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Foto M. Pasquero Parco naturale dell’Alta Valsesia.

I Parchi in Insubria: una soluzione ancora attuale? [parte seconda – Piemonte]

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Parco naturale dell’Alta Valsesia.

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Negli anni Settanta, quasi contemporaneamente alla Regione Lombardia, anche la RegionePiemonte promosse una politica regionale per l’istituzione di aree protette, ovviamente coin-volgendo anche i territori appartententi all’ecosistema insubre di sua competenza istituzionale,ovvero il Novarese, l’intorno di Vercelli, la Valsesia, la sponda occidentale del Verbano, su finoall’Ossola. Al di là della consolidata unità socio-storico-culturale di queste aree con l’Insubriametropolitana (rotta solo amministrativamente con il loro passaggio a Torino), risulta evidenteuna contiguita ambientale e paesaggistica che sfuma solo oltre la Sesia, a rimarcare il continuuminsediativo che procede da Milano a occidente. La presenza umana, denotata da un alto tassoinsediativo e industriale, è però ancora ampiamente intercalata da vasti spazi agricoli, maggioridi quelli presenti nei territori dell’Insubria centrale. Ciò non ha comunque evitato la reclusio-ne degli ambiti forestali alla fascia collinare e montana a nord della linea Carpignano-Momo-Varallo Pombia, la quale, proseguendo oltre il Ticino nel Varesotto, delimita il limes della cittadiffusa che cresce attorno a Milano. Osservando i dati di densità di popolazione nelle provinceinteressate1 risulta che quella di Novara ospita 267 ab./kmq, ovvero un dato ancora non preoc-cupante2 se comparato alla vicina provincia di Varese (713 ab./kmq), che detiene anche il ‘van-taggio’ di una maggior superficie montana, ma più simile all’agricola Pavia (278 ab./kmq). Il Ver-bano-Cusio-Ossola mantiene poi il record minimo di abitanti per superficie, 72 per kmq, supe-rato solo dalla Valsesia (maldestramente accorpata a Vercelli) in cui abitano 58 persone per kmq.3

Il modello subalpino. La Regione Piemonte si dotò di una legge quadro in materia nel 1975,4

prima regione della Repubblica a legiferare in tema. Le affinità col successivo ordinamento lom-bardo risiedono principalmente nella gestione delle aree protette tramite coerenti strumenti dipianificazione regionale che il Piemonte, diversamente dalla Lombardia, rispetterà. Inoltre la ge-stione piemontese si appoggia notevolmente a strumenti di pianificazione settoriali, come i pia-ni di assestamento forestale, che tuttavia, nel corso degli anni, hanno mostrato qualche proble-

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I Parchi in Insubria: una soluzione ancora attuale?

DI MATTEO COLAONE - PARTE SECONDA

Continua la nostra critica costruttiva ed econazionalista sulla gestione dei Parchi. È la volta dell’Insubria occidentale, amministrativamente piemontese.

(1) Calcolo eseguito incrociando i più recenti dati ISTAT.(2) A parere di chi scrive, e sulla base di studi comparati applicati alla nostra realtà, il limite di equilibrio ecologico è di 500ab./kmq calcolato sull’unità territoriale più piccola, il Comune.(3) Fonte: www.provincia.vercelli.it.(4) Legge regionale n. 43 del 4 giugno 1975, “Norme per l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali”.

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ma di coordinamento reciproco. Ma la maggiore differenzarisiede nella tipologia dei Parchi istituiti: mentre la Lombar-dia intervenne correttamente - ma con un’evoluzione succes-siva discutibile - su territori fortemente antropizzati così dapermetterne la parziale conservazione, il Piemonte istituì

una rete basata su aree già riconosciute di alto valore na-turalistico-paesaggistico.5 In tutta la Regione Piemonte, nei

primi 120.000 ettari protetti (in seguito 134.000) troviamo 4parchi collinari, 12 alpini, 6 prealpini, 10 zone umide, 2 parchi flu-

viali, 4 “dei Sacri monti” e 1 parco urbano. Anche in questo caso la classificazione del terri-torio sottoposto a tutela è alquanto variegata. Legislativamente le tipologie inquadrate pre-vedono Parchi naturali,6 Riserve naturali,7 Aree attrezzate,8 Sacri monti, Zona di preparco.9

Esistono infatti, a differenza della Lombardia, le Zone preparco, nelle quali dovrebbero esse-re insediate le infrastrutture ricettive e ricreative, in quell’ottica (mai ben definita) diconciliazione fra conservazione e fruibilità turistica dei luoghi. Meno chiaro invece cosa si in-tenda per Parco regionale in Piemonte. Qui non esistono equivalenti diretti dei PLIS lom-bardi, di cui abbiamo parlato altre volte. Esistono invece i Parchi provinciali, finora attuatisolo dalla Provincia di Torino, e quindi non applicati in Insubria.

Le legge regionale. Nell’aprile del 1975, ultimo giorno utile della prima legislatura regiona-le, il Consiglio piemontese dava attuazione ai disposti dell'art. 5 dello Statuto, che prevedeva e-splicitamente l'istituzione di Parchi e riserve naturali. Fin dal 1970, anno europeo per la con-servazione della natura, Pro Natura e CAI avevano proposto l'istituzione del Parco naturale Or-siera-Rocciavré in Val Susa. Nel 1973 Pro Natura chiamò, in un dibattito pubblico, a discute-re del problema dei Parchi, mentre la conseguente bozza di legge regionale dedicata, derivavadai principi evidenziati dal Progetto '80 di Giorgio Ruffolo che accoglieva le indicazioni di ProNatura stessa, anticipando alcune idee di quello che sarebbe stato il concetto di sviluppo soste-nibile. Nel luglio del 1974 un gruppo di consiglieri regionali presentarono la proposta di legge“Istituzione di parchi e riserve naturali. Norme urbanistiche per la tutela delle zone interessa-te”, che poi divenne legge regionale, nonostante per giungere a questo risultato la Regione in-terpretasse forzamente e coraggiosamente l'art. 117 della Costituzione e dei decreti del Pre-sidente della Repubblica con cui, nel 1972, si trasferirono alle Regioni le competenze in una

(5) Per approfondimenti comparativi fra le diverse legislazioni regionali: R.Moschini, “La legge delle aree protette dieci anni dopo”,supplemento al n. 31 di Speciale Parchi, ottobre 2000, Maggioli editore, Rimini.(6) “Per la conservazione di ambienti di preesistente valore naturalistico e per uso ricreativo.”(7) “Per la protezione di uno o più valori ambientali” si distinguono in: riserva naturale integrale, “per la conservazione dell’ambientenaturale nella sua integrità, con l’ammissione di soli interventi a scopo scientifico”; riserva naturale orientata, “per la conservazione del-l’ambiente naturale, nella quale sono consentiti opportuni interventi colturali agricoli e silvo-pastorali”; riserva naturale speciale, “per par-ticolari e delimitati compiti di conservazione” (biologica, biologica-forestale, botanica, zoologica, geologica, archeologica, etnologica).(8) “In cui sono ammesse attrezzature per l’impiego sociale del tempo libero nel rispetto del patrimonio naturalistico.”(9) Istituita al fine di stabilire una gradualità crescente di vincoli intorno ai parchi e alle riserve naturali.

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serie di materie. Quest’azione pionieristica si fondò sul fatto che sebbene fra le competenze re-gionali non vi fosse quella relativa alle aree protette, la Regione Piemonte puntò sul più ampiocapitolo della pianificazione territoriale, su cui poteva legittimamente operare. Il traguardo del-la legge regionale permise di «conservare e difendere il paesaggio e l'ambiente, di assicurare allacollettività e ai singoli il corretto uso del territorio per scopi ricreativi, culturali, sociali, didat-tici e scientifici e per la valorizzazione delle economie locali». L'effettiva realizzazione sul terri-torio degli intendimenti enunciati con la legge quadro era prevista si sviluppasse in tre fasi: laformazione del piano regionale dei Parchi e riserve naturali; l'istituzione con specifiche leggi deisingoli parchi e riserve; la reale attuazione delle aree protette attraverso interventi di qualifica-zione ambientale, di incentivazione economica e sociale di fruizione culturale e ricreativa.

Ancora “salvare il salvabile”. L’attuazione della legge regionale, nella seconda metà degli anniSettanta e all’inizio degli anni Ottanta venne percepita dal costituendo mondo ecologista comestrumento di difesa, in un contesto amministrativo mancante di una legge urbanistica regiona-le, quando quasi nessun Comune era dotato di piani regolatori: insomma lo stesso far-west bennoto in tutta l’Insubria. Si materializzava l’epoca - non ancora esauritasi - della speculazione edi-liza, della lottizzazione imposta, della monetizzazione del territorio, dell’espansione viabilistica,spesso senza giustificazioni e senza analisi delle alternative. Un certo scandalo nacque quando ini-ziarono a essere aggredite aree di grande pregio ambientale, come - nel Piemonte propriamentedetto - l'ex parco sabaudo della Mandria, che era stato oggetto di una lottizzazione di 270 villet-te e l’ampliamento della pista di prova della FIAT; a Stupinigi veniva approvata una lottizzazioneper oltre 600 m3 di edificazione terziaria. Più vicino a noi avanzava la speculazione sulle spon-de del Po alle Vallere, sul Ticino e l'Alpe Veglia era finita nel progetto di un invaso idroelettrico.

Per casi analoghi come il Bosco della Partecipanza, nei pressi di Trino, la creazione di un Par-co ha consentito di proteggere e mantenere forme di gestione storicamente radicate,10 evitandole distruzioni che hanno azzerato il confinante Bosco di Lucedio soggetto a devastanti bonifi-

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(10) Alla cessione della proprietà nel 1275 è conseguita de facto l’istituzione della Partecipanza quale diritto comunitario dei cittadini al-lora residenti, che effettivamente risale alla fine del XVI secolo. I “partecipanti”, iscritti al Gran Libro, non vollero mai condividere coinuovi borghesi il diritto. Nel 1700 si aprì un’aspra lite col Comune in merito alla proprietà del bosco risoltasi poi con un compromesso,la cosiddetta Transizione del 1793, in cui si dichiara che il Comune ha solo il diritto ad entrare nella gestione del bosco stesso con 7consiglieri. La fruizione del bosco è regolata ancora oggi secondo la regola che ogni anno una zona viene messa in turno di taglio e sud-divisa in un determinato numero di aree denominate “sorti”, a loro volta divise in ulteriori appezzamenti. Questi ultimi sono estratti asorte tra i partecipanti, ai quali in tal modo verrà assegnata la porzione di bosco in cui ognuno avrà diritto di abbattere alcuni alberi.

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teParco naturale della Valle del Ticino

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che (sostenute anche da finanziamenti europei!). La grande stagione dei Parchi portò frutti conla legge istitutiva del Parco regionale dell'Alpe Veglia,11 ben presto seguita da altre, fra le qualiquelle della Valle Ticino e delle Lame del Sesia in territorio insubre. Allora la politica dei Parchitrovò nella Giunta Regionale un convinto sostenitore nell'assessore Luigi Rivalta, tra i fondatoridel ben noto bimestrale Piemonte Parchi, nato nel 1983,12 nello stesso periodo in cui proliferòuna serie di pubblicazioni di qualità dedicate alla conservazione e allo studio della natura.13

Esisteva quindi un punto di frizione fra le istituzioni locali, poco sensibili all’ambiente ma an-cora sufficientemente in buona fede da poter aprirsi alle nuove sensibilità, e una minoranza diecologisti non ancora politicamente organizzati che nella loro agenda avevano la lotta all'asfal-to, al cemento, alla speculazione fondiaria. Quelle fila non si infoltirono molto quando tra glianni Settanta e Ottanta puntarono le loro azioni a stimolare e rimediare alla latitanza dello Sta-to, con la speranza (molto autonomista!) di cominciare una nuova stagione grazie al dialogo conle neonate regioni. “Oggi al contrario”, afferma Walter Giuliano dei Verdi torinesi, “i parcolo-gi-esperti, consulenti, tecnici, politici si sprecano. La sensibilità ambientalista generalizzata, for-temente maturata, nei vent'anni successivi, era ai suoi primi timidi balbettii e le carriere univer-sitarie non passavano dalle tematiche ambientaliste in tempi favorevoli poi ampiamente prati-cate. E nemmeno quelle politiche allora percorse da alcuni lungimiranti interpreti piemontesi”.14

Oggi e domani. La politica regionale piemontese rivela una buona impostazione, anche inrelazione al territorio in esame, ma così, come quella lombarda, è segnata da un progressivorilassamento di iniziative e nuovi progetti, esemplificando una certa miopia nei confronti del-l’avanzamento urbano che, soprattutto in pianura, è sempre in agguato. Fuori dall'elenco del-le aree tutelate rimangono ancora le estensioni della campagna novarese, primo obiettivo

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(11) Legge regionale n. 14 del 20 marzo 1978.(12) http://www.regione.piemonte.it/parchi/ppweb/rivista.(13) Allora le edicole traboccavano di riviste patinate di buona fattura, con articoli e foto d'autore come Airone (1980), fondata da E-gidio Gavazzi, edita da Giorgio Mondadori e ispirata peraltro al famoso National Geographic. Nel 1983 è il momento di Natura Og-gi, di Rizzoli; nel 1985 di Oasis, molto specializzata, di Musumeci & Fioratti. Qualche anno prima era nata Etnie, prematuramentechiusa, che pur concentrandosi su temi differenti, si inseriva nello stesso filone ecologista da prospettive differenti. Oggi molte di questetestate hanno perso le velleità più combattive e di denuncia, appiattendosi su temi più politicamente corretti e di divulgazione commer-ciale, lasciando quelli più scottanti alle voci meno diffuse, ma ancora cariche di fascino, di samizdat bioregionalisti come Lato Selvatico. (14) Da un articolo pubblicato su http://www.cartadellaterra.it. Giuliano, già caporedattore di Alp negli anni Ottanta, direttoredi diversi periodici specializzati, vicino alle sensibilità delle minoranze alpine, è dal 1995 assessore alla Provincia di Torino.

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dell’Alpe Veglia e del Devero.

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della speculazione edilizia che corre sullatratta Milano-Torino e, oltre la Sesia, laSerra d'Ivrea e il vicino Lago di Viverone.Dunque, se si proseguisse la politica av-viata vent'anni fa sarebbe possibile limi-tare lo sfruttamento dei territori, sia nellapianura agricolo-industriale che nella mon-tagna, delle seconde case.

È vero che in tutta l’Insubria la politicadovrebbe ora confermare, ribadire, definirecon più chiarezza funzioni e finalità dei Parchi che non devo-no essere approssimativamente confuse o mescolate con gli obiettivi di sviluppo (economico)locale, né tantomeno con i target commerciali di un’agenzia turistica. Ciò che si deve evitare è cheuna volta raggiunta, come sembra, l'auspicata stabilizzazione delle potenzialità economico-occu-pazionali di un'area protetta, si pensi anche a politiche educative che annullino lo stereotipo delParco come “luogo dei divieti” e ne nasca finalmente un’idea più realistica basata non più su bilan-ci economici e finanziamenti, quanto più sul concetto di bilancio ambientale, capace di dare ilgiusto significato ai benefici immateriali che un territorio naturale produce, anche se non quan-tificabili. Parallalelamente a ciò, se dovessimo pensare al superamento dei sistemi delle aree pro-tette in Lombardia e Piemonte, dovremmo occuparci di rivedere radicalmente le leggi alla basedelle ordinarie politiche territoriali e urbanistiche. Se i Parchi sono le eccezioni, la pianificazioneterritoriale dev’essere già di norma ben governata, includendovi le decisioni che attengono nonsolo alla tutela del territorio, ma anche del paesaggio, dei biotopi, della biodiversità, dei corrodoiecologici, della conservazione dei luoghi storici (fuori e dentro i centri abitati). L’alternativa è lacreazione di gruppi di Enti locali (principalmente Comuni e Provincie) che - governati da ammi-nistratori sensibili - attuino una "secessione verde", basata sulla resistenza all’interno dei propriterritori di competenza nei confronti di ogni attacco speculativo privato o imposizione statale.

I singoli politici, seppur “illuminati”, nulla possono se alla fine devono piegarsi a logiche dipartito, che ne fanno degli yes-men costantemente in condizioni di oggettiva debolezza nei con-fronti delle pressioni di chi ha considerato (e continua a considerare) il territorio come substra-to inerte disponibile alle politiche del profitto e della speculazione immobiliare, o patrimoniocomune da privatizzare con lo sfruttamento delle risorse naturali. Gli amministratori econazio-nalisti, o comunque ecologisti e identitari, dovranno costituirsi come lobby di pressione a favo-re della revisione delle leggi urbanistiche e dei piani territoriali, capaci poi di dare ai Parchi unsignificato diverso da quello di “isole” di natura assediata e comunque destinata a uno sfrutta-mento futuro. La prima di queste norme dovrebbe proprio essere dedicata all’intero contestoterritoriale, prevedendo politiche di riequilibrio tra ambiente urbano e territorio agricolo/natu-rale, basate su dati chiari e percentuali massime di territorio edificabile per singolo Comune,mantenendo o ricreando la giusta proporzione fra natura e costruito, andando così ad alleggeri-re la pressione di richiesta di “verde” che non dovrà più gravare solo sulle aree protette.

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