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SOCIETà DI STUDI POLITICI bIbLIOTECa EUrOPEa 2

Fra Gerusalemme e Tebe. L'ebraismo utopico di Else Lasker-Schueler

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SOCIETà DI STUDI POLITICI

bIbLIOTECa EUrOPEa

2

Valentina Di rosa

fra gErUSaLEmmE E TEbE

L’EbraISmO UTOPICO DI ELSE LaSkEr-SChüLEr

Un saggio e un’antologia di traduzioni

La scuola di Pitagora editricenaPOLI mmxI

Volume pubblicato con fondi stanziati per il PrIn 2007 dal titoloLe culture del sionismo. Intellettuali mitteleuropei e progetto della

Nuova Gerusalemme. Per un regesto (1880-1948)

Tutte le traduzioni dei testi sono a cura di Valentina Di rosa.Le poesie sono citate dal I volume (Gedichte) dell’edizione critica delleopere di Else Lasker-Schüler: Werke und Briefe, a cura di n. Oellers,

h. rölleke, I. Shedletzky, frankfurt/main 1996© 2011 Copyright Jüdischer Verlag, berlin

© 2011 La scuola di Pitagora editricePiazza Santa maria degli angeli, 1

80132 [email protected]

ISbn 978-88-6542-057-7

InDICE

IL VELO DELLa POESIa 11

TESTI E TraDUzIOnI 41

a PaUL LEPPIn

Ich frage nicht mehr 44Non chiedo più 45Du es ist nacht – 46Ehi, è notte – 47

a JOhannES hOLzmann

ballade 50Ballata 51Senna hoy 52Senna Hoy 53Siehst du mich – 56Mi vedi – 57mein Liebeslied 58Il mio canto d’amore 59Ein Liebeslied 62Un canto d’amore 63

Ein Lied der Liebe 64Canto dell’amore 65Ein Trauerlied 68Un canto triste 69Sascha 72Sascha 73Ich träume so leise von dir – – – 74Sogno segretamente di te – – – 75an den Prinzen benjamin 76Al principe Beniamino 77

a hanS EhrEnbaUm-DEgELE

hans Ehrenbaum-Degele 80Hans Ehrenbaum-Degele 81als ich Tristan kennen lernte – 82Quando conobbi Tristano – 83an den gralprinzen 84Al principe del Gral 85an den Prinzen Tristan 86Al principe Tristano 87an den ritter aus gold 88Al cavaliere d’oro 89an den ritter 90Al cavaliere 91an Tristan 92A Tristano 93

a gOTTfrIED bEnn

O, deine hände 96Oh, le tue mani 97giselheer dem heiden 98Al pagano Giselheer 99

InDICE

giselheer dem knaben 102Al fanciullo Giselheer 103giselheer dem könig 104Al re Giselheer 105Lauter Diamant... 106Diamante puro... 107Das Lied des Spielprinzen 108Il canto del principe per gioco 109hinter bäumen berg’ ich mich 110Mi nascondo dietro alberi 111giselheer dem Tiger 114Alla tigre Giselheer 115klein Sterbelied 116Piccolo canto di morte 117O gott 118Oh Dio 119höre! 120Ascolta! 121Dem barbaren 122Al barbaro 123Dem barbaren 126Al barbaro 127Verinnerlicht 128Dentro di me 129O ich möcht aus der Welt! 130Oh, vorrei abbandonare il mondo! 131

a hanS aDaLbErT VOn maLTzahn

an hans adalbert 134A Hans Adalbert 135Dem herzog von Leipzig 136Al duca di Lipsia 137aber deine brauen sind Unwetter... 138Ma le tue sopracciglia sono intemperie... 139

InDICE

Du machst mich traurig – hör 140Tu mi rattristi – ascolta 141

a gEOrg TrakL

mein Lied 142Il mio canto 143georg Trakl 144Georg Trakl 145georg Trakl † 146Georg Trakl † 147

a franz marC

als der blaue reiter war gefallen... 148Quando il cavaliere azzurro cadde in guerra... 149

note 151

fonti dei testi originali 157

InDICE

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio,

oppure il suo rovescio, la paura. Le città come i sogni sono costruite didesideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro

regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.

Italo Calvino

alcuni ringraziamenti: agli amici ‘berlinesi’ Cristina alziati e Ehudalexander avner, interlocutori di questo lavoro di scrittura e traduzione;all’amico ‘napoletano’ Wolfgang kaltenbacher per il suo prezioso sostegnoin fase di stampa.

grazie inoltre a Petra hardt (Suhrkamp Verlag) per l’attenzione de-dicata al progetto di questo libro.

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IL VELO DELLA POESIA

Il mondo è tutto avvolto nelle tenebre. Perciò ho acceso una stella.

«Mi ero figurata diversamente la vita qui a Gerusalemme. Sonodavvero profondamente delusa. La terra, certo, è la stessa: terra pri-migenia, Creazione; ma io sprofondo dentro di me e morirò qui ditristezza. [...] Non c’è calore che si spanda di casa in casa, nessunacasa è imparentata con l’altra casa. Io – sono appunto un’estraneain mezzo a una stima recitata a memoria e una medietà piccolo-bor-ghese. [...] Eppure sono sempre stata un indiano, un uccello te-stardo, ora del tutto prostrato e come in gabbia –»(B 10, 266-267)1.

Palestina, dicembre 1939: approdata per la terza volta nella«terra biblica» per un viaggio volto alla promozione dei suoi testi,Else Lasker-Schüler è impossibilitata dallo scoppio della secondaguerra mondiale a lasciare il Paese. Le autorità svizzere le impedi-scono il rientro, non concedendole il visto d’ingresso. Ufficialmente

1 Tutti i testi sono citati dall’edizione critica delle opere di Else Lasker-Schüler(fra parentesi le abbreviazioni relative ai singoli volumi): Werke und Briefe. KritischeAusgabe, a cura di N. Oellers, H. Rölleke, I. Shedletzky, Frankfurt/Main-Berlin,1996-2010 – vol. 1: Gedichte (G); vol 2.: Gedichte. Anmerkungen (G 2); vol. 3: Prosa.1903-1920 (P 3); vol. 4: Prosa. 1921-1945 (P 4); vol. 5: Prosa. Das Hebräerland (H);vol. 6: Briefe. 1893-1913 (B 6); vol. 7: Briefe. 1914-1924 (B 7); vol. 8: Briefe. 1925-1933(B 8); vol. 9: Briefe. 1933-1936 (B 9); vol. 10: Briefe. 1937-1940 (B 10); vol. 11: Briefe.1941-1945 (B 11). Le traduzioni dal tedesco, qui come altrove, sono mie.

risiede nel frattempo a Zurigo, grazie a un temporaneo permessodi soggiorno che, seppure vincolato al divieto di praticare la scrit-tura come «attività remunerativa», le ha consentito di ritrovare undomicilio, dopo che nel 1933 è stata costretta a fuggire dalla Ger-mania, a seguito dell’avvento al potere di Hitler. Nel settembre1938 le è stata revocata la cittadinanza tedesca. Gli atti della Poliziasvizzera, da cui è sorvegliata, la caratterizzano come «persona in-costante»; lei stessa si definisce piuttosto «un’emigrante che datempo ormai vaga di luogo in luogo, mezzo distrutta, una poetessaridotta in miseria» (B 9, 163).

La prima volta era giunta carica di immagini nella «terra diSion» nella primavera del 1934, al termine di una traversata chel’aveva condotta a tappe «dall’Africaall’Asia» lungo vari porti delMediterraneo sino a Haifa: «La valigia – più di questo, a quantopare, non mi serve. Ci sono seduta sopra. Quando andrò in Pale-stina – ci dormirò dentro – sulla spiaggia di Giaffa. Di giorno rac-coglierò conchiglie e le conserverò, sempre dentro la valigia. D’altronon ho bisogno! [...] Non vedo l’ora di – arrivare in Egitto e di –fare ritorno a casa, a Gerusalemme» (B 9, 24).

Eppure, anche allora, l’incantesimo si era spezzato quasi su-bito. La realtà aveva tradito le aspettative, smorzando nel giro dipoche battute l’entusiasmo delle lettere spedite agli amici in Eu-ropa: «Difficile descrivere – la sorpresa e i traffici e il mare e l’oscu-rità. Qui: magnifica terra biblica, continuo passaggio di carovanedavanti al mio balcone: molto diverso da quanto si immagina. Madifficile. Forse: sorpresa» (B 9, 114), aveva scritto a Ernst Ginsberg,compagno di emigrazione a Zurigo.

L’attesa di Gerusalemme, ovvero l’immaginazione di una patriadalle radici antiche: l’incontro dal vero con il mito della Terra pro-messa, da sempre evocata nei termini di una nostalgia radicata nellastoria e nella memoria del popolo ebraico, acquista sin dall’inizioil carattere rovesciato e sofferto di uno spaesamento. Non la vi-cenda a lieto fine di un ritorno, né il ritrovamento di dimensioniprofonde della propria identità, ma piuttosto un’esperienza diemarginazione e solitudine in un mondo percepito come estraneoe distante. «Sono davvero turbata, tanto infelice mi sento qui, quidove aspiravo a essere sin dalla Bibbia» (B 9, 114).

VALENTINA DI ROSA

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Meraviglia, commozione, disincanto, «smisurata amarezza»: lacontraddizione fra i diversi registri è più antica del disagio che af-fiora malcelato nella scrittura di questi anni e intimamente legataai modi in cui la coscienza ebraica determina la coscienza poeticadi Lasker-Schüler, molto prima che l’esilio si trasformi per lei dametafora in destino.

La cifra dello Heimweh, del mal di patria, unita al rimpianto diun passato immaginario e lontano, connota infatti sin dall’origine lasua ricerca poetica, scandendo progressivamente le cifre di un au-toritratto concepito nel segno di una irriducibile diversità:

Ich kann die Sprache Dieses kühlen Landes nicht, Und seinen Schritt nicht gehn.

Auch die Wolken, die vorbeiziehn, Weiß ich nicht zu deuten.

Die Nacht ist eine Stiefkönigin.

Immer muß ich an die Pharaonenwälder denken. Und küsse die Bilder meiner Sterne. [...](Heimweh, G 117)2

Sono versi pubblicati nel 1910 sulla rivista «Die Fackel» direttaa Vienna da Karl Kraus. A quell’epoca Lasker-Schüler risiede aBerlino da oltre un decennio, approdata nella capitale dalla pro-vincia westfalica da cui proviene3. Vive dunque in prima persona inuovi fermenti della modernità che investono la giovane metropoli,

2 «Non conosco la lingua di questo freddo paese / né so andare al suo passo. //Anche le nuvole che / traversano il cielo / non so decifrarle. // La notte è una reginamatrigna. // Sempre ripenso alle selve dei faraoni. / E bacio le immagini delle miestelle. [...]».

3 La biografia di Else Lasker-Schüler più attendibile e aggiornata è ancoraquella a cura di S. Bauschinger, Else Lasker-Schüler. Biographie, Göttingen 2004.Più di recente, K. Decker ha riproposto le alterne vicende della vita della poetessa,cedendo alla tentazione di una riscrittura empatica e romanzata (cfr. il suo MeinHerz – Niemandem. Das Leben der Else Lasker-Schüler, Berlin 2009).

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IL VELO DELLA POESIA

ostentando nei confronti della città stessa un rapporto ambivalentedi amore-odio. La dipinge come «kreisende Weltfabrik», «girevolefabbrica del mondo»: un luogo dinamico e creativo di cui per unverso subisce il fascino, per l’altro discredita l’atmosfera culturale,tematizzando spesso e volentieri sentimenti di ostilità e avversioneverso quanto del mondo artistico le appare falso e inconsistente.

Rapidamente, in particolare grazie alla mediazione dell’amicopoeta Peter Hille, si è inserita negli ambienti della bohème, affer-mandosi come eccentrica protagonista della scena letteraria; fre-quenta assiduamente i caffè e i ritrovi notturni in cui si concentral’attività della nascente avanguardia – primo fra tutti il noto Cafédes Westens –, celebrata da più parti come voce intensa e originale,detta da Hille il «cigno nero d’Israele». Della cultura espressionistacondivide in primo luogo l’insofferenza verso le convenzioni bor-ghesi, lo spirito di trasgressione e di rivolta, il gusto della provoca-zione frontale e dello scandalo, lo spregio nei confronti della ottusanormalità dei cosiddetti filistei.

Anche in questo senso vive e rappresenta la propria identità didonna e di ebrea nel segno orgoglioso della differenza, atteggiandosinella posa ieratica di testimone di un’era scomparsa, rara e ultima ef-figie di un mondo incorrotto e vergine, ancora partecipe dell’aura delmito: «Sono rimasta qui l’unico ebreo antidiluviano. Il mio scheletrol’hanno ritrovato nella crepa di una roccia accanto all’orecchio pie-trificato di un ittiosauro e a uno scarabeo – per i posteri» (P 3, 442).

Lungo le coordinate scandite dalla propaganda sionista, Occi-dente e Oriente si oppongono anche nel suo immaginario come di-stinti sistemi di valori: l’uno sinonimo di assimilazione e decadenza,l’altro vagheggiato come orizzonte del mito giudaico e antico-te-stamentario, eletto a miraggio delle proprie radici perdute.

Si tratta dello stesso dualismo di fondo che gradualmente la in-duce a contrapporre a Berlino, la città «fredda ed estranea» con un«cuore d’asfalto», la migrazione fantastica verso fiabeschi scenarigiudaico-orientali, nei quali dissemina le tracce di una propria prei-storia immaginaria. «Sono nata fra l’Europa e l’Asia; fino a 14 annifacevo la guardia, per ingannare il tempo, alle mandrie di cammellidel mio bisnonno, che era sceicco a Baghdad. In seguito ho prestatoascolto alle saggezze di un indiano, ora mi intendo di luna e di stelle

VALENTINA DI ROSA

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e di interpretazione dei sogni. Il mio lato sinistro è fatto interamentedei cristalli d’acqua del fiume sacro» (P 2, 156).

O ancora, nella versione destinata alla nota antologia Mensch -heitsdämmerung: «Sono nata a Tebe (Egitto), pur essendo venutaal mondo a Elberfeld, in Renania. Fino a undici anni sono andataa scuola, sono divenuta Robinson, ho vissuto cinque anni in Orien -te e da allora vado vegetando» (P 2, 525).

Nel mondo notturno dei caffè e dei cabaret letterari Lasker-Schüler fa le sue apparizioni abbigliata nei costumi di foggia orien-tale in cui la ritraggono le sue foto più celebri, recita i propri testiambientati in remote e indistinte lontananze, spesso con accompa-gnamento della musica, talora della danza, impiegando la stessavoce come strumento con cui creare sonorità inedite e allusive dialtri mondi: «Se mi avesse vista indossare il costume principesco,secondo le usanze della mia terra, si sarebbe di certo messo a reci-tare, insieme con me e con la mia danzatrice e con i miei tre negri,il mio teatro di guerra. Minsalihihi wâli kina hu rahâ hâtiman fiisbin lahu fassun!! Nell’estasi mi sono ferita per finta la mano. [...]magnifico quando d’un tratto una poesia diventa viva – e cominciaa gridare [...] Allah Kehrim!» (a Richard Dehmel, 1910 – B 6, 174).

Scenari esotici vagamente ispirati all’epopea delle Mille e unanotte: li anima una eclettica schiera di sultani, califfi, sceicchi, der-visci, fachiri, vi si aggira nel contempo un io dalla sagoma sfug-gente, protagonista di molteplici vicende parallele, nei panni oradi Tino, immaginaria principessa di Baghdad, ora di Jussuf, re-gnante della città invisibile di Tebe e condottiero, nel solco del bi-blico Giuseppe d’Egitto, della stirpe eletta degli ebrei selvaggi.

«Certo che parlo siriano: ho trascorso ben metà della mia vita inAsia, in siriano ho tradotto le mie poesie ambientate in Asia e inAfrica. Intendo anzi esibirmi nel ruolo di siriana, [...] suono la trombadel mio bisnonno sceicco, il piffero e il tamburo. Dovrebbe davveroascoltare che magnifico suono siriano, proprio come uccelli nel de-serto. Canto cupo, trilli dolci, e nel bel mezzo una tempesta di sabbia!Châ machâ lâaaooooo!!!!» (a Max Brod, 1910 – B 6, 148/149)4.

4 Sull’intrinseco rapporto fra orientalismo ed ebraismo si vedano le fondamen-tali letture critiche di G. Baioni (a cura di), Else Lasker-Schüler. Poesie, Milano 1963;

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IL VELO DELLA POESIA

Difficile separare, anche nell’ambito dei carteggi privati, i mo-menti della cronaca intima dall’affettazione delle pose teatrali: ildiscorso autobiografico rappresenta per Lasker-Schüler il luogo diuna ricercata stilizzazione di sé animata da un estro surreale, che,mentre inclina verso un pathos visionario, non manca di tradire ungusto scoperto e smaliziato per il bluff. Proprio l’alibi della licenzapoetica dischiude anzi un inedito spazio sperimentale dentro cuiprende corpo via via il disegno di altre identità, altri luoghi, altrevite: l’avventura di un destino continuamente reversibile, aperto,come un testo, all’ipotesi di molteplici stesure. Come se rileggere ilmondo in chiave poetica significasse cominciare innanzitutto da sé,fare dell’io carta bianca su cui disegnare ogni volta daccapo i linea-menti della propria storia e della propria memoria, fino a riattin-gere, all’indietro nel tempo, all’aura perduta della fiaba e del mito.

Scommessa utopica e insieme cimento poetico: Jussuf veste inquesta cornice i panni del guerriero maccabeo, fondatore della glo-riosa città di Tebe, che nel nostalgico riferimento ai «tempi di Ca-naan» e ai «sogni biblici», avversa il disincanto del mondo, oravagheggiando lo spirito guerriero dei primordi, proprio della tem-pra di avi immaginari, ora gettandosi idealmente nella mischia difantomatiche battaglie, esaltato da un’idea di riconquista del «pae-saggio Eden». Si tratta di un gioco trasgressivo dell’immaginazionefatto di maschere e travestimenti in cui Lasker-Schüler tende viep-più a coinvolgere non solo se stessa, ma anche gli amici artisti, ini-ziati uno dopo l’altro a un rito di congiura contro la noia diun’esistenza «priva di miracoli»5.

Id., Else Lasker-Schüler in Poesia tedesca del Novecento, a cura di A. Chiarloni e U.Isselstein, Torino 1989, pp. 71-77 e il mio studio Finzioni orientali. Identità e dia-spora nella scrittura di Else Lasker-Schüler, Napoli 2002, di cui qui riprendo alcuneriflessioni. Sull’orientalismo come declinazione dell’esotismo proprio del gusto dellaJahurhundertwende cfr. S. Kirschnick, Tausend und ein Zeichen. Else Lasker-SchülersOrient und die Berliner Alltags- und Populärkultur um 1900, Würzburg 2007.

5 La testimonianza di Wieland Herzfelde aiuta a contestualizzare la provoca-zione estetica di Lasker-Schüler nel clima autoritario e repressivo della Germaniaguglielmina: «Il suo gesto risoluto di elevarsi al rango di principe di Tebe fu deter-minato, per quanto possa sembrare paradossale, da un impulso autenticamente de-mocratico. Questo elevare se stessa era il suo modo di ribellarsi contro la monarchia[...]. Else Lasker-Schüler non intendeva creare un nuovo mito; piuttosto osteggiava

VALENTINA DI ROSA

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«Vorrei tornare nel deserto, unirmi ai re nelle loro scorribande.Ha mai preso parte, Lei, a una caccia agli struzzi? [...] Mi crede, no,se Le dico che a Baghdad possedevo venticinque struz zi? Giuro cheLe sto dicendo la verità. [...] A Baghdad una volta un’indovina midisse che un tempo fui una mummia rimasta a giacere per molti mil-lenni nella sua tomba, che ero né più né meno che Giuseppe, che inarabo si dice Jussuf. Anch’io sono convinta che i vivi si trasmutinonei morti, ma i re e le principesse solo in chi è lo ro pari. Lei conosceforse persona più nobile di Giuseppe d’Egitto, il figlio di Giacobbee Rachele che fu gettato nella fossa? Egli ebbe sempre indosso la tu-nica sanguinante d’agnello [...] io sono triste proprio come Giu-seppe d’Egitto, caro duca» (a Karl Kraus, 1909 – B 6, 99).

In questo spazio sempre arditamente in bilico tra verità e si-mulazione, confessione intima e recitazione poetica, il gusto ludicoe la distanza ironica sono tuttavia solo l’altra faccia della solennitàsacrale che Lasker-Schüler attribuisce all’ufficio della poesia. Lapoesia è infatti in primo luogo facoltà divinatoria, quando non vo-cazione squisitamente religiosa, talento messianico iscritto per con-tinuità nella tradizione illustre dei profeti biblici. Né, d’altronde, ilrecupero dell’eredità dell’ebraismo può avvenire senza un’assun-zione consapevole dei suoi temi, delle lacerazioni ataviche che se-gnano la sua storia e la sua memoria. Quasi mai, perciò, la leggerezzadelle divagazioni fantastiche è disgiunta dall’improvviso affioraredelle tracce di un «dolore millenario».

La stessa immagine di Sion, la terra lontana e irraggiungibile,parte integrante del mitico e antichissimo Oriente costantementevisitato dalla scrittura, è nel contempo la cifra di una ferita apertanel vivo della coscienza dell’io in cui si rinnova simbolicamente ilmale antico della diaspora:

il mito, ampiamente diffuso nel regno degli Hohenzollern, secondo cui “l’uomo co-mincia dal tenente”. L’elevazione dell’artista al ruolo di libero sovrano era un attodi accusa contro lo spirito di asservimento, contro la divisione della società e dellerazze in esseri superiori e inferiori; contro la mortificazione non solo degli artisti edei poeti, ma anche – e non di meno – del “popolo semplice”. Else Lasker-Schülerproclamava l’amore come aspirazione al potere: “Ho portato amore nel mondo”».(W. Herzfelde, Else Lasker-Schüler. Begegnung mit der Dichterin und ihrem Werk,in «Sinn und Form» 21 [1969], pp. 1294-1325).

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IL VELO DELLA POESIA

Der Fels wird morsch, Dem ich entspringeUnd meine Gotteslieder singe...Jäh sturz ich vom WegUnd riesele ganz in mirFernab, allein über KlagegesteinDem Meer zu.

Hab mich so abgeströmtVon meines BlutesMostvergorenheit. Und immer, immer noch der WiderhallIn mir, Wenn schauerlich gen OstDas morsche Felsgebein, Mein VolkZu Gott schreit.(Mein Volk, G 157)6

Nell’erratico dissidio dell’anima costretta da sempre al «destinodella fuga» si riflette non solo la coscienza infelice dell’ebraismo,ma anche la nostalgia del paradiso perduto di cui narra il Libro dellaGenesi: la ricerca perenne e inesaudita di un luogo al quale appar-tenere e nel quale riconoscersi, nel quale, soprattutto, possa com-piersi il ripristino dell’armonia originaria del Settimo Giorno e conesso la redenzione dai mali nell’umano. Costante è allora il miraggiodi una patria detta «terra madre» dalle molteplici sembianze, orainvocata nelle fattezze stilizzate di un tu amato, ora idealmente col-locata nel cuore antico dell’Oriente, ora, ancora, nell’orizzonte scon-finato del cosmo là dove, secondo l’insegnamento della cabbala, l’iotorna a essere misticamente partecipe della inebriante comunionecon il divino. Nella rilettura del Cantico dei Cantici è dato a Sula-mite, nel culmine dell’estasi erotica, assurgere alle vette di tale ap-pagamento nel paesaggio mitico di Gerusalemme:

6 «Fradicia è la rupe da cui vengo, da cui / canto i miei salmi divini... / E rapidaprecipito ad un tratto / e tutta scorro in me / lontano, da sola, oltre la roccia del pianto/ incontro al mare. // Mi sono mondata dai fermenti / di mosto del mio sangue. / Ep-pure sempre, sempre ancora / un’eco in me, / quando, terrifico ad Oriente, / il marcioossame della rupe, / il mio popolo, / leva grida a Dio» (Il mio popolo).

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[...]Und die Nachtwolke trinktMeinen tiefen Zederntraum. O, wie dein Leben mir winkt!Und ich vergeheMit blühendem HerzeleidUnd verwehe im Weltraum, In Zeit, In Ewigkeit, Und meine Seele verglüht in den AbendfarbenJerusalems.(Sulamith, G 26)7

Ma, più in generale, l’intero corpus della Bibbia offre a Lasker-Schüler un repertorio congeniale di personaggi e di storie nel qualeproiettare il mito regressivo di una felice età degli albori, il raccontopoetico dell’esistenza dell’uomo «al principio delle cose». Le He-bräische Balladen (Ballate ebraiche, 1913), che contengono, secondoil parere di molti, il più denso compendio della sua ricerca lirica,propongono una rivisitazione scopertamente fantastica delle Scrit-ture – l’incantesimo di un mondo conservatosi nei suoi arcaici re-quisiti di verginità e ricondotto alla misura ingenua dell’infanzia edell’innocenza, in cui la stessa passione erotica, idealmente ante-riore alla caduta nel peccato, è figurata nel dono di una «lussuriasoave»: un gioco casto e allusivo fra coppie di amanti, amici, fratelli,compagni di giochi – Davide e Gionata, Isacco e Ismaele, Ruth eBoas, Faraone e Giuseppe, Giacobbe ed Esaù. «Timidamente, e inpunta di piedi, con i versi delle mie ballate ebraiche, mi sono avvi-cinata ai profeti d’Israele, ai sacri re, ai pastori e alle pastore, con ilgarbo discreto ispiratomi dal nostro credo» (H 85).

Tra le figure bibliche spicca lo stesso Giuseppe d’Egitto con ilquale Lasker-Schüler amò identificarsi vita natural durante, assu-mendolo nel ruolo di eteronimo nell’orbita del proprio discorso au-tobiografico, e firmando innumerevoli testi con il suo nome. Il

7 «[...] E beve la nuvola notturna / il mio sogno profondo di cedro. / Oh, comela tua vita mi sorride! / E svanisco / nel fiore dei miei spasmi / e nel cosmo mi di-sperdo, / nel tempo, / nell’eterno, / e l’anima mia si spegne nei colori del tramonto /di Gerusalemme» (Sulamite).

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IL VELO DELLA POESIA

destino di Giuseppe, tradito e venduto dai suoi fratelli, ma riscatta-tosi alla corte egiziana del faraone Potifario grazie alla sua facoltà diinterpretare i sogni, rappresenta nella rilettura di Lasker-Schüler nonsolo l’emblema del dualismo intrinseco alla conditio judaica, maanche il simbolo dell’artista-profeta scisso fra elezione divina e alie-nazione mondana – la cifra, dunque, di una poesia intesa comemanda to trascendente che fa dei poeti, pur nell’attimo effimero del-l’intuizione creativa, gli interlocutori privilegiati del dialogo misticocon Dio. «Io sono Davide e compio gesta di Sansone. Io sono Giu-seppe e interpreto i sogni della vacche e delle spighe. O forse qual-cuno dubita che i miei fratelli mi hanno venduto, il milione diborghesi! Così si disperdono nell’uomo le ere del passato» (P 3, 166).

La maschera poetica di Giuseppe venduto dai suoi fratelli sipresta così per un verso a denunciare il tradimento subìto da partedell’impoetico «milione di borghesi» colpevolmente immemore delglorioso passato giudaico, per l’altro a rilegittimare la propria sde-gnosa distanza dall’ebraismo convenzionale e benpensante, suc-cube della vile religione del denaro.

È per questo che «fanaticamente fedele a se stessa» come la ri-corderà l’amico poeta Gottfried Benn, nella sua solitaria militanzain nome dell’ebraismo perduto cui sembra essersi votata come auna missione, Lasker-Schüler non può arrestarsi neanche di fronteal paradosso, pena il venir meno dell’utopico trasporto di cui habisogno per vivere e per scrivere. Ed è perciò che scrivendo a Mar-tin Buber, l’«egregio signore di Sion», può esibire senza remore lacoscienza divisa del suo credo: «Odio gli ebrei, perché un tempofui il re Davide o Giuseppe – odio gli ebrei, perché disprezzano lamia lingua, perché hanno le orecchie tappate e le tendono solo perorigliare piccinerie nella loro parlata gergale. Inoltre si abboffano,mentre dovrebbero digiunare [...] Ce l’ha con me? Eppure io dicola verità e scrivo mossa da un sentimento di nausea, repulsione, so-litudine e commozione. Suo principe di Tebe» (B 7, 11).

La linea che viene qui tracciata appare drastica e separa incon-ciliabilmente due mondi: da una parte l’ebraismo integrato e filisteodella Germania prenazista, dall’altra il mondo arcaico e leggendariodegli eroi della Bibbia. Come a dire: il presente e il passato, la storiae il mito, il profano e il sacro. L’adesione all’ebraismo è d’altronde

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per Lasker-Schüler, sin dal principio, non una filosofia del pensiero,né una scelta di campo ideologica, bensì una professione di fede in-timamente legata all’esercizio della scrittura, in cui la stessa adozionedei simboli del mondo giudaico serve in primo luogo a nutrire ilgioco della finzione poetica: un tentativo di costruire e custodire persé un territorio franco dell’immaginazione, uno spazio cifrato e ini-ziatico, distante in tal senso tanto dall’inviso conformismo della bor-ghesia assimilata, quanto dall’attivo impegno della propagandasionista, di cui pure mostra di condividere le mitologie.

Di questa scelta radicale Lasker-Schüler paga interamente ilprezzo, conducendo un’esistenza fuori dai ranghi e dalle regole, scon-tando una condizione precaria di vita, spesso costretta, in assenza dimezzi, entro i limiti di una vera e propria indigenza: vive ora di stentiora di debiti, quando non rimessa alla beneficenza di amici e cono-scenti, di continuo implorando anticipi sui compensi degli editori.(Nel 1913 Karl Kraus, che è uno dei più convinti estimatori della suapoesia, si fa promotore di una raccolta pubblica di denaro in suo so-stegno sulle pagine della rivista «Die Fackel», suscitando oppostereazioni fra i colleghi artisti: Arnold Schönberg è tra i primi generosifirmatari dell’appello, Kafka accetta invece solo a malincuore di con-tribuire: conosce la poetessa solo indirettamente, ma ha sentito par-lare dei suoi eccessi, se la immagina come persona «non gradevole»,come un’«ubriacona che si trascina di notte da un caffè all’altro»)8.

Intanto, Lasker-Schüler si è sposata due volte: la prima con ilmedico Berthold Lasker, con cui è si è trasferita a vivere a Berlinoe da cui ha ricevuto il nuovo cognome; la seconda con Georg Levin,passato alla storia con il nome con cui l’ha ribattezzato lei stessa –Herwarth Walden – quale uno dei promotori più attivi e competentidell’arte dell’avanguardia, fondatore del Verein Sturm, intestazionecongiunta di una rivista, di una casa editrice e di una galleria. In que-sti stessi anni, ha inoltre messo al mondo un figlio da padre ignoto,(non il primo, né il secondo marito – a suo dire un personaggio dalfiabesco nome di Alcibiades de Rouan), e dopo i due successivi di-vorzi lo alleva da sola, in mezzo a mille difficoltà non solo di ordine

8 Cfr. F. Kafka, Briefe an Felice und andere Korrespondenz aus der Verlobungs-zeit, Frankfurt/Main 1967, p. 296.

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economico. Vive cioè da «pariah consapevole» (H. Arendt)9, facendo– fra la disperazione e l’autoironia – di necessità virtù.

Non solo in risposta alle travagliate vicissitudini esistenziali,l’identità fantastica di Jussuf, principe della città invisibile di Tebe,è difesa perciò a spada tratta come figura di una relazione con ilmondo attraverso cui è possibile affermare, a dispetto di ogni smen-tita, le ragioni superiori e più degne dell’arte e dell’utopia, anche –o soprattutto – laddove ciò comporti l’evenienza dello scandalo. Ilpersonaggio del guerriero giudaico-orientale, fiero avversario delladecadenza contemporanea e inattuale custode dei casti valori bi-blici, rappresenta in questo senso per Lasker-Schüler anche un con-geniale alter ego con il quale mettere in scena la provocazione diuna femminilità dai tratti androgini, irriducibile alla stereotipa uni-vocità dei ruoli prescritta dalla morale corrente10.

9 Hannah Arendt mutua a sua volta il termine da B. Lazare: «La storia ebraicamoderna, che ha avuto inizio con gli ebrei di corte ed è continuata con gli ebrei mi-lionari e filantropi, è pronta a dimenticare quest’altra tendenza della tradizioneebraica – quella di Heine, Rahel Varnhagen, Sholom Alecheim, Bernard Lazare,Franz Kafka o persino Charlie Chaplin. Si tratta della tradizione di una minoranzadi ebrei che non hanno voluto diventare dei nuovi ricchi, che hanno preferito lacondizione di “pariah consapevoli”. Tutte le vantate qualità ebraiche – il “cuoreebraico”, l’umanità, lo humour, l’intelligenza disinteressata – sono qualità del pariah.Tutti i difetti ebraici – la mancanza di tatto, la stupidità politica, i complessi di in-feriorità e l’avidità di denaro – sono caratteristiche dei nuovi ricchi. Ci sono semprestati ebrei convinti che non valesse scambiare la loro umanità e la loro innata capa-cità di comprendere la realtà con la grettezza dello spirito di casta o con l’utopiadelle transazioni finanziarie». (Cfr. H. Arendt, We Refugees, in Ed., Ebraismo e mo-dernità, trad. it di G. Bettini, Milano 1993, p. 48).

10 Celebre al riguardo il ritratto disegnato dalla penna di Gottfried Benn: «Erapiccola, all’epoca snella come un ragazzo, i capelli neri come la pece, tagliati corti,cosa ancora rara a quel tempo, grandi occhi di un nero corvino, sempre in movi-mento, dallo sguardo sfuggente, enigmatico. Né allora né in seguito si poteva andarein giro con lei senza che tutti si fermassero a guardarla: gonne o pantaloni eranoampi, stravaganti, sopra indossava capi inverosimili, collo e braccia ricoperti di vistosigioielli falsi, collane, orecchini, anelli d’oro finto alle dita; e poiché era continuamenteoccupata a scostare dalla fronte i ciuffi di capelli, quegli anelli da cameriera – bisognapur dirli tali – erano sempre sotto lo sguardo di tutti. Non mangiava mai regolar-mente, mangiava pochissimo, spesso viveva di noccioline e frutta per settimane.Spesso dormiva sulle panchine e fu sempre povera in tutti i periodi e le situazionidella sua vita». (Cfr. G. Benn, Rede auf Else Lasker-Schüler, in Id., GesammelteWerke, a cura di D. Wellersohff, Wiesbaden 1955, I vol., pp. 538-539).

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Nella ricerca di modelli di riferimento con cui esprimere il ca-risma della propria differenza, l’androgino si offre come emblemadi un ruolo sottratto alle prescrizione sociali del maschile e del fem-minile, adatto perciò a suggerire una sprezzante distanza tanto dallalogica egemone propria dell’altrui universo “virile”, quanto dallerivendi cazioni libertarie proprie dell’engagement protofemministadi quegli anni, rivendicando nel contempo il fascino di un’inimita-bile singolarità: «né Tristano né Isotta» – come si legge in una let-tera al germanista e traduttore inglese Jethro Bithell – semmai«Cenerentola cui entra solo la sua scarpa» (B 6, 97).

Lasker-Schüler contesta così la falsa etica propria dei codiciborghesi di comportamento attraverso un’estetica del travestimentoche la induce a costruire l’immagine di sé – dal trucco all’acconcia-tura dei capelli, dall’abbigliamento ai tatuaggi esibiti sulle guance– come autonomo sistema di segni nei modi di un esotismo attintoai simboli del mondo orientale: «Il volto è l’ultima pelle dell’operad’arte» (B 6, 109).

Persona e autoritratto mirano a coincidere secondo una logicabifronte fatta insieme di verità e di finzione.

Il primo interlocutore che sta al gioco di Tebe è Franz Marc, il«cavaliere azzurro» che con Lasker-Schüler condivide un comunesenso dello spirituale nell’arte, un comune dissenso nei confrontidella civiltà contemporanea, percepita come volgare e de ca den te.L’incontro fra i due artisti, l’una residente nella capitale tedesca,l’altro nella località bavarese di Sindelsdorf, muove dal rifiuto dellacultura empia e corrotta della metropoli, dalla ricerca di un’esteticaestranea alla convenzioni degeneri della modernità che Lasker-Schüler identifica con la corruzione morale degli ebrei assimilati eMarc con il più generale corrompimento dell’umano che gli fa in-vocare, con locuzione dantesca, l’avvento di una vita nova.

«Mio carissimo semifratello biblico, non c’è alcun dubbio, tu eriRuben e io Giuseppe, il tuo semifratello ai tempi di Canaan. Ormaisogniamo solo sogni biblici. Talvolta i sogni si prendono gioco dime, com’è accaduto stanotte. Ah, che sogno maligno. Eppure si èavverato uno dei miei più ardenti desideri, tutto a un tratto ero re,a Tebe – indossavo un mantello, una stella mi ricadeva a pieghedalle spalle. In testa la corona del Malik. Malik ero io. [...] Ah, se

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ci penso! Oggi mi sento davvero un po’ infelice – non mi viene inmente nessuno di cui potrei innamorarmi. E a te viene in mente?Il tuo Jussuf tradito e venduto» (P 3, 302).

Marc mostra di intendere e condividere sin dall’inizio lo spiritodella finzione tebana: assume di buon grado la duplice identità di«cavaliere azzurro» e «semifratello biblico», garantendo la fedeltàrichiesta a un «compagno di giochi», fornendo a «Sua Altezza»un’assortita gamma di paesaggi e figure con cui nutrire la fantasiadel regno, ma soprattutto dipingendo scenari nei quali l’amica pos -sa indovinare la propria immagine riflessa: ai suoi disegni ispiratiai motivi del gioco e della fiaba (Dai territori di caccia del principeJussuf, Danzatrice della corte del re Jussuf, Immagine dei tempi dipace di Jussuf) corrispondono, in forma di replica allusiva, i due au-toritratti di Lasker-Schüler che si rappresenta nei panni di Malikcon le sue insegne distintive, il manto di stelle e il copricapo daguerra11.

Acquista così forma – nel dialogo fra immagini e parole – ilprofilo di un luogo simbolico sottratto ai vincoli della realtà, in cuil’esistenza del personaggio di Jussuf serve a concepire un’ipotesi diriscatto e redenzione dai mali di un mondo vissuto come distantee indifferente: «[...] mio cavaliere azzurro, vorrei trovare un ponteattraverso il quale un’anima venisse alla mia anima, così, in mododel tutto insperato. Un’anima sola sola è davvero qualcosa di terri-bile!!! Ah, mi piacerebbe tanto attaccare la mia anima a un’altra,per esempio con della colla. La colla attacca anche il vetro e il me-tallo. Ah, se qualcuno volesse piantare il suo fiore prediletto ac-canto al mio cuore o volesse riempirmi il cuore con una stella – ah,

11 Cfr. a riguardo Franz Marc – Else Lasker-Schüler. “Der blaue Reiter präsentiertEurer Hoheit sein blaues Pferd”. Karten und Briefe, a cura di P.-K. Schuster, Mün-chen 1987; E. Lasker-Schüler, F. Marc, „Mein lieber, wundervoller blauer Reiter“.Privater Briefwechsel, a cura di U. Marquardt e H. Rölleke, Düsseldorf 1998; K. R.Haßlinger, Der Briefwechsel von Franz Marc und Else Lasker-Schüler. Ein poetischerDialog, Würzburg 2009. Un discorso a parte meriterebbe il rapporto fra immaginie parole all’interno dell’opera di Else Lasker-Schüler, nella sua duplice vocazionedi poetessa e di pittrice. Una raccolta (sin qui la più ampia) dei suoi disegni e ac-querelli è stata esposta recentemente in Germania (Francoforte 2010, Berlino 2011),e corredata da un relativo catalogo: Else Lasker-Schüler. Die Bilder, a cura di R. Dick(con saggi della stessa R. Dick e A. Schmetterling), Berlin 2010.

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se uno sguardo si posasse su di me, mi rapisse dal mondo! Non vo-lermene, cavaliere azzurro, se divento sentimentale. [...] Cos’altroc’è al mondo se non l’amore? Di cos’altro si può vivere, se nond’amore, d’anima, di sangue? Meglio diventare cannibali che nonstare a ruminare disincanto. In questa città straniera, cavaliere az-zurro, sono l’unica che ha fede» (P 3, 312).

Se Berlino è il luogo in cui Jussuf è condannato alla tristezza,Tebe è invece un mondo a misura di «anime bibliche», fatto di so-dalizi e affetti, complicità erotiche e ludiche, in cui l’io può viverenell’intesa con il tu il gusto smaliziato del «flirt metafisico» (K. Hil-ler), nutrendo i sentimenti promiscui liberamente tratti dall’AnticoTestamento di passione e fratellanza, erotismo e candore, voluttà einnocenza.

All’incrocio fra la scrittura in prosa e in versi nascono così idue romanzi epistolari Mein Herz12 e Der Malik13 e – parallelamente– i cicli di poesie dedicati a vari amici artisti, protagonisti noti emeno noti dell’avanguardia di quegli anni. Si tratta di testi centralinel corpus lirico di Lasker-Schüler radicati nel mito della «lussuria

12 Le Briefe nach Norwegen [Lettere per la Norvegia] furono dapprima pub-blicate sulle pagine dello «Sturm» (anch’essi a più riprese) tra il settembre 1911 e ilgiugno 1912. Mein Herz (Il mio cuore) apparve nel corso dello stesso 1912 pressol’editore Bachmair di Berlino con il sottotitolo Ein Liebesroman mit Bildern undwirklich lebenden Menschen. [Un romanzo d’amore con immagini e persone real-mente esistenti].

13 Le lettere, che in seguito confluiranno nel racconto Der Malik (1919), furonodapprima pubblicate a puntate su riviste diverse fra il 1913 e il 1915. La morte diFranz Marc al fronte nel marzo 1916 comporta una svolta nella forma del testo chesi trasforma da carteggio in racconto, pubblicato (anch’esso a puntate) fra il luglio1916 e il febbraio/marzo 1917 sulla rivista «Die Neue Jugend» edita dai fratelliHerz felde. Nel 1919 le lettere, sottoposte a un ulteriore processo di elaborazione,vengono raccolte nel volume dal titolo Der Malik. Eine Kaisergeschichte mit Bildernund Zeichnungen von Else Lasker-Schüler. [Malik. Storia di un imperatore con im-magini e disegni di Else Lasker-Schüler]. In omaggio all’autrice del testo, Malik sichiamerà anche la casa editrice che gli stessi fratelli Herzfelde fonderanno durantela guerra, quando, a seguito di un’ordinanza della censura militare, dovranno porrefine all’impresa della loro rivista. «Il nome corrisponde all’ebraico “Melech” e altedesco “co man dan te”. Significa: condottiero. Nella richiesta di licenza questa figurafantastica fu spacciata per un principe turco, suggerendo che la popolarizzazionedi questo alleato avrebbe potuto contribuire in modo fondamentale alla vittoria fi-nale» (Cfr. W. Herzfelde, John Heartfield, Dresden 1988, p. 368).

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soave» almeno quanto le più note Hebräische Balladen, benché nonsistemati entro la cornice autonoma di un’apposita raccolta, (e forseperciò meno frequentati sin qui sul piano degli studi critici).

Riallineare questi versi in sequenza consente non solo di ricono-scerne la comune fonte di ispirazione, ma anche di contestare lespesso riduttive interpretazioni in chiave biografica dell’opera di La-sker-Schüler, (con relative attribuzioni letterali all’autrice di legamiamorosi con figure liriche desunte di volta in volta dalla lettura deisuoi testi): un procedimento che ha finito col determinare, fi no a de-cenni relativamente recenti, un’idea spesso fuorviante del la sua scrit-tura, ora intesa implicitamente come falsa testimonianza, oraaddirittura come sintomo di una «morbosa disposizione a mentire»14.

Tali gruppi di poesie (qui riordinati e tradotti)15 sono dedicatirispettivamente a Paul Leppin, Johannes Holzmann, Hans Ehren-baum-Degele, Gottfried Benn, Hans Adalbert von Maltzahn; einoltre a Georg Trakl, allo stesso Franz Marc16. Il medesimo mec-canismo che vale nella costruzione dell’autoritratto è qui all’operanella stilizzazione del tu-lirico: ciascuno dei singoli personaggi vienedotato di una sua controfigura, provvisto di lineamenti, attributi,nomi e soprannomi di volta in volta diversi, e chiamato a fungere

14 È la “diagnosi” formulata da Emerich Reeck (cfr. D. Bänsch, Else Lasker-Schüler. Zur Kritik eines etablierten Bildes, Stuttgart 1971, p. 157). A Reeck si devecomunque il merito di aver ricostruito nel 1955 la vera data di nascita di Lasker-Schüler: non 1876, come lei stessa era riuscita a far credere per lungo tempo nonsolo agli amici, ma anche ai suoi studiosi, bensì 1868 – una leggenda tuttavia duraa morire, se è vero che ancora nel 1978 Hermann Glaser incorre in errore. (Id., Li-teratur des 20. Jahrhunderts in Motiven, München 1978, I vol.: 1870-1918, p. 176).Ma dati imprecisi o del tutto errati concernenti vita e opera di Lasker-Schüler si ri-trovano persino in studi più recenti: un esempio fra gli altri H. Wiegmann, Die deut-sche Literatur des 20. Jahrhunderts, Würzburg 2005, pp. 116-120.

15 Alcune traduzioni sparse si trovano in E. Lasker-Schüler, Poesie, cit.; in Ed.,Ballate ebraiche e altre poesie, a cura di M. Del Serra, Firenze 1985; in Da Nietzschea Benn. Poeti tedeschi tradotti da Italo Maione, a cura di M. A. Avella, Cosenza 1988.

16 Per ulteriori ragguagli si rimanda alle note in appendice a questo volume.Sul motivo della dedica si veda il recente studio di M. Klaue, Poetischer Enthusia-smus. Else Lasker-Schülers Ästhetik der Kolportage, Köln-Weimar-Wien 2011, e inparticolare le pp. 257-344, sul principio sottinteso nella scrittura di Lasker-Schülerdell’arte come dono o elargizione gratuita, ovvero come superamento (e contesta-zione) della logica borghese del consumo.

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da in ter locu tore del dialogo amoroso, laddove il gioco poetico sem-bra consistere nell’attribuire a tutti gli amici il ruolo virtuale diamanti e a tutti gli amanti le stesse fattezze simboliche di un unicoamante – «amico d’amore» o «compagno d’amore» – sempre in-vocato nella forma esclusiva ed intima di un dialogo a due.

L’ideale dell’amore sembra d’altronde coincidere per Lasker-Schüler, anche fuori dell’orizzonte mitico della Bibbia, con un’in-tesa fra l’io e il tu che è insieme complicità erotica, sodaliziofraterno e amicale, ma anche gioco della volubilità e dell’incostanza:«Al confronto dell’innamorarsi come è borghese per contro l’a mo -re» (P 3, 259). «C’è qualcuno al quale scrivo: dolce duca; e ancoraqualcuno al quale scrivo: principe d’oro. E ancora qualcuno siedenel penitenziario di Pietroburgo, nella cittadella, al quale scrivo: Otu caro, caro, caro faraone. Devo dirtelo apertamente – costui loamo follemente » (B 6, 175).

Ne deriva la tessitura di una trama allusiva fatta, almeno daprincipio, della mutua dedica di sole parole: nello scambio di prof-ferte amorose affidate alla carta in forma di fantasia, nella ricercadi una fedeltà che scongiuri l’evenienza fatale del tradimento, di-venta possibile fingere nei testi l’esistenza dell’ «inesistente», colti-vando l’arte di un intimo e assiduo colloquiare, che talora trasportaanche nei versi l’immediatezza del parlato.

Wir wollen uns küssen – nicht?(Dem Barbaren, G 133)

Sage – wie ich bin? Überall wollen Blumen aus mir. (Als ich Tristan kennen lernte –, G 142)

Liebe dich so!Du mich auch? Sag es doch –(Giselheer dem König, G 150)17

17 «Baciamoci – no?» (Al barbaro); «Di’ – come sono io? / Ovunque in me èun urgere di fiori» (Quando conobbi Tristano –); «Ti amo così tanto / Anche tu miami? / Dillo, su –» (Al re Giselheer).

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Si ricompongono così gli sparsi frammenti del discorso amo-roso18che è al fondo dell’immaginazione poetica di Lasker-Schülere nutre di afflati e di pathos il suo sguardo sul mondo: un’attitudinedella mente non meno che della scrittura, in cui l’io cerca nel tuamico-amato il calco poetico della propria immagine riflessa, qualerimedio a un costante sentimento di precarietà e solitudine, sicché– all’altro capo del filo dello stesso discorso – le parole mostranoinvece a tratti di mancare, inclinando fra le righe verso la soglia delnulla e del silenzio:

Wenn du mich ansiehst, Wird mein Herz süß. (Siehst du mich –, G 114)

Was soll ich tun, Wenn du nicht da bist. (An den Ritter aus Gold, G 140)

Wenn eine Wolke kommt – Sterbe ich. (An den Ritter, G 139)19

L’incontro erotico cantato nei versi di questo ideale canzoniereschüleriano tende così a riproporre l’incanto edenico già stilizzatonelle Hebräische Balladen, di cui tornano le inflessioni appassionate,come ritornano la formula del dittico dei versetti, il gioco delle cifreellittiche cariche dell’eco di altre parole di altri versi, gli accorgi-menti di ritmo in cui senso e non senso giungono non di rado a toc -carsi. Motivi e figure corrono, anche qui, paralleli: la notte comecongiuntura di spazio e di tempo congeniale agli amanti, la costru-

18 Lo scambio di parole è un’immagine che ricorre non a caso come uno dei mo-menti centrali del rituale amoroso nelle poesie dedicate agli amici: «Wenn du sprichst,/ Blühen deine Worte auf in meinem Herzen» [Quando parli, / sbocciano le tue parolenel mio cuore] (A Hans Adalbert, G 176); «Wo du sprichst, / Wacht mein buntesHerz auf. [...] // Wo du erzählst, wird Himmel» [Quando parli, / si desta il mio cuorecolorato. [...] // Cielo è ovunque tu racconti] (Al principe Benia mino, G 189).

19 «Quando mi guardi, / si intenerisce il mio cuore» (Mi vedi –); «Cosa devo fare,/ quando non ci sei» (Al cavaliere d’oro); «Se viene una nuvola – / muoio» (Al cavaliere).

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zione del tu amato come effige entro una cornice cosmica (cielostelle sole luna nuvole paradiso miracoli angeli), i cui colori sonol’oro e l’azzurro, il colore dello spirituale nell’arte di Else Lasker-Schüler. E ancora l’amore (languore struggimento dolcezza tene-rezza levità) e il suo rovescio: il sentimento del morire20.

Iscritta nello spazio scandito dalla rima fra «cuore» e «dolore»,come ha suggerito Karl Kraus, la lirica di Lasker-Schüler dà luogoanche in questi testi a un avvicendamento diseguale di immagini edi toni – sempre in bilico fra astrazione e sentimentalismo, intui-zioni verticali e preziosismi ridondanti, avanguardia e kitsch.

Instabile è d’altronde la stessa fragile ritualità del dialogo amo-roso, che riflette fra le righe l’alternanza di ascesa e ricaduta propriadello schema gnostico della cabbala: dall’alto verso il basso, ossiadall’intimità alla distanza, e viceversa. Cavaliere, fanciullo, principe,re, faraone: l’invocazione lirica dell’altro è ricerca di intesa, prossi-mità, empatia, ma anche esperienza di solitudine, angoscia, incubo.

Così, nel gioco di alleanze e ostilità che caratterizza la vita delregno di Tebe, Lasker-Schüler riscrive sia il rapporto di ami ci -zia/infatuazione per Gottfried Benn, sia la prigionia di JohannesHolzmann21 in Russia e il viaggio da lei intrapreso fino a Mosca pertentare di liberarlo. Inserite nella cornice del racconto, tali espe-rienze della vita di Malik appaiono stilizzate come parte integrantedella simbolica campagna condotta a Tebe in difesa dei valori del-

20 La continuità fra i testi è suggellata non da ultimo dal gioco delle dediche cheinvita a porre le stesse Hebräische Balladen in relazione con il gioco di maschere eidentità fantastiche che sottende la scrittura di Lasker-Schüler. Non a caso le due bal-late Pharao und Joseph e David und Jonathan sono dedicate rispettivamente agli amiciJohannes Holzmann (Senna Hoy) e Gottfried Benn (Giselheer), personaggi proiettatinella cornice fiabesca del regno di Tebe, oltre che referenti ideali del discorso amorosodell’io. Che le maschere bibliche siano da intendere in senso metaforico lo confermail ciclo di liriche dedicato a Gottfried Benn in cui torna, fuori del contesto simbolicodell’Antico Testamento, il dialogo erotico-amoroso fra un io-Giuseppe e un tu-Fa-raone. “Ballate” sono peraltro intitolate anche due delle liriche dedicate a Senna Hoy,come per alludere a una continuità di ispirazione che le lega a quelle ebraiche.

21 Sul rapporto tra Lasker-Schüler e Johannes Holzmann cfr. in particolare W.Fähnders, Else Lasker-Schüler e “Senna Hoy”, in Meine Träume fallen in die Welt.Ein Else Lasker-Schüler-Almanach, a cura di S. Kirsch et al., Wuppertal 1995, pp.55-79. Sul rapporto fra Lasker-Schüler e Gottfried Benn cfr. fra gli altri LiebenderStreit. Else Lasker-Schüler und Gottfried Benn, a cura di D. Burdorf, Iserlohn 2002.

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l’arte, dell’amore e dell’ebraismo, laddove il gioco delle parti rivelauna precisa distribuzione dei ruoli, intesa a sua volta a scandire ni-tidamente il confine che separa gli alleati dagli avversari.

Anche in questo caso si tratta della costruzione di un intreccio acavallo fra prosa e poesia, ovvero fra il racconto di gesta del Malik eil disegno dei versi dedicati agli amici. Se Senna Hoy, il poeta anar-chico detenuto nelle prigioni zariste, il generoso martire difensoredel l’«umanità vessata», induce la mobilitazione corale dei guerrieridi Jussuf nella campagna di Russia (e l’impresa assume il portato sim-bolico di un «guerresco pellegrinaggio» in difesa dell’arte vittima delpotere dispotico), diversa e più complessa è invece la sorte poeticariservata a Benn. In questo caso, il rapporto con il giovane poe ta esor-diente diviene pretesto per la stilizzazione di una vicenda fantasticadi passione e dolore, proiettata sullo sfondo dell’inconciliabile divariofra la cultura occidentale e quella ebraico-orientale, che fa di Benn-Giselheer agli occhi di Jussuf un «barbaro» e un «nibelungo».

Coinvolto, come gli altri amici artisti nell’orbita dell’intimitàamorosa nel ruolo di un complice cui l’io dedica appassionatamentetutti i propri vezzeggiativi, Benn-Giselheer, cantato dapprima nellevesti giocose del «fanciullo», sembra invece assumere gradualmentei lineamenti ostili del «traditore», che al gioco lirico della seduzioneoppone la sua «fronte dura» e un cuore affilato e tagliente come«diamante». Nella poesia intitolata Dem Barbaren riaffiorano i nomidi Faraone e Giuseppe, questa volta, tuttavia, non nel segno di unidillico incontro fra anime gemelle capace di dischiudere i beati pia-ceri dei tempi biblici, bensì come emblema di un dissonante anta-gonismo. Il motivo della contrapposizione fra le due culture è lafonte da cui origina il metaforismo della lirica: da un lato gli stilizzatielementi di un paesaggio nordico fatto di «steppa» e di «neve»,dall’altra i «cedri» e «mandorli» della vege tazione mediterraneadell’Oriente, cifre di una disparità che impedisce la sublimazionemistica dell’accentuata tensione erotica impressa ai versi.

Si delinea l’immagine della solitudine impervia dell’amato, refrat-tario e sordo allo scambio poetico di parole – un senso di sconfittache procede parallelo con il progressivo esaurimento della vena lu-dico-fantastica da cui era nata Tebe, limbo invero fragile sin dal prin-cipio e perciò destinato a crollare alla minima interferenza della realtà.

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Nelle ultime pagine del Malik, l’immaginaria crociata contro ilprofano mondo dell’Occidente trapassa, quasi al di là delle stesseintenzioni dell’autrice, nella realtà-metafora della prima guerramondiale, che vede cadere uno ad uno i protagonisti dell’ideale for-tezza di Tebe: Johannes Holzmann muore prigioniero in Russia nel1914; Georg Trakl muore suicida al fronte nel novembre dellostesso 1914; Hans Ehrenbaum-Degele muore nel luglio 1915; FranzMarc nel marzo 1916.

Una cesura che, imponendo una necessaria resa all’irruzioneviolenta della Storia, finisce con l’imprimere una svolta anche nel-l’esito del testo, ora segnato da un disincanto che rende a un trattoJussuf la «persona più triste» del regno. La simbolica preghiera re-citata sulla tomba di Senna Hoy, il «generale santo» morto in terrastraniera, appare così non più solo un gesto di devozione alla me-moria del «compagno di giochi» deceduto, ma anche il segno delriconoscimento della propria solitudine in assenza delle parole concui tenere in vita il gioco di Tebe.

Al cospetto di un presente che sempre più drammaticamentesi incupisce, la stessa finzione su cui poggia il destino glorioso delprincipe Jussuf rivela di non essere più difendibile a oltranza. Tantomeno lo sarà quando, di lì a non molto, con l’instaurazione delladittatura nazista, per la poetessa ebrea, censurata e schernita come«beduina», l’unica via di salvezza consisterà nella fuga e nell’esilio.La cesura del 1933 rappresenta insieme un momento di azzera-mento e un punto di non ritorno.

Ich glaube wir sind alle für einand’ gestorbenund auch gestorben unser Café in Berlin. Darum zog ich aus, ich habe nichts erworben. Doch Tränen liess ich in Berlin. [...]Ich hab mein Märchenland – es war einmal – verloren, Verloren... (G 325)22

22 «Credo che siamo tutti morti uno per l’altro / e morto è anche il nostrocaffè di Berlino. / Perciò me ne andai, / nulla ho guadagnato. / Eppure lasciai la-crime a Berlino. / [...] Ho perduto il mio mondo di fiaba – c’era una volta – / unavolta...».

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«C’era una volta» – misura dello iato tra fiaba e realtà: con ilpassare degli anni, prima a Zurigo e poi a Gerusalemme, guardareindietro ai tempi di Tebe (e di Berlino) dalla prospettiva della lon-tananza forzata, vorrà dire riesumare la memoria di un mondo nonsolo scomparso dalla mente, ma anche cancellato dalla Storia. Larealtà dell’emigrazione impone il congedo dal passato, ripropo-nendo con drammatica attualità il senso sofferto di una disloca-zione, il disagio antico dell’essere fuori luogo.

Occorre ricominciare daccapo.Già dopo il primo viaggio in Palestina, la stessa fede nel-

l’ebraismo, sin qui riferimento certo dell’io di Lasker-Schüler edella sua controfigura poetica, sembra drasticamente mutare lesue valenze e implicazioni: non più principio di autoaffermazione,sentimento orgoglioso di appartenenza alla storia di un popolomillenario, ma piuttosto circostanza di estremo isolamento, vicis-situdine intima che attiene esclusivamente al rapporto con Dio.«Non riesco più a essere convinta, come lo ero una volta, dellagrandezza degli ebrei. E vorrei aggiungere che mi sento ebrea nonpiù per amore dell’ebraismo, ma per volere di Dio, cui solo è datosondare il mio cuore e il mio dolore», si legge nella lettera inviatadopo il rientro in Svizzera a Sylvain Guggenheim (B 9, 160-161).

Il sentimento di estraneità che Lasker-Schüler tematizza sindalla prima visita in «terra giudaica» dipende anche dalla circo-stanza per lei inattesa che la sua poesia non viene compresa, o al-meno non apprezzata secondo lo spirito militante che sempre le èstato a cuore. A differenza di quanto accadeva in Germania, le let-ture pubbliche dei suoi testi danno adito a ripetute delusioni: «Perun quarto della mia vita, anzi per una vita intera – non ho fatto altroche tributare onore agli Ebrei. Mi sono fatta picchiare da antisemiti– quante volte – dopo la lettura delle mie ballate, che sono tutt’altroche codarde. E ora??! è così che devo essere trattata nella terradegli ebrei???» (B 9, 123).

Viaggiando attraverso il Paese, Lasker-Schüler deve inoltre suomalgrado confrontarsi non già con la mitica «terra degli avi» va-gheggiata dal sionismo, bensì con un mondo complesso e agitatodai conflitti tra gli arabi e le crescenti ondate di coloni ebrei – unarealtà assai lontana dalla coesistenza pacifica e dalla conciliazione

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fra confessioni diverse nel nome di un unico Dio, in cui pure avevaidealmente sperato23. E in questo difficile scenario deve prendereatto di essere non già la «cantatrice ebraica» riconosciuta come por-tavoce del suo popolo, ma piuttosto una forestiera anonima, o anziun’emigrante tedesca che non conosce la lingua del posto e viveignorata in disparte, ridotta «alla stregua di un mendicante». An-cora una volta, le sue radici sembrano essere altrove. «Persino il reDavide – avrebbe levato le tende» (B 10, 89).

Non di meno, dopo questo primo soggiorno e un successivointervallo trascorso a Zurigo di circa due anni e mezzo, Lasker-Schüler si reca una seconda volta per alcuni mesi (giugno-agosto)in Palestina nel 1937 e ancora una terza appunto nel 1939, quandoil precipitare degli eventi su scala internazionale la costringe a re-stare a Gerusalemme, dove morirà, prima della fine della guerra,nel gennaio del 1945.

Obbligata a condividere il destino di un popolo che sente viep-più straniero – e che, con un gioco di parole, ribattezza «Misraël»– e inoltre a un’esistenza tra pensioni e camere d’affitto che rinnovala precarietà e gli stenti già vissuti a Berlino, Lasker-Schüler conti-nua tuttavia tenace a contrastare la realtà del disincanto, appellan-dosi alla fede poetica e mistica in un altro mondo. Non rinunciacioè fino in fondo al miraggio di una «terra giudaica» capace di ri-spondere ai requisiti familiari di una patria, di un asilo, di un rifu-gio, imponendosi di contenere il sentimento di sconforto neiconfini privati della confessione epistolare, perché esso non giungaa compromettere l’energia di cui ha bisogno per scrivere e sentirsicome «Giuseppe che rivede la sua terra di Canaan».

Il libro sulla Palestina dato alle stampe nel 1937, Das Hebräer-land (La Terra degli ebrei), muove da questa spinta e poggia perciò,

23 Sulla complessa congiuntura storico-politica di questi anni, in cui si assistea un inasprimento delle tensioni fra coloni ebrei e residenti arabo-palestinesi, cfr.in particolare W. Kaiser, Palästina – Erez Israel. Deutschsprachige Reisebeschreibun-gen jüdischer Autoren von der Jahrhundertwende bis zum Zweiten Weltkrieg, Hil-desheim 1992. Sul divario fra la situazione reale del Paese e le reinvenzioni diLasker-Schüler si vedano anche S. Bauschinger, Else Lasker-Schüler cit., in parti-colare p. 411 e sgg.; A. Bodenheimer, Die auferlegte Heimat. Else Lasker-SchülersEmigration in Palästina, Tübingen 1995.

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IL VELO DELLA POESIA

inevitabilmente, su una trama implicita di rimozioni e omissis, chepossono forse spiegare anche alcuni limiti, propri dell’affettazionedi certi toni24. «L’artista vive contemporaneamente in due mondi:in un mondo terreno e in uno fantastico. Qui in Palestina io ho vis-suto in tre mondi: col pensiero ancora amorevolmente rivoltaall’Europa, il mondo adottivo cui mi ero affezionata, con il cuore econ l’anima nel mondo della Palestina che non è di questo mondo.È così che ho sfiorato l’aldilà» (H 117). Costruito come simulazionedi un resoconto di viaggio, il libro sembra introdurre piuttosto al-l’esplorazione mistica di un «altro pianeta», proponendo il raccontodi una terra «senza età», spogliata dei suoi attributi reali e rivisitata,attraverso le reminiscenze bibliche, come astratto paesaggio dellamemoria, idealmente prossimo ai tempi mitologici della creazionedel mondo. Lungo il flusso di immagini che lega a doppio filo il pre-sente al passato, si dischiudono visioni desunte dalle storie dell’An-tico Testamento, come se la natura stessa dei luoghi rinviassemutamente alle tracce di un’età più antica dell’uomo, disponendoall’emozione di un incontro rinnovato con la fede.

E tuttavia, sintomaticamente, l’entusiasmo dell’«ultima pelle-grina» in Terra Santa cede di frequente il passo alle memorie dellapatria perduta, attraverso una trama di ricordanze che riporta inprimo piano la «casa patria» dell’infanzia di Elberfeld («1000 e 1anni fa»), insieme all’universo delle consuetudini rituali propriedelle famiglie ebraiche assimilate. Così, il racconto della visita delmuseo ebraico di Gerusalemme diventa tout court affondo nell’in-terno borghese di casa Schüler apparecchiato per la festività delsabbat. E il pellegrinaggio al Muro del pianto si fonde con unamesta rievocazione dei propri congiunti sepolti in terra tedesca,degli amici dispersi dall’esilio e dei «compagni di gioco», complicidei tempi dell’infanzia, nonché dell’età adulta, degli anni trascorsia Berlino.

Il percorso tutt’altro che rettilineo fra l’ieri e l’oggi, fra luoghireali e figurati si rivela parallelamente un itinerario nell’universo

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24 Sulla scrittura di Das Hebräerland come tentativo di «rifondazione» di unaHeimat cfr. A. Henneke-Weischer, Poetisches Judentum. Die Bibel im Werk ElseLasker-Schülers, Mainz 2003, pp. 283-330.

del mito sionista, che comincia con un omaggio a Theodor Herzl,«il nostro defunto Melech, guida ancor viva e immortale», e prose-gue per stazioni associative, laddove l’entusiasmo per l’operositàdei coloni procede di pari passo con la celebrazione di un’idealeconcordia fra gli ebrei e gli arabi, in quanto, popoli «fratelli», figlidi «stirpi gemelle». Se l’universo ebraico è trasfigurato nel segnodelle Sacre Scritture, il mondo arabo ripropone simmetricamenteun repertorio di fantasie esotiche già altrove frequentate dallapenna di Lasker-Schüler: «Quante volte, ben prima di avere vistoun’oasi, mi sono ristorata all’ombra delle palme, giunta a dorso diun cammello o condotta in portantina da servitori neri. Sì, moltevolte ho sognato, nei miei libri, sotto un cielo inventato da me, conla sua luna» (H 113).

Quadri d’ispirazione fantastica, o anzi scenari costruiti esplici-tamente «a tavolino [...] con occhi orientali», con i quali Lasker-Schüler mira a disegnare il profilo di un mondo regolato dalle leggidell’armonia e della concordia, nel quale, sin dalle primissime paginedel libro, lo svolgersi quotidiano della vita sembra coincidere con unrituale di fraterna conciliazione. «Oggi prendo di nuovo l’autobusper andare al mare. Siede accanto a me un beduino con una tunicadi raso a righe, il capo fasciato da un turbante. Parliamo inglese, eanche qualche parola di arabo che ho afferrato per la strada, ma dicui non comprendo il significato. Il mio compagno di viaggio colo-rato ride sotto i baffi – e io so già perché. In fondo, nella Terra Santa,ci si capisce – senza proferire parola. [...] Devo dire di non aver maiudito a Gerusalemme qualcuno che alzasse la voce o usasse toniaspri, né per strada, né nelle case, o nelle sontuose dimore. È la ra-gione per cui si ode tanto più chiaramente il respiro di Dio» (H 5).

Le insistite visioni di una coesistenza pacifica non sono solo in-genua rimozione della realtà del conflitto, («Cara poetessa, leggo diproteste in Palestina, di violenze e di feriti. Spero che Lei stia bene»scrive da Berna l’amico Emil Raas, nel maggio 1939) ma anche im-plicito rimando alla necessità della tolleranza religiosa, in tempi dipersecuzione e di sterminio. Altrove, l’immaginazione di una soli-dale fratellanza fa sì che lo sguardo ritragga ebrei ed arabi che cam-minano «mano nella mano», uniti dall’appartenenza a un’«unicaterra»: «È difficile distinguere gli uni dagli altri i lineamenti delle

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due stirpi gemelle: si sono intrecciati nel tempo, trama tessuta dallostesso sole, lambita dall’alito dello stesso mare» (H 74)25.

Ai margini dell’atmosfera irreale del testo, a fronte di una realtàinvece assai distante da visioni di pace, Lasker-Schüler riscopre lasua vena militante e il suo spirito tebano, impegnandosi in una bat-taglia ostinata e solitaria ispirata al credo giovanile, secondo cui«l’artista sa costruire meglio un mondo che non uno Stato». Così,nel clima sempre più violento ed esteso delle persecuzioni razziali,stende di getto una lettera al papa Pio XII in difesa degli ebrei,(probabilmente mai spedita) volta a smentire i più retrivi pregiudiziantisemiti: «Prego il Santo Padre di dichiarare che mai al mondonoi ebrei – né un ebreo né la moglie di un ebreo, né in Jeschurunné in qualsiasi altro Paese – abbiamo bevuto sangue di cristiani, némai abbiamo sacrificato un bambino per Pasqua. Noi, cui è proi-bito cibarsi anche del più minuscolo uovo in cui si trovi la più mi-nuscola goccia di sangue. Santo Padre di Roma, quando ero ancorabambina e mio padre e il mio secondo fratello riferirono a me, allamia madre adorata e ai miei fratelli più grandi di questa orribile ac-cusa, noi sedevamo intorno al nostro desco e scoppiamo tutti apiangere come bambini, Santo Padre. [...] Anche Gesù Cristo erafiglio di Davide, il fiore dorato della sua stirpe e avrebbe amato fer-vidamente i nostri santi, Luria, Simon Ben Jessay, Maimonide eSpinoza e Baal Shem. [...] Bacio le mani dell’amato Papa, del SantoPadre, nella cui vita è discesa l’anima di Cristo che sempre risorgee tramonta come l’alba e il crepuscolo». (B 10, 288-289).

25 Il tema della conciliazione e della tolleranza religiosa rappresenta un leitmotivdella scrittura di Lasker-Schüler. Esso costituisce non da ultimo il motivo centrale del-l’opera teatrale Arthur Aronymus che Lasker-Schüler si adoperò a portare sulle scenedurante l’esilio e che, rappresentato per la prima volta a Zurigo nel 1937, venne recepitosubito in termini politici, costando all’autrice problemi con le autorità svizzere. Disegno rovesciato invece la ricezione di Hebräerland da parte degli emigrati tedeschi, ein particolare degli intellettuali filosovietici raccoltisi a Mosca intorno al progetto dellarivista «Das Wort». Fu J. Steinfeld, in qualità di direttore del foglio, a firmare unasevera stroncatura del testo, accusando Lasker-Schüler di un atteggiamento colpevol-mente “impolitico”. Cfr. D. Krüger, Wo soll ich hin? Oh Mutter mein, weißt du’s? Auchunser Garten ist gestorben!... Else Lasker-Schüler im Exil 1933-1945, in Gegenbilderund Vorurteil. Aspekte des Judentums im Werk deutsch sprachiger Schriftstellerinnen, acura di R. Heuer, R.-R. Wuthenow, Frankfurt/Main-New York 1995, pp. 189-216.

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Ciò non le impedisce tuttavia di essere affascinata da BenitoMussolini, il quale, a suo dire, ha sommamente apprezzato le bal-late ebraiche e l’ha anzi invitata a Roma. «Resti fra noi» scrive al-l’amico Shalom ben Chorin, ma altrove usa toni di tale ingenuoentusiasmo a proposito del «giovanile duce» che Heinrich Mann,dall’esilio parigino, si sente in dovere di invitarla alla cautela: «Egre-gia Else Lasker-Schüler [...] Le consiglio di tenere per Sé la Sua in-solita e piacevole esperienza» (B 11, 570).

Una infatuazione momentanea che è il segno, per un verso, diuna disarmante ingenuità, per l’altro di un’inclinazione al para-dosso, coltivata in nome di una caparbia affezione per l’utopia.Nasce dalla stessa vena l’idea di una giostra a Gerusalemme, pen-sata come il più efficace espediente perché si giunga a un imme-diato superamento dei contrasti e delle ostilità tra arabi ed ebrei:un’occasione che li veda regredire congiunti, nell’atmosfera giocosadella festa, all’innocenza e al candore dell’infanzia. La lettera è in-dirizzata all’editore Salman Schocken, per sollecitarne il sostegnonell’impresa: «Me ne sto qui tutto il giorno e non faccio altro chelitigare con tutti –. Stavolta infatti voglio qualcosa; i contrasti sonodavvero acuti. A chi devo rivolgermi? A Lei! Non perché Lei abbiasoldi – ma perché Lei ha esperienza. Ed è infelice come me, ancheio infatti ho dovuto raccogliere esperienze in luogo di stelle. Adon,getti via tutti i libri e mettiamo su insieme una fiera. [...] Già unavolta ci ho provato. Mi sono informata – legno dei più semplici –una giostra – addobbata con pendagli di pesanti perle di vetro –capannoni smontabili. Io animerò la giostra dapprima con cantipopolari per l’infanzia, sia ebraici che arabi. Verranno tutti i bam-bini, dalle 4 alle 9 di sera, e, insieme a loro, le persone che si voglio -no bene, che saranno contente. [...] Giostra significa riconciliazionedi tutti con tutti, e conoscenza di tutti con tutti. Ho in mente unaragazza molto onesta per la cassa» (B 10, 235-237).

Verosimilmente nello stesso contesto Lasker-Schüler stila unelenco degli interventi che dovrebbero contribuire ai suoi occhi amigliorare le condizioni di vita degli abitanti di Gerusalemme e inparticolare dei bambini, la cui miseria ricorre più volte nell’episto-lario come fonte di tristezza. All’amico Ernst Simon, «monacoebraico», è indirizzata un’aperta confessione di sgomento: «Tutti i

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bambini delle famiglie povere devono essere allevati nei kibbutz!Vestiti, alimenti (a sufficienza!) e – bagni e scuola. Altrimenti di-ventano ladri, si prostituiscono per strada e sono nella sostanza in-nocenti. L’egoismo dei padri e delle madri, che possono dare tuttoai loro figli: sono loro ad avere colpa, non le creature trascurate.Quando vedo un bambino – spesso di soli sei anni – che vende gior-nali o altro, penso con terrore: se fosse mio figlio. Monaco Ernst,davvero non sono una persona ottusamente sentimentale, ma lepersone qui non sono forse piuttosto come nazisti?? I bambini de-vono avere due abiti, i genitori che desiderano visitarli, devonoprima fare un bagno nel kibbutz e via di dosso gli stracci! Soprat-tutto: vanno trattati con amore, interesse ecc. [...] dov’è il tanto ce-lebrato cuore d’oro degli ebrei?» (B 11, 312-314).

Fra le iniziative cui Lasker-Schüler pensa di dar vita non man-cano quelle dal profilo più specificamente culturale: a partire dal1941 si fa animatrice a Gerusalemme di un circolo denominato DerKraal nel quale raduna gli emigrati tedeschi, organizzando cicli diletture e conferenze, coinvolgendo tra gli altri anche Martin Buber,cui la lega un sentimento duplice di stima per il «caro narratore bi-blico» e di ironica simpatia per la «bubertà» del più giovane amico.«Nella mia ampia stanza: posto per le circa 30 persone che invite-remo; vogliamo invitare cari e bravi poeti e dottori poeti e pittoripoeti, forse anche..... per tornare di nuovo sui banchi di scuola (ione avrei bisogno)» (B 11, 75)26.

Anche in tale contesto, tuttavia, non mancano cocenti delu-sioni: la cerimonia commemorativa in onore di Herzl fa contaresolo quattordici presenze e induce l’organizzatrice a scontare nuo-

26 Nel luglio 1941 Lasker-Schüler diede lettura di alcuni brani di Ichundich nelClub Berger di Gerusalemme. La sua ultima opera teatrale è una complessa e sofi-sticata requisitoria contro il regime nazista intrecciata, su un duplice livello, con levicende autobiografiche dell’autrice, (poetessa ebrea e personaggio interno alla fin-zione del testo), con il paradigma (tedesco) della tragedia faustiana. Ben Chorin neriferisce: «Dinanzi a un pubblico oltremodo numeroso (e illustre), Else Lasker-Schü-ler ha letto il suo nuovo testo teatrale: Io e io. Il dramma costituisce una parte delnuovo libro sulla Palestina della poetessa. Si tratta di una singolare sequenza discene “scherzi, satira, ironia e significati più profondi” – e soprattutto brani lirici digrande poesia. L’azione si svolge in Erez Israel e nell’inferno. Nella attualissima sto-ria contemporanea e nell’eternità» (B 11, 504-505).

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vamente l’«ingratitudine» del popolo ebraico: «Ho recapitato ogniinvito di persona a domicilio con un caldo soffocante. Non ho in-cassato nulla, [...] al contrario, ho speso soldi di tasca mia, quasiogni volta 30 piastre: carta, dalle 10 alle 12 cartoline ecc. ecc. Ionon sono un business [...] – né sono kosher – sono – lo imparo sol-tanto – ora? un essere umano. [...] Sono tre anni che neanche hopotuto farmi rattoppare le scarpe per amore del Kraal e del sacri-ficio – per Israele. Società di ipocriti! Vorrei andare dagli arabi,parlare con qualcuno di loro, in pace e in amore. Se solo sapessil’arabo. L’imperatore di Tebe» (B 11, 166-168).

Mentalità e valori degli ebrei incontrati contribuiscono adacuire, giorno dopo giorno, un senso di esclusione e disagio neiconfronti di un mondo chiuso, da cui non è dato ritorno. «Sonocosì stanca. Fossi almeno a casa mia – Terrei Gerusalemme sullapalpebra – Mai ho incontrato qui Davide o Gionata, né mai Gia-cobbe e i suoi figli, scacciati dalla gente del posto, intenta ai suoicalcoli. Dalla gente di questo posto, priva di spirito del gioco o dellagioia, che vengano dall’Asia o dall’Europa. Stanno sempre a dire:per amore di Dio e – a Dio piacendo – e invece Lo offendono comefanno col personale dei loro uffici, è così, proprio così!» (B 11, 47).

Solitudine, frustrazione, sfinimento: via via che il tempo passa,si fanno sempre più frequenti le immagini legate al pensiero dellamorte e dell’aldilà, mentre la corrispondenza epistolare tradisce,anche nei riguardi di interlocutori meno intimi, un bisogno cre-scente di familiarità e confidenza. «Tutto è finito dentro di me, nes-suna coppa per contenere alcunché. Sono sempre triste e delusa datutte le persone qui e perciò sola dentro di me. Sempre al bivio, trail sentiero della vita e della morte. Qui nessuno ha tempo, si per-dono quei pochi momenti propri dei fiori e delle fontane colorate.Tutti corrono e io invece trovo importante fermarsi magari accantoun bambino povero e arrivare cinque minuti in ritardo. Nessunonella Città Santa mi capisce, ciascuno pensa a sé. [...] Credo che laGerusalemme di Dio sia morta» (B 11, 34-35).

Giunta oltre la soglia dei settant’anni, ma segretamente già vi-cina all’età mitica di «1000 e due anni», l’anziana signora affida aun’ultima controfigura, lo «spaventapasseri», il compito di alluderealla sua pena – «[...] quando rientro, spesso stanca, nella mia stanza,

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il pavimento è come una scacchiera di pietra dalla quale risuonauna voce: “scacco al re” – e allora ho perso» (B 11, 224).

Le ultime lettere tendono a essere firmate per lo più con il suovero nome: «Else Lasker-Schüler – purtroppo» (B 11, 17).

Vi aleggia un senso buio di desolazione, che a tratti pare persinosoffocare lo spazio residuo della fede. A Martin Buber: «Adon, Pro-fessore, io non sono sionista, non sono ebrea, non sono cristiana;credo di essere semplicemente un essere umano, un essere umanomolto molto triste. Sono stata un semplice soldato di Dio; ma nonposso più indossare l’uniforme. Di giorno in giorno vado sempre piùdisperdendomi alla deriva. Forse Dio, l’Eterno crede in me, ma nonso come io, nella mia umanità, possa credere nell’Eterno. Forse Egli,invece, mi tiene nel palmo della sua mano invisibile. Noi tutti pian-gendo» (B 11, 207).

Resta, infine, solo l’attaccamento alla poesia. Nell’ultima rac-colta di liriche stampata dall’editore Salmon Schocken Das blaueKlavier (Il pianoforte azzurro, 1943), la nostalgia di patria ha ormaimutato esplicitamente indirizzo, mentre la distanza fra Gerusa-lemme e Tebe sembra tutta contenuta nella dedica che inaugura ilvolume: «Ai miei indimenticabili amici ed amiche delle città tede-sche – e a coloro che, scacciati come me, sono ora dispersi per ilmondo, in segno di fedeltà!» (G 2, 43).

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TesTi e Traduzioni

der König von Böhmenschenkte mir seine dichtung daniel Jesus.

ich schlug es auf und las: der lieben, lieben, lieben, lieben Prinzessin.ich schrieb auf einem himmelblauen Bogen: süßer daniel Jesus Paul.

il re di Boemia Paul Leppinmi donò il suo poema daniel Jesus.

aprendolo, lessi: alla cara, cara, cara, cara principessa.sopra un foglio azzurrocielo scrissi: dolce daniel Jesus Paul.

ich frage nicht mehr

Dem König von Böhmen

ich weiss wer auf den sternen wohnt...

Mein Herz sinkt tief in die nacht.so sterben Liebendeimmer an zärtlichen Himmeln vorbei.

und atmen wieder Morgen entgegenauf frühleisen schweben.ich aber wandele mit den heimkehrenden sternen.

und ich habe viele schlafende Knospen ausgelöscht,Will ihr sterben nicht sehn,Wenn die rosenhimmel tanzen.

aus dem Gold meiner stirne leuchtet der smaragd,der den sommer färbt.ich bin eine Prinzessin.

Mein Herz sinkt tief in die nachtan Liebende vorbei.

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non chiedo più

Al re di Boemia

so chi abita in cima alle stelle...

il mio cuore precipita nel fondo della notte.Muoiono così gli amantisempre oltre cieli di tenerezza.

e respirano ancora incontro al mattino,levitando piano.io seguo invece le stelle che tornano a casa.

e ho spento tante gemme assopite,per non vedere il loro morire,quando danzano cieli di rose.

dall’oro della mia fronte spunta la luce di uno smeraldoche tinge l’estate.sono una principessa.

il mio cuore precipita nel fondo della notteoltre gli amanti.

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du es ist nacht –

Dem Daniel Jesus Paul

Wir wollen unsere sehnsucht teilen,und in die Goldgebilde blicken...

auf der strasse sitzt immer eine Toteund bettelt immer um almosen.

und summt meine Liederschon einen weissgewordenen sommer lang.

Über den Grabweg hinwegWollen wir uns lieben,

Tollkühne Knaben,Könige, die sich nur mit dem zepter berühren.

– Frage nicht – ich lauschedeiner augen rauschehonig.

die nacht ist eine weiche roseWir wollen uns in ihren Kelch legen,

immer ferner versinken,ich bin müde vom Tod.

Wenn ich nicht bald eine blaue insel finde...erzähl mir von ihren Wundern!

46

ehi, è notte –

A Daniel Jesus Paul

uniamo il nostro languorefissando figure dorate...

Lungo la strada siede sempre una morta,e sempre chiede l’elemosina.

e canticchia i miei cantiormai già dall’estate, fattasi bianca.

amiamocioltre il sentiero di tomba,

impavidi fanciulli,re che si sfiorano solo con lo scettro.

– non chiedere – ascolto:scroscia miele dai tuoi occhi.

La notte è una rosa sofficesdraiamoci nel fondo del suo calice,

sprofondiamo, sempre più lontani,la morte mi sfinisce.

ah, se non trovo presto un’isola azzurra...dimmi delle sue meraviglie!

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Meinem so geliebten Spielgefährten Senna Hoy

in Moskau der Prinz sascha saß sündlos gefangen sieben Jahr

A Senna Hoy, mio compagno di giochi tanto amato

senza peccato, il principe sascha fu tenuto sette anni prigioniero a Mosca

Ballade

Trotzendes Gold seine stirn war,süßer Todstrahl sein Haar,seine Lippen blühten am altar.

ob er kommt dieses Jahr –sein Herz pocht ganz nah.

Wo steck ich meinen Liebsten hin,da ich nur seine Blume war.

dem dichter färbt er die schläfe rot.Mit der axt schlägt er den ritter tot.aber den König trifft er nicht,der hat meines Bruders steinern Gesicht.o, sascha!

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Ballata

oro caparbio era la sua fronte,la sua chioma un raggio dolce di morte,le sue labbra fiorivano all’altare.

Chissà se quest’anno ritorna –il suo cuore mi batte vicino vicino.

dove nascondere il mio amato,ché solo ne fui il fiore.

al poeta tinge di rosso la tempia.Con l’ascia colpisce a morte il cavaliere.il re invece lo risparmia,ha il volto impietrito di mio fratello.oh, sascha!

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senna Hoy

seit du begraben liegst auf dem Hügelist die erde süß.

Wo ich hingehe nun auf zehen,Wandele ich über reine Wege.

o, deines Blutes rosendurchtränken sanft den Tod.

ich habe keine Furcht mehrVor dem sterben.

auf deinem Hügel blühe ich schonMit den Blumen der schlingpflanzen.

deine Lippen haben mich immer gerufen,nun weiß mein name nicht mehr zurück.

Jede schaufel erde, die dich barg,verschüttete auch mich.

darum ist immer nacht an mirund sterne schon in der dämmerung.

52

senna Hoy

da quando sei sepolto su in collina,la terra è dolce.

ovunque ora m’inoltri in punta di piedi,vado per sentieri chiari.

oh, le rose del tuo sangueimbevono la morte lievemente.

non ho più timoredi finire.

Già fiorisco sul tuo tumulo insieme ai fiori rampicanti.

sempre le tue labbra mi chiamavano,ora il mio nome non sa più la strada del ritorno.

ogni zolla di terra che ti ricoprivaseppelliva pure me.

Perciò dentro me è sempre notte,e stelle sin dall’imbrunire.

53

und ich bin unbegreiflich unseren Freundenund ganz fremd geworden.

aber du stehst am Tor der stillsten stadtund wartest auf mich, du Großengel.

54

e sono ormai inspiegabile ai nostri amici,e del tutto estranea.

Ma tu sei alle porte della città silente,e mi aspetti, mio grande angelo.

55

siehst du mich –

Dem holden gefangenen Krieger Sascha

zwischen erde und Himmel?nie ging einer über meinen Pfad

aber dein antlitz wärmt meine WeltVon dir geht alles Blühen aus.

Wenn du mich ansiehst,Wird mein Herz süß.

ich liege unter deinem Lächelnund lerne Tag und nacht bereiten

dich hinzaubern und vergehen lassen,immer spiele ich das eine spiel.

56

Mi vedi –

Al soave guerriero imprigionato Sascha

Fra terra e cielo?Mai nessuno camminò lungo il mio sentiero.

Ma il tuo volto riscalda il mio mondo,proviene da te ogni fiorire.

Quando mi guardi,si intenerisce il mio cuore.

distesa sotto il tuo sorrisoimparo a fare giorno e notte,

a farti comparire e poi svanire, sempre gioco lo stesso gioco.

57

Mein Liebeslied

Sascha, dem himmlischen Königssohn

auf deinen Wangen liegenGoldene Tauben.

aber dein Herz ist ein Wirbelwind,dein Blut rauscht wie mein Blut –

süßan Himbeersträuchern vorbei.

o, ich denke an dich – –die nacht frage nur.

niemand kann so schönMit deinen Händen spielen,

schlösser, wie ichaus Goldfinger;

Burgen mit hohen Türmen!strandräuber sind wir dann.

Wenn du da bist,Bin ich immer reich.

58

il mio canto d’amore

A Sascha, celeste figlio di re

riposano sulle tue guancecolombe dorate.

Ma il tuo cuore è un turbine,sgorga il tuo sangue come il sangue mio –

dolceoltre cespugli di lamponi.

ah, io penso a te – –la notte lo sa.

nessuno sa giocare con le tue mani così

bene come me, castellidalle dita d’oro;

bastioni dalle alte torri!siamo allora due pirati.

Quando sei con me,sempre sono ricca.

59

du nimmst mich so zu dir,ich sehe dein Herz sternen.

schillernde eidechsensind deine Geweide.

du bist ganz aus Gold –alle Lippen halten den atem an.

60

Mi stringi a te così,vedo il tuo cuore farsi stellato.

Lucertole iridescentisono le tue viscere.

sei d’oro puro –Tutte le labbra trattengono il fiato.

61

ein Liebeslied

Dir – Sascha – Dir

aus goldenem odemerschufen uns Himmel.o, wie wir uns lieben...

Vögel werden Knospen an den aesten,und rosen flattern auf.

immer such ich noch deine LippenHinter tausend Küssen.

eine nacht aus Gold...sterne aus nacht...niemand sieht uns.

Kommt das Licht mit dem Grün,schlummern wir.nur unsere schultern spielen noch wie Falter.

62

un canto d’amore

A te – Sascha – a te

da alito doratoci crearono cieli.ah, come ci amiamo...

sui rami gli uccelli diventano gemme,e rose spiccano il volo.

sempre ancora cerco le tue labbradietro mille baci.

una notte tutta d’oro...stelle tutte di notte...nessuno ci vede.

spuntata la luce nel verde,ci assopiamo.solo le nostre spalle ancora giocano come falene.

63

ein Lied der Liebe

seit du nicht da bist,ist die stadt dunkel.

ich sammle die schattender Palmen auf,darunter du wandeltest.

immer muß ich eine Melodie summendie hängt lächelnd an den aesten.

du liebst mich wieder –Wem soll ich mein entzücken sagen?

einer Waise oder einem Hochzeitler,der im Widerhall das Glück hört.

ich weiß immerWann du an mich denkst –

dann wird mein Herz ein Kindund schreit.

an jedem Tor der straßeVerweile ich und träume;

64

Canto dell’amore

da quando non ci sei,è buia la città.

raccolgo l’ombradelle palmeai cui piedi camminavi.

sempre devo canticchiare un motivo:pende dalle fronde e sorride.

Mi ami di nuovo –a chi dire del mio incanto?

a un’orfana o a un futuro sposoche oda nell’eco la felicità.

so semprequando pensi a me –

il mio cuore diventa bambinoe strilla.

a ogni porta della strada indugioe sogno;

65

ich helfe der sonne deine schönheit malenan allen Wänden der Häuser.

aber ich magerean deinem Bilde.

um schlanke säulen schlinge ich michBis sie schwanken.

Überall steht Wildedel,die Blüten unseres Blutes.

Wir tauchen in heilige Moose,die aus der Wolle goldener Lämmer sind.

Wenn doch ein Tigerseinen Leib streckte

ueber die Ferne, die uns trenntWie zu einem nahen stern.

auf meinem angesichtLiegt früh dein Hauch.

66

aiuto il sole a dipingere la tua beltàsui muri di tutte le case.

Ma smagriscodinanzi alla tua figura.

e mi avviticchio lungo colonne snellefinché non vacillano.

dappertutto prede da cacciare, fiori del nostro sangue.

sprofondiamo nel muschio sacro,che è lana di agnelli dorati.

ah, se una tigrestirasse il suo corpo

lungo la distanza che ci divide,come verso una stella vicina.

sul mio viso prestosi posa il tuo respiro.

67

ein Trauerlied

eine schwarze Taube ist die nacht...du denkst so sanft an mich.

ich weiß, dein Herz ist still,Mein name steht auf seinem saum.

die Leiden, die dir gehörenKommen zu mir.

die seligkeiten, die dich suchensammele ich unberührt.

so trage ich die Blüten deines LebensWeiter fort.

und möchte doch mit dir stille stehen;zwei zeiger auf dem zifferblatt.

o, alle Küsse sollen schweigenauf beschienenen Lippen liebentlang.

niemehr soll es früh werden,da man deine Jugend brach.

68

un canto triste

una colomba nera è la notte... Tu pensi a me così teneramente.

Lo so, il tuo cuore tace,ha sull’orlo il nome mio.

i dolori che sono parte di te vengono ora a visitarmi.

Le gioie che cercano te,le raccolgo intatte.

sospingo così il fiore della tua vita.

invece vorrei dividere la mia quiete con te,due lancette sul quadrante.

oh, che tacciano tutti i bacisu labbra chiare per ore, ore e ore d’amore.

Mai più faccia mattino,ché ti spezzarono la gioventù.

69

in deiner schläfe starb ein Paradies.

Mögen sich die Traurigendie sonne in den Tag malen.

und die Trauerndenschimmer auf ihre Wangen legen.

im schwarzen Wolkenkelchesteht die Mondknospe.

... du denkst so sanft an mich.

70

Morì nella tua tempiaun paradiso.

Che i tristidipingano un sole dentro il giorno.

e i dolenti ritragganoun raggio sulle loro guance.

nel calice nero delle nuvolesta la gemma della luna.

... Tu pensi a me così teneramente.

71

sascha

um deine Lippen blüht noch jungder Trotz dunkelrot,

aber auf deiner stirn sind meine GebeteVom sturm verwittert.

daß wir uns im Lebennie küssen sollten...

nun bist du der engel,der auf meinem Grab steht.

das atmen der erde bewegtMeinen Leib wie Lebendig.

Mein Herz scheint hellVom rosenblut der Hecken.

aber ich bin tot, sascha,und das Lächeln liegt abgepflücktnur noch auf meinem Gesicht.

72

sascha

sopra le tue labbra spunta ancora giovaneun capriccio rosso scuro,

ma sulla tua fronte le mie preghieresono travolte dalla tempesta.

se mai al mondodovessimo baciarci...

ora tu sei l’angeloche veglia sulla mia tomba.

il respiro della terrasmuove il mio corpo come vivo.

il mio cuore splende chiarodi sangue di rose di rovi.

Ma io sono morta, sascha,e il sorriso ormai recisoresta solo un poco sul mio viso.

73

ich träume so leise von dir – – –

An Johannes Holzmann

immer kommen am Morgen schmerzliche Farben,die sind, wie deine seele.

o, ich muß an dich denkenund überall blühen so traurige augen.

und ich habe dir doch von grossen sternen erzählt,aber du hast zur erde gesehn.

nächte wachsen aus meinem Kopf,ich weiss nicht wohin ich soll.

ich träume so leise von dir –Weiss hängt die seide schon über meinen augen.

Warum hast du nicht um michdie erde gelassen – sage?... ...

74

sogno segretamente di te – – –

A Johannes Holzmann

sempre al mattino spuntano i colori del dolore,sono come la tua anima.

oh, non posso non pensare a te,ovunque sbocciano occhi così tristi.

Pure ti ho narrato di grandi stelle,ma tu tenevi gli occhi bassi.

notti spuntano nella mia mente,non so dove dirigermi.

sogno segretamente di te –Bianca ricade già la seta sui miei occhi.

Perché non hai lasciato la terraper amore mio – di’ un po’... ...

75

an den Prinzen Benjamin

An Senna Hoy

Wenn du sprichst,Wacht mein buntes Herz auf.

alle Vögel üben sichauf deinen Lippen.

immerblau streut deine stimmeÜber den Weg;

Wo du erzählst wird Himmel.

deine Worte sind aus Lied geformt,ich traure, wenn du schweigst.

singen hängt überall an dir –Wie du wohl träumen magst?

76

al principe Beniamino

A Senna Hoy

Quando parli,si desta il mio cuore colorato.

Giocano tutti gli uccelli a cantaresopra le tue labbra.

sempre azzurro spargela tua voce sulla via;

cielo è ovunque tu racconti.

Le tue parole sono melodia,mi rattristo, quando taci.

ovunque si riversa il tuo cantare –come saranno i tuoi sogni?

77

Meinem reinen Liebesfreund Hans Ehrenbaum-Degele

Tristan kämpfte im Feindesland;Viel Lieder hat er heimgesandt

Bis der Feind brach seinen Leib.

Al mio vero amico d’amore Hans Ehrenbaum-Degele

Tristano combatté in terra nemica;tanti canti spedì in patria

finché il nemico non gli spezzò la vita.

Hans ehrenbaum-degele

er war der ritter in Goldrüstung.sein Herz ging auf sieben rubinen.

darum trugen seine Tageden lauteren sonntagsglanz.

sein Leben war ein lyrisches Gedicht,die Kriegsballade sein Tod.

er sang den Frauen Liederin süßerlei abendfarben.

Goldnelken waren seine augen;manchmal stand Tau in ihnen.

einmal sagte er zu mir:»ich muß früh sterben«.

da weinten wir beideWie nach seinem Begräbnis.

seitdem lagen seine Händeoft in den meinen.

immer hab ich sie gestreichelt,Bis sie die Waffe ergriffen.

80

Hans ehrenbaum-degele

egli era il cavaliere dall’armatura dorata.il suo cuore batteva su sette rubini.

Perciò i suoi giorni schiudevanola luce chiara della domenica.

La sua vita era un poema in versi,una ballata di guerra la sua morte.

dedicava canti alle donnenei dolci colori della sera.

i suoi occhi erano garofani dorati;talora v’era in essi una goccia di rugiada.

una volta mi disse:«Mi tocca morire giovane».

e ci mettemmo a piangerecome dopo il suo funerale.

da allora teneva spessole sue mani nelle mie.

Le accarezzavo sempre,finché non impugnarono l’arma.

81

als ich Tristan kennen lernte –

o,du mein engel,Wir schweben nur nochin holden Wolken.

ich weiß nicht, ob ich lebeoder süß gestorben binin deinem Herzen.

immer feiern wir Himmelfahrtund viel, viel schimmer.

deine Haare sind Goldnelken,Heiligenbilder deine augen.

sage – wie ich bin?ueberall wollen Blumen aus mir.

82

Quando conobbi Tristano –

oh,tu, angelo mio,siamo ormai sospesi solofra nuvole soavi.

non so se sono vivao sono morta dolcementedentro il cuore tuo.

sempre per noi è festa di ascensione,tanto, tanto chiarore.

La tua chioma è di garofani dorati,i tuoi occhi sono icone sante.

di’ – come sono io?ovunque in me è un urgere di fiori.

83

an den Gralprinzen

Wenn wir uns ansehnBlühn unsere augen.

und wie wir staunenVor unseren Wundern – nicht?und alles wird so süß.

Von sternen sind wir eingerahmtund flüchten aus der Welt.

ich glaube wir sind engel.

84

al principe del Gral

Quando ci guardiamofioriscono i nostri occhi.

e come ci stupiamo – no?del nostro incanto. Tutto diventa così dolce.

incorniciati dalle stelle,fuggiamo via dal mondo.

Credo che siamo angeli.

85

an den Prinzen Tristan

auf deiner blauen seelesetzen sich die sterne zur nacht.

Man muß leise mir dir sein, o, du mein Tempel,meine Gebete erschrecken dich;

Meine Perlen werden wachVon meinem heiligen Tanz.

es ist nicht Tag und nicht stern,ich kenne die Welt nicht mehr,nur dich – alles ist Himmel.

86

al principe Tristano

sulla tua anima azzurrasi posano le stelle, fanno notte.

Con te devo agire piano piano oh tu, tempio mio,ti allarmano le mie preghiere;

si destano le mie perlecon la mia danza sacra.

non è giorno né stella,non conosco più il mondo,solo te – tutto è cielo.

87

an den ritter aus Gold

du bist alles was aus Gold istin der großen Welt.

ich suche deine sterneund will nicht schlafen.

Wir wollen uns hinter Hecken legenuns niemehr aufrichten.

aus unseren Händensüße Träumerei küssen.

Mein Herz holt sich Von deinem Munde rosen.

Meine augen lieben dich an,du haschst nach ihren Faltern.

Was soll ich tun,Wenn du nicht da bist.

Von meinen LidernTropft schwarzer schnee;

Wenn ich tot bin,spiele du mit meiner seele.

88

al cavaliere d’oro

sei tutto quanto l’orodi questo grande mondo.

io cerco le tue stellee non voglio dormire.

sdraiamoci oltre le siepi,non alziamoci mai più.

Baciamo sogni dolcidalle nostre mani.

il mio cuore coglie rosedalla tua bocca.

Ti adorano i miei occhi,tu ne insegui il volo di farfalle.

Cosa devo fare,quando non ci sei.

Fiocca dalle mie palpebreuna neve nera;

quando sarò morta,gioca tu con la mia anima.

89

an den ritter

Gar keine sonne ist mehr,aber dein angesicht scheint.

und die nacht ohne Wunder,du bist mein schlummer.

dein auge zuckt wie sternschnuppe –immer wünsche ich mir etwas.

Lauter Gold ist dein Lachen,Mein Herz tanzt in den Himmel.

Wenn eine Wolke kommt –sterbe ich.

90

al cavaliere

non più sole ormai,ma il tuo viso rischiara.

È notte senza miracoli,sei tu il mio sopore.

il tuo occhio guizza come stella cadente –sempre esprimo un desiderio.

il tuo riso è oro puro,danza nel cielo il mio cuore.

se viene una nuvola – muoio.

91

an Tristan

ich kann nicht schlafen mehrimmer schüttelst du Gold über mich.

und eine Glocke ist mein ohr,Wem vertraust du dich?

so hell wie du,blühen die sträucher im Himmel.

engel pflücken sich dein Lächeln.und schenken es den Kindern.

die spielen sonne damitJa...

92

a Tristano

non riesco più a dormiresempre oro riversi su di me.

e il mio orecchio è una campana,a chi ti confidi?

Chiari come tefioriscono arboscelli nel cielo.

angeli colgono il tuo sorrisoe lo donano ai bambini.

e loro giocano, ne fanno un solesì...

93

Gottfried Benn, Giselheer

der hehre König Giselheerstieß mit seinem Lanzenspeer

Mitte in meinem Herz.

A Gottfried Benn, Giselheer

L’augusto re Giselheermi ha trafitto con la lancia

al centro del mio cuore.

o, deine Hände

o, deine Hände –

sind meine Kinder.alle meine spielsachenLiegen in ihren Gruben.

immer spiel ich soldatenMit deinen Fingern, kleine reiter,Bis sie umfallen.

Wie ich sie liebedeine Bubenhände, die zwei.

96

oh, le tue mani

oh, le tue mani –

sono mie creature.Tutti i miei balocchisparsi nelle loro fossette.

sempre gioco ai soldatinicon le tue dita, piccoli cavalieri,finché non cascano giù per terra.

Quanto le amo, loro due, le tue mani di fanciullo.

97

Giselheer dem Heiden

ich weine –Meine Träume fallen in die Welt.

in meine dunkelheitWagt sich kein Hirte.

Meine augen zeigen nicht den WegWie die sterne.

immer bettle ich vor deiner seele;Weißt du das?

Wär ich doch blind –dächte dann, ich läge in deinem Leib.

alle Blüten täte ichzu deinem Blut.

ich bin vielreichniemandwer kann mich pflücken;

oder meine Gaben tragenHeim.

98

al pagano Giselheer

Piango –i miei sogni cadono nel mondo.

nel mio buionon si avventurano pastori.

i miei occhi non mostrano il camminocome le stelle.

sempre mendico davanti alla tua anima;lo sai?

Fossi almeno cieca –penserei di giacere nel tuo corpo.

al tuo sangue porgereiogni mio fiore.

Tanto ricca sono,nessuno potrà cogliermi;

o portare i miei doni viacon sé.

99

ich will dich ganz zart mich lehren;schon weißt du mich zu nennen.

sieh meine Farbenschwarz und stern

und mag den kühlen Tag nicht,der hat ein Glausauge.

alles ist tot,nur du und ich nicht.

100

Voglio insegnarti me teneramente;il mio nome sai già dirlo.

Guarda i miei colori,nero e stella

e non amare il giorno freddo,col suo occhio di vetro.

Tutto è morto,solo tu e io no.

101

Giselheer dem Knaben

an meiner Wimper hängt ein stern,es ist hellWie soll ich schlafen –

und möchte mit dir spielen.– ich habe keine Heimat –Wir spielen König und Prinz.

102

al fanciullo Giselheer

Pende una stella dalle mie ciglia,quanta lucecome posso dormire –

e vorrei giocare con te– non ho patria –al gioco del principe e del re.

103

Giselheer dem König

ich bin so alleinFänd ich den schatteneines süßen Herzens.

– oder mir jemand einen stern schenkte –

immer fingen ihndie engel aufso hin und her.

Kann nicht betenVor schluchzen.

und furchte michVor der schwarzen erde.Wie soll ich fort?

Möchte in den WolkenBegraben sein,Überall wo sonne wächst.

Liebe dich so!du mich auch?sag es doch –

104

al re Giselheer

sono così solatrovassi almeno l’ombradi un cuore dolce.

– o qualcuno mi donasseuna stella –

sempre gli angeli necatturavano unadi qua o di là.

non posso pregare,devo piangere.

e mi fa paurala terra nera.Come sparire?

Vorrei essere sepoltafra le nuvoleovunque spunti un sole.

Ti amo così tanto!anche tu mi ami?dillo, su –

105

Lauter diamant...

An Gisel

ich hab in deinem antlitzMeinen sternenhimmel ausgeträumt.alle meine bunten KosenamenGab ich dir,und legte die Handunter deinen schritt,als ob ich dafürins Jenseits käme.immer weint nunVom Himmel deine Mutter,da ich mich schnitzteaus deinem Herzfleische,und du so viel LiebeLaunisch verstießest.dunkel ist es es flackert nur nochdas Licht meiner seele.

106

diamante puro...

A Gisel

nel tuo volto ho sognato intero il mio cielo di stelle.Ti ho dato tuttii miei soprannomi colorati,e ho posato la mia manosotto il tuo passo,come se potessicosì guadagnarmi l’aldilà.ora tua madre sempre piange dal cielo,ché mi sono feritacon la carne del tuo cuore,e tu hai ripudiato per capriccio tanto amore.È buio, solobrucia ancora la luce della mia anima.

107

das Lied des spielprinzen

Gottfried Benn in Liebe

Wie kann ich dich mehr noch lieben?ich sehe den Tieren und Blumen Bei der Liebe zu.

Küssen sich zwei sterneoder bilden Wolken ein Bild –Wir spielten es schon zarter.

und deine harte stirne,ich kann mich so recht an sie lehnen,sitz drauf wie auf einem Giebel.

und in deines Kinnes GrubeBau ich mir ein raubnest –Bist du mich aufgefressen hast.

Find dann einmal morgensnur noch meine Kniee,zwei gelbe skarabäen für eines Kaisers ring.

108

il canto del principe per gioco

A Gottfried Benn con amore

Come posso amarti ancora di più?Guardo animali e fiorinel loro amore.

Quando si baciano due stelleo nuvole si uniscono in figure –il nostro gioco era tanto più tenero.

e la tua fronte dura:mi ci posso financo appoggiare,sedervi sopra come fosse un timpano.

e nella fossa del tuo mentofaccio il mio nido di rapace –finché tu non mi divori.

un mattino ritrovosolo le mie ginocchia,due scarabei gialli per un anello da imperatore.

109

Hinter Bäumen berg’ ich mich

Dem Abtrünnigen

Hinter Bäumen berg’ ich mich –

Bis meine augenausgeregnet haben.

und halte sie tief verschlossen,daß niemand dein Bild schaut.

ich schlang meine arme um dichWie Gerank;

Bin doch mit dir verwachsen,Warum reißt du mich von dir?

ich schenkte dir die LevkojeMeines Leibes,

all meine schmetterlinge scheuchte ichin deinen Garten.

immer ging ich durch Granaten,sah durch mein Blut

die Welt überall brennenVor Liebe.

110

Mi nascondo dietro alberi

Al traditore

Mi nascondo dietro alberi –

finché i miei occhismettono di piangere.

e li tengo ben serrati,ché nessuno scorga la tua immagine.

Ti ho gettato le braccia al collocome fossi rampicante;

sono avvinghiata a te,perché mi respingi?

Ti ho donato le violedel mio corpo,

le mie farfalle le ho spinte tutte avolare verso il tuo giardino.

sempre fra melograni,vedevo attraverso il mio sangue

dovunque il mondo ardered’amore.

111

schlage mit der stirn nunMeine Tempelwände düster.

du falscher Gaukler,du spanntest ein loses seil.

Wie kalt nun alle Grüße sind.Mein Herz liegt bloß,

Mein rot FahrzeugPocht grausig;

Bin immer auf seeo, ich fühl, ich lande nie.

112

sbatto ora cupa con la frontecontro le mura del mio tempio.

Tu finto saltimbanco,hai teso la corda da un solo capo.

Che freddezza ora in ogni saluto.il mio cuore è a nudo,

il mio timone rossobatte atroce;

sempre per mare,ah, lo sento: non approdo mai.

113

Giselheer dem Tiger

Über dein Gesicht schleichen die dschungeln.o, wie du bist!

deine Tigeraugen sind süß gewordenin der sonne.

ich trag dich immer herumzwischen meinen zähnen.

du mein indianerbuch,Wild Westsiouxhäuptling!

im zwielicht schmachte ichGebunden am Buxbaumstamm –

ich kann nicht mehr seinohne das skalpspiel.

rote Küsse malen deine Messerauf meine Brust –

Bis mein Haar an dein Gürtel flattert.

114

alla tigre Giselheer

sopra il tuo volto strisciano le giungle.oh, come sei!

i tuoi occhi di tigre si sono raddolcitial sole.

Ti porto sempre in girocon me fra i denti.

Tu, mio libro degli indiani,Far Westmio capo sioux!

all’imbrunire languolegata al tronco del buxbaum –

non so più viverese non giochiamo a scorticarci.

Baci rossi dipingono le tue lamesul mio seno –

finché la mia chioma sventola dai tuoi fianchi.

115

Klein sterbelied

so still ich bin, all Blut rinnt hin.

Wie weich umher, nichts weiß ich mehr.

Mein Herz noch klein, starb leis an Pein.

War blau und fromm! ...o Himmel, komm.

ein tiefer schall –nacht überall.

116

Piccolo canto di morte

Tanto quieta me ne sto,tutto il sangue se ne va.

intorno tutto è inerte,io non so più niente.

il mio cuor ancor piccinomorì di pene piano.

era azzurro e tanto pio!...oh, vieni su, mio dio.

un suono dal profondo – notte in tutto il mondo.

117

o Gott

Überall noch kurzer schlafim Mensch, im Grün, im Kelch der Winde.Jeder kehrt in sein totes Herz heim.

– ich wollt die Welt wär’ ein Kind –er wüßte noch vom ersten atem zu erzählen.

Früher war eine große Frömmigkeit am Himmel,gaben sich die sterne die Bibel zu lesen.Könnte ich einmal Gottes Hand fassen,oder den Mond an seinem Finger sehn.

o Gott, o Gott, wie weit bin ich von dir!

118

oh dio

ovunque appena un sonno brevenegli uomini, nel verde, nel calice dei venti.ognuno fa ritorno al suo cuore morto.

– Magari il mondo fosse bambino –saprebbe ancora dire del primo alito di vita.

un tempo era in cielo grande devozione,le stelle si davano da leggere la Bibbia.Potessi toccare la mano di dioo vedere la luna al suo dito.

oh dio, mio dio, come sono lontana da te!

119

Höre!

Letztes Lied an Giselheer

ich raube in den nächtendie rosen deines Mundes,daß keine Weibin Trinken findet.

die dich umarmt,stiehlt mir von meinen schauern,die ich um dein Glieder malte.

ich bin dein Wegrand.die dich streift,stürzt ab.

Fühlst du mein LebtumÜberallWie ferner saum?

120

ascolta!

Ultimo canto dedicato a Giselheer

Ti rubo nelle nottirose dalla bocca, ché nessuna donna possa berne.

Colei che ti abbracciatrafuga i brividi che hodipinto sul tuo corpo.

sono l’orlo del tuo camminoti sfioro,poi precipito.

senti il mio viveredovunquecome riva remota?

121

dem Barbaren

deine rauen Blutstropfensüßen auf meiner Haut.

nenne meine augen nicht Verräterinnenda sie deine Himmel umschweben;

ich lehne lächelnd an deiner nachtund lehre deine sterne spielen.

und trete singend durch das rostige Tordeiner seligkeit.

ich liebe dich und nahe weißund verklärt auf Wallfahrtzehen.

Trage dein hochmütiges Herz,den reinen Kelch den engeln entgegen.

ich liebe dich wie nach dem Todeund meine seele liegt über dich gebreitet –

Meine seele fing alle Leiden auf,dich erschüttern ihre schmerzlichen Bilder.

122

al barbaro

Le tue aspre gocce di sanguesi addolciscono sulla mia pelle.

non chiamare i miei occhi traditoriché avvolgono i tuoi cieli;

mi appoggio sorridendo alla tua nottee insegno giochi alle tue stelle.

Così cantando varco il portale arrugginitodella tua letizia.

Ti amo e so vicino, trasfigurato dal mio pellegrinare lieve.

reca il tuo cuore presuntuoso,il suo calice puro, incontro agli angeli.

Ti amo come dopo la morte,la mia anima è distesa su di te –

la mia anima accoglieva ogni dolore,ora ti turba vedere la sua pena.

123

aber so viele rosen blühendie ich dir schenken will;

o, ich möchte dir alle Gärten bringenin einem Kranz.

immer denke ich an dichBis die Wolken sinken;

Wir wollen uns küssen –nicht?

124

Ma tante rose sbocciano,di cui voglio farti dono;

oh, vorrei porgerti tutti i giardiniin forma di corona.

Penso sempre a te,finché non incombono le nubi;

baciamoci –no?

125

dem Barbaren

ich liege in den nächtenauf deinem angesicht.

auf deines Leibes steppePflanze ich zedern und Mandelbäume.

ich wühle in deiner Brust unermüdlichnach den goldenen Freuden Pharaos.

aber deine Lippen sind schwer,Meine Wunder erlösen sie nicht.

Hebe doch deine schneehimmelVon meiner seele –

deine diamantnen Träumeschneiden meine adern auf.

ich bin Joseph und trage einen süssen Gürtelum meine bunte Haut.

dich beglückt das erschrockene rauschenMeiner Muscheln.

aber mein Herz lässt keine Meere mehr ein.o du!!

126

al barbaro

sono distesa nottetemposul tuo viso.

nella steppa del tuo corpopianto cedri e mandorli.

Frugo senza requie nel tuo pettoin cerca di dorate gioie del faraone.

Ma le tue labbra sono grevi,i miei prodigi non le ravvivano.

Leva il tuo cielo di neve,via dalla mia anima –

i tuoi sogni di diamantemi tagliano le vene.

io sono Giuseppe e indosso una cintura dolcesulla mia pelle colorata.

sai bearti del fremito spauritodelle mie conchiglie.

Ma il tuo cuore non lascia più entrare mare.oh, tu!

127

Verinnerlicht

Meinem Doktor Benn

ich denke immer ans sterben,Mich hat niemand lieb.

ich wollt ich wär still Heiligenbildund alles in mir ausgelöscht.

Träumerisch färbte abendrotMeine augen wund verweint.

Weiß nicht wo ich hin sollWie überall zu dir.

Bist meine heimliche Heimatund will nichts Leiseres mehr.

Wie blühte ich gern süß emporan deinem Herzen himmelblau –

Lauter weiche WegeLegte ich um dein pochendes Haus.

128

dentro di me

Al mio dottor Benn

Penso sempre alla morte,nessuno mi vuole bene.

Vorrei essere una muta icona sacra,tutto spento dentro di me.

di sogno tingerebbe il rosso della serai miei occhi feriti di pianto.

non so dove andaredappertutto sempre da te.

sei la mia più intima patria,nulla voglio di più tenue.

Come vorrei dolce fiorirevicina al tuo cuore azzurrocielo –

solo morbidi sentierispianerei intorno ai battiti della sua dimora.

129

o ich möcht aus der Welt!

Meinem Doktor Benn

dann weinst du um mich.Blutbuchen schürenMeine Träume kriegerisch.

durch finster GestrüppMuß ichund Gräben und Wasser.

immer schlägt wilde Wellean mein Herz,innerer Feind.

o ich möchte aus der Welt!aber auch fern von ihrirr ich ein Flackerlicht

um Gottes Grab.

130

oh, vorrei abbandonare il mondo!

Al mio dottor Benn

Così piangerai per me.Faggi di sangue accendonoi miei sogni di guerra.

attraverso sterpi scuredevo farmi stradatra fossati e acque.

sempre un’onda sbatte con furiacontro il mio cuore,nemico interiore.

oh, vorrei abbandonare il mondo!Ma pure lontano dal mondoerro, luce tremula

intorno alla tomba di dio.

131

Hans Adalbert von Maltzahn

der Freiherr mußte Vizemalik seinin meiner bunten Thebenstadt

als ich nach russland zog,Prinz sascha zu befrein.

A Hans Adalbert von Maltzahn

il barone dovè fare le veci del Maliknella mia colorata città di Tebe,

quando partii alla volta della russia,a liberare il principe sascha.

an Hans adalbert

Wenn du sprichst,Blühen deine Worte auf in meinem Herzen.

Über deine hellen Haareschweben meine Gedanken schwarzhin.

du bist ganz aus süderde und Weihrauchund stern und Taumel.

ich bin aber lange gestorben,o, du meine Himmelsstätte...

134

a Hans adalbert

Quando parli,sbocciano le tue parole nel mio cuore.

sulla tua chioma chiaravagano i miei pensieri, fin dove tutto è nero.

sei fatto di incenso terra meridione,di stella e di vertigine.

io però sono morta da tempo,oh, mia dimora celeste...

135

dem Herzog von Leipzig

deine augen sind gestorben;du warst so lange auf dem Meer.

aber auch ich binohne strand.

Meine stirne ist aus Muschel.Tang und seestern hängen an mir.

einmal möchte ich mit meiner ziellosen HandÜber dein Gesicht fassen

oder eine eidechse über deine LippenLiebentlang mich kräuseln.

Weihrauch strömt aus deiner Haut,und ich will dich feiern

dir bringen meine Gärten,Überall blüht mein Herz bunt auf.

136

al duca di Lipsia

i tuoi occhi sono morti;fosti per mare così a lungo.

anche io però sonosenza spiaggia.

La mia fronte è di conchiglia.ricadono da me alghe e stelle di mare.

Vorrei una volta sfiorarti il visocon la mia mano senza meta,

o torcermi sopra le tue labbracome una lucertola, per ore, ore e ore d’amore.

sgorga incenso dalla tua pelle,e io voglio farti festa,

donarti i miei giardini,sboccia dappertutto il mio cuore colorato.

137

aber deine Brauen sind unwetter...

in der nacht schweb ich ruhlos am Himmelund werde nicht dunkel vorm schlaf.

um mein Herz schwirren Träumeund wollen süßigkeit.

ich habe lauter zacken an dem rande;nur du trinkst Gold unversehrt.

ich bin ein sternin der blauen Wolke deines angesichts.

Wenn mein Glanz in deinem auge spielt,sind wir eine Welt.

und würden entschlummern verzückt –aber deine Brauen sind unwetter.

138

Ma le tue sopracciglia sono intemperie...

nottetempo vago senza requie per il cieloe non divento buia dal sonno.

ronzano sogni intorno al mio cuoree reclamano dolcezza.

i miei bordi sono tutti sbrecciati;solo tu ne bevi oro, e resti illeso.

sono una stellanella nube azzurra del tuo viso.

Quando la mia luce gioca nei tuoi occhi,tu e io siamo un mondo.

e ci ridesteremmo in un incanto –ma le tue sopracciglia sono intemperie.

139

du machst mich traurig – hör

Bin so müde.alle nächte trag ich auf dem rücken

auch deine nacht,die du so schwer umträumst.

Hast du mich lieb?

ich blies dir arge Wolken von der stirnund tat ihr blau.

Was tust mir in meiner Todesstunde?

140

Tu mi rattristi – ascolta

sono così stanca.Tutte le notti mi porto sulle spalle,

compresa la tua notte,che ravvolgi in sogni così grevi.

Mi vuoi bene?

nubi arcigne ho soffiato via dalla tua frontee l’ho resa azzurra.

Cosa farai tu per me nell’ora della morte?

141

Mein Lied

Meinem gefallenen, lieben Krieger Georg Trakl

schlafend fällt das nächtliche Laubo, du stiller dunkelster Wald....

Kommt das Licht mit dem HimmelWie soll ich wach werden?Überall wo ich geherauscht ein dunkler Wald;

und bin doch dein spielender Herzschelm, erde,denn mein Herz murmelt das LiedMoosalter Bäche der Wälder.

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il mio canto

al mio caro guerriero caduto Georg Trakl

Cadono nel sonno le foglie della notteoh, tu selva quieta e così scura...

Giunge la luce con il cielo,riuscirò a risvegliarmi?ovunque mi volgaè il fruscio di una selva scura;

ma io sono lo spirito birbante del tuo cuore, terra,ché il mio cuore mormora il cantodi ruscelli antichi come muschio.

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Georg Trakl

Georg Trakl erlag im Krieg von eigener Hand gefällt.so einsam war es in der Welt. ich hatt ihn lieb.

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Georg Trakl

Georg Trakl è caduto in guerra, colpito dalla sua stessa mano.Tanta solitudine era al mondo. io gli volevo bene.

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Georg Trakl †

seine augen standen ganz fern –er war als Knabe einmal schon im Himmel.

darum kamen seine Worte hervorauf blauen und weissen Wolken.

Wir stritten über religion;aber immer waren wir zwei spielgefährte;

und bereiteten Gott von Mund zu Mund;im anfang war das Wort!

des dichters Herz, eine feste Burg.seine Gedichte, singende Thesen.

er war wohl Martin Luther.

seine dreifaltige seele trug er in der Hand,als er in den „heiligen Krieg“ zog.

dann wußte ich, er war gestorben –

sein schatten weilte unbegreiflichauf dem abend seines zimmers.

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Georg Trakl †

i suoi occhi erano lontani lontani –da fanciullo era stato già in cielo.

Perciò le sue parole spuntavanoda nuvole azzurre e bianche.

Litigavamo sulla religione;ma sempre eravamo compagni di gioco;

e annunciavamo dio di bocca in bocca;nel principio era la parola!

il cuore del poeta: una inespugnabile fortezza.Le sue poesie: tesi in forma di canto.

egli era appunto Martin Lutero.

La sua anima dalle tre pieghe, l’aveva in manoquando partì per la “guerra santa”.

Poi seppi che era morto –

La sua ombra indugiò imprendibilesopra la sera della sua stanza.

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als der blaue ritter war gefallen...

Griffen unsere Hände sich wie ringe, –Küßten uns wie Brüder auf den Mund.

Harfen wurden unsere augen,als sie weinten: Himmlisches Konzert.

nun sind unsere Herzen Waisenengel.seine tiefgekränkte Gottheitist erloschen in dem Bilde: Tierschicksale.

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Quando il cavaliere azzurro cadde in guerra...

si congiunsero le nostre mani come anelli –come fratelli ci baciammo sulla bocca.

arpe divennero i nostri occhi,allorché piansero: celeste concerto.

angeli orfani sono ora i nostri cuori.La sua divinità offesasi è spenta nel dipinto: destini di animale.

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Note

Paul Leppin (1878-1945), «re di Boemia», fu protagonista dellabohème praghese dei primissimi anni del Novecento. esponentedella minoranza di scrittori di lingua tedesca, fu promotore dellarivista letteraria «Frühling» [Primavera] che divenne principale or-gano di riferimento della nuova generazione di poeti. Daniel Jesusè il titolo di un suo poema in versi dato alle stampe in Germanianel 1905, cui else Lasker-Schüler dedicò un’omonima prosa. Inuna delle lettere da lei scritte all’amico durante la stesura di Malik,nel marzo 1914, si legge: «Mio caro, buon Daniel Jesus. ora ti hodipinto come volevo: un doppio ritratto. tu ed io – così: firmato ilre di Boemia e il suo più fedele camerata Jussuf Abigail Malik ditebe. Che ne dici? Lo so che esteriormente non è tanto ben riu-scito, tuttavia è distinto e superbo come sei tu [...]. tu sei la personaa me più cara, tanto è vero che sono Jussuf. [...] Sul numero spe-ciale dell’Aktion ho scritto che dimori con la tua consorte nel miopalazzo e che ho fatto approntare per voi un’alcova tutta d’oro.Spero che siate contenti!» (B 7, 22-23).

Senna Hoy è il soprannome attribuito da else Lasker-Schüler aJohannes Holzmann (1882-1914), poeta anarchico di origine ebraica,che fu fondatore della rivista d’avanguardia «Der Kampf» (1902-1905). (Altri soprannomi che ricorrono nei testi sono «principe Sa-scha» o «principe Beniamino», dal nome del più giovane figlio diGiacobbe, fratello del Giuseppe biblico). Nel 1907 Holzmann si recòin Russia dove fu arrestato per attività cospirative ai danni del regime

zarista e condannato a quindici anni di detenzione. Ammalatosi ditubercolosi, morì in carcere prima di avere scontato l’intera pena edopo che alcuni amici (fra cui la stessa Lasker-Schüler) tentarono in-vano di intercedere in suo favore, per garantirgli cure adeguate.

In ristampe successive, Lasker-Schüler antepose ai versi dedi-cati all’amico il seguente testo introduttivo: «Senna Hoy si recò inRussia dieci anni fa. All’epoca aveva vent’anni. Durante la rivolu-zione fu catturato in un parco, senza alcun motivo, secondo il modoin cui simili arresti avvenivano per arbitrio della Polizia. All’udienzai testimoni indicati da Senna Hoy non furono ammessi ed egli futrasferito dal Municipio nella fortezza di Varsavia. Ma ben prestofu condotto nella terribile prigione (Katorga) di Mosca dove, poi-ché denunciava i maltrattamenti dei compagni detenuti, fu luistesso torturato quasi a morte. Con l’aiuto del medico personaledello zar, si riuscì a portare Senna Hoy, dopo che ebbe scontatosette anni nel carcere di Mosca e tentato due volte di togliersi lavita, nel reparto detenuti dell’ospedale di Metscherkoje, distantecinque ore dalla piana di Mosca, dove egli, il giovane più bello efiorente mai partito per lottare per la liberazione dell’umanità ves-sata, finì per soccombere fra prigionieri folli e malati mortalmente.“Un generale veramente santo” affermò lo stesso direttore dell’Isti-tuto”» (Senna Hoy †, P 3, 411).

Molte lettere dell’epistolario di else Lasker-Schüler documen-tano il suo coinvolgimento nella triste vicenda dell’amico, la cuisalma fu poi trasportata dalla Russia e deposta nel cimitero ebraicodi Weissensee, a Berlino. «era un faraone – si legge in una letteraa Karl Kraus – e un faraone hanno tenuto sepolto vivo, finché nonè morto davvero. era un fanciullo, un Karl von Moor, un piccolobambino, un vento tempestoso, un deserto, un giardino di palme eun monumento. era un re e doveva comandare, ma non trovò unesercito par suo che rimanesse fedele al suo fianco. Un baronesanto, che andò incontro alla morte per la sua causa, per il suo san-gue e per l’umanità vessata. [...] un Gesù condotto a morire unaseconda volta» (B 7, 39).

Hans ehrenbaum-Degele (1889-1915), poeta ebreo-tedesco,meno noto di altri autori della sua generazione, morì al fronte du-

Note

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rante la prima guerra mondiale. Pubblicò alcune liriche sulla rivista«Der Sturm», diretta da Herwarth Walden e fu saltuariamente im-pegnato nelle attività del Cabaret Gnu diretto da Kurt Hiller. Nel1915 René Schickele, editore della rivista «Die weißen Blätter»diede notizia della morte del giovane poeta, pregando else Lasker-Schüler di comporre alcuni versi in sua memoria. «egli amava lemie poesie e io gli tributo un ultimo atto d’amore, cantandolo – luiche era così garbato, così buono e affettuoso con me» (B 7, 95).

Gottfried Benn (1886-1956), poeta fra i maggiori dell’avan-guardia berlinese, divise sin dall’inizio la sua attività fra la lettera-tura e la professione medica. Il primo volume di poesie Morgue(1912) fu occasione di scandalo sin dal titolo e insieme alla raccoltadi prose Gehirne (Cervelli, 1916) gli valse fra i critici l’appellativodi «medi-cinico».

Benn dedicò a else Lasker-Schüler il suo secondo volume diversi Söhne [Figli, 1913]: «Saluto else Lasker-Schüler. Manosenza meta, fatta di gioco e di sangue». A sua volta, Lasker-Schü-ler gli dedicò (oltre alle poesie qui raccolte) il volume di proseDer Prinz von Theben (1914): «Al / dottor Benn, al mio caro com-pagno di giochi Gisel / al re Giselheer, il nibelungo / dal suo prin-cipe Jussuf» insieme a una prosa-ritratto dal titolo Dottor Benn:«egli discende nella sala a volta del suo ospedale e incide cadavericol bisturi. Un uomo mai sazio di trarre arricchimento dai misteri.Per lui “un morto è un morto”. Credente, benché non abbia fede,ama gli edifici delle preghiere, altari immersi nel sogno, occhi chevengono da lontano. È un pagano di religione evangelica, un cri-stiano con la testa di un idolo, un naso da falco e un cuore di leo-pardo. Il suo cuore è di pelle maculata e tesa. [...] Inamovibilecome una roccia, non vacilla mai, porta sulle spalle il tetto di unintero mondo. Quando ho danzato una notte intera, non so doveandare: vorrei essere una talpa grigia di velluto, sollevare la suaascella e trovarvi ricovero. Sono una zanzara e svolazzo semprenei pressi del suo volto. Invece vorrei essere un’ape, così gli ron-zerei intorno all’ombelico. Sono stata sua lettrice molto prima difare la sua conoscenza; il suo libro di poesie – Morgue – lo tenevosempre sulla coperta: terrificanti miracoli dell’arte, fantasie di

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morte dotate di una loro forma [...] Gottfried Benn è il Koko-schka della poesia. ogni suo verso è un morso di leopardo, ilbalzo di una belva feroce. L’osso è lo stilo con cui risveglia la pa-rola» (P 3, 277).

Dopo l’ascesa al potere di Hitler, Benn si schierò dalla partedel regime nazista, salutando il nuovo «movimento rivoluziona-rio» con accenti di entusiasmo. Successivamente ebbe a ricredersi,ma non fece mai pubblicamente autocritica, preoccupandosi piut-tosto di legittimare la propria «doppia vita» nel senso di una dra-stica separazione fra la sfera dell’arte e quella della politica. Dopola fine della guerra, nel clima di generale restaurazione propriodella nascente Repubblica Federale tedesca, fu ben presto riabi-litato e nel 1951 insignito – primo vincitore – del prestigioso Pre-mio Büchner dalla neonata Akademie für Sprache und Dichtungdi Darmstadt.

Nello stesso contesto, il discorso pronunciato nel 1952 in onoredi else Lasker-Schüler, in occasione del settimo anniversario dellasua morte, appare un eloquente (e non isolato) esempio di rimo-zione: a dispetto del solco scavato dalla guerra e dall’esperienzadello sterminio, l’amica di un tempo, ovvero la sua poesia, vienecelebrata come esempio di una mirabile simbiosi dell’«elementoebraico» e di «quello tedesco», senza alcun cenno né alla dittaturané alla cruda realtà delle persecuzioni e dell’esilio.

Hans Adalbert von Maltzahn (1894-1934), discendente da unafamiglia dell’antica nobiltà militare, si dedicò principalmente all’at-tività del giornalismo. Arruolato nel ruolo di ufficiale nella primaguerra mondiale, fece ritorno dal fronte da convinto pacifista. Nelnecrologio a lui dedicato anni dopo, else Lasker-Schüler lo celebracome «straordinario amico degli ebrei», ma anche come presenzaimportante della sua vita: «era un amico capace di sacrifici e fu par-ticolarmente vicino a else Lasker-Schüler, impegnandosi per lei epromuovendola instancabilmente».

Georg trakl (1887-1914), isolata figura dell’avanguardia au-striaca, fu costretto a esercitare con scarsa voglia il mestiere del far-macista; non da ultimo a causa di difficili rapporti familiari (molti

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studiosi ipotizzano, com’è noto, un rapporto incestuoso con la so-rella), ebbe a soffrire di frequenti crisi depressive, sviluppando unrapporto di precoce dipendenza dalle droghe. Grazie all’amico eprotettore Ludwig von Ficker, poté pubblicare molti testi sulla ri-vista letteraria «Der Brenner» ed entrare in contatto con alcuneeminenti personalità della vita culturale viennese di quegli anni, fracui Karl Kraus, Adolf Loos e oskar Kokoschka. All’amica Lasker-Schüler dedicò la lirica Abendland, «in segno di deferenza». Conlo scoppio della prima guerra mondiale, fu chiamato al fronte chegli riservò non poche esperienze traumatiche: dopo un primo ten-tativo di suicidio, fu trasferito presso l’ospedale di Cracovia, dovesi procurò la morte con un’overdose di cocaina.

Franz Marc (1880-1916), pittore dell’avanguardia monacense,fu fondatore insieme a Vassilij Kandinskij dell’almanacco Der blaueReiter [Il cavaliere azzurro] concepito come rinnovamento formaledell’arte e «nascita di un nuovo modo di pensare» la realtà. Allespalle del progetto, che condusse alla realizzazione della prima mo-stra a Monaco nel 1911, ci sono le riflessioni teoriche di Kandinskijconfluite in Über das Geistige in der Kunst [Dello spirituale nel-l’arte, 1912], con la sua fondamentale definizione del «suono inte-riore» di forme e colori. Anche la ricerca figurativa di Marc sicaratterizza di conseguenza per un uso antinaturalistico del coloree per un impiego prevalente dell’azzurro. È a partire da questa co-mune sensibilità che prende forma la corrispondenza epistolare conelse Lasker-Schüler in chiave di dialogo fra immagini e parole: lecosiddette Lettere al cavaliere azzurro. Qui il mondo creaturale diMarc entra in una feconda relazione con l’esotismo orientale del-l’amica poetessa e pittrice: i destini di animale, che sono al centrodella sua ricerca figurativa, si rivelano, strada facendo, intrinseca-mente congeniali alla costruzione dello spazio simbolico della cittàdi tebe.

Arruolatosi volontario nella prima guerra mondiale, Marc morìal fronte nei pressi di Verdun, colpito da due colpi di granata. elseLasker-Schüler gli rese omaggio con una prosa in cui ne trasfigurail profilo: «Il cavaliere azzurro è morto in guerra, un Grande dellaBibbia da cui si effondeva il profumo dell’eden. Gettava un’ombra

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azzurra sul paesaggio. era colui che ancora sentiva parlare gli ani-mali; e trasfigurava le loro anime incomprese. Sempre, dal frontedi guerra, il cavaliere azzurro mi ricordava che non basta esserebuoni con gli esseri animali: quel che fai ai cavalli, costretti a soffrireindicibilmente sul campo di battaglia, lo fai a me.

egli è approdato sulla spiaggia rossa, grandi angeli portano aDio il suo enorme corpo, e Dio custodisce la sua anima azzurra,bandiera sfolgorante, nella sua mano. Penso a una storia del tal-mud che mi ha raccontato un prete: di quando Dio era con gli uo-mini dinanzi al tempio distrutto e piangeva, ché ovunque ilcavaliere azzurro andasse, donava cielo. tanti uccelli volano attra-verso la notte, sanno ancora giocare al vento e al respiro, ma noiquaggiù non ne sappiamo più nulla, sappiamo solo litigare o evi-tarci a vicenda con indifferenza. In questo disincanto si leva minac-ciosa una smisurata macina che frulla sangue, e noi popoli tuttisaremo presto maciullati. Continuiamo a calcare questa terra checi aspetta. Il cavaliere azzurro è giunto alla meta; era troppo giovaneper morire.

Mai ho visto un pittore dipingere con tanta delicatezza, contanta devota serietà. Bue Limone e Bufalo Fuoco chiamava i suoianimali, e sulla sua tempia spuntava una stella. Ma anche gli animaliferoci cominciarono a mutarsi in vegetali nella sua mano tropicale.Le tigri le faceva diventare per incantesimo anemoni, ai leopardiattribuiva il gioiello delle violacciocche; parlava di puro colpo mor-tale quando, in un suo quadro, la pantera assaliva la gazzella sullarupe. Il suo sentimento era quello dei padri ai tempi della Bibbia,un Giacobbe superbo, lui, il principe di Canaan. Si gettava allespalle il folto della foresta; specchiava il suo bel viso nella fonte espesso, quando era stanco, attraverso i campi portava a casa il suocuore prodigioso avvolto in pelle di lana come un piccolo fanciulloaddormentato.

“Salutami la tua cara moglie, cavaliere azzurro, il tuo garzone,la tua donzella, il tuo asino nella stalla, i tuoi cervi e i tuoi cerbiattial pascolo e non dimenticare, mio dolce semifratello, il russel, il tuofedele cane”.

Il tutto risale a prima della guerra». (A Franz Marc – P 3, 411-412).

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fonti dei testi originali

[an Paul leppin] (g 198)ich frage nicht mehr (g 109)du es ist nacht – (g 112)

[an senna Hoy] (g 2, 28)Ballade (g 199)senna Hoy (g 178-179)siehst du mich – (g 114-115)Mein liebeslied (g 119)ein liebeslied (g 115)ein lied der liebe (g 124-125)ein trauerlied (g 118)sascha (g 171)ich träume so leise von dir – – – (g 111)an den Prinzen Benjamin (g 175)

[an Hans ehrenbaum-degele] (g 2, 29)Hans ehrenbaum-degele (g 180)als ich tristan kennen lernte – (g 142)an den gralprinzen (g 138)an den Prinzen tristan (g 138)an den ritter aus gold (g 140)an den ritter (g 139)an tristan (g 139)

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[an gottfried Benn] (g 200)o, deine Hände (g 143) giselheer dem Heiden (g 149)giselheer dem Knaben (g 150)giselheer dem König (g 150) lauter diamant... (g 173)das lied des spielprinzen (g 152)Hinter Bäumen berg’ ich mich (g 151)giselheer dem tiger (g 145)Klein sterbelied (g 171)o gott (g 172)Höre! (g 172)dem Barbaren (g 133)dem Barbaren (g 134)Verinnerlicht (g 179)o ich möcht aus der Welt! (g 190)

[an Hans adalbert von Maltzahn] (g 177)an Hans adalbert (g 176)dem Herzog von leipzig (g 177)aber deine Brauen sind Unwetter... (g 177) du machst mich traurig – hör (g 204)

Mein lied (g 108)georg trakl (g 198)georg trakl † (g 180-181)

als der blaue reiter war gefallen... (g 192)

fonti dei testi originali

finito di stampare nel mese di settembre 2011

dalla tipografia Morconia Print s.p.a., Morcone (Bn)