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FACOLTÀ DI LETTERE, FILOSOFIA, SCIENZE UMANISTICHE E STUDI
ORIENTALI.
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE STORICHE,
MEDIOEVO, ETÀ MODERNA, ETÀ CONTEMPORANEA.
Il caso Moro negli atti del Ministero per la sicurezza di Stato della Repubblica
Democratica Tedesca.
Relatore: Laureando:
Prof. Emmanuel Betta. Marco Bruni.
Correlatore:
Prof. Raffaele Romanelli.
ANNO ACCADEMICO 2014/2015.
1
Indice generale
.....................................................................................................................................................3Introduzione................................................................................................................................4Capitolo 1. Il ruolo dei servizi segreti nel contesto della guerra fredda.....................................9
1.1. Il concetto di Intelligence e suo ruolo strategico. (1945-età contemporanea).................91.2. La C. I. A.......................................................................................................................161.3. I servizi segreti italiani..................................................................................................201.4. GRU e KGB. ................................................................................................................251.5. La Stasi..........................................................................................................................291.6. Conclusioni....................................................................................................................34
Capitolo 2. Terrorismo rosso in Italia e Germania. Origini, fatti, azione di contrasto..............382.1. Terrorismo.....................................................................................................................382.2. In Germania: la Rote Armee Fraktion...........................................................................45
2.2.1. Il legame delle prime formazioni armate tedesche col '68....................................452.2.2. La Rote Armee Fraktion........................................................................................482.2.3. La risposta dello Stato...........................................................................................58
2.3. In Italia: le Brigate rosse...............................................................................................602.3.1. Il '68 italiano. Movimento operaio, rivolta studentesca e culture a confronto......602.3.2. Le Brigate rosse.....................................................................................................662.3.3. La risposta dello Stato...........................................................................................75
2.4. Conclusioni....................................................................................................................78Capitolo 3. La Raf e la Stasi.....................................................................................................81
3.1. La discussione storiografica..........................................................................................813.2. DDR, Stasi e terrorismo................................................................................................883.3. I primi contatti. (1962-1970).........................................................................................943.4. Il periodo 1970-78 e la vicenda degli Aussteiger........................................................1003.5. I procedimenti operativi Stern I e Stern II...................................................................1053.6. La Stasi e la terza generazione della Raf.....................................................................1103.7. Un bilancio..................................................................................................................112
Capitolo 4. Brigate rosse e Stasi..............................................................................................1174.1. Storia dell'ente: Il BStU. .............................................................................................117
4.1.1. I canali informativi del MfS nella “lavorazione” delle Br...................................1224.2. La dietrologia sulle Br. La “pista Hyperion.”..............................................................125
4.2.1. La pista del blocco comunista..............................................................................1304.2.2. Il MfS, l'Italia e il terrorismo nella pubblicistica.................................................134
4.3. Le Brigate rosse negli atti del MfS..............................................................................1374.4. Integrazioni/1. Interesse prolungato e utilizzo di agente IM.......................................141
4.4.1. Integrazioni/2. Le Brigate rosse agli occhi della Stasi........................................1434.5. Conclusioni..................................................................................................................148
5. Capitolo 5. Il caso Moro negli atti del ministero per la sicurezza di stato della Repubblica democratica tedesca................................................................................................................151
5.1. Premessa......................................................................................................................151
2
5.2. Il sequestro Moro. Gli eventi e il dibattito pubblico...................................................1535.3. Il sequestro Moro. La letteratura.................................................................................158
5.3.1. La Commissione stragi........................................................................................1615.4. Il caso Moro negli atti del BStU. Il sequestro e l’esecuzione.....................................163
5.4.1. Il caso Moro negli atti del BStU/2. Misure di controllo ed osservazione nel contesto del sequestro Moro..........................................................................................1665.4.2 Le fonti dell'MfS nell'analisi del caso Moro: il ruolo della stampa nella formulazione delle ipotesi sulle Brigate Rosse..............................................................174
5.5. Conclusioni..................................................................................................................183Riflessioni conclusive.............................................................................................................185Bibliografia.............................................................................................................................193
3
Introduzione.
L'obiettivo di questo lavoro è quello di presentare le vicende relative al sequestro e omicidio
del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro da un punto di vista finora quasi
completamente ignorato, andando ad indagare nella fattispecie le conclusioni a cui il servizio
segreto della Repubblica democratica tedesca, il Ministerium für Staatssicherheit (MfS), più
comunemente noto col nome di Stasi, pervenne in merito alla vicenda, ai suoi prodromi ed
esiti politici, ai suoi esecutori materiali, ai suoi supposti mandanti. A questo scopo, ci si è
avvalsi dell'uso di fonti documentarie provenienti in primis dagli archivi del
Bundesbeauftragter für die Stasi-Unterlagen (BStU), l'istituzione federale che dal 1990 si
occupa di gestire e rendere fruibile il lascito documentale degli archivi del decaduto servizio
segreto tedesco-orientale, con sede a Berlino.
La ricerca storica dell'ente è tuttavia ostacolata nel proprio lavoro di analisi da alcuni gravi
problemi che affliggono la documentazione da esso conservata.
Innanzitutto, il materiale archivistico su cui il presente lavoro si fonda presenta delle gravi
lacune, dovute alla distruzione quasi totale della documentazione relativa alla sezione HV A
dell'MfS, quella deputata allo spionaggio estero, avvenuta tra la fine del 1989 e l'estate del
1990. In questo lasso di tempo, oltre il novanta percento degli atti della divisione guidata da
Markus Wolf è stato bruciato o tritato di nascosto. Questo ha fatto si che le fonti su cui oggi si
tenta di ricostruire le modalità dello spionaggio estero della Stasi siano estremamente
incomplete. La documentazione superstite proviene solo in rari casi dagli uffici dell'HV A, il
cui operato è stato in parte possibile ricostruire solo in virtù dello stretto grado di
collaborazione di tutte le altre unità operative coinvolte a più livelli nelle operazioni di
Aufklärung.
Due sono inoltre i casi fortunati nei quali è stato possibile attingere ad informazioni
provenienti direttamente da questa unità operativa. Il primo è quello rappresentato dal
cosiddetto Dossier Rosenholz, una copia in microfilm di uno schedario relativo alle spie
dell'HV A attive in Germania federale, giunto in non pienamente chiarite circostanze in mano
alla CIA tra il 1989 e il 1990 e restituito al Governo tedesco solo nel 2003.
Il secondo caso è rappresentato dalla fortunata coincidenza che ha permesso il ritrovamento di
una copia digitale dell'archivio elettronico SIRA, contenente dati generici su spie ed
operazioni condotte dall'HV A. Questa copia, prodotta nel 1987, è fortunosamente sfuggita
alla distruzione degli atti e la sua documentazione è stata stampata e resa pubblica dal BStU
4
nel 1998.
Alla luce di quanto detto risulta evidente come la ricerca da me operata non possa avere
pretese di esaustività. La documentazione presa in esame, seppur cospicua, si presenta in
numerosi casi estremamente frammentaria, fattore che rappresenta il limite più grande per chi
voglia in futuro cimentarsi nello studio degli atti relativi alle attività di spionaggio estero
dell'MfS.
La suddetta documentazione è redatta per la quasi totalità in lingua tedesca, e le traduzioni nel
corso di questo lavoro sono tutte a cura dell'autore.
Configurandosi come un lavoro incentrato sull'interazione tra servizi segreti e terrorismo, la
presente tesi si propone anche di apportare un contributo propriamente storico alla vasta
letteratura esistente sul caso Moro; letteratura che ha visto prevalere opere di carattere
giornalistico e pubblicistico, nelle quali si è non di rado chiamato in causa il discorso
dell'interferenza di servizi d'intelligence, tanto occidentali quanto orientali, nella gestione del
sequestro e nella tragica conclusione della vicenda. Una letteratura, infine, di cui si terrà
ampiamente conto nel corso del presente lavoro, e che verrà puntualmente citata e, ove lo si
riterrà necessario, opportunamente integrata o apertamente criticata.
Nel primo capitolo si presenterà un quadro sintetico del sistema di alleanze caratteristico del
periodo in cui gli eventi descritti in questa tesi si collocano, la guerra fredda, spostando il
punto di vista dalla parte dei servizi segreti dei due blocchi. Dopo una breve introduzione
incentrata sul tema del concetto di intelligence e i suoi usi nel periodo qui trattato, si passerà a
descrivere brevemente alcune delle operazioni condotte dai due servizi segreti centrali e
contrapposti, la CIA e il KGB, andandone a evidenziare i tratti salienti; si procederà poi ad un
analogo confronto tra i servizi di due Paesi alleati delle superpotenze, andando a tracciare
brevemente la storia dei servizi segreti italiani e le azioni che maggiormente incarnarono lo
Zeitgeist del periodo nella prospettiva del blocco occidentale, quelle cioè condotte nella logica
dell'anticomunismo, in linea con le direttive dell'Alleanza Atlantica. Si passerà poi in ultima
battuta a chiarire sinteticamente la posizione occupata nello scacchiere geopolitico europeo
dalla Ddr, per concentrare l'attenzione sul servizio segreto che della difesa di tale posizione
venne incaricato: la Stasi. Lo scopo è quello di rendere chiaro un punto fondamentale, ovvero
che la guerra fredda fu una guerra di servizi.
5
Nel secondo capitolo ci si occuperà da un lato di introdurre il concetto di terrorismo,
fornendone una breve storia e riportandone quella definizione che sia quanto più possibile
condivisa a livello internazionale; dall'altro si metteranno in relazione il fenomeno, nella sua
tipologia di ispirazione comunista e rivoluzionaria, e le interazioni di questo con i due
apparati d'intelligence dei Paesi europei che maggiormente furono investiti dal dipanarsi della
violenza politicamente motivata di matrice marxista nel corso degli anni '70: l'Italia e la
Germania (l'altra grande categoria di terrorismo politico europeo, quella di stampo
nazionalista propria di gruppi come l'IRA o l'ETA esula invece dagli obiettivi di questo lavoro,
e sarà pertanto solamente menzionata).
Nel fare questo, si offrirà innanzitutto un quadro generale sulla storia degli studi circa le
motivazioni e le radici del terrorismo rosso nei due contesti nazionali; si passerà poi a
descrivere quanto più sinteticamente possibile gli eventi di cui le due maggiori formazioni di
lotta armata per il comunismo sorte nei due Paesi, le Brigate rosse e la Rote Armee Fraktion,
si resero protagoniste; infine, pur tenendo conto delle diverse tempistiche con cui gli apparati
repressivi delle due giovani democrazie intervennero nel tentativo di arginare il fenomeno, si
evidenzieranno i numerosi tratti comuni riscontrabili nelle modalità operative di contrasto
attuate nei differenti contesti trattati. Così facendo, diverrà più agevole introdurre un discorso
che operi un parziale cambio degli attori in campo, che avrà luogo nella seconda parte del
presente lavoro: qui si analizzeranno, di nuovo, le interazioni tra questa forma particolare di
terrorismo politico e apparati d'intelligence, spostando stavolta la prospettiva dalla parte del
servizio segreto della Repubblica democratica tedesca.
Coerentemente con quanto appena enunciato, il terzo capitolo si occuperà di tracciare una
storia dei rapporti tra il suddetto servizio segreto e la Rote Armee Fraktion. I documenti resi
pubblici con l'apertura del BStU hanno permesso di trovare la conferma ai sospetti
dell'opinione pubblica e del mondo politico federale circa la copertura fornita dalla Stasi al
terrorismo di sinistra tedesco occidentale. Se, da un lato, ad emergere saranno quegli aspetti,
tipici dell'operare dei servizi segreti, secondo i quali la Stasi si impegnò fin dalle prime
manifestazioni del fenomeno terroristico in operazioni approfondite di ricerca informativa,
allo scopo di scoprire quanto più possibile circa le intenzioni e i membri di una formazione
che, seppur ideologicamente vicina al campo socialista, poteva rappresentare un rischio per la
sicurezza interna della Ddr in virtù dell'imprevedibilità delle azioni compiute da gruppi
6
terroristici con connotazioni internazionalistiche, dall'altro si metterà in evidenza l'uso
strumentale che il servizio segreto orientale tentò di fare della Raf, arrivando a fornire ad
alcuni dei suoi membri supporto logistico e addestramento militare nella speranza di rendere
compiacenti i soggetti ospitati nel proprio territorio, così da poterli poi utilizzare contro
obiettivi condivisi e in modo da immunizzare i propri confini. Diverrà evidente, nel corso di
questo capitolo, come il comportamento della Stasi nei confronti della Raf rispecchiasse
l'atteggiamento comunemente tenuto dalla Ddr nei confronti del fenomeno terroristico nel suo
complesso, nel quale lo stato tedesco orientale scorse le possibilità derivanti dall'alimentare
un fattore di instabilità in territorio nemico.
Il quarto capitolo sarà dedicato ai rapporti tra la Stasi e le Brigate rosse, un tema lasciato
finora quasi completamente da parte dalla ricerca storiografica e che ha assistito alla comparsa
di un numero estremamente ridotto di opere dedicate al tema, di stampo prettamente
giornalistico e divulgativo. Nel corso di questa sezione verrà dato ampiamente conto di come
l'interesse del Ministero per la sicurezza di stato della Ddr nei confronti della maggiore e più
influente formazione terroristica italiana sia da ricondursi all'attenzione suscitata a livello
internazionale dalla più clamorosa azione da essa condotta, in un momento particolare di
quell'esperienza in cui la dialettica del gruppo andava assumendo connotati sempre più
spiccatamente internazionalistici, ovvero il sequestro Moro. Sulla base delle fonti d'archivio
disponibili e con l'aiuto della succitata letteratura, che di quel corpus documentario ha saputo
fare un uso più o meno valido a seconda dei casi, si andrà a delineare la storia di
quell'interesse nel periodo 1978-1989, descrivendo eventuali contatti tra i due attori nonché
delineando quanto più minuziosamente possibile, in considerazione delle consistenti lacune
presenti nella documentazione, i canali informativi utilizzati dalla Stasi nello sforzo di
comprensione di e prevenzione dal pericolo per lo Stato (pericolo in verità più potenziale che
reale) derivante dall'azione brigatista.
Questo capitolo introduce dunque la vera e propria sezione di ricerca sull'argomento,
proponendosi da un lato di integrare e correggere quanto già detto da altri circa la storia dei
rapporti tra Brigate rosse e Stasi, dall'altro di introdurre poi la sezione conclusiva del presente
lavoro, quella relativa al caso Moro visto dal punto di vista dei sistemi d'intelligence della
Germania comunista.
Il quinto capitolo si configura principalmente come una ricerca inerente la percezione del
7
fenomeno brigatista da parte della Stasi. Si descriveranno le idee circolanti negli ambienti
dell'MfS riguardo al fenomeno brigatista, preoccupandosi di andare ad indagare
approfonditamente i canali informativi attraverso i quali a tali idee e convinzioni si pervenne.
Come si avrà modo di vedere, il sequestro Moro valse da fattore scatenante dell'attenzione del
MfS nei confronti delle Brigate rosse. Questo non significa che lo spionaggio tedesco
orientale si fosse fino a quel momento disinteressato della situazione politica e sociale
italiana, come dimostra d'altronde la copiosa documentazione d'archivio relativa al nostro
Paese conservata dal BStU. Ma il fatto che, fino al 16 marzo 1978, la Stasi non avesse
provveduto a raccogliere informazioni sui brigatisti può essere agevolmente spiegato dalla
circostanza per cui i primi anni di attività del gruppo furono dedicati al conseguimento di
obiettivi di dimensione squisitamente nazionale, configurandosi così come sostanzialmente
innocui nei confronti di paesi stranieri, Ddr compresa. A questa considerazione si aggiunge
poi un altro fattore determinante, quello cioè per cui la Stasi non dispose, fino al 1975, di
un'apposita unità operativa dedita al contrasto del terrorismo, e che alla decisione di istituirne
una, l'Abteilung XXII, si pervenne solo in seguito ai timori suscitati dall'azione di Settembre
Nero alle Olimpiadi di Monaco che anche la Ddr potesse rimanere vittima di atti simili.
8
Capitolo 1. Il ruolo dei servizi segreti nel contesto della guerra fredda.
1.1. Il concetto di Intelligence e suo ruolo strategico. (1945-età contemporanea).
Nel capitolo introduttivo di questo lavoro andremo a confrontarci con il ruolo svolto dai
servizi segreti nel contesto della guerra fredda, concentrandoci in particolare su quelle azioni
che possono essere ricondotte alla categoria di “attività d'intelligence” e andando a descrivere
alcune delle operazioni condotte dai servizi dei due blocchi che siano indicative delle
rispettive modalità operative. La definizione di intelligence fornita dal generale Mario Mori,
dal 2001 al 2006 direttore del servizio segreto italiano SISDE, riportata nell'enciclopedia
Treccani recita: “l'intelligence è l'insieme delle attività informative volte ad acquisire le
conoscenze necessarie a sostenere ogni processo decisionale di natura complessa.”1
Quanto agli ambiti privilegiati di queste attività, “le prime applicazioni di quella funzione che
poi si definirà intelligence si rintracciano storicamente nel campo militare.”
Sul ruolo dell'attività d'intelligence nella sua fase attuale essa viene “praticata anche da
soggetti e organizzazioni private, ma quella degli Stati resta la più significativa. Si riferisce,
infatti, direttamente alla sicurezza nazionale che, globalmente intesa, riguarda trasversalmente
ogni settore della vita pubblica. Essa, infatti, tende ad assicurare il regolare ed efficace
funzionamento del 'sistema Stato', sia all'interno, rispetto ai consociati, sia all'esterno, nei
confronti di partner e competitori.”
In questa definizione, l'aspetto sicuramente predominante è costituito dalla segretezza: “La
necessità di un'azione a carattere preventivo in ambiti di minacce inedite, emergenti o
embrionali, e quella di avvalersi di strumenti e metodologie informali hanno indotto le
strutture di intelligence ad assumere canoni di segretezza e clandestinità oggetto sovente di
valutazioni negative. L'attività segreta dei servizi, peraltro, attiene alla sensibilità delle
informazioni trattate, ai meccanismi di ricerca di conoscenze 'non altrimenti acquisibili' e alla
necessaria tutela del rapporto con le fonti delle notizie. Si perfezionano in tal modo circuiti
che sono orientati a perseguire una prevenzione strategica tesa spesso a conseguire il 'non
evento' (impedire che accadano fatti dannosi per il paese), vincolata solo agli oneri di
dipendenza/comunicazione verso l'autorità politica, che ne traccia gli orizzonti generali. Il
meccanismo costituisce il valore aggiunto dell'intelligence di sicurezza, in termini di
competenze, più elastiche e aderenti all'emergenza della minaccia, e di modello operativo,
1 Mario Mori, Il libro dell'anno 2005, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/ (visto il 2.12.2015).
9
flessibile, autonomo e aperto a ogni utile tecnica di ricerca.”2
A rappresentare un secondo aspetto cruciale, particolarmente importante ai fini di questa
ricerca, è l'affermazione per cui l'intelligence “è lo specchio del paese (e dell'ordinamento,
N.d.A.) per cui opera.” Volendo interpretare: le differenze ravvisabili tra i servizi di
intelligence dei paesi ad ordinamento democratico e quelli ad ordinamento dittatoriale sono
profondissime, e sono legate in primo luogo alla percezione ed interpretazione dei concetti di
“sicurezza di Stato” e “minaccia”.
Tra le attività d'intelligence rientrano:
a) azione diretta: si tratta di attacchi militari di breve durata ed altre azioni offensive in piccola
scala, condotte nella forma di operazione speciale in ambienti ostili o politicamente sensibili,
allo scopo di raggiungere obiettivi precisi. Sono considerate operazioni caratterizzate da un
rischio politico e umano ridotto3, e dall'utilizzo di forze speciali appositamente addestrate. In
questa categoria rientra, ad esempio, l'operazione condotta il 2 maggio 2011 dal corpo
americano dei Navy Seals, che ha portato all'uccisione di Osama bin Laden.4
b) operazioni false flag: tattiche segrete pensate per apparire come effettuate da altri enti o
organizzazioni. Un esempio di questo tipo lo si ritrova nell'episodio della strage di marca
fascista di piazza Fontana, dove in un primo momento la colpa venne fatta ricadere sugli
ambienti anarchici.
c) operazioni clandestine o covert operations: operazioni segrete volte a cambiare le
condizioni politiche di uno Stato estero.5
d) attività di controspionaggio: operazioni volte a contrastare sia lo spionaggio da parte di
fazioni ostili all'interno dello Stato che lo spionaggio da parte di altri Stati.6
e) guerra elettronica: portare a termine operazioni che impediscano o limitino fortemente, per
mezzo di interferenze e disturbi, l'utilizzo dello spettro magnetico da parte del nemico,
inibendone così la capacità di utilizzo delle onde elettromagnetiche nei contesti di
comunicazione e monitoraggio.7
Prima di proseguire con la nostra analisi dell'importanza dell'intelligence nel contesto della
guerra fredda, è bene premettere che in questo capitolo ci si limiterà a riportare solo
2 Ibd. 3 Versione online della Joint publication 1-02 of the Department of Defense Dictionary of Military and
Associated Terms, Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, 12.7.2007. (visto il 2.12.2015).4 Aldo Giannuli, Come funzionano i servizi segreti, Adriano Salani Editore, Zingonia (BG) 2009, p. 175.5 Ibd., p. 1786 Ibd., p. 178.7 Ibd., p. 179.
10
brevemente la storia e alcune delle vicende legate ad operazioni d'intelligence relative in
primis ai due servizi segreti protagonisti del periodo, concentrando le nostre attenzioni sulla
CIA e sul KGB, tra le cui funzioni rientravano e rientrano, quando non ne costituirono (e
costituiscono tutt'ora, nel caso della CIA) il compito unico, le attività rivolte all'estero. Il
capitolo andrà poi a chiudersi con un'analisi più approfondita delle modalità operative proprie
del servizio segreto tedesco-orientale, quel Ministerium für Staatssicherheit (MfS) i cui
archivi sono stati aperti al pubblico dopo la dissoluzione della Ddr, seppur con numerose
restrizioni e condizionamenti, e di cui si tratterà ampiamente nel par. 4.2., e dei servizi segreti
italiani, così da andare a delineare un quadro composto dai “servizi guida” e da due alleati
rispettivamente di Urss e Usa.
Nel contesto del Patto di Varsavia così come all'interno della Nato, i due servizi segreti
sovietico e statunitense svolgevano un ruolo guida nei confronti dei servizi dei paesi alleati.
Se l'Unione Sovietica si occupò di istituire, praticamente in tutti i Paesi del Patto, servizi che
ricalcavano molto fedelmente le strutture e la divisione di incarichi proprie dei direttorati di
cui il servizio sovietico era costituito, gli Stati Uniti utilizzarono almeno in parte le strutture
preesistenti nei paesi membri dell'Alleanza Atlantica (NATO), e procedettero solo in alcuni
casi alla costituzione di servizi ex-novo, come per il servizio segreto della Corea del Nord,
che prese il nome di Nord Korean-CIA, del Bundesnachrichtendienst della Repubblica
federale e del servizio segreto militare italiano Sifar.8
Il concetto alla base dell'intelligence americana e di quella dei suoi alleati era quello della
“difesa collettiva.” L'articolo 5 del trattato istitutivo della NATO recita:
“Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America
settentrionale deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza
concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di
autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni
Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in
concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l'uso della forza
armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell'area Nord Atlantica.”
Certa come fatto storico-materiale, è l'esistenza di "protocolli segreti" annessi al Patto
Atlantico, che verosimilmente impongono una specie di “servitù” agli apparati di sicurezza
dei paesi "satelliti" degli Stati Uniti.9
8 Aldo Giannuli, op. cit., p.149.9 Giovanni de Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all'intelligence del XXI secolo, Sperling & Kupfer,
11
Su di un principio analogo si basavano gli accordi di mutua protezione che ispiravano il Patto
di Varsavia. L'articolo 3 recita: “Le Parti Contraenti si consulteranno fra di loro su tutte le
importanti questioni internazionali che tocchino interessi comuni, avendo in vista il
consolidamento della pace e della sicurezza internazionali. Si consulteranno d’urgenza per
assicurare una difesa collettiva e per mantenere la pace e la sicurezza, ogni volta che, su
parere di una di esse, si presenterà una minaccia di aggressione armata contro uno o più degli
Stati parti al trattato.”
L'articolo 4 invece “nel caso in cui uno o più degli Stati parte al trattato fossero oggetto, in
Europa, di attacco armato da parte di un qualsiasi Stato o di un gruppo di Stati, ogni Stato
parte al trattato, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva,
riconosciuto dall’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, accorderà, individualmente e
d’accordo con gli altri Stati parti al trattato un’assistenza immediata allo Stato o agli Stati
vittime dell’aggressione, con tutti i mezzi che riterrà opportuni, compreso l’impiego della
forza armata.”
Va da sé come un compito difensivo così rilevante non potesse prescindere da una costante e
tempestiva circolazione delle informazioni all'interno dei servizi segreti degli stati membri
delle due macroalleanze, allo scopo di prevenire le mosse avversarie ed organizzare una difesa
preventiva.
La CIA e il KGB funsero in sostanza da organi d'intelligence centrale, verso i quali
confluivano tutte le informazioni raccolte ed analizzate dai servizi alleati, e alla CIA e al KGB
spettava il compito ultimo di organizzare e guidare l'eventuale difesa.
Il passaggio, con la fine della II Guerra mondiale, da una guerra aperta ad una caratterizzata
dall'assenza di scontri militari diretti tra i due maggiori contendenti segna un punto di svolta
nello sviluppo ed affinamento delle tecniche di spionaggio, conferendo al servizio segreto un
ruolo di rilevanza pressoché assoluta. Se, sul piano dell'opinione pubblica e delle
dichiarazioni politiche, lo scontro tra i due blocchi si sviluppa in un'ottica di demonizzazione
del nemico, sul piano militare si combatte una guerra atipica, caratterizzata dal vasto impiego
di tecniche non convenzionali, nelle quali proprio la segretezza rappresenta il prerequisito
fondamentale per il conseguimento dell'obiettivo preposto.
I due blocchi, evitando apertamente lo scontro frontale, avvertono l'esigenza di prevenirsi
dalle mosse della controparte. In un simile quadro geopolitico, la ricerca informativa si
Milano 1998, p. 45.
12
rivelava lo strumento necessario per comprendere non solo i disegni del diretto antagonista,
ma anche le criticità locali che potevano incidere sui rispettivi assetti di potere nello scenario
internazionale. L'intelligence si occupava anche di propaganda e contropropaganda, in un
quadro più ampio di manipolazione delle informazioni che ciascun contendente perseguiva
per sostenere la propria penetrazione ideologica in campo avversario. In sintesi si trattava di
un confronto che richiedeva uno sforzo d'intelligence pressoché totalizzante.10
La differenze principali tra i servizi segreti del blocco occidentale e quelli di matrice sovietica
consistevano innanzitutto nella concentrazione di poteri ed incarichi, che nei primi erano (e
sono tutt'ora) ripartiti tra più enti, mentre nei secondi erano attribuiti ad un solo organismo: il
KGB riuniva tra le sue prerogative la direzione dello spionaggio estero, la vigilanza sulla
sicurezza nazionale e su quella tra le Repubbliche socialiste sovietiche e i paesi membri del
Patto di Varsavia,11 compiti che nell'articolato sistema dei servizi statunitensi vengono divisi
rispettivamente tra CIA, NSA ed FBI.
La seconda differenza di rilievo consisteva nella presenza, all'interno di tutti i servizi segreti
del blocco comunista, di un corpo di polizia segreta deputato alla repressione del nemico-
dissenso interno. La sua azione si espletava in forma riservata, solitamente per ragioni
strettamente connesse con l'aspetto politico-ideologico del reato e con regole e mezzi simili a
quelli dei servizi segreti stessi. Le polizie segrete del blocco comunista erano spesso esentate
dall'obbligo di rispettare sia l'ordinamento giuridico vigente che i diritti civili dei soggetti
indagati. L'aspetto della repressione interna deve purtroppo essere lasciato da parte in questo
lavoro, essendo interessati in questo frangente a concentrarci su quella attività portate avanti
dai servizi dei due blocchi al di fuori dei propri confini, in un'ottica di prevenzione,
intimidazione, erosione del consenso e, il fattore più importante, destabilizzazione del nemico.
Operazioni sotto copertura vennero effettuate per destabilizzare Stati e causarne lo
spostamento sullo scacchiere politico mondiale, determinare l'esito di elezioni, ottenere
informazioni militari, tecnologiche, strategiche ed economiche riservate. I due blocchi
procedettero alla sistematica e reciproca infiltrazione delle strutture nemiche, siano state esse
governi, organi di stampa, movimenti sociali e di protesta.
Un altro aspetto di fondamentale importanza, in verità proprio quello che più ci interessa nel
contesto di questo lavoro, fu rappresentato dal manifestarsi, intorno all'inizio degli anni '70,
10 Mario Mori, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/.11 Per una storia dettagliata del KGB e delle sue principali operazioni di intelligence estera cfr. Cristopher
Andrew, Oleg Gordievsky, La storia segreta del KGB, Rizzoli, Milano 2005.
13
della violenza politicamente motivata perpetrata da gruppi terroristici con inclinazioni
prettamente antisistema. Nel caso specifico europeo, i servizi di intelligence furono in grado
di ricavare una grande mole di informazioni sul mondo dell'eversione politica, per mezzo di
pratiche di infiltrazione mirate e, cosa ancor più rilevante, si proposero di sfruttare il
fenomeno del terrorismo politico per fini strettamente collegati al confronto tra i due blocchi,
un discorso questo che assume valenza indistintamente dalla parte interessata.
Se è vero, come avremo modo di vedere, che il terrorismo di matrice politica rappresentava un
rischio per la stabilità interna di uno Stato, allora esso si prestava in maniera particolarmente
indicata ai fini del conseguimento quantomeno di una parte degli obiettivi strategici dei due
blocchi contrapposti. I gruppi terroristici potevano essere, ed effettivamente vennero in alcuni
casi, strumentalizzati o, qualora la strada dell'influenza diretta sulle loro azioni si fosse
rivelata impraticabile, si adottarono strategie volte a garantirsene, se non una collaborazione
diretta, quantomeno una tacita benevolenza.
Nell'ottica della guerra fredda, ogni mossa di natura militare, politica o tattica che
danneggiasse il nemico era accettata dai governi dei due blocchi, così come alleanze tra o
sostegno fornito ad altri Stati erano dettate da logiche di comodo. Solo la logica strumentale,
finalizzata al contrasto indiretto dell'avversario, poteva essere all'origine, ad esempio, del
sostegno fornito dagli Stati Uniti alla dittatura fascista del generale Augusto Pinochet, quegli
stessi Stati Uniti che avevano combattuto e sconfitto Hitler e Mussolini appena un trentennio
prima, e che ora appoggiavano una dittatura militare, così da evitare l'espandersi dell'area di
influenza di Mosca in un settore geografico pericolosamente a ridosso dei propri confini.
Questi erano i compiti delle intelligenze estere dei due blocchi, portati a termine con vasto
impiego delle tecniche che abbiamo descritto in apertura di paragrafo.
Con la fine della guerra fredda, l'intelligence si rinnova in funzione della mutata situazione
geopolitica; non esistono più due blocchi contrapposti, mentre si assiste ad una
diversificazione della realtà politica mondiale che lascia ampi spazi di manovra a nuove
minacce economiche, sociopolitiche e religiose.
La caduta dell'URSS e il mitigarsi del confronto Ovest-Est, producono la liberazione
incontrollata di tensioni locali, che si legano talvolta in una minaccia reticolare di ancor
maggiore pericolosità. La fine della guerra fredda ha dunque privato l'intelligence di un
14
riferimento certo, identitario e definito in una sorta di gioco delle parti.12 A partire dalla
dissoluzione dell'impero sovietico, e in conseguenza dell'enorme sviluppo dell'IT
(information technology), i servizi d'intelligence hanno iniziato ad indirizzarsi sempre più
verso una ricerca di informazioni ottenuta per tramite di sofisticatissime apparecchiature
elettroniche e contestualmente tramite lo sfruttamento di internet.
Questa nuova mentalità ha portato a trascurare le attività d'intelligence in cui l'uomo è il
principale strumento di acquisizione delle informazioni (Human Intelligence, HUMINT).
I fatti dell'11 settembre 2001 hanno però dimostrato che, per quanto si possa disporre di
tecnologie costosissime ed avanzatissime, queste non riescono a fornire da sole una
percezione sufficiente dei sentimenti e delle intenzioni di popolazioni, gruppi sociali o singoli
individui.
Per questo motivo, a partire dall'attentato alle Torri gemelle, si è riscoperto lo HUMINT come
strumento indispensabile per capire effettivamente verso quale direzione si sta muovendo la
minaccia reale o potenziale e in quali forme potrebbero concretizzarsi le sue azioni.13
La globalizzazione, che connette mercati e popolazioni e sembra ormai superare il concetto di
frontiera, finisce per accelerare processi di disfacimento istituzionale, aumenta la richiesta di
separatismi e amplia il distacco tra le società che hanno accesso ai benefici del nuovo modello
mondiale di economia e quelle escluse, ancor più emarginate. Fioriscono focolai locali di
tensione che sfociano in sanguinosi confronti civili ed etnici. Esemplari, a riguardo, i conflitti
nella ex Iugoslavia e nelle Repubbliche musulmane della dissolta Unione Sovietica.
Al terrorismo e alle variegate forme di eversione nazionali, che appaiono ciclicamente negli
scenari locali affinando anche legami transnazionali sempre più forti, si affiancano fermenti
anarchici diffusi ed aggressivi. Inoltre, i contrasti etnici fanno da sfondo e spesso da occasione
per l'innesco di tensioni integraliste di estrazione islamica che dall'area d'origine si
trasferiscono sempre più in Occidente. La matrice religiosa veste i tentativi di alcune
organizzazioni, appoggiate da gruppi di potere interessati, determinate ad assumere la
referenza delle istanze fondamentaliste. L'intervento dell'intelligence si estende
geograficamente ma diventa anche più puntiforme e selettivo, dovendo coniugare ricerca e
sicurezza, all'estero e all'interno. Soprattutto, deve rinnovare la conoscenza di un mondo più
12 Mario Mori, http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligence_(Il_Libro_dell'Anno)/.13 Intelligence contemporanea,
www.difesa.it/SMD_/Staff/Reparti/II/CIFIGE/Pagine/Intelligence_contemporanea.aspx (visto il 2.12.2015).
15
complesso e non diviso da alcuna cortina.14
Tornando al periodo storico che ci interessa, vediamo ora nel dettaglio qualche esempio, utile
a chiarire meglio e delineare nella pratica i principi teorici fin qui enunciati.
Nelle pagine che seguono si è dovuto necessariamente operare una selezione. La trattazione
portata avanti in questo capitolo non ha pretesa di esaustività, non pretende cioè di raccontare
la storia completa delle operazioni di tutti i principali servizi di intelligence attivi nei
quarant'anni della guerra fredda, ma si configura più come esemplificativa del tipo di
operazioni che i servizi dei due blocchi furono in grado di compiere, a danno della controparte
ed in difesa dei propri interessi politici, economici e commerciali.
1.2. La C. I. A.
C.I.A. è l'acronimo di Central Intelligence Agency, l'agenzia statunitense responsabile
dell'ottenimento e dell'analisi delle informazioni sui governi stranieri, sulle società, sugli
individui ed incaricata della segnalazione di queste informazioni ai vari rami del governo
degli Stati Uniti.15
Fondata nel 1947 in seguito ad una riorganizzazione del servizio di intelligence estera OSS
(Office of Strategic Services), a sua volta costituitosi per fare fronte alle necessità informative
nel contesto della seconda guerra mondiale, assiste il suo direttore nello svolgimento dei
seguenti incarichi:
a)Collecting intelligence through human sources and by other appropriate means, except that
he shall have no police, subpoena, or law enforcement powers or internal security functions;
b) Correlating and evaluating intelligence related to the national security and providing
appropriate dissemination of such intelligence;
c) Providing overall direction for and coordination of the collection of national intelligence
outside the United States through human sources by elements of the Intelligence Community
authorized to undertake such collection and, in coordination with other departments, agencies,
or elements of the United States Government which are authorized to undertake such
collection, ensuring that the most effective use is made of resources and that appropriate
account is taken of the risks to the United States and those involved in such collection; and
14 Ibd.15 La storia dell'ente viene riportata molto brevemente sulla homepage del sito internet ufficiale a lui dedicato,
dove ovviamente non viene fatta esplicita menzione delle covert operations storicamente attribuibili alservizio americano in periodo di guerra fredda. www.cia.gov (visto il 3.12.2015).
16
d) Performing such other functions and duties related to intelligence affecting the national
security as the President or the Director of National Intelligence may direct.16
Al fine di portare a termine questi incarichi, “the CIA engages in research, development, and
deployment of high-leverage technology for intelligence purposes. As a separate agency, CIA
serves as an independent source of analysis on topics of concern and also works closely with
the other organizations in the Intelligence Community to ensure that the intelligence
consumer - whether Washington policymaker or battlefield commander - receives the best
intelligence possible.”
Come si può notare, l'aspetto militare dell'azione della C.I.A. ricopre un ruolo di primaria
importanza. Questa considerazione assume un valore ancora maggiore se rapportata al
contesto della guerra fredda, dove le operazioni di guerra non convenzionale assursero a
pratica comune nella sfida mondiale tra i due blocchi.
La storia dell'ente è costellata da covert operations nel contesto internazionale. Alcune di
queste hanno contribuito in maniera decisiva a diffondere l'immagine di una C.I.A.
onnipresente ed onnipotente, in grado di influenzare con la sua azione le vicende politiche
mondiali e determinare il corso della storia di alcuni Paesi, immagine questa che trova una
conferma almeno parziale nelle vicende di una parte di questi. Azioni come quelle che
andremo ora a raccontare si inserivano in una pianificazione strategica di ampio respiro, volta
ad erodere o contrastare l'espandersi dell'influenza sovietica in zone cruciali dello scacchiere
geopolitico.
Tra le operazioni di intelligence condotte dalla C.I.A. sotto forma di covert operations va
annoverata ad esempio quella che ha portato alla caduta, il 19 agosto 1953, del governo
democratico iraniano guidato dal nazionalista Mohammad Mossadeq, condotta in
collaborazione con il servizio segreto britannico e conosciuta col nome di operazione
“Ajax”(operazione “Boot” per gli inglesi). Nel 1951, Mossadeq aveva portato a termine la
nazionalizzazione dell'industria petrolifera, ottenendo un grande consenso politico e popolare
e assurgendo al ruolo di eroe nazionale, conducendo ad una progressiva limitazione dei diritti
di sfruttamento petrolifero concessi al governo britannico.17
Il governo di Mossadeq viene deposto il 19 agosto del 1953 da un colpo di Stato guidato dallo
Scià Mohammad Reza Pahlavi e appoggiato dall'Ayatollah Kashani.
16 Ibd. 17 Cfr. Stefano Beltrame, Mossadeq. L'Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della Rivoluzione Islamica,Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.
17
Ad organizzare e dirigere il colpo di stato furono le forze congiunte dei servizi segreti
britannici e dell'intelligence estera statunitense. Di questo fatto, che per gli oltre quarant'anni
della guerra fredda ha costituito molto più che un sospetto, seppure mai confermato da fonti
ufficiali,18 si è dichiarato ufficialmente responsabile il governo degli Stati Uniti d'America in
occasione del sessantesimo anniversario del colpo di stato, tramite la pubblicazione sul sito
internet della National Security Agency dei documenti relativi alla pianificazione del golpe.19
Il colpo di stato iraniano del 1953 rappresenta solo uno dei molteplici casi in cui il governo
americano operò per mezzo dei propri servizi segreti, allo scopo di prevenire e\o ostacolare
un'avanzata in termini strategici, politici ed economici del blocco comunista. Il settore
mediorientale rappresentava, e rappresenta tutt'ora, un quadrante di rilevanza fondamentale
nel controllo delle risorse energetiche fossili, dal cui possesso poteva dipendere l'efficienza
militare dei due blocchi. Il governo americano agì infatti mosso da interessi di carattere sia
militare che economico, come diventa evidente dal momento in cui si leggano le condizioni a
cui offrì il proprio appoggio alla Gran Bretagna. Si pretese la fine del monopolio dell'AIOC,
la compagnia britannica titolare della concessione, e la partecipazione allo sfruttamento
petrolifero delle maggiori compagnie statunitensi, della Compagnie Francaise des Pètroles e
della Royal Dutch Shell (nota semplicemente come “Shell”).20
Ma l'attività della C.I.A. non si limitò all'azione di contrasto in medio oriente. Anche se non è
possibile sostenere con certezza che la C.I.A. abbia programmato e condotto il colpo di Stato
che, nel 1973, sotto la direzione del generale dell'esercito Augusto Pinochet, portò alla caduta
e morte del presidente socialista del Cile Salvador Allende e all'istituzione di una dittatura
militare di destra, tuttavia una serie di documenti desecretati durante la presidenza Clinton
dimostrano come la C.I.A. avesse tentato di deporre Allende già nel 1970, immediatamente
18 D'altra parte si è già detto di come le operazioni di intelligence siano caratterizzate dal peso dato al fattoresegretezza. A questo proposito si pensi agli attentati documentati della CIA alla vita di Fidel Castro, riguardoai quali il direttore del servizio Richard Helms affermava, in data 5 marzo 1972, che “no such activity oroperations be undertaken, assisted or suggested by any of our personnel”, riportato in Matthew S. Pape, Canwe put the Leaders on the “Axis of Evil” in the Crosshairs?, in “Parameters, US Army War CollegeQuarterly”, vol XXXII, n° 3, 2002, p. 64. Operazioni ad alto rischio politico, come l'omicidio di leader esteri,venivano pianificate secondo una strategia denominata della plausible deniability, consistente nellaformazione di catene di comando vaghe ed informali nei governi ed altre grandi organizzazioni. In caso diassassinii politici ed altre operazioni sotto copertura, le alte cariche possono agevolmente negare il lorocoinvolgimento o la consapevolezza stessa dello svolgersi di tali atti, portati avanti secondo procedure chemirino a non lasciare tracce.
19 Malcolm Byrne, NSArchive Electronic Briefing n° 453, “Campaign to install pro western government in Iran.”
20 Stefano Beltrame, op. cit., p. 158.
18
dopo la sua elezione.21
Tra gli altri documenti, tutti liberamente consultabili nell'archivio digitale dell'NSA,
l'NSArchive, è possibile leggere anche la trascrizione di una conversazione telefonica tra il
presidente Richard Nixon e il consigliere di Stato Henry Kissinger, risalente al 16 settembre
1973, in cui il primo ammette di aver aiutato le forze golpiste cilene.22
Operazioni simili furono portate avanti in quasi tutti i Paesi del Sud America, per il quale sono
storicamente accertati i casi del Guatemala (1954), della Repubblica Dominicana (1961) e del
Brasile (1964), dove l'intervento della C.I.A. portò alla caduta di governi socialisti in favore di
dittature militari.23
Una delle operazioni più celebri resta il fallito tentativo, da parte di un gruppo di esuli cubani
e mercenari addestrati dalla CIA, di conquistare militarmente l'isola di Cuba. L'episodio,
durato dal 17 al 19 aprile del 1961, è quello noto col nome di “Invasione della Baia dei porci”.
Le milizie cubane, equipaggiate e sostenute dai paesi del campo socialista, respinsero
l'invasione senza grosse difficoltà. 24
Il terzo settore strategico di rilevanza cruciale consisteva nell'occidente europeo. E' sul
territorio europeo che i due blocchi contrapposti venivano a confrontarsi più direttamente.
Territorialmente contigui, i paesi membri della Nato a diretto contatto con quelli del Patto di
Varsavia rappresentavano il quadrante maggiormente esposto ad una possibile invasione
militare dell'Urss, rischio avvertito come estremamente concreto dai vertici della NATO
all'inizio degli anni '50, in caso della quale le forze statunitensi non avrebbero potuto condurre
fin dall'inizio le operazioni di difesa.
La CIA procedette così alla formazione, nei paesi membri dell'alleanza atlantica su suolo
europeo, di organizzazioni di tipo stay behind, ovvero formazioni di tipo paramilitare da
attivare in funzione difensiva nell'eventualità di un'invasione sovietica. Anche l'Italia ebbe la
sua stay behind, denominata “Gladio” e attiva dal 1956, la cui esistenza è stata ammessa per
la prima volta dall'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti nella seduta della Camera
dei Deputati del 24 ottobre 1990, appena due mesi dopo lo scioglimento dell'organizzazione,
avvenuto il 27 luglio dello stesso anno.25
21 Peter Kornbluh, Chile documentation Project in NSArchive, 13.11.2000. (visto il 3.2.2015).22 Peter Kornbluh, NSArchive Briefing Book n° 123. 26 maggio 2004 (visto il 3.2.2015).23 Per una storia dettagliata della CIA cfr. l'opera di Antonella Vilasi Colonna, Storia della CIA, Sovera
Edizioni, Roma 2014, o ancora il libro di Mario del Pero, La C.IA. Storia dei servizi segreti americani,pubblicato dal Gruppo Editoriale Giunti per la Collana XX secolo, Firenze 2001.
24 Mario del Pero, op. cit., pp., 67-73.25 “24 Ottobre 1990: Andreotti ammette l'esistenza di Gladio”, http://www.lalottacontinua.it/?p=596, (visto il
19
In questo rapido excursus ritengo sia diventato estremamente chiaro un principio di fondo,
ovvero quello per cui dietro l'azione del servizio segreto si cela sempre una logica di comodo,
che porta alla scelta di alleanze in funzione di un nemico comune. Che gli Stati Uniti
appoggiassero golpe fascisti in tutto il mondo non era certamente dovuto al fatto che
l'America fosse un paese intimamente fascista, bensì rientravano in una strategia di più ampio
respiro, volta a limitare dove e nel modo più efficace possibile l'influenza politica, economica
e culturale dell'Urss.
1.3. I servizi segreti italiani.
La storia dei servizi segreti italiani negli anni della guerra fredda presenta una complessità
fuori dal comune. Nati per diretta emanazione e sotto il controllo degli Stati Uniti, nel corso
della storia repubblicana essi furono più volte riformati. In questa sede ci preoccuperemo non
tanto di riportarne in maniera precisa e puntuale tutte le vicende, la cui narrazione andrebbe
accostata ad una approfondita analisi della situazione politica italiana che, per ovvie ragioni,
non è possibile operare in questa sede, quanto piuttosto a descrivere brevemente quelle
vicende che, per rilevanza politico-tattica, si collocano alla perfezione nel clima particolare
del conflitto tra i due blocchi.
Dal 1946 in poi, i servizi segreti italiani lavorarono sotto stretta tutela anglo-americana. La
loro storia è altamente rappresentativa del grado di dipendenza da cui i servizi del Patto
Atlantico erano legati all'intelligence statunitense. L'Italia rappresentava un settore
strategicamente fondamentale all'interno del sistema di alleanze americano, così come era
avvertito come un fattore di rischio la presenza del maggiore Partito Comunista al di fuori del
Patto di Varsavia, pur se escluso dal governo. La data di nascita del primo servizio segreto
italiano dell'era repubblicana coincise quasi perfettamente con la stipula dell'Alleanza
atlantica, rispettivamente 30 marzo e 3 aprile 1949. Alla direzione del neonato SIFAR
(Servizio Informazioni Forze Armate) venne nominato il generale Giovanni Carlo Re.26
Il SIFAR venne pienamente coinvolto, a partire dal 1956, nelle vicende che portarono alla
nascita di Gladio, nome italiano dell'organizzazione di tipo stay behind voluta dalla CIA in
Europa per opporre una prima resistenza in caso di aggressione sovietica.27
26.11.2015).26 Giovanni Carlo Re in www.Archivio900.it (visto il 26.11.2015).27 Giuseppe de Lutiis, op. cit., pp.40-49.
20
Le vicende più rilevanti nella storia di questo primo servizio furono quelle che videro
protagonista il generale Gennaro de Lorenzo, giunto nel 1955 a ricoprire la massima carica
dirigente del SIFAR, incarico mantenuto per sette anni. De Lorenzo rimarrà famoso per aver
intrapreso una vasta opera di schedatura di tutte le maggiori personalità politiche italiane del
tempo, di cui nei fascicoli a loro relativi venivano evidenziate amicizie e contatti, vizi e
debolezze, e per essere stato la mente di un mai realizzato colpo di stato, il cosiddetto Piano
Solo, che nell'estate del 1964, in concomitanza con la sopraggiunta crisi del I governo Moro,
avrebbe dovuto portare l'arma dei Carabinieri a prendere il potere in Italia. Al golpe militare
sarebbe dovuto seguire il trasferimento, in località appositamente preposte, di 731 soggetti del
mondo della politica e del sindacato ritenuti altamente pericolosi.28
Piani difensivi contro il pericolo comunista erano stati predisposti dalla NATO in tutti i paesi
membri dell'Alleanza. Tuttavia, il contesto storico in cui avrebbe dovuto svolgersi il Piano
Solo presenta delle peculiarità legate a vicende politiche strettamente italiane. Infatti dal 1962
si era aperta in Italia la fase del tutto nuova del centrosinistra, con promesse di riforme
strutturali che solo in parte furono mantenute, ma che comunque andarono a minacciare un
assetto burocratico-militare che mutuava uomini e metodi dal periodo fascista, di cui il Piano
Solo avrebbe rappresentato la reazione.29
Il SIFAR cessa di esistere nel 1966, circa un anno dopo la nascita del nuovo servizio segreto
militare SID (Servizio Informazioni Difesa). Le vicende del SID si intrecciano con la storia
del cosiddetto “golpe Borghese”. Tra il 7 e l'9 settembre 1970, l'ex generale fascista Junio
Valerio Borghese giunse, alla testa del Corpo forestale, alle fasi finali di un colpo di stato che
avrebbe dovuto istituire in Italia un regime militare di destra. Dal 1951 membro onorario del
Movimento Sociale Italiano, da cui si distaccò gradualmente negli anni '60 avvicinandosi agli
ambienti estremi della destra extraparlamentare, Borghese aveva fondato nel 1968 il Fronte
Nazionale, che secondo l'osservatorio del SID avrebbe avuto lo scopo di sovvertire le
istituzioni dello Stato con disegni eversivi.30 Il golpe, organizzato in collaborazione con gli
ambienti della estrema destra eversiva, venne annullato mentre era già in pieni svolgimento.
L'allora capo del SID Vito Miceli venne arrestato nel 1974 con l'accusa di cospirazione contro
lo stato. Secondo i magistrati, egli sarebbe stato coinvolto nell'abortito tentativo di putsch, del
quale avrebbe volutamente mancato di avvertire il Ministero della Difesa, a cui i servizi
28 Ibd., p. 45.29 Ibd., p. 46.30 Ibd., p. 72.
21
militari italiani facevano capo.31 Miceli era stato indagato già dal 1970 nel contesto
dell'inchiesta sull'organizzazione eversiva di destra “Rosa dei Venti”, che in pochi mesi aveva
portato all'arresto di numerosi personaggi del mondo politico, imprenditoriale e militare, e dai
cui ambienti sarebbe scaturito il progetto Borghese. La Magistratura era giunta alla
conclusione che Miceli fosse stato da tempo informato del piano, ma avesse volutamente
rinunciato ad un intervento di contrasto perché direttamente coinvolto nei progetti di futura
riorganizzazione politica del paese.32 Nel 1978 Miceli venne assolto da tutte le accuse con
formula piena, sentenza confermata in appello nel 1984 e in cassazione nel 1985. Paul
Ginsborg ha voluto porre l'attenzione su due elementi particolari, che hanno contribuito a
gettare una luce oscura sull'inchiesta relativa alla Rosa dei Venti: in primis, che questa era
stata avviata dalla Magistratura di La Spezia, e poi trasmessa nel 1973 a quella padovana,
sotto l'egida del Pubblico Ministero Giovanni Tamburrino. In seguito, la Corte di Cassazione
aveva disposto il trasferimento del caso alla Magistratura romana, che si sarebbe dimostrata
molto meno determinata nel condurla a termine. Il secondo elemento consiste nel fatto che,
nel 1979, il Pubblico Ministero Claudio Vitalone avrebbe invocato il segreto di Stato,
contribuendo a far calare il silenzio sulla vicenda.33
Ora, partendo dalla considerazioni per cui gli ideali fascisti fossero, soprattutto negli anni
dell'immediato dopoguerra, largamente diffusi e fortemente radicati nella borghesia italiana, i
cui rappresentanti avevano ricoperto alti incarichi negli anni del regime ed avevano poi
intrapreso in molti casi brillanti carriere politiche o militari nella società repubblicana e che,
quindi, non si possa dubitare della circostanza per cui i ripetuti tentativi di colpo di stato
progettati in quegli anni fossero effettiva espressione della volontà, da parte di una classe
politica decaduta, di tornare al potere con la forza e di arginare le proposte di istanza sociale
di cui il movimento del '68 era espressione, tuttavia per la Rosa dei Venti vennero fin da
subito formulati sospetti di ingerenze internazionali. In due sedute del 4 e 12 maggio 1974, di
fronte alla Magistratura ligure Arnaldo Forlani dichiarava a riguardo:
[...] Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne facciano parte solo militari
ma anche civili, industriali e politici. soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei
vertici parziali. Tale organizzazione è militare, ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice
31 Una descrizione dettagliata della storia Italiana in relazione al ruolo del nostro Paese nello scenariointernazionale negli anni della guerra fredda è fornita da Massimo de Leonardis in Guerra fredda e interessinazionali, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014.
32 Giuseppe de Lutiis, op. cit., pp. 40-63.33 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 1989, p. 470.
22
dell'organizzazione militare stanno senz’altro dei militari; non posso dire che si tratti della vecchia
struttura di De Lorenzo (con riferimento al Piano Solo, N.d.A.) […]. L'organizzazione serviva a
garantire il rispetto del potere vigente e dei patti NATO sottoscritti riservatamente, nonché del regime
sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia ispiratrice è quella dell’appartenenza
dell’Italia al blocco occidentale inteso come immutabile, mobilitato permanentemente contro il
comunismo e finalizzato ad impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre.34
Storicamente, se da un lato non è mai stato possibile definire pienamente il carattere di
Gladio, né tantomeno gli eventuali coinvolgimenti di questa con organizzazioni eversive
quale la succitata Rosa dei Venti, dall'altro è stato tuttavia possibile delinearne dei tratti
peculiari: si trattò di un servizio di controspionaggio atlantico, sorto in previsione di una
possibile insurrezione filosovietica, che venne bilanciato dalla contemporanea esistenza di
quella che è stata definita dalla stampa italiana “Gladio rossa”35 e la cui esistenza in Italia è
emersa per la prima volta con le dichiarazioni rilasciate da Andreotti nel 1990 e già riportate
in apertura di capitolo, la cui dimensione è però estremamente complessa ed esula dagli
obiettivi di questo lavoro, rientrando in un più vasto campo di ricerca sulle strutture
paramilitari dei due blocchi in Italia durante la guerra fredda.
Se l'organizzazione Rosa dei Venti e il golpe Borghese si collocavano all'interno di un piano
reazionario, strettamente connesso con le vicende politiche italiane e l'apertura a sinistra
intrapresa a partire dal primo governo Moro, è comunque necessario fare ancora una volta
appello al clima tutto particolare della guerra fredda per comprendere più a fondo quelle
vicende. Le organizzazioni di tipo stay behind erano state concepite sull'onda del crescente
timore alleato di un'invasione sovietica dell'Europa, e gli Stati Uniti trovarono nella destra
estrema italiana un potente alleato nella prevenzione del pericolo comunista. D'altra parte, è
di pubblico dominio il fatto che gli Stati Uniti fossero pronti all'azione armata non solo in
caso di invasione dell'Italia per opera di forze del blocco orientale, ma anche nell'ipotesi che il
Pci avesse vinto le elezioni. La pianificazione risulta abbastanza chiara e dettagliata nella
direttiva "National Security Council 1/3" del 1948, adottata significativamente alla vigilia
politica delle prime elezioni che avrebbero restaurato il Parlamento dopo il fascismo e
34 Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera, Rizzoli, Milano 2008 , p. 234.35 Valentino Paolo, La Gladio rossa del Pci, “Il corriere della sera”, 14 giugno 1992. Ci si riferisce in questo
caso all'apparato paramilitare del Pci, messo in piedi da ex partigiani che rifiutarono di consegnare le armidopo l'8 settembre e della cui esistenza Mosca aveva piena coscienza.
23
denominata “operazione Demagnetize”.36
Il golpe Borghese si inserisce a pieno titolo nel contesto più generale della cosiddetta
“strategia della tensione.” Generalmente fatta coincidere con il periodo compreso tra le stragi
neofasciste di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e della stazione di Bologna (2 agosto 1980),
essa identifica una lunga serie di attentati dinamitardi, effettuati da formazioni della destra
extraparlamentare e coperti dallo Stato e dai servizi, che avrebbero dovuto favorire
l'emanazione di leggi speciali limitative delle libertà civili, e preparare così il Paese ad una
svolta autoritaria in funzione anticomunista, essendosi riacutizzati i timori verso il nemico in
seguito alle proteste studentesche del '68 e all'avanzata delle sinistre. Il ruolo della CIA nella
pianificazione della strategia, attribuitole per la prima volta dal giornalista britannico Leslie
Finer nel 1969, pochi giorni prima della strage di piazza Fontana37, non è stato mai
pienamente confermato, ma negli anni sono stati lentamente desecretati dal governo Usa
documenti che hanno dato indizio del sostanziale benestare americano a singoli episodi
ascrivibili alla strategia, tra cui lo stesso golpe Borghese.38
L'ipotesi di un pesante condizionamento americano dei sanguinosi eventi che sconvolsero la
difficile stagione politica e sociale italiana compresa tra i movimenti del '68 e del '77 appare
altresì verosimile, alla luce dei casi simili verificatisi negli stessi anni in numerosi altri Stati
dell'America latina, del Medio Oriente e del Sud-est asiatico, dove operazioni mirate di
intelligence vennero segretamente condotte con l'obiettivo di limitare l'influenza nemica in un
determinato settore strategico.
Restringendo il campo al solo contesto italiano, e volendo escludere per un momento le
influenze straniere che non si può escludere abbiano attraversato il nostro paese, le inchieste
sulle stragi degli anni '60 e '70 hanno consegnato alla giustizia quantomeno gli esecutori
materiali di quegli attentati, membri di gruppi terroristici neofascisti. Quel che è possibile
sostenere contro ogni ragionevole dubbio è che dirigenti delle forze armate e del
controspionaggio italiano abbiano operato per impedire l'accertamento dei responsabili di
quelle stragi.
La politica si serve del terrorismo, lo strumentalizza ai propri fini trasformandolo nel braccio
armato del potere. Una pratica questa, si è già detto, che fu comune ai servizi segreti dei due
blocchi. Come andremo a vedere, un esempio per la controparte del Patto di Varsavia è
36 Giovanni de Lutiis, op. cit. p.41.37Leslie Finer, 480 held in terrorist bomb hunt, in “The Observer,” 12 dicembre 1969 .38 Adriano Monti, Il golpe Borghese, Lo Scarabeo, Torino 2006, pp.122-125.
24
rappresentato (seppur nel senso inverso, ovvero che l'azione del servizio si volse alla
destabilizzazione del nemico sul suo stesso territorio e alla riduzione del rischio all'interno dei
propri confini) dal servizio segreto della Germania Est, la Stasi, che tra la fine degli anni '70 e
la metà degli anni '80 giunse a forme estremamente strette di collaborazione diretta con il
terrorismo antisistema della Rote Armee Fraktion, ed evitando apertamente di ostacolare
quelle forme di terrorismo che potessero in qualche modo rappresentare un fattore di
instabilità per il nemico.
1.4. GRU e KGB.
Il sistema sovietico disponeva di due servizi segreti. Durante gli anni della guerra fredda,
l'esistenza del GRU restò praticamente sconosciuta al di fuori dei confini dell'Urss. Fondato
nel 1918 dallo stesso Lenin, è un servizio segreto militare operante ancora oggi, a differenza
del KGB, dalle cui ceneri sono sorti l'SVR (intelligence estera) e l'FSB (sicurezza federale).
Il GRU può essere a giusto titolo considerato il primo servizio segreto del blocco orientale, e
durante la guerra fredda costituiva un terzo centro di potere alternativo a quello del PCUS e
del KGB. Diversamente da quest'ultimo infatti, il GRU non dipende(va) direttamente dal
comando maggiore delle forze armate. Tra le operazioni più significative direttamente
ascrivibili a questo servizio segreto ci limiteremo qui a ricordare le vicende relative alla figura
di Robert Philip Hanseen.
Nessun altro servizio segreto al mondo può vantare i successi raggiunti da quelli dell'Unione
Sovietica nelle pratiche di controspionaggio e disinformazione. L'apparato spionistico
dell'Urss poteva contare su una quantità sterminata di informatori, da cui dipendeva l'accesso
a informazioni riservate di ogni tipo. Non sempre però le informazioni venivano raccolte
grazie al successo di operazioni pianificate di intelligence. Come diverrà più chiaro nel
paragrafo successivo con le vicende relative a Günter Guillame, la fortuna e il caso furono
spesso ingredienti fondamentali per l'ottenimento di dati sensibili.
Robert Philip Hanseen inizia a lavorare per l'FBI nel 1976, e nel 1979 è attivo nel
controspionaggio dell'agenzia. A lui viene affidato l'incarico di cercare di delineare un quadro
dettagliato dell'apparato d'intelligence sovietica. Nello stesso anno, forse in virtù della
posizione raggiunta, viene contattato ed ingaggiato dal GRU. Le informazioni da lui
trasmesse al servizio russo, tra cui una lista di sospetti agenti sovietici stilata dall'FBI, portano
25
nel 1986 all'arresto del generale dell'armata sovietica Dmitri Polyakov, informatore della CIA,
e alla sua esecuzione per alto tradimento nel 1988.39 Trasferito nel 1981 alla sezione operativa
del dipartimento di Washington D.C., col ruolo di responsabile deputato al controllo della
sorveglianza elettronica, tra il 1985 e il 1991 Hanssen fornisce al GRU numerose
informazioni sulle pratiche di valutazione dei disertori sovietici che si erano offerti
spontaneamente di collaborare con l'FBI, allo scopo di identificare eventuali doppi agenti.40
Nel 1985 offre poi la propria collaborazione al KGB, con una missiva nella quale fornisce i
nomi di tre agenti sovietici operanti negli USA come doppi agenti per conto della CIA: Boris
Yuzhin viene condannato a sei anni di carcere, mentre Valery Martynov e Sergei Motorin
vengono giustiziati.41
Tramite una complessa opera di depistaggio, Hanssen riuscì poi ad evitare l'incriminazione
dell'ufficiale del Dipartimento di Stato Felix Bloch, anch'egli collaboratore dei sovietici, che
vennero prontamente informati delle indagini in corso su di lui. Forse proprio i sospetti nati in
seguito ai depistaggi operati da Hanssman condussero al suo arresto nel 2001, dopo che
l'agente aveva continuato a lavorare ininterrottamente per la Federazione Russa fin dalla
caduta dell'Urss.42
Il GRU partecipò attivamente all'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1979, tramite l'invio
sul posto di formazioni dei reparti speciali, gli Specnaz, termine con cui si indicano
genericamente tutti i reparti speciali dell'esercito e dei servizi sovietici e russi. Le
informazioni sull'attività di questi reparti in periodo di guerra fredda sono sfortunatamente
ancora molto ridotte. Le poche certezze riguardano le loro finalità operative: controllati
direttamente dal GRU, erano addestrati per operazioni dietro le linee nemiche. Al loro interno
operavano poi unità scelte che si occupavano di compiti più impegnativi e rischiosi, come
l'assassinio di personalità di alto valore, la conduzione di gruppi insurrezionali di comunisti
locali o operazioni in incognito in abiti civili o con uniformi di eserciti stranieri.43
Se il controspionaggio sovietico diede prova di straordinaria efficienza, limitando al minimo
la penetrazione di agenti nemici nei territori del Patto di Varsavia, l'intelligence di Mosca
operò con successo anche sul campo della disinformazione, com'è evidente pensando alla
39 David Wise, Spy: the inside story of how the FBI's Robert Hanssen betrayed America, Random House,Monaco 2003, p. 21.
40 Ibd., pp. 21-23.41 Ibd., p. 37.42 Ibd., pp. 240-247.43 Steven J. Zaloga, James Loop, Truppe d'elite del blocco sovietico, Osprey Publishing\Rba Italia, Oxford
2009, pp.42-46.
26
massiva campagna mediatica portata avanti dagli agenti del KGB nei confronti del presidente
del neonato stato del Bangladesh Ziaur Rahman, volta a screditarne la figura tramite la
pubblicazione congiunta su numerosi quotidiani di articoli che lo accusavano di intessere
rapporti con gli Stati Uniti. Già nel 1959 era stato fondato all'interno del KGB il
“Dipartimento per le misure attive”, specializzato nella “propaganda nera” e nella
disinformazione. Organi simili vennero costituiti tra il 1961 e il 1964 in tutti i servizi segreti
dei Paesi membri del Patto di Varsavia.44 Nonostante il compito principale fosse quello di
promuovere l'immagine dell'Urss all'estero, le “misure attive” erano in realtà pensate per
provocare demoralizzazione interna ed erosione del potere nei paesi target.
Il successo maggiore il KGB lo ottenne però nei confronti del “nemico principale”,
definizione con cui fin dalla fine della seconda guerra mondiale si indicavano gli Stati Uniti.45
Nonostante le restrittive misure di sicurezza adottate, la stessa NSA non fu in grado di
prevenire la propria infiltrazione. Al soldo del KGB lavorarono ad esempio gli agenti Bernon
Mitchell e William Martin, che nel 1960 defezionarono e portarono con sé in Urss preziose
informazioni riguardanti l'intelligence elettronica degli Stati Uniti. Un altro caso eclatante è
rappresentato dalla storia dell'ufficiale dell'esercito Joseph George Helmich, reclutato dal
KGB già a partire dal 1963 e che passò ai servizi sovietici informazioni tecnologiche
riguardanti il sistema di criptaggio KL-7. Una collaborazione, la sua, che poté essere scoperta
solo nel 1980, e che condusse l'anno seguente al suo arresto e condanna all'ergastolo.
Sulla capillare diffusione in tutti i settori strategicamente rilevanti di agenti sovietici, e in
particolar modo sulla difficoltà da parte dell'FBI di monitorare costantemente il flusso di
cittadini del blocco comunista che ogni anno visitavano gli Stati Uniti per i più disparati
motivi, si era espresso nel 1968 lo stesso direttore del Bureau John Edgar Hoover.46
Gli stessi organi internazionali rappresentavano un ottimo punto di appoggio per le attività di
spionaggio del KGB. Secondo Arkady N. Shevchenko, delegato dell'Urss all'assemblea delle
Nazioni Unite che nel 1978 aveva defezionato riparando negli Usa, la metà dei circa cento
membri della delegazione sovietica al congresso erano spie del KGB.47
Ancora dal punto di vista della disinformazione, gli esperti militari sovietici erano al corrente
del fatto che gli Alleati cercassero di delineare un quadro coerente delle capacità militari
dell'Unione Sovietica. Per far si che l'Ovest giungesse a conclusioni errate, il KGB faceva44 Ladislav Bittman, The KGB and soviet disinformation. An insider's view, Pergamon, Oxford 1985, p.1.45 Ibd., p. 24.46 Ibd., p. 86.47 Ibd., p. 27.
27
appositamente giungere agli agenti occidentali noti una grande mole di dati falsati, tattica
questa che si inseriva in una strategia disinformativa di lungo termine preparata dai vertici
militari e ratificata dalla dirigenza politica.48
Tra le misure militari attive di maggior successo e rilevanza c'erano poi quelle di supporto alle
“guerre di liberazione nazionale.” Il collasso del sistema coloniale dopo la seconda guerra
mondiale offrì all'Urss la possibilità di colmare i vuoti di potere lasciati dalla ritirata delle
potenze coloniali, inserendosi nella “battaglia” per il Terzo Mondo. Provvedere al sostegno
delle guerriglie comuniste, per mezzo sia di operazioni pubbliche che sotto copertura, nel
tentativo di favorirne la presa del potere, si rivelò un mezzo potente per la futura
manipolazione di quei paesi in cui il supporto fornito portò alla vittoria della guerriglia. Il
vincitore si rivelava grato all'Urss, aprendo canali che permettevano la penetrazione sovietica
nella politica del nuovo governo, cosa che accadde ad esempio a Cuba, in Vietnam,
Nicaragua, Repubblica di El Salvador, Guatemala e Colombia.49
Le forme di sostegno prevedevano nella regola un addestramento militare della milizia e un
suo indottrinamento ideologico, sebbene su quest'ultimo punto l'Urss diede prova di una certa
flessibilità, preponendo l'interesse contingente dell'impedimento nei confronti del blocco
occidentale all'effettiva penetrazione degli ideali comunisti nelle guerriglie appoggiate.50
Passando ora ad esaminare la questione che maggiormente si attiene all'argomento del
presente lavoro, non esiste una sola prova che dimostri un ruolo guida dell'Urss e del KGB
nella conduzione del terrorismo internazionale. Tuttavia, se il terrorismo inteso come forma di
violenza individuale veniva largamente rifiutato e condannato dagli organi di stampa sovietici,
che lo etichettavano come inconcludente e causa di gravi situazioni di anarchia, un prodotto
degli intrighi del mondo imperialista o dell'ideologia di derivazione maoista, il KGB
considerava il fenomeno come un male infettante, che indeboliva l'avversario e che avrebbe
lentamente portato alla sua disgregazione.51 Il sistema sovietico supportò ampiamente
l'eversione di sinistra in maniera indiretta, tollerando la presenza di terroristi internazionali sul
proprio territorio e non impedendo in alcun modo che questi potessero pervenire ad armi o
pianificare attentati. Essendo l'Urss pienamente consapevole del potere destabilizzante del
fenomeno terroristico sulle società occidentali, esso venne generalmente lasciato agire
48 Ibd., p. 135.49 Ibd., p. 140.50 Cristopher Andrew, The World was going our way. The KGB and the battle for the Third World, Basic
Books, Cambridge 2005, p.109.51 Ladislav Bittman, op. cit., p. 177.
28
indisturbato dai suoi servizi segreti, e sono decisamente pochi i casi in cui si possa ravvisare
una qualche forma di collaborazione diretta ed intenzionale tra gruppi terroristici e Paesi del
Patto di Varsavia. Di uno di questi tratteremo brevemente nel prossimo paragrafo, e poi più
estesamente nel capitolo 3 di questo lavoro.
Quel che invece è stato possibile appurare a livello storico è il sostegno fornito dall'Unione
Sovietica all'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), considerato un
movimento di liberazione popolare e i cui membri ricevettero armi e training militare in Urss
da parte di addestratori del KGB. Le armi vendute all'OLP avrebbero poi indirettamente
rifornito il terrorismo europeo, giungendo ad esempio fin nelle mani delle Brigate Rosse.52
Insomma, in parte divergenti e in parte simili a quelle operate dai servizi segreti del blocco
occidentale furono le modalità con cui l'Urss cercò di contrastare l'espandersi della zona di
influenza americana. Così come nel caso gli Stati Uniti nel contesto della NATO, i servizi
sovietici svolsero il ruolo di guida dell'intelligence del Patto di Varsavia per tutti i consociati, i
quali si mossero nel solco tracciato dai centri di potere moscoviti nella guerra al nemico
imperialista. Il caso della Stasi servirà a spiegare in maniera più dettagliata il funzionamento
di un servizio satellite del KGB, nonostante sia stato possibile solo parzialmente ricostruire le
modalità operative dello spionaggio estero e le misure attive miranti alla destabilizzazione del
nemico condotte da questo servizio segreto.
1.5. La Stasi.
Stasi sta per Staatssicherheit, sicurezza di stato, ed è la sigla con cui si indica il Ministerium
für Staatssicherheit (Ministero per la sicurezza di Stato, MfS), il servizio segreto deputato sia
alla sicurezza interna che allo spionaggio estero della ex Deutsche Demokratische Republik
(Repubblica democartica tedesca, Ddr). Che di democratico il regime di Berlino est avesse
solamente il nome e un'apparenza formale, è diventato di dominio pubblico alla dissoluzione
del suo sistema di potere in seguito alla caduta del Muro. Con l'apertura al pubblico, pochi
mesi dopo, del lascito documentario del suo servizio segreto, è stato possibile constatare con
assoluta certezza la natura repressiva e il ruolo di polizia segreta svolto dall'ente a partire dalla
sua istituzione all'inizio del 195053.
52 Ibd., p. 178. Sui rapporti tra OLP e Brigate Rosse cfr anche Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse,Odradek, Roma 2007; Valerio Morucci, A guerra finita, Il Manifesto libri, Roma 1994; Mario Moretti, CarlaMosca, Rossana Rossanda, Brigate Rosse. Una storia italiana, Anabasi, Milano 1994.
53 Cfr. Heiner Timmermann (a cura di), Diktaturen in Europa im 20. Jahrhundert-der Fall DDR in Dokumente
29
Per la Ddr, la sicurezza di Stato abbracciava uno spettro vastissimo di ambiti, in parte comuni
a quelli classici dei paesi democratici come la criminalità comune o la lotta all'eversione
politica, in parte tutti quei reati di tipo ideologico che potessero mettere in dubbio la linea del
partito SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands). Il motto della Stasi, “Scudo e spada
del partito”, colloca il servizio segreto della Ddr direttamente nel solco della tradizione che,
passando per il KGB, giunge a ritroso fino alla Čeka, la prima polizia segreta sovietica e
antenata del suddetto servizio, voluta da Lenin e Dzerzinskij nel 1917 allo scopo di difendere
la rivoluzione dalle forze della controrivoluzione e dal sabotaggio. In sostanza, la Stasi
affiancava ai compiti delle polizie tradizionali quelli propri delle polizie segrete ideologiche di
stampo sovietico.
Nata per diretta emanazione e ricalcando la struttura del servizio “padre” KGB, tra la fine
degli anni '50 e lungo tutto il corso degli anni '60 il rapporto tra la dirigenza politica e il
servizio segreto si fa complicato, data la tendenza, che rappresenterà una caratteristica del
MfS, ad arrogarsi compiti e diritti di cui non era stato investita dal potere politico, questo
stesso tenuto strettamente sotto sorveglianza.54
Se repressione interna e sorveglianza sul potere politico costituivano i principali campi di
azione del MfS sul fronte interno, il servizio segreto tedesco-orientale non venne mai meno ai
suoi compiti di intelligence estera, le cui operazioni erano affidate in primo luogo alla
divisione HV A (Hauptverwaltung Aufklärung), ma alle quali collaboravano in forme più o
meno accentuate tutte le divisioni del Ministero.55 Data la contiguità territoriale con la
Repubblica Federale e l'anomalia rappresentata da Berlino Ovest, isola di democrazia al
centro della Ddr, era logica conseguenza che lo spionaggio estero della Stasi si concentrasse
principalmente su quello che in gergo tecnico veniva definito semplicemente come OG
(Operationsgebiet, Campo delle operazioni), ovvero Berlino e la Germania Ovest. Una
considerazione importante da fare è quella per cui alla base dell'idea centrale di spionaggio e
controspionaggio della Stasi è che ogni forma di opposizione sia riconducibile all'influenza
del nemico.56 Sul tema dei rapporti con il servizio sovietico, il KGB delega ai “compagni”
tedesco-orientali oltre l'80% delle attività di spionaggio e controspionaggio in Germania
und Schriften der Europäischen Akademie Otzenhausen, Band 79, Duncker und Humblot, Berlino 1996.54 Siegfried Suckut, Staatssischerheit und SED in Timmermann H. (a cura di.), op. cit., pp. 303-312.55 Hubertus Knabe, West-Arbeit des MfS: das Zusammenspiel von Aufklärung und Abwehr, in
Wissenschaftliche Reihe des Bundesbeauftragten für die Unterlagen des Staatssicherheitsdienstes derehemaligen Deutschen Demokratischen Republik, Abteilung Bildung und Forschung, Berlino 1999, p.10.
56 Gianluca Falanga, Il ministero della paranoia. Storia della Stasi, Carocci, Roma 2012, p. 179.
30
Ovest: L'HV A rappresenta il principale fornitore per l'Urss di informazioni riservate su Bonn
e sulle strutture NATO in Europa centrale.57
La Stasi si ritrovò ad operare in una situazione di assoluta eccezionalità: la Ddr condivideva il
suo confine con quello che, almeno fino alla “svolta” del 1975 con la firma dei trattati di
Helsinki, figura nella documentazione come “nemico”.58 I nuovi accordi prevedevano anche
maggiore libertà di accesso alla Ddr da parte di giornalisti e turisti occidentali, per la Stasi
tutti potenziali spie, che vennero per questo costantemente tenuti sotto osservazione.
Se da una parte era relativamente difficile per lo spionaggio occidentale penetrare nei gangli
di una società “tenuta sotto chiave” dalla sua stessa classe dirigente, circostanza che renderà le
frontiere della Ddr praticamente impermeabili all'infiltrazione nemica almeno fino alla fine
degli anni '70, dall'altro la Stasi seppe approfittare delle situazioni contingenti che via via si
presentarono, riuscendo a trasformare momenti di debolezza in potenziali (e poi reali)
successi.
Alla metà degli anni '50, nel pieno corso del processo di destalinizzazione, il movimento di
espatrio dalla Ddr si fa imponente, e la Repubblica perde quasi due milioni di cittadini in
appena un lustro. L'emorragia, un serio problema per la società tedesco-orientale che vede
espatriare la sua gioventù più preparata, verrà arrestata con la costruzione della “barriera di
difesa antifascista”, la cui funzione in chiave anti-fuga, mai ufficialmente ammessa dalla
dirigenza della SED, verrà confermata dall'apertura degli archivi del BStU e dall'esame dei
documenti da esso conservati.
Nel 1952, l'allora vicedirettore del MfS Markus Wolf viene incaricato di rimodellare la
sezione HV A e ne diventa, a soli 30 anni, il direttore.59 Wolf fu abbastanza acuto da afferrare i
potenziali vantaggi derivanti dal movimento di espatrio, e decise di procedere ad una diffusa
opera di infiltrazione della società tedesco-occidentale “semplicemente” inviando numerosi
agenti del MfS in Germania Ovest a costruirsi vite e carriere nelle istituzioni della Repubblica
di Bonn.
Quanto andremo ora a descrivere rappresenta il maggiore successo mai conseguito
dall'intelligence estera del MfS, un'operazione talmente ben orchestrata e riuscita da aver
contribuito ad accrescere la notorietà della Stasi ben oltre i confini nazionali e a conferirle
un'aura di grande efficienza, confermata questa nella sua totalità o quasi, se si analizzano le
57 Ibd. p. 227.58 Hubertus Knabe, op. cit, pp. 60-118.59 Gianluca Falanga, op. cit., p.226.
31
forme e i modi del controllo totale esercitato sulla popolazione tedesco-orientale, un controllo
che per quasi quarant'anni riuscì ad evitare preventivamente o sopprimere ogni forma di
dissenso sociale.
Stiamo parlando delle vicende che condussero un'agente del Ministero, Günter Karl Heinz
Guillaume, fino ai più alti uffici della dirigenza politica dell'SPD. Nato nel 1927 a Berlino,
alla fine della seconda Guerra mondiale torna a vivere nella capitale della Ddr, dove lavora
come fotografo. Nel 1950 diventa redattore della casa editrice di Berlino est Volk und Wissen.
Nello stesso anno viene avvicinato ed ingaggiato dal MfS in qualità di IM (Inoffizieller
Mitarbeiter, collaboratore ufficioso). Nel 1952 sposa la sua segretaria Christel Boom,
anch'essa collaboratrice del Ministero. Quando, come ricordato poco fa, alla metà degli anni
50 il movimento di espatrio si fa consistente, dando vita a quel fenomeno che negli ambienti
politici della Repubblica federale viene descritto come indice del consenso popolare nei
confronti del regime comunista nella Ddr e definito “votare coi piedi”, ovvero esprimere con
la fuga il proprio dissenso,60 Guillame e la moglie sono tra quelli che Markus Wolf decide di
“spedire” all'Ovest, con lo scopo di costituire una rete di spionaggio estero radicata sul
territorio. Nel 1956 Guillame e la moglie si trasferiscono così a Francoforte sul Meno, dove
aprono una piccola attività commerciale.
Nel 1957 Guillame si iscrive all'SPD, e dal 1964 inizia a dedicarsi esclusivamente all'attività
politica. In virtù del suo talento, l'agente riesce a farsi strada nella politica del partito, e nel
1965 viene eletto consigliere comunale della città. Nel 1969 dirige la campagna elettorale
dell'allora ministro dei trasporti Georg Leber, portando una consistente mole di voti. La SPD
vince le elezioni, e il governo si forma sotto la guida del sindaco di Berlino Ovest Willy
Brandt. Questo successo induce Leber a proporre Guillame nel ruolo di referente per la
sezione di politica economica, finanziaria e sociale della cancelleria federale. Il costante
impegno e la dedizione alla causa del partito mostrate da Guillame, nel 1972 inducono Brandt
a convocarlo direttamente a far parte del suo team di fiducia.61 Certamente un colpo di fortuna
inaspettato per il MfS, che non poteva prevedere una simile carriera per il suo agente.
Il controspionaggio federale, il Bundesnachrichtendienst, teneva Guillame e la moglie sotto
osservazione già dal 1973, ma è solo nell'aprile del 1974 che decide di agire ed arrestare la
coppia, che viene condannata per alto tradimento a 13 (Guillame) e 8 (Boom) anni di
60 Bernd Eisenfeld, Kampf gegen Flucht und Ausreise- die Rolle der Zentralen Koordinierungsgruppe, inHubertus Knabe, op. cit., p. 273.
61 Gianluca Falanga, op. cit. p. 235.
32
reclusione. Nel 1981, la coppia verrà scambiata dal governo federale con altre spie e, fatto
ritorno nella Ddr, verrà accolta da Wolf e da Erich Mielke, direttore della Stasi, con tutti gli
onori attribuiti a degli eroi di guerra.62
L'operazione Guillaume non differisce, nelle ragioni e possibilità di fondo che stettero alla sua
origine, da quelle analoghe condotte dal KGB agli inizi degli anni '50: si sfruttò il movimento
d'espatrio per “impiantare” materiale umano nelle pieghe della società nemica.
Sul fronte delle operazioni di intelligence volte alla disinformazione, i risultati ottenuti dal
ministero di Mielke furono invece decisamente deludenti, se confrontati con la quantità dei
mezzi messi in campo. Un esempio su tutti è rappresentato dalla campagna mediatica con cui
la Stasi cercò, per mezzo della stampa occidentale pesantemente infiltrata da collaboratori
ufficiosi, di screditare il secondo presidente della repubblica federale Heinrich Lübke, dipinto
come “architetto di campi di sterminio”, nel tentativo di gettare fango sulla sua figura e sul
sistema parlamentare di cui la sua presidenza era espressione. Tentativo questo che non fu
coronato da successo.63
Un ambito in cui l'HV A riuscì invece a conseguire dei risultati pratici consistenti è quello
dello spionaggio tecnico-industriale. L'arretratezza tecnologica del blocco comunista si
rispecchiava anche in quella tecnologica ed industriale della Ddr, i cui impianti di produzione
risalivano spesso al periodo pre-bellico. Lo spionaggio condotto dall'HV A si concentrò
principalmente sulle grandi case produttrici di attrezzature elettroniche ed industriali, dove nel
1989 furono scoperte spie piazzate negli uffici di Texas Instruments, Siemens, Digital
Equipment Corporation.64 La tecnologia acquisita con lo spionaggio estero trovò in numerosi
casi un utilizzo concreto all'interno del sistema produttivo tedesco-orientale, nel contesto del
quale la Stasi cercava di trovare un antidoto alla cronica arretratezza del sistema facente capo
al Cremlino.65
Come abbiamo avuto modo di vedere fin qui, l'operato dell'HV A non era dissimile nelle
forme al lavoro di intelligence portato avanti dal servizio sovietico durante la guerra fredda.
Operazioni sotto copertura, volte ad influenzare la linea politica di un Paese nemico,
inquinarne gli organi di stampa, sottrarne segreti industriali e militari facevano parte del
repertorio comune dei servizi segreti dei due blocchi. L'obiettivo della destabilizzazione del
nemico venne perseguito senza esclusione di colpi, facendo ampio uso di tutti i mezzi a62 Ibd. p. 236.63 Ibd. p. 238.64 Ibd. p. 240.65 Hubertus Knabe, op. cit., pp. 133-279.
33
disposizione.
In precedenza si è accennato al rapporto tra servizi segreti e fenomeno terroristico. Allo Stato
attuale della ricerca, e prendendo cioè in considerazione l'obiettivamente solo parziale
disponibilità di documentazione interrogabile proveniente da servizi dell'ex blocco comunista,
come ad esempio quelli bulgari e lo stesso KGB, è possibile ipotizzare che la Stasi sia stata
tra i servizi che maggiormente intrecciarono contatti con quel mondo, quando non quello che
ne ebbe più di tutti. Mentre per alcuni servizi, sia occidentali che orientali, è stato possibile
solo giungere a delle mezze verità o formulare delle congetture circa il loro grado di
coinvolgimento nelle sanguinose vicende che segnarono il comparire e l'acutizzarsi della
violenza politica sul contesto internazionale, grazie all'apertura degli archivi del BStU è stato
possibile da una parte trovare conferma e dall'altra delineare le forme e i modi del supporto
fornito, dalla fine degli anni '70 alla metà circa degli anni '80, dalla Stasi a gruppi terroristici
di matrice internazionale, indistintamente dalla loro provenienza o colore politico. Così ad
esempio, il terrorista internazionale Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come Carlos, poté in
questo periodo ripetutamente soggiornare indisturbato a Berlino Est, da cui preparò attentati e
da dove poté liberamente muoversi all'interno dei Paesi del Patto di Varsavia. Di maggiore
inerenza per l'argomento trattato in questo lavoro risultano invece i contatti tra la Stasi e il
terrorismo tedesco-occidentale, in particolare con la Rote Armee Fraktion (Raf), che si
configurano come estremamente esemplificativi di come la guerra venisse condotta dai servizi
orientali, nel totale disprezzo dei principi etici e politici di cui la classe dirigente comunista si
faceva promotrice.
Lo scontro tra i blocchi si rispecchia alla perfezione nei tentativi di destabilizzazione operati
dal MfS ai danni della Repubblica federale, e il tentativo, non riuscito in toto, di
strumentalizzare la Raf per indurla a compiere attentati contro il nemico comune, in questo
caso i punti d'appoggio della NATO in Germania ovest, rappresenta un indizio in più di come
la guerra fredda si sia configurata e sia stata portata avanti dalle due superpotenze come
“guerra di servizi.”
1.6. Conclusioni.
Se, sul piano dell'opinione pubblica, il confronto tra i due blocchi negli anni della guerra
34
fredda si svolse in un'ottica di reciproca demonizzazione dell'avversario,66 sul piano militare,
la consapevolezza della potenza distruttiva degli arsenali a disposizione delle due
superpotenze contribuì da un lato a diffondere il timore costante dello scoppio di una guerra
nucleare, dall'altro costituì il fattore deterrente decisivo affinché lo scontro non si verificasse
mai, sebbene avvenimenti internazionali come il blocco di Berlino, la crisi dei missili di Cuba
e quella legata all'operazione “Able Archer 83” abbiano raggiunto livelli di criticità tali da far
temere il peggio.
Una tale situazione, caratterizzata dunque dalla rinuncia al confronto militare diretto tra le
parti, fece si che lo scontro si configurasse come una guerra tra servizi, ed acquisisse nei
metodi la segretezza propria della attività d'intelligence.
Era essenziale conoscere preventivamente i piani dell'avversario, allo scopo di contrastarne
l'accrescimento della sfera di influenza e la penetrazione ideologica sullo scacchiere politico
internazionale. Le attività di spionaggio assurgono ora al ruolo di protagonista. Esse non si
accompagnano più alla normale pratica bellica, ma la sostituiscono quasi in toto.
Il Patto di Varsavia e la NATO servono gli interessi delle due superpotenze, e i servizi segreti
degli alleati si configurano come propaggini dei loro macroapparati difensivi.
Abbiamo visto di come la CIA abbia appoggiato e sostenuto apertamente regimi militari in
tutto il mondo67, e di come sia arrivata ad organizzarne altri dall'inizio alla fine, allo scopo di
eradicare o prevenire la presenza sovietica in aree strategicamente rilevanti del globo. Allo
stesso modo, abbiamo avuto modo di vedere come i servizi alleati giocarono un ruolo chiave
nello svolgimento dei progetti statunitensi, orientando la loro azione in funzione di direttive
americane.
L'operato dei servizi segreti attivi durante la guerra fredda risulta non pienamente
comprensibile se estrapolato dal contesto di riferimento dello scontro in atto. I servizi dei
paesi membri della NATO seguivano linee operative strettamente connesse agli interessi di
Washington, da cui la CIA svolgeva un ruolo cardine di coordinamento.
Organizzazioni segrete di tipo stay behind, fondate in Europa negli anni '50 dai servizi segreti
americani e locali sull'onda del timore di una nuova invasione sovietica dell'Europa, che
avrebbero dovuto svolgere un ruolo difensivo in caso d'emergenza, permasero attive e
dormienti fino alla dissoluzione dell'Urss, segno del fatto che la prevenzione della minaccia66 Letizia Magnolfi, Il ruolo dei mezzi di comunicazione negli anni '60 della Guerra Fredda , in “In Storia:
rivista online di storia e informazione” n° 42 giugno 2011,http://www.instoria.it/home/usia_guerra_fredda.htm (visto il 4 12 2015).
67 Mario del Pero, op. cit., pp. 52-66.
35
giocò un ruolo primario durante tutti i quattro decenni del conflitto.
Nel caso particolare dell'Italia trattato in questo capitolo, abbiamo visto come appaia
verosimile la ricostruzione di una storia in cui, di fronte all'apertura a sinistra del I governo
Moro e alle proteste del movimento del '68, intelligenze straniere abbiano pianificato una
strategia della tensione, volta a causare un forzato riflusso delle tensioni sociali e favorire una
svolta autoritaria appoggiandosi su frange neofasciste degli organi statali e dei servizi segreti.
Dall'altro lato della cortina di ferro, i servizi segreti dei Paesi membro del Patto di Varsavia
collaborano strettamente con i servizi di Mosca. GRU e KGB si rendono protagonisti di
operazioni false flag sia per la repressione del consenso interno che per la guerra al nemico
esterno, come dimostrato dall'utilizzo di Specnaz in uniforme afgana durante l'invasione del
1979.
Sul piano generale, Mosca opera soprattutto con operazioni di spionaggio per mezzo di agenti
sotto copertura, trovando nel movimento di espatrio un valido alleato per la diffusione di
informatori nei paesi del blocco occidentale, in primis verso gli Stati Uniti. Su questa linea,
dettata dalla Lubjanka, si mossero anche i servizi satellite, come dimostrato dal caso della
Stasi tedesco-orientale, il cui maggior successo, l'infiltrazione di un agente fin nel gabinetto
politico del cancelliere tedesco-occidentale Willy Brandt, fu dovuto anche ad una buona dose
di fortuna.
Il capillare spionaggio sovietico raggiunse tutti i settori sensibili, e i segreti militari e
tecnologici di cui Mosca venne costantemente rifornita trovarono un utilizzo concreto sia sul
piano economico che su quello strategico.
Se gli Stati Uniti supportarono golpe militari e svolte autocratiche, le unità speciali del GRU e
del KGB si rivelarono attive nel sostegno alle guerriglie comuniste ed ai movimenti di
liberazione popolare del terzo mondo, fornendo appoggio ad organizzazioni come l'OLP e
collaborando all'addestramento delle milizie vietcong.
L'opera di destabilizzazione del nemico portata avanti da Mosca e dai suoi alleati passò anche
per atteggiamenti volutamente lassisti nei confronti di un fattore esterno quale il terrorismo
internazionale. Manifestatosi soprattutto in Europa e in Sud America in tutta la sua violenza a
partire dalla fine degli anni 60, il fenomeno non trovò mai posto all'interno del sistema
comunista, dove le polizie segrete lavoravano preventivamente e con gli stessi mezzi e poteri
dei servizi con lo scopo di soffocare sul nascere ogni forma di dissenso organizzato.
Rinunciando ad ostacolarlo ed offrendo il proprio retroterra alla fuga di singoli membri,
36
Capitolo 2. Terrorismo rosso in Italia e Germania. Origini, fatti, azione di contrasto.
2.1. Terrorismo.
Il dispiegamento concettuale del termine terrorismo appare ancora oggi tanto problematico da
risultare quasi impossibile. Nel corso degli anni, numerosi studiosi hanno tentato di dare una
definizione soddisfacente e universalmente valida del termine, senza che se ne sia però giunti
ad una unitaria. Gli anni '70 segnano l'apparire sulla scena internazionale di nuove forme di
terrorismo con connotazioni marcatamente antisistema, alimentando un fervente dibattito
destinato a protrarsi fino ai giorni nostri, in virtù dei nuovi interrogativi sorti in seguito ad un
riacutizzarsi del fenomeno agli inizi degli anni duemila, stavolta nella sua declinazione a
carattere religioso. Si riporteranno qui solo alcune delle definizioni formulate a più riprese dal
mondo della ricerca a partire dagli anni '70, allo scopo di trasmettere la dimensione della
difficoltà nell'afferrare pienamente il concetto di terrorismo.
Nel 1976, il ricercatore della Columbia University e dal 1977 fondatore e direttore delle
riviste “Terrorism An International Journal” e “International Journal on Minorities and
Group Rights” Alexander Yonah affermava: “terrorism is the use of violence against random
civilian targets in order to intimidate or to create generalized pervasive fear for the purpose of
achieving political goals.”68
Nel suo volume del 1987 “The age of terrorism”, Walter Laqueur proponeva la seguente
definizione: “Terrorism is the use or the threat of the use of violence, a method of combat, or
a strategy to achieve certain targets […] It aims to induce a state of fear in the victim, that is
ruthless and does not conform with humanitarian rules[…] Publicity is an essential factor in
the terrorist strategy.”69
Nel 1988, lo studioso di terrorismo e alto ufficiale degli organi di prevenzione contro il
terrorismo delle Nazioni Unite Alex Schmid pubblicava ad Amsterdam, insieme ad Albert
Jongman, il volume “Political Terrorism, a new guide to actors, authors, concepts, data bases,
theories and literature”, edito da North Holland Publishing, nel quale i due studiosi
formulavano una personale definizione del fenomeno terroristico internazionale: “Terrorism is
an anxiety-inspiring method of repeated violent action, employed by (semi-)clandestine
individual, group or state actors, for idiosyncratic, criminal or political reasons, whereby-in
68 Alexander Yonah, International terrorism. Regional, national and global perspectives, “Praeger”, New York1976, p. 16.
69 Walter Laqueur, The Age of Terrorism, Little & Brown, Boston 1987, p. 143.
38
contrast to assassination-the direct target of violence are not the amin targets. The immediate
human victims of violence are generally chosen randomly (targets of opportunity) or
selectively (representative or symbolic targets) from a target population, and serve as message
generators.”70
In tempi più recenti, ulteriori sforzi sono stati intrapresi dalla ricerca nel tentativo di fornire
una definizione quanto più possibile universale del concetto di terrorismo. Nel 2006, lo
storico e direttore degli studi sulla sicurezza dell'università di Georgetown Bruce Hoffmann
presentava il risultato di un nuovo tentativo di sintesi del concetto: “Terrorism is ineluctably
political in aims and motives, violent-or, equally important, threatens violence, designed to
have far reaching psychological repercussions beyond victim or target, conducted by an
organization with an identifiable chain of command or conspiratorial cell structure (whose
members wear no uniform or identifiyng insignia), and perpetrated by sub-national group or
non-state entity.”71
Nonostante le obiettive difficoltà che caratterizzano la ricerca di una definizione univoca, i
punti su cui oggi si concorda circa le caratteristiche del fenomeno terroristico nel suo
complesso hanno dato modo di formularne quantomeno una che possa valere come
universalmente riconosciuta. Per terrorismo si intende oggi infatti, secondo la definizione
riportata nell'Enciclopedia Treccani, “l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere
terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine,
mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei; possono farvi ricorso sia
gruppi, movimenti o formazioni di vario genere (ma anche individui isolati), che vogliono
conseguire mutamenti radicali del quadro politico-istituzionale, sia apparati, istituzionali o
deviati, di governo interessati a reprimere il dissenso interno e a impedire particolari sviluppi
politici.”72
Peculiarità basilare della lotta terroristica è la sua organizzazione: infatti, non potendo
esaurirsi in uno o più atti singoli, essa implica un’articolata strategia, elaborata da un gruppo
che agisce deliberatamente e con continuità.73 Questo disegno si sviluppa in una serie di
70 Alex P. Schmid, Albert Jongman, Political Terrorism, a new guide to actors, authors, concepts, data bases,theories and literature, North Holland Publishing, Amsterdam 1988, p. 26.
71 Bruce Hoffman, Inside terrorism, Columbia University press, New York 2006, p. 43.72 Terrorismo, Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/terrorismo/ (visto il 10.9.2015). 73 Lorenzo Sacco, Materiali per un dibattito sul fenomeno terroristico internazionale con particolare
riferimento a quello islamico, in “Iuria Orientalia II”, Università di Roma “La Sapienza”, Roma 2006, p. 142.
39
azioni dimostrative aventi lo scopo di rendere instabile il potere delle istituzioni che
s’intendono colpire. Gli obiettivi strategici del terrorismo non sono quelli di una guerra
convenzionale, come ad esempio l’occupazione militare di un territorio o la distruzione del
potenziale bellico nemico. L’intento, al contrario, è quello di alterare lo status quo mediante
l’intimidazione, la paura e la crisi. Per ottenere questo risultato, i terroristi si avvalgono di uno
strumento specifico: la spettacolarizzazione dell’evento.
Una distinzione importante in seno al terrorismo è quella tra terrorismo “internazionale” e
terrorismo “interno”: il primo implica un tipo di violenza che coinvolge cittadini di stati
diversi, mentre il secondo agisce entro i confini geografici di un solo stato e, a volte, in uno
specifico territorio. Ciononostante, è alquanto difficile trovare esempi di campagne
terroristiche esclusivamente “interne”, giacché il terrorismo, assai spesso, mira ad ottenere
supporto logistico, politico e finanziario oltre i propri confini. Altre ripartizioni si riferiscono
al terrorismo “nazionalista”, “ideologico”, “politico-religioso”, al terrorismo di stato (o
supportato da uno stato) e, infine, al terrorismo “suicida”. Il terrorismo “nazionalista” intende
instaurare un clima favorevole alla ricerca della propria autodeterminazione politica. I
terroristi, in questa prospettiva, combattono una guerra ad oltranza nel territorio che
desiderano, per così dire, “liberare” (si pensi, ad esempio, al movimento basco denominato
“ETA”, oppure all’Esercito Repubblicano Irlandese IRA, casi particolari di terrorismo la cui
analisi esula dagli obiettivi del presente lavoro). Lo scopo del terrorismo “ideologico” è
quello di mutare radicalmente il sistema politico, economico e sociale di uno stato favorendo
l’instaurarsi di una forma di governo estrema orientata verso sinistra oppure verso destra (tra
gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, esempi di questa tipologia di terrorismo
erano costituiti, ad esempio, dalle Brigate Rosse, in Italia, e dalla Rote Armee Fraktion, in
Germania, entrambi orientati verso un modello politico d’estrema sinistra e oggetto
privilegiato della presente trattazione).74
La suddivisione del fenomeno in tipologie terroristiche, così come è stata appena presentata,
si arricchisce per ovvi motivi di nuove categorie, risultato delle esperienze vissute dalla
comunità internazionale a partire dagli attacchi dell'11 settembre 2001. Il XXI secolo ha
assistito al prepotente ritorno sulla scena del fenomeno terroristico, nella sua accezione a
carattere religioso. Concentrando però l'attenzione sul contesto cronologico degli anni '60 e
74 Ibd., p. 144.
40
'70, ad offrire una griglia interpretativa efficace delle caratteristiche del fenomeno in quel
lasso di tempo contribuisce ancora oggi l'opera di Walter Laqueur “History of terrorism”,
edita per la prima volta nel 1977 e ristampato dalla casa editrice Transaction Publishers nel
2011.
Laqueur individua tre forme di terrorismo attive sulla scena internazionale nel 1977:
separatista-nazionalista; Latino-americano; terrorismo urbano.
E' alla terza categoria che Laqueur riconduce quei gruppi sorti in Nord America, Europa
occidentale e Giappone i cui membri, delusi dal fallimento della nuova sinistra post-bellica,
scelsero l'opzione terroristica per sovvertire il sistema, ed è in questo gruppo che rientrano a
pieno titolo, pur con le dovute differenze di cui si renderà conto nel presente capitolo, la Rote
Armee Fraktion e le Brigate rosse. 75 Mentre però in Italia e in Germania si scelse, dopo la
delusione del '68, la strada della lotta armata, in altri contesti quali gli Stati Uniti o la Francia
sorsero gruppi che predilessero azioni dimostrative, come ad esempio i Weathermen.
Il terrorismo degli anni '70 si distinse dalle precedenti forme a carattere nazionale del
fenomeno per via delle forme di collaborazione tra gruppi dediti al terrore, operanti in Paesi
diversi, e alla luce di numerose “fertilizzazioni incrociate”. La Raf, ad esempio, ammise
apertamente e fin dal principio di ispirarsi all'esperienza dei Tupamaros, e portò avanti la
convinzione che una forma simile di guerriglia fosse applicabile al contesto delle realtà
urbane occidentali.76
Un'ulteriore differenza fu rappresentata dall'entrata in gioco di attori finora rimasti
sostanzialmente esclusi dalle logiche del terrore: le potenze straniere, che fornirono supporto
diretto o indiretto ai gruppi terroristici. Questo si tramutò nel manifestarsi di un numero
sempre maggiore di operazioni all'estero, col risultato di generare confusione in merito
all'identità e agli obiettivi dei singoli gruppi, che andarono spesso ad integrarsi o sovrapporsi
tra loro.77 Già nel 1977, Laqueur disponeva di dati sufficienti a delineare con precisione il
caso emblematico rappresentato a questo proposito dall'ambiguità dell'Urss. Nonostante i
portavoce sovietici avessero sempre condannato il terrorismo internazionale, giudicato
avventurista, elitario e obiettivamente consono agli interessi del nemico di classe, secondo
una tradizione che si richiamava a Lenin, l'Urss procurò armi, aiuti finanziari, addestramento
militare e, occasionalmente, supporto politico a vari gruppi terroristici, quelli cioè che
75 Walter Laqueur, History of terrorism, Transaction Publishers, Londra 1977, qui edizione del 2011, p. 198.76 Ibd., p. 178.77 Ibd., p. 179.
41
rientrassero nella categoria di “movimenti di liberazione popolare”.78
La caduta dei terrorismi in occidente fu determinata da una moltitudine di fattori, di cui il più
rilevante viene identificato da Laqueur nel consenso popolare di cui un gruppo gode. In paesi
come l'Italia e la Germania, il terrorismo venne sconfitto nel momento in cui esso divenne
diffusamente impopolare agli occhi della popolazione. Questo avvenne solo quando il
terrorismo cessò di essere una pura e semplice “seccatura”, iniziando a causare seri
inconvenienti all'interno della società e portando alla graduale accettazione di leggi restrittive
delle libertà personali, giustificate dalla necessità di combattere efficacemente il fenomeno.79
In un saggio di recente pubblicazione, Lorenzo Bosi e Maria Serena Piretti hanno rilevato
come molte delle manifestazioni che, in età contemporanea, hanno assunto nei rapporti di
potere carattere violento, siano riconducibili ad un duplice schema interpretativo, costituito
dal weberiano monopolio dell'uso legittimo della forza, elemento fondante dell'esistenza di
uno Stato, e da un ulteriore fattore, che si trova prima della formazione degli Stati nel
concetto di obbligazione politica, ovvero il limite dell'obbligazione identificato nel diritto di
resistenza, il diritto cioè di opporsi a quel comando che venga meno al patto che lega i sudditi
al sovrano.80
E' solo ad una forma Stato organizzata, composta da una comunità di individui che vi si
riconosca pienamente e che riconosca a chi detiene il potere sia l'uso legittimo del ricorso alla
violenza nel rapporto con gli altri Stati, nonché il potere di reprimere il nemico interno, che si
può rapportare un discorso sul fattore di legittimità\illegittimità, necessario per definire il
confine labile tra ciò che rende legittimo o meno un tale comportamento tra i consociati o tra
loro e i detentori del potere.81
Nella generale stabilizzazione politica seguita al primo conflitto mondiale, è verso l'interno
della comunità-Stato che emerge la nuova natura dell'uomo nuovo come uomo in armi, nel
perpetrarsi di una politica guerriera nella quale il nemico interno, l'opposizione, può solo
essere annientata.
La caduta dei totalitarismi restituisce un quadro geopolitico contrassegnato da una dicotomia
bene\male che, sviluppandosi in un clima caratterizzato da una conflittualità “latente”
78 Ibd., p. 197.79 Ibd., p. 188.80 Lorenzo Bosi, Maria Serena Piretti, Violenza e terrorismo: diversi approcci di analisi e nuove prospettive di
ricerca, in “Ricerche di Storia Politica” 3/2008, Il Mulino, Milano 2008.81 Ibd., p. 266.
42
contribuisce a dare voce alle forze antisistema, che si sentono legittimate all'uso della
violenza.82 Il caso italiano e quello tedesco rappresentano l'esempio emblematico di contesti
geografici dove una parte più o meno consistente di quei “sudditi” ritenne, a cavallo tra la fine
degli anni '60 e nel corso degli anni '70, che quel patto fosse stato violato, e che per questo
fosse giunto il momento di esercitare quel diritto di resistenza che gli era proprio.
In quanto entità giuridico-politica violenta, lo Stato, all'interno dei propri confini e del proprio
ordinamento, delegittima qualsiasi forma di violenza (sebbene organizzata) relegandola, ex
lege, in criminalità e terrorismo, mentre la pace esterna è garantita dal diritto internazionale.
Al combattente, irregolare per definizione, e alla sua forma di lotta, asimmetrica per
condizione, non sono attribuibili spazi politici né status giuridici.83 Egli è a tutti gli effetti un
criminale, anziché un combattente.
All'interno delle realtà sociali che maggiormente ci interessano ai fini di questo lavoro, quella
italiana e tedesca nel corso degli anni '70, la considerazione appena riportata si tradusse nella
pratica in un totale non-riconoscimento di una qualsivoglia statura politica degli antagonisti in
campo. Le due giovani democrazie parlamentari non ritennero mai di doversi confrontare col
fenomeno terroristico di estrema sinistra come con un problema politico, e gli apparati
d'indagine e repressione statale dei due paesi reagirono, secondo tempi e modalità dissimili,
come di fronte ad un problema di ordine pubblico e criminalità comune.
Lo scopo di questo capitolo consiste da una parte nel tracciare un quadro sintetico delle
vicende che videro il manifestarsi della violenza politica in Italia e Germania ovest,
argomento sterminato e sul quale esiste una letteratura imponente, restringendo però il campo
unicamente alla violenza di sinistra nella forma conferitole dalle due maggiori formazioni di
lotta armata per il comunismo sorte sul suolo europeo, ovvero la Rote Armee Fraktion e le
Brigate rosse; dall'altro si vuole offrire una visione d'insieme che descriva le modalità con cui
i rispettivi organismi statali si adoperarono nel contrasto del fenomeno, introducendo così un
discorso analogo, ma con attori in parte differenti, che verrà portato avanti nei capitolo 3, 4 e
5 di questo lavoro, dove si andranno ad indagare i rapporti tra le suddette formazioni
terroristiche e il servizio segreto della Germania orientale.
La ricerca italiana e tedesca insiste oggi sul fatto che la lotta al terrorismo abbia costituito in
quegli anni un processo di apprendimento che, data la sostanziale novità rappresentata dal
82 Ibd., p. 266.83 Antonio Cerella, Terrorismo: storia e analisi di un concetto, in “Trasgressioni. Rivista quadrimestrale di
cultura politica”, Arianna editrice, Firenze 2009.
43
terrorismo rosso, si distinse al suo interno per la presenza di numerose insicurezze e conflitti
di competenze, mentre ci si preoccupava di fornire all'opinione pubblica l'immagine di uno
Stato “dinamico e pronto all'azione”, circostanza che si tradusse in alcuni casi nell'esecuzione
di pure operazioni di facciata da parte degli organi di polizia.84
La differenza sostanziale ravvisabile nei due contesti consistette da una parte nella reazione
statale tedesca, definita a più riprese esagerata in relazione all'effettiva minaccia portata dalle
azioni della Rote Armee Fraktion la quale, è bene specificarlo, non andò mai oltre una
consistenza numerica di effettivi nell'ordine delle poche decine di militanti; dall'altra nel
sostanziale immobilismo degli apparati d'indagine italiani, i quali ad una reazione decisa
pervennero solo dopo il sequestro Moro e la cui blanda azione di contrasto permise il
diffondersi del sospetto che allo Stato fosse mancata, almeno nelle fasi iniziali del fenomeno,
la volontà politica di operare in tal senso.
Estremamente interessante risulta a questo proposito la tesi proposta dal politologo Giorgio
Galli, il quale sosteneva che l'apparato dello stato avesse predisposto gli strumenti per
reprimere il terrorismo per tempo, ricordando come nel 1974 il neocostituito nucleo speciale
antiterrorismo guidato da Dalla Chiesa fosse pervenuto in pochi mesi all'arresto di Curcio e
Franceschini e dei vertici delle prime Br. Proprio questa precoce consapevolezza del pericolo
terrorista e la dimostrazione di essere in possesso di strumenti efficaci per contrastarlo fin dai
primi anni '70 hanno indotto Galli a pensare che il successivo sviluppo e successo del
terrorismo siano stati agevolati dal mancato utilizzo di queste capacità repressive. A riprova di
questa tesi, Galli sostiene che dopo Moro fu precisamente con queste che il terrorismo fu
sconfitto.85
Uno dei fattori che accomunò le esperienze di lotta al terrorismo dei due Paesi è costituito
dalla promulgazione di leggi speciali atte a contrastarne preventivamente la minaccia, di cui si
darà conto nel corso del presente capitolo.
84 Marica Tolomelli, Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta, ilMulino, Bologna 2006, p. 93.
85 Cfr. Giorgio Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi, Baldini eCastoldi, Milano 2004, qui con riferimento all'edizione del 2013.
44
2.2. In Germania: la Rote Armee Fraktion.
2.2.1. Il legame delle prime formazioni armate tedesche col '68.
La storiografia tedesca non pone più in discussione il legame tra il movimento del '68 e la
storia della Raf, pur persistendo una distinzione tra due impostazioni predominanti: ci si
chiede oggi se la Raf non sia da intendersi come il risultato del crollo del movimento del '68,
in conseguenza del quale alcuni soggetti particolarmente politicizzati ed idealisti avrebbero
risposto con la lotta armata, nel tentativo, disperato ed isolato, di portare a termine la
rivoluzione da esso inaugurata; o se essa non sia in realtà da interpretarsi, con un'operazione
inversa, come il frutto in un certo qual senso malato delle istanze di cui quel movimento si era
fatto promotore. In breve, ci si domanda se la Raf abbia rappresentato un passo in avanti o
indietro dei suoi membri rispetto al movimento di cui essa, per definizione della stessa Ulrike
Meinhof, si sentiva figlia.86
Un recente contributo alla ricerca storica sulle origini della violenza politica in Germania e in
Italia è stato apportato dal volume a cura di Christoph Cornelissen, Brunello Mantelli e Petra
Terhoeven “Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in
Italia negli anni sessanta e settanta”, edito da il Mulino nel 2012, ai cui saggi si fa riferimento
nel presente paragrafo.
I riferimenti ideologici cui il gruppo sorto intorno ad Horst Mahler faceva capo sembrano
potersi rintracciare in primis in una delle entità che aveva contribuito ad animare e guidare il
'68 tedesco, quell'SDS all'interno del quale, già a partire dal 1967, la frazione autodefinitasi
antiautoritaria aveva preso il sopravvento, e il cui leader era il carismatico Rudi Dutschke.
Kraushaar ha messo in luce come proprio il leader dell'SDS fosse stato il primo a utilizzare il
concetto di “guerriglia urbana” nel contesto tedesco,87nella convinzione che occorressero
forme d'azione specificamente violente, quando non propriamente militari, per poter
migliorare le prospettive di un cambiamento rivoluzionario della situazione. Non va
dimenticato come un'altra caratteristica che differenziava fortemente l'impianto ideologico
della Raf da quello delle Br fosse una discordante idea della prospettiva rivoluzionaria,
lontana e da costruirsi nel tempo per la prima, “dietro l'angolo” per la seconda.
86 Wolfgang Kraushaar, Il '68 e gli inizi del terrorismo tedesco-occidentale, in Terhoeven, Cornelissen, Mantelli(a cura di), Il decennio rosso, contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli annisessanta e settanta, il Mulino, Bologna 2012, p. 204.
87 Ibd., p. 209.
45
Rudi Dutschke poneva alla base della propria concezione rivoluzionaria quella ereditata dalla
guerriglia di stampo guevariano, ovvero quella del focolaio rivoluzionario. L'idea di base era
quella di completare la guerriglia operante nel terzo mondo con una guerriglia urbana nelle
metropoli occidentali. Questa considerazione vale, agli occhi di Kraushaar, a conferire al
pensiero di Dutschke una parte non irrilevante nel costituirsi dell'ideologia del gruppo, cosi'
come nella scelta di ingaggiare una guerra contro lo Stato da condursi nella forma di una
guerriglia urbana.
Un altro dei soggetti politici più attivi nel contesto del '68 tedesco fu il gruppo, decisamente
eterogeneo per composizione sociale, comunemente denominato come
Ausserparlamentarische Opposition (opposizione extraparlamentare, abbreviato in APO).
Nessuno dei membri originari della Raf può essere propriamente definito come leader
all'interno di questa variegata compagine, tuttavia Kraushaar ha potuto rintracciare un nesso
tra la componente più apertamente incline alla violenza di questo gruppo e il progetto di
guerriglia urbana nella nascita della prima formazione armata passata alla clandestinità già
nell'autunno del 1969, i Tupamaros tedeschi, nelle sue articolazioni Tupamaros West-Berlin e
Tupamaros Münich. Questi due gruppi erano guidati da Dieter Kunzelmann e Fritz Teufel, due
dei leader, insieme a Georg von Rauch, della cellula afferente alla frangia antiautoritaria
dell'APO denominata Kommune I, e alcuni dei cui membri sarebbero confluiti
successivamente nella Bewegung 2 Juni e nella Raf, come nel caso di Bommi Baumann,
Irmgard Möller e Brigitte Monhaupt.
A partire dal momento del passaggio in clandestinità, i contatti col mondo legale vennero
tenuti da Kunzelmann e Rauch per mezzo di Horst Mahler, che già nel settembre del '69 aveva
dovuto subire il rifiuto da parte di Dutschke a collaborare alla formazione di unita' di
guerriglia urbana, considerata avventata in relazione alla prospettiva rivoluzionaria della
Germania federale.88
Poco prima dell'attentato a Rudi Dutschke, la violenza aveva già iniziato a dilagare all'interno
del movimento, che tra il 1967 e il 1969 si era fortemente espanso dai suoi centri nevralgici di
Berlino e Francoforte, assumendo le caratteristiche di un movimento giovanile e perdendo
gradualmente i suoi connotati squisitamente studenteschi.89 In questo senso, l'attentato a
Dutschke contribuì a rinfocolare ancor di più le agitazioni giovanili, facendo si che il
88 Ibd., p. 215.89 Christoph Cornelissen, Centri e periferie del movimento studentesco nella Repubblica federale tedesca alla
fine dagli anni sessanta in Ibd., pp. 108-114.
46
movimento si arricchisse di nuove componenti sociali e radicalizzando la discussione sul tema
della legittimità dello Stato tedesco federale.
Kraushaar, nel delineare le tappe che condussero una parte nettamente minoritaria dei
sessantottini tedeschi alla decisione di imbracciare le armi e passare alla clandestinità, indica
alcuni eventi chiave che sembrano suggerire quantomeno la tendenza di alcuni soggetti delle
frange più apertamente violente del movimento a muoversi in questa direzione.
Dopo il suddetto attentato a Dutschke iniziarono i primi attentati dinamitardi, i quali presero
di mira principalmente simboli americani. E' in questo clima che matura e viene compiuto
l'attentato incendiario ai danni dei grandi magazzini di Francoforte, che vide protagonisti per
la prima volta Baader ed Ensslin. L'incendio, appiccato nottetempo e quindi rimasto senza
conseguenze per le persone, si presentava come un attacco simbolico ai principi del
capitalismo americano, essendo stato condotto contro un “tempio del consumo”. Si tratto' solo
di danni materiali, ma l'evento segnò l'oltrepassamento di una soglia che fino a quel momento
si era apertamente evitato di superare.
Giunti a questo punto, e prima di procedere ulteriormente, Kraushaar tira le somme parziali
dell'analisi da lui condotta, giungendo alla conclusione per cui, sul piano delle ideologie e
delle teorie, “alcune delle più importanti figure del pensiero degli ultimi gruppi clandestini
derivano dall'arsenale di alcuni militanti di spicco dell'SDS, in particolare da Rudi Dutschke.
[…] (come ad esempio) la teoria del focolaio e una specifica forma della guerriglia urbana”,
mentre in riferimento alla questione dei collegamenti personali “non si può stabilire
concretamente una correlazione globale tra il movimento del '68 e il terrorismo di sinistra”
dovendo far risalire la scelta dell'escalation della violenza solo ed esclusivamente ad una
cerchia ristretta di soggetti, interni all'SDS e vicini alla figura di Rudi Dutschke la quale, dopo
aver fatto inutilmente pressione per favorire l'esplodere della violenza rivoluzionaria, percorse
quella strada autonomamente e di propria iniziativa.90 Le radici del terrorismo tedesco sono
dunque da ricercarsi, secondo le conclusioni a cui Kraushaar è giunto, in un piccolo gruppo
avanguardista che risponde al nome di Azione Sovversiva. Fu questa la prima formazione a
perseguire il concetto di un profondo rinnovamento della società, che prevedeva all'interno la
distruzione della famiglia borghese e verso l'esterno quella dell'imperialismo, mentre le figure
carismatiche di Rudi Dutschke e Dieter Kunzelmann funsero da “ponte” per la trasmissione di
concezioni radicali della società al movimento del '68.
90 Wolfgang Kraushaar, op. cit. in Ibd., p. 219.
47
Insomma, Kraushaar ritiene di poter sostenere che nel momento culminante del '68 siano
riconoscibili due linee che portarono alla formazione dei primi gruppi terroristici, ma al
contempo viene messo in evidenza come queste linee direttrici non abbiano in nessun modo
rappresentato né il movimento del '68, né tantomeno l'SDS nel suo complesso, consistendo
semmai in una parte minoritaria della sua frangia antiautoritaria.91
2.2.2. La Rote Armee Fraktion.
Prima di descrivere brevemente le vicende che portarono la Rote Armee Fraktion alla ribalta
nazionale, occorre in questa sede citare alcuni punti cardine, inerenti le motivazioni che
spinsero il governo tedesco a reagire in maniera pronta e decisa contro il terrorismo del
gruppo. Per una riflessione complessiva sui sistemi di intelligence nel contesto germanofono,
non possiamo dunque non citare un fatto che si ricollega al tema generale del terrorismo
internazionale, pur senza toccare direttamente il tema che ci siamo proposti: la vicenda di
Settembre nero e il trauma che quella vicenda rappresentò per la Germania tutta. Se, come
andremo a vedere nel prossimo capitolo, la strage di Monaco e i timori da essa suscitati
portarono alla decisione, dall'altro lato della cortina di ferro, di istituire un'apposita unità
operativa del servizio segreto tedesco-orientale deputata alle attività di antiterrorismo, in
Germania ovest il fallimento dei sistemi d'indagine preventivi e la tragica conclusione della
vicenda aveva portato alla sola formazione di una unità speciale antiterrorismo, la GSG9.
Provvedimenti più radicali verranno adottati nel corso degli anni per far fronte alla minaccia
portata dalla Raf, ma l'esperienza di Monaco causò una ferita profonda nell'apparato statale
tedesco, circostanza che può in parte giustificare la reazione “esagerata” dello Stato di fronte
ad un fenomeno estremamente ristretto.
La storiografia tedesca ha operato una tripartizione della storia della Raf sulla base di alcuni
eventi chiave, descrivendo le vicende del gruppo secondo un ordine cronologico che ha
permesso nel tempo di definire gli estremi di tre generazioni di terroristi a lei ascrivibili. Per
una presentazione di carattere puramente evenemenziale, merita qui una citazione l'opera del
procuratore generale Klaus Pflieger, pubblicata nel 2004 dalla casa editrice Nomos, dal titolo
“Die Rote Armee Fraktion. 14.5.1970 bis 20.4.1998”. Il magistrato tedesco, il quale ha
collaborato nel tempo e con funzioni di volta in volta diverse in numerosi processi contro91 Ibd
48
membri del gruppo, presenta una storia completa delle azioni rivendicate dalla Raf, senza però
esibirsi in valutazioni di alcun tipo per quanto riguarda l'ideologia del gruppo, i suoi legami
col '68, la sua dimensione internazionale. Siamo di fronte ad una trattazione di lungo periodo
della storia della Raf che restituisce la profondità temporale dell'intera vicenda, aiutandoci a
focalizzare l'attenzione sull'ordine cronologico dello svolgimento degli eventi.
Secondo la ricostruzione da lui proposta, e come già accennato universalmente riconosciuta
come valida ed accettata anche dal mondo della ricerca, le tre generazioni della Raf sono
identificabili come segue:
1) La prima generazione va dalla liberazione di Andreas Baader, il 14 maggio 1970, alla
quale era seguito il primo comunicato, composto da Ulrike Meinhof e firmato Raf dal
titolo “Die Rote Armee aufbauen”. Questo nucleo originario può considerarsi
sostanzialmente sconfitto in seguito all'arresto di Baader, Ensslin e Meinhof nel
giungo 1972, mentre Mahler si trovava in carcere già a partire dall'ottobre del 1970.
2) La seconda generazione si forma a partire dal 1973, con la nascita di numerose
formazioni in diversi contesti geografici che, pur non avendo in passato mantenuto
alcun contatto diretto con i membri della prima generazione, prendono a firmarsi Raf,
dichiarando così la propria vicinanza al gruppo e supportandone apertamente il
programma politico. Stiamo parlando in particolare della Bewegung 2 Juni, che nel
1978 confluì sotto la firma della Raf. Dal carcere, il nucleo storico continua invece a
costituire un gruppo omogeneo e a portare avanti il progetto di diffondere la lotta
armata nella Repubblica federale. L'obiettivo dei membri incarcerati, che si
autodefiniscono prigionieri politici, è quello di portare avanti la lotta con i mezzi a
disposizione, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle dure condizioni
carcerarie a cui sono sottoposti, in un processo di auto-vittimizzazione teso a proporre
analogie tra la propria situazione e quella degli ebrei rinchiusi nei lager nazisti. Non a
caso, il paragone verrà posto nei termini di una dicotomia
Vernichtungshaft\Vernichtungslager.92 Il mezzo privilegiato di questa forma di lotta
diventa lo sciopero della fame. Sul piano politico, i membri in libertà perseguono
l'obiettivo dichiarato di liberare i compagni detenuti. A tale scopo, la seconda
generazione della Raf si rende protagonista delle azioni più clamorose della storia del
gruppo, ovvero la tragica occupazione dell'ambasciata tedesca di Stoccolma e il
92 Letteralmente “detenzione di annientamento\campo di annientamento-sterminio”.
49
sequestro Schleyer. La fine della seconda generazione viene tradizionalmente fatta
coincidere con il suicidio dei fondatori del gruppo nel carcere di Stammheim, seguita
al fallito dirottamento del volo Landshut e alla tragica conclusione del sequestro
nell'autunno del 1977, a cui seguono tra '78 e '79 gli arresti della nuova dirigenza
composta da Brigitte Mohnhaupt, Christian Klar e Adelaide Schulz. L'unico
comunicato prodotto della seconda generazione, sulle cui argomentazioni si baserà
l'operato della terza, è quello pubblicato nel 1982 dai membri ancora in libertà,
intitolato “Guerrilla, Widerstand und antiimperialistische Front”, nel quale si
ammetteva che la situazione in Germania federale non fosse ancora matura per lo
sviluppo della guerriglia urbana, e si paventava l'unione dei movimenti guerriglieri
europei in un unico fronte contro l'imperialismo americano.
3) Anche questa ondata di arresti non segna però la fine del progetto, che trova nuova
linfa vitale sotto la guida di Helmut Pohl, Henning Beer, Stefan Frey, Gisela Dutzi e
Ingrid Jakobsmeier. Un dettaglio da tenere in considerazione, soprattutto in rapporto
alla reazione statale federale, è l'estremamente ridotta consistenza numerica degli
attori in campo, laddove le varie generazioni della Raf non arrivarono mai a contare
oltre una trentina di militanti. La repressione poliziesca scatenata dallo Stato tedesco
in seguito al sequestro Schleyer costringe la terza generazione a muoversi in maniera
sempre più marcatamente cospirativa, portando ad un accentuato isolamento del
gruppo. Sul piano politico, la Raf si ritrova senza più referenti nazionali, e le già
scarse simpatie conquistate dalla prima e seconda generazione all'interno della società
tedesca si dissolvono completamente. Questo conduce ad un ampliarsi degli orizzonti
strategici del gruppo, ora fortemente concentrato nella ricerca di contatti e
collaborazioni internazionali che lo porteranno a fondersi nel 1984 con i francesi di
Action Directe, nel nome di un comune fronte antimperialista, e a cercare con
insistenza di instaurare un legame con il gruppo scissionista delle Br-Pcc. La Raf
proclama il proprio autoscioglimento con un comunicato il 20 aprile 1998.
Nel paragrafo precedente abbiamo potuto constatare come si tenda oggi a conferire al
movimento del '68 un ruolo non irrilevante nella nascita del terrorismo tedesco-occidentale e
della Raf nello specifico. Tra gli storici che maggiormente si sono confrontati con la storia
dell'organizzazione, e le cui opere rappresentano un valido aiuto ai fini della comprensione
della profondità temporale delle vicende ad essa relative, mi sembra doveroso citare Tobias
50
Wunschik, collaboratore del BStU che da ormai vent'anni si dedica alla storia del terrorismo
tedesco occidentale. Nel libro “Baader-Meinhofs Kinder”, Wunschik offre un'analisi
estremamente dettagliata delle vicende, delle strategie e dell'ideologia della seconda
generazione dell'organizzazione, ponendola in diretta continuità con il gruppo originario sorto
intorno a Mahler.93 Ma prima di fare ciò, Wunschik conferma quanto sostenuto nel precedente
paragrafo di questo lavoro, ovvero come la storiografia tedesca sia sostanzialmente d'accordo
nel tracciare una linea di continuità quantomeno tra alcuni elementi dell'ideologia della Raf e
il movimento del '68. Viene posto ad esempio in risalto come nei primi comunicati composti
da Meinhof e Mahler il riferimento al movimento studentesco fosse costante, e di come
nell'ideologia della Raf abbiano giocato un ruolo chiave anche quelle tematiche prettamente
terzomondiste che avevano animato la discussione del '68 tedesco: elementi quali la
solidarietà verso i popoli oppressi del terzo mondo, la concezione del sé come avanguardia e
il rifiuto della società attuale, intesa come illegittima ed autoritaria, così come la convinzione
di doverla superare in favore di un modello più giusto di convivenza sociale, erano tematiche
proprie dello Studentenbewegung, riproposte dalla prima generazione della Raf.94
Si è detto di come lo Stato tedesco abbia reagito con veemenza alla minaccia portata dal
terrorismo della Raf. Questo avvenne praticamente da subito, se si pensa che già nel giugno
del 1972 le indagini portarono alla cattura di Jean-Carl Raspe, Andreas Baader, Holger Meins,
Gudrun Ensslin e Ulrike Meinhof.95 Nel 1975 si apre ufficialmente il processo al “nucleo
storico” della Raf, preceduto di qualche mese dall'istituzione di una serie di leggi pensate
appositamente per facilitarne ed accelerarne lo svolgimento.96
Partendo dalla realtà di fatto per cui la seconda generazione del gruppo non pubblicò
comunicati che ne dichiarassero i progetti e le intenzioni, limitandosi la produzione
dell'organizzazione in questa fase ai soli volantini di rivendicazione delle azioni compiute,
l'autore sostiene che essa non avrebbe avvertito il bisogno di rilasciare dichiarazioni, essendo
la linea strategica della firma Raf già stata ampiamente chiarita dagli scritti di Meinhof e
Mahler.97 Non si ravvisano, a detta di Wunschik, ulteriori evoluzioni sul piano ideologico,
93 Tobias Wunschik, Baader-Meinhofs Kinder. Die Zweite generation der Raf, Westdeutscher Verlag, Opladen 1997.
94 Ibd., pp. 122-123.95 Klaus Pflieger, Die Rote Armee Fraktion. 14.5.1970 bis 20.4.1998, Nomos, Baden-Baden 2004, pp. 37-40.96 Ibd., p.63.97 Tobias Wunschik, op. cit., p. 160.
51
cosicché si è potuto affermare che dovesse valere per questo gruppo l'impostazione
antifascista ed antimperialista già formulata dai fondatori dell'organizzazione nei quattro
scritti da essa prodotti.98 99
Nonostante la diffusione dei proclami avvenisse in forma collettiva, sotto la firma Raf, è
possibile ricondurre gli scritti ad autori precisi. Ulrike Meinhof compose i comunicati “Rote
Armee Fraktion-Das Konzept Statdguerrilla” (aprile 1971), “Rote Armee Fraktion-
Stadtguerrilla und Klassenkampf” (aprile 1972) e quello intitolato “Die Aktion des Schwarzen
September in München- zur Strategie des anti-imperialistischen Kampfes” (novembre 1972,
dal carcere), mentre alla penna di Horst Mahler si deve la composizione del comunicato
“Kollektiv RAF: über den bewaffneten Kampf in Westeuropa” (maggio 1971), considerato lo
scritto decisivo per la comprensione dell'ideologia della prima e, di conseguenza, anche della
seconda generazione dell'organizzazione.100
E' importante a questo punto soffermarsi brevemente su un aspetto del terrorismo della Raf.
Sul piano puramente organizzativo, il gruppo non disponeva di veri e propri quadri dirigenti.
Meinhof, Mahler e Baader non ricoprirono mai un ruolo specifico di vertice tra i militanti (pur
rappresentando fino alla morte degli Stammheimer il soggetto privilegiato delle rivendicazioni
della seconda generazione), e le decisioni relative agli obiettivi e alle modalità secondo le
quali eseguire un'azione venivano decise in maniera collettiva, per mezzo di riunioni alle quali
partecipavano tutti i membri del gruppo che volessero prendervi parte.101 La Raf, dunque, non
si identificava con un leader, ma con i concetti e le idee espresse dai teorici del gruppo, ruolo
questo che fu ricoperto, almeno fino al 1982, dagli scritti di Mahler e Meinhof.
Questo non significa d'altra parte che determinati membri del gruppo non godessero di una
considerazione privilegiata da parte dei nuovi arrivati: sotto questo aspetto, un ruolo di primo
piano viene assunto nel corso del 1977 da Brigitte Mohnhaupt. Arrestata nel 1971 e tornata in
libertà nel 1977, è considerata il cervello dell'Offensive '77, conclusasi con la morte di
Schleyer e il fallimento del progetto di liberazione dei compagni detenuti.
La morte dei fondatori Baader ed Ensslin significò per la Raf un fallimento di proporzioni
epocali, e segnò l'inizio di un lento percorso di decadimento che, accelerato dalla sempre
98 Su questa stessa posizione si è attestato nel 2014 anche il politologo Christian Leutnant, il quale riprende edamplia alcuni aspetti delle affermazioni di Wunshik nell'opera “Im Kopf der Bestie”- Die Raf und ihrinternationalistisches Selbstverständnis, Tectum Verlag, Marburg. (vedi cap. 3.1.).
99 Il carattere antimperialista dell'organizzazione si ritrova fin dall'inizio, nel primo comunicato programmaticodiffuso dal gruppo nell'aprile 1971, composto da Ulrike Meinhof ed intitolato “Das Konzept Stadtguerrilla”.
100Tobias Wunschik, op. cit, p. 161.101Klaus Pflieger, op. cit., p. 23.
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maggiore violenza ed autoreferenzialità delle azioni del gruppo, lo avrebbe condotto alla
perdita delle già flebili simpatie di cui godeva all'interno dell'opinione pubblica tedesca.102
Da parte dello Stato tedesco, il biennio 1976-1977 si caratterizza per un effettivo
potenziamento dei mezzi di repressione e contrasto. Il 18 agosto del 1976, il governo federale
introduceva nel proprio codice penale il reato di partecipazione ad associazione terroristica. Il
nuovo articolo prevedeva la punibilità anche per coloro verso i quali non fosse rintracciabile
prova alcuna dell'aver preso parte ad azioni delittuose rivendicate dal gruppo. In sostanza, la
sola appartenenza alla Raf costituiva di per sé reato penale, senza che fosse necessario
dimostrare la partecipazione di uno o l'altro membro del gruppo ad un'azione specifica.
Un'ulteriore provvedimento legislativo venne attivato durante il sequestro Schleyer: partendo
dalla considerazione per cui i membri detenuti della Raf fossero in grado di comunicare con
l'esterno (circostanza resa possibile dagli stessi avvocati dei terroristi detenuti), e che si
dovesse quindi puntare al loro totale isolamento al fine di mettere alle strette i sequestratori,
privandoli dei necessari contatti con i referenti diretti delle loro azioni, venne stabilita la
cosiddetta Kontaktsperregesetz (legge del blocco dei contatti). Entrata in vigore il 2 ottobre
1977, in pieno svolgimento del sequestro Schleyer, essa sottoponeva i detenuti più pericolosi
ad un totale isolamento, e venne disattivata già il 21 ottobre dello stesso anno, tre giorni dopo
la morte di Schleyer e degli Stammheimer.103
Nei primi anni del dopo Schleyer, l'organizzazione visse un periodo di grande incertezza, e il
gruppo si vide costretto a ripiegare su sé stesso, anteponendo la propria esistenza alla
formulazione di un qualsivoglia programma politico. Semplicemente, i membri della seconda
generazione non disponevano di un piano alternativo, nel caso in cui la liberazione dei suoi
“quadri dirigenti” fosse fallita. Ma il gruppo era fortemente intenzionato a proseguire la lotta
armata, e fu questa volontà, meramente autoreferenziale, a permettergli di riorganizzarsi, pur
dovendo modificare profondamente il proprio modus operandi. Ad ogni modo, la forsennata
lotta per la sopravvivenza di quel progetto fece si, a detta di Wunshik, che i suoi fautori non si
resero pienamente conto della sconfitta politica subita nel '77, circostanza che dovette stare
alla base della determinazione con cui i membri rimasti in libertà ripresero ad attaccare.104
Nel giro di alcuni anni, dopo aver oltretutto subito una perdita consistente nella base dei
102Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., p. 75.103Klaus Pflieger, op. cit., p. 112.104Tobias Wunschik, op, cit., p. 184.
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militanti, dieci dei quali avevano deciso di abbandonare la lotta armata e riparare nella Ddr,
nel maggio 1982 il gruppo pubblicò il comunicato programmatico “Guerrilla, Widerstand und
antiimperialistische Front”. Lo scritto si collocava nella tradizione dettata da Meinhof e
Mahler sulla necessità di condurre una guerra antimperialista, ma presentava un elemento di
novità non irrilevante, che può a tutti gli effetti essere interpretato come una velata
ammissione di “ritirata”: la prospettiva internazionale assumeva carattere totalizzante, e si
affermava che non fosse possibile condurre una guerriglia armata nella Germania federale,
data la condizione “non matura” del proletariato urbano. L'invito, o meglio la chiamata alle
armi, rivolto a tutti i gruppi europei dediti alla guerriglia era quello ad unirsi in un comune
fronte antimperialista, prendendo di mira le istituzioni della Nato nei rispettivi paesi.105
I quadri più rappresentativi del gruppo, quei membri che da più lungo tempo portavano avanti
il progetto della Raf, vennero arrestati nello stesso anno, segnando la fine della seconda
generazione: il 26 ottobre 1982, un cercatore di funghi scopriva casualmente un arsenale del
gruppo, rivelatosi poi essere il principale di quelli a sua disposizione, in una foresta nei pressi
di Heusenstamm. L'11 novembre, Brigitte Mohnhaupt ed Adelaide Schulz vengono arrestate
dalla polizia mentre depongono nuove armi al suo interno. Cinque giorni dopo, anche
Christian Klar viene arrestato106. Con lui finisce in carcere l'ultima delle menti della seconda
generazione, senza che questo costituisca però la fine della storia dell'organizzazione.
I membri ancora in libertà condussero nel corso degli anni '80 una serie di attacchi contro
istituzioni e personalità del mondo militare e politico, concentrando le proprie attenzioni sulle
istituzioni Nato in Germania ovest e promuovendo un'europeizzazione del fronte di lotta,
strategia che condusse nel 1984 alla fusione con il gruppo francese di Action Directe. In
realtà, la cooperazione tra le due organizzazioni non andò mai oltre il livello simbolico; il 25
gennaio 1985, Action Directe uccide René Audran, direttore per gli affari internazionali della
delegazione generale per gli armamenti del Ministero della difesa francese. Il volantino di
rivendicazione porta la firma del “Kommando Elisabeth von Dyck”, e indica come il gruppo
francese avesse in un certo qual senso raccolto l'invito lanciato dalla Raf nel“Mai Papier”.
All'omicidio, segue un comunicato comune tra i due gruppi dal titolo “Für die Einheit der
Revolutionäre in Westeuropa”107. Raf ed Action Directe annunciavano la nascita di un comune
105Kai Lemler, Die Raf im Kontext des internationalen Terrorismus, pp. 132-145.106Klaus Pflieger, op. cit., p. 133.107Per l'unità dei rivoluzionari nell'Europa dell'ovest.
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fronte antimperialista su suolo europeo, mettendo in scena un atto fortemente simbolico di
autorappresentazione che Tobias Wunshik non ha esitato a definire esagerato108, in relazione
all'effettiva consistenza numerica dei due gruppi, i cui militanti si attestavano nel 1985 ben
sotto la soglia delle cento unità.109 Da questo momento in poi, e fino allo smantellamento di
Action Directe nel 1987, gli attentati della Raf porteranno le firme di entrambe le
organizzazioni.
Le caratteristiche di questa terza generazione dell'organizzazione sono state descritte in
maniera approfondita dallo storico dell'università di Regensburg Alexander Strassner, che
nell'opera del 2003 “Die dritte Generation der Raf. Entstehung, Struktur, Funktionslogik und
Zerfall einer terroristischen Organisation” ne offre una lettura basata sui caratteri che
differenziarono questo (in parte) nuovo gruppo dalla seconda generazione, ancora legata ai
principi enunciati dai leader storici e i quali ancora perseguivano un obiettivo, la loro
liberazione, insignito di una valenza politica.
I parametri di valutazione proposti dall'autore fanno riferimento ai quattro concetti di base di
“Entideologisierung”, “Isolierung”, “Professionalisierung” ed “Internationalisierung”.110
Col primo termine si è voluto indicare la sostanziale mancanza di tematiche prettamente
ideologiche negli scritti pubblicati a partire dal 1984. Se, come abbiamo appena descritto, la
liberazione dei compagni detenuti rappresentò l'obiettivo essenziale dei successori del gruppo
fondatore, con la morte di questi e la nascita del mito della “notte della morte di Stammheim”
venivano a verificarsi due ordini di conseguenze: cadeva ogni obiettivo politico, ma nasceva
un mito destinato ad attrarre nuovi membri, fattore che sembra aver giocato un ruolo di primo
piano nella sopravvivenza dell'organizzazione alla dura sconfitta dell'Offensive 77.
La nuova generazione di terroristi fa del “primato della pratica” la propria ragion d'essere. Il
concetto era presente già in Meinhof e Mahler, nei quali scritti costituiva certamente un punto
fermo dell'azione del gruppo, ma con la terza generazione questo aspetto assume ora
caratteristica di esclusività. Le prime due generazioni della Raf avevano scelto gli obiettivi dei
propri attacchi basandosi sul criterio della rappresentazione simbolica del sistema attraverso la
vittima111 (così Schleyer rappresentava ad esempio quella classe politica di provenienza
nazista che ora, ricoprendo ruoli di responsabilità e potere nella Repubblica federale,
108Tobias Wunscik, op. cit., p. 404.109Klaus Pflieger, op. cit p. 144.110Alexander Strassner, Die dritte generation der Raf. Entstehung, Struktur, Funktionslogik und Zerfall einer
terroristischen Organisation, Vs Verlag fuer Sozialwissenschaften, Wiesbaden, 2003, pp. 278-324.111Ibd., p. 278.
55
costituiva un legame di continuità tra i comuni caratteri repressivi della dittatura e dello Stato
moderno). In quest'ottica, gli efferati omicidi perpetrati dalla terza generazione, di cui molti
portati avanti con una finalità puramente pratica, come nel caso dell'omicidio del ventenne
soldato statunitense Edward Pimental, non potevano trovare alcuna giustificazione ideologica,
né tantomeno favorire l'accrescimento del consenso intorno alle azioni del gruppo. Pimental
venne adescato il 7 agosto del 1985 in un nightclub di Francoforte da Birgitte Hogefeld,
condotto in un bosco ed ucciso con un colpo alla testa, allo scopo di sottrarne il pass personale
per poter accedere alla base aerea Nato di Reno-Meno. Il giorno seguente, un'autobomba
esplose nel piazzale della base uccidendo un militare, una donna, e provocando 17 feriti.
L'azione venne rivendicata in comune con Action Directe. L'omicidio Pimental venne
duramente criticato sulle pagine del TAZ (Berliner Tageszeitung) del 15 agosto. Il 25 agosto,
la Raf pubblicò un comunicato dove giustificava debolmente l'omicidio, adducendo finalità
pratiche (la necessità di ottenere il suo pass).112
Per quanto riguarda i parametri di Isolierung e Profesionalisierung, si è già detto di come la
Raf godesse agli albori degli anni '80 di una cerchia di simpatie estremamente ristretta,
essendosi ormai interrotto ogni legame tra il gruppo e gli ambienti della sinistra
extraparlamentare tedesca. Le aspirazioni internazionalistiche della Raf avevano condotto ad
un totale abbandono di tematiche nazionali, rappresentando al contempo la causa e l'effetto
del suo progressivo isolamento.113Nella sostanza, le operazioni della terza generazione non si
andarono mai a collocare in una strategia organica volta a migliorare le condizioni di vita
della classe lavoratrice tedesca. A questi fattori si aggiunse un comportamento di estrema
cautela da parte dei membri del gruppo, giustificato dagli arresti dell'82 e dell'estate '84, che si
tramutò in un sempre più rigorosa osservanza delle regole della clandestinità e condusse ad un
sempre minor numero di arresti, andando di contro ad aggravare la già citata situazione di
isolamento.114 Diretta conseguenza di questa rinnovata cautela fu un accentuato processo di
professionalizzazione terroristica: gli attentati compiuti nel corso degli anni '80, perlopiù
dinamitardi, vennero pensati e realizzati per ridurre quanto più possibile i rischi di un
arresto.115
All'inizio degli anni '90, la Raf si trova ad operare in un quadro geopolitico completamente
mutato. L'Urss cessa di esistere, la Ddr si dissolve nel processo di riunificazione tedesca, i112Klaus Pflieger, op. cit., p. 146.113Alexander Strassner, op. cit., pp. 283-290.114Tobias Wunschik, op. cit., p. 406.115Ibd., p. 407 e Alexander Strassner, op. cit., pp. 291-297.
56
membri del gruppo che ivi risiedevano vengono arrestati. La Wiedervereinigung viene bollata
col termine di “annessione” della Ddr da parte dell'imperialista Repubblica federale,116
dichiarazione a cui la Raf fa seguire pochi mesi dopo il suo ultimo omicidio, quello del
direttore del Treuhandanstalt117 Detlef Carsten Rohwedder.
L'omicidio Rohwedder segna la conclusione dell'esperienza militare della Raf: questa, pur
continuando formalmente ad esistere e dichiarando il proprio autoscioglimento solo il 4 aprile
1998, pubblica il 10 aprile 1992 un documento, redatto dagli illegali e accettato dai membri
in carcere, tra cui quadri di primo piano della seconda generazione come Christian Klar e
Brigitte Mohnhaupt, dove si rinuncia ad un'ulteriore escalation dello scontro, prendendo atto
delle mutate condizioni politiche seguite alla fine della guerra fredda. Il crollo dell'Urss, il
fallimento della rivoluzione antimperialista mondiale e l'amara constatazione di non essere
più in grado, come organizzazione, di attrarre a sé nuovi membri, conducono la Raf alla
decisione di interrompere le proprie azioni, tuttavia alla condizione che i membri ancora in
carcere vengano liberati. Se quindici anni prima la seconda generazione aveva perseguito
l'obiettivo della liberazione dei prigionieri politici per mezzo di azioni violente, sequestri ed
attacchi dinamitardi, stavolta la rivendicazione assumeva i connotati di un debole ricatto: se la
richiesta non fosse stata accolta, gli attacchi sarebbero ricominciati. Consapevole della propria
debolezza, l'organizzazione cerca in sostanza di pervenire quantomeno ad un minimo
risultato.118
Ad incidere sulle sorti del gruppo contribuisce all'inizio degli anni '90 il fenomeno della
dissociazione. Ispirandosi alla situazione italiana, dove la legge sulla dissociazione aveva
favorito nel corso degli anni '80 la lotta al terrorismo, il 9 giungo 1989 il governo tedesco
promulga una legge di simile tenore, prevedendo un consistente sconto di pena per quei
terroristi o ex-terroristi che si fossero dichiarati pronti ad abbandonare o rinnegare la lotta
armata, nonché a fornire informazioni sui membri ancora attivi del gruppo, “scomparsi dallo
schermo radar” proprio in virtù della crescente cautela osservata.119
Il primo a beneficiare della nuova legge è Werner Lotze, uno dei dieci Aussteiger, costituitosi
di propria spontanea volontà nel Luglio 1990 e seguito poco dopo da Inge Viett, Monika
Helbing, Silke Maier Witt, Henning Beer, Sigrid Sternbeck e Ralf Baptist Friedrich.
Il 6 gennaio 1992, il ministro della giustizia federale Klaus Kinkel propone di scarcerare quei116Tobias Wunschik, op. cit., p. 408.117Ente federale per la privatizzazione delle imprese pubbliche della ex-Ddr.118Tobias Wunschik, op. cit., p. 410.119Klaus Pflieger, op. cit., p. 167.
57
terroristi condannati all'ergastolo e in cella già da lungo tempo che accettassero di
abbandonare per sempre il progetto di lotta armata. Nel novembre dello stesso anno sette
membri detenuti fanno richiesta di scarcerazione, dopo aver scontato oltre quindici anni di
pena. La richiesta viene accolta dal governo federale e nel corso del 1994 numerosi ex-
terroristi vengono rilasciati.
Il fenomeno della dissociazione conduce ad una rottura nel gruppo. Una frazione dei detenuti,
costituita sostanzialmente dai membri della seconda generazione e con a capo Brigitte
Mohnhaupt, critica duramente i compagni dissociati in una lettera diffusa il 28 ottobre 1993,
accusandoli di aver tradito la storia dell'organizzazione e di aver trattato con lo Stato.
La fine non tarda ad arrivare: alla fine di maggio del 1996, Helmut Pohl auspica uno
scioglimento del gruppo, prendendo atto del fatto che il contrasto tra illegali e prigionieri non
abbia condotto all'auspicata trasformazione della Raf in una forza politica rivoluzionaria. Non
potendo in alcun modo essere rifondata, il suo progetto deve concludersi.120
La risposta dei membri ancora in clandestinità arriva per mezzo di un comunicato all'agenzia
di stampa Reuters, due anni dopo. Il 20 aprile del 1998 la Raf cessa ufficialmente di esistere,
lasciando dietro di sé trentaquattro vittime, che diventano trentasette se vi si aggiungono
quelle provocate dalle azioni della Bewegung 2 Juni, confluita nella Raf nel 1978.121
2.2.3. La risposta dello Stato.
Ai fini di una trattazione che si propone di analizzare nel dettaglio metodi e forme
d'intervento degli apparati repressivi nei confronti del terrorismo rosso nei contesti presi in
considerazione, allo scopo di introdurre poi un discorso che veda come protagoniste quelle
stesse formazioni di lotta armata e i loro rapporti o meno con un'intelligence del blocco
comunista, un aspetto fondamentale è rappresentato proprio dalla descrizione delle modalità
con cui gli apparati dei Paesi dove il fenomeno si manifestò si rapportarono alle suddette
formazioni.
Per la Germania, un quadro d'insieme è stato composto dal già ripetutamente menzionato
storico e collaboratore del BStU Tobias Wunschik, in un articolo apparso nel 2008 sulla
rivista “Ricerche di Storia Politica”, nel quale l'autore mette a confronto le metodologie della
lotta al terrorismo nei due diversi contesti tedeschi. E' sulla sua sintetica ed esemplificativa
120Ibd., p. 178.121Ibd., p. 183.
58
trattazione che si sviluppa questo breve paragrafo.
In Germania, la lotta al terrorismo fu portata avanti in prima istanza dalle forze di polizia, che
procedettero per mezzo di indagini ufficiali e riservate. Sul piano legislativo, ci si mosse nella
direzione di attribuire al ramo esecutivo nuove competenze, circostanza che diventa evidente
nel caso della legge sull'associazione terroristica. Questo comportò un accentramento, un
rafforzamento, una centralizzazione ed una specializzazione delle forze di polizia, la cui
consistenza numerica aumentò di circa il 40% tra il 1970 e il 1980.122 La polizia tedesca si
avvalse con successo, soprattutto nella seconda metà degli anni '70, delle pratiche accurate di
censimento dei fiancheggiatori, e il compito venne agevolato dalla collaborazione spontanea
degli affittuari dei combattenti clandestini, che spesso denunciavano gli inquilini e che
portarono a numerosi arresti. Nonostante ciò, gli organi di polizia mostrarono sempre delle
lacune, portando in qualche caso alla fuga di elementi di spicco della Raf.
Parallelamente, gli apparati d'informazione vennero gradualmente riorganizzati e coinvolti
nelle operazioni. Nel giugno 1972, il Verfassungsschutz (servizio per la difesa della
costituzione) assunse ufficialmente le competenze relative all'impiego degli strumenti di
acquisizione delle informazioni, vedendo crescere i propri effettivi dai 2200 del 1968 alle
circa 8000 unità del 1980.123 Si creò una situazione caratterizzata da forti limitazioni dei
compiti tra polizia e servizio, laddove quest'ultimo doveva investigare senza l'autorità della
seconda, e la seconda doveva perseguire i crimini, pur essendo spesso chiamata a prevenirli,
dando vita a frequenti incertezze nelle decisioni e conflitti. Nella lotta al terrorismo, il
Verfassungsschutz si avvalse principalmente di mezzi tradizionali quali le intercettazioni
telefoniche, mentre l'utilizzo di infiltrati e informatori si rivelò sempre molto problematico:
gruppi come la Raf, l'identità dei cui membri era spesso ignota e i quali agivano in forma,
come si è visto, strettamente cospirativa, offrivano un ristretto margine d'azione.124
Wunschik cita a titolo d'esempio il caso di Klaus Steinmetz, considerato l'informatore di
maggior spicco negli ambienti della Raf. Vicino agli ambienti dell'estrema sinistra, Steinmetz
viene ingaggiato dal servizio per la difesa della costituzione della Renania-Palatinato già nel
1971. Nel febbraio 1972 viene contattato dalla clandestinità da Birgit Hogefeld che tentava di
riorganizzare il gruppo dopo i primi arresti, cercando un dialogo con l'ambiente della sinistra
122Tobias Wunschik, I servizi segreti e il terrorismo di sinistra nella Repubblica federale e nella Ddr, in“Ricerche di Storia Politica” n° 3\2008, il Mulino, Bologna 2008, p. 311.
123Ibd., p. 313.124Ibd., p. 313.
59
estrema. La sua collaborazione portò all'identificazione di Hogefeld ed altri membri, ma il suo
caso resta una fortunata eccezione.
Si è detto di come nel corso degli anni '80 la Raf fosse andata incontro ad un sempre più
marcato isolamento, accentuato ulteriormente proprio dalla rinnovata cautela ed adesione alle
regole della clandestinità. Questa circostanza rese più difficili le indagini della polizia, che
mutò la propria strategia tentando di separare autori di reati disponibili alla collaborazione dai
loro gruppi nel tentativo di dar vita a fenomeni diffusi di dissociazione, ma anche questa
iniziativa riportò un successo solo parziale, data la refrattarietà dei terroristi a denunciare
compagni ancora in libertà.125 Una spinta decisiva in questo senso fu rappresentata dalla
promulgazione, nel 1989, del regolamento per i collaboratori di giustizia, che riduceva le pene
di un terzo per coloro i quali si fossero dimostrati disponibili a fornire indizi utili
all'identificazione e cattura dei membri ancora in attività. Di tale regolamento usufruirono
principalmente gli Aussteiger, da tempo fuori dalle vicende e arrestati nella Ddr nel corso del
1990, mentre i terroristi detenuti si mostrarono poco propensi a ricevere ricompense per il
tradimento dei propri compagni.126
2.3. In Italia: le Brigate rosse.
2.3.1. Il '68 italiano. Movimento operaio, rivolta studentesca e culture a confronto.
La violenza politica in Italia si dispiegò con intensità e durata del tutto peculiari nello scenario
europeo, peculiarità dovuta ai tratti specifici assunti nel nostro paese dalla mobilitazione
giovanile e sociale sviluppatasi in Europa e negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli
anni '60, nonché ai contesti e le culture sociali che alimentarono quei movimenti e il loro
radicalismo. Se, fino a questo momento, il tentativo di dare una risposta ai numerosi
interrogativi sull'origine e le caratteristiche della violenza politica italiana hanno alimentato
una vasta letteratura, che ha tuttavia visto prevalere testi di carattere giornalistico o
pubblicistico, nonché memorialistico, la ricerca storica propriamente detta è invece in
consistente ritardo, e questo nonostante istituzioni come l'Istituto Cattaneo abbiano dedicato
già a partire dal 1981 un'attenzione specifica alle vicende storiche delle organizzazioni
armate.127 Tra le opere di recente pubblicazione che hanno tentato di colmare questa lacuna
125Ibd., p. 317.126Ibd., p. 317.127Emmanuel Betta, Violenza politica e anni settanta in “Contemporanea” a. XVI, n. 4 ottobre-dicembre 2013,
60
meritano menzione in primis (in un'ottica di studi comparativi dei terrorismi nei due paesi) il
già citato volume curato da Cornelissen, Mantelli e Terhoeven, nonché la raccolta di saggi a
cura di Simone Neri Serneri “Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra
radicale degli anni Settanta”, edita nel 2012 dalla casa editrice bolognese il Mulino, che offre
una rassegna di contributi utili a comprendere meglio alcuni dei fattori che concorsero alla
scelta, operata da una parte consistente del mondo dell'estrema sinistra, di passare alla
clandestinità e sposare l'idea di un abbattimento violento del sistema politico vigente.
Le tensioni in Italia, il meno sviluppato dei paesi capitalistici Europei, riflettevano da un lato
l'inadeguata redistribuzione di un accresciuto benessere, dall'altro furono il frutto
dell'inadeguatezza delle classi dirigenti nel fronteggiare e governare le aspettative scaturite dai
cambiamenti epocali cui il paese era andato incontro nel corso di una sempre più accentuata
industrializzazione.128
Il divampare della violenza politica fu, secondo quanto ha sostenuto Neri Serneri, il sintomo
estremo di una crisi del sistema politico imperniato sui partiti di massa e, al tempo stesso, il
banco di prova della loro capacità di rinnovamento. Una prova sostanzialmente fallita, se è
vero che il dispiegarsi della violenza politica valse ad arginare la profonda crisi di prospettiva
e proposta in cui versava il partito di governo, costringendo l'opposizione comunista a
legittimarsi sul terreno della difesa delle istituzioni anziché portare avanti un serio programma
di riforme strutturali della società italiana.129
Il '68 italiano fu il completamento di un processo iniziato nel dopoguerra. Esso segnò il
manifestarsi di istanze e tensioni scaturite dagli stessi processi che avevano trasformato
radicalmente le società postbelliche e costretto le sue culture a rifondarsi, per dare un senso e
un ordine al mondo nuovo davanti al quale ci si trovava. In Italia, la constatazione che a
guidare il processo di rinnovamento fossero sostanzialmente ancora delle elite ristrette,
nonché in gran parte eredi di un passato, il ventennio fascista, che ancora aleggiava
pesantemente sulla storia della giovane democrazia, portò allo svilupparsi di un movimento
che faceva della parola chiave dell'antiautoritarismo il proprio cavallo di battaglia. Questo
contribuì ad espandere il conflitto in tutti quegli ambiti ove fosse percepita la presenza di
Il mulino, Bologna 2012.128Simone Neri Serneri, Contesti e strategie della violenza e della militarizzazione nella sinistra radicale, in
Simone Neri Serneri (a cura di) Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra radicale deglianni settanta, Il Mulino, Bologna 2012, p. 13.
129Ibd., p.15.
61
un'autorità coercitiva delle libertà personali: la scuola, il lavoro, la famiglia.130
In Italia, questi fattori trovarono espressione in una mobilitazione sociale particolarmente
ampia, che nel biennio '67-'69 andò a coinvolgere e vide confluire in forme organizzative
comuni componenti molto eterogenee della società, portando alla fusione delle proteste
studentesche e giovanili con le rivendicazioni operaie. Le lotte sindacali per il rinnovo del
contratto, radicalizzatesi nel '69 e portate avanti da una classe operaia relativamente giovane e
meno intenzionata che in passato a lasciar condizionare la propria vita dal lavoro di fabbrica,
vengono “autogestite” e incontrano il movimento studentesco, portando alla nascita dei
“collettivi operai-studenti”; il movimento operaio gestisce le sue lotte in autonomia, fuori dai
dettami dei propri referenti storici, sindacati e Pci. Tuttavia, il riflusso di queste lotte entro i
canali sindacali, tramite un'azione di recupero volta a riabilitare il ruolo del sindacato in
qualità di mediatore delle proteste operaie rappresentò, nell'autunno del '69, la sconfitta delle
sinistre rivoluzionarie, ampiamente presenti negli ambienti di fabbrica. Inoltre, il clima di
mobilitazione generale dell'autunno '69 aveva contribuito a favorire il ritorno, nella classe
media italiana e tra i ceti dirigenti, di timori nei confronti di ulteriori spostamenti a sinistra
dell'asse politico. In questo contesto, la situazione si rese allarmante anche agli organi
dell'alleanza atlantica, portando all'esecuzione della strategia della tensione. Le lotte, invece
che tramutarsi in una spinta decisiva verso l'ulteriore apertura del sistema politico-
istituzionale, finirono per provocarne la paralisi, ponendo tutte le premesse per la chiusura
definitiva dell'esperienza riformatrice del centro-sinistra e per la lunga crisi degli anni '70.131
Un discorso sulla violenza politica e la lotta armata non può prescindere dal rapporto di questa
con le culture dominanti nel contesto italiano, quella marxista e quella cattolica.
Marco Scavino ha messo in luce come tutta la sinistra estrema traboccasse, all'inizio degli
anni '70, di retorica rivoluzionaria, e di come all'interno di questa retorica una ruolo non
indifferente fosse ricoperto dalla non esclusione a priori dell'uso della forza.132 Su tutti, pesava
la consapevolezza di avere di fronte a se uno stato permeato a tutti i livelli di tentazioni
autoritarie, che copriva il terrorismo neofascista ed agiva in una condizione di sovranità
limitata dalle esigenze strategiche dell'imperialismo statunitense.133 All'indomani del '68-69,
130Ibd., p. 19.131Marco Scavino, La mobilitazione dei lavoratori industriali in Italia nel biennio 1968-1969, in Cornelissen,
Mantelli, Terhoeven (a cura di), op. cit., pp. 147-165.132Marco Scavino, La piazza e la forza. I percorsi verso la lotta armata dal Sessantotto alla metà degli anni
settanta, in Simone Neri Serneri (a cura di ), op. cit., pp. 117-203.133Ibd., p. 137.
62
quando cioè il movimento era già in forte riflusso, si sviluppò sempre più un discorso sulla
lotta armata, che sembrava essersi resa necessaria in virtù dello stragismo di Stato.
Piazza Fontana, che nella riflessione storiografica e memorialistica sulle vicende che stettero
all'origine della lotta armata rappresenta una chiave di svolta nella riflessione e che viene
spesso considerata nella costruzione del mito della “perdita dell'innocenza”, rappresenta
ancora, a detta dello storico Marco Crispigni, il vero fattore di eccezionalità del '68 italiano.
Fu la miccia che, per Crispigni, innescò e fece esplodere quella bomba, la quale, fino ad
allora, si era palesata solo nella forma di una forte retorica rivoluzionaria, presente fin da
subito nel movimento, all'interno del quale la tradizione marxista rivoluzionaria rappresentava
la corrente maggioritaria. Lo stato risponde con le stragi alle richieste di cambiamento,
portando la prospettiva della violenza da un livello di non escludibile possibilità ad uno
ulteriore di necessità.134
Ad ogni modo, non tutti i gruppi della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria scelsero la
strada lotta armata. Gruppi come Lotta continua e Potere operaio svilupparono un tipo di
dibattito interno tale da costituire in un certo senso il retroterra politico-ideologico, ma anche
pratico organizzativo, di quasi tutte le esperienze combattenti che maturarono
successivamente. Se queste due organizzazione possono essere definite come movimentiste,
muovendo dal presupposto per cui alla fine del 69 ci si trovasse ancora in una situazione tale
da rendere la rivoluzione impraticabile, perché immatura, linea questa tenuta anche nel corso
degli anni '70 in aperta critica nei confronti delle Br, queste invece vollero alzare il livello
dello scontro attaccando lo Stato e svincolandosi così dal movimento.135 Ingaggiare uno
scontro diretto con lo stato in quanto organizzazione armata d'avanguardia e pretendere di
formare un “partito comunista combattente” dall'esterno dei movimenti di massa non
costituivano affatto una prospettiva valida, per quanti continuavano invece a cercare i modi
per coniugare strettamente la violenza di massa e quella d'avanguardia, le lotte sociali e le
azioni armate, la dimensione di movimento e quella del gruppo combattente.
Il dibattito dei rapporti tra la cultura cattolica e la lotta armata degli anni '70 affonda le sue
radici nel clima teso dei giorni del sequestro Moro. Se le Brigate rosse facevano parte del
“ritratto di famiglia” del Partito comunista italiano, Giorgio Bocca si era di contro domandato
134Marco Grispigni, La strage è di stato. Gli anni settanta, la violenza politica e il caso italiano, in Simone NeriSerneri (a cura di), op. cit., pp. 93-116.
135Marco Scavino, La piazza e la forza, p. 172.
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se non vi fosse una matrice religiosa alle origini del fenomeno brigatista, coniando il concetto
di “cattocomunismo”:
Si è trovato persino un nome per il padre del terrorismo rosso: cattocomunismo. Non solo perché alcuni dei
terroristi più noti […] sono stati cattolici praticanti […], ma per il modo totalizzante di porsi di fronte alla vita e
alla società, perché è cattolico e comunista il bisogno di risposte totali e definitive, il rifiuto del dubbio, la
sostituzione del dovere ragionato con la fede, il bisogno della Chiesa di autorità, di dogma, giustificato dal
solidarismo sociale, e l’attesa dell’immancabile paradiso, in cielo o in terra. […] I “cristiani del dissenso”, quelli
che vogliono il vangelo in terra, non conoscono tappe intermedie, non approdano a partiti laici o liberali, vanno
di filato in un’altra chiesa, marxista-leninista. Il cattocomunismo infatti non è soltanto il padre del terrorismo
rosso, è anche la contraddizione di fondo di una nazione, l’italiana, messa insieme dalla borghesia laica e
risorgimentale, con una cultura costruita dai laici liberali o socialisti; che nel 1948, improvvisamente, alla prova
della democrazia di massa, del voto universale, scopre di essere cattolica e comunista e consegna la costruzione
della democrazia a un partito di governo, la Dc, e a uno di opposizione, il Pci, entrambi di tradizioni e di cultura
antidemocratiche.136
In tempi più recenti, questo dibattito si è arricchito dell'apporto fornitogli dalle opere di Guido
Panvini, ricercatore dell'università della Tuscia, prima in un articolo del 2012, intitolato
“Cattolici e violenza politica” e pubblicato nel 2012 dalla casa editrice Aracne all'interno del
volume curato da Vincenzo Schirripa “L'Italia del Vaticano II”, poi nel 2014 con la
pubblicazione del volume monografico “Cattolici e violenza politica. L'Altro album di
famiglia del terrorismo italiano”, edito da Marsilio.
Panvili indaga il rapporto tra violenza e cultura cattolica negli anni '60 e '70, mostrando come
la concezione etico-teologica della violenza e la liceità morale del suo ricorso furono temi
ampiamente circolanti nei diversi ambiti del cattolicesimo politico e sociale degli anni '60,
decennio in cui si assiste ad una ripresa dell'antiautoritarismo cattolico erede della Resistenza,
in una nuova accezione di stampo anticomunista. Il campo sembrò dividersi tra quanti si
proponevano di respingere il comunismo con riforme istituzionali e quanti con mezzi illegali.
Gli esecutivi di centro-sinistra al governo negli anni '60 avevano rappresentato per molti
l'anticamera della dittatura sovietica, spingendo così numerosi cattolici verso l'estrema destra
reazionaria e stragista.137
Un percorso di mobilitazione inverso sembra essere invece quello percorso dagli elementi
136Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano, 1970-1978, Rizzoli, Milano 1978, p. 24.137Guido Panvini, Cattolici e violenza politica. L'Altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio
Editori, Padova 2014, p. 7.
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cattolici che si avvicinarono alla lotta armata “rossa”. Il Concilio Vaticano II aveva spostato la
lente d'ingrandimento sui popoli sfruttati del terzo Mondo, mettendo a nudo le contraddizioni
del sistema capitalistico anche di fronte al mondo cattolico. Nell'enciclica Populorum
Progressio, Paolo VI ammetteva che, di fronte ai progressi dell'economia e della scienza, la
povertà in quei territori non fosse più tollerabile e la ribellione, anche armata, diveniva uno
stato di necessità, teologicamente giustificata dalla stessa dottrina della Chiesa.138 Nonostante
la moderatezza dei toni, l'enciclica del '67 venne interpretata da molti militanti cattolici come
il segno che il vero pericolo per l'umanità provenisse dal capitalismo, anziché dal comunismo.
Si diffuse la percezione, così Panvini, che “un nuovo potere si stesse impossessando della
terra”139, che “la società dell'opulenza avesse allontanato gli uomini dalla fede” in
un'inarrestabile spirale di “scristianizzazione” del genere umano. Questo potere stava
portando miseria e distruzione nel terzo Mondo, e cerando forme inedite di povertà nelle
società occidentali.
Ci si domandò allora se non fosse lecito ricorrere alla violenza per arginare la deriva in corso,
prendendo esempio da quanto accaduto in America Latina a partire dai primi anni '60, dove
molti religiosi cristiani avevano sposato la Teologia della liberazione e imbracciato le armi
contro le dittature. Risulta evidente, ad un'analisi più approfondita, come questa serie di fattori
abbia influito profondamente nei singoli percorsi di mobilitazione seguiti dai cattolici durante
le proteste sociali della fine del decennio, portandoli in un numero di casi non irrilevante a
stringere contatti con il mondo del marxismo, predominante nel movimento del '68, e ad
imbracciare il fucile contro lo Stato nella sua veste di “filiale” dell'imperialismo.140
La durata temporale del fenomeno, che subì un'escalation durante tutto il decennio 70
raggiungendo il suo apice in concomitanza del movimento del '77, risultò strettamente
connessa da un lato all'incapacità della classe dirigente italiana di guidare il paese attraverso
un cambiamento epocale, dall'altro dalla recrudescenza dello stragismo neofascista durante
tutti gli anni '70, un fenomeno “in attesa di sistemazione storiografica” secondo la definizione
di Aldo Giannuli, il quale ha posto l'accento sulla situazione attuale degli studi in materia di
terrorismo nero, estremamente lacunosi se paragonati a quelli sulla lotta armata
rivoluzionaria, dove si produce un'asimmetria vistosa, in virtù delle numerose pubblicazioni
138Ibd., p. 8.139Ibd., p. 8.140Guido Panvini, Cattolici e violenza politica, in Vincenzo Schirripa (a cura di), L'Italia del Vaticano II,
Aracne, Roma 2012.
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uscite per mano di magistrati e studiosi che si sono occupati di terrorismo rosso.141 Questa
tendenza si pone come sintomo della difficoltà a confrontarsi con un fenomeno che godette di
ampio sostegno, da parte di settori non marginali della borghesia italiana, e i cui esecutori
materiali furono collusi con altrettanto importanti settori degli apparati di sicurezza, tanto
italiani quanto americani.142
2.3.2. Le Brigate rosse.
In questo contesto di forte conflittualità sociale si inserisce l'esperienza brigatista. Esse non
furono l'unica organizzazione a praticare la lotta armata in Italia, pur essendo quella che
meglio seppe strutturarsi e darsi obiettivi ambiziosi.143 Già nell'ottobre del 1969 nasceva a
Genova su iniziativa di Mario Rossi, Augusto Viel, Rinaldo Fiorani e Silvio Malagoli il
gruppo denominato XXII Ottobre, il quale si rese protagonista del primo episodio di lotta
armata sequestrando, il 5 ottobre 1970, l'imprenditore Sergio Gadolla, ed ottenendo il
pagamento di un riscatto di 200 milioni di lire.144
L'ondata di arresti seguita alla rapina all'Istituto autonomo case popolari (IACP) del 21 marzo
1971, nel corso della quale aveva perso la vita il commesso trentunenne Alessandro Floris,
portò già nel corso di quell'anno allo smantellamento del gruppo, i cui membri ancora in
libertà confluirono nei Gruppi di Azione Partigiana (GAP), fondati dall'editore e guerrigliero
Giangiacomo Feltrinelli a Milano nel 1969.
La formazione di Feltrinelli, fermamente convinto della necessità di organizzare una
guerriglia di resistenza in Italia in previsione di un imminente colpo di stato fascista, e i cui
timori si erano fatti più giustificabili in seguito alla strage di piazza Fontana e alla successiva
ondata di indagini ed arresti nel mondo della sinistra estrema, si contraddistingueva per una
concezione della lotta armata che, pur rifacendosi come modello originario alla guerra di
liberazione partigiana, si presentava come fortemente influenzata da elementi tipici della
teoria fuochista guevariana. Le testimonianze dei brigatisti hanno dimostrato il ruolo di “padre
spirituale” della lotta armata svolto dall'editore, amico personale di Fidel Castro e impegnato
141Aldo Giannuli, Stragismo, movimenti e sistema politico. Dalla strage di piazza Fontana all'attentato allastazione di Bologna, in Cornelissen, Mantelli, Terhoeven (a cura di), op. cit., pp. 249-265.
142Ibd., p. 252.143Marco Clementi, op. cit., p. 20.144Giorgio Galli, op. cit., p. 7.
66
in quegli anni ad intessere rapporti con la sinistra rivoluzionaria europea. Feltrinelli ipotizzava
un “esercito internazionale del proletariato” composto da “avanguardie strategiche
rivoluzionarie”, ispirandosi ai movimenti guerriglieri cubani, vietnamiti e all'esperienza
maoista e divenendo il maggior divulgatore in Italia della nuova tendenza rivoluzionaria
terzomondista, che sarebbe divenuta fonte ispiratrice del movimento del Sessantotto. La casa
editrice da lui fondata nel 1954 pubblicò scritti di Castro, Guevara, Mao, Ho Chi Minh, Giap
e altri leader e teorici rivoluzionari; in particolare, Feltrinelli diresse tra il 1962 e il 1967
l'edizione italiana di Tricontinental, organo bimestrale dell'Organizzazione di solidarietà dei
popoli d'Asia, Africa e America Latina, organismo sorto dopo la conferenza dell'Avana del
1966.145
Piazza Fontana convinse l'editore che i tempi fossero maturi per un golpe, e che solo la lotta
armata e il passaggio in clandestinità avrebbero potuto contrastare il corso degli eventi.
I primi contatti tra Feltrinelli ed il nucleo originario delle Brigate rosse vengono fatti risalire
da Curcio al 1968, anno in cui il fondatore dell'organizzazione militava negli ambienti intorno
a Sinistra proletaria e del Collettivo Politico Metropolitano (CPM).146
Le prime due brigate nascono ed operano nei due grandi complessi industriali milanesi della
Pirelli e della Sit-Siemens, in un contesto politico che nella primavera del '70 ha visto
approvare lo Statuto dei lavoratori, una delle più grandi conquiste dei mondo operaio nel
secondo dopoguerra, ma che coincise con una profonda ristrutturazione nelle fabbriche del
nord, che portò al taglio di molti posti di lavoro e provocò la ripresa, nel luglio di quello
stesso anno, di una durissima lotta operaia.147
La prima azione firmata Brigata rossa fu compiuta il 17 settembre 1970 contro l'auto del
manager della Sit-Siemens Giovanni Leoni, in seguito alla quale venne diffuso il comunicato
n. 1 intitolato “Repressione, Capi, Capetti, Fascisti”. Il volantino denunciava il tentativo della
dirigenza aziendale di reprimere la classe operaia attraverso licenziamenti, denunce e l'uso di
manovalanza di destra per intimorire le maestranze. Già a partire dal primo volantino,
risultano evidenti alcuni tratti caratteristici del brigatismo: una lettura della società divisa in
classi, ereditata dalla tradizione marxista-leninista; l'antifascismo; il legame con il contesto
operaio, soggetto rivoluzionario per eccellenza di cui le Br cercarono le simpatie, e dal quale
145Francesco M. Biscione, Giangiacomo Feltrinelli, Enciclopedia Treccani, www.treccani.it (visto il17.12.2015).
146Cfr Mario Scialoja, Renato Curcio (a cura di), A viso aperto. Vita e memorie del fondatore delle Br,Mondadori, Milano 1993.
147Marco Clementi, op. cit., p. 18.
67
trassero a lungo la linfa vitale che le permise di esistere.
Il linguaggio del gruppo si caratterizzò fin da subito per i richiami all'esperienza della
Resistenza, di cui si proponeva di continuare l'opera incompiuta: la rivoluzione, a cui il Partito
comunista italiano aveva voltato le spalle nel corso della sua “lunga marcia verso le
istituzioni”. Il collegamento con la guerra partigiana rappresenta, soprattutto fino all'arresto
dei leader storici Alberto Franceschini e Renato Curcio nel 1974, una tematica imprescindibile
nel linguaggio brigatista, nonché un riferimento simbolico ed autolegittimante dell'azione del
gruppo.
Le prime azioni brigatiste consistono in piccoli atti di giustizia proletaria, strettamente
connessi al mondo di fabbrica, durante i quale vengono danneggiati beni materiali
appartenenti a dirigenti d'azienda, ma l'escalation non tarda ad arrivare, e già nel corso del
1971 le Br escono dalle fabbriche, individuando due nuovi nemici della classe operaia: il
Movimento Sociale Italiano e la Democrazia cristiana, nel gergo brigatista “fascisti in camicia
nera e bianca”.148 Nel 1972, nel corso di una campagna contro l'elezione del democristiano
Giovanni Leone alla presidenza della Repubblica, vengono incendiate le auto di numerosi
dirigenti della destra nazionale, ma il vero punto di svolta viene raggiunto col primo
rapimento politico della storia dell'organizzazione. Il 3 marzo viene sequestrato brevemente il
dirigente della Sit-Siemens Idalgo Macchiarini. Caricato su un furgone Fiat 850, Macchiarini
viene sottoposto ad un rapido “processo popolare”, fotografato con una pistola puntata alla
testa e ed una sulla guancia, un cartello appeso al collo riportante la stella a cinque punte e la
scritta “Brigate rosse. Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne
cento. Tutto il potere al popolo armato”.
Tuttavia, l'area della sinistra extraparlamentare era già dall'anno precedente tenuta sotto stretta
osservazione. Dopo il sequestro Macchiarini, si decise di smantellare l'organizzazione,
ritenuta la più pericolosa tra quelle dell'estrema sinistra. Alla metà di marzo, la polizia arrestò
un folto gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, ma non poté trattenerli a lungo
perché la legislazione vigente non permetteva l'arresto preventivo. Molti dei rilasciati erano
brigatisti, come Giorgio Semeria ed Heidi Ruth Peusch.149
Il 15 marzo moriva Giangiacomo Feltrinelli durante un'operazione di sabotaggio, segnando la
fine dell'esperienza gappista. Le Brigate rosse condussero un'inchiesta, della quale
pubblicarono i risultati nel documento “Cronaca della morte del compagno Osvaldo”. Si
148Marco Clementi, op. cit., p. 34.149Ibd., p. 40.
68
concludeva che egli fosse morto per “imperizia”. Il compagno Osvaldo era salutato come
“autentico rivoluzionario”, e a lui si doveva il grande impulso dato alla conoscenza del Che
Guevara e alla riformulazione di una strategia che, attraverso Marighella e i Tupamaros,
spostò l'epicentro della rivoluzione dalla campagne ai grandi centri urbani.150
Il primo duro colpo, le Br lo subirono in seguito alla collaborazione dell'ex brigatista Marco
Pisetta con il servizio segreto italiano SID. Pisetta era stato arrestato nel marzo 1970 ed aveva
rilasciato ai carabinieri una serie di dichiarazioni che avevano condotto all'arresto di alcuni
militanti. Tornato in libertà, il 2 maggio del '72 egli viene arrestato di nuovo nell'ambito di
una vasta operazione contro l'organizzazione, che porta gli organi d'indagine a scoprire alcune
basi milanesi e ad arrestare una trentina di militanti, e tutto proprio grazie alla delazione del
suddetto. Mara Cagol, Alberto, Franceschini, Renato Curcio, Mario Moretti e pochi altri
sfuggono all'arresto, e nel corso del '73 l'organizzazione riesce a ricostituirsi e tornare in
attività.
Nel 1974, le brigate rosse decidono di “alzare il livello dello scontro”, nel contesto di una
strategia di ampio respiro che punta ora a disarticolare le strutture stesse dello stato. Viene
rapito a Genova il giudice Mario Sossi, responsabile dell'arresto dei membri della XXII
Ottobre. É il primo sequestro lungo della storia dell'organizzazione, e le Br pongono la
condizione della liberazione dei “compagni della XXII ottobre”.151 Evenienza che lo Stato
seppe evitare con uno stratagemma, fornendo in un certo qual senso il pretesto per quello che
sarà il comportamento intransigente tenuto dall'organizzazione nei giorni del sequestro Moro.
Questo “balzo in avanti” ricevette forti critiche da parte degli altri gruppi della sinistra
extraparlamentare, in particolare da parte di Lotta continua e Potere operaio, più propensi a
muoversi all'interno del movimento per indirizzarne e gestirne le istanze che non a condurre
azioni militari illegali. Come la Raf, anche le Brigate rosse si percepiscono come
un'avanguardia armata che guida ed orienta il partito, ma a differenza dei tedeschi i brigatisti
dispongono di una non pienamente definibile area di simpatizzanti all'interno delle fabbriche.
L'innalzamento del livello dello scontro e la progressiva fuoriuscita dal contesto di fabbrica,
in favore di una battaglia condotta contro quella Dc che i brigatisti identificano in toto con lo
Stato, porta ad una prima frattura tra questa avanguardia e la classe sociale di cui essa sostiene
di rappresentare gli interessi.
Tuttavia l'anno 1974 è stato identificato dalla storiografia recente come un anno di svolta, che
150Ibd., p. 41.151Ibd., p. 47.
69
segna l'acuirsi della violenza politica nel suo complesso, sia rossa che nera.152 Sul piano
nazionale ed internazionale, esso segna la fine della cosiddetta età dell'oro dell'economia
occidentale, inaugurata dalla grave crisi petrolifera del '73 e conclusasi con lo scandalo
Watergate e il crollo delle dittature fasciste in Portogallo, Grecia e Spagna.
In Italia si assiste ad un espansione del fenomeno della lotta armata, con la nascita dei Nuclei
Armati Proletari (NAP) e di tante altre formazioni caratterizzate da una marcata
estemporaneità. La crisi in cui i gruppi extraparlamentari erano andati incontro nel corso del
1973 aveva portato allo scioglimento di Potere operaio e al riversarsi di numerosi militanti
nelle file delle Br o del magmatico mondo dell'Autonomia operaia. Abbracciando una vasta
cerchia di circoli giovanili composti perlopiù da un proletariato urbano nuovo, prodotto della
crisi del '73 e che abbracciava studenti lavoratori e precari di settori marginali del terziario,
“l'Operaio sociale” teorizzato dal leader di Potere operaio Toni negri, contribuì a diffondere
l'illegalità di massa grazie al ruolo decisivo svolto dalle riviste legali “Senza tregua” e
“Rosso”, divenute dopo il sequestro Sossi punti di riferimento per gli ex militanti di Lotta
continua e Potere operaio.
Alcune delle formazioni derivate dal bacino dell'Autonomia confluirono nel '74 in Prima
Linea. Questa proponeva un modello di lotta armata alternativo a quello brigatista,
caratterizzato da movimentismo e iniziale rifiuto della clandestinità. Tramite un riadattamento
dell'operaismo di Lotta continua al nuovo contesto sociale, il gruppo teorizzava l'identità tra
massa ed avanguardia, in contrasto alla visione brigatista che attribuiva questo ruolo al partito
armato.153
I primi omicidi delle Brigate rosse giungono quasi per caso, e non sono ancora il sintomo di
un ulteriore innalzamento del livello dello scontro. Il 17 giugno, durante un'azione contro una
sede dell'Msi a Padova rimasero uccisi, si dirà per inesperienza del brigatista che sparò, due
giovani militanti missini, circostanza che venne valutata come un errore in un volantino
successivo.154 Se Moretti descrive però questo episodio come una tragica fatalità, opinione
ripresa da Marco Clementi nel suo “Storia delle Brigate Rosse”, non è dello stesso avviso
Giorgio Galli, il quale riporta la notizia di un'esecuzione vera e propria, dimostrata dalla
presenza dei cadaveri stesi a terra e con le mani legate.155
152Monica Galfré, La lotta armata. Forme, tempi, geografie, in Simone Neri Serneri (a cura di), op. cit., pp. 63-91.
153Ibd., p. 80.154Mario Moretti, Carla Mosca, Adriana Rossanda (a cura di), op cit., p. 72.155Giorgio Galli, op. cit., p. 60.
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Alla metà di luglio di quello stesso anno, il ministro della Difesa Giulio Andreotti destituì un
gruppo di generali e ammiragli allo scopo, lo dichiarerà poi, di sventare un colpo di stato
previsto per il 10 agosto. Il 4 agosto, una bomba di provenienza neofascista esplose sul treno
Italicus, provocando 12 morti e 105 feriti, segnando un riacutizzarsi della strategia della
tensione.
I successivi arresti di Curcio e Franceschini rappresentarono uno dei maggiori successi
conseguiti dallo Stato italiano nei confronti del terrorismo brigatista. Tramite una sapiente
operazione d'intelligence, i carabinieri erano riusciti ad infiltrare nell'organizzazione Silvano
Girotto, un parroco conosciuto come “frate mitra” in virtù dei suoi trascorsi di guerrigliero in
America Latina. Questi condusse all'arresto dei due dirigenti del gruppo l'8 settembre 1974.
Moretti scampò all'arresto.156
La vicenda Girotto apre uno spiraglio su un punto cruciale dell'esperienza brigatista,
concernente il tema della risposta dello Stato al fenomeno: questa fu segnata da profonda
discontinuità, alternando grandi successi a momenti di estrema stagnazione. Ritengo si possa
considerare sostanzialmente valida l'impostazione proposta da Giorgio Galli, e confermata in
altra sede da Marco Clementi,157 secondo cui gli organi d'indagine e repressione furono
attraversati nel corso degli anni '70 dal manifestarsi di numerosi conflitti di competenze,
nonché dal manifestarsi di due tendenze in contrasto tra loro; quella cioè di chi avrebbe voluto
estirpare il brigatismo fin da subito e chi, nel tentativo di “destabilizzare” (il paese) per
“stabilizzare” avrebbe invece lasciato agire il brigatismo per un periodo di tempo
estremamente lungo e funzionalmente alla strategia della tensione.158
Il '75 fu un anno difficile, nel corso del quale le Br subirono numerosi arresti e dovettero
assistere alla morte di un altro membro del gruppo storico: il 5 giugno, Margherita Cagol
muore in uno scontro a fuoco con i carabinieri, giunti alla cascina Spiotta di Acqui Terme nel
corso delle ricerche della prigione dell'industriale Vallarino Gancia, sequestrato dalle Br a
scopi di autofinanziamento poche ore prima.
Sembra che l'organizzazione debba dissolversi definitivamente sotto i colpi degli uomini del
generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, ma il gruppo riesce nuovamente a
riorganizzarsi e ad attrarre a se nuovi militanti. Un successo l'organizzazione lo registra con la
liberazione di Renato Curcio, condotta da un commando guidato da Cagol poco prima della
156Ibd., p. 63.157Cfr Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Milano 2003.158Giorgio Galli., op. cit., p. 51.
71
sua morte.
Tuttavia, i nuclei di dalla Chiesa riescono già nel gennaio 1976 ad individuare il covo
milanese di via Maderno, grazie all'aiuto di un informatore, ed ivi trovano ed arrestano, dopo
una breve sparatoria, Nadia Mantovani e, di nuovo, Renato Curcio.
Il 1976 è anche l'anno che segna l'inizio del maxiprocesso al nucleo storico delle Brigate rosse
e della svolta politica operata dal Pci in favore della nuova idea berlingueriana di
Eurocomunismo, che significa in sostanza una completa rottura del Pci con Mosca e, nella
percezione brigatista, il completo abbandono dell'idea rivoluzionaria. Molti dei procedimenti
contro membri e simpatizzanti dell'organizzazione arrestati a partire dal 1972 vengono
riunificati, e il processo si apre a Torino il 17 maggio.
Il processo di Torino rappresenta un importante esempio di come le Brigate rosse sfruttassero
il piano simbolico nel tentativo di autolegittimarsi davanti allo stato e all'opinione pubblica. I
membri processati trasformarono il procedimento in un ”processo guerriglia”, cercando di
operare un'inversione dei piani che trasformi gli accusatori in accusati. Circa il processo, che
venne accompagnato all'esterno da una consistente azione di propaganda armata da parte dei
militanti in libertà, mi sembra di poter concordare con l'affermazione di Marco Clementi,
secondo cui esso segnò un mutamento nel modus operandi delle Br: le azioni brigatiste
iniziarono a non presentarsi più come espressione di uno scontro di classe, ma come uno
scontro aperto tra il gruppo e lo Stato, compiendo un ulteriore passo nel processo di
“scollamento” dell'avanguardia dalla sua base, quella operaia.159
A Torino, i brigatisti sotto processo revocarono il mandato ai difensori d'ufficio, dichiarandosi
combattenti comunisti e puntando al riconoscimento dell'esperienza brigatista come un
fenomeno politico, anziché criminale. In questo contesto prese forma e maturò l'omicidio, l'8
giugno, del procuratore generale di Genova Francesco Coco. Nel '74, Coco si era opposto alla
liberazione dei detenuti politici richiesta dalle Br nel corso del sequestro Sossi, e la sua
esecuzione venne rivendicata il giorno seguente in sede di processo. Per Moretti, questo fu il
punto in cui le Br iniziarono a perdere sempre di più ogni riferimento alla classe operaia: da
questo momento in poi, la “sola verifica della nostra linea starà nella capacità di metterla in
atto, riprodurci e durare.”160
Il 1977 segnò per l'Italia l'inizio di una nuova ondata di protesta sociale, sfociata in un vasto
movimento che vede nella contestazione al sistema dei partiti e della rappresentanza sindacale
159Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 147.160Mario Moretti, Carla Mosca, Rossana Rossanda, op. cit., p. 98, in Clementi, Ibd, p. 150.
72
la propria ragion d'essere. Il movimento del '77 fu caratterizzato da una violenza diffusa e
generalizzata, alla quale presero parte solo alcune categorie sociali e dalla quale la classe
operaia rimase sostanzialmente esclusa. Le Brigate rosse non presero parte a quegli eventi,
concentrandosi nel proseguire la propria offensiva contro lo Stato-Dc.
All'interno della strategia di disarticolazione dei poteri dello Stato, l'organizzazione brigatista
si pose in netto contrasto nei confronti dell'uso generalizzato della violenza, che nelle azioni
brigatiste veniva sempre debitamente modulata dal significato politico conferito all'obiettivo e
al tipo di azione condotta: un rapimento, un omicidio o un ferimento non ricoprivano la stessa
valenza simbolica. Per dirlo ancora una volta con le parole di Moretti le brigate rosse
credevano di “controllare il messaggio (politico) graduando la ferita inferta”.161
Nel corso della campagna per impedire lo svolgimento del processo di Torino si passò
all'attacco degli organi di stampa, accusati di demonizzare la guerriglia e di essere per questo
parte del sistema fascista e repressivo dello Stato. Vennero portati a termine i ferimenti dei
giornalisti Vittorio Bruno, Indro Montanelli e del direttore del Tg 1 Emilio Rossi.
Il '77 segna l'apparire di una nuova creazione teorica delle Br, il cosiddetto Stato Imperialista
delle Multinazionali (SIM). Con questa definizione, i brigatisti ipotizzavano l'esistenza di un
governo ombra mondiale formato dalla “trilateral”, ossia dai maggiori rappresentanti dei
governi statunitense, giapponese e dell'Europa atlantica, che stava dirigendo la ristrutturazione
della Nato, del Fondo monetario internazionale e di altre organizzazioni intergovernative per
trasformarli in reali momenti di dominio internazionale sui singoli paesi. A questi organismi si
sarebbe aggiunta l'istituzione di speciali unità “antiguerriglia”, col compito di reprimere la
rivoluzione del proletariato.162 Una simile teorizzazione fu probabilmente in parte dovuta
all'esperienza del sequestro Schleyer, dove l'unità speciale GSG9 aveva operato su suolo
straniero lasciando sospettare la formazione di simili unità anche in Italia, e delle quali i
nuclei speciali di Dalla Chiesa avrebbero fatto parte.
La Dc rappresentava l'asse portante del progetto di costruzione dello SIM, mentre il Pci, pur
essendosi ormai ridotto al ruolo di un partito revisionista, non ne avrebbe fatto direttamente
parte.
In questo stesso anno, se da un lato l'entrata in funzione del circuito dei camosci
rappresentava una svolta nella politica di sicurezza portata avanti contro il terrorismo,
161Ibd., pp. 111-112.162Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 179.
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dall'altro i servizi segreti italiani andarono incontro ad una profonda ristrutturazione. E' in un
contesto di non piena efficienza degli apparati d'indagine e polizia e che vede la ripresa, nel
gennaio, del processo di Torino, che nel marzo 1978 matura il sequestro Moro.
Con Moro si ritenne di colpire il “cuore dello Stato”, il presidente della Dc, colui che più di
ogni altro dirigente politico aveva dedicato la propria vita alla ricerca di una via che
permettesse l'ingresso del Pci nei palazzi del potere.
Secondo la logica brigatista il processo a Moro, concepito come processo a quella Dc in toto
di cui l'uomo politico rappresentava solo un potente simbolo, avrebbe portato a galla le
profonde contraddizioni in cui versava lo stesso Pci. Mettendo la Dc con le spalle al muro,
sarebbe emersa la volontà della base comunista di fare pressione sul Pci, costringendolo ad
operare, se non per la rivoluzione, almeno per una sostanziale trasformazione del sistema
socio-politico italiano, anziché arroccarsi nella difesa dello status quo e di un'astratta idea di
Stato, come poi inaspettatamente avvenne.163
La tragica conclusione del sequestro Moro rappresentò un fallimento politico di grandi
proporzioni per le Brigate rosse, le quali non riuscirono ad ottenere il tanto agognato
riconoscimento politico e si avviarono da quel momento in poi sulla via del tramonto. Si perse
completamente la capacità di incidere sugli equilibri politici del paese, precipitando sempre
più in una spirale di autreferenzialità a cui si aggiunsero le spinte scissioniste seguite alla
cattura dell'ultimo leader carismatico del gruppo, Mario Moretti, avvenuta il 4 aprile del 1981.
Un altro dei fattori che contribuirà alla fine dell'esperienza brigatista è costituito
dall'introduzione, in data 6 febbraio 1980, della legge sulla dissociazione, che garantiva una
significativa riduzione di pena per i condannati per reati di terrorismo che si mostrassero
disposti a collaborare con le forze dell'ordine, fornendo indicazioni utili all'individuazione di
covi brigatisti e militanti sconosciuti agli inquirenti.
Le azioni brigatiste si fecero via via più rarefatte nel corso degli anni '80, segnando
un'ulteriore evoluzione destinata ad accentuare il già citato scollamento delle Br dal contesto
operaio nel quale esse si erano costituite. L'imperialismo americano diventa l'obiettivo
primario delle azioni delle scissioniste Br-pcc (Partito comunista combattente), e il 17
dicembre 1981 l'organizzazione rapisce il generale statunitense James Lee Dozier. La sua
liberazione, avvenuta quarantadue giorni dopo per mano dei gruppi speciali guidati da Dalla
Chiesa, costituì il punto di non ritorno per l'organizzazione, falcidiata dagli arresti e successivi
163Giorgio Galli, op. cit., pp. 106-128.
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pentimenti del commando guidato da Antonio Savasta, figura sulla quale non verranno mai
sopiti i dubbi che si trattasse già da tempo di un collaboratore dei servizi segreti.164
Proponendosi di lanciare un “Fronte Internazionale Antimperialista”, progetto nel quale
maturerà l'omicidio del generale e diplomatico statunitense Leamon Hunt, ucciso il 15
febbraio dell'84 a Roma, le Br-Pcc si presentano come quelle che maggiormente tentarono di
inserirsi in un contesto di lotta dai caratteri marcatamente internazionalisti, pur concependo e
giustificando le proprie azioni in un'ottica ancora legata alla situazione italiana. E' a questa
frangia del brigatismo italiano che si deve il tentativo, promosso dalla Raf a partire dalla
seconda metà degli anni '80, di costituire un fronte internazionale di guerriglia; proposito che
non andò mai oltre una semplice dichiarazione d'intenti, con la diffusione nel settembre 1988,
poco prima dell'autoscioglimento delle Br, di un comunicato congiunto nel quale si
giustificava tale necessità alla luce del fatto per cui “L’Europa occidentale è il PUNTO
CARDINE nello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.”.165
Il 1988 segna la fine dell'esperienza brigatista, sancita dalla pubblicazione in data 23 ottobre
di un lungo documento166 da parte di alcuni membri detenuti tra cui Prospero Gallinari e
Bruno Seghetti, in cui si dichiarava la fine della lotta armata brigatista e la sconfitta del
movimento rivoluzionario, resasi inevitabile in virtù della mutata situazione politica italiana
ed internazionale.
2.3.3. La risposta dello Stato.
Analogamente al discorso intrapreso per le forme che la lotta al terrorismo assunse nel
contesto tedesco federale, è necessario ai fini di questa trattazione riportare brevemente anche
la storia delle suddette modalità nel nostro paese.
In Italia, la lotta al terrorismo si sviluppò in modo intermittente, alternando grandi successi a
periodi di stagnazione pressoché totale, aggravata da conflitti di competenze che
contribuirono a rendere più complicata l'opera di contrasto del fenomeno. Se da un lato questa
circostanza ha indotto storici, politologi167 e giornalisti a formulare il sospetto che fosse
mancata per un certo lasso di tempo la volontà politica di intervenire, una risposta a tali
164Ibd., pp. 199-209. 165http://www.bibliotecamarxista.org/serra/1988_10_13%20Roma.htm (visto il 19.12.2015).166Prospero Gallinari, “Partiamo una volta tanto da un dato che ci riguarda”, stralci in Marco Clementi, op. cit.,
p 372.167Si è già detto a tale proposito di come già Giorgio Galli prediligesse questa impostazione nel volume
“Piombo Rosso”.
75
sospetti è stata data nel 2001 dalla Commissione stragi, la quale è giunta alla conclusione per
cui è impossibile negare, almeno fino al 1978, la presenza di carenze ed omissioni nella
prevenzione e nella repressione sia delle varie formazioni della sinistra estrema che della
destra eversiva, ma sostenendo anche come queste carenze siano da ricondursi più
ragionevolmente alla casualità o all'insuccesso di operazioni ispirate ad una specifica tecnica
di contrasto, descritta dalle parole del colonnello Umberto Bonaventura, uno dei più stretti
collaboratori del generale Dalla Chiesa, come condotta dalla logica investigativa secondo la
quale si tese a “colpire i rami secchi”, lasciando in libertà i soggetti più in vista allo scopo poi
di controllarli e sviluppare ulteriormente le indagini.168
Ad ogni modo, l'area della sinistra extraparlamentare venne costantemente monitorata fin dai
primi mesi degli anni '70, ma è solo in seguito al sequestro Macchiarini che si decide di
passare all'azione contro la più pericolosa delle formazioni che, in quell'ambiente,
propagandavano la lotta armata, ovvero le Brigate rosse. A metà marzo, l'arresto di numerosi
militanti della sinistra extraparlamentare e il loro rilascio pressoché immediato pose il
problema dell'assenza di una legislazione in grado di offrire maggiori possibilità
investigative.169
L'attività d'intelligence si espletò fin dalle fasi iniziali nell'uso di informatori, come diventa
chiaro nella circostanza che portò all'arresto di una trentina di militanti e alla scoperta di
alcune basi milanesi grazie alla defezione di Marco Pisetta nel 1972.
Nel 1974, in pieno svolgimento del sequestro Sossi, si assiste all'istituzione del Nucleo
speciale di polizia giudiziaria guidato dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa,
deputato esclusivamente al contrasto del terrorismo. A questa unità speciale si deve l'arresto di
Alberto Franceschini e Renato Curcio, grazie ad una sapiente operazione d'intelligence che
porterà ad infiltrare il religioso guerrigliero Silvano Girotto tra le file brigatiste.
Il 1975 segna la promulgazione della prima legge speciale contro il terrorismo, la legge Reale,
le cui innovazioni, essenzialmente di tipo repressivo, sono rinvenibili nei seguenti articoli:
-l'art. 3 estendeva il ricorso alla custodia preventiva, anche in assenza di flagranza di reato, di
fatto permettendo un fermo preventivo di 96 ore (48+48) entro le qual andava emesso decreto
di convalida da parte dell'autorità giudiziaria.
-l'art. 5 vieta l'uso del casco e di altri elementi potenzialmente atti a rendere in tutto o in parte
168Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabilidelle stragi, doc. XXIII n° 64, Volume primo, Tomo 1, p. 21-22.
169Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, pp. 39-42.
76
irriconoscibili i cittadini partecipanti a manifestazioni pubbliche, svolgentesi in pubblico o in
luoghi aperti al pubblico.
-l'art. 14 consente alle forze dell'ordine di usare legittimamente le armi non solo in presenza di
violenza o di resistenza, ma comunque quando si tratti di «impedire la consumazione dei
delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio
volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona».170
Un'ulteriore misura repressiva da parte dello Stato era già stata istituita con l'articolo 90 della
legge di riforma del sistema penitenziario italiano del 1975, la quale prevedeva la creazione di
un circuito di carceri speciali per gli autori di atti pericolosi per la sicurezza di Stato. Il
“Circuito dei camosci” venne inaugurato tra la fine del 1976 e il luglio del 1977, con la
costituzione di reparti speciali da utilizzare all'interno degli impianti prescelti e dei quali
venne messo a capo Dalla Chiesa.
E' il sequestro Moro a segnare un'improvvisa accelerazione nelle indagini e negli arresti. Nel
1978 vengono alla luce i reparti speciali antiterrorismo della polizia (GIS, Gruppo
d'Intervento Speciale) e dei carabinieri (NOCS, Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza).
Inoltre, con un decreto interministeriale il Presidente del Consiglio Andreotti, di concerto con
il Ministro dell'Interno Rognoni e il Ministro della difesa Ruffini, il 9 agosto del 1978
nominano il generale Dalla Chiesa “Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti
Informativi per la lotta contro il terrorismo” a decorrere dal 10 settembre 1978 fino al 9
settembre 1979, un accentramento di competenze con cui si voleva mettere fine ai continui
conflitti operativi tra i vari apparati informativi e repressivi. Nel settembre del 1979, allo
scadere del mandato che conferiva poteri speciali al generale, lo stesso venne rinnovato senza
termini di data. Tale reparto, lavorando a stretto contatto con i magistrati, riuscì nella cattura
di Patrizio Peci, primo pentito nella storia dell'organizzazione, le cui dichiarazioni portarono
alla scoperta della base genovese di via Fracchia e allo smantellamento della colonna
genovese.
Ulteriori passi vengono compiuti, sul fronte legislativo, nel corso del 1980. Si assiste
all'emanazione della legge n° 15 del 6 febbraio 1980, meglio nota come “legge Cossiga”,
nella quale si attribuivano maggiori poteri esecutivi ai corpi di polizia e che introduceva in
Italia il principio giuridico della dissociazione: questa legge nasceva come un'evoluzione di
un decreto straordinario antiterrorismo, emanato nel dicembre del '79, con alcune modifiche
170Il testo completo della legge venne pubblicato sul n° 136 del 24 maggio 1975 della Gazzetta ufficiale dellaRepubblica italiana.
77
ad articoli del codice penale, per favorire la lotta contro i gruppi terroristici agevolandone
l'uscita dalla lotta armata degli aderenti tramite sconti di pena offerti a chi forniva
informazioni.171
Si dovette invece ad un colpo di fortuna la scoperta della base brigatista più importante
d'Italia, quella in via Monte Nevoso a Milano: il ritrovamento del borsello di Lauro Azzolini,
smarrito nel luglio 1978 a Firenze, permette agli uomini di Dalla Chiesa di rintracciare il
brigatista. Una serie di pedinamenti consente di individuare altre basi, e il primo ottobre scatta
il blitz decisivo che ne causa la caduta.172
Merita menzione un'ulteriore e problematica vicenda, per mezzo della quale lo Stato italiano
credette di poter risolvere il problema del terrorismo rosso, ovvero il cosiddetto “teorema
Calogero”. Gli arresti nel mondo dell'Autonomia operaia del 7 aprile 1979, effettuati nella
convinzione che esso costituisse il “mare in cui il terrorismo nuotava” e che si dovesse quindi
prosciugare questo mare, furono una pratica ai limiti della legalità. Il processo che ne seguì,
conclusosi con poche e, nella maggior parte dei casi, effimere condanne, si attirò le aspre
critiche di Amnesty International, che accusò le autorità italiane di aver commesso numerose
irregolarità nel procedimento contro Negri e gli altri, di aver manipolato la vicenda e di una
carcerazione preventiva lunga (configuratasi come pena anticipata, in assenza di giudizio,
sminuendo l'importanza del dibattimento e quindi della difesa).173
2.4. Conclusioni.
Nel presente capitolo si è voluto tracciare un quadro sintetico delle vicende che precedettero e
poi videro lo sviluppo delle due più longeve formazioni terroristiche sorte sul suolo europeo,
rintracciandone brevemente il legame con le mobilitazioni sociali del '68. I due gruppi si
presentarono, sia in Italia che in Germania, come fattori fortemente destabilizzanti
dell'ordinamento sociale e politico delle due giovani democrazie, suscitando in entrambe i
contesti una più o meno decisa reazione statale.
Proprio la reazione statale e le misure di contrasto messe in campo dagli apparati repressivi
nei due differenti contesti geografici, di cui si è dato conto nei paragrafi 2.2.3 e 2.3.3.,
171Il testo completo della legge è visualizzabile online sul sito del Ministero di grazia giustizia, www.giustizia.it(visto il 3.11.2015).
172Cfr. Giorgio Galli, op. cit., p. 135 e Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse., p.225.173Luther Blissett Project, Dal Teorema Calogero al diritto di difesa su “Nemici dello Stato. Criminali, “mostri”
e leggi speciali nella società di controllo”, http://www.lutherblissett.net/archive/078-07_it.html (visto il17.12.2015).
78
rappresentano il punto di partenza per introdurre il discorso della seconda parte di questo
lavoro. Come abbiamo avuto modo di vedere, il governo federale e quello italiano applicarono
metodi e strategie non molto diverse tra loro, facendo uso al tempo stesso dei mezzi
investigativi tradizionali e delle operazioni di intelligence propriamente dette, quali
l'infiltramento delle organizzazioni armate o il reclutamento di informatori nella scena
dell'estrema sinistra.
In entrambe gli Stati si fece ricorso all'istituzione di leggi appositamente pensate per
contrastare efficacemente e preventivamente il terrorismo, dotando di maggiori poteri gli
organi repressivi e cercando, nella fase di riflusso del fenomeno negli anni '80, di ottenere
quanti più dati possibile dalle confessioni dei terroristi detenuti, ai quali vennero offerti
consistenti sconti di pena.
Invertendo il punto di osservazione, oltrepassando cioè idealmente la cortina di ferro,
andremo ora a confrontarci con un tema analogo, quello dei rapporti tra organi repressivi e
terrorismo, affrontandolo però dal punto di vista del Ministerium für Staatssicherheit della
Ddr. Come si rapportò la Stasi alla nascita e allo sviluppo del terrorismo internazionale e, più
nel dettaglio, delle formazioni di lotta armata trattate nel presente capitolo?
Nei capitoli che seguono si cercherà di darne conto in maniera puntuale, andando a descrivere
l'esistenza (o meno) di questi contatti nei due contesti geografici, la loro modalità, la loro
durata, la loro finalità, dando conto delle numerose teorie di carattere dietrologico sorte
intorno al tema dei rapporti tra terrorismo rosso e blocco comunista e fornendo un quadro
d'insieme sui risultati della ricerca propriamente storica sull'argomento. Ricerca che si è
basata, a partire già dai primi anni novanta, quasi esclusivamente sulle fonti d'archivio dell'ex
MfS, conservate e gestite da un apposito ente federale.
Se per gli apparati statali italiani e tedeschi il terrorismo fu un fenomeno caratterizzato da un
processo di apprendimento continuo, la stessa affermazione sembra valere nei confronti della
Ddr che, pur non avendo vissuto entro i propri confini esperienze traumatiche come quella di
Monaco, pose però anch'essa proprio quell'evento alla base delle proprie preoccupazioni,
nonché della decisione di dotarsi di una specifica unità di controllo, analisi e valutazione del
rischio derivante dall'attività di gruppi terroristici. In una società chiusa e sottoposta ad un
rigido controllo sociale come quella tedesco orientale, l'eventualità che sorgessero gruppi
intenzionati ad abbattere l'ordinamento statale con la forza era un'ipotesi assai remota; questo
fece si che la natura dell'antiterrorismo tedesco orientale differisse sostanzialmente da quello
79
dei paesi occidentali, assumendo contorni non propriamente definibili come difensivi,
nonostante le dichiarazioni di alcuni testimoni riportate nel presente lavoro abbiano tentato di
sostenere il contrario.
Il caso della Stasi lascia emergere, come avremo modo di vedere, una finalità puramente
strumentale nel relazionarsi al mondo del terrorismo. Dietro le dichiarazioni ufficiali rilasciate
dalla dirigenza politica, che esprimevano in pieno la linea sovietica in materia, si lavorò su un
doppio binario cercando di rendere compiacenti i soggetti più pericolosi, offrendo supporto
logistico e retroterra per la fuga, allo scopo di scongiurare attacchi entro i propri confini, e
pretendendo in cambio la completa disponibilità a fornire dichiarazioni su intenzioni e
membri dei gruppi con cui si venne a contatto.
Il terrorismo tedesco occidentale venne lasciato agire indisturbato. Così facendo, la Ddr
scongiurava una possibile minaccia per il proprio territorio, permettendo il persistere di
minacce per il territorio federale nell'ottica di una strategia destabilizzatrice nella quale, in
alcuni casi, l'azione (o consapevole inazione) della Stasi è stata confermata da prove
documentarie.
80
Capitolo 3. La Raf e la Stasi.
3.1. La discussione storiografica.
Da quando, all’inizio del 1990, sono venuti alla luce i documenti che attestano la
collaborazione tra alcuni attivisti della RAF e gli organi del Ministerium für Staatssicherheit,
la ricerca si è subito concentrata nello studio degli atti superstiti, cercando di ricostruire in
maniera puntuale ed esaustiva la storia di questi rapporti.
Come per la storiografia ufficiale sulla lunga attività del MfS, anche la ricerca storica sul tema
dei contatti tra RAF e Stasi portata avanti dal mondo accademico ruota da ormai 25 anni
principalmente intorno agli archivi del BStU, al cui interno lavorano fin dalla sua istituzione
storici e politologi che si confrontano anche col tema dei rapporti tra la Stasi e il terrorismo
internazionale.
Il BStU ha curato l'opera “Anatomie der Staatssicherheit. Geschichte, Struktur und Methoden.
MfS Handbuch”, una collana ordinabile online o scaricabile in formato pdf, in cui più studiosi
hanno contribuito, a partire dal 1993, alla descrizione puntuale della storia di tutte le strutture
del MfS, concentrandosi in particolare sulle funzioni svolte dai singoli dipartimenti nelle varie
fasi di vita del ministero. All'interno di questa pubblicazione, Tobias Wunschik, storico e
politologo tedesco che dal 1993 collabora con la sezione Bildung und Forschung del BStU, ha
curato la parte relativa alla storia e alle modalità operative della divisione XXII Terrorabwehr
dell'apparato di Mielke, intitolata “Die Hauptabteilung XXII: Terrorabwehr”, a tutti gli effetti
un vero e proprio manuale sul funzionamento di questo organismo e opera imprescindibile per
chi voglia familiarizzare con quelle strutture all'interno delle quali venivano decise le linee da
seguire nel campo della difesa dal pericolo terroristico nella DDR. Wunschik si cimenta da
più di un ventennio con la storia dei rapporti tra la Stasi e il terrorismo internazionale, ed ha
all'attivo una lunga lista di pubblicazioni per le quali la documentazione originale del BStU
rappresenta la fonte primaria. Tra queste meritano particolare menzione, per l'argomento
particolare trattato in questo capitolo, l'articolo “Baader-Meinhof international?” pubblicato
sul numero 40-41, anno 2007, dell'allegato alla rivista settimanale “Das Parlament”, organo
ufficiale dell'istituzione federale Bundeszentrale für politische Bildung “Aus Politik und
Zeitgeschichte” dove, nel fornire un quadro conciso ma allo stesso tempo esauriente della
dimensione e dei contatti internazionali della RAF, vengono descritti anche i rapporti tra
81
l'organizzazione e il MfS, nonché l'articolo “Magdeburg statt Mosambique, Köthen statt Kap
Verden. Die Raf-Aussteiger in der DDR”, pubblicato nel secondo volume dell'opera a cura di
Klaus Biesenbach “Zur Vorstellung des Terrors: die Raf Ausstellung”, Göttingen 2005.
Sul tema più vasto dell'internazionalismo della Raf e sui suoi legami fuori dalla Germania
federale sono state pubblicate in Germania molte opere, tra le quali non posso mancare di
citarne ancora una di Wunschik. Mi riferisco in questo caso all'articolo “Abwehr und
Unterstützung des internationalen Terrorismus: die Hauptabteilung XXII”, pubblicato
nell'opera del 2005 a cura di Hubertus Knabe “West-Arbeit des MfS- das Zusammenspiel
zwischen Abwehr und Aufklaerung”, facente parte della “Wissenschaftliche Reihe des
Bundesbeauftragten fuer die Unterlagen des Staatssicherheitsdienstes der ehemaligen
Deutschen Demokratischen Republik.”
Pur essendo l'autore più prolifico, Wunschik non e' stato ovviamente l'unico a cimentarsi con
la storia della Raf. Tra le opere di recente pubblicazione mi sembra opportuno citarne due in
particolare. La prima e' quella composta dal politologo tedesco e ricercatore presso
l'università di Coblenza Kai Lemler, “Die Entwicklung der Raf im Kontext des
internationalen Terrosismus”, pubblicata nel 2008 a Bonn all'interno della collana “Forum
Junge Politikwissenschaft” della casa editrice Bouvier. Nell'opera i contatti tra la Raf e Stasi
sono trattati solo marginalmente, concentrandosi l'autore in particolare su tutti i legami
intessuti dall'organizzazione terrorista nella sua ricerca di partner di lotta con cui costituire un
comune fronte antimperialista.
La seconda opera degna di menzione e' quella pubblicata nel 2014 per la casa editrice tedesca
Tectum dallo storico Christian Lütnant, “Im Kopf der Bestie. Die Raf und ihr
internationalistisches Selbstverständnis.” Partendo dall'assunto per cui l'internazionalismo
costituisce una caratteristica peculiare dell'ideologia marxista, l'autore si propone di
analizzare, e lo fa a mio avviso brillantemente, la concezione internazionalista che la Raf
aveva di se stessa basandosi sullo studio dei testi prodotti e diffusi dall'organizzazione.
Altri hanno analizzato fin dal principio la vicenda del sostegno fornito dalla DDR alla Raf
partendo dal piano ideologico, e degna di nota in questo senso e’ il saggio di Konrad Löw
“Marxismus und Terrorismus: war die Begünstigung der terroristischen Rote Armee Fraktion
durch die DDR ideologisch zu begründen?” pubblicato nel 1994 dalla Gesellschaft für
Deutschlandforschung174 in “Terror und Extremismus in Deutschland. Ursachen,
174“Societa' di ricerca sulla Germania”. Istituzione nata nel 1978 a Berlino ovest con lo scopo di avviare studi specifici sulla scena politica tedesca. Promotrice della riunificazione tedesca fin dalla sua fondazione, si
82
Erscheinungsformen, Wege zur Überwindung”, dove l’aiuto ricevuto dalla RAF da parte del
MfS viene analizzato cercandone una giustificazione nelle affinità tra il pensiero politico
dell’organizzazione e quello del partito della SED, giungendo alla conclusione secondo cui il
fattore ideologico debba aver svolto un ruolo non secondario nella decisione di offrire aiuto
logistico e materiale all'organizzazione.
Argomento a sé stante costituiscono invece i problemi con cui ancora oggi la storiografia
tedesca si confronta nel tentativo di ricostruire e comprendere a fondo la storia problematica
della terza generazione della Raf e le relazioni di questa con il MfS, per cui rimando
direttamente al paragrafo 3.7. del presente capitolo.
Il tema dei rapporti tra la Stasi e la Raf costituisce un punto molto sensibile non solo per la
ricerca storica ma anche e soprattutto, come anche l'intera storia ed operato del MfS, per
l'opinione pubblica, che negli ultimi due decenni e' stata costantemente tenuta informata dal
mondo del giornalismo.
Immediatamente dopo l'apertura degli archivi del BStU si assiste negli anni '90 alla nascita di
un filone di pubblicistica “filo-DDR”, composta principalmente per mano di ex-quadri del
MfS tesa a riabilitare la storia della dittatura in Germania Est, fornendone una visione degli
eventi dal punto di vista degli uomini di Mielke. Non va dimenticato di come siano da
prendere con le dovute cautele, ai fini della ricerca storica, le dichiarazioni di ex-dirigenti del
MfS, spesso troppo coinvolti emotivamente negli eventi narrati e spinti dalla necessita' di
fornire una giustificazione del proprio operato tesa a riabilitare moralmente la storia della
Stasi. D'altra parte, alcune loro dichiarazioni possono tornare utili nella ricostruzione per
quanto possibile puntuale degli eventi, specialmente laddove queste trovino conferme nei
documenti superstiti. Principale promotrice di quest'opera di revisionismo e' dal 1991 la casa
editrice berlinese Edition ost, fondata dall'ex agente IM Frank Schumann, che diffonde
tutt'oggi principalmente pubblicistica sul tema della DDR scritta dai diretti interessati, siano
essi ex agenti IM, ex guardie di frontiera o esponenti di alto grado dell'apparato di Mielke, e
che si occupa in particolare della pubblicazione di opere nell'ambito della Insiderkomeitee
zur Förderung der kritischen Aneignung der Geschichte des MfS (IFAG). Cosi' come la
Insiderkomitee, anche questa casa editrice non è stata esente da accuse di revisionismo.
Dichiarazioni precise sono state espresse da Michael Lühmann, politologo e storico, docente
dichiara disposta ad accettare tra le sue file anche storici provenienti dalla ex-DDR. Il suo direttore viene eletto nel mondo accademico ed e' svincolato dai partiti.
83
presso il Göttinger Institut Fuer Demokratieforschung, in un articolo comparso nel 2007 sul
quotidiano “Die Welt” riguardo alle intenzioni della casa Edition Ost: “Das offensive
Reinwaschen der SED-Diktatur ist schliesslich Programm der Edition Ost, die mit ihren
Veröffentlichungen die DDR vom Schrecken des sozialistischen Regimes zu entkleiden
versucht. (…) Doch Bücher und Autoren der Edition Ost apostrophieren genau jene Freiheit,
stellen kontrastierend zum historisch verbürgten Mainstream knallhart auf
Geschichtsrevisionismus ab. Der Verlag bietet den sektiererischen Kreisen ehemaliger Stasi-
Kader eine Bühne, die diese immer offensiver nutzen.”175
Nel 2008 anche il giornalista tedesco Karl Wilhelm Fricke si e' espresso in termini
decisamente poco lusinghieri sulla casa editrice Edition Ost, anche da lui accusata di
promuovere una vasta opera di revisionismo storico per mezzo delle numerose pubblicazioni
di carattere nostalgico-sentimentale da lei curate.176 Tra i suoi autori, la Edition Ost ha potuto
contare in passato persino sullo stesso Erich Mielke, che nell'estate del 1994 ha pubblicato il
suo “Moabiter Notizen”, diario dei cinque mesi trascorsi nel carcere berlinese di Moabit.
Tra i temi trattati dalla suddetta casa editrice non poteva mancare quello dei rapporti tra la
RAF e la Stasi, esposto da Robert Allertz, pubblicista indipendente vicino alla commissione,
nell'opera “Die Raf und das MfS. Fakten und Fiktionen”, pubblicata nel 2008 e scritta a
quattro mani con l’ex tenente generale della Stasi Gerhard Neiber, responsabile delle
procedure di accoglienza degli Aussteiger per conto della divisione XXII del MfS. In questo
caso ci troviamo di fronte ad un testo composto da interviste a vari esponenti del MfS sul
tema dei rapporti tra gli uomini di Mielke e i terroristi tedesco-occidentali, in cui viene fornita
un'interpretazione della vicenda dal punto di vista del Ministero. Qui l'instaurarsi dei contatti
tra DDR e Raf viene letta dal tenente Gerhard Neiber come un fatto sorto in maniera
involontaria, dettato dalla esclusiva volontà di alcuni terroristi di abbandonare la lotta armata
e dalla positiva disposizione della Stasi a favorirne la latitanza, secondo modalità dettate da un
mix di principio, fedeltà alla costituzione e calcolo politico-strategico.177 Il valore di un'opera
175L'offensiva opera di pulizia della dittatura della SED e' il programma della casa editrice Edition Ost la qualetenta, con le proprie pubblicazioni, di spogliare il regime socialista della sua componente di terrore. (...)Illibri e gli autori di della casa Edition Ost pongono l'accento sulla loro libertà, mentre si basano sulrevisionismo storico in contrasto alle diffuse conoscenze in materia. La casa editrice offre ai settari circoli deiquadri della Stasi una scena che essi utilizzano in maniera sempre piu' offensiva. Lühmann, Michael. “DieWelt”, 17.8.2007.
176Cfr. Karl-WIlhelm Fricke, “Geschichtsrevisionismus aus MfS-Perspektive. Ehemalige Stasi-Kader wollenihre Geschichte umdeuten”, in Forum, rivista ufficiale del Gedenkstaette Berlin-Hohenschoenhausen, Marzo2006, Colonia.
177Robert Allertz, Die Raf und das MfS. Fakten und Fiktionen, Edition Ost, Berlin 2008, p.45.
84
simile non risiede tanto a mio avviso nella veridicità della ricostruzione dei fatti fornita da
esponenti di spicco del MfS, ricostruzione per la quale ci si può basare ai fini della ricerca
storica unicamente sui documenti d'archivio, quanto nelle convinzioni ideologiche e di
metodo espresse dai protagonisti riguardo all'attività di difesa dal pericolo terrorista portata
avanti dai quadri della divisione XXII. Neiber, che non nega l'esistenza di quei contatti,
d'altronde ormai comprovati dai documenti relativi ai procedimenti operativi “Stern” I e II
rinvenuti negli archivi del BStU e di cui si tratterà nello specifico nel presente capitolo, ne
offre semmai un'interpretazione volta a minimizzarne la rilevanza in chiave offensiva,
valorizzandone al contempo l'efficacia difensiva nei confronti sia della DDR che della
Repubblica federale. Siamo sicuramente di fronte ad un'interpretazione di parte, scritta con
chiari intenti apologetici nella speranza di una riabilitazione morale del proprio operato e di
quello del MfS, ma ritengo che una simile impostazione meriti un'attenzione tutta particolare,
nel momento in cui si andranno a delineare nelle prossime pagine le numerose componenti
che possono aver giocato un ruolo nella decisione di accogliere gli Aussteiger.
Per quanto riguarda invece gli organi ufficiali di stampa, siano essi articoli sui quotidiani o
opere complete di giornalisti e pubblicisti, si incontrano sia pubblicazioni di un certo valore,
anche storiografico, che campagne mediatiche di stampo prettamente giornalistico, volte a
suscitare scalpore nell'opinione pubblica, annunciando scoperte documentarie che vengono
presentate come punti di svolta epocali nel delineare il ruolo svolto dalla Stasi nella
radicalizzazione del movimento studentesco del '68 e quindi, per diretta conseguenza, nella
nascita e sviluppo del fenomeno terrorista nella repubblica federale. Un esempio su tutti
merita di essere analizzato per comprendere meglio quali siano le tendenze del mondo
giornalistico ogni qualvolta si tocchi il tema dei rapporti tra la Raf e la Stasi. Mi sembra
necessario premettere che il mondo del giornalismo ha operato secondo linee direttrici
abbastanza unitarie, essendo in tutti i casi esaminati ravvisabile la stesso modus operandi
votato al sensazionalismo e al suggerire ipotesi non dimostrabili. In occasione dei trent’anni
dal sequestro Schleyer, l'agenzia di stampa del quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”
(FAZ) annuncia il ritrovamento negli archivi del BStU di un documento che costituirebbe il
filo conduttore tra la RAF e gli organi della sicurezza di stato tedesco orientale.178
178Staadt, Jochen. Eine deutsche Waffenbrüderschaft, “FAZ”, 26.9.2007. http://www.faz.net/aktuell/politik/die-gegenwart-1/deutsche-geschichte-n-eine-deutsche-waffenbruederschaft-1491828.html, (visto il 27 ottobre2015).
85
Il documento in questione, relativo ad un “compagno della prima ora” di Andreas Baader ed
Ulrike Meinhof, Hans Juergen Bäcker, costituirebbe senza ombra di dubbio la prova della
comune pianificazione di attentati sul territorio della Germania federale da parte della RAF e
del MfS, e viene messo in diretto rapporto con gli attentati del 1972 alle basi americane di
Francoforte e Heidelberg.
L’articolo, pubblicato in data 5 ottobre 2007 da Jochen Staadt, all’epoca direttore della
“Forschungsverbund SED-Staat”179 della Freie Universität di Berlino, lancia l’idea secondo
cui dopo questa scoperta si dovrebbe riscrivere per intero la storia della RAF, arrivando a
sostenere che essa non sarebbe diventata quella pericolosa organizzazione senza il sostegno
della Stasi. La notizia viene ripresa dallo “Stern”180 gia’ nello stesso giorno, riportando la
notizia secondo cui “das DDR-Ministerium für Staatssicherheit war offenbar über bis heute
unbekannte Anschlagspläne der Rote-Armee Fraktion gegen US-Einrichtungen in Westberlin
informiert'. 181
Lo scoop viene ripreso da altri giornali, che non riportano come fonte nessun’altra che non sia
quella di partenza, ovvero proprio il succitato articolo di Staadt. Il documento in questione
non sembra invece dimostrare nulla di quel che viene suggerito. Si tratta infatti di un normale
verbale di interrogatorio, steso in occasione del transito di Bäcker in Germania est di ritorno
dal periodo di addestramento nel vicino oriente, a cui i membri della prima generazione della
RAF si sottoposero nelle settimane successive alla liberazione di Baader e al loro passaggio in
clandestinità. Il contatto ci fu’, ma il documento e le dichiarazioni in esso contenute rientrano
nella natura di quei rapporti tra Stasi e RAF tipici dei primi anni '70, quando una
collaborazione in senso stretto non era ancora stata stabilita, e dei suddetti attentati non viene
fatta menzione alcuna. Come andremo a vedere più avanti, spesso i membri della Raf non
esitarono a “parlare” in caso di arresto da parte delle autorità della DDR, in cambio della
promessa di poter continuare ad agire indisturbati e in virtù della paura di venire consegnati
alla polizia federale.
Un altro caso in cui la stampa non ha rinunciato al tentativo di destare emozioni nell'opinione
pubblica è rappresentato da quello relativo ad Horst Mahler, avvocato simbolo dell'
179“Comunita’ di studio sullo stato-SED.” 180Stasi wusste von RAF Anschlagspläne, “Stern”, 27.9.2007. http://www.stern.de/politik/deutschland/verhoer-
protokoll-stasi-wusste-von-raf-anschlagsplaenen-3263112.html. (Visto il 27 ottobre 2015).181Il Ministero per la sicurezza di stato era chiaramente a conoscenza di piani di attacco della Raf controistituzioni delle forze armate americane a Berlino Ovest.
86
Ausserparlamentarische Opposition (APO) tedesco-occidentale e difensore di fronte alla
giustizia di figure simbolo di quegli anni come Rudi Dutschke e Andreas Baader, nonché
fondatore della Raf insieme a quest'ultimo ed Ulrike Meinhof. Il 31 luglio 2011 alle ore 00:37
esce sulla pagina online del quotidiano “Bild” un articolo dal titolo “War Horst Mahler Stasi-
Spitzel?.”182 Nel testo vengono riportate le conclusioni a cui la magistratura berlinese sarebbe
giunta sul caso della morte dello studente Benno Ohnesorg, ucciso da un colpo di pistola
sparato dall'agente Karl-Heinz Kurras durante una manifestazione studentesca contro la visita
dello Scià di Persia a Berlino Ovest. Questo evento, così come la successiva assoluzione di
Kurras, contribuirono in modo decisivo alla radicalizzazione delle frange più estremiste del
movimento studentesco.183 Quando, nel maggio 2009, il BStU ha scoperto che Kurras operava
all'interno della polizia tedesco-occidentale in qualità di IM della Stasi, la magistratura ha
ripreso ad indagare sulla morte dello studente. Secondo l'articolo qui esaminato, nel corso
delle nuove indagini la magistratura berlinese sarebbe arrivata a “conclusioni spettacolari”,
che gettano luce sul ruolo svolto da Mahler nella radicalizzazione delle proteste. Mahler
aveva infatti rappresentato la famiglia di Ohnesorg al processo in cui Kurras era stato
pienamente assolto dall'accusa di omicidio. Dal 1967 al 1970, cosi' “Bild”, anche Mahler
avrebbe lavorato come agente IM per conto della Stasi, e la piena assoluzione di Kurras
avrebbe portato proprio al risultato sperato di suscitare sdegno e reazioni violente all'interno
dello Studentenbewegung. La notizia viene ripresa già nello stesso giorno dallo “Spiegel”184 e
dal “Die Welt”.185 La relazione finale della magistratura non viene pubblicata, e l'unico ente
ad averne preso visione in quel contesto risulta essere l'agenzia stampa della “Bild”, che ha
diffuso la notizia e secondo la quale tra i documenti del BStU visionati dai magistrati durante
le indagini sul caso Ohnesorg si troverebbero gli atti che proverebbero il ruolo svolto da
Mahler in qualità di IM negli anni compresi tra il 1967 e il 1970, quando la collaborazione si
sarebbe interrotta in occasione della fuga di Mahler in Giordania insieme ad Andreas Baader,
Ulrike Meinhof e ai membri della prima generazione della Raf.
Sulla vicenda si è poi pronunciato il giorno seguente il già nominato Jochen Staadt dalle
182Kayhan Oezgenc, Olaf Wilkee, War Horst Mahler Stasi-Spitzel? http://www.bild.de/politik/inland/spionage/war-horst-mahler-stasi-spitzel-19142422.bild.html. 183Si ricordi ad esempio come proprio a questo evento si ispiro' la formazione terroristica “Bewegung 2. Juni”
nella scelta del nome. Per una piu' approfondita analisi del contesto sociale in cui maturarono le condizioniper la nascita del fenomeno terroristico in Germania ovest cfr. Marica Tolomelli, op. cit.
184http://www.spiegel.de/politik/deutschland/ex-raf-terrorist-mahler-der-anwalt-und-die-stasi-a-777547.html185Horst Mahler Wurde von der Stasi als IM geführt.http://www.welt.de/politik/deutschland/article13517675/Horst-Mahler-wurde-von-Stasi-als-IM-gefuehrt.html.
87
pagine del “FAZ”, riportando le dichiarazioni rilasciate dalla magistratura in un comunicato
stampa secondo le quali sulla vicenda non esisterebbe ancora nessuna relazione finale,
smentendo così in un colpo solo le affermazioni della “Bild” circa l'esistenza di tali prove, e
limitando le proprie affermazioni all'esistenza di carte su Horst Mahler in cui gli ufficiali della
Stasi avevano espresso una certa ammirazione per il personaggio, costantemente monitorato
dagli uomini di Mielke già a partire dagli inizi degli anni '60 in virtù della sua vicinanza alle
posizioni della SED su argomenti chiave come l'imperialismo americano, fortemente
osteggiato da Mahler fin dagli inizi della sua militanza politica.186 Inoltre viene detto di come
sull'argomento non sia stata rilasciata alcuna dichiarazione dallo stesso BStU. Lo stesso
Mahler negherà qualche giorno dopo ogni contatto con la Stasi, incolpando i media di aver
creato il caso ad arte.187
Su queste ipotesi, riguardo alle quali la storiografia ufficiale non si è ancora espressa e sulle
quali non sono dunque disponibili testi accademici, ha cercato di fare luce la giornalista
Regine Igel nel libro “Terrorismus Lügen. Wie die Stasi im Untergrund agierte”, Herbig,
Monaco 2012, dove dei documenti disponibili si offre un'interpretazione tutta personale
tipicamente dietrologica, tanto cara a chiunque si cimenti col tema dei servizi segreti, volta a
suggerire l’immagine, già ampiamente diffusa, di una Stasi non solo pienamente informata dei
piani terroristici della RAF, ma che avrebbe svolto un ruolo attivo nei processi di
radicalizzazione dello Studentenbewegung considerati il leit-motiv del verificarsi della
violenza politica di stampo terrorista. Come vedremo, i documenti raccolti dalla pubblicista
sono di indubbio valore storiografico. Problematiche, perché non pienamente dimostrabili,
sono semmai le ipotesi avanzate dall'autrice, soprattutto in rapporto ai presunti legami della
SED con personaggi chiave della scena extraparlamentare tedesco-occidentale. Ipotesi queste
che andremo ad analizzare nel paragrafo 3.3., dedicato al periodo 1962/1970.
3.2. DDR, Stasi e terrorismo.
Prima di concentrarci sulla storia dei rapporti tra la Raf e il MfS è utile introdurre il discorso,
descrivendo le convinzioni ideologiche degli uomini di Mielke e mettendole in parte in
186Joachen Staadt, Er hinterlässt einen positiven Eindruck, http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/horst-mahler-und-die-stasi-er-hinterlaesst-einen-positiven-eindruck-11113943.html
187Horst Mahler zu Stasi Vorwürfen, http://www.spiegel.de/politik/deutschland/horst-mahler-zu-stasi-vorwuerfen-intrigenspiel-bestimmter-medien-a-778633.html
88
relazione con l'operato pratico del ministero e le dichiarazioni rilasciate da alcuni dei
protagonisti di quelle vicende. Le parole di due importanti testimoni della storia tedesco-
orientale negli anni della guerra fredda, Gerhard Neiber e Gerhard Plomann, sono illuminanti
per comprendere a fondo l’atteggiamento ufficiale della DDR nei confronti del fenomeno
terroristico. I due, rispettivamente funzionario del ministero col grado di tenente generale e di
tenente colonnello, sono coautori del capitolo “Abwehr von Terror und anderen Gewaltakten”
dell’opera “Die Sicherheit. Zur Abwehrarbeit des MfS”, pubblicata nel 2003 dalla casa
editrice Edition ost e curata da Reinhard Grimmer, Werner Irmler, Willi Opitz e Wolfgang
Schwanitz.188 Nel testo, estratto da un’intervista del 2003 riportante un discorso di Neiber di
fronte agli specialisti antiterrorismo dei paesi membri del Patto di Varsavia, leggiamo:
Wir lehnen den Terrorismus als Mittel zur Herbeiführung revolutionärer Veränderungen, zur Lösung von
Problemen jeglicher Art ab. Wir stehen voll und ganz hinter dem Bestreben unserer Staatengemeinschaft,
Terrorismus mit den Wurzeln auszutigeln und den Kampf gegen den Terrorismus zum Bestandteil eines
allumfassenden internationalen Sicherheitssystems werden zu lassen. Dem Terrorisums entschieden
entgegenzutreten gehört für die Deutsche demokratische Republik zum Kampf fuer Frieden und
Menschenrechte, für das Recht aller Völker, sich frei und unabhängig zu entwickeln. Vor allem
staatsterroristische Aktivitäten betrachten wir als Schlag gegen Grundpfeiler der internationalen Stabilität und
gegen die Menschenrechte.189
Per la DDR, cosi’ Plomann, considerato a tutti gli effetti il braccio destro di Neiber, “der
Terrorismus galt als eine zur politischen Strategie erhobene, äusserst zugespitzte Form der
Reaktionären Gewaltausübung” e il terrore “ war eine Wesenäusserung des Imperialismus und
der aggressiven Politik imperialistischer Staaten.190
188I quattro autori hanno ricoperto ruoli di alta responsabilità nei ranghi del MfS. Opitz ricopri' dal 1985 al 1989il ruolo di rettore della “Hochschule des Ministerum für Staatssicherheit” di Potsdam, l'università che sioccupava di formare i quadri dirigenti del MfS. Schwanitz fu attivo fino al 1989 come confidente di Mielke,e ricoprì la presidenza dell'AfnS nell'anno in cui essa fu in attività. Imler fu il direttore dello ZAIGininterrottamente dal 1965 al 1990, assistito nei suoi compiti dal suo braccio destro, tenente colonnelloReinhard Grimmer.
189 Noi rifiutiamo il terrorismo come mezzo veicolante di cambiamenti rivoluzionari e come soluzione aproblemi di qualsiasi tipo. Siamo completamente e senza riserve dalla parte delle ambizioni della nostracomunità statale di estirpare il terrorismo alla radice, nonché di far si che la lotta al terrorismo diventi parteintegrante di un sistema onnicomprensivo di sicurezza internazionale. La decisa lotta al terrorismo rientra per laDDR nella lotta per la pace e i diritti umani, per il diritto di tutti i popoli a svilupparsi liberi ed indipendenti. Inparticolar modo, consideriamo le attività terroristiche alla stregua di attacchi contro i pilastri fondanti dellastabilità internazionale e contro i diritti umani. G. Neiber; discorso presso il “consiglio multilaterale degli organifratelli” a Varna, Novembre 1987.190Il terrorismo corrisponde ad una forma estremamente affilata di esercizio della violenza reazionaria, volta alperseguimento di una strategia politica” e il terrore in sé ad una “espletazione della sostanza dell’imperialismo e
89
Queste parole, pronunciate in occasione di una “Multilaterale Beratung der Bruderorgane”191
esprimono la linea ufficiale pubblicamente sostenuta dalla SED in materia di terrorismo, ma
non bisogna dimenticare l'intenzione apologetica con cui sono state riportate nell'opera di
Allertz. E' opportuno in questa sede ricordare come la visione del Politbüro non fosse una
creazione originale, bensì affondasse le sue radici nella tradizione marxista-leninista e nel suo
rifiuto a priori del terrorismo, in vece delle implicazioni che esso comporta dal momento in
cui si espleta in maniera dannosa nei confronti di soggetti terzi completamente innocenti.
La tradizione della violenza rappresenta una costante nella storia della teoria rivoluzionaria
marxista-leninista, e ad essere condannata non è infatti la violenza in sé, bensì alcune forme di
violenza individuale considerate controproducenti ai fini della conquista del potere. Neiber
riporta a questo proposito le parole pronunciate da Lenin nel 1903 in occasione del II
congresso del Partito operaio socialdemocratico russo: “Il congresso rifiuta con decisione il
Terrore e con esso la pratica di singoli omicidi politici come mezzo di lotta politica.” Questo
compendio di convinzioni etiche, politiche e morali veniva sostenuto nella pratica da leggi ad
hoc, appositamente inserite nello Strafgesetzbuch (Codice penale) della DDR. Mi sembra
opportuno citare alcuni degli articoli più significativi ed onnicomprensivi. L'articolo 101
prevedeva la punibilità per chiunque portasse a termine “attacchi armati, rapimenti di ostaggi,
attacchi o esplosioni” nonché per chi si fosse reso complice di “distruzioni, avarie o altri atti
violenti allo scopo di provocare agitazioni e ribellione contro l’ordinamento sociale e statale
della DDR.” L'articolo numero 102 prevedeva invece la punibilità per crimini contro lo stato
per “colui che attenta alla vita o alla salute di un cittadino della DDR nell’espletarsi delle sue
funzioni statali o sociali, o chi in altro modo fa uso contro di esso della violenza allo scopo di
danneggiare l’ordine statale o sociale della DDR.” In casi particolarmente gravi le pene
consistevano nell’ergastolo quando non, fino al 1987, nella pena di morte.
Andiamo ora a descrivere brevemente con quali modalità e strumenti avveniva invece, all'atto
pratico, la difesa della DDR dal fenomeno terroristico. Nonostante il rifiuto del terrorismo in
sé, espresso a chiare lettere dall'elite politica della SED di fronte all'opinione pubblica
nazionale e internazionale, la Stasi collaboro' strettamente col terrorismo internazionale,
della politica aggressiva degli stati imperialisti. G. Plomann; Terror diskreditiert jede politische Bewegung, inAllertz, op. cit., p. 65.191Consiglio multilaterale degli organi fratelli: riunione annuale di tutti gli esperti antiterrorismo dei paesi
membri del Patto di Varsavia, tenuta allo scopo di pianificare strategie comuni di difesa contro possibiliattacchi rivolti verso i paesi del campo socialista.
90
secondo una logica puramente strumentale tipica dei servizi segreti, ma che trovava in alcuni
casi giustificazione ideologica nell'interpretazione del sostegno offerto a quei gruppi
terroristici internazionali visti come movimenti di liberazione popolare. La Abteilung XXII
viene ufficialmente alla luce nel 1975, e le sue origini sono da ricercarsi nell'aumento
esponenziale della violenza politica sulla scena internazionale all'inizio degli anni '70. Dopo
l'attentato del gruppo terrorista palestinese “Settembre nero” alle olimpiadi di Monaco del
1972, la DDR temette che attentati di simile portata potessero verificarsi anche dentro i propri
confini. Le origini operative della divisione antiterrorismo possono essere fatte risalire
all'iniziativa del tenente generale Bruno Beater, il quale costituì nel 1973 un Zentrale
Einsatzgruppe (ZEG), incaricato di scongiurare eventi simili durante le celebrazioni per i
decimi giochi della gioventù a Berlino est.192 Dello ZEG faceva parte anche il tenente Harry
Dahl, che nel 1975 viene incaricato della direzione di una nuova Abteilung indipendente, la
XXII Terrorabwehr. Scopo della neonata divisione era quello di indagare sul fenomeno del
terrorismo internazionale e raccogliere quante piu' informazioni possibili sulle organizzazioni
di sinistra critiche nei confronti della DDR, nonché sui gruppi di estrema destra e sugli
avversari politici della SED nella repubblica federale.
Se le strutture della prima fase dell'organismo sono di difficile identificazione, si assiste tra il
1979 e il 1980 ad una prima ristrutturazione, che comporto' la nascita di tre sottodivisioni
caratterizzate da compiti specifici. Cosi, la Unterabteilung 1 si occupava di terrorismo in
generale e dell'estremismo di sinistra, la numero 2 era incaricata delle misure di valutazione e
monitoraggio e la 3 si vedeva affidato il compito di studiare il fenomeno dell'estremismo di
destra.
Nel periodo compreso tra il 1981 e il 1983, la divisione XXII viene nuovamente ristrutturata,
ulteriormente espansa e le sue Unterabteilungen investite di compiti sempre piu' specifici,
arrivando a raggrupparne ben otto. Le mansioni di cui il Terrorabwehr si faceva carico sono
cosi' riassumibili: Abteilung 1: Neonazismo; Abteilung 2: minacce di violenza anonime o sotto
pseudonimo; Abteilung 3: estremismo di sinistra; Abteilung 4: estremismo di destra e gruppi
anticomunisti; Abteilung 5: gestione delle unita' operative specifiche per la lotta al terrorismo;
Abteilung 6: valutazione e controllo; Abteilung 7: misure pratiche di messa in sicurezza;
Abteilung 8: terrorismo internazionale e, dal 1986, estremismo di sinistra a seguito dello
scioglimento della Abteilung 3.
192Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 29.
91
Gli agenti del MfS avevano in primo luogo il compito di reperire tutte le informazioni
disponibili sui gruppi terroristici. Le operazioni di Aufklärung (indagine-chiarimento) si
ponevano come obiettivo l'identificazione dei membri di questi gruppi, l'indagine finalizzata
alla scoperta delle loro intenzioni nonché la ricerca di eventuali contatti con cittadini della
DDR, ed erano inoltre mirate a scoprirne l'eventuale direzione da parte di servizi segreti
occidentali.193 Ogni tipo di violenza politica andava combattuta con forza se diretta nei
confronti della DDR, all'interno della quale il minimo segno di ostilità veniva duramente
represso, mentre un certo grado di sostegno e comprensione era invece conferito alle “forze
progressiste”, primi su tutti i movimenti di liberazione popolare del terzo mondo, nei quali la
SED vedeva un valido alleato contro il comune nemico imperialista. In particolare il
terrorismo palestinese veniva considerato a tutti gli effetti un movimento di liberazione. I
terroristi palestinesi trovarono regolarmente ospitalità a Berlino est, dove soggiornarono
potendo tenere con se persino le armi e da dove poterono preparare attacchi contro l'ovest
capitalista. In particolare, il gruppo sorto intorno alla figura del terrorista internazionale
Carlos trovo' regolarmente copertura nella DDR tra il 1980 e il 1984, fungendo al contempo
da fonte d'informazione sulla scena terroristica mondiale. Nel caso specifico in questione e'
stato possibile mettere in relazione diretta il sostegno della Stasi con un evento preciso, quello
dell'attentato alla “Maison de France” di Berlino Ovest, nel contesto del quale un compagno
di Carlos, Johannes Weinrich, utilizzò le proprie connessioni con l'ambasciata siriana a
Berlino est per farsi restituire il materiale esplosivo sequestratogli dal MfS. Il maggiore della
Stasi Helmut Voigt approfitto' in quell'occasione della copertura dell'immunità diplomatica
per far si che l'esplosivo giungesse a Berlino ovest nascosto dentro veicoli con targa
diplomatica siriana.194 In cambio del supporto ricevuto, i terroristi dovevano rendere noti i
propri piani agli organi del MfS. Un certo grado di limitazione ai loro movimenti veniva
imposto nel caso in cui si temesse di essere scoperti. La raccolta di informazioni rilevanti
poteva pero' avvenire in diversi modi. Un esempio in questo senso e' fornito dai familiari dei
membri detenuti della Raf, i quali venivano trattenuti per colloqui informali in caso di transito
nella DDR.195Il metodo più diffuso consisteva nel reclutamento di IM (Inoffizieller
Mitarbeiter) tra le fila dei cosiddetti Szenenkenner (letteralmente “conoscitori della scena”),
persone vicine alle organizzazioni ma che spesso non ricoprivano alcun ruolo in esse. Vennero
193Ibd. p. 30194Ibd., p. 45.195Walter Lindner, colonnello del MfS in “Süddeutsche Zeitung” del 9 gennaio 1992, p.6.
92
cosi' vincolati soprattutto ex-terroristi, membri delle loro famiglie o avvocati.196 La strategia
della Stasi mirava a far si che questi gruppi non pensassero di rivolgere i propri attacchi
contro la DDR, che pur essendo vista come un alleato era ben consapevole
dell'imprevedibilità dell'azione di quelle formazioni. Per questo motivo non era minimamente
presa in considerazione l'ipotesi dell'estradizione di quei terroristi noti alle forze
antiterrorismo federali e internazionali, la cui presenza veniva tenuta nascosta anche allo
scopo di generare confusione, quando non si agi' direttamente per depistarne le indagini. In
alcuni casi la Stasi impiego' verso i singoli gruppi terroristici un certo numero di infiltrati, ad
esempio verso la francese Action Directe e la palestinese Abu Nidal.197
Ulteriori misure preventive erano il controllo del traffico in entrata e uscita dalla DDR per
mezzo della Abteilung VI (Passkontrolle) cosi' come lo scambio di informazioni con i
Bruderorgane per mezzo dell'archivio elettronico SOUD.198 Tra le altre divisioni che
collaboravano strettamente alle operazioni di difesa dal terrorismo c'erano poi la XX, deputata
all'analisi dei pericoli derivanti dell'azione di organizzazioni sovversive clandestine, e la HV A
(spionaggio estero). A quest'ultima in particolare spettava il compito specifico di procedere
all'infiltrazione mirata dei singoli gruppi.
Nel campo delle strategie di difesa dal pericolo terroristico attuate dalla DDR vanno
annoverati poi anche tutti quei comportamenti indirizzati non tanto ad attaccare frontalmente
il nemico, quanto a confonderlo e lasciarlo brancolare nel buio per mezzo di opere di
disinformazione rivolte verso gli organismi statali federali impegnati nella caccia ai
terroristi.199 A questo proposito, Wunschik riporta le dichiarazioni rilasciate al quotidiano
“Süddeutsche Zeitung” dal comandante della Stasi Walter Lindner, il quale afferma come
fosse pratica ricorrente, in relazione al caso della Raf, quella di verificare tramite i propri
canali informativi se i passaporti falsi dei terroristi fossero noti alle autorità occidentali,
avvisando poi i diretti interessati del pericolo e mandando cosi' a monte l'arresto.200
Andiamo ora ad analizzare nello specifico la storia dei rapporti tra il MfS e la RAF, le
modalità con cui la Stasi si procuro' le informazioni di cui aveva bisogno e di cui cercò, a
196Tobias Wunschik, I servizi segreti ..., p. 321.197Ibd. p. 320.198System der vereinigten Erfassung von Informationen über den Gegner, archivio elettronico condiviso dagli
stati membri del Patto di Varsavia per la raccolta e lo scambio di informazioni sensibili sulle attività e le intenzioni del nemico.
199Cfr. Tobias Wunschik, I servizi segreti , e Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”.200Ibd., p. 319.
93
partire dalla fine degli anni '70, di influenzare direttamente l'operato.
3.3. I primi contatti. (1962-1970).
Partendo dalla tradizionale tripartizione della storia della RAF201 è possibile affermare, allo
stato attuale della ricerca, che la prima generazione dell’organizzazione non ricevette un
sostegno materiale o logistico da parte della DDR,202 limitandosi la Stasi in questo periodo
alla sola osservazione e controllo del gruppo allo scopo di reperire informazioni utili ad
evitare l’espletarsi di atti terroristici sul proprio territorio. Resta ad ogni modo da osservare
come i membri della prima generazione, le cui identità erano note agli organi della sicurezza
di stato tedesco-orientale, venissero lasciati liberi di oltrepassare le frontiere della DDR, in
particolare quelle tra le due metà di Berlino, e di come utilizzassero l’aeroporto Schönefeld di
Berlino Est per dei voli esteri.203 Già a partire dall’estate 1970 sembra essere stata questa la
via preferita dai terroristi per raggiungere i campi di addestramento giordani. Non una
collaborazione diretta, non un aiuto concreto ma un tacito consenso ha segnato i rapporti tra la
RAF e la Stasi204 sia nel periodo precedente che in quello immediatamente successivo alla
nascita dell’organizzazione. Con “periodo precedente” si vuole indicare un arco di tempo che
va approssimativamente dal 1956, anno della messa al bando del KPD nella Germania
federale, al primo fascicolo relativo ad uno degli attori della prima generazione della RAF al
tempo in cui l’organizzazione non si era ancora costituita, quella su Horst Mahler.
Nell’opera di recente pubblicazione di Igel viene ripercorsa, sulla base dei documenti
rinvenuti nell’archivio centrale del BStU, la storia dei rapporti tra alcuni dei singoli membri
dell’organizzazione e il Ministero per la sicurezza di stato tedesco orientale205. I toni della
trattazione risultano, come gia’ premesso, in un certo qual modo e per certi versi molto simili
a quelli della letteratura dietrologica inerente il caso Moro. Le carte citate e prese in esame
dalla giornalista evidenziano come, in alcuni casi, l'interesse della Stasi nei confronti di
soggetti che avrebbero poi fatto parte della RAF affondasse le sue radici alcuni anni indietro
201Cfr. Klaus Pflieger, op. cit.202 Cfr. Kai Lemler, Die Entwicklung der RAF im Kontext des internationalen Terrorismus, Bouvier Verlag,Bonn 2008, p. 186.203Tobias Wunschick, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, in MfS Handbuch, a cura di BStU. Berlino
1996, p. 44.204 Da questo punto di vista si può parlare di un “non impedimento” da parte della Staatssicherheit alla nascita esviluppo di quei processi che avrebbero portato in breve tempo all’esplosione della violenza politica di stampoterroristico della Rote Armee Fraktion. 205 Crf. Regine Igel, Terrorismus Lügen; wie dei Stasi im Untergrund agierte, Herbig, Monaco 2012.
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nel tempo rispetto alla nascita della “Banda Baader-Meinhof”. Il primo dei personaggi presi in
esame da Igel è il già citato Horst Mahler. Membro del SPD, ne viene espulso nel 1960 a
causa della partecipazione, a partire dal 1953, all’attività del SDS (Sozialistischer Deutscher
Studentenbund). Ad alcuni anni di distanza dall’ingresso nel SDS Mahler inizia a dichiararsi e
ad agire pubblicamente in una maniera che rispecchia da vicino le linee direttrici dell’azione
della SED, tanto che da un rapporto del 1962 steso dall’IM della Stasi “Erich”, nel 1994
identificato nella persona di Dietrich Staritz, nel 1968 redattore dello “Spiegel”, leggiamo:
“Horst Mahler ist seit geraumer Zeit, seit ca. 6 Jahren, Mitglied des SDS und hier eigentlich
immer sehr inaktiv gewesen. Erst im Jahre 1959 begann er, sich aktiver für die SDS-Arbeit zu
interessieren, und zwar in einer Masse, dass ihn der Verdächtigung aussetzte, ein Provocateur
irgendwelcher Stelle zu sein.”206
Tra gli altri, Mahler difese di fronte alla giustizia tedesca Rudi Dutschke e Andreas Baader, ed
è considerato uno dei membri fondatori della RAF. Il fascicolo che Igel ha potuto visionare
relativo alla sua figura risale al 13 novembre 1962 ed è per sua stessa ammissione sottile e in
gran parte annerito.207 Questo consiste in una proposta inoltrata da “Erich” alle autorità
competenti del MfS di verificare la possibilità di instaurare una collaborazione con l'avvocato.
Si tratta in questo caso di un cosiddetto “Vorlaufakte”, ovvero un atto indicante l'intenzione
del ministero a procedere ad una verifica preventiva, basata su dati derivanti dall'osservazione
del soggetto prescelto, volta a rilevare l'esistenza delle condizioni necessarie per il
reclutamento del nuovo IM.
L'interesse del MfS risulta in questo contesto di facile interpretazione: qualora un personaggio
di tale caratura si fosse rivelato disponibile a collaborare con gli organi della sicurezza di
stato, questi avrebbero potuto approfittare della presenza tra le proprie fila di un contatto
privilegiato all'interno della scena extraparlamentare tedesca.
Tra le carte riguardanti il personaggio si trova poi un documento datato 3 gennaio 1964
recante il timbro della sezione XII\4 del MfS, quella preposta ai viaggi da e verso il territorio
della DDR, il quale certifica la concessione a Mahler di un visto di transito con destinazione
Cecoslovacchia. L’importanza del visto, la cui validità ricopre il periodo dal 28 dicembre
1963 al 23 gennaio 1964, è stata, agli occhi dell’autrice, finora sottovalutata. La poca
206 Horst Mahler e' da lungo tempo, circa sei anni, membro del SDS, contesto nel quale è sempre stato moltoinattivo. E’ solo dal 1959 che egli inizia ad impegnarsi più attivamente nel lavoro del SDS, e in un modo tale daattirarsi il sospetto di essere un provocatore di una certa posizione. BStU, MfS-HAVI-17489\64, tomo 1, pp.22\23 e 33f.207Regine Igel, op. cit., p. 29.
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importanza data dalla ricerca ad un documento di questo tipo risiederebbe nella scarsa
coscienza presente negli ambienti tedeschi circa il ruolo giocato dalla Cecoslovacchia
nell’addestramento di terroristi di altre nazionalità, prime su tutti le Brigate Rosse. Ancora una
volta si rientra qui nel campo della dietrologia, non essendo mai stata provata la
partecipazione di membri della Br a campagne di addestramento militare sul suolo di altri
paesi del patto di Varsavia, circostanza negata tra l'altro dallo stesso Franceschini.208 Il senso
del viaggio di Mahler risulta molto chiaro agli occhi di Igel: la Stasi accordava all’avvocato il
permesso di attraversare il territorio della DDR per recarsi in un campo di addestramento
militare in Cecoslovacchia. Anche questa affermazione della giornalista sembra rientrare piu'
nel campo della speculazione giornalistica che non in quello della ricerca storiografica, non
essendo riportati altri documenti su Mahler che ne indichino la partecipazione a sessioni di
addestramento militare in nel suddetto paese.
Tornando invece agli atti effettivamente visionati dalla scrittrice, a quella del Vorlaufakte e
della concessione del suddetto permesso di transito verso la Cecoslovacchia segue la lettura
ed interpretazione dell'ultimo documento disponibile sull'avvocato, il riferimento al quale
nell'opera di Igel e' purtroppo impreciso, laddove l'autrice nomina solo la cartella che lo
contiene ma non la numerazione esatta della pagina da cui ricava le informazioni. Stando a
quanto riportato dall'autrice, in data 20 novembre 1964 viene presa all'interno della
Hauptabteilung XX/6, successivamente ad un colloquio con l'avvocato, la decisione di
sospendere le operazioni di “arruolamento” del candidato Mahler. Dalla lettura del documento
offerta da Igel apprendiamo che il contatto con l'avvocato venne effettuato “unter Legende”,
espressione che nel gergo della Stasi stava ad indicare l'avvicinamento del soggetto senza che
questi fosse consapevole di interloquire con un agente del servizio segreto. L'autrice afferma
immediatamente dopo che questa circostanza non possa escludere una successiva
collaborazione bilaterale tra Mahler e gli organi per la sicurezza di stato della DDR, ma a
questa supposizione non viene accostata nessuna prova documentaria ed e' quindi da ritenersi
di scarso valore storiografico.
Nella sua trattazione sui contatti pregressi tra la Stasi e i futuri membri della RAF Igel si
sofferma poi sull’indagine dei rapporti che legarono già a partire dagli anni ‘50 Ulrike
Meinhof alla SED e al MfS. Su Meinhof la storiografia concorda essenzialmente circa il
periodo in cui sarebbe avvenuta la rottura della futura terrorista con gli organi di partito della
208Alberto Franceschini in Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), Che cosa sono le Br, Bur,Milano 2004, p. 98.
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SED, intorno alla metà degli anni ’60. Igel pone invece l’accento sull’ininterrotta
appartenenza di Ulrike Meinhof al KPD tedesco-occidentale, aspetto che dovette essere
volutamente ignorato da Berlino Est alla luce del deciso rifiuto ufficiale del terrorismo come
mezzo lecito di lotta politica da parte della SED e del mondo comunista in generale. La
tendenza sembra essere stata di stampo simile a quella sviluppatasi in Italia nei casi analoghi
di terroristi provenienti dalle file del partito comunista, dove l’appartenenza politica del
combattente era vista come fonte di discredito nei confronti dell’attività e della storia del
partito, che rischiava di vedersi addossare la responsabilità politica e morale del fenomeno.
Ulrike Meinhof si impegnò con veemenza fin dall’inizio della sua attività politica, affidando i
propri programmi alle pagine della rivista di sinistra tedesco-occidentale Konkret. Nel 1990,
alla caduta del muro cui seguì la dissoluzione della DDR e del suo apparato di sicurezza, è
stato possibile rinvenire negli archivi del neonato BStU una serie di documenti che attestano
come la rivista fosse stata fondata nel 1957 su decisione del consiglio della Freie Deutsche
Jugend (FDJ), l’organizzazione giovanile paramilitare di massa della SED, e da essa
segretamente finanziata. Caporedattore della rivista sarebbe diventato poco dopo Klaus Rainer
Röhl, futuro marito di Meinhof ed anch’egli membro del bandito KPD.209 Fino al 1959 il
governo di Berlino est si preoccupò di inviare presso la redazione della rivista dei propri
istruttori in occasione delle riunioni del direttivo, allo scopo di influenzare direttamente la
linea editoriale di Konkret. Va ad ogni modo detto come non si possa definire tale rivista un
vero e proprio giornale di partito della SED in territorio alleato: la linea politica di Konkret
non corrispondeva pienamente a quella di Berlino est e i suoi redattori si esibirono spesso in
serrate critiche al regime tedesco orientale, attirandosene le antipatie e vedendosi ridotti i
finanziamenti a causa di non meglio precisate “ambiguità su questioni ideologiche”210. La
storia della collaborazione tra Ulrike Meinhof e la rivista Konkret si chiude nell’aprile del
1969, allorché la futura terrorista dichiarerà che essa si sta trasformando “in uno strumento
della controrivoluzione.”211
E' ormai provato che nel periodo immediatamente successivo Meinhof si sia recata in
Giordania, assieme ad altri terroristi e al succitato Horst Mahler, per un periodo di
addestramento in un campo militare di Al-Fatah212. In questo contesto e lasso di tempo si
209 Ibd., p. 43.210 Ibd., P. 44.211 Ulrike Meinhof in Regine Igel, op. Cit., p. 44.212 Christian Lütnant, Im Kopf der Bestie. Die Raf und ihr internationales Selbstverständnis, Tectum Verlag,Marburg 2014. p. 75.
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inserisce anche la vicenda di Juergen Hans Bäcker. Bäcker atterra il 6 agosto all'aeroporto di
Berlino Schönefeld, primo del gruppo a tornare dal periodo di addestramento, dove viene
arrestato e consegnato dalle guardie di frontiera agli uomini della Stasi. Il suo verbale
dimostra che nell'interrogatorio che ne seguì egli mise al corrente il MfS circa alcuni obiettivi
strategici del gruppo e fornì informazioni sulla preparazione di attentati sul suolo della
Repubblica federale,213 ma non quanto sostenuto dalla stampa, il cui operato in merito è stato
descritto poco sopra e che non ha esitato a mettere in relazione quell'incontro con fatti ben
precisi, ovvero i due attentati del 1972, rivendicati dalla RAF, alle basi americane di
Francoforte e Heidelberg.
Bäcker avrebbe funto così da tester per il resto del gruppo, che voleva assicurarsi di non
incorrere in un arresto ed una eventuale estradizione all'ovest in caso di transito per la DDR.
Allo stato attuale della ricerca non è stato possibile trovare elementi che dimostrino però un
coinvolgimento diretto del MfS nella pianificazione e direzione di attentati in territorio
nemico in questa fase, e il contatto rientra dunque in quella categoria di rapporti di cui si e'
detto poco fa, tramite il quale la Stasi mirava a raccogliere quante più informazioni possibile
sul terrorismo internazionale.
Al suo ritorno Ulrike Mainhof si recò presso la sede della FDJ di Berlino est, dove espresse il
desiderio di discutere circa importanti questioni di tipo politico-ideologico. Secondo gli atti
della Stasi oltrepassò le frontiere della DDR in data 17 agosto 1970, sotto il falso nome di
copertura “Michele Ray.”214 Giunta nella sede della FDJ di Berlino est ad Unter den Linden
dichiarò il suo vero nome e venne ricevuta dai tenenti Werner Lamberz e Horst Schumann.
Nei 20 minuti di discussione che seguirono, Meinhof richiese tra l’altro di poter parlare
direttamente con un funzionario della SED o un alto ufficiale della Stasi. Sui contenuti di
queste conversazioni possono essere formulate solo delle ipotesi, circostanza dovuta in primis
alla mancanza di documenti relativi ai suddetti incontri negli archivi del BStU. Tobias
Wunschick ha sostenuto che con ogni probabilità si sia discusso sulla possibilità di utilizzare
il territorio della DDR per sferrare attacchi contro la Repubblica federale215, possibilità a cui la
Stasi si dimostrò in quel caso poco incline.
213Tobias Wunschik, Baader-Meinhof international?, in “Aus Politik und Zeitgeschichte” nr. 40-41, Berlino2007. p.27. Cfr. anche Lütnant, Ibd. p.79.
214BStU, MfS-HAXXII 10454/76, p.27.215Cfr. Tobias Wunschik, “Abwehr” und Unterstützung des internationalen Terrorismus- Die HauptabteilungXXII, in Hubertus Knabe (a cura di) op. cit.
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Giunti a questo punto della vicenda bisogna ricordare come il punto di svolta fosse ormai già
stato raggiunto e superato: il 14 maggio dello stesso anno aveva avuto luogo la liberazione di
Andreas Baader, prima azione e dunque atto di nascita della Rote Armee Fraktion. In seguito
a quell’azione, Meinhof era stata ufficialmente iscritta nel registro dei ricercati della
Repubblica federale, motivo per il quale probabilmente le venne rifiutato un nuovo ingresso
nella DDR già al giorno successivo. Questo secondo tentativo di contatto sarebbe avvenuto
con la speranza di veder accettata la sua richiesta di parlare direttamente con un alto
funzionario della SED.216 Dietro il rifiuto di accordare un secondo ingresso a Meinhof è
possibile scorgere i timori della classe politica della DDR. Il pericolo di venire scoperti ad
intessere rapporti con una ormai conclamata terrorista andava evitato a tutti i costi da parte
della SED, che all’inizio degli anni ’70 lavorava al riconoscimento internazionale della DDR
e che vedeva nel nuovo cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt un prezioso partner in
questo senso. Con la sua ascesa alla cancelleria nel 1969 si era infatti inaugurata nei rapporti
tra le due Germanie la fase politica della Ostpolitik, processo che portava con se indubitabili
vantaggi politici ed economici a cui la DDR non poteva assolutamente rinunciare. Inoltre, la
visita di Ulrike Mainhof a Berlino est è precedente sia al manifestarsi generalizzato della
violenza politicamente motivata sullo scenario europeo, che vede la nascita di numerose
formazioni terroriste con aspirazioni internazionalistiche, che alle vicende delle olimpiadi di
Monaco, evento cardine alla base della decisione del MfS di munirsi di strumenti efficienti
nella lotta al terrorismo.
Dopo questo episodio non risultano dagli atti del BStU altri casi di ingresso nella DDR da
parte di Ulrike Meinhof, che non sembra dunque aver funto da fonte diretta al tempo in cui la
Raf muoveva i suoi primi passi. Con queste affermazioni non si vuole quindi in alcun modo
sostenere che Meinhof e Röhl si fossero impegnati a collaborare ufficialmente con la Stasi,
ovvero che avessero firmato un contratto IM. Le forme della collaborazione tra giovani
attivisti politici della sinistra extraparlamentare tedesco occidentale e la DDR erano varie e
multiformi, e non passavano necessariamente per le maglie della Staatssicherheit. E’ bene
infatti porre l’accento sul fatto per cui la Stasi costituiva un vero e proprio stato nello stato,
che perseguiva spesso obiettivi primari diversi da quelli dei quadri dirigenti della SED e che
poteva operare in completa autonomia rispetto alle linee seguite o indicate dal Politbüro.
Detto ciò risulta lievemente più semplice delineare i tratti di una realtà in cui l’azione del
216Regine Igel, op. Cit., p. 45.
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partito e quella del ministero non sempre coincidevano. Al deciso rifiuto del terrorismo
ostentato dai dirigenti politici faceva da contrasto la flessibilità con cui il braccio armato del
partito si relazionava al fenomeno, secondo uno stile e un modus operandi tipici di tutti i
servizi segreti, fedeli al principio per cui “il nemico del mio nemico e’ mio amico”, e per cui
ogni operazione che danneggi l’avversario può e deve essere sostenuta. A questo si aggiunga
la paranoia strutturale propria dell'apparato di Mielke, caratterizzata da quella che Tobias
Wunschik ha definito “ipocondria della sicurezza di stato”217, che portò negli anni successivi a
trattare col terrorismo internazionale allo scopo di scongiurare attacchi sul proprio territorio.
Alla luce di quanto detto finora e' dunque possibile escludere un'influenza diretta del MfS nel
periodo di formazione e nascita della RAF. Sono semmai evidenti le intenzioni del ministero
di raccogliere tutti i dati reperibili sul fenomeno, sfruttando le occasioni di contatto che si
vennero a creare fin dai primi mesi di vita dell'organizzazione.
Per quanto riguarda invece la cartella IM relativa a Horst Mahler, non è a mio avviso in alcun
modo possibile inserirla nella storia dei contatti tra Raf e Stasi, ma ritengo che vada
considerata come una delle tante possibilità, ben sfruttate dal ministero di Mielke, di acquisire
informazioni rilevanti sulla scena extraparlamentare tedesco-occidentale. Mahler era, in quel
contesto, uno dei personaggi più in vista, e per questo anche uno dei più appetibili per gli
scopi del MfS. E' altamente probabile, ma non dimostrabile, che la Stasi fosse stata tenuta al
corrente del processo di nascita e sviluppo della RAF, ma non è questo il momento di
maggiore coinvolgimento del MfS negli affari dell'organizzazione. Ad una collaborazione
diretta, intenzionale e “bilaterale” si giungerà solo sul finire degli anni '70, nel contesto delle
vicende che portarono alcuni membri del gruppo ad abbandonare la lotta armata e a trovare
rifugio ad est del muro.
3.4. Il periodo 1970-78 e la vicenda degli Aussteiger.
Come accennato poco fa, l’evento decisivo per la storia della RAF è unanimemente
considerato quello dell’azione di liberazione di Andreas Baader, il 14 maggio 1970, portata a
termine da Meinhof insieme alla compagna di Baader, Gudrun Ennslin. Fu in seguito al
successo di questa operazione che la firma RAF venne utilizzata per la prima volta nel
comunicato n.1, dal titolo “Die rote Armee aufbauen”.218 Da questo momento in poi, anche
217Tobias Wunschik, “I servizi segreti...” p 320.218“Costruire l’armata rossa.”
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Meinhof sarà ricercata dalla polizia federale e costretta ad operare in clandestinità. E’ solo a
partire dalla data esatta del 14 maggio 1970 che si può costruire una storia di quei rapporti
che abbia come attori la RAF e il MfS, ed è in questa storia che certamente va collocata la
visita della Meinhof a Berlino Est, unico caso in cui si sarebbe potuta realizzare una
collaborazione propriamente detta, caratterizzata da obiettivi comuni e strategie condivise.
Il mutamento dello status giuridico dei soggetti coinvolti intercorso in seguito alla liberazione
di Baader comportò un’inversione di tendenza nella natura dei rapporti tra il MfS e i suddetti.
Non si trattava più di fornire supporto economico e tentare di indirizzare le linee politiche di
testate giornalistiche giovanili attive sul territorio nemico, così come non si trattava nemmeno
più di concedere o meno un permesso di transito ad avvocati penalisti graditi al regime. Il
rischio era quello di infangare l’immagine internazionale della DDR. A cambiare radicalmente
le linee operative della Stasi dovette contribuire, come già menzionato, il massacro di
Monaco, che convinse gli uomini del ministero della necessita' di dotarsi di una divisione
interamente dedicata alla difesa dal terrorismo e che portò alla nascita della Abteilung XXII.
Così, nel corso dei primi anni '70 si diede inizio alla sistematica raccolta di dati sulle
organizzazioni e sui singoli membri, sfruttando ogni possibile occasione di contatto. Un
esempio su tutti rappresenta il caso del membro della Raf Michael Baumann, arrestato nella
DDR nel dicembre del 1973 e costretto a fornire informazioni sui compagni ancora in
circolazione. Stando alle sue dichiarazioni, ad influire sulla scelta di collaborare sarebbero
stati il totale isolamento a cui era stato sottoposto, nonché il terrore psicologico subito nelle
prigioni della DDR e la minaccia di estradizione nella Repubblica federale.219
I contatti durante tutto il decennio sono però sporadici, come risulta dai documenti del BStU.
L'ipotesi proposta da Igel, secondo cui la scarsità di atti relativi ai membri del gruppo per il
periodo 1970/1978 si spiegherebbe con la rapidità con cui questi atti sarebbero stati fatti
sparire, allo scopo di coprire il perpetuarsi di una collaborazione tra la Raf e il MfS220 non e',
proprio in virtù della mancanza di dati concreti, di facile verificabilità, e rientra nel campo
della speculazione giornalistica.
L'efficacia con cui gli organi di polizia portarono avanti la lotta al terrorismo negli anni
compresi tra il 1972 e l’inizio dell’Autunno tedesco aveva comportato un necessario
restringimento dell’azione della Raf, che a cavallo tra la prima e la seconda generazione aveva
219Tobias Wunschik, “I servizi segreti...”. p. 321.220Crf Igel, R., op. cit., pp. 20-21.
101
subito sconfitte di tale durezza da ritrovarsi a lottare per la propria pura sopravvivenza e da
vedersi costretta ad abbandonare ogni prospettiva politica, fattore da cui scaturì la progressiva
perdita da parte dell’organizzazione delle già ristrette simpatie di cui essa godeva all’interno
della società tedesca.221
Dopo la morte di Ulrike Meinhof nel carcere di Stammheim il 9 maggio 1976, il punto di
svolta va individuato proprio nella tragica conclusione, in data 19 ottobre 1977, del sequestro
Schleyer, seguita al dirottamento del volo Lufthansa “Landshut” e alla sua liberazione il 17
ottobre così come nel suicidio, avvenuto la notte seguente, dei detenuti Baader, Ennslin,
Raspe e il fallito tentativo in questo senso della Möller. Per quello che ci interessa e come già
accennato, tra il 1970 e il 1978 sono decisamente esigui i documenti rinvenibili negli archivi
del BStU che indichino il sussistere di rapporti di collaborazione diretta tra i terroristi e il
MfS. Stando ai documenti superstiti è solo verso la fine degli anni ’70 che questi legami
ricominciano ad intrecciarsi. Tra le motivazioni che spinsero il MfS ad offrire asilo ai
dissidenti della RAF ci fu certamente la necessità di reperire maggiori e più precise
informazioni sull’organizzazione, stringendo rapporti con quei terroristi che, vuoi per mutate
convinzioni personali, vuoi a causa della succitata repressione poliziesca, decisero di
abbandonare le file dell’organizzazione per riparare in “territori amici”, ma la logica
strumentale giocò certamente una parte prevalente che non quella finalizzata alla
Erkenntnissgewinnung.
Torniamo ora alla narrazione di questi eventi. Robert Allertz, pubblicista per la
"Insiderkomitee zur Förderung der kritischen Aneignung der Geschichte des MfS"222, ha
intrattenuto una serie di colloqui con dipendenti ai più alti livelli dell’Abteilung XXII della
Stasi che si propongono di fare luce sul ristabilirsi di questi legami di collaborazione intorno
alla fine degli anni ’70. Per quanto non si possano, come premesso all'inizio di questo
capitolo, investire di una credibilità assoluta le affermazioni di ex-dirigenti del ministero, vale
tuttavia la pena ascoltarne la voce nella ricostruzione di questa vicenda, laddove essa sia utile
a confermare il quadro d'insieme delineato dalla ricerca storiografica. Stando a quanto
affermato in una di queste interviste dal maggiore della Stasi D.Y.223, impiegato di lungo corso
dell’Abteilung XXII, è solo nel clima di repressione poliziesca e nel contesto di una ormai
221Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., Cap. 3.1.222“Commissione interna per la promozione della comprensione della storia del MfS”.223 Il nome è tenuto nascosto dall’autore su esplicita richiesta dell’intervistato.
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disperata lotta per la sopravvivenza che alcuni membri della RAF entrarono nuovamente in
contatto con la Stasi. Nel marzo del 1978 gli uomini del MfS identificarono ed arrestarono
Inge Viett mentre cercava di attraversare le frontiere della DDR. Il maggiore intervistato non è
in grado di ricordare se l’arresto sia avvenuto casualmente o se il MfS fosse stato avvertito dei
movimenti di Viett dai servizi cecoslovacchi. Ad ogni modo egli sembra voler suggerire, ed
anzi lo fa apertamente224, la casualità di questo primo contatto. Viett sarebbe stata ricevuta dal
direttore dell’Abteilung XXII in persona, Harry Dahl.225 La motivazione che spinse il più alto
ufficiale di quella divisione a conferire personalmente con la terrorista si può forse spiegare
con la rilevanza di cui il personaggio in questione godeva presso gli organi di sicurezza
tedesco-occidentali e orientali. Si trattava di una terrorista affermata, con alle spalle anni di
militanza e numerosi attacchi dinamitardi sul territorio della Repubblica federale tedesca. Di
certo “kein kleiner Fisch”.226
Dalla conversazione sarebbe emerso che Viett versava in uno stato di totale consunzione
psichica, era stanca e desiderava abbandonare la lotta armata. Viett avrebbe poi sondato il
terreno a nome di altri compagni desiderosi di uscire dalla lotta armata in merito al permesso
di attraversare la DDR senza essere arrestati. Dopo questo primo colloquio i quadri dirigenti
del ministero, preso atto del fatto che la donna non sembrasse intenzionata a pianificare e
condurre attacchi contro la DDR, la lasciarono libera di andare. A giugno venne di nuovo
arrestata insieme ad altre due terroriste a Praga, dove si erano rifugiate dopo che nel maggio
dello stesso anno avevano preso parte attiva all’evasione di Till Meyer227 dal carcere di
Berlino-Moabit.228 Al momento dell’arresto Viett e le sue due complici, Regina Nicolai e
Ingrid Siepmann, chiesero di poter essere trasferite nella DDR. Il MfS si occupò direttamente
del caso,229 e secondo D.Y. sarebbe stato Erich Mielke in persona ad incaricare Dahl di
224D.Y. in Robert Allertz, op. cit. P. 22.225Tobias Wunschik, Magdeburg statt Mosambique, Koethen statt Kap Verden. Die Raf-Aussteiger in der DDR
in Klaus Biesenbach (a cura di) “Zur Vorstellung des Terrors: die Raf Ausstellung”, Goettingen 2005. p.238.226Ibd. p. 22.227Nel 1992 e' venuta alla luce la collaborazione fornita da Meyer alla Stasi in qualita' di IM. Dopo la
liberazione da parte del commando guidato da Viett, Meyer viene nuovamente arrestato in Bulgaria.Distanziatosi dalla lotta armata negli anni di carcere, nel 1986 viene liberato con la condizionale e inizia alavorare nella redazione del Tageszeitung. Nel 1987 viene contattato dalla Stasi e arruolato tra le sue fila. Ilcompito di Meyer, come da lui stesso dichiarato nell'opera autobiografica “Staatsfeind. Erinnerungen”,Hoffmann und Campe Verlag, Amburgo 1996, consisteva nel diffondere informazioni false in caso didomande scomode riguardo ai membri della Raf ancora ricercati. Siamo qui di fronte ad un esempio dellepratiche descritte da Lindner nell'introduzione di questo capitolo, volte a depistare le indagini della poliziafederale.
228Tobias Wunshik, “I servizi segreti...”, p.320.229Cfr. Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44.
103
risolvere la faccenda con le autorità cecoslovacche230, affermazione questa per la quale
troviamo conferma anche in Wunschik.231
Il politologo tedesco ha intervistato lo storico capo dello spionaggio estero della Stasi Markus
Wolf, il quale ha spiegato, in un articolo apparso sul TAZ del 25 agosto 1994, le simpatie di
Mielke nei confronti del terrorismo di sinistra tedesco-occidentale, rimandandole alla
speranza di utilizzare l'organizzazione in operazioni di sabotaggio all'ovest in caso di
conflitto.232 Da questo punto di vista e' possibile comprendere meglio l'operato del MfS, che
se per un certo periodo si comporto' passivamente nei confronti del terrorismo di sinistra, nel
1978 colse l'occasione offerta dagli Aussteiger per avvicinarsi ulteriormente a quel mondo,
tramite forme di sostegno volte ad indirizzarne l'operato in chiave offensiva. Al ritorno di
Viett nella DDR, le autorità del ministero si spesero nell’accontentare le richieste della donna
nella speranza di instaurare con il mondo del terrorismo rapporti maggiormente amichevoli,
finalizzati dunque non solo all’acquisizione di informazioni preziose per l’analisi
approfondita del fenomeno, ma appunto anche nella speranza di poter in qualche modo
conquistare la fiducia di certe figure, col fine ultimo di indirizzarne l'azione verso obiettivi
condivisi.
Tra il 1978 e il 1980 furono stabiliti i contatti con il gruppo degli Aussteiger. D.Y. racconta di
come alcuni volessero raggiungere l’Angola, altri il Mozambico, altri ancora il vicino oriente
e di come, una volta analizzate le difficoltà che avrebbe comportato nascondere delle persone
di pelle bianca in simili contesti, sia scaturita da parte del MfS la proposta di rifugiarsi nella
DDR.233 Stando alle parole di D.Y. fu insomma una proposta spontanea, dettata dalla facilità
con cui si sarebbero potute poi nascondere le suddette persone in un contesto etnico e
linguistico identico a quello di provenienza.
Ovviamente, come avremo modo di vedere, non si può considerare una simile proposta come
una semplice dimostrazione di solidarietà, come diverrà chiaro più avanti, quando si andrà a
trattare dei modi, i tempi e dei processi operativi con cui gli Aussteiger vennero accolti e
“lavorati”. Cominciano qui a definirsi più chiaramente le motivazioni che sottendevano
all’interesse del MfS nei confronti delle organizzazioni di lotta armata per il comunismo:
l’analisi dei dati raccolti dal MfS sembra mirare all’obiettivo della difesa dello stato tramite lo230 D.Y. in Robert Allertz, op. cit. P. 22.231Tobias Wunschik, Magdeburg statt Mosambique, Köthen statt Kap Verden. p. 238.232Cfr. Wunschick, T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 45.233 D.Y. in Robert Allertz, op. cit. p.23.
104
studio, la prevenzione e la neutralizzazione del pericolo terroristico, ma il fine ultimo nonché
la speranza del MfS era quella di influenzare il fenomeno allo scopo di destabilizzare il
nemico. L’atteggiamento del ministero per la sicurezza di stato nei confronti della RAF non
sembra discostarsi da quello abbastanza tipico di tutti i servizi di intelligence, mirato allo
sfruttamento dei vantaggi potenzialmente derivanti dalla presenza di un nemico comune.
3.5. I procedimenti operativi Stern I e Stern II.
Dopo la caduta del muro e la fine della DDR, gli archivi della BStU hanno permesso di
ricostruire, seppur con alcune lacune, le procedure di “accoglienza” degli Aussteiger. I
documenti in questione hanno contribuito a svelare la funzione di supporto nei confronti della
RAF svolta dal MfS in alcuni momenti della sua attività. Ritengo a questo proposito di dover
ancora una volta distinguere tra la facciata offerta dalla nomenklatura comunista, preoccupata
di diffondere un’immagine di sé come paese democratico e perfettamente inserito nello
scacchiere politico internazionale, e l’azione sotto copertura del MfS, che del proprio operato
non doveva rendere conto a nessun altro che a se stesso.
Una simile netta divisione dei compiti ha fatto si che molti dirigenti comunisti siano scampati
all’arresto dopo la caduta della dittatura, adducendo nei vari processi una presunzione di
ignoranza dei fatti più gravi, che almeno in parte può a mio avviso essergli riconosciuta
proprio in virtù della struttura rigidamente compartimentata del MfS. Un simile discorso
assume un valore ancora maggiore se rapportato alle strutture della divisione XXII, all'interno
della quale la trasmissione delle informazioni era regolamentata in maniera cosi' restrittiva da
far si che delle stesse connessioni Raf-Stasi non si sapesse nulla all'esterno della linea
deputata al Terorabwehr.234
Fino all’inizio degli anni ’80, tutte le informazioni raccolte riguardanti la Raf erano state
inserite nell’OV-Express. Dopo l’avvenuta accoglienza degli Aussteiger si procedette ad un
corposo rafforzamento della divisione XXII e all’attivazione di due nuovi procedimenti
operativi (OV=Operativer Vorgang) denominati “OV-Stern I” e “OV-Stern II”. Non priva di
fondamento sembra essere l’ipotesi di Kai Lemler235, secondo cui il nome dei procedimenti
farebbe riferimento al simbolo dell’organizzazione (Stern significa infatti “stella”). Il
procedimento operativo “Stern I” ereditava, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, i compiti e la
234Cfr. Wunschick, T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 44.235Lemler, K., op. cit.. p.82.
105
totalità del compendio di informazioni accumulate negli anni all’interno dell’OV-Express, e si
occupava nello specifico delle mansioni di “controllo operativo ed elaborazione”: in sostanza,
scopo di questo procedimento era quello di proseguire il lavoro di Express, ovvero la raccolta
di informazioni sul mondo terroristico tramite l’uso di agenti IM reclutati nell'area dei
fiancheggiatori dell'organizzazione. In un documento datato 1 aprile 1981 leggiamo: “Der
OV-Stern I wird mit dem Ziel angelegt, Sicherheitsrisiken und Gefahren fuer die DDR und
Ihre Verbündeten, die sich aus den Aktivitäten einer terroristischen Gruppierung ergeben,
einzuschränken bzw. zu verhindern.”236
Insomma, ancora una volta si fa riferimento solo ai compiti difensivi del procedimento e alla
sua funzione di strumento di controllo finalizzato alla difesa dello stato e dei suoi alleati.
Si noti qui come un simile discorso possa forse valere per Stern II, che causò l'uscita di scena
di dieci terroristi e quindi la loro effettiva disattivazione, mentre altre sembrano essere state le
finalità di Stern I, a ragione inserito anche da Tobias Wunschik tra le forme di collaborazione
attiva tra le due parti. 237
Col passaggio da “Express” a “Stern I”, segnato dalla ripresa dei contatti inaugurata da Inge
Viett, si assiste appunto ad una modificazione dei comportamenti del MfS, che non si limiterà
più alla sola raccolta di informazioni ma tenterà di sfruttare il gruppo terroristico a proprio
vantaggio. Inge Viett, Henning Beer, Christian Klar, Helmut Pohl e Adelheid Schulz entrarono
nella DDR il 19 settembre 1980,238 dove soggiornarono per due settimane nella Fortshaus
Briesen, nome in codice “Objekt 74”, una tenuta di campagna nel Brandenburgo. Stando a
quanto sostenuto da Neiber, ai membri dell’organizzazione non vennero fornite armi,
affermazione questa impossibile da sostenere, ma vennero inseriti in un programma di
allenamento che comprendeva “solo” sedute al poligono di tiro e corsi di Judo.239 Questa
interpretazione risulta riduttiva se confrontata con i documenti del BStU relativi a Stern I,
fondamentali per ricostruire il contenuto di questo allenamento: e' stato infatti appurato che
l'addestramento in questione comprese anche quello all'utilizzo di un lanciarazzi anticarro,
circostanza che è stata messa in relazione all'attentato del 15 settembre 1981 al generale della
NATO Frederick Kroesen per mano di Christian Klar, per cui e' stata appurata la
236 BStU, MfS-XV 2205/81, 17462/91, p. 00001. “Il procedimento operativo Stern I viene attivato allo scopo dievitare o limitare pericoli e rischi per la sicurezza della RDT e I suoi alleati derivanti dale attivita’ di gruppi terroristici.”237Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p. 44.238 Kai Lemler.; op. cit. p. 89.239 Gerard Neiber in Robert Allertz, op. cit. p. 67.
106
partecipazione agli addestramenti nell'ambito di Stern I. Quel che non e' stato al momento
possibile definire con certezza, data ancora una volta l'incompletezza della documentazione
disponibile, è se l'attentato sia stato portato a termine prima o dopo il suddetto addestramento
con il lanciarazzi, per il quale non è stato possibile stabilire una data certa.240
Nel periodo 1980-1984 membri della RAF soggiornarono nella DDR almeno due o tre volte
l'anno241. Scopo di questo programma di addestramento, che comprendeva tra l’altro la
preparazione di ordigni esplosivi, era quello di far si che i terroristi potessero trasmettere date
competenze militari ai compagni in attività nella Repubblica federale una volta rientrativi.
Stando alle carte del BStU, il programma si sarebbe interrotto intorno alla meta’ del 1984242,
interruzione che Lemler giustifica con la parziale delusione sorta da ambo i lati circa i risultati
di una simile cooperazione, dalla quale sia i terroristi che la Stasi si sarebbero aspettati
qualcosa in più.243 Sul lungo periodo le basi della collaborazione tra I due soggetti coinvolti si
sarebbero rivelate molto più esigue di quanto non si pensasse all’inizio, limitandosi ad una
comune percezione del nemico e ad una parziale condivisione della visione del mondo.
Wunschik identifica tra i fattori che portarono la Stasi a privare del proprio supporto
incondizionato non solo la Raf, ma il terrorismo internazionale nel suo complesso, lo
scetticismo degli uomini del ministero nei confronti di alcune forme di terrorismo individuale,
considerate controproducenti nell'ottica di una strategia di lungo periodo.244 A queste
considerazioni di carattere ideologico vanno aggiunte quelle, sempre presenti, di carattere
politico: il rischio per la DDR di venire scoperta a fornire addestramento ai membri
dell’organizzazione era troppo elevato in rapporto agli effettivi vantaggi che questa
collaborazione comportava, anche in virtù del fatto che, così come le Brigate rosse, anche la
Raf rimase sempre fortemente orgogliosa della propria autonomia e difficilmente i suoi
membri si sarebbero lasciati controllare pienamente dalla Stasi.
Passiamo ora ad esaminare il procedimento OV-Stern II, relativo alla strategia utilizzata per
far letteralmente scomparire nel tessuto sociale della DDR coloro i quali avevano espresso
apertamente l’intenzione di abbandonare la lotta armata.
Come già accennato nel precedente paragrafo, il fallimento dell’offensiva ’77, conclusasi con
240Wunschik T., Baader-Meinhof international?, p.28.241Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44.242BStU, MfS-A/M 264/91-1, pp. 17-19.243 Kai Lemler, op.cit. p. 92.244Wunschik T., “I servizi segreti...”, p. 323.
107
l’omicidio Schleyer, inaugurò un periodo difficilissimo per i membri dell'organizzazione. La
repressione poliziesca seguita al dirottamento del volo Landshut costrinse l’organizzazione ad
una lotta per la sopravvivenza, lotta da cui alcuni dei membri del gruppo ritennero opportuno
sottrarsi una volta visto sfumare l’ultimo obiettivo di stampo politico rimasto: la liberazione
dei compagni detenuti. La “defezione” dei compagni Silke Maier-Witt, Susanne Albrecht,
Monika Helbing, Ekkehard von Seckendorff-Gudent, Werner Lotze, Christine Dümlein,
Sigrid Sternebeck e Baptist Ralf Friedrich, etichettata come un grosso errore da coloro che
erano rimasti nel gruppo, poneva quest’ultimi in una situazione delicata e rischiosa. Gli
Aussteiger necessitavano di un luogo sicuro per la latitanza: dovevano sparire dalla vista degli
organi di sicurezza della RFT e allo stesso tempo prevenirsi da eventuali vendette, essendo
alto il rischio di essere reputati dei traditori. Qui rientra in gioco Inge Viett: a lei viene affidata
la richiesta, comunicata direttamente ad Harry Dahl alla fine di maggio 1980, di cercare aiuto
presso il MfS allo scopo di favorire la fuga e la latitanza dei compagni. Ed è proprio durante
questo colloquio che Dahl in persona, forse spinto dallo stesso Erich Mielke,245 propone al
gruppo di riparare nella DDR. In questo modo, la Stasi prendeva i due proverbiali piccioni
con una fava: da un lato si assicurava il controllo a vista di soggetti potenzialmente pericolosi,
dai quali poteva attingere informazioni di prima mano, e allo stesso tempo li “disattivava”,
tirandoli fuori dal contesto del terrorismo internazionale e riabilitandoli come cittadini con
pieni diritti.
Nel settembre 1980 si compì il trasferimento dei soggetti nel già citato “Objekt 74”. Qui gli
ufficiali della Stasi stesero le loro nuove biografie, adattandole al contesto della DDR. Agli
Aussteiger veniva lasciata la scelta del nuovo nome ed era concesso esprimere desideri
lavorativi. La nuova residenza veniva invece stabilita dalla Stasi.246 Lemler fa notare a questo
punto della vicenda come all'interno del gruppo degli Aussteiger ben sei formassero delle
coppie, lasciando presupporre che non solo il clima politico ma anche motivazioni personali
possano aver influito sulla decisione di abbandonare la lotta armata.247 Gli ex terroristi
vennero poi divisi e nascosti in posti diversi. Dalle loro nuove residenze intrattenevano
regolari rapporti con i relativi ufficiali incaricati di guidarne l’inserimento a livello sociale e
245Cosi’ sembra voler suggerire Gerhard Neiber nella sua intervista con Robert Allertz: pur non potendo eglistesso dare una certezza assoluta riguardo questa affermazione, ci tiene a sottolineare come una simileoperazione non fosse cosa da poco, motivo per il quale dovettero esserne sicuramente informati sia Mielke cheHonecker.(n.d.a.)246Kai Lemler, Intervista a Silke Maier-Witt, 20.2.2008. in op. cit. p. 137.247Ibd., p.86.
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lavorativo. I membri del gruppo vennero naturalizzati in tempi e contesti cronologici separati:
i primi raggiunsero la DDR in tre gruppi separati nel corso del 1980 e ricevettero la
cittadinanza in data 8 ottobre. A questi si aggiunsero Henning Beer (inizio 1982) ed Inge Viett
(fine ’82-inizio ’83). La divisione in gruppi e i diversi momenti di accesso dei singoli
terroristi rese più facile farli passare inosservati. I soggetti vennero poi dislocati in luoghi
diversi e con una nuova identità.
L’unico problema si sarebbe verificato nel 1986, al che una cittadina tedesco orientale in
viaggio nella RFT riconobbe su un manifesto segnaletico il volto della sua vicina di casa Silke
Maier-Witt, facendone saltare la copertura e costringendo il MfS a procurarle nuove
generalità, un nuovo lavoro, un nuovo domicilio.248 Nel contesto dell’ OV-Stern II, le
abitazioni dei nuovi cittadini venivano costantemente tenute sotto controllo audio, i soggetti
osservati (a loro insaputa) da agenti della Stasi. Ancora una volta sulla base dei documenti
rinvenuti negli archivi del BStU, è stato possibile stabilire il numero di agenti che ruotavano
intorno alla vicenda, preoccupandosi che le vere identità degli Aussteiger restassero segrete.
Così Wunschik249 indica in due il numero di agenti con qualifica IMB e in diciotto quelli con
qualifica di IMS250 a cui l'incarico era affidato. Alcuni di questi terroristi vennero ad ogni
modo persino ingaggiati con la qualifica di IM, tra i quali la stessa Viett. Stern II si estese
cronologicamente fino alla caduta del regime della SED. Tra il 6 e il 18 giugno del 1990 tutti
gli Aussteiger vennero rintracciati ed arrestati, senza che nessuno di loro provasse a sottrarsi
alla cattura. Interessante a questo proposito mi sembra la teoria proposta da Tobias Wunschik,
secondo il quale la caduta del Muro, la fine della DDR e la conseguente rinuncia ad ogni
tentativo di sottrarsi all’arresto possano essere interpretati come un gesto di rassegnata
“sottomissione al destino”.251
248D.Y. in Robert Allertz, op. cit. p. 30.249Wunschik T., Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”, p.44250IMB= inoffizieller Mitarbeiter der Abwehr mit Feindverbindung: “collaboratore ufficioso a contatto col
nemico”, una figura particolare di IM che agiva a stretto contatto col soggetto da osservare. Nel casoparticolare del terrorismo, questa categoria di IM veniva solitamente reclutata negli ambienti deifiancheggiatori.IMS= inoffizieller Mitarbeiter für Sicherheit: “collaboratore ufficioso per la sicurezza”. IM ingaggiato tracoloro che, pur non disponendo di un contatto o una conoscenza diretta del nemico, operano nelle suevicinanze e ne riportano comportamenti che possano mettere a rischio la sicurezza dello stato. Si tratta nelcaso specifico di cittadini incaricati di segnalare al MfS qualunque segnale di una imminente scoperta delterrorista da parte di soggetti che abitano nello stesso contesto del soggetto osservato.
251Tobias Wunschik, intervista con Kai Lemler, 28.01.2008 in Kai Lemler, op, cit. p.89.
109
3.6. La Stasi e la terza generazione della Raf.
Cosi come la polizia federale alla metà degli anni '80 sembra aver perso di vista, o meglio
dallo “schermo radar”, la terza generazione della Raf, un discorso analogo sembra poter
essere fatto anche per gli organi del MfS. Wunschik ha voluto concludere, sulla base della
carente documentazione esistente, che anche la Stasi brancolava sostanzialmente nel buio.252
Questo non significa però che il MfS avesse rinunciato ad indagare sui membri
dell'organizzazione. Pur avendo infatti smesso di appoggiare il terrorismo internazionale
indiscriminatamente al più tardi nel 1984, l'apparato di Mielke proseguì il suo lavoro di
raccolta informazioni sui nuovo membri dell'organizzazione, servendosi degli stessi metodi
fin qui descritti quali l'utilizzo di agenti IM e i colloqui informali alle frontiere. Si ravvisa
semmai per il periodo qui descritto un'oggettiva difficoltà della Stasi a identificare con
esattezza questi nuovi membri. Così ad esempio si verificano situazioni in cui la Stasi può
affermare con certezza di aver identificato un terrorista, e che questa affermazione sia stata
smentita dalle sentenze pronunciate dai tribunali tedeschi in seguito alla riunificazione. Un
caso in questo senso e' quello della terrorista Andrea Klump, condannata per numerosi
attentati tra la metà degli anni '80 e i primi anni '90, ma per cui l'appartenenza alla Raf non è
mai stata dimostrata in sede legale. La Stasi riteneva invece di poterla collocare con assoluta
certezza tra i membri del gruppo.253
Per quanto riguarda invece la questione del supporto fornito all'organizzazione, sembra non si
possa rintracciare negli archivi un solo documento che attesti il sussistere di forme di
collaborazione minimamente paragonabili a quelle viste in Stern I.254 Si è già detto in
precedenza di come all'origine del raffreddarsi dei rapporti tra la Raf e la Stasi intorno alla
metà degli anni '80 possano aver influito fattori di vario carattere, a partire da considerazioni
relative all'immagine internazionale della Ddr fino a insanabili o non più ammissibili
divergenze di carattere strategico e ideologico venutesi a verificare in quel periodo.
Se è vero che la seconda generazione della Raf era andata via via perdendo ogni prospettiva
politica, in seguito al fallimento dei propositi di liberazione dei compagni detenuti intercorso
con la morte in carcere dei suoi fondatori, questo processo di Entpolitisierung aveva assunto
connotati sempre più profondi nel caso della terza generazione dell'organizzazione.
252Tobias Wunschik, “I servizi segreti ...”, p.324.253Alexander Strassner, op. cit., p.277.254Ibd. p.271.
110
L'involuzione politica viene sancita dalla pubblicazione del comunicato “Guerrilla,
Widerstand und antiimperialistische Front”.
Il nuovo corso militaresco intrapreso dall'organizzazione e il progressivo dissolversi della
componente ideologica alla base delle sue azioni porto' rapidamente ad un mutato
atteggiamento da parte delle autorità tedesco-orientali. Quando divenne noto che l'omicidio
del soldato americano Edward Pimental255 fosse da attribuirsi con certezza alla Raf, gli organi
della sicurezza di stato della Ddr presero la decisione ufficiale di non concedere più asilo
dentro i propri confini ai membri del gruppo.256 Questo non significò d'altra parte che ai
membri noti dell'organizzazione non venisse più concesso di utilizzare liberamente l'aeroporto
di Berlino-Schönefeld, come affermato anche dallo stesso Till Meyer.257 Fu insomma la logica
dell'acquisizione di informazioni a dettare anche in questa fase le linee guida all'azione del
MfS. Pur non essendoci gli estremi per una collaborazione, era importante per la Ddr
continuare la sua analisi del fenomeno e l'indagine approfondita delle intenzioni
dell'organizzazione, allo scopo di prevenire rischi per la sicurezza di stato.
Il timore di rimanere vittima di attentati è leggibile ancora negli atti immediatamente
precedenti alla caduta della dittatura comunista in Germania, tanto che in un piano operativo,
relativo alle misure da intraprendere verso l'organizzazione per l'anno 1989, viene deciso di
prolungare il compito degli agenti IM “Walford” (sconosciuto) e “Taler” (Klaus Croissant,
avvocato difensore dei membri della prima generazione della Raf detenuti nel carcere di
Stammheim), incaricati di identificare nuovi membri e sostenitori del gruppo e di scoprirne gli
eventuali contatti nella Ddr.258
Il lavoro di Aufklaerung portato avanti dalla divisione XXII prosegue dunque
ininterrottamente fino alla dissoluzione dello stato della SED, ma come abbiamo potuto
vedere non ci sono indizi che lascino pensare che la terza generazione della Raf abbia ricevuto
dalla Stasi un sostegno paragonabile a quello del periodo 1980-1984.
L'ultima fase di vita della Ddr sembra dunque essere segnata dal ritorno alla gestione di quei
rapporti in una chiave di studio ed osservazione, e questo sulla base dei documenti esistenti.
Ovviamente, non e' possibile escludere con assoluta certezza il persistere anche sul finire
255Pimental viene ucciso l'8 agosto 1985 da Birgit Hogefeld. Il suo tesserino viene utilizzato il giorno dopo perpiazzare un'autobomba nella base aerea americana di Rhein-Main.
256Ibd. p.271.257Till Meyer, op. cit. p.365.258BStU, Atti IM-Taler, MfS-HAXXII 19271, p.18
111
degli anni '80 di forme di collaborazione, ma va detto che, semmai ci furono, esse non sono
dimostrabili, vuoi per la carenza di documentazione esistente, forse dovuta al fatto che
collaborazione non ci fu, vuoi per la distruzione di gran parte della documentazione delle
Abteilung XXII e HV A, dato di fatto con cui la ricerca deve da sempre confrontarsi nella
ricostruzione di queste vicende e che potrebbe aver compromesso anche questo campo
d'indagine.
3.7. Un bilancio.
Alla luce di quanto detto finora si può cercare di trarre una conclusione circa la questione del
sostegno ricevuto dalla RAF da parte dei quadri dirigenti del MfS. Come abbiamo avuto
modo di vedere, la storiografia tedesca ha ampiamente indagato il fenomeno, giungendo a
conclusioni precise. L'opera di ricerca svolta all'interno del BStU ha fornito un supporto
essenziale per delineare più chiaramente le modalità entro le quali si espletò il supporto del
MfS nei confronti delle organizzazioni terroriste internazionali.
Per il caso specifico della Raf è stato possibile dimostrare non solo la tolleranza di cui
l'organizzazione godette nella sua fase embrionale e iniziale da parte dell'MfS, ma ha anche
gettato luce sulle strette forme di collaborazione a cui si giunse per alcuni anni a partire dal
1978, collaborazione che in almeno un caso, quello dell'attentato al generale statunitense
Frederik Kroesen, sembra aver portato a conseguenze pratiche nell'azione della Raf, pur non
essendo questa circostanza pienamente dimostrabile a causa delle lacune presenti nella
documentazione disponibile relativa ai procedimenti operativi Stern. La lettura dei documenti
superstiti ha quindi delineato l'immagine di una Stasi consapevole dei rischi derivanti
dall'attività di gruppi terroristici di matrice internazionale, verso i quali vennero prese misure
volte a prevenirsi da possibili attacchi dentro i confini della DDR. Anche il tenore di queste
misure è stato delineato con chiarezza: si puntò a minimizzare il rischio per il proprio stato
tramite una diffusa tolleranza nei confronti di quelle organizzazioni che non sembrassero
intenzionate a rivolgere i propri attacchi contro la DDR.
Analoghe considerazioni furono alla base delle linee guida seguite dal MfS anche nei rapporti
con la Raf, i cui membri erano lasciati liberi fin dall'inizio di attraversare il territorio della
DDR senza incorrere in arresti o estradizioni all'ovest. Da questo comportamento derivò un
112
certo grado di sicurezza per la DDR. Ad ogni modo, il rischio che sul suolo della Repubblica
democratica tedesca si verificassero attentati di matrice internazionale era molto basso, come
ha voluto sottolineare anche Wunschik,259 essendo la DDR considerata dai membri di quelle
organizzazioni più come un alleato che non un nemico. Inoltre, proprio a causa della forte
repressione interna e dello stretto controllo sociale subito dalla popolazione, era altamente
improbabile che all'interno delle proprie frontiere si verificassero le condizioni tali da
permettere la nascita di gruppi eversivi.
Credo si possa qui sorvolare sulle ipotesi formulate dalla stampa sul ruolo della Stasi nella
radicalizzazione del movimento studentesco del '68, non essendo comprovata da certe fonti
documentarie nessuna delle teorie proposte, o sarebbe meglio dire “lanciate”, dalla stampa
tedesca nel corso degli oltre due decenni di vita del BStU. Questo tema non è stato ancora
trattato in maniera scientifica dal mondo accademico. Gli unici ad essersi occupati
dell'argomento sono state finora solo figure provenienti dal mondo del giornalismo, e il libro
di Regine Igel rappresenta in questo senso il più recente lavoro di carattere dietrologico sulla
questione. Per quanto invece riguarda la storia dei rapporti tra la Raf e la Stasi è stato
possibile per la ricerca storiografica ricostruire gli eventi in maniera abbastanza definita.
Per la Stasi era di fondamentale importanza reperire quante più informazioni possibile sul
fenomeno, originale per il periodo, del terrorismo internazionale, allo scopo di capirne i
meccanismi e valutare la misura del rischio potenzialmente derivante dall'attività di questi
gruppi. Occasioni di contatto con quel mondo si presentarono fin da subito. La ricca
documentazione d'archivio in materia reperibile presso il BStU dimostra di come il servizio
segreto della DDR si sia interessato precocemente all'apparire del fenomeno della violenza
politica sulla scena internazionale, sfruttando ai fini dell'indagine non solo dati raccolti dalle
proprie Abteilungen, ma anche le informazioni circolanti all'interno degli organi degli stati
membri del patto di Varsavia, uno su tutti il sistema elettronico SOUD.
Dopo l'attentato alle olimpiadi di Monaco nel 1972, iniziò a circolare negli ambienti del
ministero il timore che la DDR potesse rimanere vittima di attacchi simili. Le considerazioni
che ne derivarono portarono alla nascita e sviluppo di una divisione interamente deputata
all'analisi preventiva del fenomeno, la Abteilung XXII-Terrorabwehr.
La visita di Ulrike Meinhof a Berlino Est nella fase iniziale della sua latitanza vale da un lato
259Tobias Wunschik, “I servizi segreti...”, p. 318.
113
come indizio del fatto che la DDR non fosse ritenuta un possibile bersaglio
dall'organizzazione, dall'altro dimostra come la Stasi non avesse ancora maturato, nei primi
anni di vita della Raf, una conoscenza sufficiente delle sue intenzioni che permettesse di
procedere attivamente alla sua “lavorazione”. La vicinanza geografica e il comune retroterra
ideologico giocarono un ruolo fondamentale nell'intrecciarsi dei rapporti tra terroristi della
Raf e Stasi. In particolare quest'ultimo fattore, tendenzialmente estraneo alla logica del
servizio segreto legata al principio per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, e per cui
le alleanze si creano sulla base di obiettivi condivisi svincolati dalle convinzioni ideologiche,
ha svolto un ruolo di relativa importanza nel sostegno offerto dalla Stasi ai terroristi tedeschi.
Contatti tra i due attori furono cosa abbastanza diffusa nel corso degli anni '70, e la Stasi
continuò a raccogliere tutte le informazioni di cui aveva bisogno sfruttando a dovere le
possibilità che si presentarono, fossero esse contatti diretti avvenuti in occasione
dell'attraversamento delle proprie frontiere da parte di terroristi della Raf o informazioni
reperite per mezzo di agenti IM, in qualche caso operanti presso gli organi di indagine e
sicurezza della repubblica federale.
Nel 1978, l'ennesima occasione di contatto offerta dall'arresto di Inge Viett e dalla vicenda che
ne scaturì, all'interno della quale dieci terroristi della RAF abbandonarono la lotta armata e
vennero accolti nella DDR, diede modo alla Stasi di avviare una nuova fase nella storia dei
rapporti con l'organizzazione. Nell'addestramento offerto ai membri della RAF nel contesto
del procedimento operativo Stern I e' ravvisabile il cambio di strategia operato dagli uomini di
Mielke. Per quanto non sia stato possibile mettere in relazione certa l'attentato contro Frederik
Kroesen con quel periodo di addestramento, esso rivela comunque le intenzioni della Stasi di
sfruttare l'organizzazione a fini offensivi. All'interno della logica strumentale dei servizi
segreti e nel periodo particolare della guerra fredda, non era un qualcosa di particolarmente
eccezionale il fatto che la Stasi tentasse di sfruttare a suo vantaggio una formazione
terroristica che si proponeva, con la sua azione, di destabilizzare ed abbattere uno stato
nemico.
L'unico limite che la Stasi si diede nella gestione di questi rapporti fu la cautela con cui i
colonnelli di Mielke si mossero quando si temeva di venire scoperti. Dal 1983-1984 divenne
sempre più difficile per la DDR tenere nascosta la presenza di terroristi internazionali sul
proprio territorio, e l'apparato iniziò a temere le conseguenze politiche che sarebbero potute
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derivare dal venire scoperti.
E' in questo periodo che Stern I si interrompe e che la Stasi ritira il suo supporto al gruppo del
terrorista internazionale Carlos.260 Ancora ricercati, ma non più attivi sulla scena del
terrorismo e per questa ragione più facilmente controllabili e tollerati restavano i membri della
Raf inseriti nel procedimento operativo Stern II, che si concluse solo con il collasso della
dittatura comunista in Germania Est.
Se il retroterra ideologico ed una visione condivisa del mondo possono aver avuto una parte
relativamente consistente nella nascita dei rapporti tra i due attori, sicuramente giocarono un
ruolo anche nella decisione di interrompere l'addestramento paramilitare di Stern I. I terroristi
della Raf mal sopportavano la teoria sovietica della “coesistenza pacifica”, così come non
riconoscevano il ruolo guida dei partiti comunisti. A queste condizioni era impossibile per la
Stasi pensare di portare avanti una collaborazione nella quale il servizio segreto non fosse in
grado di controllare completamente le mosse e dettare le linee di azione dell'alleato.
Questa affermazione risulta forse più comprensibile se relazionata alle vicende della terza
generazione della Raf, nel qual caso la perdita di prospettive politiche e la scarsa consistenza
ideologica da cui l'organizzazione era ormai “affetta” portarono al progressivo alienarsi delle
simpatie che la Stasi certamente nutriva nei confronti del gruppo. Inoltre, la Ddr versava
ormai dall'inizio degli anni '80 in una gravissima crisi finanziaria, che aveva portato il regime
della SED ad indebitarsi pesantemente con il governo di Bonn per garantire la propria
sopravvivenza. La Stasi non mancò di registrare l'evolversi del processo di crisi, e ne segnalò
prontamente i rischi alla dirigenza politica, mettendo in guardia gli organi di partito dal
tentativo di garantire il benessere della propria popolazione “pompando” artificialmente
crediti esteri nel proprio sistema economico.261 La dipendenza dai crediti tedesco-occidentali
può aver indotto il servizio per la sicurezza di stato a muoversi con una cautela direttamente
proporzionale al timore di venire scoperti, timore che sarà andato a sua volta a crescere a
mano a mano che anche la dipendenza da Bonn si sarà fatta più forte, processo che
raggiungerà il suo apice proprio sul finire del decennio.262
Giunti a questo punto della vicenda, mi pongo la domanda se il servizio segreto della260Ibd., p. 322.261Walter Süss, Die staatssicherheit im letzten Jahrzehnt der Ddr. In BStU (a cura di) Anatomie der
Staatssicherheit. Geschichte, Struktur und Methoden. Berlino 2009. p. 27.262Cfr. Ibd.
115
Germania est non possa aver nutrito un certo interesse nell'intessere rapporti di qualche
genere con le formazioni di lotta armata per il comunismo sorte in Italia negli anni '70, ovvero
se non abbia cercato di prevenirsi dalla possibilità di attacchi sul proprio territorio da parte di
quelle formazioni antisistema che operarono sullo scacchiere politico del nostro paese con le
stesse modalità con cui questo avvenne per la Raf.
In particolare, è possibile ravvisare nell'atteggiamento tenuto dal MfS nei confronti delle
Brigate Rosse l'intenzione di sfruttare anche questa formazione a proprio vantaggio nella
destabilizzazione del nemico? Qui una premessa è d'obbligo, e ci aiuterà a capire meglio la
natura dell'interesse che la Stasi sviluppò anche nei confronti delle Brigate Rosse: il raggio
d'azione dei brigatisti italiani e le loro aspirazioni politiche erano, almeno nella fase iniziale,
strettamente legate al contesto in cui si svilupparono, quello scenario politico italiano
dominato dalla dialettica tra la DC e il Pci.
L'assenza di aspirazioni internazionali nella stessa dialettica delle Br nella loro prima fase ha
fatto si che quest'ultime non potessero essere ricondotte a quei gruppi di terroristi
internazionali da cui la DDR temeva potessero derivare attacchi sul proprio territorio.
A questo va aggiunta l'errata percezione che la Stasi maturò nei confronti dell'organizzazione,
i cui membri e il cui operato venivano fatti risalire, nelle prime informative circolanti nel
ministero nel periodo del sequestro Moro, all'azione di servizi segreti occidentali impegnati a
destabilizzare la situazione politica italiana e a screditare il mondo socialista. Va infatti
premesso di come l'interesse della Stasi per le Brigate Rosse rimase decisamente basso fino al
sequestro dello statista democristiano, sequestro in seguito al quale le ambizioni
internazionalistiche della nuova dirigenza delle BR, guidate da Mario Moretti, sembrerebbero
aver fatto temere l'espletarsi di attacchi sul suolo della DDR da parte di questa
organizzazione, da quel momento in poi osservato speciale dell'apparato di Mielke.
116
Capitolo 4. Brigate rosse e Stasi.
4.1. Storia dell'ente: Il BStU.
I documenti che andremo ad analizzare nel presente capitolo provengono tutti da un unico
ente, il Bundesbeauftragte für die Unterlagen des Staatssicherheitdienstes der ehemaligen
Deutschen demokratischen Republik (BStU). Compito dell'istituzione è quello di rendere
l'opinione pubblica cosciente della struttura, i metodi e del modo in cui gli organi per la
sicurezza di stato tedesco-orientali agivano, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali,
allo scopo di assicurare la permanenza al potere dell'elite comunista.263 La storia di
quest'ufficio affonda le sue radici nei giorni della rivoluzione pacifica in Germania est, e
rappresenta il frutto della volontà popolare di impedire che le prove del controllo totale subito
durante i quarant'anni della dittatura andassero perdute. Procedendo con ordine, è possibile
delineare alcuni passaggi chiave sulla via che porta alla costituzione dell'ente, passaggi che
vanno di pari passo col progressivo deterioramento della credibilità e del potere della SED in
Germania Est. Nel dicembre 1988 il regime della SED rifiuta di seguire il programma di
riforme politico-economiche lanciato da Gorbacev in Unione Sovietica. Non c'è posto per la
perestrojka dentro i confini tedeschi. Allo stesso tempo, la DDR deve preoccuparsi di
mantenere le promesse fatte davanti alla comunità internazionale di garantire al proprio
popolo libertà di informazione, di opinione e di viaggio. A questo si aggiungono le
preoccupazioni destate da un'opposizione civile interna sempre più organizzata.
Quando, nel marzo 1989, il governo dirama una nuova regolamentazione dei viaggi ancora
più restrittiva di quella vigente, la reazione popolare costringe il regime di Honecker a ritirare
il provvedimento, segnando un passo avanti nel rapido processo di disgregazione del potere
comunista. Il MfS si adegua alle decisioni politiche di una classe dirigente ormai
completamente screditata ed in balia delle istanze di rinnovamento sociale di cui l'opposizione
civile si fa promotrice.
Un ulteriore passo viene compiuto nel giugno dello stesso anno. La violenta repressione delle
proteste studentesche in Cina e i fatti di piazza Tienanmen indignano l'opinione pubblica di
tutto il mondo, ma non la classe dirigente tedesco-orientale, che anzi esprime solidarietà al
regime di Pechino sui media e in un pronunciamento alla Camera del Popolo. Così facendo, il
regime di Honecker perde definitivamente il briciolo di credibilità rimastogli agli occhi della
263 www.bstu.bund.de
117
propria popolazione. L'ultimo quarto del 1989 è segnato dall'insorgere e dal definitivo
montare delle proteste popolari. Il 7 ottobre, in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni
della DDR, quasi tutte le grandi città sono teatro di violenti scontri tra polizia e manifestanti,
mentre il 9 ottobre ha luogo a Lipsia una manifestazione a cui prendono parte 70.000 persone.
Il processo di progressiva corrosione del potere comunista in Germania Est procede a grandi
passi, e il 17 ottobre Honecker è costretto alle dimissioni da un gruppo golpista costituitosi
intorno ad Egon Krenz, che viene eletto nuovo segretario generale della SED ed annuncia
riforme e una maggiore disposizione al dialogo. Il 31 ottobre è lo stesso Mielke a dimettersi
dalla direzione della Stasi, emanando l'ultimo ordine della sua gestione, il primo di carattere
difensivo nella storia del ministero: agli impiegati e ai colonnelli viene chiesto di difendere le
sedi del MfS, che si teme possano ora diventare bersaglio della rabbia popolare.
Il 7 novembre il governo Krenz rassegna le dimissioni, sostituito da uno guidato dal
comunista e vicino alla linea politica di Gorbacev Hans Modrow.
Il nuovo governo decreta la fine della Stasi, o meglio la sua riforma: nasce l'Amt für
Nationale Sicherheit (AfnS).264 Il suo capo, non più ministro, renderà conto al primo ministro
e risponderà al parlamento, come tutti i servizi di sicurezza dei paesi democratici.265
In data 15 novembre viene comunicato ai quadri della Stasi, dei cui dipendenti nessuno è stato
finora licenziato o messo in aspettativa, che il loro futuro è incerto. Resta ora lo spinoso
problema della gigantesca mole di documenti prodotti negli anni dall'apparato di Mielke. Il
capo della Stasi aveva ordinato già alla fine di ottobre la messa in sicurezza dei documenti più
rilevanti e compromettenti, e adesso impartisce il comando di bruciarne una parte e spostarne
il resto negli archivi periferici, più facili da difendere. Da questo momento in poi comincia
una sistematica distruzione della documentazione per mezzo di tritacarte industriali.
L'opinione pubblica avrà notizia del fatto solo il 4 dicembre, quando un funzionario dell'AfnS
dichiarerà di aver assistito alla distruzione dei documenti. In quello stesso giorno le sedi
distaccate della Stasi vengono prese d'assalto dalla popolazione e il capo dell'agenzia
Wolfgang Schwanitz, già braccio destro di Mielke, ordina agli impiegati di sospendere la
macerazione dei documenti per scongiurare il rischio di linciaggi.
Inizia cosi il braccio di ferro tra il governo Modrow e la “tavola rotonda” delle opposizioni
circa il destino di quell'imponente lascito documentario. Le opposizioni pretendono ed
264Agenzia per la sicurezza nazionale.265Falanga G., op. cit. ,p.262.
118
ottengono lo scioglimento immediato dell'AfnS, considerata dai più come un tentativo da
parte degli ex colonnelli di Mielke di salvare il salvabile. Il 12 gennaio Modrow dichiara che
l'agenzia sarà smantellata completamente, senza essere reintegrata in un nuovo servizio di
intelligence. Nel pomeriggio del 15 gennaio una folla si raduna davanti ai cancelli della sede
centrale del decaduto MfS a Berlino, pretendendo lo smantellamento di tutte le strutture della
Stasi nella DDR. La popolazione avanza la richiesta di entrare nell'edificio accompagnata da
un magistrato, allo scopo di porre i sigilli sugli archivi.
Il 18 gennaio 1990 il governo Modrow annuncia ufficialmente lo scioglimento totale di ogni
residua struttura dell'apparato.
L'8 febbraio 1990 il governo accetta di sottoporre al controllo civico lo scioglimento delle
strutture della Stasi formando un Comitato per la liquidazione del MfS. Il 18 marzo 1990 si
tengono le prime elezioni libere nella DDR, vinte da una coalizione di centro-destra sostenuta
dalla CDU e dal cancelliere tedesco occidentale Helmut Kohl. La tavola rotonda della
opposizioni cessa di esistere, ma nell'ultima seduta a cui ha preso parte si è già iniziato a
discutere la questione del destino dei documenti della Stasi.
L'apertura al pubblico degli archivi del ministero ha rappresentato fin dai primi momenti uno
dei cavalli di battaglia della rivoluzione pacifica, e il primo passo in questa direzione viene
compiuto dall'ultimo governo della DDR nell'agosto 1990 con l'emanazione di una legge che
assicura la conservazione dei documenti e l'impegno delle istituzioni a renderli accessibili a
vittime e studiosi.266
Poco prima della riunificazione il governo di Bonn, esposti i pericoli che una gestione
incontrollata dei documenti può provocare, ne propone lo spostamento nell'Archivio federale
di Coblenza, già sede degli archivi degli stati tedeschi “decaduti” quali l'impero del Kaiser, la
Repubblica di Weimar, la dittatura nazista. Gli archivi della stasi avrebbero seguito lo stesso
destino degli altri, sottoposti all'osservanza della Bundesarchivgesetz (legge federale per la
gestione degli archivi) che prevede un blocco di 30 anni prima dell'apertura al pubblico. La
comunità civile fa di nuovo sentire la sua voce, occupando nuovamente in settembre la sede
centrale della Stasi e inaugurando uno sciopero della fame contro l'esproprio dei documenti e
il loro trasferimento all'Ovest. Al testo dell'Einigungsvertrag viene aggiunta una clausola che
garantisce l'impegno del parlamento federale a varare al più presto una nuova legge ispirata ai
principi di quella già varata dalla Camera del popolo.
266 Ibd. p.271.
119
Il 3 ottobre 1990, data della riunificazione tedesca, il pastore anticomunista di Rostock
Joachim Gauck viene nominato Sonderbeauftragter der Bundesregierung für die Stasi-
Unterlagen.267 Questo primo embrione prenderà la sua forma definitiva il 29 dicembre del
1991, con l'emanazione da parte del governo federale di una legge ad hoc che regola la
gestione e l'accessibilità degli archivi per uso privato, pubblico o a scopi di ricerca.268 La legge
segna la nascita ufficiale del nuovo ente, che assume il nome di Bundesbeauftragte für die
Unterlagen des Staatssicherheitdienstes der ehemaligen DDR.
Di fondamentale importanza è la decisione del governo federale di mantenere il nuovo organo
indipendente dai partiti, e in questa chiave ha giocato un ruolo fondamentale la decisione di
non sottoporlo al controllo del ministero federale dell'interno. Dal 1991 il suo direttore viene
proposto dal governo e necessita dell'approvazione parlamentare. Il primo a ricoprire tale
carica fu quel Gauck già nel 90 incaricato di gestire il lascito documentario della Stasi. Il
mandato ha durata quinquennale, e la rielezione è possibile per un massimo di due mandati
consecutivi. Ad ottobre 2000 l'incarico viene conferito a Marianne Birthler, attivista tra i
maggiori protagonisti della rivoluzione pacifica.
Oltre alla funzione di strumento di ricerca, il BStU ne ha svolte anche altre di carattere civile
ed amministrativo: le aziende pubbliche e private hanno il diritto di inoltrare all'ente una
domanda di verifica, per controllare se nelle file della propria attività si annidino ex agenti IM
o figure che possano in qualche modo aver avuto a che fare con gli organi del ministero di
Mielke. La stessa possibilità viene offerta alle amministrazioni pubbliche, nonché ai partiti e
agli organi statali nel loro complesso.
Vale la pena ora spendere qualche parola sul grado di accessibilità dei documenti permesso da
questo ente federale. Mentre alle vittime della dittatura è permesso leggere in chiaro tutta la
documentazione che le riguarda, allo studioso o al pubblicista che inoltri richiesta vengono
imposte delle limitazioni a protezione della privacy. Nell'analizzare la documentazione ci si
ritrova così di fronte a documenti nei quali i nomi per i quali non si è fatta esplicita richiesta
sono anneriti. Il compito di oscurare i suddetti nomi con una riga di pennarello nero è affidato
all'archivista che si occupa della ricerca, il quale mette poi a disposizione del ricercatore i
documenti “censurati”.
Ai fini di questa ricerca gli annerimenti sono risultati fortunatamente di poco conto, essendo i
267 Incaricato speciale del governo federale per i documenti della Stasi. 268 Si tratta della c.d. Stasi-Unterlagen Gesetz, legge sui documenti della Stasi.
120
protagonisti citati nei suddetti documenti da tempo noti alle forze dell'ordine o avendo essi già
da tempo saldato il proprio conto con la giustizia. Resta purtroppo l'incognita
dell'incompletezza della documentazione, per cui non è dato sapere se e in quale misura parte
della documentazione utile a questa ricerca sia andata distrutta. Fra il dicembre 1989 e il
gennaio 1990 è stato possibile recuperare nelle sedi del ministero numerosi sacchi pieni di
strisce di carta, documenti tritati che sarebbero stati bruciati se il corso degli eventi non avesse
preso la giusta piega permettendone il recupero.
Dal 1995, il BStU si è fatto carico della ricostruzione manuale di questi documenti, e i
risultati sono stati finora così incoraggianti da portare ad ulteriori sviluppi: nel 2000 il
parlamento federale ha infatti deciso di sostenere un progetto di accelerazione della
ricomposizione di questi documenti. Nel 2004 l'Istituto Frauenhofer ha vinto un concorso
bandito dal BStU dando il via ad un progetto di sperimentazione di ricostruzione virtuale
automatica, la cosiddetta Stasi-Schnipselmaschine.269 Gli atti ricostruiti saranno presto messi a
disposizione del pubblico, e nulla esclude che nei prossimi anni possano essere resi
consultabili altri documenti di grande importanza ai fini della ricerca sul tema dei rapporti tra
la Stasi e il brigatismo italiano.
Nella teoria, il BStU dovrebbe chiudere i battenti nel 2019, ma la speranza che tale termine
venga prorogato è molto più che una pura illusione. Un bilancio numerico di vent'anni di
attività dimostra infatti ancora oggi l'assoluta importanza di un simile ente, se si considera il
crescente numero di richieste di visualizzazione degli atti ricevuto dal BStU nei suoi
venticinque anni di vita.
Nel periodo 1992-2011 sono state inoltrate circa 6.5 milioni di richieste, riassumibili come
segue;
a) 2.791.126 domande di privati cittadini richiedenti informazioni, visione e copia di
documenti che li riguardano personalmente.
b) 1.754.449 domande di verifica di persone impiegate nella pubblica amministrazione.
c) 433.600 ulteriori domande di verifica di singole persone.
d) 25.581 domande di visione documenti a scopo scientifico o pubblicistico da parte di
giornalisti, accademici e storiografi.
e) 480.492 domande per cause di riabilitazione (ad esempio, pensione per perseguitati politici
o restituzione di beni espropriati).
269Gianluca Falanga., op. cit. p. 276.
121
f) 1.144.172 domande relative a pratiche di contabilità pensionistica.270
4.1.1. I canali informativi del MfS nella “lavorazione” delle Br.
Come abbiamo avuto modo di vedere nel precedente capitolo, la Stasi si preoccupò di
documentarsi sul terrorismo internazionale fin dalle prime apparizioni del fenomeno, allo
scopo dichiarato di prevenirsi da possibili attacchi sul proprio territorio.
Se per la Raf la Stasi aveva potuto contare sulla collaborazione, volontaria o estorta, dei
membri del gruppo, un simile discorso non può essere fatto per quanto riguarda le Brigate
rosse, la cui retorica si presentava, almeno fino all'operazione Moro, come fortemente legata a
dinamiche autoctone. Il raggio d'azione prettamente nazionale dei brigatisti, le loro
rivendicazioni e gli obiettivi politici perseguiti si inquadravano perfettamente all'interno della
situazione italiana. Le Br si proponevano di dare seguito al processo di presa del potere da
parte delle masse interrotto dal Pci dopo la seconda guerra mondiale, e il mito della
“resistenza tradita” giocò un ruolo chiave nel dipanarsi dell'azione brigatista dei primi anni.
Pur con la consapevolezza dell'avvenuta distruzione di gran parte della documentazione, da
un'analisi preliminare degli atti più datati sulle Br si può ragionevolmente supporre che la
raccolta di informazioni sul gruppo sia iniziata proprio nel 1978. Lo si deduce in primis
dall'inesattezza delle informazioni riportate, così come dalle evidenti storpiature “inflitte” ai
nomi dei brigatisti citati.
L'inizio della raccolta sistematica sui membri e sulle azioni delle Brigate rosse inizia dunque
proprio in concomitanza con il sequestro di Aldo Moro, e prosegue ininterrottamente per oltre
dieci anni, fino alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell'apparato di Mielke. Si
può ragionevolmente supporre che il caso Moro abbia contribuito in maniera decisiva a
destare l'interesse del MfS nei confronti della maggiore organizzazione terrorista italiana, la
quale in seguito a quella tragica vicenda era andata sempre più accostandosi a tematiche di
respiro internazionale. Circostanza questa da cui può essere scaturita la decisione del MfS di
approcciarsi al gruppo italiano come a uno di quei gruppi di terroristi internazionali da cui
sarebbero potuti derivare dei rischi per la stessa DDR.
Ad occuparsi di questa sistematica raccolta di dati fù in primo luogo lo ZAIG.271 Se, nel caso
270Www.bstu.bund.de 271“Zentrale Auswertungs- und Informationsgruppe”: Organo informativo del MfS, allo stadio finale della sua
evoluzione nel 1989 contava oltre 400 dipendenti. Si occupava di raccogliere ed elaborare materiali necessaria tenere continuamente aggiornata la dirigenza della DDR sulla situazione sociale interna. Tra i suoi compiti
122
specifico della Raf, le occasioni di contatto con membri dell'organizzazione erano state fin dal
principio numerose, legate alla vicinanza geografica tra i due stati e alle circostanze che
avevano portato membri della Raf a transitare in più occasioni per il territorio della DDR,
permettendo così una conoscenza approfondita degli intenti e del modus operandi del gruppo,
la mole più consistente di informazioni relative alla strategia dei brigatisti veniva raccolta
principalmente servendosi delle notizie riportate dalla stampa. Il fatto che la quasi totalità dei
quotidiani pervenuti allo ZAIG provenga dalla Germania occidentale si spiega facilmente con
necessità di carattere linguistico. Così si trovano negli atti del BStU centinaia di copie di
quotidiani tedesco-occidentali, riportanti di volta in volta notizie riguardanti attentati
rivendicati dal gruppo, arresti e indagini degli organi di polizia italiani. Una parte
fondamentale veniva svolta dagli agenti IM presenti nelle redazioni degli organi di stampa
tedesco-occidentale. Del ruolo svolto, ad esempio, da Till Meyer presso la redazione del
“TAZ” si e' parlato anche nel precedente capitolo.
Ovviamente, le informazioni raccolte seguendo questi canali sono di una qualità inferiore
rispetto a quelle che si sarebbero potute ottenere dal contatto diretto, o mediato da eventuali
fiancheggiatori, con i membri del gruppo che si voleva studiare, e nelle informative sul
fenomeno sono ravvisabili di volta in volta tutti i passi avanti compiuti dai nostri organi
d'indagine e lotta al terrorismo, così come sono ben individuabili i momenti di stagnazione o
confusione da loro subiti.
Trattandosi in questo caso di uno spionaggio “di sponda”, le conoscenze ottenute dalla Stasi
sulle Brigate rosse, oltre a rispecchiare pienamente quelle ricavate dagli organi di stampa e di
indagine nella precisa descrizione degli eventi presentata dai quotidiani, per i quali si trova
coincidenza cronologica esatta nella documentazione analizzata, (particolare che svela in
primo luogo la priorità dell'oggetto, laddove le informazioni venivano fatte pervenire allo
ZAIG praticamente in tempo reale), giungono a fare proprio il punto di vista dell'osservatore.
Nella documentazione proveniente dallo ZAIG troviamo in primo luogo copie di articoli
estratti dalla stampa tedesco occidentale. Tutte le maggiori testate giornalistiche trovano
rappresentanza all'interno di questo corpus: “Süddeutsche Zeitung”, “Die Welt”, “Der
Tagesspiegel”, “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Frankfurter Rundschau”, “Spandauer
vi era anche quello di raccogliere e valutare le informazioni ottenute dalla lettura ed interpretazione dellastampa occidentale. Venne spesso incaricato di compiti specifici, come nel caso dell'analisi del terrorismointernazionale. Per una ricostruzione puntuale di questa divisione nelle diverse fasi della sua storia cfr. RogerEngelmann, Frank Joestel: Die Zentrale Auswertungs- und Informationsgruppe in BStU (a cura di) MfSHandbuch, Berlino 2009.
123
Volksblatt”, “Welt am Sonntag”, “Der Spiegel”, “Die Zeit”, “Kölner Stadtanzeiger”, “Der
Abend”. Tra i quotidiani non nazionali in lingua tedesca troviamo anche lo svizzero “Neue
Zürcher Zeitung”.272
Alla lettura della cronaca veniva affiancata quella della stampa specialistica. Un esempio in
questo senso è rappresentato dalla traduzione di un articolo sulle Br, apparso in data 1
febbraio 1982 sul settimanale inglese “Newsweek” e riportante un'intervista a Brian Jenkins,
direttore della statunitense RAND Corporation, società di ricerca sul terrorismo fondata nel
1976.273
La Stasi è in sostanza costretta ad affidarsi ad interpretazioni esterne del fenomeno brigatista,
non disponendo di contatti diretti coi membri del gruppo.
Non furono solo la cronaca occidentale e gli studiosi stranieri a preoccuparsi di analizzare le
vicende brigatiste. Il fenomeno venne studiato anche all'interno dei confini della Ddr, nelle
sue università, e anche su quanto teorizzato da docenti tedesco-orientali sembra essersi
concentrata l'attenzione della Stasi. Sul terrorismo italiano vennero pubblicati due articoli
scritti dal politologo e professore dell'università di Potsdam Hermann Mierecker. Il primo in
ordine cronologico, intitolato “Die neofaschistische Gefahr in Italien. Das Paktieren des
bürgerlichen Staates und der Justiz mit dem Neofaschismus”, appare sul numero 11 del 1980
della rivista “Staat und Recht”, pubblicazione ufficiale della suddetta istituzione, e viene
prontamente acquisito dalla Stasi e trasmesso alla divisione XXII274 insieme ad un altro dello
stesso autore, pubblicato questa volta sulla rivista ufficiale ad uso interno della Nationale
Volksarmee (NVA) “Militärwesen” in due parti tra il luglio e l'agosto del 1980 e intitolato “So
schuf die CIA die Roten Brigaden.”275
La maggior mole di documenti superstiti fa riferimento al periodo 1978-1981, durante il quale
la Stasi, come abbiamo appena accennato, si approccia per la prima volta all'analisi del
terrorismo delle Brigate rosse.
Pur rappresentando una valida base di partenza per accrescere le proprie conoscenze
sull'organizzazione, la semplice lettura della stampa non costituiva però l'unica strada
percorribile. Altri canali informativi provenivano dallo spionaggio in Germania Ovest. Così
ad esempio il Direttorato Estero HV A di Markus Wolf ed il II dipartimento centrale
272La documentazione appena citata può essere visualizzata nella serie di atti BStU, MfS-ZAIG 10477.273BStU, MfS-HA XXII 19961, pp. 419-430.274BStU, MfS-HA XXII 1841/42, pp. 22-27.275BStU, MfS-HA XXII 1841, pp. 42-54.
124
(controspionaggio) disponevano di un'efficiente rete di agenti infiltrati in tutte le istituzioni
tedesco-occidentali che si occupavano di terrorismo ed eversione politica: il ministero degli
Interni a Bonn, la sezione antiterrorismo TE 12 della polizia criminale a Wiesbaden, le polizie
regionali, la polizia doganale, il cosiddetto Verfassungsschutz (Agenzia per la tutela
dell'ordine costituzionale) e l'intelligence estera, il Bundesnachrichtendienst (BND).276 A
questi canali si accompagnava lo sfruttamento dei collegamenti internazionali degli organi di
sicurezza nell'ambito della NATO e dell'Interpol, tramite i quali venivano raccolte ad esempio
liste di ricercati e fascicoli di indagine. Così facendo, la Stasi si procurava una sconfinata
mole di informazioni riguardanti non solo le generalità dei terroristi, bensì disponeva anche di
dati utili a conoscere e seguire i loro movimenti e quelli dei loro inquirenti.
4.2. La dietrologia sulle Br. La “pista Hyperion.”
Così come nel caso della Raf, anche per la storia delle Br sono state proposte negli anni
numerose interpretazioni di carattere dietrologico, che si sono proposte di smascherare le
interferenze dei servizi segreti nazionali ed esteri nell'operato delle Brigate rosse. Si vedrà nel
capitolo finale di questo lavoro come il caso Moro in particolare si sia prestato bene nel corso
degli anni a favorire lo sviluppo di una miriade di teorie ed interpretazioni, più vicine per
modalità d'indagine al mondo giornalistico che non a quello accademico e storiografico.277
La tesi dietrologica più radicata per quanto riguarda la storia delle Brigate rosse è quella del
“grande vecchio”. Con questa espressione si fa riferimento alla figura di Corrado Simioni.
Alla fine degli anni '50 è membro della Gioventù Socialista insieme a Bettino Craxi. Nel 1974
lascia l'Italia e fonda a Parigi la scuola di lingue “Hyperion” insieme a Vanni Mulinaris e
Duccio Berio. L'istituto viene indicato, dal Pm padovano Pietro Calogero nell'ambito
dell'inchiesta “7 aprile”278 e da altri magistrati del caso Moro, come una centrale del traffico di
armi del terrorismo internazionale.
Nel 1980 Bettino Craxi interviene nella discussione sulle centrali del terrorismo e parla di un
276Gianluca Falanga, Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi. Carocci, Roma 2014. pp. 126-157.277Cfr. Sergio Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1988.278 L'espressione “processo 7 aprile" è una locuzione giornalistica che si riferisce ad un serie di processi penali,seguiti ad arresti preventivi, contro membri e presunti simpatizzanti dell'Autonomia Operaia tra il 1979 e il 1988in riferimento a fatti degli anni di piombo, in seguito all'inasprimento della lotta al terrorismo seguita alrapimento e all'omicidio di Aldo Moro. Secondo il “teorema Calogero”, l'Autonomia era parte integrante delterrorismo rosso e ne costituiva la base. Questo teorema non venne accertato in sede giudiziaria e molti degliarrestati vennero assolti. Cfr. anche Fabrizio Carbone, Liliana Madeo, “Arrestati gli ideologi di Autonomia. Sonoaccusati di insurrezione armata”, La Stampa, 8 aprile 1979, pp. 1-2.
125
“grande vecchio” che a molti osservatori sembra il ritratto di Simioni: “Bisognerebbe andare
indietro con la memoria, ripensare a quei personaggi che avevano cominciato a fare politica
con noi, che avevano mostrato di avere qualità, doti politiche, e che poi all'improvviso sono
scomparsi. Gente di cui si parlava una decina di anni fa...Certo molti di loro avranno smesso,
si saranno accontentati di una sistemazione qualsiasi, qualcuno sarà anche morto. Però, dico,
ci sarà pure chi invece ha continuato nella clandestinità, magari oggi starà a Parigi, a lavorare
per il partito armato...”.279
Tra i massimi sostenitori della teoria dietrologica concernente le attività della scuola Hyperion
troviamo uno dei capi fondatori delle Br, Alberto Franceschini. I suoi sospetti che le Br
possano aver inconsapevolmente favorito gli interessi dei servizi segreti, sia italiani che esteri,
affondano le loro radici in un episodio che l'ex capo brigatista ha raccontato nella sua
autobiografia, curata da Pier Vittorio Buffa e Franco Giustolisi nel 1988 ed edita da
Mondadori, “Mara, Renato e io. Storia dei fondatori delle Br.” In merito all'anno 1972,
Franceschini racconta di come l'organizzazione avesse rischiato di instaurare pericolose
collaborazioni: “un pericolo lo corremmo realmente quando gli israeliani ci cercarono. Fu un
compagno di “Controinformazione” a dirci, non senza imbarazzo, che si erano messi in
contatto con lui degli uomini dei servizi segreti di Tel-Aviv. Volevano fornirci armi e
munizioni moderne senza chiedere una lira in cambio. A loro interessava che i paesi
Mediterranei come l'Italia, non in pessimi rapporti coi palestinesi, continuassero a vivere in
una situazione di instabilità al loro interno.280
D'altronde il timore che l'organizzazione venisse infiltrata dall'esterno si giustificava con i
recenti eventi del gruppo, che in seguito alla defezione di Marco Pisetta, e all'ondata di arresti
che ne era seguita, aveva subito un colpo durissimo.281
A distanza di oltre un decennio, le convinzioni di Franceschini si sono trasformate in un
disegno coerente, del quale l'ex brigatista traccia un quadro di fronte alle istituzioni italiane. Il
17 marzo 1999, nell'ambito delle indagini della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione delle stragi, Franceschini
dichiarava in merito alla scuola di lingue Hyperion: “Pensate ad una organizzazione che si
muove a livello europeo, a cui fa riferimento una serie di soggetti che come compito hanno
quello di orientare le organizzazioni di lotta armata esistenti nei vari paesi .[…] Ritengo
279Mario Moretti, Carla Mosca, Rossana Rossanda (a cura di), op cit., p. 15.280Alberto Franceschini, Giovanni Fasanella (a cura di), op. cit., pp. 74-75.281Cfr. Marco Clementi. Storia della Brigate rosse, pp. 43-48.
126
certamente che uno dei centri […] sia la scuola Hyperion. […] La vedo come una sorta di
camera di compensazione tra una serie di servizi; cioè, credo […] che la chiave di lettura è
Yalta. La chiave di tutto sono gli accordi di Yalta, il rispetto di questi accordi, il fatto che i
singoli stati nazionali non potevano trasbordare rispetto a certe linee.”282
Nel libro-intervista del 2004 pubblicato dal giornalista di “Panorama” Giovanni Fasanella ed
edito da Bur “Che cosa sono le Br”, Franceschini sposa definitivamente la teoria del “grande
vecchio”, indicante un'entità che avrebbe collaborato con servizi segreti di diversi stati e
infiltrato l'organizzazione, portando ad una sua marcata militarizzazione e costringendola ad
“innalzare il livello dello scontro.” Anche secondo Franceschini, si tratterebbe della struttura
clandestina costituita all'inizio degli anni '70 da Corrado Simioni, denominata Superclan
(Superclandestina). Pur avendo il Superclan cessato di esistere agli inizi del 1971, i suoi ex-
membri Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris fondarono nel 1974 a Parigi la scuola
Hyperion, che avrebbe rappresentato la base operativa del gruppo di Simioni. Per supportare
la sua tesi, Franceschini elenca una lunga serie di aneddoti riguardanti la figura di Mario
Moretti. Simioni aveva fondato, insieme a Curcio, il collettivo politico metropolitano, di cui
anche Moretti era membro. Corrado Simioni viene descritto da Franceschini come l'uomo
delle relazioni,283 colui che intratteneva legami in particolare con i gruppi francesi “Vive la
revolution” e “Gauche proletarienne”.284 Il compito di Simioni all'interno del Cpm era quello
di preparare il passaggio alla clandestinità del gruppo. A tale scopo era stato costituito il
gruppo delle cosiddette “zie rosse”, che Franceschini considera un'avanguardia militare in
seno al Cpm, a cui era affidato il compito di servizio d'ordine durante i cortei, così come
quello di eseguire azioni durante le manifestazioni. I suoi membri colpivano determinati
obiettivi e poi “rientravano mimetizzandosi in mezzo agli altri.“285
Nella primavera del 1970, Moretti lascia il Cpm, accusando i suoi membri di scarso impegno
nel passaggio alla lotta armata. Franceschini viene informato da Mara Cagol, già membro
delle “zie rosse”, del fatto che in realtà Moretti si sta unendo al Superclan di Simioni, e le sue
dichiarazioni sono da spiegarsi con la necessità di procurarsi una copertura nel momento del
suo passaggio in clandestinità.286
282Atti della Commissione stragi. Audizione 50a, 17 marzo 1999.283Fasanella, Franceschini (a cura di), op. cit., p. 51.284Gruppi francesi di ispirazione marxista-leninista che teorizzavano la lotta armata. 285Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), op. cit. p.51.286Ibd. p.55.
127
In seguito alla prima azione firmata Brigate rosse, l'incendio dell'auto del dirigente della Sit-
Siemens Giovanni Leoni, sarebbero sorti dei contrasti tra Franceschini e Simioni.287 L'ex
brigatista racconta di come Simioni rimproverasse agli autori del gesto una generale
ristrettezza di vedute sul tema della “propaganda armata”. Obiettivo del gruppo non sarebbe
dovuto essere quello di condurre piccole azioni di giustizia proletaria, bensì quello di
organizzarsi nell'ottica di una più estesa lotta antimperialista.288
Stando alle parole di Franceschini, Simioni avrebbe esplicitamente affermato di voler
infiltrare tutti i gruppi della sinistra per indurli ad innalzare il livello dello scontro,
affermazione dalla quale sarebbe maturata la decisione di interrompere ogni forma di
collaborazione con lui.289
Franceschini sostiene inoltre che i progetti di Simioni sarebbero diventati realtà, per quanto
riguarda le Brigate rosse, per mezzo di Mario Moretti, il quale si ripresenta a lui e Curcio
nella primavera del 1971, sostenendo di aver trascorso un periodo di clandestinità in
compagnia di non meglio identificati esuli sudamericani, con i quali avrebbe organizzato
qualche rapina.290 Il gruppo si sarebbe sfasciato, e Moretti avrebbe maturato la sua decisione
di tornare in quello di Curcio e Franceschini, il quale ritiene di poter sostenere, essendo a
conoscenza del fatto che Moretti avesse in realtà operato per il Superclan di Simioni, che
fosse stato lo stesso Simioni a rimandare indietro Moretti con lo scopo di “prendersi le Br”.291
Il fatto che, dopo l'arresto dei capi fondatori delle Br, la guida del gruppo sia stata assunta da
Moretti rappresenta, agli occhi di Franceschini, l'avvenuta infiltrazione del gruppo da parte
dell'organizzazione guidata da Corrado Simioni. Ulteriore prova di questo fatto sarebbe
proprio lo spiccato processo di militarizzazione a cui l'organizzazione andò incontro, seguito
all'uscita dai giochi dei membri del gruppo storico come Curcio, Franceschini (arrestati) e
Cagol (uccisa in uno scontro a fuoco con la polizia le cui dinamiche non sono state mai del
tutto chiarite), e dalla presa del comando da parte di Moretti, coincidente con un effettivo
innalzamento del livello dello scontro e con un ampliamento dell'orizzonte politico in cui le
Br morettiane tentavano di inserirsi, dal momento in cui iniziarono ad interpretare l'azione
della DC come parte di un più vasto programma politico portato avanti sotto le direttive
287Di questi dissapori Franceschini ha parlato apertamente anche di fronte alla commissione stragi nella sedutadel 17 marzo 1999.
288Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini (a cura di), op. cit., p.63. 289Ibd. p.72.290Ibd. p.102.291Ibd. p.103.
128
dell'imperialismo americano.
Il nome di Corrado Simioni viene di nuovo accostato alla figura del “grande vecchio”
dall'architetto e faccendiere di Craxi Silvano Larini, che nel 1993 dichiara alla magistratura
presieduta da Antonio di Pietro, nel corso dell'inchiesta “Mani pulite”, di essere assolutamente
certo del ruolo di burattinaio svolto da Simioni nel contesto del terrorismo brigatista. Le
accuse mossegli sono state prontamente smentite da Simioni in un'intervista telefonica
rilasciata al “Corriere della Sera” in data 16 marzo 1993.292
L'autonomia della Brigate rosse e' stata fortemente messa in dubbio non solo da suoi
autorevoli membri quali Franceschini, ma anche da rappresentanti politici strettamente
coinvolti nelle operazioni di indagine sulla vicenda Moro. Un esempio su tutti e' rappresentato
da Sergio Flamigni.
Pur non rifacendosi in alcun modo alla teoria del “grande vecchio”, dubbi sulla suddetta
autonomia delle Br sono stati mossi anche da Flamigni, parlamentare del PCI e membro della
commissioni parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, che dell'interpretazione dietrologica
della vicenda ha fatto una professione.293 294 Al nascere e svilupparsi di teorie di carattere
dietrologico sembra aver concorso anche un atteggiamento reticente della sinistra italiana, di
cui Flamigni può forse essere assurto ad esempio caratterizzante, a confrontarsi con una
storia, quella del brigatismo, che affonda le sue radici in quella del Pci, e che non ha
rinunciato ad avallare negli anni le varie interpretazioni proposte, laddove queste valessero a
deresponsabilizzare il partito supponendo l'espletarsi, per mano delle Br, di azioni ordinate o
inquinate da servizi segreti. Si è in sostanza teso a negare pubblicamente l'autoctonia del
fenomeno e della sua strategia, così come a sminuire i suoi legami col Pci, quando in realtà,
come ha sostenuto Rossana Rossanda, le Br non erano simili alle organizzazioni di stampo
nazionalista come l'Eta o l'Ira, ne' tantomeno nascevano con lo scopo di liberare un territorio o
per affermare l'indipendenza di un popolo. Per loro l'essenziale fu il fatto che in Italia fosse in
atto un conflitto di classe, di cui loro rappresentarono il braccio armato.295
292 Ulderico Munzi. “Corrado Simioni: Macché grande vecchio delle Br. Io sono buddista.” su “Corriere dellaSera”, 16 marzo 1993. p. 3.293Cfr. Sergio Flamigni, op. cit. pp.204-208.294Dello stesso autore cfr. anche: Il covo di stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1999;
Il mio sangue ricadrà su di loro, Kaos edizioni, Milano 1999; Patto di omertà. Il sequestro e l'uccisione diAldo Moro: i silenzi e le menzogne della versione brigatista, Kaos edizioni, Milano 2015.
295Rossana Rossanda in Moretti, Mosca, Rossanda. (a cura di.), op. cit., p. XIX.
129
4.2.1. La pista del blocco comunista.
Se, come abbiamo avuto modo di vedere, la storia della Br si è prestata ad interpretazioni
dietrologiche inerenti il ruolo svolto nella loro “direzione” da parte di servizi segreti del
blocco occidentale, allo stesso modo si sono sviluppate teorie di pari tenore sul legame che
condurrebbe le Br ai paesi del mondo comunista. Una di queste si è proposta ad esempio di
svelare i contatti intrattenuti tra alcuni brigatisti e la Repubblica popolare cecoslovacca. A
fornire per primo indizi in questa direzione è stato l'ex generale della Difesa del Comitato
Centrale Cecoslovacco ai tempi del governo guidato dal filosovietico Antonin Novotny, Jan
Sejna.
Quando, il 5 gennaio 1968, Novotny viene sostituito da Mosca con il riformista Alexander
Dubcek, Sejna diserta l'esercito e fugge prima in Inghilterra, per poi riparare definitivamente
negli Stati Uniti e mettersi al servizio delle CIA. A partire da allora, Sejna avrebbe rilasciato
dichiarazioni inerenti la presenza di campi di addestramento militari per terroristi
internazionali, organizzati da Mosca sul suolo Cecoslovacco a partire dal 1964. Campi di
addestramento che avrebbero goduto della presenza, tra gli altri, anche di esponenti di spicco
della sinistra extraparlamentare italiana, tra i quali Giangiacomo Feltrinelli (GAP), Sergio
Spazzali, Augusto Viel (Gruppo XXII ottobre), Ferruccio Gambino e Antonio Negri
(Autonomia Operaia).296 Fatta eccezione per Spazzali, che in qualità di avvocato difese di
fronte alla giustizia numerosi militanti della sinistra extraparlamentare e delle Br, nessuno dei
nomi riportati dalla commissione ha mai fatto parte delle Brigate rosse. Certo è che, alla luce
di queste considerazioni, non possa che risultare improprio chiamare in causa le Br, anche per
un secondo motivo: le dichiarazioni rilasciate da Sejna si riferiscono al periodo 1964-1968,
anni in cui le Brigate rosse non si erano ancora costituite.
La pista Cecoslovacca non trova conferma alcuna nella memorialistica dei membri del
gruppo, laddove non vengono mai menzionati rapporti diretti coi paesi del blocco
comunista,297 e viene smentita anche da Franceschini, quando di fronte alla Commissione
stragi afferma di aver visitato la Cecoslovacchia per la prima volta solo nel 1998, sei anni
dopo la fine della sua detenzione, così come di non essere a conoscenza del fatto che altri
296Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, Volume I, Tomo I, p.34.297Cfr. Aldo Grandi, L'ultimo brigatista, Bur, Bologna 2007; Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli,
Bompiani, Milano 2012; Mario Moretti, Brigate rosse: una storia italiana, Anabasi, Milano 1994.
130
brigatisti si siano sottoposti ad un simile addestramento.298
Ad ogni modo le dichiarazioni di uno dei leader storici dell'organizzazione non sono servite a
placare il fervore giornalistico per le sensazionali scoperte, il cui quadro si sarebbe
compiutamente definito pochi mesi dopo con la comparsa di una serie di documenti relativi ai
piani di invasione dell'occidente preparati da Mosca. Stiamo parlando del cosiddetto Archivio
Mithrokin, la cui sezione dedicata all'Italia è conosciuta col nome di Dossier Mitrokhin.
I documenti contenuti nell'archivio Mitrokhin rappresentano innanzitutto un problema
storiografico, e sono stati protagonisti di una storia complicata. Essi sarebbero il frutto di
un'opera ventennale di trascrizione portata avanti dall'agente del KGB Vasilij Mitrokhin299,
che nel 1992 decide di consegnarli al servizio inglese SIS. La parte riguardante l'Italia venne
trasmessa dal servizio segreto inglese MI6 a quello italiano SISMI a più riprese tra il 30
marzo 1995 e il 18 maggio 1999.300 Non si tratta, come appena enunciato, di documenti
originali trafugati dagli archivi del KGB, né tantomeno di loro fotografie. Mitrokhin sostenne
di aver letto i documenti originali e di averli poi trascritti in una scrittura stenografica di sua
invenzione, circostanza questa che lo rendeva l'unico soggetto in grado di decifrarli
pienamente.301
Tra le informazioni relative al nostro paese, Mitrokhin riportava i nomi di numerosi esponenti
della sinistra italiana che avrebbero collaborato col Kgb nel periodo compreso tra il 1948 e il
1984, annoverandole a tutti gli effetti tra le spie del servizio segreto russo su suolo italiano.
Dell'esistenza di questo documento l'opinione pubblica e la classe dirigente italiana sono
venute a sapere nel 1999, in concomitanza con la pubblicazione a New York del libro
autobiografico di Mitrokhin curata dallo storico dell'università di Cambridge Christopher
298Atti della Commissione stragi. Audizione 50a, 17 marzo 1999.299 E' lui stesso a raccontare la sua storia nel libro “The Sword and the Shield. The Mitrokhin Archive and thesecret History of the Kgb”, pubblicato nel 1999 dalla casa editrice newyorkese Basic Books ed edito nello stessoanno anche in Italia da Rizzoli. Militare ed agente del Kgb a partire dal 1948, alla morte di Stalin e dell'alloracapo del Kgb Lavrentij Berija nel 1953, rimase deluso dal processo di destalinizzazione avviato da Kruschev, edespresse critiche alla ancora fortemente centralizzata gestione del potere da parte di Mosca. Questo gli costò lacarica militare, e venne trasferito a lavorare nella sede del Primo Direttorato Centrale (sede dell'intelligenceestera del servizio russo) presso il palazzo moscovita della Lubijanka. In particolare due episodi vengono messiin risalto nella sua biografia come quelli che avrebbero contribuito in maniera determinante alla sua decisione didocumentare i crimini del Kgb: la rinuncia al premio Nobel da parte di Boris Pasternak, avvenuta nel 1958 sottopressioni del Cremlino, e la Primavera di Praga, repressa dai carri armati sovietici. Nel giugno del 1972Mitrokhin e' incaricato di supervisionare il trasferimento dell'archivio del Primo Direttorato Centrale da Moscaad una nuova struttura. Nel farlo, Mitrokhin avrebbe trascritto, in una scrittura stenografica di sua invenzione,centinaia di documenti riservati relativi all'azione del cosiddetto Direttorato S, una sottodivisione del PrimoDirettorato Centrale riguardante l'attivita' di agenti del Kgb infiltrati nei sistemi di governo esteri, tra cui l'Italia.300Commissione Mitrokhin. Relazione di minoranza sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian,
Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, p. 22.301Vasilij Mitrokhin, Christopher Andrew (a cura di), op. cit., p.32.
131
Andrew, “The Sword and the Shield. The Mitrokhin Archive and the secret History of the
Kgb”.
Il documento è stato al centro di un dibattito politico che ha trovato forma nell'istituzione
sotto il secondo governo Berlusconi, in data 7 maggio 2002, di una “Commissione
parlamentare d'inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l'attività d'intelligence italiana”,
presieduta dal giornalista e al tempo senatore della Casa delle Libertà Paolo Guzzanti.
L'istituzione della Commissione si rese necessaria in seguito alle supposte irregolarità nella
gestione del dossier Mitrokhin da parte del SISMI, che avrebbe insabbiato i contenuti del
dossier e rinunciato alle attività di controspionaggio necessarie,302 le quali avrebbero potuto
portare ad eventuali processi contro membri del decaduto Pci e provocare così forte
imbarazzo ai governi della XIII legislatura.303 Ad ogni modo, pur avendo ravvisato e
puntualizzato tutte quelle che agli occhi della maggioranza parlamentare apparivano come
irregolarità, la commissione non ha portato in nessun caso a procedimenti penali,304 ed è stata
a sua volta oggetto di forti critiche da parte della fazione opposta, che nell'incipit della sua
relazione di minoranza affermò che essa “è il sunto delle accuse infondate, delle insinuazioni,
dei tentativi di fornire una ricostruzione arbitraria, distorta e faziosa delle vicende dei
precedenti governi allo scopo di delegittimare l'opposizione, intentati dalla Casa delle Libertà
in questi due anni di lavori.”305 Un'affermazione questa non del tutto priva di fondamento, se
si guarda alla retorica fortemente anticomunista sulla quale Silvio Berlusconi ha in parte
costruito le proprie fortune politiche all'inizio della sua carriera nelle istituzioni.
La commissione parlamentare si occupò tra l'altro anche di cercare tracce di possibili
collegamenti tra il gruppo terroristico sorto intorno ad Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, il
terrorismo italiano e i servizi segreti dell'est. Che Carlos avesse ricevuto sostegno logistico ed
economico da vari servizi comunisti è cosa documentata e ripetutamente affermata dallo
stesso terrorista. Nella relazione finale della Commissione sul dossier Mitrokhin viene
delineato il quadro di un rapporto tra Br e KGB mediato da Carlos, quando si afferma che
“[…] Carlos mirava al ruolo di coordinatore e direttore dell'attività di varie organizzazioni
302Commissione Mitrokhin, Relazione sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian. Doc. XXIII, n.10,16 dicembre 2004, p.117.
303XIII Legislatura della Repubblica Italiana. 9 maggio 1996-29 maggio 2001. Governi Prodi, D'Alema I e II, Amato.
304Commissione Mitrokhin, relazione di minoranza, Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, pp. 122-123.305Ibd. p. 1.
132
terroristiche. Aveva instaurato legami stretti, collaborava e aiutava (fornendo attrezzature) le
seguenti organizzazioni terroristiche: 1. Brigate Rosse; 2. ETA militare (Spagna); 3. IRA
(Irlanda del Nord); 4. Cellule rivoluzionarie (Germania Ovest); 5. Prima Linea; 6. Lavoro
illegale (Svizzera); 7. 17 Novembre (Grecia); 8. ELA (Grecia). […]. Sulla base di documenti e
informazioni acquisite da una perquisizione segreta dell'11 dicembre 1980, risulta che i
rapporti tra il gruppo Carlos e le Brigate rosse italiane era particolarmente stretto. Emerge
altresì che fossero proprio le BR ad effettuare il trasporto di armi in Egitto dalla Bulgaria,
passando attraverso l'Italia, e ad occuparsi del loro stoccaggio temporaneo. […] Inoltre, in
seguito ad una perquisizione segreta nella base di Carlos a Budapest, del 26 marzo 1985,
emergevano i seguenti nominativi di soggetti che figuravano nelle annotazioni personali di
Carlos: Alessandro Girardi (BR), Antonio Savasta (BR), Renato Curcio (BR). […].”306
Le informazioni acquisite dalla Commissione non dimostrano nulla di nuovo o di diverso dal
fatto assodato per cui il blocco comunista si rese complice del terrorismo internazionale. Le
forme di sostegno e addestramento fornite alla Raf da parte della Stasi, di cui si è trattato nel
capitolo precedente, lo hanno in gran parte chiarito e ne hanno delineato le modalità. Tuttavia,
la presenza di appunti scritti riportanti i nomi di brigatisti italiani, rinvenuti nel covo di un
noto terrorista internazionale, non possono a mio avviso in nessun modo ritenersi sufficienti
per affermare, con Paolo Guzzanti, che “Si, le Br erano manovrate dal KGB.”307Le categorie
di “sostegno” ed “eterodirezione” tendono a confondersi e sovrapporsi nel contesto particolare
della guerra fredda, ma ritengo che non si possano usare con una simile leggerezza espressioni
di carattere totalizzante. Sostenere che “le Br facevano parte del sistema operativo del KGB,
compivano azioni richieste dal KGB e rispondevano al KGB attraverso una ferrea catena di
comando”308significa voler ricondurre il fenomeno brigatista esclusivamente ad agenti esterni,
ignorando il contesto sociale operaio in cui esso nacque, le rivendicazioni sociali ad esso
sottese e l'esistenza, nel corso dello sviluppo dell'organizzazione, di quel “filo rosso” che
legava i brigatisti all'esperienza partigiana e resistenziale italiana.
Nel sostenere questo, Guzzanti va oltretutto contro a quanto sostenuto alcuni anni prima dal
Parlamento italiano nell'ambito della Commisione stragi, che evidenziava “il carattere
nettamente nazionale del fenomeno brigatista e la genuinità della sua dichiarata ideologia
[…], e quindi escludeva, allo stato delle acquisizioni, la possibilità di un'eterodirezione o di306Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta Mitrokhin. Doc. n. 374, 15 marzo 2006.
pp. 280-283.307Paolo Guzzanti, Si, le Br erano manovrate dal Kgb. “Panorama”, 20 gennaio 2005.308Ibd.
133
un pressante condizionamento dall'esterno.”309
Prima di passare ora a cimentarci con la documentazione relativa alle Brigate rosse rinvenuta
negli archivi del BStU, riporto le osservazioni mosse dalla relazione di minoranza310 sul
dossier Mitrokhin, che riassumono in poche righe la sostanza della problematicità inerente
l'utilizzo del documento in sede giudiziaria, laddove non e' stato possibile verificare a fondo la
provenienza:
“La non disponibilità, da parte di Gran Bretagna e Russia, ad accogliere le rogatorie
internazionali inoltrate dalla procura di Roma hanno impedito di accertare elementi
fondamentali quali: l'esistenza di Vasilij Mitrokhin, il suo presunto ruolo all'interno
dell'archivio del Kgb, se egli avesse effettivamente trascritto le informazioni contenute nei
report, la mancata acquisizione della documentazione originale consegnata da Mitrokhin al
servizio britannico. Pertanto, il dossier Mitrokhin è da ritenersi giudiziariamente infondato.”311
Le suddette considerazioni valgono a mio avviso anche quando si cerchi di utilizzare le
informazioni riportate nel documento ai fini della ricerca storica, che dovrebbe basarsi
unicamente su documenti originali, ai quali l'accesso è stato però, nel caso specifico,
apertamente negato.
4.2.2. Il MfS, l'Italia e il terrorismo nella pubblicistica.
l tema dell'esistenza di contatti tra la Stasi e le Brigate rosse è stato trattato in due opere di
carattere pubblicistico apparse in Italia negli ultimi anni. La prima è quella scritta da Antonio
Selvatici nel 2009 e pubblicata dalla casa editrice bolognese Pendragon, dal titolo “Chi spiava
i terroristi. Kgb, Stasi-Br, Raf. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell'Europa
comunista”, nella quale l'autore si propone di svelare i rapporti tra Brigate rosse, altri gruppi
terroristici internazionali e i paesi oltre la cortina di ferro basandosi, per quanto riguarda i
brigatisti italiani, sulla documentazione d'archivio consultabile presso il BStU.
Selvatici viene descritto sul sito della casa editrice come un giornalista d'inchiesta, interessato
all'intelligence economica. Ha conseguito un master presso lo “Space”, il centro europeo per
309Commissione stragi, Doc. XXIII, n. 64, Volume I, Tomo I, 26 aprile 2001, p. 29.310Relazione di minoranza presentata dai deputati Bielli, Duilio, Giordano, Albonetti, Carboni, Diliberto,
Molinari, Papini, Quartiani e dai senatori Marino, Zancan, Cavallaro, Dato, Garraffa, Gasbarri, Maconi eNieddu.
311Commissione Mitrokhin, relazione di minoranza, Doc. XXIII, n. 10-bis, 16 dicembre 2004, p. 114.
134
gli studi sulla protezione aziendale dell'università Bocconi, e ricopre il ruolo di docente del
“Master d'intelligence economica” presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. E'
inoltre consulente per la “Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della
contraffazione e della pirateria in campo commerciale”, nonché giornalista attivo per il
quotidiano nazionale “Il Giornale”. Se da un lato si può riconoscere all'opera di Selvatici il
merito di aver tentato di scrivere una storia dei rapporti tra Brigate rosse e servizi segreti
dell'est basandosi sull'analisi di documenti originali, ovvero proprio quelli del BStU, dall'altra
gli si deve purtroppo necessariamente rimproverare una superficialità e una mancanza di
approccio storico pressoché totali. Selvatici ha ampiamente promosso la sua opera in una
lunga serie di interviste a svariati quotidiani online. In una di queste affermava, riferendosi
alla documentazione analizzata, che quelle pagine “provano in maniera inconfutabile che
alcuni brigatisti rossi italiani passarono la frontiera (della Ddr, N.d.a.). Ma la cosa importante
è che non la passarono in forma anonima ma la passarono identificandosi o comunque
identificati come membri delle Brigate rosse italiane.”312
Selvatici non si ferma qui, e poco dopo si chiede “il problema è: una volta oltrepassata la
frontiera che facevano? Si incontravano con quelli della Stasi? Andavano ad addestrarsi
(come facevano quelli della Raf che se ne andavano in Giordania sugli aerei della Interflug,
linea aerea di copertura della Stasi) andavano per musei per aggiornarsi sulla storia
dell’arte?”. Le domande poste conducono così inevitabilmente in una direzione, fornendo al
giornalista l'opportunità di proporre “l’ipotesi più probabile”, ovvero “che andassero ad
addestrarsi all’interno dei campi paramilitari della DDR.”313
Mi limiterò qui a citare un esempio emblematico della mancanza di accuratezza storica
ravvisabile nel testo, ricollegandomi direttamente alla documentazione visionata da Selvatici e
sulla base della quale ha potuto rilasciare le dichiarazioni appena riportate: a pagina 27,
commentando il documento MfS-HAVI 12863, p.32, Selvatici sostiene trattarsi di una lista di
cittadini italiani, tra cui brigatisti, che avrebbero oltrepassato la frontiera della DDR nel
maggio del 1979.
L'analisi del documento rivela invece ben altro: non si tratta del risultato di operazioni di
filtraggio alle frontiere, bensì di una tabella riportante il numero di cittadini italiani ricercati a
livello internazionale, suddivisi in categorie in funzione del crimine per cui era stato spiccato
312Intervista ad Antonio Selvatici in www.cristianolovatelliravarinonews.com, 12 febbraio 2010. (visto il6.10.2015).
313Ibd.
135
il mandato di cattura. Questa lista era stata redatta pochi giorni prima, in seguito a delle
telefonate di minaccia ricevute dall'ambasciata della Ddr a Bonn indirizzate ad Honecker e la
cui voce si era identificata come membro delle Brigate rosse. Un ulteriore indizio della scarsa
accuratezza con cui il lavoro è stato portato a termine da Selvatici è rappresentato dalla
bibliografia utilizzata dall'autore, nel quale non è riportata nessuna delle parti che
compongono il MfS-Handbuch prodotto dal BStU, il quale, come già delineato nel paragrafo
4.1., rappresenta uno strumento d'indagine imprescindibile ai fini della comprensione dei
documenti del MfS, ricchi di sigle e caratterizzati da un linguaggio fortemente burocratico e
personalissimo. In sostanza, dall'errata interpretazione di un documento si giunge a suggerire
esattamente quel che ci si proponeva di dimostrare, ovvero i rapporti di collaborazione tra le
Brigate rosse e i servizi del blocco comunista, senza disporre però di una sola prova
documentaria a sostegno di questa teoria.
Chi invece del MfS-Handbuch sembra aver fatto un uso decisamente appropriato è Gianluca
Falanga, pubblicista indipendente che dal 2010 collabora con lo Stasi Museum di
Ruschestrasse e con il Gedenkstätte Berlin-Höhenschönhausen, il museo istituito nell'edificio
del carcere berlinese della Stasi. Falanga è nato nel 1977 a Salerno, ha studiato letterature
comparate tra Torino e Copenaghen e dal 2002 vive e lavora a Berlino. Già autore del saggio
“Il ministero della paranoia. Storia della Stasi”, nell'ottobre 2014 ha pubblicato per Carocci un
nuovo testo dal titolo “Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi.”
Sulla base dei documenti del BStU, Falanga dipinge un quadro coerente e minuziosamente
documentato delle forme e delle modalità dell'attività di spionaggio della Stasi nei confronti
del nostro paese. Tramite la raccolta dei dati superstiti provenienti dal database elettronico
centrale dello spionaggio estero del MfS314(HV A, Hauptverwaltung Aufklärung), Falanga
ripercorre quasi quarant'anni di storia italiana dal punto di vista del servizio segreto della
Repubblica democratica, portando alla luce le considerazioni del Ministero sullo sviluppo
delle vicende politiche italiane negli anni della guerra fredda. Il risultato finale consiste a mio
avviso in un'opera di indubbio valore storiografico, per quanto pensata per un pubblico non
314Si intende qui il database elettronico del progetto SIRA, System der Informationsrecherche derAuslandsaufklärung, iniziato nel 1974 e consistente nell'informatizzazione, tramite registrazione su nastromagnetico, delle informazioni raccolte nell'ambito delle operazioni di spionaggio estero. I nastri magneticidel database vennero distrutti per il 90% tra la fine del 1989 e il febbraio 1990, mentre in autunno venneritrovata, nella centrale informatica delle ex forze armate della DDR a Pätz, a sud di Berlino, una copia diback-up contenente sezioni dell'archivio informatico. Il problema delle lacune nella documentazione delBStU è stato più volte sottolineato anche in questo lavoro.
136
accademico, in cui l'autore dimostra di saper mettere in relazione più piani di una stessa,
complicata vicenda. Il riferimento alle fonti documentarie è preciso e puntuale, come ho avuto
modo di verificare personalmente prendendo visione della stessa serie di atti. Questo aspetto
risalta in maniera particolare quando si passa a trattare l'argomento che più ci interessa: i
rapporti tra la Stasi e il terrorismo italiano.
4.3. Le Brigate rosse negli atti del MfS.
Basandosi sulla documentazione disponibile, Falanga offre una ricostruzione della storia dei
rapporti tra le Brigate rosse e la Stasi con la quale posso ritenermi sostanzialmente d'accordo,
eccezion fatta per l'interpretazione di un punto in particolare, di cui si discuterà nel paragrafo
successivo.
Dalla ricostruzione di Falanga emerge come le Brigate rosse fossero state, per i loro primi
anni di attività, quasi completamente ignorate dalla Stasi. La documentazione aumenta in
maniera esponenziale ed è caratterizzata da una certa continuità solo a partire dal sequestro
Moro, circostanza questa di facile spiegazione con l'improvvisa notorietà internazionale
acquisita dall'organizzazione in seguito a quell'operazione.315
I giorni del sequestro sono segnati da una fervente attività all'interno del ministero, che in una
serie di informative sulla situazione politica italiana mette in luce la rilevanza dell'azione
brigatista in rapporto allo svolgersi dell'attività parlamentare. Di questa serie di documenti si
parlerà più ampiamente nel paragrafo 4.3., dedicato alle osservazioni ed integrazioni che
ritengo di dover apportare al discorso di Falanga.
Il giorno seguente al ritrovamento del corpo di Aldo Moro, una delegazione del Pci composta
da residenti in Germania e guidata da Angelo Sarto si reca presso l'ambasciata italiana nella
DDR per portare le proprie condoglianze. In quest'occasione un funzionario, il cui nome nella
documentazione è coperto da omissis, esprime i propri sospetti sul fatto che dietro al
rapimento si celino organi internazionali, tra cui anche il MfS.316
La ricostruzione e l'interpretazione dei documenti che seguono offerta da Falanga mi sembra
ancora una volta soddisfacente: le dichiarazioni del funzionario dell'ambasciata mettono in
allarme il Ministero, che il 10 maggio ordina una serie di controlli alle frontiere sul traffico in
entrata, uscita e transito da e verso la DDR di cittadini italiani che possano in qualche modo
315G. Falanga, Spie dall'est, p. 130.316BStU, MfS-HA XXII 406/10, p.82.
137
essere ricollegati alle Brigate rosse.317 I controlli non portano ad alcun risultato, e vengono
sospesi in data 16 agosto.318
L'istituzione di simili misure di controllo rappresenta una prova del fatto che la Stasi non
avesse praticamente provveduto, fino a quel momento, a documentarsi sulle Brigate rosse.
Non disponeva di dati sui membri del gruppo, né tantomeno poteva contare, nel 1978, sulle
informazioni derivanti dalla presenza di agenti IM reclutati tra i fiancheggiatori o tra gli
Szenenkenner, così come non si era ancora realmente preoccupata di tracciare i fili degli
eventuali legami tra brigatisti e cittadini della DDR.
Al problema della carenza di conoscenze dirette sull'organizzazione si cerca di ovviare nel
1979. L'Abteilung XXII viene a conoscenza dell'esistenza di legami tra un cittadino italiano,
residente fino al 1977 nella DDR e sposato ad una cittadina tedesco-orientale, e una coppia
composta da un'altra cittadina della Repubblica democratica e un brigatista italiano. Il
brigatista in questione è Pietro Morlacchi, dal 1965 al 1969 rifugiato politico nella DDR e
marito di Heidi Ruth Peusch.
L'interesse della Stasi per Peusch si manifesta già nel 1977. Nell'estate di quell'anno, la Stasi
intercetta una missiva recapitata dalla donna ad un parente di Jean Carl Raspe, membro della
Raf detenuto a Stammheim, in qualità di rappresentante dell'Associazione familiari dei
prigionieri politici in Italia.319 Dalla lettera emerge come Heidi Ruth Peusch fosse in rapporti
di collaborazione politica con lo studio legale dell'avvocato Klaus Croissant a Stoccarda.
Croissant verrà reclutato negli anni '80 (IM “TALER”) allo scopo di spiare i terroristi tedeschi
francesi e belgi.320
Nell'autunno 1979, il VI dipartimento comunica all'Abteilung XXII/2 che la Peusch si era
recata di recente al consolato della DDR di Milano per richiedere un visto di accesso, con lo
scopo di visitare dei parenti a Radeberg. Qui emerge che per Peusch e Morlacchi era stato
istituito il più assoluto divieto di accesso nella DDR già a partire dal 1974, a causa dei loro
trascorsi brigatisti.321 La decisione proveniva direttamente dal Comitato centrale della SED,
timorosa che la DDR potesse venire screditata se scoperta ad ospitare terroristi ricercati.
In un documento del 24 gennaio 1980 le Brigate rosse appaiono per la prima volta nella lista
317BStU, MfS-HA VI 12863, p.4.318BStU, ibd, p.1.319G. Falanga, Spie dall'est, p.144.320T. Wunschik, “I servizi segreti...”, p. 322.321Gianluca Falanga, Spie dall'est, p.145.
138
delle organizzazioni “lavorate” in cosiddetti FOA (Feindobjektakte),322e nel documento
relativo al gruppo viene riportata la dicitura indicante il piano operativo proposto per
l'organizzazione: lavorazione operativa con impiego di IM.323
Pur riferendosi il suddetto documento al 1980, è in realtà già nel 1979 che viene presa in
considerazione l'ipotesi di allacciare contatti indiretti con il gruppo, e il caso Peusch ne
rappresenta la prova inconfutabile.
In seguito alla richiesta di visto presentata dalla donna, la Abteilung XX (unità d'indagine
contro attività sovversive) propone di concedere alla donna il permesso di accedere alla DDR,
allo scopo di approfittare dell'occasione per valutare la sua disponibilità a fornire informazioni
sui membri della Br e sulle loro connessioni internazionali.324 Come notato anche da Falanga,
il piano operativo in questione era firmato dal tenente Peter Zaumseil e recava il visto del suo
superiore, il capitano Helmut Voigt, entrambe impiegati anche nelle procedure di
accoglimento degli Aussteiger.325
Il permesso di accesso viene però negato da Gerhard Neiber in persona dopo un colloquio con
la dirigenza politica, che ribadisce il rischio che la DDR possa venire screditata a livello
internazionale se sorpresa a fornire appoggio a terroristi internazionali.326 Un'affermazione
palesemente ipocrita, se si tiene conto del fatto che nel periodo preso in esame erano stati già
allacciati i contatti con il gruppo degli Aussteiger e si stava preparando la loro latitanza nella
DDR, circostanza di cui anche la nomenklatura comunista dovette essere perfettamente a
conoscenza.
Ad ogni modo, la documentazione esaminata sia dal sottoscritto che da Falanga indica che la
Stasi, su decisione della dirigenza politica, non sfruttò la possibilità offerta dalle circostanze
legate al contatto con la moglie di Morlacchi.
Ma questo non significa che la Stasi avesse rinunciato a penetrare più a fondo nelle maglie del
gruppo, e la documentazione dimostra in realtà come, in seguito al sequestro Moro e sulla
base delle similitudini ravvisabili tra l'agguato di via Fani e l'analoga operazione condotta
322La sigla “FOA” accostata ad un'organizzazione stava ad indicare la valutazione che ne veniva data dal MfS,ovvero quella di “organizzazione ostile”. Si trattava in sostanza di una procedura standard: fascicoli FOAvennero aperti praticamente per tutte le organizzazioni sovversive esistenti negli anni 70 e 80, ed indicavanol'intenzione del Ministero di portare avanti il lavoro di Aufklärung sui gruppi osservati, per poi decidere seprocedere o meno alla loro infiltrazione per mezzo di agenti IM. Cfr. Wunschik, Die Hauptabteilung XXII:Terrorabwehr.
323BStU, MfS -HA XXII 5778. Jahresplan 1980 des Leiters der Abteilung XXII, pp. 1420-1470.324BStU, MfS-AKK 2700/85, pp.251-252.325Gianluca Falanga, Spie dall'est, p. 148.326BStU, MfS-AKK 2700/85, p. 258.
139
pochi mesi prima dalla Raf a Colonia, quella nel corso della quale era stato sequestrato il
presidente della confindustria tedesca Hans Martin Schleyer, la Stasi iniziasse a nutrire dei
sospetti circa le relazioni tra i due gruppi. Ci si trova così di fronte a una serie di documenti,
siano essi articoli di giornale o comunicazioni pervenute per mezzo dei Bruderorgane, relativi
ai casi di alcuni terroristi svizzeri considerati gli anelli di raccordo tra il terrorismo italiano e
quello tedesco occidentale. Se per il periodo 1978-1982 le informazioni sulle figure di
Giorgio Bellini, Petra Krause e Susanne Mordhorst vennero raccolte principalmente per
mezzo di quotidiani,327 un ruolo non marginale venne svolto a partire dal 1983 dalla
compagna di Claus Croissant Brigitte Heinrich, reclutata come agente IM dallo stesso
avvocato e inserita nel database SIRA col nome di copertura “Beate Schäfer”.328
La donna procuro' alla Stasi informazioni di primo piano sulle connessioni Raf-Br, come
attesta un documento datato 16 febbraio 1983 consistente in un colloquio con il suo
Führungsoffizier329, il maggiore Helmut Voigt, al tempo capo della divisione XXII/8.330
Un altro dei canali utilizzati dalla Stasi per raccogliere informazioni identificati da Falanga
consisteva nelle informazioni pervenute alla Stasi da parte del Jihaz al-Rasd, il servizio
segreto dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), come dimostra un
documento risalente all'estate del 1979. Si tratta di un'informativa, compilata dall'OLP e
commentata da un ufficiale della Stasi, nella quale vengono ripercorse rapidamente sia la
storia dell'organizzazione che quella dei suoi legami internazionali.331
La ricostruzione degli eventi presentata da Gianluca Falanga appare come curata e
decisamente ben documentata, e credo di poter in questa sede affermare con lui che non si
possono trovare nelle carte prese in esame nemmeno i più piccoli indizi di una frequentazione
regolare tra brigatisti e MfS. In definitiva, nulla di quanto visto per la Raf sembra essersi
concretizzato nel caso delle Brigate rosse. Le due entità non pervennero in nessun momento
della loro storia a forme di sostegno e collaborazione diretta, né tantomeno sembrano aver
avuto luogo incontri volti a pianificare azioni in funzione di obiettivi comuni.
Mi sembra semmai doveroso puntualizzare alcune questioni, relative all'intenzione del MfS di
327E' ancora una volta sulla base delle notizie apprese dalla stampa occidentale che la Stasi va alla ricerca diconnessioni tra terrorismo svizzero e brigatismo, come dimostrano i numerosi ritagli di giornale fattipervenire dallo ZAIG alla divisione XXII.
328BStU, Akte XV/5276/82.329Il Führungsoffizier era solitamente un alto ufficiale del MfS, a cui era affidato il compito di guidare le
operazioni dell'agente IM secondo le linee guida impartite dal Ministero. Cfr. Helmut Mueller-Enbergs, Dieinoffiziellen Mitarbeiter in BStU (a cura di) MfS-Handbuch, Berlino 2008, pp. 7-9.
330BStU, MfS-AIM 278/89, p. 308.331BStU, MfS-HA XXII 18163, pp. 128-134.
140
penetrare più a fondo nell'organizzazione, che a Falanga sembrerebbero essere sfuggite o a cui
l'autore sembra aver deciso di non attribuire quella rilevanza che, a mio avviso, deve invece
essergli riconosciuta.
4.4. Integrazioni/1. Interesse prolungato e utilizzo di agente IM.
Se è vero, come sostenuto da Falanga, che la maggior parte della documentazione e' databile
ad un periodo compreso tra il sequestro Moro e gli ultimi mesi del 1979, così come è
incontestabile che non esista, nel complesso della documentazione, una sola traccia di contatti
tra la Stasi e le Brigate rosse, ritengo però che non si possa sorvolare completamente o quasi,
come l'autore fa, sulla pur consistente mole di documentazione relativa al periodo 1980-1989.
Sulla base di questa parte della documentazione, mi sembra di poter contestare l'affermazione
di Falanga, secondo il quale alla chiusura del fascicolo su Morlacchi in data 1 gennaio 1985332
sarebbe seguita la decisione di “abbandonare il proposito di penetrare operativamente più in
profondità nell'organizzazione brigatista.”333 D'altronde è lo stesso Falanga, poco più avanti, a
chiamare in causa un altro documento, ovvero una “lista di agenti”334 IMB infiltrati nelle varie
organizzazioni terroristiche, composta nel febbraio 1989 e nella quale sono riportati il numero
di registrazione e il nome in codice dell'informatore. Per le Brigate rosse viene riportato un
solo agente, nome in codice “Else Brunner”, numero di registrazione XV 4005/86.335 Falanga
sembra non dare nessuna importanza particolare a questo documento, dal momento in cui
afferma quanto detto poco fa in relazione al caso Peusch-Morlacchi e in considerazione del
fatto che lo identifica come semplice lista di agenti.
La prima obiezione che credo di poter muovere a Falanga è riferita al codice di registrazione
dell'IM “Else Brunner.”336 Se è vero, come sostenuto anche da Falanga, che la sigla “XV” si
riferisce ad un agente attivo all'estero, è però anche vero che l'autore sbaglia quando afferma
che l'ultimo numero del codice stia ad indicare un semplice numero di registrazione.337 Questo
332BStU, MfS-AKK 2700/85, pp 308-330. 333Gianluca Falanga, Spie dall'est, p.149.334Ibd., p.146.335BStU, MfS-HAXXII 289/1.336Non e' stato possibile scoprire l'identità dell'agente, per il quale si dispone solo della sua menzione nel
documento qui considerato.337Gianluca Falanga, Spie dall'est, p. 12.
141
si riferisce in realtà all'anno in cui è iniziata la collaborazione con il MfS, ovvero il 1986,338 e
ritengo che questo fatto contribuisca ancora una volta a smentire l'affermazione di Falanga,
secondo cui dopo la chiusura del fascicolo Peusch-Morlacchi si sarebbe rinunciato a
penetrare più a fondo l'organizzazione.
La seconda considerazione che mi sento in dovere di muovere è più complessa e può esser
riassunta come segue: se la Stasi aveva rinunciato ad infiltrare l'organizzazione già nel 1985,
in concomitanza con la chiusura della pratica Morlacchi, come si spiegherebbe allora la
presenza, in una lista redatta nel 1989, di un agente IMB collegato alle Brigate rosse? Il
dubbio che mi pongo è se i dati della lista non siano da interpretarsi come riferiti non solo a
spie ancora attive, ma anche ad altre che hanno concluso il loro lavoro presso le rispettive
organizzazioni. In tal caso, l'affermazione di Falanga circa Morlacchi sarebbe fondata, ma in
realtà credo di poter sostenere che la suddetta asserzione sia da ricondursi ad un errore di
interpretazione del documento preso in esame. Nella nota numero 98 al capitolo 2 del testo di
Falanga troviamo non solo il riferimento al documento d'archivio,339ma scopriamo che lo
stesso è stato già visualizzato ed interpretato da Tobias Wunschik, il quale nella nota 232 del
suo lavoro Die Hauptabteilung XXII: Terrorabwehr, pagina 47, lo descrive per quello che
effettivamente è: non una lista di spie, bensì la “copertina” di un documento più vasto e
andato perduto, consistente in una “Analyse des Leiters der Abteilung XXII/8, Oberstleutnant
Helmut Voigt” in relazione ai risultati raggiunti nell'anno 1988 nell'espansione e
qualificazione del “reparto” agenti IM. Insomma, venivano elencati tutti gli agenti ancora in
attività nel 1988, compreso il nostro “Else Brunner”.
La Stasi si interrogò ripetutamente, nel corso degli anni '80, sulla necessità di portare avanti la
“lavorazione” del gruppo. Date le difficoltà incontrate dall'organizzazione a partire dalla
tragica conclusione del sequestro Moro, cui erano seguiti nel 1981 l'arresto di Mario Moretti e
si erano andate intensificando le spinte scissioniste al suo interno, nel 1986 ci si poneva il
problema dell'utilità dello spendere uomini e risorse nel controllo di un'organizzazione le cui
strutture potevano considerarsi ormai annientate.340
La risposta la si trova in primis nell'arruolamento, nello stesso anno, dell'agente IMB “Else
Brunner”, e in seconda istanza nel fascicolo FOA dedicato alle brigate rosse datato 1988, nel
338Helmut Mueller-Enbergs, op. cit., in BStU (a cura di) MfS-Handbuch, Berlino 2008, p. 12.339BStU, MfS-HA XXII 521.340BStU, MfS-HA XXII 16917, p.119.
142
quale viene indicato il tipo di lavoro che ci si propone di svolgere sull'organizzazione
nell'anno 1989: monitoraggio analitico-operativo dell'evoluzione della situazione per
assicurarsi la disponibilità a fornire informazioni.341
Il FOA sulle Brigate rosse viene chiuso nel dicembre del 1989, ma un altro documento mostra
come l'interesse della Stasi per l'organizzazione si sia spento definitivamente solo nei primi
mesi del 1990, in concomitanza con gli eventi che portarono alla fine del regime comunista in
Germania est. Si tratta di un'informativa riassuntiva relativa all'attività dei gruppi terroristici
osservati dalla Stasi nel biennio 1988/1989 e da me rinvenuta nel fascicolo “Separat”, nome
con cui si indicava il gruppo terroristico operante intorno a Carlos. Insieme all'Eta e al gruppo
di Ilich Ramirez Sanchez figurano un'ultima volta le Brigate rosse. Su di loro viene affermato:
“Im Berichtszeitraum 1988/1989 konnte die italienische Polizei und die Abwehrorgane
weitere Fahndungserfolge verzeichen. (…) Gegenwärtig kann eingeschätzt werden, dass noch
existierende Teile der “Roten Brigaden” versuchen, sich zu reorganisieren. (…) Im
Planzeitraum 1990 wird dieses Potential kontrolliert und überwacht.”342
4.4.1. Integrazioni/2. Le Brigate rosse agli occhi della Stasi.
C'è un aspetto della documentazione su cui l'opera di Gianluca Falanga sorvola
completamente, ovvero la percezione che il MfS ebbe delle Brigate rosse dal momento in cui
iniziò ad interessarsene.
Data la natura pubblicistica dell'opera e l'ampiezza del tema trattato, penso non si possa
rimproverare a Falanga l'assenza di un'analisi della documentazione in chiave ideologica,
laddove al tema del terrorismo italiano sono dedicate poco più di trenta pagine, che pure
costituiscono il frutto di una seria ricerca storiografica. E' tuttavia un aspetto che ho ritenuto
di dover trattare più ampiamente. Chi erano le Brigate rosse per la Stasi? E' possibile
rintracciare delle differenze nella percezione del gruppo, da parte del MfS, nel corso degli
oltre dieci anni in cui l'organizzazione venne costantemente monitorata?
Come abbiamo già menzionato, l'apertura di un fascicolo FOA rappresentava una pratica
standard nello studio del fenomeno terroristico. Negli anni '80 ne esisteva uno per ogni sigla
341BStU, MfS-HA XXII 289/1, p. 32-33.342Nel periodo 1988-89, gli organi di polizia e difesa italiani hanno ottenuto altri successi nella caccia ai
ricercati. (…) Al momento si può ipotizzare che parti ancora esistenti delle Brigate rosse tentino diriorganizzarsi. (…) Nel piano per il 1990, questo potenziale verrà controllato e monitorato. BStU, MfS-XV2833/81 “Separat”, 17423/91, Tomo 10, pp. 93-94.
143
del terrorismo internazionale (Eta, Ira, Br, Raf, Action Directe, Separat),343segno del fatto che,
in principio, tutte queste organizzazioni rappresentavano un pericolo per la sicurezza interna
della Ddr. Tramite il discorso dei rapporti tra la Raf e la Stasi abbiamo già visto come però,
all'atto pratico, l'intenzione reale del Ministero fosse di natura ben più aggressiva che non
finalizzata alla semplice difesa dei propri confini, tendenza questa che si concretizzò nel
supporto attivo ai “combattenti” tedesco-occidentali e al terrorista Carlos.
L'instaurarsi di rapporti di collaborazione con membri attivi delle organizzazioni terroristiche
poteva essere favorito da alcuni fattori chiave: in primis una comunanza di obiettivi, secondo
la già esposta logica strumentale tipica del servizio segreto, nell'ottica della quale “il nemico
del mio nemico è mio amico.” In seconda istanza, nella decisione di avvicinare
un'organizzazione piuttosto che un'altra, o di dare la priorità alla ricerca di contatti con una
piuttosto che con un'altra, può essere determinante il fattore ideologico.
Pur non rinunciando infatti ad avvicinare organizzazioni di stampo neofascista e neonazista,344
la collaborazione con un'organizzazione ideologicamente più affine era quella che si
configurava come potenzialmente più foriera di vantaggi per la Stasi. Il pur marginale ruolo
giocato dal fattore ideologico nel caso della Raf dimostra almeno in parte questa ipotesi, e
ritengo che la storia dei non-rapporti tra il MfS e le Br possa essere letta, perlomeno sulla base
della scarsa documentazione esistente, anche in questa chiave. Volendo riassumere in poche
righe quantomeno il periodo 1978-1979, del quale si andrà a discutere in maniera più
approfondita nel capitolo finale di questo lavoro345, mi sembra necessario esporne
quantomeno le caratteristiche peculiari.
Una serie di documenti datati tra marzo e dicembre 1978, consistenti in informative sulla
situazione politica italiana pervenuti all'Abteilung VI dall'ambasciata romana della Ddr e nei
quali il rapimento Moro ricopre un ruolo primario, rivelano quale fosse la luce sotto la quale il
Ministero vedeva le Brigate Rosse. Con una certa continuità ricorrono temi quali la “strategia
della tensione” o il ruolo dei servizi segreti e delle forze neofasciste italiane nelle stragi di
stato verificatesi a partire da piazza Fontana. Come si vedrà nel capitolo seguente,
343Cfr. T. Wunschik, Die Hauptabteilung XXII. “Terrorabwehr”.344Un caso su tutti quello del neonazista “Wehrsportgruppe Hoffmann”, nel 1980 messo fuorilegge dal governo
di Bonn e i cui membri vennero aiutati dalla Stasi a riparare in Libano. Qui il gruppo venne addestrato daistruttori dell'OLP a compiere attentati contro obiettivi americani ed israeliani. Cfr. Ibd.
345La scelta di trattare il suddetto periodo, in questa sede, solamente accennandovi, si deve al tema stesso delpresente lavoro, laddove il caso Moro costituisce l'oggetto d'indagine primario e conclusivo, e verrà pertantotrattato in un capitolo a se' stante. Tuttavia, non sarebbe possibile esporre l'argomento di questo paragrafo inmaniera esaustiva senza fare riferimento al biennio 1978-1979, periodo per il quale la documentazioneconsiste al 90% in pagine relative al sequestro e all'omicidio di Aldo Moro.
144
nell'approcciarsi allo studio del gruppo il MfS mise in relazione tutte le informazioni di cui
era venuta a conoscenza negli anni '70. Che la Stasi si fosse interessata alle vicende che
segnarono quella drammatica fase della storia del nostro paese lo dimostra tra l'altro uno dei
pochi documenti superstiti sul terrorismo italiano precedente il delitto Moro, ovvero la scheda
relativa alla figura di Giuseppe Pinelli.346 Sotto al nome di Pinelli troviamo, tra parentesi, il
nome di Pietro Valpreda, seguito da un appunto riportante una notizia estratta dal numero 13
del quotidiano “Der Spiegel” del 1972 circa le indagini in corso sull'attentato di piazza
Fontana, in un primo momento attribuito proprio all'anarchico italiano.
Il filo conduttore alla base di queste informative è sostanzialmente uno e ben evidenziato: le
Brigate rosse sono una formazione profascista, probabilmente creata ad arte dai servizi segreti
allo scopo di gettare discredito sul mondo comunista. Esse sarebbero in sostanza un tassello di
cui si compone il grande puzzle della strategia della tensione, creato allo scopo di favorire una
svolta reazionaria e di ostacolare l'ingresso del Pci all'area di governo.347
La domanda che mi sono posto è se sia possibile individuare un momento ben preciso, o
quantomeno un lento procedere in questa direzione, in cui l'opinione della Stasi nei confronti
delle Br sia andata mutando, se il Ministero sia stato cioè in grado, da un certo momento in
poi, di accorgersi della vera natura dell'organizzazione. Oltre alla già enunciata circostanza,
quella per cui il MfS sembra essere ben informato circa le caratteristiche della strategia della
tensione in Italia, a costruire l'immagine delle Brigate rosse come strumento dei servizi
sembra aver contribuito almeno in parte la lettura della stampa tedesco-occidentale, che non
mancò di dipingere il sequestro Moro in chiave dietrologica.348 La mancanza di un contatto
diretto con l'organizzazione ha fatto si che ci si dovesse fare un'idea più precisa delle
intenzioni del gruppo basandosi sulle notizie apprese da fonti terze. Nonostante questa
limitazione, nel 1979 la Stasi dimostra di aver raccolto una consistente mole di informazioni,
come dimostra un'informativa riassuntiva in cui viene per la prima volta tracciato quel “filo
rosso” che ricollega le Brigate rosse all'esperienza partigiana.349
346BStU-MfS-ZAIG 11054, p.302.347BstU-MfS-HA IX-2600, p. 27.348In un documento del 25 aprile 1979 viene fornita una relazione di quanto appreso dalla stampa internazionale
sul ruolo svolto da soggetti esterni all'interno dell'organizzazione. Il quadro generale viene riassunto con lafrase “italienisches terroristen-hauptquartier angeblich in Paris”, con chiaro riferimento alle teorie riguardantiil ruolo dell'Hyperion nella direzione del terrorismo internazionale. BStU-MfS-HAXXII 19961, p. 254. Cfr.anche BStU, MfS-HA IX-2600, pp. 22-29 e MfS-HA IX 19356, p. 99.
349Nel documento in questione la storia delle Br viene fatta iniziare con la fondazione dei GAP (imprecisione)da parte di Giovanni Battista Lazagna, della quale esperienza partigiana viene fatta esplicita menzione. BStU,MfS- HA XXII 406/9, pp. 136-140, qui p. 136.
145
Da questo momento in poi la il servizio segreto della Ddr sembra aver raggiunto una
conoscenza maggiore dell'organizzazione, derivata da una maggiore attenzione al fenomeno
nonchè dall'analisi dell'ideologia del gruppo, ricavata dai comunicati brigatisti350. Fatto sta che
la dicitura “profascista” smette di essere accostata al nome dell'organizzazione al più tardi
dall'inizio del 1980. A questo cambio di tendenza può in un certo qual grado aver contribuito
anche la vicinanza della Stasi all'Olp, con cui le Br strinsero degli accordi sulla fornitura di
armi nel 1979 e che si preoccupò di passare alla Stasi le informazioni di cui disponeva
sull'organizzazione.351
Se per questo periodo, come già enunciato nel cap. 3.2., le strutture dell'Abteilung XXII sono
di difficile identificazione, con la ristrutturazione della divisione antiterrorismo del MfS nel
1981 si giunge ad una rigida suddivisione degli incarichi tra le nuove Unterabteilungen. La
numero XXII/8 verrà incaricata, a partire da questo momento in poi, dello studio e della
“lavorazione” del terrorismo di sinistra e di quello internazionale, ed è a questa struttura che
verrà affidata, tra le altre, la “pratica” Br.
L'affidamento della lavorazione del gruppo alla divisione deputata al controllo delle
organizzazioni terroriste di matrice internazionale dimostra come, pur a fronte della scarsa
documentazione disponibile, all'inizio degli anni '80 la Stasi disponesse di tutte le
informazioni necessarie a catalogarla come tale. D'altronde questa circostanza ricalca
perfettamente la tendenza dell'organizzazione, a partire dai primi anni '80, a proporsi sempre
più sulla scena internazionale. Che proprio l'internazionalizzazione degli obiettivi del gruppo
sia stato alla base dell'incremento d'interesse da parte della divisione Terrorabwehr trova
conferma a mio parere in numerosi documenti dei primi anni '80, dove delle Br si parla spesso
in relazione ad altri gruppi eversivi e si cerca di individuarne eventuali connessioni.352 Un
documento in particolare merita di essere “raccontato” nella sua interezza. Si è già parlato350Che la Stasi abbia portato avanti una sistematica analisi dei testi prodotti dal gruppo e' dimostrata dalla
presenza di alcuni comunicati Br nella documentazione d'archivio. Di particolare interesse e' ladocumentazione relativa allo svolgimento del processo al nucleo storico delle Brigate rosse, per il quale laDDR disponeva di un referente in loco.
351BStU, MfS-HA XXII 18163, pp. 128-134.352Rilevanti a questo proposito, solo per riportarne alcuni, il documento della divisione XXII/8, BStU, MfS-
HAXXII 17225, pp. 60-62, relativo al primo sequestro di un non italiano portato a termine dalle Br, quellodel generale della NATO James Lee Dozier, nel quale viene riportata una notizia ottenuta da fonti nonufficiali sui rapporti tra la Raf e le Br, quella secondo cui “in der Vergangenheit Verbindungen logistischerArt gab. Gegenwärtig bestehen zwischen beiden Organisationen jedoch keine direkten Kontakte.” trad: “nelpassato ci sono state connessioni di tipo logistico. Al momento non persistono rapporti tra le dueorganizzazioni.”; e il documento MfS-HA XXII 406/9, dove a p. 59 vengono riportate notizie, ancora unavolta estratte dalla stampa occidentale, che metterebbero in collegamento le Br con i francesi di ActionDirecte.
146
dell'articolo sulle Br tratto da Newsweek, in relazione alle strade percorse dalla Stasi nel
portare avanti le operazioni di Aufklaerung sul gruppo. Ebbene, ritengo di dover chiamare
ancora una volta in causa il suddetto articolo, allo scopo di evidenziare di nuovo l'importanza
del processo di internazionalizzazione delle Brigate rosse nel destare le attenzioni del MfS.
Dalla copia da me visualizzata è possibile infatti ricavare una testimonianza concreta delle
direttive d'interesse seguite dall'apparato di Mielke, consistente nella breve sottolineatura
apportata dal funzionario di turno ad un passaggio della relazione riassuntiva sui temi
dell'articolo analizzato: a pagina 421 del tomo MfS-HA XXII 19961 viene infatti sottolineata
a penna nera la circostanza per cui “mit der Dozier-Entführung zeigt sich ein zunehmend
internationaler Charakter der Gruppe.”353
Riassumendo, il primo decennio di vita dell'organizzazione sembra aver interessato poco la
Stasi, data la tendenza dell'organizzazione brigatista a concentrarsi esclusivamente su obiettivi
nazionali, strettamente legati al contesto della lotta di classe contro la Dc. A partire dal
sequestro Moro, data la risonanza internazionale che l'azione raggiunse, la Stasi si attiva e
sfrutta tutti i canali di cui dispone per raccogliere informazioni rilevanti su ideologia, membri
e intenzioni del gruppo.
L'approcciarsi alle Brigate rosse viene segnato, nei primi anni, da una visione se non distorta
quantomeno profondamente influenzata dalla stampa occidentale, che porta il MfS a crearsi
l'immagine di un gruppo di matrice fascista, funzionale ad un disegno reazionario, ma
mascherato da gruppo rivoluzionario comunista. Circostanza questa abbastanza
comprensibile, se si considerano fattori quali l'assenza di un contatto diretto all'interno del
gruppo nonchè la consapevolezza del modus operandi dei servizi segreti nell'ambito di
operazioni false flag, di cui lo stesso MfS fece un vasto impiego nel corso della sua storia.
Ad ogni modo, con la ristrutturazione del 1981 il MfS sa esattamente dove collocare le Br,
ovvero tra quei gruppi terroristici internazionali la cui imprevedibilità d'azione avrebbe potuto
comportare seri pericoli per la Ddr. A questa considerazione si deve dunque ricondurre la
decisione di “infiltrare” le Brigate rosse, presa nel 1980 e, a quanto pare, realizzata nel 1986,
proprio in concomitanza con l'inizio dell'attività di spionaggio avviata nei confronti del
gruppo francese Action Directe.354 Il proposito di stringere i rapporti sembra dunque essere
nato solo dopo aver appurato l'inclinazione ideologica del gruppo, laddove era ormai divenuto
353Con il sequestro Dozier si ravvisa un accrescimento della dimensione internazionale del gruppo. BStU, MfS-HA XXII 19961, p. 421.
354Tobias Wunschik, Die Hauptabteilung XXII: “Terrorabwehr”. p.45.
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chiaro che obiettivo finale delle Brigate rosse fosse la presa del potere in Italia e che esse non
fossero un mero prodotto dei servizi segreti occidentali.
4.5. Conclusioni.
La scarsa documentazione disponibile sull'attività di controllo svolta dal MfS nei confronti
delle Brigate rosse non ha restituito una sola pagina che permetta di sostenere l'ipotesi di una
collaborazione tra il gruppo e la Stasi. Il servizio segreto tedesco-orientale si disinteressò
completamente delle Br fino al rapimento Moro, e si propose di studiarle in maniera più
approfondita solo a partire dal 1980, anno in cui la mole di informazioni raccolta nei primi
due anni di indagini permise una conoscenza maggiore della natura del gruppo e degli
obiettivi dei suoi attacchi, ora sempre più apertamente indirizzati contro istituzioni cardine
dell'imperialismo americano. Si cercarono così punti di contatto nella scena italiana, come il
caso Morlacchi-Peusch, descritto in maniera esauriente da Gianluca Falanga, ha ampiamente
dimostrato. Un'ulteriore punto di interesse mi sembra proprio il fatto che nello stesso anno,
quel 1980 in cui ci si propose di infiltrare le Brigate rosse, la Stasi fosse ormai nel pieno del
suo coinvolgimento negli affari della Raf, con l'attivazione dei procedimenti operativi Stern. I
vantaggi, ormai appurati, derivanti dall'intessere rapporti direttamente all'interno del gruppo
tedesco, possono aver svolto un ruolo di primo piano nella maturazione dell'idea di operare in
maniera analoga nei confronti di quella che si presentava come una delle piu' influenti
formazioni terroristiche attive sullo scenario europeo. Questa strada si rivelo' pero' non
percorribile, e d'altronde abbiamo gia' menzionato anche il fatto per cui, se per la Raf le
occasioni di contatto furono precoci e numerose, per le Br non si presento' praticamente mai
l'occasione di un contatto diretto con terroristi, ex terroristi, fiancheggiatori o Szenenkenner,
rappresentando il caso Morlacchi-Peusch un unicum in questo senso, che però non venne
sfruttato a causa di pregresse decisioni politiche.
L'esempio della Raf, con la quale era stato possibile, in un certo qual modo, stabilire un
rapporto maggiormente amichevole e con la quale si era giunti, a quanto sembra dimostrare il
caso dell'attentato al generale NATO Frederik Kroesen, a forme molto strette di
collaborazione attiva, può aver guidato la decisione degli uomini del MfS di cercare un
contatto, dal momento in cui divenne chiaro che anche le Br stavano subendo una “deriva”
148
internazionalistica, pur con le dovute differenze di contesto: l'Italia intratteneva buoni rapporti
con la Ddr, e l'idea, descritta nel caso della Raf, di utilizzare il gruppo in operazioni di
sabotaggio in caso di conflitto poteva valere solo nel caso della Germania Ovest, vero centro
nevralgico dell'attività d'intelligence tedesco-orientale. Questa intenzione avrebbe trovato un
(invero minimo) grado di realizzazione solo nel 1986, con l'ingaggio dell'agente IMB “Else
Brunner.” La sigla IMB identifica l'agente come collaboratore ufficioso a contatto col nemico,
vale a dire non un fiancheggiatore o un terrorista attivo355, ma una persona che, per la sua
vicinanza all'organizzazione, doveva essere in grado di fornire informazioni di grande
rilevanza sui membri e sui piani del gruppo. Poteva trattarsi di un parente, di un conoscente di
un qualsiasi brigatista o anche di un avvocato di qualche membro dell'organizzazione,
sull'esempio dell'agente Croissant/Taler. Purtroppo, del suddetto agente si conosce oggi solo il
codice identificativo, e non è stato possibile rinvenire un solo documento da lui trasmesso alla
divisione XXII, motivo per il quale non e' stato possibile ricavare indizi sulla qualita', la
quantita' e la frequenza dei dati forniti. La dicitura più ricorrente nelle informative sul gruppo
relative al periodo 1981-1989 e' infatti “Laut westlichen Massenmedien/ Laut Presse”, che
dimostra come la lettura della stampa occidentale abbia costituito sempre il canale
informativo predominante nello studio delle Brigate rosse.
Quel che e' possibile affermare, contro ogni ragionevole dubbio, è che la Stasi non rinunciò
mai a tenere sotto osservazione il gruppo, nemmeno in una fase in cui le scissioni all'interno
della Br e i ripetuti successi delle forze di polizia italiane avevano condotto ad un suo
consistente ridimensionamento ed indebolimento.
Se, come abbiamo avuto modo di vedere, le relazioni tra i due soggetti non sembrano aver
superato la soglia della raccolta di dati, a scopo informativo e preventivo, da parte del MfS,
mi sembra allora di poter suggerire, con Falanga, l'assenza di un qualsiasi tipo di
coinvolgimento diretto della Staatssicherheit tedesco-occidentale negli affari brigatisti.
Questo è quanto risulta dall'analisi della documentazione esistente.
Sarebbe invece estremamente interessante riuscire a delineare in maniera più precisa e
coerente il quadro intorno ad “Else Brunner.” Indagine questa che potrebbe essere portata
avanti, qualora la ricostruzione sistematica dei documenti cartacei tritati effettuata nel
contesto del progetto “Stasi-Schnipselmaschine” dovesse restituire pagine a lui relative.
355Era molto difficile che la scelta ricadesse su terroristi ancora attivi, data la pericolosità di cui i soggetti eranoinvestiti dall'analisi del MfS. Cfr. Ibd., p.47.
149
Se dovessero persistere dubbi sull'assenza pressoché totale di relazioni tra le due parti, il
capitolo seguente cercherà di fugare ogni residuo sospetto, analizzando nel dettaglio la
documentazione relativa al sequestro e all'omicidio del presidente della Dc presente negli
archivi del BStU, argomento per il quale la dietrologia ha trovato terreno fertile e che più
volte, nel corso dei decenni trascorsi da allora, è tornato prepotentemente all'attenzione
dell'opinione pubblica italiana e internazionale, in relazione al supposto ruolo-guida di servizi
segreti nella pianificazione, attuazione e tragica conclusione del sequestro di Aldo Moro.
150
5. Capitolo 5. Il caso Moro negli atti del ministero per la sicurezza di stato dellaRepubblica democratica tedesca.
5.1. Premessa.
Abbiamo detto di come il rapimento di Aldo Moro rappresenti il punto di svolta, evento
cardine in grado di suscitare definitivamente ed in maniera improvvisa l’interesse della Stasi
nei confronti delle Brigate rosse, fino a quel momento tenute in poca considerazione in virtù
del loro raggio d’azione strettamente legato al contesto italiano e quindi poco propenso a
derive internazionalistiche, da cui sarebbero potuti potenzialmente derivare pericoli per la
DDR. D’altra parte il sequestro Moro coincide proprio con un periodo della storia
dell’organizzazione che segna un aumento dell’interesse brigatista nei confronti di tematiche
più che mai internazionalistiche. Sotto questo punto di vista non sembra difficile spiegare per
quale motivo l’attenzione dei generali del MfS si sia concentrata sulle Br solo a partire da
quel fatidico 18 marzo 1978. Ma come reagirono nella pratica i dipendenti del ministero ad un
evento di tale portata politica e di così grande risalto per la cronaca italiana ed internazionale?
Quali furono le misure adottate dall’apparato di Mielke per proteggersi da eventuali
ripercussioni, e quali idee circolavano negli ambienti della Stasi circa il movente e i mandanti
del sequestro? Inoltre, quali furono i fattori che maggiormente contribuirono alla
formulazione, da parte del MfS, delle suddette idee? Abbiamo detto nel precedente capitolo di
come non sia possibile rinvenire una sola prova, nella massa di documenti esaminati,
dell'esistenza di una qualche forma di collaborazione propriamente detta tra il Ministero e
l'organizzazione.
L'inizio dell'attività dell'agente IMB “Else Brunner”, che deve necessariamente collocarsi al
1986 e che permette dunque di escludere con buona probabilità la possibilità che la Stasi
disponesse, nel 1978, di un informatore con una qualche conoscenza nell'ambiente delle
Brigate Rosse, non può nemmeno essere elevata a prova del fatto contrario in relazione al
decennio successivo, non essendo possibile stabilirne l'identità. Tale circostanza infatti, pur
suggerendo che la Stasi abbia disposto di un informatore potenzialmente in grado di attingere
informazioni rilevanti direttamente da ambienti vicini alle Brigate rosse a partire dalla metà
degli anni '80, non implica automaticamente che i membri del gruppo con cui “Else Brunner”
potrebbe essere entrato\a in contatto fossero a conoscenza dell'attività svolta dall'agente in
questione. Prove di un supporto logistico fornito dalla Stasi alle Brigate rosse, nella forma di
forniture di armi e munizioni e\o addestramento militare, sul modello di quanto descritto nel
151
capitolo 3 in relazione ai rapporti tra Stasi e Raf, non sono disponibili per quanto riguarda i
terroristi italiani.
In definitiva, dall'analisi compiuta direttamente sulle fonti dell'MfS e dal confronto con la
letteratura secondaria che si è occupata del tema del rapporto tra Stasi e Brigate rosse è
possibile affermare, allo stato attuale della ricerca, che non sono emersi documenti che
testimonino di un contatto diretto tra queste e la Stasi. A questa affermazione va tuttavia
aggiunta una considerazione non irrilevante, più volte riproposta in questa sede: la
documentazione conservata presso il BStU, e nel caso specifico quella relativa allo spionaggio
estero proveniente dall'Hauptabteilung HV A, ha subìto nei primi mesi del 1990 una
distruzione la cui entità si attesta intorno al novantanove percento del totale, circostanza che ci
pone dunque di fronte all'impossibilità di indagare più a fondo e che potrebbe almeno
parzialmente risolversi con il proseguimento del progetto Stasi-Schnipselmaschine.
Detto ciò, resta la realtà di fatto per cui i canali informativi percorsi dall'antiterrorismo
tedesco-orientale si riducono, anche e soprattutto per il periodo 1978-79, alla sistematica
lettura della stampa di lingua tedesca e segnatamente tedesco-occidentale, e in alcuni casi
all'utilizzo di contatti all'interno degli organi di sicurezza della Germania federale.
Si è deciso di suddividere il capitolo in tre sezioni tematiche. Nella prima ci si preoccuperà da
un lato di presentare brevemente gli eventi, dal rapimento al ritrovamento del corpo di Aldo
Moro, con riferimento al dispiegarsi della discussione politica e mediatica in Italia riguardo la
trattativa per la sua liberazione, mentre dall'altro si offrirà una panoramica generale, con
riferimento ad alcuni testi, delle teorie sorte nel corso degli ultimi trentacinque anni intorno
alla morte dello statista.
Nella seconda parte si presenterà una sorta di breve rassegna della documentazione relativa al
sequestro rinvenuta negli archivi del BStU, evidenziando in particolare quei fattori che
portarono il MfS ad alzare il livello di guardia nei confronti delle Brigate Rosse istituendo,
come vedremo, misure eccezionali di controllo e filtraggio alle proprie frontiere, andando così
ad integrare e chiarire alcune questioni trattate solo marginalmente nell'opera di Gianluca
Falanga. Si metterà inoltre più marcatamente in risalto quell'aspetto particolare, già
menzionato nel capitolo 4. e presente fin da subito nelle convinzioni della Stasi, che nella
documentazione vede le Br figurare come un gruppo neofascista, direttamente ascrivibile alla
“strategia della tensione”.
152
La parte conclusiva di questo capitolo si concentrerà infine sull'analisi dei canali informativi
che stettero all'origine delle convinzioni del Ministero. Si metterà cioè l'accento sulla
mediazione svolta dalla stampa di lingua tedesca nell'analisi della vicenda, e con essa del
fenomeno brigatista nella sua totalità e complessità. Non è possibile, infatti, scindere la
questione delle ipotesi formulate dai colonnelli dell'MfS sul conto delle Brigate Rosse da
quella inerente i canali informativi per mezzo dei quali a tali considerazioni si pervenne.
L'assenza di un contatto diretto, se da un lato trova conferma proprio nella priorità assegnata
al mezzo giornalistico nella raccolta di informazioni, dall'altro si pone anche come come
fattore discriminante e limitante, e sta con ogni probabilità all'origine della scelta di affidarsi
alla lettura dei quotidiani nello sforzo di penetrare più a fondo nell'essenza
dell'organizzazione.
Fonti di natura diversa dalla stampa rappresentano qui una sparuta minoranza, attestandosi
intorno al 2% della documentazione complessiva. L'Abteilung XXII lavorò a stretto contatto
con l'HV A, condividendone nel 1990 il destino proprio in virtù della rilevanza internazionale
delle operazioni condotte da questa unità di servizio nel corso della sua storia.
5.2. Il sequestro Moro. Gli eventi e il dibattito pubblico.
La mattina del 16 marzo 1978 in via Mario Fani, Roma, le Brigate rosse prelevarono Aldo
Moro dopo aver eliminato la sua scorta composta da cinque persone. Il nucleo che agì era
composto da nove brigatisti operativi e da una decima persona, una ragazza, che aveva il
compito di segnalare l'arrivo del convoglio delle macchine con la scorta e il presidente
democristiano e, quindi, abbandonare immediatamente la zona. La dinamica del sequestro è
stata descritta in maniera puntuale da Marco Clementi, alla cui “Storia delle Brigate rosse” si
rimanda per la presentazione dei particolari. L'ostaggio venne portato in via Montalcini, dove
fu tenuto prigionieri in una “prigione del popolo” gestita da Anna Laura Braghetti, Germano
Maccari e Prospero Gallinari. Nel covo, Mario Moretti interrogava Moro e riferiva
all'esecutivo dell'organizzazione, che per motivi di sicurezza si riuniva a Firenze e non nella
capitale, dove massima era l'allerta delle forze dell'ordine.356
Le Br tennero Moro segregato per 55 giorni, nel corso dei quali diffusero 9 comunicati. Per
mezzo di questi, le Br rivendicarono il rapimento, chiarirono la loro linea politica, resero note
alcune conclusioni politiche dell'interrogatorio e, quindi, chiesero una contropartita per la
356Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 203.
153
liberazione dell'ostaggio, scontrandosi col netto rifiuto della classe politica.
All'eccidio di via Fani il governo italiano guidato da Andreotti, costituitosi poco dopo la
diffusione della notizia del sequestro, oppose una linea definita “della fermezza”, inasprendo
immediatamente le pene per gli esecutori di atti particolarmente violenti attraverso il decreto
legge del 21 marzo 1978.357
Tra i partiti, la linea più intransigente venne tenuta dal Pci, che per la prima volta dopo un
trentennio si ritrovava all'interno delle istituzioni. Il prezzo politico per la salvezza di Moro,
ovvero quello di riconoscere politicamente le Br quale controparte belligerante di una guerra
condotta al “cuore dello stato”, avrebbe costituito la fine del progetto di solidarietà nazionale.
Marco Clementi ha voluto individuare nella linea tenuta dal Pci una certa “miopia
prospettica”, coincidente con l'incapacità di condurre una politica di ampio respiro, a cui si
preferì mantenere una posizione di forza derivata da una visione parziale della vita politica
italiana, che anteponeva al bene generale quello particolare del partito. Il Pci, così Clementi,
sarebbe rimasto contrario ad ogni apertura in direzione di una trattativa, che avrebbe
certamente condotto ad un'uscita del Pci dalla maggioranza parlamentare, con l'obiettivo di
non perdere la “patente di affidabilità democratica” faticosamente conquistata.358 Pur non
volendo in nessun modo contestare quanto affermato su quest'aspetto da Clementi, questa
affermazione va tuttavia integrata: non era solo la suddetta “patente di affidabilità
democratica” a preoccupare il Pci, bensì ad un tale irrigidimento dovette contribuire in modo
rilevante la consapevolezza che le Brigate rosse non fossero poi così lontane dalla propria
tradizione storica, e che fosse in sostanza elevato il rischio e fondato il timore di vedersi
attribuire la paternità morale del fenomeno.
Riguardo alle numerose lettere scritte da Moro, rivolte a colleghi di partito, ai rappresentanti
delle istituzioni e persino al pontefice Paolo VI, se una parte della Dc rifiutò di prendere in
considerazione le lettere dello statista con la motivazione che esse non fossero moralmente
ascrivibili al presidente della Dc, il quale si sostenne scrivesse sotto costrizione, o comunque
non nel pieno delle proprie facoltà mentali,359 fu però proprio il Pci a respingere l'ipotesi di
una qualsiasi credibilità delle parole provenienti dalla prigione del popolo.360 Le Br
costituivano, agli occhi dei comunisti, solo ed esclusivamente una banda armata, e di357Ibd., p. 204.358Ibd., p. 205.359Cfr. Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Milano 2006.360Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, p. 205.
154
conseguenza era fuori discussione l'eventualità di una trattativa con referenti ai quali si
rifiutava, con fermezza appunto, di riconoscere una qualsivoglia statura politica. Per dirla
ancora con le parole di Clementi, “la fermezza del Pci significò […] un no alla trattativa, e un
no al riconoscimento delle Br. Null'altro.”361
Tentativi per spezzare il fronte della fermezza furono intrapresi solo dal Psi, che in seguito
alla diffusione, il 15 aprile, del comunicato numero 6, tramite il quale le Br annunciavano la
fine del processo e la condanna a morte dell'ostaggio, colse la possibilità di uno spazio di
manovra autonomo, per mezzo del quale cercò una strada per salvare la vita di Moro. Claudio
Signorile e Giuliano Vassalli cercarono cosi' di entrare in contatto con le Br, e vi riuscirono
per mezzo degli esponenti dell'Autonomia operaia Franco Piperno e Lanfranco Pace.
Pace contattò Valerio Morucci e Adriana Faranda, ex membri di Potere operaio e contrari
all'esecuzione, ma il tentativo falli' a causa di una serie di circostanze. In primo luogo, il
contatto era avvenuto si per sollecitazione del Psi, tuttavia questi non aveva intercesso
direttamente, delegando la trattativa non ad un esponente politico, ma a rappresentanti della
sinistra extraparlamentare. Inoltre, le Br non erano interessate ad un riconoscimento da parte
dei socialisti, ma solo ed esclusivamente da quella della Dc, il nemico al quale
l'organizzazione aveva dichiarato guerra, identificando il partito di governo con lo Stato tout
court.
Il secondo fattore alla base del fallimento consisteva nella proposta socialista di affidare la
mediazione ad enti terzi, quali le Nazioni Unite e Amnesty International, che avrebbe aperto
la strada ad un “salvacondotto umanitario”, ma che escludeva di contro un riconoscimento
politico delle Br, obiettivo ultimo del sequestro.362
Nel corso del sequestro, le Brigate rosse passarono gradualmente dalla richiesta di scambio di
13 detenuti politici, poi di uno ad uno, per arrivare infine ad “accontentarsi” del solo
riconoscimento politico in cambio della vita di Moro. Vedendo negate tutte le proprie richieste
di scambio, e cercando di evitare il tragico epilogo della vicenda, l'ala cosiddetta
“movimentista”363, rappresentata di Morucci e Faranda, si assunse la responsabilità di
contattare di propria iniziativa la famiglia Moro. Morucci telefonò personalmente a casa Moro
il 30 aprile, affermando che l'esecuzione, già da tempo decisa e più volte rimandata, si sarebbe
361Ibd., p. 206.362Ibd., p. 208.363Definizione questa che, secondo Clementi, è stata impropriamente utilizzata nel caso del sequestro Moro.
Una vera e propria scissione dell'organizzazione, legata alle diverse tendenze presenti all'interno delle Br, sisarebbe avuta solo dopo il sequestro Moro. Ibd., pp. 212-213.
155
potuta evitare se il segretario della Dc, Benito Zaccagnini, avesse riconosciuto politicamente
le Br in un intervento pubblico, riconoscimento che, com'è noto, non avvenne, conducendo la
vicenda al suo tragico epilogo.
Liberare l'ostaggio senza contropartita avrebbe significato la fine delle Brigate rosse, come
dichiarato dallo stesso Moretti di fronte alla Commissione stragi.364
I 55 giorni del sequestro furono segnati dall'espletarsi di un acceso dibattito sulla stampa e
nell'opinione pubblica. Le pagine dei quotidiani nazionali furono occupate per quasi due mesi
da articoli e dibattiti sul rapimento. La stampa si rivelo' relativamente debole sul versante
delle informazioni precise circa lo svolgimento delle indagini, e si preoccupò maggiormente
di riempire le proprie pagine di articoli interessati da un lato a sviluppare considerazioni sulle
matrici teorico-culturali del terrorismo, dall'altro a comprendere la posizione del mondo
intellettuale del tempo e a coniugare discorsi di condanna del fenomeno e legittimazione dello
Stato.365
Così ad esempio, già in data 16 marzo il mondo dell'Autonomia espresse una dura condanna
dell'accaduto, giudicando il sequestro come un grave errore tattico, dal quale sarebbe
certamente scaturita una feroce repressione della sinistra extraparlamentare da parte dello
Stato.366
Marica Tolomelli ha messo in risalto da una parte l'operato della stampa, che nel suo
complesso tentò di conferire alle diffuse manifestazioni di dissenso della popolazione un
carattere totalizzante e molto più vasto di quanto realmente avvenne, e dall'altro proprio la
nascita di considerazioni negative negli ambienti della sinistra extraparlamentare. Se lo Stato
e la stampa si preoccuparono di divulgare appelli all'unità, allo scopo di favorire la
costituzione di un fronte comune di condanna dell'azione brigatista e in difesa dello Stato, la
sinistra extraparlamentare, e con essa il mondo intellettuale italiano, fece d'altro canto notare
come non fosse possibile schierarsi con lo Stato a priori, quello Stato, capace di stragi, che
ora chiedeva il supporto incondizionato dell'opinione pubblica. Considerazioni di questo tipo
furono alla base della nascita del famoso slogan “né con lo Stato, né con le Br”, e Lotta
continua si schierò apertamente contro l'immagine di mobilitazione totale che la stampa di
partito aveva promosso nell'opinione pubblica in rapporto alle reazioni di sdegno di cui essa, a
364Commissione stragi, seduta 22, Mario Moretti, riportato in Ibd., p. 212.365Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., pp. 145-208.366Ibd., p. 163.
156
caldo, si era resa protagonista.367
Dal canto loro, gli intellettuali italiani espressero forte risentimento nei confronti del mondo
politico, dal quale si videro, nei giorni del sequestro, sottoposti ad un'elevata pressione
morale, con cui le istituzioni statali incarnate dai partiti chiedevano al paese e alla società
italiana un incondizionato consenso rispetto all'ordine sociale e politico esistente.368
Abbiamo già premesso di come Tolomelli abbia individuato un ulteriore asse tematico su cui
il dibattito si sviluppò nei giorni del sequestro, ovvero quello della responsabilità politica del
fenomeno brigatista. Il quadro presenta le forze della Dc esibirsi in accuse velate nei confronti
del Partito comunista, cui venne rimproverato di mantenere un carattere di doppiezza nel
senso della persistenza, al suo interno, di una componente rivoluzionaria non pienamente
conforme ai principi statali, sintomo di un'evoluzione incompleta in senso democratico.369 Se
le accuse rivolte dalla Dc al Pci si mantennero sempre su toni prudenti, cercando così di non
entrare in diretto scontro col secondo partito del paese, critiche ben più aspre vennero
indirizzate al mondo della sinistra extraparlamentare, accusata di condividere “la stessa
visione politica espressa dalle Brigate rosse nei comunicati di quei giorni.”370
Il Pci si preoccupò di respingere le suddette accuse di doppiezza, concentrando la propria
difesa in un discorso teso da un lato a ricordare gli eventi in cui esso aveva mantenuto un
comportamento di rigorosa legalità nei confronti delle istituzioni democratiche, dall'altro
volto a suggerire la presenza di un complotto internazionale, che vedeva nelle Br un gruppo di
fanatici manovrati dall'esterno.371
Nella ricostruzione fornita da Tolomelli diventa dunque evidente come a svolgere il ruolo di
catalizzatore dell'opinione pubblica furono, in sostanza, i partiti e, in misura minore, il mondo
intellettuale e della sinistra extraparlamentare, tendenzialmente contraria al sequestro e
impegnata nel corso dei cinquantacinque giorni in una riflessione interna sulla congruità
dell'uso della violenza come mezzo di lotta politica.372
Il caso Moro avrebbe avuto pesanti ripercussioni politiche sulle Brigate rosse, che si
ritrovarono isolate rispetto a molti gruppi di estrema sinistra, critici nella maggior parte dei
367Ibd., p. 167.368Ibd., p. 177.369Ibd., p. 188.370Ibd.371Ibd., p.189.372Ibd., pp. 191-192.
157
casi sull'esito dell'operazione. Si veda a questo proposito il testo di un volantino del collettivo
politico della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma “La Sapienza”, riportato da Clementi
a pagina 215 della sua “Storia delle Brigate rosse”, nel quale le Br sono accusate di
rappresentare uno strumento nelle mani di chi, comandandole, sperava di sbarrare la strada
alle rivendicazioni del movimento del '77 e favorire uno spostamento a destra dell'asse
politico in Italia e nel Mediterraneo.
5.3. Il sequestro Moro. La letteratura.
Il caso Moro è stato oggetto, nei quasi quarant'anni che lo separano dalla quotidianità, di
numerosi saggi, così come molti sono i tasselli che, per mezzo di dichiarazioni spontanee,
rilasciate ai giornali dai diretti protagonisti politici del tempo, o tramite le dichiarazioni
fornite da questi, dalla classe politica e dai rappresentanti delle forze di sicurezza che
operarono nei cinquantacinque giorni del sequestro di fronte alle numerose audizioni della
Commissione stragi, hanno alimentato per oltre un trentennio la letteratura, dietrologica e non,
sul sequestro dello statista democristiano.
Se la storia della Brigate rosse si e' prestata nel tempo, come abbiamo avuto modo di vedere
nel precedente capitolo, ad interpretazioni e letture in chiave cospirativa, che abbiano cioè
volutamente posto l'accento su quegli elementi poco chiari delle vicende brigatiste, allo scopo
di suggerirne un'eterodirezione da parte di servizi segreti ora del blocco occidentale, ora
orientale, un discorso analogo può essere fatto per la vasta letteratura inerente il sequestro e la
morte del presidente della Dc.
Se dichiarazioni volte a suggerire simili circostanze vennero rilasciate già a partire dai giorni
del e dagli anni immediatamente successivi al sequestro,373 si è assistito in Italia al nascere e
svilupparsi, negli ultimi tre decenni, di un filone di letteratura divulgativa che mette in
relazione tutti i sospetti di un intervento americano nel caso Moro, restituendo un'immagine di
un presidente della Dc vittima, per mano delle Br incaricate dell'esecuzione, della sua stessa
politica di apertura a sinistra, che sarebbe stata fortemente sgradita agli Usa. In ricostruzioni
di questo tipo si è posto in risalto il ruolo svolto da figure direttamente coinvolte nella
gestione politica della trattativa con le Br, in primis quella dell'esperto in materia di terrorismo
del pentagono Steve Pieczenik, inviato da Washington in Italia appositamente per assistere il
373Cfr. a questo proposito “L'Unita'” del 19 marzo 1978 in Tolomelli, Terrorismo e società, p. 189, e LucianoGuerzoni in “Guerzoni conferma: Kissinger ebbe un duro scontro con Moro” in “La Stampa”, 11 novembre1982.
158
governo nella risoluzione della crisi, il quale avrebbe volutamente indirizzato gli sforzi
dell'esecutivo nella direzione sbagliata, quella cioè di lasciar uccidere l'ostaggio.374
L'autore più prolifico appartenente a questo filone è sicuramente Sergio Flamigni, dal 1968 al
1987 parlamentare del Pci e membro delle commissioni parlamentari d'inchiesta sul caso
Moro, sulla loggia P2 e sulla Mafia. Tra le sue opere merita menzione in particolare la prima
in assoluto, considerata il capostipite della letteratura dietrologica sul caso Moro, pubblicata
nel 1988 dalla casa editrice Kaos e intitolata “La tela del ragno. Il delitto Moro”, ma l'autore
ha portato avanti le proprie teorie in numerosi altri lavori usciti nel corso degli ultimi
trent'anni, tra cui “Il covo di Stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro”, Kaos edizioni, Milano
1999; La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti,
Milano, Kaos, 2004; La prigione fantasma. Il covo di via Montalcini e il delitto Moro,
Milano, Kaos, 2009, tutte opere legate da un filo conduttore che vede il sequestro come un
disegno ordito e condotto da ambienti della politica e dei servizi di sicurezza legati alla loggia
massonica P2.
Flamigni può forse essere indicato come estremamente esemplificativo di quella dirigenza
politica comunista che non volle e tutt'ora non vuole riconoscere alle Br il legame diretto con
la tradizione del Pci, riconducendo la ragione stessa del loro modus operandi all'attività di
servizi occidentali e non all'espressione estrema di idee largamente circolanti negli ambienti
della sinistra italiana.
A metà strada tra teorie del complotto e ricostruzione storica si colloca invece un altro lavoro
inerente il caso Moro, pubblicato nel 2000 dalla casa editrice Einaudi e intitolato “Segreto di
Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, consistente in una lunga intervista del giornalista
Giovanni Fasanella al senatore dell'ex Pci Giovanni Pellegrino: questi ha ricoperto dal 27
settembre 1996 al 29 maggio 2001 il ruolo di presidente della Commissione parlamentare
d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili
delle stragi, dei cui risultati si parlerà più avanti. La sua proposta oscilla fra interpretazioni
374Nella stessa direzione vanno poi le dichiarazioni rilasciate da Giovanni Galloni a Rainews24 e riportatenell'articolo “Moro mi disse che sapeva di infiltrati della CIA e Mossad nelle Br”, “Next”, 5 luglio 2005.Teorie simili sono state riproposte a piu' riprese nel libro di Rita di Giovacchino, Il libro nero della primarepubblica, Fazi Editore, Roma 2005, cosi' come nell'inserto de “La Repubblica” dal titolo “I giorni di Moro”del 15 marzo 2008, ed hanno di contro trovato una decisa smentita nelle parole dell'allora segretario di StatoHenry Kissinger in una dichiarazione rilasciata al “Sole 24ore” nello stesso giorno.
159
che riportano la vicenda all'interno della storia italiana della sinistra eversiva (l'album di
famiglia di cui ha scritto Rossana Rossanda) e quelle complottiste, che parlano di "sequestro
in appalto", e sostengono l'esistenza di cospicue zone d'ombra nella ricostruzione degli
avvenimenti.
Nella direzione opposta, quella cioè di contestare le supposte “stranezze” evidenziate dai
fautori della linea dietrologica sul caso Moro si sono mossi ad esempio Vladimiro Satta, con il
volume “Odissea nel caso Moro”, Edup, Roma 2003, e lo storico Marco Clementi, con il libro
dal titolo “La pazzia di Aldo Moro”, edito da Odradek già nel 2001 e continuamente
aggiornato in due successive edizioni, una del 2006 per la casa editrice Rizzoli e l'ultima,
sempre per Rizzoli nella collana BUR, pubblicata nel 2008. La tesi di fondo a cui i due autori
sono giunti, per mezzo di serrate critiche volte a contestare punto per punto ogni singola
incongruenza e a fugare ogni dubbio circa l'operato di servizi statunitensi, risulta in sostanza
allinearsi con quanto stabilito nel 2001 dalla Commissione stragi, fonte che andremo a trattare
separatamente nelle prossime pagine: le Brigate rosse furono un fenomeno squisitamente
autoctono, il sequestro Moro l'atto più alto di una strategia ben definita e non ispirata
dall'esterno, così come le difficoltà, incontrate dagli organi di sicurezza italiani
nell'individuazione del covo di via Montalcini, sarebbero da ascriversi solo ed esclusivamente
a disorganizzazione e mancanza di coordinazione tra i vari apparati, indeboliti da una riforma
che, al momento del sequestro, era ancora nel pieno del suo svolgimento e non permise, per
questo, la piena efficienza dei mezzi d'indagine.
Una lettura alternativa, che non si concentri cioè sull'azione degli apparati di sicurezza italiani
e che non si proponga di svelare o “smontare” misteri e complotti, è rappresentata dal volume
di Agostino Giovagnoli “Il caso Moro”, edito nel 2005 dalla casa editrice “Il Mulino”.
Nell'opera viene tracciata un'analisi dei cinquantacinque giorni del sequestro in chiave
storico-politica, condotta sulla base di quegli elementi che, provenissero essi dalle reazioni
dell'opinione pubblica, dalle discussioni parlamentari o dai mezzi di stampa, condussero al
rifiuto della trattativa e, con esso, al formarsi del “fronte della fermezza” e alla morte
dell'uomo politico. Il caso Moro non viene qui trattato come un fatto criminale da punire, ma
sotto la lente di una tragedia umana e politica che la Dc, grazie, e a causa, della sua tradizione
storica di partito istituzionale, non fu in grado di evitare in nessun modo. L'obiettivo è quello
160
di operare una sorta di discolpa della Dc, dimostrandone la lontananza politica dal fenomeno
brigatista.
C'è poi chi, ancora come per il caso generale delle Br, ha voluto proporre una seconda pista
d'indagine, quella che ha indicato cioè nel terrorismo rosso italiano un braccio armato del
KGB. I sostenitori di questa ipotesi, proposta per la prima volta dal senatore della Casa delle
Libertà Paolo Guzzanti, in seguito ai due anni in cui ricoprì il ruolo di presidente della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Impedian, hanno affermato che Mosca abbia
diretto, se non le Br nel loro complesso e per tutto l'arco di esistenza dell'organizzazione,
quantomeno alcune delle loro più sanguinarie azioni, ivi compreso il sequestro Moro, allo
scopo di alimentare, in un paese strategicamente fondamentale per la NATO come l'Italia, un
grave fattore di destabilizzazione quale il fenomeno brigatista.375
C'è stato anche chi, recentemente, ha affermato che la verità sul caso Moro sia da ricercarsi
proprio negli archivi della Stasi. Mi riferisco alle dichiarazioni rilasciate dallo storico e
senatore del Pd Miguel Gotor, che il 24 settembre 2013 ha proposto un decreto legge per
l'istituzione di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi, resasi necessaria
e possibile in virtù delle nuove prove documentarie consultabili negli archivi dei servizi
segreti dei paesi dell'ex Patto di Varsavia, primi su tutti quello tedesco-orientale e
cecoslovacco.
5.3.1. La Commissione stragi.
Il Parlamento italiano si attivò presto nel tentativo di fare piena luce sulla vicenda. Il 23
novembre 1979 veniva istituita una “Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via
Fani”, presieduta dal senatore repubblicano Oddo Biasini e i cui lavori si sono svolti fino al 29
giugno 1983. Le indagini portate avanti da questo organo sono confluite poi nel 1988 nella
piu' vasta indagine della “Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle
cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” (più semplicemente,
Commissione stragi), presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino e i cui lavori, pur non
avendo mai prodotto una relazione finale, sono giunti al termine il 26 aprile del 2001.
Abbiamo già visto, nel cap. 4.1., quali convinzioni vennero espressa da questa commissione al
375Si veda ancora a questo proposito il già citato articolo di Paolo Guzzanti “Si, le Br erano manovrate dalKGB”, ma nella stessa direzione si e' mosso anche Antonio Selvatici nel suo Chi spiava i terroristi. KGB,Stasi-Br, Raf. Pendragon, Bologna 2010.
161
momento di delineare l'eventualità di un'eterodirezione delle Brigate rosse. Dello stesso tenore
sono state, d'altronde, anche le considerazioni espresse in relazione alla vicenda Moro. Alle
pagine 21-22 dell'ultima relazione prodotta da questa commissione bicamerale leggiamo:
“nel voler contro ogni evidenza rintracciare la causa ultima di quella terribile stagione
nell'attività di servizi stranieri (la CIA e all'opposto il KGB) significa colpevolmente
rimuovere dalla memoria nazionale l'ampiezza e la profondità dello scontro sociale che
infiammò l'Italia negli anni '70. Con ciò non vuole escludersi, giova ribadirlo, che apparati
stranieri siano stati ampiamente attivi nel territorio nazionale, com'era ineludibile data
l'importanza strategica dell'Italia nello scacchiere del Mediterraneo. Ma ciò non può eludere il
rilievo attribuibile a un dato oggettivo, e cioè quello di un'intera generazione, che negli anni
'70 fece scelte estreme.” Poco più avanti viene poi affermato che “anche sul punto (la strage di
via Fani, n.d.a.) le ulteriori acquisizioni operate convincono che anche nella vicenda Moro le
Br furono ciò che dichiaravano di essere: rapirono Moro, non per mandato altrui, ma secondo
un loro progetto, lo processarono e lo condannarono secondo un loro codice, mossero dalla
condanna per tentare di aprire una trattativa che rientrava nei loro interessi e, quando la
trattativa falli' […], decisero di sopprimere l'ostaggio secondo una logica propria.”
Se dunque poteva escludersi a pieno titolo l'idea che le Br, e con loro il sequestro Moro,
fossero il risultato di una pianificazione nel suo complesso gestita da apparati di intelligence
stranieri, la cui azione trasversale non poteva però essere esclusa a priori, tuttavia restavano
da appurare le responsabilità degli organi informativi, di sicurezza e statali italiani, indagando
in particolare su quelle circostanze che concorsero alla nascita di sospetti circa la volontà
politica di non salvare Moro, e cioè che le carenze ravvisabili nella complessiva risposta dello
Stato fossero da considerarsi così gravi da rendere certo o probabile che siano state, almeno in
parte, volute.376 La Commissione giungeva a negare questa possibilità, affermando che, allo
stato attuale delle acquisizioni documentarie, si potesse concludere quanto segue:
a) nel sistema di sicurezza italiano si produssero delle falle, tali da agevolare l'azione delle Br
e influire negativamente sull'efficienza dell'attività degli apparati.
b) non si può sostenere la tesi del cosiddetto “delitto in appalto”, ovvero che il sequestro sia
stato commissionato alle Br dall'esterno, e che nella decisione di sopprimere l'ortaggio esse
siano state eterodirette.
376Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, Vol. I, Tomo I.
162
c) non si può nemmeno affermare con certezza, né tantomeno con ragionevole probabilità, la
sussistenza a livello istituzionale di un deliberato intento di non pervenire alla salvezza
dell'onorevole Moro.377
5.4. Il caso Moro negli atti del BStU. Il sequestro e l’esecuzione.
Il primo documento cronologicamente successivo al sequestro Moro che andiamo ad
incontrare è un’informativa recapitata alla Stasi dalla sede dell’ambasciata della DDR a
Roma378, da cui sono tratte tutte le pagine relative al quadro politico che andremo ad
esaminare. Nelle tre pagine che compongono il documento è riportato un resoconto della
situazione politica italiana in data 23 marzo 1978, dove le necessarie considerazioni circa la
formazione del nuovo governo Andreotti e quelle sul sorprendente risultato elettorale del PCI
vengono accostate ad altre concernenti il terrorismo in Italia, quando nell’informativa
leggiamo: “aufgrund der Eskalation des politischen Terrorismus (Entfuehrung Moros) erfolgte
im Parlament eine schnelle Übereinkunft ohne grössere Auseinandersetzungen.”379 Il
sequestro Moro viene insomma messo subito in relazione alla nascita del nuovo governo, con
la cui rapida formazione “wurde ein Ziel der reaktionären Kräfte, die Verhinderung der
Bildung der Regierung Andreotti, abgewehrt.”380
Ancora più chiaramente viene espressa poco dopo l’opinione del redattore, non dissimile da
quella propria degli ambienti del ministero nel suo complesso, secondo cui “den Terrorakt
gegen den DC-Präsidenten Moro versuchen die reaktionären Kräfte zu nutzen, um die
Linkskräfte zurückzudraengen, gegen den Kompromiss zwischen DC und IKP vorzugehen
und gezielt die neue Regierung zu eliminieren.”381 Non risparmiano poi commenti inerenti il
modus operandi della stampa italiana nei giorni immediatamente successivi al rapimento,
affermando che ‘’von der bürgerlichen Presse wird der Terrorakt weiterhin benutzt,
sozialistischen Ländern die Mitverantwortung für die Steuerung solcher Akte zu
unterstellen.”382
377Ibd., pp. 31-32.378 BStU, MfS-HA VI 12683, pp. 9-11.379 A causa dell’escalation del terrorismo politico (sequestro Moro) e’ stato raggiunto un rapido accordo senza grosse opposizioni. Ibd. p.9.380 E’ stato scongiurato uno degli obiettivi delle forze reazionarie, quello di impedire la costituzione del governoAndreotti. Ibd.381 Le forze reazionarie usano l’atto terroristico per respingere indietro le forze di sinistra, procedere contro il compromesso tra DC e Pci e per eliminare il nuovo governo. Ibd. p. 10.382 L’atto terroristico viene sfruttato dalla stampa borghese per addossare la corresponsabilità nella guida di simili atti ai paesi socialisti. Ibd.
163
Preso atto del fallimento dell’obiettivo primario delle suddette forze reazionarie, quello di
compromettere il processo di avvicinamento tra Dc e Pci colpendone il principale promotore,
vengono infine tratte delle conclusioni chiare, accompagnate da previsioni politiche che
ancora una volta non si discostano da quanto detto finora circa la percezione del fenomeno
terroristico da parte del MfS: “es ist zu erwarten, dass die hinter der Aktion stehenden
Rechtskreise versuchen werden, durch Offenhalten des Falles Moro Teilziele doch noch zu
erreichen.”383
Il solo fatto di veder menzionati probabili agenti oscuri dietro la vicenda, in un documento ad
uso interno quale quello che stiamo analizzando, costituisce un indizio del non
coinvolgimento della Stasi o di altri servizi del Patto di Varsavia nel sequestro, o quantomeno
si può a ragione sostenere che il MfS non ne fosse a conoscenza.
La situazione politica italiana viene monitorata costantemente, ma il caso Moro sembra essere
anche agli occhi della Stasi il fattore che più di ogni altro la condiziona ed indirizza- visione
che corrisponde effettivamente a quella che fu la realtà di quei cinquantacinque giorni- tanto
da trovare posto in tutte le informative dei giorni successivi.
Il documento successivo384 riporta la data del 5 aprile e pone particolare attenzione
sull’atteggiamento della DC in relazione al rapimento: “Unter Ausnutzung der Moro-
Entführung hat die DC in Vorbereitung auf die im Mai stattfindenden Teilkommunalwahlen
eine massive antikommunistische Kampagne begonnen, um sich als katholische Massenpartei
des gemässigten Zentrums zu profilieren und langfristig zur Mitte-Links-Politik
zurückzukehren.”385 Allo stesso modo viene preso nota degli atteggiamenti degli ambienti
dell’estrema destra, i quali intraprendono grandi sforzi per coordinare atti terroristici di destra
e “sinistra”, allo scopo di esasperare la già tesa situazione sociale e politica.386
Nella ricerca della documentazione ci si trova poi ad un punto morto, un “buco” di alcuni
giorni dovuto probabilmente a più fattori, quali la sostanziale immobilità della classe politica
italiana, che non portò a risultati tanto nelle ricerche quanto nelle trattative per il rilascio del
sequestrato, e che quindi potrebbe aver indotto i diplomatici tedesco-orientali a non compilare
383 C’è da aspettarsi che le forze di destra che stanno dietro all’azione tenteranno, tramite il protrarsi del casoMoro, di raggiungere obiettivi parziali. Ibd. p. 11.384Ibd., pp.12-14.385Approfittando del sequestro Moro e In preparazione alle elezioni regionali di maggio, la DC ha iniziato unamassiva campagna anticomunista, allo scopo di presentarsi come partito cattolico di massa del centro moderato eper tornare nel tempo ad una politica di centro sinistra.386Ibd., p. 13.
164
rapporti di alcun tipo, nonché alla già citata mancanza di documenti derivata dalla distruzione
parziale degli archivi seguita alla fine della DDR.
Bisogna attendere fino al 28 aprile per trovare un nuovo resoconto, nel quale stavolta la
vicenda Moro merita attenzione totale. Il rapporto si apre infatti con la considerazione
secondo cui “die innenpolitische Situation Italiens ist gegenwärtig in starkem Masse durch die
Auswirkungen der Entführung des Vorsitzenden der Christdemokratischen Partei, Moro,
geprägt.387”
Ancora in questa informativa si riprende la concezione di base della false flag, secondo cui
dietro al sequestro starebbero forze reazionarie interne ed esterne, ben organizzate sia a livello
logistico che finanziario. Mentre nei primi due documenti ci si dilungava proprio sulla
situazione politica e le obiettive difficoltà nella governabilità del Paese, stavolta è la vicenda
Moro a farla da protagonista, laddove il dibattito tra i partiti si riduce ad una pura cornice
testuale.
I nostri informatori esprimono la loro teoria, e sembra degno di nota un passaggio in
particolare in cui l’azione brigatista viene inserita in un disegno più ampio e che aveva già
avuto modo di indignare l’opinione pubblica: il sequestro Moro altro non sarebbe che il
naturale proseguimento della strategia della tensione, compiuto con l’obiettivo parziale di
paralizzare l’attività politica del nuovo governo e con quello di lungo corso di provocare
l’attivazione di misure repressive sulla popolazione che preparino il paese ad una svolta
autoritaria.388
Nella relazione viene presentata poi un’altra valutazione dell’operato delle BR, opinione
questa per la quale non è dato sapere in che misura abbiano influito gli eventi e le voci
circolanti negli ambienti dell’ambasciata romana: “Es ist offensichtlich, dass es den
Entführern nicht in erster Linie um einen Austausch Moros mit inhaftierten Terroristen geht,
sondern dass sie Moro benutzen, damit innerhalb der DC und den anderen politischen
Parteien permanente Auseinandersetzungen über die Art und Weise des Vorgehens gegenüber
den Terroristen geführt werden. Durch immer neue Ankündigungen, Drohungen und
Ultimaten sollen die Auseinandersetzungen, vor allem in der DC, ständig angefacht sowie die
ursprünglich nahezu einheitliche Front der Parteien in ihrer Ablehnung gegenüber
387La situazione politica interna Italiana risulta al momento profondamente influenzata dalle ripercussioni del sequestro del presidente della DC Aldo Moro. Ibd., p. 15.388Ibd., p.15.
165
Verhandlungen mit den Terroristen aufgebrochen und dabei die IKP isoliert werden.”389
Nella linea seguita dal PCI viene poi individuata la misura più efficace per scongiurare il
pericolo di una svolta reazionaria, per mezzo di quella mobilitazione di massa che agli occhi
del redattore appare essere il segno più tangibile del radicamento dei principi
dell’antifascismo nella società italiana.390
Con il documento appena analizzato si chiude la serie di rapporti sulla situazione politica
italiana nei giorni del sequestro. La vicenda non può però dirsi conclusa e, se la Stasi sembra
rinunciare da questo momento in poi a dei resoconti dettagliati, un evento in particolare
suscita preoccupazione negli ambienti del ministero per la sicurezza di stato. Preoccupazioni
che non si attenuano come un fuoco di paglia, ma che sollevano dubbi profondi e che
convincono l’apparato di Mielke della necessità di mettersi in moto per scongiurare eventuali
rischi, sia per la sicurezza interna dello stato che per l’immagine internazionale della DDR.
Stiamo parlando qui della visita ricevuta dall’ambasciata italiana nella DDR da parte di una
delegazione del PCI composta da militanti residenti in Germania, in data 10 maggio, che
costituisce l’impulso per l’istituzione di una serie di misure preventive che andarono a
coinvolgere alcune divisioni del ministero e che ora andremo ad analizzare nel dettaglio.
5.4.1. Il caso Moro negli atti del BStU/2. Misure di controllo ed osservazione nel contestodel sequestro Moro.
Come accennato, il 10 maggio 1978 una delegazione del PCI guidata da Angelo Sarto, negli
anni ’60 inviato dell’ “Unità” e di “Rinascita” a Berlino est,391 si reca all’ambasciata italiana
della capitale tedesco orientale per portare un messaggio di cordoglio per la morte del
presidente della DC.
La Stasi ne viene subito informata e il documento di notifica, riportante I tratti salienti del
colloquio tra Sarto e il funzionario dell’ambasciata (il cui nome e’ annerito), riconducibile alla
sezione Relazioni internazionali del comitato centrale della Sed ed indirizzato al suo direttore
389Risulta evidente come ai sequestratori non interessi tanto scambiare Moro con terroristi detenuti quantopiuttosto utilizzarlo, in modo tale da suscitare contrasti permanenti sia nella DC che negli altri partiti circa lemodalità secondo cui si dovrebbe procedure contro di loro. Per mezzo di nuove anticipazioni, minacce eultimatum si vogliono rinfocolare I contrasti, in special modo all’interno della DC, e allo stesso tempo sivuole spezzare il fronte della fermezza circa le trattative con I terroristi ed isolare il Pci. Ibd., p.15.
390 BStU, MfS-HAVI 12863, p.13.391Gianluca Falanga, Spie dall’est, p. 139.
166
Hermann Axen, è controfirmato da Honecker e Mielke in persona.392
Sarto ribadì l’impegno dei comunisti italiani nella difesa della costituzione e la ferma
condanna dell’accaduto. Per tutta risposta, il funzionario dell’ambasciata sollevo’ il dubbio
secondo cui dietro all’assassinio si sarebbero celati mandanti oscuri e altri organi
internazionali, tra cui esprime la convinzione esservene anche di tedesco-orientali. La
relazione continuava esternando la preoccupazione dei comunisti italiani nel notare “il recente
e significativo aumento dei soggiorni di cittadini italiani nella DDR che hanno rapporti con
certi organi della DDR e con le Brigate rosse in Italia”, risposta che non deve essere affatto
piaciuta al delegato, se gli ufficiali della Stasi si sono premurati di riportarne la reazione
infastidita.393
Ma quel che ci interessa arrivati a questo punto della trattazione non sono tanto le reazioni di
un delegato comunista quanto quelle del ministero nel suo complesso, che nelle mosse
seguenti darà prova al tempo stesso tanto di tutta la sue efficienza e rapidità di azione quanto
del suo tratto più tipicamente paranoide, caratteristica questa che porto’ sul lungo periodo ad
una sopravvalutazione del rischio comportato dall’attività della maggiore formazione di lotta
armata per il comunismo che sia mai sorta nel cuore dell’Europa capitalista.
La visita di Sarto e le affermazioni che in tale contesto vengono formulate destano una
preoccupazione pressoché immediata negli ambienti della Staatssicherheit, i cui quadri
decidono di passare immediatamente all’azione. Riporta la stessa data della suddetta visita un
documento riconducibile alla divisione VI del MfS, quella deputata, come già delineato nel
precedente capitolo, al controllo del traffico automobilistico in entrata e uscita dalla DDR.
Dall’ufficio centrale di questa Abteilung viene impartito l’ordine a tutti i checkpoint di Berlino
Est di controllare con accuratezza tutti gli accessi effettuati da parte di cittadini italiani, con
effetto a partire dalle ore 24:00 del giorno medesimo e obbligo di rapporto dettagliato ogni sei
ore. 394
Scopo principale dell’ordine è quello di verificare la fondatezza delle affermazioni del
funzionario circa la collaborazione tra brigatisti ed elementi governativi o sociali della DDR,
passando al setaccio il traffico da e verso la capitale di cittadini italiani noti alle forze
dell’ordine e ricollegabili in qualche modo alle Br. Anche in questo caso ci troviamo di fronte
ad un ulteriore indizio della totale assenza di collaborazione tra i nostri terroristi e il MfS. Se
392BStU, MfS-HAXXII 406/10, p.82.393Ibd., p.82.394BStU, MfS-HAVI 12863, p. 4.
167
tale collaborazione ci fosse stata, sarebbe la stessa attivazione di misure di questo tipo a
perdere ogni significato.
Per favorire la comprensione del tenore di certe misure e per dare un’idea più precisa delle
modalità operative della VI divisione del MfS, mi sembra opportuno riportare per intero il
testo del documento, nella fedele traduzione che ne da Gianluca Falanga e con cui mi trovo
pienamente d’accordo395:
In relazione all’omicidio di Moro e della situazione contingente si devono intensificare le
procedure di filtraggio per il riconoscimento di eventuali estremisti di sinistra o di destra in
transito, in particolare fra i cittadini dotati di passaporto della Repubblica Federale Tedesca, di
Berlino Ovest e della repubblica Italiana. Tali procedure vanno eseguite in modo tale che le
persone in transito alle frontiere non si accorgano che sono in corso misure di controllo
eccezionali. Gli altri organi impiegati ai checkpoint non devono essere informati
dell’applicazione di queste procedure speciali. I resoconti ottenuti nel processo di filtraggio
vanno immediatamente comunicati alla centrale operative del VI dipartimento. In casi che
richiedono una decisione per autorizzare il transito a soggetti individuati, e’ dovere degli
agenti di interpellare la centrale operativa (…)
Alla centrale operativa del VI dipartimento vanno comunicati a partire dall’11/5.1978
quotidianamente alle ore 6:00/12:00/18:00/24:00:
1) Il numero di tutti I cittadini della repubblica italiana in transito.
2) Il numero di tutti I soggetti ostili delle categorie 400/600.000, suddivisi nelle singole
sottocategorie (provocatori, fascisti, terroristi ecc.) a loro volta ulteriormente suddivisi
in:
a) Transito in entrata nella DDR (compresi visti giornalieri)
b) Altre forme di transito
c) Passaggio secondo il trattato di transito di Berlino (vale a dire chi, proveniendo dalla
Germania Ovest, attraversasse il territorio della DDR per raggiungere Berlino ovest).
Come già enunciato in precedenza, fino al sequestro Moro la Stasi disponeva di una mole
relativamente ridotta di informazioni riguardanti i terroristi italiani. Ma ancor prima che ci si
possa chiedere su quali dati e alla ricerca di chi dovessero svolgersi le operazioni di filtraggio,
395Gianluca Falanga, Spie dall'est, pp 140-141.
168
ecco che il fascicolo restituisce un documento di fondamentale importanza: una lista
dell’Interpol, sede di Roma, datata 26 aprile 1978, in cui sono riportati alcuni nomi di
brigatisti, o presunti tali, ricercati a livello internazionale. Il documento viene trasmesso alla
divisione XXII in data 12 maggio, e nella lista sono presenti, tra gli altri, anche i nomi di
Corrado Alunni, Adriana Faranda, Prospero Gallinari, Valerio Morucci, Patrizio Peci e
Susanna Ronconi.396 397
Il documento si chiude di nuovo con una precisa convinzione: “Bei den genannten Personen
handelt es sich um Mitglieder der profaschistischen italienischen Terrororganisation “Rote
Brigaden”.(…)398 Ancora una volta, fascisti laccati di rosso.
La prima informativa del dopo Moro399 prosegue l’analisi basandosi sulle medesime
convinzioni, enunciate stavolta in maniera ancora più chiara e decisa: “Die Entführung des
DC-Vorsitzenden Moro war durch reaktionäre Kräfte organisiert worden, um die
Handlungsfähigkeit der Regierung Andreotti einzuengen, die Beteiligung der IKP an der
parlamentarischen Mehrheit zu hintertreiben und langfristig den Weg für eine autoritäre
Regierungsform freizumachen.”400
Non manca un puntuale riferimento alla dubbia gestione delle forze dell’ordine e
dell’apparato giudiziario nel suo complesso, agli occhi dei colonnelli del ministero indizio di
complicità delle istituzioni con le forze di destra che hanno agito dietro il sequestro.401
Non va dimenticato come analisi di questo genere derivassero dalla conoscenza dei metodi
operativi dei servizi segreti in generale: la Stasi ha voluto vedere nel caso Moro atteggiamenti
che conosceva bene, rappresentando questi ultimi elementi tipici del suo stesso modus
operandi. Operazioni false flag e utilizzo di cosiddetti Hintermänner facevano da decenni
parte del repertorio delle polizie politiche dei paesi comunisti, di cui rappresentavano alcune
delle armi più affilate nella destabilizzazione del nemico esterno e nella repressione di quello396BStU, MfS-HAXXII 5734/3, pp. 135-136.397 I nomi sono accompagnati dalla dicitura “non presenti nella divisione XXII”, la quale fornisce un indiziosullo stato delle conoscenze a disposizione del ministero riguardo ai terroristi italiani nel periodo riguardante ilsequestro Moro. La schede personali informative, particolarmente ricche di dettagli per il periodo 1980-1989,sono, in questa fase della raccolta di informazioni, praticamente assenti. 398Nel caso delle seguenti persone Si tratta di membri dell’organizzazione terrorista profascista italiana BrigateRosse. Ibd., p. 36.399 Il sequestro del presidente della DC Moro e’ stato organizzato da forze reazionarie per restringere lacapacita’ di manovra del governo Andreotti, per contrastare la partecipazione del PCI alla maggioranzaparlamentare ed aprire sul lungo periodo la strada ad una forma di governo autoritaria. BStU, MfS-HAVI 12863,pp. 17-18.400 Ibd., p. 17.401 Ibd., p. 17.
169
interno.
I timori di Mielke e dei suoi colonnelli si rivelano fin qui infondati. Le misure di filtraggio
non hanno condotto a nessun riscontro, così che già in data 18 maggio viene impartito un
nuovo ordine alle unità di controllo passaporti di Berlino Est: le operazioni di controllo
devono continuare, ma data la non necessità di una simile intensità di rapporti la loro
frequenza viene ridotta a due al giorno.402
Il caso Moro e il modo in cui gli eventi si svilupparono nei giorni del sequestro, segnati dalle
difficoltà del governo Andreotti e dall'azione della stampa italiana, resasi protagonista di una
violenta campagna anticomunista, ma soprattutto i fatti del 10 maggio presso l'ambasciata
italiana a Berlino costituirono per gli uomini della Staatssicherheit l'occasione per una
riflessione interna, portata avanti stavolta proprio dai colonnelli della XXII divisione. Ne
troviamo traccia evidente in un altro documento ad uso interno, datato 19 maggio e la cui
prima parte è dedicata proprio all'analisi della visita di Sarto, intitolata “Provokatorische
Verleumdung der Organe des MfS anlässlich der Ermordung des Vorsitzenden der
italienischen Christdemokraten Aldo Moro durch terroristen der profaschistischen Roten
Brigaden.”403
In questo documento, il “caso Sarto” assume una dimensione generica, ricoprendo il ruolo di
punto di partenza per l'enunciazione e l'analisi di alcuni aspetti caratteristici della visione che
la Stasi aveva del fenomeno terroristico. Nell'informativa si afferma che si è in presenza di un
caso emblematico di come “die Aktionen der Roten Brigaden geeignet sind, politische
Diffamierung gegen die sozialistischen Länder, insbesondere gegen ihre Sicherheitsorgane,
vorzutragen.”404 Inoltre, viene affermato immediatamente dopo, “dass von imperialistischen
Politikern\Diplomaten durch gezielte Äusserungen, (...) versucht wird, widersprüche und
Verunsicherung zwischen Partei, Regierung und Sicherheitsorgane zu erzeugen.”405
La chiave di lettura dell'evento particolare che qui viene proposta rientra ancora una volta
nelle convinzioni generali circolanti all'interno del ministero, che vogliono il terrorismo un
prodotto del mondo imperialista volto alla destabilizzazione del nemico.
402BStU, MfS-HAVI 12863, p.6.403Calunnia diffamatoria degli organi del MfS in occasione dell'omicidio del presidente dei democristiani
italiani Aldo Moro per mano di terroristi delle profasciste Brigate rosse. BStU, MfS-HAXXII 406\10. p. 83.404 […] le azioni delle Brigate Rosse sono indicate per provocare diffamazione politica contro i paesi socialisti
ed in particolare contro i loro organi di sicurezza. Ibd. p. 83.405Da parte di politici/diplomatici imperialisti si tenta, per mezzo di affermazioni mirate, di far sorgere
contraddizioni e insicurezze tra partito, governo e organi di sicurezza. Ibd.
170
Il documento prosegue nell'analisi, concentrandosi sulla portata generale dell'evento e sulla
sua influenza nelle relazioni tra il Pci e la SED. Le affermazioni del funzionario
dell'ambasciata, secondo cui indizio della collaborazione tra terroristi ed organi del MfS
sarebbe l'aumentato traffico di cittadini italiani in entrata ed uscita dalla DDR nei giorni del
sequestro, vengono smontate punto per punto.
Forti della totale assenza di riscontro alle parole pronunciate in quella sede, una forza
derivante questa proprio dai resoconti delle misure di filtraggio descritte finora e ancora
attive, seppur con minor rigore, in data 19 maggio, i colonnelli di Mielke possono prendere
posizione ed affermare che “angebliche Kontakte des MfS zu Mittelmännern, die wiederum
Verbindung zu den Roten Brigaden haben sollen, sind reine Fantasieprodukte
antikommunistischen Wunschdenkens.”406
L'informativa prosegue evidenziando l'assurdità delle affermazioni del funzionario, mettendo
in dubbio proprio quel nesso aumento del volume di traffico/indizio di collaborazione da lui
proposto in occasione della visita di Sarto. Questo aumento del traffico in entrata non può in
nessun modo, agli occhi dei funzionari del ministero, essere utilizzato allo scopo di trarne una
conclusione politica, e l'affermazione del funzionario è quindi da considerarsi come
puramente strumentale. Strumentale a cosa, l'informativa lo enuncia chiaramente nell'ultimo
capoverso dedicato alla vicenda:
“Die in der italienischen Botschaft unternommenen bösartigen Ausfälle an die Adresse der
Sicherheitsorgane der DDR sind keine zufällige Erscheinung, sondern ein Beweis mehr dafür,
dass von langer Hand inszenierte Terrorakte ein wirksames Provokationsmittel darstellen, das
in seinem Ergebnis reaktionäre, insbesondere entspannungsfeindliche Politik begünstigt.
Diese Feststellungen umreissen ganz besonders den hohen Stellenwert pseudorivolutionär
getarnten Terrorismus für imperialistische Machenschaften.”407
Nel documento che segue sono evidenti a mio avviso le premesse di carattere politico e tattico
su cui il MfS si basa nella valutazione delle origini e degli obiettivi del fenomeno terroristico.
Se è vero, come già espresso nell'informativa appena analizzata, che dietro a tali forme di
violenza politica si cela una “lunga mano” di matrice imperialista, allora il caso Moro, e in
406Ipotetici contatti del MfS con intermediari, che a loro volta dovrebbero avere rapporti con le Brigate Rosse,sono puri prodotti di fantasia di fantasticherie anticomuniste. Ibd., p. 84.
407 I maligni affondi intrapresi nei confronti degli organi di sicurezza della DDR nell'ambasciata italiana nonsono un evento casuale, bensì un segno ulteriore del fatto che gli atti terroristici inscenati da una lunga manorappresentano un efficace mezzo provocatorio, il quale ha il risultato di favorire forze reazionarie e nemichedella distensione. Queste osservazioni abbracciano in special modo l'alto valore del terrorismopseudorivoluzionario per le macchinazioni imperialiste. Ibd. p. 84.
171
particolare l'azione che ha portato al rapimento del politico e alla soppressione della sua
scorta, può essere affiancata e paragonata a quell'evento di pari tenore rappresentato dal
rapimento del presidente della confindustria della Germania federale Hans Martin Schleyer.
Pur non potendo prescindere dal fatto che lo studio approfondito dei due rapimenti avesse lo
scopo principale di familiarizzare con la tattica terrorista, allo scopo di prevenire attacchi
simili nei confronti di politici e diplomatici della SED, il documento, datato 8 giugno 1978,
sembra in un certo qual modo volerne suggerire una pianificazione comune dal momento in
cui vengono messi a confronti tutti i singoli dettagli delle azioni, dal numero dei partecipanti a
quello dei colpi esplosi, passando per il numero di veicoli coinvolti fino alla descrizione
dettagliata dei travestimenti utilizzati dai rapitori.408
Ad ogni modo, le misure di sicurezza istituite alle frontiere della Ddr non hanno portato i
risultati temuti, così che in data 16 agosto viene impartito l'ordine di sospenderle.409
Ancora una volta, la documentazione visualizzata risulta anche per i due mesi successivi
estremamente lacunosa, ma questo non deve essere a mio avviso necessariamente interpretato
come effetto delle quasi totale distruzione degli atti, può essere letto bensì come la prova del
fatto che non fosse necessario, nel lasso di tempo qui considerato, portare avanti indagini di
qualsiasi tipo, una volta che il MfS aveva preso atto della non presenza di terroristi italiani sul
proprio territorio.
Il documento successivo sul caso Moro è datato 18 ottobre 1978, e consiste stavolta si in una
delle numerose informative generali, ma non è più della situazione politica italiana che si
discute, bensì di diversi problemi politici e persone legate allo Stato Vaticano.410 I temi trattati
ricadono principalmente nel campo delle relazioni diplomatiche tra la Ddr e lo Stato
Pontificio,411 corredati da informazioni riguardanti la figura di Giovanni Paolo I412 e dai più
generali problemi politici che il Vaticano si trovava ad affrontare.413 Ad interessarci
particolarmente in questa informativa è la breve sezione, poco più di una pagina, intitolata
“Meinungen in Vatikan zum Tod von Aldo Moro.”414 Le informazioni riportate sono state fatte
408BStU, MfS-HAXXII 136, pp. 114-119.409BStU, MfS-HAVI 12863, p.30.410BStU, MfS-HAXX 13332, pp. 1-12.411Ibd. pp. 1-3.412Ibd. pp. 4-6.413Ibd. pp. 6-9.414Opinioni in Vaticano sulla morte di Aldo Moro. Ibd. p. 9.
172
pervenire alla Stasi da un agente IM, del quale viene detto semplicemente che vive a Roma e
che intrattiene rapporti lavorativi con lo Stato Vaticano. Pur non essendo stato possibile
nemmeno in questo caso scoprire l'identità dell'agente, è lecito supporre che si trattasse di un
funzionario di alto livello, se le informazioni di cui dispone provengono da conversazioni sue
personali con l'arcivescovo Andrea Pangrazio.415
La parte dell'informativa di cui ci stiamo occupando offre uno spaccato delle opinioni
circolanti negli ambienti della curia sul sequestro ed omicidio di Aldo Moro, e rappresenta
allo stesso tempo un buon pretesto per coloro i quali siano oggi interessati ad alimentare la
macchina della dietrologia sulla vicenda. Nel documento leggiamo infatti che “in Kreisen des
Vatikans und unter hohen geistlichen Wuerdenträgern wird vermutet, dass die Entführung und
der Tod Moros von der DC organisiert wurde. […] Mit der Entführung und dem Tod Moros
hat die DC einen Märtyrer gefunden und grosses Ansehen unter der Bevölkerung
gewonnen.”(Nei circoli del Vaticano e tra gli alti prelati si suppone che il sequestro e
l'uccisione di Aldo Moro siano stati organizzati dalla DC. […] Con il sequestro e l'uccisione
di Aldo Moro la DC ha trovato un martire ed ottenuto grossa considerazione tra la
popolazione).416
Chiudiamo questa disamina degli atti sul caso Moro con un ultimo documento, che
rappresenta il riassunto complessivo delle informazioni a cui la Stasi era potuta pervenire nel
corso del 1978. In data 22 dicembre, l'(unter)Abteilung IX dell'HVA trasmette alla divisione
XXII una copia di un'informativa sulle Brigate rosse417, nella quale viene ripercorsa
brevemente la storia complessiva dell'organizzazione dalla fondazione al sequestro Moro.
L'informativa in questione è decisamente molto dettagliata, e riporta in maniera abbastanza
precisa le vicende sia del gruppo nel suo complesso, che quelle particolari di alcuni singoli
militanti di spicco, tra cui naturalmente Curcio e Franceschini, ma anche Roberto Ognibene e
Paola Besuschio.
Ma soprattutto, questo documento è indicativo della confusione che, ancora alla fine di
quell'anno, regnava negli ambienti del Ministero circa l'identità dei militanti brigatisti. Si
tende a mettere insieme e come facenti parte di uno stesso gruppo personaggi come Augusto
Viel e l'ex membro della “Banda Cavallero” Sante Notarnicola, i cui nomi figuravano nella
415Ibd. p.1.416Ibd. pp. 9-10417BStU, MfS-HAXXII 406/10, pp. 33-52.
173
lista di 13 prigionieri politici per i quali le Br chiedevano la liberazione in cambio di Moro,
ma che nulla avevano a che fare con l'organizzazione.
Giunti alla fine di questo corpus documentario viene spontaneo chiedersi, come premesso in
apertura di capitolo, chi o che cosa abbia contribuito, e in quale misura, a condurre il
Ministero ad una valutazione errata del fenomeno brigatista. Come avremo modo di vedere, è
nella stampa in lingua tedesca e nel punto di vista da cui questa decise di presentare gli eventi
che derivarono le convinzioni espresse dal MfS e fin qui descritte.
5.4.2 Le fonti dell'MfS nell'analisi del caso Moro: il ruolo della stampa nella
formulazione delle ipotesi sulle Brigate Rosse.
Profascisti, legati a forze reazionarie e tassello di un puzzle ascrivibile alla “strategia della
tensione.” Queste in sostanza le convinzioni espresse nel corso del 1978 sulle Brigate Rosse.
Ci si è domandato in precedenza da dove queste derivassero; che cosa o chi, in sostanza, abbia
svolto il ruolo di canale primario nella comprensione del fenomeno da parte della
Staatssicherheit tedesco-orientale.
Se, come abbiamo visto, la Stasi poté contare sulla collaborazione dei servizi segreti dell'Olp
e sulla presenza di informatori all'interno del servizio segreto federale
Bundesnachrichtendienst, è anche vero che fonti di questo tipo sembrerebbero essere andate
in gran parte distrutte. Non a caso, disponiamo di una sola informativa sull'argomento ricevuta
dall'Olp, così come uno è il numero delle liste di terroristi ricercati dall'Interpol pervenute alla
Stasi dalla sede romana di questo organo internazionale.418
Si deve invece ad un IM l'informativa contenente un rapporto riguardante le idee circolanti in
Vaticano sulla morte dell'uomo politico, che però è di scarsa rilevanza ai fini di una trattazione
strettamente inerente la Stasi e il caso Moro, essendo stata composta solo nell'ottobre del
1978, e che si colloca dunque in un momento ormai non più cronologicamente ascrivibile alla
fase iniziale della raccolta informativa. Più che contribuire alla formulazione di ipotesi da
parte del MfS, questo documento le conferma, poiché la Stasi sembra trovare in Vaticano
interlocutori fermamente convinti di quanto gli uomini di Mielke avevano già da tempo
concluso: Moro è stato rapito ed ucciso a causa del ruolo da lui svolto nel processo apertura
nei confronti del Pci. Le forze reazionarie, guidate dalla Dc e appoggiate dai servizi
418BStU, MfS-HAXXII 5734\3, pp. 135-136.
174
imperialisti, non avrebbero visto di buon occhio la politica morotea, tanto da decidere di
incaricare le Brigate rosse, esse stesse un mero prodotto del nemico, di rapire ed uccidere
Aldo Moro.
L'importanza di una considerazione sul ruolo svolto dalla stampa occidentale ed orientale nel
formarsi di questa ricostruzione risiede in un fatto decisamente pratico: qualora ci si limitasse
all'analisi della documentazione effettuata nel precedente paragrafo, che ha restituito
un'interpretazione più che mai dietrologica dell'intera vicenda, si presterebbe il fianco proprio
al ritorno di quelle teorie “non ufficiali” sulla morte dello statista. Il rischio, a mio avviso, è
quello di pensare che la Stasi fosse a conoscenza di particolari sconosciuti agli stessi organi
d'indagine italiani. Leggendo, insomma, solo ed esclusivamente la documentazione fin qui
analizzata, senza preoccuparsi di andare ad indagare più a fondo gli elementi che la hanno
ispirata, si giunge inevitabilmente a confermare di colpo tutta la dietrologia descritta nel
paragrafo 5.2., non solo sul caso particolare del sequestro Moro, ma sul fenomeno brigatista
nel suo complesso.
La prima volta che chiesi di visionare la documentazione relativa alla figura di Aldo Moro
presso gli archivi del BStU, mi venne detto che sullo statista era si presente il riferimento ad
una Aktenkartei, ovvero un dossier relativo alla sua persona, ma che era anch'esso andato
distrutto nel 1990. Mi venne però anche segnalata la presenza di numerosi articoli di giornale
sul sequestro e l'omicidio dello statista, raccolti dallo ZAIG nell'arco dei cinquantacinque
giorni, che rappresentano oggi la quasi totalità della documentazione disponibile sul
presidente della Dc.
La stampa tedesca da ambo i lati del muro di Berlino diede grande risalto mediatico ad un
sequestro che, nella forma e nelle modalità d'esecuzione, ricordava molto da vicino il
sequestro di Hans Martin Schleyer, operato dalla Raf solo sei mesi prima. Da parte sua la
Stasi condusse, tramite lo ZAIG, una minuziosa opera di lettura ed analisi della stampa in
lingua tedesca, e alle considerazioni da questa espresse fece riferimento al momento di
formularne una propria. La documentazione del BStU si presenta oggi come un blocco di
circa cinquecentocinquanta articoli divisi in tre faldoni, numerati e con segnatura MfS-ZAIG
10477. Di questa parte di documentazione non viene fatta menzione alcuna da Gianluca
Falanga, il quale riconduce l'interpretazione delle Br proposta dalla Stasi alla formazione
ideologica cekista dei dipendenti del Ministero, che non avrebbe permesso altre conclusioni se
175
non quelle che le Br rappresentassero un tassello della strategia della tensione.419
Non si può certamente negare come questo fattore possa aver giocato un ruolo chiave
nell'interpretazione delle Brigate rosse, ma resta a mio parere da operare un'integrazione e una
parziale rilettura della questione nel suo complesso: la formazione cekista non deve cioè
configurarsi come un motivo valido per la formulazione di ipotesi preconfezionate da parte
del MfS (terrorismo = imperialismo e strategia della tensione, sulla base di un impianto
ideologico rigido), ma giocò un ruolo nella selezione delle informazioni utili a giungere a tali
ipotesi (Brigate rosse = imperialismo e strategia della tensione, ma sulla base di notizie
raccolte dalla stampa “allineata”, come andremo immediatamente a vedere).
Innanzitutto, abbiamo visto nel capitolo precedente come la Stasi avesse operato alla ricerca
di contatti tra la Raf e le Brigate rosse. Se le similitudini tra i casi Moro e Schleyer si
presentavano come evidentemente innegabili, allora sembra si possa ragionevolmente
supporre che il MfS abbia cercato una conferma a questo ragionevole sospetto principalmente
negli organi di stampa della Germania federale (affidandosi almeno in parte anche alla stampa
autoctona, laddove questa servisse ad integrare le conoscenze ottenute), che a loro volta
riportavano e diffondevano notizie apprese perlopiù dalle agenzie di stampa italiane, come
diviene evidente nelle sigle delle agenzie di stampa italiane che precedono gli articoli: i nomi
di Ansa, Adnkronos e Op (Osservatore politico) si ritrovano costantemente citati come fonti
dei suddetti.
Parte della stampa tedesca, in particolare quella di provenienza occidentale analizzata dallo
ZAIG, suggerì che l'azione delle Br fosse da ricondursi all'influenza della Raf sul gruppo
italiano. Così ad esempio, il 17 marzo il quotidiano berlinese “Der Abend” titolava “Ein
deutscher unter Moros Entführern?”, riportando la notizia secondo cui del commando avrebbe
fatto parte un uomo di lingua tedesca,420 mentre lo “Spandauer Volksblatt” stabiliva un nesso
diretto, definendo le Brigate rosse la “controparte italiana della Raf”.421 Nella presentazione
del sequestro fornita dalla stampa della repubblica federale manca ancora, tuttavia, il
riferimento a forze neofasciste, e sembra opinione diffusa che esse costituiscano un fenomeno
di ispirazione comunista.422
419Gianluca Falanga, Spie dall'Est, p. 137.420Un tedesco tra i sequestratori di Moro? In BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 1, pp. 200-201.421Ibd., p. 205.422Di questa idea ad esempio il “Berliner Morgenpost” e il “Tagesspiegel”, entrambe presenti in BStU, MfS-
ZAIG 10477, Bd. 1, rispettivamente alle pagine 202 e 204.
176
Importanti, soprattutto perché si ritroveranno poi nelle informative del MfS, le considerazioni
espresse dai quotidiani “Berliner Morgenpost” e “Tagesspiegel”. Se il primo evidenziava
infatti il ruolo di Aldo Moro come principale promotore del compromesso storico, mettendone
in risalto il ruolo svolto nella costituzione del nuovo gabinetto di centro-sinistra guidato da
Andreotti,423 il secondo riferiva dell'avversione nutrita dalle Br nei confronti di quella linea
politica, affermando che l'operazione avrebbe avuto l'obiettivo di impedire la formazione del
nuovo esecutivo, prevista ed avvenuta il giorno stesso del sequestro.424
Per la stampa occidentale, a promuovere ancora l'idea che nel sequestro Moro fossero
coinvolti terroristi tedeschi contribuì anche il quotidiano “Bild”. In uno dei due articoli
pubblicati da questo giornale in data 19 marzo 1978, nel primo dei quali si tracciava un
quadro della figura dello statista nel ruolo di padre e fervente cristiano,425 si poneva ancora
l'accento su quanto sostenuto il giorno precedente dal “Der Abend”, ovvero che “Deutsche
entführten Moro.”426 Sulla stessa linea, il “Berliner Morgenpost” riportava la notizia, appresa
da fonti italiane, secondo cui agli organi di polizia sarebbe giunta una telefonata in cui la
“Banda Baader-Meinhof” rivendicava l'attentato, e sosteneva che Moro fosse nelle loro
mani.427
Ma quello che ci interessa maggiormente è un trafiletto dal titolo “Rote Brigaden”, apparso in
quello stesso giorno sul quotidiano, stavolta tedesco-orientale, “BZ-Am Abend”: qui le Br
sono definite per la prima volta con l'attributo di “neofasciste”, e vengono chiariti alcuni
aspetti delle vicende che portarono Renato Curcio dalla militanza nell'organizzazione Ordine
Nero alla fondazione delle Brigate rosse.428 Di particolare interesse sono due piccoli segni
grafici riportati sull'articolo, che danno idea della rilevanza che questa informazione deve aver
ricoperto fin da subito agli occhi del MfS. L'articolo è sottolineato nel punto in cui si ricollega
Curcio alla destra neofascista, e riporta la sigla “XXII”, riferimento preciso all'unità per cui la
notizia era investita di rilevanza operativa, quella divisione Terrorabwehr a cui l'informazione
sarebbe stata prontamente trasmessa.
423Ibd., p. 202.424Ibd., pp. 204-206.425Ibd., p. 187.426Tedeschi hanno sequestrato Moro, Ibd., p. 192.427Ibd., p. 186.428Ibd., p. 194.
177
Nello stesso giorno, anche la stampa occidentale formulava per la prima volta l'ipotesi
dell'esistenza di una lunga mano dietro l'azione brigatista, identificata dal giornale ufficiale
del DKP (Deutsche Kommunistische Partei) “Unsere Zeit” con quella di forze reazionarie e
servizi segreti.429 Pur trattandosi in questo caso di un articolo pubblicato in territorio federale,
non si deve dimenticare la circostanza per cui il DKP rappresentasse l'erede politico del
dissolto KPD (Kommunistische Partei Deutschlands), nato alla fine degli anni '40 sotto l'egida
della SED e dichiarato fuori legge nella repubblica federale già nel 1956, il quale intrattenne
fino al 1990 stretti legami con la dirigenza politica della Ddr, al punto di venire etichettato
come una filiale della SED in Germania ovest.430 Il suo quotidiano ufficiale, di conseguenza,
esprimeva pienamente la linea ideologica della nomenklatura comunista.
Il 19 marzo è segnato dalla notizia della foto di Aldo Moro che le Br hanno recapitato alla
stampa italiana. Inevitabilmente, le prime pagine si riempiono di articoli che mettono di
nuovo in evidenza tutte le analogie tra i sequestri Moro e Schleyer. Il “Berliner
Morgenpost”431 ribadirà l'avversione delle Br nei confronti del Pci e della politica del
compromesso storico, così come sullo stesso piano si muoverà lo “Spandauer Volksblatt”432.
Passando al giorno successivo, ancora una notizia viene sottolineata nel suo complesso dagli
impiegati dello ZAIG, quella apparsa sul quotidiano della Ddr “Der Morgen”, organo ufficiale
del partito liberal-democratico tedesco-orientale (LDPD), in cui compare un piccolo articolo
dal titolo “Bewusste Fälschung”,433 dove viene mossa una critica agli organi di stampa
tedesco-occidentale, accusati di giocare volutamente con le definizioni di “rosso” e “nero”,
attribuite alternativamente alle Br allo scopo di generare confusione nell'opinione pubblica,
mentre risulta chiaro, agli occhi di chi scrive, come le Br facciano in realtà il gioco
dell'imperialismo.
Con la stampa, in questo caso occidentale, è possibile ricostruire un filo diretto, come diviene
ancor più evidente di fronte alla documentazione inerente il giorno 21 marzo. Nel paragrafo
precedente abbiamo descritto nel dettaglio un'analisi comparativa del sequestro Moro con
quello Schleyer, compilata dal MfS nel giugno 1978.434 Analizzando gli articoli raccolti dallo
429Ibd., p. 190.430Thomas Kerstan, Gero von Randow, “Die Zwangsarbeiter und wir” in “Die Zeit”, 9 febbraio 2014, pp. 28-29.431Ibd., pp. 183-184.432Ibd., p. 185.433Falsificazione consapevole, in BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 3, p. 45.434BStU, MfS-HAXXII 136, pp. 114-119
178
ZAIG, scopriamo che una simile analisi era stata in realtà pubblicata pochi giorni dopo il
sequestro dal giornale tedesco-occidentale “Die Welt”, che in seguito alla pubblicazione in
Italia della foto di Moro nella prigione del popolo aveva immediatamente riproposto un
confronto col caso Schleyer.435 Persino le immagini utilizzate dalla divisione XXII sono
caratterizzate da assoluta identità con l'articolo del “Die Welt”. In parole povere, la Stasi si
preoccupò di “copiare” punto per punto tutto quel che riteneva interessante ai fini della
comprensione del fenomeno brigatista.
Come sta lentamente diventando chiaro, l'operazione di analisi della stampa portata avanti
dagli uomini dello ZAIG si muove in entrambe le direzioni: negli ambienti del Ministero ci si
preoccupa cioè di raccogliere quante più informazioni possibile dalle pagine dei quotidiani in
lingua tedesca, sia all'esterno che all'interno dei propri confini.
Se da un lato, come abbiamo appena descritto, gli organi di stampa della Germania federale si
preoccuparono, nella maggior parte dei casi, di tracciare dei parallelismi tra il sequestro di
Aldo Moro e quello di Hans Martin Schleyer, nonché di rintracciare collegamenti di natura
logistica tra i due gruppi436, i maggiori quotidiani della Ddr, tutti pesantemente politicizzati ed
asserviti alle logiche propagandistiche della dirigenza politica, offrono un'interpretazione del
caso Moro mirata quasi esclusivamente a mettere in relazione le Brigate rosse con forze
oscure, con cosiddetti Hintermänner, termine onnipresente nella terminologia paranoide del
MfS, con cui si indicano genericamente, ed in tutti i campi della vita sociale e politica, i
cospiratori e i nemici dello Stato.437
Quindi, se la stampa tedesco-occidentale sembra aver giocato come ruolo primario quello di
aver rivelato all'MfS le connessioni internazionali delle Brigate rosse e i loro supposti
collegamenti con la Raf (circostanza questa su cui il MfS non poteva forse ancora disporre di
grandi certezze, se si pensa che il periodo di contatto, diretto e prolungato nel tempo, con
membri della Raf avrebbe avuto inizio solo nel luglio del '78, con l'arresto di Inge Viett e
l'avviarsi delle dinamiche che avrebbero condotto a Stern I e II), sembra che la Stasi abbia di
contro ritenuto insoddisfacenti le spiegazioni ideologiche che la stampa occidentale forniva
sul conto delle Br.
435BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 1, p. 160.436Si veda a questo proposito, e in aggiunta a quanto detto finora, la continua analisi dei due sequestri basata
sull'individuazione di parallelismi presente ancora nei quotidiani “Koelner Stadtanzeiger” del 21 marzo 1978in BStU, MfS-ZAIG 10477 Bd. 1, p. 167, “Frankfurter Allgemeine” del 25 aprile in Ibd., pp. 98-99,“Frankfurter Rundschau” del 10 maggio in BStU, MfS-ZAIG 10477, Bd. 2, p. 7, solo per citarne alcuni.
437Hubertus Knabe (a cura di), op, cit., p.7.
179
Se, come veniva affermato in una delle informative descritte nel paragrafo precedente, le
origini del terrorismo erano da ricercarsi nelle contraddizioni del mondo capitalista, così come
si dava per vero, all'interno dei ranghi di una classe politica e, nello specifico, di un servizio
segreto profondamente ideologizzato, che il terrorismo rappresentava la più affilata arma dei
servizi segreti imperialisti (cfr. infra., par. 5.3.), allora questa rappresentazione del terrorismo
passava necessariamente per i canali di diffusione mediatica della Ddr.
La Stasi raccolse ed analizzò le notizie riportate dai principali quotidiani della Repubblica
democratica tedesca, nel tentativo di comprendere a fondo le origini e i veri intenti di quella
che, almeno in un primo momento, venne ritenuta a tutti gli effetti una formazione per la lotta
armata “sedicente” rossa. D'altronde, idee ed espressioni di questo tipo circolarono
ampiamente nello stesso contesto italiano,438 affermazione questa che costringe a ricordare
quanto detto poco fa, ovvero che le notizie riportate dalla stampa tedesca, sia da una parte che
dall'altra del Muro, consistevano nella puntuale citazione di notizie riportate dalla stampa
italiana.
Se la stampa della Repubblica federale decise di riportare quelle notizie, o gli elementi di
quelle notizie, dando risalto a quei fattori che permettessero un confronto tra le vicende
italiane e quelle di cui la Germania ovest era stata, suo malgrado, protagonista appena un anno
prima, confrontandosi solo raramente con questioni ed interpretazioni della vicenda legate a
regie oscure, la stampa della Ddr fece l'esatto contrario. Proponendo ai propri concittadini una
versione dei fatti sapientemente rielaborata, che nel puntare l'attenzione sul ruolo di
neofascisti e servizi segreti esprimeva le convinzioni ideologiche dell'elite, essa mirava
contemporaneamente al discredito e alla demonizzazione della controparte occidentale.
Ovviamente, anche le teorie dietrologiche che la stampa orientale decise di diffondere sui
propri quotidiani non erano affatto creazioni artificiali dei media di regime, ma si rifacevano
ancora a notizie circolanti sulle agenzie di stampa e sui quotidiani italiani. I giornali della Ddr
scelsero di trasmettere all'opinione pubblica solo quelle notizie, o solo alcuni aspetti di queste,
che maggiormente si prestavano ad una manipolazione in chiave ideologica, nonché
volutamente discriminatoria nei confronti del nemico.
Così ad esempio in data 22 marzo, il quotidiano “Neues Deutschland”, organo di stampa
ufficiale del partito SED, offriva una rapida rassegna stampa delle agenzie e dei quotidiani
438Cfr. Marica Tolomelli, op. cit., pp. 98-189.
180
italiani, riportando le notizie che dessero indizio della presenza di agenti esterni nella vicenda
Moro. Vengono nominati il “Corriere della sera”, sul quale si formula l'ipotesi che le Br e i
loro registi occulti vogliano favorire una svolta reazionaria, e il “Paese Sera”, secondo cui i
terroristi punterebbero al raggiungimento di uno Stato d'emergenza sul modello della
Repubblica federale, dove al terrorismo si cercò di porre rimedio con l'istituzione di leggi
speciali, le quali non avrebbero sortito altro risultato se non quello di aver ridotto i diritti civili
dei cittadini e la loro libertà d'espressione, fine ultimo del terrorismo “sedicente rosso” nel suo
complesso.439
Ancora un esempio di questa tendenza scaturisce da un articolo440 tratto da un altro giornale
della Ddr, quel “Junge Welt” che fino al 1990 ricoprì il ruolo di organo ufficiale di stampa
dell'organizzazione paramilitare giovanile tedesco-orientale Freie Deutsche Jugend (FDJ).
In una delle pagine fotocopiate dalla Stasi, costituenti parte dell'edizione del quotidiano
datata 25 marzo, abbiamo modo di leggere un tipico “angolo dell'esperto”, dove il giornalista
Ulrich Schwemin risponde alle domande dei lettori. La domanda, posta da un certo Michael
Koch, e' la seguente: “Wer verbirgt sich hinter den “Roten Brigaden” Italiens und welche
Absicht verfolgen sie mit der Entführung Aldo Moros?”441 La risposta del giornalista è chiara
e dettagliata: le Brigate rosse rappresentano, fin dalla loro nascita all'inizio degli anni '70, la
più attiva formazione di marca neofascista sul territorio italiano, e puntano ad esasperare il
clima politico per favorire nella popolazione l'accettazione di misure autoritarie, dettate dal
bisogno di sicurezza.
Allo stesso tempo, esse sono volutamente mascherate di rosso, così da gettare discredito sul
mondo comunista. Il quotidiano presentava, nello stesso giorno, numerosi altri articoli di
egual tenore, riportanti le notizie circa l'essenza neofascista e celata dietro un velo
pseudorivoluzionario delle Br.442
Se il “Neues Deutschland” fece delle suddette voci di regie oscure il proprio cavallo di
battaglia, continuando a trattare l'argomento sotto questa luce per tutti i cinquantacinque
giorni del sequestro ed oltre,443 il “Berliner Zeitung” e lo “Junge Welt” si allinearono al
maggiore quotidiano nazionale, portando avanti una sistematica campagna mediatica volta a
collocare le Brigate rosse nello scenario di una più vasta operazione anticomunista
439BStU, MfS-ZAIG, 10477, Bd. 3, p. 41. 440Ibd., p. 40.441Chi si nasconde dietro le Brigate rosse italiane e quale intento perseguono con il sequestro di Aldo Moro?442Ibd., pp. 37-38.443Ibd., pp. 8,33, 35, 36.
181
organizzata dai servizi segreti imperialisti.
L'edizione del 28 marzo del primo titolava, citando genericamente la stampa italiana come
fonte: “Fahndung nach 300 Terroristen. Italien: Beunruhigung über Kontakte mit CIA-
Kreisen”,444 notizia rilanciata nello stesso giorno e in maniera praticamente identica dal
“Berliner Zeitung”,445 che ancora in data 11 maggio, due giorni dopo il ritrovamento del
cadavere di Moro, riportava una notizia del quotidiano di ispirazione democristiana “Il
Popolo” in cui si sosteneva che le cause del sequestro fossero da far risalire al nazismo.446
Volendo ora tirare le somme dell'analisi fin qui condotta, credo si possa affermare, con buona
probabilità, che le conclusioni a cui la Stasi pervenne nella fase iniziale di studio del
fenomeno brigatista siano state suggerite dalla stampa, e che non siano quindi da ricondursi
alla presenza di un contatto diretto con membri del gruppo.
Inoltre, preso atto del fatto che la stampa occidentale e quella orientale offrirono due visioni,
se non opposte, quantomeno molto differenti tra loro, del rapimento Moro, concentrandosi la
prima in particolare su quei punti che lasciassero intravedere l'intrecciarsi di collaborazioni e
contatti tra la Raf e le Br, e la seconda selezionando accuratamente solo quelle notizie che
dessero prova della collusione delle Br con ambienti dell'estrema destra e dei servizi segreti,
si può ragionevolmente supporre che la Stasi abbia operato due pesi e due misure nella
valutazione del materiale analizzato: la stampa occidentale giocò un ruolo fondamentale nel
chiarire collegamenti e affinità nelle modalità operative dei due gruppi, informazioni queste
che la Stasi recepì pienamente, come dimostra l'interesse conferito all'analisi comparativa dei
due sequestri estrapolata dal “Die Zeit”, mentre quella orientale funse da tramite nella
formulazione di convinzioni sulla natura ideologica delle Brigate rosse. Le informative ad uso
interno prodotte nei cinquantacinque giorni del sequestro dimostrano, dal momento in cui
fanno ampio uso della terminologia e della visione d'insieme propria dell'interpretazione del
fenomeno fornita dalla stampa di regime, la priorità assoluta del mezzo-stampa nella
formulazione delle suddette convinzioni.
Volendo immaginare le Brigate rosse come un contenitore vuoto, si può affermare che la
stampa occidentale ne fornì alla Stasi la forma, quella orientale il contenuto. La ristrettezza di
vedute e il forte indottrinamento a cui i funzionari dell'MfS venivano sottoposti fece il resto,
conducendo la divisione XXII ad un'interpretazione “di comodo” del fenomeno, che si
444Caccia a 300 terroristi. Italia: inquietudine circa contatti con ambienti della CIA, in Ibd., p. 23.445Ibd., p. 34.446Ibd., p. 7.
182
inserisse cioè perfettamente all'interno dell'orizzonte ideologico dei quadri del Ministero e
dell'elite comunista tedesco-orientale.
5.5. Conclusioni.
Tramite l'analisi della documentazione fin qui condotta e' stato possibile giungere ad alcune
conclusioni.
In primo luogo, si è potuto ribadire quanto già espresso da Gianluca Falanga nell'opera “Spie
dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi”, dove l'autore ha sostenuto che non vi sia, nella
pur consistente mole di documenti sulle Brigate rosse rinvenibile negli archivi del BStU, la
benché minima traccia che suggerisca la possibilità che l'organizzazione sia mai venuta, nel
corso della sua ventennale esperienza storica, a contatto diretto con gli ambienti del
Ministerium für Staatssicherheit tedesco-orientale.
Questo capitolo, sviluppandosi nella trattazione della parte di documentazione inerente il caso
Moro presente nei suddetti archivi, e alla luce di quanto dimostrato nel paragrafo 4.4. in
relazione al manifestarsi e del permanere dell'interesse dell'MfS nei confronti delle Brigate
rosse tra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '80, ha cercato di mettere in relazione la
suddetta documentazione con quel momento preciso della storia dell'organizzazione. La scelta
di procedere “a ritroso” nel tempo, dimostrando per prima cosa come l'interesse del MfS nei
confronti delle Br fosse ancora ben vivo dopo la metà degli anni '80, e proseguendo solo in
seconda battuta ad analizzare un fatto che si colloca cronologicamente all'inizio della
documentazione, si deve alla realtà di fatto per cui il caso Moro ricopre non solo il ruolo
limite cronologico della raccolta informativa operata dall'MfS, ma ne rappresenta il fattore
scatenante. Se, come già enunciato nel capitolo precedente, nel corso degli anni '80 si
considerarono le Brigate rosse, negli ambienti del Ministero, alla stregua di un gruppo
eversivo dedito al terrorismo internazionale, è pur vero che a questa conclusione si giunse
solo dopo un periodo relativamente lungo di studio del gruppo, durante il quale fu possibile
comporre un quadro più dettagliato delle intenzioni delle Br e che sembra esser passato in
buona parte per operazioni di studio dei comunicati brigatisti, analisi della stampa e, in minor
misura, almeno per quanto ci consente di sostenere la documentazione superstite, attraverso
pratiche di controspionaggio e informazioni di servizi “amici”.
183
La vicenda Moro rappresenta dunque il primo impatto del Ministero con il fenomeno
terroristico italiano e fu, come delineato nel presente capitolo, un confronto accompagnato da
timori e forme accentuate di (per usare un termine coniato da Tobias Wunschik) “ipocondria
della sicurezza di Stato”. Ne sono la prova le misure di sicurezza istituite tra maggio e luglio
1978, volte a verificare la presenza di terroristi italiani e relativi Hintermänner sul suolo della
Ddr.
Ma fu un impatto caratterizzato anche da un altro fattore chiave: la miopia dei colonnelli
dell'MfS. Questi infatti, dovendo fare i conti con un'organizzazione sulla quale si disponeva di
scarsa documentazione, si affidarono alla fonte più immediatamente disponibile e più
facilmente interrogabile: la stampa. La documentazione giornalistica proveniente dalla
sezione dello ZAIG rappresenta la quasi totalità di quella complessiva sul caso Moro, e
permette un'ulteriore considerazione: la Stasi sviluppò un'interpretazione estremamente
dietrologica dell'intera vicenda e, con lei, della storia dell'organizzazione nella sua interezza.
Questo avvenne, però, certamente non perché il MfS fosse in qualche modo depositario di
conoscenze relative a verità che, in Italia, lo stesso mondo comunista all'epoca dei fatti
suggerì, nel tentativo di scrollarsi di dosso le accuse di “paternità morale” del brigatismo, ma
proprio perché gli stessi ambienti del mondo giornalistico, e segnatamente di quello tedesco-
orientale, alle cui pagine sembra potersi dimostrare esser dovuta la percezione del fenomeno
da parte del MfS, fecero propria questa interpretazione proprio ricavandola dalla stampa di
ispirazione comunista italiana e tedesco occidentale.
184
Riflessioni conclusive.
Con il presente lavoro ci si è proposti di presentare le vicende relative al sequestro e omicidio
del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro dal punto di vista del Ministerium für
Staatssicherheit della Repubblica democratica tedesca. A questo scopo si è fatto uso di fonti
primarie provenienti direttamente dagli archivi del Bundesbeauftragte für die Stasi
Unterlagen der ehemaligen Deutschen demokratischen Republik, l'organo federale che dal
1990 si occupa della gestione del lascito documentario del suddetto servizio d'intelligence.
La prima parte della tesi, consistente nei capitoli 1. e 2., ha avuto lo scopo di introdurre i due
soggetti principali tra i quali questa tesi si è proposta di delineare le interazioni, ovvero i
servizi segreti nel contesto della guerra fredda, e il terrorismo degli anni settanta, con
riferimento specifico a quello di derivazione marxista.
Dopo aver descritto brevemente, nel capitolo 1., la storia e alcune delle maggiori operazioni di
intelligence condotte da CIA e KGB, procedendo ad un confronto tra questi e i servizi di due
paesi alleati di una e dell'altra superpotenza, ovvero i servizi segreti italiani e la Stasi tedesco
orientale, ci si è concentrati nel capitolo successivo sui due paesi europei dove il terrorismo
antisistema di matrice marxista si dipanò con maggior violenza e durata, l'Italia e la
Germania.
Nel corso del capitolo 2. si è dunque dato brevemente conto dello stato degli studi sulle
origini del fenomeno portati avanti nei due contesti trattati, descrivendo poi i principali eventi
di cui la Raf e le Brigate rosse si resero protagoniste e andando a concludere con una sezione
specificamente dedicata all'interazione di questi gruppi con i servizi d'intelligence dei
rispettivi paesi, così da chiarire forme, modi e tempi dell'operazione di contrasto portata
avanti dagli organi informativi e repressivi delle due giovani democrazie parlamentari.
Come abbiamo avuto modo di vedere, le strategie utilizzate per arginare il fenomeno nei due
paesi presentano forti analogie, e spaziarono dall'uso di informatori reclutati negli ambienti
delle rispettive sinistre estreme all'utilizzo di vere e proprie pratiche di infiltrazione mirata.
In entrambe i contesti trattati, le operazioni di contrasto e repressione furono complicate da
conflitti di competenze in seno agli organi investigativi; si istituirono leggi speciali volte ad
inasprire le pene per i reati di terrorismo e a favorire il fenomeno della dissociazione; si
procedette alla costituzione di nuclei armati speciali finalizzati alla lotta al fenomeno.
Certamente la maggiore prontezza con cui lo Stato tedesco reagì alla minaccia portata dalla
185
Raf, estremamente ridotta in termini di consistenza numerica, può essere ricondotta al
profondo trauma causato dalla strage di Monaco, un ricordo che dovette lacerare
profondamente la società tedesco occidentale e che costrinse il governo a mostrarsi dinamico
e reattivo fin dalle prime manifestazioni del fenomeno.
Il trauma rappresentato da Monaco non valse solo per la società federale. E' infatti solo in
seguito a quell'attentato che anche la Ddr decide di munirsi di strumenti adatti allo studio e
alla prevenzione dal pericolo terroristico con la fondazione dell'Abteilung XXII-Terrorabwehr.
Strumenti che hanno trovato anche un impiego ben diverso da quello a cui erano ufficialmente
preposti, ovvero la difesa del proprio territorio da attacchi di matrice internazionale.
La seconda parte della tesi ha spostato il focus sulla storia delle interazioni tra un singolo
servizio segreto del blocco comunista e la suddetta forma di terrorismo antisistema. Si è così
andati a descrivere in prima battuta la storia dei rapporti tra la Stasi e la maggiore formazione
di lotta armata per il comunismo sorta in Germania federale, la Rote Armee Fraktion.
Il capitolo 3. ha dimostrato, sulla base di una già copiosa letteratura esistente sull'argomento e
alla quale si è fatto puntualmente riferimento, come le accuse mosse alla Stasi di fornire
copertura al terrorismo internazionale portate avanti dalla comunità civile tedesca e dagli
organi d'indagine federali siano oggi da considerarsi una realtà storica acquisita. Oltre a ciò,
questo capitolo ha anche dimostrato come, dalla parte dell'MfS, non ci si limitò ad una
semplice azione di copertura e supporto nei confronti di una formazione che si proponeva di
abbattere uno stato nemico: i contatti tra Raf e Stasi andarono oltre e si configurarono in
almeno un'occasione, quella relativa all'attentato condotto contro il generale NATO Frederik
Kroesen, come forme di collaborazione diretta.
Nel corso di questo capitolo è inoltre stata operata una distinzione netta tra le teorie
giornalistiche sorte negli ultimi vent'anni in relazione al ruolo svolto dalla Stasi nella
formazione e nello sviluppo del terrorismo tedesco occidentale e le prove documentarie che di
volta in volta sono state invocate a conferma delle suddette teorie. Ci si è preoccupati in
sostanza di esporre le tesi di chi, come Tobias Wunshik e gli storici e politologi che gravitano
intorno al BStU, hanno operato con i mezzi propri della ricerca storica.
Ne è derivato un quadro che può essere riassunto come segue: non esistono prove di alcun
tipo che suggeriscano che la Stasi abbia contribuito attivamente alla nascita della Rote Armee
Fraktion o di altre formazioni armate tedesco occidentali, così come non è possibile
186
dimostrare in alcun modo la teoria, tutta giornalistica, che ha visto relegare la Raf al ruolo di
braccio armato del servizio segreto della Germania est. Incontestabile resta la verità di fatto
per cui la Ddr offrì riparo e copertura ad un gruppo di terroristi, proveniente dalla Raf e dalla
Bewegung 2 Juni, che tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta decise di
abbandonare la lotta armata, così come è impossibile negare che alcuni di quei soggetti
vennero coinvolti in un programma di addestramento militare con finalità offensive, e che
quest'addestramento sembra aver trovato almeno in un caso un'attuazione pratica nel già citato
attentato a Kroesen.
La persistenza di contatti diretti tra Stasi e Raf comportò una maggiore consapevolezza, da
parte dell'MfS, degli obiettivi del gruppo e dell'identità dei suoi militanti, informazioni queste
che la Stasi mancò volutamente di trasmettere agli organi di polizia federali nel tentativo di
favorire il perdurare di un fenomeno che si presentava come una spina nel fianco per la
stabilità interna del nemico. Una strategia quest'ultima propria dello stesso modus operandi
dell'Urss, che guardava al terrorismo manifestatosi nelle società occidentali come ad un
cancro, in grado di accelerare quei processi disgregativi che avrebbero aperto la strada alla
rivoluzione socialista mondiale; una strategia di cui la comunità internazionale ha lentamente
acquisito consapevolezza nel corso degli anni sessanta e settanta, svelata dalle dichiarazioni di
numerosi disertori sovietici e che, già nel 1977, poteva essere lucidamente descritta dallo
stesso Walter Laqueur nella sua “History of Terrorism”.
In quest'ottica la Stasi tentò in sostanza, e con il benestare della dirigenza politica, di sfruttare
a vantaggio proprio e del mondo comunista nel suo complesso un fattore esterno quale il
terrorismo tedesco occidentale. Rendendo compiacenti i terroristi si favoriva il persistere di
una minaccia per il nemico, immunizzando al contempo il proprio territorio dall'eventualità di
attentati.
I capitolo 4. e 5. hanno costituito il fulcro del presente lavoro, e hanno permesso di giungere
ad alcuni ordini di conclusioni che, data la continuamente riproposta realtà di fatto della grave
lacunosità della documentazione esaminata, non vanno certamente ad esaurire gli argomenti
trattati.
Il primo ordine di conclusioni a cui si è giunti nel corso di questa ricerca riguarda i rapporti
tra le Brigate rosse, intese nella complessiva durata temporale della loro attività, e la Stasi,
ponendo come limite cronologico il 1989, anno che segna l'inizio del disfacimento delle
187
strutture dell'MfS di pari passo con la caduta del potere comunista in Germania est.
Nel capitolo 4. si è voluto contestare quanto sostenuto in particolare dal giornalista Antonio
Selvatici, che nella sua opera del 2009 “Chi spiava i terroristi. I documenti negli archivi dei
servizi segreti dell'Europa comunista” ha sostenuto che, in seguito al sequestro Moro, alcuni
brigatisti avrebbero trovato rifugio nella Ddr, alle cui frontiere si sarebbero identificati come
terroristi e dove avrebbero ricevuto ospitalità e copertura. Come abbiamo avuto modo di
vedere, questa ricostruzione e le affermazioni che ne sono seguite sono state viziate da un
grave errore di interpretazione, che ha portato Selvatici a considerare un documento per
quello che non è, conducendolo a sostenere l'esistenza di campi di addestramento per terroristi
sul suolo della Ddr.
Sulla base della documentazione da me analizzata, nessun brigatista oltrepassò mai le
frontiere della Ddr, né prima né dopo il sequestro Moro. Gli unici ad operare un tentativo in
questo senso sembra siano stati Pietro Morlacchi e la moglie Heidi Peusch, cittadina tedesco
orientale, allo scopo di ottenere asilo politico in un momento in cui avevano già abbandonato
le Br, asilo che i due si videro negare proprio in virtù dei loro trascorsi brigatisti.
Di altro tenore le conclusioni a cui è giunto lo storico Gianluca Falanga, che della
documentazione esaminata ha fatto un uso decisamente meno strumentale e sensazionalistico.
Nell'opera “Spie dall'est. L'Italia nelle carte segrete della Stasi” egli ha saputo dimostrare
efficacemente l'interesse nutrito dalla Stasi per la coppia Morlacchi-Peusch in seguito al
sequestro Moro, in quello che sembra essere stato un tentativo da parte dell'MfS di procurarsi
un contatto diretto da cui attingere informazioni utili alla comprensione del fenomeno
brigatista.
Tuttavia anche l'opera di Falanga ha presentato delle affermazioni problematiche, laddove
l'autore ha sostenuto che nel 1985, in concomitanza con l'archiviazione della pratica relativa
alla coppia, la Stasi avesse rinunciato a penetrare più a fondo nell'organizzazione. Il mio
contributo è consistito nel modificare quest'impostazione. Sulla base di documenti che
sembrano essere sfuggiti all'autore stesso è stato possibile stabilire come, nel 1986, la Stasi
abbia deciso di reclutare un informatore dalla scena dei fiancheggiatori brigatisti. L'agente in
questione, nome in codice “Else Brunner”, rimase attivo dal 1986 alla dissoluzione della Ddr,
indice del fatto che le Brigate rosse vennero tenute sotto osservazione finché se ne ebbe la
possibilità.
188
A questo si aggiungano i piani programmatici della divisione XXII per l'anno 1990: redatti
alla fine del 1989, vi si prevedeva di proseguire la collaborazione con “Else Brunner” per
l'anno indicato.
Purtroppo non c'è modo allo stato attuale della ricerca di stabilire l'identità dell'agente, né
tantomeno è stato possibile individuare alcuna delle informative che questi potrebbe aver
trasmesso all'MfS.
La ricerca su questo punto potrebbe però trarre giovamento nei prossimi anni dal
proseguimento del progetto di ricostruzione elettronica degli atti Stasi-Schnipselmaschine, che
ha portato negli utlimi dieci anni al recupero di numerose pagine d'archivio rinvenute
macerate in sacchi e scatole nelle sedi distaccate dell'MfS all'inizio del 1990.
Nel capitolo conclusivo di questo lavoro ci si è dedicati alla descrizione della percezione del
sequestro Moro da parte dell'MfS.
L'analisi delle informative ad uso interno prodotte dagli analisti dell'MfS relative alla vicenda
ha restituito una lettura estremamente dietrologica dell'accaduto. In esse, le Brigate rosse
figurano come un gruppo neofascista direttamente ascrivibile alla strategia della tensione.
Moro sarebbe stato sequestrato per volere dei servizi segreti americani, contrari alla sua
politica di apertura a sinistra. La ricerca si è sviluppata andando a rintracciare nella
documentazione superstite quei documenti che diano notizia degli elementi che hanno
contribuito a conferire le suddette caratteristiche al sequestro.
Si è dovuto così prendere atto dell'estrema scarsità di documentazione relativa ad intelligence
diretta. Le poche informative provenienti da altri servizi segreti o da organi d'indagine federali
infiltrati si accompagnano alla quasi totale assenza di fonti legate a contatti diretti. In questo
senso è stato possibile rinvenire una sola informativa proveniente da un agente. Si tratta di un
IM (anch'egli non identificabile) operante in Vaticano che ha restituito notizie sulle
convinzioni circolanti in quegli ambienti circa il sequestro e i suoi mandanti: la Dc ha bisogno
di un martire per avviare una violenta campagna anticomunista, e per questo fa rapire ed
uccidere un suo alto esponente da un'organizzazione sedicente rossa.
Ma a giocare un ruolo di primo livello nel formarsi di convinzioni dietrologiche negli
ambienti del Ministero sembra essere stata la stampa di ispirazione comunista in lingua
tedesca, tanto orientale quanto occidentale. Non disponendo ancora, nel 1978, di un contatto
diretto negli ambienti dell'organizzazione, è al mezzo stampa che il MfS si affida nel primo
189
tentativo di analisi e comprensione del fenomeno brigatista (mezzo che rimarrà comunque
prioritario nel corso degli oltre dieci anni di osservazione). Non va infatti dimenticato di
come, nella documentazione relativa alle Br presente nel BStU, l'estremo cronologico iniziale
sia segnato proprio dal sequestro Moro, fattore scatenante dell'interesse della Stasi nei
confronti delle Brigate rosse, e di come questo interesse sia da ricondursi alle mutate
aspirazioni del gruppo, in quel periodo intenzionato ad abbandonare la logica di
rivendicazioni puramente nazionali in favore di un più esteso fronte comune europeo
antimperialista.
La stampa tedesca occidentale si occupò in quei gironi di tracciare dei parallelismi tra il
sequestro Moro e quello Schleyer mentre quella orientale (ma anche quella occidentale di
ispirazione comunista), profondamente ideologizzata e fedele alle logiche e alla propaganda
del partito SED, decise di farsi promotrice di una campagna mediatica tesa ad identificare in
servizi stranieri e mandanti occulti i responsabili del sequestro. A questo punto si aggiunge un
ulteriore piano di analisi: le notizie riportate dalla stampa orientale e occidentale comunista
non sono il frutto di riflessioni originali, ma la puntuale citazione di notizie apprese dalla
stampa comunista italiana, nello specifico sulle pagine dei quotidiani “l'Unità” e “Paese
Sera”.
La stampa comunista italiana si preoccupò, nel tentativo di allontanare dal Pci le accuse di
paternità morale del terrorismo, di portare avanti la tesi del complotto internazionale. Ipotesi
questa che venne accolta dalla totalità della stampa tedesco orientale e da quella comunista
occidentale, e che per mezzo di questa andò poi a confluire nelle informative dell'MfS.
Da parte loro, gli uomini di Mielke fecero propria l'interpretazione dei fatti che più delle altre
rispecchiava il proprio orizzonte ideologico, secondo il quale l'operato di gruppi terroristici
sedicenti rossi fosse da ricondursi esclusivamente alle strategie del nemico capitalista e
imperialista.
Nel corso degli anni questa percezione sarebbe cambiata. Se è vero che nella documentazione
relativa al periodo 1980-1989 la definizione di neofascista smette di essere accostata al nome
delle Brigate rosse, questo si spiega a parere di chi scrive con l'acquisita consapevolezza da
parte della Stasi di non avere a che fare con il prodotto di servizi segreti dei paesi capitalistici,
bensì con un gruppo terroristico che, nel corso degli anni ottanta, andò alla ricerca di contatti
internazionali e decise di rivolgere le proprie mire con più veemenza contro istituzioni cardine
190
del cosiddetto imperialismo americano, in particolare contro la NATO. Questo mutamento
delle prospettive del gruppo sembra aver convinto la Stasi ad intraprendere il tentativo di
allacciare contatti diretti con l'organizzazione, tendenza che sembra confermata dall'ingaggio
di “Else Brunner” nel 1986.
Riassumendo, durante il sequestro Moro la scarsità di dati su membri ed intenzioni delle Br
contribuì alla formazione di un'errata percezione dell'organizzazione. Questa percezione mutò
radicalmente nel corso del primo anno e mezzo di osservazione, e portò alla decisione di
allacciare contatti col gruppo. Gruppo che a partire dal 1981, anno in cui la divisione XXII va
incontro ad una profonda ristrutturazione, smette di essere accostato all'attributo neofascista e
la cui lavorazione viene affidata alla sottodivisione deputata allo studio e alla prevenzione del
terrorismo internazionale.
Al più tardi a partire da questa data dunque le Br sono tenute sotto osservazione in qualità di
terroristi internazionali, caratteristica questa che più di altre destava le preoccupazione
dell'apparato di Mielke, in virtù dell'imprevedibilità dell'azione di simili gruppi. Una
preoccupazione questa che era stata alla base, come abbiamo avuto modo di vedere, della
stessa decisione di dotarsi di un'unità operativa deputata alla difesa dal terrorismo.
Mi sembra necessario concludere il presente lavoro con un'ultima breve considerazione,
strettamente connessa ai risultati conseguiti nel corso di questo lavoro: allo stato attuale della
ricerca, e sulla base della pur lacunosa documentazione d'archivio consultata, credo si possa
escludere la possibilità, paventata in tempi più o meno recenti da alcuni esponenti del mondo
politico e giornalistico italiano, secondo cui gli archivi della Stasi sarebbero il luogo adatto
nel quale andare alla ricerca della verità (ma quale verità?) sull'omicidio di Aldo Moro. Mi
riferisco qui nello specifico alle suddette dichiarazioni rilasciate al quotidiano “l'Unità” dallo
storico e senatore del Partito Democratico Miguel Gotor, che nel settembre 2013 ha portato in
aula la proposta di istituire una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e
sul caso Moro.
Inoltre, alla luce di quanto detto finora mi sembra necessario mettere in discussione la tesi
formulata dal giornalista e senatore del Popolo delle Libertà Paolo Guzzanti, secondo il quale
la Stasi sarebbe stata il servizio deputato dal KGB alla gestione occulta del terrorismo
internazionale e il quale nel 2004 ha sostenuto che le Br fossero manovrate dal servizio russo
per mezzo dell'MfS. Nulla, nella documentazione da me analizzata, sembra suggerire una tale
191
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• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIII Legislatura, presidente sen.
Giovanni Pellegrino, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo
in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, doc.
XXIII n. 64, Volume primo, Tomo 1, 26 aprile 2001.
• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.
Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il
“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10; Relazione
sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian, 16 dicembre 2004.
• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.
Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il
“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10-bis;
Relazione di minoranza sull'attività istruttoria svolta sull'operazione Impedian, 16
dicembre 2004.
• Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, XIV Legislatura, presidente sen.
Paolo Guzzanti, Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il
“Dossier Mitrokhin” e l'attività d'intelligence italiana, doc. XXIII n. 10; Documento
conclusivo sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta, 15 marzo 2006.
198
Sitografia.
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• www.bibliotecamarxista.org.
• Www.bild.de.
• Www.bstu.bund.de.
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• Www.spiegel.de.
• Www.stern.de.
• Www.sueddeutsche.de.
• Www.treccani.it.
• Www.welt.de.
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Ringraziamenti.
Desidero innanzitutto ringraziare il professor Emmanuel Betta per la cura e la dedizione con
cui ha seguito lo svolgimento di questo lavoro.
Grazie ai miei genitori. Non esistono parole per esprimere la gratitudine che provo nei loro
confronti per avermi sempre incoraggiato e sopportato, anche in quei momenti in cui
avrebbero avuto tutto il diritto di non farlo.
Un grazie e tutto il mio amore a mia sorella Eleonora. Le distanze sono un mero indicatore
geografico quando i cuori sono uniti.
Grazie ad Emanuele, Michele, Marco, Stefano, Serena, Vera e Claudio. Siete la prova del fatto
che la famiglia non è solo una questione di sangue. E grazie a Justyna, entrata in punta di
piedi nella mia vita per occuparne il posto più delicato.
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