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ROSANNA CAMERLINGO DARK LADIES: NATURA E POESIA NEI SONETTI DI SHAKESPEARE E NEGLI EROICI FURORI DI BRUNO FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXII Estratto dal volume: BRUNO NEL XXI SECOLO Interpretazioni e ricerche ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO (Pisa, 15-16 ottobre 2009) a cura di SIMONETTA BASSI con una bibliografia bruniana 2001-2010 a cura di MARIA ELENA SEVERINI

Dark Ladies: Natura e poesia nei Sonetti di Shakespeare e negli Eroici Furori d Bruno

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ROSANNA CAMERLINGO

DARK LADIES:NATURA E POESIA NEI SONETTI DI SHAKESPEARE

E NEGLI EROICI FURORI DI BRUNO

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMXII

Estratto dal volume:

BRUNO NEL XXI SECOLOInterpretazioni e ricerche

ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO(Pisa, 15-16 ottobre 2009)

a cura diSIMONETTA BASSI

con una bibliografia bruniana 2001-2010a cura di

MARIA ELENA SEVERINI

ROSANNA CAMERLINGO

DARK LADIES: NATURA E POESIA NEI SONETTI DI SHAKESPEAREE NEGLI EROICI FURORI DI BRUNO

Pubblicati nel 1609 dallo stampatore Thomas Thorpe senza l’autorizza-zione del suo autore, i Sonnets di Shakespeare furono sin dalla loro appari-zione oggetto di una indagine che aveva meno a che vedere con la loro in-trinseca qualità e complessità che con alcune circostanze oscure o per lo me-no insolite con cui si presentavano. A partire dalle misteriose iniziali «W. H.»a cui l’opera dichiara di essere dedicata. Ma non solo. La sequenza del Can-zoniere, la data o le date di composizione e infine l’identità del giovane uo-mo e della donna bruna a cui si rivolgono rispettivamente i primi 126 e i suc-cessivi 28 sonetti. Una curiosità comprensibile, date le scarse notizie biogra-fiche che si hanno su Shakespeare. Nei Sonetti, piuttosto che nei drammi, sicercava la chiave per aprire il cuore del poeta. Una frenesia di ipotesi con-traddittorie, nata all’inizio dell’Ottocento, in piena epoca romantica, prestocorretta da uno studio attento sull’incrocio di prove interne ed esterne ha cer-to contribuito a creare un quadro più o meno plausibile sulle date, sui prota-gonisti e sulle ragioni della vicenda amorosa narrata da Shakespeare. È pro-babile che il giovane uomo possa identificarsi con Henry Wriothelsey, contedi Southampton, sotto il cui patronato Shakespeare lavorava già nei primi an-ni Novanta, come mostra la dedica, autografa, dei due poemetti, Venus andAdonis e The Rape of Lucrece, facendo così coincidere dedicatario e oggettodell’amore del poeta della parte maggiore del Canzoniere. Una identificazio-ne che esclude l’altro grande candidato della dedica posta da Thorpe sul fron-tespizio, di recente, però, ritornato in prima posizione nelle congetture di al-cuni critici: William Herbert, conte di Pembroke. Una follia di gioventù, perchi situa il Canzoniere nei primi anni Novanta, un’opera matura per coloroche sostengono che la sua forma completa sia stata raggiunta nel 1603.

Su un punto, tuttavia, la critica non ha potuto che essere d’accordo: ilCanzoniere risulta non solo misterioso ma soprattutto anomalo. Al centrodell’attenzione rimaneva il giovane uomo: uno scandalo in epoca vittoriana,

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una prova soddisfacente delle tendenze omosessuali del poeta nella secondametà del Novecento, fino a oggi. Quanto ai sonetti dedicati alla dark lady, es-si non facevano che confermare le prime due ipotesi sulla vita privata di Shake-speare. Misogini e aggressivi – questo il giudizio unanime – essi confermava-no i desideri omoerotici del poeta. Ciò, tuttavia non ha impedito di cercareun corrispondente referente storico per la dama dei sonetti 127-54. In que-sto caso, non un patron, ma un infelice affair con una certa Mary Fitton, da-ma d’onore di Elisabetta, e amante del conte di Pembroke, poteva costituireun sicuro sfondo biografico di una storia che sembrava sfidare tutti i canonidella poesia d’amore dell’epoca. Trasformata nel diciannovesimo secolo infemme fatale, la dama scura di Shakespeare veniva in questo caso addome-sticata facendola rientrare nella schiera di tutte le dame crudeli inauguratada Petrarca e che avevano da allora popolato la scena della poesia d’amorein Europa.1

Era tuttavia inevitabile che una storia d’amore per un uomo piuttosto cheuna seppure inconsueta storia di sesso per una donna suscitasse scandalo. Amaggior ragione perché la prima occupava i due terzi del Canzoniere, men-tre alla seconda veniva dedicata solo l’ultima parte. Benché si potesse ricor-dare che Shakespeare non fu certo il solo a dedicare un gruppo di sonetti aun giovane uomo, e benché i primi 17 siano presentati esplicitamente comeun invito al matrimonio rivolto a un aristocratico recalcitrante, è innegabileche i sonetti che seguono al 17, sfilandosi insensibilmente dalla celebrazionedel potere eternizzante della generazione naturale alla energica rivendicazio-ne del potere eternizzante della poesia, proseguano in una narrazione artico-lata di sentimenti – dalla preghiera alla gelosia, dalla nostalgia alla rabbia, dalrisentimento alla melanconia. Sentimenti che invece sono, come vedremo, deltutto assenti nella sequenza dedicata alla dama oscura.

Al di là dell’identità del giovane uomo e della dama bruna, rimaneva dun-que il fatto che, unico tra i Canzonieri europei, quello di Shakespeare non so-lo è rivolto a due destinatari, e di diverso sesso, ma subisce una svolta bendefinita nel passare dall’uno all’altro. Una storia lineare e sentimentale dellaprima sequenza è bruscamente interrotta e seguita da un gruppo di sonettiche appaiono a ogni lettore: «a very disparate group», «disjunctive, wildlyvarious», «murky and messy, fraught with unexplained complications, unfor-

1 Per una sintetica ricognizione dei giudizi critici sui Sonnets, si veda l’Introduzione di Kathe-rine Duncan-Jones all’edizione da lei curata per la Arden Shakespeare, SHAKESPEARE’S Sonnets (1997),2007, pp. 69-85.

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seen conflicts, and unresolved contradictions».2 La frattura, tuttavia, tra ledue sequenze, non può attribuirsi semplicemente ai due diversi sessi dei de-dicatari, né alle concrete vicende biografiche del poeta. Si potrebbe certo in-vocare, rinunciando a curiosare nella vita intima del poeta, la tradizionale dif-ferenza attribuita all’amore per un uomo e quello per una donna: il primo,come scrive Montaigne nella più bella e influente definizione dell’amiciziamaschile, è «un calore generale e totale, del resto temperato e uguale, un ca-lore costante e calmo, tutto dolcezza e nitore». L’amore per una donna, alcontrario, è «aspro e pungente», «è un fuoco cieco e volubile, ondeggiante evario, fuoco da febbre, soggetto ad accessi e pause, e che ci occupa da un so-lo lato», «un desiderio forsennato di ciò che ci sfugge».3 Inaffidabile, forsen-nato e volubile, l’amore per una donna si subisce; libero e volontario, quelloper un uomo si sceglie. Una differenza che già in principio stabilisce la supe-riorità morale del primo sul secondo. Ma non ne assicura, come Montaignesolo obliquamente dice, e che Shakespeare ammetterà pienamente nei sonet-ti alla dark lady, una simile potenza emotiva.

È molto probabile che Shakespeare abbia letto le parole di Montaignenella traduzione degli Essais di John Florio, apparsa nel 1603. È cercando inquesto contesto, e non nelle preferenze sessuali di Shakespeare che è mag-giormente comprensibile la scelta di un giovane uomo come oggetto d’amo-re. L’amicizia si prestava a intrecciare una storia di anime affini, l’affetto as-soluto per un altro se stesso, come scriveva Montaigne, e come ripete Shake-speare nel sonetto 42: «my friend and I are one» (v. 13). Essa forniva le con-dizioni ideali per dichiarare un amore «costante e temperato», in perfetto sti-le neoplatonico:

Kind is my love today, tomorrow kind,Still constant in a wondrous excellence;

2 I. BELL, Rethinking Shakespeare’s Dark Lady, in A Companion to Shakespeare’s Sonnets, ed.by M. SHOENFELDT, New York 2007, pp. 293-313: 294.

3 M. DE MONTAIGNE, Saggi, a cura di F. GARAVINI, 2 voll., Milano 1970, I, I, cap. XXVIII, pp. 246-247. ID., Essais, éd. par P. MICHEL, Paris 1965, I, chap. XXVIII, p. 266: «D’y comparer l’af-fection envers les femmes, quoiqu’elle naisse de notre choix, on ne peut, ni la loger en ce rôle. Sonfeu, je le confesse neque enim dea nescia nostri / Quae dulcem curis miscet amaritiem, est plus ac-tif, plus cuisant et plus âpre. Mais c’est un feu téméraire et volage, ondoyant et divers, feu de fièvre,sujet à accés et remises, et qui ne nous tient qu’à un coin. En l’amitié, c’est une chaleur générale etuniverselle, tempérée au demeurant et égale, une chaleur constante et rassise, toute douceur et po-lissure, qui n’a rien d’âpre et de poignant. Qui plus est, en l’amour ce n’est qu’un désir forcené aprèsce qui nous fuit […] la fin corporelle et sujette à satiété. L’amitié, au rebours, est jouie à mesurequ’elle est désirée, ne s’élève, se nourrit, ni ne prend accroissance qu’en la jouissance comme étantspirituelle, et l’âme s’affinant par l’usage».

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Therefore my verse, to constancy confined,One thing expressing, leaves out difference.Fair, Kind and True is all my argument.(105, vv. 5-9) 4

Ma soprattutto, scegliere come destinatario un fair youth garantiva, nellaprospettiva indicata da Montaigne, che venisse escluso il corpo, intrinseca-mente casto dell’amato, dal desiderio del poeta, così permettendo di rag-giungere un «marriage of true minds» (116, v. 1), il trionfo di un amore deltutto spirituale, nobile, invincibile, moralmente inattaccabile. Una garanziache, sempre secondo la tradizione neoplatonica e cristiana dentro la quale ra-gionava Montaigne, vacillerebbe invece di fronte all’amore per una donna,«che ci occupa da un solo lato». Sbilanciato dall’appetito sessuale, distrattodalla presenza della bellezza fisica, il desiderio dell’amante diventa, così, nonsolo incontrollabile, ma per questo moralmente biasimevole.

È il corpo, dunque, il grande ostacolo dell’amore per una donna. Ed è perquesto che la grande poesia d’amore europea inaugurata da Petrarca preferi-sce donne evanescenti, luminose, trasparenti, bionde, possibilmente morte.Il fair youth non è una donna, e non è nemmeno morto: ma, come le donnepetrarchesche, è bello, luminoso e biondo (fair). Affidato al pensiero (air) eal desiderio (fire), che fungono da messaggeri d’amore (44 e 45), l’amore delpoeta è destinato, tuttavia, a uno scacco perenne. Perennemente frustratodall’inaccessibilità non solo del corpo maschile, sul quale gravava una censu-ra preventiva, ma anche dalla distanza sociale. Esso è paragonato a un gioiel-lo, al sole, a un re, all’oro, è un «god in love», superiore, perfetto, potente. Ilcorpo del ragazzo non potrà quindi che essere oggetto di ammirazione, qua-si di idolatria:

Let not my love be called idolatry. Nor my beloved as an idol show, Since all alike my songs and praise be, To one, of one, still such, and ever so.(105, vv. 1-4)

«At their greatest moments the Sonnets», scrive Wilson Knight, «are real-ly less love-poetry than an almost religious adoration before one of ‘the rari-

4 Per le citazioni dei Sonetti ho usato l’edizione di Helen Vendler, The Art of Shakespeare’s Son-nets, Cambridge, MA 1999. Laddove l’ho ritenuto opportuno, per non interrompere il ritmo dellafrase in italiano ho usato la traduzione di A. Serpieri, W. SHAKESPEARE, Sonetti, Milano 2004.

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ties of Nature’s truth’».5 Non può che conseguirne che il bello e biondo gio-vane non risponda alle richieste d’amore del poeta e si faccia amare rimanen-do un destinatario inattingibile, sterile, contratto in se stesso: «No love towardothers in that bosom sits» (9, v. 13), freddo come i versi del celebre, perfettosonetto 55 che mentre esaltano il potere eternizzante della sua poesia, sem-brano serrare il giovane in una «tomba dell’amore di se stesso» («tomb to hisself-love») (3, vv. 7-8). Simile, in qualche modo al «silly boy» Adonis dalleguance di rosa che «non conosce e non vuole conoscere amore», 6 inseguitoda una Venere ansimante e infiammata dalla passione del Venus e Adonis de-dicato al conte di Southampton nel 1593, il «lovely boy» dei Sonetti è idola-trato da un altrettanto ansimante poeta alla ricerca di una lingua capace diestrarre l’essenza distillata della sua bellezza e della sua virtù.7 Avendo esclu-so il corpo e la passione, però, tutto qui rimane questione di vista, una ‘rela-zione di occhi’. Il giovane uomo si limita a farsi adorare come un «God in lo-ve», e il poeta rimarrà sofferente e insoddisfatto non solo a causa della di-stanza emotiva che lo separa dal gelido amato, ma anche a causa del suo inu-tile tentativo di arrivare proprio con i suoi versi alla viva verità del ragazzo.L’arte certo sopravviverà, distillando la sua bellezza in versi eterni, ma il cor-po del giovane perirà. Come l’essenza di una rosa sopravvive alla rosa stessa,scrive nel sonetto 54, «so of you, beauteous and lovely youth; / When thatshall vade, by verse distils your truth» (vv. 13-14). I versi potenti del poetasaranno sì in grado di distillare l’essenza della verità del giovane, ma essa ri-marrà una verità simile allo spirito, come un’anima immortale. La miracolo-sa creazione del poeta rimarrà una sublime opera disincarnata che finirà perperdere nella sua competizione con la Natura: «quando quella svanirà». Nel-la sequenza dedicata al fair youth la separazione tra corpo e anima di plato-nica e cristiana memoria rimarrà intatta. Il corpo morirà, dice insistentemen-te la sequenza: sopravviverà l’anima nella poesia. Del giovane uomo non ri-marrà che un innaturale, luminoso ritratto.

Shakespeare non aveva fatto mai mistero della sua insofferenza verso ilcodice d’amore petrarchista. Basti pensare, per fare gli esempi più noti, aicommenti osceni di Mercuzio sul comportamento di Romeo innamorato diRosalina, prima che incontri Giulietta. Qui Petrarca viene citato esplicita-

5 G. W. KNIGHT, The Mutual Flame. On Shakespeare’s Sonnets and the Phoenix and the Turtle,London 1955, p. 59.

6 W. SHAKESPEARE, Venus and Adonis, ed. F. T. PRINCE, London 1998, vv. 466, 409.7 Per la somiglianza tra l’Adonis di Venus and Adonis e il «Fair Youth» dei Sonnets, vedi

G. SACERDOTI, Introduzione a W. SHAKESPEARE, Poemetti, Milano 2008, pp. XL-XLI.

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mente per la prima e ultima volta nell’intera opera di Shakespeare: «now ishe for the numbers that Petrarch flowed in: Laura to his lady, was a kitchinwench, marrie, she had a better love to berime her».8 Né si può dimenticareil fiero rifiuto di Rosalinde di accettare come vera la corte petrarchista di Or-lando nella foresta di Arden in As You Like It; lo svilimento della lamentevo-le corte di Orsino in Twelfth Night, la interscambiabilità delle dame a cui so-no rivolti i sonetti dei giovani accademici di Love’s Labour’s Lost. In tutti que-sti casi, la poesia d’amore di stampo petrarchista viene derisa, messa in que-stione, sottoposta al vaglio della verità. Falsa, grida Rosalinde in As You LikeIt, «nessuno è mai morto per amore». E in ognuno di questi casi Shakespea-re proporrà un’alternativa al codice di Petrarca piegandola alle esigenze del-la trama. Sarà l’impetuoso e involontario corteggiamento di Viola che rag-giungerà velocemente il cuore di Olivia che Orsino vorrebbe conquistare esi-bendo la sua malinconica vena lirica. E toccherà a Giulietta l’invenzione diuna rivoluzionaria (e meravigliosa) lingua amorosa per rimpiazzare senza dif-ficoltà quella esausta usata da Romeo per la fantomatica Rosalina. Il suo nuo-vo amore, griderà Romeo a Frate Lorenzo, stupito dalla rapidità con cui Ro-salina è stata dimenticata, questa volta dice sì: «Her I love now / Doth gracefor grace and love for love allow. / The other did not so» (2, 2, 85-87). Cor-risposto, finalmente, l’amore di Romeo e Giulietta non potrà più evitare ilcorpo. Quanto a Berowne, in Love’s Labour’s Lost giurerà di voler rinuncia-re a «Taffeta phrases, silken terms precise», dichiarando che «Henceforth mywooing mind shall be expressed / In russet yeas and honest kersey noes».9

Certo le commedie sono commedie. L’oggetto d’amore è qui di genere fem-minile, e la critica al codice petrarchista si svolge sempre dentro un registrocomico. La metafisica neoplatonica che sostiene la religione d’amore inaugu-rata da Petrarca viene sistematicamente ridotta a mera, brutale, quasi porno-grafica, fisica: «If love be rough with you», consiglia Mercuzio a Romeo in-namorato di Rosalina, «be rough with love; / Prick love for pricking and youbeat love down» (1, 4, 27-28). Le dame amate in stile petrarchista e i loroamanti non hanno mai scampo nei drammi di Shakespeare.

Perché allora affrontare un intero Canzoniere e per di più obbedire, sep-pure variandole in maniere sorprendenti e inaspettate, alle più note regole e

8 W. SHAKESPEARE, Romeo and Juliet, 2, 3, vv. 36-38, in ID., The Complete Works, S. WELLS andG. TAYLOR general editors, Oxford 1994 (1988). Le citazioni successive appariranno nel testo e fan-no riferimento a questa edizione.

9 W. SHAKESPEARE, Love’s Labour’s Lost, 5, 2, vv. 412-413, in ID., The Complete Works, cit. Lecitazioni successive appariranno nel testo e fanno riferimento a questa edizione.

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ripresentare i temi più consueti del codice petrarchista? Il tempo, il ritratto,la superiorità ideale e sociale dell’amato, la sua inattingibilità, la morte delpoeta, la protesta, la rivendicazione del potere dell’artista di fronte a quellodell’oggetto d’amore, l’immortalità dell’arte. E soprattutto, come vedremo,il repertorio delle sue metafore. È possibile che Shakespeare sia stato spintoa scrivere il Canzoniere perché sollecitato a farlo per convincere il giovaneSouthampton al matrimonio. Ma è molto più probabile che abbia tipicamen-te approfittato dell’occasione per riorganizzare l’esperienza emotiva, intellet-tuale e filosofica di un soggetto non più petrarchista in una nuova impresalinguistica. Per farlo, non si poteva fare a meno del petrarchismo. Per ri-spondere alle nuove domande dell’io dell’Europa del Seicento insomma sidoveva per forza passare per Petrarca. Con i Sonetti Shakespeare prende ri-solutamente in mano l’intero codice e si assume in prima persona il compitodi fare i conti con la lingua sognante di Romeo, falsa di Orlando, inefficacedi Orsino, indifferenziata dei giovani accademici di Love’s Labour’s Lost. Quile regole rigidissime («precise», dice Berwone) del codice petrarchista e neo-platonico vengono per così dire liberate dagli obblighi sociali e ‘realistici’ im-poste della trama ‘comica’ delle commedie. Nei Sonetti Shakespeare mostranon solo di sapere tenere testa al codice di Petrarca (al contrario di Romeo,Orlando, Orsino e così via) ma anche le ragioni intrinseche della necessità diuscirne – a partire dall’oggetto d’amore.

Con il sonetto 126, il poeta dà un addio definitivo al «lovely boy» che lanatura ha adorato, ma che il tempo ha sconfitto. Per il suo corpo, e il suo ri-tratto, non ci sarà spazio in questi versi. La poesia potrà certo mostrare lasua infinita potenza, potrà sì raggiungere le vette sublimi e supreme del bel-lo e del buono, l’arte trionferà sulla vita ma il prezzo da pagare sarà l’esclu-sione del corpo e dell’appagamento del desiderio: la sconfitta della natura edella vita.

Quando dunque arriviamo al sonetto 127, che apre la sequenza alla da-ma bruna, non meraviglierà di trovarsi di fronte a un registro del tutto nuo-vo. Il giovane aristocratico scompare e insieme con lui scompare la lingua ela filosofia dell’amore che la sorreggeva. Con lui scompare la vista e il tempodivoratore. Ma scompare anche la frustrazione che accompagna la meravi-gliosa storia d’amore con il bel ragazzo biondo. E lo splendido edificio co-struito per lui sembra svanire di colpo.

In the old age black was not counted fairOr if it were, it bore not beauty’s name; But now is black beauty’s successive heir

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And beauty slandered with a bastard shame:For since each hand hath put on Nature’s powerFairing the foul with art’s false borrowed face,Sweet beauty hath no name, no holy bower,But is profaned, if not lives in disgrace. Therefore my mistress’ eyes are raven black,Her eyes so suited, and their mourners seemAt such who not born fair no beauty lack,Sland’ring creation with a false esteem:Yet so they mourn, becoming of their woe,That every tongue says beauty should look so.

Il solenne movimento narrativo, l’uso di termini mitici e religiosi come«holy bower», «profaned», «creation», «slandering» fanno del sonetto 127un «mito d’origine», scrive Helen Vendler. Qui una austera dama dagli oc-chi scuri è in lutto per la scomparsa della vera bellezza che è stata profanata(«profaned») dalla «art’s borrowed face». La Natura è stata cacciata dal tem-pio, usurpata da una «falsa bellezza». Perciò, il sonetto continua, spezzan-dosi logicamente in ottava e sestina, «my mistress’ eyes are raven black». L’at-tacco all’artificiosità della poesia encomiastica di matrice petrarchesca, ca-pace di abbellire anche ciò che non lo è, è evidente. Ma ciò che più distinguequesta critica da quella di Mercuzio, Benvolio, o Berowne, è che essa nonpresenta affatto una riduzione comica del codice, ma annuncia con gravità lanascita di una nuova era filosofica e poetica dove il nero è l’erede legittimodel bello, del biondo e del buono («fair»). Il sonetto 127 segna dunque unasvolta precisa nel Canzoniere e presenta un programma contrapposto a quel-lo della sequenza precedente. Esso non cambia solo l’andamento narrativo,il genere sessuale, e il colore del Canzoniere. Il sonetto 127 annuncia solen-nemente il mutamento della religione d’amore seguendo i cui riti («the per-fect ceremony of love’s rite» [23, v. 6]) era stato idolatrato il giovane lumino-so ragazzo. Il lessico religioso del sonetto non lascia dubbi sul fatto che orauna bellezza bruna, nera, sarà oggetto di una nuova religione d’amore che,vedremo, rifugge sia il ritratto che l’encomio.

Questo passaggio da una lingua specificamente petrarchesca giudicata fal-sa all’aprirsi di una nuova era amorosa è segnato in termini molto simili inRomeo and Juliet. Tutta la corte di Romeo a Rosalina è articolata negli stessitermini della corte al fair youth: Rosalina è respingente, non risponde, è con-tratta nel suo gelido narcisismo. Il suo nome è evocato, ma non è presentecome personaggio. Rosalina non c’è. Come il fair youth «She hath, and in thatsparing makes huge waste. / For beauty starved with her severity / Cuts beau-

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ty off from all posterity» (1, 1, 215-217). Giulietta certo non è nera. Però, laceleberrima metafora con cui Romeo la descrive la prima volta che la vede ladesigna chiaramente come una luce nelle tenebre: «It seems she hangs uponthe cheeks of night / As the rich jewel in an Ethiop’s ear»; come preziosabellezza della terra: «Beauty too rich for use, for earth too dear» (1, 5, 44-46).La bellezza che rimpiazza l’assente Rosalina, è una luce che emana dalla ric-ca oscurità della terra. Si tratta, come vedremo, di una bellezza altrettantodivina rispetto a quella che sostituisce; essa racchiude una verità che richiedeun diverso itinerario amoroso per raggiungerla. Ne parleremo in seguito, aproposito degli Eroici furori e di Giordano Bruno.

Nei sonetti alla dark lady Shaespeare non racconta la storia di un para-dossale amore romantico. In gioco qui è una sfida a Petrarca e alla sua filosofiad’amore. Per questo, il sonetto 130 ingaggia, subito dopo l’entrata del 127,un serrato corpo a corpo con il repertorio di metafore petrarchesche: «Mymistress eyes are nothing like the sun». Il corallo, continua, è più rosso dellalabbra della lady, la neve infinitamente più bianca della sua pelle, i profumipiù delicati del suo respiro e così via. Il mio amore, il poeta conclude in undistico inteso a provocare i poeti petrarchisti e le loro dame, «è tanto raroquanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni» («And yet by heaven Ithink my love as rare / As any she belied with false compare» [130, vv. 13-14]). Se la dama non può essere paragonata a nessuna delle immagini dell’e-saurito repertorio petrarchesco, ciò che segue, tuttavia, non è il ritratto dellabellezza della dark lady. Perché la dama risulta essere una donna promiscua,adultera, traditrice, sessualmente vorace e nemmeno tanto bella: occhi neri,capelli neri, pelle nera e naturalmente, nere le sue azioni (black deeds): «asblack as hell, as dark as night» (147, v. 14).

«Fragmentary, juxtaposed, oddly modernist in effect» come sostiene JohnKerrigan,10 il gruppo dei sonetti dedicato alla dark lady rende impossibilecostruire il ritratto visionario previsto per il giovane uomo. Essa è mobile,estrema, inaffidabile contenitore di tutti i contrari, da lei non può essere di-stillata alcuna perfezione. Non c’è una parte di lei che può essere separata dalei: ella è insieme tiranna (131) e pietosa (132), infinitamente degradata e in-finitamente accogliente («the bay where all men ride» [137, v. 6]), frivola eprofonda. Indistricabilmente. È per questo che non c’è modo di trattenerlain un monumento poetico, né di estrarne l’essenza. Non è possibile trarre dalei lo spirito, né l’anima. Il poeta, perciò, non può neanche più rivendicarecon orgoglio il suo ruolo di artista.

10 J. KERRIGAN, Introduction, in W. SHAKESPEARE, The Sonnets and A Lover’s Complaint, Har-mondsworth 1986, p. 34.

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Impossibile da rappresentare, ancora meno da lodare, la dark lady, tut-tavia non è semplicemente un dispetto fatto al codice petrarchesco. L’effettodi realtà, oppure l’impressione che si tratti di un divertimento erotico e ironi-co non devono ingannare. Il ritratto chiaroscuro, mosso, aspramente contra-stato e antiidealista della dark lady non è solo il controcanto del ritratto idea-le del fair youth, né la sua parodia parossistica, come scrive Helen Vendler.11

Questa non è un’antibellezza, tipica delle molte dame oggetto di satire an-tipetrarchiste diffuse in tutta Europa, alla maniera, per esempio, di FrancescoBerni.12 Non si tratta nemmeno, come afferma insistentemente Joel Fineman,di misoginia, né, tanto meno, di un paradossale mock encomium.13 Parados-sale, certo, solo nel senso etimologico del termine: para-doxa, contro l’opi-nione comune.

Come paradossale viene presentato innanzitutto il desiderio del poeta peruna dama che non corrisponde ai tradizionali ideali estetici e morali. Il di-vorzio tra desiderio e giudizio è dichiarato costantemente e apertamente. Piut-tosto che stare spalancati sulla bellezza del giovane aristocratico in estaticaadorazione, gli occhi ora vedono consapevolmente il bello dov’è il brutto,amano quello che gli altri aborrono. Il poeta è accecato, come dice la tradi-zione: «If eyes, corrupt by over-partial looks, / be anchored in the bay whereall men ride / Why of eyes’s falsehood hast thou forgèd hooks, / Whereto thejudgement of my heart is tied?» (137, vv. 5-8). La frenetica serie di domandee ipotesi che affollano il sonetto 137 – che mette in atto la tradizionale con-tesa tra occhi e cuore, biasimando sia Amore che il poeta – sembra placarsinell’ammissione del sonetto 141: «I do not love thee with mine eyes, / Forthey in thee a thousand errors note» (vv. 1-2). Il giudizio dunque è vigile, etuttavia la dark lady è «fairest and most precious jewel», ma solo per il «deardoting heart» del poeta. Gli occhi di «alcuni», invece, pensano che «thy facehath not the power to make love groan». Laddove la vista e il giudizio eranoindispensabili per costruire il ritratto «fair kind and true» del ragazzo, un ri-tratto che tutti possano approvare, qui gli occhi non sono più un metro af-fidabile per misurare il merito della dama bruna. Il poeta perciò deve «giu-

11 VENDLER, The Art of Shakespeare’s Sonnets, cit., Introduction, pp. 16-17.12 Si veda, per esempio, il sonetto di Berni: «Chiome d’argento fino, irte e attorte / senz’arte in-

torno ad un bel viso d’oro; / fronte crespa, u’mirando io mi scoloro, / dove spunta i suoi strali Amore Morte; / occhi di perle vaghi, luci torte / da ogni obbietto diseguale a loro; / ciglia di neve, e quel-le, ond’io mi accoro, / dita e man dolcemente grosse e corte; / labbra di latte, bocca ampia e celeste;/ denti d’ebano rari e pellegrini» (F. BERNI, Rime, a cura di G. BÀRBERI SQUAROTTI, Torino 1969).

13 J. FINEMAN, Shakespeare’s Perjured Eye. The Invention of Poetic Subjectivity in the Sonnets,Berkeley 1986.

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rare» («swear») solo a se stesso («myself alone») che «black is fairest» nel suo«judgement’s place» (131, vv. 6, 12). Il gruppo di sonetti dedicati alla dark la-dy, insomma, afferma costantemente che il desiderio è pienamente capace disopravvivere alla morte dell’encomio, alla scomparsa della lode e alla esalta-zione delle virtù dell’amata.

Avendo perso tutti quegli attributi di superiorità morale e spirituale chela elevavano al di sopra del poeta, l’amata è ora soggetta alle stesse leggi deldesiderio del poeta. Con lei egli condivide peccati e colpe. Come il poeta, eproprio al contrario di Laura, la dark lady insegue ciò che le sfugge, corre «af-ter that which flies from thee» (143, v. 9). Entrambi tradiscono (151), en-trambi mentono: «When my love swears thar she is made of truth, / I do be-lieve her, though I know she lies» (138, vv. 1-2). A fingere di credere al poetaè d’altronde anche la lady e così conclude nel distico finale «Therefore I liewith her, and she with me, / And in our faults by lies we flattered be» (138,vv. 13-14). Mente lei, mente lui. La menzogna viene accettata come una virtùdell’eros e il tradimento come ingrediente necessario del piacere. Mai in que-sta sequenza il desiderio frenetico e irragionevole per una dama brutta e pec-catrice è, come dovrebbe, evitato o censurato. E questo perché il poeta èugualmente peccatore, e niente affatto pentito. Nel commento al sonetto 146«Poor soul, the center of my sinful earth» – una meditazione impersonale sulrapporto tra anima e corpo – Helen Vendler sostiene che «in Christian terms,the speaker shows no firm purpose of amendment for sexual sin».14 Nei so-netti alla dark lady non esiste un peccato sessuale di memoria petrarchesca.Da quel peccato il poeta non ha nessuna intenzione di fuggire. «Love is mysin», dichiara nel 142 mentre accusa la dama di essere ugualmente peccatri-ce. Il punto qui è la reprocità, non una accusa.

Quando, nel famoso sonetto 129, Shakespeare descrive il movimento e itempi tutti interni di una selvaggia lussuria in atto, «perjured, murderous,bloody, full of blame, / Savage, extreme, rude, cruel, not to trust», nessun oc-chio esterno la giudica. Essa è per sua stessa natura inevitabilmente «estre-ma». Scrive Helen Vendler: «Socially, lust is of course savage in its pursuit ofits object […] religiously it may be an expense of spirit on a base matter; psy-chologically, it may be the occasion of shame and madness. But philosophi-cally, it is extreme, going past the mean of reason in all directions. I call thistotalizing judgement philosophical rather than ethical because the vocabu-lary of purely ethical judgment includes words far less neutral than Shake-

14 VENDLER, The Art of Shakespeare’s Sonnets, cit., p. 614.

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speare’s carefully word extreme».15 Non più socialmente condannata, la lus-suria ora assume un connotato filosofico: essa è a caccia frenetica della ve-rità. Non più esposta allo sguardo degli altri, come nel sonetto 121, dove ilpoeta deve difendere il suo «sportive blood» dalla condanna di chi nega ipo-critamente di possederlo,16 il desiderio del corpo non ha bisogno di un itine-rario ideale che debba essere da tutti condiviso. Non ha bisogno neppure delromantico matrimonio di Romeo e Juliet per essere consumato. Ribaltandola gerarchia paolino-agostiniana della opposizione carne-spirito, Shakespea-re rivendica ora per la lussuria, alla parte più bassa e vile di sé, al corpo, nonal suo «better self» – lo spirito –, dignità d’amore. Frammentaria, caotica, in-stabile, contraddittoria, disordinata e mutevole la sequenza dedicata alla darklady rispecchia la natura instabile, contraddittoria, inaffidabile, estrema deldesiderio terreno. Desiderio e desiderata, soggetto e oggetto del desiderioterreno coincidono. Ciò che sfugge ora non è un irraggiungibile ideale, mal’imprevedibile percorso di una esperienza emotiva e intellettuale. Quello delpoeta per una imprevedibile, mutevole, fisica dama «estrema».

Insomma una vera rivoluzione. Tutte le strutture gerarchiche tradizionalisono sconvolte. Il poeta non è più impietrito di fronte alla bellezza né sotto-posto all’altezza sociale dell’amato. Non si presenta più con le armi dell’artecome unico strumento di rivendicazione dell’io. Dimessi i panni dell’io liricointento a costruire il ritratto perfetto dell’amato, ora Shakespeare entra ina-spettatamente nei suoi stessi versi come soggetto biografico. E lo fa nei so-netti più osceni del gruppo dedicato alla dark lady: quelli, per intenderci, do-ve compare vigoroso e onnipresente non l’io sofferente e insoddisfatto, tan-to meno il suo «better self», lo spirito della sequenza al fair youth, ma il Willdel poeta, ovvero William, ma anche volontà, potenza, voglia sessuale di luie di lei, voglia dei rispettivi organi sessuali: «will will fulfil the treasure of thylove, / Ay, fill it full with wills, and my will one» (136, vv. 5-6): «will» e «I» siidentificano definitivamente nel sonetto 151 «for whose dear love I rise andfall» (vv. 13-14), Per questa parte dell’io immersa nella «sinful earth» il poe-ta ora reclama il diritto e il potere di penetrare (alla lettera) nel grembo oscu-ro e misterioso della Natura. Nel grembo della dark lady – «wide world’s com-mon place» (137) – il will di Shakespeare incontrerà tra gli altri, e finalmen-te alla pari, il will del bel giovane aristocratico. È qui, fuori dalla scena del-

15 Ivi, p. 552.16 Per una analisi esauriente del sonetto 121 si veda quella mirabile di Giorgio Melchiori in

L’uomo e il potere. Indagine sulle strutture profonde dei Sonetti di Shakespeare, Torino 1973.

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l’amore cortese e dentro il fondo oscuro di una dama indifferente alle distin-zioni sociali, nella «baia dove tutti danno fondo», che il poeta e l’amico tro-veranno una fusione sub specie naturali. Nel corpo, dunque, non nella men-te. Qui finalmente si uniranno indirettamente ma carnalmente dentro il senodella dark lady.

Alla potenza della creazione poetica impegnata in una invincibile compe-tizione con la natura e con il tempo, al desiderio di immortalità che corre lun-go tutta la sequenza al fair youth, Shakespeare sostituisce il potere dell’erosche emana come una potenza miracolosa e misteriosa dal corpo di una damapromiscua e infedele: «Oh, from what power hast thou this powerful might/ With insufficiency, my heart to sway» (150, vv. 1-2). Tre volte ripetuto nellaposizione forte del primo verso, il potere della dama bruna supera l’ostacolodella sua imperfezione terrena. Il poeta ama non benché, ma proprio a causadelle «mancanze» («insufficiency») della dark lady: «it is precisely the pro-miscuity of his mistress, scrive Helen Vendler, that is the prerequisit for hisown troubling sexual arousal in her presence».17 Ma non si tratta solo di unmovimento perverso o incomprensibile dell’eros. A motivare il desiderio perla dama bruna, scrive Joel Fineman, è «a kind of brute energy, given now byNature rather than by God».18 All’energia che scaturisce dalla «Natura» Fi-neman però attribuisce un aggettivo – «brute» – molto simile a quelli che leaveva accordato la tradizione platonico-cristiana. E benché non aggiunga, co-me fa Michael Shoenfeldt, che nei sonetti alla dark lady si racconta la storiadi una relazione erotica sofferente, di «un incubo da cui si desidera svegliar-si»,19 Fineman si limita, al contrario di altri, a sospendere un giudizio censo-rio sulla sessualità del poeta e della dark lady, e a concedere a questa partedel Canzoniere la ricerca di una retorica della ‘differenza’ ben contrapposta

17 VENDLER, The Art of Shakespeare’s Sonnets, cit., p. 599.18 FINEMAN, Shakespeare’s Perjured Eye, cit., p. 19. Fineman, tuttavia, non ci dice in che cosa

consiste esattamente questa «bruta energia» della Natura e in che cosa essa si distingue dall’energiadonata da Dio. Intuitivamente si può immaginare che la forza che muove il desiderio per la damaprovenga dal basso, ovvero dal corpo, mentre la forza divina dall’alto. In effetti Fineman non fa cheripetere la dicotomia alto-basso, spirito-corpo della tradizione filosofica di stampo platonico e neo-platonico. Il libro di Fineman – uno dei pochi che distingue nettamente le due sequenze – tende adimostrare una frattura stilistica e psicologica fra le due parti del Canzoniere. La prima visionaria enarcisistica, la seconda impegnata a cercare e trovare una inedita modalità erotica delle relazionieterosessuali.

19 A Companion to Shakespeare’s Sonnets, cit., Introduction, p. 6: «Shakespeare discovers littlecomfort in the pursuit of erotic pleasure. Indeed, sex is troubling because its pleasures are so flee-ting, and because it is inherently an act that entails the loss of control. Sexual intercorse is not, forthe author of the Sonnets, a consummation devoutly to be wished, but a nightmare from which onewishes to awake».

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a quella della indifferenza narcisistica dei sonetti dedicati alla lode del fairyouth. Il significato dei sonetti alla dark lady finisce per circoscriversi, nell’a-nalisi linguistica e psicoanalitica di Fineman, alla sua contrapposizione allaautoreferenzialità dei sonetti al fair youth. Questa seconda parte del Canzo-niere di Shakespeare, in altre parole, ha per Fineman la funzione di ‘critica-re’ il compiaciuto specchiarsi in se stesso in cui era finito il codice poetico diPetrarca. Fineman, come altri, tuttavia, trascura l’impalcatura filosofica chesostiene la violenza ossimorica dei sonetti alla dark lady. Trascura di indaga-re l’indipendenza e la forza concettuale della dark lady stessa e delle passioniestreme e contrarie che essa suscita: beatitudine e tormento (129), supplica egratitudine, rabbia e accettazione, disprezzo e rivendicazione, brama e disgu-sto, infinito godimento e massima sofferenza, odio e amore (142), inferno eparadiso (144), «a bliss in proof» e allo stesso tempo «very woe», eccesso digioia ed eccesso di pena, simultaneamente «heaven and hell». Al contrario diquanto accade nella sequenza dedicata al giovane aristocratico, benché passiper l’inferno, è solo qui che il poeta fa esperienza della beatitudine dell’eros.

* * *

Caccia, febbre, desiderio furioso per una dama nera. È il lessico degli Eroi-ci furori di Giordano Bruno.

Non è dato sapere se Shakespeare avesse letto l’ultimo Dialogo italianoche Bruno scriveva e pubblicava a Londra a metà degli anni Ottanta. È certotuttavia che alcune allusioni alla «school of night» in Love’s Labour’s Lost fan-no pensare che conoscesse il circolo di Ralegh dove si discuteva di alcune ideeeterodosse e non cristiane, e di cui faceva parte il conte di Northumberland,possessore di una annotatissima edizione dei Furori. E d’altra parte è proprioin questa commedia che il giovane Berowne corteggia la nera Rosaline con-tro ogni senso comune usando parole che ricordano inequivocabilmente ilsonetto 127: «I’ll prove her fair, or talk till doomsday here» (4, 3, 272); «Noface is fair that is not full so black» (4, 5, 251); «O, if in black my lady’s browsbe decked, / It mourns that painting and usurping hair / Should ravish do-ters with a false aspect; / And therefore is she born to make black fair. / Herfavour turns the fashion of the day» (4, 3, 255-260).

Sicuramente Shakespeare non avrebbe potuto evitare il famosissimo Can-zoniere del dedicatario di Bruno, Philip Sidney, pubblicato nel 1591, scrittopresumibilmente nei primi anni ’80, quando il Nolano era ancora in Inghil-terra. Anche la dama di Sidney ha occhi e capelli neri. E nel sonetto 7 si diceche «Whereas black seems Beauty’s contrary, / She even in black doth make

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all beauties flow».20 E questo sonetto risuona insistentemente in quello cheinaugura il gruppo dedicato alla dark lady di Shakespeare. Ma il primo versodel primo sonetto di Astrophil and Stella, recita così: «Loving in truth, andfain in verse my love to show». È dichiarato così il programma del primo epiù influente Canzoniere inglese. Teso a marcare la distanza tra verità e fin-zione («amare sinceramente» e «fingere nella scrittura»), Sidney mette in dub-bio l’affidabilità dell’io lirico e di conseguenza anche la veridicità del ritrattodi Stella. Il carattere metapoetico è la vera novità di Astrophel and Stella. L’en-fasi posta sui meccanismi della scrittura e sui processi mentali del poeta fan-no sì che a Stella si adatti meglio il ruolo di lettrice piuttosto che di amata: «Iam not I, pity the tale of me» (45, v. 14). La frattura tra l’io biografico e il mefittizio è chiara. Una Stella evanescente allora diventa protagonista e prete-sto della riflessione del poeta su un codice amoroso consumato dal tempo edai tempi. Ma sebbene sia una dama cosciente e presente, e abbia perdutomolti degli attributi della dama petrarchista, tuttavia ella rimane ancora di-stante, «una principessa, una regina»: e benché il desiderio erotico del poetavenga espresso in modo esplicito e anche violento, ella non cede e non si con-cede. La frustrazione del poeta non si traduce in rabbia come in Shakespea-re, ma in una rassegnata malinconia. Il codice di Petrarca è messo in serio pe-ricolo, ma non crolla. Il nero degli occhi di Stella non segna ancora un ritor-no alla materia.

Ma è a Sidney, al signor Sidneo, che intanto Bruno si rivolge nell’Argo-mento degli Eroici furori tirando fuori senza pudore tutta la sua incontinenteimpazienza di fronte alle donne di petrarchista memoria, sapendo di trovaresicuro consenso nel suo destinatario. La celebre, irridente, fluviale invettivacontro le dame petrarchiste che per Bruno è una vera pazzia adorare, e cherischia di travolgere anche le donne vere, finisce con un invito ad adorare ledonne per quello che sono, per come sono.21 Avendo dichiarato, a scanso di

20 P. SIDNEY, Astrophil and Stella, in ID., The Major Works, ed. by K. DUNCAN-JONES, Oxford2008. Tutte le citazioni nel testo fanno riferimento a questa edizione.

21 Il lessico e i concetti dell’invettiva di Bruno contro le amate e gli amanti petrarchisti non puònon ricordare le innumerevoli tirate shakespeariane sullo stesso argomento: «Ecco vergato in carte,rinchiuso in libri messo avanti agli occhi ed intonato agli orecchi un rumore, uno strepito, un fra-casso d’insegne, d’imprese, de motti, d’epistole, de sonetti, d’epigrammi, de libri, de prolissi scarta-fazzi, de sudori estremi, de vite consumate, con strida ch’assordiscono gli astri, lamenti che fannorimbombar gli antri infernali, doglie che fanno stupefar l’anime viventi, suspiri da far exinarnire ecomparir gli dei, per quegli occhi, per quelle guance, per quel busto, per quel bianco, per quel ver-miglio, per quella lingua, per quel dente, per quel labro, quel crine, quella veste, quel manto, quelguanto, quella scarpetta, quella pianella […] quel mestruo, quella carogna, quella febbre quartana[…]» (G. BRUNO, Gli eroici furori, introduzione e commento di N. TIRINNANZI, Milano 20082, p. 56).

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ogni equivoco, di non essere affatto freddo, né di essere «tanto savio e buonoche mi potesse venir voglia di castrarmi o divenire eunuco»,22 e di non averenessuna intenzione di rinunciare alle donne, né di smettere di adorarle, pro-pone allora di cambiare soggetto: non più mai viste donne dimoranti in unmondo celeste, né donne «naturalesche», quelle, cioè, destinate alla procrea-zione. Bruno vuole adorare donne «naturali», abitanti di una natura divina.E per farlo deve cambiare sia il ‘soggetto’ sia l’‘oggetto’ d’amore. Ma sarà in-nanzitutto il diverso oggetto d’amore a mutare il percorso dell’amante.

Bruno sa bene che le divine dame petrarchiste corrispondevano a una cer-ta idea della natura e della divinità. Che attraverso quelle dame la verità ve-niva cercata nei cieli. Che la loro bellezza era solo il primo gradino di quellescale che conducevano a Dio, e che durante quella scalata bisognava abban-donare il corpo, e lasciare che l’anima si fondesse libera nella divinità. L’ob-bligo di disincarnarsi per compenetrare l’essenza divina è per Bruno impos-sibile. Perché diversamente da quanto riteneva Ficino, dai cui furori Brunoparte, come spiega Nicoletta Tirinnanzi nella sua bella introduzione,23 Dio,come assoluto, non ha a che fare con noi. Il rifiuto del dogma dell’incarna-zione da cui prende le mosse la riflessione di Bruno sull’universo implicavanecessariamente anche che l’uomo non può farsi Dio. È il principio fonda-mentale su cui si poggia tutta la filosofia del Nolano. La comunicazione traDio infinito e uomo finito non può per Bruno mai avvenire in modo diretto,ma solo tramite l’ombra, la natura. La divinità va dunque cercata nell’ombrae nella materia, viva – e non vile – perché pregna di divino, la quale è peròopaca e in continuo movimento. E per questo non la si può fissare per sem-pre in un ritratto. Per entrare in contatto con Dio all’individuo finito non re-sta che cercare una strada incerta, dolorosa, imprevedibile che conduca a pe-netrare nel flusso in continua trasformazione della materia e cercare di fer-marla, anche solo per un attimo, e vederla, sapendo che la visione dura il tem-po, scrive Ciliberto, di un flash.24 Raggiungere la visione dell’infinito è feli-cità, vita da dèi. Per questa nuova ricerca, il processo di ascesa neoplatoniconon poteva più funzionare.

22 Ivi, p. 57.23 N. TIRINNANZI, Il Cantico dei Cantici tra il De umbris idearum e Gli eroici furori, introdu-

zione a BRUNO, Gli eroici furori, cit., p. 48: «la trama di riferimenti ficiniani risulta costruita e rein-terpretata alla luce di questo nodo teorico fondamentale: Dio non si può incarnare, l’uomo non puòfarsi Dio».

24 M. CILIBERTO, Giordano Bruno, angelo della luce tra disincanto e furore, introduzione a G. BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. CILIBERTO, Milano 2000, pp. XI-LXXVII: LXII.

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Per uscire dal modello neoplatonico, che pure intesse tutto l’ordito deiFurori, e dall’ostinatamente influente codice linguistico di «quel tosco poeta,che si mostrò tanto spasimare alle rive di Sorga per una di Valclusa»,25 Bru-no deve ricorrere a un nuovo racconto d’amore, che facesse ricorso ai sensi,e che era stato già sottoposto all’interpretazione allegorica dei cabalistici emistici dottori: «Avevo pensato, scrive Bruno, di donar a questo libro un ti-tolo simile a quello di Salomone, il quale sotto la scorza d’amori e affetti or-dinari contiene similmente divini ed Eroici furori, come interpretano gli mi-stici cabalistici e dottori; volevo, per dirla, chiamarlo Cantica».26 Ora quelsensuale poema di Salomone serve a Bruno per raccontare la sua storia, chedi mistico ha ben poco, ma molto di eroico e divino. Sostituire il modello neo-platonico e petrarchista con l’interpretazione cabalistica del Cantico dei Can-tici, come propone Bruno, significava non solo sostituire una donna biondacon una donna nera, «la Sposa celeste, bruna e tuttavia avvenente» del Can-tico, ma cercare la divinità non più nei cieli, ma nella terra, non nella luce, manell’ombra. Se è l’ombra il limite nel quale vive e al tempo stesso ha luogol’esperienza conoscitiva dell’individuo, allora il racconto erotico e sensualedella sposa bruna protagonista del libro più poetico dell’Antico Testamentopoteva ben prestarsi a divenire metafora della ricerca di una divinità situatanella opaca materia della natura. Si tratta di una ricerca che non esclude i sen-si né il corpo e che è vincolata a un irresistibile impulso amoroso. E questoperché per Bruno solo il vincolo d’amore permette il superamento eroico dellimite di sé: «Il recupero del Cantico dei Cantici si accompagna sempre, spie-ga Nicoletta Tirinnanzi, a uno sforzo interpretativo teso a evitare ogni sug-gestione ‘irrazionale’ o ‘mistica’, per porre l’accento, invece, sulla natura in-timamente ‘eroica’ della tensione che, attraverso il vincolo d’amore, proiettal’uomo oltre il proprio limite».27 Sotto la «scorza» di un «ordinario» raccon-to d’amore, Bruno dunque narra negli Eroici furori la storia di una esperien-za interiore estrema che richiede l’impegno assoluto di anima e corpo.

Cercare la verità, e la felicità, non è tuttavia impresa per molti. Cercare laluce nell’opacità della materia è impresa per pochi. E questi non sono i sa-pienti che osservano la verità a distanza, dalla casa della Temperanza. Ma ifuriosi, i quali, proprio come i poeti – i veri poeti – devono armarsi di pas-

25 BRUNO, Gli eroici furori, cit., pp. 60-61.26 Per un’accurata indagine dei rapporti tra gli Eroici furori e il Cantico dei Cantici, si veda tut-

ta la bellissima introduzione di Nicoletta Tirinnanzi all’edizione citata, Il Cantico dei Cantici tra ilDe umbris idearum e Gli eroici furori, cit., pp. 5-50.

27 Ivi, p. 48.

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sioni, le quali sono, come tutti sanno, proprietà del corpo. Negli Eroici furoriil corpo non può rimanere escluso dal processo di conoscenza, non può nonpartecipare all’esperienza «veemente» del vincolo d’amore. Ma per divenirefurioso occorre che l’«amante» venga ferito dai dardi di Diana o di Febo, ela ferita d’amore divenga così il segno dell’elezione divina che gli consente dicorrere il rischio del «disquarto di sé».

Lo speciale Itinerarium mentis in deum di cui Bruno fa esperienza nei Fu-riosi, il più intimamente autobiografico dei suoi Dialoghi, poteva costituireun modello per Shakespeare poeta. Prima di intraprendere un nuovo asproitinerario verso la sapienza, Bruno, come Shakespeare, ha bisogno di respin-gere con forza la lingua di Petrarca e, dopo averla ridicolizzata, enunciare unnuovo programma conoscitivo. Come Bruno, Shakespeare contrappone laconoscenza disincarnata dell’ascesa neoplatonica a quella appassionata delfurioso. Nella prima sequenza l’intelletto, guidato dalla vista, domina la pas-sione per procedere alla contemplazione e alla organizzazione di una veritàanch’essa intellettuale, immobile e immateriale:

Kind is my love today, tomorrow kind,Still constant in a wondrous excellence;Therefore my verse, to constancy confinedOne thing expressing, leaves out difference.Fair kind and true is all my argument.

La contemplazione quieta della bellezza del giovane uomo, il tentativo difissare per sempre il suo ritratto in una immagine perfettamente stabile e uni-ca è simile al percorso del sapiente che nei furiosi contempla a distanza l’im-magine della verità, ma non la penetra. Lo strumento del sapiente è l’intel-letto, ed esso, scrive Bruno «non è operazion di moto, ma di quiete».28 L’in-telletto non forza i limiti che lo separano dalla verità. Il sapiente, scrive Mi-chele Ciliberto, «è estraneo al vincolo, a tutte le passioni di cui l’amore è fon-damento […] Sta nella casa della temperanza, nella indifferenza: non è nécontento, né triste, né freddo né caldo».29 Nel sonetto 105, come nel resto deisonetti dedicati al fair youth, poiché il corpo non è coinvolto nell’esperienzad’amore, esso non può essere squassato da passioni contrastanti, non si tor-menta nel tentativo di fermare l’infinito movimento della natura.

28 BRUNO, Gli eroici furori, cit., p. 97.29 M. CILIBERTO, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il ‘vincolo’ di Cupido, introduzione a

G. BRUNO, Eroici furori, testo e note a cura di S. BASSI, Bari 1995, pp. VII-XLI: XX.

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Per Bruno, l’intelletto può dare la caccia alla Sapienza, ma non può cat-turarla, per un limite interno, una deficienza di amore, di passione. Sarà solouna volontà potente (quel «Will» ripetuto continuamente nei sonetti alla darklady) che la potrà raggiungere. La volontà, scrive Bruno «siede in poppa del-l’anima», il suo inesauribile appetito sveglia l’intelletto: «l’operazion de l’in-telletto, continua, precede l’operazion della voluntade; ma questa è più vigo-rosa ed efficace che quella, atteso che è più amabile che comprensibile la bel-lezza divina all’intelletto umano».30 Più veloce del forte intelletto, come i vel-tri che nel mito di Atteone affiancano i cani, allegoria dell’intelletto, la vo-lontà consente di superare il limite di sé e penetrare oltre l’esteriorità nellacomprensione della Verità. Ciò che tuttavia distingue la potenza della volontàbruniana da quella di Ficino – una distinzione che Shakespeare deve averecolto e usato nei suoi Sonetti – è il principio generativo del desiderio. Esso èradicato nella contrarietà e nella perpetua vicissitudine della materia: «nullasi fa absolutamente da un pacifico principio», scrive Bruno citando il De re-rum natura di Lucrezio, «ma tutto da contrarii principii per vittoria e domi-nio d’una parte della contrarietade […] e dove queste cose che si generano ecorrompono, sono congionte e come in medesimo soggetto composto, si tro-va il senso di delettazione e tristizia insieme»: 31 «delettazione e tristizia insie-me». Il principio generativo della vita stessa è una stridente, disarmonica,esplosiva compresenza di forze contrarie.

È quello che accade nei Sonetti alla dark lady: «a bliss in proof» e dopo«a very woe». Shakespeare affonda nella materia, nella darkness da cui emer-ge una nuova concezione dell’eros al centro del quale non c’è la virtù ma unvizio. Il vizio, scrive Bruno «è là dov’è la contrarietade, la contrarietade è mas-sime là dove è l’estremo», e il furore eroico è esso stesso vizio, perché, a dif-ferenza della virtù del sapiente, «tende agli estremi, inchinando all’uno e al’altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio».32 «Di-versamente dal sapiente», scrive Ciliberto, «che si disincarna per scelta con-sapevole, il corpo del furioso, come soggetto e come oggetto, è coinvolto fi-no in fondo nell’esperienza del furore».33 «Frantic mad», «past reason hun-ted». Il racconto frammentario, caotico, contraddittorio, «estremo» della sto-ria d’amore per la dama bruna assomiglia alla favola di Atteone che cacciafurente la verità di Diana.

30 BRUNO, Gli eroici furori, cit., p. 159.31 Ivi, p. 249.32 Ivi, p. 116.33 CILIBERTO, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il ‘vincolo’ di Cupido, cit., p. XXIV.

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Per scoprire cosa c’è al fondo della natura, per vedere la luce nel buio,occorre che il furioso, come il poeta, s’insuperbisca, si umili, s’infuri, disprezzi,accusi, pianga e gioisca. Deve rischiare d’impazzire, «frantic mad», mentrecaccia furente la verità nella terra e nella carne. L’amante furioso deve desi-derare ardentemente di penetrare nella divinità della materia, e da essa farsiinghiottire, farsi preda, come Atteone che, divenuto egli stesso «caccia» «sivanta d’esser preda di Diana, a cui si rese» «perché lo amore transforma nel-la cosa amata».34 Per cogliere la verità si deve insomma affrontare il pericolodi confondersi con lei e morire in lei. Si capisce allora che solo chi è dispostoa correre il rischio di percorrere una strada mai già tracciata, e ogni volta di-versa, può sperare di arrivare a trovare la verità. Quando Shakespeare giurao fa giurare sulla bellezza di una donna bruna che tutti giudicano brutta opromiscua – in Love’s Labours Lost o nei Sonetti – non fa che proporre di giu-rare su una nuova, paradossale religione d’amore che osa contrariare tutte leopinioni universalmente accolte, ogni senso comune.

Una religione di questo genere deve passare per forza per una rivoluzio-ne linguistica. Per farlo, Shakespeare, come Bruno, devono stravolgere dal-l’interno il modello petrarchesco senza né parodiarlo né capovolgerlo, ma fa-cendolo continuamente interagire con una nuova necessità di compenetra-zione tra vita e forma, esperienza personale, esperienza letteraria, esperienzafilosofica. Certo il programma filosofico degli Eroici furori non è esattamen-te un Canzoniere. Bruno, a dispetto delle migliori e più rivoluzionarie inten-zioni, continua a scrivere sonetti in perfetto stile petrarchista. Ma l’eros na-turale della dark lady e la natura erotizzata di Bruno sembrano essere fatti l’u-no per l’altra. L’idea che possedere l’oggetto amato è possibile, ma solo perun breve attimo, per poi ritornare infinitamente a cacciarlo, rischiando di per-dere se stessi e morendo in lui; che il desiderio è sì mai del tutto appagato,non perché l’oggetto amato è assente, morto o respingente, ma perché esso,appartenendo alla natura, è dentro il perpetuo movimento delle sue vicissi-tudini, fornì a Shakespeare l’impalcatura concettuale per uscire dal codiceneoplatonico e cortese di Petrarca e per raccontare l’esperienza inevitabil-mente fluida ed estrema dell’eros. Forse, Bruno avrebbe trovato in Shake-speare un destinatario più adatto di Sidney per i suoi Eroici furori; forse, seavesse letto i Sonetti avrebbe trovato in lui il poeta eletto dagli dei, destina-to, come il furioso a cercare la verità perché colpito dai dardi di Diana e diApollo.

34 BRUNO, Gli eroici furori, cit., p. 159.