihre Sicherheitsorgane,

vorzutragen.”404 Inoltre, viene affermato immediatamente dopo, “dass von imperialistischen

Politikern\Diplomaten durch gezielte Äusserungen, (...) versucht wird, widersprüche und

Verunsicherung zwischen Partei, Regierung und Sicherheitsorgane zu erzeugen.”405

La chiave di lettura dell'evento particolare che qui viene proposta rientra ancora una volta

nelle convinzioni generali circolanti all'interno del ministero, che vogliono il terrorismo un

prodotto del mondo imperialista volto alla destabilizzazione del nemico.

402BStU, MfS-HAVI 12863, p.6.403Calunnia diffamatoria degli organi del MfS in occasione dell'omicidio del presidente dei democristiani

italiani Aldo Moro per mano di terroristi delle profasciste Brigate rosse. BStU, MfS-HAXXII 406\10. p. 83.404 […] le azioni delle Brigate Rosse sono indicate per provocare diffamazione politica contro i paesi socialisti

ed in particolare contro i loro organi di sicurezza. Ibd. p. 83.405Da parte di politici/diplomatici imperialisti si tenta, per mezzo di affermazioni mirate, di far sorgere

contraddizioni e insicurezze tra partito, governo e organi di sicurezza. Ibd.

170

Il documento prosegue nell'analisi, concentrandosi sulla portata generale dell'evento e sulla

sua influenza nelle relazioni tra il Pci e la SED. Le affermazioni del funzionario

dell'ambasciata, secondo cui indizio della collaborazione tra terroristi ed organi del MfS

sarebbe l'aumentato traffico di cittadini italiani in entrata ed uscita dalla DDR nei giorni del

sequestro, vengono smontate punto per punto.

Forti della totale assenza di riscontro alle parole pronunciate in quella sede, una forza

derivante questa proprio dai resoconti delle misure di filtraggio descritte finora e ancora

attive, seppur con minor rigore, in data 19 maggio, i colonnelli di Mielke possono prendere

posizione ed affermare che “angebliche Kontakte des MfS zu Mittelmännern, die wiederum

Verbindung zu den Roten Brigaden haben sollen, sind reine Fantasieprodukte

antikommunistischen Wunschdenkens.”406

L'informativa prosegue evidenziando l'assurdità delle affermazioni del funzionario, mettendo

in dubbio proprio quel nesso aumento del volume di traffico/indizio di collaborazione da lui

proposto in occasione della visita di Sarto. Questo aumento del traffico in entrata non può in

nessun modo, agli occhi dei funzionari del ministero, essere utilizzato allo scopo di trarne una

conclusione politica, e l'affermazione del funzionario è quindi da considerarsi come

puramente strumentale. Strumentale a cosa, l'informativa lo enuncia chiaramente nell'ultimo

capoverso dedicato alla vicenda:

“Die in der italienischen Botschaft unternommenen bösartigen Ausfälle an die Adresse der

Sicherheitsorgane der DDR sind keine zufällige Erscheinung, sondern ein Beweis mehr dafür,

dass von langer Hand inszenierte Terrorakte ein wirksames Provokationsmittel darstellen, das

in seinem Ergebnis reaktionäre, insbesondere entspannungsfeindliche Politik begünstigt.

Diese Feststellungen umreissen ganz besonders den hohen Stellenwert pseudorivolutionär

getarnten Terrorismus für imperialistische Machenschaften.”407

Nel documento che segue sono evidenti a mio avviso le premesse di carattere politico e tattico

su cui il MfS si basa nella valutazione delle origini e degli obiettivi del fenomeno terroristico.

Se è vero, come già espresso nell'informativa appena analizzata, che dietro a tali forme di

violenza politica si cela una “lunga mano” di matrice imperialista, allora il caso Moro, e in

406Ipotetici contatti del MfS con intermediari, che a loro volta dovrebbero avere rapporti con le Brigate Rosse,sono puri prodotti di fantasia di fantasticherie anticomuniste. Ibd., p. 84.

407 I maligni affondi intrapresi nei confronti degli organi di sicurezza della DDR nell'ambasciata italiana nonsono un evento casuale, bensì un segno ulteriore del fatto che gli atti terroristici inscenati da una lunga manorappresentano un efficace mezzo provocatorio, il quale ha il risultato di favorire forze reazionarie e nemichedella distensione. Queste osservazioni abbracciano in special modo l'alto valore del terrorismopseudorivoluzionario per le macchinazioni imperialiste. Ibd. p. 84.

171

particolare l'azione che ha portato al rapimento del politico e alla soppressione della sua

scorta, può essere affiancata e paragonata a quell'evento di pari tenore rappresentato dal

rapimento del presidente della confindustria della Germania federale Hans Martin Schleyer.

Pur non potendo prescindere dal fatto che lo studio approfondito dei due rapimenti avesse lo

scopo principale di familiarizzare con la tattica terrorista, allo scopo di prevenire attacchi

simili nei confronti di politici e diplomatici della SED, il documento, datato 8 giugno 1978,

sembra in un certo qual modo volerne suggerire una pianificazione comune dal momento in

cui vengono messi a confronti tutti i singoli dettagli delle azioni, dal numero dei partecipanti a

quello dei colpi esplosi, passando per il numero di veicoli coinvolti fino alla descrizione

dettagliata dei travestimenti utilizzati dai rapitori.408

Ad ogni modo, le misure di sicurezza istituite alle frontiere della Ddr non hanno portato i

risultati temuti, così che in data 16 agosto viene impartito l'ordine di sospenderle.409

Ancora una volta, la documentazione visualizzata risulta anche per i due mesi successivi

estremamente lacunosa, ma questo non deve essere a mio avviso necessariamente interpretato

come effetto delle quasi totale distruzione degli atti, può essere letto bensì come la prova del

fatto che non fosse necessario, nel lasso di tempo qui considerato, portare avanti indagini di

qualsiasi tipo, una volta che il MfS aveva preso atto della non presenza di terroristi italiani sul

proprio territorio.

Il documento successivo sul caso Moro è datato 18 ottobre 1978, e consiste stavolta si in una

delle numerose informative generali, ma non è più della situazione politica italiana che si

discute, bensì di diversi problemi politici e persone legate allo Stato Vaticano.410 I temi trattati

ricadono principalmente nel campo delle relazioni diplomatiche tra la Ddr e lo Stato

Pontificio,411 corredati da informazioni riguardanti la figura di Giovanni Paolo I412 e dai più

generali problemi politici che il Vaticano si trovava ad affrontare.413 Ad interessarci

particolarmente in questa informativa è la breve sezione, poco più di una pagina, intitolata

“Meinungen in Vatikan zum Tod von Aldo Moro.”414 Le informazioni riportate sono state fatte

408BStU, MfS-HAXXII 136, pp. 114-119.409BStU, MfS-HAVI 12863, p.30.410BStU, MfS-HAXX 13332, pp. 1-12.411Ibd. pp. 1-3.412Ibd. pp. 4-6.413Ibd. pp. 6-9.414Opinioni in Vaticano sulla morte di Aldo Moro. Ibd. p. 9.

172

pervenire alla Stasi da un agente IM, del quale viene detto semplicemente che vive a Roma e

che intrattiene rapporti lavorativi con lo Stato Vaticano. Pur non essendo stato possibile

nemmeno in questo caso scoprire l'identità dell'agente, è lecito supporre che si trattasse di un

funzionario di alto livello, se le informazioni di cui dispone provengono da conversazioni sue

personali con l'arcivescovo Andrea Pangrazio.415

La parte dell'informativa di cui ci stiamo occupando offre uno spaccato delle opinioni

circolanti negli ambienti della curia sul sequestro ed omicidio di Aldo Moro, e rappresenta

allo stesso tempo un buon pretesto per coloro i quali siano oggi interessati ad alimentare la

macchina della dietrologia sulla vicenda. Nel documento leggiamo infatti che “in Kreisen des

Vatikans und unter hohen geistlichen Wuerdenträgern wird vermutet, dass die Entführung und

der Tod Moros von der DC organisiert wurde. […] Mit der Entführung und dem Tod Moros

hat die DC einen Märtyrer gefunden und grosses Ansehen unter der Bevölkerung

gewonnen.”(Nei circoli del Vaticano e tra gli alti prelati si suppone che il sequestro e

l'uccisione di Aldo Moro siano stati organizzati dalla DC. […] Con il sequestro e l'uccisione

di Aldo Moro la DC ha trovato un martire ed ottenuto grossa considerazione tra la

popolazione).416

Chiudiamo questa disamina degli atti sul caso Moro con un ultimo documento, che

rappresenta il riassunto complessivo delle informazioni a cui la Stasi era potuta pervenire nel

corso del 1978. In data 22 dicembre, l'(unter)Abteilung IX dell'HVA trasmette alla divisione

XXII una copia di un'informativa sulle Brigate rosse417, nella quale viene ripercorsa

brevemente la storia complessiva dell'organizzazione dalla fondazione al sequestro Moro.

L'informativa in questione è decisamente molto dettagliata, e riporta in maniera abbastanza

precisa le vicende sia del gruppo nel suo complesso, che quelle particolari di alcuni singoli

militanti di spicco, tra cui naturalmente Curcio e Franceschini, ma anche Roberto Ognibene e

Paola Besuschio.

Ma soprattutto, questo documento è indicativo della confusione che, ancora alla fine di

quell'anno, regnava negli ambienti del Ministero circa l'identità dei militanti brigatisti. Si

tende a mettere insieme e come facenti parte di uno stesso gruppo personaggi come Augusto

Viel e l'ex membro della “Banda Cavallero” Sante Notarnicola, i cui nomi figuravano nella

415Ibd. p.1.416Ibd. pp. 9-10417BStU, MfS-HAXXII 406/10, pp. 33-52.

173

lista di 13 prigionieri politici per i quali le Br chiedevano la liberazione in cambio di Moro,

ma che nulla avevano a che fare con l'organizzazione.

Giunti alla fine di questo corpus documentario viene spontaneo chiedersi, come premesso in

apertura di capitolo, chi o che cosa abbia contribuito, e in quale misura, a condurre il

Ministero ad una valutazione errata del fenomeno brigatista. Come avremo modo di vedere, è

nella stampa in lingua tedesca e nel punto di vista da cui questa decise di presentare gli eventi

che derivarono le convinzioni espresse dal MfS e fin qui descritte.

5.4.2 Le fonti dell'MfS nell'analisi del caso Moro: il ruolo della stampa nella

formulazione delle ipotesi sulle Brigate Rosse.

Profascisti, legati a forze reazionarie e tassello di un puzzle ascrivibile alla “strategia della

tensione.” Queste in sostanza le convinzioni espresse nel corso del 1978 sulle Brigate Rosse.

Ci si è domandato in precedenza da dove queste derivassero; che cosa o chi, in sostanza, abbia

svolto il ruolo di canale primario nella comprensione del fenomeno da parte della

Staatssicherheit tedesco-orientale.

Se, come abbiamo visto, la Stasi poté contare sulla collaborazione dei servizi segreti dell'Olp

e sulla presenza di informatori all'interno del servizio segreto federale

Bundesnachrichtendienst, è anche vero che fonti di questo tipo sembrerebbero essere andate

in gran parte distrutte. Non a caso, disponiamo di una sola informativa sull'argomento ricevuta

dall'Olp, così come uno è il numero delle liste di terroristi ricercati dall'Interpol pervenute alla

Stasi dalla sede romana di questo organo internazionale.418

Si deve invece ad un IM l'informativa contenente un rapporto riguardante le idee circolanti in

Vaticano sulla morte dell'uomo politico, che però è di scarsa rilevanza ai fini di una trattazione

strettamente inerente la Stasi e il caso Moro, essendo stata composta solo nell'ottobre del

1978, e che si colloca dunque in un momento ormai non più cronologicamente ascrivibile alla

fase iniziale della raccolta informativa. Più che contribuire alla formulazione di ipotesi da

parte del MfS, questo documento le conferma, poiché la Stasi sembra trovare in Vaticano

interlocutori fermamente convinti di quanto gli uomini di Mielke avevano già da tempo

concluso: Moro è stato rapito ed ucciso a causa del ruolo da lui svolto nel processo apertura

nei confronti del Pci. Le forze reazionarie, guidate dalla Dc e appoggiate dai servizi

418BStU, MfS-HAXXII 5734\3, pp. 135-136.

174

imperialisti, non avrebbero visto di buon occhio la politica morotea, tanto da decidere di

incaricare le Brigate rosse, esse stesse un mero prodotto del nemico, di rapire ed uccidere

Aldo Moro.

L'importanza di una considerazione sul ruolo svolto dalla stampa occidentale ed orientale nel

formarsi di questa ricostruzione risiede in un fatto decisamente pratico: qualora ci si limitasse

all'analisi della documentazione effettuata nel precedente paragrafo, che ha restituito

un'interpretazione più che mai dietrologica dell'intera vicenda, si presterebbe il fianco proprio

al ritorno di quelle teorie “non ufficiali” sulla morte dello statista. Il rischio, a mio avviso, è

quello di pensare che la Stasi fosse a conoscenza di particolari sconosciuti agli stessi organi

d'indagine italiani. Leggendo, insomma, solo ed esclusivamente la documentazione fin qui

analizzata, senza preoccuparsi di andare ad indagare più a fondo gli elementi che la hanno

ispirata, si giunge inevitabilmente a confermare di colpo tutta la dietrologia descritta nel

paragrafo 5.2., non solo sul caso particolare del sequestro Moro, ma sul fenomeno brigatista

nel suo complesso.

La prima volta che chiesi di visionare la documentazione relativa alla figura di Aldo Moro

presso gli archivi del BStU, mi venne detto che sullo statista era si presente il riferimento ad

una Aktenkartei, ovvero un dossier relativo alla sua persona, ma che era anch'esso andato

distrutto nel 1990. Mi venne però anche segnalata la presenza di numerosi articoli di giornale

sul sequestro e l'omicidio dello statista, raccolti dallo ZAIG nell'arco dei cinquantacinque

giorni, che rappresentano oggi la quasi totalità della documentazione disponibile sul

presidente della Dc.

La stampa tedesca da ambo i lati del muro di Berlino diede grande risalto mediatico ad un

sequestro che, nella forma e nelle modalità d'esecuzione, ricordava molto da vicino il

sequestro di Hans Martin Schleyer, operato dalla Raf solo sei mesi prima. Da parte sua la

Stasi condusse, tramite lo ZAIG, una minuziosa opera di lettura ed analisi della stampa in

lingua tedesca, e alle considerazioni da questa espresse fece riferimento al momento di

formularne una propria. La documentazione del BStU si presenta oggi come un blocco di

circa cinquecentocinquanta articoli divisi in tre faldoni, numerati e con segnatura MfS-ZAIG

10477. Di questa parte di documentazione non viene fatta menzione alcuna da Gianluca

Falanga, il quale riconduce l'interpretazione delle Br proposta dalla Stasi alla formazione

ideologica cekista dei dipendenti del Ministero, che non avrebbe permesso altre conclusioni se

175

non quelle che le Br rappresentassero un tassello della strategia della tensione.419

Non si può certamente negare come questo fattore possa aver giocato un ruolo chiave

nell'interpretazione delle Brigate rosse, ma resta a mio parere da operare un'integrazione e una

parziale rilettura della questione nel suo complesso: la formazione cekista non deve cioè

configurarsi come un motivo valido per la formulazione di ipotesi preconfezionate da parte

del MfS (terrorismo = imperialismo e strategia della tensione, sulla base di un impianto

ideologico rigido), ma giocò un ruolo nella selezione delle informazioni utili a giungere a tali

ipotesi (Brigate rosse = imperialismo e strategia della tensione, ma sulla base di notizie

raccolte dalla stampa “allineata”, come andremo immediatamente a vedere).

Innanzitutto, abbiamo visto nel capitolo precedente come la Stasi avesse operato alla ricerca

di contatti tra la Raf e le Brigate rosse. Se le similitudini tra i casi Moro e Schleyer si

presentavano come evidentemente innegabili, allora sembra si possa ragionevolmente

supporre che il MfS abbia cercato una conferma a questo ragionevole sospetto principalmente

negli organi di stampa della Germania federale (affidandosi almeno in parte anche alla stampa

autoctona, laddove questa servisse ad integrare le conoscenze ottenute), che a loro volta

riportavano e diffondevano notizie apprese perlopiù dalle agenzie di stampa italiane, come

diviene evidente nelle sigle delle agenzie di stampa italiane che precedono gli articoli: i nomi

di Ansa, Adnkronos e Op (Osservatore politico) si ritrovano costantemente citati come fonti

dei suddetti.

Parte della stampa tedesca, in particolare quella di provenienza occidentale analizzata dallo

ZAIG, suggerì che l'azione delle Br fosse da ricondursi all'influenza della Raf sul gruppo

italiano. Così ad esempio, il 17 marzo il quotidiano berlinese “Der Abend” titolava “Ein

deutscher unter Moros Entführern?”, riportando la notizia secondo cui del commando avrebbe

fatto parte un uomo di lingua tedesca,420 mentre lo “Spandauer Volksblatt” stabiliva un nesso

diretto, definendo le Brigate rosse la “controparte italiana della Raf”.421 Nella presentazione

del sequestro fornita dalla stampa della repubblica federale manca ancora, tuttavia, il

riferimento a forze neofasciste, e sembra opinione diffusa che esse costituiscano un fenomeno

di ispirazione comunista.422

419Gianluca Falanga, Spie dall'Est, p. 137.420Un tedesco tra i sequestratori di Moro? In BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 1, pp. 200-201.421Ibd., p. 205.422Di questa idea ad esempio il “Berliner Morgenpost” e il “Tagesspiegel”, entrambe presenti in BStU, MfS-

ZAIG 10477, Bd. 1, rispettivamente alle pagine 202 e 204.

176

Importanti, soprattutto perché si ritroveranno poi nelle informative del MfS, le considerazioni

espresse dai quotidiani “Berliner Morgenpost” e “Tagesspiegel”. Se il primo evidenziava

infatti il ruolo di Aldo Moro come principale promotore del compromesso storico, mettendone

in risalto il ruolo svolto nella costituzione del nuovo gabinetto di centro-sinistra guidato da

Andreotti,423 il secondo riferiva dell'avversione nutrita dalle Br nei confronti di quella linea

politica, affermando che l'operazione avrebbe avuto l'obiettivo di impedire la formazione del

nuovo esecutivo, prevista ed avvenuta il giorno stesso del sequestro.424

Per la stampa occidentale, a promuovere ancora l'idea che nel sequestro Moro fossero

coinvolti terroristi tedeschi contribuì anche il quotidiano “Bild”. In uno dei due articoli

pubblicati da questo giornale in data 19 marzo 1978, nel primo dei quali si tracciava un

quadro della figura dello statista nel ruolo di padre e fervente cristiano,425 si poneva ancora

l'accento su quanto sostenuto il giorno precedente dal “Der Abend”, ovvero che “Deutsche

entführten Moro.”426 Sulla stessa linea, il “Berliner Morgenpost” riportava la notizia, appresa

da fonti italiane, secondo cui agli organi di polizia sarebbe giunta una telefonata in cui la

“Banda Baader-Meinhof” rivendicava l'attentato, e sosteneva che Moro fosse nelle loro

mani.427

Ma quello che ci interessa maggiormente è un trafiletto dal titolo “Rote Brigaden”, apparso in

quello stesso giorno sul quotidiano, stavolta tedesco-orientale, “BZ-Am Abend”: qui le Br

sono definite per la prima volta con l'attributo di “neofasciste”, e vengono chiariti alcuni

aspetti delle vicende che portarono Renato Curcio dalla militanza nell'organizzazione Ordine

Nero alla fondazione delle Brigate rosse.428 Di particolare interesse sono due piccoli segni

grafici riportati sull'articolo, che danno idea della rilevanza che questa informazione deve aver

ricoperto fin da subito agli occhi del MfS. L'articolo è sottolineato nel punto in cui si ricollega

Curcio alla destra neofascista, e riporta la sigla “XXII”, riferimento preciso all'unità per cui la

notizia era investita di rilevanza operativa, quella divisione Terrorabwehr a cui l'informazione

sarebbe stata prontamente trasmessa.

423Ibd., p. 202.424Ibd., pp. 204-206.425Ibd., p. 187.426Tedeschi hanno sequestrato Moro, Ibd., p. 192.427Ibd., p. 186.428Ibd., p. 194.

177

Nello stesso giorno, anche la stampa occidentale formulava per la prima volta l'ipotesi

dell'esistenza di una lunga mano dietro l'azione brigatista, identificata dal giornale ufficiale

del DKP (Deutsche Kommunistische Partei) “Unsere Zeit” con quella di forze reazionarie e

servizi segreti.429 Pur trattandosi in questo caso di un articolo pubblicato in territorio federale,

non si deve dimenticare la circostanza per cui il DKP rappresentasse l'erede politico del

dissolto KPD (Kommunistische Partei Deutschlands), nato alla fine degli anni '40 sotto l'egida

della SED e dichiarato fuori legge nella repubblica federale già nel 1956, il quale intrattenne

fino al 1990 stretti legami con la dirigenza politica della Ddr, al punto di venire etichettato

come una filiale della SED in Germania ovest.430 Il suo quotidiano ufficiale, di conseguenza,

esprimeva pienamente la linea ideologica della nomenklatura comunista.

Il 19 marzo è segnato dalla notizia della foto di Aldo Moro che le Br hanno recapitato alla

stampa italiana. Inevitabilmente, le prime pagine si riempiono di articoli che mettono di

nuovo in evidenza tutte le analogie tra i sequestri Moro e Schleyer. Il “Berliner

Morgenpost”431 ribadirà l'avversione delle Br nei confronti del Pci e della politica del

compromesso storico, così come sullo stesso piano si muoverà lo “Spandauer Volksblatt”432.

Passando al giorno successivo, ancora una notizia viene sottolineata nel suo complesso dagli

impiegati dello ZAIG, quella apparsa sul quotidiano della Ddr “Der Morgen”, organo ufficiale

del partito liberal-democratico tedesco-orientale (LDPD), in cui compare un piccolo articolo

dal titolo “Bewusste Fälschung”,433 dove viene mossa una critica agli organi di stampa

tedesco-occidentale, accusati di giocare volutamente con le definizioni di “rosso” e “nero”,

attribuite alternativamente alle Br allo scopo di generare confusione nell'opinione pubblica,

mentre risulta chiaro, agli occhi di chi scrive, come le Br facciano in realtà il gioco

dell'imperialismo.

Con la stampa, in questo caso occidentale, è possibile ricostruire un filo diretto, come diviene

ancor più evidente di fronte alla documentazione inerente il giorno 21 marzo. Nel paragrafo

precedente abbiamo descritto nel dettaglio un'analisi comparativa del sequestro Moro con

quello Schleyer, compilata dal MfS nel giugno 1978.434 Analizzando gli articoli raccolti dallo

429Ibd., p. 190.430Thomas Kerstan, Gero von Randow, “Die Zwangsarbeiter und wir” in “Die Zeit”, 9 febbraio 2014, pp. 28-29.431Ibd., pp. 183-184.432Ibd., p. 185.433Falsificazione consapevole, in BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 3, p. 45.434BStU, MfS-HAXXII 136, pp. 114-119

178

ZAIG, scopriamo che una simile analisi era stata in realtà pubblicata pochi giorni dopo il

sequestro dal giornale tedesco-occidentale “Die Welt”, che in seguito alla pubblicazione in

Italia della foto di Moro nella prigione del popolo aveva immediatamente riproposto un

confronto col caso Schleyer.435 Persino le immagini utilizzate dalla divisione XXII sono

caratterizzate da assoluta identità con l'articolo del “Die Welt”. In parole povere, la Stasi si

preoccupò di “copiare” punto per punto tutto quel che riteneva interessante ai fini della

comprensione del fenomeno brigatista.

Come sta lentamente diventando chiaro, l'operazione di analisi della stampa portata avanti

dagli uomini dello ZAIG si muove in entrambe le direzioni: negli ambienti del Ministero ci si

preoccupa cioè di raccogliere quante più informazioni possibile dalle pagine dei quotidiani in

lingua tedesca, sia all'esterno che all'interno dei propri confini.

Se da un lato, come abbiamo appena descritto, gli organi di stampa della Germania federale si

preoccuparono, nella maggior parte dei casi, di tracciare dei parallelismi tra il sequestro di

Aldo Moro e quello di Hans Martin Schleyer, nonché di rintracciare collegamenti di natura

logistica tra i due gruppi436, i maggiori quotidiani della Ddr, tutti pesantemente politicizzati ed

asserviti alle logiche propagandistiche della dirigenza politica, offrono un'interpretazione del

caso Moro mirata quasi esclusivamente a mettere in relazione le Brigate rosse con forze

oscure, con cosiddetti Hintermänner, termine onnipresente nella terminologia paranoide del

MfS, con cui si indicano genericamente, ed in tutti i campi della vita sociale e politica, i

cospiratori e i nemici dello Stato.437

Quindi, se la stampa tedesco-occidentale sembra aver giocato come ruolo primario quello di

aver rivelato all'MfS le connessioni internazionali delle Brigate rosse e i loro supposti

collegamenti con la Raf (circostanza questa su cui il MfS non poteva forse ancora disporre di

grandi certezze, se si pensa che il periodo di contatto, diretto e prolungato nel tempo, con

membri della Raf avrebbe avuto inizio solo nel luglio del '78, con l'arresto di Inge Viett e

l'avviarsi delle dinamiche che avrebbero condotto a Stern I e II), sembra che la Stasi abbia di

contro ritenuto insoddisfacenti le spiegazioni ideologiche che la stampa occidentale forniva

sul conto delle Br.

435BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 1, p. 160.436Si veda a questo proposito, e in aggiunta a quanto detto finora, la continua analisi dei due sequestri basata

sull'individuazione di parallelismi presente ancora nei quotidiani “Koelner Stadtanzeiger” del 21 marzo 1978in BStU, MfS-ZAIG 10477 Bd. 1, p. 167, “Frankfurter Allgemeine” del 25 aprile in Ibd., pp. 98-99,“Frankfurter Rundschau” del 10 maggio in BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 2, p. 7, solo per citarne alcuni.

437Hubertus Knabe (a cura di), op, cit., p.7.

179

Se, come veniva affermato in una delle informative descritte nel paragrafo precedente, le

origini del terrorismo erano da ricercarsi nelle contraddizioni del mondo capitalista, così come

si dava per vero, all'interno dei ranghi di una classe politica e, nello specifico, di un servizio

segreto profondamente ideologizzato, che il terrorismo rappresentava la più affilata arma dei

servizi segreti imperialisti (cfr. infra., par. 5.3.), allora questa rappresentazione del terrorismo

passava necessariamente per i canali di diffusione mediatica della Ddr.

La Stasi raccolse ed analizzò le notizie riportate dai principali quotidiani della Repubblica

democratica tedesca, nel tentativo di comprendere a fondo le origini e i veri intenti di quella

che, almeno in un primo momento, venne ritenuta a tutti gli effetti una formazione per la lotta

armata “sedicente” rossa. D'altronde, idee ed espressioni di questo tipo circolarono

ampiamente nello stesso contesto italiano,438 affermazione questa che costringe a ricordare

quanto detto poco fa, ovvero che le notizie riportate dalla stampa tedesca, sia da una parte che

dall'altra del Muro, consistevano nella puntuale citazione di notizie riportate dalla stampa

italiana.

Se la stampa della Repubblica federale decise di riportare quelle notizie, o gli elementi di

quelle notizie, dando risalto a quei fattori che permettessero un confronto tra le vicende

italiane e quelle di cui la Germania ovest era stata, suo malgrado, protagonista appena un anno

prima, confrontandosi solo raramente con questioni ed interpretazioni della vicenda legate a

regie oscure, la stampa della Ddr fece l'esatto contrario. Proponendo ai propri concittadini una

versione dei fatti sapientemente rielaborata, che nel puntare l'attenzione sul ruolo di

neofascisti e servizi segreti esprimeva le convinzioni ideologiche dell'elite, essa mirava

contemporaneamente al discredito e alla demonizzazione della controparte occidentale.

Ovviamente, anche le teorie dietrologiche che la stampa orientale decise di diffondere sui

propri quotidiani non erano affatto creazioni artificiali dei media di regime, ma si rifacevano

ancora a notizie circolanti sulle agenzie di stampa e sui quotidiani italiani. I giornali della Ddr

scelsero di trasmettere all'opinione pubblica solo quelle notizie, o solo alcuni aspetti di queste,

che maggiormente si prestavano ad una manipolazione in chiave ideologica, nonché

volutamente discriminatoria nei confronti del nemico.

Così ad esempio in data 22 marzo, il quotidiano “Neues Deutschland”, organo di stampa

ufficiale del partito SED, offriva una rapida rassegna stampa delle agenzie e dei quotidiani

438Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., pp. 98-189.

180

italiani, riportando le notizie che dessero indizio della presenza di agenti esterni nella vicenda

Moro. Vengono nominati il “Corriere della sera”, sul quale si formula l'ipotesi che le Br e i

loro registi occulti vogliano favorire una svolta reazionaria, e il “Paese Sera”, secondo cui i

terroristi punterebbero al raggiungimento di uno Stato d'emergenza sul modello della

Repubblica federale, dove al terrorismo si cercò di porre rimedio con l'istituzione di leggi

speciali, le quali non avrebbero sortito altro risultato se non quello di aver ridotto i diritti civili

dei cittadini e la loro libertà d'espressione, fine ultimo del terrorismo “sedicente rosso” nel suo

complesso.439

Ancora un esempio di questa tendenza scaturisce da un articolo440 tratto da un altro giornale

della Ddr, quel “Junge Welt” che fino al 1990 ricoprì il ruolo di organo ufficiale di stampa

dell'organizzazione paramilitare giovanile tedesco-orientale Freie Deutsche Jugend (FDJ).

In una delle pagine fotocopiate dalla Stasi, costituenti parte dell'edizione del quotidiano

datata 25 marzo, abbiamo modo di leggere un tipico “angolo dell'esperto”, dove il giornalista

Ulrich Schwemin risponde alle domande dei lettori. La domanda, posta da un certo Michael

Koch, e' la seguente: “Wer verbirgt sich hinter den “Roten Brigaden” Italiens und welche

Absicht verfolgen sie mit der Entführung Aldo Moros?”441 La risposta del giornalista è chiara

e dettagliata: le Brigate rosse rappresentano, fin dalla loro nascita all'inizio degli anni '70, la

più attiva formazione di marca neofascista sul territorio italiano, e puntano ad esasperare il

clima politico per favorire nella popolazione l'accettazione di misure autoritarie, dettate dal

bisogno di sicurezza.

Allo stesso tempo, esse sono volutamente mascherate di rosso, così da gettare discredito sul

mondo comunista. Il quotidiano presentava, nello stesso giorno, numerosi altri articoli di

egual tenore, riportanti le notizie circa l'essenza neofascista e celata dietro un velo

pseudorivoluzionario delle Br.442

Se il “Neues Deutschland” fece delle suddette voci di regie oscure il proprio cavallo di

battaglia, continuando a trattare l'argomento sotto questa luce per tutti i cinquantacinque

giorni del sequestro ed oltre,443 il “Berliner Zeitung” e lo “Junge Welt” si allinearono al

maggiore quotidiano nazionale, portando avanti una sistematica campagna mediatica volta a

collocare le Brigate rosse nello scenario di una più vasta operazione anticomunista

439BStU, MfS-ZAIG, 10477, Bd. 3, p. 41. 440Ibd., p. 40.441Chi si nasconde dietro le Brigate rosse italiane e quale intento perseguono con il sequestro di Aldo Moro?442Ibd., pp. 37-38.443Ibd., pp. 8,33, 35, 36.

181

organizzata dai servizi segreti imperialisti.

L'edizione del 28 marzo del primo titolava, citando genericamente la stampa italiana come

fonte: “Fahndung nach 300 Terroristen. Italien: Beunruhigung über Kontakte mit CIA-

Kreisen”,444 notizia rilanciata nello stesso giorno e in maniera praticamente identica dal

“Berliner Zeitung”,445 che ancora in data 11 maggio, due giorni dopo il ritrovamento del

cadavere di Moro, riportava una notizia del quotidiano di ispirazione democristiana “Il

Popolo” in cui si sosteneva che le cause del sequestro fossero da far risalire al nazismo.446

Volendo ora tirare le somme dell'analisi fin qui condotta, credo si possa affermare, con buona

probabilità, che le conclusioni a cui la Stasi pervenne nella fase iniziale di studio del

fenomeno brigatista siano state suggerite dalla stampa, e che non siano quindi da ricondursi

alla presenza di un contatto diretto con membri del gruppo.

Inoltre, preso atto del fatto che la stampa occidentale e quella orientale offrirono due visioni,

se non opposte, quantomeno molto differenti tra loro, del rapimento Moro, concentrandosi la

prima in particolare su quei punti che lasciassero intravedere l'intrecciarsi di collaborazioni e

contatti tra la Raf e le Br, e la seconda selezionando accuratamente solo quelle notizie che

dessero prova della collusione delle Br con ambienti dell'estrema destra e dei servizi segreti,

si può ragionevolmente supporre che la Stasi abbia operato due pesi e due misure nella

valutazione del materiale analizzato: la stampa occidentale giocò un ruolo fondamentale nel

chiarire collegamenti e affinità nelle modalità operative dei due gruppi, informazioni queste

che la Stasi recepì pienamente, come dimostra l'interesse conferito all'analisi comparativa dei

due sequestri estrapolata dal “Die Zeit”, mentre quella orientale funse da tramite nella

formulazione di convinzioni sulla natura ideologica delle Brigate rosse. Le informative ad uso

interno prodotte nei cinquantacinque giorni del sequestro dimostrano, dal momento in cui

fanno ampio uso della terminologia e della visione d'insieme propria dell'interpretazione del

fenomeno fornita dalla stampa di regime, la priorità assoluta del mezzo-stampa nella

formulazione delle suddette convinzioni.

Volendo immaginare le Brigate rosse come un contenitore vuoto, si può affermare che la

stampa occidentale ne fornì alla Stasi la forma, quella orientale il contenuto. La ristrettezza di

vedute e il forte indottrinamento a cui i funzionari dell'MfS venivano sottoposti fece il resto,

conducendo la divisione XXII ad un'interpretazione “di comodo” del fenomeno, che si

444Caccia a 300 terroristi. Italia: inquietudine circa contatti con ambienti della CIA, in Ibd., p. 23.445Ibd., p. 34.446Ibd., p. 7.

182

inserisse cioè perfettamente all'interno dell'orizzonte ideologico dei quadri del Ministero e

dell'elite comunista tedesco-orientale.

5.5. Conclusioni.

Tramite l'analisi della documentazione fin qui condotta e' stato possibile giungere ad alcune

conclusioni.

In primo luogo, si è potuto ribadire quanto già espresso da Gianluca Falanga nell'opera “Spie

dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi”, dove l'autore ha sostenuto che non vi sia, nella

pur consistente mole di documenti sulle Brigate rosse rinvenibile negli archivi del BStU, la

benché minima traccia che suggerisca la possibilità che l'organizzazione sia mai venuta, nel

corso della sua ventennale esperienza storica, a contatto diretto con gli ambienti del

Ministerium für Staatssicherheit tedesco-orientale.

Questo capitolo, sviluppandosi nella trattazione della parte di documentazione inerente il caso

Moro presente nei suddetti archivi, e alla luce di quanto dimostrato nel paragrafo 4.4. in

relazione al manifestarsi e del permanere dell'interesse dell'MfS nei confronti delle Brigate

rosse tra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '80, ha cercato di mettere in relazione la

suddetta documentazione con quel momento preciso della storia dell'organizzazione. La scelta

di procedere “a ritroso” nel tempo, dimostrando per prima cosa come l'interesse del MfS nei

confronti delle Br fosse ancora ben vivo dopo la metà degli anni '80, e proseguendo solo in

seconda battuta ad analizzare un fatto che si colloca cronologicamente all'inizio della

documentazione, si deve alla realtà di fatto per cui il caso Moro ricopre non solo il ruolo

limite cronologico della raccolta informativa operata dall'MfS, ma ne rappresenta il fattore

scatenante. Se, come già enunciato nel capitolo precedente, nel corso degli anni '80 si

considerarono le Brigate rosse, negli ambienti del Ministero, alla stregua di un gruppo

eversivo dedito al terrorismo internazionale, è pur vero che a questa conclusione si giunse

solo dopo un periodo relativamente lungo di studio del gruppo, durante il quale fu possibile

comporre un quadro più dettagliato delle intenzioni delle Br e che sembra esser passato in

buona parte per operazioni di studio dei comunicati brigatisti, analisi della stampa e, in minor

misura, almeno per quanto ci consente di sostenere la documentazione superstite, attraverso

pratiche di controspionaggio e informazioni di servizi “amici”.

183

La vicenda Moro rappresenta dunque il primo impatto del Ministero con il fenomeno

terroristico italiano e fu, come delineato nel presente capitolo, un confronto accompagnato da

timori e forme accentuate di (per usare un termine coniato da Tobias Wunschik) “ipocondria

della sicurezza di Stato”. Ne sono la prova le misure di sicurezza istituite tra maggio e luglio

1978, volte a verificare la presenza di terroristi italiani e relativi Hintermänner sul suolo della

Ddr.

Ma fu un impatto caratterizzato anche da un altro fattore chiave: la miopia dei colonnelli

dell'MfS. Questi infatti, dovendo fare i conti con un'organizzazione sulla quale si disponeva di

scarsa documentazione, si affidarono alla fonte più immediatamente disponibile e più

facilmente interrogabile: la stampa. La documentazione giornalistica proveniente dalla

sezione dello ZAIG rappresenta la quasi totalità di quella complessiva sul caso Moro, e

permette un'ulteriore considerazione: la Stasi sviluppò un'interpretazione estremamente

dietrologica dell'intera vicenda e, con lei, della storia dell'organizzazione nella sua interezza.

Questo avvenne, però, certamente non perché il MfS fosse in qualche modo depositario di

conoscenze relative a verità che, in Italia, lo stesso mondo comunista all'epoca dei fatti

suggerì, nel tentativo di scrollarsi di dosso le accuse di “paternità morale” del brigatismo, ma

proprio perché gli stessi ambienti del mondo giornalistico, e segnatamente di quello tedesco-

orientale, alle cui pagine sembra potersi dimostrare esser dovuta la percezione del fenomeno

da parte del MfS, fecero propria questa interpretazione proprio ricavandola dalla stampa di

ispirazione comunista italiana e tedesco occidentale.

184

Riflessioni conclusive.

Con il presente lavoro ci si è proposti di presentare le vicende relative al sequestro e omicidio

del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro dal punto di vista del Ministerium für

Staatssicherheit della Repubblica democratica tedesca. A questo scopo si è fatto uso di fonti

primarie provenienti direttamente dagli archivi del Bundesbeauftragte für die Stasi

Unterlagen der ehemaligen Deutschen demokratischen Republik, l'organo federale che dal

1990 si occupa della gestione del lascito documentario del suddetto servizio d'intelligence.

La prima parte della tesi, consistente nei capitoli 1. e 2., ha avuto lo scopo di introdurre i due

soggetti principali tra i quali questa tesi si è proposta di delineare le interazioni, ovvero i

servizi segreti nel contesto della guerra fredda, e il terrorismo degli anni settanta, con

riferimento specifico a quello di derivazione marxista.

Dopo aver descritto brevemente, nel capitolo 1., la storia e alcune delle maggiori operazioni di

intelligence condotte da CIA e KGB, procedendo ad un confronto tra questi e i servizi di due

paesi alleati di una e dell'altra superpotenza, ovvero i servizi segreti italiani e la Stasi tedesco

orientale, ci si è concentrati nel capitolo successivo sui due paesi europei dove il terrorismo

antisistema di matrice marxista si dipanò con maggior violenza e durata, l'Italia e la

Germania.

Nel corso del capitolo 2. si è dunque dato brevemente conto dello stato degli studi sulle

origini del fenomeno portati avanti nei due contesti trattati, descrivendo poi i principali eventi

di cui la Raf e le Brigate rosse si resero protagoniste e andando a concludere con una sezione

specificamente dedicata all'interazione di questi gruppi con i servizi d'intelligence dei

rispettivi paesi, così da chiarire forme, modi e tempi dell'operazione di contrasto portata

avanti dagli organi informativi e repressivi delle due giovani democrazie parlamentari.

Come abbiamo avuto modo di vedere, le strategie utilizzate per arginare il fenomeno nei due

paesi presentano forti analogie, e spaziarono dall'uso di informatori reclutati negli ambienti

delle rispettive sinistre estreme all'utilizzo di vere e proprie pratiche di infiltrazione mirata.

In entrambe i contesti trattati, le operazioni di contrasto e repressione furono complicate da

conflitti di competenze in seno agli organi investigativi; si istituirono leggi speciali volte ad

inasprire le pene per i reati di terrorismo e a favorire il fenomeno della dissociazione; si

procedette alla costituzione di nuclei armati speciali finalizzati alla lotta al fenomeno.

Certamente la maggiore prontezza con cui lo Stato tedesco reagì alla minaccia portata dalla

185

Raf, estremamente ridotta in termini di consistenza numerica, può essere ricondotta al

profondo trauma causato dalla strage di Monaco, un ricordo che dovette lacerare

profondamente la società tedesco occidentale e che costrinse il governo a mostrarsi dinamico

e reattivo fin dalle prime manifestazioni del fenomeno.

Il trauma rappresentato da Monaco non valse solo per la società federale. E' infatti solo in

seguito a quell'attentato che anche la Ddr decide di munirsi di strumenti adatti allo studio e

alla prevenzione dal pericolo terroristico con la fondazione dell'Abteilung XXII-Terrorabwehr.

Strumenti che hanno trovato anche un impiego ben diverso da quello a cui erano ufficialmente

preposti, ovvero la difesa del proprio territorio da attacchi di matrice internazionale.

La seconda parte della tesi ha spostato il focus sulla storia delle interazioni tra un singolo

servizio segreto del blocco comunista e la suddetta forma di terrorismo antisistema. Si è così

andati a descrivere in prima battuta la storia dei rapporti tra la Stasi e la maggiore formazione

di lotta armata per il comunismo sorta in Germania federale, la Rote Armee Fraktion.

Il capitolo 3. ha dimostrato, sulla base di una già copiosa letteratura esistente sull'argomento e

alla quale si è fatto puntualmente riferimento, come le accuse mosse alla Stasi di fornire

copertura al terrorismo internazionale portate avanti dalla comunità civile tedesca e dagli

organi d'indagine federali siano oggi da considerarsi una realtà storica acquisita. Oltre a ciò,

questo capitolo ha anche dimostrato come, dalla parte dell'MfS, non ci si limitò ad una

semplice azione di copertura e supporto nei confronti di una formazione che si proponeva di

abbattere uno stato nemico: i contatti tra Raf e Stasi andarono oltre e si configurarono in

almeno un'occasione, quella relativa all'attentato condotto contro il generale NATO Frederik

Kroesen, come forme di collaborazione diretta.

Nel corso di questo capitolo è inoltre stata operata una distinzione netta tra le teorie

giornalistiche sorte negli ultimi vent'anni in relazione al ruolo svolto dalla Stasi nella

formazione e nello sviluppo del terrorismo tedesco occidentale e le prove documentarie che di

volta in volta sono state invocate a conferma delle suddette teorie. Ci si è preoccupati in

sostanza di esporre le tesi di chi, come Tobias Wunshik e gli storici e politologi che gravitano

intorno al BStU, hanno operato con i mezzi propri della ricerca storica.

Ne è derivato un quadro che può essere riassunto come segue: non esistono prove di alcun

tipo che suggeriscano che la Stasi abbia contribuito attivamente alla nascita della Rote Armee

Fraktion o di altre formazioni armate tedesco occidentali, così come non è possibile

186

dimostrare in alcun modo la teoria, tutta giornalistica, che ha visto relegare la Raf al ruolo di

braccio armato del servizio segreto della Germania est. Incontestabile resta la verità di fatto

per cui la Ddr offrì riparo e copertura ad un gruppo di terroristi, proveniente dalla Raf e dalla

Bewegung 2 Juni, che tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta decise di

abbandonare la lotta armata, così come è impossibile negare che alcuni di quei soggetti

vennero coinvolti in un programma di addestramento militare con finalità offensive, e che

quest'addestramento sembra aver trovato almeno in un caso un'attuazione pratica nel già citato

attentato a Kroesen.

La persistenza di contatti diretti tra Stasi e Raf comportò una maggiore consapevolezza, da

parte dell'MfS, degli obiettivi del gruppo e dell'identità dei suoi militanti, informazioni queste

che la Stasi mancò volutamente di trasmettere agli organi di polizia federali nel tentativo di

favorire il perdurare di un fenomeno che si presentava come una spina nel fianco per la

stabilità interna del nemico. Una strategia quest'ultima propria dello stesso modus operandi

dell'Urss, che guardava al terrorismo manifestatosi nelle società occidentali come ad un

cancro, in grado di accelerare quei processi disgregativi che avrebbero aperto la strada alla

rivoluzione socialista mondiale; una strategia di cui la comunità internazionale ha lentamente

acquisito consapevolezza nel corso degli anni sessanta e settanta, svelata dalle dichiarazioni di

numerosi disertori sovietici e che, già nel 1977, poteva essere lucidamente descritta dallo

stesso Walter Laqueur nella sua “History of Terrorism”.

In quest'ottica la Stasi tentò in sostanza, e con il benestare della dirigenza politica, di sfruttare

a vantaggio proprio e del mondo comunista nel suo complesso un fattore esterno quale il

terrorismo tedesco occidentale. Rendendo compiacenti i terroristi si favoriva il persistere di

una minaccia per il nemico, immunizzando al contempo il proprio territorio dall'eventualità di

attentati.

I capitolo 4. e 5. hanno costituito il fulcro del presente lavoro, e hanno permesso di giungere

ad alcuni ordini di conclusioni che, data la continuamente riproposta realtà di fatto della grave

lacunosità della documentazione esaminata, non vanno certamente ad esaurire gli argomenti

trattati.

Il primo ordine di conclusioni a cui si è giunti nel corso di questa ricerca riguarda i rapporti

tra le Brigate rosse, intese nella complessiva durata temporale della loro attività, e la Stasi,

ponendo come limite cronologico il 1989, anno che segna l'inizio del disfacimento delle

187

strutture dell'MfS di pari passo con la caduta del potere comunista in Germania est.

Nel capitolo 4. si è voluto contestare quanto sostenuto in particolare dal giornalista Antonio

Selvatici, che nella sua opera del 2009 “Chi spiava i terroristi. I documenti negli archivi dei

servizi segreti dell'Europa comunista” ha sostenuto che, in seguito al sequestro Moro, alcuni

brigatisti avrebbero trovato rifugio nella Ddr, alle cui frontiere si sarebbero identificati come

terroristi e dove avrebbero ricevuto ospitalità e copertura. Come abbiamo avuto modo di

vedere, questa ricostruzione e le affermazioni che ne sono seguite sono state viziate da un

grave errore di interpretazione, che ha portato Selvatici a considerare un documento per

quello che non è, conducendolo a sostenere l'esistenza di campi di addestramento per terroristi

sul suolo della Ddr.

Sulla base della documentazione da me analizzata, nessun brigatista oltrepassò mai le

frontiere della Ddr, né prima né dopo il sequestro Moro. Gli unici ad operare un tentativo in

questo senso sembra siano stati Pietro Morlacchi e la moglie Heidi Peusch, cittadina tedesco

orientale, allo scopo di ottenere asilo politico in un momento in cui avevano già abbandonato

le Br, asilo che i due si videro negare proprio in virtù dei loro trascorsi brigatisti.

Di altro tenore le conclusioni a cui è giunto lo storico Gianluca Falanga, che della

documentazione esaminata ha fatto un uso decisamente meno strumentale e sensazionalistico.

Nell'opera “Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi” egli ha saputo dimostrare

efficacemente l'interesse nutrito dalla Stasi per la coppia Morlacchi-Peusch in seguito al

sequestro Moro, in quello che sembra essere stato un tentativo da parte dell'MfS di procurarsi

un contatto diretto da cui attingere informazioni utili alla comprensione del fenomeno

brigatista.

Tuttavia anche l'opera di Falanga ha presentato delle affermazioni problematiche, laddove

l'autore ha sostenuto che nel 1985, in concomitanza con l'archiviazione della pratica relativa

alla coppia, la Stasi avesse rinunciato a penetrare più a fondo nell'organizzazione. Il mio

contributo è consistito nel modificare quest'impostazione. Sulla base di documenti che

sembrano essere sfuggiti all'autore stesso è stato possibile stabilire come, nel 1986, la Stasi

abbia deciso di reclutare un informatore dalla scena dei fiancheggiatori brigatisti. L'agente in

questione, nome in codice “Else Brunner”, rimase attivo dal 1986 alla dissoluzione della Ddr,

indice del fatto che le Brigate rosse vennero tenute sotto osservazione finché se ne ebbe la

possibilità.

188

A questo si aggiungano i piani programmatici della divisione XXII per l'anno 1990: redatti

alla fine del 1989, vi si prevedeva di proseguire la collaborazione con “Else Brunner” per

l'anno indicato.

Purtroppo non c'è modo allo stato attuale della ricerca di stabilire l'identità dell'agente, né

tantomeno è stato possibile individuare alcuna delle informative che questi potrebbe aver

trasmesso all'MfS.

La ricerca su questo punto potrebbe però trarre giovamento nei prossimi anni dal

proseguimento del progetto di ricostruzione elettronica degli atti Stasi-Schnipselmaschine, che

ha portato negli utlimi dieci anni al recupero di numerose pagine d'archivio rinvenute

macerate in sacchi e scatole nelle sedi distaccate dell'MfS all'inizio del 1990.

Nel capitolo conclusivo di questo lavoro ci si è dedicati alla descrizione della percezione del

sequestro Moro da parte dell'MfS.

L'analisi delle informative ad uso interno prodotte dagli analisti dell'MfS relative alla vicenda

ha restituito una lettura estremamente dietrologica dell'accaduto. In esse, le Brigate rosse

figurano come un gruppo neofascista direttamente ascrivibile alla strategia della tensione.

Moro sarebbe stato sequestrato per volere dei servizi segreti americani, contrari alla sua

politica di apertura a sinistra. La ricerca si è sviluppata andando a rintracciare nella

documentazione superstite quei documenti che diano notizia degli elementi che hanno

contribuito a conferire le suddette caratteristiche al sequestro.

Si è dovuto così prendere atto dell'estrema scarsità di documentazione relativa ad intelligence

diretta. Le poche informative provenienti da altri servizi segreti o da organi d'indagine federali

infiltrati si accompagnano alla quasi totale assenza di fonti legate a contatti diretti. In questo

senso è stato possibile rinvenire una sola informativa proveniente da un agente. Si tratta di un

IM (anch'egli non identificabile) operante in Vaticano che ha restituito notizie sulle

convinzioni circolanti in quegli ambienti circa il sequestro e i suoi mandanti: la Dc ha bisogno

di un martire per avviare una violenta campagna anticomunista, e per questo fa rapire ed

uccidere un suo alto esponente da un'organizzazione sedicente rossa.

Ma a giocare un ruolo di primo livello nel formarsi di convinzioni dietrologiche negli

ambienti del Ministero sembra essere stata la stampa di ispirazione comunista in lingua

tedesca, tanto orientale quanto occidentale. Non disponendo ancora, nel 1978, di un contatto

diretto negli ambienti dell'organizzazione, è al mezzo stampa che il MfS si affida nel primo

189

tentativo di analisi e comprensione del fenomeno brigatista (mezzo che rimarrà comunque

prioritario nel corso degli oltre dieci anni di osservazione). Non va infatti dimenticato di

come, nella documentazione relativa alle Br presente nel BStU, l'estremo cronologico iniziale

sia segnato proprio dal sequestro Moro, fattore scatenante dell'interesse della Stasi nei

confronti delle Brigate rosse, e di come questo interesse sia da ricondursi alle mutate

aspirazioni del gruppo, in quel periodo intenzionato ad abbandonare la logica di

rivendicazioni puramente nazionali in favore di un più esteso fronte comune europeo

antimperialista.

La stampa tedesca occidentale si occupò in quei gironi di tracciare dei parallelismi tra il

sequestro Moro e quello Schleyer mentre quella orientale (ma anche quella occidentale di

ispirazione comunista), profondamente ideologizzata e fedele alle logiche e alla propaganda

del partito SED, decise di farsi promotrice di una campagna mediatica tesa ad identificare in

servizi stranieri e mandanti occulti i responsabili del sequestro. A questo punto si aggiunge un

ulteriore piano di analisi: le notizie riportate dalla stampa orientale e occidentale comunista

non sono il frutto di riflessioni originali, ma la puntuale citazione di notizie apprese dalla

stampa comunista italiana, nello specifico sulle pagine dei quotidiani “l'Unità” e “Paese

Sera”.

La stampa comunista italiana si preoccupò, nel tentativo di allontanare dal Pci le accuse di

paternità morale del terrorismo, di portare avanti la tesi del complotto internazionale. Ipotesi

questa che venne accolta dalla totalità della stampa tedesco orientale e da quella comunista

occidentale, e che per mezzo di questa andò poi a confluire nelle informative dell'MfS.

Da parte loro, gli uomini di Mielke fecero propria l'interpretazione dei fatti che più delle altre

rispecchiava il proprio orizzonte ideologico, secondo il quale l'operato di gruppi terroristici

sedicenti rossi fosse da ricondursi esclusivamente alle strategie del nemico capitalista e

imperialista.

Nel corso degli anni questa percezione sarebbe cambiata. Se è vero che nella documentazione

relativa al periodo 1980-1989 la definizione di neofascista smette di essere accostata al nome

delle Brigate rosse, questo si spiega a parere di chi scrive con l'acquisita consapevolezza da

parte della Stasi di non avere a che fare con il prodotto di servizi segreti dei paesi capitalistici,

bensì con un gruppo terroristico che, nel corso degli anni ottanta, andò alla ricerca di contatti

internazionali e decise di rivolgere le proprie mire con più veemenza contro istituzioni cardine

190

del cosiddetto imperialismo americano, in particolare contro la NATO. Questo mutamento

delle prospettive del gruppo sembra aver convinto la Stasi ad intraprendere il tentativo di

allacciare contatti diretti con l'organizzazione, tendenza che sembra confermata dall'ingaggio

di “Else Brunner” nel 1986.

Riassumendo, durante il sequestro Moro la scarsità di dati su membri ed intenzioni delle Br

contribuì alla formazione di un'errata percezione dell'organizzazione. Questa percezione mutò

radicalmente nel corso del primo anno e mezzo di osservazione, e portò alla decisione di

allacciare contatti col gruppo. Gruppo che a partire dal 1981, anno in cui la divisione XXII va

incontro ad una profonda ristrutturazione, smette di essere accostato all'attributo neofascista e

la cui lavorazione viene affidata alla sottodivisione deputata allo studio e alla prevenzione del

terrorismo internazionale.

Al più tardi a partire da questa data dunque le Br sono tenute sotto osservazione in qualità di

terroristi internazionali, caratteristica questa che più di altre destava le preoccupazione

dell'apparato di Mielke, in virtù dell'imprevedibilità dell'azione di simili gruppi. Una

preoccupazione questa che era stata alla base, come abbiamo avuto modo di vedere, della

stessa decisione di dotarsi di un'unità operativa deputata alla difesa dal terrorismo.

Mi sembra necessario concludere il presente lavoro con un'ultima breve considerazione,

strettamente connessa ai risultati conseguiti nel corso di questo lavoro: allo stato attuale della

ricerca, e sulla base della pur lacunosa documentazione d'archivio consultata, credo si possa

escludere la possibilità, paventata in tempi più o meno recenti da alcuni esponenti del mondo

politico e giornalistico italiano, secondo cui gli archivi della Stasi sarebbero il luogo adatto

nel quale andare alla ricerca della verità (ma quale verità?) sull'omicidio di Aldo Moro. Mi

riferisco qui nello specifico alle suddette dichiarazioni rilasciate al quotidiano “l'Unità” dallo

storico e senatore del Partito Democratico Miguel Gotor, che nel settembre 2013 ha portato in

aula la proposta di istituire una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e

sul caso Moro.

Inoltre, alla luce di quanto detto finora mi sembra necessario mettere in discussione la tesi

formulata dal giornalista e senatore del Popolo delle Libertà Paolo Guzzanti, secondo il quale

la Stasi sarebbe stata il servizio deputato dal KGB alla gestione occulta del terrorismo

internazionale e il quale nel 2004 ha sostenuto che le Br fossero manovrate dal servizio russo

per mezzo dell'MfS. Nulla, nella documentazione da me analizzata, sembra suggerire una tale

191

realtà di fatto.

192

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XXIII n. 45, 12 ottobre 2000.

• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIII Legislatura, presidente sen.

Giovanni Pellegrino, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo

in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, doc.

XXIII n. 64, Volume primo, Tomo 1, 26 aprile 2001.

• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.

Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il

“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10; Relazione

sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian, 16 dicembre 2004.

• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.

Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il

“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10-bis;

Relazione di minoranza sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian, 16

dicembre 2004.

• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.

Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il

“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10; Documento

conclusivo sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta, 15 marzo 2006.

198

Sitografia.

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• www.bibliotecamarxista.org.

• Www.bild.de.

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• Www.spiegel.de.

• Www.stern.de.

• Www.sueddeutsche.de.

• Www.treccani.it.

• Www.welt.de.

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Ringraziamenti.

Desidero innanzitutto ringraziare il professor Emmanuel Betta per la cura e la dedizione con

cui ha seguito lo svolgimento di questo lavoro.

Grazie ai miei genitori. Non esistono parole per esprimere la gratitudine che provo nei loro

confronti per avermi sempre incoraggiato e sopportato, anche in quei momenti in cui

avrebbero avuto tutto il diritto di non farlo.

Un grazie e tutto il mio amore a mia sorella Eleonora. Le distanze sono un mero indicatore

geografico quando i cuori sono uniti.

Grazie ad Emanuele, Michele, Marco, Stefano, Serena, Vera e Claudio. Siete la prova del fatto

che la famiglia non è solo una questione di sangue. E grazie a Justyna, entrata in punta di

piedi nella mia vita per occuparne il posto più delicato.

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