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121 INSULA FULCHERIA 120 OGGI. LA CONOSCENZA Il tema dell’educazione al patrimonio costituisce un punto basilare del program- ma politico dell’Unione Europea. Ormai dieci anni fa, la Raccomandazione n. 5 del Consiglio d’Europa del 19 marzo del 1999 sottolineava l’importanza dell’edu- cazione al patrimonio storico e culturale esercitata attraverso la collaborazione tra Enti ed Istituzioni e mediante l’impiego di metodi di apprendimento attivi. Tuttavia ancora oggi in Italia è particolarmente sentito il problema di come inse- gnare e comunicare l’Antichità: spesso, visitando le sezioni archeologiche di molti musei italiani, si rimane stupiti dalla prevalenza che viene data a ciò che viene esposto, rispetto a come vengono comunicati i contenuti. Lo sforzo, anche eco- nomico, viene profuso più negli aspetti tecnici dell’esposizione (conservazione, illuminazione, grafica) che nella comunicazione della funzione storica, sociale o tecnologica dei reperti esposti. Musei straordinari per la qualità e il valore storico dei reperti esposti rimangono pressoché vuoti perché allestiti più per addetti ai lavori, per un pubblico che già sa, che per coloro che vogliono avvicinarsi alla conoscenza 1 . Lo scenario sta rapidamente cambiando. Per citare solo la Lombardia, la necessità di una riflessione sul tema ha portato all’organizzazione di due importanti giorna- te di studi: Scuola, Museo Territorio per una didattica dell’Archeologia, organizzata dall’Università degli Studi di Pavia e dal Civico Museo Archeologico di Casteggio e dell’Oltrepò Pavese nel 2002 2 e il convegno Educare all’Antico. Esperienze, meto- di e prospettive organizzato dall’Università di Pavia nel 2008 3 . A livello istituzionale, si deve segnalare inoltre la creazione del Laboratorio per la Didattica dell’Archeologia Classica, divenuto poi Centro di Ricerca Interdiparti- mentale per la Didattica dell’Archeologia Classica e le Tecnologie Antiche (CRI- DACT) dell’Università degli Studi di Pavia e l’attività promossa dalla Regione Lombardia per la promozione e la qualificazione della didattica museale nell’am- bito del programma di riconoscimento dei Musei Lombardi (che ha portato tra l’altro all’adozione della figura del Responsabile dei Servizi Educativi), attraverso il finanziamento di progetti specifici e mirate azioni formative 4 . A questo desideriamo aggiungere anche l’attività svolta dai musei della Rete dei Musei Archeologici delle Province di Brescia, Cremona e Mantova (MA_net), che unisce attualmente sedici istituti, tra musei, parchi archeologici e musei con 1 Il tema è oggi particolarmente sentito: Swain 2008, pp. 210-212; Zerbini 2008: p. 17. 2 Diani et alii 2003. 3 Maggi 2008. 4 Gasperini, Diani 2003; Diani 2008. Un approccio sperimentale alla didattica dell’antico nella nuova sezione di archeologia fluviale del Museo di Crema. Nel 2000 il Museo Civico di Crema e del Cremasco ha introdotto nella propria offerta didattica un nuovo progetto di didattica dell’archeologia denominato Archeologia e Storia a Crema. Il progetto si proponeva in via sperimentale di coinvolgere ogni singola classe in un ciclo di sei incontri da svolgere nel corso di un intero anno scolastico. Sulla base dell’esperienza precedente e in occasione dell’apertura di una nuova sezione del Museo dedicata all’archeologia fluviale si è deciso di proseguire nella sperimentazione con l’obiettivo di introdurre nuove metodolo- gie di comunicazione con i bambini di età scolare. Prendendo spunto dall’esperienza di alcuni musei olandesi che hanno applicato all’allestimento le teorie sull’apprendimento dello psicologo cognitivista americano David A. Kolb, e sull’esempio del Museo di Montebelluna (TV) che le applicate anche al pubblico di età scolare, si presenta in questa sede il nuovo progetto didattico dedicato agli alunni della scuola primaria che verranno a visitare la nuova sezione del Museo. Thea Ravasi (Museo Civico di Crema e del Cremasco, CR) Claudia Fredella (Parco Archeologico del Forcello, Bagnolo San Vito, MN)

FREDELLA C., RAVASI T. 2009, Un approccio sperimentale alla didattica dell’antico nella nuova sezione di archeologia fluviale del Museo di Crema, in “Insula Fulcheria” XXXIX,

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121INSULA FULCHERIA 120 OGGI. LA CONOSCENZA

Il tema dell’educazione al patrimonio costituisce un punto basilare del program-ma politico dell’Unione Europea. Ormai dieci anni fa, la Raccomandazione n. 5 del Consiglio d’Europa del 19 marzo del 1999 sottolineava l’importanza dell’edu-cazione al patrimonio storico e culturale esercitata attraverso la collaborazione tra Enti ed Istituzioni e mediante l’impiego di metodi di apprendimento attivi. Tuttavia ancora oggi in Italia è particolarmente sentito il problema di come inse-gnare e comunicare l’Antichità: spesso, visitando le sezioni archeologiche di molti musei italiani, si rimane stupiti dalla prevalenza che viene data a ciò che viene esposto, rispetto a come vengono comunicati i contenuti. Lo sforzo, anche eco-nomico, viene profuso più negli aspetti tecnici dell’esposizione (conservazione, illuminazione, grafica) che nella comunicazione della funzione storica, sociale o tecnologica dei reperti esposti. Musei straordinari per la qualità e il valore storico dei reperti esposti rimangono pressoché vuoti perché allestiti più per addetti ai lavori, per un pubblico che già sa, che per coloro che vogliono avvicinarsi alla conoscenza1.

Lo scenario sta rapidamente cambiando. Per citare solo la Lombardia, la necessità di una riflessione sul tema ha portato all’organizzazione di due importanti giorna-te di studi: Scuola, Museo Territorio per una didattica dell’Archeologia, organizzata dall’Università degli Studi di Pavia e dal Civico Museo Archeologico di Casteggio e dell’Oltrepò Pavese nel 20022 e il convegno Educare all’Antico. Esperienze, meto-di e prospettive organizzato dall’Università di Pavia nel 20083.

A livello istituzionale, si deve segnalare inoltre la creazione del Laboratorio per la Didattica dell’Archeologia Classica, divenuto poi Centro di Ricerca Interdiparti-mentale per la Didattica dell’Archeologia Classica e le Tecnologie Antiche (CRI-DACT) dell’Università degli Studi di Pavia e l’attività promossa dalla Regione Lombardia per la promozione e la qualificazione della didattica museale nell’am-bito del programma di riconoscimento dei Musei Lombardi (che ha portato tra l’altro all’adozione della figura del Responsabile dei Servizi Educativi), attraverso il finanziamento di progetti specifici e mirate azioni formative4.

A questo desideriamo aggiungere anche l’attività svolta dai musei della Rete dei Musei Archeologici delle Province di Brescia, Cremona e Mantova (MA_net), che unisce attualmente sedici istituti, tra musei, parchi archeologici e musei con

1 Il tema è oggi particolarmente sentito: Swain 2008, pp. 210-212; Zerbini 2008: p. 17.2 Diani et alii 2003.3 Maggi 2008.4 Gasperini, Diani 2003; Diani 2008.

Un approccio sperimentale alla didattica dell’antico nella nuova sezione di archeologia fluviale del Museo di Crema.

Nel 2000 il Museo Civico di Crema e del Cremasco ha introdotto nella propria offerta didattica un nuovo progetto di didattica dell’archeologia denominato Archeologia e Storia a Crema. Il progetto si proponeva in via sperimentale di coinvolgere ogni singola classe in un ciclo di sei incontri da svolgere nel corso di un intero anno scolastico. Sulla base dell’esperienza precedente e in occasione dell’apertura di una nuova sezione del Museo dedicata all’archeologia fluviale si è deciso di proseguire nella sperimentazione con l’obiettivo di introdurre nuove metodolo-gie di comunicazione con i bambini di età scolare. Prendendo spunto dall’esperienza di alcuni musei olandesi che hanno applicato all’allestimento le teorie sull’apprendimento dello psicologo cognitivista americano David A. Kolb, e sull’esempio del Museo di Montebelluna (TV) che le applicate anche al pubblico di età scolare, si presenta in questa sede il nuovo progetto didattico dedicato agli alunni della scuola primaria che verranno a visitare la nuova sezione del Museo.

Thea Ravasi (Museo Civico di Crema e del Cremasco, CR)Claudia Fredella (Parco Archeologico del Forcello, Bagnolo San Vito, MN)

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i diversamente abili. Per questo motivo negli ultimi dieci anni il tema del lifelong learning è diventato un punto centrale della programmazione di numerosi Musei europei. Tra le numerose iniziative si può segnalare il progetto Lifelong Museum Learning9 (LLML), finanziato dalla Commissione Europea tra il 2004 e il 2006, nell’ambito del programma Socrates Grundtvig, che ha coinvolto numerosi ope-ratori del settore conducendoli ad una riflessione su come rendere i propri musei luoghi accoglienti per tipologie di pubblico diverse da quelle tradizionali10.

L’allestimento della nuova sezione di archeologia fluviale e in futuro della nuova sezione di archeologia e storia del Museo di Crema costituiscono un’occasione preziosa per riflettere su questi temi e per sperimentare un nuovo approccio alla comunicazione dei contenuti e all’attività didattica.

Modalità di comunicazione dei contenuti nella nuova sezione di archeologia fluvialePer quanto concerne la comunicazione dei contenuti, le sezioni espositive del Museo Civico di Crema offrono un panorama di tipo sostanzialmente tradiziona-le, con informazioni erogate attraverso pannelli esplicativi o semplici didascalie. Anche le sezioni aperte di recente non si discostano molto da questa impostazio-ne. La sezione di archeologia industriale “Eliseo Restelli”, dedicata alla produzio-ne di macchine per scrivere della Olivetti di Crema, affida la comunicazione dei contenuti esclusivamente al testo scritto, mediante pannelli, didascalie e una gui-da dedicata11. Un primo sforzo per comunicare dei contenuti in modo differente è stato fatto contestualizzando alcuni degli oggetti esposti, mediante la completa ricostruzione di due uffici della fine del 1800 e degli anni ‘60. Un passo avanti verso una comunicazione basata sull’impiego di media differenti e per favorire un approccio autonomo alla visita è stato fatto con la creazione di un percorso tattile destinato ai non vedenti e la realizzazione di audioguide nella sezione etnografica “Casa Cremasca”.

La sezione archeologica, allestita nel 1991, è organizzata attraverso la disposizione diacronica dei reperti, corredati di didascalie interpretative e pannelli esplicativi. La comunicazione dei contenuti non prevede alcuna differenziazione in base alla tipologia di pubblico ed è affidata ad un unico mezzo, la lettura dei testi.

Nella realizzazione della nuova sezione di archeologia fluviale del Museo12, dedi-

9 Gibbs, Sani, Thompson 2007.10 Sani 2008 e nota 7.11 Ravasi 2007.12 Le linee generali dell’allestimento sono elaborate da Massimo Negri (Kriterion Consulting). Il

sezioni archeologiche5, e che nel 2006 ha prodotto una guida tematica dedicata al pubblico scolastico6. Per quest’anno MA_net sta realizzando un progetto co-finanziato dalla Regione Lombardia per il miglioramento dell’attività didattica in ambito archeologico svolta dai musei della Rete7 mediante la realizzazione di sussidi didattici dedicati. Se la didattica dell’archeologia dedicata alle scuole dell’obbligo è ormai ampia-mente diffusa in ambito museale, analizzando il panorama italiano emerge invece una minore attenzione per l’educazione del pubblico degli adulti e una valutazio-ne insufficiente dell’importanza di un’efficace comunicazione dei contenuti nelle esposizioni permanenti e nelle esibizioni temporanee.A livello europeo, l’importanza dell’apprendimento continuo (lifelong learning) è stata sottolineata al momento della sottoscrizione della Strategia di Lisbona nel marzo del 2000, che ha come obiettivo principale quello di migliorare la competi-tività dell’Unione Europea, attraverso l’investimento nelle risorse umane, la lotta all’esclusione sociale e l’incoraggiamento verso un nuovo approccio all’educazio-ne e all’apprendimento. Gli ambiziosi obiettivi del protocollo di Lisbona non sono stati completamente raggiunti ma la filosofia posta alla base di questo e di numerosi altri documenti prodotti dall’Unione ha contribuito allo sviluppo di un ampio dibattito in materia di educazione permanente presso numerose agenzie educative, inclusi i musei8. Si è fatta strada l’idea che gli istituti museali possano costituire centri di sviluppo, rinnovamento e miglioramento delle comunità locali attraverso l’educazione permanente e l’inclusione di gruppi socialmente esclusi, come alcune categorie sociali svantaggiate, le minoranze etniche e linguistiche o

5 A giugno 2008 hanno aderito alla Rete, per la provincia di Brescia, Santa Giulia. Museo della città (Brescia), il Museo Civico Archeologico “G. Rambotti” di Desenzano, il Civico Museo Archeo-logico della Valle Sabbia (Gavardo), il Museo Civico Archeologico della Valtenesi (Manerba del Garda), il Museo Civico di Manerbio, il Museo Civico Archeologico di Remedello; per la provincia di Cremona, il museo Civico “Ala Ponzone” (Cremona), il Museo Civico di Crema e del Cremasco, il Museo Civico di Castelleone, il Museo Civico Archeologico Antiquarium Platina (Piadena), il Museo Archeologico di Gallignano; per la provincia di Mantova, il Museo Civico “G. Bellini” di Asola, il Parco Archeologico del Forcello (Bagnolo S. Vito), il Museo Archeologico dell’Alto Man-tovano (Cavriana), il Museo Civico “A. Parazzi” di Viadana e il Museo Civico di Ostiglia.

6 Guida alla Rete 2006.7 Per la proposta educativa dei musei di MA-net: Morandini, Volontè 2008, pp. 40-45.8 Sul ruolo dei Musei come risorsa per l’educazione permanente la bibliografia è sterminata. Si citano

le pubblicazioni generali più recenti, rimandando a queste per la bibliografia specifica: Black 2005; Falk, Dierking 2000; Falk, Dierking 2002; Falk, Dierking, Foutz (eds.) 2007; Hooper-Gre-enhill 1999. Per la funzione del museo come luogo di integrazione e inclusione sociale: Dodd, Sandell (eds.) 2001; Sandell 2002. Per progetti sperimentali di integrazione sociale e culturale in Museo; Bruce et al.. 2007, che illustra una sperimentazione svolta dalla Galleria di Arte Moderna di Glasgow (GoMA).

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restare nell’ambito dell’oggetto della nostra esposizione, il termine monossile ad esempio non è diffuso nel lessico italiano corrente. D’altra parte la parola piro-ga viene utilizzata generalmente in riferimento ad una determinata morfologia dell’imbarcazione piuttosto che al modo con cui è stata realizzata. Quando non strettamente necessario abbiamo preferito evitare l’impiego di un lessico eccessi-vamente tecnico o in alternativa è stata prevista la spiegazione dei termini “intra-ducibili” adottati nell’esposizione.Spesso inoltre viene dato per scontato che il pubblico sappia come avviene il recupero di un oggetto antico; viene ritenuto superfluo spiegare quali interventi subisce prima di essere esposto, come e dove vengono recuperate le informazioni che si ritrovano poi sui pannelli e nelle didascalie. Una speciale sezione è dedicata proprio alla comunicazione di questi contenuti.

Spesso le figure coinvolte nell’allestimento di una nuova sezione sono prevalen-temente quelle di coloro che forniscono i contenuti. È fondamentale che queste figure siano presenti per garantire la scientificità del percorso espositivo e la cor-rettezza dei dati; tuttavia questo fenomeno ha come conseguenza una certa ten-denza a considerare prioritari nell’allestimento proprio questi ultimi (un aspetto comunque fondamentale, data la natura stessa del museo) rispetto all’esperienza vissuta dal visitatore. Un secondo aspetto che abbiamo voluto tenere in conside-razione è la capacità di comunicare contenuti mediante il coinvolgimento (intel-lettuale, pratico, emotivo) del visitatore. Un approccio più coinvolgente sarebbe quello di utilizzare i contenuti per far vivere un’esperienza al visitatore ovvero far vivere un’esperienza al visitatore per trasmettergli contestualmente i contenu-ti16. Per questo motivo nell’allestimento della nuova sezione delle piroghe lignee del Museo di Crema si è deciso di ampliare la gamma degli strumenti adibiti alla comunicazione dei contenuti, affiancando al tradizionale pannello di testo e immagini, video e strumenti multimediali in grado di coinvolgere il pubblico extrascolastico e delle famiglie a diversi livelli e con approcci differenti lungo tutto il percorso espositivo.

Una sezione particolare è dedicata inoltre ad un percorso narrativo per l’infanzia. Nell’allestimento si è riservata la fascia bassa delle pareti ad un tipo comunicazio-ne rivolta specificatamente al pubblico dei piccoli visitatori, creando un percorso parallelo a quello per gli adulti, che consenta almeno in parte la fruizione auto-noma della visita. Per le scuole materne sarà necessario l’intervento di un adulto per la lettura dei testi, mentre per la fascia di età 8-12 anni è previsto un utilizzo completamente autonomo dei supporti espositivi.

16 Falk, Dierking 2002, pp. 136-137.

cata alle imbarcazioni monossili rinvenute nel corso dei fiumi Adda, Oglio e Po13, si è deciso di affrontare il tema della comunicazione dei contenuti partendo da un presupposto differente. La progettazione dell’esposizione di quattro grandi piroghe ha offerto diversi spunti di riflessione: in primo luogo si trattava di comunicare in modo sempli-ce ed interessante contenuti particolarmente tecnici e lontani dalla quotidianità attuale. Temi come il restauro e la manutenzione dei legni imbibiti, le datazioni al C14 o le modalità di realizzazione di un naviglio partendo da un unico tronco d’albero, non fanno parte del complesso di conoscenze curriculari di un pubblico adulto: il rischio dunque era quello di trattare argomenti che esulano dall’espe-rienza personale del visitatore.D’altro canto, potevamo contare sul fascino dato proprio dalla novità dell’argo-mento trattato e dalla natura stessa dei reperti, suggestivi per la mole imponente e per l’arcaicità della tecnologia utilizzata e realizzati in un materiale, come il legno, che raramente si conserva nei depositi archeologici.Il primo elemento che abbiamo voluto tenere in considerazione è l’approccio individuale alla visita di una sezione. Ciascun visitatore infatti apprende in modo differente e interpreta le informazioni attraverso la lente dei propri valori, delle proprie conoscenze e dell’esperienza precedente. Come ha efficacemente sottoli-neato Maria Laura Tomea Gavazzoli, un allestimento uguale per differenti tipi di pubblico può rapidamente trasformarsi in un “luogo di oggetti dimenticati e ine-spressivi, come ben sanno i museologi, ma come hanno intuito generazioni intere di non – visitatori per le quali la parola museo è stata talora sinonimo di polveroso coacervo di vecchie memorie, o tempio sacro di culto laico per pochissimi”14. Nell’ambito della comunicazione museale è ormai ampiamente condivisa l’idea che la progettazione di un’esposizione temporanea, di un museo o di una sezione museale debba tener conto, nella scelta delle modalità di comunicazione dei con-tenuti, della necessità di coinvolgere ed interagire con diversi tipi di pubblico15.Nel progettare la comunicazione ci siamo dunque posti alcune domande: il vi-sitatore conosce già alcuni concetti? È abituato alla terminologia utilizzata? Per

progetto scientifico è a cura di Thea Ravasi (Museo di Crema), Lynn Pitcher e Barbara Grassi (So-printendenza per i Beni Archeologici della Lombardia).

13 Barbaglio, Ravasi 2008.14 Gavazzoli 2007, pp. 141-142.15 Black 2005. Sul tema della comunicazione museale il consorzio dei musei londinesi (London Mu-

seums Hub) ha condotto tra il 2004 e il 2006 un interessante progetto di ricerca (The say it again Say it differently), che ha dimostrato come solo il 56 per cento dei visitatori del Museum of London, il Geffrye Museum e il London’s Transport Museum abbia trovato comprensibili e facilmente ac-cessibili i testi dei pannelli ed in generale l’organizzazione delle collezioni (Grey, Gardom, Booth 2006. Sul ruolo della comunicazione scritta, pp. 59-7). Nello specifico, per la comunicazione dei contenuti delle collezioni archeologiche, SWAIN 2007, pp. 195-209.

127INSULA FULCHERIA 126 OGGI. LA CONOSCENZA

Dalla combinazione di esse derivano i quattro profili di discenti: . Deliberator (il ponderatore): tende all’elaborazione teorica e alla concettua-

lizzazione astratta; è capace di assimilare grandi quantità di informazioni e analizzarle per arrivare alla comprensione di un fenomeno;

. Doer (il pragmatico): privilegia la sperimentazione attiva e ama essere coin-volto in nuove esperienze. Risolve i problemi in modo empirico, per prove ed errori di tipo intuitivo; si adatta rapidamente a situazioni mutevoli e sa trattare con le persone per ottenere informazioni;

. Dreamer (il sognatore): dotato di grande abilità immaginativa e molte e di-versificate idee, con vasti interessi culturali, sensibile alla dimensione dei sen-timenti e dei valori; privilegia l’esperienza concreta e l’osservazione riflessiva;

. Decider (il decisore): ama prendere decisioni e verificare teorie utilizzando schemi e modelli; riesce bene nei test tradizionali di intelligenza e nella solu-zione di problemi; controlla le proprie emozioni e preferisce avere a che fare con problemi tecnici piuttosto che con le persone.

Ogni singola sezione del percorso è introdotta da una fiaba, finalizzata a suscitare nel piccolo visitatore una curiosità e un’empatia nei confronti dell’argomento che si andrà a trattare e a creare una cornice in cui inserire le nozioni che verranno fornite in seguito. Questa cornice è animata da un personaggio, appositamente creato per legare i vari argomenti ed enunciare concetti tecnici con un approccio ludico. Un secondo livello informativo è dato dalle scritte e dai disegni applicati sulle pareti, che permetteranno un’interazione attraverso i giochi di verifica pen-sati per le varie sezioni. Nel caso in cui saranno intere classi a visitare la sezione, accompagnate da un operatore didattico, compito di quest’ultimo sarà coordina-re le attività in modo che vi possano partecipare tutti, quindi dirigerà il lavoro coinvolgendo l’intera classe nel trovare le soluzioni.

La teoria degli stili di apprendimento di KolbLa realizzazione della nuova sezione di archeologia fluviale del Museo rappresenta l’occasione per avviare un progetto sperimentale legato alla comunicazione, appli-cando al percorso espositivo la teoria sugli stili d’apprendimento dello psicologo cognitivista americano David A. Kolb17.L’idea di utilizzare in ambito museale la teoria di Kolb, è scaturita dalla frequen-tazione del corso di formazione, Lifelong Museum Learning, organizzato nel 2006 dall’Associazione dei Musei Olandesi (Museumvereniging). Il workshop era fi-nalizzato a promuovere la formazione del personale dei musei che si occupa di educazione per gli adulti ed è stata approfondita in particolare, l’applicazione in ambito museale, della teoria di Kolb, attraverso l’analisi dell’esperienza di alcuni musei olandesi,Il lavoro di Kolb, rappresenta una sintesi delle ricerche sul processo di apprendi-mento fondato sull’esperienza (John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget), e la sua teoria si basa sul presupposto che l’apprendimento è un processo sociale di tutta la vita (lifelong learning), si può dunque apprendere in qualsiasi situazione.Kolb per classificare il modo in cui gli individui apprendono dalle situazioni e usano la propria esperienza, individua due modalità principali visualizzate sugli assi del cerchio (fig. 1): la prima mostra preferenza per l’osservazione riflessiva (guardare) o per la sperimentazione attiva (fare); la seconda per l’esperienza con-creta (sentire) o per la concettualizzazione astratta (pensare). Per Kolb nel proces-so di apprendimento sono coinvolte tutte le modalità citate ma ogni individuo, a seconda della propria esperienza e della situazione concreta d’apprendimento, applicherà preferibilmente alcune modalità.

17 Kolb 1984, 2005

Fig.1. Rappresentazione grafica del ciclo di apprendimento di David. A. Kolb (da HOOGSTRAAT – HEIN 2006)

129INSULA FULCHERIA 128 OGGI. LA CONOSCENZA

Ogni individuo non necessariamente infatti applica sempre il medesimo stile di apprendimento e la consapevolezza delle proprie modalità conoscitive non deve rappresentare una gabbia rigida a cui adattarsi ma al contrario uno strumento per porsi nella posizione di maggior ricettività nei confronti degli stimoli esterni.Un’esperienza italiana di allestimento, basato sulla teoria di Kolb è stata realizzata al Museo di Storia Naturale e di Archeologia di Montebelluna in occasione della mostra “Il fuoco di Vulcano. Le età dei metalli”, il cui direttore Monica Celi ha partecipato al corso Lifelong Museum Learning.La mostra di Montebelluna18 ben si prestava all’applicazione del metodo, poiché trattando la lavorazione dei metalli offriva la possibilità di affiancare ai reperti archeologici, che consentono solo l’osservazione, un percorso dedicato alla tecni-ca metallurgica. Grazie dunque ad esempio all’esposizione di minerali, di copie degli strumenti per la lavorazione e di manufatti finiti, veniva offerta al visitatore la possibilità di fare e sperimentare. Infine, la forte valenza simbolica del metallo come bene prezioso e il suo conseguente legame con il mito rendevano il percor-so ricco di suggestioni capaci di coinvolgere anche la sfera emotiva. Nel caso di Montebelluna in fase di allestimento si è elaborato uno schema per associare agli elementi espositivi i modelli di apprendimento, per i quali erano stati pensati (alcuni potevano ovviamente soddisfare più modelli) ed è stato quindi appron-tato un questionario, distribuito ai visitatori, dove indicare con un voto il loro personale gradimento dei vari elementi espositivi. Infine i dati raccolti sono stati incrociati con i risultati dei test di Kolb, che i visitatori eseguivano al termine della visita per individuare il proprio stile d’apprendimento.Come sottolineato dalle curatrici della mostra una difficoltà dell’indagine è stata il coinvolgimento di un campione esiguo di visitatori (67), ma i dati raccolti rap-presentano in ogni caso un successo, poiché evidenziano come nel 63% dei casi ci sia una piena aderenza tra lo stile di apprendimento e i relativi elementi espositivi e solo nel 6% una totale divergenza. Se ne deduce quindi che la diversificazione delle modalità espositive, strutturata secondo la teoria di Kolb, rappresenta un utile strumento di comunicazione per i musei, che intendano coinvolgere un pubblico più vasto e lavorare in un’ottica di maggior attenzione ai bisogni e alle aspettative del visitatore.La sperimentazione di Montebelluna non si è limitata al visitatore adulto, ma ha coinvolto anche il pubblico scolastico. Sono stati distribuiti questionari alle insegnati per comprendere l’impatto dell’esposizione sull’utenza scolastica e agli alunni per valutare l’effetto delle diverse modalità espositive. Seppur l’elabora-zione di questi dati sia ancora in corso, dai risultati preliminari si deduce che il lavoro sugli stili d’apprendimento può rappresentare un valore aggiunto anche

18 Celi - Gilli 2008.

Kolb ha inoltre messo a punto un test che permette di identificare il proprio stile d’apprendimento prioritario, la cui versione semplificata verrà utilizzata per classificare l’utenza e valutare di conseguenza l’efficacia degli strumenti di comu-nicazione messi a disposizione delle diverse tipologie di visitatore.È infatti possibile associare ai profili d’apprendimento sopra descritti diverse tipo-logie di elementi espositivi che soddisfino le loro modalità di apprendimento e di conseguenza le loro aspettative.Il Deliberator ad esempio è il profilo che potremmo definire più affine ad un alle-stimento “tradizionale”, che legge ed assimila con facilità le nozioni enunciate dai pannelli e che gradisce molto il confronto con il parere di un esperto. Il visitatore Doer al contrario, difficilmente apprende dalla lettura e dall’osservazione e predi-lige invece la sperimentazione attiva, quindi l’allestimento per coinvolgerlo deve fornire nuove esperienze ed essere interattivo.Anche per il Dreamer è importante l’esperienza concreta, ma più che fare ha bi-sogno di provare emozioni e dunque l’allestimento che lo stimola maggiormente sarà quello che pone gli oggetti in un contesto suggestivo ed evocativo. Può inol-tre apprezzare suoni, filmati, citazioni letterarie.Infine il Decider è il visitatore che ama l’applicazione concreta delle idee e cerca dunque nell’allestimento gli strumenti e la possibilità di verificare teorie e risol-vere problemi. Può gradire dunque un’esposizione funzionale e che preveda mo-menti di verifica da parte del visitatore, nei quali mettere alla prova le sue abilità.

Durante il workshop in Olanda due casi di studio proposti sono risultati parti-colarmente stimolanti per la discussione dell’applicazione museale della teoria di Kolb. In primo luogo la visita al University Museum di Utrecht, che conserva una collezione scientifico-naturalistica, dove l’utilizzo della teoria di Kolb nell’al-lestimento è dichiarato in modo esplicito e il visitatore viene invitato ad eseguire preliminarmente il test per individuare il proprio stile e poi essere guidato dal colore corrispondente al suo profilo durante la visita alle collezioni.La seconda esperienza riguarda invece una mostra temporanea “Mary Magdalen, Jesus’ best friend”, allestita in Castle Bergh di ‘s-Heerenberg, la cui curatrice, Annemarie Vels Heijn, aveva predisposto il percorso espositivo per soddisfare i diversi tipi di apprendimento ma lasciando il visitatore libero di fruire dell’alle-stimento nel suo insieme. Con i partecipanti al corso si è poi verificato al termine della visita quali strumenti (testi dei pannelli, brani letterari, immagini, suoni, costumi, ambientazione degli oggetti etc.) fossero più apprezzati da una tipologia di discente piuttosto che da un’altra.Il secondo approccio ci è parso più utile alla sperimentazione poiché il visitatore non risulta aprioristicamente condizionato ed è quindi più libero di apprendere secondo il proprio stile e recepire tutti gli stimoli che l’allestimento intende of-frirgli.

131INSULA FULCHERIA 130 OGGI. LA CONOSCENZA

DOER DREAMER DECIDER DELIBERATOR

Collezioni esposte X X XFilmato LA SCOPERTA DELLE PIROGHE X XPannelli LA SCOPERTA DELLE PIROGHE XFiaba LA SCOPERTA DELLE PIROGHE X XFilmato LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHE X X X XPannelli LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHE X X XFiaba LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHE X XTappeto multimediale X X Pannelli L’UTILIZZO DELLE PIROGHE XFiaba L’UTILIZZO DELLE PIROGHE X XGioco con sagome di scenari di UTILIZZO DELLE PIROGHE da associare a testi descrittivi X XPannelli LA PIROGA E IL FIUME XFiaba LA VITA SUL FIUME X XStendardi e video con evocazione dei paesaggi d’acqua antichi tramite brani letterari e immagini simbolo. X XPannelli LO STUDIO DEI LEGNI ANTICHI XFiaba LO STUDIO DEI LEGNI ANTICHI X XGioco per la definizione delle specie legnose, con pezzi di legni di essenze differenti da associare con descrizioni e sagome di piante e disegnate sulla parete. X X L’ambiente nel suo insieme X 5 11 5 14 Tab. 1 – Applicazione dei profili individuati da Kolb alla sezione di archeologia fluviale del Museo di Crema.

Già da un’analisi preliminare della tabella 1 risulta evidente una sproporzione nell’offerta espositiva per i vari stili, che evidentemente penalizza il Doer e il De-cider, che potremmo definire i più pragmatici e concreti. Se confrontiamo questo dato con il caso di Montebelluna diventa comprensibile come questa discrepanza dipenda in parte dall’argomento dell’esposizione, dal quale non si può ovviamen-te prescindere, e in parte dalle possibilità di approntare postazioni che prevedano una partecipazione attiva del visitatore (es. copie di manufatti da toccare e provare a utilizzare, materie prime con cui testare varie fasi di lavorazione).Un’ipotesi formulata a priori, che sarà interessante verificare, riguarda il profi-lo del Doer, al quale sono stati attribuiti come congeniali anche strumenti non usualmente associati a lui, ovvero i pannelli didattici e i video, ma perché ap-partenenti alla sezione relativa alla costruzione delle piroghe, il cui argomento dovrebbe interessare soprattutto questo profilo.Nel caso di Crema un limite alla realizzazione di postazioni interattive è stato il fatto che l’allestimento si sviluppi in una sola sala e di conseguenza lo stesso spazio

nel rapporto scuola- museo. Può infatti essere uno strumento stimolante, sia per l’insegnante sia per l’operatore museale, nel creare offerte didattiche diversificate e per valorizzare il ruolo del museo come luogo di formazione

Ad esempio individuare il modo di apprendimento di un alunno può permettere di comprendere se eventuali difficoltà d’apprendimento siano imputabili alle sue abilità o invece alla mancanza di stimoli per il suo stile. L’esperienza in museo può dunque rappresentare da un lato un’occasione per gli alunni per prendere coscienza delle loro potenzialità conoscitive e dall’altro permettere all’insegnante e all’operatore museale di adeguare la propria metodologia didattica agli stili dei soggetti cui si rivolge, non di dimenticando che i diversi stili hanno un valore funzionale che varia secondo i contesti e gli obiettivi: è difficile sostenere che uno stile è in assoluto preferibile all’altro, dato che quelli che sono i vantaggi offerti da una modalità di apprendimento possono diventare dei limiti in un’altra situazio-ne. Importante obiettivo di un’esposizione museale è dunque creare un ambiente che favorisca nel migliore dei modi il processo di apprendimento, diversificando gli elementi al proprio interno.

Nel caso dell’allestimento della sezione di archeologia fluviale di Crema, si è cer-cato di diversificare le fonti di informazione per soddisfare le esigenze delle diverse modalità di apprendimento sopra descritte. Un allestimento di tipo tradizionale, che affianca agli oggetti esposti pannelli con testi, immagini e didascalie, incon-tra sicuramente il favore del Deliberator, ma resta spesso povero di stimoli per le altre tipologie di discenti. Arricchire l’esposizione con filmati, riproduzioni, in-stallazioni multimediali e elementi interattivi può invece favorire l’interesse di un pubblico più diversificato. Prendendo spunto da quanto realizzato a Montebel-luna, nella tabella 1 sono elencati i singoli elementi espositivi e i profili di utenti per i quali sono ritenuti appropriati. Nell’elenco non si è volutamente distinto il percorso per gli adulti da quello per l’infanzia poiché entrambe le categorie di visitatori sono libere di fruire di tutti gli strumenti comunicativi e talvolta capita che siano i giochi pensati per i bambini a rappresentare la maggior attrazione anche per gli adulti, o che viceversa i bambini risultino interessati dai testi e dalle immagini del percorso degli adulti.Questa associazione tra gli elementi espositivi e gli stili di apprendimento sarà verificata tramite l’analisi delle votazioni attribuite dai visitatori ai vari elementi (tabella 2) incrociata con il dato relativo ai risultati dei test di Kolb, che verranno proposti al termine della visita.Per cercare di ottenere un campione di indagine sufficientemente ampio si pro-porrà il questionario soprattutto ai gruppi di visitatori, informandoli e motivan-doli preventivamente.

133INSULA FULCHERIA 132 OGGI. LA CONOSCENZA

quali i bambini si avvicinano alle collezioni museali e alla conoscenza dell’antico attraverso l’esperienza di un’attività pratica emotivamente coinvolgente: lo scavo archeologico, il gioco di ruolo, la tessitura, la fabbricazione e la decorazione di un vaso, il mosaico e la redazione di una pagina di storia. La scoperta della vita nel Medioevo avviene attraverso la realizzazione di attività pratiche come la decora-zione della ceramica graffita rinascimentale o la realizzazione di una miniatura. Sul piano didattico l’attività è impostata prevalentemente sul concetto del lear-ning by discovery evitando il più possibile un approccio di tipo frontale e fornendo agli alunni gli strumenti per leggere e comprendere le collezioni esposte. Uno degli obiettivi prioritari del progetto, fin dai suoi inizi è stato non solo quello di trasmettere la conoscenza del patrimonio storico del territorio ma soprattutto di fornire gli strumenti a ciascun alunno per accedere in modo autonomo ad una collezione archeologica. La lettura e la comprensione del materiale archeologico, che spesso è difficile da riconoscere (perché in frammenti come la ceramica o perché alterato dalla permanenza nel terreno per molti secoli come il bronzo o il ferro) o da contestualizzare (perché ad esempio alcuni oggetti o strumenti non appartengono più alla quotidianità di ciascuno di noi), è mediata dunque dalla presenza dell’operatore didattico.

L’allestimento della nuova sezione di archeologia fluviale costituisce l’occasione per riflettere sui risultati raggiunti dal progetto e per strutturare una nuova propo-sta che sarà sperimentata nel corso dell’A.S. 2009-2010 con un gruppo ristretto di classi. Nel corso dell’anno, gli alunni delle classi che parteciperanno al progetto saranno costantemente monitorati attraverso questionari opportunamente predi-sposti per valutare i risultati del progetto.

Il nuovo progetto didattico Tutti a bordo ha come obiettivo principale la cono-scenza dell’importante patrimonio di imbarcazioni fluviali del Museo. Le piroghe furono rinvenute nel letto dei fiumi Adda e Oglio, e provengono dunque da un territorio che in parte è al di fuori del comprensorio territoriale cremasco. La frequentazione del fiume costituisce un elemento caratterizzante delle attività umane fin dalla preistoria: per secoli i fiumi hanno rappresentato una risorsa fondamentale per garantire gli spostamenti sul territorio, favorire le relazioni di scambio commerciale e per l’approvvigionamento alimentare. Fiumi e canali han-no rappresentato inoltre il luogo d’eccellenza per la definizione dei confini e delle proprietà territoriali. Non è un caso dunque che fin dall’antichità la prossimità al fiume abbia rivestito un ruolo di primaria importanza e costituito un fatto-re determinante per la selezione degli spazi insediativi. Oggi molto è cambiato: la viabilità principale è affidata alle ruote e alle rotaie e il fiume, pur restando una risorsa preziosa per lo svolgimento di numerose attività umane, è passato indubbiamente in secondo piano. Le attività “minori”, come la coltivazione e la

espositivo non consenta di articolare maggiormente il percorso, per scongiurare il rischio di creare troppa confusione nel visitatore e perdere l’impatto suggestivo dei reperti, le piroghe, che devono rimanere al centro dell’attenzione.

0 1 2 3 4

Le piroghe esposteFilmato LA SCOPERTA DELLE PIROGHEPannelli LA SCOPERTA DELLE PIROGHEFiaba LA SCOPERTA DELLE PIROGHEFilmato LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHEPannelli LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHEFiaba LA FABBRICAZIONE DELLE PIROGHETappeto multimedialePannelli L’UTILIZZO DELLE PIROGHEFiaba L’UTILIZZO DELLE PIROGHEGioco con sagome di scenari di UTILIZZO DELLE PIROGHE da associare a testi descrittiviPannelli LA PIROGA E IL FIUMEFiaba LA VITA SUL FIUMEStendardi e video con evocazione dei paesaggi d’acqua antichi tramite brani letterari e immagini simboloPannelli LO STUDIO DEI LEGNI ANTICHIFiaba LO STUDIO DEI LEGNI ANTICHIGioco per la definizione delle specie legnose, con pezzi di legni di essenze differenti da associare con descrizioni e sagome di piante e disegnate sulla parete.

Tab. 2 – Tabella per il monitoraggio del gradimento dei diversi elementi dell’esposizione. Ad ogni elemento il visitatore dovrà assegnare un punteggio da 0 a 4.

Il progetto didattico Tutti a bordoAccanto alla riflessione specifica sulle modalità di comunicazione da adottare nel percorso espositivo, per l’anno scolastico 2009-2010 è prevista la realizzazione di un nuovo percorso didattico dedicato al pubblico delle scuole dell’obbligo e della scuola superiore. Dal 2001 il Museo ha avviato una programmazione didattica autonoma della sezione archeologica nell’ambito del progetto Archeologia e Storia a Crema19, ri-volto alle scuole primaria e secondaria. Il progetto si articola in lezioni, visita delle sezioni di storia e archeologia del museo e laboratori didattici, nel corso dei

19 Ravasi, Cremonesi 2002. Al progetto è dedicato il sito web www://sites.google.com/site/archeologiaestoriaacrema.

135INSULA FULCHERIA 134 OGGI. LA CONOSCENZA

servando alcuni dettagli, come il materiale, la forma e alcuni accorgimenti tecnici ancora visibili sulle piroghe. Questo approccio servirà a stimolare un soggetto di tipo dreamer, portato all’osservazione, ma anche un doer, desideroso di fare, e un decider pronto a verificare la corrispondenza tra le informazioni teoriche fornite e la pratica. Utilizzando i pannelli predisposti si cercherà di capire la natura delle differenti essenze di legno e come gli archeologi oggi recuperano delle informa-zioni storiche attraverso l’analisi del materiale (radiocarbonio, dendrocronologia).

3 – Chi erano gli uomini che fecero la piroga? Utilizzando i pannelli mobili pre-disposti, con rappresentati gli strumenti per scavare una piroga, la classe viene coinvolta in un gioco interattivo per ricostruire le differenti tappe del processo. Questa attività coinvolge certamente il doer, ma anche il decider sempre per la sua attitudine alla verifica delle informazioni teoriche ricevute.

4 – utilizzando i pannelli mobili predisposti, con rappresentati i diversi modi di utilizzare la piroga e di frequentare il fiume saranno ricostruiti degli scenari pos-sibili (preistoria, età romana e altomedioevo). Emergerà come per secoli popoli differenti utilizzarono le medesime conoscenze producendo manufatti sostanzial-mente simili. Questa attività, che presuppone l’apprendimento di informazioni tramite l’osservazione e l’ascolto della spiegazione dell’esperto potrà incontrare il favore in particolare del deliberator.

raccolta dei falaschi, la pesca, il piccolo trasporto di merci e persone da una riva all’altra del fiume, che richiedevano l’impiego di imbarcazioni come le piroghe, sono quasi del tutto scomparse o mantenute sotto forma di attività turistiche e ricreative (come la pesca). Obiettivo primario del progetto didattico dunque è quello di recuperare il significato storico della frequentazione antropica dei fiu-mi Adda, Oglio e Po, con particolare riferimento ai differenti modi di impiego delle piroghe nel tempo. Il secondo obiettivo è invece legato alla conoscenza di una tecnologia, quella del legno, che negli ultimi cinquanta anni ha subito una trasformazione radicale (si pensi ad esempio al passaggio dalla lavorazione del legno massiccio all’introduzione del laminato e del truciolare) e che con l’avvento della produzione industriale ha visto scomparire enormi quantità di manufatti (dall’attrezzatura agricola alla piccola utensileria). Un patrimonio di conoscenze è quasi completamente scomparso dall’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, dalla conoscenza della qualità delle diverse essenze di legno per la realizzazione di manufatti differenti, alla modellazione del legno con l’acqua e con il fuoco. Il terzo obiettivo è legato invece alla ricerca attuale e al “fare storia” partendo dai documenti, e si inserisce nella normale programmazione curriculare dell’insegna-mento della storia.Nel realizzare il percorso per l’infanzia si è tenuto conto che i profili d’apprendi-mento peculiari di questa età sono il Doer e il Dreamer e dunque il metodo per l’apprendimento anche di concetti difficili, quali ad esempio le analisi chimiche che si possono fare sui legni, possono tuttavia passare attraverso l’esperienza pra-tica (toccare con mano le diverse essenze) o mediante il coinvolgimento emotivo dell’alunno (immedesimarsi nel ruolo dell’archeologo alla scoperta di testimo-nianze antiche).Il percorso didattico si articola in tappe differenti e ha una durata di circa 1,5 ore:

1 – Ambiente reso suggestivo dalla simulazione dell’acqua nella quale si cammina. La classe entra, nel più assoluto silenzio e... inizia la storia. La prima tappa del percorso è la lettura di una fiaba che racconta la storia di un mondo antico in cui l’uomo frequentava le rive del fiume con una barca senza motore. La storia prose-gue con la narrazione della scoperta delle piroghe e di un passato che ritorna alla luce. La suggestione dell’ingresso è pensata per catturare l’attenzione del visitatore in particolare del profilo Dreamer.

2 – I bambini si immedesimano nel ruolo dell’archeologo, che attraverso l’osserva-zione dei reperti e la loro ricontestualizzazione storica, recupera delle informazio-ni. Il disegno aiuta l’analisi dei materiali e l’osservazione dei particolari. Attraver-so il disegno dunque si definiscono le caratteristiche tecniche delle imbarcazioni e si cerca di capirne le funzioni. Per questo motivo i bambini saranno invitati, con fogli e matite colorate, a osservare e riprodurre le imbarcazioni esposte, os-

137INSULA FULCHERIA 136 OGGI. LA CONOSCENZA

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anthus markes

collana del

Parco archeologico del Forcello

(Bagnolo san Vito - mantoVa)

archeologia e amBiente

a cura di

claudia Fredella

saPSocietàArcheologica

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n. 12011

Programma attività settembre/ottobre 2011

Dal 5 al 30 settembreCampagna di scavi dell’Università degli studi di Milano nel sito etrusco del ForcelloIn questo periodo sarà possibile prenotare visite guidate agli scavi in corso edassistere al lavoro degli archeologi sul campo.

8-11 settembre Il Parco del Forcello ospite al Festival letteratura di MantovaIn occasione della presentazione al Festival dei “Quaderni di Archeologia” verrannorealizzati laboratori didattici ai Giardini Valentinigiovedì 8 - ore 14.30 Il mestiere dell’archeologosabato 10 - ore 14.30 Trame del passato - laboratorio di tessitura e intrecciodomenica 11 - ore 17.15 L’arte del vasaio -laboratorio di modellazione della ceramica

Domenica 11 settembre Dalle 15 alle 18. Apertura straordinaria e visite guidate agli scavi in corsonell’abitato etruscoProiezione del documentario “Dagli etruschi ai Gonzaga: 2000 anni di storialungo il Mincio” – Realizzato dal Laboratorio di Valorizzazione e Comunicazionedei Beni Archeologici dell’Università IULM.Ore 18.00. Presentazione del primo numero della pubblicazione del ParcoArcheologico del Forcello “Anthus Markes”

Domenica 18 settembre Ore 18.00 CONCERTO DI FINE ESTATECon i docenti del corso di musica organizzati dall’Amministrazione Comunale.Ingresso gratuito

24/25 settembre Giornate Europee del Patrimonio e Fai il pieno di Cultura Archeologia sperimentaleIl dott. Roberto Deriu inaugurerà, con un evento di cottura di vasellame etruscopadano e celtico, la nuova copertura realizzata per le due fornaci già attive al parco.Sabato 24: cottura della ceramica e dimostrazione e sperimentazione dell’attività dimodellaggio dei recipienti ceramiciDomenica 25: estrazione del vasellame cotto

Giovedì 29 settembreOre 17.30 Conferenza del prof Raffaele C. de Marinis e del dott. Tommaso Quirinodi presentazione dei risultati delle campagne di scavo 2011

Domenica 2 ottobreOre 15.30 “La casa di Venzal”Presentazione del modello, opera del Dott. Leonardo Lamanna, di una delle case delForcello realizzata con la tecnica cosiddetta del Block bau e laboratorio di ricostruzionedi una casa con la tecnica dell’incannucciato.

In copertina:Foto aerea del’area del Forcello con i laghi di Mantova sullo sfomdo e scavi in corsonell’abitato etrusco

€ 9,00

ISBN 978-88-87115-69-79 788887 115697

La Rete MA_net

Rete dei Musei Archeologici delleprovincie di Brescia, Cremona e Mantovawww.museiarcheologici.net

La Rete MA_net, che unisce attualmente 17 enti, tra cui il Parco Archeologico delForcello, è nata nel 2004 con l’obiettivo di favorire la collaborazione, l’interazionee il costante contatto tra i musei aderenti al fine di garantire una migliore edintegrata valorizzazione e fruizione del patrimonio archeologico.Fanno parte della rete realtà assai eterogenee: i musei delle città capoluogo diBrescia e Cremona, con ricche collezioni diacroniche e una struttura organizzativaed operativa grande e rodata; i musei territoriali, caratterizzati da una forte conte-stualizzazione delle collezioni, frutto il più delle volte di attività di monitoraggio delterritorio avvenute nei decenni passati ed infine musei locali con raccolte dimateriali che provengono da un territorio corrispondente spesso al solo ambitocomunale. Queste caratteristiche comportano conoscenze teoriche e pratichediverse, basate anche sulle diverse esperienze del personale, ma situazioni cosìdifferenti hanno costituito lo stimolo per doverosi e importanti confronti, tesi allasoluzione di problemi di altri o al trasferimento di modalità già consolidate neimusei più ampi.L’intento della Rete è quello di sviluppare iniziative e progetti comuni, nella consa-pevolezza che un’ottica territoriale allargata è quella che offre le migliori possibilitàdi individuare e comprendere fenomeni storici di portata significativa, nonché dicondividere la realizzazione di questi progetti, con il fine di ottimizzare le risorseumane e finanziarie. Inoltre la rete vuole costituire un soggetto unitario perdialogare con gli enti interessati alle problematiche della conservazione, esposizionee cura delle collezioni archeologiche e con le istituzioni coinvolte nelle politichesui beni archeologici.Dalla Rete sono nati prodotti editoriali, mostre, catalogazioni, progetti di studio,offerte educative condivise con attenzione a pubblici diversi, nonché uno scambiocontinuo e proficuo di informazioni.

PalazzoPignano

Anthu Marke

Per quale motivo alla pubblicazione del ParcoArcheologico del Forcello, che si spera possaavere continuità nel corso del tempo, è statodato il nome di Anthuś Markeś? Il motivo èsemplice, è il nome di un antico abitante delForcello tramandato fino a noi da un’iscrizionescoperta nell’autunno del 1981 nella parte piùmeridionale del Forcello, circa 160 metri a norddella cascina Berla.L’iscrizione è stata impressa prima della cotturalungo il fondo interno del piede di una ciotola inceramica fine di tipo etrusco-padano. Fu raccoltasubito dopo le arature da Gualberto Storti,allora conservatore del museo di Pietole Virgilio,e mi venne consegnata ancora incrostata diterreno in occasione di un mio sopralluogo.Quel giorno mi ero recato a Mantova, contra-riamente alle mie abitudini, in treno. Seduto suuna panchina della stazione ferroviaria osservaiattentamente il fondo della ciotola, su cui si in-travedeva la presenza di un’iscrizione. Nonseppi resistere alla tentazione e cominciai apulirlo dal sedimento terroso lentamente e conle cautele del caso. Arrivato a Milano l’iscrizioneappariva ormai leggibile in tutta la sua comple-tezza: “:anthuś.markeś:”. Era la definitiva con-ferma dell’etruschicità dell’abitato del Forcello.Si tratta di una delle cosiddette iscrizioni parlanticon prenome e gentilizio al genitivo, il caso in-dicante il possesso, la pertinenza del manufatto:“io sono di ......”. È come se l’oggetto parlasse,rivelando di appartenere a qualcuno. La maggiorparte delle iscrizioni del Forcello di carattereonomastico ha solo il nome personale, comequasi di norma nell’Etruria Padana, e non laformula bimembre, con prenome e gentilizio.Marke è un nome individuale ben noto nell’Etruriameridionale (latino Marcus), ma in questo casoè in funzione di gentilizio, cioè indica il nomedella gens – concetto più o meno assimilabilea quello attuale di casato - a cui apparteneva ilsoggetto. L’uso di gentilizi derivanti da nomi in-dividuali è ben attestato a Chiusi nell’Etruria in-terna. Per la posizione che occupa all’iniziodell’iscrizione Anthu è un nome individuale cherichiama il nome femminile arcaico Anthaia, at-testato a Tarquinia, il gentilizio noto ad Ascianocon una forma genitivale femminile, Anthual, eil nome Ανθω, figlia di Amulio, re di Alba Longa,riportato da Plutarco nella Vita di Romolo. Danotare che la ω greca in etrusco viene trascrittacon “u”. Nomi femminili uscenti in –u sono atte-stati in etrusco, ad es. nella tomba del Cardinaledi Tarquinia (“ra(v)nthu”), sebbene più raramenterispetto a quelli uscenti in –a. In conclusione èpossibile che il personaggio dell’iscrizione delForcello fosse una donna. Quello che è certo èil fatto che la formula onomastica bimembre el’impressione dell’iscrizione prima della cotturadenotano una particolare importanza di questopersonaggio vissuto al Forcello 2500 anni fa.

RAFFAELE C. DE MARINIS

Cattedra di Preistoria e Protostoria

Università degli Studi di Milano

È una grande soddisfazione per il Comune di Bagnolo San Vito presentare il primonumero della collana Anthus Markes, dedicata all’archeologia, alla didattica e allaricerca sperimentale, con un’ovvia, particolare, attenzione alle ricerche in corso nelsito etrusco del Forcello.È dal 2006, con l’inaugurazione del Parco Archeologico, che questa amministrazioneha sostenuto la valorizzazione di questa eccellenza e soprattutto la fruibilità daparte del grande pubblico di questo luogo dove ricerca, sperimentazione e didatticahanno trovato forte sinergia d’intenti.Anche questa pubblicazione, realizzata grazie al fondamentale patrocinio e sostegnodi Regione Lombardia e al costante impegno scientifico e comunicativo dell’equipedi archeologi diretti dal prof. Raffaele de Marinis, ben si inserisce in un progetto dicarattere prettamente divulgativo, finalizzato a restituire i tesori del nostro patrimonioarcheologico ad un pubblico di non esperti perché possa essere compreso il lorovalore e la necessità di una loro tutela da parte di tutta la comunità.

MARIA ROSA BORSARI

Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Bagnolo San Vito

Il Forcello, buona pratica per la valorizzazione del patrimonio archeologico regionale

Le due caratteristiche più evidenti del patrimonio archeologico della Lombardia sonola capillare diffusione e, tranne poche eccezioni, la ridotta monumentalità delleevidenze. La combinazione di questi due fattori, unita ad una vocazione dellaregione a connaturarsi come area produttiva più che turistica, ha determinato la per-cezione -diffusa anche tra addetti ai lavori- che poco ci sia di archeologico nelterritorio lombardo. Negli ultimi anni tuttavia tale immagine si è andata trasformando e, complice la rea-lizzazione di importanti opere pubbliche, parcheggi urbani e il proseguimento dellacampagne di ricerca, l’archeologia si è finalmente rivelata come una risorsaimportante sotto il profilo turistico e culturale.A riprova di ciò la presenza in Lombardia della più alta concentrazione di sitiUnesco in Italia (9 dei 47 italiani) e di cui ben quattro (Arte rupestre in Valcamonica,Monte San Giorgio, Palafitte dell’arco alpino, Centri di potere e culto nell’Italia Lon-gobarda) sono siti archeologici.Data al 1984 la prima legge regionale che prevede interventi di restauro evalorizzazione “per la tutela del patrimonio edilizio di valore ambientale, storico, ar-chitettonico, artistico ed archeologico”, e con alcune opportune integrazioni rappresentaancora lo strumento normativo che consente l’erogazione di interventi a sostegnodel patrimonio archeologico. L’obiettivo da raggiungere si è nel tempo trasformato, ementre in passato gli interventi si indirizzavano essenzialmente a sostegno dellaconservazione materiale dei beni, ora sono prioritari gli interventi che consentono lafruizione e la diffusione delle conoscenze.Questa mutata prospettiva trova le sue ragioni nel riconoscimento della necessità diintraprendere azioni di educazione al patrimonio. La semplice realizzazione diinterventi di conservazione non può più infatti giustificare l’erogazione di denaropubblico, sottratto ad altri interventi più direttamente legati alla vita quotidiana delcittadino e la cui necessità è immediatamente percepita; se si ritiene giusto finanziarela realizzazione di uno scavo piuttosto che il restauro di un sito è importante renderepartecipe la comunità locale delle scelte intraprese. Alla realizzazione dell’interventoè pertanto necessario affiancare delle azioni che diano conto di quanto si starealizzando, seguendo un percorso che, a partire dai cartelli di cantiere apposti, finoalla realizzazione di pannelli didattici e aperture al pubblico dell’area documentianche ai non addetti ai lavori il valore di quanto viene realizzato.In tale ottica diviene esemplare il percorso che ha condotto alla realizzazione delParco Archeologico del Forcello e che ne vede ora una continua crescita propositiva,aperta con intelligenza alla comunità. La difficoltà di lettura delle evidenze archeologicheè stata uno stimolo per la realizzazione di laboratori, per lo sviluppo di attività di ar-cheologia sperimentale, per la stesura di quaderni didattici che hanno affiancato leaperture con visite guidate dell’area.Il coinvolgimento della comunità locale, che con il Comune e la Pro Loco hannoaderito e sostenuto il progetto, ha consentito lo sviluppo di progetti per gli adulti, chespaziano dalla cucina alla mediazione culturale, facendo del parco un vero “luogo dicultura” per citare la definizione del Codice dei beni culturali, un luogo cioè apertoalla diffusione della conoscenza, fruibile e fruito da residenti, scolaresche e visitatori.Tutto ciò senza trascurare l’aspetto legato alla ricerca scientifica, dato che lo scavoè -da quasi trent’anni ormai- anche un momento di formazione e studio per studentie studiosi dell’Università degli Studi di Milano. Date queste premesse risulta chiaramente comprensibile la ragione del sostegnodato negli anni da Regione Lombardia a questo parco, che rappresenta davvero unabuona pratica di valorizzazione del patrimonio archeologico e ne fa davvero un “pa-trimonio” condiviso per l’intera comunità regionale.

MONICA ABBIATI

Direzione Generale Cultura- Regione Lombardia

Anthus Markes n.1, 2011collana del

Parco Archeologico del Forcello(Bagnolo San Vito - Mantova)

Numero monografico: Archeologia e ambiente

A cura di: Claudia Fredella

© 2011 - Per le figure: autori dei testi. Per i dise-gni delle ricostruzioni: Tino Adamo e GuglielmoCalciolari . Per le fotografie: autori dei testi eStaff Parco Archeologico del Forcello. Per lefoto aeree Compagnia Generale RipreseAeree, Parma e Renzo Bertasi, Desenzano.

© 2011 - CNR - I.D.P.A. Milano, Università degliStudi di Milano; Università di Modena e Reg-gio Emilia, Parco Archeologico del Forcellodi Bagnolo San Vito (MN).

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, memo-rizzazione o trascrizione con qualsiasi mezzo(elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco,cinema, radio, televisione) sono vietate senzaautorizzazione scritta degli autori dei singolicapitoli. Qualsiasi violazione è punibile anorma di legge. Riguardo alle illustrazioni gliautori hanno richiesto l’autorizzazione degliaventi diritto. Nel caso di irreperibilità si restaa disposizione per l’assolvimento di quanto oc-corra nei loro confronti.

Citazione Articolo Monografico:C. Fredella (a cura di) 2011, Archeologia e am-biente, Anthus Marches n.1, SAP Società Ar-cheologica, Mantova.

Si ringraziano vivamente gli enti cofinanziatoridel progetto che ha dato avvio alle ricerche pa-leoambientali nell’area del Forcello: RegioneLombardia, Fondazione Cariverona, CNR -IDPA di Milano, Università degli Studi di Milano,Comune di Bagnolo San Vito. Ringraziamo inoltre i Sig.ri Bellintani, Bernini eCavicchia per aver consentito l’accesso nei ter-reni dove sono stati eseguiti i carotaggi; F. Vallè(Univ. di Bremen) per l’aiuto durante l’esecu-zione dei carotaggi e la selezione di materialeorganico per le datazioni radiocarboniche; E.Vescovi (Univ. di Bern) per le analisi LOI e tutticoloro che hanno collaborato alla preparazionee alla redazione di questo volume.

INDICE

L’abitato etrusco deL ForceLLo di bagnoLo san Vito (MantoVa) ...............................................2R. C. de Marinis

MantoVa e La presenza etrusca ..........................................6E. M. Menotti

iL ForceLLo: un porto etrusco suLL’antico Lago di bagnoLo (MantoVa) ............................7C. Fredella, R. Perego, L. Castellano, M. Deaddis, M. De Amicis, M. Marchetti, D. Margaritora, T. Quirino, C. Ravazzi, M. Zanon

L’origine della pianura mantovana....................................................8

Il paesaggio forestale della valle del Mincio negli ultimi 4000 anni .................................12

L’abitato del Forcello .............................................................17

iL parco archeoLogico: uno spazio per La ricerca, La didattica e La speriMentazione ......................................28C. Fredella, S. Gorni Silvestrini

tra MantoVa e iL poLa parte Sud del Parco del Mincio: un’area protetta tutta da scoprire...................................................30G. De Vincenzi

iL sisteMa proVinciaLe dei Musei edei beni cuLturaLi MantoVaniBreve storia di una esperienza importante ...................................32T. Grizzi

La rete Ma_netRete dei Musei Archeologici delle Provincie di Brescia Cremona e Mantova.......................................................33

Finito di stampare nel settembre 2011

Composizione e impaginazione:

©SAP Società Archeologica s.r.l.

Viale Risorgimento, 14 - Mantova

www.archeologica.it

Stampa:

La Serenissima

Vicenza

ISBN 978-88-87115-69-7

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L’abitato etrusco del Forcello di Bagnolo San Vito (Mantova)

R. C. de MarinisUniversità degli Studi di Milano

La scoperta

Alcune segnalazioni di scoperte archeologiche al Forcello di BagnoloS. Vito si incontrano già nella seconda metà del XIX secolo nella let-teratura relativa al territorio mantovano. Un aryballos di vetro policromofu rinvenuto intatto nel 1873 e donato dal dr. Berla al Museo Patrio diMantova. “Cocci grossolani con avanzi di vasi dipinti, vetro, ossa”furono raccolti dal Paglia e dal dr. Berla nel 1875. Purtroppo ilMantovano rimase sostanzialmente tagliato fuori dagli sviluppi dellanuova scienza paletnologica, che andava affermandosi vigorosamentein Emilia, nel Veneto e nella Lombardia occidentale. Documenti dellapresenza etrusca a nord del Po continuarono, tuttavia, a rimanereassenti per lungo tempo. C’era naturalmente la tradizione letterariasulle origini etrusche di Mantova, a cui tuttavia la scarsità e disartico-lazione dei ritrovamenti sembrava togliere affidabilità e consistenzastorica, come nel 1959 scrisse G. A. Mansuelli. Nella grande mostraL’Etruria Padana e la città di Spina, allestita a Bologna nel 1960,Mantova non viene neppure citata.All’inizio dei miei studi di Protostoria avevo potuto stabilire che lacultura di Golasecca non si estendeva ad est dei corsi dei fiumi Se-rio-Adda, mentre nelle valli prealpine e alpine della Lombardia cen-tro-orientale dovevano essere stanziate popolazioni di affinità retica.Rimaneva aperto il problema di quali popolazioni fossero stanziatenella pianura della Lombardia orientale, in particolare lungo il corsodel Mincio. Qualche anno più tardi ero in servizio presso la Soprin-tendenza Archeologica della Lombardia in qualità di ispettore per laPreistoria e Protostoria, e vidi arrivare nel laboratorio di restauroalcune ceramiche di Rivalta, fra cui un vaso a fruttiera e alcuneciotole. Avrebbero potuto provenire dalla Felsina etrusca (Bologna),da Spina o da Marzabotto. Quindi gli Etruschi erano stanziati sullerive del Mincio. Nel frattempo, poiché appassionati locali, inparticolare il dr. Dino Zanoni di Mantova, Amilcare Riccò di Bagnoloe Gualberto Storti di Pietole, continuavano a raccogliere abbondantimateriali al Forcello, fra cui molta ceramica attica, la Soprintendentedr.ssa Bianca Maria Scarfì d’intesa con la dr.ssa A. M. Tamassia,che era responsabile del nucleo operativo di Mantova, decise di in-terpellare la Fondazione Lerici per una serie di prospezioni volte achiarire la natura del sito. Nell’autunno del 1979 mi recai per laprima volta al Forcello insieme all’ing. Linington, direttore dellaLerici. I campi prospicienti il cavo Franzinetta erano stati appenaarati e lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi era impressio-nante, sul terreno affioravano migliaia di frammenti ceramici. Ilprimo coccio che raccolsi era un frammento di un vaso a fruttieracome quello di Rivalta. L’esame della ceramica così abbondante insuperficie non lasciava dubbi: eravamo in presenza di un abitatoetrusco del V secolo a.C. Le prospezioni Lerici furono effettuate nel1980, 1981 e 1983. I carotaggi permisero di circoscrivere l’area diinteresse archeologico ai fini dell’imposizione di un vincolo diretto.Nell’aprile 1981 condussi un primo scavo di limitata estensione (3 x3 m). Nel frattempo grazie a Daniele Vitali entrai in contatto conuno studente di Mantova, G. Segala, che aveva raccolto materiali

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Ceramiche attiche a figure nere, a figurerosse e a vernice nera provenienti da di-verse fasi di vita dell’abitato: sulla sinistradue kylikes, al centro uno skyphos e a de-stra due lekythoi.

Esempio di fornace a struttura orizzontaledi fase E in corso di scavo. È chiaramentevisibile il riempimento nero carbonioso.

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al Forcello e al Castellazzo della Garolda, fra i quali vi eranoframmenti ceramici con iscrizioni graffite in alfabeto e lingua etrusca.Agli inizi del 1982 G. Storti mi consegnò il fondo completo di unaciotola che recava impressa prima della cottura l’iscrizione“:Anthuś.Markeś:”. Non potevano esserci più dubbi: il Forcello eraun centro etrusco e bisognava iniziare a condurre scavi di unacerta estensione. Tuttavia, i fondi mancavano. A questo punto mimisi in contatto con un giornalista del Corriere della Sera, a cui de-scrissi l’importante scoperta. Il 29 maggio la notizia uscì, con miagrande sorpresa, addirittura in prima pagina. Nell’autunno del 1982iniziarono gli scavi e da allora si sono susseguite numerosecampagne, purtroppo non sempre in modo continuativo, alcune digrande impegno, altre di breve durata. Dal 1983 le indagini sonoconcentrate al centro dell’abitato, dove la stratificazione ha lamaggiore potenza. In trent’anni di ricerche gli entusiasmi si sono alternati alle delusioni,gli aiuti e la solidarietà del mondo scientifico alle difficoltà e alle in-comprensioni. Ciò che non è mai venuta meno da parte mia e dialcuni miei collaboratori è la totale dedizione a una ricerca tantoimpegnativa da molteplici punti di vista.

L’abitato

Il Forcello è un dosso di origine prevalentemente artificiale, formatosiin seguito all’accumulo di strati di origine antropica prodotti dallevarie fasi di vita e degrado dell’abitato. La lettura del deposito ar-cheologico si è rivelata più difficile del previsto, poiché i sedimentiche lo compongono sono prevalentemente limosi, con deboli variazionidi colore, derivanti dal disfacimento di strutture d’abitato costruitecon materiali precari, legno, paglia e limo-argilla, che dopo il crollo el’abbandono subiscono un forte degrado, così come i pavimenti inbattuto che spesso perdono l’originario andamento tabulare. Delle

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Veduta aerea dell’area del Forcello.

Scarabeo in diaspro verde orientale, diproduzione greco-fenicia, rinvenuto nellagrande casa di fase F e raffigurante il dioegizio Bes che affronta un leone; l’attualecolore nero è dovuto all’alterazione pro-dotta dal calore dell’incendio che ha di-strutto l’abitazione.

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antiche abitazioni sono dunque oggi visibili solo quelle che vengonodefinite evidenze negative, ovvero le fondazioni, quali buche di paloo canaline, e quando conservati i pavimenti e i focolari.Le nostre conoscenze sull’impianto complessivo dell’abitato sonoancora parziali e lacunose. Lo scavo ha raggiunto le fasi piùantiche dell’abitato solo in un area di circa 160 m2, consentendo didelineare la successione di diverse fasi insediative denominatecon le lettere dell’alfabeto da A a I, partendo dalla più recente. Èstato possibile verificare che in un periodo della durata complessivadi circa 150/160 anni, l’area fu destinata in alcuni momenti adabitazioni (fasi A, B, C, D, F, G, I) e in altri a zone di attivitàartigianali all’aperto (fasi E, H). Il terreno vergine è stato raggiuntosolo in alcuni punti, ma i dati sino ad ora raccolti sono insufficientiper definire con sicurezza l’epoca di fondazione e i caratteri piùantichi dell’abitato. Si pensa che l’abitato sia stato fondato pocodopo la metà del VI secolo a.C. La cronologia assoluta dellasequenza stratigrafica si deve soprattutto al rinvenimento di moltaceramica attica a figure nere e a figure rosse, le cui caratteristichestilistiche consentono una datazione al decennio.La fase più antica conosciuta con un certo grado di dettaglio è lafase h (530-520 a.C.) che ha restituito strutture per la lavorazione efusione del metallo. Alla fase g sono riconducibili i resti di un’ampiaabitazione di cui sono state individuate le canaline di fondazione, ilfocolare e il piano di calpestio; verso il 510 a.C. questa casa fusmantellata, l’area ripulita e spianata con un consistente riportolimoso sul quale fu costruita una delle case di fase F. La planimetriadella nuova casa riproduceva quella della sottostante in ognidettaglio: ambienti di uguale dimensione, posizione del focolare eperimetro verso sud ed ovest delimitato da due canali il cui andamentoera rimasto invariato. La fase F, della fine del VI secolo a.C., è caratterizzata da un livellodi distruzione per incendio, in seguito bonificato con una stesurad’argilla di notevole spessore, che ha permesso di conservare in de-posizione primaria i reperti all’interno delle case. Una delle case difase F è stata interamente indagata: ha una superficie di circa 170m2 suddivisa in 5 stanze centrali, di circa 20 m2 l’una, e 10 vani piùpiccoli di circa 7 m2, allineati lungo i lati SW e NE. Si suppone unatecnica costruttiva che preveda l’alloggio di travi orizzontali in canalinedi fondazione e la costruzione delle pareti con travi o assi di legno.

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Piano pavimentale dell’abitazione di fase Fdove sono visibili le canaline di fondazioneperimetrali e quelle divisorie degli ambientiinterni.

Cratere attico a figure nere del gruppo diLeagros, fine VI secolo a.C., dalla casa F 1.Sul lato A è raffigurato l'agguato di Achille aTroilo, sulla sinistra Achille con armaturaoplitica, al centro Troilo che fugge con duecavalli, a destra Polissena in fuga, tra lezampe dei cavalli l'hydria abbandonata daPolissena e caduta a terra. Sul lato B Dionisocon satiri e menadi.

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Foto di scavo del 1985: allineamento dellebuche di palo appartenenti al lato sud dellacasa di fase C.

Immediatamente al di sopra del livello d’argilla non è stata trovatauna nuova struttura abitativa, ma una serie di focolari a fossa e dipiani di limo interpretati come un’area artigianale all’aperto per lalavorazione del metallo, molto simile a quella riscontrata nella pre-cedente fase H. Questa nuova fase, denominata fase e, è stataattiva per un periodo compreso tra il 500 e il 490 a.C. circa. Quindi l’area fu nuovamente livellata e ripulita per preparare ilpiano per l’edificazione di una nuova struttura abitativa, quella dellafase d, databile tra il 490 e il 470 a.C. In questa fase la strutturaplanimetrica delle abitazioni risulta differente e i canali che nellafase F correvano a lato delle abitazioni vengono colmati. Si trattatuttavia di evidenze poco chiare, poiché sono fortemente intaccatedai lavori di costruzione della successiva casa di fase C. Inoltrel’assenza di tracce di incendio e di riporti di livellamento fa ritenereche l’abitazione di fase D sia stata completamente ripulita e sman-tellata prima di procedere alla costruzione della nuova.La fase c è documentata da una casa di pianta rettangolare il cuiperimetro è delimitato da grosse buche di palo, mentre lungo l’assemediano tre pali equidistanti sostenevano il colmo del tetto. Lacasa fu distrutta da un violento incendio, dopo il quale i resti delcrollo furono sigillati da uno strato di riporto. Le macerie compren-devano i materiali che si trovavano all’interno della casa al momentodel crollo, come già evidenziato nella fase F, come pesi da telaio,vasi contenenti cereali e legumi, ossi animali, frammenti di travicarbonizzate forse pertinenti all’intelaiatura del tetto, e moltissimiframmenti di argilla a faccia piana con impronte di rami e canne(concotti) derivanti dal crollo delle pareti costruite con la tecnicadell’incannucciato. La presenza preponderante di derrate alimentari,pesi da telaio e ceramiche di uso domestico fa presupporre unutilizzo di questo edificio come laboratorio artigianale e magazzino.La sua posizione lungo l’asse viario principale di attraversamentodella città potrebbe non essere casuale, poiché anche nella coevacittà etrusca di Marzabotto (BO) la parte anteriore della abitazioni,verso la strada, aveva una destinazione a officine e tabernae,mentre la parte privata era ai lati del cortile o dietro di esso. Le ultime fasi dell’abitato, definite a e b (circa 440-380 a.C.) sonoscarsamente conosciute per quanto concerne le strutture d’abitato.Rimangono per lo più residui di strutture negative, mentre i pianid’uso sono stati irrimediabilmente distrutti dai lavori agricoli. Inqueste fasi recenti è documentato l’uso di laterizi per la coperturadel tetto. È probabile che l’abbandono del Forcello si sia verificatopoco dopo l’invasione storica dei Celti risalente al 388 a. C. Lo scavo del Forcello ha trasformato in storia quella che sembravadover rimanere una problematica tradizione letteraria. Gli Etruschierano effettivamente stanziati lungo il Mincio e il Forcello nel VI e Vsecolo a.C. era il centro più importante di una ricca rete di rapporticommerciali e culturali che si estendeva, attraverso la mediazionedei porti dell’Adriatico, in particolare Adria, sino al Mediterraneoorientale, e che verso nord attraverso le popolazioni della cultura diGolasecca raggiungeva i Celti d’Oltralpe.

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Aryballos in vetro policromo di probabilefabbricazione rodia. Questi piccoli vasi ve-nivano utilizzati per contenere profumi eunguenti.

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Mantova e la presenza etrusca

E. M. MenottiSoprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia

Gli scavi condotti negli ultimi decenni nel centro di Mantova, neiluoghi di vicolo Ducale, Piazza Paradiso, piazza Santa Barbara,cortile degli Orsi di Palazzo Ducale, Seminario Vescovile, vicoloPace, piazza Castello, hanno permesso di delineare l’aspetto dell’area,di circa 4 ettari, presumibilmente occupata dalla città etrusca.È messa in evidenza una zona in posizione rilevata che, sotto lasuperficie ora occupata dal Palazzo Ducale, si distende fino a rag-giungere l’area del Duomo, mentre tutto attorno si assiste aldigradare, presumibilmente verso l’acqua del Mincio, con dislivellisimili a quelli ancor oggi esistenti (oggi l’area interessata dalvecchio dosso è posta ad una quota di 23/24 metri sul livello delmare, mentre quella circostante raggiunge solo i 20/21 metri slm).Il settore di maggior interesse, data la quantità di dati messi in luce,indagato negli anni 2000, è quello situato in piazza Santa Barbara,posto ai piedi del grande dosso, ad est, indagato per una superficiecomplessiva di mq.82. Sembra ormai chiaro come la zona sia statainteressata da una sequenza abitativa a partire almeno dagli inizidel V secolo a.C. I materiali rinvenuti, che giungono fino ad etàromana, ovvero alla fine della città etrusca, sono costituiti in granparte da materiali di pregio, quali buccheri, ceramica attica a figurerosse, fibule di bronzo con inserti di corallo, per le fasi più antiche.Colpisce particolarmente la presenza di un alto numero di graffitivascolari, circa una cinquantina. Vi sono frammenti sia di tegole chedi coppi, pertinenti a coperture, con decorazioni a fasce dipinte incolore rosso arancio o bruno violaceo, con sovradipinture bianche.Nel corso dello scavo sono venuti in luce numerosi frammenti divasetti miniaturistici, fra cui un kyathos (coppa a mestolo), in impasto,e un kantharos (coppa con due manici per bere) in bucchero, chereca graffita un’iscrizione di carattere votivo. Tali oggetti sono am-piamente attestati nei depositi votivi etruschi arcaici. Fra le numeroseiscrizioni presenti tre testi sono sicuramente di carattere votivo e at-testano una destinazione sacra dell’area scavata, o delle suevicinanze, con un luogo di culto dedicato a divinità femminili,frequentato già in epoca arcaica e fino all’età recente. Dovevaessere costituita da uno o più edifici con copertura in laterizi, conelementi decorati. Nell’area dovevano esservi una o più favisse(ambienti sotterranei), con presenza di vasi miniaturistici ed oggettivari fra cui vasi offerti alle divinità. Il culto che era presente e chepossiamo individuare era rivolto a divinità femminili.Mantova, allora, si presentava come un’ampia isola nel mezzo delfiume Mincio, e la zona occupata dall’attuale piazza doveva sorgerenelle vicinanze dell’acqua.Intorno alla città si distribuivano centri di maggiore o minore impor-tanza. Il sito più importante è sicuramente il Forcello, grande portofluviale attivo già dall’ultimo quarto del VI secolo a.C., in strettissimorapporto con Mantova. Importanti sono poi i centri di Rivalta,Rodigo Corte Castelletto e Corte Pastella, Colombarina di Castel-lucchio, Ceresara Campo dell’Osone, Goito Corte Gaigole, Buscoldodi Curtatone, che testimoniano tutti vivacità nel corso del V secoloa.C.; di grande importanza anche la necropoli di Bozzolo Corte AltaCerese, presso il fiume Oglio.

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Mantova, Piazza Santa Barbara 2008: Mortaioe frammento di cratere attico (V secolo a. C.).

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Fig. 1 – Modello tridimensionale della pia-nura Padana Centrale.

Il Forcello: un porto etrusco

sull’antico lago di Bagnolo (Mantova)

C. Fredella1, R. Perego2, L. Castellano2, M. Deaddis2, M. De Amicis3,M. Marchetti4, D. Margaritora 2, T. Quirino 5, C. Ravazzi2, M. Zanon2

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Da 30 anni sono in corso le ricerche archeologiche nell’abitatoetrusco del Forcello di Bagnolo San Vito, che hanno permessodi conoscere nel dettaglio alcuni aspetti della vita di questoimportante porto fluviale lungo la valle del fiume Mincio,nodo strategico per i commerci tra il Mediterraneo e l’Europacontinentale.Indagare anche la relazione con il territorio circostante è si-curamente molto importante per comprendere appieno losviluppo della città etrusca. Quali erano ad esempio i rapportitra la città etrusca e i fiumi? E come hanno influito icambiamenti dei corsi d’acqua sulla scelta del luogo per in-sediarsi da parte degli Etruschi?Come si presentavano le foreste dell’epoca lungo la bassavalle del Mincio e come venivano sfruttate?Come erano la vegetazione e le attività agro-pastorali entroe intorno all’abitato?Quali le specie vegetali che venivano importate tramitescambi commerciali?Per rispondere a queste domande nel 2008 sono stateavviate, grazie alla proficua collaborazione instauratasi traUniversità degli Studi di Milano, CNR e Università di Modenae Reggio Emilia, ricerche geomorfologiche e paleobotaniche,attraverso lo studio di carote di sedimento prelevate all’internodel sito e nel territorio circostante e l’analisi dei carboni dilegna e dei resti vegetali provenienti dallo scavo.

1 Parco Archeologico del Forcello, Bagnolo SanVito (MN).

2 Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto perla Dinamica dei Processi Ambientali - Dalminee Milano.

3 Dipartimento Scienze Ambiente Territorio, Uni-versità di Milano Bicocca.

4 Dipartimento Scienze della Terra, Università diModena e Reggio Emilia.

5 Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Univer-sità degli Studi di Milano.

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Fig. 2 – Carta geomorfologica schematicadella bassa valle del Mincio e del settoreadiacente della pianura del Po.

Legenda:

1) Idrografia principale2) Aree golenali entro gli argini artificiali 3) Paleoalvei e meandri abbandonati 4) Ventagli di rotta fluviale 5) Dossi alluvionali 6) Principali scarpate di erosione fluviale,7) Antica superficie alluvionale testimone

delle fasi di sedimentazione dell'UltimoMassimo Glaciale

L’ORIGINE DELLA PIANURA MANTOVANA

M. De Amicis, M. Marchetti, C. Ravazzi

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La pianura mantovana si è sviluppata durante l’ultima massimaavanzata dei ghiacciai (Ultimo Massimo Glaciale, 30-19 mila annifa). In questo periodo i fiumi che fuoriuscivano impetuosi dalghiacciaio gardesano e da quello sebino - i cosiddetti “scaricatorifluvioglaciali” - accumularono grandi quantità di ghiaie e sabbiefluviali (fase di sedimentazione e costruzione della pianura). Nellefasi terminali della glaciazione, intorno a 16-12 mila anni fa, invece,tutti i corsi d’acqua provenienti dalle Alpi hanno intagliato lasuperficie della pianura costruita nei millenni precedenti. In questoperiodo, i fiumi di provenienza alpina, ad esempio il Mincio, hannoeroso i loro sedimenti scavandosi un solco largo e profondo in cuisono poi sono stati costretti a fluire durante tutto l’Olocene (fase dierosione della pianura). Nell’immagine tridimensionale della PianuraPadana centrale (Fig. 1) si può vedere che anche il fiume Po haeroso a sud questa superficie producendo una netta scarpata cheda Cremona giunge fino al mantovano, e contemporaneamente isuoi principali affluenti di sinistra (Adda, Oglio e Mincio) si sono an-ch’essi incassati entro evidenti solchi vallivi.

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Fig. 3 – Ricostruzione dell’idrografia dellaPianura Padana centro-orientale nella me-dia età del Bronzo.

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Trasporto di sedimenti, alluvioni, rotte fluviali e abbassamento

della pianura

L’evoluzione generale dell’idrografia della Pianura Padana centrale eorientale è stata fortemente condizionata dalle diverse caratteristicheidrauliche degli affluenti alpini (Adda, Oglio, Mincio) rispetto a quelliappenninici (Enza, Secchia, Panaro etc.). Gli affluenti alpini sono con-traddistinti da elevate portate d’acqua perché alimentati da grandibacini idrografici dotati di un limitato trasporto di detriti, in buona partetrattenuti nei grandi laghi prealpini (es. Como, Iseo, Garda). Gli affluentiappenninici, al contrario, hanno portate minori, ma trasportano moltidetriti fini in sospensione nella corrente. In pratica, le acque dei fiumiappenninici sono molto torbide soprattutto durante le fasi di piena. Ciòha portato nel tempo a una forte sedimentazione lungo gli alvei degliaffluenti appenninici rendendoli “pensili”, cioè sopraelevati sulla pianuracircostante. Si sono così formati veri e propri dossi sinuosi che carat-terizzano tutta la zona emiliano romagnola (in grigio in Fig. 2). Inoccasione di grandi alluvioni, i fiumi pensili facilmente rompono i loroargini e cambiano percorso. Così, i loro sedimenti vanno a riempirezone depresse e le loro alluvioni seppelliscono grandi aree, compresii villaggi che sorgevano in queste zone. Bisogna tenere conto che labassa pianura mantovana, alla foce del Mincio, è subsidente, cioè ilterreno tende ad abbassarsi sotto i movimenti della catena appenninica,che invece provocano il sollevamento della zona verso Reggio Emilia– Carpi (Fig. 3). L’abbassamento della bassa pianura mantovana e laprogressiva forte sedimentazione nei fiumi di provenienza appenninicaha provocato nel tempo lo spostamento verso nord dei diversi rami delPo, rendendo anche questi pensili sulla piana circostante. Nel prossimocapitolo vedremo che questi processi hanno determinato la formazionedi un lago a Bagnolo San Vito e possono spiegare la scelta degliEtruschi di fondare un porto al Forcello.

nella media età del Bronzo

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Fig. 4 – La geografia dei fiumi nella bassapianura mantovana durante il V secolo a.C.In evidenza il Lago di Bagnolo che lambivail porto del Forcello. Nonostante fosse citatadalle fonti storiche, l'esistenza di un grandelago tra il Forcello e Bagnolo San Vito èstata verificata soltanto grazie agli studistratigrafici descritti in Ravazzi et al. (c.s.) -Lake evolution and landscape history in thelower Mincio River valley unravelling paleo-drainage changes in the central Po Plain N-Italy since the Bronze Age. Quaternary In-ternational.

Legenda: 1) Idrografia principale 2) Aree caratterizzate da difficoltà di drenaggio 3) Paleoalvei e meandri abbandonati 4) Ventagli di rotta fluviale 5) Dossi alluvionali6) Principali scarpate di erosione fluviale 7) Antica superficie alluvionale testimone delle

fasi di sedimentazione dell'Ultimo MassimoGlaciale

Fiumi e laghi nel basso Mantovano a partire dall’età del Bronzo

All’inizio dell’età del Bronzo, circa 4000 anni fa, l’idrografia dellaPianura Padana centrale e orientale era alquanto diversa da quellaattuale. Un corso d’acqua, che chiameremo “Po alpino” scorreva asud di Mantova e riuniva quasi solo acque provenienti dalle Alpi.Come si vede nella Figura 3, nel Po alpino confluivano Mincio, Oglioe Adda. Quest’ultimo scorreva in prossimità della scarpata traCremona e Mantova. In base alla posizione e all’evoluzione deivillaggi dell’età del Bronzo sappiamo che, fino al X secolo a.C., ifiumi appenninici tra Nure e Parma confluivano a est di Ostiglia nelPo alpino alimentando un corso d’acqua conosciuto come Po diAdria, che fece le fortune dell’omonimo insediamento, via via menoimportante dopo la rotta di Ficarolo, dell’VIII secolo a.C., che convogliòi deflussi verso Ferrara e Spina. I restanti fiumi di provenienza ap-penninica, dall’Enza al Reno, alimentavano invece un altro corsod’acqua conosciuto come Po di Spina (Fig. 3).Il progressivo innalzarsi del letto del Po a seguito degli apporti daisuoi affluenti appenninici e l’abbassamento della bassa pianuramantovana provocò difficoltà crescenti di evacuazione delle pienee soprattutto di rigurgito alla confluenza durante le alluvioni, neitratti finali dei suoi affluenti. Il basso tratto del Mincio, non potendoevacuare le acque di piena verso la foce, chiuso all’interno della

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Fig. 5 – Ricostruzione dell’idrografia dellaPianura Padana centro-orientale nel VI-Vsecolo a.C.

sua valle, iniziò ad impaludarsi, formando una serie di paludi che siestendevano da Pietole fino alla foce. Il bacino palustre-lacustremeglio conosciuto si estendeva tra Pietole e Bagnolo San Vito, edè perciò stato definito lago di Bagnolo. Il lago di Bagnolo nacquecome palude nel XVI secolo a.C. e ben presto si approfondì fino adiventare un laghetto. Verso monte il lago di Bagnolo era forse incontinuità con altri laghi o paludi, come quelli della Vallazza, dellago Paiolo e dei Laghi di Mantova (Fig. 4).Anche dopo la fine dell’età del Bronzo, gli affluenti appenninici delPo continuarono a spostarsi verso nord. Si presume che, intornoall’VIII secolo a.C., presso Brescello-Guastalla un ramo del Po ali-mentato da Nure, Ongina, Arda, Stirone Taro, Baganza, Parmaruppe gli argini. Il suo alveo subì una “diversione”, cioè cambiò per-corso e si spostò verso nord fino ad intercettare il Po di Adriapresso la confluenza dell’Oglio (Fig. 5). A seguito di tale diversione,tutto il carico di sedimenti venne convogliato nel corso d’acqua allaconfluenza con il Mincio, aggravando perciò le difficoltà di smaltimentodelle acque del Mincio nel Po di Adria.I carotaggi eseguiti nei sedimenti del lago di Bagnolo (Figg. 6 e 7)e le datazioni radiocarboniche sui vegetali prelevati da questecarote hanno stabilito che nell’età del Bronzo il lago di Bagnolo erapiccolo e non raggiungeva il terrazzo fluviale del Forcello, che erainvece circondato da grandi paludi. Tra l’VIII e il VI secolo a.C., illago di Bagnolo si espanse fino a lambire il dosso, dove nel VIsecolo fu fondata la città etrusca. Possiamo perciò concludere cheil porto fu fondato sulla riva di un lago esteso per circa 5 km,connesso verso valle con il Po di Adria. Questa configurazione rap-presentò una grande opportunità per la navigazione fluviale tral’Adriatico e i fiumi interni della Pianura Padana Centrale.

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Fig. 6 – Disegno che mostra la successionedi depositi incontrata nei carotaggi eseguitialla base della collina del Forcello. Il terminegyttja indica un fango organico che si de-posita in piccoli laghi e stagni. Le età cali-brate corrispondenti sono riportate nellefigure 8 e 9.

IL PAESAGGIO FORESTALE DELLA

VALLE DEL MINCIO NEGLI ULTIMI 4000 ANNI

M. Deaddis, D. Margaritora, R. Perego, C. Ravazzi, M. Zanon

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Nei fini sedimenti che si depositano sul fondo di un lago o nell’ansadi un fiume, nei depositi di torba che si possono formare in corri-spondenza di zone umide, rimane intrappolato il polline prodottodalle piante e disperso nell’aria al momento della sedimentazione. Ilritrovamento oggi di questi piccolissimi fossili deposti in epochepassate consente di individuare quali specie di piante, e quindi qualiambienti, erano presenti un tempo nell’area oggetto dello studio.Presso l’abitato etrusco del Forcello è stato condotto uno studiopalinologico di dettaglio, che ha consentito di tracciare la storia del-l’ambiente dalla fine dell’età del Bronzo al Medioevo. Con l’ausiliodi particolari attrezzature (carotieri) sono state estratte dal terreno“carote di sedimento” (Fig. 7) che riproducono l’intera successionestratigrafica del deposito sedimentario. Da queste carote sono statiprelevati, a intervalli regolari di profondità, i campioni (1 o 2 cm3 disedimento) di cui è stato studiato il contenuto pollinico. L’estrazionedei granuli pollinici dal sedimento ha richiesto l’esecuzione dispecifici trattamenti chimici presso un laboratorio specializzato (ilLaboratorio di Palinologia e Paleoecologia del CNR – I.D.P.A. diMilano). La successiva osservazione di questi granuli al microscopiobiologico con ingrandimenti anche di 1000 volte, ha permesso di ri-conoscere la specie a cui appartengono e di individuare in questomodo quali piante erano diffuse al momento della deposizione diquesti sedimenti.I risultati di queste analisi sono restituiti nei diagrammi pollinici quipresentati (Figg. 8 e 9).

I cambiamenti del paesaggio vegetale nell’area del Forcello

La storia del paesaggio vegetale è stata distinta in 5 fasi (descritte afianco del diagramma pollinico Fig. 8). Essa documenta non solo icambiamenti nella composizione del paesaggio vegetale, ma anchel’introduzione di alcune specie significative per la storia ambientalecome il noce (Juglans regia) e il castagno (Castanea sativa).

Le prove dell’esistenza del lago: milioni di fossili microscopici

di alghe planctoniche e altre piante acquatiche

Dal momento in cui si formò il bacino, sul fondo del lago si accumu-larono milioni di organismi microscopici che vivevano sospesi nel-l’acqua (alghe planctoniche azzurre: Gloeotrichia e alghe verdi:Pediastrum) e piante acquatiche radicate sul fondale lacustre (mi-riofillo). Abbiamo estratto queste alghe da campioni di sedimentoprelevati ogni 5 cm dalla successione stratigrafica e costruito il dia-gramma di abbondanza presentato nella figura 9. Tutte questepiante acquatiche svolgevano la fotosintesi che determinava laprecipitazione di carbonati sul fondo. I carbonati si mescolavanocon il fango organico formando un particolare tipo di sedimento la-custre che chiamiamo limo carbonatico.

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Fig. 7 – Il palinologo estraedal terreno una colonna di se-dimento, che viene chiamata“carota”, tramite operazioni dicarotaggio con attrezzaturemanuali (foto A e B). Uno dei carotaggi eseguitialla base della collina del For-cello ha consentito di recu-perare una carota di sedi-mento dello spessore totaledi 400 cm, che sono risultatiidonei per lo studio palinolo-gico (foto C).

a

b

c

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carpino bianco (Carpinus betulus L.) Il carpino bianco è una specie forestale presentein tutta Italia fino a circa 900 m di quota, è fre-quente soprattutto nella fascia collinare in boschipuri, querceti o faggete. Cresce su terreni fertilie profondi. Era una delle specie arboree checaratterizzava gli estesi boschi diffusi nell’areadel Forcello prima dell’abitato etrusco. Nellefoto: Granulo pollinico e habitus della specie(tronco e foglie).

castagno (Castanea sativa Miller)Probabilmente originario della Georgia, la suaattuale distribuzione è stata fortemente influen-zata dall’importanza economica che questo al-bero ha avuto per l’uomo. I Romani furono iprimi a diffondere il castagno come pianta dafrutto e per la produzione di legname nell’ItaliaSettentrionale. Il castagno cresce bene su suoliprofondi, acidi e decarbonatati in superficie,generalmente presenti in aree a substrato siliceo(pianta acidofila); dove le rocce sono calcareeil castagno può crescere solo qualora vi siauna copertura di depositi glaciali o una profondaalterazione della roccia con processi di decar-bonatazione del suolo. È una specie moderata-mente termofila (cioè amante del caldo) chetollera un freddo invernale non troppo rigido edesige una certa umidità del terreno. Producegranuli pollinici di dimensioni molto piccole (dia-metro di circa 16-20 µm) che vengono trasportatiper lunghe distanze. Nelle foto: Granulo pollinico,habitus invernale della specie e foglia.

abete bianco (Abies alba Miller)L’abete bianco è una conifera oggigiorno pre-sente solo in alcune aree montuose alpine eappenniniche con clima umido. Nella preistoriainvece era diffuso in buona parte della PianuraPadana. I dati pollinici e i carboni indicano chel’abete bianco era una componente dei boschimisti di quercia, carpino bianco e faggio checircondavano il Forcello durante l’età del Bronzoe del Ferro. Il suo granulo pollinico ha dimensionipiuttosto grandi (diametro di circa 200 µm) e,come quello della maggior parte delle conifere,è provvisto di due espansioni laterali che nefacilitano la sospensione nell’aria. Nella foto:Granulo pollinico, habitus della specie e ramocon foglie.

noce (Juglans regia L.)Il noce cresce oggi allo stato spontaneo nelleforeste decidue temperate dei Balcani, nel Norddella Turchia, Caucaso, regione del Mar Caspioe Asia centrale. Predilige suoli freschi e fertili,senza ristagno idrico, ma non tollera neppurecondizioni di troppa aridità. La forma coltivata,che produce frutti più grandi (3-6 cm), cresce inEuropa centrale e occidentale e nella regioneMediterranea. Resti carbonizzati certi e pollinedi noce cominciano a comparire in Europa in sitidella tarda età del Ferro e diventano più comunia partire dall’età romana. Il ritrovamento di pollinedi noce nei sedimenti del Forcello intorno all’VIIIsecolo a.C. è assai significativo in quanto testi-monia che il noce è stato introdotto molto primadell’età romana nella bassa pianura lombarda;nelle città al margine delle Alpi, invece, il nocefu importato solo alla fine dell’età del Ferro.Nelle foto: Granulo pollinico, habitus invernaledella specie e ramo con foglie e frutti.

alcuni alberi significativi nella storiaambientale del Forcello

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Fig. 8

Fig. 9

15archeoLogia e aMbiente - Anthus Markes n.1, 2011

Fase lacustre (fasi 2-5)Aumento di alghe verdi di acque lacustri aperte (Pediastrum) e di carbonioinorganico cioè di carbonati di precipitazione algale.

Fase di stagno (fase 1b: transizione età del bronzo-età del Ferro)Sedimenti ricchi di materia organica fine e detriti vegetali; estese aree palustri constagni popolati da alghe azzurre (Gloeotrichia).

Fase palustre (fase 1a: età del bronzo)Sedimenti limosi intrisi di acqua di palude erbacea (cariceto)

Fig. 9 – Questo diagramma dimostra losviluppo del lago di Bagnolo attraverso latrasformazione delle piante acquatiche chepopolavano da prima la palude (fase 1a),poi la palude con stagno (fase 1b) e quindi,per ulteriore innalzamento dell’acqua, illago (fasi 2-5). Da sinistra: date in annia.C. e d.C.; profondità (cm); successionedi sedimenti; curve percentuali in rosso:contenuto di carbonio organico nel sedi-mento (legato alla sostanza organica) edinorganico (legato ai minerali carbonatici).Seguono in azzurro le erbe acquatiche epalustri, quindi in verde le alghe che vive-vano sospese nell’acqua.

CiperaceeSparganium Myriophyllum Pediastrum

Fase 5Poco prima dell’anno Mille prese avvio una fase di intenso sfruttamento delterritorio con maggior estensione di aree messe a coltura e una riduzione dellearee boschive (aumento dei cereali e riduzione degli alberi). Questa fase diripresa economica e demografica è riportate anche nelle fonti scritte.

Fase 4Fase Altomedievale (VI-X secolo d.C.). Le attività dell’uomo si ridussero e lo statodi abbandono favorì la ripresa del bosco. Questa fase corrisponde alla crisieconomica e demografica che si verificò in Italia dopo la fine dell’Impero Romano.

Fase 3In età romana (II-V secolo d.C.) compare il polline di castagno e segale. Inoltreuna maggiore diversificazione degli indicatori antropogenici denota un’ulterioreestensione delle aree coltivate.

Fase 2Durante la prima età del Ferro e il periodo dell’occupazione etrusca (VIII-V secolo a.C.)aumenta il polline di alcune piante legate alle attività dell’uomo (cereali, vite e noce).

Fase 1Fase più antica, estesa tra l’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro. Il dosso delForcello era circondato da aree palustri con carici, boschi ad ontano nero, salici estagni in espansione. Nelle aree asciutte boschi dominati da querce e carpinobianco con faggio e abete bianco. Modeste quantità di polline di erbe antropogeniche(cereali ecc.) indicano l’esistenza di insediamenti umani nel medio territorio man-tovano, ma non al Forcello.

Fig. 8 – Diagramma pollinico ottenutodalla studio della sequenza stratigraficacampionata nell’antico lago a est dell’abitatodel Forcello. In un diagramma pollinicosono raccolte in forma sintetica numeroseinformazioni, la sua lettura richiede pertantoalcune spiegazioni: le datazioni riportatea sinistra del diagramma sono state ottenuteattraverso misure radiocarboniche di restivegetali macroscopici ritrovati nella carotaalle rispettive profondità ove sono indicatele date. Segue la scala della profondità,quindi le curve che mostrano le variazioninelle percentuali polliniche di alcune specievegetali scelte: in verde è raffigurata l’ab-bondanza di alberi, in marrone di arbusti especie rampicanti, in rosso delle pianteerbacee legate alle attività dell’uomo (an-tropogeniche). Le curve a destra rappre-sentano il totale delle specie incluse inciascuna categoria prima elencata. L’analisipollinica è stata svolta da MassimilianoDeaddis e Marco Zanon presso il Labora-torio di Palinologia e Paleoecologia delCNR – I.D.P.A. di Milano.

abete

carpino

faggio

quercia

noce

castagno

nocciolo

vite cereali

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i laboratori didattici del parco

Il mestiere dell’archeologo: offre un approccio immediato e concreto con lo scavo archeologicoe l’emozione della scoperta. Dopo una breve introduzione sulle modalità di identificazionedi un sito archeologico tramite l’impiego delle cosiddette “indagini preliminari” vengonoillustrate le modalità di organizzazione di una campagna di scavo, le tecniche di scavo egli strumenti di lavoro dell’archeologo. Si esegue, quindi, una simulazione di scavo: conpennelli e cazzuole si procede all’asportazione di uno strato di terra, per mettere in lucedei resti archeologici. Si svolgono, infine, le attività di documentazione grafica, fotograficae l’analisi dei materiali rinvenuti.

La ricognizione di superficie: offre un contatto diretto con le attività di indagine checonsentono di individuare un sito archeologico e che precedono la campagna di scavo:sarà possibile effettuare una raccolta di materiali di superficie, seguita da un’analisiguidata per comprenderne il significato.

A tavola con gli Etruschi: con un tuffo nel passato si comprende come si viveva nell’abitatoetrusco del Forcello. Vengono illustrate le scoperte che forniscono notizie sulla vitaquotidiana e con particolare attenzione alla produzione e lavorazione del cibo. Sieffettua quindi l’attività di molitura dei cereali, con macine e macinelli di pietra, fino adottenere la farina e il riconoscimento di alcuni frammenti di ossa animali provenientidagli scavi, con l’ausilio di tavole anatomiche delle specie allevate.

L’arte del vasaio: illustra le tecniche di preparazione dell’argilla, della sua modellazione edecorazione e infine della cottura dei vasi. Vengono mostrate le diverse classi ceramicherinvenute al Forcello e si comprenderà la funzione dei vari recipienti. Si procede quindialla manipolazione dell’argilla ed alla realizzazione, da parte di ciascun partecipante, diun vaso con la tecnica del colombino. I vasi vengono infine decorati, con l’ausilio disemplici strumenti, con motivi o iscrizioni che compaiono sulla ceramica etrusca.

Dalla terra al museo: laboratorio di restauro: permette di capire l’iter del reperto ceramico dalmomento del ritrovamento alla sua musealizzazione: da una cassetta con diversiframmenti si dovranno inizialmente riconoscere e dividere i diversi impasti ceramici ele diverse forme e decorazioni per poi ricostruire i recipienti.

Segni etruschi: attraverso l’osservazione dei reperti ceramici provenienti dallo scavo cherecano iscrizioni si analizza l’importanza del reperto ceramico come indicatore culturalee come veicolo di informazioni sul suo proprietario e sul suo utilizzo. Con il laboratoriosi andrà alla scoperta della lingua degli etruschi, ancora oggi poco conosciuta, a causadella scarsità di fonti. Si procede quindi alla ricostruzione di un’iscrizione etrusca,analizzando alcuni frammenti ceramici a simulazione del lavoro che svolgono gliarcheologi sui materiali recuperati negli scavi.

Trame del passato: analizza le attività di tessitura attestate nell’abitato etrusco del Forcello.Vengono presentati, con l’ausilio di immagini e mostrando alcuni reperti provenientidagli scavi, gli strumenti e le tecniche utilizzati per la tessitura. Si assiste quindi allatessitura di un piccolo tappeto di lana, con un telaio verticale ricostruito sulla base delletestimonianze archeologiche. Infine ogni partecipante realizzerà corde e intrecci e unapiccola porzione di tessuto tramite l’impiego di piccoli telai.

La casa di Venzal: partendo dall’analisi delle tecniche costruttive note fin dalla preistoria,permette di conoscere le modalità di costruzione impiegate dagli Etruschi al Forcello,mostrando immagini di scavo, ricostruzioni e attività di archeologia sperimentale. Siprocede quindi alla costruzione del modellino di una casa con pareti realizzate con latecnica “dell’incannucciato” (rami intrecciati rivestiti d’argilla).

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Fig. 10 – Ipotesi ricostruttiva della città etru-sca, del suo porto e dell’ambiente circostante.La ricostruzione è basata sulle conoscenzearcheologiche, nonché sulle indagini strati-grafiche e paleobotaniche svolte nel lago diBagnolo (dis. Tino Adamo).

L’ABITATO DEL FORCELLO

L. Castellano, C. Fredella, R. Perego, T. Quirino

L’impianto urbanistico e la vocazione commerciale(C. Fredella, T. Quirino)

L’abitato del Forcello venne fondato su una superficie debolmenterilevata, fiancheggiata a ovest da aree paludose e a est dalleacque del Mincio, che in questo tratto di pianura avevano formato aquel tempo un lago piuttosto esteso. La scelta del luogo, quindi, fumolto probabilmente suggerita dall’opportunità di sfruttare la presenzadi un’insenatura dai bassi fondali e al riparo dalla corrente delfiume: un porto sicuro che consentisse l’approdo delle navi provenientidall’Adriatico attraverso le vie d’acqua rappresentate dal Po e dallostesso Mincio. La via fluviale incontrava qui anche importanti vie diterra: quella verso sud, che conduceva a Bologna e, attraverso ivalichi appenninici, all’Etruria propria; quella verso nord, che portavaalla regione dei laghi prealpini, dove i Celti golasecchiani controllavanoi passi alpini e l’accesso ai territori del centro Europa.

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Il Forcello si configura, fin dalla sua fondazione, come un centro diprimaria importanza nel quadro degli scambi commerciali tra le po-polazioni del Mediterraneo e quelle dell’Europa centrale. Ne sonoeccezionale testimonianza gli oggetti d’importazione, che qui sonopresenti in abbondanza e che si mescolano a quelli di produzionelocale in uno straordinario incontro di antiche culture. In quasi tuttele fasi dell’abitato si rinvengono materiali provenienti dal Mediterraneoorientale e dall’Egeo (ceramica attica, anfore greche da trasporto,balsamari di vetro policromo; unico è invece l’esemplare di scarabeofenicio-greco), dalla civiltà di Golasecca (bicchieri a portauovo,pendagli e fibule), dal mondo celtico nord-alpino (fibule) e daiterritori occupati dai Veneti (ceramica, fibule).L’impianto urbanistico dell’insediamento non è ancora ricostruibilenel dettaglio poiché ad oggi ne è stata indagata solo una piccolaporzione. La sua estensione complessiva è invece nota ed è statacalcolata, sulla base delle indagini non invasive (carotaggi e analisigeomagnetiche) condotte nei primi anni ottanta, in circa 13 ettari.Queste stesse indagini, unitamente ai risultati di quasi trent’anni discavi stratigrafici, hanno comunque permesso di ipotizzare unimpianto di tipo ortogonale: strade maggiori e vie minori che si in-crociano fra loro perpendicolarmente e inquadrano veri e propriquartieri, composti da più abitazioni e da spazi ad esse comuni.L’area dell’abitato è percorsa per tutta la sua lunghezza da un assedi attraversamento con orientamento sud-est nord-ovest: probabil-mente la via di transito principale, fiancheggiata da due canali discolo, oltre i quali si distribuivano le abitazioni. Gli scavi archeologicicondotti dal 1983 ad oggi hanno permesso di ricostruire l’intera ecomplessa successione stratigrafica dell’area occupata da almenodue abitazioni. A conferma dell’organizzazione regolare dell’impiantourbano, si è evidenziato in modo sorprendente come, per tutti icirca 150 anni di vita del Forcello, le strutture abitative, pur variandole tecniche edilizie e la distribuzione degli ambienti interni, abbianomantenuto in modo estremamente preciso sempre il medesimoorientamento.Non mancavano importanti infrastrutture di difesa, edificate proba-bilmente per preservare l’interno dell’abitato da eventuali inondazioni.Lungo il lato nord-occidentale ci sono evidenze di un terrapieno, lacui presenza è intuibile dalla morfologia del terreno, ma la cuistruttura è ben documentata dalle analisi geomagnetiche e dagliscavi condotti nel 1982. Nella trincea di scavo effettuata sono stateindividuate diverse fasi di costruzione di quest’opera: l’impostazionedi un primo riporto di argilla dell’ampiezza di 5 metri, cui hannofatto seguito un episodio alluvionale, la costruzione di una palizzatalignea sulla sommità, una nuova e più consistente alluvione einfine un secondo terrapieno, probabilmente in mattoni crudi, a di-stanza di circa 30 metri dal primo, verso l’interno dell’abitato. Èfacile immaginare come queste imponenti strutture separassero inmodo netto il paesaggio circostante dalla vita movimentata che sisvolgeva nel centro etrusco. (Fig. 10)

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Fig. 11 – Scorcio dell’interno dell’abitatocon ipotesi ricostruttiva di case di fase F. Ildettaglio della vegetazione circostante leabitazioni è stato desunto dall'analisi disemi e frutti rinvenuti carbonizzati nei de-positi dell'abitato (Dis. Tino Adamo).

Architettura, edilizia e impiego delle risorse forestali

(L. Castellano, T. Quirino)

Recandosi al Forcello ci si imbatte in un paesaggio estremamenteantropizzato, in cui vasti campi di mais e lunghi filari di pioppi ac-compagnano lo sguardo verso il sito etrusco.Un lungo balzo a ritroso di 2500 anni, età che ci separa dal movi-mentato porto fluviale, ci conduce in uno scenario completamentediverso, con estese foreste dominate da querce e carpini bianchiche cedono il passo, in prossimità delle aree acquitrinose e fluviali,ad ontani e salici. Queste foreste costituivano una delle risorse piùsfruttate dagli Etruschi del Forcello per innumerevoli attività svoltequotidianamente.La foresta era fonte di cibo per l’uomo e per gli animali d'allevamento.Si pensi ad esempio alle ghiande delle querce molto gradite aimaiali. Inoltre la foresta offriva il legname, bene primario legato apressoché tutte le attività umane. Il legno era infatti impiegato comecombustibile, sia per le attività domestiche, quali il riscaldamentodegli ambienti durante le stagioni fredde, la cottura o l’affumicaturadei cibi e l’illuminazione delle abitazioni, sia per le attività artigianali,all’interno delle fornaci per la produzione di ceramiche e per la lavo-razione dei metalli. Come materia prima era sfruttato per la produzionedi manufatti, come, ad esempio, recipienti e manici di attrezziagricoli. Infine, era utilizzato come principale materiale edile per lacostruzione delle abitazioni (Fig. 11).Dato che il sito era asciutto, il legno si è potuto conservareraramente nei livelli archeologici mentre il carbone, residuo della

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Fig.12- Foto al microscopio elettronico ascansione (SEM) dei carboni di legna rin-venuti nel sito del Forcello (sez. trasversaledel fusto). A fianco, foto di foglie di specieaffini ai taxa identificati (foto al SEM diAgostino Rizzi, Laboratorio di MicroscopiaElettronica del C.N.R. – IDPA, foto dellefoglie Cesare Ravazzi).

combustione parziale, è più abbondante. I carboni di legna sonol'oggetto di studio dell'antracologia (Fig. 12).Il legno fu sicuramente il materiale maggiormente impiegato per lacostruzione delle abitazioni. La scelta del legname rappresenta unaspetto di grande interesse: ci si chiede, infatti, se gli antichiabitanti del Forcello conoscessero già le proprietà delle varieessenze a loro disposizione. Per rispondere a questa domanda ab-biamo provato a comparare i dati antracologici delle struttureedilizie (assi, travi, travetti, ecc.), relativi quindi ai carboni di legna,con i dati provenienti dalle analisi palinologiche. Questo confronto,benché operato su dati di natura differente e provenienti da disciplinedistinte, ci permette tuttavia di apprezzare i criteri adottati nella se-lezione dei legnami per l’edilizia (Fig. 13).Il legname maggiormente impiegato risulta quello di quercia, unaspecie che sappiamo, grazie ai dati palinologici, essere ampiamentediffusa nei dintorni del sito e che offriva piante ad alto fusto con le-gname resistente, flessibile e durevole anche all’aperto. Un’altraessenza che troviamo abbondantemente attestata tra gli elementistrutturali è il frassino, pianta anch’essa ad alto fusto con legnamedi buonissima qualità, tenace ed elastico.Gli abitanti del porto fluviale del Forcello furono condizionati, nellaprogettazione e nella realizzazione delle loro abitazioni, dalla repe-ribilità del materiale per costruzione presente nei pressi del sito. Inparticolare, è certo che la mancanza di pietra da costruzione abbiacostretto ad affinare tecniche che sfruttassero unicamente materialideperibili, quali legno, ramaglie, argilla e paglia.

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Fig. 13 - Comparazione fra l'abbondanzadelle specie nei carboni di legna relativialle strutture delle case di fase C/D (ca.490-450 a.C.) e di fase F (ca. 510-500a.C.) e nei dati pollinici. Dati antracologici:analisi L. Castellano, CNR, inedito; Castellettie Rottoli 1986; Usurini 1999. Dati palinologici:analisi M. Zanon, CNR, inedito.

Come venivano dunque costruite queste abitazioni?Ad oggi, grazie agli scavi archeologici, sappiamo che al Forcelloerano impiegate due differenti tecniche edilizie: l’incannucciato e ilcassone ligneo.La tecnica dell’incannucciato (Fig. 14), attestata nelle fasi piùrecenti del sito (ca. 490-400 a.C.), prevedeva una struttura realizzatacon pali portanti, che sorreggevano il tetto - probabilmente in paglia- e che fungevano da armatura per le pareti. Queste erano costituiteda un intreccio di canne e ramaglie, ancorato ai pali e rivestitod’argilla cruda intonacata, lisciata e scottata per raggiungere uncerto grado d’impermeabilità. (Fig. 15)La seconda tecnica edilizia è attestata invece nelle fasi più antichedell’insediamento. Dal punto di vista archeologico, la differenza piùevidente che caratterizza i resti delle abitazioni di fase G (ca. 520-510 a.C.) e di fase F (510-500 a.C.) è l’assenza di buche di palo.Le abitazioni, infatti, delimitate su tre lati da canali di scolo,presentano un’articolazione planimetrica scandita da canaline difondazione (Fig. 17), mentre nulla si è conservato dell’alzato. Ledue abitazioni di fase F (casa F1 e F2), in particolare, sono quelleche hanno fornito il maggior numero di informazioni, grazie alle lorostraordinarie condizioni di conservazione: i resti delle strutture,completamente distrutte da un violento incendio, sono stati infattisigillati da un’imponente bonifica d’argilla e preservati fino ad oggi,insieme a tutto il materiale archeologico nella sua collocazione ori-ginaria.Per queste abitazioni sembra dunque ipotizzabile un alzato acassone ligneo, forse quello che gli studiosi definiscono di tipoBlockbau: le pareti venivano edificate con travi di legno orizzontalisovrapposte, con incavi singoli o doppi nei pressi delle estremità,funzionali a incrociare e giuntare le travi stesse con quelle delle

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Fig. 14 – Dettaglio di una parete costruitacon la tecnica dell’incannucciato (Dis. G.Calciolari).

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pareti contigue (Fig. 16). Non si esclude tuttavia la possibilità che,sempre sfruttando travi di fondazione, venisse costruita un’intelaiaturalignea alla quale venivano incastrate o inchiodate assi verticali oorizzontali. Il tetto, in ogni caso, era probabilmente costituito da tra-vature ricoperte con paglia pressata.

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Fig. 15 - Casa di fase D-C (ca. 490-450a.C.), costruita con tecnica mista, paliportanti con pareti a incannucciato e paretilignee con canaline di fondazione, e co-pertura del tetto straminea (paglia pressatae legata). Planimetria parziale (scavi 2003-2011) e schematica con indicazione dellestrutture lignee analizzate (Dati antraco-logici: inediti CNR, analisi L. Castellano).

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Fig. 16 – Dettaglio della tecnica di costruzione definitaBlockbau (Dis. G. Calciolari).

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Fig.17 - Le case di fase F (ca. 510-500 a.C.), a cassoneligneo autoportante e copertura straminea (paglia legatae pressata). Planimetria semplificata con indicazione dellestrutture lignee analizzate; a destra esempio di strutturacarbonizzata dal canale Est della casa F1 (Dati antracologici:inediti CNR analisi L. Castellano, USURINI 1998/9).

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Alimentazione, commercio, agricoltura(L. Castellano, R. Perego)

Lo studio di frutti e semi conservati negli strati archeologici (Fig.18) fornisce importanti indicazioni sui prodotti dell’agricoltura, sullespecie spontanee raccolte e impiegate nell’alimentazione, su quelleimportate attraverso scambi commerciali. Anche piante selvatiche,raccolte nei campi e poi abbandonate nell’abitato, o che crescevanospontanee tra le case possono fornire utili informazioni.I dati che si ottengono da questi studi permettono di ricostruirealcuni degli habitat naturali o legati alle attività dell’uomo presentinei dintorni del centro etrusco. Finora abbiamo studiato il contenutodi semi, frutti e carboni degli strati di fase F (510-500 a.C.). Sonostate trovate soprattutto piante coltivate (legumi e cereali), a cui siaggiungono, anche se meno abbondanti, specie spontanee chevenivano raccolte e consumate come frutta (es. nocciolo, cornioloe uva). Alcune di queste, ad habitus legnoso, venivano anche im-piegate come legna da ardere nei focolari presenti all’interno delleabitazioni (es. vite, melo, ecc.), sono state pertanto identificateanche negli abbondanti carboni ritrovati nei livelli archeologici.Molto più sporadici sono invece i semi o frutti di specie infestanti(dei campi coltivati, dei dintorni delle case e dei bordi di strada) o diambienti naturali (Fig. 19). I cereali rinvenuti al Forcello sono farro, orzo, spelta, frumento dapane, miglio, panìco, segale e avena. Si tratta esclusivamente dicariossidi (o chicchi) carbonizzate, la cui combustione è probabilmenteavvenuta durante l’incendio che ha distrutto la struttura abitativadove erano conservati. La mancanza di parti delle spighe (glume,rachide, ecc.) indica che negli spazi sinora indagati arrivavano lecariossidi già “pulite”. I cereali erano dunque pronti per il consumoe per le operazioni di trasformazione (es. produzione di farine)come testimoniato dal ritrovamento di numerose macine e macinelliin pietra. I semi di leguminose, in particolare semi di favino (varietàminore della fava) sono i semi più abbondanti. Questi venivanomacinati per ottenere farine o più comunemente bolliti e impiegatiper la preparazione di zuppe. Particolare è il ritrovamento dinumerosi spicchi di aglio (Allium sativum L.) carbonizzati durantel’incendio della casa di fase F. Le testimonianze di piante orticole,di cui normalmente viene consumata l’intera pianta erbacea, sonoalquanto rare nei contesti archeologici. L’assenza di parti lignificatepreclude la possibilità di carbonizzazione e quindi di conservazionedi molte di queste specie e la storia della loro domesticazionerimane pertanto oscura. Un piccolo frammento di nocciolo di oliva(Olea europaea L.) documenta il ritrovamento di olivo al Forcello.L’assenza del polline di questa specie e le condizioni ambientalidell’area non favorevoli alla sua coltivazione in Pianura Padana,neppure in epoche passate, indicano che non si tratta di unaspecie spontanea nel Mantovano, bensì importata e commerciatadagli Etruschi. Questo ritrovamento lascia aperti vari problemi circal’impiego di questa specie e la sua commercializzazione.

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Fig. 18 (A e B) – Il recupero dei restivegetali (frutti, semi e carboni) avvienesetacciando con acqua il sedimento cam-pionato sullo scavo. Si impiegano setaccidi varie maglie posti in colonna, in mododa separare il sedimento in frazioni di di-verse dimensioni (A). Con l’aiuto di unostereomicroscopio si estraggono dalle fra-zioni setacciate i resti vegetali che vengonopoi identificati e contati (B).

a

b

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Fig. 19 La flora fossile del Forcello e la suaabbondanza. L’istogramma illustra la per-centuale di frutti e semi identificati, calcolatasulla base del numero totale di reperti (4755)La parte destra dell'istogramma è rappre-sentata in scala logaritmica (analisi R. Pe-rego). I colori si riferiscono a gruppi ecologicied etnobotanici definiti nella legenda.

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bibliografia generale di approfondimento

CASTELLETTI L., ROTTOLI M. 1986, Resti vegetali macroscopici: rapporto preliminare in De Marinis R.C. (a cura di), Gli etruschi a Nord del Po, Vol. I, pp 177-183.

DE MARINIS R.C. (a cura di) 1986 I vol.-1987 II vol., Gli Etruschi a Nord del Po, Catalogo della Mostra (Mantova 21 settembre 1986-12 gennaio 1987),Campanotto ed., Pasian di Prato (UD).

DE MARINIS R.C., RAPI M. (a cura di) 2007. L’abitato Etrusco del Forcello di Bagnolo San Vito, Firenze.

RAVAZZI C. 1994 - Lo studio del polline fossile per la ricostruzione degli ambienti del passato. Didattica delle Scienze, 171, pp. 20-26

RAVAZZI C., MARCHETTI M., ZANON M., PEREGO R., DEADDIS M., DE AMICIS M., MARGARITORA D., QUIRINO T. (in stampa), Lake evolution and landscape history inthe lower Mincio River valley, unravelling paleodrainage changes in the central Po Plain (Northern Italy) since the Bronze Age, in “Quaternary International”.

USURINI A. S. 1998-1999, Analisi archeobotanica dei macroresti vegetali del sito etrusco del Forcello (Mantova), Tesi di Laurea Università degli Studi di Milano,Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Corso di Laurea in Scienze Biologiche, Relatore Giovanna Marziani Longo, Correlatore Claudio Longo.

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agricoltura e risorse naturali per l’alimentazione degliabitanti del Forcello: alcune delle specie vegetali ritrovatenei livelli archeologici. (R. Perego)

Farro (o dicocco) (Triticum dicoccum Schrank)Sebbene non abbondante al Forcello, il farro, insieme all’orzo è una delleprincipali colture di cereali dell’età del Ferro. Il suo ruolo dominante verràmeno in età storica, quando tra i frumenti troveranno maggior diffusione leforme nude, ovvero il cui chicco è privo di rivestimento. Nelle foto:cariossidi fossili rinvenute al Forcello e spiga di farro.

orzo (Hordeum vulgare L.) È una delle prime piante messe a coltura in età Neolitica e la suacoltivazione si affianca costantemente a quella dei frumenti. Rispetto aquesti si adatta meglio a condizioni di limitate disponibilità idriche preferendoterreni neutri o subalcalini. Sinora sono state rinvenute solo pochecariossidi negli strati archeologici del Forcello. Nelle foto: cariossidi fossilirinvenute al Forcello e spiga di orzo.

spelta (Triticum spelta L.) Chiamato anche “grande farro”, presenta spighette piuttosto distanziatecon glume a punte quadrate e cariossidi piuttosto grosse. La coltivazionedello spelta fu introdotta in Europa durante l’età del Bronzo e preferitanelle aree montuose rispetto alla pianura. Anche al Forcello risulta infattipoco diffuso rispetto agli altri cereali. Nelle foto: cariosside fossile rinvenutaal Forcello e spiga di spelta.

“Frumento da pane” (o frumenti nudi) (Triticum aestivum / durum / tur-gidum) Sotto la denominazione “frumenti nudi” si raggruppano diverse speciepoco distinguibili in base ai soli caratteri delle cariossidi. Le forme nude sidefiniscono tali perché le cariossidi non sono strettamente avvolte nelleglumette e alla trebbiatura vengono liberate senza alcun rivestimento. Ifrumenti a granella nuda avranno massima diffusione in pianura solo conla romanizzazione e il miglioramento delle tecniche agrarie. Al Forcelloquesti frumenti sembrano acquisire già una discreta importanza. Nellefoto: cariossidi fossili di Triticum aestivum / durum / turgidum rinvenute alForcello e spiga di Triticum aestivum.

Miglio e panìco (Panicum miliaceum L. e Setaria italica (L.) Beauv.)Sono considerati cereali minori perché producono cariossidi di piccole di-mensioni (detti anche cereali a chicco piccolo). La coltivazione dei cerealia chicco piccolo è frequente durante l’età del Ferro, al Forcello sono stateinfatti trovate discrete quantità di cariossidi di miglio e panìco. Nella foto:cariossidi fossili di panìco rinvenute al Forcello .

segale (Secale cereale L.)La coltivazione della segale non era molto praticata durante l’età delFerro. Le cariossidi trovate al Forcello attribuite a questa specie risultanoinfatti piuttosto scarse. La segale troverà maggior diffusione in età romanacome documentato anche dall’analisi pollinica (vedi diagramma pollinico,fig.8 exB10). Nella foto: campo di segale.

avena (Avena sp. L.)È considerata una coltura secondaria. Infatti nella preistoria antica l’avenaè una pianta infestante nelle colture di orzo e frumento e solo dal IImillennio a.C. comincia a diffondersi, segno che si inizia a coltivarla. Tra ireperti fossili vegetali trovati al Forcello vi sono solo due cariossidi diAvena. Nella foto: cariosside fossile di avena rinvenuta al Forcello.

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Lenticchia (Lens culinaris Medik.) La lenticchia, come tutte le leguminose, è un alimento assai nutriente ericco in proteine vegetali. Insieme a frumento, orzo e pisello fu tra le primepiante messe a coltura. Oggi è coltivata nell’Europa meridionale e orientale.Al Forcello sono stati trovati solo pochi semi di questa leguminosa. Nellefoto: alcuni semi di lenticchia rinvenuti al Forcello e semi freschi.

pisello (Pisum sativum L.) L’identificazione di semi subfossili di pisello è spesso difficile per il cattivostato di conservazione. La combustione dei semi comporta infatti laperdita degli strati corticali e delle tracce dell’ilo (cicatrice d’inserzione delseme sul frutto). Lo studio di questa cicatrice è fondamentale per l’identi-ficazione di alcune specie di leguminose. Tra i reperti rinvenuti al Forcelloè stato possibile identificare sinora un solo seme di pisello. Nelle foto:seme fossile di pisello rinvenuto al Forcello e pianta di pisello.

Favino (Vicia faba var. minor L.) La fava è considerata uno dei legumi più pregiati, la cui coltivazione nelbacino del Mediterraneo e nell’Europa temperata è documentata da ritro-vamenti di grandi quantitativi di semi a partire dal III millennio a.C. I semiritrovati al Forcello sono numerosi e appartengono alla varietà minor(favino) che si caratterizza per la produzione di semi di più piccoledimensioni. Nelle foto: seme fossile di favino rinvenuto al Forcello,unapianta di favino e un legume aperto con semi ancora inseriti all’interno.

corniolo (Cornus mas L.) È un arbusto o alberello comune nel sottobosco di boschi termofili eluminosi. Il frutto, carnoso e piuttosto grosso, possiede un nocciololegnoso (endocarpo) che si può conservare nei siti archeologici. Ritrovamentidi noccioli di corniolo sono particolarmente abbondanti nei siti dell’età delBronzo. Al Forcello è stato trovato un solo endocarpo carbonizzato. Nellefoto: endocarpo rinvenuto al Forcello e frutto di corniolo fresco.

nocciolo (Corylus avellana L.) Il ritrovamento di nocciolo si limita a piccoli frammenti di guscio di nocciòla,documentando quindi un consumo occasionale alla tavola etrusca delForcello. Il nocciolo è un arbusto molto abbondante e a rapida diffusione.È presente soprattutto nelle fasce marginali dei boschi, nelle chiarie,lungo i sentieri e le rive dei ruscelli. Nelle foto: frammento di nocciolafossile rinvenuto al Forcello e nocciole fresche.

Vite (Vitis vinifera subsp. sylvestris / Vitis vinifera L.) I semi della vite (i vinaccioli), grazie al loro involucro legnoso, bruciando sicarbonizzano e vengono così conservati nei siti archeologici. La forma ele dimensioni dei vinaccioli possono essere utili per la distinzione tra viteselvatica e vite coltivata. I resti di vinaccioli rinvenuti al Forcello peresiguità e stato di conservazione non consentono di chiarire se si tratti divite coltivata o selvatica. Nelle foto: semi fossili di vite e frammento dicarbone in sezione trasversale a due diversi ingrandimenti rinvenuti alForcello.

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Il Parco Archeologico: uno spazio per laricerca, la didattica e la sperimentazione

C. Fredella, S. Gorni Silvestrini

Il Parco Archeologico del Forcello, in comune di Bagnolo San Vito(MN), nasce da un’esigenza di tutela e valorizzazione dell’area ar-cheologica, nella quale da oltre 30 anni sono in corso gli scavi dell’abitato etrusco.Il progetto, realizzato grazie anche ai finanziamenti della RegioneLombardia e dell’Unione Europea, è finalizzato a rendere fruibili algrande pubblico le scoperte archeologiche.L’area si trova nell’ambito territoriale protetto del Parco Regionaledel Mincio e la singolarità del luogo e la complessità dei sedimentiarcheologici hanno suggerito i caratteri peculiari dell’intervento; lestrutture sono state costruite su fondazioni superficiali e sospese dalterreno allo scopo di non interferire con i sedimenti archeologici. Laprogettazione degli edifici maggiormente significativi si è confrontatain termini contemporanei con le tipologie edilizie ritrovate al Forcello.

La visita al parco si snoda lungo una passerella sopraelevata.Questo percorso è accompagnato con pannelli esplicativi sullastoria degli Etruschi in generale e sull’abitato del Forcello e la suascoperta in particolare.La passerella termina su una terrazza che affaccia sugli scavi ai latidella quale si trovano i due ambienti più grandi: il laboratorioriservato agli archeologi e l’aula multimediale.Alla sinistra della passerella si trovano due atelier coperti, corredatianch’essi di pannelli esplicativi, dedicati ai laboratori didattici sulleattività artigianali.All’interno del primo atelier si trova il telaio verticale in abetebianco, opera di Tania Lorandi, che ha lavorato alla ricostruzionesulla base dei dati archeologici.Il secondo atelier è dedicato al laboratorio “L’arte del vasaio”, è cor-redato con pannelli esemplificativi delle principali forme ceramicheattestate al Forcello.Altre aree dedicate alle attività artigianali si trovano all’aperto a latodegli scavi. Il dott Roberto Deriu, archeologo sperimentale, hacostruito due fornaci per la cottura della ceramica. Le fornacivengono utilizzate per condurre ricerche sperimentali sulla produzionedi ceramica etrusco padana e per dimostrazioni di cottura rivolteanche al grande pubblico.

A fianco delle fornaci si trova un’area destinata alla molitura,attrezzata con macine e macinelli appositamente realizzati sullabase dei manufatti rinvenuti negli scavi e corredata anch’essa di unpannello didattico sulla produzione del cibo. L’attività di molitura dicereali e legumi fa parte del laboratorio “A tavola con gli etruschi”,all’interno del quale vengono illustrate quali fossero le speciecoltivate e allevate dagli Etruschi del Forcello e con l’ausilio ditavole anatomiche si procede anche al riconoscimento di frammentidi ossi animali provenienti dagli scavi.

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Veduta del parco e della campagna circostante.

Le fornaci durante un evento di cotturasperimentale.

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Un valore aggiunto del Parco del Forcello è senza dubbio lapresenza del cantiere di scavo ancora attivo, infatti visitando ilParco nei periodi di apertura dello scavo, è possibile assistere allavoro sul campo dell’equipe di archeologi dell’Università degliStudi di Milano.Per offrire ai più piccoli un’esperienza diretta di come si svolge illavoro di ricerca è stato allestito il laboratorio “Il mestiere dell’ar-cheologo”. Durante il laboratorio gli alunni, asportando un livello disabbia con cazzuole e pennelli, riportano alla luce un livello ar-cheologico, appositamente ricostruito, ed eseguono quindi le ope-razioni di documentazione e schedatura, con l’ausilio di appositeschede didattiche.Infine, all’interno dell’aula multimediale, il visitatore può assisterealla proiezione di un cartoon esemplificativo della vita nella cittàetrusca o di diversi documentari sulla scoperta del sito e diarcheologia sperimentale. Per le postazioni informatiche è statorealizzato un wbt (web-based training), che offre la possibilità di ve-rificare attraverso il gioco le informazioni apprese durante la visita.L’offerta didattica per le classi e per i singoli visitatori è dunquepensata per essere modulabile e soddisfare diverse modalità elivelli di apprendimento, tramite la lettura dei pannelli o sperimentandoin prima persona attività pratiche, assistendo a dimostrazioni di ar-cheologia sperimentale o utilizzando gli strumenti multimediali.

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Il telaio e alcune fasi dell’orditura

L'area di scavo e sullo sfondo le strutturericettive.

Il gioco multimediale.

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tra Mantova e il poLa parte Sud del Parco del Mincio:

un’area protetta tutta da scoprire

Sono 25 chilometri, che sulle strade asfal-tate, in una rapida corsa in auto, si possonopercorrere in una mezz’ora. Ma il concen-trato di natura, cultura, archeologia presentein questo tratto - la porzione del bassocorso del fiume Mincio - richiede di rallentarei tempi e di concedersi ben di più per scor-gere e fruire di tutto quello che in untransito veloce neppure si riesce a perce-pire. Questa mappa offre una parzialechiave di lettura delle molte sorprese cheil territorio riserva. Il Forcello è infatti l’epi-centro di una porzione del Parco del Mincioche può vantare testimonianze naturalistichedegne di protezioni europee. Sono bendue i siti della Rete Natura 2000: la riservanaturale e zona di protezione specialedella Vallazza e sulla sponda opposta lalanca di Chiavica del Moro. Il SIC (Sito d’importanza Comunitaria) eZPS (Zona di Protezione Speciale) “Val-lazza” si sviluppa per circa 6 chilometri avalle del lago Inferiore, nei territori di Man-tova e di Virgilio, in una vasta zona umidacon notevole diversificazione degli habitatpalustri e ripariali, che richiamano numerosespecie di uccelli: Nitticore, Garzette, Sgarzaciuffetto, Airone guardabuoi, Airone cenerinotrovano riparo in un ampio saliceto e all’in-terno del sito vi è uno dei più importantidormitori (roost) di cormorani d’Italia.Un piccolo porticciolo è il luogo nel qualevengono realizzate manifestazioni e il puntodi partenza per escursioni guidate nell’area,raggiungibile anche a piedi da bosco Vir-giliano o in motonave da Mantova. Sug-gestivi sentieri si immergono nella vegeta-zione e conducono al forte di Pietole, unodei più vasti baluardi napoleonici presentinel Nord Italia mentre a Sud un percorsociclopedonale conduce, attraverso i campicoltivati a grano e foraggere, all’area delForcello. Su questo percorso si trova unabella torretta panoramica, realizzata dalParco del Mincio, che si eleva per circa 20metri ed offre uno sguardo d’insieme sulterritorio.

Gloria De VincenziServizio Comunicazione Parco del Mincio

www.parcodelmincio.it

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musei in provincia1 Asola Museo Civico “Goffredo Bellini”2 Bagnolo San Vito Parco Archeologico del For-

cello, Museo della Civiltà Contadina3 Borgofranco sul Po Museo del Tartufo4 Canneto sull’Oglio Museo Civico - Centro di do-

cumentazione Ecomuseo Valli del Chiese5 Castel d’Ario Castello Medievale6 Castel Goffredo MAST - Prepositurale di San-

t’Erasmo7 Castellucchio Museo di Armi Antiche “Fosco Ba-

boni”8 Castiglione delle Stiviere Museo Internazionale

della Croce Rossa, Museo Storico Aloisiano,Museo Palazzo Bondoni Pastorio

9 Cavriana Museo Archeologico dell’Alto Manto-vano

10 Felonica Museo della II Guerra Mondiale del fiume Po

11 Gazzuolo Centro della comunicazione audiovi-siva Collezione “Oreste Coni”

12 Medole Civica raccolta d’arte13 Moglia Ecomuseo delle Bonifi che - Centro di do-

cumentazione14 Ostiglia Civico Museo Archeologico e Fondo Mu-

sicale “Giuseppe Greggiati”, Museo della Farma-copea, Torri Medievali e Palazzina Mondadori

15 Pegognaga Museo Civico16 Quistello Pinacoteca Civica, Museo diffuso “Giu-

seppe Gorni”17 Revere Museo del Po18 Rivalta sul Mincio Museo Etnografi co dei Me-

stieri del Fiume19 Roncoferraro Museo diffuso Conca del Bertaz-

zolo20 Sabbioneta Museo diffuso della Città, Museo di

arte sacra “A passo d’uomo”21 San Benedetto Po Museo Civico Polironiano22 Solferino Museo del Risorgimento di Solferino e

San Martino23 Suzzara Galleria del Premio Suzzara24 Viadana Museo Civico “Antonio Parazzi” e Gal-

leria d’Arte Moderna25 Villimpenta Castello Scaligero26 Virgilio Museo Virgiliano

musei a mantova1 Accademia Nazionale Virgiliana e Teatro Bibiena2 Casa della beata Osanna Andreasi3 Casa del Mantegna4 Ex-chiesa Madonna della Vittoria5 Galleria Museo Valenti Gonzaga6 MASTeR - Mantova Ambiente Scienza Tecnolo-

gia e Ricerca7 Museo Archeologico Nazionale*8 Museo della città - Palazzo San Sebastiano9 Museo Diocesano “Francesco Gonzaga”10 Museo di Palazzo d’Arco11 Museo di Palazzo Ducale*12 Museo di Palazzo Te13 Museo Storico del Corpo nazionale dei Vigili del

Fuoco14 Museo Tazio Nuvolari15 Palazzo della Ragione16 Rotonda di San Lorenzo17 Tempio di San Sebastiano* Museo statale

provincia di Mantova

Ufficio Beni Culturali e Museipalazzo della Cervetta - piazza Mantegna, 6 - Man-tovaTel. (0039) 0376 357531Call center Turismo (0039) 0376 432432Web www.sistemamusealeprovinciale.mantova.itE-mail [email protected]

Il sistema provinciale dei musei e dei beni culturali mantovani Breve storia di una esperienza importante

È stato istituito dalla Provincia di Mantova con Delibera di Consiglio nel marzo2004, attraverso la sottoscrizione di una Convenzione triennale alla quale avevanoin primo luogo aderito 25 enti e istituzioni museali pubblici e privati, ai quali si ag-giunsero nel corso del primo anno altri 3 Musei.La Convenzione, il cui testo fu condiviso nel corso di una lunga seri di incontri congli amministratori, i direttori e i responsabili dei principali musei del territorio, defi-nisce finalità e obiettivi del Sistema; in primo luogo quello di sviluppare una rete direlazioni tra Musei, Raccolte museali e Beni monumentali, per coordinare, integraree migliorare la qualità e la quantità dei servizi culturali e museali, in una logica disistema che consideri il museo come presidio culturale del territorio e strumento dicrescita e di sviluppo per la collettività e di operare per la condivisione e raziona-lizzazione delle risorse, assicurando alle istituzioni aderenti prestazioni e servizianaloghi in termini di efficacia, qualità e tipologia.Il primo rinnovo è avvenuto nel 2008, con alcune modifiche della Convenzione el’adesione di 36 enti pubblici e privati; le modifiche hanno introdotto nuovi obiettivitra cui: la predisposizione di azioni di monitoraggio, la promozione della cataloga-zione SIRBeC (Sistema informativo regionale Beni Culturali) del patrimonio mobileed immobile dei musei e del territorio e la consulenza in ambito normativo e am-ministrativo; inoltre sono stati allineati i requisiti richiesti con quelli previsti dallanormativa regionale per il riconoscimento museale.Il secondo rinnovo è avvenuto recentemente e il numero degli enti pubblici e privatiaderenti è salito a 41, suddivisi in 40 Musei, 4 Ecomusei, 1 Parco Archeologico, 1Centro della Comunicazione audiovisiva, 1 Laboratorio interattivo scientifico-am-bientale, 9 Beni monumentali.Fin dalla sua istituzione il Sistema museale provinciale ha svolto e sviluppato atti-vità nell’ambito dei servizi indicati dalla normativa regionale per il riconoscimentodei Sistemi museali; più nello specifico nell’allestimento di strutture di servizio alpubblico condivise da tutti i musei del Sistema (sito web, totem multimediale), nelcoordinamento e promozione della didattica museale (progetti di Sistema, pubbli-cazione annuale della Guida Crescere al Museo), nella promozione e valorizza-zione integrata delle collezioni dei musei e dei beni culturali (produzione cartoguide,iniziative Busmuseum per Lunga notte al museo e Pomeriggi al museo), nella for-mazione e aggiornamento del personale dedicato ai musei e alle raccolte museali(Corsi su didattica, sicurezza, accessibilità), nei progetti di ricerca (monitoraggioflussi dei visitatori, sicurezza patrimonio museale, accessibilità).Il Sistema museale provinciale mantovano con la sua forza propulsiva di crescita,attraverso il costante sviluppo di progetti, attività e servizi integrati portati avanti inquesti anni, ha realizzato l’obiettivo di ottenere nel dicembre 2009 dalla RegioneLombardia il riconoscimento come Sistema Museale Locale.

Tiziana GrizziResponsabile Ufficio Beni Culturali e Musei

Coordinatore del Sistema museale provincialeProvincia di Mantova

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La Rete MA_net

Rete dei Musei Archeologici delleprovincie di Brescia, Cremona e Mantovawww.museiarcheologici.net

La Rete MA_net, che unisce attualmente 17 enti, tra cui il Parco Archeologico delForcello, è nata nel 2004 con l’obiettivo di favorire la collaborazione, l’interazionee il costante contatto tra i musei aderenti al fine di garantire una migliore edintegrata valorizzazione e fruizione del patrimonio archeologico.Fanno parte della rete realtà assai eterogenee: i musei delle città capoluogo diBrescia e Cremona, con ricche collezioni diacroniche e una struttura organizzativaed operativa grande e rodata; i musei territoriali, caratterizzati da una forte conte-stualizzazione delle collezioni, frutto il più delle volte di attività di monitoraggio delterritorio avvenute nei decenni passati ed infine musei locali con raccolte dimateriali che provengono da un territorio corrispondente spesso al solo ambitocomunale. Queste caratteristiche comportano conoscenze teoriche e pratichediverse, basate anche sulle diverse esperienze del personale, ma situazioni cosìdifferenti hanno costituito lo stimolo per doverosi e importanti confronti, tesi allasoluzione di problemi di altri o al trasferimento di modalità già consolidate neimusei più ampi.L’intento della Rete è quello di sviluppare iniziative e progetti comuni, nella consa-pevolezza che un’ottica territoriale allargata è quella che offre le migliori possibilitàdi individuare e comprendere fenomeni storici di portata significativa, nonché dicondividere la realizzazione di questi progetti, con il fine di ottimizzare le risorseumane e finanziarie. Inoltre la rete vuole costituire un soggetto unitario perdialogare con gli enti interessati alle problematiche della conservazione, esposizionee cura delle collezioni archeologiche e con le istituzioni coinvolte nelle politichesui beni archeologici.Dalla Rete sono nati prodotti editoriali, mostre, catalogazioni, progetti di studio,offerte educative condivise con attenzione a pubblici diversi, nonché uno scambiocontinuo e proficuo di informazioni.

PalazzoPignano

Anthu Marke

Per quale motivo alla pubblicazione del ParcoArcheologico del Forcello, che si spera possaavere continuità nel corso del tempo, è statodato il nome di Anthuś Markeś? Il motivo èsemplice, è il nome di un antico abitante delForcello tramandato fino a noi da un’iscrizionescoperta nell’autunno del 1981 nella parte piùmeridionale del Forcello, circa 160 metri a norddella cascina Berla.L’iscrizione è stata impressa prima della cotturalungo il fondo interno del piede di una ciotola inceramica fine di tipo etrusco-padano. Fu raccoltasubito dopo le arature da Gualberto Storti,allora conservatore del museo di Pietole Virgilio,e mi venne consegnata ancora incrostata diterreno in occasione di un mio sopralluogo.Quel giorno mi ero recato a Mantova, contra-riamente alle mie abitudini, in treno. Seduto suuna panchina della stazione ferroviaria osservaiattentamente il fondo della ciotola, su cui si in-travedeva la presenza di un’iscrizione. Nonseppi resistere alla tentazione e cominciai apulirlo dal sedimento terroso lentamente e conle cautele del caso. Arrivato a Milano l’iscrizioneappariva ormai leggibile in tutta la sua comple-tezza: “:anthuś.markeś:”. Era la definitiva con-ferma dell’etruschicità dell’abitato del Forcello.Si tratta di una delle cosiddette iscrizioni parlanticon prenome e gentilizio al genitivo, il caso in-dicante il possesso, la pertinenza del manufatto:“io sono di ......”. È come se l’oggetto parlasse,rivelando di appartenere a qualcuno. La maggiorparte delle iscrizioni del Forcello di carattereonomastico ha solo il nome personale, comequasi di norma nell’Etruria Padana, e non laformula bimembre, con prenome e gentilizio.Marke è un nome individuale ben noto nell’Etruriameridionale (latino Marcus), ma in questo casoè in funzione di gentilizio, cioè indica il nomedella gens – concetto più o meno assimilabilea quello attuale di casato - a cui apparteneva ilsoggetto. L’uso di gentilizi derivanti da nomi in-dividuali è ben attestato a Chiusi nell’Etruria in-terna. Per la posizione che occupa all’iniziodell’iscrizione Anthu è un nome individuale cherichiama il nome femminile arcaico Anthaia, at-testato a Tarquinia, il gentilizio noto ad Ascianocon una forma genitivale femminile, Anthual, eil nome Ανθω, figlia di Amulio, re di Alba Longa,riportato da Plutarco nella Vita di Romolo. Danotare che la ω greca in etrusco viene trascrittacon “u”. Nomi femminili uscenti in –u sono atte-stati in etrusco, ad es. nella tomba del Cardinaledi Tarquinia (“ra(v)nthu”), sebbene più raramenterispetto a quelli uscenti in –a. In conclusione èpossibile che il personaggio dell’iscrizione delForcello fosse una donna. Quello che è certo èil fatto che la formula onomastica bimembre el’impressione dell’iscrizione prima della cotturadenotano una particolare importanza di questopersonaggio vissuto al Forcello 2500 anni fa.

RAFFAELE C. DE MARINIS

Cattedra di Preistoria e Protostoria

Università degli Studi di Milano

È una grande soddisfazione per il Comune di Bagnolo San Vito presentare il primonumero della collana Anthus Markes, dedicata all’archeologia, alla didattica e allaricerca sperimentale, con un’ovvia, particolare, attenzione alle ricerche in corso nelsito etrusco del Forcello.È dal 2006, con l’inaugurazione del Parco Archeologico, che questa amministrazioneha sostenuto la valorizzazione di questa eccellenza e soprattutto la fruibilità daparte del grande pubblico di questo luogo dove ricerca, sperimentazione e didatticahanno trovato forte sinergia d’intenti.Anche questa pubblicazione, realizzata grazie al fondamentale patrocinio e sostegnodi Regione Lombardia e al costante impegno scientifico e comunicativo dell’equipedi archeologi diretti dal prof. Raffaele de Marinis, ben si inserisce in un progetto dicarattere prettamente divulgativo, finalizzato a restituire i tesori del nostro patrimonioarcheologico ad un pubblico di non esperti perché possa essere compreso il lorovalore e la necessità di una loro tutela da parte di tutta la comunità.

MARIA ROSA BORSARI

Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Bagnolo San Vito

Il Forcello, buona pratica per la valorizzazione del patrimonio archeologico regionale

Le due caratteristiche più evidenti del patrimonio archeologico della Lombardia sonola capillare diffusione e, tranne poche eccezioni, la ridotta monumentalità delleevidenze. La combinazione di questi due fattori, unita ad una vocazione dellaregione a connaturarsi come area produttiva più che turistica, ha determinato la per-cezione -diffusa anche tra addetti ai lavori- che poco ci sia di archeologico nelterritorio lombardo. Negli ultimi anni tuttavia tale immagine si è andata trasformando e, complice la rea-lizzazione di importanti opere pubbliche, parcheggi urbani e il proseguimento dellacampagne di ricerca, l’archeologia si è finalmente rivelata come una risorsaimportante sotto il profilo turistico e culturale.A riprova di ciò la presenza in Lombardia della più alta concentrazione di sitiUnesco in Italia (9 dei 47 italiani) e di cui ben quattro (Arte rupestre in Valcamonica,Monte San Giorgio, Palafitte dell’arco alpino, Centri di potere e culto nell’Italia Lon-gobarda) sono siti archeologici.Data al 1984 la prima legge regionale che prevede interventi di restauro evalorizzazione “per la tutela del patrimonio edilizio di valore ambientale, storico, ar-chitettonico, artistico ed archeologico”, e con alcune opportune integrazioni rappresentaancora lo strumento normativo che consente l’erogazione di interventi a sostegnodel patrimonio archeologico. L’obiettivo da raggiungere si è nel tempo trasformato, ementre in passato gli interventi si indirizzavano essenzialmente a sostegno dellaconservazione materiale dei beni, ora sono prioritari gli interventi che consentono lafruizione e la diffusione delle conoscenze.Questa mutata prospettiva trova le sue ragioni nel riconoscimento della necessità diintraprendere azioni di educazione al patrimonio. La semplice realizzazione diinterventi di conservazione non può più infatti giustificare l’erogazione di denaropubblico, sottratto ad altri interventi più direttamente legati alla vita quotidiana delcittadino e la cui necessità è immediatamente percepita; se si ritiene giusto finanziarela realizzazione di uno scavo piuttosto che il restauro di un sito è importante renderepartecipe la comunità locale delle scelte intraprese. Alla realizzazione dell’interventoè pertanto necessario affiancare delle azioni che diano conto di quanto si starealizzando, seguendo un percorso che, a partire dai cartelli di cantiere apposti, finoalla realizzazione di pannelli didattici e aperture al pubblico dell’area documentianche ai non addetti ai lavori il valore di quanto viene realizzato.In tale ottica diviene esemplare il percorso che ha condotto alla realizzazione delParco Archeologico del Forcello e che ne vede ora una continua crescita propositiva,aperta con intelligenza alla comunità. La difficoltà di lettura delle evidenze archeologicheè stata uno stimolo per la realizzazione di laboratori, per lo sviluppo di attività di ar-cheologia sperimentale, per la stesura di quaderni didattici che hanno affiancato leaperture con visite guidate dell’area.Il coinvolgimento della comunità locale, che con il Comune e la Pro Loco hannoaderito e sostenuto il progetto, ha consentito lo sviluppo di progetti per gli adulti, chespaziano dalla cucina alla mediazione culturale, facendo del parco un vero “luogo dicultura” per citare la definizione del Codice dei beni culturali, un luogo cioè apertoalla diffusione della conoscenza, fruibile e fruito da residenti, scolaresche e visitatori.Tutto ciò senza trascurare l’aspetto legato alla ricerca scientifica, dato che lo scavoè -da quasi trent’anni ormai- anche un momento di formazione e studio per studentie studiosi dell’Università degli Studi di Milano. Date queste premesse risulta chiaramente comprensibile la ragione del sostegnodato negli anni da Regione Lombardia a questo parco, che rappresenta davvero unabuona pratica di valorizzazione del patrimonio archeologico e ne fa davvero un “pa-trimonio” condiviso per l’intera comunità regionale.

MONICA ABBIATI

Direzione Generale Cultura- Regione Lombardia

anthus markes

collana del

Parco archeologico del Forcello

(Bagnolo san Vito - mantoVa)

archeologia e amBiente

a cura di

claudia Fredella

saPSocietàArcheologica

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n. 12011

Programma attività settembre/ottobre 2011

Dal 5 al 30 settembreCampagna di scavi dell’Università degli studi di Milano nel sito etrusco del ForcelloIn questo periodo sarà possibile prenotare visite guidate agli scavi in corso edassistere al lavoro degli archeologi sul campo.

8-11 settembre Il Parco del Forcello ospite al Festival letteratura di MantovaIn occasione della presentazione al Festival dei “Quaderni di Archeologia” verrannorealizzati laboratori didattici ai Giardini Valentinigiovedì 8 - ore 14.30 Il mestiere dell’archeologosabato 10 - ore 14.30 Trame del passato - laboratorio di tessitura e intrecciodomenica 11 - ore 17.15 L’arte del vasaio -laboratorio di modellazione della ceramica

Domenica 11 settembre Dalle 15 alle 18. Apertura straordinaria e visite guidate agli scavi in corsonell’abitato etruscoProiezione del documentario “Dagli etruschi ai Gonzaga: 2000 anni di storialungo il Mincio” – Realizzato dal Laboratorio di Valorizzazione e Comunicazionedei Beni Archeologici dell’Università IULM.Ore 18.00. Presentazione del primo numero della pubblicazione del ParcoArcheologico del Forcello “Anthus Markes”

Domenica 18 settembre Ore 18.00 CONCERTO DI FINE ESTATECon i docenti del corso di musica organizzati dall’Amministrazione Comunale.Ingresso gratuito

24/25 settembre Giornate Europee del Patrimonio e Fai il pieno di Cultura Archeologia sperimentaleIl dott. Roberto Deriu inaugurerà, con un evento di cottura di vasellame etruscopadano e celtico, la nuova copertura realizzata per le due fornaci già attive al parco.Sabato 24: cottura della ceramica e dimostrazione e sperimentazione dell’attività dimodellaggio dei recipienti ceramiciDomenica 25: estrazione del vasellame cotto

Giovedì 29 settembreOre 17.30 Conferenza del prof Raffaele C. de Marinis e del dott. Tommaso Quirinodi presentazione dei risultati delle campagne di scavo 2011

Domenica 2 ottobreOre 15.30 “La casa di Venzal”Presentazione del modello, opera del Dott. Leonardo Lamanna, di una delle case delForcello realizzata con la tecnica cosiddetta del Block bau e laboratorio di ricostruzionedi una casa con la tecnica dell’incannucciato.

In copertina:Foto aerea del’area del Forcello con i laghi di Mantova sullo sfomdo e scavi in corsonell’abitato etrusco

€ 9,00

ISBN 978-88-87115-69-79 788887 115697