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Ferrero Provera Tonon 2004 Volume I 1

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ELENA FERRERO, ANGELA PROVERA✝

& MARCO TONON

Università di TorinoDipartimento di Scienze della Terra

Le Scienze della Terra:

fondamenti ed esperienze pratiche

edizioni

libreria cortina

torino

Libreria Cortina s.r.l. TORINO Corso Marconi, 34/ALibreria Cortina s.p.a. MILANO Largo Richini, 1

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base di documenti bibliografici per i quali l’Editore, in mancanza di infor-

mazioni a riguardo, è disponibile a regolarizzare eventuali diritti.

Indice

pag.

Introduzione 7I laboratori didattici delle Scienze della Terra 8 1. Il laboratorio sulle rocce 11

1.1 Attività pratiche 111.1.1. Le rocce: analisi sulle concezioni spontanee 111.1.2. I racconti di rocce 141.1.3. Le rocce: approccio sensoriale e approccio scientifico 15

❑ Analisi basata sulla percezione sensoriale 16❑ Descrizione analitica 17❑ Discussione dei risultati ottenuti e loro utilizzo 17

1.2. Le rocce: riflessioni didattiche 18❑ Domande funzionali 18❑ Ostacoli concettuali coinvolti 19❑ Attività didattiche 19❑ Aspetti disciplinari 20

1.3. Le rocce nei manufatti 211.4. Le rocce: i fondamenti 22

1.4.1. I minerali 221.4.2. La classificazione 221.4.3. Il ciclo litogenetico 27

Il caso del diamante e della grafite 281.5. Le rocce: imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 301.6. Bibliografia tematica 30

2. Il laboratorio sui fossili 332.1. Attività pratiche 33

2.1.1. I fossili: analisi sulle concezioni spontanee 33 2.1.2. I fossili: approccio sensoriale e approccio scientifico 36

❑ Analisi libera interpretativa 36❑ Descrizione analitica guidata 37

2.1.3. L’osservazione dei microfossili 382.1.4. I fossili e il tempo geologico 39

2.2. I fossili: riflessioni didattiche 42❑ Domande funzionali 42❑ Ostacoli concettuali coinvolti 42❑ Attività didattiche 42❑ Aspetti disciplinari 44

2.3. I fossili: problemi legati alla loro interpretazione 452.4. I fossili: i fondamenti 46

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2.4.1. I processi di fossilizzazione 462.4.2. Fossili straordinari 492.4.3. Utilizzo dei fossili 492.4.4. I fossili nella storia della Terra 502.4.5. L’evoluzione dell’uomo 512.4.6. Cenni storici su alcune teorie che spiegano la comparsa

e l’estinzione della specie 532.5. Le risorse naturali: i combustibili fossili 542.6. I fossili: imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 562.7. Bibliografia tematica 57

3. La struttura interna della Terra 593.1. Inquadramento generale 59

3.1.1. Il contesto astronomico: la Terra nel Sistema solare 593.1.2. Il contesto storico: interno, forma e dimensioni della Terra 59

3.2. La struttura interna della Terra: i fondamenti disciplinari 603.3. Relazioni disciplinari 653.4. Imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 66 3.5. Bibliografia tematica 66

4. Le teorie mobiliste 674.1. Inquadramento generale 67

4.1.1. Il contesto storico: le teorie fissiste 674.2. La deriva dei continenti 67

4.2.1. Le prime ipotesi 674.2.2. La deriva dei continenti secondo Taylor 684.2.3. ... e secondo Wegener 684.2.4. Nuovi importanti contributi 70

4.3. La tettonica delle placche 714.3.1. La stesura di Hess e il paleomagnetismo 714.3.2. Le placche litosferiche 71

4.4. Differenze tra deriva dei continenti e tettonica delle placche 754.5. Critiche alla teoria della tettonica delle placche 76

4.5.1. Riconoscimento di situazioni problematiche 764.5.2. Proposta di una teoria alternativa 764.5.3. Prove a favore della teoria di Carey 76

4.6. Relazioni disciplinari 774.7. Imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 774.8. Bibliografia tematica 77

5. Il vulcanismo 795.1. Inquadramento generale 79

5.1.1. Il vulcanismo nella storia della Terra 795.2. Il vulcanismo: i fondamenti disciplinari 805.3. Il rischio vulcanico 885.4. Alcune notizie il vulcanismo in Italia 88

5.4.1. Inquadramento geologico 885.4.2. Il rischio vulcanico in Italia 93

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5.5. Relazioni disciplinari 955.6. Imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 955.7. Bibliografia tematica 95

6. I terremoti 976.1. Inquadramento generale 976.2. I terremoti: i fondamenti disciplinari 976.3. Frequenza dei terremoti 1006.4. I terremoti e il rischio sismico 101

6.4.1. Componenti del rischio sismico 1016.4.2. Indizi premonitori di un terremoto 102

6.5. Relazioni disciplinari 1026.6. Imprecisioni riscontrabili sui libri di testo 1026.7. Bibliografia tematica 103

7. I rischi geologici 1057.1. Utilizzazione di un audiovisivo 1067.2. Riflessioni sui rischi geologici 107

7.2.1. Lavoro di gruppo sui rischi geologici 1077.2.2. Risultati del lavoro di gruppo sui rischi geologici 108

7.3. Racconti di eventi 1117.4. Bibliografia tematica 112

Allegati 113

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Introduzione

Nel corso degli ultimi anni (1998-2004) le attività inserite nei laboratori didattici delleScienze della Terra delle Università degli Studi di Torino e della Valle d’Aosta hannocoinvolto centinaia di partecipanti: studenti iscritti al Corso di laurea in Scienze dellaFormazione Primaria, specializzandi della Scuola Interateneo di Specializzazione perinsegnanti della scuola secondaria (SIS, classi A059 e A060), docenti impegnati nell’in-segnamento in scuole di ogni ordine e grado, allievi della scuola primaria e secondaria.Questi diversi impieghi hanno permesso di sviluppare e arricchire progressivamente lediverse attività didattiche, grazie anche ai suggerimenti proposti da coloro che erano staticoinvolti. La stesura di questo testo si è dunque resa necessaria per “tirare le fila” dellavoro già svolto, individuando e ordinando le diverse attività proposte e le relative pro-blematiche coinvolte. Lo scopo di questa raccolta è dunque quello di offrire a una vasta gamma di utenti la sin-tesi ordinata delle attività svolte, con la premessa che esse vengano utilizzate in modointerattivo, adeguandole alle proprie necessità, integrandole ed eventualmente arricchen-dole con la propria esperienza. Le attività proposte sono quanto più possibile pratiche esperimentali, sollecitano la percezione sensoriale, la manipolazione, l’inventiva degliallievi, pongono continue sfide proponendo problemi concreti e concettuali, richiedonomomenti di riflessione e confronto. I presupposti teorici di tutto il percorso si inquadra-no nel costruttivismo, che viene indicato come teoria pedagogica di riferimento.In questo volume sono illustrate alcune attività di laboratorio riproponibili in qualunquelocale scolastico, mentre un successivo volume sarà dedicato alle attività pratiche dasvolgere fuori della scuola, nel contesto di un’escursione didattica sul terreno. In questasede è sembrato utile richiamare sinteticamente le informazioni di base inerenti alcunitemi delle Scienze della Terra che fanno parte del programma della scuola primaria esecondaria e la cui conoscenza rappresenta il supporto fondamentale per lo svolgimentodelle attività didattiche proposte. Questo testo tuttavia non vuole essere un manuale diScienze della Terra; ogni ulteriore approfondimento è rimandato alla consultazione per-sonale di manuali di scuola secondaria superiore, di articoli divulgativi o di testi specia-listici, quali quelli citati nelle bibliografie tematiche che completano ogni capitolo.I destinatari di questo testo sono molteplici, in primo luogo gli insegnanti della scuoladell’obbligo primaria e secondaria, gli studenti del Corso di laurea in Scienze dellaFormazione Primaria, gli specializzandi della SIS, ma anche gli educatori e accom-pagnatori che operano nei centri didattici dei musei naturalistici e dei parchi e riser-ve naturali.

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I LABORATORI DIDATTICI DELLE SCIENZE DELLA TERRA

Le attività di laboratorio sono nate con l’obiettivo di favorire un approccio pratico edesperienziale ad alcuni argomenti inerenti l'insegnamento delle Scienze della Terra, rea-lizzando attività formative che coinvolgano in modo attivo e partecipato docenti di ruoloe futuri insegnanti. Ad essi viene richiesto di porsi in una prospettiva il più possibile simi-le a quella dei propri allievi, di vivere in prima persona esperienze nuove, caratterizzatedal senso di curiosità e di scoperta, di sperimentare eventuali difficoltà (sia concettualiche pratiche) per sviluppare strategie atte al loro superamento. Il coinvolgimento in que-ste attività permette di acquisire strumenti concettuali e operativi che consentiranno disviluppare le esperienze pratiche qui presentate, adattandole e applicandole a qualunquecontesto scolastico. Lo svolgimento di tutti i laboratori si basa e si modella sull’individuazione delle rappre-sentazioni mentali dei partecipanti e delle loro eventuali preconcezioni e misconcezioni(Fig. 1), su discussioni di approfondimento inerenti i problemi cognitivi e sull’analisidegli ostacoli concettuali riguardanti i temi delle Scienze della Terra (Ferrero & Meirone,2003). Particolare attenzione è data ai lavori di gruppo e a tutto ciò che stimola la rifles-sione, al fine di favorire la condivisione delle attività, la socializzazione e il confronto trai singoli componenti del gruppo e tra i vari gruppi.

Figura 1Le rappresentazioni mentali sono costituite da concezioni accreditate dalla comunità

scientifica e da concezioni difformi. Queste ultime comprendono preconcezioni e miscon-

cezioni.

I percorsi sperimentali che vengono presentati, pur essendo tra loro molto eterogenei,hanno in comune vari elementi rilevanti (Ferrero, 2004):• sono accessibili a qualunque tipo di scuola e si basano su attività didattiche di faci-

le realizzazione e di basso costo;• stimolano negli allievi la curiosità e il gusto della scoperta, ma nello stesso tempo

non sono ripetitivi neppure per l’insegnante che li propone, poiché mettono in giocola sua intraprendenza e il suo gusto per la novità. Sono percorsi sempre nuovi nelloro sviluppo e possono realizzarsi nei luoghi più disparati, ma richiedono adattabi-lità di programmazione procedurale e logistica;

• sono meno semplici di quanto non appaia a prima vista, possono richiedere tempo eimpegno rilevante da parte di chi conduce le esperienze, rappresentano un’offertaformativa varia e complessa, permettono una gran varietà di collegamenti e di con-nessioni a rete, sono sempre molto ricchi di potenzialità di approfondimento;

• sono coinvolgenti se vengono ben calibrati a seconda dell’età degli allievi e dei loroprecedenti percorsi di apprendimento, piacciono anche agli allievi meno motivatiallo studio o con difficoltà di apprendimento, possono infine divertire, dando luogoa vere e proprie attività ludiche.

Le esperienze proposte si basano sul principio per cui ogni tappa del percorso propostoviene vissuta sperimentalmente dalle figure professionali interessate (insegnanti, educa-tori, accompagnatori naturalistici, guardiaparco) e solo in un secondo momento si passaalla sperimentazione nelle classi, dopo che gli adulti hanno acquisito in prima personacoscienza e consapevolezza delle piccole e grandi difficoltà incontrate, delle gioie e sod-disfazioni che l’esperienza ha loro offerto.Le attività di laboratorio possono essere svolte utilizzando campioni (Baroncelli & Gallo,1999) e dati raccolti nel corso delle escursioni didattiche. Infatti un’appropriata gestionedi questo materiale consente di chiarire e rispondere agli interrogativi scaturiti dalle atti-vità sul terreno, di trovare soluzioni a problemi rimasti provvisoriamente senza risposta,e nello stesso tempo fa sorgere anche nuovi stimoli per affrontare problemi e quesiti piùvasti e complessi. La fruizione del materiale raccolto in campo diventa una testimonian-za e una rievocazione tangibile dell’attività precedente, un’occasione per inserire i cam-pioni raccolti nel giusto contesto ambientale da cui provengono e per iniziare una esplo-razione e una ricerca a rete, ovvero un processo di insegnamento / apprendimento conpercorso spirale (Ferrero & Tonon, 2002; Tonon & Ferrero, 2001). Partendo dall’osservazione del proprio ambiente quotidiano, si riscoprono le “Risorsedella Terra” con tutta la loro varietà, le loro caratteristiche, talvolta assai curiose, e si sco-pre che quanto a prima vista appare così banale da non essere neppure notato, può diven-tare interessante e persino divertente. Emergono quesiti e risposte che sembravano diesclusiva pertinenza di noiosi libri di testo o di suggestive opere di divulgazione edito-riale o audiovisiva. Il lontano diventa vicino, non solo fisicamente nello spazio, ma ancheintellettualmente e soprattutto nella percezione sensoriale e nella dimensione affettiva(Ferrero, 2004).

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1. Il laboratorio sulle rocce

I laboratori didattici nascono con l’obiettivo di riuscire a riconoscere nella realtà quoti-diana alcuni temi delle Scienze della Terra, rendendoli così più accessibili. In quest’otti-ca la percezione, anche come risorsa, delle presenza delle rocce diventa un punto di par-tenza ottimale per individuare alcuni degli ostacoli concettuali connessi a quest’ambitoscientifico e per sviluppare strategie atte al loro superamento.

1.1. LE ROCCE: ATTIVITÀ PRATICHE

1.1.1. Le rocce: indagine sulle concezioni spontaneeAttraverso la proposta di due quesiti preliminari, si procede all’indagine su preconcezio-ni e misconcezioni dei partecipanti al laboratorio:

1) Che cos’è una roccia?

2) Dove è possibile vedere delle rocce?

In Figura 2 sono riassunti i risultati ottenuti analizzando le risposte di coloro che hannosvolto quest’attività: le frecce più spesse indicano le risposte più frequenti.

Figura 2Distribuzione delle risposte ricorrenti degli studenti ai quesiti: Che cos’è una roccia? eDove è possibile vedere delle rocce?

1) Relativamente al primo quesito, si può notare come la rappresentazione mentale piùcomune della roccia sia quella di un “oggetto solido, duro, di grandi dimensioni”. Taleimmagine rievoca i blocchi rocciosi comuni nelle zone montuose, che vengono peral-tro indicate come le aree tipiche, se non addirittura esclusive, per l’osservazione dellerocce. Questa visione si dimostra alquanto parziale poiché esclude tutte le rocce tene-re (marne, …), quelle composte da mineraloidi (carbone, ambra, petrolio), quelleincoerenti (ghiaia, sabbia, argilla, …). Un’altra rappresentazione diffusa è quella chevede le rocce come “oggetti di natura inorganica”. Nel linguaggio comune il termineinorganico viene spesso usato come sinonimo di non vivente (e per analogia l’agget-tivo organico allude a vivente), appartenente cioè ad una realtà completamente estra-nea a quella relativa ad ogni organismo unicellulare o pluricellulare. Tuttavia ilmondo delle rocce e quello dei viventi non sono così contrapposti in quanto esistonorocce (es. calcari fossiliferi) formate completamente o parzialmente da resti inorgani-ci (conchiglie, gusci, carapaci, scheletri interni, …) prodotti da organismi viventi. Ildiscorso sul termine inorganico diventa più complesso se chi risponde si riferisce allachimica inorganica: in questa accezione l’affermazione è corretta, anche se porta adescludere il petrolio in quanto miscela di composti organici (idrocarburi). Le risposteevidenziano anche rappresentazioni difformi da quelle scientificamente accreditaterelative all’origine delle rocce che vengono immaginate “prevalentemente sedimen-tarie” (anche se esclusivamente terrigene) e subordinatamente “vulcaniche”, mentrel’esistenza delle diffusissime rocce metamorfiche non viene percepita. Allo stessomodo le rocce sono percepite soprattutto come oggetti vecchi e inalterabili, risposteche tradiscono la mancata percezione del ciclo litogenetico e, più semplicemente, deiprocessi di alterazione superficiale e di erosione.

2) Relativamente al secondo quesito, l’analisi delle risposte più comuni evidenzia comele rocce siano individuate prevalentemente nell’ambiente montano, subordinatamen-te in altri ambienti naturali (fiumi, fondali marini), mentre non sono mai riconosciu-te nelle città, nelle proprie abitazioni o nel luogo di lavoro. All’immagine della roc-cia è inoltre associata l’azione dello scavare se si tiene conto delle risposte che loca-lizzano le rocce nel sottosuolo. È infine interessante notare la distinzione che vienefatta per il deserto dove, “non essendoci nulla” o “essendo costituito di sabbia” nonpossono esserci delle rocce.

Le risposte ottenute possono essere studiate statisticamente attraverso il riconoscimento dialcuni parametri significativi. A questo riguardo è stata svolta una ricerca sul materiale ela-borato negli anni 1999-2001 dagli studenti del I anno del Corso di laurea in Scienze dellaFormazione Primaria e da insegnanti di scuola primaria in servizio, frequentanti un corsodi aggiornamento. Relativamente solo al primo quesito sono stati esaminati il punto di

vista e il grado di correttezza delle risposte. Nel primo caso (Fig. 3) sono state individua-te, all’interno delle visione geocentrica, le seguenti distinzioni: geocentrica generica, geo-centrica fisica per quelle risposte che sottolineano caratteristiche fisiche della roccia (dura,compatta, solida, pesante...), geocentrica mineralogica per quelle che evidenziano la com-ponente minerale delle rocce, geocentrica geomorfologica per quelle che identificano laroccia con una forma del paesaggio e infine biogeocentrica per chi integra le due prospet-tive (biocentrica e geocentrica). I risultati ottenuti indicano una netta prevalenza della

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visione geocentrica (97,1%) entro la quale la visione geocentrica mineralogica rappresen-ta il 50%.Relativamente al grado di correttez-

za delle risposte sono state distintequelle errate, quelle parziali e quellecomplete. I risultati ottenuti (Fig. 4)indicano una prevalenza delle rispo-ste parziali generiche (G: 52,9%) etra coloro che provano a distingueretipi diversi di rocce, prevalgono lerisposte che citano rocce sedimenta-rie (S: 16,7%), mentre solo il 3,9%allude alle rocce magmatiche (M); lerisposte errate (17,6%) sono piùcomuni di quelle complete (8,8%).Per entrambi i quesiti sono statisvolti degli studi statistici sul livel-

lo di formulazione ovvero sul gradodi complessità delle risposte che inqualche modo rispecchiano unacapacità più o meno sviluppata dimettere in relazione fenomeni eprocessi diversi. Sono stati individuati tre livelli:

• livello 1: risposta semplice in cui compare una sola caratteristica o un unico proces-so;

• livello 2: risposta comprendente una serie di caratteristiche e di processi tra loro con-nessi;

Figura 3Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’è una roccia? esaminate mettendo in evi-

denza il punto di vista dello studente.

Figura 4Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’èuna roccia? esaminate mettendo in evidenza il

grado di correttezza della formulazione. G = rispo-

sta generica; S = riferita solo a rocce sedimenta-

rie; M = riferita solo a rocce magmatiche.

• livello 3: risposta in cui sono presenti una o più correlazioni fra caratteristiche, pro-cessi e aspetti dinamici e temporali.

Analizzando i risultati è possibilenotare che prevale il livello 2,soprattutto per il primo quesito(63,7%) illustrato dalla figura 5,mentre nel secondo quesito (Fig. 6)la crescita del livello 1 (34,3%)denota la tendenza ad individuare lerocce in un unico luogo (soprattuttole aree montuose). In entrambi iquesiti la complessità delle relazio-ni è colta da una minima parte deglistudenti (meno del 13%).L’indagine sulle preconoscenzeconsente inoltre di individuare e diaffrontare problemi legati all’uso dialcuni termini che nel linguaggiocomune hanno un significato diffe-rente da quello assunto in ambitoscientifico: ad esempio il terminemarmo viene comunemente usato

per indicare qualunque superficie levigata e/o lucidata (e di conseguenza il marmista ècolui che ricava delle lastre di marmo), mentre il significato corretto è quello di rocciametamorfica derivata da rocce calcaree o dolomitiche. Allo stesso modo l’uso del termi-ne cristallo può indurre a pensare al vetro, mentre esso si riferisce a precise strutture geo-

metriche caratteristiche dello statosolido (cristallino). L’insegnantedovrà essere dunque consapevoledella possibile esistenza di questiequivoci per evitare di dare ulterio-re credito a misconcezioni già radi-cate nei propri allievi.

1.1.2. I racconti di rocceUna prima proposta didattica èdata dalla richiesta di elaborare unbreve racconto libero incentrato suun campione di roccia che vienescelto sulla base del gradimentoindividuale e dello stimolo offertodal campione stesso. In questa sedepossono essere utilizzate sia dellerocce trovate personalmente (ma-

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Figura 5Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’èuna roccia? esaminate mettendo in evidenza il

livello della complessità della formulazione.

Figura 6Distribuzione delle risposte al quesito Dove è possi-bile vedere delle rocce? esaminate mettendo in evi-

denza il livello di complessità della formulazione.

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gari durante un’escursione) sia quelle portate dal docente. Quest’attività è ricca di sug-gestioni ed è funzionale per allievi di qualunque età e, seppur condizionata nei suoirisultati dalle abilità espressive degli stessi, si rileva sempre interessante e fruttuosa(Ferrero, 2004). A titolo di esempio si propongono gli elaborati di due studentesse del I anno di Scienzedella Formazione Primaria che sono state colpite rispettivamente dalle lamine di micapresenti in un campione di gneiss e dal colore di una serpentinite.

Luce nella montagna

Un luccichio lontano, il sole batteva sulla parete della montagna e da essa si spri-

gionavano giochi di luce. La cordata decise di recarsi in quel luogo per vedere

meglio da dove provenissero quei bagliori, ma arrivati sul luogo videro una roccia

comune, un po’ ruvida, grigiastra.

Nessuno riusciva a spiegarsi come mai da lontano si vedeva, invece, luccicare. La

guida prese il piccone e colpì la roccia staccandone un pezzo e come per meraviglia

apparve una roccia nuova, diversa … al sole iniziò a brillare. Al suo interno, in alcu-

ni punti, la roccia prendeva i colori di una conchiglia di madreperla … chi lo pote-

va immaginare che dietro una roccia comune si nascondeva una simile bellezza!

(S.B.)

La roccia verde

Un giorno un bambino camminando lungo un fiume trova una bellissima roccia

verde e decide di portarsela a casa. Una volta a casa il bambino nota che la roccia

comincia a perdere il suo colore verde. Ogni giorno il colore diminuisce e allora il

bambino decide di riportarla nel luogo in cui l’ha trovata. Una volta rimessa al suo

posto, la roccia riacquista il proprio colore. Il bambino decide di lasciare lì la roc-

cia (nel suo ambiente naturale). (N.C.)

Il racconto può essere sostituito dall’elaborazione di un disegno, soprattutto se si lavoracon bambini piccoli. Entrambe le tecniche costituiscono un ulteriore metodo d’indagineper individuare le preconcezioni e le misconcezioni degli allievi sulle quali è possibileprogettare e svolgere una serie di attività che abbiano come riferimento proprio le con-cezioni precedentemente individuate.

1.1.3. Le rocce: approccio sensoriale e approccio scientificoLe attività di manipolazione descritte non hanno come obiettivo principale la classifi-cazione delle rocce da un punto di vista scientifico, ma si propongono di individuarealcune caratteristiche macroscopiche che permettano il loro riconoscimento nell’ambi-to quotidiano e ne giustifichino il loro diverso utilizzo (Ferrero et al., 2003; Tonon et

al., 2004).L’osservazione delle rocce può avvenire utilizzando due differenti tecniche che si com-pletano l’una con l’altra: l’approccio sensoriale e quello analitico.

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� ANALISI BASATA SULLA PERCEZIONE SENSORIALEL’uso dei sensi consente di rilevare alcune delle caratteristiche macroscopiche attraversole quali le rocce vengono riconosciute e classificate.

• Vista: colore/lucentezza/opacità/forma/struttura …• Olfatto: odore.• Tatto: liscio/ruvido/coerente/incoerente/caldo/freddo/pesante/leggero …• Udito: suono che produce.• Gusto: percezione del sapore.

Tutte le informazioni ottenute possono essere raccolte e organizzate in modo analitico(Allegato 1). L’analisi basata sulla percezione sensoriale viene svolta su 4 campioni diroccia (es. granito, gneiss, arenaria e talcoscisto) con l’ausilio di una scheda preparata(Allegato 2). Questa attività consente di apprezzare direttamente le caratteristiche fisichedei campioni, concentrandosi sull’uso dei singoli sensi per evidenziarne le peculiarità. Inquesto modo si ottiene una percezione diretta delle proprietà di ogni campione e diventapossibile raggruppare in categorie informali rocce con caratteristiche simili.Lo svolgimento di quest’attività con studenti del I anno del Corso di laurea in Scienze dellaFormazione Primaria dimostra che alcuni sensi vengono usati molto più degli altri (Fig. 7):

Figura 7Distribuzione delle caratteristiche che vengono rilevate esaminando le rocce con un

approccio sensoriale. Spesso con la vista e il tatto sono state rilevate più caratteristiche.

In tutte le risposte emerge una componente descrittiva (100%), meno frequente una com-

ponente interpretativa (23%), raramente una componente emotiva (2%).

prevale nettamente l’uso della vista (percezione di colori, lucentezza, …) e del tatto (per-cezione del ruvido, del liscio, …); l’olfatto viene sollecitato solo se la roccia emana unodore strano o sgradevole (“odore di terra”, di zolfo, …) mentre la percezione del suonoprodotto (che, ad esempio, può indicare presenza di cavità → informazioni sulla densitào sulla porosità) e soprattutto del sapore (che, ad esempio, può indicare la presenza diargilla → informazioni sulla composizione) sono estremamente trascurati. In particolare“assaggiare” una roccia può suscitare un senso di repulsione soprattutto negli adulti,atteggiamento che è meno sviluppato nei bambini i quali manifestano ancora una certapropensione istintiva a conoscere gli oggetti anche attraverso l’uso di questo senso(Ferrero et al., 2003).La descrizione basata su un approccio sensoriale delle rocce costituisce un utile eserci-zio per affinare la sensibilità e la manualità verso gli "oggetti" che si stanno studiando;essa rappresenta inoltre uno strumento estremamente utile per l'analisi e il riconosci-mento delle rocce, in quanto può essere utilizzata come supporto cognitivo per un'anali-si "più scientifica" dei campioni.

� DESCRIZIONE ANALITICASugli stessi campioni viene svolta una descrizione analitica (porosità, reazione con HCl,caratteristiche dei componenti, struttura) con l’ausilio di una scheda strutturata (Allegato 3).Analisi comparata di alcuni campioni (es. granito/riolite/ossidiana; carniola/pomice) conl’ausilio di schede preparate per evidenziare le somiglianze e le differenze riguardanti lecaratteristiche fisico-chimiche tra i diversi campioni (Allegati 4, 5).

� DISCUSSIONE DEI RISULTATI OTTENUTI E LORO UTILIZZOLa percezione visiva e l’osservazione analitica pongono in evidenza colori, forme, strut-ture, singoli costituenti di una roccia (granuli, cristalli, resti fossili), ma il contatto tattileserve anche ad associare ai campioni le sensazioni e le reazioni emotive provate, quali adesempio il piacere generato dalla percezione del liscio o del ruvido o la repulsione per laroccia “fredda”, polverosa, scivolosa o “puzzolente”.La raccolta dei campioni da utilizzare in queste attività può essere fatta durante un’e-scursione, consentendo in questo modo di contestualizzarli nell’ambiente di provenien-za. Sotto questo aspetto l’attività sul terreno fornisce l’opportunità di avere un primo rap-porto esperienziale con il materiale con cui in seguito si opera. La roccia viene visualiz-zata nelle sue condizioni di affioramento e non viene percepita solo come un oggetto dilaboratorio, estraneo all’ambiente naturale. Sul piano cognitivo queste esperienze offro-no numerose potenzialità di sviluppo, come la possibilità di verificare l’inadeguatezza dialcune concezioni spontanee (le rocce sono dure e pesanti; le rocce sono oggetti immu-tabili; …). Si può infatti constatare che gli elementi costituenti la roccia presentano unadiversa resistenza all’alterazione da parte degli agenti atmosferici, che alcune rocce con-tengono elementi solubili in acqua o facilmente ossidabili all’aria e di conseguenza sipresentano fortemente alterate, levigate in superficie, oppure tenere e facilmente sgreto-labili. Molte rocce sono “leggere” ed alcune galleggiano, perché contengono cavità inter-ne, anche non percepibili macroscopicamente.Questo tipo di lavoro può essere svolto su qualunque tipo di campione, ma può diventareestremamente stimolante se applicato a rocce che, pur avendo una composizione chimica

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simile (es: granito, riolite, ossidiana) sembrano esternamente molto diverse o viceversa conrocce che apparentemente sono simili (es. pomice e carniola) ma hanno invece una genesie una composizione completamente diverse (come si desume dallo svolgimento delle provesperimentali). Questi esperimenti consentono di verificare direttamente come la composi-zione chimica delle rocce non determini una sola struttura e un unico aspetto, ma che que-sti sono il frutto di diversi processi litogenetici, che hanno influito sulle diverse caratteristi-che fisiche. Allo stesso modo potrà apparire sorprendente constatare che rocce apparente-mente simili possano differire per origine e composizione mineralogica. È possibile inoltre confrontare rocce visibilmente differenti (es. granito e gneiss), indivi-duando somiglianze e differenze tra le rispettive caratteristiche fisico-chimiche: in que-sto modo si sviluppa la consapevolezza delle trasformazioni avvenute nel corso deltempo geologico e di uno o più cicli litogenetici a seguito dei quali una roccia (in questocaso il granito) si può trasformare in un’altra (es. gneiss) apparentemente molto diversa(Tonon et al., 2004)

Terminate le fasi di analisi dei campioni e utilizzando tutte le informazioni desunte dalleprecedenti attività, si potranno svolgere delle riflessioni di riepilogo e d’interpretazione,partendo da quesiti del tipo:

• Il campione esaminato fa parte di un “oggetto” più grande?

• Ritieni di avere già visto queste rocce? Dove?

• A quale processo genetico si può ricondurre l'origine della roccia esaminata?

L’individuazione di alcune caratteristiche fisico-chimiche delle rocce potrà essere utiliz-zata per introdurre argomenti più complessi. Ad esempio, la constatazione che esistonorocce porose, permeabili all’acqua (ma anche ad altri fluidi, come gli idrocarburi fossili,liquidi e gassosi), e quindi in grado di contenerne una certa quantità, aiuta a comprende-re il concetto di roccia serbatoio. Tali rocce costituiscono potenziali giacimenti, se lastruttura geologica consente l’accumulo dei fluidi in zone particolari. Si può pertanto ren-dere esplicito il meccanismo attraverso il quale si formano le falde acquifere sotterraneee i giacimenti di idrocarburi, ed affrontare un classico ostacolo concettuale delle Scienzedella Terra, rappresentato dall’inaccessibilità dei fenomeni all’osservazione diretta edalla durata dei tempi richiesti (Ferrero, 2004).

1.2. LE ROCCE: RIFLESSIONI DIDATTICHE

Sono qui proposti alcuni quesiti funzionali che offrono uno stimolo di partenza peraffrontare gli argomenti in modo problematico, che servono ad individuare gli ostacoliconcettuali, a scegliere le attività didattiche, a evidenziare gli aspetti disciplinari chedevono essere padroneggiati dagli allievi o che possono essere acquisiti svolgendo leattività sperimentali sulle rocce (Allegato 6).

� DOMANDE FUNZIONALIA) Quali sono le caratteristiche fisico-chimiche utili a riconoscere una roccia?

B) Quali sono i criteri di classificazione?

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C) Dove si trovano?

D) Come si formano?

E) Quali sono i loro utilizzi?

� OSTACOLI CONCETTUALI COINVOLTIA) Ostacoli relativi alle caratteristiche fisico-chimiche:

• Il termine duro viene riferito a 3 diverse proprietà:o resiste alla percussione (è robusto)o è coerente o incoerente (è compatto o friabile)

o riga o è rigato (durezza in senso stretto).

B) Ostacoli relativi alla classificazione:

• Gli allievi hanno difficoltà a percepire gli elementi costituenti, spesso micro-scopici.

• Gli allievi non utilizzano il concetto di inclusione gerarchica:(es: atomo → molecola → cella elementare → cristallo → minerale → roccia → struttura geologica).

C) Ostacoli relativi alla localizzazione:

• È difficile concepire lo spazio a scala geologica.• È difficile concepire una continuità spaziale che non può essere osservata.• È difficile percepire la terza dimensione osservando immagini bidimensionali. • È difficile estrapolare una forma intera a partire da un’osservazione parziale.

D) Ostacoli relativi alla genesi:

• Prevale negli allievi la consapevolezza dello stato attuale (visione statica).• Gli allievi hanno difficoltà a concepire le caratteristiche del sedimento che

ha prodotto la roccia attuale o difficoltà a concepire la formazione di unaroccia in profondità.

• I bambini assimilano le rocce ad una produzione umana e ai manufatti (arti-ficialismo).

• Secondo i bambini le rocce hanno un’anima e si sono formate attraverso pro-cessi magici (animismo).

E) Ostacoli relativi all’utilizzo:

• Mancanza di conoscenza delle caratteristiche della roccia che le rendono uti-lizzabili per diversi scopi.

• Incapacità di distinguere a livello percettivo le rocce dai loro derivati.

� ATTIVITÀ DIDATTICHE INTEGRANTIA) Attività legate alle caratteristiche fisico-chimiche:

• Analisi basata sulla percezione sensoriale.• Analisi basata sull’osservazione analitica e strumentale (con l’ausilio di stru-

menti o attrezzi).

B) Attività legate alla classificazione:

• Documentazione.• Osservazione diretta.• Confronto / Seriazione.• Ricerca di criteri di classificazione.• Discussione e riflessione.

C) Attività legate alla localizzazione:

• Analisi di immagini fotografiche.• Osservazione sul terreno.• Raccolta di campioni.• Utilizzazione della rappresentazione cartografica.• Deduzione (processi di inferenza).

D) Attività legate alla genesi:

• Documentazione.• Analisi di filmati e di immagini fotografiche.• Osservazione sul terreno.• Esperimenti di laboratorio (processo sedimentario).

E) Attività legate all’utilizzo:

• Documentazione.• Esperimenti di laboratorio.• Indagine ed osservazione in ambienti quotidiani e urbani.

� ASPETTI DISCIPLINARI IMPLICATIA) Nozioni legate a concetti che descrivono le caratteristiche fisico-chimiche:

• Resistenza all'urto / Durezza.• Friabilità / Coesione.• Malleabilità.• Impermeabilità.• Porosità.• Peso specifico / Densità.• Eterogeneità / Omogeneità.• Roccia fresca / Roccia alterata.• Cristallo / Minerale.

B) Nozioni legate alla classificazione:

• Definizione e associazione di criteri pertinenti.• Classificazioni scientifiche e classificazioni utili di uso quotidiano (es. clas-

sificazioni commerciali).

C) Nozioni legate alla localizzazione:

• Suolo / Sottosuolo.

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• Roccia in posto.• Affioramento.• Giacimento e roccia serbatoio.

D) Nozioni legate alla genesi:

• Solidificazione di un magma, con o senza cristallizzazione (processo mag-matico).

• Disgregazione fisica, alterazione chimica, erosione, trasporto, sedimentazio-ne e diagenesi (processo sedimentario).

• Trasformazione e ricristallizzazione allo stato solido (processo metamor-fico).

E) Nozioni legate all’utilizzo:

• Delle rocce in relazione alle loro proprietà fisiche e/o chimiche.• Di processi di produzione dei derivati litici.• Delle trasformazioni che subiscono i derivati durante il loro utilizzo.

1.3. LE ROCCE NEI MANUFATTI

Lo svolgimento delle precedenti attività e delle riflessioni didattiche ad esse correlate,permette di scoprire che le rocce, oltre ad essere largamente diffuse in ogni ambientenaturale, sono ampiamente utilizzate per la realizzazione di manufatti nell’edilizia, nel-l’industria e nell’artigianato (Ferrero, 2004). Questa evidenza spesso sfugge alla perce-zione in quanto si ha la tendenza a considerare l’ambiente antropizzato e i manufatti chelo caratterizzano come qualcosa di completamente artificiale e recente. Le attività pro-poste consentono dunque di riflettere su una serie di relazioni facilmente rilevabili o sualtre più complesse che sono da queste deducibili:

• esistono delle correlazioni tra le caratteristiche fisico-chimiche delle roc- ce e il loro utilizzo nei processi di trasformazione e nella realizzazione dei ma-nufatti;

• esiste una relazione tra le caratteristiche fisico-chimiche delle rocce e l’alterazionedovuta agli agenti atmosferici; inoltre l’entità delle trasformazioni dipende anche daltempo di esposizione;

• gli stessi fenomeni che determinano l’alterazione delle rocce utilizzate come materialida costruzione agiscono sulle rocce in affioramento, determinando fenomeni erosivisuperficiali e il conseguente modellamento del paesaggio;

• le rocce costituiscono una risorsa importante per l’uomo, pertanto il loro prelievo dal-l’ambiente, che avviene per taglio di rocce dure e compatte nelle pareti di cava oppu-re per estrazione di ghiaia e sabbia in zone di pianura, deve rispettare i più elementa-ri criteri di sostenibilità.

Le attività inerenti il laboratorio sulle rocce si concludono con lo svolgimento di unametariflessione finale tesa a ricuperare le diverse esperienze (cognitive e emotive) vissu-

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te come individui e come costituenti di un gruppo; si procederà quindi all’individuazio-ne (Allegato 7) delle attività svolte, degli ostacoli concettuali coinvolti, delle nozionirichieste (prerequisiti) e di quelle acquisite in relazione al riconoscimento, alla classifi-cazione, alla genesi e all’ubicazione delle rocce.

1.4. LE ROCCE: I FONDAMENTI

1.4.1. I mineraliLe rocce possono essere definite degli aggregati di minerali e sono classificate in base aiminerali che le compongono (AA.VV., 1988). I minerali sono definiti da alcune caratte-ristiche fondamentali: abito cristallino (forma esterna assunta), colore, superfici di sfal-datura, lucentezza, durezza, peso specifico. Un metodo semiquantitativo per misurare la durezza dei minerali è quello ideato dalchimico tedesco Mohs agli inizi del XIX secolo: si tratta di una scala suddivisa arbi-trariamente in 10 gradi, a ciascuno dei quali corrispondono dei minerali abbastanzafacilmente reperibili. La durezza di un minerale sconosciuto viene identificata median-te scalfittura con un campione appartenente alla scala sotto descritta (Maresch et al.,1989).

GRADO MINERALE CARATTERISTICHE

1 Talco Facilmente intaccabile con l’unghia

2 Gesso Intaccabile con l’unghia

3 Calcite Facilmente intaccabile da una punta di coltello

4 Fluorite Intaccabile da una punta di coltello

5 Apatite Difficilmente intaccabile da una punta di coltello

6 Feldspato potassico Intacca difficilmente il vetro

7 Quarzo Intacca il vetro, l’acciaio sprizza scintille

8 Topazio Intacca il vetro, l’acciaio sprizza scintille

9 Corindone Intacca il vetro, l’acciaio sprizza scintille

10 Diamante Intacca il vetro, l’acciaio sprizza scintille

1.4.2. La classificazioneLe classificazioni delle rocce (D’Amico et al., 1988; Maresch et al., 1989; Press &Siever, 1985) avviene in base alla loro formazione e consente di riconoscere alcune gran-di categorie: le rocce magmatiche, le rocce sedimentarie e le rocce metamorfiche(Fig. 8).

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� Le rocce magmatiche o ignee o eruttive si formano dalla solidificazione dei magmifusi e si distinguono in:

• Rocce intrusive o plutoniche: la solidificazione del magma avviene ad unacerta profondità della crosta terrestre e il processo di raffreddamento è lento; iminerali possono cristallizzare in modo regolare, dando origine a cristalli dallaforma ben definita e visibili ad occhio nudo (struttura olocristallina). Una tipi-ca roccia intrusiva è il granito.

• Rocce effusive o vulcaniche: derivano dalla solidificazione dei magmi venu-ti alla superficie; il raffreddamento è stato rapido, il magma non ha avutomodo di cristallizzare completamente e non tutti i minerali risultano visibili adocchio nudo, spesso neppure con la lente (struttura ipocristallina o vetrosa).Una tipica roccia effusiva è il basalto.

Le rocce magmatiche (Fig. 9) sono formate da un numero limitato di minerali alcu-ni dei quali chiari (es. quarzo, feldspati, minerali ricchi di silicio, alluminio, calcio esodio), altri scuri (es. pirosseni, anfiboli, biotite, ricchi di ferro e magnesio).

Figura 8I processi genetici delle rocce.

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MINERALI CHIARI (SIALICI) MINERALI SCURI (FEMICI)Quarzo Olivina

Feldspato potassico PirosseniPlagioclasi Anfiboli

Muscovite (mica chiara) Biotite (mica scura)Feldspatoidi Clorite

Le rocce magmatiche (intrusive ed effusive) vengono classificate in base al conte-nuto in silice (SiO2) in:

� Rocce acide: contengono più del 65% in SiO2 (es. granito).

� Rocce intermedie: contengono una quantità di SiO2 compresa tra il 65% e il

52% (es. granodiorite, diorite).� Rocce basiche: contengono una quantità di SiO2 compresa tra il 52% e il 43%

(es. gabbro, basalto).� Rocce ultrabasiche: contengono meno del 43% in SiO2 (es. peridotite).

Figura 9Relazione tra le caratteristiche dei magmi, la natura dei processi eruttivi e le forme vul-

caniche.

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� Le rocce piroclastiche si presentano sia incoerenti (ovvero “sciolte”) che compattee sono magmatiche durante la fase di formazione (perché legate all’attività vulcani-ca esplosiva) e sedimentarie durante la fase di deposito. Esse si classificano in basealle dimensioni:

DIMENSIONI ROCCE INCOERENTI ROCCE COERENTI

> 64 mm Bombe (fluide) Agglomerato piroclasticoBlocchi (solidi) Breccia piroclastica

64 mm – 2 mm Lapilli Tufo a lapilli

2 mm – 0,0062 mm Ceneri Tufo a ceneri

< 0,0062 mm Ceneri fini Tufo a ceneri

� Le rocce sedimentarie (Fig. 10) rappresentano un volume minimo della crosta ter-restre (pari a circa il 5%), ma ricoprono i 3/4 delle terre emerse e anche i bacini mari-

ni sono ricoperti da un sottile strato di sedimenti. In base alla tipologia dei processichimici e fisici coinvolti si possono distinguere tre tipi di rocce sedimentarie:

Figura 10Schema del processo sedimentario.

• Rocce detritiche o terrigene: sono costituite da frammenti di rocce e mine-rali derivati dalla disgregazione di rocce preesistenti, trasportati poi perazione di acqua, ghiaccio, aria e quindi depositati per l’intervento di forzemeccaniche. Queste rocce vengono classificate in base alle dimensioni deiclasti che le costituiscono e possono essere coerenti e incoerenti.

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DIMENSIONI DEI CLASTI ROCCE INCOERENTI ROCCE COERENTI

> 2 mm Ghiaie e ciottoli Conglomerati

2 mm – 1/16 mm Sabbie Arenarie

1/16 mm – 1/256 mm Silts Siltiti

< 1/256 mm Argilla Argilliti

• Rocce organogene o allochimiche: derivano dalla sedimentazione di restidi organismi e si distinguono in rocce silicee (formate da resti di spugne,diatomee, …) e rocce carbonatiche (costituite da resti di molluschi, echino-dermi, coralli, foraminiferi, alghe, …). A questa categoria di rocce appar-tengono i calcari bioclastici e le rocce dolomitiche.

• Rocce di origine chimica o evaporitiche: si formano per evaporazione del-l’acqua e precipitazione chimica di sali disciolti nelle acque. Le rocce chesi formano sono quindi di origine chimica, ma non organogena. Esempi dirocce evaporitiche sono gesso, salgemma, travertino.

� Le rocce metamorfiche derivano dalla trasformazione di rocce magmatiche, sedimen-tarie o di preesistenti rocce metamorfiche, a seguito dei processi di metamorfismo chesi svolgono con grande lentezza e che avvengono generalmente nelle profondità dellacrosta terrestre (Fig. 11). Il termine metamorfismo significa dunque trasformazione. Laroccia metamorfica che si forma dipende dunque sia dalla roccia originaria sia dai valo-ri di temperatura e pressione in cui avvengono i processi metamorfici. Le rocce pos-sono essere deformate, piegate, fratturate. Le rocce metamorfiche sono estremamentecomuni. Esempi di rocce metamorfiche sono: gneiss, scisti, prasiniti, anfiboliti, marmi.

Figura 11Rapporti genetici tra le rocce metamorfiche e gli altri tipi di rocce.

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1.4.3. Il ciclo litogeneticoLe rocce sono interessate da due sottocicli, strettamente correlati (Fig. 12):

Figura 12Ciclo litogenetico: schema dei rapporti tra il ciclo superficiale e il ciclo profondo.

• Il ciclo profondo: richiede gran-di tempi e grandi spazi. Il suomotore è interno (endogeno) ed èazionato dall’energia termicaproveniente dal decadimentoradioattivo profondo (Fig. 13). Ècollegato al ciclo superficialedelle rocce attraverso grandifenomeni geodinamici endogeni(i movimenti delle placche lito-sferiche a cui sono connesse leeruzioni, l’espansione oceanica,l’orogenesi) che concorrono acostruire la crosta superficiale(AA.VV., 1998).

• Il ciclo superficiale: il suo motoreè esogeno, rappresentato dall’ener-gia solare e dalla forza di gravità,ed è “trascinato” dal ciclo dell’acqua e dal ciclo profondo delle rocce; coinvolge i ma-teriali superficiali che costituiscono la crosta terrestre (Fig. 14).

Figura 13Ciclo litogenetico: l’attenzione è posta sulla

parte profonda del ciclo (da AA. VV., 1998).

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Il caso del diamante e della grafite

Il diamante e la grafite hanno una composizione chimica estremamente semplice,essendo costituiti entrambi esclusivamente di carbonio, ma qui si esaurisce lasomiglianza tra queste due diverse forme cristalline del carbonio. Si può dire anziche non esistano minerali con caratteristiche tanto diverse. Il diamante è duro,lucente, trasparente; la grafite è tenera, scura e opaca. Il diamante ha un peso spe-cifico di 3,5, (elevato per un elemento non metallico), mentre il peso specificodella grafite è 2,2. Queste proprietà così profondamente diverse di uno stesso ele-mento derivano dal modo in cui sono legati tra loro gli atomi di carbonio. Nel dia-mante essi sono molto ravvicinati e trattenuti da forti legami, per cui si ottiene unastruttura tridimensionale continua di eccezionale durezza (nella scala di Mohs ildiamante è al 10° posto, V. Tabella a pagina 14) e con un altissimo punto di fusio-ne, mentre nella grafite gli atomi sono molto distanziati e i legami sono moltodeboli. I cristalli che si formano sono dunque teneri (nella scala di Mohs la grafi-te si trova al 1° posto) e si rompono lungo superfici subparallele.

I principali giacimenti di diamanti si trovano in Congo, Sud Africa, Siberia,Ghana, Sierra Leone, Angola, Tanzania, Liberia, Brasile, Venezuela, India, NordAmerica.Le rocce diamantifere sono localizzate in aree tettonicamente stabili dove l’etàdella crosta è superiore a 1.500 milioni di anni, mentre non sono mai state ritro-vate in aree oceaniche e nelle catene montuose recenti.

Figura 14Ciclo litogenetico: l’attenzione è posta sulla parte superficiale del ciclo. Sono indicate le

principali interfacce (es. acqua / roccia) e i processi evidenziati dalle frecce (es. sedi-

mentazione).

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I diamanti sono contenuti esclusivamente in due tipi di rocce:

• Le kimberliti: più note e abbondanti, si sono formate nel mantello in condi-zioni di elevata pressione e temperatura e si sono intruse nella crosta con mec-canismi esplosivi.

• Le lamproiti: più rare, nelle quali i diamanti sono stati individuati solo direcente. Si sono formate nel mantello superiore e si trovano in camini vulca-nici (diatremi), filoni strato e dicchi.

Kimberliti e lamproiti sono rocce magmatiche ibride, costituite dalla mescolanzadi magma basico e di frammenti di altre rocce in cui sono contenuti i diamanti(xenoliti).In base ai metodi di datazione radiometrici si è potuto stabilire che l’età dei dia-manti è di molto superiore a quella delle rocce che li contengono. Per esempio,nel giacimento di Kimberley (Sud Africa) l’età dei diamanti è di oltre 3.300milioni di anni, mentre l’età della kimberlite incassante è soltanto di 100 milio-ni di anni.Gli studi che definiscono l’età delle rocce incassanti dimostrano quindi che i dia-manti:

• Sono molto più antichi delle rocce magmatiche che li includono e che li hannotrasportati in zone più superficiali.

• Non sono legati geneticamente a queste rocce magmatiche.• Sono cristallizzati, forse episodicamente, in un lungo periodo della storia ter-

restre.

Le rocce diamantifere si sono intruse nella crosta a più riprese in un arco di tempomolto lungo della storia terrestre (a partire da almeno 1.600 milioni di anni).I diamanti si formano nelle porzioni profonde del mantello, al di sotto di areetettonicamente stabili o ivi trasportati dai movimenti di subduzione delle plac-che. In queste zone si sono conservati e forse concentrati per centinaia di mi-lioni di anni, fino a che i processi di fusione parziale del mantello non hannodato origine ai magmi kimberlitici o lamproitici, che li hanno trasportati insuperficie.I diamanti trasportati dal magma, grazie al loro elevato punto di fusione, si sonoconservati durante la risalita invece di essere trasformati in grafite, in CO2, oppu-re essere rifusi nel magma circostante.Il magma kimberlitico è in grado di trasportare in superficie dalla profondità dialmeno 200 km i grossi blocchi detti xenoliti, risalendo lungo fratture delle roccesoprastanti. È stato calcolato che i diamanti impiegano da 4 a 15 ore per raggiun-gere la superficie: la velocità complessiva di risalita, essendo il magma molto flui-do, è di 10-30 km/h.

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1.5. LE ROCCE: IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

Nei libri di testo si trovano spesso imprecisioni o generalizzazioni inopportune e fuor-vianti che si tramandano ormai da generazioni e che sono il segnale di misconcezioniricorrenti. A titolo esemplificativo vengono riportati le imprecisioni più frequenti:

� In alcuni testi tutte le rocce eruttive vengono considerate le rocce più antiche dellaTerra, come se si fossero tutte formate 3.5 miliardi di anni fa.

� Tutte le rocce metamorfiche vengono considerate scistose.� Viene trascurato l’aspetto relativo alle trasformazioni subite dalle rocce (ciclo pro-

fondo e superficiale delle rocce).� Spesso vengono trascurate le rocce incoerenti e disgregabili (sabbia, argilla, …). � Il petrolio e il carbone non vengono considerati come due esempi di rocce di origi-

ne organica. (Secondo numerosi autori si considerano rocce anche gli aggregati dimineraloidi organici e non cristallini).

� Si ritiene spesso che la possibilità di trovare delle rocce sia limitata ad un ambientedi montagna, mentre le rocce sono comunissime in ogni tipo di ambiente, anchequello urbano (basta saperle vedere).

1.6. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 1988 – Minerali e Rocce. Origine, varietà, utilità. In Primo Piano – Scienze. IstitutoGeografico De Agostini: 64 pp.

AA.VV., 1995 – La formazione delle rocce: vecchi problemi e nuovi modelli. ANISN, SezionePiemonte: 100 pp.

AA.VV., 1998 – Quaderni didattici della Regione Piemonte. Assessorato Ambiente della RegionePiemonte, Torino.

BARONCELLI M.A. & GALLO L.M., 1999 – Le Rocce. Conoscerle, raccoglierle, collezionarle. Amicidel Museo “Federico Eusebio” – Alba: 151 pp.

BOSELLINI A., 1989 – Tettonica delle Placche e Geologia. Bovolenta: 143 pp.CAVALLINI G., 1995 – La formazione dei concetti scientifici. Senso comune, scienza, apprendi-

mento. La Nuova Italia, Firenze, 511 pp.D’AMICO C., INNOCENTI F. & SASSI F.P., 1988 – Magmatismo e metamorfismo. UTET: 536 pp.DEUNFF J., 1990 – Contribution à la définition de modèles didactiques pour une approche de la géo-

logie à l’école élémentaire et dans la formations des mâitres. Min. Éduc. Nat. Jeunes Sports Dir.Écoles, Instaprint S.A., Tours, 170 pp.

FERRERO E., 2004 – Esperienze di scoperta nelle Scienze della Terra. In Pera T. (a cura di): Incontricon le scienze, testi e contesti per la didattica, Verbania: 16-18 maggio 2003. Ed. Scholé Futuro,Torino.

FERRERO E. & MEIRONE A., 2003 – Occhi aperti sulla natura. Un curriculum di lettura natura-listica del territorio nel secondo ciclo della scuola primaria. Libreria Stampatori Editore:111 pp.

FERRERO E. & TONON M., 2002 – La paleontologia nella scuola primaria: una disciplina trasversa-le alle Scienze della Natura. In A. Rossebastiano (a cura di), Per la scuola del 2000, StampatoriEdizioni, Torino: 67-79.

FERRERO E., TONON M. & CARETTO A., 2003 – I Quanti del Progetto Ora: Rocce da manipolare /

Le rocce nella quotidianità. TD 28 (Tecnologie Didattiche), Dossier Ora, Edizioni Menabò,Chieti; 1: 14,15.

GOIX H., 1995 – Vous avez dit “ cristal ”? Je pense “ verre ”. Aster, n° 20: 105-137.MARESCH W., MEDENBACH O. & TROCHIM H.D., 1989 – Rocce. Rizzoli Editore: 288 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1985 – Introduzione alle Scienze della Terra. Zanichelli: 572 pp.TONON M. & FERRERO E., 2001 – Riflessioni epistemologiche sul concetto di fossile e fossilizza-

zione: rappresentazioni mentali degli insegnanti della scuola primaria in formazione e in servi-zio. In M.C. Perri (a cura di), Giornate di Paleontologia 2001; Giornale di Geologia, Serie 3a; 62(Suppl.): 157-163.

TONON M., FERRERO E. & PROVERA A., 2004 – Esperienze pratiche e riflessioni in Scienze dellaTerra e Scienze della Vita. In Pera T. (a cura di): Incontri con le scienze, testi e contesti per ladidattica, Verbania: 16-18 maggio 2003. Ed. Scholé Futuro, Torino.

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2. Il laboratorio sui fossili

In genere i fossili suscitano grande interesse e curiosità, ma nello stesso tempo implica-no di dover affrontare alcuni ostacoli concettuali che si pongono a chiunque, indipen-dentemente dall’età, dal tipo o dal livello di studi svolti. Parlando di fossili si è “costret-ti” a fare riferimento a tempi estremamente lunghi (geologici), ad ambienti che sono pro-fondamente mutati, a resti che difficilmente rievocano l’immagine dell’organismo origi-nale. Per questi motivi i fossili rappresentano un tema estremamente complesso, ma connotevoli potenzialità didattiche, favorite proprio dall’interesse e dalla curiosità che li cir-condano (Gouanelle & Schneeberger, 1995; Lillo, 1996; Tonon & Ferrero, 2001; Ferrero& Tonon, 2002).

2.1. I FOSSILI: ATTIVITÀ PRATICHE

2.1.1. I fossili: indagine sulle concezioni spontaneeIl laboratorio sui fossili presenta una struttura di base simile a quella utilizzata per lerocce. Anche in questo caso il primo passo è rappresentato dall’individuazione di pre-concezioni e misconcezioni attraverso la proposta di due quesiti preliminari:

1) Che cos’è un fossile?2) Come si formano i fossili?

In figura 15 sono riassunti i risultati ottenuti da centinaia di risposte: le frecce più spes-se indicano le risposte più frequenti.

1) Relativamente al primo quesito, la concezione più frequente è quella che identifica ilfossile con l’impronta di un organismo: queste risposte sono legate alla rappresenta-zione mentale del processo di compattazione subito dal resto fossile nel sedimento,soprattutto quando l’oggetto originario è appiattito (ammoniti, pesci, foglie, …); inquesti casi la misconcezione è così radicata che il fossile viene definito come impron-ta anche quando si tratta di un modello interno o addirittura di fronte all’evidenza digusci e parti scheletriche conservate direttamente. Le risposte che indicano come fos-sili solo resti di origine animale si spiegano con il fatto che questi reperti sono i piùcomuni e quindi i più citati (in testi e immagini) nella letteratura didattica e divulga-tiva. Queste risposte escludono i vegetali perché si ritiene che non possiedano partidure in grado di conservarsi e non si ammette che i tessuti organici possano, seppureraramente, fossilizzare. Le risposte che definiscono i fossili dei resti organici si spie-gano (oltre che con l’ambiguità del termine organico, come già discusso per le rocce)con il fatto che essi derivano da organismi viventi, senza considerare che questi ulti-mi hanno delle parti costituite da sostanza inorganica. Le rappresentazioni dei fossiliintesi come resti intatti, oltre ad esprimere un senso statico dei processi di fossilizza-

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zione e la difficoltà a percepire la durata dei tempi geologici, è probabilmente condi-zionata dalla conoscenza di forme di fossilizzazione particolarmente famose in lette-ratura (insetti contenuti nell’ambra, mammuth conservati nel ghiaccio, …) ma che difatto rappresentano eventi straordinari.

2) Relativamente al secondo quesito, la concezione più comune viene espressa con il termi-ne di pietrificazione; esso a volte materializza l’idea di un processo istantaneo che portaalla formazione del fossile indurito, altre volte significa mineralizzazione. Un’altra con-cezione difforme comune è quella per cui il processo di fossilizzazione implica l’intrap-polamento dell’organismo che, vivo o morto, entra nella roccia e al suo interno viene con-servato; questa idea contraddice un principio fondamentale della paleontologia e dellabiostratigrafia secondo il quale esiste un rapporto di contemporaneità tra il fossile e la roc-cia inglobante. Solo attraverso questo principio è infatti possibile compiere una datazio-ne relativa delle rocce contenenti dei resti fossili. La concezione difforme che identificala fossilizzazione con un processo di compattazione è da correlare con l’identificazionetra fossile e impronta, mentre le risposte che indicano una fossilizzazione collegata adeventi catastrofici palesano la confusione tra le estinzioni di massa e il processo di con-servazione dei resti. Infine le risposte che indicano l’essiccamento come esempio di fos-silizzazione individuano solo eventi straordinari, mentre appaiono contraddittorie le rap-presentazioni che confondono i processi che conducono alla conservazione di un resto

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Figura 15Distribuzione delle risposte ricorrenti degli studenti ai quesiti: Che cos’è un fossile? eCome si formano i fossili?

fossile con i fenomeni che portano alla distruzione delle parti organiche, quali l’ossida-zione e la decomposizione (Tonon & Ferrero, 2000).

Analogamente a quanto fatto per le rocce, le risposte ottenute possono essere studiate sta-tisticamente attraverso il riconoscimento di alcuni parametri significativi. Anche questavolta vengono riportati i risultati relativi alla ricerca svolta sul materiale elaborato negli anni1999-2001 dagli studenti del I anno del Corso di laurea in Scienze della FormazionePrimaria e da insegnanti di scuola primaria in servizio, frequentanti un corso di aggiorna-mento. Relativamente solo al primo quesito sono stati esaminati il punto di vista e il gradodi correttezza delle risposte. Nel primo caso (Fig. 16) sono state individuate le categorierappresentate dalla visione biocen-trica, geocentrica e antropocentrica acui si aggiunge una categoria (rap-presentata dallo 0,9%) che nonesprime nessun punto di vista. Irisultati ottenuti indicano una preva-lenza della visione biocentrica(62,7%) su quella geocentrica(35,5%). Per la valutazione delgrado di correttezza (Fig. 17) nellerisposte al primo quesito, sono statedistinte quelle errate, quelle parziali,quelle complete e quelle che confes-sano esplicitamente l’ignoranza sul-l’argomento trattato. Anche in que-sto caso le risposte complete rappre-sentano una percentuale minima(7,3%), inferiore a quella riscontrataper le rocce, a conferma della com-plessità dell’argomento trattato.Così come fatto per le attività sullerocce, anche in questo caso sonostati svolti su entrambi i quesiti studistatistici che intendevono evidenzia-re il livello di formulazione ovvero ilgrado di complessità delle risposteche in qualche modo rispecchianouna capacità più o meno sviluppatadi mettere in relazione diversi feno-meni e processi. Sono stati indivi-duati tre livelli:

• livello 1: risposta semplice incui compare una sola caratteri-stica o un unico processo;

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Figura 16Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’èun fossile? esaminate mettendo in evidenza il puntodi vista dello studente.

Figura 17Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’èun fossile? esaminate mettendo in evidenza ilgrado di correttezza della formulazione.

• livello 2: risposta comprendente una serie di caratteristiche e di processi tra loro con-nessi;

• livello 3: risposta in cui sono presenti una o più correlazioni fra caratteristiche, pro-cessi e aspetti dinamici e temporali.

Ad essi si aggiunge la categoria cheindica le risposte non date. Analizzando i risultati è possibilerilevare che per il primo quesito(Fig. 18) prevale il livello 2 (50%)dove non compare, unitamente allivello 1 (39,1%), il fattore tempoche invece è citato nelle risposteappartenenti al livello 3 (solo il10% dei casi) anche se vieneespresso ad una scala non propor-zionale a quella geologica (per lopiù in secoli o in migliaia di anni).Nel secondo quesito (Fig. 19) laprevalenza del livello 1 (62,6%)indica che la maggior parte deglistudenti individua un’unica causaper spiegare il processo di fossiliz-zazione.

2.1.2. I fossili: approccio sensoriale e approccio scientificoLe attività di manipolazione dei fossili (Tonon et al., 2004) che si svolgono a gruppi di4-5 persone e prevedono l’uso di schede predisposte, propongono:

� ANALISI LIBERA INTERPRE-TATIVAOsservazione e descrizione di 4campioni (siltite fossilifera, coralloindividuale, ammonite, arenariacon resti vegetali) (Fig. 20) indican-do per ciascuno se il fossile esami-nato sia di origine animale o vege-tale, se rappresenti un fossile diret-to o indiretto e quale parte dell’or-ganismo originario rappresentava(Allegato 8). Attraverso questa atti-vità è possibile sperimentare le dif-ficoltà riguardanti l’identificazionee l’interpretazione del significato edella genesi dei fossili. Questo di-

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Figura 18Distribuzione delle risposte al quesito Che cos’èun fossile? esaminate mettendo in evidenza il livel-lo della complessità della formulazione.

Figura 19Distribuzione delle risposte al quesito Come si for-mano i fossili? esaminate mettendo in evidenza illivello di complessità della formulazione.

scorso può diventare particolarmente interessante se inserito in un contesto storico attra-verso l’analisi e il confronto di alcuni errori interpretativi compiuti dall’uomo sin dal-l’antichità, riguardanti l’identificazione di alcuni fossili, come ad esempio il mito deiCiclopi (vedi anche il cap. 2.3).

� DESCRIZIONE ANALITICA GUIDATAOsservazione analitica di 1 o più campioni per indagare e scoprire tutte le caratteristichedel campione esaminato (Allegato 9).Analisi comparata tra alcuni organismi recenti e fossili, appartenenti allo stesso grupposistematico al fine di evidenziarne le differenze imputabili alle trasformazioni legate alprocesso di fossilizzazione (Allegato 10). Questa attività consente peraltro di integrare

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Figura 20Campioni di fossili e rocce fossilifere usati per l’osservazione e la descrizione analitica:a) siltite con resti di molluschi, b) corallo individuale, c) ammonite, d) arenaria con restivegetali.

una visione più concreta nella diffusa misconcezione che tutti i fossili siano resti di orga-nismi estinti.

2.1.3. L’osservazione dei microfossiliOltre a svolgere attività con macrofossili è possibile estendere le osservazioni a resti didimensioni estremamente ridotte per i quali sarà dunque necessario un ulteriore suppor-to strumentale essenzialmente rappresentato da lenti di ingrandimento e/o stereomicro-scopi, oltre ad alcune precauzioni operative.Quest’attività (Ferrero, 1987-1989) permette di andare alla scoperta della realtà micro-scopica, difficilmente percepibile, ma affascinante almeno quanto quella macroscopica.Essa può essere svolta anche su rocce coerenti e in questo caso sarà possibile applicaretutte le attività proposte per i campioni di roccia.Utilizzando sedimenti sabbiosi incoerenti le attività possono diventare particolarmentecomplesse e stimolanti. Attraverso l’osservazione di sedimenti attuali (che possono esse-re stati raccolti su di una spiaggia dagli stessi allievi) è possibile dimostrare la presenzadi microrganismi (Allegato 11); il successivo confronto, con campioni raccolti in unaffioramento di rocce sedimentarie disgregabili, permette di osservare il diverso stato diconservazione di granuli terrigeni (originati dalla disgregazione di altre rocce) e biocla-sti (granuli corrispondenti a parti scheletriche di organismi fossili), i quali si differenzia-no tra di loro per forma, colore, dimensioni.Si può inoltre cercare di stimare qual è il rapporto di abbondanza tra bioclasti e granuliterrigeni:

� La roccia è costituita prevalentemente da resti fossili (oltre il 70%).

� La roccia è povera di resti fossili (meno del 30%).

� La roccia presenta un rapporto intermedio tra bioclasti e granuli terrigeni (tra il40% e il 60%).

Questa attività apparentemente molto semplice è tuttavia molto formativa in quantorichiede di sviluppare un grande rigore nell’osservazione, una buona manualità nell’uti-lizzare gli strumenti, oltre a conoscenze disciplinari da arricchire con la consultazione ditesti divulgativi e manuali. Queste analisi permettono di identificare le caratteristiche di una roccia organogena e diriconoscere quale sia il contributo che gli organismi possono dare alla costituzione di unaroccia. Come per i macrofossili (Allegato 9) anche per i microfossili si possono svolgere ulterio-ri approfondimenti attraverso la proposta di alcuni quesiti da discutere collettivamente:

� Quale parte rappresentano dell’originale organismo?� Sono fossili diretti o indiretti?� Esistono testimonianze della presenza di macrofossili� In quale ambiente vivevano?� Avete già visto questi fossili? Dove?

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2.1.4. I fossili e il tempo geologicoIl laboratorio sui fossili consente di affrontare un ostacolo concettuale caratterizzantele Scienze della Terra: il tempo geologico (Ferrero & Meirone, 2003; Ferrero & Tonon,2002; Tonon & Ferrero, 2001; Tonon et al., 2004). Esso è difficile da percepire e daimmaginare in quanto è molto più dilatato (unità di misura: milioni di anni) del tempostorico (unità di misura: decine, centinaia di anni) e del tempo biologico (unità di misu-ra: secondi, minuti, ore, giorni) in cui ogni persona è immersa (Fig. 21). Questo dis-corso comporta un’altra difficoltà legata alla percezione della lentezza dei processigeologici (tra cui la fossilizzazione) che, proprio per questa caratteristica, diventanospesso quasi (o del tutto) impercettibili alla scala di registrazione umana, generandouna visione statica degli eventi (si veda la successiva analisi delle concezioni sponta-nee). Per affrontare queste problematiche si propongono le seguenti attività:

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Figura 21I tempi dell’Uomo e i tempi della Terra a confronto.

� confrontare, attraverso l’uso di una metafora, il tempo geologico con una grandezzanota (l’anno solare), collocando in questo intervallo di tempo una serie di eventi evo-lutivi rilevanti e molto noti (comparsa delle prime forme di vita sulla Terra, compar-sa dei primi organismi pluricellulari, comparsa dei vegetali terrestri, comparsa deiMammiferi, estinzione dei dinosauri, comparsa dei primi ominidi) utilizzando unascheda predisposta (Fig. 22a, b). Questa attività permette di visualizzare la distanzatemporale di determinati eventi biologici, la cui percezione generalmente suscitamolto stupore, oltre che a far riflettere sulla loro esatta sequenza evolutiva (Fig. 23);

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Figura 22Il gioco del tempo geologico: (a) collocare nella giusta sequenza e nella posizione tem-porale corretta gli eventi indicati da 1 a 7; (b) il gioco completato.

� confrontare il tempo geologico con un superficie nota, assumendo come approssima-zione che il rapporto tra la storia della Terra (4.600 milioni di anni) e l’inizio dellastoria evolutiva degli ominidi (4,4 milioni di anni) sia di circa 1.000 a 1. L’esperienzaconsiste nel delimitare su un foglio a quadretti un rettangolo i cui lati corrispondanorispettivamente a 25 quadretti e a 40 quadretti, indicando quanta superficie di quel ret-tangolo sia occupato dalla storia degli ominidi. Questa attività può essere svoltaanche su un qualunque foglio bianco, ad esempio un foglio A3 dove i lati del rettan-golo misurano 25 cm e 40 cm. In entrambi i casi (1 quadretto = 1 cm2) è possibilevisualizzare quanto si limitata “la storia umana” rispetto alla “storia della Terra”.Questa esperienza può essere applicata e confrontata anche con altri eventi biologici;

� in ambito scolastico, un’attività che viene spesso utilizzata per visualizzare il tempogeologico è quella di attaccare uno spago (la cui lunghezza è proporzionata ai 4,6

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Figura 23La storia della Terra e gli eventi più significativi della storia della Vita sono rapportatialla durata di un anno solare.

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miliardi di anni) alle pareti dell’aula e successivamente inserire per mezzo di cartello-ni i vari eventi biologici. Se esistono spazi esterni adeguati è possibile realizzare un per-corso esterno alla scuola, lungo il quale verranno indicate le principali tappe evolutive.

Queste attività consentono di recuperare o approfondire i concetti di frazione, proporzio-ne e scala.

2.2. I FOSSILI: RIFLESSIONI DIDATTICHE

Si propongono alcuni quesiti funzionali che offrono uno stimolo di partenza per affron-tare gli argomenti in modo problematico, che servono ad individuare gli ostacoli concet-tuali, a scegliere le attività didattiche, a evidenziare gli aspetti disciplinari che devonoessere padroneggiati dagli allievi o che possono essere acquisiti svolgendo le attività spe-rimentali sui fossili (Allegato 12).

� DOMANDE FUNZIONALIA) Quali sono le caratteristiche utili a riconoscere un fossile?B) Come ricondurre il resto fossile all’organismo dal quale deriva?C) Quali sono i criteri di classificazione che si usano con i resti fossili?D) Dove si trovano i fossili?

o L’affioramento di rocce sedimentarie fossilifere che si sta esaminando èsempre stato quale lo vediamo ora?

o È prevedibile che l’affioramento cambi?o I singoli elementi osservati nell’affioramento sono sempre stati come li

vediamo ora e saranno sempre così?o Quale poteva essere il paesaggio nel luogo in cui la roccia si è formata, al

momento della sua formazione?

E) Come si sono ,formati i fossili?

� OSTACOLI CONCETTUALIA) Ostacoli relativi alle caratteristiche distintive

• Spesso è difficile distinguere il fossile dalla roccia:

o perché la forma del fossile non è distinguibile all’interno della roccia, sene vede solo una piccola porzione;

o perché ha dimensioni microscopiche;o perché è deformato o frammentato.

B) Ostacoli relativi alla ricostruzione dell’organismo

• Mancanza di conoscenze anatomiche.• Mancanza di conoscenze botaniche e zoologiche.

C) Ostacoli relativi alla classificazione

• Mancanza di conoscenze sistematiche botaniche e zoologiche.• Mancanza di percezione degli elementi costituenti, spesso microscopici.• Assenza del concetto di inclusione:

(es: cellula → tessuto → organo → apparato → organismo → associazione)

D) Ostacoli relativi agli affioramenti

• Difficoltà a distinguere eventi diversi avvenuti in precedenza e a concepirela sovrapposizione degli avvenimenti geologici.

• Insufficienti nozioni di chimica.• Difficoltà a concepire la potenza degli agenti erosivi antichi e attuali in rela-

zione alla durata dei fenomeni e dei tempi per cui hanno agito.• Difficoltà a concepire che una roccia attualmente rigida si sia comportata

come un materiale plastico (tenendo conto delle pressioni molto forti e deitempi molto lunghi).

• Difficoltà a concepire le scale di spazio e di tempo che caratterizzano lamaggior parte dei fenomeni della dinamica endogena.

• Difficoltà di percezione e di apprendimento dei tempi geologici.

E) Ostacoli relativi alla genesi

• Gli allievi presentano difficoltà a distinguere eventi diversi avvenuti succes-sivamente nel tempo e a concepire la sovrapposizione degli avvenimentigeologici.

• Gli allievi presentano difficoltà a concepire le condizioni di fossilizzazionein quanto essi hanno difficoltà ad accettare che il sedimento originario fossediverso dalla roccia quale ora la si osserva.

• Si vedono relazioni di causa-effetto inesistenti: ad esempio il sedimento puòessere considerato come la causa della fossilizzazione (“è il calcare che hafatto i fossili”).

• I bambini hanno difficoltà a concepire i tempi geologici (es. associanoall’Uomo preistorico fossili molto più antichi).

• I bambini assimilano i fossili ad una produzione umana e ai manufatti (arti-ficialismo).

• I bambini pensano che i fossili si siano formati attraverso processi magici(animismo).

� ATTIVITÀ DIDATTICHE INTEGRANTIA) Attività legate alle caratteristiche distintive

• Analisi basata sulla percezione sensoriale.• Analisi basata sull’osservazione analitica e strumentale (con l’ausilio di

strumenti o attrezzi).

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B) Attività legate alla ricostruzione dell’organismo

• Documentazione.• Osservazione diretta.• Confronto con organismi attuali.• Discussione e riflessione.

C) Attività legate alla classificazione

• Documentazione.• Osservazione diretta.• Utilizzo di chiavi analitiche.• Discussione e riflessione.

D) Attività legate agli affioramenti

• Analisi di immagini fotografiche.• Osservazione sul terreno.• Documentazione.• Sperimentazione (per mettere in evidenza l’eventuale azione degli agenti di

alterazione, dell’erosione, del trasporto e della sedimentazione).• Realizzazione di schemi (faglia, piega, ecc.).• Deduzione (processi di inferenza).

E) Attività legate alla genesi

• Documentazione.• Simbologie e metafore del tempo geologico.• Osservazione sul terreno.• Esperimenti (es: costruzione di fossili artificiali o del processo sedimentario).

� ASPETTI DISCIPLINARI IMPLICATIA) Nozioni legate alle caratteristiche distintive

• Morfologia esterna.• Anatomia.• Strutture interne.• Simmetria.• Stato di conservazione.

B) Nozioni legate alla ricostruzione dell’organismo

• Paleogeografia.• Morfologia funzionale.• Paleoecologia.• Evoluzione dei viventi.

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C) Nozioni legate alla classificazione

• Definizione e associazione di criteri pertinenti.• Classificazioni scientifiche e di nomenclatura di uso quotidiano (es. termi-

nologia volgare e commerciale).

D) Nozioni legate agli affioramenti

• Evoluzione più o meno rapida dell’affioramento per influenza di:

o disgregazione fisica e alterazione chimica;o agenti erosivi;o vegetazione;o bioturbazione fossile e attuale;o azione antropica.

• Dinamica interna (movimenti della crosta terrestre, messa in posto / intru-sione di filoni dei plutoni).

• Modificazione legata alla deformazione tettonica.• Stratigrafia e cronologia relativa.

E) Nozioni legate alla genesi

• Compattazione, diagenesi (processo sedimentario).• Permineralizzazione, ricristallizzazione e carbonificazione (processi di fos-

silizzazione).• Erosione, sollevamento (processo di affioramento).• Concetto di tempo geologico.

Le attività si concludono con lo svolgimento di una metariflessione finale tesa a ricupe-rare le diverse esperienze (cognitive e emotive) vissute come individui e come costituen-ti di un gruppo; si procederà quindi all’individuazione (Allegato 14) delle attività svolte,degli ostacoli concettuali coinvolti, delle nozioni richieste (prerequisiti) e di quelleacquisite, in relazione al riconoscimento, alla genesi e all’ubicazione dei fossili.

2.3. I FOSSILI: PROBLEMI LEGATI ALLA LORO INTERPRETAZIONE

Sin dalla preistoria, i fossili suscitarono l’interesse dell’uomo che si mostrò particolar-mente incuriosito dalle loro caratteristiche (forme, dimensioni, colori) spesso insolite,che sembravano farli appartenere ad un’epoca o ad una realtà sconosciuta: per questimotivi la loro presenza esercitava stupore, curiosità, ma anche timore.La comprensione del significato dei fossili rappresentò l’aspetto più problematico.Infatti, per molti secoli (dalle antica civiltà greca e romana fino all’inizio del ’700), essifurono interpretati in vari modi, spesso erronei: testimonianze del diluvio universale o diqualche altra catastrofe naturale, originati da influenze astrali, scherzi della natura (lusus

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naturae). Nell’immaginario popolare i fossili erano considerati monete pietrificate, ser-penti di pietra, punte di fulmine, dita del diavolo, urina di animali, ruote del sole, percitare le più comuni. Le ossa dei grandi vertebrati erano menzionate come supporto afigurazioni leggendarie (liocorno, draghi, giganti, …). Infine ai fossili venivano attribui-te proprietà terapeutiche, come ad esempio l’avorio delle zanne di mammuth in EstremoOriente.Il rinvenimento di fossili nani in Sicilia giustifica l’origine del mito dei Ciclopi, cosìcome dalla scoperta di resti di Dinosauri in Cina derivano le raffigurazioni dei draghi.Tra i pochi che compresero il corretto significato dei fossili, ci fu Leonardo da Vinci cheinterpretò la presenza di fossili marini in Pianura Padana come la conseguenza dell’anti-ca presenza del mare.A partire soprattutto dal ’500 i fossili entrarono nelle collezioni private di nobili e appas-sionati benestanti e venivano esposti in collezioni eterogenee accanto a resti preistorici,a rocce, a minerali, ad animali impagliati.La teoria che tuttavia perdurò fino al ’700 fu quella dei diluvisti che avevano in J.J.Scheuchzer il loro più noto assertore. Nel 1725 egli scoprì quello che pensava essere ilgrande successo della sua vita ovvero lo scheletro dell’uomo “testimone del diluvio”(Homo diluvii testis). Fu necessario attendere il 1787 per riconoscere in questi resti latestimonianza di un organismo definito come una “lucertola pietrificata” e nel 1825Cuvier confermò che si trattava di un anfibio citato come “un’antica salamandra, di tagliagigantesca e di specie sconosciuta”. Fu chiamata Andrias scheuchzeri, attribuzione siste-matica tuttora valida.Nel corso del XVIII secolo l’atteggiamento verso i fossili cominciò a trasformarsi dapuro interesse collezionistico a serio tentativo di studio: furono aperte le prime sezionipaleontologiche nei musei di storia naturale e venne applicata anche ai fossili la doppianomenclatura genere-specie (es. Bolma rugosa) introdotta da Linneo (1758) per animalie piante. In quegli anni si iniziò a comprendere che la storia della Terra doveva essere piùantica di 6.000 anni (affermazione derivata dalle citazioni bibliche) e successivamente sicomprese che i fossili potevano essere usati per conoscere le età delle rocce che li con-tengono. Tuttavia bisogna attendere sino alla metà dell’800 affinché per i fossili sianoconsiderati intervalli di tempo ancora più lunghi e corrispondenti ai tempi geologici: imilioni di anni (AA.VV., 1992; Allasinaz, 1985; Edwards, 1976; Morello, 1979; Osella2003; Ruggieri, 1975).

2.4. I FOSSILI: I FONDAMENTI

2.4.1. I processi di fossilizzazioneSi definisce fossile ogni testimonianza (resto, impronta, traccia) dell’esistenza di un orga-nismo (animale o vegetale, unicellulare o pluricellulare, eucariota o procariota), vissutoin epoche geologiche passate. Viene considerato fossile ogni reperto che abbia almeno10.000 anni in quanto si ritiene che questo sia un intervallo di tempo sufficientementeampio affinché possano agire i diversi processi di fossilizzazione. I fossili si rinvengonocomunemente nelle rocce sedimentarie disgregabili (sabbie, marne, argille) o cementa-te (calcari, arenarie, argilliti) ed eccezionalmente in sedimenti ghiacciati, asfalto, ambra.

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Essi sono le uniche testimonianze rimaste degli organismi che popolarono la Terra nelleere geologiche passate e tuttavia il termine fossile non è sinonimo di estinto: non tutti ireperti fossili appartengono a specie estinte.I fossili non devono essere confusi neppure con i resti archeologici e la scienza chestudia i fossili si chiama paleontologia (palaios = antico, on = ente, logos = discor-so). Il termine fossile deriva dal verbo latino fodere che significa scavare, estrarre scavando. Lo studio dei fossili consente di:

• Conoscere le caratteristiche morfologiche di questi organismi.• Avere informazioni essenziali per la ricostruzione degli antichi ambienti di vita.• Datare i sedimenti e le rocce che includono i fossili.

La fossilizzazione coinvolge quell’insieme di fenomeni che modificano l’originale strut-tura, composizione chimica e morfologia di un organismo e si sviluppano dal momentodella sua morte a quello della sua litificazione. La fossilizzazione comprende dunquequell’insieme di eventi che coinvolgono il passaggio di un organismo (o delle sue trac-ce) dalla biosfera alla litosfera. Questi processi possono essere distinti in 2 fasi:

• biostratinomia: comprende quanto avviene ad un organismo dal momento della mortealla sua completa inclusione nel sedimento (seppellimento totale);

• diagenesi: comprende tutti quei processi litogenetici che coinvolgono un organismodal momento del suo seppellimento alla formazione del fossile.

La conservazione allo stato fossile necessita di diversi requisiti e condizioni favorevoli:presenza nell’organismo di parti dure, morte dell’organismo, sedimentazione dei resti erapido seppellimento, reazioni chimico-fisiche (processi diagenetici). In particolare laconcreta possibilità che un organismo si conservi allo stato fossile dipende da fattoriinterni ed esterni. I primi consistono nell’oggettiva presenza di strutture particolarmenteadatte alla conservazione di un fossile: guscio, conchiglia, carapace, scheletro interno (lecosiddette “parti dure”). I fattori esterni comprendono invece le condizioni chimico-fisi-che e la natura del sedimento (marna, calcare, sabbia, silt, argilla) inglobante l’organismo(Allasinaz, 1985; Mayr, 1988).Le “parti dure” sono quelle che hanno una maggiore possibilità di conservarsi, ma il fos-sile non è sempre rappresentato direttamente da una parte scheletrica, dalla classica con-chiglia o da un dente o ancora da un osso. Infatti, in seguito ai vari processi diagenetici,si possono originare altri tipi di fossili (Fig. 24) tra i quali vi sono:

� modello interno: si origina quando il sedimento dopo aver riempito la cavitàinterna di una conchiglia (o di un’altra struttura cava) si consolida riproducendol’immagine in negativo della superficie interna. I modelli interni sono diffusi tragli organismi dotati di esoscheletro a protezione delle “parti molli” (Molluschi,Echinodermi, Brachiopodi, Celenterati); viceversa sono rari per cavità craniche oper altre strutture di vertebrati o di vegetali. Generalmente essi risultano esserepoco utili ai fini sistematici poiché non riproducono le caratteristiche morfologi-

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che esterne della conchiglia(spessore, ornamenti) che so-no indispensabili per il rico-noscimento a livello specifico.Estremamente importanti so-no invece i modelli interni diMolluschi Cefalopodi qualiAmmonoidi e Nautiloidi inquanto, a causa della sotti-gliezza del guscio, vengonoriprodotti sul modello queglielementi (ornamenti esterni,andamento della linee di sutu-ra ovvero linee di intersezionetra i setti e la parete internadella conchiglia) che sonoassai utili per la classificazio-ne sistematica di questi orga-nismi;

� impronta esterna: corri-sponde all’immagine in ne-gativo lasciata dalla superfi-cie esterna di una conchigliainclusa nel sedimento. La

ricostruzione della superficie originale può essere fatta tramite calchi eseguiti con la pla-stilina, con il gesso o con altre resine acriliche (Ferrero et al., 2003);

� modello interno con impronta esterna: è un tipo di fossile che si forma soprattuttonei sedimenti arenacei o arenaceo-marnosi inizialmente poco compattati. La conchi-glia inclusa nel sedimento subisce un processo di decalcificazione da parte delle solu-zioni percolanti, fenomeno che avviene quando il sedimento non è ancora completa-mente diagenizzato e conserva una certa elasticità. La graduale dissoluzione delguscio consente l’avvicinamento del modello interno all’impronta esterna sino allasovrapposizione di quest’ultima sul modello. Questi fossili sono perciò privi diguscio, assumono le dimensioni del modello interno e appaiono sovente deformati.Essi sono piuttosto frequenti tra i Bivalvi che popolano substrati essenzialmente sab-biosi e in quelle forme dotate di un guscio sottile sepolte in sedimenti fini e parzial-mente plastici.

Sulla base di questi elementi appare evidente come il reperto fossile differisca sensi-bilmente dall’organismo “originale” sia per l’incompletezza dei resti conservati(soprattutto a discapito delle “parti molli”) sia per le trasformazioni chimico-fisicheavvenute.

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Figura 24Destino del resto scheletrico di un organismo marino,il guscio di un mollusco bivalve, sottoposto a diversiprocessi di fossilizzazione.

2.4.2 Fossili straordinariLa formazione di un fossile è di per sé un evento raro, che può avvenire solo in seguitoa processi che durano spesso milioni di anni (processi di fossilizzazione). Solo le “parti dure” di un organismo (ovvero scheletro osseo, conchiglie, gusci, …), siconservano allo stato fossile nella maggior parte dei casi, mentre i casi di conservazioneintegrale, in cui si preservano anche i tessuti organici o “parti molli”, sono estremamenterari anche se spesso sono molto più noti dei fossili comuni in quanto sono oggetto d’inte-resse dei mezzi di comunicazione. Esempi di conservazione integrale sono dati da:

• Insetti e fiori inglobati dall’ambra (o resina fossile), prodotta in abbondanza daalcune conifere.

• Organismi morti nelle paludi e nelle torbiere la cui preservazione è avvenuta acausa della presenza di soluzioni acide, prive di ossigeno e di organismi decom-positori aerobi.

• Organismi mummificati:

� per il freddo, che determina il congelamento (es. mammuth ritrovati in Alaska ein Siberia);

� per il caldo: in un ambiente molto secco l’assenza di umidità blocca i processidi putrefazione e il caldo secco causa la disidratazione e l’essiccamento delleparti molli;

� per impregnazione di sostanze organiche: è il caso delle acque associate al petro-lio, oppure delle paludi e dei laghi d’asfalto che costituivano delle trappole mor-tali per gli animali che vi rimanevano invischiati. Un famoso esempio è dato dailaghi d’asfalto di Rancho La Brea, in California, dove caddero e morirono perasfissia migliaia di animali: infatti, sono stati estratti (oltre a molti insetti) nume-rosi resti scheletrici di vertebrati vissuti negli ultimi 2 milioni di anni. Si tratta siadi predatori, sia di erbivori: è probabile che i primi rimanessero intrappolati nelseguire i secondi.

2.4.3. Utilizzo dei fossili Alcuni fossili sono utili perché forniscono informazioni sull’ambiente in cui gli organi-smi vivevano (fossili di facies), altri sulle età delle rocce che li includono (fossili guida).Le specie che si evolvono molto lentamente e che sono tuttora presenti sulla Terra, pren-dono il nome di fossili viventi. Essi corrispondono a resti di organismi con caratteristi-che morfologiche pressoché costanti nel tempo. Poiché modificano i propri caratteri mor-fologici molto lentamente rimanendo in alcuni casi invariati nel tempo, essi non sono utiliper datare le rocce. Tra i rappresentanti più conosciuti ci sono:

� Ginkgo biloba: pianta ad alto fusto (Gimnosperma) invariata dal Carbonifero supe-riore (da 300 milioni di anni);

� Limulus: artropode acquatico invariato dal Triassico (da 225 milioni di anni);

� Sphenodon: rettile della Nuova Zelanda invariato dal Giurassico (da 150 milioni di anni);

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� Opossum: mammifero marsupiale invariato dal Cretaceo superiore (da 70 milioni dianni);

� Latimeria: pesce celacantide invariato dal Cretaceo superiore (da 70 milioni di anni).

I moderni studi paleontologici non si esauriscono in una classificazione sistematica deireperti, ma utilizzano e rielaborano informazioni morfometriche, statistiche, autoecolo-giche e biostratigrafiche per operare interessanti ricostruzioni paleoambientali (Bossutoet al., 2003) e cronostratigrafiche. Questi modelli vengono ricostruiti utilizzando nonsolo dati di laboratorio, ma quell’insieme di informazioni che si desumono dall’osserva-zione diretta dei campioni sul terreno: natura del sedimento inglobante, eventuale dispo-sizione dei fossili in livelli più concentrati (tasche, lenti, noduli), posizione assunta dalfossile rispetto agli altri organismi, stato di conservazione dei fossili. Per questi motivi ifossili rappresentano un importante patrimonio scientifico la cui estrazione e successivaconservazione sono regolate dalla legge n° 1089 del 1.6.1939. Da questa legge consegueche il prelievo dei fossili, in quanto patrimonio dello Stato, può avvenire solo tramitel’autorizzazione degli organi preposti (Soprintendenza Archeologica).

2.4.4. I fossili nella storia della TerraLa storia geologica della Terra è lunga circa 4,6 miliardi di anni, ma può essere divisa indue intervalli principali:

• L’Archeozoico: (compreso tra 4,6 miliardi di anni e 570 milioni di anni fa) in cui iritrovamenti fossili sono estremamente sporadici e scarsi e appartengono soprattut-to a batteri, protisti e animali primitivi.

• Il Fanerozoico (ultimi 570 milioni di anni) in cui sono presenti “numerosi” ritrova-menti fossili sia di animali sia di vegetali superiori.

I principali “eventi biologici” avvenuti nel corso della storia della Terra sono:

• 3,5 miliardi di anni fa: comparsa delle prime forme di vita (batteri eterotrofi: orga-nismi unicellulari procarioti).

• 3-2,6 miliardi di anni fa: comparsa dei primi organismi fotosintetici (alghe verdi-azzurre) e conseguente comparsa dell’ossigeno libero.

• 2-1,8 miliardi di anni fa: aumento dell’ossigeno libero, formazione dello schermodi ozono che ha iniziato a svolgere una funzione protettiva rispetto alle radiazioniultraviolette.

• 1,9-1,5 miliardi di anni fa: sviluppo delle cellule eucariote.• 700-680 milioni di anni fa: primi ritrovamenti di fossili appartenenti ad organismi

pluricellulari (fauna di Ediacara). Con questo termine si indica un’associazione diresti di organismi pluricellulari rinvenuti nel sud dell’Australia, presso la località diEdiacara. Tutta la fauna di Ediacara è costituita da impronte di corpi molli di organi-smi marini ancora totalmente privi di parti dure (es. meduse e vermi marini).

• 460 milioni di anni fa: comparsa dei primi Vertebrati marini (Pesci).• 440 milioni di anni fa: estinzione di massa di numerosi gruppi di organismi tra i quali

40 famiglie di Trilobiti.

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• 400 milioni di anni fa: sviluppo delle piante terrestri.• 360-350 milioni di anni fa: estinzione di massa (molti Brachiopodi, le famiglie di

Trilobiti sopravvissuti alla precedente estinzione di massa, …); comparsa primiVertebrati terrestri (Anfibi).

• 320 milioni di anni fa: comparsa delle Conifere, sviluppo degli Anfibi, dei Pesciossei e dei Pesci cartilaginei; comparsa dei Rettili.

• 250 milioni di anni fa: estinzione di massa (tra cui il 75% delle famiglie degli Anfibie l’80% delle famiglie dei Rettili).

• 215 milioni di anni fa: estinzione di massa (tra cui molte famiglie di Molluschi).• 200 milioni di anni fa: comparsa dei primi Mammiferi.• 160-150 milioni di anni fa: comparsa dei primi Uccelli (Archaeoptheryx lithographica).• 120 milioni di anni fa: inizia il dominio delle Angiosperme (piante con fiori e frutti).• 65 milioni di anni fa: estinzione di massa (tra cui Dinosauri, Ammoniti, …)• 5-3 milioni di anni fa: associazioni a Molluschi molto comuni nei sedimenti di vaste

aree del Piemonte (Astigiano, Biellese, Langhe, …).• 5,8 milioni di anni fa: comparsa del più antico antenato dell’uomo (Ardipithecus

ramidus).• 3,9 milioni di anni fa: comparsa di Australophitecus afarensis.• 2,5-2 milioni di anni fa: comparsa di Homo habilis.• 1,8 milioni di anni fa: comparsa di Homo erectus.• 100.000 anni fa: comparsa di Homo neanderthalensis.• 40.000 anni fa: comparsa di Homo sapiens in Europa (uomo di Cro-Magnon).

2.4.5. L’evoluzione dell’uomo Per molti anni si è discusso su quale evento evolutivo riguardante la storia degli ominidisi fosse verificato per primo: l’acquisizione della posizione eretta o lo sviluppo cerebra-le? La documentazione fossile degli ultimi 25-30 anni dimostra che prima gli ominoidiacquisirono la posizione eretta e la bipedia e poi, circa 2 milioni di anni dopo, si ebbe losviluppo cerebrale.Così come aveva previsto C. Darwin è l’Africa (e soprattutto l’Africa orientale, lungo laRift Valley) l’area geografica in cui ha avuto inizio la storia biologica dell’uomo.Gli ominidi più antichi specializzati nel bipedismo a terra (e quindi gli “antenati” del-l’uomo moderno) sono gli ardipiteci.Secondo le ultime testimonianze ritrovate, l’epoca relativa alla comparsa degli ardipiteci(Ardipithecus ramidus) risale a 5,8 milioni di anni fa e si riferisce a resti fossili rinve-nuti nella regione Afar dell’Africa orientale. Dallo studio delle parti scheletriche, si pre-sume che questa specie fosse già bipede, avesse un’altezza di circa 1,22 m ed abitasseancora nella foresta. Questa osservazione comporterebbe una revisione della teoriasecondo la quale gli ominidi avrebbero acquisito la bipedia come risposta alla necessitàdi muoversi nella savana. Agli ardipiteci sono seguiti gli austrolopiteci, ritenuti per molto tempo i primi antena-ti dell’uomo.Una prova indiretta dell’andatura bipede degli australopiteci proviene da una traccia fos-sile datata 3,75 milioni di anni: le orme di Laetoli (in Tanzania).Lo scheletro fossile, denominato “Lucy” (appartenente ad un individuo femminile della

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specie Australopithecus afarensis) è stato rinvenuto nel 1974 in Etiopia e rappresentaforse la scoperta più sensazionale dell’antropologia del ’900. Infatti, nonostante l’in-completezza dello scheletro (datato 3,5 milioni di anni) lo studio di numerose ossa del-l’arto inferiore, di una delle ossa iliache e del sacro, ha permesso di dimostrare che que-sto nostro antico progenitore poteva camminare con andatura eretta.Gli australopiteci erano alti poco più di 1 m, si nutrivano di semi, radici, tuberi e vive-vano nella savana. Avevano un volume cerebrale corrispondente a quello di un’attualescimmia antropomorfa (circa 500 cm3) che, rispetto alle ridotte dimensioni corporee,rappresentava un elemento rilevante. Gli ardipiteci e gli australopiteci dominarono lascena evolutiva nell’Africa orientale e meridionale per un periodo che va da 5,8 a 1milione di anni fa.La storia del genere Homo inizia tra i 2,5 e 2 milioni di anni fa con la “comparsa” diHomo habilis. La caratteristica che più lo distingue dagli australopiteci è il considerevo-le aumento del volume cerebrale che raggiunge i 700-800 cm3, il quale causa conse-guentemente un mutamento della morfologia del cranio, che diventa globulare. Cambiaanche la morfologia del volto in quanto si assiste alla verticalizzazione della faccia, cheha come conseguenza la scomparsa quasi completa del prognatismo. Homo habilis pote-va raggiungere l’altezza di 1,5 m e fu il primo a produrre degli utensili, costituiti damanufatti di pietra scheggiata. Homo habilis convisse nelle savane orientali dell’Africacon alcune forme di Australopithecus.Circa 1,8 milioni di anni fa “comparve” Homo erectus il cui nome specifico (erectus) sideve al fatto che i primi resti fossili di questa forma umana vennero alla luce a Giava(1891-1893) 30 anni prima del rinvenimento del primo fossile di Australopithecus (1924,Sud Africa) e quindi essi furono considerati i resti dei primi ominidi aventi una posturaeretta. Homo erectus aveva un volume cerebrale di circa 1.000 cm3 e raggiungeva altez-ze di 1,70÷1,80 m. Fu un raffinato fabbricatore di utensili di pietra e fu l’ominide cheimparò ad utilizzare il fuoco, fatto che gli permise di abbandonare i luoghi tropicali percolonizzare luoghi interessati da climi continentali e glaciali: Asia ed Europa.Attualmente le più antiche testimonianze della presenza del genere Homo al di fuori delcontinente africano sono rappresentati da:

� crani fossili (datati 1,7 milioni di anni) rinvenuti in Georgia (Caucaso) nel 1999 eattribuiti ad una forma arcaica di Homo erectus (Homo ergaster);

� cranio fossile (datato 800.000 anni) rinvenuto in Italia a Ceprano (al confine tra Lazioe Campania) nel 1994;

� resti di fossili (datati 780.000 anni) rinvenuti nel sito di Atapuerca (Spagna) a segui-to di ricerche svolte negli ultimi 20 anni.

I primi esseri umani giunsero quindi in Europa (circa 800.000 anni fa) passando dall’Asiae provenendo dall’Africa. Circa 100.000 anni fa “comparve” Homo neanderthalensis ilcui primo resto fossile (una calotta cranica) fu rinvenuto nel 1856 nella valle del fiumeNeander (Germania). Esso fu inizialmente interpretato come appartenente ad un soldatocosacco affetto da rachitismo. Homo neanderthalensis aveva un volume cerebrale di circa1.300 cm3, raggiungeva altezze di 1,70÷1,80 m e si estinse circa 37.000 anni fa. Origi-

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nariamente considerato un diretto antenato dell’uomo moderno, è ora collocato in unramo evolutivo che convive con quello dei nostri diretti antenati e si estingue, mentreHomo sapiens prende il sopravvento. In Italia sono stati rinvenuti reperti neandertalianinel 1935 nella Grotta Guttari (Circeo) e a Saccopastore (Roma).Circa 40.000 anni fa “compare” in Europa Homo sapiens, ovvero l’uomo moderno, conun volume cerebrale di circa 1.400 cm3. In Italia, ad Altamura, nel 1993 è stato rinvenu-to uno scheletro di Homo sapiens arcaico.

Classificazione di Homo sapiensREGNO: AnimaliaPHYLUM: ChordataSUBPHYLUM: VertebrataCLASSE: MammaliaORDINE: PrimatesSUPERFAMIGLIA: HominoideaFAMIGLIA: HominidaeGENERE: HomoSPECIE: Homo sapiens

2.4.6. Cenni storici su alcune teorie che spiegano la comparsa e l’estinzione delle specieIl susseguirsi nel corso della storia della Terra di differenti forme di vita e il riconosci-mento dell’esistenza di eventi che avevano provocato l’estinzione di molti gruppi di orga-nismi è stato ed è tuttora oggetto di grande interesse da parte (ma non solo) dei paleon-tologi. Nel corso dei secoli il pensiero scientifico (Allasinaz, 1985) è passato da unavisione fissista (dove gli organismi permanevano con le stesse caratteristiche morfologi-che fino alla loro estinzione) ad una visione evoluzionistica (dove gli organismi nel corsodel tempo geologico si “trasformavano”). A questo riguardo si citano alcuni celebri esempi di teorie fissiste (Cuvier e D’Orbigny)e di teorie evoluzionistiche (Lamarck e Darwin) ricordando che queste ultime sonooggetto di un continuo aggiornamento anche in virtù degli apporti offerti dagli studigenetici e hanno dato origine al neodarwinismo (Weissman), alla teoria sintetica(Simpson) e a quella degli equilibri intermittenti (Eldredge & Gould).

� Teoria del catastrofismo locale: sostenuta da G. Cuvier, affermava la scomparsaimprovvisa degli organismi in seguito a catastrofi circoscritte ad una determinataregione. Successivamente gli organismi, migrati dalle regioni circostanti, ripopolava-no quell’area.

� Teoria del catastrofismo totale: sostenuta da A. d’Orbigny, affermava il verificarsi dicataclismi che avevano interessato tutta la Terra, portando alla totale distruzione di orga-nismi animali e vegetali. Questa fase era seguita da una creazione (teoria del creazioni-smo) e le nuove creazioni corrispondevano ai principali periodi geologici. D’Orbignyarrivò a descrivere 27 creazioni, l’ultima delle quali successiva al diluvio universale.

� Teoria del lamarckismo (finalismo): sostenuta da J.B. Lamarck, si basava su dueprincipi:

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� “l’uso fortifica l’organo, il non uso lo atrofizza”;� “l’ereditarietà dei caratteri acquisiti” (l’infondatezza di questa affermazio-

ne fu provata definitivamente solo dagli studi genetici).

� Teoria del darwinismo (evoluzionismo): sostenuta da C.R. Darwin, si basava sullaraccolta di dati ed osservazioni compiute dal naturalista inglese nel corso del suoviaggio sul brigantino Beagle (1831-1836) e affermava che il movente dell’evoluzio-ne è la selezione naturale, provocata dalla lotta per la sopravvivenza. La selezioneopera una scelta, che favorisce la sopravvivenza e la riproduzione degli individuimaggiormente dotati nella “struggle of life”, ossia verso quegli individui che mostra-no una maggiore resistenza e adattabilità alle condizioni ambientali avverse. La teo-ria di Darwin non aveva ancora quelle prove che solo la genetica (a partire da Mendel) riuscì ad apportare, grazie a questo contributo nascono le teorie definiteselettive.

� Teorie selettive: secondo queste teorie è il patrimonio genetico (DNA) che riveste unruolo essenziale dei fenomeni evolutivi.

� Teoria del neodarwinismo: sostenuta da Weissman nel 1892. Basata sul-l’applicazione al darwinismo della genetica mendeliana e sull’idea che laselezione naturale opera sulle macromolecole (geni) responsabili della tra-smissione ereditaria dei caratteri.

� Teoria sintetica: sostenuta da Simpson nel 1944. Ha le sue basi sulla gene-tica di popolazione, la quale descrive i gruppi di organismi in termine di fre-quenze geniche. Il DNA rappresenta il centro propulsore dell’evoluzione ei caratteri somatici non sono ereditabili, in quanto non trasmissibili dalpatrimonio genico. È una teoria orientata verso il gradualismo, ovvero ilpassaggio graduale nell’evoluzione di una specie in un’altra (vedi Raffi &Serpagli, 1993).

� Teoria degli equilibri intermittenti: formulata da Eldredge & Gould nel1972. Essa prevede un periodo di rapida evoluzione da una specie all’altrae una successiva fase di stasi della nuova specie evolutasi. La fase di rapidaevoluzione spiegherebbe perché, nella documentazione data dai reperti fos-sili, mancano gli anelli di congiunzione tra diversi gruppi sistematici diorganismi.

2.5. LE RISORSE NATURALI: I COMBUSTIBILI FOSSILI

Il petrolio e il carbone sono da considerarsi delle rocce organogene; essi costituisconodelle risorse fossili da considerare non rinnovabili e si formano in conseguenza del ciclosedimentario.

Il petrolio per formarsi ha bisogno di grandi bacini marini sedimentari protetti. Le fasi di formazione di un giacimento di petrolio possono essere così riassunte:

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� Accumulo: sul fondo di un bacino marino si accumula il sapropel, una specie difango ricco di sostanza organica derivato dal plancton che, come conseguenza di unarapida sedimentazione, non subisce processi ossidativi.

� Maturazione: sotto il peso di nuovi sedimenti, la roccia madre scende lentamente in pro-fondità; l’aumento progressivo di temperatura e pressione favorisce una serie di reazionichimiche che trasformano il sapropel in un miscuglio di idrocarburi liquidi e gassosi.

� Migrazione: la pressione degli idrocarburi gassosi e i movimenti della crosta terrestredisperdono il petrolio entro le rocce circostanti e sovrastanti; la migrazione prosegue,finché non viene bloccata da rocce impermeabili, in corrispondenza delle quali ilpetrolio si concentra in giacimenti (Fig. 25). Trappole petrolifere sono comunementele anticlinali (a), le faglie (b), le successioni stratigrafiche differenziate con rocce adiversa permeabilità e disposizione spaziale (c) e la risalita di duomi salini (d).

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Figura 25Condizioni geologiche favorevoli (a-d) possono impedire la dispersione degli idrocarbu-ri fluidi che si sono formati nella roccia madre e determinano la loro concentrazione ingiacimenti (da Press & Siever, 1997).

La formazione di un giacimento di carbone può avvenire solo alla presenza di una gran-de quantità di sostanza organica vegetale non sottoposta a degradazione da parte degliorganismi decompositori: deve quindi avvenire un arricchimento progressivo di carbonioe contemporaneamente una perdita di ossigeno. Le fasi di formazione di un giacimentodi carbone possono essere così riassunte:

� All’interno di un bacino interno o di una laguna costiera si accumulano notevoli spes-sori vegetali che danno origine alla torba.

� Il lento sprofondamento del substrato fa avanzare il mare: i resti vegetali vengonorapidamente coperti da sabbie, argille, calcari e sottratti al contatto dell’aria. Conse-guentemente aumentano la pressione e la temperatura e i resti vegetali iniziano acompattarsi.

� Il rapido accumulo di sedimenti compensa lo sprofondamento del substrato (ovverola subsidenza); il mare si ritira e sulle terre emerse si sviluppano nuove foreste chericominciano il processo. In profondità, i resti vegetali più antichi si trasformano (conil trascorrere del tempo geologico) in lignite, quindi in litantrace e infine in antra-cite.

� I movimenti della crosta terrestre deformano con pieghe e faglie gli strati e li solle-vano, interrompendo definitivamente il processo. Come conseguenza del ripetersidelle tre fasi precedenti, un giacimento di carbone risulta formato da numerosi stratidi minerale alternati a livelli sterili.

Sulla base di quanto detto le circostanze favorevoli per la formazione di un bacino car-bonifero sono:

� Aree paludose o lagune situate vicino al mare� Lenta subsidenza� Clima caldo umido� Vegetazione abbondante

Queste caratteristiche sembrano incompatibili con l’attuale distribuzione geografica deimaggiori giacimenti di carbone: in realtà questa situazione è comprensibile solo se lettaalla luce dei movimenti delle placche litosferiche (AA.VV., 1995).

2.6. I FOSSILI: IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

Nei libri di testo si trovano spesso imprecisioni o generalizzazioni inopportune e fuor-vianti che si tramandano ormai da generazioni e che sono il segnale di misconcezioniricorrenti. A titolo esemplificativo vengono riportati le imprecisioni più frequenti:

� L’argomento relativo ai fossili, oltre ad essere trattato nei libri di scienze, vieneaffrontato marginalmente anche in quelli di storia, nella parte dedicata alla preistoria:in alcuni casi può non essere così evidente la differenza tra fossili e reperti archeolo-gici e quindi tra le relative discipline (paleontologia e archeologia). L’intervallo tem-

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porale antecedente alla comparsa dell’uomo viene fortemente compresso, dando l’im-pressione che i vari eventi biologici siano molto ravvicinati rispetto all’evoluzionedegli ominidi.

� In alcuni testi non è così chiara la differenza tra organismo estinto e fossile.

� Vengono trascurati i fossili conservati con processi indiretti (modelli interni, impron-te esterne, tracce, …)

� Non sempre viene sottolineata l’eccezionalità delle conservazioni integrali.

� Parlando di fossili, alcuni testi parlano di resti o tracce di organismi vissuti in epoche“anteriori a quella attuale” l’ambiguità di questa espressione può indurre a pensarealle centinaia di anni o alle migliaia di anni, piuttosto che ai milioni di anni, che èinvece l’unità di misura dei tempi in cui avvengono i processi geologici.

2.7. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

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3. La struttura interna della Terra

3.1. INQUADRAMENTO GENERALE

3.1.1. Il contesto astronomico: la Terra nel sistema solare

Le recenti teorie hanno portato ad ipotizzare che il Sistema solare abbia avuto origine dauna nube primordiale, appiattita e ruotante intorno al proprio asse, costituita da gas(soprattutto idrogeno ed elio) e da particelle solide. Si ipotizza che l’aggregazione gra-duale delle particelle costituenti la “nube protosolare” abbia determinato la formazionedei protopianeti (o planetesimali), fino ad arrivare alla definizione dei diversi corpi delSistema solare così come oggi sono organizzati (Press & Siever, 1985, 1997).La Terra, insieme a Mercurio, Venere e Marte, fa parte dei cosiddetti pianeti rocciosi ominori: si tratta dei pianeti più vicini al Sole (la Terra è il terzo pianeta dopo Mercurio eVenere), solidi, con una densità relativamente elevata (compresa tra 3,5 g/cm3 e 5,5g/cm3), un volume non molto grande e dotati di pochi o nessun satellite (la Luna per laTerra, Phobos e Deimos per Marte).Il pianeta più simile alla Terra per dimensioni e densità è Venere, mentre Marte ha comela Terra un periodo di rotazione di circa 24 ore, stagioni simili a quelle terrestri e duecalotte polari. Sebbene recenti studi svolti dalla NASA e dalla Stanford University sem-brino indicare l’esistenza di una forma di vita primitiva (batteri) su Marte circa 3,6miliardi di anni fa (datazione coeva con i più antichi batteri fossili terrestri), la Terra restal’unico corpo del Sistema solare sul quale si siano create delle condizioni tali da permet-tere la nascita e lo sviluppo di forme di vita complesse.La Terra presenta dunque una situazione unica che si è delineata nel corso di qual-che miliardo di anni, un intervallo di tempo talmente ampio da essere difficilmenteimmaginabile e del quale le vicende legate alla storia dell’uomo occupano una partepiccolissima.Nel corso di tutto questo tempo la Terra non è rimasta immutata, ma ha modificato pro-fondamente il proprio aspetto e continua tuttora a cambiare, grazie anche alla presenzadegli esseri viventi.

3.1.2. Il contesto storico: interno, forma e dimensioni della Terra

Le prime idee relative all’interno della Terra risalgono al ’600, ma si trattava di rielabo-razioni e adattamenti di concezioni filosofiche e cosmologiche, prive di prove sperimen-tali: si immaginava infatti l’esistenza di tanti fuochi interni che si diramavano da un gran-de fuoco centrale. La prova che la natura interna della Terra affascinasse non solo i geologi, ma gli uominidi cultura in genere, è data dallo scrittore francese dell’800 J. Verne che scrisse il romanzod’avventura “Viaggio al centro della Terra”, in cui l’autore prese in considerazione l’ipo-tesi di poter esplorare la Terra penetrandovi da un vulcano dell’Europa settentrionale esuccessivamente di uscirne, sospinti dalla pressione dell’acqua, eruttati dallo Stromboli.Questa visione è ben sintetizzata dall’iconografia dell’epoca che rappresentava la Terra

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come una sfera di materiale solido, fessurato da canali di magma, che collegavano sacchedi gas eruttivi a bocche vulcaniche presenti sulla superficie terrestre (Bolt, 1986).La definizione di un primo vero modello rudimentale risale alla fine dell’800 e l’iniziodel ’900, quando si inizia a parlare di un nucleo interno molto denso attorno al quale visarebbe un mantello elastico e denso, su cui esternamente galleggerebbe la crosta solida.Tuttavia per ottenere delle informazioni più corrette riguardo alla struttura interna della Terrabisogna attendere il supporto dei dati geofisici: verso il 1890 Milne mise a punto un efficientesismografo che fu installato in diverse località, mentre nel 1900 l’inglese R.D. Oldham iden-tificò per primo in un sismogramma l’arrivo delle onde P e S. Il riconoscimento e il calcolodel raggio del nucleo terrestre da parte dello stesso Oldham (1906), rappresentò la primatappa concreta nella conoscenza della struttura interna della Terra. Essa infatti fu seguita nel1909 dal riconoscimento della distinzione tra crosta e mantello ad opera del sismologo croa-to A. Mohorovicic, da cui prese il nome la discontinuità che separa questi due strati concen-trici, e dalla dimostrazione (nel 1914 ad opera del tedesco B. Gutenberg) che il limite tramantello e nucleo si trovava a circa 2.900 km di profondità (Bolt, 1986; York, 1979).Mentre le informazioni relative all’interno della Terra sono molto recenti, decisamentepiù antiche sono le stime sulla forma e sulle dimensioni del nostro pianeta. InfattiPitagora e la sua scuola (VI secolo a.C.) furono i primi ad accorgersi che la Terra era sfe-rica e circa 300 anni più tardi Eratostene di Cirene (intorno al 240 a.C.) calcolò la misu-ra della circonferenza terrestre basandosi sulla differenza d’inclinazione dei raggi solariin due località (Alessandria d’Egitto e Siene, l’attuale Assuan) rispetto alla verticale, dif-ferenza causata della curvatura della Terra. Secondo i suoi calcoli, tradotti nelle unità dimisura moderne, la circonferenza terrestre misurava 39.375 km, un valore molto prossi-mo ai 40.009 km delle attuali determinazioni.

3.2. LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA: I FONDAMENTI DISCIPLINARI

L’età della Terra, in base agli studi radiometrici, è di circa 4,6 miliardi di anni (4,55miliardi di anni).A causa della forza centrifuga prodotta dalla rotazione intorno al proprio asse, la Terraha la forma di una sfera leggermente schiacciata ai poli e ingrossata all’equatore: il geoi-

de. Il raggio medio della Terra (Fig. 26) misura 6.370 km: esiste infatti una differenza di21 km tra il raggio equatoriale (6.378 km) e quello polare (6.357 km); lo schiacciamen-to polare (ovvero il rapporto tra la differenza del raggio equatoriale e quello polare e lamisura del raggio equatoriale) è 1/298.La porzione denominata superficie della Terra, è costituita essenzialmente da litosfera,ma comprende anche l’idrosfera (l’insieme delle masse d’acqua salate e dolci), l’atmosfe-ra (l’involucro di gas che avvolge la Terra) e la biosfera, che include tutte le forme di vita.

La ricostruzione della struttura interna della Terra e delle sue caratteristiche fisico-chi-miche è stata possibile (Bolt, 1986):

• principalmente grazie allo studio della propagazione delle onde sismiche (Fig. 27)provocate da un terremoto (mentre la trivellazione del substrato raramente supera i 10km di profondità). Questi studi risalgono all’inizio del ’900;

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Figura 26

Schema della struttura interna della Terra: il modello a strati concentrici separati da dis-

continuità è costruito sulla base di dati indiretti connessi alla propagazione delle onde

sismiche; d= densità.

Figura 27

Schema di azione delle onde sismiche di compressione (onde P o longitudinali) e delle

onde di taglio (onde S o trasversali) e loro registrazione nei sismogrammi (da Castenetto

et al., 2000).

• attraverso il calcolo della densità media della Terra: nel 1778 Masklyne e Hutton,osservando la deviazione dalla perpendicolare nelle vicinanze di un’alta montagna,calcolarono che la densità media della Terra era di 5 g/cm3 valore che si discosta dipoco dagli attuali valori (5,515 g/cm 3);

• mediante lo studio dei meteoriti che vengono interpretati come frammenti di pianetio planetoidi del Sistema solare con genesi simile a quella della Terra.

Le onde sismiche furono scoperte nell’800 e si distinguono in:

• Onde primarie (onde P): sono onde del tipo compressione-espansione, in quanto leparticelle del materiale attraversato vibrano avanti e indietro nella stessa direzione dipropagazione delle onde. Le onde P si muovono ad una velocità compresa tra 5 e 14km/sec, a seconda della densità del materiale attraversato e si propagano dall’ipocen-tro attraverso i solidi, i liquidi e i gas.

• Onde secondarie (onde S): sono onde di taglio, trasversali in quanto le particelle delmateriale attraversato vibrano perpendicolarmente alla direzione di propagazionedelle onde. Le onde S si muovono ad una velocità compresa tra 3 e 7 km/sec, a secon-da della densità del materiale attraversato e si propagano dall’ipocentro solo nei soli-di, ma non nei fluidi (ovvero né nei liquidi, né nei gas).

• Onde lunghe (onde L) o di superficie: sono paragonabili alle onde provocate da unsasso gettato in uno stagno (onde di Rayleigh, scoperte da lord Rayleigh nel 1885).Al passaggio di quest’onda superficiale le particelle descrivono delle ellissi. Nel 1911è stata dimostrata l’esistenza delle onde superficiali di Love in cui il moto delle par-ticelle risulta perpendicolare alla direzione di propagazione. Entrambi i tipi di ondedi superficie si propagano più lentamente delle onde S (ad una velocità media di 3,5km/sec.) e solo in superficie, dall’epicentro.

Direzione di Luogo di Materiali in cui Velocità di Onde

vibrazione propagazione si propagano propagazionesismiche

delle particelle

Onde primarie Longitudinale Ipocentro di Solidi, liquidi, 5÷14 km/sec(onde P) un terremoto gas

Onde secondarie Trasversale Ipocentro di Solidi 3÷7 km/sec(onde S) un terremoto

Onde lunghe Moto ellittico Epicentro di Solidi, liquidi, 3,5 km/sec(onde L) (onde di un terremoto gas

Rayleigh) etrasversale(onde di Love)

Le onde P e S sono importanti per la conoscenza della struttura interna della Terra inquanto il loro studio ha consentito da individuare la presenza all’interno della Terra di

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una serie di involucri concentrici tra loro differenti per caratteristiche chimiche e fisichedella materia: infatti se la Terra fosse uniforme ed omogenea le onde sismiche dovreb-bero propagarsi senza deviazioni e a velocità costante.

In base alle caratteristiche geochimiche, all’interno della Terra si possono riconoscere(dall’esterno all’interno) la crosta, il mantello, il nucleo.

� La crosta rappresenta lo 0,94% del volume terrestre e lo 0,48% della massa dellaTerra. La crosta appare particolarmente ricca, rispetto alla Terra nel suo complesso,degli elementi alcalini (potassio, rubidio, cesio), terre rare, elementi radioattivi (torio,uranio) ed altri elementi volatili (ittrio, zirconio, titanio, afnio). Per questo motivo talielementi sono stati definiti litofili, ovvero particolarmente diffusi nella crosta terre-stre. La crosta non è omogenea né per spessore, né per densità e composizione (Fig.28) e si possono riconoscere:

� crosta oceanica: costituisce i fondali degli oceani, ha uno spessore di 5-10km, è relativamente densa in quanto costituita da rocce silicatiche ricche diferro e magnesio (basalti, gabbri, doleriti) ed è abbastanza omogenea;

� crosta continentale: è più spessa (30-60 km), meno densa in quanto costitui-ta da rocce silicatiche ricche in silicio e alluminio (graniti, granodioriti, gneiss)e assai eterogenea come composizione ed età.

La crosta terrestre è separata dal mantello dalla discontinuità di Mohorovicic (o piùbrevemente Moho) che si trova ad una profondità media di 33 km sotto i continenti e di6-8 km sotto gli oceani (AA.VV., 1995).

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Figura 28

Rapporto tra crosta continentale, crosta oceanica e mantello. Notare il diverso spessore

e la diversa densità (d) del materiale che li costituisce.

� Il mantello (così come la crosta) è solido ed è limitato superiormente dalla disconti-nuità di Mohorovicic e inferiormente da quella di Gutenberg, posta a 2.900 km diprofondità. Il mantello rappresenta circa l’84% del volume della Terra e il 68% dellasua massa; esso è inoltre costituito da rocce silicatiche più dense di quelle della cro-sta (peridotiti).

� Il nucleo terrestre si estende da circa 2.900 km di profondità al centro della Terra. Ilnucleo ha un volume pari al 16% di quello terrestre mentre la sua massa costituisce il31% della Terra. È possibile distinguere:

� nucleo esterno: liquido, composto da ferro e nichel (2-5%), arriva sino allaprofondità di 5.200 km dove è situata la discontinuità di Lehmann;

� nucleo interno: solido, è costituito da ferro e nichel (circa 20%) e si estendeda 5.200 km sino al centro della Terra.

Massa della Terra (Fig. 29)

STRUTTURA DELLA TERRA VALORI REALI VALORI PERCENTUALI

� Crosta 0,286·1023 kg 0,5 %

� Mantello 40,16·1023 kg 67,1 %

� Nucleo 19,36·1023 kg 32,4 %

Volume della Terra (Fig. 30)

STRUTTURA DELLA TERRA VALORI REALI VALORI PERCENTUALI

� Crosta 0,1021·1020 m3 0,9 %

� Mantello 9,00·1020 m3 82,9 %

� Nucleo 1,76·1020 m3 16,2 %

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Figura 29

Valori percentuali della massa di crosta,

mantello e nucleo terrestre. Notare la pre-

valenza della massa del mantello (67,1%).

Figura 30

Valori percentuali del volume di crosta,

mantello e nucleo terrestre. Notare la pre-

valenza del volume del mantello (82,9%).

In base al tipo di risposta alle deformazioni, all’interno della Terra si possono riconosce-re (dall’esterno all’interno) la litosfera, l’astenosfera, la mesosfera e il nucleo (Fig. 26).Crosta, mantello, nucleo esterno e nucleo interno sono separate da discontinuità le qualihanno assunto il nome dei celebri sismologi che le hanno individuate e studiate.

� La litosfera comprende sia la crosta che la parte superiore del mantello, ha unospessore che varia dai 100 km (in corrispondenza delle aree oceaniche) ai 200 km (incorrispondenza delle aree continentali) ed ha un comportamento rigido ed elastico. Illimite inferiore della litosfera è contrassegnato dall’esistenza di una zona di riduzio-ne della velocità delle onde sismiche (Low Velocity Zone: LVZ).La litosfera è suddivisa in un certo numero di placche (le cui dimensioni sonoestremamente variabili) che possono muoversi, le une rispetto alle altre, scorrendo suimateriali plastici dell’astenosfera (AA.VV., 1995).

� L’astenosfera si trova al di sotto della litosfera e, rispetto a quest’ultima, è meno rigi-da (è plastica, si comporta come un fluido, ma non è liquida) ed è sede di lentedeformazioni dovute a flusso di materia. L’astenosfera dovrebbe raggiungere una pro-fondità di circa 200 km (Ricci Lucchi, 1996).

� La mesosfera è formata dalla parte rimanente del mantello sino ai 2.900 km di pro-fondità dove si trova il nucleo.

All’interno della Terra la temperatura aumenta con la profondità. Le principali origi-ni della sua energia termica interna (endogena) sono: da un lato l’accumulo di caloreoriginatosi dalle primordiali collisioni di planetesimali della Terra e dalla compres-sione gravitazionale della medesima e, dall’altro, il calore prodotto dal decadimentodi elementi radioattivi all’interno delle rocce. Le ipotesi sulla temperatura della Terrasono basate sullo studio delle onde sismiche e su esperimenti di laboratorio riguar-danti gli effetti del riscaldamento delle rocce. Secondo questi dati la temperatura allabase della crosta (30-50 km di profondità) dovrebbe essere compresa tra 500°-800°C,mentre alla base della litosfera (100-200 km di profondità) dovrebbe essere compresatra 900°-1.400°C. Più si va all’interno della Terra più il margine di errore nel calcolodella temperatura diventa ampio, per cui alla base del mantello (2.900 km di profon-dità) la temperatura potrebbe essere tra i 3.500°-5.000°C e nel nucleo tra 4.700-6.500°C, anche se i geofisici ritengono che difficilmente si possano superare i5.500°C (Bolt, 1986).

Secondo le moderne teorie l’origine del campo magnetico terrestre si basa sullo statoliquido di una parte significativa del nucleo. L’idea è che il magnetismo sia dovuto a cor-renti elettriche circolanti all’interno della Terra e generate da movimenti idrodinamici delliquido conduttore presente nel nucleo esterno (Bolt, 1986).

3.3. RELAZIONI DISCIPLINARI

Lo studio della struttura interna della Terra è fondamentale per la comprensione delladinamica endogena e dei fenomeni ad essa connessi (tettonica delle placche, vulcanismo,

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sismicità, orogenesi, espansione degli oceani, …), ma è anche importante per affrontareil tema dell’ubicazione dei serbatoi di alcune risorse quali gli idrocarburi e l’acqua.

3.4. IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

In alcuni libri è possibile che vengano ancora riportate delle teorie e dei termini ormaisuperati. Ecco alcuni esempi di imprecisioni:� Alcuni libri di testo usano ancora i termini SIAL, SIMA e NIFE in sinonimia rispet-

tivamente di crosta, mantello e nucleo.� Molti libri parlano di placche crostali e non litosferiche.� Secondo alcuni testi il movimento delle placche avviene sul mantello e non sull’a-

stenosfera.� La definizione dello stato fisico del mantello è spesso ambigua, inducendo gli stu-

denti ad immaginare che esso sia liquido.� Spesso non viene indicato il periodo storico (neppure il secolo) a partire dal quale si

sono iniziate a studiare le onde sismiche.� Si usano i termini “Deriva dei continenti” e “Tettonica delle placche” come se fosse-

ro la stessa cosa (misconcezione: Placca = Continente).

3.5. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 1995 – La formazione delle rocce: vecchi problemi e nuovi modelli. ANISN, SezionePiemonte: 100 pp.

BOLT B.A., 1986 – L’interno della Terra. Come i terremoti ne rilevano la struttura. Zanichelli:207 pp.

BOSELLINI A., 1989 – Tettonica delle Placche e Geologia. Bovolenta: 143 pp.CASTENETTO S., DI BUCCI D & NASO G. (a cura di), 2000 – Quando la Terra trema... Il rischio e la

convivenza con il terremoto (immagini di un percorso espositivo sul terreno e sul rischio sismi-co). Servizio Sismico Nazionale, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

HURLEY P.M., 1979 – L’età della Terra. Nuove risposte ad un vecchio problema. Biblioteca diMonografie Scientifiche (BMS 16), Zanichelli: 130 pp.

PRESS F. & SIEVER R., 1985 – Introduzione alle Scienze della Terra. Zanichelli: 572 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1997 – Capire la Terra. Zanichelli: 648 pp.RICCI LUCCHI F., 1996 – La Scienza di Gaia. Ambiente e sistemi naturali visti da un geologo.

Zanichelli: 390 pp.TAZIEFF H., 1983 – Vulcani e tettonica. Dal vulcanesimo alla deriva dei continenti. Biblioteca di

Monografie Scientifiche (BMS 41), Zanichelli: 98 pp.YORK D., 1979 – Il pianeta Terra. Universale scientifica Boringhieri: 197 pp.

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4. Le teorie mobiliste

4.1. INQUADRAMENTO GENERALE

4.1.1. Il contesto storico: le teorie fissisteDalla seconda metà dell’800 la geologia assunse una prospettiva più ampia, in quanto nonsi limitò solo più all’osservazione e alla descrizione di fenomeni ed eventi locali, ma ini-ziarono a svilupparsi le prime teorie globali che intendevano riassumere e spiegare l’origi-ne e l’evoluzione del pianeta Terra. In quegli anni nacque la principale teoria fissista notacome contrazionismo la quale peraltro non si basava su indagini geologiche, bensì sull’i-potesi di Kant (1755) e di Laplace (1796) della nebulosa calda che originò il Sistema sola-re. Secondo il contrazionismo, la Terra originariamente era una massa fusa, successiva-mente interessata da una progressiva solidificazione e contrazione. I materiali più leggerimigrarono verso la superficie originando rocce ignee e metamorfiche di tipo granitico, ric-che di silicio e alluminio (strato SIAL); esse poggiavano su rocce più dense di tipo basalti-co, ricche di magnesio, ferro e silicio (strato SIMA). Il progressivo raffreddamento dellaTerra causò dunque la formazione di una crosta esterna solida; contemporaneamente ancheil nucleo si raffreddò, si contrasse, occupò meno spazio per cui la crosta, per adattarsi alleparti interne, a sua volta si contrasse, si piegò e si incurvò. Secondo il contrazionismo dun-que le catene montuose si formarono per contrazione, in analogia alla buccia di una melache cuocendo forma delle grinze e delle pieghe poiché essiccandosi si contrae.La teoria del contrazionismo non riusciva a spiegare alcuni fatti:

• la distribuzione particolare e non uniforme delle catene montuose sulla superficieterrestre;

• lo sprofondamento di rocce meno dense (chiamate SIAL) dentro rocce più dense(chiamate SIMA);

• la presunta temperatura interna della Terra il cui raffreddamento è compensato dallaproduzione di calore radiogenico determinato dalla radioattività delle rocce stesse.

Sebbene questa teoria non si dimostrasse dunque molto soddisfacente, essa fu sostenutaper quasi un secolo, basti pensare che nel 1950 alcuni geologi (Kober, Dana) affermaro-no che, in conseguenza della propria contrazione, la Terra in alcune zone sprofonda (for-mando gli oceani e i mari) e in altri si solleva (formando i continenti).Il persistere del contrazionismo fu probabilmente agevolato dalle difficoltà palesate dalleteorie mobiliste (deriva dei continenti) nel giustificare le proprie ipotesi (AA.VV., 1995).

4.2. LA DERIVA DEI CONTINENTI

4.2.1. Le prime ipotesi dinamicheL’idea che i continenti non fossero sempre stati nella posizione che occupano oggi,risale al ’600 quando F. Bacone (1620), guardando una carta geografica, aveva rile-

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vato una complementarità tra le coste dell’Africa e quelle dell’America meridionale.All’inizio dell’800 l’esploratore e naturalista tedesco A. von Humboldt suggerì che i duecontinenti fossero un tempo uniti e cercò anche di spiegare le cause della separazione,ipotizzando che l’Oceano Atlantico fosse originariamente un’enorme valle scavata da unacorrente marina.Nel 1858 A. Snider-Pellegrini parlò dell’esistenza di un unico vasto continente che, aseguito del diluvio universale, si fratturò e si divise in più parti provocando la deriva deicontinenti circumatlantici (AA.VV., 1995).Tutte queste ipotesi avevano in comune (oltre alle osservazioni geografiche) la difficoltà acollocare storicamente fenomeni avvenuti in un passato che non si riusciva a capire quantofosse antico (si parlava ancora di millenni). Questa situazione fu progressivamente supera-ta quando, verso il 1873, grazie al geologo inglese C. Lyell, si comprese che la misura deltempo geologico (e quindi della storia della Terra) andava calcolata in milioni di anni.

4.2.2. La deriva dei continenti secondo Taylor …Il vero precursore del mobilismo fu l’americano F.B. Taylor che nel 1910 pubblicò laprima coerente formulazione della deriva continentale basata sullo studio della distribu-zione delle catene montuose nell’Eurasia, evidenziando la direzione e l’entità dei movi-menti della crosta. Egli immaginava un lento slittamento del blocco euroasiatico da Nordverso Sud. La penisola indiana, agendo da ostacolo, aveva causato “l’arricciamento”dell’Himalaya e dell’Altipiano del Pamir. Allo stesso modo il blocco africano agendo daostacolo, causò la formazione delle Alpi. Infine, con lo stesso fenomeno, Taylor spiegòl’origine delle catene circumpacifiche arrivando a vedere, nell’uncinatura verso orientedella Terra del Fuoco, un ritardo nel movimento di questa regione verso occidente rispet-to alla massa principale del continente sudamericano.La teoria ideata da Taylor ricevette scarsi consensi soprattutto a causa delle eccentrichespiegazioni proposte a giustificare le proprie affermazioni: egli infatti ipotizzò che,durante il Cretaceo, la Luna si fosse staccata dalla Terra e la sua vicinanza con il nostropianeta avrebbe creato delle maree terrestri così imponenti da provocare la deriva deicontinenti (Bosellini, 1989).

4.2.3. …e secondo WegenerIl più illustre rappresentante del mobilismo dell’inizio del ’900 fu il tedesco AlfredWegener, il quale elaborò la sua teoria in vari scritti tra il 1910 e il 1929. Anch’egli partìdalla somiglianza delle coste dell’Africa e dell’America meridionale, ma vi aggiunseulteriori osservazioni che rappresentavano delle prove a sostegno della sua teoria:

• la concordanza delle strutture geologiche e litologiche, per esempio: lo scudogneissico dell’Africa presenta molte somiglianze con quello del Brasile; la catenadella Provincia del Capo, in Sud Africa, pare trovare la sua continuazione nelle cate-ne della provincia di Buenos Aires, in Argentina; le catene montuose dell’Europaoccidentale sembrano proseguire nelle province canadesi di Terranova e dellaNuova Scozia;

• la somiglianza delle province minerarie: molti giacimenti presenti in Africa e in SudAmerica contengono minerali con le stesse caratteristiche geochimiche e strutturali;

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• la presenza in Siberia di carbone fossile, che indica condizioni climatiche umide e,quando i depositi sono molto estesi e potenti, significa probabile presenza di un’anti-ca lussureggiante vegetazione di tipo tropicale;

• le tracce di glacialismo rappresentate dai depositi glaciali, detti tilliti, di età permo-carbonifera in zone equatoriali e sud-tropicali quali Sud America, Sud Africa, India,Australia. Questi depositi dimostravano chiaramente che alla fine del Paleozoicoquelle terre erano state interessate da una vera e propria glaciazione;

• fossili terrestri uguali su continenti oggi separati dall’oceano, per esempio: i restifossili dei rettili Cynognathus e Mesosaurus e di Glossopteris, simile ad una felce,vissuti entrambi tra i 300 e i 350 milioni di anni fa, sono stati rinvenuti in Africa meri-dionale, in Sud America, in Antartide, in India e in Australia (Fig. 31).

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Figura 31Posizione dei continenti quando erano aggregati nei supercontinenti di Laurasia a Nord e

di Gondwana a Sud, durante il Paleozoico superiore. Resti fossili di organismi legati alle

terre emerse, come i rettili Cynognathus e Mesosaurus e la felce arborea Glossopteris,

testimoniano la contiguità di masse continentali oggi ampiamente separate da vaste

estensioni oceaniche.

Sulla base di questi elementi Wegener ricostruì la forma del supercontinente Pangea(Pan = tutto; geos = terra) circondato dal grande oceano Panthalassa (Pan = tutto;thalassa = mare) così come appariva alla fine dell’era Paleozoica. All’inizio delMesozoico (circa 250 milioni di anni fa) la Pangea si sarebbe spaccata e suddivisa ingrandi blocchi che successivamente iniziarono ad andare alla deriva sulla superficieterrestre, separandosi sempre più tra loro. La separazione tra Africa e Sud Americasarebbe iniziata nel Cretaceo, così come quella tra Nord America ed Europa. Nelcorso della sua deriva verso Ovest, lungo l’intero continente americano si sarebberoformate le catene montuose occidentali (Ande, Sierre, Montagne Rocciose, …) men-tre le Antille e l’uncino della Patagonia, essendo in ritardo sul movimento di deriva,sarebbero rimasti indietro, nell’Atlantico. Secondo Wegener l’Oceano Indiano iniziòad aprirsi nel Giurassico, mentre a partire dal Cretaceo la parte settentrionaledell’India (che si stava muovendo verso Nord) si “arricciò” formando la catenadell’Himalaya. Infine l’Australia e la Nuova Guinea persero ogni legame conl’Antartide circa 50 milioni di anni fa.Così come era avvenuto per Taylor, anche in questo caso la teoria della deriva dei conti-nenti non ebbe molto successo e ricevette numerose critiche poiché Wegener non spie-gò in modo soddisfacente quali potevano essere le cause di questa complessa dinamicacrostale: egli, infatti, parlò di forze gravitazionali differenziali dovute alla forma dellaTerra (testimoniate dallo sferoide schiacciato ai poli), di maree terrestri, di rigonfiamen-ti della superficie terrestre che indurrebbero la crosta a spostarsi lateralmente per gravitàonde poter ristabilire l’equilibrio. In effetti Wegener concentrò la sua attenzione soprattutto sulla ricerca delle proveper sostenere la sua teoria, mentre trascurò la sua giustificazione: tuttavia noi oggisappiamo che in quegli anni non esistevano ancora gli strumenti teorici e pratici chepotessero spiegare in modo convincente le corrette osservazioni del geologo tedesco(Bosellini, 1989).

4.2.4. Nuovi importanti contributiNegli stessi anni (dal 1921), ulteriori contributi alla teoria della deriva dei continenti furo-no portati dal geologo sudafricano A.L. Du Toit, il quale evidenziò come essa fosse ingrado di armonizzare le storie geologiche dell’America meridionale e dell’Africa. DuToit si differenziò da Wegener proponendo l’esistenza di due supercontinenti primordia-li (Fig. 31) chiamati Laurasia (a Nord) e Gondwana (a Sud). La prima comprendevaNord America, Groenlandia, Europa ed Asia; la seconda era costituita da Sud America,Africa, Antartide, Australia, Nuova Zelanda, India, Sri Lanka e Madagascar. Secondo DuToit, questi due supercontinenti si frammentarono e, dopo reciproche collisioni, genera-rono l’attuale distribuzione dei continenti (Bosellini, 1989).Nel 1929 il geologo inglese A. Holmes sostenne che la deriva dei continenti fosse dovu-ta a fenomeni di convezione localizzati nel mantello. In base a questa teoria, la crostacontinentale rigida si muove trasportata sullo strato sottostante, plastico, a contatto conle celle convettive. La crosta continentale si spezza e viene trascinata in direzioni oppo-ste; i due fronti, incontrando un forte attrito, si deformano, si trasformano in rocce piùdense e sprofondano formando così una fossa (York, 1979).

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4.3. LA TETTONICA DELLE PLACCHE

4.3.1. La teoria di Hess e il paleomagnetismoNel 1961 l’americano H. Hess, vero precursore della tettonica delle placche, mise insie-me le informazioni ottenute dallo studio dei fondali oceanici, che rappresentarono lagrande novità scientifica del secondo dopoguerra. Utilizzando l’idea di Holmes dellecelle convettive, Hess ipotizzò che il materiale caldo risalga al di sotto delle dorsali, sidivida in due rami divergenti, si raffreddi allontanandosi, si appesantisca e quindi torni inprofondità chiudendo il ciclo e originando forti attriti (da cui i terremoti).L’interpretazione di Hess era solo una supposizione; la prova che mancava al geologoamericano fu fornita dal paleomagnetismo. Agli inizi degli anni ’60, grazie all’avventodi nuovi strumenti e di metodologie analitiche furono infatti scoperte le anomalie magne-tiche sui fondali oceanici, con la loro distribuzione in fasce parallele alle dorsali oceani-che, alternativamente positive e negative.Nel 1963 Vine e Matthews le interpretarono come prova dell’espansione dei fondalioceanici, avvalorando la teoria di Hess (AA.VV., 1995; Tazieff, 1983; York, 1979).

4.3.2. Le placche litosferiche

In questa prospettiva il canadese Wilson elaborò la teoria della tettonica delle placchedi cui è considerato il fondatore: si tratta di un’elaborazione globale dei grandi fenome-ni geologici che avvengono sulla Terra e permette una ricostruzione di quanto avvenutonelle passate ere geologiche. Nel complesso questa teoria utilizza tutte le conoscenze cheerano andate accumulandosi nel corso dei secoli.Secondo la teoria della tettonica delle placche, la litosfera è smembrata in un certo nume-ro di placche relativamente rigide; esse sono di dimensioni molto variabili (Fig. 32) e simuovono le une rispetto alle altre scorrendo sui materiali plastici dell’astenosfera. Nel1968 venne proposto il modello globale basato su 6 placche: americana (distinta in plac-ca Nord-americana e Sud-americana), eurasiatica, africana, indo-australiana, antarti-ca e pacifica. Successivamente ne sono state identificate altre più piccole tra cui le piùimportanti sono le seguenti: di Nazca, delle Cocos, caraibica, turca, filippina, araba eadriatica. Altre placche minori sono quella egea, somala, delle Nuove Ebridi, di Tonga, … Sulla stessa placca litosferica sono presenti aree continentali e oceaniche. Le placche simuovono le une rispetto alle altre (Fig. 33); il loro movimento è tuttora in corso ed è del-l’ordine di alcuni mm o pochi cm all’anno (AA.VV., 1995; Press & Siever, 1985, 1997;Ricci Lucchi, 1996). In base al tipo di movimento relativo tra placche adiacenti, si possono definire 3 diversitipi di margini: divergenti, convergenti, trascorrenti (Fig. 34).

� Margini divergenti: le placche litosferiche si allontanano le une dalle altre e si accre-scono attraverso la formazione di nuova litosfera. La maggior parte dei margini diver-genti è sommersa dalle acque degli oceani, quindi è di difficile osservazione (e perquesto motivo poco nota a livello divulgativo). La produzione di nuova litosferaavviene in seguito ad eruzioni sottomarine che si verificano in corrispondenza delledorsali oceaniche: queste catene di rilievi non hanno un andamento continuo, ma

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Figura 32Distribuzione delle placche litosferiche e dei diversi tipi di margine che le separano,

delle dorsali oceaniche (margini divergenti), delle zone di subduzione (margini conver-

genti) e dei principali apparati vulcanici, acidi (cerchio bianco) e basici (cerchio nero).

Figura 33Movimento delle placche litosferiche lungo i margini divergenti, dove si aprono le dorsali, e

lungo i margini convergenti, dove avviene la subduzione di una placca sotto l’altra (da

Neviani & Pignocchino Feyles, 1997 modificato).

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Figura 34Caratteristiche dei diversi tipi di margine delle placche litosferiche, dei movimenti che si verificano e delle strutture che si realizzano.

sono interrotte dalle faglie trasformi, originate dalle diverse velocità di allontana-mento delle placche, che dislocano anche gli assi delle dorsali (ovvero i luoghi in cuisi attua l’espansione degli oceani) e interrompono la continuità della crosta. I margi-ni divergenti sono caratterizzati da un vulcanismo effusivo (basaltico), da terremotia ipocentro poco profondo (in genere meno di 70 km) e da elevati valori di flusso dicalore. (AA.VV., 1995; Press & Siever, 1985, 1997). La formazione di un nuovo margine divergente all’interno della porzione continenta-le di una placca è causata dalla risalita, all’interno del mantello superiore, di una partedi astenosfera con conseguente aumento della temperatura e del volume della litosfe-ra. L’inarcamento di quest’ultima è seguito dalla fratturazione superficiale dellacrosta, dalla formazione di una (o più) depressione allungata detta rift (es. Rift Valleynell’Africa orientale). Gli stadi evolutivi successivi prevedono l’allargamento del rifte la formazione di un braccio di mare stretto (es. l’attuale Mar Rosso) e la progressi-va espansione oceanica (es. Oceano Atlantico) (AA.VV.,1995).

� Margini convergenti: le placche litosferiche tendono ad avvicinarsi finché una siimmerge sotto l’altra lungo un piano inclinato (detto piano di Benjoff), sprofondanell’astenosfera e viene completamente riassorbita. Le manifestazioni del processo disubduzione in atto lungo questi margini sono l’intensa attività sismica (i cui ipo-centri sono allineati lungo il piano di Benjoff), l’attività vulcanica generalmenteesplosiva e devastante, i complessi processi metamorfici. A seconda che ad andarein subduzione sia la placca oceanica o quella continentale, si distinguono due tipi dimargini convergenti:

• Margini convergenti di subduzione: viene subdotta (ovvero sprofonda) la litosfe-ra oceanica. Se entrambe le placche sono costituite da litosfera oceanica il mar-gine è caratterizzato dalla presenza di una fossa oceanica e un arco vulcanicoinsulare (esempio: Isole Marianne); se la litosfera oceanica è subdotta a quellacontinentale, il margine è caratterizzato da una fossa oceanica e un arco mag-matico continentale (esempio: Ande).

• Margini convergenti collisionali: viene subdotta la litosfera continentale. Seentrambe le placche sono costituite da litosfera continentale lungo il marginefortemente deformato si originano imponenti catene montuose (esempi: Alpi,Urali, Himalaya); se la placca sovrastante è costituita da litosfera oceanicamentre quella in sottoscorrimento è rappresentata da litosfera continentale ilsistema si caratterizza per la formazione di una zona di notevole raccorcia-mento (es. Taiwan).

� Margini trascorrenti: le due placche scorrono l’una accanto all’altra. L’attivitàmagmatica è assente, mentre si verificano terremoti poco profondi e perciò deva-stanti. La situazione più nota e studiata è quella californiana, dove si assiste al movi-mento relativo verso Nord della placca pacifica rispetto a quella nordamericana. Loscorrimento delle due placche avviene lungo un fascio di faglie subparallele di cui lapiù nota è la faglia di San Andreas (AA.VV., 1995).

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Le catene montuose si formano a seguito della collisione di due placche e nel corso di600 milioni di anni si possono riconoscere 3 grandi eventi orogenetici:

• orogenesi caledoniana: avvenuta nel corso dell’Ordoviciano-Siluriano (500-400milioni di anni fa);

• orogenesi ercinica: avvenuta nel corso del Carbonifero-Permiano (350-250 milioni dianni fa);

• orogenesi alpina: avvenuta tra la fine del Cretaceo e il Terziario (ultimi 70 milioni dianni).

4.4. DIFFERENZE TRA DERIVA DEI CONTINENTI E TETTONICA DELLE PLACCHE

Spesso nei libri di testo le due teorie vengono affrontate creando confusione in quantoalcuni termini vengono usati impropriamente, per cui diventa necessario specificare leprincipali differenze che distinguono queste due teorie (Fig. 35).

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Figura 35Elementi che caratterizzano e differenziano la teoria della deriva dei continenti dalla

teoria della tettonica delle placche.

4.5.CRITICA ALLA TEORIA DELLA TETTONICA DELLE PLACCHE

4.5.1. Riconoscimento di situazioni problematiche

• È chiara la cinematica locale del movimento delle placche, mentre è più incerta ladinamica globale.

• Non esiste crosta oceanica più antica del Giurassico.• Nella fossa delle Aleutine la crosta che si sta consumando è quella più giovane.• In conseguenza dell’apertura dell’Atlantico, nelle fosse del Pacifico lungo il Sud

America avrebbero dovuto consumarsi almeno 7.000 km di fondo oceanico poiché ildiametro della Terra rimane costante. In queste fosse si sarebbe dovuta accumulareanche una gran quantità di sedimenti che, essendo poco coerenti e plastici, non avreb-bero potuto essere subdotti, ma solo deformati. L’analisi di alcune parti della fossa con-tigua al Perù e al Cile rivela che questi sedimenti non ci sono o non sono deformati.

4.5.2. Proposta di una teoria alternativa

• Definizione: teoria dell’espansione della Terra.• Principale autore: S.W. Carey (1975-1977).• Presupposto: la Terra non ha mantenuto un volume costante, ma nel tempo si è espansa.• Situazione di partenza: alla fine del Paleozoico il globo terrestre era costituito da cro-

sta continentale (Pangea) che avvolgeva in modo continuo il nucleo. La Terra avevaun raggio di circa 3.500 km.

• Evoluzione: il nucleo si sarebbe progressivamente espanso fino a far quasi raddop-piare il raggio terrestre e a far aumentare di 8 volte il volume della Terra. L’involucrocrostale, costretto a rompersi, si lacera in tanti lembi.

• Origine ed espansione dei fondali oceanici: i lembi crostali (corrispondenti alle plac-che) si allontanano l’uno dall’altro e in mezzo ad essi si forma nuova crosta oceani-ca. In tal modo si ammette l’espansione dei fondali oceanici e la deriva dei continen-ti senza chiamare in causa i moti convettivi.

• Apertura della crosta: non è stata simmetrica, né contemporanea. Nel Pacifico setten-trionale la lacerazione sarebbe iniziata prima (Giurassico), nel Pacifico meridionaledopo (Cretaceo).

• Origine delle montagne: diapiri magmatici che risalgono nel mantello riscaldatolocalmente dal calore radiogenico. Facendo riferimento al diapirismo e all’isostasia sielimina il meccanismo della subduzione.

• Terremoti: la risalita diapirica provoca tensioni tra le rocce e quindi terremoti.• Pieghe e falde: non sono il risultato di una compressione, ma piuttosto di una dilatazione.

4.5.3. Prove a favore della teoria di Carey

• Studi sismici hanno mostrato che all’interno della catena montuosa dell’Himalaya c’èrisalita di materiale astenosferico.

• Nel Mediterraneo vi può essere risalita diapirica: la crosta del Tirreno si sta assotti-gliando e vi è un forte flusso termico proveniente dalle zone più profonde della lito-sfera. Questo fenomeno non è facilmente spiegabile con la tettonica delle placche.

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4.6. RELAZIONI DISCIPLINARI

La teoria della tettonica delle placche permette di giustificare la distribuzione dei vulca-ni e delle aree sismiche sulla superficie terrestre, consentendo di ottenere una visione glo-bale dei diversi fenomeni endogeni e delle loro conseguenze (orogenesi, formazione dellearee oceaniche, Fig. 32).

4.7. IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

In alcuni libri è possibile che vengano ancora riportate delle teorie e dei termini ormaisuperati. Ecco alcuni esempi di imprecisioni:� Alcuni libri usano ancora i termini SIAL, SIMA e NIFE in sinonimia rispettivamen-

te di crosta, mantello e nucleo.� Talvolta Wegener viene indicato come l’autore della tettonica delle placche.� La maggior parte degli autori parla di placche crostali (e non litosferiche) che si muo-

vono sul mantello (e non sull’astenosfera).� Le definizioni dello stato fisico di mantello e astenosfera sono spesso ambigue e indu-

cono gli allievi a pensare che essi siano liquidi. � La tettonica delle placche viene talvolta interpretata come il motore della deriva dei

continenti.

4.8. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 1995 – La formazione delle rocce: vecchi problemi e nuovi modelli. ANISN,Sezione Piemonte: 100 pp.BOSELLINI A., 1989 – Tettonica delle Placche e Geologia. Bovolenta : 143 pp.CAREY S.W., 1975 – The expanding earth – an essay review. Earth Sc. Reviews, 11: 105-143.CAREY S.W., 1977 – The expanding earth: developments. Geotectonics Series, 10: 488 pp.CAREY S.W., 1986 – La terra in espansione. Biblioteca Cultura Moderna, Editore Laterza,Roma: 345 pp. LILLO B.J., 1993 – Errores conceptuales de los alumnos de EGB sobre la formación delas montañas. Enseñanza de las Ciencias de la Tierra, 1 (2): 98-106.NEVIANI I. & PIGNOCCHINO FEYLES C., 1997 – Geografia generale. SEI: 564 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1985 – Introduzione alle Scienze della Terra. Zanichelli: 562 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1997 – Capire la Terra. Zanichelli: 648 pp.RICCI LUCCHI F., 1996 – La Scienza di Gaia. Ambienti e sistemi naturali visti da un geo-logo. Zanichelli: 390 pp.TAZIEFF H., 1983 – Vulcani e tettonica. Dal vulcanesimo alla deriva dei continenti.Biblioteca di Monografie Scientifiche (BMS 41), Zanichelli: 98 pp.YORK D., 1979 – Il pianeta Terra. Universale scientifica Boringhieri: 197 pp.

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5. Il vulcanismo

5.1. INQUADRAMENTO GENERALE

5.1.1. Il vulcanismo nella storia della TerraL’uomo tende spesso ad identificare il vulcano solo come la montagna a forma di troncodi cono che può causare eruzioni disastrose o spettacoli meravigliosi. Tuttavia il vulca-nismo rappresenta molto di più di qualche episodio più o meno drammatico o spettaco-lare in quanto esso è stato e continua ad essere un fenomeno fondamentale per la storiadella Terra (Fig. 36). È infatti grazie all’intensa attività vulcanica sottomarina che sisono formati i fondali oceanici e conseguentemente si verificano i movimenti divergentidelle placche in corrispondenza delle dorsali oceaniche. L’intensa attività vulcanica pri-mordiale causò un elevato effetto serra che compensò un irraggiamento solare per 1/4inferiore a quello attuale permettendo, circa 3,5 miliardi di anni fa, la comparsa delleprime forme di vita (batteri anaerobi) sulla Terra (Zullini, 1997). Senza di essa la Terrasi sarebbe trovata ad una temperatura media di circa –15°C, in presenza quindi esclusi-vamente di acqua solida. L’attività vulcanica sottomarina ha condizionato la salinità deimari e, nel corso del tempo geologico, è stata proprio la costante esalazione di biossidodi carbonio (CO2) da parte dei vulcani a consentire lo sviluppo degli organismi fotosin-

tetici prima in acqua e poi sulle terre emerse. Tali organismi costituirono la base dellacatena alimentare e arricchirono di ossigeno le acque e l’atmosfera, permettendo unamigliore resa dei processi metabolici attraverso la realizzazione della respirazione aero-bica.

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Figura 36Eventi rilevanti nella storia della Terra connessi con l’attività vulcanica.

Infine le polveri e le ceneri vulcaniche hanno reso i suoli più fertili, le fumarole solforo-se hanno consentito l’arricchimento locale di solfuri, (Tazieff, 1983), così come l’intru-sione dei filoni magmatici ha prodotto concentrazioni di minerali di rame, ferro, zinco,manganese, piombo, mercurio, noti come giacimenti metalliferi.Sulla Terra esistono migliaia di vulcani ma solo poche centinaia di essi sono attivi: la loroesistenza rappresenta forse la testimonianza più evidente della dinamicità e della “vitali-tà” del sistema Terra. Sebbene l’attività dei vulcani sia spesso associata ad un significa-to di pericolo e di distruzione, essi svolgono anche un’intensa attività di costruzione inquanto attraverso essi avviene la continua formazione di nuova crosta terrestre.Affrontare il tema del vulcanismo rappresenta dunque un’occasione unica per scopriremolteplici significati ed applicazioni legate ad un argomento di grande attualità e connotevoli potenzialità interdisciplinari.

5.2. IL VULCANISMO: I FONDAMENTI DISCIPLINARI

I vulcani possono essere definiti come strutture formatesi dalla fuoriuscita di materialefuso (magma) attraverso spaccature della crosta terrestre. Infatti, in certi punti in cuila litosfera è fratturata o indebolita il magma risale e una parte di esso può raggiungerela superficie e venire alla luce come lava.Il magma è una miscela silicatica parzialmente fusa presente all’interno della crosta ter-restre, in cui sono disciolti numerosi gas; la lava differisce dal magma originario perchéi componenti volatili (ossia i gas) sono stati parzialmente perduti, in quanto ceduti all’at-mosfera o all’oceano, mentre altri composti chimici sono stati acquisiti o perduti duran-te la risalita verso la superficie (Press & Siever, 1985, 1997; Ricci Lucchi, 1996).

� Il magma si dice acido se la quantità di silice (SiO2) presente è >65%; di conse-guenza il materiale è denso, viscoso, scorre lentamente e se ricco di gas originadelle eruzioni esplosive, oppure, se povero di gas, dà origine a duomi o a colatebrevi e molto dense.

� Il magma si dice basico se la quantità di silice presente è <52%; di conseguenza ilmateriale è fluido, poco viscoso, scorre rapidamente e origina delle eruzioni effusi-ve, fontane di lava e colate estese.

Il materiale magmatico proviene dalla parte profonda della litosfera o dalla parte supe-riore dell’astenosfera (Fig. 37) (Press & Siever, 1985, 1997; Ricci Lucchi, 1996).

La distribuzione dei vulcani sulla superficie terrestre non è casuale (Fig. 38): essi si tro-vano soprattutto ai margini delle placche e delle microplacche litosferiche, lungo i mar-gini divergenti (dorsali oceaniche) e convergenti (archi magmatici e vulcanici). La maggior parte dell’attività vulcanica è sottomarina ed è concentrata lungo le dor-sali oceaniche: è stato infatti stimato che, in corrispondenza di esse, ogni anno venganoprodotti 3 km3 di rocce basaltiche e 18 km3 di rocce intrusive. Le lave basaltiche, fruttodi eruzioni sottomarine, sono assai caratteristiche e vengono chiamate “lave a cuscini”

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(pillow lavas) per le loro tipiche strutture. Infatti quando il magma fuoriesce da una spac-catura del fondo marino, giunge a contatto con l’acqua e si raffredda bruscamente nellaparte più esterna, formando un involucro solido, ma sottile e parzialmente flessibile chesi deforma con il progressivo fluire delle porzioni di lava ancora fusa. Con l’arrivo di

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Figura 37Nell’astenosfera parzialmente fusa si origina il magma basaltico, che, dopo aver attra-

versato la litosfera, raggiunge la superficie e viene emesso come lava basaltica (da Press

& Siever, 1985).

Figura 38Rappresentazione schematica della relazione tra le manifestazioni del vulcanismo e la

posizione dei margini divergenti e convergenti delle placche, dove rispettivamente si

forma e si distrugge la litosfera (da Press & Siever, 1985).

nuovo magma, la pressione finisce col lacerare l’involucro solido e il magma crea dellestrutture a forma di bulbo o tubolari che, raggiunta una massa critica, possono staccarsie formare cuscini indipendenti. Il loro diametro varia da circa 10 cm ad oltre 1 m e pos-sono essere lunghi diversi metri (AA.VV., 1995).La presenza di vulcani all’interno di una placca è causata dal fenomeno dei punti caldi(hot spots) i quali rappresentano le manifestazioni sulla superficie terrestre di getti o “pen-nacchi” di materiale caldo in grado di risalire dalle zone profonde del mantello, perfo-rando la litosfera e originando dei centri vulcanici. Queste correnti a forma di colonna,sono presumibilmente fisse nel mantello e non si muovono insieme alle placche. Di con-seguenza quando una placca vi passa sopra si forma una successione di vulcani che unodopo l’altro si estinguono e che quindi appaiono sempre più antichi man mano che ci siallontana da quello ancora attivo. Un tipico esempio di questa situazione è dato dall’alli-neamento delle Isole Hawaii e del Banco dell’Imperatore (al largo della penisola dellaKamchatka). Le isole dell’arcipelago hawaiano sono state formate da un’unica sorgente dilava sulla quale la placca pacifica è andata transitando negli ultimi 75 milioni di anni,muovendosi in direzione Nord-Ovest. Al termine occidentale delle Isole Hawaii, oltrel’Isola di Midway, inizia una catena di monti sottomarini (la Catena dell’Imperatore) chepunta verso nord, cambiando bruscamente direzione. Si suppone che il cambiamento didirezione (avvenuto circa 40 milioni di anni fa) sia dipeso da una rotazione della placcapacifica. Il rilievo sommerso più antico della Catena dell’Imperatore si è formato circa 75milioni di anni fa; Midway, posta all’estremità occidentale della catena hawaiana, ha un’e-tà di circa 25 milioni di anni, mentre il vulcano Kilauea, sull’isola di Hawaii (all’estremi-tà orientale della catena) è tuttora in attività (Bosellini, 1989).

L’attività vulcanica spesso è preceduta o accompagnata da un’attività sismica (più omeno vivace) la cui intensificazione può assumere un significato rilevante (segnali pre-monitori) soprattutto nel caso di un’attività esplosiva.Un vulcano può restare in uno stato di quiescenza anche per lunghi intervalli di tempo:questo però non significa che al suo interno non siano in corso delle attività. Durante le eruzioni possono essere emessi materiali fluidi (lava), gassosi (biossido di car-bonio, vapore acqueo, biossido di zolfo,…), solidi (lapilli, ceneri, bombe, blocchi).

Le eruzioni possono essere classificate (Fig. 39) in base alla pericolosità crescente (Kraft,1993):

• hawaiane: sono caratterizzate da fontane di lava e da emissione continua e tranquil-la di estese colate di lava molto fluida, che talvolta si raccoglie in veri e propri laghi;

• stromboliane: sono caratterizzate da getti intermittenti di lapilli e di gas, alternati abrevi effusioni laviche;

• vulcaniane: si tratta di emissioni violente di frammenti di lava, gas e vapori carichidi ceneri, alternate a lunghi periodi di quiescenza dovuti all’ostruzione del cratere permezzo di un tappo di lava;

• peleane (dalla montagna Pelée dell’isola di Martinica): la lava è talmente viscosa daostruire il condotto formando una sorta di tappo. Spinto dalla pressione dei gas, il

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tappo sale lentamente e dai fianchi del vulcano fuoriescono nubi ardenti. I depositilasciati da una nube ardente non presentano tracce di stratificazione e al momento dellaloro deposizione i frammenti sono ancora caldi e perciò plastici; successivamente sicompattano e si saldano fra loro per formare tufi saldati o ignimbriti. Sui continentisono note vaste coltri di ignimbriti, dette anche depositi di nube ardente, con spessorisuperiori ai 100 m ed estese per centinaia di km2 (Press & Siever, 1985, 1997);

• pliniane (dal nome dello scrittore latino Plinio il Giovane che descrisse l’eruzione delVesuvio del 79 d.C.): iniziano con l’esplosione della sommità di un vulcano a lungo“inattivo”, a cui fa seguito l’emissione di enormi quantità di lapilli, pomici, ceneri egas spinti a notevolissima altezza, la cosiddetta colonna eruttiva pliniana (chiamata daPlinio “pino vulcanico”), che successivamente collassa su se stessa, determinando iflussi piroclastici.

Le eruzioni possono essere (Press & Siever, 1985, 1997):

• lineari: la lava è molto fluida e fuoriesce da fessure strette e lunghe. Queste eruzionisono strettamente legate all’espansione dei fondi oceanici oppure possono originaredei plateaux basaltici (esempi: plateaux del Deccan, della Colombia, del Paranà);

• centrali: la sorgente del magma è praticamente puntiforme; i materiali provengonoda un camino (o condotto) vulcanico e originano un edificio vulcanico elevato e spes-so di forma conica o a scudo.

I lahars sono colate di fango e detriti vulcanici che si formano quando (Press & Siever,1985, 1997):

• una nube ardente incontra un corso d’acqua o un bacino lacustre;

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Figura 39Classificazione dei diversi tipi di eruzione ordinati secondo la pericolosità crescente.

• il magma si apre una breccia in un lago craterico che improvvisamente si svuota;• la porzione di un ghiacciaio viene fusa da colate laviche o nubi ardenti;• per interazione tra acque freatiche e gas caldi che, risalendo lungo fratture, le trasfor-

mano in una massa di fango bollente che genera un evento alluvionale.

I diatremi sono corpi più o meno cilindrici aventi una notevole estensione verticale eriempiti di brecce formate essenzialmente da materiale incassante (D’Amico et al.,1988). Lo Shiprock che si eleva nel New Mexico per 515 m sopra le rocce sedimentariepianeggianti che lo circondano, rappresenta un bellissimo esempio di diatrema messo anudo dall’erosione delle rocce sedimentarie, entro cui era un tempo contenuto.

L’edificio vulcanico (Fig. 40), legato al tipo di vulcanismo, presenta diverse forme(Biancotti, 1998; D’Amico et. al., 1988):

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Figura 40Tipi di attività eruttiva e di edifici vulcanici.

� Vulcani a scudo: la lava eruttata è basica (povera di silice) e molto fluida. I versantisono poco inclinati e mostrano pendenze comprese tra 6° e 12°, dovute all’intensoscorrimento della lava. Possono essere distinti in vulcani di tipo islandese (che rag-giungono al massimo l’altezza di 1.000 m) e di tipo hawaiano (superano l’altezza di4.000 m).

� Vulcani a cupola (o duomi esogeni): non c’è un cratere perché è stato riempito dilava molto viscosa che si è solidificata rapidamente. La struttura è tondeggiante, conpendenze accentuate (esempio: duomi riolitici di Lipari).

� Vulcani misti o stratovulcani: l’attività effusiva è alternata all’attività esplosiva. Ilcono vulcanico è costituito dall’alternanza di colate laviche e strati piroclastici. Sottola superficie si ramificano più condotti (esempi: Vesuvio, Stromboli, Monte St.Helens, Fujiyama.).

� Vulcani di ceneri: sono dei tipi di stratovulcani formati dalle ceneri e dai detriti chesi accumulano con una pendenza accentuata. I frammenti più grossi, che ricadonopresso la sommità dell’edificio, possono dare luogo a versanti con pendenze superio-ri ai 30°. I materiali più fini, trasportati a maggiore distanza dalla bocca, formano, allabase del cono, versanti meno ripidi con una pendenza di circa 10° (es. Vulcano).

� Caldere: sono delle ampie depressioni di forma circolare che si creano quando unacamera magmatica viene svuotata e non è più in grado di sostenere parte del conosovrastante (es. Campi Flegrei, Monte Somma, Vulcano). Lo sprofondamento puòverificarsi in modo catastrofico o graduale, lasciando una depressione a fondo piattoe a pareti ripide, anche di diversi chilometri di diametro. Al suo interno si può for-mare un nuovo cono o un lago (es. Crater Lake).

Per attività vulcaniche non si devono intendere solo i fenomeni più appariscenti e cata-strofici (esempi: le disastrose esplosioni, le colate di lava, le piogge di ceneri e lapilli) maanche altri fenomeni assai più modesti di vulcanismo secondario (Fig. 41), quali le sor-genti calde, i geysers, i soffioni boraciferi, le solfatare, le fumarole.

� Sorgenti calde: sono dovute a vapore acqueo e ad altri gas che salgono dai magmiche solidificano in profondità e che sono ancora in via di raffreddamento. Questi gase vapori incontrano, durante la loro risalita, falde acquifere che vengono scaldate. Inquesto modo, quando l’acqua giunge in superficie emerge come acqua o sorgentetermale (con temperature comprese tra 30°C e 40°C, mentre oltre i 40°C si parla di

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Figura 41Principali fenomeni legati all’attività vulcanica secondaria.

sorgenti ipertermali). Le acque termali di origine vulcanica sono generalmente ricchedi sali estratti durante la risalita dei fluidi caldi e di gas disciolti e in alcuni casi ven-gono utilizzate a scopo terapeutico (esempi: Ischia, Abano).

� Geysers: sono sorgenti termali calde che emettono dei violenti getti d’acqua e vapo-re verso l’alto, ad intervalli più o meno regolari e ad altezze varianti da qualche metroa decine di metri e, eccezionalmente, ad oltre un centinaio di metri. Il termine derivadalla parola islandese geysir che significa “getto” e fin dal ’600 era usato per indica-re alcune particolari sorgenti termali dell’Islanda sud-occidentale. I geysers sonofenomeni naturali non frequenti, che si rinvengono soprattutto nelle aree ad attivitàvulcanica recente. Quasi ovunque l’acqua è ricca in silice che precipita nella fase diraffreddamento originando attorno al “cratere” un anello composto di una varietà diopale detta geyserite. Le regioni nelle quali i geysers sono presenti in maggiori quan-tità sono il Parco Nazionale di Yellowstone nel Wyoming (USA), l’Islanda, la NuovaZelanda e, secondariamente, Alaska, Cile, Tibet, Giappone.

� Soffioni boraciferi: sono getti caldissimi (200°-300°C) e ad elevata pressione (sinoa 6 atm) di vapore acqueo ricco di acido borico e solfidrico, biossido di carbonio eammoniaca. In Italia sono frequenti in Toscana (Larderello), dove vengono usati perprodurre energia.

� Solfatare: sono sorgenti di vapore d’acqua surriscaldato (130°-165°C) contenentibiossido di carbonio e acido solforico (H2SO4) da cui può derivare per riduzione lo

zolfo libero che si deposita attorno alle bocche d’uscita di queste sorgenti. In Italia lasolfatara più nota è quella di Pozzuoli.

� Putizze: si tratta di emissioni di acido solfidrico (H2S) e di ossidi di zolfo (SO2 e

SO3), associate alle sorgenti minerali sulfuree. Il nome ricorda l’odore disgustoso del-

l’acido solfidrico che viene emanato misto ad altri gas.

� Fumarole: sono emanazioni di gas vulcanici e di vapori che sfuggono, con maggio-re o minore forza, da fratture esistenti nei crateri, lungo la superficie di un vulcano.In Italia sono famose quelle dei Campi Flegrei in Campania.

� Mofete: sono emissioni fredde di biossido di carbonio. Le più famose si trovanonell’Isola di Giava (Valle della Morte) e presso Pozzuoli (Grotta del Cane).

� Bradisismo: è un processo in cui si producono lenti movimenti locali di innalzamento(movimento positivo) o di abbassamento (movimento negativo) di un’area rispetto aquelle limitrofe, causati dalle variazioni di pressione nelle masse magmatiche sotto-stanti. Un tipico esempio di questa alternanza di movimenti, si trova nell’area diPozzuoli ed è documentato dai ruderi del tempio dedicato a Giove Serapide; di essosono rimaste tre colonne, che presentano perforazioni causate da litodomi (bivalvi mari-ni) fino ad un’altezza di circa 7 m sopra l’attuale livello del mare. Questo fenomeno siè verificato in quanto il tempio, edificato in epoca romana, si è abbassato di alcuni metrifino ad essere parzialmente sommerso dal mare, per poi riemergere nuovamente.

Quando il magma, invece di fuoriuscire sulla superficie terrestre diventando lava, rimane

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all’interno della crosta terrestre, si raffredda e consolida molto lentamente e forma dellestrutture vulcaniche denominate plutoni.Infatti, si definisce genericamente plutone un corpo magmatico di massa sufficientemen-te ampia e di estensione piuttosto compatta che, dopo la fase di risalita, si ferma entro lacrosta terrestre senza estrudere. Prende invece nomi più specifici (filone, dicco, sill,sheet, …) se la sua massa è limitata (con spessori dell’ordine di grandezza dal metro allepoche centinaia di metri) e se la forma è allungata. Un plutone è raramente isolato, ma disolito fa parte di un complesso plutonico.In base alla morfologia (Fig. 42) i corpi plutonici vengono chiamati (D’Amico et al., 1988):

� duomo endogeno: corpo plutonico cupoliforme;

� batolite: corpo plutonico simili a un duomo, però di dimensioni molto maggiori;

� laccolite: duomo del quale si riconosce una base suborizzontale di forma fortementeconvessa verso l’alto;

� sill: corpo tabulare, suborizzontale, parallelo alla stratificazione;

� sheet: corpo subtabulare, come un sill, ma non intercalato nella stratificazione;

� neck: corpo subcilindrico o a sezione elissoidale, con diametro di decine o centinaiadi metri che costituisce il riempimento di un condotto vulcanico. Può affiorare insuperficie grazie all’erosione dell’edificio vulcanico che lo circonda (es: Devil’sTower);

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Figura 42Morfologia dei principali edifici e strutture vulcaniche e loro connessione con la came-

ra magmatica.

� filone: corpo prevalentemente tabulare fino a lentiforme, di spessore decimetrico ometrico, trasversale rispetto alle strutture della roccia incassante e formato dal riem-pimento di una frattura con magma;

� dicco: filone di grandi dimensioni.

5.3. IL RISCHIO VULCANICO

La discussione sul tema "Rischio vulcanico e prevenzione" trova il Dipartimento dellaProtezione Civile (DPC) su un livello di conoscenza e operativo assai elevato e come taleben conosciuto e apprezzato anche all’estero. Alcune operazioni in materia - esercitazio-ni, interventi di deviazione delle lave, pianificazioni anche complesse d’emergenza, retidi sorveglianza - hanno spesso cadenzato il percorso della Protezione Civile in Italia.Anche per questo rischio si dovranno seguire ragionamenti schematici e semplici, sullascorta dell’insegnamento della comunità scientifica nazionale espressa dal CNR con ilGruppo Nazionale per la Vulcanologia (GNV), l’Osservatorio vesuviano (OV), l’IstitutoNazionale di Geofisica (ING).

I vulcani sono pericolosi per la loro ubicazione rispetto ai centri abitati – i meccanismi

eruttivi che li caratterizzano – la presenza di gas e acqua nel condotto magmatico, di

ghiacciai e di nevai sulle pendici. Le difese possibili consistono nel corretto uso del ter-

ritorio e nella pianificazione dell’emergenza (Mercuri, 1991).

La Protezione Civile ha di fronte un gravoso problema: avvertire in tempo utile la popo-lazione esposta al rischio in caso di pericolo imminente e muovere con immediatezza leazioni di soccorso nell’emergenza. Occorre pertanto rendere sempre più efficace la sor-veglianza tecnico-scientifica dei vulcani attivi italiani, già oggi molto avanzata, in mododa rendere sempre più vicino il traguardo della previsione. La previsione infallibile e uni-voca è tuttavia un traguardo lontano, come mostrato al Convegno della Protezione Civile,svoltosi a Taormina nel 1989.

La sequenza di attività sottoelencate è valida in senso generale, ma può presentare gran-di variazioni a seconda delle varie province magmatiche sparse per il mondo:

sismicità → eruzioni esplosive ed effusive → eiezione di materiali solidi, liquidi e gassosi → fall-out (depositi da caduta) → surges e flussi piroclastici → colate la-viche → fumarole → solfatare → mofete → emissione di gas e vapori → attività idro-termale.

I rischi vulcanici sono causati da diversi fenomeni (in ordine di pericolosità decrescen-te):

• Eruzioni esplosive (magmi molto viscosi e ricchi di gas) con distruzione di parte del-l’edificio vulcanico.

• Formazione di nubi ardenti (surges e flussi piroclastici).

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• Formazione di colate laviche (la pericolosità aumenta al diminuire della viscosità delmagma e quindi all’aumentare della velocità di scorrimento).

• Fusione di ghiacciai e nevai con formazione di colate di fango (lahars).• Ricaduta (fall-out) e successiva mobilizzazione di blocchi, lapilli e ceneri (depositi da

caduta).• Fenomeni di subsidenza e collasso dell'edificio vulcanico (con formazione di una cal-

dera).• Emissione di gas soffocanti (CO2) e gas irritanti e tossici (CO, SO2, SO3, H2S).

ESPOSIZIONE AI RISCHI NATURALI

(Censimento: Croce Rossa Internazionale sui primi 75 anni del secolo scorso, 1900-1975)

TIPO DI CATASTROFE N° DI MORTI % N° SINISTRATI %

Terremoti 2.662.165 58,1 28.894.657 12,4

Eruzioni Vulcaniche 128.058 2,9 337.931 0,1

Alluvioni 1.287.645 28,1 175.220.220 75,3

Frane e Valanghe 6.065 0,1 44.823 0,1

Eventi meteorici 495.795 10,8 28.058.152 12,1

t o t a l e 4.579.728 100 232.555.783 100

5.4. ALCUNE NOTIZIE SUL VULCANISMO IN ITALIA

5.4.1. Inquadramento geologicoLe manifestazioni vulcaniche presenti in Italia (Fig. 43) sono imputabili a tre differentisituazioni geologiche che si sono venute delineando negli ultimi due milioni di anni(Kraft, 1993):

� Vulcanismo legato allo scontro di due micro-zolle nel Tirreno meridionale:una parte della litosfera africana scivola al di sotto della litosfera europea. Questoevento è responsabile dell’attività sismica e vulcanica nelle isole Eolie e dellapresenza di vulcani sottomarini (Vavilov, Marsili e Magnaghi) poco noti, perchénon visibili.

� Vulcanismo che si manifesta lungo una linea parallela alla catena appenninica,dalla Toscana alla Campania. Lungo questa linea troviamo il Vesuvio e i CampiFlegrei, il Monte Amiata e i laghi laziali di caldera, Bolsena, Vico, Bracciano, Albano,Nemi, dalla caratteristica forma circolare.

� Vulcanismo associato alla presenza di grandi fratture nella crosta terrestre da cuiha preso origine l’Etna, le isole di Pantelleria e Linosa, oltre al Banco di Graham(struttura residua dell’Isola Ferdinandea).

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L’Etna è il vulcano più attivo d’Europa e probabilmente emerse dal mare circa 500.000anni fa a seguito della sovrapposizione dei prodotti di innumerevoli eruzioni, fino a for-mare l’attuale edificio alto 3.320 m e con un diametro di base di circa 40 km. L’Etna sitrova all’intersezione di un reticolo di importanti fratture alcune delle quali hanno pro-babilmente determinato la migrazione da Est verso Ovest del centro di attività. L’attività

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Figura 43Ubicazione delle manifestazioni vulcaniche in Italia e delle zone a rischio sismico (da

DO.GE., 1988).

dell’Etna attualmente consiste quasi esclusivamente nell’emissione di colate laviche,accompagnate spesso da una debole attività stromboliana. Tuttavia secondo i vulcanolo-gi è possibile che, nel corso della sua esistenza, si sia verificato un mutamento del chi-mismo magmatico, che nel passato potrebbe avere prodotto eruzioni esplosive.

Il Vesuvio è attualmente in stato di quiescenza ed è caratterizzato da un vulcanismoesplosivo che lo rende uno dei vulcani più pericolosi e controllati d’Italia. L’azione dimonitoraggio è tanto più importante se si considera l’indiscriminato insediamento antro-pico a cui quest’area è andata incontro negli ultimi 40 anni, e che in caso di eruzione,potrebbe subire danni gravissimi. La fama storica del Vesuvio è dovuta all’eruzione del79 d.C. (raccontata dallo scrittore latino Plinio il Giovane) che causò la distruzione (aseguito dell’emissione di nubi ardenti) delle città di Pompei, Ercolano e Stabia le qualifurono sepolte da una spessa coltre di polveri e ceneri. Il Vesuvio ha spesso alternatoperiodi di quiescenza a periodi di attività, come nel caso dell’eruzione esplosiva del 1631che provocò un abbassamento della sommità dell’edificio vulcanico di 211 m.

L’attività vulcanica dei Campi Flegrei ebbe inizio circa 35.000 anni fa con una serie diviolentissime esplosioni che formarono una vasta depressione collassata di caldera. Se siosserva quest’area dall’alto, si nota che essa è costellata da crateri vulcanici dai bordipoco elevati (150-350 m) occupati da piccoli laghi o ricoperti da una folta vegetazione.Analoghe depressioni sono state scoperte anche nei fondali del golfo di Napoli, al largodi Pozzuoli e tra le isole di Procida e Nisida.La presenza di magma in profondità è testimoniata anche dal fenomeno del bradisismo.

L’isola di Ischia è anch’essa il frutto di un’antica attività vulcanica anche se attualmen-te l’unica traccia del vulcanismo è rappresentata dalle sue famose sorgenti termali.

Le isole Eolie sono di origine vulcanica e comprendono tre vulcani attivi: Stromboli,Vulcano, Lipari. Stromboli è caratterizzato da una moderata attività di tipo esplosivo eda sporadiche effusioni di lava che si riversano in mare, come l’ultima eruzione deldicembre 2002 (Fig. 44). Da una serie di bocche eruttive, poste alla sommità di una pro-fonda incisione (chiamata “Sciara del Fuoco”) che taglia il fianco Nord-Ovest del vulca-no, scendono rigagnoli di lava, lapilli e scorie incandescenti. Vulcano e Lipari si trova-no attualmente in fase di quiescenza, anche se da entrambi si può osservare un vulcani-smo secondario costituito da emissione di vapori sulfurei e da acque e fanghi termali. Laloro attività è sempre stata di tipo esplosivo, cui segue una lenta emissione di lava acidamolto viscosa responsabile della formazione dei duomi di Lipari e delle colate di ossi-diana.

Le isole di Linosa e Pantelleria sono di origine vulcanica e nella stessa area geografica(cioè nel canale di Sicilia) in cui si verificò, nel 1831, l’eruzione che produsse l’effime-ra isola Ferdinandea, che costituisce oggi la secca denominata Banco di Graham.

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L'eruzione effusiva dalla base del Cratere di NEha avuto inizio il 28 Dicembre 2002 ed è finita ilgiorno seguente. Un sorvolo con l'elicottero hapermesso di rilevare, con l'ausilio di una teleca-mera termica, tre colate laviche che si eranoespanse nel settore orientale della Sciara delFuoco e che avevano raggiunto il mare. In corri-spondenza della costa le colate erano larghecomplessivamente 300 m.Il 30 Dicembre si è originato ancora un piccoloflusso lavico, lungo circa 200 m., che al momentodel sopralluogo, alle ore 11.30, appariva in espan-sione lungo una piccola depressione sul settoresettentrionale della Sciara del Fuoco. Improv-visamente, alle 13.15 e alle 13.22, due corpi fra-nosi si sono distaccati dalla Sciara del Fuoco. Lefrane hanno raggiunto il mare e sono state ac-compagnate da un'abbondante ricaduta di ce-nere sul versante sud-orientale dell'isola. La piog-gia di cenere non è stata causata dall'attivitàesplosiva, bensì dalla frammentazione dei blocchidurante il crollo. Le frane, la prima di 600.000 m3,la seconda di 5.000.000 di m3 di roccia, hannoprovocato il distacco dal pendio dei depositilavici del 28 Dicembre insieme ad una vasta por-zione dei depositi precedenti.Al loro ingresso in mare le frane hanno originatodue tsunami i quali, sull'isola di Stromboli, hannoprovocato prima il ritrarsi del mare, e poi dueonde anomale alte parecchi metri che si sonoabbattute sui paesi di Stromboli e Ginostra, dan-neggiando edifici ed imbarcazioni e causando ilferimento di alcune persone. Le onde anomale sisono propagate fino a Milazzo, sulla costa setten-trionale della Sicilia, ad una distanza di 60 km asud di Stromboli.

Da quando l'eruzione è iniziata i crateri sommitali delloStromboli non mostrano segni di attività esplosiva. Nessunaforte esplosione ha avuto luogo sul vulcano, e nessuna scossa èstata registrata dalla rete di monitoraggio sismico. Precedentitsunami sono occorsi a Stromboli nel 1930, 1944 e 1954. Questiepisodi sono risultati correlati ad attività eruttiva parossistica, afrane lungo la Sciara del Fuoco, oppure a flussi piroclastici, mamai alla messa in posto di nuovi flussi lavici.Dal 1 gennaio 2003 a tutt’oggi, uno stretto flusso lavico si staespandendo lungo la Sciara del Fuoco.

Figura 44Successione di eventi legati all’attività dello Stromboli iniziata alla fine del 2002 (daAlean et al., 1998-2003). www.educeth.ch/stromboli/index-it.html

ERUZIONE DELLO STROMBOLI DEL DICEMBRE 2002-GENNAIO 2003

5.4.2. Il rischio vulcanico in Italia

Oggi le aree a maggior rischio (3,5 milioni di persone esposte in totale) sono: Vesuvio,Campi flegrei, Vulcano, Etna.

Vesuvio

In generale l’attività può seguire la seguente sequenza a rischio crescente: colate → atti-vità stromboliana → attività pliniana. Il Vesuvio ha una lunga storia eruttiva, col massimo evento dell’esplosione pliniana del79 d.C. che vide l’insorgere di una serie di eventi. Lo scenario di pericolosità, nel caso diquesto tipo di eruzione, mostra la seguente successione di fasi: terremoti → esplosionifreatomagmatiche → eruzione di enormi quantità di materiale solido (tra cui ceneri epomici) e gassoso → fall-out delle ceneri → collasso della colonna eruttiva → surges eflussi piroclastici → lahars → colate laviche. L’ultimo episodio di attività vulcanica risa-le al 1944, durante la quale l’abitato di S. Sebastiano fu distrutto da una colata lavica.Attualmente c’è accumulo di grandi volumi di magma nel serbatoio con possibilità difuturi fenomeni di alta / altissima energia, anche se allo stato attuale non esiste nessunsegnale precursore di attività anomala, come brusche e significative variazioni dei feno-meni correnti.Il rischio può definirsi elevato anche per lo stato di addensamento urbanistico presentesulle falde del vulcano.Lo stato della sorveglianza tecnico-scientifica, già soddisfacente, è ulteriormente avan-zato in virtù di recenti disposizioni di legge che hanno permesso decisivi miglioramentidi monitoraggio e delle attività scientifiche di supporto.Un’apposita Commissione per la formulazione del piano d’emergenza per l’area vesu-viana, presieduta dal prof. F. Barberi, ha predisposto un piano operativo completo d’e-mergenza.

Campi FlegreiLa caldera Flegrea ha una storia complessa. L’ultima eruzione del 1538, che ha portatoalla formazione del Monte Nuovo, è avvenuta dopo circa 3.000 anni di quiescenza delvulcano. Sono riconosciuti decine di cicli eruttivi, il più celebre dei quali è l’enormeestensione della deposizione dell’Ignimbrite Campana di 35.000 anni fa.Negli ultimi 20 anni s’è assistito alle crisi bradisismiche del 1970-71 e del 1983-84.Il rischio attuale è costituito da possibili eruzioni di modesta energia, con esplosioni frea-tiche nella Solfatara, surges e flussi piroclastici in aree intensamente abitate.La sorveglianza sta ricevendo implementazioni e ottimizzazioni, come visto per il Vesuvio.Attività di prevenzione si sono avute dopo la crisi del 1983-84, con la decisione di sfol-tire il centro storico di Pozzuoli, creando nuovi alloggi in zona a rischio molto minore.

VulcanoLa sua pericolosità sta nella presenza di molte eruzioni storiche e preistoriche. L’ultimaeruzione grave è avvenuta nel 1888.Lo scenario di pericolosità mostra cicli di attività di durata da mesi ad anni, intervallaticentinaia di anni l’uno dall’altro, che presentano la seguente successione di fasi: esplo-

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sioni freatiche sotterranee → apertura di nuova bocca → eiezione di materiali solidi (tracui bombe e blocchi), liquidi e gassosi → fall-out (depositi da caduta) → surges e flussipiroclastici → colata terminale viscosa e breve.Lo scenario evolutivo principale è l’apertura di una grande caldera.La sorveglianza è di livello elevato e si incentra nell’Istituto Internazionale di Vulcanologia(I.I.V.) di Catania e nel Centro M. Carapezza del GNV a Vulcano. L’apparato vulcanico ètenuto sotto controllo sia attraverso sonde sismografiche sia monitorando la temperatura ela composizione chimica delle fumarole presenti attorno al cratere.

EtnaLo scenario di pericolosità è costituito da colate di lava molto fluida che fuoriesce da frat-ture radiali e da crateri di alta e bassa quota. Questi ultimi sono i più rischiosi per la mino-re distanza dai centri abitati (soprattutto nei settori meridionale e orientale dell’Etna). Lacolata, agli inizi accompagnata da vistosi fenomeni di degassificazione ("fontane dilava"), procede con velocità alte e costanti.Il rischio consiste nella possibilità di certe colate di arrivare ai centri abitati e alle cam-pagne coltivate. Si conosce l’invasione delle lave a Catania del XVII° secolo. La Valle delBove nel settore est-sud-est della montagna è un potenziale serbatoio di ritenzione dellecolate.L’attività di sorveglianza è curata dal GNV tramite l’Istituto Internazionale diVulcanologia di Catania. È previsto che in breve tempo prenda avvio il funzionamentodel Sistema "Poseidon" di sorveglianza dei vulcani attivi e della sismicità della Siciliaorientale, costruito dal Dipartimento della Protezione Civile e in gestione comune allostesso DPC, alla Regione siciliana e al Dipartimento dei servizi tecnici nazionali.Nel recente passato sono stati effettuati due interventi di prevenzione (1983 e 1992) suldecorso delle lave, indirizzati a preliminari sbarramenti e alla deviazione dei percorsi dellecolate entro canali artificiali, con lo scopo di diminuire i flussi delle colate stesse e di pro-vocarne il progressivo raffreddamento fino ad annullare gli effetti dannosi lungo i fronti. Le modalità operative seguite sono state, in linea principale:

1) percorsi più lunghi imposti artificialmente alle colate; 2) risultanze di minori velocità e portate specifiche dei flussi; 3) maggiori capacità di raffreddamento delle lave nelle porzioni superficiali; 4) formazione repentina di scorie e croste di lava solida, adatta per formare a tergo

momentanei ristagni, perdite di flusso e solidificazioni, con generali rallentamen-ti dei flussi.

Il tutto si ottiene creando sbarramenti artificiali, deviazione e ramificazione dei percorsi,incanalamento delle colate in nuovi alvei appositamente costruiti (Vassale, 1993).

StromboliPericolosità: lo scenario è quello consueto ovvero: colate laviche lungo la Sciara delFuoco, fino a mare → piccole esplosioni (lancio di blocchi e bombe vulcaniche) → depo-siti da caduta (fall-out) → flussi piroclastici e surges (Fig. 44).Il rischio risente delle urbanizzazioni presenti, ma non è di grado elevato.La sorveglianza tecnico-scientifica è efficiente e in continuo sviluppo.

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5.5. RELAZIONI DISCIPLINARI

L’argomento del vulcanismo presenta notevoli possibilità di trattazione integrata e con-sente di evidenziare le connessioni con la tettonica delle placche e l’attività sismica (dina-mica endogena), sviluppando anche i temi del rischio geologico e della prevenzione. Èinoltre possibile approfondire tematiche relative al ruolo assunto dai vulcani nella storiadella Terra (e della Vita) anche attraverso la formazione (e la conseguente gestione) dialcune risorse energetiche geotermiche o minerarie.

5.6. IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

� Sebbene spesso venga ricordato che il vulcano è una spaccatura della crosta terrestreda cui fuoriesce il magma, sovente i libri di testo si soffermano solo su quei vulcaniterrestri che sono dei rilievi a forma di cono e soltanto di questi propongono l’icono-grafia.� Identificazione tra magma e lava (usati in sinonimia).� Relativamente alla provenienza del magma, i libri spesso non specificano oppure ten-

dono ad usare i termini “profondità della Terra”, che inducono lo studente a pensareal centro della Terra.� Le eruzioni vengono definite eventi geograficamente rari e temporalmente episodici

(distanziati nel tempo).� Raramente viene citata l’attività vulcanica sottomarina e comunque è spesso sottosti-

mata.� Viene evidenziata soprattutto la componente catastrofica e/o spettacolare dell’attività

vulcanica (proposta dell’elenco delle eruzioni più gravi degli ultimi 100 anni).� Non viene evidenziato quanto l’attività vulcanica sia stata fondamentale per la storia

della Terra e della Vita e che essa sia una fonte di risorse minerali e di energia geo-termica.� Viene a volte trascurato il discorso concernente il rischio e le attività di prevenzione.

5.7. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 1995 – La formazione delle rocce: vecchi problemi e nuovi modelli. ANISN, SezionePiemonte: 100 pp.

ALEAN J., CARNIEL R. & FULLE M., 1998-2003 – Sito Stromboli On Line – Vulcani del Mondo,www.educeth.ch/stromboli/index-it.html.

BIANCOTTI A., 1998 – Non svegliate il dio del fuoco. Vulcani italiani. Specchio della Stampa, 142:40-58.

BOLT B.A., 1986 – L’interno della Terra. Come i terremoti ne rilevano la struttura. Zanichelli: 207 pp.BOSELLINI A., 1989 – Tettonica delle Placche e Geologia. Bovolenta: 143 pp.D’AMICO C., INNOCENTI F. & SASSI F.P., 1988 – Magmatismo e metamorfismo. UTET: 536 pp.GIACOMELLI L., 1998-2002 – Conoscere la vulcanologia, sito didattico del G.N.V. dell’Università

di Roma, http://vulcan.fis.uniroma3.it/GNV/index-VULC.html.KRAFT M., 1993 – I vulcani. Il fuoco della Terra. Universale Electa/Gallimard Scienza: 192 pp.

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MERCURI T., 1991 – I vulcani. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25 minuti.DO.GE., 1988 – Conoscere la Terra. Markes Ed.: 270 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1985 – Introduzione alle Scienze della Terra. Zanichelli: 572 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1997 – Capire la Terra. Zanichelli: 648 pp.RICCI LUCCHI F., 1996 – La Scienza di Gaia. Ambiente e sistemi naturali visti da un geologo.

Zanichelli: 300 pp.TAZIEFF H., 1983 – Vulcani e tettonica. Dal vulcanismo alla deriva dei continenti. Biblioteca di

Monografie Scientifiche (BMS 41), Zanichelli: 98 pp.VASSALE R., 1993 – L’eruzione 1991-1992 dell’Etna e l’intervento di deviazione del flusso lavico

del 27 maggio 1992, GEAM, 81:199-207.ZULLINI A., 1997 – Il termostato della Terra. Tuttoscienze, (LA STAMPA) 774: 1.

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6. I terremoti

6.1. INQUADRAMENTO GENERALE

I terremoti rappresentano, insieme ai vulcani, delle testimonianze di palese dinamicità

del sistema Terra: l’energia che si è andata accumulando per tempi geologici, si liberaimprovvisamente provocando per alcuni secondi un tremore più o meno intenso dellasuperficie terrestre.Nella sua storia biologica l’uomo ha assistito a molteplici eventi sismici di differenteintensità, ma possiamo immaginare che li abbia sempre vissuti con timore arrivando finoa vedere in essi (come per i vulcani) la manifestazione dell’ira di qualche entità miste-riosa e soprannaturale. È stato solo dall’inizio del’900 che l’uomo ha iniziato ad utilizzare i terremoti comefonte di informazione sulla struttura della Terra. Nonostante i molti studi, non è anco-ra possibile prevedere quando, dove e con quale intensità si verificherà un terremo-to; tuttavia i sismologi sanno che nelle aree in cui si sono verificati in passato dei ter-remoti, sicuramente ne avverranno degli altri. Le cause di un terremoto, come vedre-mo, sono molteplici, ma il riconoscimento delle aree sismiche (in base ai dati geo-logici, geofisici e alla documentazione storica) e la realizzazione di strutture civili

antisismiche, possono aiutare le popolazioni a convivere con questi fenomeni. IlGiappone e la California sono due esempi di come questo sia possibile, anche se inquesti casi il fattore economico diventa fondamentale, soprattutto se confrontato conrealtà più povere, ma altrettanto a rischio (Turchia, Armenia, Messico, Cile,Indonesia).I terremoti avvengono indipendentemente dalla presenza dell’uomo, ma ovviamente sonoquelli che causano vittime a balzare agli onori della cronaca. È stato calcolato che ognianno in tutto il mondo avvengono più di 350.000 terremoti: questo significa che in mediaogni giorno si verificano circa 975 terremoti. Della maggior parte di essi non siamo aconoscenza perché l’84% di essi è avvertito solo dagli strumenti, mentre i terremoti defi-niti disastrosi (di intensità uguale o superiore al 6° della scala Richter) sono solo lo0,04%.

6.2. I TERREMOTI: I FONDAMENTI DISCIPLINARI

La sismologia è la scienza che studia i terremoti e le onde sismiche. I sismografi sono glistrumenti che registrano le onde generate dai terremoti, il sismogramma è il grafico cheviene disegnato dal pennino sul rullo di carta mobile.L’analisi della distribuzione dei terremoti ha permesso ai sismologi di fornire una delleprincipali chiavi per lo sviluppo della teoria della tettonica delle placche: le fasce di dis-tribuzione dei sismi delimitano i margini delle placche, cioè le zone in cui le placchedivergono, convergono o trascorrono.

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La distribuzione dei terremoti (così come quella dei vulcani) non è casuale (Fig. 32). Èstato infatti possibile evidenziare che la maggior parte dei terremoti si situa lungo 3 fasce:

� la fascia circumpacifica (il cosidetto anello di fuoco circumpacifico) in corrispon-denza della quale si localizza l’80% dell’energia liberata dai terremoti;

� il sistema di dorsali medio-oceaniche che corre tutt’intorno al globo per oltre 64.000 Km;

� il sistema di fratture continentali che parte dall’India, attraversa l’Himalaya, l’Asiameridionale e il Mediterraneo e prosegue fino ad incontrare il sistema medio-oceani-co presso le Azzorre.

I terremoti possono essere causati da:

� attività vulcanica: che può essere preceduta o accompagnata da sismi causati da eru-zioni vulcaniche esplosive o da crolli di edifici vulcanici con formazione di caldere;

� cause tettoniche: in presenza di faglie (particolari fratture lungo le quali si verificamovimento) localizzate a diverse profondità e di dimensioni estremamente variabili,in quanto possono essere legate a fenomeni locali o a grande scala (tettonica delleplacche). Le faglie fratturano la litosfera e lungo questi piani di taglio le rocce ven-gono sottoposte a tensione; in esse si accumula energia elastica, la tensione aumentafino a quando la resistenza per attrito viene superata e a questo punto si ha la rottura;

� cause locali: sismi causati da crolli sotterranei e frane;

� cause antropiche: sismi prodotti dall'assestamento dovuto a riempimenti di grandiinvasi artificiali oppure all’immissione o alla sottrazione di fluidi nel sottosuolo.

Un terremoto generalmente si verifica quando due blocchi di roccia si muovono l’unorispetto all’altro lungo un piano chiamato piano di faglia. Durante il processo di rot-tura, l’energia elastica che era accumulata nelle rocce, viene liberata improvvisa-mente sotto forma di calore (prodotto dall’attrito) e di onde elastiche (onde sismi-che). Il “punto” iniziale di frattura in cui i blocchi scivolano improvvisamente uno ri-spetto all’altro (e da cui si propagano le onde P e S), viene detto fuoco o ipocentro diun terremoto. In base all’ubicazione dell’ipocentro i terremoti vengono classificati in:

� terremoti profondi: l’ipocentro è situato ad oltre 300 km di profondità (la profonditàmassima non dovrebbe superare i 750 km);

� terremoti intermedi: l’ipocentro è situato tra 300 km e 70 km di profondità;

� terremoti superficiali: l’ipocentro è situato al di sopra di 70 km di profondità.

In Italia i terremoti si verificano quasi esclusivamente entro i primi 20 Km di profon-dità; fanno eccezione rari casi nell’Appennino (in cui gli eventi sono stati localizzatifino a 50 Km) e terremoti con ipocentro più profondo (fino a 300 Km) nel Tirreno meri-dionale.

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Il punto della superficie terrestre situato sulla verticale dell’ipocentro prende il nome diepicentro di un terremoto e da esso si propagano le onde L di superficie.I fuochi dei terremoti individuano, con la loro distribuzione, un piano geometrico bendefinito (detto piano di Benjoff) che si immerge nel mantello con un angolo compresotra 32° e 61°.

Negli ultimi 120 anni sono state ideate diverse scale sismiche (Fig. 45) che sono stateprogressivamente aggiornate. Alcune di esse sono ormai cadute in disuso (es. Rossi-Forel), altre sono note soprattutto a livello locale (es. Medvedev-Sponheur-Karnik).Attualmente le principali scale utilizzate per misurare i terremoti sono (Mercuri,1991):

� la scala Richter o scala delle magnitudo: ideata dal sismologo giapponese K. Wadati eampliata da C. Richter, è stata definita per la prima volta nel 1935 e misura la quanti-tà di energia liberata in un terremoto. Le misure si basano sulla valutazione dell’am-piezza delle onde sismiche registrate dai sismografi ed essendo questa una scala loga-ritmica, significa che un aumento di magnitudo di un’unità corrisponde un aumento 10volte maggiore delle dimensioni del terremoto: perciò un terremoto di magnitudo 8 è10.000 volte più intenso di uno di magnitudo 4. Inoltre la scala Richter è “aperta”, nelsenso che il limite superiore (attualmente 9.5) può essere innalzato qualora si registri

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Figura 45

Confronto tra le scale sismiche (da Ferraris et al., 1984).

un terremoto di intensità superiore a quella massima finora registrata. È una scalaoggettiva, strumentale che non risente della soggettività dell’osservatore;

� la scala Mercalli: è stata definita e perfezionata più volte tra la fine dell’800 e l’iniziodel ’900 e misura i danni provocati da un terremoto. È pertanto una scala empirica,soggettiva, poiché si basa sulle osservazioni dirette degli effetti. Questa scala com-prende 12 gradi, ciascuno dei quali illustra in modo descrittivo l’entità dei danni pro-vocati dal sisma.

Un importante effetto prodotto dai terremoti è lo tsunami, ovvero il maremoto. Spessogli tsunami (termine giapponese che significa “onda di porto”) sono originati dai terre-moti con sorgente sottomarina, ma possono formarsi anche a seguito di eruzioni vulca-niche o frane sottomarine (es. Stromboli, inverno 2002). Uno tsunami si genera sul fondodel mare a causa del movimento lungo una faglia durante un terremoto; questo improv-viso movimento produce sulla superficie del mare un’onda che si avvicina a gran veloci-tà (fino a 800 km/h) alla costa, aumentando la sua altezza (fino a 20 m) in corrisponden-za dei fondali poco profondi.

6.3. FREQUENZA DEI TERREMOTI

La tabella illustra la frequenza mondiale delle manifestazioni sismiche in un anno. Dallalettura dei dati si ricava che:

� ogni 90 secondi avviene in media in tutto il mondo un terremoto con magnitudo supe-riore o uguale all’ordine di grandezza 2;

� ogni giorno avvengono in media in tutto il mondo 976 terremoti con magnitudo supe-riore o uguale all’ordine di grandezza 2.

MAGNITUDO DEI TERREMOTI NUMERO PER ANNO PERCENTUALE

>8 1,1 0,0003%

7-7,9 18 0,005%

6-6,9 120 0.03%

5-5,9 800 0,22%

4-4,9 6.200 1,74%

3-3,9 49.000 13,76%

2-2,9 300.000 84,24%

(da York , 1979)

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6.4. I TERREMOTI E IL RISCHIO SISMICO

6.4.1. Componenti del rischio sismico

Il rischio sismico è la stima delle perdite complessive causate dai terremoti e può essereespressa attraverso il costo economico e sociale dei danni subiti dagli edifici e dalla popo-lazione (numero prevedibile di morti e feriti). Per sapere qual è il rischio sismico in unacerta zona è necessario conoscere:

� la pericolosità sismica dell’area: ovvero la probabilità che, in un certo intervallo ditempo, essa sia interessata da terremoti che producano danni. La pericolosità descri-ve e quantifica il sisma, ricorrendo all’apporto di varie discipline come la fisica, lageologia, la storia, la statistica;

� la vulnerabilità dell’area: ovvero la propensione delle opere costruite dall’uomo asubire danni in seguito al terremoto;

� l’esposizione dell’area: ovvero la valutazione di quante persone vivono in quella zonae quindi quante di esse possono essere colpite dal terremoto.

Nelle aree con elevata pericolosità sismica, ma disabitate, il rischio sismico è quasi nullo,mentre nelle aree densamente popolate, con molte costruzioni poco resistenti e ad altapericolosità, il rischio sismico è elevato.Prevenire gli effetti di un terremoto significa agire sulle componenti che concorrono adeterminare il livello di rischio sismico del territorio ovvero pericolosità, vulnerabilità,esposizione. Sulla pericolosità, ovvero sulla frequenza e sull’intensità dei terremoti, nonsi può intervenire, mentre è possibile:

� sapere quali sono le aree a rischio sismico e tra queste dove è prioritario intervenire;

� predisporre programmi di prevenzione per diminuire i possibili effetti del terremoto(es. agire sulla resistenza delle costruzioni alle azioni di una scossa sismica);

� predisporre piani di emergenza per intervenire in soccorso alla popolazione;

� realizzare campagne di informazione e di educazione della popolazione sui compor-tamenti da tenere in caso di terremoto.

Il territorio italiano è stato oggetto di studi di revisione al fine di ottenere una carta sismi-ca aggiornata del territorio nazionale (Fig. 43). Sulla base della frequenza ed intensitàdei terremoti, si è potuto ricavare che sono da classificare come sismici 2.965 comuni(pari al 36,6%) su un totale di 8.102. Complessivamente è stato inoltre definito comesismico il 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% dellapopolazione (Dipartimento della Protezione Civile – Gruppo di lavoro di esperti sulrischio sismico, 1996).In Piemonte le zone sismiche sono rappresentate da varie zone alpine (Valle di Susa,Valle Pellice, Val Germanasca e Val Chisone, Val Maira, Valle Stura, Valle Gesso) e dalMonferrato alessandrino. Nel novembre 2003 sono stati stabiliti nuovi parametri che col-locano per la prima volta 168 comuni piemontesi all’interno della zona 3, consideratadebolmente sismica: 40 in provincia di Torino, 59 in provincia di Cuneo, 23 in provincia

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di Verbania. I comuni classificati come sismici (zona 2) sono 41: 40 nella provincia diTorino, 1 in provincia di Cuneo. In tutto sono circa 400.000 i piemontesi che vivonoall’interno delle zone 2 e 3 in circa 300.000 abitazioni. La nuova classificazione dovreb-be comportare anche la necessità di rispettare precise regole antisismiche per i 168 nuovicomuni sismici (LA STAMPA, 18/11/2003, p. 41).

6.4.2. Indizi premonitori di un terremoto

Lo studio statistico dei terremoti ha permesso di individuare alcuni indizi che spesso sisono rivelati premonitori di un successivo evento sismico:

� presenza di fratture e movimenti della superficie;� oscillazioni del livello delle falde acquifere profonde;� aumento della concentrazione di gas radon nelle acque di falda;� stato di agitazione degli animali.

6.5. RELAZIONI DISCIPLINARI

L’argomento dei terremoti consente di svolgere delle correlazioni con le teorie globali,con il vulcanismo e permette di acquisire una maggiore consapevolezza del rischio sismi-co del proprio territorio, sia nazionale che regionale. Può rappresentare anche l’occasio-ne per parlare delle misure di sicurezza da adottare in caso di terremoto, ricorrendo even-tualmente all’intervento di un esperto della Protezione Civile o a simulazioni di un allar-me sismico, con l’applicazione di norme di comportamento per la sicurezza delle perso-ne e l’evacuazione dei locali. Infine possono essere esaminati i modi con cui le notizievengono riportate dai diversi mezzi di comunicazione.

6.6. IMPRECISIONI RISCONTRABILI NEI LIBRI DI TESTO

� Molti autori affrontano il tema dei terremoti come se la maggior parte di essi fosserodisastrosi.� In alcuni testi la scala Richter non è considerata una scala “aperta”, ma formata da

9 gradi.� L’attività vulcanica spesso non viene menzionata come una delle possibili cause dei

terremoti.� Spesso non viene ricordato che i terremoti possono essere provocati anche da eventi

locali e non solo dai movimenti delle placche. � Vengono considerati un evento straordinario: ma qualcosa che in media avviene nel

mondo più di 950 volte al giorno si può considerare tale?

102

6.7. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 1995 – La formazione delle rocce: vecchi problemi e nuovi modelli. ANISN, SezionePiemonte: 100 pp.

BOLT B.A., 1986 – L’interno della Terra. Come i terremoti ne rilevano la struttura. Zanichelli: 207 pp.BOSELLINI A., 1989 – Tettonica delle Placche e Geologia. Bovolenta: 143 pp.CASTENETTO S., DI BUCCI D. & NASO G. (a cura di), 2000 – Quando la Terra trema… Il rischio e

la convivenza con il terremoto (immagini di un percorso espositivo sul terreno e sul rischiosismico). Servizio Sismico Nazionale, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

FERRARIS M., MIDORO V., OTT M. & STUCCHI M., 1984 – Che cosa sono i terremoti e come pos-siamo difenderci. Consiglio Nazionale delle Ricerche e Istituto per le tecnologie didattiche.SEI: 223 pp.

HURLEY P.M., 1979 – L’età della Terra. Nuove risposte ad un vecchio problema. Biblioteca diMonografie Scientifiche (BMS 16), Zanichelli: 130 pp.

MERCURI T., 1991 – I terremoti. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25 minuti.PRESS F. & SIEVER R., 1985 – Introduzione alle Scienze della Terra. Zanichelli: 572 pp.PRESS F. & SIEVER R., 1997 – Capire la Terra. Zanichelli: 648 pp.RICCI LUCCHI F., 1996 – La Scienza di Gaia. Ambiente e sistemi naturali visti da un geologo.

Zanichelli: 390 pp.TAZIEFF H., 1983 – Vulcani e tettonica. Dal vulcanesimo alla deriva dei continenti. Biblioteca di

Monografie Scientifiche (BMS 41), Zanichelli: 98 pp.YORK D., 1979 – Il pianeta Terra. Universale scientifica Boringhieri: 197 pp.

103

7. I rischi geologici

L’introduzione di attività inerenti i rischi geologici richiede di riepilogare e chiarire iconcetti di rischio e di pericolo, che nel linguaggio comune vengono normalmenteusati in sinonimia.

• La pericolosità di una certa area è definita dalla valutazione in termini probabilisticidell’instabilità ambientale potenziale, indipendentemente dalla presenza antropica,ma piuttosto in funzione della tipologia, della quantità e della frequenza dei processiche vi si possono innescare.

• Il rischio geologico è definito dalla probabilità che un determinato evento naturale siverifichi, incidendo sull’ambiente fisico in modo tale da recare danno all’uomo e allesue attività.

La pericolosità si traduce in rischio non appena gli effetti dei processi naturali implicanoun costo socio-economico da valutare in relazione all’indice di valore attribuibile a cia-scuna unità territoriale.

La notevole importanza formativa di questi temi al fine di sviluppare una nuova con-sapevolezza sulle tematiche ambientali esigerebbe che essi venissero profondamentee precocemente interiorizzati dai cittadini di domani. È chiaro tuttavia che non è faci-le proporre e sviluppare attività didattiche sperimentali interattive sugli argomentidelineati nei capitoli precedenti, in cui gli oggetti di studio sono difficilmente rag-giungibili, come i terremoti e i vulcani (capitoli 5 e 6), o sono del tutto inaccessibili,come la struttura interna della Terra e la tettonica delle placche (capitoli 3 e 4). Latrattazione è prevalentemente descrittiva e richiede complessi processi di modellizza-zione e di astrazione. Più in generale la trattazione di molti argomenti relativi alle Scienze della Terra è resadifficoltosa da una serie di ostacoli concettuali, rappresentati ad esempio dall’inacces-sibilità degli eventi (metamorfismo, ciclo litogenetico profondo, eruzioni sottomarine,…), dalla lentezza con cui avvengono alcuni fenomeni (movimenti delle placche, pro-cessi di fossilizzazione, …), dalla tridimensionalità delle forme a fronte di una lororappresentazione bidimensionale (catene montuose, struttura interna della Terra, …),dalle notevoli dimensioni degli “oggetti” studiati (raggio terrestre, placche litosferiche,…), dalla complessità e contemporaneità degli eventi (ciclo litogenetico, ciclo dell’ac-qua, ciclo del carbonio, …). In tutti questi casi si cerca di supplire utilizzando classici strumenti didattici di supportocome gli audiovisivi oppure strumenti informatici multimediali, che offrono una notevo-le possibilità di interazione con gli allievi.

105

7.1. L’UTILIZZAZIONE DI UN AUDIOVISIVO

Gli ostacoli concettuali appena citati possono essere affrontati con l’uso di filmati che,attraverso animazioni, simulazioni e ricostruzioni, hanno una funzione insostituibile nelrimpiazzare le attività sperimentali non altrimenti realizzabili. Come sempre l’insegnan-te deve essere consapevole non solo delle potenzialità dello strumento didattico a cui siaffida, ma anche delle problematiche ad esso connesse. Le tematiche trattate in questo volume si possono ad esempio affrontare attraverso lavisione delle videocassette come la serie edita da Le Scienze (Mercuri, 1991a, 1991b,1991c, 1991d), comprendente “Continenti alla deriva”, “Vulcani”, “Terremoti”, “Le cata-strofi idrogeologiche”, e con la successiva analisi critica attraverso la seguente griglia diinterpretazione (Allegato 14).In questa sede vengono ricordate in modo schematico alcune condizioni al contorno perinquadrare l’utilizzazione critica e consapevole di un audiovisivo.

QUANDO USARE UN AUDIOVISIVO

� Per introdurre un argomento nuovo.� Per completare/approfondire qualche tematica.� Per concludere l’argomento trattato.

PERCHÉ USARE UN AUDIOVISIVO

� Fornire uno stimolo iniziale ad una discussione (analisi delle concezioni spontanee).� Integrare un argomento che fa parte del programma.� Inserire una serie di attività in un ambito interdisciplinare.� Rispondere ad una sollecitazione creata da qualche fatto di cronaca (attualità).� Preparare o concludere le attività relative ad un’escursione naturalistica o ad una visi-

ta ad un museo.� Recuperare e/o approfondire tematiche affrontate in anni o in ambiti precedenti.

Difficilmente un audiovisivo è completamente adatto al tipo di attività prescelto per ladurata, per la tipologia degli argomenti trattati, per le immagini e il linguaggio utilizzati,…; si renderà quindi necessario da parte del docente una visione preliminare che potràessere svolta:

o dal singolo insegnante che propone l’attività;o da più insegnanti appartenenti alla stessa area disciplinare;o da insegnanti appartenenti ad aree disciplinari diverse.

VISIONE PRELIMINARE DI UN AUDIOVISIVO

La visione preliminare dell’audiovisivo ha lo scopo di:

� conoscere nel dettaglio il contenuto della videocassetta;� capire qual è il tipo di fruitori per cui l’audiovisivo era stato realizzato e verificarne

la sua adattabilità in ambiti diversi;

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� riconoscere gli obiettivi di chi ha curato la realizzazione dell’audiovisivo e confron-tarlo con gli obiettivi dell’insegnante/i;� evidenziare quali possono essere le difficoltà che gli studenti possono incontrare alla

proiezione del filmato (immagini poco chiare, linguaggio troppo specialistico, tradu-zione non appropriata, …);� individuare gli ostacoli concettuali connessi agli argomenti trattati;� evidenziare quali sono le parti da integrare/eliminare/supportare con ulteriori dati e/o

spiegazioni.

Il docente dovrà quindi avere ben chiarito quali sono gli obiettivi minimi che tutti gli stu-denti devono raggiungere e quali gli obiettivi finali a cui deve tendere la classe, tenendoconto di:

� età degli studenti;� livello culturale e comportamentale della classe;� tipo di lavoro che si intende svolgere.

PROBLEMATICHE CONNESSE ALL’USO DI UN AUDIOVISIVO

L’approccio estetico può divenire particolarmente rilevante ad essere sollecitato in diver-si modi:

� presenza di una parte musicale (più o meno gradita) che accompagna la successionedelle immagini;� presenza di immagini “forti” (per significatività concettuale o per impatto emotivo)

sottolineate dal diverso livello del sonoro;� utilizzo di animazioni e di ricostruzioni tridimensionali;� caratteristiche della figura narrante.

7.2. RIFLESSIONI SUI RISCHI GEOLOGICI

7.2.1. Lavoro di gruppo sui rischi geologiciLa visione dell’audiovisivo “Le catastrofi idrogeologiche” introduce una discussione suirischi geologici e sulla loro percezione. Il lavoro di gruppo si propone di:

• Ordinare i fenomeni del primo elenco (A-H) secondo la pericolosità (da maggiore aminore) a scala mondiale e a scala regionale (Piemonte) rispetto:� alle possibilità di intervento antropico (preventivo, di controllo o riparativo);� alla possibilità di innescare il fenomeno.

• Posizionare i fenomeni elencati (A-H) sulla scala in ordine progressivo. • Indicare qual è il principale fattore scatenante.

|______________________|________________________|______________________|+ _

possibilità di gestione da parte dell'Uomo (prevenzione / controllo)

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|______________________|________________________|______________________|+ _

innesco / esaltazione del fenomeno per cause antropiche

• Correlare tali fenomeni (A-H) agli eventi del secondo elenco (1-20), specificando sequesti sono cause, indicate con la lettera (c), o effetti, indicati con la lettera (e).

• Identificare altre cause e/o effetti.

A - Terremoto B - ValangaC - MareggiataD - FranaE - Erosione delle costeF - Eruzione vulcanicaG - Variazione del livello marinoH - Alluvione

01) Distruzione di edifici02) Accumulo di neve e ghiaccio03) Distruzione della vegetazione04) Accumulo di detriti 05) Movimento delle placche 06) Taglio dei versanti 07) Nube ardente 08) Liberazione di gas tossici 09) Cambiamenti climatici 10) Vittime 11) Forza di gravità 12) Allagamenti 13) Colata lavica 14) Uragano 15) Aumento globale della temperatura 16) Crollo di una diga17) Precipitazioni intense 18) Asportazione di detriti 19) Distruzione di un ponte20) Eccessiva canalizzazione fluviale

7.2.2. Risultati del lavoro di gruppo sui rischi geologiciI risultati dell’attività precedente possono essere confrontati con quelli ottenuti da un’at-tività analoga compiuta da 6 gruppi di insegnanti della scuola secondaria superiore impe-gnati in un Corso di Riconversione Professionale per il personale docente della classe diconcorso A060 (Novara, 1999). La prima tabella si riferisce ad una valutazione suscitata alla consegna di elencare in ordi-ne di pericolosità decrescente a scala mondiale i fenomeni del precedente elenco (A-H).

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I/II/V GRUPPO III GRUPPO IV GRUPPO VI GRUPPO

Terremoti Terremoti Terremoti Variazione livello marino

Eruzioni vulcaniche Alluvioni Alluvioni Alluvioni

Alluvioni Eruzioni vulcaniche Eruzioni vulcaniche Erosione coste

Frane Mareggiate Mareggiate Terremoti

Valanghe Frane Frane Eruzioni vulcaniche

Mareggiate Valanghe Valanghe Frane

Erosione coste Variazione Erosione coste Valanghelivello marino

Variazione Erosione coste Variazione Mareggiatelivello marino livello marino

A questo riguardo occorre soffermarsi sulle valutazioni del GRUPPO VI che denotano unapercezione degli eventi molto diversa rispetto a quella degli altri gruppi. Probabilmente i suoicomponenti sono stati influenzati dai fenomeni che potrebbero innescarsi a seguito dell’au-mento dell’effetto serra: in questo caso si spiegherebbero l’aumento del livello marino e laconseguente erosione delle coste, accompagnate dall’incremento degli eventi alluvionali.

La tabella successiva si riferisce invece ad una valutazione degli stessi fenomeni, ma vali-da a livello regionale (Piemonte):

PIEMONTE

I GRUPPO II GRUPPO III/VI GRUPPO IV/V GRUPPO

Alluvioni-Frane Valanghe Alluvioni Alluvioni

Valanghe Frane Valanghe Frane

Terremoti Alluvioni Frane Valanghe

Terremoti Terremoti

Successivamente si confrontano i risultati dei lavori di gruppo con i dati reali (Fig. 46 a, b)relativi all’intero mondo (Croce Rossa Internazionale sui primi 75 anni del secolo scorso,1900-1975)

EVENTO VITTIME SINISTRATI

Alluvioni 28,1 % 75,3 %

Terremoti 58,1 % 12,4 %

Mareggiate (Tempeste e tornados) 10,8 % 12,1 %

Frane e valanghe 0,1 % 0,1 %

Eruzioni vulcaniche 2, 9 % 0,1 %

109

Premesso che le valutazioni dei gruppi di insegnanti sono state influenzate dal contestostorico (1999) e geografico (Piemonte), per cui probabilmente le stesse persone avrebbe-ro dato risposte diverse se interpellate dopo un evento alluvionale o un evento sismico, sipuò notare che il risultato più evidente è rappresentato dalla sovrastima degli eventi lega-ti alle eruzioni vulcaniche, che in realtà provocano molti meno danni e molte meno vit-time di quanto si possa immaginare. Questo risultato si può spiegare con il fatto che gli

110

Figura 46Distribuzione percentuale delle vittime (a) e dei sinistrati (b) dei disastri geologici regi-

strati negli anni 1900-1975. Dati della Croce Rossa Internazionale.

episodi di attività vulcanica vengono interpretati come eventi a grande scala, più distrut-tivi e di più ampia portata rispetto alle alluvioni, che sono ritenute eventi che agisconosolo su scala locale. Inoltre i vulcani più pericolosi, ovvero quelli dotati di un’attivitàesplosiva, generalmente presentano lunghi periodi di quiescenza; molti di essi sonocostantemente monitorati per cui il rischio vulcanico è in parte “contrastato” (così comeper le eruzioni effusive) dalle attività di prevenzione. Bisogna inoltre ricordare che inrealtà l’attività vulcanica più intensa e costante avviene in ambiente sottomarino e, per lasua collocazione geografica, non coinvolge l’attività umana. A livello di danni arrecati alle persone, gli eventi alluvionali sono i più gravi: essi infattisono storicamente molto comuni e la loro intensificazione sarebbe da correlare alle varia-zioni climatiche riscontrate a scala globale e locale; inoltre la forte antropizzazione delterritorio, estesa anche a luoghi in cui ciò mette a repentaglio la sicurezza dell’uomo edelle sue strutture, contribuisce ad aumentare l’esposizione e quindi il numero di sini-strati oltre che ad aumentare le superfici impermeabili. In caso di intense precipitazioniqueste superfici, che un tempo trattenevano una parte dell’acqua infiltrata nel suolo, oraconvogliano enormi quantità di precipitazioni nei corsi d’acqua limitrofi, con conse-guenti aumenti di portata e di intensità del fenomeno alluvionale. Per quanto riguarda iterremoti, invece, essi rappresentano il fenomeno che causa il maggior numero di morti.Questi dati si possono interpretare ricordando che i terremoti ad elevata magnitudo, puressendo poco comuni, presentano un alto numero di vittime se interessano aree urbaniz-zate e densamente popolate in paesi poveri. Questi ultimi (es.: Armenia, Iran, Indone-sia,…) sono particolarmente esposti a questi eventi, a causa della scarsa prevenzione,contrariamente a paesi quali il Giappone e la California che si avvalgono nell’ediliziacivile di misure antisismiche.

7.3. RACCONTI DI EVENTI

Quest’attività prevede lo svolgimento di elaborati incentrati su qualche evento geologicoche abbia coinvolto emotivamente e/o in prima persona i partecipanti. A questo riguardo si citano i “Racconti dell’alluvione” (Ferrero, 2004) scritti da studen-ti del Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università della Valled’Aosta i quali rievocano le proprie esperienze a distanza di pochi mesi dall’evento allu-vionale del 14-15 ottobre 2000.Questi elaborati sono particolarmente interessanti in quanto permettono una ricostruzio-ne del contesto psicologico ed emozionale e forniscono dati significativi per la cono-scenza dell’evento studiato (AA.VV., 2001; Chiarle & Mortara, 2001). Dai raccontiemergono infatti aspetti descrittivi (informazioni interessanti e pertinenti riguardanti losvolgimento dell’evento, le modificazioni del paesaggio, le caratteristiche dei manufatticoinvolti, …), emotivi (paura e disorientamento di fronte alla violenza dei fenomeni,importanza e valore delle relazioni umane di solidarietà, …), disciplinari (quantità dipioggia caduta, altezza dello 0° termico, …), informativi (lavori di ripristino del periodosuccessivo all’alluvione, …), interpretativi (consapevolezza dell’esistenza di problemiambientali locali e globali, …); ma, proprio perché scritti da futuri insegnanti, emergonoanche indicazioni per un’applicazione didattica e per affrontare con i bambini le impli-

111

cazioni emotive dell’accaduto, per superare l’impatto negativo dell’esperienza traumati-ca attraverso la condivisione delle emozioni e di tutti gli strumenti espressivi disponibi-li. In questo modo anche la raccolta di documenti fa sentire i bambini in qualche modoprotagonisti partecipi e non solo vittime inconsapevoli, permettendo ad ognuno (bambi-ni e adulti) di ampliare la conoscenza e l’analisi delle vicende, cercando di capire e inqualche modo di razionalizzare le cause dell’evento e la sua evoluzione.

7.4. BIBLIOGRAFIA TEMATICA

AA.VV., 2001 – Le parole dell’alluvione. Istituzione scolastica Comunità Montana “Mont-RoseA”, Pont Saint Martin, Tipografia Valdostana, Aosta: 94 pp.

CHIARLE M. & MORTARA G., 2001 – Bosmattò (Gressoney Saint-Jean), il giorno del disastro. In:AA.VV., Speciale alluvione 2000 in Italia NW. Nimbus, VI (21-22): 88-92.

FERRARIS M., MIDORO V., OTT M. & STUCCHI M., 1984 – Che cosa sono i terremoti e come pos-siamo difenderci. Consiglio Nazionale delle Ricerche e Istituto per le tecnologie didattiche.SEI: 223 pp.

FERRERO E., 2004 – Esperienze di scoperta nelle Scienze della Terra. In Pera T. (a cura di): Incontri

con le scienze, testi e contesti per la didattica, Verbania: 16-18 maggio 2003. Ed. Scholé Futuro,Torino.

MERCURI T., 1991a – Continenti alla deriva. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25 minuti.MERCURI T., 1991b – I vulcani. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25 minuti.MERCURI T., 1991c – I terremoti. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25 minuti.MERCURI T., 1991d – Le catastrofi idrogeologiche. Le Scienze VHS, Mondadori Video, Milano, 25

minuti

112

Allegati

115

Allegato 1

Scheda per organizzare le informazioni raccolte sui campioni di roccia attraverso un’analisi basata sulle percezioni sensoriali.

116

Allegato 2

Scheda per l’analisi di 4 campioni di roccia basata sulle percezioni sensoriali.

117

Allegato 3

Scheda strutturata per la descrizione analitica guidata di un campione di roccia.

118

Allegato 4

Scheda per l’osservazione comparata di campioni di rocce dall’aspetto molto diverso,

con composizione chimica simile.

119

Allegato 5

Scheda per l’osservazione comparata di campioni di rocce dall’aspetto simile, con

composizione chimica e genesi molto diverse.

120

Allegato 6

Scheda riassuntiva delle riflessioni didattiche sulle attività sperimentali svolte con le rocce.

121

Allegato 7

Scheda base per riesaminare gli aspetti cognitivi dell’intero percorso didattico sulle rocce.

122

Allegato 8

Scheda semistrutturata per l’osservazione e descrizione di 4 campioni di fossili.

123

Allegato 9

Scheda strutturata per la descrizione analitica guidata di un campione di roccia fossili-

fera.

124

Allegato 10

Scheda per l’osservazione comparata dei resti scheletrici di esemplari fossili e attuali

dello stesso gruppo sistematico.

125

Allegato 11

Scheda per l’osservazione di un sedimento sciolto con resti scheletrici anche di piccole

dimensioni.

126

Allegato 12

Scheda riassuntiva delle riflessioni didattiche sulle attività sperimentali svolte con i fossili.

127

128

Allegato 13

Scheda base per riesaminare gli aspetti cognitivi dell’intero percorso didattico sui fossili.

129

Allegato 14

Griglia per l’analisi della struttura e delle potenzialità didattiche di un audiovisivo.

FERRERO ELENALaureata in Scienze Naturali, Professore Associato di Paleontologia e di Didattica di Scienze dellaTerra presso la Facoltà di Scienze MFN dell’Università di Torino.Ha partecipato alle attività del Comitato di Proposta per l’istituzione del Corso di Laurea in Scienzedella Formazione Primaria e della Scuola Interateneo di Specializzazione per la formazione degliInsegnanti della scuola secondaria (SIS – Piemonte). Fin dalla loro istituzione ha svolto corsi inerenti la didattica delle Scienze della Terra presso que-ste istituzioni, come pure presso l’Università della Valle d’Aosta.È attualmente coordinatrice della Classe A059 dell’Indirizzo Scienze Naturali presso la SIS diTorino, dove svolge i corsi di Fondamenti di Scienze della Terra, Didattica di Scienze della Terrae Preparazione di esperienze di base di Scienze della Terra.Ha sviluppato, da molti anni, presso il Dipartimento di Scienze della Terra progetti di ricerca didat-tica riferiti all’intero arco scolastico. Ha svolto inoltre numerosi corsi di aggiornamento plurienna-li destinati ad insegnanti della scuola primaria e a guardiaparco della Regione Piemonte.Attualmente si occupa di progetti di ricerca atti a sviluppare nei cittadini stili di vita sostenibilimediante lo scambio di esperienze e l’attenzione al confronto con popolazioni del Sud del mondo(paesi del Sahel), con cui sono instaurati accordi di cooperazione e sviluppo (CISAO).

PROVERA ANGELA MARIALaureata in Scienze Geologiche, abilitata all’insegnamento per le Classi A059 e A060, dal 1994 èstata inserita in progetti di ricerca paleontologica presso il Dipartimento di Scienze della Terradell’Università di Torino, dove ha collaborato allo studio di associazioni fossili piemontesi. A partiredal 1999 ha partecipato a progetti inerenti la ricerca didattica delle Scienze della Terra, collaborandocon le Facoltà di Scienze MFN e di Scienze della Formazione (Università di Torino e della Valled’Aosta) presso le quali ha svolto laboratori, seminari e corsi rivolti agli studenti del Corso di Laureain Scienze della Formazione Primaria e agli allievi della Scuola di Specializzazione per laFormazione degli insegnanti della scuola secondaria (SIS, classi A059 e A060). È stata insegnante diScienze Naturali nella scuola secondaria inferiore e docente presso seminari rivolti a docenti di ruoloin scuole di ogni ordine e grado. Nei suoi ultimi anni di vita è stata anche referente scientifico per l’i-stituendo Museo del Territorio Biellese (Biella) e nel progetto di ambito paleontologico-didatticoavviato dal Comune di Candelo. È prematuramente scomparsa il 10 ottobre 2005.

TONON MARCO DAVIDELaureato in Scienze Naturali, Ricercatore universitario presso il Dipartimento di Scienze della Terradi Torino, dove si occupa di Didattica di Scienze della Terra e di Paleontologia. È titolare dei Corsisemestrali Didattica di Scienze della Terra e Didattica delle Scienze Naturali e di numerosi laborato-ri didattici di Scienze Naturali presso il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, inol-tre svolge il corso annuale di Didattica delle Scienze Naturali presso il Corso di laurea in Scienzedell’Educazione (curricolo Educatore Ambientale). È inoltre docente presso la SIS di Torino delLaboratorio Attività sperimentali sul terreno ed escursioni didattiche (Classi A013 e A060) e pressoil Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università della Valle d’Aosta del labo-ratorio Lo studio dell’ambiente: dall’attività in campo all’uso dei software didattici.Come consulente didattico ha collaborato per anni con il Centro Servizi Didattici della Provinciadi Torino (Ce.Se.Di.) e con la Diomedea s.s., società di consulenza naturalistica e didattica, nellaprogettazione di moduli e materiali didattici per la scuola superiore.

Gli autori Ferrero E. e Tonon M.D. desiderano dedicare questo lavoro alla memoria di Angela, pre-ziosa collaboratrice ed amica, nella speranza che possa continuare a suo modo a frequentare lemontagne che tanto amava.

Osservazioni e Critiche

Gli autori saranno grati ai lettori che vorranno comunicare agli indirizzi sottoindicati le loro impressioni e le loro critiche, la segnalazione di errori odomissioni, ogni suggerimento che possa contribuire a migliorare la qualità deltesto e delle immagini e soprattutto ad ampliare la fruibilità didattica delleproposte presentate.

Elena Ferrero, Marco TononDipartimento di Scienze della TerraVia Valperga Caluso, 3510125 TorinoFax 011.6705339e-mail: [email protected]; [email protected]