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Antibiotic Susceptibility of Staphylococci Isolated from Conjunctival Swab Samples of the Patients with Vernal Conjunctivitis

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Volume Atti

Olbia Italy

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XIV CongressoInternazionale

del la Federaz ione Mediterranea Sanità e Pro duzioneRuminant i

Hotel Luna Lughente Olbia (Sassari)

22°25 maggio 2003

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22°25 maggio 2003

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VOLUME ATTI

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

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Fe.Me.S.P.Rum

COMITATO SCIENTIFICOProf. Sergio CodaProf. Angelo Mario CossedduDott. Salvatore De PalmasProf. Basilio FlorisProf. Arcangelo GentileProf. Walter PinnaProf. Giampaolo PintoriProf.Antonio Pugliese

COMITATO ESECUTIVO DIRETTIVO ATTUALEPresidente: Prof. Antonio Pugliese, Università MessinaVice Presidente: Prof. Bogo Fatur, Università LubianaSegretario Tesoriere: Prof. Arcangelo Gentile, Università BolognaConsiglieri: Prof. Giovanni Cubeddu, Università Sassari Prof. Massimo Morgante, Università Padova

COMITATO ORGANIZZATOREPresidente: Prof. Giovanni CubedduVice Presidente: Prof. Giuseppe MonielloVice Presidente: Dott. Andrea SarriaTesoriere: Prof. Antonio ScalaSegretario: Prof. Remo Basilio Floris

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RELAZIONI 22 - 23 MAGGIO 2003

Lezione MagistraleScala Antonio, Poglayen Giovanni, Giannetto Salvatore

L’ECHINOCOCCOSI-IDATIDOSI: TASSONOMIA, MORFOBIOLOGIA E NOTE EPIDEMIOLOGICHE E DI CONTROLLO APPLICATE IN SARDEGNA (ITALIA).

Prof. Carlo Valente (Perugia, Italia)

“INFEZIONI DA ROTAVIRUS E DA E.COLI NEI PICCOLI RUMINANTI”

Prof. Pablo Díez-Baños (Lugo, Spagna)

“LA CRIPTOSPORIDIOSI DEI PICCOLI RUMINANTI: IMPORTANZA E METODI DI CONTROLLO” Prof. Maurizio Severini (Perugia, Italia)

“IL RUOLO DEL VETERINARIO ISPETTORE NEL SISTEMA DI GARANZIE PER LA SICUREZZA DELLE CARNI”

7XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

LETTURA MAGISTRALE

L’ECHINOCOCCOSI-IDATIDOSI: TASSONOMIA, MORFOBIOLOGIA E NOTE EPIDEMIOLOGICHE E DI CONTROLLO APPLICATE IN SARDEGNA (ITALIA).

Scala Antonio, Poglayen Giovanni*, Giannetto Salvatore*Dipartimento di Biologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Sassari (Italy); *Dipartimento di Sanità Pubblica

Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Messina (Italy).

Riassunto La lettura magistrale, condotta a tre voci, prende dapprima in considerazione gli aspetti relativi agli aggiornamenti tassonomici del genere Echinococcus e successivamente, attraverso un’accurata documentazione ottenuta al microscopio ottico e a scansione, esamina gli aspetti morfologici di Echinococcus spp. e delle relative forme larvali (metacestodi) ritenuti più interessanti ai fini della comprensione della fisiologia del parassita e del suo potere patogeno. Verranno inoltre riferiti particolari sulla struttura e sulla resistenza delle uova ed analizzate le cause della persistenza dell’Echinococcosi-Idatidosi. In particolare verrà presa in esame la situazione del “caso” Sardegna (Italia), attraverso una disamina dell’evoluzione storica dei principali parametri epidemiologici dell’infestione nelle varie specie domestiche e nell’uomo e delle misure di controllo intraprese nell’isola per cercare di controllare questa importante zoonosi.

IntroduzioneL’Echinococosi è una malattia parassitaria causata da Cestodi del genere Echinococcus che vivono, allo stadio adulto, nell’intestino di carnivori domestici e selvatici. Le forme larvali albergano invece in vari organi (fegato, polmone, cuore, milza, cervello) di numerosi mammiferi, uomo compreso, determinando l’Echinococcosi cistica (EC), detta anche Idatidosi.L’EC è attualmente, tra le zoonosi parassitarie, quella che continua a richiamare sempre più l’attenzione dei sanitari di molti Paesi a causa del grande significato sociale ed economico che la stessa assume. Spesso l’aggettivo di “emergente” o “riemergente” definisce situazioni epidemiologiche relative a questa malattia. Essa da sempre è considerata una delle più importanti parassitosi di spiccato interesse zoonosico anche da importanti organismi internazionali e continua ad imperversare soprattutto nelle regioni in cui il binomio ovino-cane è ancora ben rappresentato.E’infatti oramai ampiamente assodato che seppure la parassitosi possa coinvolgere varie specie animali, uomo compreso, sia soprattutto la stretta convivenza tra cane e ovino il fattore più importante per la persistenza della parassitosi in varie regioni del mondo.Tutto questo si perpetua ormai da tempi immemorabili, nonostante nei suoi confronti si siano spesso concentrati gli sforzi di varie categorie (veterinari, medici, amministratori) per cercare di arginare una parassitosi che determina importanti ripercussioni negative di vario tipo. Tuttavia, differenti cause, sociali, economiche nonchè politiche, spesso ne hanno reso il suo controllo o l’eradicazione un traguardo non sempre raggiungibile.

TASSONOMIADopo il crescente proliferare di specie (16) e sottospecie (13) ascrivibili al genere Echinococcus, negli anni 80 viene rivisitata radicalmente la classificazione del taxon, e sulla base di criteri di valore diagnostico quali la morfologia, sviluppo dei metacestodi, infestazione sperimentale, osservazioni epidemiologiche, relazione ospite-parassita e tecniche di biologia molecolare, vengono riconosciute valide solo quattro specie: Echinococcus granulosus, E. multilocularis, E. oligarthrus e E. vogeli. Più recentemente, Thompson e Lymbery (1995), avvalendosi soprattutto dell’efficacia diagnostica della PCR, aggiungono altre due specie, E. ortleppi ed E. equinus. Nell’ambito di una stessa specie, inoltre, gli stessi Autori, individuano un numero di 9 “ceppi” o “varietà” per E. granulosus e 3 per E. multilocularis. L’argomento è in costante evoluzione, probabilmente non solo a livello di approfondimento biotecnologico, ma anche squisitamente biologico, con affermazione / scoperta di nuovi ceppi come recentemente accaduto in Fennoscandia dove è stato segnalato il decimo (G 10) di E. granulosus con ciclo renna/lupo (Oksanen e Lavikainen, 2004). Il concetto stesso di “ceppo” necessita di chiarimenti che ne semplifichino la comprensione, secondo Eckert et al. (2001) si tratta di - “gruppi di individui che differiscono statisticamente da gruppi della stessa specie per frequenze geniche e per uno o più caratteri di potenziale significato nella epidemiologia e nel controllo della malattia”- più semplicemente si tratta di varianti intraspecifiche caratterizzate da differenze genetiche e da uno o più caratteri a valenza epidemiologica. Ad esempio, il ceppo bovino (G 5) si distingue anche per maggiori dimensioni del parassita adulto (3,5 mm) e per una prepatenza nell’ospite definitivo di soli 35 giorni, mentre il ceppo equino, non per tutti assurto al rango di specie (G 4), è caratterizzato da scarsa o nulla infettività per l’uomo. Degna di nota la segnalazione di questo ultimo ceppo in Sicilia ad opera di Macchioni e Gallo nel 1967. La capacità di Echinococcus ad evolversi e specializzarsi attraverso la formazione di ceppi è legata alla sua caratteristica di moltiplicarsi prevalentemente in forma asessuata (autofecondazione + gemmazione a livello cistico). Se un gene recessivo si presenta contemporaneamente nei due gameti questo può manifestarsi come doppio recessivo (potenzialmente mutante), successivamente la mutazione viene amplificata nella cisti (che origina da un unico uovo) e stabilizzata nel successivo ospite definitivo. Ancora una conferma di questa “vivacità biologica” del parassita viene da Salih e Abdullah (2002), che riportano i caratteri fenotipici di cestodi adulti del genere Echinococcus isolati da cani della provincia di Ninevah in Iraq. Tali caratteri, non comparabili con quelli delle specie precedentemente segnalate, vengono ascritti dagli stessi autori ad una nuova specie, E. iraqii. La maggiore variabilità genetica di E. granulosus, oltre ad una sua caratteristica intrinseca, potrebbe anche essere ricondotta alla pressione selettiva operata dall’uomo con la specializzazione realizzata nell’allevamento dei suoi ospiti. In Italia, la specie più diffusa è senza dubbio E. granulosus, parassita su cui ci soffermeremo in questa sede rimandando per

8 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

le restanti specie al lavoro di Thompson e McManus (2002).Mai precedentemente segnalata nel nostro Paese l’Echinococcosi multiloculare da E. multilocularis che i vecchi testi denominavano anche “Bavaro – Tirolese” a sancirne l’estraneità nazionale, in seguito al massiccio (ed ancora parzialmente compreso) aumento della biomassa parassitaria nelle regioni di endemia (Francia, Svizzera, Germania, Austria) sembrerebbe aver fatto la sua comparsa in volpi di limitate aree alpine italiane del Nord Est con prevalenze ed intensità decisamente ridotte; un fenomeno preoccupante da monitorare ma che sino ad ora non si è tradotto in casi umani (Manfredi et al., in corso di stampa).

MORFOBIOLOGIA DEL PARASSITAIl parassita adulto è lungo 2-7 mm ed è provvisto di scolice con quattro ventose distribuite equamente all’equatore e due corone di uncini che misurano in lunghezza rispettivamente 22-39 e 31-49 micron. Le proglottidi sono solitamente tre e quella gravida, prodotta ogni dieci giorni, può contenere oltre 1500 uova. I testicoli, in numero di 25-80, sono distribuiti proporzionalmente prima e dopo il poro genitale, mentre la forma dell’utero è sacciforme con bordo irregolare. Vive nell’intestino tenue dei canidi nei confronti dei quali manifesta una specie-specificità piuttosto marcata. In Italia l’ospite definitivo per eccellenza è il cane. La volpe (Vulpes vulpes), è capace di ospitare solo alcuni ceppi di E. granulosus ma, nel nostro Paese, non consente la piena evoluzione del parassita (Deiana e Arru, 1962). Il lupo (Canis lupus) appare invece un efficace ospite definitivo essendo E. granulosus il parassita più rappresentato in questa specie in Italia. La ridotta numerosità del carnivoro selvatico, solo recentemente uscito dal rischio di estinzione, e la dimostrata origine domestica della sua infestione (assenza di un ciclo silvestre in grado di supportare i livelli di infestazione riscontrati nel lupo) lo rendono però epidemiologicamente poco importante (Guberti et al., 1998).Il cane si infesta mediante l’ingestione delle forme larvali (idatidi contenenti protoscolici vitali) presenti nei visceri o nelle carni dell’ospite intermedio. I protoscolici una volta ingeriti, nell’arco di tempo di 6-92 ore, evaginano interamente e si impiantano nelle ghiandole di Lieberkuhn tramite il rostello che, a differenza di altri Cestodi, ha una componente di natura ghiandolare. Durante questo processo particolarmente attivo i protoscolici bruciano le loro riserve di glicogeno e utilizzano gli ioni provenienti dai corpuscoli calcarei. La formazione delle proglottidi inizia dopo 11 giorni dall’infestazione mentre i rami laterali dell’utero si evidenziano dopo ulteriori 7 giorni. L’eliminazione delle prime uova inizia dopo un periodo di prepatenza di 34-58 giorni, mentre la vita media del parassita adulto è stimata tra i 6 e i 22 mesi. L’attività ghiandolare del rostello provoca il rilascio della proglottide gravida che, liberata all’esterno con le feci, disperderà le sue uova nell’ambiente. I fattori di dispersione possono essere inanimati come il vento e le precipitazioni, ma anche biologici comprendendo artropodi (Calliphora spp., Percellio levis, Percus grandicollis), lombrichi, uccelli e mammiferi. La maggior parte permane in un raggio di 180m, alcune sono state ritrovate a 10 km di distanza, mentre l’area interessata alla polluzione parassitaria raggiunge i 30.000 ettari. Le uova sono indistinguibili da quelle degli altri tenidi ospiti del cane, pertanto si stanno studiando tecniche alternative alla coprologia come la PCR, la ricerca dei coproantigeni con Elisa o Western Blott. Le biotecnologie dimostrano però in questo campo di applicazione nel nostro Paese problemi di specificità per interferenza con altri parassiti abituali del cane (Varcasia e Scala, 2003). Forme di resistenza per eccellenza le uova di E. granulosus sono particolarmente sensibili all’essiccamento e pertanto influenzate da variabili ambientali recentemente evidenziate anche con sofisticate metodiche di indagine (Geografic Information System) in ambito nazionale (Poglayen et al., in corso di stampa). Gli estremi di questa resistenza vanno da + 40° C a – 70°C mentre nell’ambiente pascolo si parla di circa un anno. Altre informazioni relative alle uova riguardano la loro virtuale resistenza ai disinfettanti e la non devitalizzazione a seguito del trattamento antielmintico del cane che quindi emette con le feci una enorme quantità di materiale potenzialmente rischioso. Indagini recenti hanno dimostrato un processo di maturazione – invecchiamento mai precedentemente sospettato; le uova attraverserebbero tre fasi successive, immature (non infettanti) all’emissione, lo diventerebbero successivamente, per poi andare incontro ad un periodo di decadimento accompagnato da perdita dell’infettività ma mantenimento dell’attività immunogena per l’ospite (Thompson e Lymbery, 1995). Si tratta di un processo estremamente interessante sia per i risvolti sulla reale pericolosità per gli operatori di interventi diretti sul cane o sul parassita adulto, sia per l’immunologia del parassita che sta aprendo la strada ad interventi vaccinali negli ospiti intermedi.Le uova infettanti, ingerite dall’ospite intermedio, vanno incontro alla lisi dei blocchi poligonali di simil-cheratina dell’embrioforo e all’attivazione dell’oncosfera a causa dell’azione di enzimi come la pepsina e la pancreatina. Dopo 30-120 minuti, l’oncosfera abbandona l’intestino e raggiunge, attraverso le vie linfatiche e venose, gli organi bersaglio rappresentati dal fegato e dal polmone. Non di rado possono essere coinvolti anche i reni, la milza, il tessuto muscolare ed il sistema nervoso.Il metacestode maturo di E. granulosus è la cisti idatidea, ripiena di liquido trasparente e rivestita da tre strati che prendono il nome, procedendo dall’interno verso l’esterno, di strato germinale, acellulare e connettivale. Il primo ha il compito di generare le cisti nido con all’interno i protoscolici invaginati; lo strato acellulare, detto anche elastico, ha la funzione di supporto alla tensione intracistica e costituisce una barriera di tipo immunitario ed infine lo strato connettivale prodotto dalla reazione infiammatoria dell’organo parassitato. La forma è solitamente uniloculare, ma non di rado è possibile osservare la formazione di cisti figlie che si localizzano all’interno della cisti madre (vescicolizzazione secondaria interna). Interessante l’osservazione che questo fenomeno di filiazione è strettamente legato a fattori di “sofferenza” della cisti madre che riceve l’insulto immunitario dell’ospite (Rogan, in corso di stampa). L’aumento di volume della idatide è molto lento (1-5 cm per anno) e dipende dal ceppo del parassita, dalla specie ospite e dal grado di infestazione.

EPIDEMIOLOGIA DELL’ECHINOCOCCOSI-IDATIDOSI IN SARDEGNAIn Sardegna la parassitosi, seppure “da sempre” massivamente presente, ancora oggi costituisce un problema sanitario per il patrimonio zootecnico e per l’uomo di primario interesse. Inoltre la Sardegna nei confronti dell’Echinococcosi-Idatidosi può essere definita un “caso”, in quanto isola con oltre 3 milioni di ovini, in cui è presente un alto grado di conoscenza

9XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

epidemiologica, ed è inoltre l’unica regione italiana in cui sono stati attuati piani di controllo.Le prime indagini condotte nell’isola negli anni ’50, evidenziavano nei confronti di questa parassitosi una situazione catastrofica, con tassi di prevalenza del 99,4 % negli ovini (Tanda, 1960) con il 100 % di soggetti parassitari che albergavano idatidi fertili. Anche i livelli di positività per il cestode adulto nel cane si attestavano su livelli molto elevati, variabili dall’8% (Papandrea, 1951) al 45,2% (Medda e Javedaia, 1960, Deiana e Arru, 1960; Arru et al., 1990). L’infestione risultava colpire durante il triennio 1957-59 il 72,5% dei bovini, con valori del 95% nelle vacche (Tanda, 1960); successive indagini condotte nel 1979 rilevavano la parassitosi con prevalenze nettamente inferiori (32,4%) con percentuali di fertilità pari allo 0,99 % (Arru et al., 1980). Nel periodo 1988-89 si sono evidenziati idatidi nel 28,5% dei bovini controllati; di questi il 24,7% albergava cisti fertili (Gabriele et al., 1998).Tale trend negativo del valore di positività per l’Idatidosi nei bovini è stato confermato da indagini condotte nel corso del 1996 in cui le cisti di Echinococco venivano evidenziate “solo” nel 5% dei bovini allevati allo stato brado e semibrado della parte nord-orientale dell’isola (Scala et al., 1997). E’ evidente quindi che allo stato attuale il ruolo del bovino nell’epidemiologia dell’Echinococcosi-Idatidosi può essere considerato del tutto trascurabile.Per ciò che concerne invece il suino si può riscontrare una situazione per certi versi sovrapponibile a quello che abbiamo riportato per i bovini: prevalenze del 72,5% nel corso del triennio 1957-59 (Tanda, 1960), con una percentuale di soggetti alberganti idatidi fertili del 35,5%; 50, 4% di maiali con idatidi nel 1979 dei quali il 10,1% con idatidi fertili (Arru et el., 1980); 20,3% dei suini positivi che risultavano con cisti fertili nel 35,3% dei casi durante il periodo 1988-89 (Gabriele et al., 1998).

Anche nell’uomo la situazione epidemiologica è tale da essere considerata tra le più gravi nell’ambito del bacino del Mediterraneo, avendo un’incidenza media annuale di circa il 9,8 %°°° con marcate differenze tra le varie province (Ecca et al., 1998) ed evidenti fluttuazioni annuali (periodo 1969 - 1990 tra il 15 %°°° e l’8 %°°°); sempre nell’isola si sono effettuati nell’uomo 165 interventi/anno e si è registrata una mortalità paria a 0,8/100.000 abitanti) (Conchedda et al., 1997).

Attualmente in Sardegna il “trend” della parassitosi sembrerebbe aver subito alcune variazioni, tuttavia i dati inerenti l’infestione nei vari ospiti, uomo compreso, sono purtroppo incompleti. Infatti, i dati epidemiologici a nostra disposizione, ad eccezione dell’ovino, non sempre risultano adeguatamente aggiornati e quindi “affidabili”, in quanto è necessario far riferimento ad indagini ormai datate, soprattutto nel cane.I recenti dati acquisiti nell’ovino evidenziano una situazione ancora grave, ma diversa a seconda del distretto geografico dell’isola monitorato.Le indagini condotte su soggetti allevati nel nord della Sardegna evidenziano la presenza di idatidi nel 76% degli ovini controllati, ma se prendiamo in considerazione ulteriori parametri epidemiologici riportati nella tabella successiva, quale la % dei soggetti alberganti idatidi fertili, le infestioni miste (fegato + polmone) e la presenza di infestioni massive (oltre 10 idatidi/capo esaminato), si evince che la parassitosi stia subendo in questi territori una certa contrazione nel tempo (Scala et al., 2000).

Distretto Prevalenza totale idatidosi

Infestione mista(pol. + feg.)

% ovini con idatidi fertili

% ovini con ingestione

massivaAutori

Sassari (1988) 85,1% 62,4% 36,8% 26,6% Gabriele et al. (1992)

Sassari (1996/97) 76,7%^ 62,6% 16,9% 30,1% Gabriele et al. (1998)

Sassari (1999) 75,6% 52,2% 6,9% 14,7% Scala et al. (2000)

Sassari(2003) 70,6% 38,5% 7,3% 13,8% Dati in fase di

acquisizione

In questi distretti del nord Sardegna, in cui in effetti l’ovinicultura, ha raggiunto negli ultimi anni un elevato grado di efficienza, le cause che avrebbero potuto determinare una riduzione di “pressione” parassitaria, in particolare della diminuita fertilità delle idatidi, potrebbero essere secondo Bortoletti et al. (1990) riconducibili a differenti motivazioni: “The epidemiological significance of sterile cysts is, at present, unknown and needs further study but some factors (probably synergistically concurrent) can be considered: a) reduction of transhumant system (CENSIS: l° rapporto sulla situazione sociale della Sardegna); b) anthelminthic treatment of dogs; c) unfavourable environmental conditions for viability and maturation process of eggs; d) genetic selection of animals; e) improvements in holding standards”. Tra tutti questi fattori elencati manca però a nostro avviso quello relativo ai trattamenti antielmintici praticati ormai di routine negli ovini anche più volte all’anno con benzimidazolici, che come è noto costituiscono un presidio terapeutico importante anche in medicina umana per ottenere la devitalizzazione delle idatidi. Infatti i trattamenti attuati in Sardegna con queste molecole risultano essere il 47% del totale (Scala et al., 1999), cioè una quota di tutto rispetto probabilmente in grado di determinare una certa riduzione di fertilità delle idatidi presenti. Al contrario se si esaminano i dati scaturiti in un’indagine condotta recentemente da Soro et al. (2002) nel Goceano (regione centrale dell’Isola) si registra purtroppo una situazione estremamente grave, con tassi di prevalenza del 92,8% e 27,1% degli ovini con idatidi fertili.E’ evidente quindi che la diffusione dell’EC nell’isola assume delle caratteristiche non sempre uniformi.

10 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Soprattutto nel caso del Goceano la parassitosi continua ad imperversare incontrollata determinando ovviamente gravi ripercussioni negative sociali, sanitarie ed economiche nel distretto. In questo contesto in Sardegna si sono portate avanti nel tempo differenti campagne di eradicazione e/o controllo della parassitosi che tuttavia non hanno sortito gli effetti sperati, nonostante l’impegno profuso delle diverse categorie professionali impegnate.In particolare la prima campagna di profilassi (l.r. 29/50) è stata condotta nel periodo 1960 –1965 e prevedeva un trattamento semestrale obbligatorio e gratuito cani con bromidrato di arecolina. Essa è decollata nel 1960 in provincia di Nuoro e nel 1962 anche in quelle di Sassari e Cagliari. In totale sono stati trattati circa 38.000 cani in provincia di Cagliari, 19.000 in quella di Sassari e 17.000 in quella di Nuoro. Globalmente i risultati in relazione a questo impegno sono stati nettamente inferiori alle aspettative. Era inoltre previsto nel piano anche un risanamento delle strutture relative agli impianti di macellazione: 164 macelli previsti, 127 effettivamente realizzati e di questi solo 37 funzionanti, peraltro non tutti con inceneritore. Nei restanti comuni continuavano ad operare strutture private e le macellazioni clandestine seguitavano ad imperversare.Un ulteriore obiettivo della prima campagna era inoltre rappresentato dalla lotta al randagismo, che ha comportato la costruzione dei primi 20 canili e dettato precise norme in riferimento alla cattura, custodia ed eventuale abbattimento dei cani randagi accalappiati. Tuttavia tali provvedimenti erano limitati solamente i grossi centri urbani. Venivano intraprese anche misure di educazione sanitaria, ma inesorabilmente nel 1967 il piano naufragò. Nel 1974-1980 le attività ripresero in modo saltuario in attuazione delle leggi regionali n° 1/69 e n° 39/73, tuttavia anche in questo caso la maggior parte degli interventi previsti non furono realizzati.L’emanazione d.p.r. n° 1035/80 che prevedeva l’obbligatorietà del trattamento antielmenitico di tutti i cani con praziquantel, comportava anche in Sardegna dal settembre 1980 al maggio 1981 l’attuazione di questo tipo di profilassi, ma anche in questo caso subiva un’interruzione improvvisa per trasferimento dei fondi al piano Peste Suina africana nel frattempo attivato, in quanto questa infezione determinava importanti problemi economici e sanitari nell’isola.Infine, con delibera della giunta regionale n. 28/67 del 18.6.87 la regione Sardegna promuove una nuova “Campagna di eradicazione dell’Echinococcosi Idatidosi” e ne affida l’organizzazione e l’attuazione a un gruppo strategico multidisciplinare e all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale. Essa era caratterizzata da una durata di 10 anni (5 fase intensiva, 5 mantenimento) e da una disponibilità finanziaria pari a 15 miliardi di vecchie Lire. I settori di intervento erano fondamentalmente 4: 1) educazione sanitaria indirizzata verso la popolazione in generale (mass media), quella scolastica (filmati, opuscoli, giochi didattici) e verso le categorie a rischio (allevatori, cacciatori ecc.); 2) controllo della popolazione canina tramite l’istituzione di un’anagrafe canina, verifica del randagismo e trattamento antielmintico dei cani con praziquantel; 3) controllo delle macellazioni, attraverso il ritiro e distruzione visceri parassitati provenienti da mattatoi sprovvisti d’inceneritore, da macellazioni aziendali e da animali morti in campagna; 4) ricerca scientifica e monitoraggio della campagna di eradicazione.L’avvio (1991) prevedeva una fase intensiva nelle vecchie UUSSLL di Ales Ghilarza – Carbonia con una successiva estensione delle attività nelle UUSSLL di Siniscola - Lanusei - Quartu S. Elena ed inizio attività Olbia - Senorbì – Sanluri nel corso del biennio1992 – 1993.L’attuazione di tale campagna comportava sul campo il controllo della popolazione canina, in particolare l’anagrafatura di 32.160 su 150.000 stimati e il trattamento antielmintico di 60.040 soggetti, mentre per il controllo delle macellazioni si arrivò al ritiro ed incenerimento di 1.213 visceri parassitati; sul versante dell’educazione sanitaria venivano organizzati 450 incontri con gli allevatori e di 98 incontri con gli studenti presso altrettante scuole.Nel 1993 la Regione Autonoma della Sardegna sospende i finanziamenti e blocca definitivamente le attività del piano di eradicazione.Risulta quindi evidente che motivazioni di vario tipo, quali quelle sopra accennate, negli anni hanno causato il naufragio di tutte, o perlomeno in parte, delle iniziative programmate nelle varie campagne di eradicazione o controllo di questa importante zoonosi sul territorio sardo. I limiti e gli ostacoli che hanno comportato una vanificazione degli obiettivi di tutte queste campagne sembrerebbero essere, almeno in parte gli stessi individuati in altri distretti geografici, così come riportato infatti da Eckert et al. (2000), che affermano: “…….., furthermore, financial restrictions and political instability are major obstacles in control and prevention of echinococcosis …..”.

Tuttavia non tutto è perduto! E’ evidente che le “routinarie” e “classiche” misure di controllo da sole sono in parte destinate al fallimento, ma insieme a tutta una serie di importanti innovazioni in campo zootecnico, l’acquisizione di un nuovo spirito sociale e soprattutto la recente istituzione nell’isola del Centro Nazionale di Referenza dell’Echinococcosi-Idatidosi presso l’Istituto Zooprofilattico della Sardegna si potrebbe raggiungere un risultato importante. Soprattutto l’istituzione del nuovo Centro Nazionale di Referenza potrà sicuramente dare ulteriore impulso a tutte queste iniziative, in particolar modo incentivando la ricerca sull’aspetto sicuramente più promettente quale quello della messa a punto di un vaccino in grado di impedire lo sviluppo delle idatidi nell’ovino, l’ospite intermedio più importante nell’epidemiologia della parassitosi nell’isola. I risultati della ricerca in tal senso sono confortanti e meritano fiducia (Lightowlers e Gauci, 2001; Tola et al., 2002). Tuttavia l’obiettivo di controllare l’EI deve essere perseguito con fiducia e perseveranza, soprattutto con l’aiuto e collaborazione di tutte le maestranze interessate, ai fini di comprendere e combattere le cause “storiche” che determinano la persistenza della parassitosi nell’isola. Queste sono date soprattutto dallo scarso valore commerciale delle carni ovine che comportano quindi il permanere del fenomeno delle macellazioni clandestine, l’abbandono delle carcasse sui pascoli che diventano preda dei numerosi ed incontrollati cani randagi e vaganti onnipresenti. E’ evidente quindi che una adeguata valorizzazione delle carni ovine, anche attraverso la “messa a punto” di prodotti derivati alternativi, quali salsicce, prosciutti, ecc., insieme ad un’adeguata incentivazione delle macellazioni “regolari” con una politica di agevolazione delle stesse, potrebbero costituire una buona linea di profilassi da perseguire.

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INFEZIONI DA ROTAVIRUS ED ESCHERICHIA COLI ENTEROTOSSICO NEI PICCOLI RUMINANTI

Valente C.*, Marenzoni M. L*., Cuteri V*** Università di Perugia,. ** Università di Camerino

Le sindromi enteriche dei piccoli ruminanti sono malattie a decorso generalmente acuto, caratterizzate da diarrea, che interessano animali neonati. L’importanza di queste malattie si desume dalle inchieste condotte su vasta scala dalle quali risulta che, oltre al costo dei farmaci e manodopera, il 15 % degli animali allevati viene a morte nei primi due mesi di vita e che gli agenti infettivi concorrono almeno per il 10-15% .Numerosi sono gli agenti virali, Adenovirus, Astrovirus, Coronavirus e Rotavirus, ospiti dell’apparato enterico, capaci di indurre alterazioni di vario tipo. Tra le enteriti virali che hanno suscitato maggiore interesse vanno menzionate le forme sostenute da Rotavirus (1). Sono agenti di malattia compresi nella famiglia Reoviridae e come tutti i componenti di questo raggruppamento sono costituiti da un RNA segmentato che comporta una grande variabilità antigenica. Si tratta di virus diffusi in tutto il mondo, nell’uomo, negli animali domestici e negli uccelli. I Rotavirus provenienti dalle diverse specie animali sono sierologicamente correlati anche se è possibile geneticamente e antigenicamente differenziarli. La diffusione nell’ambiente di Rotavirus avviene attraverso la eliminazione del virus da parte di soggetti adulti infetti che non ammalano ma sono in grado di contagiare i neonati. La trasmissione da un ospite all’altro è stata riprodotta sperimentalmente e l’esistenza di Rotavirus negli agnelli è stata documentata nel 20-30% dei casi di diarrea. Le indagini sierologiche hanno dimostrato che Rotavirus è endemico nella popolazione ovina, come tra l’altro è stato dimostrato nell’uomo, nel bovino e suino. La presenza di anticorpi circolanti, pur avendo un grande valore epidemiologico, non equivale ad uno stato di resistenza dell’animale in quanto sono prevalentemente le IgA secretorie che preservano gli animali dalla malattia. Le conoscenze attuali, contrariamente a quanto succedeva nei primi tempi in cui il “reolike”venne segnalato, per averlo osservato al microscopio elettronico, da Mebus nel vitello, i Rotavirus vengono coltivati su linee cellulari di rene si scimmia dopo essere stati a contatto con tripsina. Come in altre specie animali Rotavirus infetta e distrugge le cellule epiteliali dell’intestino tenue causando atrofia e conseguente malassorbimento con sindrome enterica. La somministrazione di vaccini, intervenendo sulle femmine gravide, consente, previa suzione del colostro, di proteggere i neonati. Anche i microrganismi coinvolti in queste sindromi sono numerosi, E. coli, Salmonella, Campylobacter, Clostridium, Cryptosporidium e possono variare in funzione del Paese, della razza animale e del tipo di allevamento. .Escherichia coli, ospite abituale dell’intestino degli ovini, è uno degli agenti maggiormente coinvolto nelle sindromi enteriche (2). Solo un numero contenuto di E. coli è in grado di determinare alterazioni enteriche in virtù di alcuni attributi di virulenza rappresentati da un antigene piliare (K99) che aderisce agli enterociti e da un’ enterotossina a basso peso molecolare, modesta attività antigenica e termostabile (ST). L’azione combinata dei caratteri di virulenza di questi stipiti di E. coli, denominati ETEC, determina una colonizzazione intestinale ed un eccesso di secreto fluido.. L’azione patogena del microrganismo, che altera il sistema di regolazione dei liquidi intestinali, rimane localizzata all’intestino coinvolgendo prevalentemente il tratto del tenue. La verifica della enterotossigenicità di E. coli è stata sperimentata sull’agnello inoculato per via orale o direttamente attraverso le anse intestinali. Gli stipiti ETEC, in sede sperimentale, sono capaci di indurre secreto fluido anche in un segmento isolato di anse intestinali. Gli stipiti ETEC sono stati isolati nel 20-40 % di agnelli con diarrea (Scozia, Italia ed USA) Solitamente gli agnelli hanno una età compresa tra 2-5 giorni, presentano una diarrea fluida, disidratazione e restano in decubito incapaci di poppare il latte materno. La conoscenza degli ioni che vengono eliminati con la diarrea è importante poiché devono essere ricostituiti in sede di terapia. Nei soggetti ammalati la mortalità può raggiungere valori del 75%. Malgrado le due forme morbose, quella virale e quella sostenuta da E. coli, vengano riportate separatamente, in natura, succede spesso che siano contemporaneamente entrambe presenti negli stessi animali. Questo giustifica il fatto che spesso, nel momento di controllare le enteriti, si preferisca inoculare un vaccino bivalente che comprenda oltre ai virus anche gli stipiti di E. coli ETEC.

Bibliografia1.Snodgrass D.R. e coll, (1977). A survey of Rotaviruses in sheep in Scotland, Vet. Rec., 100, 341-3522. Valente C. (1995) Malattie infettive degli animali domestici, Galeno Editrice, Perugia,121-150.

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Summary

ENTERIC DISEASES CAUSED BY ROTAVIRUS AND ENTEROTHOXIGENIC.ESCHERICHIA COLI IN SMALL RUMINANTS

Valente C.*, Marenzoni M. L*., Cuteri V*** Università di Perugia,. ** Università di Camerino

. Enteritis in young small ruminants, less than one week old, are characterized by a rapid onset. Dysentery can result in significant mortality, about 10 % , or economic loss from reduced condition, drugs and labour. Numerous agents are involved and many survey have documented the importance of different infectious agents. Viral enteritis attracted much interest and virus are now regarded as significant causes of diarrhoea. Rotavirus in particular has been shown to occur globally in man and his domesticated mammals. Rotavirus from different species are serologically related, but are usually distinguishable by genetic and antigenic analysis. The existence of Rotavirus in lambs has been confirmed and the virus infection was detected in 25 per cent of scouring lambs. Antibody surveys suggest that rotavirus is endemic in sheep population, as has been found in man, cattle and pigs. Lamb rotavirus infects and destroys the mature absorptive villus epithelial cell of the small intestine, leading to villus atrophy and a malabsorptive diarrhoea.

Escherichia coli is a normal inhabitant of the bowel of sheep. Only a minority of strains of E. coli are capable of causing diarrhoea and knowledge of the virulence factors involved is well documented. E. coli enteropathogenic (ETEC) capable of causing diarrhoea posses an antigenic pilus, K99, which enables them to adhere to intestinal epithelium and produce an enterotoxin, heat-stable (ST) with low molecular weight and non antigenic activity.. The enteropathogenicity was performed by either oral inoculation of neonatal lambs or by inoculation of ligated intestinal loops. Strains ETEC have been isolated from 20-40 per cent of scouring lambs that usually exhibit fluid diarrhoea, weakness and mortality rate up to 75 per cent..

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CRIPTOSPORIDIOSIS EN PEQUEÑOS RUMIANTES: IMPORTANCIA Y MEDIDAS DE CONTROL.

Prof. Dr. P. Díez-Baños & Profa. Dra. Mª P. Morrondo-Pelayo.

Parasitología y Enfermedades parasitarias. Dpto. de Patología Animal. Facultad de Veterinaria de Lugo. Universidad de Santiago de Compostela (España).

SummaryAmong numerous infections and parasitic agents causing neonatal ruminants diseases point up Cryptosporidium parvum. The infection take place in the first hours of life in which neonato swallow oocysts from his mother as a example of fecal-oral transmission. C. parvum is a primary pathogen and/or together with other enteropathogens and every day is more frequently diagnosticated. It is world-wide spread, with rates of farm infection up to 52 % and it can be infected all animals at the end of lambing periods when environmental contamination is very high (soil, feeders, drinkingplaces, udders, etc). Oocysts are very resistant which increase its transmission risk, specially in crowding and deficients hygienic-sanitary conditions that may favour the contacts healthy and infected animals. Besides economic significance C. parvum infection is a zoonosis Cryptosporidiosis is associated with enteric clinical signs including severe diarrhoea in neonato with increased number of faecal oocysts, dehydration, inappetence, listlessness and loss of weight. Mortality can reach to 10 % when C. parvum is the only agent present. There is a loss more than 2 Kg in 35 days in lambs infected by C. parvum in comparison with healthy ones.There are not many drugs with efficacy against C. parvum, halofuginone lactato, paronomicine, lasalocide, and decoquinate were investigated. Nawadays only reduction of oocysts in faeces and lower severity of diarrhoeas were observed, but there is not a efficacious treatment. Syntomatic applications in cryptosporidiosis including separation of infected animals, fluidotherapie, supression of milk, probiotics, etc, only reduce rates of morbility and mortality of infected animals.Specific adquired immunity and active immunity of neonato are beneficial in absence of a efficacy treatment. Investigations on immunoprofilaxis of cryptosporidiosis lead to (a) Antibodies in colostrum of hiperimmunized pregnant females at the end of gestation (b) Monoclonal antibodies as a preventive treatment (c) Resistant factor from linfocites culture medium of immunized animals against C. parvum.In spite of success in a vaccine of C. parvum there is not commercial availability. It is necessary to adopt hygienic-sanitary measures and to avoid accummulation of envrironmental oocysts as a source of infection to neonato. Moreover is necessary to avoid infection of healthy animals through knowledge of main risks of Cryptosporidum infection and to adopt most adequate preventive measures in each farm.

IntroducciónLa criptosporidiosis es una parasitosis de amplia distribución entre los rumiantes neonatos, cuya manifestación más es el síndrome diarreico neonatal. Sus repercusiones en la producción animal son importantes no solo por las tasas de mortalidad que causa, sino por la influencia sobre el retraso del crecimiento de los animales jóvenes y los costes que se derivan.Aunque los criptosporidios se conocen desde hace tiempo en muchas especies animales y en el hombre, hasta la década de los 80 no se estudió con profundidad su capacidad patógena para producir diarreas en terneros y corderos infectados naturalmente y en ausencia de otros agentes enteropatógenos. Sin embargo, la etiología del síndrome diarreico de los neonatos es muy compleja, actuando habitualmente, además de Cryptosporidium virus (rotavirus o coronavirus), bacterias como Escherichia coli, Salmonella, Clostridium, Proteus, Pseudomona y los hongos Candida. Lo que sí está claro es que al mejorar la atención hacia los criptosporidios, se le ha dado un nuevo enfoque al síndrome diarreico de los recién nacidos.Así pues, la criptosporidiosis se presenta con mayor significación en rumiantes de 1 semana de vida, aunque también se ven afectados hasta los 15 días, si bien parece que con manifestaciones más leves. La vía de infección es la fecal-oral, y en el inicio de un brote de criptosporidiosis tiene mucha influencia las madres portadoras, que eliminan ooquistes en sus heces pero no desarrollan el proceso, así como los primeros neonatos infectados. La infección puede comenzar ya a las pocas horas del nacimiento de los corderos, cuando los recién nacidos ingieren ooquistes presentes en el medio o al mamar de ubres contaminadas.

Acciones nocivas.Los criptosporidios se desarrollan de forma directa en el intestino de sus hospedadores, en especial en el intestino delgado, con intensa destrucción de enterocitos en los que se multiplica. La multiplicación del parásito tiene lugar en el borde luminar de las vellosidades intestinales, de modo que primero son englobados por la membrana de la célula hospedadora, formando una vacuola parasitófora, y quedan en situación intracelular pero extracitoplasmática; además hay una zona electrodensa, entre la célula hospedadora y el parásito, a través de la cual se alimenta éste.Prosigue la multiplicación, rompiendo la célula hospedadora e invadiendo otros entericitos próximos. Esta intensa multiplicación origina la atrofia parcial y la fusión de vellosidades intestinales, de modo similar a lo que sucede en infecciones por rotavirus. Definitivamente hay un cuadro de malabsorción a la vez que sobreviene un desequilibrio rápido de electrolitos, al verse alteradas la permeabilidad de la mucosa intestinal y la motilidad. Finalmente, el signo clínico más destacado es la diarrea, como consecuencia de la pérdida de agua fecal y de electrolitos, cuya composición llega a ser parecida a la del propio plasma sanguíneo. Las heces son blandas, o fluidas, de color amarillento y olor fétido; en ocasiones pueden tener restos de fibrina o de sangre y mucus. La duración de la diarrea es variable, desde 3-5 días en casos menos graves, hasta 1-2 semanas en brotes más intensos. En todo caso siempre es importante la intervención de las respuestas inmunitarias como se verá en el apartado de inmunoprofilaxis.

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A la diarrea y eliminación cuantiosa de ooquistes se unen la deshidratación, el dolor abdominal, la falta de apetito y el retraso del crecimiento o pérdida de peso, que es acumulable durante el periodo de crecimiento posterior; la muerte puede sobrevenir entre un 10-25 % de los animales, pudiendo incrementarse si actúan a la vez otros patógenos intestinales.

Otros factores de patogenicidad de los criptosporidios.Algunos autores han estudiado y descrito la actuación de otros factores para explicar con más detalle las acciones patógenas de estos parásitos, identificando y caracterizando diversos factores de virulencia. Algunos actúan sobre la adherencia y fusión celular, mediante factores que favorecen la intervención de moléculas que median la adhesión; son por ejemplo, la glicoproteína llamada gp900, o el antígeno CPS-500 que es un glicolípido. No se sabe cómo se produce la rotura de la membrana celular durante la invasión por Cryptosporidium, pero sí se sabe que puede estar causado por proteasas (cisteina, aminopeptidasa) o fosfolipasas que parecen tener un papel activo en los estadios iniciales de la infección. También son candidatas a una acción patógena importante la enterotoxina hemolítica conocida como hemolisina H4, que curiosamente es homóloga a la hemolisina de Escherichia coli enteropatógenos 0157 H7, y diversas “Heat shock proteins” (HSP), entre las que la denominada HSP 70 es muy similar a la que poseen las cepas más patógenas de Toxoplasma gondii.Se ha comprobado un efecto citopático sobre las células epiteliales afectadas, pero también sobre otras células próximas, de modo que hay que suponer la activación de algunos factores que originan un fenómeno de apoptosis o de muerte programada de células cercanas a las parasitadas.Todos estos estudios sugieren de los determinantes de la patogenia necesitan más investigación y en especial si se tiene en cuenta que no se comportan del mismo modo en todos los aislados de C. parvum.

Importancia de la criptosporidiosis ovina y caprina.Los primeros casos de esta parasitosis en ovino y caprino proceden de Australia en los años 1974 y 1981, respectivamente. Desde entonces, se han ido citando en numerosos países como agente único y en ausencia de otros enteropatógenos, y. en algunos países la criptosporidiosis de corderos y cabritos parece ser uno de los principales patógenos de las diarreas de neonatos.En España, la presencia de C. parvum en el ganado ovino se denunció por primera vez en 1985 (Rojo et al). Posteriormente, se han ido realizando numerosas citas de casos aparecidos en explotaciones con diarreas en corderos neonatales y cabritos, pero también se ha puesto de manifiesto en granjas escogidas de modo aleatorio, donde no había problemas intestinales evidentes. En trabajos realizados sobre un número de explotaciones representativo, se han obtenido prevalencias de hasta el 57 %, lo que representaría pérdidas económicas considerables. No obstante, los resultados respecto de la incidencia de la criptosporidiosis son muy variables, dependiendo de cómo se tomen las muestras y si los datos se refieren por explotación o por animales afectados de forma individual. Cuando se han analizado granjas al azar, los porcentajes oscilaron entre un 14,7 % y 84,4 % de rebaños positivos, pasando por otros porcentajes del 24, 40,2 y 52. En cambio, los resultados individuales reducen mucho esas cifras, pues se han hallado desde un 12,2 a 45 % de participación de C. parvum en corderos diarreicos.Las ovejas que son portadoras asintomáticas pueden explicar el mantenimiento de infecciones por C.parvum entre periodos de partos.En relación con el caprino, estudios efectuados al azar, mostraron que el 42,1 % de los rebaños eran positivos, con un 13,5 % de los cabritos afectados (Martín, 2000).De las investigaciones revisadas se deduce que no existe asociación entre la presencia de infecciones por criptosporidios y las localizaciones geográficas; por el contrario, es más un problema propio de establos, en los que las mayores prevalencias se señalan en periodos de parideras. Además, las ovejas que son portadoras asintomáticas pueden explicar bien el mantenimiento de infecciones por C. parvum entre los periodos de partos.

Factores de riesgo para la transmisión de la criptosporidiosisLa fuente esencial de infección son las deyecciones con los numerosos ooquistes de Cryptosporidium procedentes de animales infectados; el paso siguiente es la contaminación medioambiental (suelos, paredes, comederos, ubres, etc), que posibilita su llegada a animales receptivos.En primer término destaca la enorme capacidad de multiplicación de C. parvum, de modo que un cordero o cabrito afectado eliminaría hasta más de un millón de ooquistes por gramo de heces al día, lo que da idea de la fuente de contaminación ambiental tan alta que suponen unos pocos casos de criptosporidiosis ovina y caprina. Además, es suficiente con muy pocos ooquistes para infectar un cordero neonato como se ha demostrado experimentalmente. Resulta evidente también la relación existente entre la edad de los hospedadores y las cifras de ooquistes que eliminan.La resistencia de los ooquistes en el medio es muy notable, de tal forma que se mantienen viables frente a compuestos desinfectantes comunes y a temperaturas no excesivamente extremas. En cambio, la desecación anula pronto la capacidad infectante de los ooquistes. Las circunstancias de mala higiene y de manejo inadecuado de los rebaños ovinos y caprinos son determinantes en la presentación de criptosporidiosis, especialmente si se considera que la transmisión es directa por la vía fecal-oral. Los animales neonatos diarreicos son un peligro inminente para los vecinos sanos recién nacidos, por eso cuando la paridera se concentra en poco tiempo, y hay un cierto grado de hacinamiento, el riesgo de transmisión se multiplica enormemente y los brotes de diarrea son muy probables.Así pues, el descuido o la falta de medidas higiénicas facilitan el acúmulo de grandes concentraciones de ooquistes en el entorno y con ello se estima que existe un riesgo elevado de infección.

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Referencias para el diagnóstico de la criptosporidiosisNo se pueden indicar diferencias claras entre las sintomatología de la criptosporidiosis y procesos debidos a otros enteropatógenos de neonatos, de modo que la clínica no confirma el diagnóstico etiológico, aunque sí resultan muy orientativos por ejemplo todos los antecedentes del brote. Las distintas técnicas laboratoriales permiten confirmar fácilmente la presencia de ooquistes de C. parvum. Son esféricos de un tamaño aproximado de 5 um y poseen cuatro esporozoitos de forma semilunar.Las diferentes tinciones (métodos de Ziehl-Neelsen, Heine, auramina-rodamina, etc) de las extensiones directas a partir de heces o sobre material previamente concentrado, permiten observar al microscopio los ooquistes, y también hacer determinaciones semicuantitativas para tener una idea de la intensidad de excreción de C. parvum, haciendo recuentos del número de ooquistes presentes por campo microscópico examinado.Nunca debe prescindirse de la necropsia puesto que siempre aporta datos de interés acerca de las imágenes del intestino lesionado, características del contenido intestinal, importancia y distribución de la enteritis, etc. La histopatología resulta útil para apreciar las alteraciones estructurales y la posición en el borde luminar de las distintas formas de multiplicación del parásito.Dado que el síndrome diarreico de los recién nacidos responde a etiología diversa, y en ocasiones incluso hay infecciones mixtas conjuntamente, es necesario descartar otros agentes patógenos y estimar concretamente los que intervienen activamente en cada caso.Se completa el diagnóstico con técnicas inmunológicas, que son de más utilidad para estudiar grupos de animales y para la obtención de datos epidemiológicos. La inmunofluorescencia basada en anticuerpos policlonales y muy especialmente monoclonales, así como los métodos inmunoenzimáticos de captura de antígenos parasitarios en heces, proporcionan buenos resultados. Es necesario disponer de anticuerpos monoclonales con buen umbral de detección de ooquistes, y con una sensibilidad y especificidad aceptables, que eviten reacciones cruzadas con otros coccidios.Las técnicas inmunológicas que detectan inmunoglobulinas frente a C. parvum en suero, han mejorado el diagnóstico y el conocimiento de la respuesta inmune; no obstante, todavía no es posible diferenciar bien los anticuerpos adquiridos de la madre a través de calostro, de los propios de los neonatos en las primeras semanas de vida.Las actuales técnicas de biología molecular, de gran especificidad y sensibilidad, hacen posible la detección de portadores asintomáticos, siendo más aplicadas actualmente en la práctica en humanos que en animales debido a sus elevados costes económicos.

Medidas de Control de la criptosporidiosis

Tratamiento específicoLa mayor parte de los intentos de tratamiento farmacológico frente a los criptosporidios animales y humanos no han tenido el éxito deseado. Se han probado numerosos coccidiostáticos y antibióticos, de los que solo algunos han demostrado cierto grado de eficacia, representada sobre todo por la disminución del número de ooquistes eliminados en la heces y por la menor intensidad de las alteraciones digestivas, principalmente la disminución del proceso diarreico, pero no resuelven totalmente la infección.El lactato de halofuginona se ha ensayado como preventivo en explotaciones con historial de diarreas, dándolo en las primeras 24-48 horas de vida y también en casos de diarreas administrado a las 24 horas de su inicio. Las dosis más frecuentemente usadas en corderos neonatos son 0,5 mg/Kg peso vivo/día, durante 3 días consecutivos. Por norma general, los resultados fueron una menor eliminación de ooquistes y presencia de diarreas mucho menos acentuadas. Cuando el tratamiento se acompañó de medidas de sintomáticas, los resultados mejoraron sensiblemente.La lasalocida parece mostrarse eficaz en la profilaxis de critosporidiosis en terneros, pero en esos casos resultó tóxico a las dosis ensayadas, lo que le hace incompatible con su comercialización y lo mismo sucedió en pruebas con dosis de 1 g/ por oveja y día en el pienso.En animales experimentales de 0-28 días de edad, la paromomicina, a dosis de 25-100 mg/kg y día, redujo la eliminación de ooquistes fecales y la intensidad de las diarreas.Por su parte el decoquinato se ha utilizado en cabritos infectados experimentalmente de 1-2 días de edad, a la dosis de 2,5 mg/kg pv, durante 10-21 días postinfección; fue bien tolerado y la intensidad de la infección se redujo notablemente y también disminuyeron la cantidad de ooquistes excretadosy el tiempo de excreción.

Medidas de aplicación sintomáticaCobran más importancia una vez iniciada la enfermedad con objeto de controlar la mortalidad y la morbilidad en el rebaño. El primer paso debe ser el rápido y eficaz aislamiento en un lazareto de los corderos o cabritos enfermos y con diarrea, con el fin de impedir que se vea muy contaminado el ambiente y los otros animales sanos.Esos animales diarreicos no deben alimentarse con leche, por las dificultades que tienen para su correcta digestión y en cambio sí debe aplicárseles sueros con electrolitos y glucosa. La flora normal intestinal puede recuperarse con preparados a base de Lactobacillus. Los inhibidores de la motilidad intestinal están contraindicados porque impedirían la normal evacuación de los parásitos y facilitarían la actuación de sus toxinas al propiciar su absorción y fijación en el intestino. Cuando haya concomitancia de bacterias enteropatógenas se precisará la antibioterapia adecuada a cada caso.

El control medioambiental higiénico-sanitario y de manejo conforma las medidas más prácticas para evitar el contagio de los criptosporidios a los neonatos, y contribuye a prevenir la difusión de la parasitosis hacia animales normales.Se debe procurar la limpieza y desinfección de las naves al menos una vez por semana para impedir la presencia de ooquistes y otros patógenos en el ambiente. Para ello, es suficiente con agua caliente a presión y la posterior desecación directamente sobre suelos, paredes, comederos, etc. Si se opta por los desinfectantes, es necesario tener en cuenta la resistencia de los

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ooquistes ante los productos más habituales y emplear por ejemplo sales de sodio o de amonio a las concentraciones indicadas.Se debe evitar el hacinamiento y separar los lotes de corderos o cabritos convenientemente, para que no estén todos en un mismo recinto. Además, es importante que tomen el calostro suficiente a las primeras horas de vida, que contribuirá a una mejor resistencia no solo frente a la criptosporidiosis sino también a otros patógenos neonatales.

Inmunoprofilaxis para el control de la criptosporidiosisAl igual que sucede con procesos diarreicos de origen vírico o bacteriano, los esfuerzos en este sentido se dirigen a lograr la inmunidad de los neonatos a través de sus madres. La obtención del calostro y leche hiperinmune ante C. parvum, se consigue inmunizando las ovejas madres en el último tramo de la gestación. En experiencias realizadas mediante vacunación combinada por vía intramuscular (1 mes antes del parto) e intramamaria (a las dos semanas de la primera) se evidenció un aumento importante de los anticuerpos específicos en el calostro y leche durante los 20 primeros días post-parto. El material “vacunal” consistió en antígenos de los estadios infectantes del parásito (ooquistes y esporozoítos) que actúan directamente, como ya se apuntó previamente, en el contacto y entrada de los parásitos en los enterocitos. Sin embargo, es evidente que el avance de la inmunoprofilaxis pasa por conocer mejor y definir bien qué compuestos, entre todos los antigénicos del parásito, pueden determinar la respuesta inmunitaria protectora más eficaz.Por el momento, de las experiencias de inmunoprofilaxis en corderos que tomaron el calostro y leche de sus madres inmunizadas, se deducen resultados muy positivos, que se traducen por un retraso del inicio de la enfermedad, menor duración e intensidad de ésta, así como la importante reducción de la eliminación de ooquistes (hasta un 77 % según los casos) y un apreciado incremento de peso, cifrado en más de dos Kg en el primer mes, respecto de corderos testigo no inmunizados, Martín Gómez (2000).No obstante, como afirman los autores de estas experiencias, habrá que esperar algún tiempo para referirse a vacunas comerciales frente a los criptosporidios.

Referencias bibliográficas.Causapé Valenzuela, A.C. (1997). Contribución al conocimiento de la criptosporidiosis ovina y métodos de control. Tesis doctoral.Facultad de Veterinaria. Universidad de Zaragoza (Spain).Martín Gómez, S.(2000). Contribución al conocimiento de la inmunoprofilaxis de la criptosporidiosis ovina. Tesis doctoral. Universidad de León (Spain).Morrondo Pelayo, MP. and Díez Baños, P. (1998) Criptosporidiosis de los rumiantes. Información Veterinaria, nº 193 : 53-58.Naciri, M., Mancassola, R., Reperant, J.M., Canivez,O., Quinque, B., and Yvore,P. (1994). Treatment of experimental ovine cryptosporidiosis with ovine or bovine hyperimmune colostrum. Vet. Parasitol. 53: 173-190.Naciri, M., Mancassola, R., Yvore, P., Peeters, J.E. (1993). The effect of halofuginona lactate on experimental Cryptosporidium parvum infections in calves. Vet. Parasitol., 45: 199-207.OKhuysen, C.P. and Chappell, C.L. (2002). Cryptosporidium virulence determinants- are we there yet ? Int. J. Parasitol., 32: 517-525. Ortega-Mora, L.M., Requejo-Fernández, J.A., Pilar-Izquierdo, M., Pereira Bueno, J.M. (1999). Role of adult sheep in transmisión of infection by Cryptosporidium parvum to lambs: confirmation o periparturient rise. Int. J. Parasitol., 29:1261-1268.Ortega-Mora, L.M., Troncoso Ramón, J.M., Rojo-Vázquez, F.A. and Gómez Bautista, M. (1993). Serum antibody response in lambs naturally and experimentally infected with Cryptosporidium parvum. Vet. Parasitol., 50: 45-54.Quílez, J., Vergara-Castiblanco, C.A., Ares-Mazás, M.E., Sánchez-Acedo.C. del Cacho, E. and Freire-Santos, F. (2002). Serum antibody response and Cryptosporidium parvum oocyst antigens recognized by sera from naturally infected sheep. Vet. Parasitol., 104: 187-197.Rojo-Vázquez, F.R., Gass, A. and Alunda, J.M. (1985). Denuncia en España de la criptosporidiosis ovina. IV Congreso Nacional de Parasitología, Tenerife, p. 166.Troncoso Ramón, J.M. (1992). Cryptosporidium parvum en la diarrea neonatal en pequeños rumiantes y algunos aspectos epizootiológicos de la criptosporidiosis de corderos. Tesis doctoral. Facultad de Veterinaria. Universidad Complutense Madrid.

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IL RUOLO DEL VETERINARIO ISPETTORE NEL GARANTIRELA SICUREZZA SANITARIA DELLA CARNE.

Severini M.

Dipartimento di Scienze degli Alimenti – Sezione di Sicurezza e Qualità degli Alimenti di Origine Animale. Università degli Studi di Perugia, Italia.

Nella storia del mondo moderno, gli alimenti di origine animale, ed in particolare la carne ed il latte, sono stati tra i primi ad essere oggetto di controlli sanitari accurati e sistematici in molti Paesi. La responsabilità di tali controlli è stata, in genere, attribuita ai veterinari (Hood and Johansen, 1957). Infatti, si trattava soprattutto di impedire che alimenti ottenuti da animali portatori di eventuali malattie trasmissibili agli esseri umani (zoonosi) fossero destinati al consumo, con il rischio di provocare l’insorgenza di gravi patologie (Dolman, 1957). Il ruolo del veterinario, quindi, è sempre stato centrale nel controllo delle carni degli animali macellati, ma ha riguardato anche altri prodotti primari ed i prodotti trasformati a base di carne, latte, uova, ecc., seppure con varie differenze da Paese a Paese. In Italia, ad esempio, il veterinario è stato fin dagli inizi del 1900 il principale responsabile del controllo di tutti gli alimenti di origine animale e dei loro derivati. Quest’ attività ha dato in molti Paesi un efficace contributo alla lotta contro alcune gravi zoonosi, tra cui la tubercolosi e la brucellosi, ed ha permesso per lungo tempo di proteggere la salute dei consumatori dal rischio di contaminazioni biologiche. Per quanto riguarda il latte si è trattato soprattutto di un controllo dell’igiene della mungitura e del trasporto, associato ad una valutazione dello stato sanitario degli animali in produzione. Per quanto riguarda la carne, invece, l’attività è stata imperniata sulla visita degli animali prima della macellazione e sull’ispezione delle carni (ispezione “ante mortem” e “post mortem”), nonché sul controllo dell’igiene delle operazioni di macellazione. Il veterinario, cioè, doveva non solo accertare la sanità degli animali e delle carni rispetto alle malattie (parassitarie, batteriche, virali) pericolose per il consumatore, ma doveva assicurare anche che le carni prodotte non fossero state significativamente esposte a contaminazione batterica durante la macellazione. In genere, le norme di legge hanno previsto che il veterinario assistesse all’intero processo lavorativo, per lo meno quando l’entità della produzione era rilevante. Queste attività di controllo veterinario sono state ovunque di grande importanza nel prevenire la trasmissione di gravi zoonosi agli esseri umani attraverso gli alimenti. Tuttavia, va ricordato che per quanto riguarda il latte un ruolo decisivo nella lotta a malattie come la tubercolosi è stato giocato dai trattamenti termici effettuati in modo industriale e dal confezionamento del prodotto prima dell’ immissione in commercio.

Con l’aumentare dell’uso di sostanze medicamentose negli animali e di pesticidi in agricoltura e con l’intensificarsi dei processi di industrializzazione in certe aree del mondo sono emersi in modo sempre più rilevante i rischi di una contaminazione da parte di sostanze presenti nell’ambiente (contaminanti chimici ambientali, quali pesticidi e metalli pesanti) o somministrate in modo legale o illegale direttamente agli animali (es. residui di sostanze farmacologiche, ormoni, tireostatici), nonché di contaminazioni crociate da parte di pericolosi microrganismi. Di fronte a questi nuovi pericoli i tradizionali interventi di controllo si sono rilevati scarsamente efficaci (Severini e Romanelli, 1980; Hathaway and McKenzie, 1989; Berends et al., 1993). Si è reso sempre più necessario ricorrere ad analisi di laboratorio che consentissero di svelare la presenza di contaminanti, che per lo più non determinano significative manifestazioni cliniche negli animali e/o evidenti e specifiche alterazioni anatomo-patologiche negli organi sottoposti ad ispezione nel macello.Nei Paesi dell’ Unione Europea (UE), analogamente a quanto avveniva negli USA, sono stati predisposti ed adottati piani nazionali per il monitoraggio ed il controllo della presenza di residui, innanzitutto nelle carni e successivamente anche in altri prodotti primari. In Europa sono gli anni dei ” piani nazionali residui”. Questo strumento si è rivelato di grande importanza per conoscere il grande problema delle contaminazioni chimiche, ma ha anche mostrato alcuni suoi limiti nel riuscire a prevenire il rischio della presenza di residui negli alimenti. Quindi, è risultato evidente che, per esplicare la sua efficacia, questa attività di monitoraggio e sorveglianza necessitava di essere inserita in maniera funzionale ed organica in un più vasto contesto di misure di controllo integrate a livello di filiera. In questo stesso periodo, infatti, si è andato sviluppando il concetto di controllo di filiera, e cioè di un controllo integrato che deve interessare tutte le singole fasi del processo produttivo. In ciascuno “step” devono essere adottate tutte le misure necessarie per individuare ed eliminare i pericoli sanitari ed offrire garanzie che possano essere utilizzate per impostare nel modo più efficace possibile i controlli nello “step” successivo (Severini et al., 1995). Ogni fase deve essere garantita e costituire il presupposto per i controlli da adottare nella fase seguente, e così via fino a giungere al momento del consumo dell’alimento (Severini, 1985). Il concetto è stato espresso come controllo ” from farm to fork” (dall’allevamento alla tavola) e anche come LISA (“Longitudinal Integrated Safety Assurance). In tal modo si intende affermare il principio che la sicurezza sanitaria di un alimento è il risultato di una sequenza di interventi organici ed integrati tra loro, i cui risultati vengono certificati fase per fase ed accompagnano il prodotto (dall’animale ai suoi derivati) lungo tutta la filiera fino al termine dell’intero processo produttivo (Snijders et al., 1989). Una corretta informazione/formazione dei consumatori dovrebbe completare il sistema di sicurezza alimentare. In questo contesto ha avuto notevole importanza anche l’adozione del sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point), soprattutto per quanto riguarda i prodotti lavorati e trasformati. L’Unione Europea, inoltre, ha emanato leggi che attribuivano maggiore responsabilità e coinvolgimento del produttore nel garantire la sanità degli alimenti. Ai gestore delle imprese alimentari è stato gradualmente imposto di adottare piani di “autocontrollo” che, applicando il sistema HACCP, consentissero di individuare i maggiori pericoli insiti nello specifico sistema produttivo e di tenere sotto controllo le fasi più rischiose per la sicurezza dell’alimento prodotto.Un ulteriore importantissimo approccio alla sicurezza alimentare è rappresentato dall’analisi del rischio (Codex Alimentarius Commission, 1995; Buchanam, 1998). Come noto, questo metodo si articola in tre fasi principali: a) la valutazione del rischio (Risk Assessment), b) la gestione del rischio (Risk Management), c) la comunicazione del rischio (Risk Communication). A sua volta la fase di analisi del rischio viene articolata in: 1) identificazione del pericolo (Hazard

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Identification), 2) caratterizzazione del pericolo (Hazard Characterization), 3) Valutazione dell’esposizione (Exposure Assessment), 4) caratterizzazione del rischio (Risk Characterization).

Per avere un quadro di riferimento che consenta di comprendere quale ruolo è chiamato oggi a giocare il veterinario ispettore nel controllo degli alimenti di origine animale in una società economicamente sviluppata, può essere utile esaminare la situazione dell’Unione Europea. Lo stato attuale è in fase di evoluzione perché una serie di nuove norme sono state adottate di recente o sono in via di adozione, in applicazione di quanto previsto nel Libro bianco sulla sicurezza alimentare elaborato dalla Commissione dell’UE nel 1999 e pubblicato nel 2000.Nel nuovo sistema di sicurezza alimentare, al veterinario ispettore è attribuito un ruolo ben preciso e specifico nel controllo delle carni fresche prodotte negli stabilimenti di macellazione o lavorate nei laboratori di sezionamento.Nello stabilimento di macellazione, il cardine del controllo sanitario è rappresentato dall’ispezione degli animali in vita (ispezione ante mortem) e dall’ispezione delle carni (ispezione post mortem).L’ispezione ante mortem deve permettere di:a) identificare gli animali destinati alla macellazione ed accertare se siano state rispettate le norme relative alla loro

identificazione,b) verificare se il benessere degli animali è stato compromesso durante le fasi di carico e scarico o durante il trasporto,c) valutare lo stato di pulizia/sporcizia della pelle o del vello per adottare le misure eventualmente necessarie a ridurre al

minimo il rischio di contaminazione delle carni durante la macellazione e la lavorazione,d) accertare se gli animali presentino sintomi chiari o sospetti di una zoonosi o di una malattia trasmissibile agli altri

animali o segni che facciano sospettare la presenza di residui di sostanze chimiche in eccesso o non consentite.E’ importante sottolineare la responsabilità che viene attribuita al veterinario ispettore nel controllare e garantire il rispetto del benessere animale in questa delicatissima fase della filiera produttiva, in cui l’animale viene inevitabilmente sottoposto a numerosi stimoli stressanti durante le operazioni di avvio al macello e poi nel corso dello stordimento e della macellazione. Le conseguenze di questi stress possono ripercuotersi negativamente sia sulla sanità delle carni (es. rischio di batteriemia) e sia sulla loro qualità (es. carni DFD e PSE).Per alcune specie animali, allevate in condizione ben controllate, è previsto che parte dell’ispezione ante mortem possa essere effettuata presso l’allevamento (suini, volatili, conigli). In tal caso l’ispezione presso lo stabilimento di macellazione viene effettuata in modo semplificato.E’ evidente che in tutto questo si attribuisce grandissima importanza all’efficienza dei sistemi d’identificazione degli animali (tracciabilità) e di raccolta-trasmissione delle informazioni.L’ispezione post mortem deve essere effettuata secondo procedure ben precise per ciascuna specie animale. Per tutte le specie è previsto che le carcasse e le principali frattaglie siano sottoposte ad esame visivo. Per i bovini (con alcune differenze in rapporto all’età sopra o sotto le sei settimane) è anche obbligatorio procedere alla all’incisione di alcuni linfonodi ed organi che rivestono particolare significato per la lotta ad alcune zoonosi. Per gli ovini e caprini l’ispezione è sostanzialmente solo visiva e vengono previste eventuali incisioni solo in caso di necessità. Per i solipedi le incisioni previste si limitano ai polmoni (se destinati al consumo umano) ed al cuore. La stessa procedura è prevista per i suini. Tuttavia, le nuove norme proposte consentirebbero (con il parere positivo dell’autorità competente) di effettuare il solo esame visivo quando si trattasse di suini da ingrasso allevati in condizioni controllate, all’interno di sistemi integrati di produzione che garantiscano un efficiente flusso d’informazioni tra l’azienda di provenienza e lo stabilimento di macellazione. Per i volatili ed i conigli è prevista l’ispezione di un campione rappresentativo di esemplari. Alla selvaggina allevata si applicano le procedure delle specie domestiche corrispondenti. Ovviamente, il veterinario può ricorrere, quando lo ritenga necessario, al prelievo di campioni da sottoporre a particolari esami di laboratorio.Nell’evoluzione della normativa dell’ UE, l’ispezione ante mortem ha assunto sempre più il significato di un controllo integrato con i controlli effettuati presso l’allevamento (Severini et al., 1995). Nelle nuove proposte viene ulteriormente sottolineata l’importanza determinante delle informazioni raccolte presso l’azienda di provenienza degli animali, della loro corretta trasmissione al gestore dello stabilimento di macellazione e della loro acquisizione da parte del veterinario ispettore. Quest’ultimo, poi, ha la possibilità di decidere ed organizzare gli interventi in sede d’ ispezione post mortem fino al punto, per alcune specie animali, di effettuare un’ispezione semplificata e ridotta al solo esame visivo. In tal modo, verrebbero eliminate manualità non indispensabili (ad esempio l’incisione di linfonodi ed organi), che addirittura potrebbero provocare contaminazioni crociate. Questa integrazione delle attività ispettive con le informazioni che provengono dall’allevamento rappresenta un chiaro esempio di controllo integrato di filiera. Inoltre, i risultati delle verifiche e dei controlli eseguiti dal veterinario presso lo stabilimento di macellazione esitano nella bollatura delle carni che rappresenta la certificazione di una garanzia relativa a questa specifica fase di produzione. Tale garanzia costituirà il presupposto per la gestione dei controlli nelle fasi successive di lavorazione, di un’eventuale trasformazione e di commercializzazione. Nello stesso tempo, queste informazioni vengono inserite in apposite banche dati e possono essere utilizzate sia per la programmazione generale degli interventi sanitari sugli alimenti e sia per agire sulle fasi precedenti, che riguardano l’allevamento degli animali.Tutto ciò si inserisce pienamente nel quadro dell’analisi del rischio come strumento per impostare la scelta e la gestione delle politiche di sicurezza alimentare. L’intervento del veterinario ispettore nello stabilimento di macellazione deve, infatti, essere concepito anche all’interno di specifici obiettivi sanitari decisi a livello nazionale e comunitario (es; lotta a determinate zoonosi o malattie degli animali, controllo di specifici contaminanti chimici).La garanzia della sanità delle carni viene fornita dal veterinario ispettore non solo sulla base delle informazioni ricevute dall’allevamento e dei risultati delle attività ispettive (ante e post mortem) svolte, ma anche in conseguenza dei seguenti principali elementi:a) le carni sono state prodotte in stabilimenti autorizzati, che rispondono a criteri costruttivi precisi e tali da offrire

sufficienti garanzie igieniche, presso i quali vengono messe in atto idonee misure per la lotta agli organismi infestanti, b) la manutenzione e pulizia/disinfezione delle strutture e delle attrezzature è fatta in modo corretto,

c) i processi di lavorazione rispondono alle fondamentali norme igieniche (BPI, buone prassi igieniche; BPL, buone prassi di lavorazione),

d) l’igiene del personale è soddisfacente e gli operatori sono adeguatamente formati in rapporto alle loro specifiche mansioni,

e) lo stabilimento adotta adeguati sistemi di controllo per garantire la sicurezza del prodotto, mediante l’applicazione del sistema HACCP e l’attuazione di controlli previsti da specifiche norme (es. controllo microbiologico delle carcasse, controllo microbiologico delle superfici).

Tutto questo viene garantito attraverso una costante attività di verifica effettuata dal veterinario mediante controllo della documentazione,” audit” periodici ed eventuali accertamenti su campioni prelevati direttamente. A completamento ed integrazione del sistema di garanzie, ci sono le informazioni derivanti dai piani nazionali di controllo dei residui, che permettono di conoscere i livelli di rischio a cui sono eventualmente esposti gli animali in rapporto alla loro specie, categoria, età, sesso ed all’ area di provenienza.Per quanto riguarda altri alimenti primari, come i prodotti della pesca, il veterinario ispettore, in alcuni Paesi come l’Italia, è chiamato sia ad esercitare un controllo diretto su un campione di prodotto (per stabilire l’assenza di patologie ed alterazioni e lo stato di freschezza) e sia a prelevare campioni per specifici accertamenti (es. azoto basico volatile totale, livello di istamina).Per altri prodotti alimentari e per i prodotti trasformati, al veterinario (ma non solo a lui) viene richiesto un tipo di interveto che sostanzialmente consiste nella supervisione e verifica delle condizioni e dei processi produttivi, nonché delle misure messe in atto dal produttore per garantire la sicurezza del prodotto, secondo quanto sopra esposto per le carni. Infatti, è al produttore che viene attribuita la responsabilità primaria di assicurare la sanità dell’alimento. Il sistema di tracciabilità/rintracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera costituisce l’asse portante di questo controllo integrato di filiera “dal produttore al consumatore”. E’ quindi indispensabile che questo sistema sia concepito ed applicato in modo efficace, specialmente in un contesto in cui le filiere dei prodotti alimentari sono talvolta molto complesse, articolate e coinvolgono più Paesi, con sistemi sanitari e di sicurezza alimentare diversi tra loro.A proposito di quest’ultimo punto vorrei citare l’importantissima funzione svolta dal veterinario ispettore nel controllo degli alimenti alla frontiera di accesso. Si tratta di un’attività che comporta sia la verifica della documentazione sanitaria che accompagna le merci sia il controllo dei prodotti stessi, talvolta anche ricorrendo a prelievo di campioni per analisi di laboratorio.Desidero concludere questa sintetica esposizione sul ruolo del veterinario ispettore nel controllo degli alimenti di origine animale, citando una frase contenuta nel capitolo 2 del Libro bianco sulla sicurezza alimentare dell’ UE in cui si afferma: “Nel processo decisionale all’interno dell’UE si potrà inoltre tenere conto di altri fattori legittimamente pertinenti per la protezione della salute dei consumatori e per la promozione di prassi eque nella commercializzazione dei prodotti alimentari……..Esempi di questi altri fattori legittimamente pertinenti sono considerazioni ambientali, il benessere animale, l’agricoltura sostenibile, le aspettative dei consumatori quanto alla qualità dei prodotti, un’adeguata informazione e definizione delle caratteristiche essenziali dei prodotti nonché dei loro metodi di lavorazione e produzione”.

Bibliografia

Berends B.R., Snijders J.M.A. and van Logtestijn J.G. (1993). Efficacy of current EC meat inspection procedures and some proposed revisions with respect to microbiological safety: a critical review. Veterinary Rec., 23, 411-415.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

ATTIGIOVEDÌ 22 MAGGIO 2003

ABBANDONO E OMESSA CUSTODIA DEGLI ANIMALI IN UN ALLEVAMENTO BOVINO IN SEGUITO A UN CASO DI POSITIVITÀ ALLA BSE: OSSERVAZIONI LEGISLATIVE E IMPLICAZIONI DI RISCHIO ALIMENTAREG. M. Cubeddu, C. Fois, G. Panichi, W. Pinna, G. Moniello, B. Riitano

EPIDEMIOLOGIA DELLA SCRAPIE: AGGIORNAMENTO Bona M.C., Barizzone F., Ferrari A, Caramelli M, Ru G.

LE MALATTIE GENETICHE DEL VITELLO DI RAZZA BRUNAGentile A., Testoni S., Castagnaro M.

RILIEVI CLINICI ED ISTOPATOLOGICI SU TRE CASI DI ATASSIA PROGRESSIVA DELLO CHAROLAIS.Viglietti A., Carta P., Usai G., Montisci A., Ruiu A., Capitta P., Ligios C.

23XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ABANDONMENT AND OMISSION OF TENDING THE BOVINES AFTER A POSITIVITY CASE OF B. S. E. INSIDE A FARM: LEGISLATIVE OBSERVATIONS

AND IMPLICATIONS OF SANITARY RISK

G. M. Cubeddu1, C. Fois2, G. Panichi2, W. Pinna3, G. Moniello3, B. Riitano 4

1 Istituto di Patologia Speciale e Clinica Medica Veterinaria Università di Sassari, Via Vienna, 2 07100 Sassari, Italy

2 AUSL N. 5, Servizi Veterinari Area A e C, via Carducci, 35 - 09170 Oristano, Italy3 Sezione di Produzioni Animali del Dipartimento di Biologia Animale, Università di Sassari, Via

Vienna, 2 - 07100 Sassari, Italy, E-mail: [email protected];4Avvocato, Patrocinante in Cassazione, via Romeo Romei, 19 - 00136 Roma, Italy

AbstractThe authors report the examination of rules and laws of veterinary and sanitary police concerning the excursus of the first case of BSE, which was verified in Sardinia (Italy) and was followed by the sequestration of the animals. The objective responsibilities of the animals’ owners are underlined, considering the penal consequences, which derive from the application of the article 672 of the Italian Penal Code. Considering the rules concerning the crime of omission to take care and mismanagement of the animals, the law dictate of the same article (672) of the Penal Code is evaluated and the observations are extended to some recent decisions of the Penal Court of Cassation. A critical review of concept of the animals’ dangerousness is done, according both with the provisions of the articles 627 of the Penal Code and 2052 of the Civil Code, which provide about damages caused by animals. The modern rules of animals’ welfare and protection applied in the specific case are discussed. The unsuitability of an appeal of the animals’ owners to the Regional Administrative Court is discussed, considering the danger for the animals and public sanity. Aiming to find a better application of the rules and to stem the sanitary risks in similar episodes, the authors make and discuss some proposals.

ABBANDONO E OMESSA CUSTODIA DEGLI ANIMALI IN UN ALLEVAMENTO BOVINO IN SEGUITO A UN CASO DI POSITIVITÀ ALLA BSE: OSSERVAZIONI LEGISLATIVE E

IMPLICAZIONI DI RISCHIO ALIMENTARE

G. M. Cubeddu1, C. Fois2, G. Panichi2, W. Pinna3, G. Moniello3, B. Riitano 4

1 Istituto di Patologia Speciale e Clinica Medica Veterinaria Università di Sassari, Via Vienna, 2 07100 Sassari, Italy

2 AUSL N. 5, Servizi Veterinari Area A e C, via Carducci, 35 - 09170 Oristano, Italy3 Sezione di Produzioni Animali del Dipartimento di Biologia Animale, Università di Sassari, Via

Vienna, 2 - 07100 Sassari, Italy, E-mail: [email protected];4Avvocato, Patrocinante in Cassazione, via Romeo Romei, 19 - 00136 Roma, Italy

Riassunto Gli autori effettuano una disamina giuridico-normativa e di polizia veterinaria, a seguito dell’abbandono di bovini sottoposti a sequestro, dopo la denuncia del primo caso di positività alla BSE in Sardegna. Vengono poste in risalto le responsabilità oggettive, dei proprietari e del sindaco che si sostituisce al proprietario in applicazione del DPR 31 marzo 1979, considerando le possibili conseguenze penali derivanti dall’applicazione interpretativa dell’art. 672 del Codice Penale. Alla luce delle disposizioni previste dal reato di omessa custodia e malgoverno di animali si valuta il dettato normativo previsto dallo stesso articolo, estendendo le osservazioni ad alcune recenti sentenze della Cassazione Penale. Gli autori passano quindi in rassegna critica: il concetto di pericolosità degli animali, accorpando alle disposizioni previste dall’art. 672 anche le norme dettate dall’art. 2052 del Codice Civile, che dispongono sui danni cagionati dagli animali; le moderne regole di benessere e protezione animale applicate all’episodio descritto; l’inadeguatezza della possibilità di inoltrare un ricorso al TAR da parte dei proprietari a fronte della necessità di prevenzione del rischio alimentare per gli animali e per l’uomo

Introduzione L’obiettivo della presente ricerca è quello di fare il punto dell’attuale legislazione italiana in riferimento all’ipotesi di reato prevista dall’art. 672 (attualmente depenalizzato ai sensi dell’art. 33 lettera A della Legge 689/81) del Codice Penale Italiano, ma anche, e soprattutto, in relazione alla disciplina conseguente alla omessa custodia e malgoverno di animali, dopo l’abbandono dei bovini da parte del proprietario, a seguito di un caso di positività alla BSE. In prosecuzione di una precedente nota (11), si riprende e integra la discussione sulle possibili modalità di attuazione delle normative che regolano la materia, alla luce degli ultimi avvenimenti, e soprattutto del ricorso pendente al TAR della Sardegna, il quale si deve a tutt’oggi pronunciare sul merito.

Materiale e metodi Come dettagliatamente espresso nel precedente lavoro (11), in un allevamento di bovini ad alta produzione lattea in provincia di Oristano in Sardegna, nel mese di ottobre 2001 veniva evidenziato in una bovina regolarmente macellata un caso di non negatività alla BSE; il servizio veterinario della competente AUSL adottava le misure previste dalle norme vigenti in campo comunitario, nazionale e regionale (10,13,14). Una volta avvenuta la conferma di positività alla malattia,

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ufficializzata il 31/10/2001 da parte del Centro di Referenza Nazionale sulle Encefalopatie Spongiformi degli animali di Torino, gli organismi competenti, anche per interpretare al meglio le legittime esigenze del proprietario, decidevano per un abbattimento selettivo degli animali facenti parte della “Coorte”. Nonostante la proposta atta a limitare i danni derivanti dall’abbattimento, il proprietario degli animali, dopo una serie di lunghe ed estenuanti trattative tendenti a non far abbattere i bovini, abbandonava l’allevamento, ritenendosi esonerato da qualsiasi responsabilità e contemporaneamente inoltrava ricorso al TAR regionale. Il sindaco del comune interessato, a seguito di ciò, emetteva con apposita ordinanza un provvedimento di custodia cautelare affidando la gestione degli animali ad altri allevatori. Successivamente al provvedimento, tramite azione congiunta lo stesso primo cittadino e l’AUSL competente adivano le vie legali nei confronti del proprietario.

Risultati L’istanza avverso il provvedimento di abbattimento dei bovini, datata aprile 2002, per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, veniva respinta in data 3/7/2002 dal TAR della Sardegna con la dicitura: “omissis…respinge la su indicata domanda incidentale di sospensione”. A tutt’oggi il TAR non ha espresso alcun giudizio sul merito. Si ritiene opportuno sottolineare che, dal momento in cui il proprietario ha lasciato l’allevamento, il sindaco, sulla base delle disposizioni dettate dal D.P.R 31 marzo 1979 (8) che decreta la perdita di personalità giuridica da parte dell’ENPA, e attribuisce ai comuni le funzioni prima affidate al suddetto ENPA, ha esercitato a tutti gli effetti la funzione vicariante, con l’ausilio di altri allevatori e della stessa AUSL. A fronte delle denunce presentate, il sindaco aveva emanato disposizioni che ponevano, con diritto di rivalsa, tutte le spese sostenute a carico del proprietario. Nonostante questa controversia giuridico-burocratica, i bovini della “coorte” venivano regolarmente abbattuti mentre il latte prodotto in azienda veniva regolarmente ritirato dal circuito alimentare e sottoposto a stoccaggio a parte. Una volta eseguito l’abbattimento dei bovini, il proprietario si ripresentava in azienda, riprendendo la sua attività come se nulla, nel frattempo, fosse accaduto. Non solo, immediatamente dopo la ripresa di possesso della stalla, inoltrava domanda di rimborso alla Regione, secondo le disposizioni vigenti. La stessa Regione sospendeva il ristoro economico in presenza di un ricorso pendente alla Procura della Repubblica da parte dell’AUSL. Qualche tempo dopo il Pubblico Ministero poneva momentaneamente termine alla controversia con motivazione: “il fatto non sussiste”.

Osservazioni personaliLa disamina degli avvenimenti offre l’opportunità di fare ulteriori osservazioni critiche nei confronti di questa fattispecie giuridica. Le ipotesi conseguenti all’iter prospettatosi a seguito dei provvedimenti emanati dall’autorità amministrativa e da parte del servizio veterinario della competente AUSL, favoriscono l’approfondimento sulla mancata applicazione, da parte del P.M., dell’ipotesi del reato previsto dall’art. 672 del C.P. Essendo ben noti le procedure, le formalità, i controlli, le analisi, approfondite e dettagliate previste dalla normativa europea in ordine alla prevenzione, al controllo e all’ eradicazione delle encefalopatie spongiformi, il quesito che si pone è se l’applicazione dell’art. 672 C.P.(indipendentemente dalla questione se l’ipotesi ivi prevista sia da considerarsi di natura penale o amministrativa) sia idonea e sufficiente a tutelare le implicazioni di rischio alimentare. E’ agevole rilevare che la norma dell’art. 672 del C.P. è inserita nel nostro ordinamento giuridico penale tra le contravvenzioni di polizia e in particolare tra quelle concernenti l’incolumità pubblica e ancora più dettagliatamente tra le contravvenzioni concernenti l’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni. Il soggetto attivo di quella previsione è “chiunque lascia liberi o non custoditi con le debite cautele animali pericolosi da lui posseduti o ne affida la custodia a persona inesperta, nonché chi in luoghi aperti abbandoni a se stessi animali da tiro, da soma o da corsa o li lascia comunque senza custodia anche se non siano disciolti o li attacca o conduce in modo da esporre a pericolo l’incolumità pubblica, nonché chi aizza o spaventa animali in modo da mettere in pericolo l’incolumità delle persone”. Approfondita quindi la portata nonché i destinatari del precetto della norma richiamata, non può non escludersi con certezza che la suddetta previsione legislativa sia applicabile all’ipotesi di abbandono e omessa custodia di animali in allevamento bovino a seguito di positività alla BSE.La giurisprudenza farebbe capire che la pericolosità sia esclusivamente in rapporto all’incolumità pubblica. Ma alla luce di alcune sentenze ultime (Cassazione Penale sez. VI 10/10/90) la pericolosità si può ricondurre alla possibilità di arrecare danni al patrimonio zootecnico e alla salute pubblica. Pertanto l’abbandono e l’omessa custodia degli animali oggetto della presente disamina, potrebbero rientrare nella previsione di cui all’art. 500 del C.P., che tutela i delitti contro l’economia pubblica e in particolare disciplina la diffusione, anche per colpa, di una malattia agli animali pericolosa per l’economia ovvero per il patrimonio zootecnico. Ma tale ipotesi delittuosa sembra carente nella previsione del fatto rispetto a quanto oggetto del nostro esame; infatti il dettato dell’art. 500 del C.P. disquisisce in merito soprattutto a diffusione di malattie infettive, non rientrando peraltro la BSE in questa fattispecie, potendola annoverare tra le cosiddette patologie “condizionate”. Si deve in proposito rilevare che il proprietario degli animali che, a seguito di sequestro dell’autorità amministrativa, abbia abbandonato e/o omesso la custodia degli animali dell’allevamento, non può essere incriminato sulla base della norma citata. Infatti, essendovi un provvedimento cautelare, necessariamente deve essere nominato anche un custode e l’accettazione della custodia non è obbligatoria e comunque non accettabile e rinunziabile in qualsiasi momento.Ecco perché la misura cautelare è prevista e viene eseguita soltanto in determinati tassativi casi e soggetta ad una particolare disciplina ed a precise responsabilità sia dell’organo imponente la misura cautelare stessa sia dall’esecutore della medesima.

Conclusioni L’evolversi degli avvenimenti descritti ribadisce, sotto molti aspetti, quanto affermato nella precedente nota in ordine alle difficoltà interpretative nell’applicazione delle norme.La non sussistenza del fatto (come da sentenza del P.M.) libera il proprietario dalla responsabilità oggettiva e anche dalla

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conseguente eventuale ipotesi di reato previsto dall’art. 2052 del C.C. (danno cagionato da animali). Inoltre, le misure per eventuali responsabilità e irregolarità nella fattispecie potrebbero essere applicate invece nei confronti del sindaco il quale, a tutti gli effetti si è dovuto, ai sensi di legge, sostituire al proprietario.

Bisogna, allo stato attuale, necessariamente attendere la sentenza in merito del TAR per poter valutare con certezza chi dovrà pagare le spese sostenute per la gestione e custodia degli animali durante il periodo dell’abbandono da parte del proprietario. Nondimeno si ritiene opportuno porre in rilievo come l’uso del ricorso al TAR potrebbe creare un pericoloso precedente, capace a sua volta di innescare, in caso di conferma di positività alla BSE in altri allevamenti, o in occasione di altre misure restrittive dettate dal Regolamento di Polizia Veterinaria, un percorso giudiziario di non facile risoluzione. Pertanto emerge a tutt’oggi l’esigenza primaria di fare chiarezza su queste incertezze interpretative. Purtroppo un primo approccio con le più recenti disposizioni in materia sembra confermare la non rispondenza alle esigenze richieste.

Si ritiene, per concludere, che il tema vada ulteriormente studiato ai fini dell’individuazione di adeguate misure legislative, soprattutto di efficacia propositiva in sede internazionale alla luce della legislazione comparata dei Paesi dell’Unione Europea. E’auspicabile, infine, l’emanazione di norme facilmente applicabili alla fattispecie in oggetto in grado di evitare equivoci e incertezze giuridico-amministrative che possono recare ulteriori danni al comparto zootecnico.

Bibliografia1) BENAZZI P.. (1994)- Il regolamento di polizia veterinaria, Società Editrice Esculapio (BO).2) Cassazione Penale sez. VI 10/10/19903) Cassazione Penale sez. III 22/10/19924) CINOTTI S., PECCOLO G. (1997) - Protezione animale, UTET5) Codice Penale - art. 500, art. 672, art.727 6) Codice Civile - Libro IV delle obbligazioni7) D.L. 26 marzo 2001, n. 146 – Attuazione della Direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti8) D.P.R 31 marzo 19799) KREYSA J., (2000) – Geographical risk of bovine spongiform encephalopathy (GBR), Proceedings of the 6th Internationale Feed Production Conference, Piacenza 27-28 Novembre 2000, 106-121 10) Legge 25/07/2001 n. 30511) MONIELLO G. , CUBEDDU G. , FOIS C. , XIMENES L. A., PINNA W. Implications of feeding hygiene and animal welfare following untended bovines after a positive case of BSE. Atti X Fe.Me.S.P.Rum., Tunis (Tunisie) 22-24 sett 2002 12) PEZZA F. (1997) - Diritto e legislazione veterinaria, UTET13) Regolamento CE n.999/2001 del 22/05/200114) Regolamento CE n. 1326/2001 del 29/06/2001

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EPIDEMIOLOGIA DELLA SCRAPIE: AGGIORNAMENTO

Bona M.C., Barizzone F., Ferrari A, Caramelli M, Ru G.

IntroduzioneNegli anni recenti l’attenzione nei confronti delle TSE dei piccoli ruminanti da parte dell’Unione Europea ha assunto maggior rilevanza, legata alle conseguenze di tipo economico e all’allarme evocato dalla potenziale diffusione della BSE nelle popolazioni ovicaprine.Lo Scientific Steering Committee (SSC) della Commissione Europea ritiene infatti che anche le popolazioni ovi-caprine del nostro continente siano state esposte ad alimenti potenzialmente con+taminati e quindi esista la possibilità di circolazione dell’agente della BSE tra le nostre greggi.Studi sperimentali hanno inoltre dimostrato che ovini alimentati con materiale bovino infetto sviluppano la BSE, con sintomi e lesioni indistinguibili dalla scrapie. Inoltre la BSE nell’ovino si comporterebbe come la scrapie, da un lato coinvolgendo in maggior misura l’organismo, a partire dal sistema linfatico, e dall’altro potendo trasmettersi sia per via orizzontale che per via verticale. In Italia, la malattia è stata segnalata per la prima volta nel 1976 in Piemonte (Cravero et al., 1977) e sino al 1990 si sono avuti 25 focolai, che hanno coinvolto all’incirca 50 animali. Nel 1991 la scrapie è stata inserita tra le malattie soggette a denuncia obbligatoria (O.M. 10.05.1991), ed il primo focolaio è stato denunciato nel 1995. Con il presente lavoro si intende fornire un aggiornamento sulle attività di sorveglianza epidemiologica della scrapie in Europa e più specificatamente in Italia, descrivendo inoltre l’impatto che ha avuto l’Introduzione nel 2002 della sorveglianza attiva.Infatti, con il Regolamento 999/2001/CE e successive modifiche, a partire dal 1 gennaio 2002 in tutti i paesi dell’ UE alla sorveglianza passiva, basata su sistemi di segnalazione obbligatoria dei casi di malattia è stato affiancato un programma di sorveglianza attiva. Tale programma basato sull’utilizzo dei test rapidi su un campione ampio e rappresentativo della popolazione ovi-caprina di età superiore ai 18 mesi, appartenente alle categorie trovati morti e regolarmente macellati.Il citato Reg. 999/2001/CE e la sua successiva modifica, Reg. 270/2002/CE, hanno inoltre introdotto l’analisi genetica nell’ambito della sorveglianza della scrapie, poiché gli studi sinora effettuati indicano che il gene che codifica per la PrP presenta vari polimorfismi in grado di influenzare la resistenza o meno alla scrapie negli ovini (Hunter et al,1994, Elsen et al, 2002).

Materiali e metodiIl Centro di Referenza ha curato raccolta, verifica, elaborazione ed interpretazione dei dati nazionali. Il periodo considerato è compreso tra il 1995, anno a cui risale il primo caso ufficialmente segnalato, dopo anni di apparente assenza della malattia, e il 2002.Per caratterizzare l’epidemiologia descrittiva della malattia sono stati utilizzati tassi grezzi di prevalenza e incidenza. La maggior probabilità di identificare casi di malattia tra i trovati morti rispetto ai regolarmente macellati è stata calcolata in termini di rapporto di prevalenza e relativo intervallo di confidenza al 95%, utilizzando Stata 8. La diffusione della malattia è stata descritta dal punto di vista geografico e di andamento temporale. Infine la situazione italiana è stata confrontata con i dati ufficiali europei reperibili dal sito Internet della Commissione Europea.

RisultatiNei paesi dell’Unione Europea, nel corso del 2002, con la sorveglianza attiva sono stati testati 363.603 ovi-caprini di cui 438 sono risultati positivi (prevalenza di 12,0 casi per 10.000 test). Tra gli animali regolarmente macellati la prevalenza è stata pari a 7,4, mentre tra i morti o abbattuti è risultata pari a 26,6, con una probabilità quindi di trovare un positivo nella categoria degli animali morti 3,6 volte più grande rispetto alla probabilità di trovarlo tra i regolarmente macellati.Con la sorveglianza passiva, sempre nel corso del 2002, sono stati testati 2.836 ovi-caprini di cui 663 sono risultati positivi; la prevalenza è risultata del 23,4%. Escludendo i dati riferiti alla Germania che ha dichiarato un numero inspiegabilmente elevato di sospetti (ben 1.707), la maggior parte dei quali sono poi risultati negativi, la prevalenza sale al 58,4%. In Italia, grazie alla sola sorveglianza passiva tra il 1995 e il 2001 sono stati identificati 72 focolai con una media di 10-15 allevamenti coinvolti ogni anno (fig. 1 e fig. 2).Fig 1

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27XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig 2 ANDAMENTO TEMPORALE DEI FOCOLAI

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Nell’ambito della sorveglianza passiva si osserva un picco nel 1997, poi negli anni successivi l’andamento è pressoché stabile. Nel corso del 2002 il numero di focolai è risultato pari a 36 di cui 28 derivati da sorveglianza attiva e 8 da sorveglianza passiva.La sorveglianza attiva ha interessato 27.723 animali (fig. 3), di cui 57 sono risultati positivi (33 appartenenti alla categoria regolarmente macellati e 24 appartenenti alla categoria trovati morti); inoltre sono stati testati 1.251 animali abbattuti in sede di focolaio e tra essi 60 sono risultati positivi (4,8%). Rispetto al numero di campioni richiesto all’Italia dall’UE è stato raggiunto il 58,2% dei test nella categoria degli animali morti (3.492/6.000) e il 40,4% dei test nella categoria degli animali regolarmente macellati ( 24.231/60.000).Considerando la sola sorveglianza attiva, la prevalenza grezza è risultata pari a 20,6 casi per 10.000 test. Ai fini del calcolo della prevalenza nelle singole categorie sono stati esclusi i campioni non idonei all’esecuzione del test rapido; ne deriva che la prevalenza all’interno della categoria regolarmente macellati è risultata essere di 13,7 per 10.000 test (33 positivi/24.155 testati), mentre nella categoria trovati morti è risultata essere di 69,6 per 10.000 test (24 positivi/3.448 testati). La probabilità di trovare un positivo tra gli animali morti è circa 5 volte più grande che tra gli animali regolarmente macellati (5,1 con IC 95% 2,9-8,9).

Fig 3 CURVA EPIDEMICA NEL 2002

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CURVA EPIDEMICA NEL 2002

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Focolai: diffusione per regione e

incidenza cumulativa ( 1995 – 2002)

28 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Il numero di regioni coinvolte è andato via via aumentando nel corso degli anni: l’incidenza cumulativa di allevamenti colpiti per regione indica nella Toscana e nell’Emilia le regioni più interessate; nel corso dell’ultimo anno sono state coinvolte tre nuove regioni: Veneto, Calabria e Molise( fig 4).

Focolai: diffusione per regione e incidenza cumulativa ( 1995 – 2002)

Fig 4

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CURVA EPIDEMICA NEL 2002

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Focolai: diffusione per regione e

incidenza cumulativa ( 1995 – 2002)

Delle 13 segnalazioni di sospetto clinico di scrapie eseguite nel corso del 2002, 8 hanno dato origine ad altrettanti focolai di malattia mentre 5 non sono state confermate dal punto di vista diagnostico.Nel corso degli anni la malattia ha interessato prevalentemente la specie ovina (90 focolai su 108) anche se nel nostro paese il coinvolgimento della specie caprina risulta importante (fig 5).

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Complessivamente la sorveglianza attiva ha coinvolto 8.767 aziende (fig 6) in cui è stato testato almeno un capo e tra le quali sono stati individuati i 28 focolai (prevalenza di aziende infette pari a 0,3% con IC 0,2-0,5). Considerando solo il sottoinsieme di aziende in cui sono stati testati almeno 20 capi ( N = 185), la prevalenza sale al 5,4% ( IC 2,6-9,7).

29XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig 6

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Nel nostro paese è stato determinato il genotipo della proteina prionica su 127 ovini risultati positivi alla scrapie; tutti gli animali hanno presentato genotipi ritenuti suscettibili alla malattia e in particolare 98 sono risultati con genotipo ARQ/ARQ, 28 con genotipo ARQ/AHQ ed 1 con genotipo ARQ/VRQ.Infine il numero complessivo di capi coinvolti dalle procedure di abbattimento totale in Italia, come previsto dalla normativa (D.M. 8 aprile 1999, Norme per la profilassi della scrapie negli allevamenti ovini e caprini), ammonta per il periodo 1995-2002 a circa 45 mila animali.

DiscussioneDai risultati sino ad ora a disposizione la scrapie appare ampiamente diffusa in tutto il territorio italiano, pur con prevalenze regionali piuttosto basse.Il picco di casi identificati nel 1997 è presumibilmente da mettere in relazione ad una possibile diffusione iatrogena della malattia, legata all’utilizzo di un vaccino per l’agalassia contagiosa probabilmente contaminato con l’agente della scrapie ( Agrimi et al. ,1999; Caramelli et al., 2001).I dati nazionali relativi al 2002 evidenziano come con l’avvio della sorveglianza attiva il numero dei focolai sia più che raddoppiato, a riprova che la sola sorveglianza passiva è inefficace nel rilevare l’effettiva presenza della malattia.Nell’ambito della sorveglianza attiva la prevalenza più elevata tra gli animali appartenenti alla categoria trovati morti rispetto ai regolarmente macellati sottolinea l’importanza di porre l’attenzione sugli animali morti che rappresentano la categoria più a rischio.L’incidenza intra-allevamento della scrapie è relativamente bassa (Young et al., 1964; Palsson, 1979; Ligios et al, 2003); i risultati qui presentati dimostrano che testando più animali per allevamento, aumenta la probabilità di svelare la presenza della malattia e quindi il dato di prevalenza. Ciò suggerisce che il numero delle greggi colpite dalla scrapie potrebbe essere più elevato con una conseguente sottostima della situazione reale. Nonostante l’Unione Europea classifichi i genotipi ARQ/ARQ e ARQ/AHQ come poco resistenti alla scrapie, i risultati ottenuti mostrano che nella popolazione ovina italiana entrambi i genotipi hanno un elevato grado di suscettibilità alla malattia. In particolare per il genotipo ARQ/AHQ negli altri stati membri non si osservano frequenze di animali positivi così elevate come in Italia (European Commission Health & Consumer Protection Directorate-General. June 2003 Report on the monitoring and testing of ruminants for the presence of trasmissible spongiform encephalopathy (TSE) in 2002).In conclusione i dati derivanti dalla sorveglianza attiva hanno sottolineato l’importanza che la scrapie ha assunto in Italia. L’andamento della situazione epidemiologica dovrà essere quindi monitorato nel tempo, puntando soprattutto su una sorveglianza epidemiologica mirata alle categorie a rischio e approfondendo lo studio delle caratteristiche che la malattia assume nel nostro Paese.L’attivazione di strategie fondate sulla genetica, recentemente inserite nella normativa comunitaria, contribuirà probabilmente ad arginare i problemi seri che la scrapie crea al comparto zootecnico ovicaprino.

Bibliografia- Agrimi U., Ru G., Cardone F., Pocchiari M., Caramelli M.(1999) Epidemic of transmissible spongiform encephalopaty in sheep

and goats in Italy. The Lancet, 353, 560-561.- Caramelli M., Ru G., Casalone C., Bozzetta E., Acutis PL., Calella A., Forloni G. (2001): Evidence for the transmission of scrapie

to sheep and goats from a vaccine against Mycoplasma agalactiae . The Veterinary Record, 148, 531-536- Cravero G., Guarda F., Dotta U., Guglielmino R. (1977) La scrapie in pecore di razza biellese. Prima segnalazione in Italia. La

Clinica veterinaria 100, 1-14.- Elsen JM., Barillet F., François D., Bouix J., Bibé B., Palhière I., (2002) Génétique de la sensibilité à la tremblante des ovins.

BullGTV 13, 123-128. - European Commission Health & Consumer Protection Directorate-General.( June 2003) Report on the monitoring and testing

of ruminants for the presence of transmissible spongiform encephalopathy (TSE) in 2002.- Hunter N., Goldmann W., Smith G., Hope J. (1994) The association of codon 136 PrP gene variant with the occurrence of natural

scrapie. Archives of Virology 137, 171-177. - Ligios C., Bona M.C., Vodret B., Ruiu A., Ardu M., Depalmas S., Ru G. (2003) Epidemiologia descrittiva della scrapie in Sardegna.

ODV 24(1), 11-16.- Palson, P A.(1979) Rida (scrapie) in Iceland and its epidemiology. In slow transmissible diseases of nervous system. Vol I (S.B.

Prusiner & W.J. Hadlow, eds). Academic Press, New York, 257-366.- Young G. B., Scamp J., Renwick C. C., Dickinson A. G., (1966) Field observation of scrapie incidence. In Report of scrapie seminar,

Washington D.C.,27-30 January 1964. Agricultural Research Service (ARS) United States Department of Agriculture (USDA), 199-

30 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

GENETIC DISEASES OF THE BROWN CALVES

Gentile A., Testoni S. (*), Castagnaro M (**)

Veterinary Clinical Department - Bologna - Italy(*) Department of Veterinary Clinical Science – Padua - Italy

(**) Department of Public Health, Comparative Pathology and Veterinary Hygiene – Padua - Italy

The Authors describe the clinical findings and the pathological features of the most important genetic diseases typical in Brown calves, and namely: Spinal Muscular Atrophy, Spinal Dysmyelination, Congenital Myopathy and Arachnomelia. In the context of a research project on calf neurodegenerative diseases carried out by the Institutions mentioned in the title in collaboration with ANARB (Italian Brown Cattle Breeders’ Association) and financed by the University of Bologna, the authors are carring out a surveillance plan for the genetic diseases in Brown cattle, mainly but not exclusively affecting the nervous system. The purpose of this presentation is to awaken the veterinarians to the importance of inviting the Brown farmers to report any abnormal birth or unusual disease in young calves that occurs in their herds. At present the availability of genetic tests for detecting the carriers is restricted to Spinal Muscular Atrophy and partially to Spinal Dysmyelination; for the other diseases only the report of affected animals, and therefore the emerging of clinical cases, can allow a retrospective identification of carrier animals.

LE MALATTIE GENETICHE DEL VITELLO DI RAZZA BRUNA

Gli Autori descrivono le caratteristiche cliniche e morfologiche delle più importanti malattie genetiche del vitello di razza Bruna, e precisamente dell’Atrofia Muscolo Spinale, della Dismielogenesi Spinale, della Miopatia Congenita e dell’Aracnomelia. L’interesse degli Autori nei confronti di queste malattie è inserito in un progetto di ricerca sulle malattie neurodegenerative del vitello svolto in collaborazione con l’Associazione Nazionale Allevatori Razza Bruna (ANARB).Con la nota s’intende sottolineare l’opportunità, da parte dei veterinari operanti sul campo, di sollecitare gli allevatori di razza Bruna a riferire qualsiasi caso di vitello malformato o di patologie neonatali inusuali. Poiché prove di tipo genetico sono disponibili esclusivamente per l’Atrofia Muscolo Spinale, solo la pronta segnalazione di tali evenienze patologiche può consentire, in maniera retrospettiva, l’individuazione dei potenziali portatori.

Gentile ArcangeloDipartimento Clinico Veterinario, Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano Emilia – Bologna (Italia).

Tel: 0039 051 792803; fax: 0039 051 792793; email: [email protected]

AknowledgementsInvestigation supported by University of Bologna (funds for selected research topics)

IntroductionBrown cattle (Brown Swiss, Braunvieh, Italian Brown) have experienced the occurrence of undesirable genetic defects in the last decades.The first and possibly the most known is the Progressive Degenerative Myeloencephalopathy (“Weaver Syndrome”). We shall not deal with this disease for two reasons: firstly because clinical signs usually begin at about 6-8 months of age and secondly because a marker-assisted selection has reduced the occurrence of the disease noticeably in the last years. The objects of this work are the genetic diseases of young calves, such as Spinal Muscular Atrophy, Spinal Dysmielination, Congenital Myopathy and Arachnomelia. These have become a matter of considerable concern for the Brown breeders’ associations all over the world. A brief review of the location of lesions and their relationship to clinical signs is provided in order to improve the skills of bovine practitioners in recognizing and differentiating them from non-inherited conditions.

Spinal Muscular AtrophySpinal Muscular Atrophy (SMA) is a progressive lethal disease affecting humans and a variety of mammalian species, among them cattle. Bovine-SMA has been reported mainly in advanced backcrosses between American Brown-Swiss and European Brown cattle breeds (El-Hamidi and coll., 1989; Nielsen and coll., 1990; Dirksen and coll., 1992; Stocker and coll., 1992; Troyer and coll., 1993; Winter and coll., 1999; Testoni and coll., 2002), but was described also in Brown related cross-calves (Agerholm and Basse, 1994) and in Holstein-Friesian calves (Pumarola and coll., 1997).The condition is characterized by severe muscular neurogenic atrophy, progressive quadriparesis, and sternal recumbency.In 2002 we described the first case of Bovine-SMA in Italy which occurred in a Brown calf brought to our attention because of respiratory distress and recumbency (Testoni and coll., 2002); another 5 cases have been reported to us more recently. SMA at present represents the most worrisome concern for the Brown breeders’ associations. The initial signs, symmetric weakness of the rear legs, locomotion difficulties and slight dyspnoea, appear at 3-4 weeks of age. The course of the disease is progressive and calves become increasingly weaker and progress to paraparesis and finally tetraparesis. Animals usually look alert and show good appetite and normal suckle reflex. Urination and defecation are in the physiological range. Death occurs after 2-4 weeks, usually as a consequence of respiratory failure due to atrophy of the respiratory muscle. Bronchopneumonia is a frequent complicating disease, and contributes to the spontaneous death of the affected animals.

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Histo-pathologically, the condition is mainly characterized by muscle fibre atrophy, axonal degeneration of the spinal cord as well as neuronophagia and degeneration and loss of motor neuron in the grey matter of the ventral horns (especially brachial and lumbo-sacral regions); additionally, severe vacuolar degeneration in the midbrain and motor central cortex can be observed (Troyer and coll., 1992; Lassak, 1996; Sisó and coll., 2003).There is clear evidence that bovine-SMA is inherited as an autosomal recessive disorder. The extensive usage of American Brown Swiss carriers to upgrade European Brown cattle breeds has to be considered the cause of the spread of the defective alleles. Most of the reported cases could be traced back to an American Brown Swiss bull named “Meadow View Destiny” (Medugorac and coll., 2003). Medugorac and coll. (2003) managed to map the gene causing bovine-SMA to Chromosome 24. The same authors suppose that the apoptosis-inhibiting protein BCL2 might be the most promising positional candidate gene causing bovine-SMA.A marker-assisted test based on four microsatellite markers has recently become available in order to detect carriers of this undesirable nature (Gene Control GmbH, Grub, Germany; Berchtold, 2001 and 2002; Medugorak and coll., 2003).

Spinal DysmielinationSpinal Dysmielination (SD) is another congenital and genetic neurological disorder affecting Brown or cross-bred calves upgraded with American Brown Swiss (Hafner and coll., 1993; Agerholm and coll., 1994; Stocker and coll., 1996). Affected animals have congenital recumbency (on the contrary to SMA) and mostly lie in a lateral position with a slight to moderate opisthotonos. Rear limbs are held in extension and on pressuring the interdigital skin they react by stretching or kicking. The hind limb remain typically extended also if calves are able to maintain the sternal position. Although the animals do not try to rise they are attentive to their surroundings. Main reflexes are normal, as are appetite and faeces and urine delivery. Histo-pathologically the disorder is mainly characterized by bilateral symmetrical dysmielination in the white matter of the spinal cord (gracile funiculus, dorsolateral spinocerebellar tract, sulcomarginal tract), especially at the level of the cervical intumescences (Hafner and coll., 1993; Agerholm and Andersen, 1995; Pfluger, 1999). Typically, the submeningeal areas have a more pronounced dysmielination than the deeper parts (Agerholm and coll., 1994). Moreover the number of axons within the affected tracts is reduced. Myelination of dorsal and ventral nerve roots appears normal. Slight muscular atrophy can appear as a consequence of inadequate innervation. Similarly to the bovine-SMA, SD is an autosomal recessively inherited defect (Agerholm and Andersen, 1995).There is evidence that SD might be traced back to an American Brown Swiss bull named White Cloud Jasons Elegant born in 1966 (Agerholm and Andersen, 1995; Stocker and coll., 1996).Nissen and coll. (2001) mapped SD to bovine chromosome 11, and hypothesized that a mutation in the EGR4 (early growth response) gene could be responsible for the defect. Subsequently they questioned what they had hypothesized regarding the EGR4 gene, and failed to provide evidence of its role in SD (Nissen and coll., 2003).A marker-assisted test based on five markers has been recently developed in order to detect carriers of this undesirable character (Gene Control GmbH, Grub, Germany; announcement in the Rinderzucht Braunvieh, 9(2):36, 2003). It is however limited to some genetic lines.

ArachnomeliaArachnomelia (“spider-legs”) is a congenital abnormality of the skeletal system giving the animal a spidery look. Although the first reports of this condition date back to the seventies/eighties (Rieck and Shade, 1975; Brem and coll., 1984; König and coll., 1987) the disease has been insufficiently analyzed and, except for those descriptions, we failed to find other experimental research in the veterinary literature.In 1989 Leipold and Steffen drew the attention of Brown-cattle breeders and veterinarians to the disease, but only in recent years has the disease again begun to worry the breeders’ associations all over the world.We have recently described the first cases of Arachnomelia in Italy (Testoni and coll., 2003); all calves (three) traced back to the same sire (Tommy). After these reports many Brown-cattle italian breeders have reported the occurrence of other cases of Arachnomelia; all cases were offspring of Tommy or Amaranto. As both these two bulls have been widely used for artificial insemination in Italy, ANARB (Associazione Nazionale Allevatori di Razza Bruna) expects many other cases of Arachnomelia in the future.Brown calves affected with Arachnomelia have major lesions in the skeletal and muscular system. Most affected calves are born dead and only a few live for a few hours. The most important pathologic findings are: facial deformities (i.e. brachygnatia inferior and concave rounding of the dorsal profile of the maxilla); bone dolichostenomelia; angular deformities in the distal part of the hind legs; muscular atrophy; cardiac malformations.Bones of the legs appear to be more fragile than normal and spontaneous fracture during calving may injure the dam.Although we failed to find precise information in the literature, the pathogenesis of the disease seems to overlap that of the Marfan Syndrome in human medicine (Arachnodactylia): in this context a defect in the metabolism of the connective tissue is involved.However the clinical findings recorded in calves affected by Arachnomelia usually differ from the typical picture of the human “Marfan patients” (dolichostenomelia with high fragility of long bones, defects of the heart and main arteries, ectopia lins), and for this reason we think that the clinical identification between the bovine Arachnomelia and the human Marfan Syndrome is inopportune. Moreover, contrary to the almost undisturbed vitality of human patients, bovine Arachnomelia has a rapidly lethal course. It should be kept in mind that a true Bovine Marfan Syndrome more closely resembling human Marfan syndrome has also been described in cattle (Potter and coll., 1993; Potter and Besser, 1994).Regarding the aetiology, although it has not been possible to find candidate genes until now, the condition is attributed to a simple autosomal recessive inheritability. The origin of this defect was postulated to be an American Brown Swiss bull or a cow of the same breed (König and coll., 1987).At the moment there is neither a chromosomal nor biochemical test to detect the carriers of this defect.

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Congenital Myopathy A further congenital skeletal muscle disorder suspected to have a hereditary aetiology was described by Hafner and coll. (1996) and named Congenital Myopathy (CM). Similarly to SMA and SD, affected calves (6) were upgraded with American Brown Swiss bulls. The animals show rapidly progressing muscular weakness and become recumbent within 2 weeks of birth. If assisted animals can maintain the quadrupedal stance for short time, showing muscular trembling and pendent head (Dirksen G., 2002). Clinically the disease is very similar to bovine-SMA and only the pathological changes allow its definitive diagnosis. Calves afflicted with CM show characteristic signs of primary muscular disorders (rhabdomyopathy), such as marked variation in muscle fibre size, internally located nuclei, fibre splitting and broadened extracellular spaces (Hafner and coll., 1996; Lassak, 1996).

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RILIEVI CLINICI ED ISTOPATOLOGICI SU TRE CASI DI ATASSIA PROGRESSIVA DELLO CHAROLAIS.

*Viglietti A., *Carta P., *Usai G., °Montisci A., *Ruiu A., *Capitta P., *Ligios C.

*Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna,°Azienda Sanitaria Locale n° 5 – Oristano

RiassuntoL’Atassia Progressiva dello Charolais è una rara neuropatologia osservata sia nei soggetti di razza pura Charolais che nei meticci discendenti.In questo lavoro vengono descritti gli aspetti clinici ed anatomo-istopatologici osservati presso una azienda della Sardegna in 2 bovine adulte ed 1 vitello di razza Brunoalpina x Charolais affetti da una patologia neurologica caratterizzata da debolezza ed atassia a carico degli arti posteriori.Microscopicamente, nel sistema nervoso centrale sono state osservate placche eosinofiliche perlopiù isolate e raramente raggruppate a livello del corpus medullare del cervelletto, fascio spinotalamico e rubrospinale, peduncoli cerebellari e lemnisco mediale. Le placche eosinofiliche erano in qualche caso circondate da rari oligodendrociti ipertrofici. Le colorazioni specifiche hanno rilevato che il materiale che costituisce tali placche ha le stesse affinità tintoriali della mielina. Il quadro lesivo riscontrato è stato ritenuto tipico dell’Atassia Progressiva dello Charolais. Il presente lavoro rappresenta la prima segnalazione di questa rara e singolare neuropatologia dei bovini Charolais allevati in Italia, ed offre ulteriori elementi di tipo epidemiologico che ribadiscono ancora una volta la sua probabile origine genetica.

SummaryProgressive ataxia in Charolais cattle is a rare neurological disease which is observed both in purebred and in at least three quarters purebred Charolais.Clinical and anatomo-histopathological examinations on 2 cows and 1 calf of Brown Swiss x Charolais showing neurological signs are described in this work. The animals had typical neurological signs which included weakness of the hind-legs that slowly progressed to ataxia. This was accompanied by jerking movements. The lesions observed were microscopic and restricted to the white matter of the central nervous system and consisted of multiple eosinophilic plaques. They were most evident in the corpus medullare of the cerebellum, the spinotalamic and rubrospinal tracts, the cerebellar peduncles and the lemniscus medialis. The plaques showed tinctorial affinity similar to that of myelin and were rarely surrounded by hypertrophic oligodendrocytes. These are the first reported cases of this rare and unique disease in Italy. Epidemiological data in these cases suggest once more that the disease could be genetic in origin.

IntroduzioneL’atassia progressiva dello Charolais è una rara neuropatologia su base genetica, osservata sia nei bovini di razza pura Charolais che negli incroci 75% (Blakemore et al, 1974; Cordy, 1986). Colpisce soggetti di età compresa tra i 6 mesi ed i 3 anni, con maggiore incidenza tra i 12 ed i 24 mesi. Il decorso della malattia è progressivo e si manifesta clinicamente con incoordinazione motoria, debolezza del treno posteriore fino, nella maggioranza dei casi, al decubito permanente (Blakemore et al, 1974). Lo stato del sensorio rimane inalterato (Summers, Cummings & de Lahunta, 1989), anche se sono segnalati comportamenti aggressivi (Jubb, Kennedy & Palmer, 1993). Infine, come sintomo caratteristico, sono riportati disturbi della minzione (Blakemore et al, 1974; Zicker et al, 1988).Descritta la prima volta da Palmer et al nel 1972 in Gran Bretagna su bovini provenienti dalla Francia, venne in seguito osservata in Canada (Tryphonas, 1974), Regno Unito (Blakemore et al, 1974), Nuova Zelanda (Palmer & Blakemore, 1975), Francia (Palmer, 1976), Australia (Daniel & Kelly, 1982) e negli USA (Patton, 1977; Cordy, 1986; Zicker et al, 1988).Per la sua capacità di adattamento alle varie condizioni climatiche la razza Charolais è allevata in tutto il mondo. In Sardegna questa razza è stata introdotta intorno agli anni 1963-1965 (Casu, 1971) attualmente i capi iscritti al Libro Genealogico sono 1148 che rappresentano il 14% di quelli presenti in tutta l’Italia.Considerata l’importanza dell’allevamento dello Charolais in Sardegna abbiamo ritenuto utile segnalare questa rara e singolare neuropatologia che, dalla letteratura da noi consultata non risulta sinora descritta in Italia.

Materiali e metodiLe nostre osservazioni sono state effettuate in Sardegna presso un allevamento bovino da carne costituito da 50 vacche F1 Bruna-Alpina x Charolais che venivano incrociate con un toro di razza pura Charolais per la produzione di vitelli da destinare alla macellazione. Nell’arco di 3 mesi 2 vacche 50% Charolais rispettivamente di 7 e 3 anni ed un vitello 75% Charolais di 9 mesi, figlio della bovina di 7 anni, hanno iniziato a manifestare un quadro clinico neurologico ad andamento cronico ed insensibile a vari trattamenti terapeutici.Tutti i capi dopo essere stati esaminati clinicamente per 2 volte a distanza di 1 mese e, considerata la prognosi infausta, sono stati destinati alla macellazione.Durante la macellazione sono stati prelevati l’encefalo ed il midollo spinale in toto nonché campioni dal rene e dal fegato che venivano, per l’allestimento di preparati istologici, immersi in formalina tamponata al 10 %.Dopo 20 giorni, l’encefalo ed il midollo spinale sono stati sezionati trasversalmente a livello rispettivamente dei lobi frontali, nuclei basali, talamo, mesencefalo, cervelletto, midollo allungato rostrale, obex ed emergenza dei nervi spinali da C1 sino ad L7. Le sezioni encefaliche e midollari così ottenute assieme ai campioni di fegato e rene, dopo essere state incluse

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in paraffina e tagliate ad uno spessore di 5 µm sono state colorate secondo metodiche routinarie con Ematossilina-Eosina e Luxol fast blue.

RisultatiAll’esame clinico i bovini mostravano alterazioni locomotorie progressive con atassia caratterizzata da movimenti lenti ed incerti particolarmente evidenti a carico degli arti posteriori. Tutti i capi evidenziavano alterazioni della postura con oscillazione costante del treno posteriore e frequente abduzione di un arto.Questi sintomi, a distanza di un mese, si erano sensibilmente aggravati e venivano accompagnati da un caratteristico atteggiamento “sotto di sé” con estensione del collo e costante correzione della posizione in stazione eretta. Era inoltre osservata depressione del sensorio ma non la caratteristica alterazione della minzione descritta da altri autori.In sede necroscopica non sono state osservate lesioni degne di rilievo, a parte uno stato di deperimento organico. Microscopicamente a livello del sistema nervoso centrale sono state riscontrate nella sostanza bianca placche eosinofiliche di 20-50µm, le quali apparivano granulari, amorfe, prive di residui nucleari, spesso a disposizione perivasale e talvolta circondate da oligodendrociti ipertrofici (Fig. 1 e 2).Nella tabella 1 è riassunta la distribuzione neuro-anatomica di tali lesioni. Al contrario, non si sono osservate lesioni istologiche nel rene e nel fegato.

Aree neuroanatomiche Vitello 9mesi Bovina 3 anni Bovina 7 anni

Corpus medullare (cervelletto) ++++ +++ ++++Peduncoli cerebellari +++ ++ +Lemnisco mediale + - -Corteccia - - +Midollo spinale cervicale ++ + -Midollo spinale toracico +++ + -Midollo spinale lombare + +++ -Midollo allungato (tratto rubro-spinale) ++ + -Midollo allungato (tratto spino-talamico) +++ - -Fascicolo cuneato - + -

TAB. 1: distribuzione delle placche nell’encefalo e nel midollo allungato di 3 soggetti.

DiscussioneSulla base del quadro clinico e delle lesioni microscopiche osservate riteniamo che la neuropatologia da noi osservata sia ascrivibile all’atassia progressiva degli Charolais descritta da Palmer, Blakemore et al (1972) in Inghilterra. Dal punto di vista clinico l’abduzione degli arti ed il continuo oscillamento ci sono sembrati degli atteggiamenti posturali particolarmente utili per la diagnosi differenziale con altre patologie. Tuttavia uno dei sintomi più caratteristici, alterazioni della minzione così come segnalato da Cordy (1986), Daniel et al (1982), Zicker et al (1988) e Blakemore et al (1974) non è stato da noi osservato. Da quanto sinora riportato in Bibliografia si può dedurre che, dal punto di vista morfologico, questa patologia sia una leucodistrofia particolarmente singolare che non ha equivalenti con altre neuropatologie degli animali e dell’uomo (Blakemore et al, 1974). All’esame ultrastrutturale, le placche eosinofiliche sono descritte in corrispondenza dei nodi di Ranvier a livello dei quali, gli oligodendrociti displastici mostrano processi neoformati di lunghezza indefinita nelle guaine mieliniche (Blakemore et al, 1974). Si è supposto che la presenza di questi processi digitiformi alteri il rapporto tra assoni e cellule gliali, causando anormalità nella conduzione dell’impulso (Blakemore et al, 1974; Cordy, 1986).La localizzazione delle placche viene più frequentemente decritta a livello del corpus medullare del cervelletto, dei peduncoli cerebellari e della capsula interna (Cordy, 1986; Zicker et al, 1988; Blakemore et al, 1974; Daniel et al, 1982). In minor misura è osservata nei tratti ottici, decussazione pontina, fascicolo longitudinale mediale, funicolo laterale e ventrale del midollo spinale (Cordy, 1986; Blakemore et al, 1974).Nei nostri casi si conferma la tendenza delle lesioni a localizzarsi nel cervelletto e peduncoli cerebellari, così come nei cordoni latero-ventrali del midollo spinale ed, in numero modesto, anche a livello del lemnisco mediale. Al contrario nei bovini da noi esaminati non sono state riscontrate lesioni nei tratti ottici, nel corpus callosum e nel fascicolo longitudinale

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mediale.La gravità del quadro lesivo a livello del midollo spinale è risultata variabile dimostrandosi di grado inversamente proporzionale all’età dei 3 soggetti (vedi tab 1). Nei bovini da noi esaminati le lesioni localizzate nei fasci spino-cerebellari, rubrospinali e gracile spiegano il deficit della sensibilità propriocettiva che è responsabile in gran parte dei quadri clinici osservati. Questo ci permette di affermare che nel caso dell’atassia progressiva un esame completo dell’encefalo e del midollo spinale riescono a provare l’esistenza di una correlazione tra lesioni e sintomi osservati, contrariamente a quanto affermato da Zicker et al (1988) .La diagnosi della malattia in un soggetto di 7 anni rappresenta un dato originale poiché l’atassia progressiva è stata sinora descritta in bovini di età non superiore ai 3 anni (Jubb, Kennedy & Palmer, 1993). Al contrario è una conferma a quanto finora osservato la presenza di un elevato grado di consanguineità tra i soggetti oggetto del nostro lavoro. Questo sembra confermare che l’atassia progressiva degli Charolais sia una neuropatologia di origine genetica. Ciò potrebbe significare che in Sardegna un’alta percentuale di allevamenti destinati alla produzione di vitelli per l’ingrasso potrebbe essere esposta a questa patologia, in considerazione del fatto che la malattia è stata da noi osservata anche nei meticci F1 Charolais. ConclusioniSulla base di quanto da noi descritto il quadro clinico-patologico dell’atassia progressiva negli Charolais allevati in Sardegna, non differisce sostanzialmente da quanto da altri descritto in vari paesi (Cordy, 1986; Zicker et al, 1988; Blakemore et al, 1974; Daniel et al, 1982). Riteniamo comunque che solo un esame completo di un numero significativo di distretti encefalici-midollari permetta di arrivare ad una diagnosi di conferma in laboratorio. Questo in particolare nei soggetti adulti a causa della presenza di uno scarso numero di placche che, peraltro, sono spesso confinate quasi esclusivamente a livello del cervelletto.Sono infine necessari ulteriori studi a livello ultrastrutturale ai quali si dovranno aggiungere degli studi di genetica, sia per capire appieno i meccanismi patogenetici di questa rara neuropatologia, che per fornire conoscenze utili per una accurata selezione genetica dei riproduttori.

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nervous system, cap 3:374.7. Ogden A.L., Palmer A.C., Blakemore W.F. (1974). Progressive ataxia in Charolais cattle.

Vet Rec; 94: 555.8. Palmer A.C., Blakemore W.F., Barlow R.M., Fraser J.A., Ogden A.L. (1972). Progressive ataxia of Charolais cattle associated with a

myelin disorder. Vet Rec; 91: 592-594.

9. Palmer A.C., Blakemore W.F. (1975). Progressive ataxia of Charolais cattle. Bovine practice; 10: 84-85.

10. Palmer A.C. (1976). Personal communication. Riportato da Patton C.S. (1977). Progressive ataxia in Charolais cattle. Vet Pathol; 14: 535-537.

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Charolais cattle. Vet Rec; 94: 555.14. Zicker S.C., Kasari T.R., Scruggs D.W., Read W.K., Edwards J.F. (1988). Progressive ataxia in a Charolaise bull. JAVMA; vol. 192,

11: 1590-1592.

daylew
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37XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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Sanità e Pro duzione

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Fe.Me.S.P.Rum

ATTIGIOVEDÌ 22 MAGGIO 2003

MANAGEMENT AND CONTROL OF THE CLAW DISEASES IN INTENSE DAIRY PRODUCTION B. Zemljic

APPROCCIO AL FENOMENO DI “RIPRESA” DELLA CURVA DI LATTAZIONE NELL’ ALLEVAMENTO CAPRINO ESTENSIVO Marongiu M. L. , Santucci P. M., Branca A., Floris B.

ELECTRONIC IDENTIFICATION IN TRANSITION GOATS Pinna W., Sedda P., Moniello G. , Nieddu G., Solinas I.L.

VALORI LATTODINAMOGRAFICI E CONTENUTO IN CELLULE SOMATICHE NELLA PECORA DA CARNE. Alessi A., Aliberti A., Cirone F., Scatassa M.L., Foti M., Rinaldo D., Garofalo L., Buonavoglia D.

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MANAGEMENT AND CONTROL OF THE CLAW DISEASES IN INTENSE DAIRY PRODUCTION

Dr. Borut Zemljic Dr.Vet.Med., Veterinary Polyclinic Ormoz, Ljutomerska 25, SI 2270 Ormoz, Slovenia, phone:+ 386 2 740 43 00, fax: + 386 2 740 43 01

e-mail: [email protected]

AbstractHigh producing dairy cows with the healthy claws are very rare today. In the modern dairy production we know numerous negative influences, causing claw health problems. The greatest problem of all is, that we are not able to change those parameters. Because of the high production we must feed those animals with more high digestible proteins and carbohydrates, what causes changes in metabolism and have impact on claw health. The floor and equipment in modern stables are friendlier to the owners and workers than to animals. The upper level of organism response is in the high dairy production on the limit, what we mostly observe on the claws. In the modern dairy production we must follow two basic principles: MORE AND BETTER. In such production the owner and veterinarian specially must made decision between higher production and better health, what normally influences financial output of the production and has direct influence on the herd management. The appearance of enlarged claw health problems in the dairy herd is of the multifactorial provenience and unfortunately does not have only one straight solution. The approach to solving claw problems must be complex, normally take in accountancy more possible ways.

1. IntroductionIn the last two decades we are witnesses of immense changes in the aetiology and incidence of claw diseases in intense dairy production. Process of recognition and even understanding of development of the risk factors for specific claw pathology were slow and mostly incomplete. Risk factors are in simple correlation with farm management, genetic picture of cattle population and certainly also of the singular animal, stable design, feeding model and feed ingredients as with behaviour of the animal in the herd as ethological pressure to the individual cow and to the entire population in the herd. All these pressure mechanisms additionally enlarge stress syndromes because of enlarged number of the animals in the herd, demanding on higher production, which must be close to maximum, what is in large connected with the genetic potential of the individual animal and entire population. Those pressures are larger in the herds where tied animals changing to the free stall systems, what according to ethological principals must be better, but that also means less littering, less pasture and also less possibility for movement outside of the stable. All together, new systems are mostly more suitable for less physical engagement of the owners but less suitable for animals. Everything what was counted just before, is resulting in the higher incidence of claw diseases and deformations in the population of high yielding dairy cows.Therefore, acceptance of measures for diminishing of the high incidence of claw diseases in highly intense dairy production by owners, depend on capability and professional knowledge of veterinarian, who must be able to persuade owner that prophylactics and constant surveillance of claw health in the herd is economical interesting and profitable job.Lameness has it origin in the pain, which is constant present in the case of pathological changes in the feet. Because of these reasons, lameness is not only health and economic problem of the profitability of dairy production, but also welfare problem, what rises in last decade to a bigger and bigger problem, because of the awareness of the consumers, users of the products made by cattle owners. Fortunately welfare issues become promoter of more and more investigations and researches on the field of lameness in cattle.

2. Epidemiological research2.1. Multifactorial approach to the problem of dairy cows lamenessLameness in dairy cattle count to the production diseases. Risk factors, which influences appearance of claw diseases, mostly in multifactorial appearance and with mutual combination influences prevalence, incidence and mostly severity of lameness outbreaks in the herd. Judgement about importance of individual risk factor in prevalence of individual claw disease demand serious professional analysis and big amount of specific knowledge.

2.2. Recognition and definition of the problemEpidemiological methods of lameness research enable practitioners for systemic approach to lameness analysis in the herd. Such an analysis recognise and range risk factors in the herd according to importance in the development of the disease and form fundament for establishing preventative programs for lameness in the herd. If veterinarian wants to approach to the lameness problem on systemic way, it is necessary to prove some basic points such as:

a. Do we have already lameness problem? b. Definition of the problem if it already exist,c. Who already participate in the appearance and in the solving process of the problem?d. How we become problem with the lameness?e. How the risk group is stabled in?f. Why we have to do with lameness problem?

The greatest problem in epidemiological studies are mostly so called “expertise opinions”, where veterinarian pick up only most obvious problem, willingly or unwillingly forgetting numerous other factors. In modelling of the definition of the problem owner has a central role, because only with tight co-operation of veterinarian with the owner we can get useful solution. Most important in this connection is, that the owner is conscientious and that every event in the herd is noted properly.

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3. EcopathologyExpression ecopathology was formed to express determination relationship between disease and different risk factors. On those risks factors are depending how the disease will appear. Such study try to define characteristics of each risk factor. Importance of each risk factor we must compare with others and than in comparison establish if activity is synergistic, antagonistic or cumulative. With practical application of ecopathology principles we are able to understand and ranking of importance of risk factors in development of typical claw diseases.

4. Risk factors

4.1. HousingIn the years of research numerous authors proved importance of housing systems and its influence on appearance of the claw diseases. In clinical researches we proved that housing systems have great influence on appearance of the claw diseases. Therefor we must in management of the housing systems follow certain recommendations, as:

a. Floor must be ever clean and proper maintain.b. Floor must be abrasive, but not slippery.c. Rest places must be large enough and if possible covered with some warm cover.d. It must be enough rest places for each animal and also enough feeding places to avoid unnecessary fights for

feed in the herd.e. There must be enough possibility for movement, specially for lactating animals, if possible pasture

possibility.f. All passages and exits must be wide enough and all curves on the walking ways must be wide and mild.

4.2. FeedingOnly to count most important risk factors, because feeding itself could be a subject of separate research, we must number correlation between feeding concentrates and rough materials, high percentage of highly degradable proteins, high content of some amino-acids, which contain sulphur and deficiency of zinc, which is mostly important in production of the horn.

4.3. ManagementNumerous clinical researches proved, that prevalence of claw diseases is higher on dairy farms, where knowledge of the owners is questionable, technical equipment of the farm not adjusted to needs and necessities of the producing animals and where we have to deal with inpatient owner, who is not able to wait and give animals enough time to accommodate to changed circumstances. When we add also incorrect management of the herd with improper grouping of animals, less possibility for movement and not systemic claw correction, than we certainly have to deal with higher incidence of heavy claw diseases as normal. Specially when we talk about claw correction, it is necessary to engage proper educated professional, who is able to understand physiology of claw and cow walk. In prevention of claw diseases also organising of claw baths is crucial, where it is necessary to put bath basins on a places, where each animal is forced to step in and that contain of the foot bath is according to newest knowledge.

4.4. Genetic predisposition’s In the sire herds we must look after animals which did not carry over bad configurations of the feet and specially claws. In the rule are sires with short and steeper claws better than others and also animals with heel joint angle smaller than 1700 are genetically better than others. Very important is also to take care about growth of the animal in the second year. Heifers must be on time before parturition moved to a proper ratio, which will influence production and possibility to accommodate to different life circumstances. In free stall systems it is important, that we never introduce one single animal, specially heifer, in to the herd, however must be that done in the groups, what prevents great stress because of the status fights in the herd.

4.5. Knowledge of the veterinarianIn the Slovenia it is a rule, that every veterinarian is able and qualified for functional correction and therapy of claw diseases and deformations. In the reality only few veterinarians are really able to act according to needs of the individual animal and are also able to recognise all claw statutes and diseases. Because in some cases veterinarian must approach systematically to the animal and the herd and not only treat the cow, but also improve the farm object or feeding procedure or something else what is directly or indirectly connected with claw diseases. When we talk about architecture of the farm object is in most countries unfortunately so, that veterinarians are included very late into the building process. When the object is once built, it is really difficult to make changes according to ethological standards without great economical looses for owners.But not only lack of systemic influence on building process, also lack of elementary orthopaedic knowledge is realised on most veterinary education establishments. In the praegraduation programs there are to little or no theoretical and practical, “hands on” lessons for students. In the continuing education there are almost no or to little programs for additional education of veterinarians. Therefor are owners and specially animals in numerous cases left to the experimental interventions of veterinarians, who could provoke even more problems.

5. DiscussionIdentification of the mistakes is one of most important and also difficult tasks in the management of the dairy herd. First of all such process needs a lot of time. Secondly it is mostly necessary, that after first preliminary results we must settle dawn enlarged program of further investigation, what made such approach extremely expensive. Despite of this , there are from

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year to year greater interest for systemically approach to the problem of cow lameness. If in the solution searching we use all newest approaches and methods, there are good prospect to the positive result.Most important part of our program of diminishing of economical looses because of claw diseases in the intense dairy production must be dedicated to the building of consistent curriculum for the students, with included orthopaedic lesions and forming of CPD programs for graduated veterinarians. But not only veterinarians must be educated, also owners must be aware of importance of the claw diseases and problems. It is always dangerous, that owner would take the leading role in the process of prevention and therapy of the claw diseases without to have enough proper knowledge. The true is also that only consciousness owner will be able to look after professional help and would be able to accept it. This professional help have his financial value, which must be acceptable for both parties.

6. Literature1. Bergsten C, Hultgren J, Manske T Claw traits and foot lesions in Swedish gairy cows in relation to trimming interval and housing

system. In: Proceedings of 10th International Symposium on Lameness in Ruminants. Luzerne, Switzerland; 1998, 46 – 482. Clarkson MJ Method of data evaluation in studies on lameness. In: Proceedings of the 6th International Symposium of the Ruminant

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of Reading, 19934. Greenough PR, Weaver AD Lameness in Cattle. 3rd Edition WB Sounders Company, London, UK; 19975. Kerr LK Affecting the incidence of lameness by altering the housing systems. In: Proceedings of the 10th International Symposium

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42 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

APPROCCIO AL FENOMENO DI “RIPRESA” DELLA CURVA DI LATTAZIONE NELL’ALLEVAMENTO CAPRINO ESTENSIVO

Marongiu M. L.(1) , Santucci P. M.(2), Branca A.(3), Floris B. (1)

(1) Dipartimento di Biologia Animale, Sassari(2) INRA-SAD LRDE Corti

(3) Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna. Olmedo (Sassari)

Riassunto Il fenomeno di “ripresa” della curva di lattazione, inteso come la capacità a riprendere la produzione lattea a metà del ciclo produttivo, é una caratteristica delle razze locali nei sistemi pastorali mediterranei. In 2 allevamenti caprini estensivi, vennero seguite la produzione quali-quantitativa del latte e la condizione corporea (BCS) nel periodo del risveglio primaverile della vegetazione (metà aprile). Le capre (n=20 x azienda; classe di età 3/5 anni), di razza Corsa, hanno partorito al’inizio di novembre; esse pascolavano durante il giorno e ricevevano un’integrazione alimentare (mattino e sera) in azienda fino alla fine di aprile. Venne registrato anche il BCS intorno al parto (3 controlli). L’aumento della produzione lattea fu piuttosto marcato in parallelo con la crescita dell’offerta foraggera del pascolo. Il livello di produzione lattea e l’andamento del BCS al parto furono correlati con l’intensità di ripresa del latte e le risposte differenziate tra gli allevamenti furono spiegate anche dalle modalità di gestione alimentare.

IntroduzioneAttualmente, nell’allevamento caprino di tipo estensivo, l’integrazione alimentare in azienda rappresenta una sorgente di importanti cambiamenti. Questa pratica, giustificata essenzialmente da un parto contro stagione (e quindi da un’insufficiente offerta foraggera dei pascoli all’inizio dell’inverno) comporta svariati interrogativi, a causa dei suoi riflessi sulla conduzione delle greggi, sul comportamento e sulle performances degli animali. In una nota precedente (Marongiu et al., 2003) abbiamo riportato la cinetica del Body Condition Score (BCS) e di alcuni indicatori ematici del metabolismo lipidico, glicidico e proteico (NEFA, glucosio e urea) delle capre nel periodo intorno al parto. Le osservazioni ci hanno suggerito che in questo periodo la mobilizzazione delle riserve corporee è inevitabile, malgrado la piena disponibilità del pascolo, i deboli livelli produttivi ed una discreta integrazione alimentare. Da qui l’importanza, per l’allevatore, di garantire un buon livello delle riserve corporee prima del parto (BCS ideale >3). I metaboliti ematici, inoltre, sono apparsi poco utili per caratterizzare lo stato nutrizionale delle capre (prelievi troppo distanziati nel tempo, stress degli animali etc). L’idea alla base della presente ricerca è stata quella di considerare le pratiche di alimentazione in un momento cruciale del ciclo di produzione (risveglio primaverile della vegetazione) e i loro effetti sullo stato nutrizionale delle femmine, attraverso la valutazione della condizione corporea e della produzione lattea. Potrebbe meravigliare che si consideri cruciale il risveglio primaverile della vegetazione spontanea. Eppure, negli animali al pascolo ad esso si associa una notevole capacità di ripresa della lattazione nel bel mezzo del ciclo di produzione, che é una delle caratteristiche tipiche delle razze indigene nei sistemi pastorali mediterranei (e quindi sicuramente una forma di adattamento ambientale). Tale fenomeno è ben conosciuto anche in Sardegna, soprattutto nella pecora (Dattilo e Congiu, 1973), ma anche nello stesso allevamento caprino estensivo (Congiu, 1981). Scopo principale di questa nota è stato quello di valutare in condizioni di allevamento il comportamento quanti-qualitativo della lattazione e del BCS in capre al pascolo nella macchia mediterranea, con parto normale (novembre) e integrazione alimentare in azienda.

Materiali e metodiLe osservazioni vennero effettuate nel periodo marzo-maggio 2002 presso 2 allevamenti della Corsica (nn. 1 e 2), per le cui caratteristiche si rimanda a Marongiu et al. (2003). Le modalità di conduzione e dell’integrazione alimentare erano abbastanza simili. I territori aziendali erano vicini fra loro e composti essenzialmente da pascolo su vegetazione arbustiva; tuttavia, l’All. 2 disponeva di una discreta superficie in erba, che le capre pascolavano per tutta la giornata. La quantità di mais (400 g/capra/die, distribuiti alla mangiatoia tra mattina e sera) era identica per tutti gli animali. L’interruzione dell’integrazione avvenne in modo improvviso nell’All. 2 (il 30 aprile), più graduale nell’All. 1 (200g/capra/die a partire dal 12 aprile, ed interruzione totale il 30 aprile). Da tener presente, tuttavia, che fino alla fine di marzo ciascuna capra dell’All. 1 ricevette anche 300 g/die di fieno di medica. In ciascun allevamento, furono scelti 20 animali in funzione della classe di età (preferenzialmente 3/5 anni), della prolificità (1 solo capretto), e del loro stato sanitario. All’inizio del ciclo di produzione (Novembre-Dicembre), che corrisponde al parto e all’inizio della lattazione, venne controllato solo il BCS degli animali, mentre al risveglio della vegetazione (verso metà aprile), che corrisponde ad una diminuzione progressiva seguita dalla soppressione dell’integrazione alimentare, vennero registrati sia il BCS che la produzione quanti-qualitativa del latte. Per la determinazione della produzione lattea furono effettuate per ciascuna capra 3 doppie serie di controlli intervallati di 7 giorni (ma ad aprile i controlli furono 3), al fine di caratterizzare i punti di riferimento della curva. Ciascuna serie di controlli sulla quantità del latte venne effettuata in un periodo ben preciso dell’offerta foraggera del pascolo: 1) all’inizio di Marzo (giorni 12 e 19, in modo da corrispondere alla lattazione invernale); 2) alla metà di Aprile (giorni 12, 19, 26, che corrispondono al periodo di transizione); 3) alla fine di Maggio (giorni 21 e 28, corrispondenti alla lattazione primaverile vera e propria). Su campioni di latte individuale opportunamente omogenati, inoltre, vennero controllati i livelli di grasso, proteine e lattosio per lettura nel vicino I.R. tramite Milkoscan 133B (Foss Electric, Denmark). In occasione dei suddetti controlli venne rilevato anche il BCS (12 marzo, 12 aprile e 21 maggio) secondo il metodo di Santucci e Maestrini (1985).

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RisultatiLa Fig. n. 1 presenta, nel periodo segnato dall’interruzione dell’integrazione alimentare e dalla crescita foraggera primaverile, la produzione lattea ed il BCS nelle 2 aziende, nonchè una rappresentazione teorica della disponibilità foraggera del pascolo.

Fig. n. 1 – Evoluzione di produzione lattea e BCS durante la crescita foraggera primaverile

Si possono notare significative differenze tra l’All. 1 e 2, sia nella quantità di latte individuale prodotta giornalmente all’inizio dei controlli (rispettivamente 560 ml vs 800 ml) che nella sua evoluzione (Δ 520 ml vs 350 ml). Le differenze si stemperano nettamente negli ultimi controlli (fine maggio), periodo in cui l’offerta foraggera del pascolo è particolarmente abbondante. La ripresa della curva di lattazione si manifestò in modo particolarmente significativo nell’All. 1. Infatti, la produzione lattea aumentò con la disponibilità foraggera del pascolo mentre il BCS si mantenne stabile. Il che sembra dimostrare che la disponibilità foraggera permetteva a questi animali di incrementare la produzione lattea senza intaccare il livello delle proprie riserve energetiche. E’ plausibile ritenere, pertanto, che il loro assetto endocrino-metabolico abbia ripartito l’energia alimentare soprattutto verso la ghiandola mammaria salvaguardando i depositi corporei. Nonostante le apparenze, quindi, in questo allevamento l’entità della lipomobilizzazione è stata minore, forse a causa di una più razionale gestione alimentare dal punto di vista energetico. La ripresa della produzione lattea avvenne, meno marcata, anche nell’All. 2, ma il BCS manifestò una netta evoluzione verso il basso. Le Figg. n. 2-3-4 mostrano rispettivamente l’evoluzione temporale del contenuto del latte in grasso, proteine e lattosio. La concentrazione del grasso ha mostrato delle variazioni tutto sommato parallele fra i due allevamenti, sebbene nell’All. 1 il livello sia apparso superiore, forse per un effetto di “concentrazione” tipico delle minori produzioni. Prova ne sia che il suo livello tende a scendere in coincidenza del fenomeno di ripresa. Diverso è invece il caso delle proteine. Infatti, mentre nell’All. 2, il livello proteico del latte si mantenne grosso modo stabile durante le osservazioni, il latte dell’All. 1 ha presentato un netto decremento del suo contenuto proteico successivamente ai controlli di aprile. In pratica, il crollo del titolo proteico é coinciso con il fenomeno di ripresa della curva di lattazione. E’ verosimile ritenere che il fenomeno possa essere legato al progressivo utilizzo di una quota degli amminoacidi alimentari per scopi gluconeogenetici, in sostituzione dell’amido, per la sintesi del lattosio. E’ curioso osservare infatti, che mentre nell’All. 1 la concentrazione del lattosio, mediamente più bassa, si è mantenuta grosso modo stabile, nell’All. 2, che pur partiva da valori più elevati, vi è stato un progressivo calo del suo livello fino a raggiungere un valore inferiore a quello dell’All. 1. Il calo del lattosio, evidentemente, benchè non significativo, è conseguente alla sospensione improvvisa dell’integrazione con mais (minore gluconeogenesi).

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Fig. n. 2 - Andamento del contenuto medio di grasso nel latte dei due allevamenti

Fig. n. 3 – Andamento del contenuto medio di proteine nel latte dei due allevamenti

Fig. n. 4 – Andamento del contenuto medio di lattosio nel latte dei due allevamenti

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Discussione e conclusioni I dati ottenuti si accordano sostanzialmente con quanto osservato da Cabiddu et al. (1999) in capre che avevano presentato parto tardivo (febbraio). In tale occasione si era osservato che la capra Corsa, alimentata al pascolo nella macchia mediterranea, senza ricevere alcuna integrazione alimentare in azienda, poteva produrre una soddisfacente quantità di latte, e addirittura incrementare debolmente la condizione corporea, una volta superata la metà del periodo di lattazione. Tuttavia, la differente risposta delle capre, osservata nei due allevamenti, pone parecchi interrogativi: a) Quale potrebbe essere stato il ruolo del livello di produzione lattea invernale (più elevato nell’All. 2)? Nello specifico caso, sembrerebbe di capire che le capre che hanno avuto un livello di produzione invernale vicino o conforme al loro potenziale genetico (All. 2) non possano produrre di più neppure se messe in condizioni di eccessiva disponibilità foraggera. b) Potrebbe essere chiamato in causa il «recente passato» fisiologico dell’animale? Lo stato nutrizionale al parto, e in particolare la cinetica delle riserve corporee potrebbe svolgere un ruolo in questa capacità di ripresa produttiva a metà del ciclo di lattazione. In effetti, in questi 2 allevamenti, si notano, sia all’inizio del ciclo (parto) che intorno alla sua metà (risveglio foraggero), delle differenze nell’evoluzione del BCS, più favorevoli nell’All. 1. Le capre dell’All. 2 ebbero, immediatamente dopo il parto, una più intensa fase di mobilizzazione delle riserve sebbene in seguito, esse recuperarono allo stesso livello delle capre dell’All. 1. Purtroppo, gli indicatori ematici (NEFA, glucosio e urea) non sono risultati utili per chiarire questo interrogativo (Marongiu et al., 2003). c) La messa in conto di un «passato fisiologico» più lontano (soprattutto l’intervallo di parto) potrebbe apportare degli elementi di conoscenza, ma lo stato attuale di elaborazione dei dati non ci permette di poter dare una risposta. d) Effetti di conduzione nel pilotare l’interruzione dell’integrazione in concomitanza all’instaurazione di un regime alimentare di pascolo esclusivo potrebbero essere decisivi sul comportamento alimentare degli animali, e quindi sulla flora microbica del rumine. Si notano in effetti, delle differenze tra i 2 allevatori nel portare a termine i 2 tipi di alimentazione (interruzione improvvisa dell’apporto in azienda nell’All. 2, graduale soppressione nell’All. 1). e) Infine, una certa variabilità individuale delle femmine non si può escludere. Si può pensare, sulla base dei criteri di selezione empirici degli allevatori, che alcuni animali abbiano manifestato, meglio di altri, delle attitudini ai contrasti alimentari. L’allevatore, ad esempio, riferisce di capre che “tengono il latte in inverno, sebbene ad un livello basso, ma che reagiscono bene alla spinta produttiva che viene loro dalla vegetazione primaverile”. In conclusione, il fenomeno della ripresa primaverile della curva di lattazione è quantificabile e il metodo utilizzato, 3 controlli del livello della produzione lattea in riferimento al ciclo vegetale con 3 serie di controlli distanziati di 7 giorni e situate in 3 momenti della curva di lattazione (latte invernale/ latte di transizione/ latte primaverile), ci è sembrato rispondente allo scopo. Le risposte medie osservate in seno ai 2 allevamenti indicano un aumento dal 15% al raddoppio della produzione lattea nello spazio di un mese (metà aprile/metà maggio). I risultati non permettono ancora di discernere la predominanza dei fattori di prossimità, come il livello della produzione lattea o lo stato istantaneo delle riserve corporee, o di fattori più lontani, come il BCS al parto o lo stato produttivo dell’animale durante il ciclo produttivo della stagione precedente. Tuttavia, l’effetto “animale”, chiaramente identificato nelle pratiche empiriche di selezione dall’allevatore, è sicuramente da approfondire e ci porta a discutere come utilizzare questa attitudine in termini di selezione.

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Sez. III, XXI, 1-234) Marongiu M. L., Santucci P. M., Branca A., Bomboi G., Floris B. (2003): Pratiche di alimentazione nell’allevamento caprino

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473-474 (Abstr.)

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ELECTRONIC IDENTIFICATION IN TRANSITION GOATS

Pinna W.1, Sedda P.1, Moniello G. 1, Nieddu G. 1, Solinas I.L.2 1 Sezione di Produzioni Animali, Dipartimento di Biologia Animale, Università di Sassari,

Via Vienna, 2 - 07100 Sassari – Italy, E-mail: [email protected];2 Joint Research Center(CE) – Institute for the Protection and the Security of the Citizen- Non- Proliferation and Nuclear Safeguards Unit, Via Enrico Fermi,1 – 21020 - Ispra (VA) – Italy

AbstractDuring 8 weeks in the phase of transition the effects of the administration of the bolus on well-being of the animals, the permanence of the bolus and the readability of the transponder were evaluated in Sardinian goats. The study has been carried out with two objects: 1) to estimate the effect of the administration of the ceramic bolus contained a transponder employed for the identification electronic in goats during the last period of pregnancy; 2) to estimate the permanence of the bolus during the delivery and during the period of breast-rearing of kids. The experiment was performed in the 4 weeks before the delivery and 4 successive during breast-rearing of kids. Altogether 435 boluses, respective to 275 adult and 160 to primiparous goats, were administrated. The localization of the bolus in the reticulum has been confirmed, immediately after the insertion, using a portable reader. 1, 7, 14 and 28 days after the delivery, the presence of the bolus and the readability of the transponder, has been controlled, using a corridor of reading and a fixed reader. The delivery’s day the presence of the bolus and the readability of the transponder have been assessed, in every goat, using a portable reader. The well-being of the animals not were influenced by the operations of insertion of the bolus during the last phase of the pregnancy and the presence of the bolus by the successive phase of natural rearing of the kids. During the considered period an adult goat loosed the bolus in the day of the delivery: 0.23% of boluses administerated. The delivery represents therefore one, even though minimal, cause of loss of the bolus in goats.

Keyword(s): electronic identification; ruminal bolus; transition goat, delivery, natural rearing

IDENTIFICAZIONE ELETTRONICA NELLE CAPRE DURANTE LA FASE DI TRANSIZIONE

RiassuntoSono stati valutati, in un allevamento di capre di razza sarda, durante il periodo di transizione, compreso tra le 4 settimane precedenti e le 4 settimane successive al parto, gli effetti della somministrazione del bolo sul benessere degli animali, la permanenza del bolo e il regolare funzionamento del transponder utilizzati per l’identificazione elettronica degli animali. La sperimentazione è stata effettuata con i seguenti obiettivi: 1) valutare eventuali controindicazioni alla somministrazione del bolo ceramico durante l’ultimo periodo di gravidanza nelle capre; 2) verificare la permanenza del bolo dopo il parto; 3) valutare gli effetti durante l’allattamento naturale dei capretti. A diverse distanze dal parto, sono stati somministrati in totale 435 boli: 275 a capre adulte e 160 a capre primipare. La localizzazione del bolo nel reticolo immediatamente dopo la somministrazione è stata rilevata utilizzando un lettore portatile. 1, 7, 14 e 28 giorni dopo la somministrazione del bolo e dopo il parto, la presenza del bolo e il funzionamento del transponder, sono stati verificati con un sistema di lettura dinamico, utilizzando un corridoio di lettura e un lettore fisso munito di antenna. Per ogni capra, lo stesso giorno del parto, la presenza del bolo e il funzionamento del transponder è stata accertata utilizzando un lettore portatile. Lo stato di benessere degli animali, durante la fase finale della gravidanza e nella successiva fase di allattamento naturale dei capretti, non ha risentito delle operazioni di somministrazione del bolo e delle successive letture di controllo. Durante l’intero periodo preso in esame, di complessivi 56 giorni e che pertanto abbraccia l’intera fase di transizione, si è registrato un solo caso di perdita del bolo pari a 0,23 % del totale dei boli somministrati. Il bolo è stato perso da una capra adulta nel giorno del parto. Il parto rappresenta pertanto una seppur minima, causa di perdita del bolo ceramico nelle capre.

Parole chiave: identificazione elettronica; bolo ruminale; capre; fase di transizione; allattamento

IntroduzioneNella specie caprina, per cause ancora non ben definite, la perdita del bolo ceramico che funge da supporto protettivo del transponder utilizzato per l’identificazione elettronica dei ruminanti, risulta essere maggiore rispetto a quella che si registra nei bovini e negli ovini (5, 6, 7). In una precedente sperimentazione Pinna et al. 2002 (4) avevano evidenziato l’eliminazione del bolo durante le fasi del parto in una capra pluripara. La presente prova sperimentale è stata effettuata al fine di valutare:a) le eventuali controindicazioni conseguenti alla somministrazione del bolo ad animali gravidi a diverse distanze dal parto;b) l’effetto del parto sulla permanenza del bolo ceramico nel reticolo; c) eventuali effetti legati alla presenza del bolo nelle capre durante l’allattamento dei capretti.

Materiali e metodiLa ricerca ha interessato un totale di 490 capi allevati in 3 aziende caprine condotte con sistema di allevamento estensivo: 1 in provincia di Cagliari e 2 nella provincia di Nuoro. Tutti i soggetti erano iscritti al libro genealogico delle capre di razza sarda presso l’Associazione Provinciale degli Allevatori di Cagliari e Nuoro. Complessivamente sono stati identificati elettronicamente 435 soggetti (88,77% del totale), di cui 275 (63,22%) capre pluripare e 160 (36,78%) primipare. I restanti 55 capi (11,23%) sono stati utilizzati come gruppo di controllo. È stato usato un bolo ruminale (RUMITAG bolus®) costituito da un involucro esterno di ceramica atossico ad alto peso specifico (>3,3 g/cm³) contenente un transponder passivo con tecnologia HDX (Tiris 32 mm) con funzione di identificatore elettronico. La forma cilindrica e il polo arrotondato del bolo agevolano la sua progressione nel tratto oro-esofageo mentre le dimensioni e il peso specifico consentono la sua localizzazione permanente nel reticolo degli animali. Sono stati utilizzati due tipi di lettore di transponder: un modello

47XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

portatile (Gesreader 2 S ISO®) per le letture statiche, usato direttamente dall’operatore al momento della marcatura degli animali; un lettore statico (Gesimpex transportable F 210 reader) per le letture dinamiche dotato di antenna (Tiris GO3C), collegata ad un personal computer portatile. Per questo tipo di lettura l’antenna veniva posizionata sul lato sinistro di un corridoio mobile, allestito immediatamente prima della lettura, dove gli animali venivano fatti transitare, uno alla volta, nello spazio utile di lettura dell’antenna, di circa 80 cm. Al momento del passaggio dell’animale il codice di identificazione di ciascun soggetto veniva visualizzato sullo schermo e memorizzato su personal computer portatile dotato di apposito software (Manga v 5.3).Per tutti i soggetti muniti di identificatore elettronico le letture di controllo per verificare la presenza del bolo e il funzionamento del transponder sono state effettuate a diverse distanze dal parto, con il sistema dinamico. Successivamente, in base alla data del parto, gli animali sono stati raggruppati ascrivendoli a: - 28, -14, - 7 e -1 giorni precedenti il parto. Dopo il parto le letture si sono succedute a scadenza settimanale. Si è dunque considerato un periodo complessivo di 56 giorni, definito comunemente negli animali da latte fase di transizione in quanto include la fine della gravidanza e l’inizio della lattazione, e che in questo caso ha interessato 28 giorni antecedenti e successivi al parto. Per ciascun animale una volta conclusosi il parto, lo stesso giorno, venivano accertati mediante lettore manuale, la presenza del bolo e il funzionamento del transponder.

RisultatiLa tabella 1 riporta la distanza dal parto al momento della somministrazione del bolo ceramico e i risultati delle letture di controllo nel periodo pre-partum. Per quanto concerne eventuali ripercussioni negative imputabili alle manipolazioni per l’apposizione del bolo agli animali, alle diverse distanze dal parto considerate, si può mettere in risalto che non si è verificata complicazione alcuna, neanche in quelle capre che hanno ricevuto il bolo a conclusione della gravidanza e che hanno partorito il giorno successivo. La tabella 2 riporta i risultati delle letture di controllo e delle perdite registrate nel periodo post-partum. Si è verificato un caso, unico, di perdita del bolo. Una capra di circa 2 anni di età, che aveva partorito un solo capretto, ha rigurgitato il bolo lo stesso giorno del parto. Il bolo era stato somministrato 28 giorni prima del parto. La tabella 3 riporta un quadro complessivo dei risultati ottenuti nell’intero periodo sperimentale. Sono stati presi in considerazione: incidenti di somministrazione, animali morti, aborti, incidenti durante il parto, letture di controllo eseguite con successo, perdite del bolo da parte degli animali. Nelle 4 settimane precedenti al parto non si è registrato alcun incidente di somministrazione, morte di animali, aborto. In quelle successive nessun inconveniente durante l’allattamento dei capretti. Nel complesso si può affermare che lo stato di benessere degli animali durante la fase finale della gravidanza non ha risentito delle operazioni di somministrazione del bolo, della sua presenza nel comparto gastrico anteriore delle letture di controllo. Analogamente, nella successiva fase di allattamento dei capretti, non si sono registrati disturbi dovuti alla presenza del bolo o in occasione delle letture di controllo. I risultati ottenuti ci inducono a ritenere: che le manualità di somministrazione del bolo durante la gravidanza, anche se queste avvengono nell’immediata prossimità del parto, non presentano, se correttamente eseguite, controindicazioni di tipo generale sul benessere degli animali; la presenza del bolo non comporta disturbi durante l’allattamento dei capretti. L’unico episodio di perdita del bolo riscontrato in questa nota, che conferma anche quanto descritto nella precedente ricerca (4) si ritiene dovuto al seguente meccanismo d’azione. Le forti e ripetute contrazioni della muscolatura addominale e diaframmatica che si verificano durante il parto inducono, nei soggetti che perdono il bolo, un brusco stimolo sul reticolo provocando, in un primo momento il ritorno del bolo dal reticolo nel rumine. Dal rumine, successivamente, mediante il rigurgito, il bolo ripercorre, a ritroso, la via d’ingresso: passa dal rumine all’esofago e quindi alla bocca da dove viene eliminato all’esterno. Si determina in tal modo la perdita da parte dell’animale.

ConclusioniAnche in questa prova sperimentale, nella razza Sarda si confermano, complessivamente, percentuali di perdita del bolo inferiori a quelle riportate da altri AA per altri tipi genetici di capre. Il caso di perdita del bolo ceramico registrato in questa sperimentazione, unitamente a quello precedentemen

48 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

te descritto, ci inducono a ritenere il parto un’effettiva, seppur minima, causa di perdita del bolo nelle capre. Non risultano, al momento, evidenze statistiche di effetti imputabili all’ordine di parto, cioè di una maggiore o minore probabilità di perdita del bolo delle capre pluripare rispetto a quelle primipare anche se, in entrambi i casi descritti, i soggetti che hanno perso il bolo, nel giorno del parto, erano capre pluripare. Nei due casi riportati la perdita del bolo è direttamente imputabile a fattori legati al parto. Tale interpretazione viene ulteriormente avvalorata dal fatto che la somministrazione del bolo era avvenuta un tempo sufficientemente lungo prima del parto, rispettivamente 28 e 242 giorni.

Bibliografia 1. CAJA G., CONILL C., NEHERING R., and RIBÓ O. (1999). Development of a ceramics bolus for the permanent electronic dentification of sheep, goat and cattle. Comput. Elect. Agric. 24 pp45-63.2. FERRI N., DI FRANCESCO C., MONACO F., EGIZI F. (2001). Identificazione elettronica negli ovini: sperimentazione di un prototipo di supporto ceramico elettronico a localizzazione endoruminale. Large Animals Review, Anno 7, n 2, 37 - 40.3. KIMBERLING C.V., (1993). Identification of sheep and its associated cost. In: Proceedings ofthe 1993 symposium on the health and disease of small ruminats. June 12-13, 1993. AASRP. Jackson Hole, Wyoming, pp. 48-51.4. PINNA W., MONIELLO G. , SOLINAS I.L. , SEDDA P., BITTI P.L. (2002). Electronic identification of goats bred in extensive system in Sardinia (Italy). Atti X Congresso Fe Me.S.Rum., Tunis (Tunisie) 22-24 sett 2002. 5. RIBÒ I ARBOLEDAS J.O. (1996). Identificación electrónica en ganado ovino i caprino: factores que afectan a la implantación de transponders y eficacia de lectura en condiciones de campo. Tesis doctoral Facultat de Veterinaria, Universitat Autonoma de Barcellona.6. RIBÓ O, CROPPER M., KORN C., POUCET A., MELONI U., CUYPERS M. & DE WINNE P. (2000). Preliminary results on electronic identification in sheep and goat in the IDEA project (Identification electronique des animaux). Book of abstracts of 51st Annual Meeting of the European Association for Animal Production (EAAP), 21-24 August, The Hague Book of abstracts No.6. Wageningen Pers, The Netherlands, 318 pp.7. RIBÓ O., CAJA G., NEHRING R., (1994). A note on electronic identification using transponders placed in permanent ruminal bo1us in sheep and goats. In: Electronic identification of farm animals using implantable transponders. UE DG VI-FEOGA, Research Project, Final Report, VoI. l, December, 1994.

Tabella 1 - Distanza dal parto al momento della somministrazione del bolo ceramico e risultati delle letture di controllo nel periodo pre-partum

Giorni dal parto

Capre pluripare N= (275) %=100

Perditepluripare

Capre primipare N= (160) %=100

Perditeprimipare

Totale capreN= 435 %=100

Totaleperdite

- 28 155 (56,3%) 123 (76,88%) 278 (63,91%)

-14 79 (28,7%) 30 (18,75%) 109 (25,05%)

- 7 30 (11%) 7 (4,37%) 37 (8,51%)

- 1 11 (4%) 0 (0%) 11 (2,53%)

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Tabella 2- Risultati delle letture di controllo e delle perdite registrate nel periodo post-partum

Giorni dopo il parto

Capre pluripareletture con successo

N= (275) %=100

Perditepluripare

Capre primipare letture con successo

N= (160) %=100

Perditeprimipare

Totale capreletture con successo

N= 435 %=100

Totaleperdite

0 274 (99,63) 1 160 ( 100) 0 434 (99,77) 1

+ 1 274 (99,63) 160 ( 100) 434 (99,77)

+ 7 274 (99,63) 160 ( 100) 434 (99,77)

+ 14 274 (99,63) 160 ( 100) 434 (99,77)

+ 28 274 (99,63) 160 ( 100) 434 (99,77)

Tabella 3 – Quadro complessivo delle evidenze sperimentali rilevate nell’interoperiodo considerato di 56 giorni di fase di transizione

N° % Capre pluripare Capre primipare Totale capre

Animali 275 (63,22%) 160 (36,78%) 435 (100%)

Incidenti di somministrazione 0 (0%) 0 (0%) 0 (0%)

Animali morti 0 (0%) 0 (0%) 0 (0%)

Aborti dovuti alla somministrazione

0 (0%) 0 (0%) 0 (0%)

Incidenti durante il parto 0 (0%) 0 (0%) 0 (0%)

Letture di controllo regolari 274 (99,64%) 160 (100%) 434 (99,77%)

Perdite del bolo 1 (0,36%) 0 (0%) 1 (0,23%)

50 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

VALORI LATTODINAMOGRAFICI E CONTENUTO IN CELLULE SOMATICHE NELLA PECORA DA CARNE.

TIME-COURSE VALUES OF THE MILK COMPONENTS AND SOMATIC CELLS CONTENT IN THE MEAT SHEEP.

Alessi A.1, Aliberti A.1, Cirone F.4, Scatassa M.L.2, Foti M.1, Rinaldo D.1, Garofalo L.3, Buonavoglia D.1

1) Dip. di Sanità Pubblica Veterinaria, sez. Malattie Infettive, Facoltà di Medicina Veterinaria - Messina2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale “A. Mirri” – Palermo3) Libero professionista4) Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria – Valenzano (Bari)

RiassuntoGli Autori riportano i risultati di una ricerca condotta su 72 pecore di razza Bergamasca, al fine di determinare l’andamento del contenuto di cellule somatiche (CCS) ed i valori lattodinamografici nella pecora da carne.In totale sono stati esaminati circa 3500 campioni di latte, prelevati ogni 3 giorni dalle singole emimammelle, per tutto il periodo della lattazione (90 giorni). Su ogni campione di latte è stato effettuato l’esame batteriologico, il California Mastitis Test (CMT), la conta delle cellule somatiche e la determinazione di grasso, proteine e lattosio.Mediante l’analisi della distribuzione di frequenza, si è potuto valutare che all’inizio della lattazione il CCS si attesta su valori compresi tra 100.000 e 125.000, mentre da metà lattazione in poi, fino alla messa in asciutta, il numero di cellule somatiche aumenta progressivamente.Il valore medio fisiologico del CCS durante l’intera lattazione è risultato pari a 120.000 cell/ml-1.Per quanto riguarda i valori lattodinamografici, il contenuto di grasso ha avuto un andamento sovrapponibile a quello delle cellule somatiche; il valore proteico è aumentato fino alla 4a settimana e si è poi mantenuto stabile fino alla messa in asciutta, mentre il lattosio, dopo aver raggiunto il suo valore massimo verso la 5a settimana, ha fatto registrare un calo progressivo per tutto il resto della lattazione.

SummaryThe Authors report the results of a research performed on 72 sheep of Bergamasca breed, to determine the variation of the somatic cells content (SCC) and the time-course of the values of the milk components in the meat sheep. A total of 3.500 milk samples, collected with a 3-day-interval from each udder over the all lactation period (90 days), have been examined. Each samples was tested by bacteriological examinations, by the California Mastitis test (CMT), by evaluation of the SSC and by quantification of fats, proteins and lactose. By analysis of the frequency distribution it was possible to observe that at the beginning of lactation the SCC ranges between 100.000 and 125.000, whereas, by the second half to the end of lactation, the SCC progressively rises. The mean physiologic value of the SCC during lactation was as high as 120.000 cells/ ml-1.As regards the time-course of the values of the milk components, the content of fats followed the same time-course as the SCC; the protein content increased up to the 4th week and thereafter was stable until the end of lactation; the lactose value, after reaching a peak at the 5th week, progressively decreased until the end of lactation.

IntroduzioneL’allevamento della pecora da latte, negli ultimi vent’anni è stato oggetto di studi da parte dei ricercatori riguardo alla produzione e alla qualità del latte (Sevi A. et al., 2000; Gonzalo C. et al., 1994; Fuertes J. A. et al., 1998), finalizzato al miglioramento della resa alla caseificazione.Nell’ambito dell’allevamento ovino, la pecora da carne, pur non rientrando nella filiera della produzione di latte ai fini della trasformazione, riveste un ruolo importante in quanto le caratteristiche del latte prodotto sono alla base dell’accrescimento ponderale dell’agnello .(Ahmad G. et al., 1992; Fthenakis G. et al., 1990; Keisler D.H. et al., 1992).Come per la pecora da latte, anche in quella da carne, i parametri presi in considerazione ai fini della valutazione qualitativa del latte prodotto sono le cellule somatiche (CCS), il contenuto di proteine, grasso e lattosio.Nella presente ricerca è stato condotto uno studio, in pecore di razza Bergamasca, sulle caratteristiche cito-chimiche del latte prodotto e sull’andamento fisiologico del CCS ed i valori lattodinamografici durante tutto il periodo di allattamento dell’agnello, al fine di ricavarne un modello base sulle cui variazioni poter valutare lo stato sanitario della mammella.

Materiale e metodiAnimali - La ricerca è stata condotta su 72 pecore di razza Bergamasca, appartenenti a due allevamenti della Sicilia Orientale. Gli animali del gruppo sperimentale erano esenti da mastite e la scelta è stata effettuata mediante esame clinico generale e particolare della mammella, nonché mediante esame batteriologico del latte per la ricerca di patogeni responsabili di mastite.

Protocollo sperimentaleCampioni – In totale sono stati esaminati 3.456 campioni di latte, prelevati sterilmente, previa disinfezione dei capezzoli

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con salviettine imbevute di clorexidina.I prelievi sono stati effettuati due volte a settimana, da ogni emimammella, a partire dal 3° giorno post-partum e per tutto il periodo dell’allattamento dell’agnello (12 settimane).

California Mastitis Test (CMT) – Prima della determinazione del CCS e dei parametri lattodinamografici, su ogni campione di latte è stato effettuato il test CMT secondo Schalm et al. (1971).

Esame batteriologico – I campioni di latte risultati positivi al test CMT sono stati sottoposti ad esame batteriologico per la ricerca di microrganismi responsabili di mastite, al fine di escludere dal gruppo sperimentale gli animali infetti. Solo i campioni batteriologicamente negativi sono stati sottoposti al conteggio delle cellule somatiche e alla determinazione dei parametri lattodinamografici.

Cellule Somatiche (CCS), grasso, proteine e lattosio - La conta delle cellule somatiche è stata effettuata con Fossomatic (metodo fluoro-opto-elettronico) su 50 ml di latte addizionato con 100µl di Azidiol, mentre la determinazione del grasso, proteine e lattosio è stata effettuata con Milko-scan (spettrofotometria ad infrarossi).

Analisi statistica - I risultati ottenuti sono stati analizzati con software Microsoft Excel 2000, con P< 0.05, previa verifica della aleatorietà del campionamento (test di Cox e Stuart) e della normalità della popolazione(X

2).

RisultatiNessun animale del gruppo sperimentale ha contratto infezione nel periodo della ricerca.

Cellule somatiche – La variabilità del CCS (C.V. = 89%), compresa tra i valori di 12.000 e 886.000 cell/ml-1, è risultata discreta; la media del CCS nel periodo preso in considerazione è stata di 120.443 cell/ml-1. Per le prime 3 settimane di lattazione, il valore medio di cellule è stato di 125.000/ml-1; tra la 4° e la 7° settimana, il valore è rimasto stabile su 54.000/ml-1 mentre, nelle ultime cinque settimane, è stato osservato un aumento progressivo, fino alla fine della lattazione (12a settimana), raggiungendo il valore di 207.000 cell/ml-1. (Tabella 1)

Tab. 1 – Valori contenuto cellule somatiche

Settimana 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

CCS/ml 125234 105875 115541 54250 60541 86083 102750 125250 133541 159666 169041 207541

E.S. 22410 18430 16668.7 8161 12627 13392 17458 35599 24218 17918 21624 22772

D.S. 109788 90290 81659.9 39980 61863 65608 85530 174402 118645 87781 105937 111561

Val. min 16000 27000 45000 15000 15000 29000 13000 12000 34000 37000 29000 45000

Val max 426000 419000 420000 206000 320000 242000 381000 886000 577000 364000 379000 380000

L.F. (95%) 46359 38126 34481 16882 26122 27703 36116 73643 50099 37066 44733 47107

Grasso - La media del contenuto di grasso è risultata pari al 3,4% e la variabilità, compresa tra i valori di 1,1 e 9,1 %, è risultata molto bassa (CV<15%). All’inizio della lattazione il contenuto di grasso riscontrato è stato del 4,6%. Successivamente si è registrata una graduale riduzione fino alla quarta settimana, dove il valore si è mantenuto stabile tra 2,2 e 2,5% fino all’ottava settimana; da questo momento in poi, fino alla fine della lattazione, il grasso ha fatto registrare un graduale aumento, fissando il suo valore al 4,39%. Tab. 2 – Valori contenuto di grasso

Settimana 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Grasso % 4.639 3.980 3.322 2.218 2.573 3.446 2.996 2.546 3.792 3.115 3.751 4.388

E.S. 0.298 0.225 0.358 0.167 0.146 0.355 0.167 0.139 0.164 0.214 0.236 0.297

D.S. 1.458 1.100 1.755 0.817 0.718 1.740 0.819 0.679 0.801 1.050 1.154 1.455

Val. min 2.372 1.923 1.147 1.100 1.483 1.425 1.767 1.274 2.370 1.211 1.465 1.718

Val max 7.331 6.025 9.001 4.334 4.334 7.661 4.930 4.205 5.267 4.723 5.807 6.890

L.F. 95% 0.616 0.465 0.741 0.345 0.303 0.735 0.346 0.287 0.338 0.443 0.487 0.614

Proteine - Il contenuto medio di proteina grezza è stato pari al 5,5%. La variabilità, compresa tra il 3,3 ed il 7,7% è stata ritenuta poco significativa (CV< 15%).

52 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 3. – Valori contenuto proteine

Settimana 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Proteine % 5.009 5.083 5.271 5.459 5.575 5.425 5.627 5.830 5.907 5.508 5.690 5.872

E.S. 0.133 0.108 0.101 0.111 0.108 0.105 0.111 0.123 0.161 0.111 0.117 0.137

D.S. 0.652 0.527 0.495 0.544 0.530 0.514 0.542 0.605 0.791 0.545 0.575 0.670

val. min 3.259 4.030 4.315 4.600 4.697 4.271 4.533 4.795 4.688 4.456 4.741 4.970

val max 5.834 5.873 6.292 6.960 6.899 6.596 6.934 7.271 7.739 6.773 7.058 7.343

L.F. 95% 0.275 0.222 0.209 0.230 0.224 0.217 0.229 0.255 0.334 0.230 0.243 0.283

Lattosio – Il contenuto medio del lattosio è stato pari al 4.9%, con coefficiente di variabilità molto basso (CV<15%) calcolato entro i valori di 2,9 e 5,3%. Il valore è aumentato progressivamente fino alla 5° settimana, per poi decrescere gradualmente, stabilizzandosi ai livelli iniziali, verso la fine della lattazione.

Tab. 4 – Valori contenuto lattosio

Settimana 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Latt % 4.843 4.888 5.011 5.032 5.052 5.011 4.981 4.952 4.805 4.919 4.872 4.825

E.S. 0.095 0.063 0.027 0.026 0.028 0.030 0.058 0.091 0.030 0.035 0.037 0.043

D.S. 0.464 0.308 0.132 0.128 0.136 0.145 0.285 0.445 0.148 0.170 0.181 0.210

Val. min 3.392 4.034 4.780 4.856 4.856 4.518 3.727 2.936 4.505 4.548 4.579 4.406

Val max 5200 5279 5270 5306.5 5343 5273 5203 5256 5153 5270 5226.5 5183

L.F. 95% 0.196 0.130 0.056 0.054 0.057 0.061 0.120 0.188 0.063 0.072 0.076 0.089

ConclusioniDai risultati ottenuti è emerso una variabilità molto significativa per quanto riguarda il CCS, evidente verso fine lattazione, probabilmente per l’effetto concentrazione che ne deriva (CV= 89%), mentre una variabilità poco significativa è stata riscontrata a carico dei valori lattodinamografici (grasso, proteine, lattosio).Non bisogna escludere, in questo caso, che la variabilità del CCS potrebbe essere associata a fattori fisiologici quali l’età, stadio della lattazione e approssimarsi dell’asciutta.Durante il periodo della lattazione, sia l’andamento delle proteine che del grasso sono positivamente correlati con il CCS (r = 0.22; P<0.05) (r = 0.32; P<0.0001); contemporaneamente è stata osservata una dipendenza lineare inversa lattosio/CCS (r = -0.27; P<0.005) e lattosio/grasso (r = -0.24; P<0.02). Infine si è potuto valutare l’andamento fisiologico del CCS e dei valori lattodinamografici, nonché le caratteristiche cito-chimiche del latte in una razza di pecora da carne, durante una lattazione completa, in animali sani che non avevano mai subito l’infezione da parte di microrganismi responsabili di mastite. In base ai risultati ottenuti è emerso che, l’andamento dei valori lattodinamografici e del CCS nella pecora da carne è sovrapponibile a quello gia osservato nella pecora da latte; inoltre è stato possibile ricavare un modello base dei suddetti valori sulle cui variazioni, eventualmente indotte da patogeni responsabili di mastite, poter valutare, in ogni momento della lattazione (Albenzio M. et al., 2002), lo stato sanitario della mammella.

BibliografiaAhmad G., Timms L.L., Morrical D.G., Brackelberg P.O – Dynamic and significance of ovine subclinical intramammary infections and their effects on lamb performance. – Sheep Res. J. 1992; 8:25-29Albenzio A., Taibi L., Muscio A., Sevi A. – Prevalence and etiology of subclinical mastitis in intensively managed flocks and related changes in the yield and quality of ewe milk. – Small Rumin. Res. 2002. 43:219-226Fthenakis G., Jones J. E. T. – The effect experimentally induced subclinical mastitis on milk yeld of ewes and on the growth of lambs. – British Vet. J. 1990; 146:43-49Fuertes JA, Gonzalo C, Carriedo JA, San Primitivo F. - Parameters of test day milk yield and milk components for dairy ewes. J Dairy Sci 1998; 81(5):1300-7Gonzalo C., Carriedo J. A., Baro J.A., San-Primitivo F. – Factors influencing variation of test day milk yield, somatic cell count, fat and protein in dairy sheep. – J Dairy Sci. 1994. 8:1537-1542Keisler D.H., Andrews M.L., Moffatt R.J. – Subclinical Mastitis in ewes and its effect on lamb performance. – J. Anim. Sci. 1992; 70:1677-1681Schalm O.W., Carroll E.J., Jain N.C. – Bovine mastitis . – Lea and Febinger, Philadelphia 1971-Sevi A., Taibi L., Albenzio M., Muscio A., Annicchiarico G. – Effect of parity on milk yield, composition, somatic cell count, renneting parameters and bacteria counts of Comisana ewes. – Small Rumin. Res. 2000; 37:99-107

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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Fe.Me.S.P.Rum

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003

SEROPREVALENCIA DE OESTROSIS EN OVINOS SARDOS MEDIANTE ELISA-INDIRECTO

Díez-Baños, P., Morrondo, P., Chighine, C., Paz-Silva, A., Suárez, J.L., Sardo, D., Sánchez-Andrade, R., Scala, A., IPODERMOSI BOVINA: PROGRAMMA DI MASSIMA PER LA MESSA A PUNTO DI UN PIANO DI CONTROLLO IN SARDEGNA.

Sardo D., Piazza C., Polinas L., Scala A. LA DIAGNOSI DELLA DICROCOELIOSI OVINA:

METODICHE COPROMICROSCOPICHE A CONFRONTO. Chighine C., Marchi B., Cancedda M.G., Piazza C., Scala A.

LA CENUROSI IN SARDEGNA: RILIEVI EPIDEMIOLOGICI, PARASSITOLOGICI E ISTOPATOLOGICI. Cancedda M.G.; Chighine C.; Varcasia A.; Ligios C.; Scala A.

EPISODIO DI CENUROSI IN PECORE ADULTE IN PROVINCIA DI VITERBO (ITALIA) OUTBREAK OF COENUROSIS IN ADULT SHEEP IN VITERBO’S DISTRICT (ITALY) Tarantino C., Taccini E. , Corazza M. , De Santis B. , Braca G.

AGGIORNAMENTI SULL’EPIDEMIOLOGIA DI ECHINOCOCCUS GRANULOSUS IN SARDEGNA: DATI PRELIMINARI Piazza C., Sardo D., Garippa G., Scala A., Varcasia A.

OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOPATOLOGICHE DI UN FOCOLAIO DI CISTICERCOSI IN BOVINI IMPORTATI Preziuso S., Taccini E., Pardini S., Braca G.

EFFECT OF ENVIRONMENTAL TEMPERATURE ON SOME BLOOD PARAMETERS Morgante M., Stelletta C., Tacchio G.

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SEROPREVALENCIA DE OESTROSIS EN OVINOS SARDOS MEDIANTE ELISA-INDIRECTO

Sánchez-Andrade, R., Díez-Baños, P., Morrondo, P., Chigine, C.1, Paz-Silva, A., Suárez, J.L., Sardo, D.1, Scala, A.1

Parasitología y Enfermedades Parasitarias, Facultad de Veterinaria, Universidad de Santiago de Compostela, 27002-Lugo (SPAIN). 1Sezione di Parassitologia, Dipartimento di Biologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria,

Università degli Studi di Sassari (Sardegna, Italia).

ResumenLa oestrosis es una miasis obligatoria que afecta al ganado ovino, y que se da con mayor frecuencia en zonas de clima seco y cálido, como el que se encuentra en la isla de Cerdeña (Italia). Entre los meses de mayo y septiembre de 2001, se recogieron muestras de sangre de 697 ovejas de 52 explotaciones de Cerdeña, con un manejo semi-extensivo. Los sueros se procesaron mediante un ELISA-indirecto con antígeno de excreción/secreción de larvas 2 de Oestrus ovis. En función de la altitud a la que estaban situadas las explotaciones, se establecieron 2 grupos, G-1 (0-500 m) y G-2 (>500 m).Con el ELISA-indirecto se comprobó que el 82’2% de las ovejas eran positivas a oestrosis, oscilando las densidades ópticas entre 0’05 y 4’36, con un valor medio de = 1’39 ± 0’75. El porcentaje de ovejas positivas fue del 79’5% en el G-1 y 86’2% en el G-2, obteniéndose diferencias estadísticamente significativas con ANOVA (F= 9’968, p= 0’001). Se obtuvo correlación significativa de signo negativo entre la altitud y los valores de IgG (r2= -0’1, p= 0’001). Todos los rebaños estudiados tenían al menos una oveja con valores positivos de anticuerpos frente a O. ovis. Teniendo en cuenta que la oestrosis es además una zoonosis, nuestros resultados indican la necesidad de establecer un programa de control adecuado para limitar la distribución de esta parasitosis.

AbstractThe oestrosis is an obligatory miasis affecting to the ovine livestock in dry and temperate areas, like in the Island of Sardinia (Italy). From May to September 2001, blood samples where recovered from 697 sheep belonging to 52 farms in Sardinia, maintained under field conditions. Sera were analyzed by an indirect-ELISA and Oestrus ovis excretory/secretory antigens. According to the altitude where the farms were located, two groups were considered, G-1 (0-500 m) and G-2 (>500 m).We observed the 82.2% of the sheep were positive to oestrosis, and the absorbances ranged between 0.05 and 4.36 with an average of = 1.39 ± 0.75. The percentage of sheep with positive antibody values to the O. ovis excretory/secretory antigens was 79.5% in G-1 and 86.2% in G-2. Significant differences were obtained in the prevalence in relation to the altitude (F= 9.968, p= 0.001). We proved a negative significant correlation between the altitude and IgG absorbances (r2= -0.1, p= 0.001). All the evaluated flocks had one sheep positive to oestrosis at least. By considering these results, and that oestrosis is a zoonosis, it seems very urgent to establish an appropriate control program to limit this parasitosis.

IntroducciónLa oestrosis es una miasis parasitaria que afecta al ganado ovino. Las larvas de Oestrus ovis son depositadas en las proximidades de la cavidad nasal de las ovejas, emigran hacia los senos nasales, y una vez que maduran salen de nuevo al exterior para pupar en la tierra. La infestación cursa con rinitis crónica y sinusitis (Goddard et al., 1999). Además también se observa con frecuencia pérdida de apetito, emaciación y conjuntivitis. Marchenko et al. (1991) comprobaron que la infestación de ovinos por O. ovis estimulaba la formación de anticuerpos que se podían detectar en el suero de los animales mediante un ELISA-indirecto.Se ha demostrado que la oestrosis es endémica en zonas de clima seco y cálido, como el que se encuentra en algunas regiones de Italia (Scala et al., 2000; Caracappa et al., 2000), Francia (Yilma y Dorchies, 1991) o en algunos países de África (Horak et al., 2001). Se trata además de una zoonosis, de modo que es muy importante conocer el alcance de esta parasitosis (Pampiglione .et al., 1997).El número de ovejas en Cerdeña (Italia) es de aproximadamente 3’5 millones. En el presente estudio se ha analizado la seroprevalencia de oestrosis en ovinos de esta región mediante un ELISA-indirecto y antígeno de excreción/secreción de larvas 2 de O. ovis.

Material Y MétodosEntre los meses de Mayo y Septiembre de 2001, se recogieron muestras de sangre de 697 ovejas de aptitud lechera, de 52 explotaciones de Cerdeña. Los sueros se procesaron mediante un ELISA-indirecto con antígeno de excreción/secreción de larvas 2 de O. ovis (Ouattara y Dorchies, 1991).Las ovejas se explotan en régimen semi-extensivo, y sólo se mantienen en estabulación durante la noche y para el ordeño. En función de la altitud a la que estaban situadas las explotaciones, se establecieron 2 grupos, G-1 (0-500 m) y G-2 (>500 m).ELISA-indirectoLa determinación de la tasa de anticuerpos específicos frente a O. ovis se hizo mediante un ELISA-indirecto con antígeno obtenido de productos de excreción/secreción (ES). Para la obtención del antígeno, se recogieron cabezas de ovejas en un matadero de Sassari, y se extrajeron las larvas del parásito de los senos nasales.En el laboratorio, las larvas 2 del parásito se lavaron varias veces en PBS, y a continuación mantuvieron a temperatura ambiente durante 6 horas, en una solución de medio de cultivo RPMI, al que se añadió Ampicilina (25 µg ml-1) y Cloramfenicol (30 µg ml-1) para evitar la contaminación microbiana, y un inhibidor de proteasas (PMSF) 2 mM para disminuir el riesgo de proteolisis, lo cual haría que el antígeno quedase inservible. El líquido obtenido se centrifugó en un rotor JA-20 a 4ºC y 40.000 x g durante un tiempo de 50 minutos, y a continuación se filtró el sobrenadante que resultó del proceso anterior, y se conservó liofilizado hasta su empleo.

56 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Con el fin de hallar la concentración óptima de cada antígeno que se utilizaría en las pruebas de inmunodiagnóstico, y empleando el kit de valoración proteica BCA® (PIERCE), se estimó la cantidad de proteína del antígeno. Una vez conocida la concentración, se probaron diluciones seriadas y se llevó a cabo un ELISA-indirecto empleando sueros testigo positivos y negativos. Finalmente, se optó por la dilución de los antígenos con la que se obtuvieron las mayores diferencias entre los valores de absorbancia de los sueros testigo positivos y negativos (Cuadro 1).

Cuadro 1.- Protocolo de la técnica ELISA-indirecto para detección de anticuerpos IgG frente a O. ovis.

1. Sensibilización placas. Antígeno ES 3 µg ml-1 10-12 horas / 4ºC

2. Bloqueo puntos unión inespecífica. PBS + Tween + leche desnatada 1 hora / 37ºC

3. Muestras problema. Sueros 1/50 1 hora / 37ºC

4. Segundo anticuerpo. Proteína G 1/1500 1 hora / 37ºC

5. Substrato. OPD + citrato + H2O

210 min. (oscuridad)

ResultadosCon el ELISA-indirecto se comprobó que el 82’2% de las ovejas eran positivas a la infestación, oscilando las densidades ópticas entre 0’05 y 4’36, con un valor medio de = 1’39 ± 0’75. El porcentaje de ovejas positivas fue del 79’5% en el G-1 y 86’2% en el G-2, obteniéndose diferencias estadísticamente significativas con análisis de varianza (F= 9’968, p= 0’001). Mediante el análisis de correlación de Pearson se comprobó que existía correlación significativa de signo negativo entre la altitud y los valores de IgG (r2= -0’1, p= 0’001). Todos los rebaños estudiados tenían al menos una oveja con valores positivos de anticuerpos frente a O. ovis.

DiscusiónLa existencia de valores positivos de anticuerpos frente a O. ovis pone en evidencia el contacto entre el parásito y el hospedador (Scala et al., 2002). En el presente trabajo se ha evidenciado que el 82’2% de las ovejas analizadas tenían valores positivos de anticuerpos frente a O. ovis, lo que coincide con los resultados de Ouattara y Dorchies (1996) en Burkina-Faso, Murguía et al. (2000) en México y Alcaide et al. (2002) en Cáceres (España). Bauer et al. (2002) en Alemania obtuvieron una prevalencia sensiblemente inferior, aunque es importante destacar que las condiciones climáticas de Cerdeña (temperaturas cálidas y precipitaciones escasas) son más favorecedoras para el desarrollo de O. ovis que las que se presentan en el suroeste de Alemania. En un estudio previo llevado a cabo en Sassari (Cerdeña, Italia), Scala et al. (2002) comprobaron mediante el examen de cabezas de ovinos sacrificados en diferentes mataderos que el 73’8% tenían oestros.En todos los rebaños estudiados se observó al menos una oveja positiva serológicamente frente al antígeno de O. ovis. Bauer et al. (2002), en una encuesta epidemiológica llevada a cabo en Alemania, comprobaron que el 72’6% de los rebaños eran positivos a oestrosis. En algunos estudios se ha comprobado que la presencia de anticuerpos no es un buen indicador de la existencia de parasitación, revelando la exposición previa al parásito, y no el padecimiento de la enfermedad en el momento de la toma de muestras (Sánchez-Andrade et al., 2000).

Fig. 1.- Prevalencia de oestrosis ovina mediante ELISA-indirecto en Cerdeña (Italia).

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ConclusionesLa seroprevalencia de oestrosis es muy elevada en los ovinos de la región de Cerdeña (Italia). Teniendo en cuenta su incidencia sanitaria y económica, y que se trata además una zoonosis, y que los ganaderos pueden resultar infestados, estos resultados indican la necesidad de establecer un programa de control adecuado para limitar la distribución de esta parasitosis.

Bibliografía® Alcaide, M., Reina, D., Sánchez-López, J., Romero, G., Sierra, M.A., Navarrete, I. Situación seroepidemiológica de la oestrosis

ovina en la provincia de Cáceres, España. Producción Animal 174, 5-13.® Bauer, C., Steng, G., Prevot, F., Dorchies, P. (2002). Seroprevalence of Oestrus ovis infection in sheep in southwestern Germany.

Veterinary Parasitology 110: 137-43.® Caracappa, S., Rilli, S., Zanghi, P., Di Marco, V., Dorchies, P. (2000). Epidemiology of ovine oestrosis (Oestrus ovis Linne

1761, Diptera: Oestridae) in Sicily. Veterinary Parasitology 92: 233-237.® Goddard, P., Bates, P., Webster, K.A. (1999). Evaluation of a direct ELISA for the serodiagnosis of Oestrus ovis infections in

sheep. Veterinary Record 144: 497-501.® Horak, I.G., Macivor, K.M., Greeff, C.J. (2001). Parasites of domestic and wild animals in South Africa. XXXIX. Helminth

and arthropod parasites of Angora goats in the southern Karoo. Onderstepoort Journal of Veterinary Research 68: 27-35.® Murguía, M., Rodríguez, J.C., Torres, F.J., Segura, J.C. (2000). Detection of Oestrus ovis and associated risk factors in sheep

from the central region of Yucatán, México. Veterinary Parasitology 88: 73-78.® Ouattara L, Dorchies P. (1996). Serological prevalence of Oestrus ovis infestation in Burkina Faso: evaluation using the ELISA

technique. Rev Elev Med Vet Pays Trop 1996;49(3):219-21.® Pampiglione, S., Gianetto, S., Virga, A. (1997). Persistence of human myasis by Oestrus ovis L. (Diptera: Oestridae) among

shepherds of the Etnean area (Sicily) for over 150 years. Parassitologia 39: 415-418.® Sánchez-Andrade, R., Paz-Silva, A., Suárez, J., Panadero, R., Díez-Baños, P., Morrondo, P. (2000). Use of a sandwich-

enzyme-linked immunosorbent assay (SEA) for the diagnosis of natural Fasciola hepatica infection in cattle from Galicia (NW Spain). Veterinary Parasitology 93: 39-46.

® Scala, A., Solinas, G., Barbieri, A. (2000). Estrosi degli ovini da Oestrus ovis in Sardegna: aggiornamenti epidemiologici. XIV Congresso SIPAOC.

® Scala, A., Paz-Silva, A., Suárez, J.L., López, C., Díaz, P., Díez-Baños, P., Sánchez-Andrade Fernández, R. (2002). Chronobiology of Oestrus ovis (Diptera: Oestridae) in Sardinia, Italy: guidelines to chemoprophylaxis. Journal of Medical Entomology 39: 652-657.

Este trabajo ha sido financiado, en parte con una Beca de Investigación de la Xunta de Galicia (Xunta de Galicia, Spain, 2001) a R. Sánchez-Andrade Fernández (PhD) y por el Proyecto de Investigación PGIDT00PX126102PR (Xunta de Galicia, Spain).

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IPODERMOSI BOVINA: PROGRAMMA DI MASSIMA PER LA MESSA A PUNTO DI UN PIANO DI CONTROLLO IN SARDEGNA.

BOVINE IPODERMOSIS: A BROAD PROGRAMME TO SET UP A CONTROL PLAN IN SARDINIA.

Sardo D., Piazza C., Polinas L., Scala A.

Dipartimento di Biologia Animale, sezione di Parassitologia, Università degli Studi di Sassari.

SummaryHypoderma spp. larvae exert an high parasitic pressure on cattle reared in Sardinia. Ipodermosis fly causes subcutaneous miasis in beef cattle (35%), and in dairy farms (90%). These results require to set up a restoration plan, and its following application is necessary to avoid economical damages to the whole cattle breeding. First point of the restoration plan is to investigate current epidemiological parameters about this parasitosis in Sardinia. Aim of this research is to outline a control plan about bovine Ipodermosis in Sardinia, trough a careful cost-and-benefit analysis, and a technical research of its carrying out.

IntroduzioneL’Ipodermosi bovina è una miasi obbligatoria sostenuta da larve di ditteri del genere Hypoderma appartenenti alla famiglia Oestridae. Le specie coinvolte sono H. bovis e H. lineatum. Gli insetti adulti vivono circa una settimana, durante la quale depongono le uova nelle ore più calde della giornata, in un periodo da giugno ad agosto (Zumpt F., 1965). H. bovis infastidisce notevolmente gli animali, che fuggono all’impazzata nei pascoli, perciò riescono a deporre solitamente un unico uovo per pelo; H. lineatum arrivando dal suolo, invece limita la sua azione di disturbo, riuscendo così a deporre in un unico pelo circa 5-15 uova in linea (Zumpt F., 1965). I bovini per difendersi da questi attacchi talvolta sostano con le zampe in raccolte d’acqua o si rifugiano in zone ombrose, solitamente non frequentate dagli insetti adulti.Dopo circa 4-7 gg dall’uovo si libera una larva L1 che, perforata la cute, inizia un lungo periodo di migrazione nell’organismo, grazie alla sua conformazione anatomica e all’azione di collagenasi da essa prodotte (ipodermine) (Boulard C., 1989). Le larve di H. bovis raggiungono il grasso peridurale del canale rachidiano in cui permangono per circa quattro mesi, mentre quelle di H. lineatum raggiungono la sottomucosa esofagea. Dopo un lungo periodo di permanenza in questi distretti, in cui si accrescono fino ad arrivare ad una lunghezza anche di 16-17 mm, raggiungono entrambe le specie il sottocute della regione dorso lombare, in cui causano la comparsa di caratteristici noduli. In questo distretto maturano a larve L2 munite di placche respiratorie che segnano il passaggio ad un metabolismo di tipo aerobio. In questo stadio, infatti, le larve determinano la comparsa di un foro all’apice del nodulo sottocutaneo attraverso il quale possono respirare. Il passaggio da larva L2 a L3 è segnato da un evidente accrescimento volumetrico. Una volta diventata più scura, abbandona l’ospite per impuparsi nel terreno e liberare, dopo circa 40 gg, l’insetto adulto.

EPIDEMIOLOGIAL’Ipodermosi è presente in tutti i paesi europei con prevalenze d’infestione differenti. A prescindere dal patrimonio bovino presente, quasi tutti i paesi europei hanno attuato un piano di controllo e/o eradicazione della malattia, anche se con criteri e risultati diversi (Tarry D.W., 1986).In Italia questa miasi è ampiamente diffusa e coinvolge una percentuale di allevamenti variabile dal 12,1% al 100% a seconda della regioni (Puccini et al., 1996). Esistono tuttavia alcuni distretti nazionali come il Trentino, in cui la patologia sembrerebbe in pratica scomparsa.In Sardegna le indagini condotte dal 1983 al 2002 hanno evidenziato una situazione realmente preoccupante con tassi di prevalenza variabili dal 30% al 60% (Arru et al., 1983; Scala et al., 1997; Sardo et al., 2002; Scala et al., 2002)L’Ipodermosi riveste un interesse zoonosico poiché le larve di Hypoderma spp. determina in alcuni casi delle miasi nell’uomo: forme cutanee (Preiser et al., 1979); oculari o addirittura intracerebrali (Pouillard et al., 1980).In Francia, in cui nell’uomo sono segnalati circa 40-45 casi di Ipodermosi l’anno, è stata condotta un’indagine sierologia nella popolazione umana che ha rivelato la presenza di anticorpi nei confronti soprattutto di H. bovis (Doby et al., 1982). In Italia non si hanno segnalazioni ufficiali sulla diffusione della miasi nell’uomo, in cui tuttavia, sono stati riportati casi isolati (Deiana, 1990, comunicazione personale),

EFFETTI PATOGENI E DANNI ECONOMICII danni economici derivanti dall’infestione da Hypoderma spp. dipendono da un gran numero di fattori.Una conseguenza evidente è il “gadding” (vagare), che avviene quando il bovino corre senza meta in preda al panico infastidito dagli ultrasuoni emessi dagli adulti di H. bovis in volo. In questo modo l’animale, viene “distratto” durante il pascolo e si può provocare degli autotramatismi sbattendo contro recinti, fili spinati o cadendo in fossati. Storicamente il danno maggiore è identificato nel deprezzamento del pellame, che solitamente viene però visto come danno intrinseco delle operazioni di macellazione. Sempre in sede di visita post-macellazione si rileva una svalutazione della carcassa dovuta alla presenza dei tragitti di migrazione delle larve che ne implicano la toelettatura, il cui danno è stato stimato pari all’equivalente di 1,8 kg di carne (Vet. Record, Members Information Supplement N.ro 90). Il decremento della produzione di latte è un problema frequente molto importante: negli Stati Uniti è stata calcolata una perdita alla mungitura variabile dal 15% al 25% (Krull, 1969; Beesley, 1974). In diverse esperienze sono state comparate le performances produttive in animali trattati farmacologicamente e non, in cui sono stati rilevati i danni legate alle riduzioni dell’incremento ponderale. In uno studio francese, i bovini con 11-15 noduli

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manifestavano un incremento ponderale di 84 ± 18 kg, mentre quelli con meno di 10 noduli manifestavano un incremento di peso di 102 ± 15 kg (Tapernoux et al., 1961). In America i bovini trattati manifestavano un aumento di peso di 1,03 kg/die rispetto a quello di 0,89 kg/die riscontrato negli animali non trattati (Ludwig e Bucek, 1966).Ulteriori indagini indicano perdite di produzione di latte dal 10% al 15% e di incrementi medi giornalieri variabili da 50 a 190 grammi/capo (Scholl et al., 1988). Bisogna ancora aggiungere l’azione patogena esercitata dalle ipodermine, collagenasi elaborate dalle larve in migrazione, che potrebbero indurre, soprattutto nei casi di infestioni massive, un’immunodepressione generalizzata che favorisce l’insorgenza di altre malattie batteriche, virali e parassitarie (Boulard C., 1989; Chabaudie e Boulard C., 1992; Nicolas-Gaulard I., 1995). Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è quello relativo al benessere animale, poiché le lesioni causate dalle larve di Hypoderma spp. sul dorso dei soggetti parassitati causano prurito e quindi uno stato di sofferenza. Nei paesi in cui l’allevamento dei bovini costituisce una parte fondamentale dell’economia il costo di queste perdite, pur difficilmente quantizzabile, può essere un serio problema.

CONTROLLO DELL’IPODERMOSINel mondo, per cercare di arginare i danni causati dall’Ipodermosi, sono stati proposti e attuati vari piani di controllo della parassitosi; l’Introduzione di insetticidi organofosforici sistemici verso la fine degli anni ‘50, ha incentivato la realizzazione di un gran numero di programmi mirati all’eradicazione o al controllo di questa malattia.I primi successi dei piani di eradicazione, condotti mediante l’impiego di rotenone, si sono registrati nell’Isola di Man (Beesley, 1974) e di Cipro (Crowther et al., 1976), cioè in due isole come la Sardegna. Anche in Danimarca i primi successi della lotta contro l’Ipodermosi, basata sempre sull’uso di prodotti topici quale il rotenone, si è rivelata subito pienamente efficace. In Olanda dopo alcuni anni di trattamenti facoltativi, nel 1953 è stata varata una legge che impose l’obbligatorietà del trattamento topico: l’eradicazione si è ottenuta nel 1980 con l’impiego di trattamenti sistemici.Piani di eradicazione regionali ebbero successo in alcune regioni della Germania, Francia e piani nazionali in Gran Bretagna, Danimarca, Olanda e Irlanda; in molti casi questi hanno condotto alla completa eradicazione della malattia (Tarry D.W., 1986). Più di recente sono state utilizzate formulazioni spot-on o pour-on, che si sono mostrate molto efficaci e più convenienti per l’allevatore, fattore fondamentale per il successo di un piano di eradicazione. Il problema da gestire, per i paesi in cui è stato attuato un programma di controllo contro l’Ipodermosi, è l’eventuale reintroduzione del parassita con la movimentazione degli animali.Attualmente, le misure di controllo dell’Ipodermosi all’interno dell’Unione Europea variano da un paese all’altro in relazione soprattutto al tipo di trattamento obbligatorio o volontario dei bovini infestati. Alla luce di quanto riportato, in questa sede saranno quindi analizzate alcune linee guida che potrebbero essere applicate in Sardegna per un piano di controllo della parassitosi.

PUNTI CARDINE DA APPLICARE PER UN PIANO DI CONTROLLO DELL’IPODERMOSI BOVINA IN SARDEGNAIl piano di controllo per l’Ipodermosi bovina si potrebbe basare in Sardegna sull’attuazione sui seguenti punti:1. mappa epidemiologica dell’infestione nell’isola;2. educazione sanitaria;3. piano terapeutico;4. operazioni da adottare nel periodo post-trattamento.1. Tale fase in Sardegna può considerarsi già ad un livello avanzato. Il rilievo dei dati inerenti i vari parametri epidemiologici

assunti sull’Ipodermosi nell’isola sono stati, infatti, già delineati di recente grazie ad alcune indagini condotte sul territorio.

La prevalenza dell’infestione è risultata del 35% nei bovini che hanno la possibilità di vivere una o più fasi della loro vita all’aperto (Sardo et al., 2002), ma risulta presente anche nella maggior parte degli allevamenti da latte, soprattutto in quelli della provincia di Sassari e Nuoro, in cui sono state riscontrate positive rispettivamente il 94% e 95.5% delle aziende monitorate (Scala et al., 2002). E’ evidente quindi che l’infestione sia presente in Sardegna a livelli tali da essere definita da alcuni autori “catastrofica” (Lonneux et al., 1991), e in ogni caso con parametri epidemiologici tali da giustificare ampiamente l’attuazione di un programma di controllo nei suoi confronti.

2. Un altro punto cruciale è rappresentato sicuramente dall’informazione sanitaria, che deve essere capillare e soprattutto tendente a consapevolizzare gli allevatori. La mancanza di collaborazione con questa categoria renderebbe vano qualsiasi piano di controllo. Un ulteriore piano di informazione, teso soprattutto a chiarire le modalità di interventi chemioprofilattici, andrebbe messo a punto per tutti i veterinari e il personale tecnico impegnati nell’attuazione del programma.

3. Questa fase prevede il trattamento di tutti i bovini di età superiore a un anno, presenti sul territorio regionale, da effettuarsi tramite l’uso di lattoni macrociclici soprattutto di quelli somministrabili pour-on lungo la linea del dorso. Le modalità di somministrazione, non prevedendo in questi casi particolari contenzioni dell’animale, ridurrebbero i periodi di intervento e sarebbero meno pericolose per gli operatori e gli animali stessi. Questa formulazione, secondo le norme sui residui dei farmaci in Italia, non prevede tempi di sospensione né per il latte, né per la carne. In alternativa, positive esperienze son state condotte in Francia tramite l’utilizzo di microdosi di lattoni macrociclici (Lia et al., 2003). L’individuazione del personale sanitario impegnato nell’attuazione del piano prevederebbe sicuramente un’azione sinergica tra Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Azienda Sanitaria Locale, Università ed Associazione Regionale Allevatori.

4. Succesivamente al periodo di trattamento degli animali (presumibilmente 3 o 4 anni), si procederà a un monitoraggio immunologico (ELISA) delle aziende, attraverso il controllo del latte massale o del siero di animali da carne prelevati da allevamenti scelti con criterio casuale. Contemporaneamente, per lo stesso scopo, verranno effettuate visite aziendali nel

60 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

periodo in cui in Sardegna le larve di Hypoderma spp. sono presenti nel sottocute (gennaio-giugno) (Scala et al. 2002). Tutti i progressi ottenuti verranno pubblicizzati tra gli allevatori e gli addetti ai lavori, in modo tale da “rafforzare” anche le successive misure di controllo della parassitosi.

STIMA DEL RAPPORTO COSTI-BENEFICIUna stima esatta delle perdite economiche legate alla presenza dell’Ipodermosi è estremamente difficile essendo legata ai molteplici fattori prima elencati. Dati regionali indicano in circa 310.000 il numero dei bovini allevati in attualmente Sardegna, mentre quelli resi disponibili dall’ASSOCARNI ottenuti su elaborazioni ISTAT (www.assocarni.it) evidenziano come in Sardegna nel 2000 sono stati macellati 146.940 capi bovini (4.900 vitelli; 120.859 vitelloni e manzi; 4.437 buoi e tori; 16.731 vacche), pari ad un peso vivo complessivo di 681.983 quintali. In particolare sempre nel 2000 nell’isola sono stati macellati circa 120.000 capi appartenenti alle categorie maggiormente sensibili alla parassitosi quindi vitelloni e manzi. l trattamento nei confronti dell’Ipodermosi determina in base ai dati forniti da Ludwig e Bucek (1966), un maggiore incremento ponderale rispetto ai soggetti controllo di 0,14 Kg/capo al giorno. E’ evidente quindi che, valutando il prezzo di 1 Kg di carne circa 4 €, il guadagno complessivo derivante dal trattamento, esclusivamente per questa categoria di soggetti macellati, possa da solo coprire ampiamente il costo del farmaco che ammonterebbe a circa 1,80 € per il farmaco spot on e con costi veramente contenuti nel caso del piano attuato con le microdosi.Al ridotto incremento ponderale va aggiunta anche la perdita legata alla toelettatura della carcassa durante le fasi di macellazione dei capi infestati, che ammonta, come precedentemente ricordato, a circa 1,8 Kg di carne. D’altra parte il trattamento contro l’Ipodermosi attuato con farmaci spot on determinerebbe un maggiore incremento ponderale dei soggetti trattati, in quanto tali molecole agiscono anche nei confronti dei nematodi gastro-intestinali spesso presenti nella maggior parte degli allevamenti (Scala et al. 1997). Quest’ultimo aspetto, ben noto agli allevatori, potrebbe “alimentare” la loro disponibilità nei confronti dell’attuazione del piano. Il coinvolgimento anche delle aziende da latte è sicuramente necessario, soprattutto nelle aziende della provincia di Sassari e Nuoro, in cui l’Ipodermosi risulta presente rispettivamente nel 94% e 95,5% (Scala et al., 2002). In questi casi il trattamento, e quindi il risanamento dall’infestione, determinerebbe un significativo incremento anche della produzione lattea negli allevamenti coinvolti ed importanti ripercussioni positive anche nel settore industriale del cuoio, che usufruirebbe di un prodotto di quantitativamente e qualitativamente superiore.

ConclusioniConsiderando l’elevata pressione parassitaria e i conseguenti danni economici che l’Ipodermosi determina in Sardegna nel settore bovino, già ampiamente penalizzato dalle restrizioni imposte dalla recente epidemia di blue tongue, un piano di controllo di questa parassitosi si impone! Inoltre la Sardegna presenta dei confini geografici naturali che renderebbero più rapido ed efficiente l’attuazione del piano. I tempi di realizzazione del piano (relativamente brevi), permetterebbero alle due categorie coinvolte cioè, gli allevatori e la Regione Sardegna che si prenderebbe l’onere di sostenere il progetto, di beneficiare immediatamente dei risultati.

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61XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

LA DIAGNOSI DELLA DICROCOELIOSI OVINA: METODICHE COPROMICROSCOPICHE A CONFRONTO

Chighine C., Marchi B., Cancedda M.G., Sanchez - Andrade R*., Scala A.

Dipartimento di Biologia Animale, Sezione di Parassitologia e Malattie Parassitarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi Sassari (Italy).*Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Veterinaria, Università di Santiago de

Compostela, 27002 - Lugo (Spain). (Con la collaborazione tecnica del Sig. Nieddu M. S.).

Summary: - The diagnosis of Dicrocoeliosis in sheep: a comparison of copromicroscopic methods.This paper reports the results of research conducted to compare ten different copromicroscopic diagnostic methods for the identification of Dicrocoelium dendriticum. Three of these involved flotation in a McMaster chamber with specific weight solutions equal to 1450, composed of: Hg iodide + K iodide (F.1) (which in this case rapresented the “Gold Standard”); K iodide + Zn sulphate (F.2); tiosulfate Na nitrate (F.3). Five others flotation solutions with specific weight between 1300 and 1420 were used. (F.4 - F.8) The two remaining methods exclusively involved one or more phases of sedimentation (S.1 and S.2). In the first fase 104 samples of sheep faeces from a flock that had tested positive for Dicrocoelium dendriticum were analysed. Successively, livers bearing the trematoda parasite were collected upon the butchering of 26 sheep, from which faecal samples were also taken from the rectal tract. The results have unfortunately confirmed the limitations of the methods that do not use solutions containing mercury (a substance considered to be highly toxic, corrosive and polluting), as in both phases of the project, the prevalence values obtained with these methods never exceeded 50% and in no case did the quantitative data (eggs for gram of faeces - e.p.g.) correlate well with the trematoda levels present in the liver (r=0.381).

IntroduzioneLa Dicroceliosi è una malattia parassitaria cosmopolita, che colpisce principalmente gli ovini e bovini ed è causata dal trematode digeneo Dicrocoelium dendriticum.La presenza della parassitosi in certe aree italiane (Toscana, Umbria, Marche e Abruzzo) con valori tra il 66% e il 99% (Ambrosi, 1995), è causa di importanti ripercussioni sulle produzioni; ciò comporta la messa a punto di tecniche diagnostiche per l’allestimento di adeguati interventi terapeutici e di procedure idonee per valutarne l’efficacia e l’affidabilità. L’epidemiologia della Dicroceliosi, così come di altre parassitosi, dipende dalla presenza degli ospiti definitivi recettivi, dal tipo di allevamento, dalla gestione degli animali, dalla presenza, biologia ed etologia dei molluschi e delle formiche che fungono da ospiti intermedi, dal tipo di suolo, dalle specie botaniche presenti e da vari fattori metereologici (Chartier e Reche, 1992). La diagnosi si basa sull’utilizzo di metodiche copro-microscopiche che prevedono tecniche di sedimentazione e/o flottazione in soluzioni ad alto peso specifico (Euzeby, 1981). Tuttavia esse presentano l’inconveniente di non mettere in evidenza il parassita finchè questo non raggiunge lo stato di maturità e inizia ad eliminare le uova; anche in questo caso i risultati non sempre sono attendibili e ciò può essere dovuto al tipo di infestione (esempio di tipo pauciparassitaria) e/o alle ridotte quantità del campione di feci analizzato (Ambrosi,1991).Le metodiche attualmente in uso nei vari laboratori di parassitologia si basano sulla flottazione in soluzione di jodomercurato di potassio, ritenuta ottima come “performances,” ma anche fortemente inquinante, corrosiva, altamente tossica e molto costosa (Ambrosi, 1991).Al fine di migliorare l’attendibilità della diagnosi di questa parassitosi sono state messe a punto metodiche indirette come il test al lattice o l’ELISA con antigeni somatici (Piergili-Fioretti, 1980; Jithendran e Bath, 1996) o più recentemente di tipo escretore/secretore (Sanchez - Andrade, et al., 2001).Scopo del nostro lavoro è stato quello di comparare in ovini naturalmente infestati, varie metodiche diagnostiche dirette a rilevare la presenza di uova di questo trematode e individuare tra esse quelle ritenute più idonee. Materiali e metodiL’indagine è stata condotta in tre fasi: PRIMA FASE - Nell’arco del 2002 sono stati esaminati 104 campioni di feci provenienti da ovini adulti di razza sarda. Sulle feci sono state effettuate, in parallelo per ogni campione, esami copro-microscopici quali-quantitativi, con metodiche che comportavano l’uso di soluzioni, modalità e strumenti differenti. Tre di esse prevedevano l’utilizzo di soluzioni ad uguale peso specifico (1450) ma a composizione differente (F.1, F.2 ed F.3) ed altre a peso specifico variabile da 1300 a 1420 di seguito elencate con le relative sigle (F.4, F.5, F.6, F.7 ed F.8). Le diverse soluzioni erano così composteF.1: Hg ioduro (250 gr), K ioduro (250 gr. ) e acqua distillata (665 ml), p.s. 1450; F.2: Zn solfato (600 gr) e acqua distillata (600 ml); Hg ioduro (100 gr), K ioduro (78 gr) e acqua distillata (63 ml), p.s.1450; F.3: Nitrato di Na (300 gr), Tiosolfato di Na (620 gr) e acqua distillata (530 ml), p.s.1450; F.4: Zucchero comune (360 gr) e Nitrato di Na (540 gr), in un litro di H

2O, p.s. 1340; F.5: Glucosio (350 gr) e Nitrato di Na (530 gr), p.s. 1420; F.6:

Cloruro di Zn (220 gr), Cloruro di Na (210 gr), in 800ml di H2O, p.s. 1300; F.7: Soluzione satura di solfato di Mg, p.s.

1300; F.8: Nitrato di Na (25 gr) e Tiosolfato di Na (30 gr), in 75ml di H2O, p.s. 1340. Le metodiche indicate con la sigla

F comportavano l’uso delle camere di McMaster secondo le modalità suggerite da Raynaud (1970).Inoltre sugli stessi campioni sono stati eseguiti esami copromicroscopici per sedimentazione, in particolare: Sedimentazione semplice (S.1); Sedimentazione denominata 3x3 (S.2), poiché la modalità di esecuzione richiede tre sedimentazioni successive di tre minuti ciascuna. Tutti i 104 campioni sono stati analizzati in doppio con le diverse soluzioni flottanti e con la metodica di sedimentazione S.1, per la S.2 si procedeva ad una lettura singola, per un totale di 1976 esami coprologici.

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Il numero delle uova rilevato nei diversi esami copromicroscopici è stato, a seconda delle diluizioni praticate, moltiplicato o diviso per un dato fattore di seguito riportato:da F. 1 fino ad F. 8, moltiplicato per 15; S. 1 moltiplicato per 25; S. 2 diviso per 25;SECONDA FASE - Da ovini regolarmente macellati sono stati asportati i fegati che risultavano positivi per D. dendriticum e contemporaneamente dall’ampolla rettale degli stessi animali venivano prelevate le feci. I fegati sono stati esaminati come segue: sminuzzamento del parenchima in fette da 0,5 cm, immersione delle fette in coni contenenti acqua tiepida, “strizzatura”, allontanamento del parenchima, conta degli elminti. Le analisi coprologiche sono state eseguite secondo le metodiche riportate nella Fase 1.TERZA FASE - Da maggio a settembre 2001 sono stati prelevati campioni di feci e siero da 738 ovini di razza sarda, di età compresa tra i 6 mesi e i 10 anni. Per l’esecuzione dell’esame coprologico è stata utilizzata la metodica S.1. Per l’ELISA è stato utilizzato un antigene escretorio/secretorio, ottenuto da esemplari adulti di D. dendriticum prelevati da fegati di ovini naturalmente infestati e regolarmente macellati in Sardegna. Per l’estrazione dell’antigene si procedeva come segue: per ogni parassita sono stati aggiunti 4 ml di terreno di coltura ottenuto con RPMI 1640 addizionando ampicillina (25µg/ml), cloramfenicolo (30 µg/ml) e un inibitore di proteasi (PMSF, Sigma) a una concentrazione di 2 mM incubazione a 37° C per 3 h, centrifugazione a 4° C in un rotore JA-20 a 40.000 giri per 50 min, filtrazione del surnatante ottenuto con un filtro Millipore da 10 µm e quindi in un altro da 0,45 µm e ancora in uno da 0,22 µm, dializzazione in acqua MilliQ per 12-14 h utilizzando una membrana di cellulosa (Sigma) con capacità di ritenzione del 90-99% di una soluzione di citocromo C (12,4 kDa) per 10 h. Una volta ottenuto l’Ag si determinava la concentrazione proteica con la tecnica BCA di Pierce (Modalità indicate da Sanchez-Andrade et al., 2001). L’antigene veniva diluito in PBS (ph 7,4) alla concentrazione di 4 µg/ml-1. Il siero era diluito 1:20 in PBS contenente, con diluizione 1:1000, 0,05% di Tween 20,1% di latte in polvere e Proteina G marcata con perossidasi. Sono stati utilizzati come controlli positivi e negativi, rispettivamente 5 ovini infestati e 5 non infestati. I primi erano rappresentati da ovini riscontrati parassitati alla macellazione, mentre i secondi erano agnelli non infestati allevati al “chiuso” dalla nascita. Il cut-off era pari alla media della densità ottica (OD) di un siero negativo (0,3372) sommato a tre deviazioni standard (0,1205 X 3): nel nostro caso il valore di OD che indicava un siero positivo era di 0,6987. RisultatiPRIMA FASE - 17 campioni sono risultati negativi a tutte le metodiche applicate. Le soluzioni da F.4 ad F.8 hanno fornito dei risultati costantemente negativi. I tassi di prevalenza relativi a ciascuna metodica sono riportati nel Grafico n°1. I tempi medi di attuazione delle differenti metodiche saggiate sono stati i seguenti: flottazione in camera McMaster (da F.1 a F.8.) - 10 minuti; sedimentazione S.1 - 40 minuti; sedimentazione S.2 - 58 minuti. I preparati sono risultati di facile lettura con l’uso delle soluzioni flottanti in particolare con la F.1, mentre apparivano particolarmente “sporchi” quelli ottenuti con le metodiche di sedimentazione. SECONDA FASE - Il numero medio di esemplari di D. dendriticum riscontrati nei fegati controllati era pari a 770,9 (D. S.=1777,8). I tassi di prevalenza (=sensibilità) ottenuti su 26 campioni di feci di ovini parassitati da D. dendriticum sono riportati nel Grafico n°2, mentre ulteriori parametri sono riportati nella Tabella n°1. Il test di Wilcoxon ha messo in evidenza che i risultati delle varie metodiche differiscono significativamente tra loro (P<0,001). La regressione lineare tra il numero dei parassiti riscontrati in ciascun fegato e le u.p.g. corrispondenti ha rilevato i valori riportati nella Tabella n°2. L’esame di detta tabella evidenzia come la tecnica di flottazione con la soluzione F.1 si confermi quella maggiormente in grado di rispecchiare le cariche parassitarie effettivamente presenti a livello epatico. A sorpresa, si è anche messo in evidenza che la S.2 rileva meglio in proporzione il quadro parassitologico nel fegato, rispetto alle soluzioni flottanti F.2, F.3 e alla sedimentazione S.1.TERZA FASE - Nel 6,6% dei campioni fecali esaminati coprologicamente sono state reperite uova di D. dendriticum (n°49), mentre valori di OD superiori al cut-off sono stati evidenziati nell’86,2% dei sieri testati in ELISA (n°636) (χ2= 938,63; P< 0,0001). I valori di u.p.g. variavano da 41 a 208 (media=66,63± D. S. 42,14), quelli di OD da 0,16 a 5,68 (media=1,417± D. S. 0,728). Solo il 6,6% degli ovini esaminati (n°49) è risultato contemporaneamente positivo alle due metodiche saggiate; nessun campione risultato negativo al test immunoenzimatico è risultato positivo all’esame coprologico.

ConsiderazioniPer ciò che concerne la manualità nell’esecuzione delle varie metodiche, abbiamo potuto rilevare come i tempi di attuazione siano sicuramente più contenuti per le tecniche di flottazione con conta su vetrino McMaster rispetto alle altre, così come migliore è risultata la nitidezza del campo di lettura.I dati ottenuti sia nella prima che nella seconda fase dell’indagine, sono risultati sovrapponibili ed hanno evidenziato in termini di sensibilità una maggiore attendibilità della metodica che prevede l’uso della soluzione F.1, che purtroppo comprende tra i suoi componenti anche i sali di mercurio altamente tossici, corrosivi inquinanti nonché costosi. La soluzione F.3, in considerazione delle sue caratteristiche componenti (economiche e praticamente atossiche), godeva di particolari aspettative, anche perché il suo peso specifico è sempre 1450. Purtroppo non ha fornito risultati accettabili, nè in termini di rivelazione dell’infestione, nè di correlazione tra i livelli di u.p.g. e la carica parassitaria effettivamente presente. Inoltre le diverse “performances” ottenute con le soluzioni flottanti F.1, F.2 ed F.3, hanno evidenziato che per ottenere una flottazione ottimale il parametro da considerare non è legato esclusivamente al peso specifico, uguale in tutte tre le soluzioni utilizzate, ma anche ad altri fattori chimico-fisici, che interagendo con le uova del parassita possono portare ad un risultato differente. I risultati ottenuti con la terza fase dell’indagine confermano ulteriormente i limiti dell’esame coprologico eseguito con la metodica S.1, soprattutto nei casi di infestioni pauciparassitarie, che nella nostra campionatura sono risultati essere prevalenti. L’elevata sieroprevalenza rilevata per D. dendriticum, in contrasto con i

63XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

risultati ottenuti con l’indagine copromicroscopica, può trovare alcune spiegazioni: l’ELISA risulta in grado di evidenziare anticorpi nei confronti del trematode già in fase prepatente, a partire da 30 giorni dopo l’infestione (Gonzales-Lanza et al., 2000); gli anticorpi raggiungono nella Dicroceliosi i livelli massimi intorno ai 60 giorni dall’infestione e rimangono elevati fino al 6° mese successivo all’allontanamento naturale o farmacologico del parassita. Tutto questo comporta che le sieropositività, pur essendo direttamente correlabili ai valori di u.p.g., indicano con sicurezza, esclusivamente il contatto con il trematode e non la certezza di rilevare un’infestione in atto.

ConclusioniPer questa parassitosi, il metodo coprologico rispetto all’ELISA costituisce, nonostante i suoi limiti, tuttora un importante presidio diagnostico in grado di identificare con sicurezza gli ovini positivi, anche se le metodiche risultate più efficaci necessitano per la loro esecuzione di soluzioni che contengono sali di mercurio. Alla luce dei dati acquisiti, ci sentiamo comunque di proporre, tra quelle testate, la metodica che prevede l’uso della soluzione F.2, la quale è caratterizzata da “performances” accettabili e contiene meno mercurio rispetto alla F.1. Nel caso l’uso delle soluzioni a base di mercurio fosse bandito, l’alternativa è data dalla soluzione denominata F.3, che però ha fornito risutati scarsamente attendibili, consentendo il riscontro della parassitosi negli animali in vita solo nel 50 % dei casi circa. In questo contesto l’ELISA da noi messa a punto rappresenta, in considerazione dell’elevato grado di sensibilità evidenziato, uno strumento più affidabile di verifica epidemiologica dell’infestione su un determinato territorio e/o gregge, ma non in grado di rilevare singoli soggetti sicuramente parassitati.

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TASSI DI PREVALENZA COPROMICROSCOPICI OTTENUTI SU 104 CAMPIONI DI FECI OVINE

73,1% 62,5%

46,2%

37,5% 35,6%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

F.1 F.2 F.3 S.1 S.2

F.1

F.2

F.3

S.1

S.2

(χ2= 44,25 con 4 gradi di libertà; P<0,0001) (GRAFICO N°1)

TASSI DI PREVALENZA COPROMICROSCOPICI OTTENUTI SU 26 OVINI SICURAMENTE PARASSITATI DA D. DENDRITICUM

(χ2= 44,22 con 4 gradi di libertà; P=0,016) (GRAFICO N°2)

64 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

TABELLA N°1 - STATISTICA DESCRITTIVA: ANALISI DEI VALORI DI U.P.G.

METODICHENUMERO

CAMPIONIMEDIA

DEVIAZIONE STANDARD

MINIMO MASSIMO

F.1 26 235,0769 386,773 0 1777,5

F.2 26 76,1154 144,71567 0 705

F.3 26 22,4615 32,67596 0 150

S.1 26 54,8077 121,9158 0 562,5

S.2 26 0,0231 0,05081 0 0,2

TABELLA N°2 - RISULTATI DELLA REGRESSIONE LINEARE TRA IL NUMERO DIESEMPLARI DI D. DENDRITICUM RILEVATI NEL FEGATO E I VALORI DI U.P.G.

VARIABILI DIPENDENTI

VALORE DI rVALORE DI P

F.1 0,734 0,000

F.2 0,370 0,063

F.3 0,249 0,22

S.1 0,030 0,886

S.2 0,381 0,055

65XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

LA CENUROSI OVINA DA COENURUS CEREBRALIS IN SARDEGNA: RILIEVI EPIDEMIOLOGICI, PARASSITOLOGICI E ISTOPATOLOGICI.

Cancedda M.G.; Chighine C.; Varcasia A.; 1Ligios C.; Scala A.

Dipartimento di Biologia Animale, Sezione di Parassitologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari; 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”- Sassari.

Con la collaborazione tecnica del sig. Mario Salvatore Nieddu.Summary: The ovine Coenurosis by Coenurus cerebralis in Sardinia: epidemiological, parassitological and histopathological findings.An investigation was carried out on cases of ovine Coenurosis in Sardinia, between April 2001 and March 2003. A total of 107 sheep were examined, the age of the affected sheep ranging from 4 and 36 months. Each animal underwent detailed clinical examination. Observations on the general behaviour of sheep were made and behavioural changes were recorded. Sheep were examined postmortem, the brain was removed and when clinical signs suggested, also the spinal cord. After 10% formaline fixation of these organs, cyst locations were recorded using transversal cut thalamus, basal ganglia and cortex. Besides parasitological findings (morphometry, in different positions such as obex, rostral medulla oblongata, mesencephalon, number and cyst locations), lesions caused by the parasite, their location in various brain regions and size were recorded. Histopathological investigations were also performed. Data were analysed by statistics procedures, positive correlations were found between sheep age and the average size of lesions and negative correlations between age and cyst number. Finally, the seasonal prevalence of the parasitosis was reported. The highest number of cases occurred during spring and autumn.IntroduzioneDeterminare l’esatta diffusione della Cenurosi cerebro-spinale negli ovini non costituisce un compito facile a causa della relativa difficoltà al reperimento dei casi clinici, soprattutto di quelle forme più classiche che vengono riconosciute direttamente dall’allevatore e dunque non giungono all’osservatorio. Pertanto tale parassitosi risulta oggi sottostimata e viene sottovalutato anche il ruolo che questa assume come zoonosi minore. La difficoltà nel controllo della Cenurosi è legata al persistere nelle aree interessate di macellazioni non controllate praticate dallo stesso allevatore in azienda, che spesso non applica le più banali norme igienico-sanitarie e abbandona le carcasse nei pascoli e nelle discariche abusive. E’ evidente quindi che in questi casi gli organi parassitati siano facilmente accessibili ai cani randagi e da pastore, ancora ampiamente impiegati in Sardegna per la guida e la protezione del gregge. Pertanto la possibilità di trasmissione di tale parassitosi dal cane ai ruminanti e quindi all’uomo risulta ancora oggi elevata. In considerazione di quanto sopra affermato, abbiamo voluto condurre la presente indagine per apportare un contributo alla conoscenza di alcuni parametri epidemiologici e parassitologici della metacestodosi negli ovini della Sardegna. Nel contempo sono stati anche valutati la tipologia e la distribuzione nel SNC delle lesioni causate dai cenuri durante le varie fasi della malattia.Materiali e metodiL’indagine è stata condotta tra Aprile 2001 e Marzo 2003. Sono stati esaminati 107 ovini di razza sarda colpiti da Cenurosi da C. cerebralis provenienti da tutte le zone della Sardegna, di età compresa tra 4 e 36 mesi. Tutti i soggetti prima del decesso venivano sottoposti ad esame clinico con osservazione del comportamento generale, di qualsiasi anomalia di postura e deambulazione. Successivamente veniva effettuato l’esame necroscopico con asportazione dell’encefalo e/o del midollo spinale sulla base dei dati clinici. L’encefalo prelevato secondo le tecniche di routine, fissato in formalina al 10%, veniva sezionato trasversalmente a livello di corteccia frontale, nuclei basali, talamo, mesencefalo, obex e cervelletto. Tutte le lesioni riscontrate macroscopicamente venivano registrate su apposita scheda, nella quale si riportavano l’esatta localizzazione delle stesse, le dimensioni e il tipo. Sono stati quindi allestiti preparati istologici colorati con Ematossilina-Eosina per valutare il tipo e la dinamica delle lesioni. Per l’elaborazione dei dati gli ovini esaminati sono stati suddivisi in classi d’età: < 6 mesi; 6-12; 12-18; >18.Risultati e considerazioniI dati ottenuti evidenziavano come la Cenurosi colpisca preferibilmente i soggetti di età inferiore ai 12 mesi, 55,1% (grafico n°1). Il trend stagionale rilevato per la Cenurosi cerebrale è riportato nel grafico n°2. I picchi più alti di prevalenza si registrano durante il periodo primaverile ed autunnale. In primavera prevalgono le forme acute negli agnelli, mentre in autunno quelle croniche nelle saccaie così come riportato da Scala et al. (1992). Un andamento stagionale di questo tipo si può spiegare con il fatto che i cani in autunno hanno maggiore disponibilità di cisti mature di Coenurus cerebralis, perciò dopo un periodo di prepatenza di circa due mesi, il cane è in grado di eliminare con le feci un certo numero di uova infestanti, determinando così un inquinamento ambientale proprio nel periodo in cui gli agnelli vanno al pascolo. I massimi livelli d’infestazione si raggiungono quindi in primavera, stagione in cui si registrano anche le condizioni di umidità e di temperatura ideali per la sopravvivenza delle uova nel terreno e gli agnelli risultano più sensibili all’infestione a causa del loro non completo sviluppo del sistema immunitario; le prevalenze dell’infestione descritte durante i mesi invernali, potrebbero essere attribuite, invece, all’incidenza degli stress climatici e nutrizionali propri di questa stagione che favorirebbero lo sviluppo delle uova eventualmente ingerite in questo periodo (Herbert et al., 1984). Il numero di cisti di C. cerebralis nelle diverse classi d’età è risultato correlato negativamente con l’età (Achenef et al., 1999), che invece risulta correlata positivamente con le dimensioni delle stesse. Il numero medio dei cenuri diminuisce con l’aumentare dell’età r=-0,85. Nei soggetti appartenenti alla classe di 6-12 mesi il numero medio di cenuri è risultato pari a 2,9 cenuri con un numero massimo di 10 cisti. Invece nei soggetti con più di 18 mesi si rileva un numero medio di 1,2 cenuri con valori massimi che si attestano sui due cenuri. Anche le dimensioni delle cisti sono correlabili con l’età: i soggetti giovani avranno cisti multiple di dimensioni medie comprese tra 0,8 e 2 cm2, mentre gli adulti avranno al massimo due cisti di circa 6 cm2 (grafico n° 3). E’ evidente quindi che la correlazione positiva tra età e dimensioni delle cisti indica che queste ultime tendono ad aumentare ovviamente col progredire della patologia nel tempo. Laddove invece non si rilevavano formazioni cavitarie, cioè non erano evidenti cisti di C. cerebralis si potevano riscontrare altri tipi di lesioni (grafico n°4). Il tipo di lesioni è strettamente correlato con l’età dei soggetti, fondalmentalmente sono state riscontrate tre tipi differenti: lesioni necrotico-purulente che comprendono tragitti

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necrotico-purulenti superficiali; tragitti e focolai necrotici profondi; formazioni cavitarie con cisti e lesioni secondarie quali idrocefalo ed assottigliamento del tavolato osseo. I tragitti necrotico-purulenti superficiali e profondi, scavati dalle larve durante la loro migrazione sulla superficie e/o nello spessore delle corteccia cerebrale appaiono di colore giallastro e tortuosi e possono coivolgere vari tratti del SNC. Come focolai sono stati considerate le lesioni che coinvolgono aree ben delimitate del tessuto nervoso interessate dalla necrosi, mentre per formazioni cavitarie s’intendeva lo spazio occupato dalla cisti del Coenurus cerebralis, che sviluppandosi determinavano atrofia da compressione dei tessuti circostanti. Le lesioni secondarie sono causate da cisti parassitarie in grado di determinare un ostacolo al deflusso del liquido cerebro-spinale che, ristagnando nei ventricoli laterali, tende a creare lesioni collaterali, cranialmente o caudalmente alla cisti di C. cerebralis quali dilatazioni dei ventricoli laterali (idrocefalo ventricolare meccanico). Inoltre sono state rilevate lesioni del tavolato osseo, quali lievi assottigliamenti e/o delle vere e proprie erosioni dello stesso, causate da cisti di grosse dimensioni. Istologicamente le formazioni cavitarie si presentano come aree otticamente vuote che talvolta contengono la membrana parassitaria qualora rimasta in situ, costituita da uno strato cuticolare e da uno reticolare (Di Marco et al., 1998). Queste cavità possono essere delimitate da una reazione granulomatosa con macrofagi e cellule giganti e da un infiltrato infiammatorio; le lesioni necrotiche sono costituite da un’area necrotica centrale delimitata da cellule macrofagiche disposte a palizzata, di tipo epitelioide e da un modesto infiltrato mononucleare nel quale si rilevano spesso cellule polinucleate; sono di frequente riscontro i manicotti mononucleari perivascolari con rari eosinofili (Doherty et al., 1989). Le lesioni cavitarie costituiscono quelle più comuni ( 73,6% sul totale di quelle riscontrate), ma non sono correlabili con l’età (r=0,54), mentre lo risultano gli altri due tipi di lesioni: quelle necrotico-purulente, correlate negativamente (r=-0,96) e quelle secondarie positivamente (r= 0,96), (grafico n°5). L’elaborazione statistica di dati relativi alle prevalenze di differenti tipi di lesione effettuate tramite �2 test, evidenzia delle differenze significative esclusivamente analizzando singolarmente i diversi tipi, così come deducibile dall’esame della tabella n°6. Il parassita non ha un particolare tropismo per le aree subcorticali e ciò deve essere attribuito alla sua dinamica che lo porta più facilmente a localizzarsi nelle regioni superficiali del cervello piuttosto che in quelle profonde, che costituiscono infatti il 10% di quelle totali. Esiste però una correlazione negativa tra età e presenza del parassita nelle zone subcorticali, soprattutto nelle classe di soggetti tra i 6 e 12 mesi (grafico n°7). Il 37,4% dei nostri soggetti presentava contemporaneamente più tipi di lesioni (grafico n°8); perciò alle formazioni cavitarie con cisti possono essere associate lesioni necrotico-purulente o lesioni secondarie; in qualche soggetto possono essere presenti contemporaneamente i tre tipi di lesione (tabella n°9).La Cenurosi assume un trend differente nelle diverse classi d’età: i giovani agnelli presenteranno cisti multiple che possono arrivare fino a 10 in uno stesso individuo, responsabili delle fase acuta. La presenza di più cisti dipende presumibilmente da due fattori: il numero di uova ingerite che risultano numerose nei pascoli durante la stagione primaverile e il sistema immunitario dell’ospite non ancora maturo. Perciò l’ingestione di un gran numero di uova da parte di giovani agnelli il cui stato immunitario non ha ancora completato il suo sviluppo e quindi non ancora in grado di contrastare in maniera efficiente lo sviluppo del parassita, favorisce l’evoluzione delle larve ingerite in cisti di C. cerebralis. Quindi la gravità della forma acuta non dipende dall’azione meccanica delle cisti, ma dall’infiammazione causata dal parassita in migrazione responsabile delle formazione di lesioni necrotico-purulente particolarmente frequenti in questa classe d’età. Pertanto la forma acuta, associata alla migrazione del parassita, ai primi stadi di sviluppo può rendersi responsabile di sintomi clinici non specifici che nè rendono difficile la diagnosi (Doherty et al., 1989). Gli adulti invece presentano la fase cronica della malattia causata da cisti mature di dimensioni maggiori rispetto a quelle riscontrabili nei soggetti più giovani che esercitano un’azione compressiva sia sul tessuto nervoso, determinando fenomeni di atrofia più o meno marcati, che sulla teca ossea dove si possono presentare evidenti fenomeni di erosione quando l’azione meccanica della cisti sia protratta nel tempo. Questi soggetti presentano un numero massimo di cisti che oscilla tra 1 e 2. La correlazione negativa tra numero e dimensioni indica che le cisti raggiungono dimensioni maggiori quando il loro numero è basso, in genere quando è presente una sola cisti (Achenef et al., 1999).ConclusioniI risultati di quest’indagine hanno evidenziato che la Cenurosi cerebrale negli ovini al pari di altre metacestodosi, quali l’Idatidosi da Echinococcus granulosus (Scala et al. 2000) e la Cisticercosi da Cysticercus tenuicollis (Scala et al. 2002), costituiscono per la Sardegna un problema sanitario ed economico di primaria importanza per il settore ovino e possono mettere a repentaglio anche la salute dell’uomo. I risultati ottenuti hanno consentito di meglio definire il trend e gli aspetti anatomo-istopatologici assunti dalla patologia nell’isola. In particolare i quadri lesivi riscontrati hanno messo in evidenza la possibilità che in uno stesso soggetto coesistano tipi differenti di lesioni in diverse localizzazioni; per questo motivo potrebbe risultare particolarmente difficile effettuare una esatta diagnosi di sede in questa tipologia di soggetti che costituiscono il 37,4% dei casi da noi esaminati. Infatti non sempre è possibile associare la sospetta localizzazione della cisti diagnosticata sulla base dei dati clinici, con la effettiva posizione del parassita rilevabile successivamente all’esame anatomo-patologico. Dunque una maggiore conoscenza di questa neuropatologia s’impone per la necessità di differenziarla rispetto ad altre patologie nervose clinicamente confondibili con la Cenurosi (Cancedda et al., 2002).BibliografiaAbo-Shehada Mahmoud N., Jebreen Eyad, Arab Baker, Mukbel Rami, Torgerson Paul (2002) – Prevalence of Taenia multiceps in sheep in northern Jordan. Preventive Veterinary Medicine, 55, 201-202. Achenef M., Markos T., Feseha G., Hibret A., Tembely S. (1999) - Coenurus cerebralis infection in Ethiopian Highland sheep: incidence and observation on pathogenesis and clinical signs. Tropical Animal Health and Production, 31, 15-24. Cancedda M.G., Scala A., Chighine C., Piazza C., Sardo D., Varcasia A., Ligios C. (2002) – Quadri clinici della Cenurosi ovina e diagnosi differenziale con altre neuropatologie. Atti S.I.P.A.O.C., XV, 16. Di Marco V., Riili S., Zanghì P., Capucchio M.T., Giraldo A., Guarda F. (1998) - Dati epidemiologici e reperti patologici della Cenurosi negli allevamenti ovi-caprini siciliani. Large Animals Review, 3, 79-86. Doherty M.L., Bassett H.F., Breathnach R., Monaghan M.L., McErlean B.A. (1989) – Outbreak of acute Coenuriasis in adult sheep in Ireland. Veterinary Record, 125, 185. Edwards G.T., Herbert V. (1982)- Observation on the course of Taenia multiceps infections in sheep: clinical signs and post-mortem findings. British vet. Journal, 138, 489-500. Herbert V., Edwards G.T. (1984) - Some host which influence the epidemiology of Taenia multiceps in sheep. Annals of Tropical Medicine and Parassitology, 78 (3), 243-248. Lia R., Puccini A. Lia R., Puccini A. (1998) - La Cenurosi nell’allevamento ovino. O&DV, 7-8, 43-48. Scala A., Ligios C., Leoni A., Nieddu A.M. (1992) - Cenurosi degli ovini in Sardegna: rilievi epidemiologici, parassitologici ed anatomoistopatologici. Atti S.I.S.Vet XLVI, 1435-1439. Scala A., Pintori A., Uras P., Delogu M.L.(2000) - Hepatic and pulmonary hydatidosis of sheep in the province of Sassari: data from a recent survey. Parassitologia 42 (Suppl.1), 223. Scala A., Urrai G., Ruiu A., Leoni A., Marrosu R., Garippa G. (2002) – Una metacestodosi sottovalutata negli ovini: la Cisticercosi da Cysticercus tenuicollis .Atti S.I.P.A.O.C., XV, 92. Lavoro eseguito con fondi ex 60%.

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Grafico n° 1: Distribuzione casi per età

Grafico n° 2: Stagionalità

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Grafico n° 3: Dimensioni delle cisti per età (sezione)

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Grafico n° 4: Media numero cenuri per età e valori massimi e minimi

Grafico n° 5: Tipo di lesioni in %

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Tabella n° 6: χ2trend: confronto dei tipi di lesione

Grafico n° 7:Lesioni subcorticali in relazione all’età

Grafico n° 8: Soggetti con una o più tipi di lesioni �2= 13,63; P= 0,0002

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Tabella n° 9: Distribuzione dei differenti tipi di lesione

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OUTBREAK OF COENUROSIS IN ADULT SHEEP IN VITERBO’S DISTRICT (ITALY)

Tarantino C.1, Taccini E. 1, Corazza M. 2, De Santis B. 3, Braca G. 1

1 Department of Animal Pathology, V.le delle Piagge 2, 56124 Pisa. Tel 050570737; Fax 050540644; e.mail: [email protected]

2 Department of Veterinary Clinic, V.le delle Piagge 2, 56124 Pisa.3 Veterinary Practionier

AbstractThe pathology produced in nervous tissue by migration and localization of larvae (Coenurus cerebralis) of Multiceps multiceps (Leske, 1780) is characterized by single or multiple cysts. We report an outbreak of coenurosis in a flock in Viterbo’s district (Italy), describing symptomatological and anatomopathological aspects and discussing the differential diagnosis. The prevalence of symptomatology, come out on 30 animals in 2000-01, was been reduced by elimination of dogs and control of wild animals. It was characterized by circling, staggering, neck’s rigidity, lethargy and “pedalage”. Necropsy of 15 animals revealed gross lesions consisting in parasitic cysts, sometimes very large, situated into and on the surface of the brain which, once open, showed a serous liquid containing a lot of protoscolices. Histologically it was possible to observe a chronic inflammatory infiltrate containing some and very large giant cells. In the nervous tissue, pathway of traumatic malacia foci with granulomatous lesions were present.Bacteriological analysis for Listeria spp. and histopathological investigations for Scrapie are negative.

IntroductionCoenurosis or “gid disease” is a pathology of the nervous tissue due by migration and localization of cyst –like larval form of the cestode M. multiceps (Leske, 1780), known as Coenurus cerebralis. The cestode belongs to the family Taeniidae. Coenurosis is a frequent disease in sheep (reported in goat, cattle and also in horse and human beings) it is characterized by the presence of single or multiple cysts localized in nervous tissue of the head, less frequently in medulla oblongata and spinal cord. Dogs, foxes, wolves are the primary source of coenurosis because they are the final host of Taenia multiceps.We report an outbreak of coenurosis in a flock in Viterbo’s district (Italy), describing symptomatological and anatomopathological aspects and discussing the differential diagnosis. We think that it is very important to remind this common parasitic disease of the sheep because of its clinical signs are variable and may confused with other nervous pathologies. In these years the neurologic syndromes of the ovine have become very important. In central Italy regions some foci of Scrapie are been pointed out. It is been experimentally demonstrated that BSE is transmissible to the ovine specie. In the sheep there isn’t any clinically difference between the BSE and the Scrapie. Therefore, the application of an active program from 1° January 2002 for the control of transmissible spongiform encephalopathies in the adult sheep is performing in Italy. On the other hand, the neurologic disease caused by Listeria monocytogenes, is important to remind because of its high anthropo-zoonotic implication. Between the most important neuropathologies, the tetanus has an fundamental role, because of the frequency of lesions related to the shearing and, consequently, the high risk of Clostridium tetanii’s spores contamination. Finally, lead and other heavy metals poisoning pathology is accidentally observed in some industrialized areas in which particular contaminants are present.

Materials and methodsBreeding managementA flock of 1000 comisana sheep has been signalized to us from authority because of the presence of less or more evident neurologic symptoms in some animals. The sheep are breeded in close paddocks since 6 years and feeded with unifeed whose hay comes from farm’s field. All the sheep were vaccinated against clostridial infections, Cl. tetanii and Pasteurella multicida (Miloxan®, Merial). They were also regularly treated against nematode (Panacur®, Hoechst Roussel vet.), and ectoparasites (Cydectin ®, Fort Dodge) and cestode (Neomanzonil ®, Bayer). The farm was located in Viterbo’s country on a hilly a landscape where wild animals (like foxes) and hunting dogs were allowed in the farm’s field because of the lack of fence around the farm. Until 2002 some dogs were present in the farm but they are been eliminated.Clinical observationsThe farm owners reported some cases of lamb’s acute mortality with nervous symptoms. Some sheep became depressed, ceased feeding on the pasture and failed to respond to surrounding conditions. The animals became visibly thinner. The position of the head and the gait and behavioural changes were recorded.

Post mortem examinations Fifteen animals were examined post mortem. The head was removed by ventral disarticulation of the atlanto-occipital joint and, after removal the skin, the area just caudal to the frontal bone was cut, followed by two parallel cuts on the parietal bone. The bone was removed using a chisel and a hammer to expose the brain. A detailed examination was made for gross pathological lesions. Cysts’ localizations and measures were recorded. Tissue samples were fixed with 10% buffered formalin, processed routinely and stained with H & E and PAS.

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ResultsClinical observationsThe farmer reported that in the period between 2000-2001 some sheep became depressed, ceased feeding on the pasture becoming visibly thinner and failed to respond to surrounding conditions. Some of these animals showed periodic fits of giddiness, they moved in circles either to the right or left. The attacks of gid may last anywhere from few minutes at to one hour or more. Some sheep bended their heads or got it down and manifested neck’s rigidity, lethargy and “pedalage” when down, unable to stand up. The clinical signs usually show an accurate correlation with the localization of the cysts within the brain (Achenef et coll., 1999; Doherty et coll.., 1989). The prevalence of symptomatology, come out on 30 animals in 2000-01, was been reduced by elimination of dogs and control of wild animals. Bacteriological analysis for Listeria spp. and histopathological investigations for Scrapie were negative.

Post mortem examinations Necropsy of 15 symptomatic animals revealed gross lesions consisting in parasitic cysts (Fig. 1 and 2), sometimes very large, situated into and on the surface of the brain. None had Oestrus ovis.These cysts, at the opening, showed a serous transparent liquid containing a lot of protoscolices. The diameter of the cysts ranged from 1 cm to 5 cm and they had thin transparent wall with whitish specks representing invaginated scolices.There are not strict correlations between cysts volume and severity of the symptoms; on the contrary the most important element that influence the symptomatology was the location of the cysts.Histologically it was possible to observe lesions typically associated of chronic coenurosis (Jubb et coll., 1993). In particular it was possible to observe, near the parasitic cysts, sometimes the presence of a massive flogosis, sometimes pathway of traumatic malacia foci with granulomatous lesions (Fig. 3) or in the nervous tissue, foci of malacia surrounded by very large giant cells (Fig.4) caused by larvae’s migration (Di Marcoe et coll., 1998)

Fig. 1 Parasitic cyst presents on the surface

Fig.4: Foci of malacia surrounded by very large giant cells.

DiscussionCoenurosis is one of the most common causes of neurologic diseases in sheep. In Italy the parasitosis is everywhere diffused but a true prevalence of coenurosis is difficult to assess because farmers and veterinarians often diagnose the disease and send the animal for slaughter without either confirmation or reports. In addiction some affected animals die on the hills and go undiagnosed. In fact, since sheep heads are rarely examined for Coenurus cerebralis, it is difficult to estimate the prevalence of sub-clinical coenurosis. In Europe, after the diffusion of the Bovine Spongiform Encephalitis and the experimental

Fig. 2 Transversal section of a cyst in formalin fixed brain. of the sheep brain (arrow).

Fig. 3 Pathway of traumatic malacia foci with granulomatous lesions.

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demonstration of its transmission to the ovine specie (simptomatologically indistinguishable from Scrapie) a new attention is request for a correct evaluation and diagnosis of coenurosis and the other neurologic diseases that affect the sheep. Coenurosis in sheep may take either an acute or chronic form; its clinical picture depends partially on the localization of the cyst in the brain, and on the size and the nature of the pathological changes (Martin and Aitken, 1991). The acute form of the disease occur prevalently in lambs and a differential diagnosis is required with some intoxication (i.e. pesticides and lead poisoning) or bacterial infection (Cl. tetanii and Listeria spp.). In fact some sheep may die between the 5th and the 7th day after infection , at the appearance of acute meningo-encephalitis. In the majority of cases the disease assume a chronic nature during which a symptomatology, that resemble the gadfly disease or Scrapie - BSE form, is observed. In our cases the epidemiological data and finally the anatomopathological and microbiological reports are fundamental for the diagnosis.However, in the latter cases the symptoms are less characteristic and are distinguished by the fact that the animals reverse directions while going around in circles. In addition, during coenurosis, purulent discharge from the nose, typical of gadfly infestion, is not observed.

ConclusionsIn conclusion, as reported in literature, coenurosis should be eliminated by the regular anthelmintic dosing of dogs and preventing their access to sheep carcasses. This could be useful to facilitate the control programs of listeriosis and Transmissible Spongiform Encephalopathies and because of the zoonotic potential of this parasitosis.

References1. Achenef M., Markos T., Feseha G., Hibret A., Tembley S. (1999). Coenurus cerebralis infection in ethiopian highland sheep:

incidence and observations on pathogenesis and clinical signs. Tropical Animal Health and production, 31, 15-24.2. Di Marco V., Riili S., Zanghì P., Capucchio M.T., Giraldo A., Guarda F. (1998). Dati epidemiologici, parassitologici e reperti

patologici della cenurosi negli allevamenti ovi-caprini siciliani. Large Animals Review, n°3, Settembre, 79-86.3. Doherty M.L., Bassett H.F., Breathnach R., Monaghan M.L., McErlean B.A. (1989). Outbreak of acute coenuriasis in adult sheep

in Ireland. Vet. Record, 125:8, 185.4. Jubb K.V.F., Kennedy P.C., Palmer N. (1993). Pathology of domestic animals. vol.1 Academic Press Inc, California.5. Martin W.B., Aitken I.D. (1991). Diseases of sheep. Blackwell Scientific Publications, London.

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AGGIORNAMENTI SULL’EPIDEMIOLOGIA DI Echinococcus granulosus IN SARDEGNA

Piazza C., Sardo D., Garippa G., Scala A., Varcasia A.

Dipartimento di Biologia Animale, Sezione di Parassitologia-Malattie Parassitarie,Università degli Studi di Sassari.

Summary: Update on the epidemiology of Echinococcus granulosus in SardiniaThe aim of this work is to supply an update on the epidemiological trend of Echinococcosis in its definitive host the dog as well as in sheep. For this reason, since january to april 2003, liver and lungs samples have been taken of 250 sheep of the Sardinian breed, butchered by various slaughterhouses in the Provinces of Sassari and Nuoro, and their age and provenience has been determined. Moreover faecal samples of 149 dogs coming from the aforesaid zones have been examined. The number, location, type and fertility of the cysts has been determined in the lab. The macro and microscopical exam was performed on the faecal samples to respectively assess the presence of proglottids (and/or adult worms) and of Taeniid eggs through the sedimentation and flotation technique. Each faecal sample was processed with the Allan et al. (1992) method to the following determination of Echinococcus granulosus’ coproantigens through CA-ELISA (Ekinotest by Bommeli).A prevalence of 67,6% has been found in the examined sheep; however the percentage of sheep with fertile hydatids was of 8,6% and 17,5% respectively in Sassari and Nuoro Provinces (χ2 = 13,17; P = 0,0002).In the dogs, the copromicroscopic exam has high-lighted only four positive samples for Taeniid eggs, while CA-ELISA for coproantigens detection has determined a prevalence of infection of 8,1% (χ2 = 4,23; P = 0,039).

PremessaL’Echinococcosi rappresenta un importante problema di sanità pubblica in numerose aree del mondo e assume fra l’altro particolare rilevanza nel bacino del Mediterraneo, dove è considerata una delle principali parassitosi degli animali in produzione zootecnica e riveste un notevole significato sociale per l’alta diffusione nell’uomo (Eckert et al, 2001). In Sardegna, ad oltre dieci anni dall’ultima campagna di eradicazione dell’Echinococcosi, si registrano ancora negli ovini delle prevalenze allarmanti, come documentato da Scala et al. (2001). Inoltre, nonostante esistano numerosi lavori sulla diffusione di questa importante zoonosi, mancano soprattutto dei dati aggiornati che documentino la situazione epidemiologica dell’Echinococccosi nel suo principale ospite definitivo, il cane. Pertanto l’obiettivo del presente lavoro, tuttora in corso, è quello di fornire degli aggiornamenti sul trend parassitologico dell’infestazione, sia negli ovini che nel cane. Materiali e metodiDa gennaio ad aprile 2003, sono stati esaminati 250 ovini di razza Sarda regolarmente macellati in diversi mattatoi delle Provincie di Sassari e di Nuoro, dei quali si determinava provenienza, età e modalità di allevamento. Su ogni capo riscontrato positivo all’infestazione sono stati quindi valutati il numero, la localizzazione e il tipo di idatidi riscontrabili secondo la seguente classificazione: fertili, acefalocisti, caseose e calcificate. Al fine di valutare la fertilità di tali formazioni, sono state prelevate, attraverso le tecniche di routine, le membrane proligere e i protoscolici. Di questi ultimi è stata valutata la vitalità attraverso l’esame a fresco (conformazione, movimenti, evidenziazione delle cellule a fiamma vibratili) ed eventuale colorazione con coloranti vitali (rosso neutro 0,5%). Il monitoraggio epidemiologico nei confronti dell’Idatidosi ha inoltre tenuto conto, al fine di valutare il grado di pressione parassitaria esercitata sul territorio dal cestode, di altri due importanti parametri quali, il tasso di prevalenza dell’infestazione mista (fegato e polmone) e la percentuale di soggetti con infestazioni massive (>10 Idatidi). Per valutare il grado di infestazione nell’ospite definitivo è stato raccolto materiale fecale da un campione statisticamente significativo di 190 cani da pastore delle Provincie di Sassari e Nuoro (livello di confidenza 0,95). Ciascun campione fecale, previo congelamento a –80° per 96 ore, è stato suddiviso in 3 aliquote: la prima, dopo un preliminare esame macroscopico per la ricerca di eventuali parassiti e/o proglottidi, è stata sottoposta ad esame copromicroscopico per sedimentazione e successiva flottazione utilizzando una soluzione di Tiosolfato di Sodio (p.s. 1.450) finalizzata all’evidenziazione di uova di tenidi; la seconda aliquota è stata processata secondo la metodica di Allan et al. (1992) per la determinazione, mediante ELISA (Ekinotest, Bommeli), degli antigeni di secrezione-escrezione di Echinococcus spp. eventualmente presenti nelle feci, i cosiddetti coproantigeni (CA); infine, la terza aliquota, rappresentata da tutti i campioni positivi al test immunoenzimatico veniva stoccata a –20°C per la successiva estrazione del DNA e validazione dell’ELISA mediante PCR specie specifica che verrà eseguita in una seconda fase del progetto.

RisultatiL’indagine condotta sugli ovini ha consentito di rilevare una prevalenza totale all’infestazione per Echinococcosi cistica del 67,6% con una fertilità del 11,2%. L’Abbondanza (numero Idatidi/ animali esaminati) è risultata 5,4, mentre l’Intensità Media (numero Idatidi / animali positivi) 8,0. La Provincia di Nuoro si è confermata il distretto in cui si rileva la Prevalenza più alta all’infestazione (85,9%) e i livelli di fertilità delle Idatidi più elevati (17,5%). In Provincia di Sassari i livelli di infestazione hanno mostrato un lieve calo rispetto agli ultimi rilievi effettuati; infatti la prevalenza si è portata dal 75,6% nel 2001 (Scala et al, 2001) al 59,8% attuale, mentre il tasso di fertilità è risultato pressochè costante (8,6%). La differenza fra le prevalenze e la fertilità delle due Provincie messe a confronto è risultata in entrambi i casi statisticamente significativa al Test del χ2 (P < 0,001). Ulteriori dati su prevalenze e fertilità delle idatidi riscontrate sono riportate nel grafico n°1.

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Grafico n°1:

Per quanto riguarda i cani, l’esame macroscopico dei campioni fecali non ha mai consentito il riscontro di forme parassitarie e/o di loro forme di propagazione, mentre quello copromicroscopico ha permesso di evidenziare uova di tenidi solo in quattro campioni (2,6%). Inoltre l’eventuale riscontro di uova di Taenia spp. non consente all’operatore una diagnosi di specie, data la notevole somiglianza delle uova dei parassiti che appartengono a questo Taxon. La metodica immunoenzimatica utilizzata per la ricerca dei coproantigeni di Echinococcus spp. ha consentito di determinare una prevalenza dell’infestazione dell’8,1% (n° 8). Il confronto statistico tra le due metodiche diagnostiche utilizzate ha evidenziato differenze significative tra loro per ciò che concerne i valori di positività evidenziati (χ2 = 4,23; P = 0,039).

ConsiderazioniLa presente indagine ha consentito di rilevare negli ovini una situazione epidemiologica non omogenea nei territori considerati. La Provincia di Nuoro si conferma un distretto in cui il Cestode esercita un’alta pressione parassitaria, riscontrandosi prevalenze ancora molto elevate accompagnate da livelli di fertilità preoccupanti.Differente invece il “trend” delle parassitosi negli ovini allevati in provincia di Sassari, in cui si evidenzia un decremento dei principali parametri epidemiologici (prevalenza, fertilità, etc.), probabilmente da mettere in relazione anche ad un’aumentata sensibilità degli allevatori che con un più attento management, una più razionale alimentazione e l’utilizzo di trattamenti antiparassitari periodici contro i Nematodi con Benzimidazolici (Scala et al, 1999), molecole attive anche contro le forme larvali di Echinococcus granulosus (Garippa et al., 1998), e che favoriscono, in virtù della loro attività contro i nematodi gastrointestinali e broncopolmonari, una più efficace risposta immunitaria degli ovini contro le idatidi, rispetto ai piccoli ruminanti allevati in provincia di Nuoro.E’ tuttavia anche ipotizzabile il fatto che consuetudini più arcaiche legate all’allevamento ovino (uso di pascoli demaniali, transumanza, etc.) siano maggiormente “radicate” nel Nuorese e che queste consentano soprattutto in questo territorio l’estrinsecarsi in tutta la sua “virulenza” del problema Echinococcosi.L’indagine sui cani ha consentito di rilevare delle prevalenze più contenute rispetto agli ultimi dati disponibili a riguardo in Sardegna, sebbene questi ultimi siano stati ottenuti mediante riscontro diretto del parassita (Arru et al., 1991). La metodica ELISA ha inoltre confermato i limiti, peraltro già noti, dell’esame coprologico nella diagnostica delle Cestodosi.Il kit immunoenzimatico utilizzato per la ricerca dei coproantigeni si è dimostrato inoltre maneggevole e sicuro per l’operatore in quanto la soluzione con i coproantigeni non contiene uova del cestode (Allan et al., 1992) e ha consentito di processare contemporaneamente un gran numero di campioni. Purtroppo l’utilizzo di anticorpi policlonali può determinare delle cross-reazioni con altri cestodi tenidi, come Taenia hydatigena, che possono costituire quindi un fattore di complicazione in aree dove queste parassitosi sono endemiche. Per questo è sicuramente interessante affiancare alla metodica immunoenzimatica una tecnica più sensibile come la PCR, o implementare la sensibilità della metodica ELISA utilizzando anticorpi monoclonali specifici, così come suggerito recentemente da Malgor et al. (1997).Tuttavia il rilievo nei cani di positività per T. hydatigena, dimostra un effettivo fallimento di tutte le misure di profilassi e controllo anche per l’Echinococcosi, in quanto è evidente in entrambi i casi come i cani abbiano avuto libero accesso ai visceri di animali morti naturalmente e/o macellati portatori della metacestodosi (Scala et al., 2002).

ConclusioniPurtroppo anche la presente indagine ha confermato, seppur in presenza di qualche dato confortante acquisito negli ovini in provincia di Sassari, che l’Echinococcosi-Idatidosi costituisce per l’isola ancora oggi un importante problema sanitario in grado di coinvolgere in modo significativo le performances del settore zootecnico più importante e di poter compromettere in modo non sottovalutabile la salute pubblica. Gli interessanti progressi scientifici in campo diagnostico nel cane potrebbero costituire un importante cardine su cui basare eventuali ulteriori piani di controllo della parassitosi in Sardegna.

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Realizzato con la collaborazione tecnica del sig. M.S. Nieddu - Fondi MURST - legge 488/98

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PATHOLOGICAL OBSERVATIONS OF A FOCUS OF CYSTICERCOSIS IN IMPORTED CATTLE

Preziuso S.°, Taccini E.°, Pardini S.*, Braca G.°

° Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi e Igiene degli Alimenti – Università di Pisa (Italy)* Azienda USL 3 Pistoia (Italy)

AbstractBovine cysticercosis is caused by Cysticercus bovis, the larva of human Taenia saginata (Goeze, 1782). Despite this zoonosis has been known since early times, it is still present in several areas of Europe. Besides being a risk for human health, bovine cysticercosis causes significant economic losses in consequence of the low temperature treatments or the destruction of contamined carcasses.In this work it is described an unusual focus of bovine cysticercosis observed in 7 out of 27 Limousin cattle imported since about two months from the French department 19 (Correze) and slaughtered in different abattoirs of Tuscany (Italy).The parasitic infection appeared very diffused. During post-mortem examination, several whitish cysts, about 2-4mm x 6-9mm in size, not calcified and located in different sites were detected.Histopathological examination of the involved tissues revealed cellular reactions of different severity.A close morphological and histopathological examination is very important not only for a differential diagnosis, but also for the indication of the minimum and maximum time of infection, helping the reconstruction of the infection evolution and the application of specific preventive treatments.

IntroductionBovine cysticercosis is caused by Cysticercus bovis, the larva of human Taenia saginata (Goeze, 1782). Despite this zoonosis has been known since early times, it is still present in several areas of Europe. Control measures, mainly relied upon meat inspection at slaughtering, have been recently implemented in order to reduce teniosis/cysticercosis prevalence. The number of cases has thus markedly decreased but the residual incidence of T. saginata and C. bovis, both in humans and cattle, shows that the parasitic cycle remains active in EU Member States. Although human T. saginata teniosis is not a significant public health issue, its current persistence in developed countries causes debilitation in humans and can be considered as an indicator of poor hygiene and as such, its control should be investigated in a global perspective of public hygiene. Man is the final host: the adult worms live in the small bowel and the eggs in proglotis are excreted with the faeces. Cattle are the intermediate host: bovine cysticercosis is the consequence of an oral infection with embrionated eggs. After ingestion, the embryos (oncosphere) move from the intestine to striated musculature, where they develop into small vesicles (cysticerci) containing one head (protoscolex) of the future tapeworm. The life cycle is completed when humans consume undercooked beef which contains viable cysticerci.Veterinary at slaughterhouse plays an important role in public health protection. The identification of C. bovis during meat inspection is important for the prevention of this zoonosis, but also others measures should be taken. For example to find the farm where the cattle were infected would let the application of targeted and effective prevention plans. Lastly, because the economic losses due to the low temperature treatments or destruction of the infested carcasses, it could be necessary to identify the farm where the infestion has occurred, mainly when cattle are recently imported.In this work it is described an unusual focus of bovine cysticercosis observed in 7 out of 27 Limousin cattle imported since about two months from the French department 19 (Correze) and slaughtered in different abattoirs in Tuscany (Italy). Both for the significant economic losses and for the farmer health protection it has been necessary to investigate the times of the infestion, in order to estabilish in which farm (French or Italian) the infestion has occurred.

Materials and methods27 Limousin cattle, born in March 2001 in a French farm of the sanitary Department 19 of Correze, were imported in September 2001 by a Tuscan (Italy) farmer. After two months the animals were slaughtered in different abattoirs placed in Tuscany and meat inspections were performed according to Directive 64/433/CEE and the Italian D.Lvo n. 286 18/4/1994 (application of Directives 91/479/CEE and 91/489/CEE). Samples of different cysticerci were collected from the infested muscles, fixed in 10% buffered formalin and embedded in paraffin. For histopathology, 4μm sections, haematoxylin and eosin stained, were observed at light microscopy.

Fig. 1 Fig. 2Fig. 1: bovine heart; C. bovis in myocardium. The cysts are round or elongated in shape and surrounded by a whitish tissue reactionFig. 2: bovine masseter muscle. C. bovis is surrounded by two distinct layers of cellular (inner) and fibrous (outer) tissue reaction. H.E., 5 X

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Fig. 3 Fig. 4

Fig. 3: bovine diaphragm. Inner layer of tissue reaction surrounding C. bovis: several mononuclear cells, eosinophil granulocytes and scattered giant cells. H.E., 20 X (inset 40 X)Fig. 4: bovine hearth. Outer layer of tissue reaction surrounding C. bovis: compact fibrous tissue, with fibroblasts and scattered inflammatory cells. H.E., 20 X (inset 40 X)

Discussion and ConclusionsThe results described show the presence of parasitic cysts with tissue reaction of different severity, but referable to

a non recent infestion. The clean demarcation between the two cellular and fibrous layers, the presence of a compact fibrous connective tissue, the high number of mononuclear cells and the presence of small/numerous areas of dystrophic calcification in several cysts, suggest an inflammation since at least two months. Thus our results suggest the source of infestion has to be investigated in the French farm where the cattle were coming from. Since there not exists a formal notification of tapeworm carriership in humans in any EU Member State, it is quite probable the official epidemiological data underestimate the actual human Taenia carriership. It has to be considered also that these prevalences may increase also because many people handling animals are coming from countries with high prevalences of T. saginata infestion and often they are not checked for the presence of intestinal parasites.In conclusions, every time a case of bovine cysticercosis is found, it would be recommendable to investigate the source of infestion and to apply specific therapeutic and preventive plans.

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EFFETTO DELLE TEMPERATURE AMBIENTALI SU ALCUNI PARAMETRI EMATICI E SULL’ESCREZIONE FRAZIONARIA DEGLI ELETTROLITI NELL’ALPACA (LAMA PACOS)

Morgante M., Stelletta C1., Tacchio G.

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Padova, 35020 Legnaro (PD). Tel. +39 049

8272942 E-mail: [email protected]à degli Studi di Perugia.

Effect of environmental temperature on some blood parameters and fractional excretion of electrolytes in the alpaca (Lama pacos) - The influence of environmental temperature variations on some blood parameters and on fractional excretion of electrolytes was studied on six female alpacas. Blood and urine samples were collected at 2-h intervals for 24 hours in two different periods. The first period was characterized by a low temperature (min 5°C and max 13,5°C) ; in the second period the temperature was extremely different (min 11,5°C max 33,5°C). From the blood samples were obtained some parameters as HCT, PPT, MCV, MCH, MCHC, BUN and Creatinine, Na, K, Ca, P, Mg concentrations. From the urine samples were obtained urine creatinine, Na, K, Ca, P, Mg concentrations. Fractional excretions were also calculated. Hct is not a good parameter to evaluate alpaca hydration status, because of the MCV reduction. Instead, PPT associated to plasmatic creatinine are more reliable indices. The results of study present useful parameters to understand the South American Camelids kidney functionality and can give an explanation of physiological response to the environmental heat stress, providing a starting point to evaluate urine electrolytes circadian rhythm variations. Anyway we are aware that in order to have a better understand of factors that could influence the described mechanisms a lot of elements should be considered as physiologic and alimentary conditions and breeding management differences.

IntroduzioneAnche in Italia gli alpaca risultano essere animali di interesse zootecnico. Il loro alto valore economico e la loro capacità di adattamento a diverse condizioni ambientali ha reso possibile un aumento numerico in zone diverse da quelle di origine. Le grandi differenze anatomiche e fisiologiche dagli altri animali li rendono particolarmente interessanti soprattutto nello studio dei parametri diagnostici. Le conoscenze riguardanti le variazioni dei valori urinari in relazione a quelli ematici risultano essere poco approfondite in particolare dati relativi alle influenze dei sincronizzatori esogeni (fotoperiodo, alimentazione, assunzione di acqua) rispetto a quelli endogeni extrarenali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca e la concentrazione plasmatica dei soluti) ed intrarenali (emodinamica renale, processi di riassorbimento ed escrezione) sono in numero molto ridotto. Non esistono in letteratura riferimenti per i camelidi sudamericani riguardanti le variazioni giornaliere dell’escrezione renale degli elettroliti in rapporto ad indici della funzionalità renale. Scopo di questo lavoro è stato quello di valutare le variazioni di alcuni parametri ematici e dell’escrezione renale degli elettroliti attraverso il calcolo delle clearances frazionarie in alpaca a differenti temperature ambientali.

Materiali e metodiAllo scopo sono state scelte sei femmine di alpaca, clinicamente sane, di età compresa tra 4 e 6 anni, gravide di 5 mesi, allevate presso l’allevamento Maridiana S.r.l. di Umbertide (PG). Gli animali sono stati sottoposti a 12 controlli giornalieri per due volte consecutive a distanza di 21 giorni l’uno dall’altro. La temperatura ambientale, espressa in minima e massima giornaliera rilevata nei due periodi è stata di 5 - 13,5°C e 11,5 - 33,5 °C rispettivamente per il primo ed il secondo periodo. La dieta, costituita da fieno polifita, è stata somministrata ad libitum durante entrambi i periodi. Durante il periodo della sperimentazione gli animali hanno avuto a disposizione un recinto dove potersi muovere liberamente negli intervalli tra i prelievi. Due ore prima dell’inizio di entrambi i periodi si è proceduto nella cateterizzazione degli animali utilizzando cateteri permanenti tipo Foley (type Gold 2 way Sil 5cc 18 Fr - Rusch Gold Silicone Coated Latex Foley Catheter) di 40 cm di lunghezza. Durante entrambi i periodi sono stati effettuati prelievi di sangue ed urina ad intervalli di 2 ore uno dall’altro. I prelievi di sangue sono stati eseguiti a livello della giugulare destra ed i campionamenti delle ore di buio sono stati effettuati utilizzando una luce rossa per evitare eventuali variazioni dei parametri dovuti alla stimolazione fotica della retina. Con i campioni di sangue sono state costituite due aliquote, la prima aggiunta ad EDTA come anticoagulante, è stata immediatamente refrigerata a 4 °C, e destinata agli esami emocromocitometrici effettuati subito dopo la fine di ogni periodo; la seconda aliquota aggiunta ad eparina è stata centrifugata a 3000 g/min per 10’, il plasma ottenuto è stato congelato a -20 °C e destinato alla determinazione dei parametri ematici. I campioni di urina sono stati congelati immediatamente e destinati agli esami di laboratorio. I valori di Na+ e K+ plasmatici ed urinari sono stati determinati utilizzando uno fotometro a fiamma (SEAC F20), mentre le Proteine totali plasmatiche, l’azoto ureico plasmatico, la Creatinina, il Calcio, il Fosforo ed il Magnesio plasmatici e urinari sono stati determinati utilizzando kit commerciali per un analizzatore automatico per biochimica clinica (Hitachi 912). Gli indici eritrocitari (HCT, MCV, MCH, MCHC) sono stati ottenuti utilizzando un contaglobuli automatico ad impedenza elettrica (SEAC Hemat 10). I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo un modello ANOVA per dati ripetuti utilizzando il software Sigmastat 2.03. Nell’analisi i due fattori presi in considerazione sono stati il periodo ed il prelievo. Le differenze tra i valori medi dei parametri nei diversi prelievi all’interno di ogni periodo nonché quelle tra i due periodi sono state determinate utilizzando il test di Tukey.

Risultati e discussioneLe medie stimate e le deviazioni standard ottenute nei singoli periodi con i dati raccolti nell’arco dell’intera giornata sono riportate nella tabella 1. Tranne che per i valori della potassiemia e della natremia del secondo periodo, tutti i parametri presi in considerazione rientrano nei range di riferimento riportati in letteratura (Kaneko et al., 1997). Per quanto attiene

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alle variazioni dei parametri ematici non sono state messe in evidenza differenze statisticamente significative per quanto riguarda i livelli di proteine totali, urea ed HCT, mentre risultano mediamente variati quelli di creatinina, MCH, MCHC, Ca e Mg. Nessuna differenza significativa è stata evidenziata per quanto riguarda i valori medi delle clearance frazionarie degli elettroliti. Per quanto riguarda le correlazioni semplici l’urea, la creatinina e la calcemia sono è correlate positivamente con le proteine plasmatiche in entrambi i periodi (Tabella 1).I lamoidi sono particolarmente adattati ad un ambiente freddo, ma hanno manifestato una buona adattabilità agli ambienti più diversi. Questi animali possiedono delle ghiandole sudoripare epitrichiali soprattutto nelle aree ove la fibra è più rada, per esempio nella regione ventrale dell’addome (Fowler, 1998). Pur essendo animali capaci di tollerare un grado di disidratazione (ed emoconcentrazione) che sarebbe fatale per gli esseri umani o per animali adattati ai climi temperati, Solamente uno studio è stato svolto sul bilancio idrico dei lama, nel quale questi animali sono stati comparati alle capre. Si è evidenziato che in caso di privazione idrica i lama continuano ad alimentarsi, mentre le capre riducono anche l’ingestione di alimento. E’ probabile che i lamoidi siano capaci di utilizzare l’acqua metabolica proveniente dall’alimento attraverso una spiccata attività ossido-riduttiva. Entrambe le specie mostrano una buona capacità di concentrare le urine (Rübsamen et al., 1975). In tutti i ruminanti la disidratazione risulta in un elevato HCT, Hb, conta eritrocitaria, proteine plasmatiche totali, BUN e creatinina. I valori chimici del sangue per il sodio, il potassio, il cloruro ed il bicarbonato possono variare in seguito a questo processo (Fowler, 1989).

Tabella 1: medie stimate dei parametri considerati nei due periodi

Parametri 1° periodo 2° periodo P

PPT (mg/dl) 59,2±3,0 62,35±1,75 n.s.

UREA (mg/dl) 26,8±2,4 25,24±2,11 n.s.

HCT (%) 29,66±1,14 28,66±0,23 n.s.

MCV (fl) 29,45±0,34 25,07±0,25 < 0,05

MCH (pg) 12,72±0,42 10,48±0,04 < 0,001

MCHC (g/dl) 43,21±1,06 41,67±0,3 < 0,01

Crea (mg/dl) 1,30±0,07 1,47±0,07 < 0,05

Na (mmol/l) 150,95±4,27 159,41±2,4 n.s.

%CrNa (%) 0,12±0,09 0,05±0,025 n.s.

K (mg/dl) 4,53±0,28 7,91±1,32 n.s.

%CrK (%) 35,08±10,85 10,06±2,34 n.s.

Ca (mmol/l) 8,2±0,22 9,19±0,19 < 0,05

%CrCa (%) 0,2±0,03 0,42±0,25 n.s.

P (mmol/l) 3,63±0,62 4,56±0,63 n.s.

%CrP (%) 0,29±1,27 0,19±0,09 n.s.

Mg (mmol/l) 2,23±0,09 2,56±0,17 < 0,01

%CrMg (%) 1,19±1,93 1,18±1,05 n.s.

Nel nostro studio i parametri ematici presi in considerazione per valutare lo stato di idratazione degli animali sono stati l’ematocrito (HCT), le proteine totali plasmatiche (PPT), l’urea e la creatinina plasmatica. Nello studio in oggetto una differenza significativa tra periodi esiste per il volume corpuscolare medio (MCV). Nel primo periodo in media esso è di 29,46 ± 0,34 fl, mentre nel secondo è di 25,07 ± 0,25 fl (Tab.3). I camelidi sono caratterizzati da una spiccata anisocitosi eritrocitaria, normalmente l’MCV può variare dai 20 ai 29,5 fl (Smith, 1996). Queste variazioni corpuscolari potrebbero essere legate all’aumento dell’osmolalità plasmatica. Sebbene non misurata l’osmolalità plasmatica dovrebbe risultare più elevata nel secondo periodo visti gli aumenti medi di tutti gli elettroliti, anche se significativamente soltanto di CA e Mg. La diminuzione dell’MCV si oppone, fine ad un certo limite all’aumento dell’HCT nel corso della disidratazione. La diminuzione del MCV condizionerebbe anche le concentrazioni emoglobiniche medie. Solo la creatinina mostra un aumento significativo tra il primo e il secondo periodo, questo può indicare uno stato di disidratazione oppure una diminuzione della velocità di filtrazione glomerulare (VFG). La quota di creatinina escreta nelle 24 ore corrisponde a quella prodotta nell’organismo nello stesso intervallo di tempo e quindi la sua concentrazione plasmatica rimane pressoché costante (Clement, 1992). La determinazione della creatininemia, nella maggior parte dei casi, è un indice attendibile della VFG (Clement, 1992); se la creatininemia aumenta, la VFG diminuisce, ma la creatinina nell’ultrafiltrato totale delle 24 ore sarà uguale. Esiste una sola pubblicazione che fornisca dei dati circa le clearance frazionarie per i camelidi sudamericani. Il lavoro di Lackey et al. (1995) fornisce degli indici urinari

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ottenuti da lama alimentati in maniera diversa. Lachey et al. hanno messo in risalto come in lama clinicamente sani le %Cr degli elettroliti possono fornire una indicazione ragionevole della clearance (CL) degli stessi. Inoltre le clearance degli elettroliti, tranne quella del fosforo, sono correlate alla CL della creatinina. Tranne che per la %CrP i valori di escrezione frazionaria risultano simili a quelli riportati da Lackey et al. (1995) nel lama. Le escrezioni frazionarie degli elettroliti riferiscono la percentuale di elettrolita filtrato che resta nelle urine. In realtà non rispecchiano la quota di elettroliti escreti, ma possono essere utilizzati come indici della funzionalità renale ed in particolare quella tubulare. In generale più la concentrazione ematica dell’elettrolita aumenta e più la sua escrezione frazionaria diminuisce. Dai risultati ottenuti, si può affermare che anche per i camelidi sudamericani esiste una correlazione negativa tra la clearance frazionaria e la concentrazione ematica di alcuni elettroliti considerati (tab.1a, 1b, 2a, 2b). Durante il primo periodo si nota la suddetta correlazione per calcio, fosforo e magnesio; nel secondo per potassio e fosforo. La %Crk è risultata essere più bassa rispetto a quella dei bovini (Itoh, 1989; Morgante et al., 1996; Fleming et al., 1991;; Meyer et al., 1992; Morgante et al., 2000). Invece per quanto riguarda quella del fosforo, i dati sono simili a quelli riportati per i bovini (Morgante et al., 1993; Garry et al., 1991a; Fleming et al., 1992) mentre sono più bassi in relazione a quelli di Morgante et al. (1996; 2000). Per il Na i valori medi di clearance frazionaria risultano più elevati. Anche la %Cr

Ca media risulta molto simili

a quelle dei bovini (Morgante et al., 1996; Itoh, 1989; Meyer et al., 1982; Yestweber et al., 1989) ed a quella delle pecore (Fleming et al., 1991). Per quanto riguarda la %CrMg essa si presenta essere più bassa di quella dei bovini (Morgante et al., 1996; Morgante et al., 1993; Garry et al., 1991a; Fleming et al., 1992) e delle pecore (Fleming et al., 1991). Se i dati ottenuti si paragonano a quelli di specie non ruminanti, si nota come i valori della %Crk siano più elevati di quelli riportati nel cavallo (Brobst e Pary, 1987 ; Edwards et al., 1989), nel cane (Chew e Di Bartola, 1989) e nel gatto (Adams et a., 1991).

ConclusioniSecondo Fowler (1998), i parametri eritrocitari sfruttabili per definire lo stato di idratazione dei camelidi sudamericani sono l’ematocrito (HCT), le proteine plasmatiche totali (PPT), l’uremia (BUN), la creatininemia e la conta eritrocitaria (RBC), similmente ai comuni ruminanti domestici. Dai risultati del presente studio l’HCT da solo non risulta essere un buon indice dello stato di idratazione dei camelidi sudamericani. Infatti, la riduzione dell’MCV, ovviamente fino a determinati punti limite non ancora stabiliti, impedisce una segnalazione attendibile di un’eventuale stato di disidratazione e della sua gravità. E’, invece, maggiormente significativa, in questo senso, l’analisi delle proteine associate a quella della creatininemia. I risultati del presente studio possono essere utili indicatori della funzionalità renale nei camelidi sudamericani, la risposta fisiologica allo stress termico ambientale ed un punto di partenza per la valutazione dell’escrezione degli elettroliti. Naturalmente per avere una chiara visione dei fattori che influenzano detti meccanismi dovrebbero essere presi in considerazione molti altre variabili come ad esempio le diverse condizioni fisiologiche (animali non gravidi od in lattazione, di diversa età e sesso), le diverse condizioni di alimentazione (tipo e composizione della dieta), le diverse condizioni d’allevamento.

BibliografiaAdams L.J.,Polzin D.J., Osborne C.A., O’Brien T.D. (1991). Comparison of fractional excretion and 24-hours urinary excretion of sodium and potassium in clinically normal cats and cats with induced chronic renal failure. Am. J. Vet. Res. (5), 718-722.Brobst D.F. e Parry B.W. (1987) - In: Robinson N.E., Current Therapy in Equine Medicine, 2nd. Ed., W.B. Saunders Co., Philadelpia.Chew D.J. e Di Bartola S.P. (1989) - In: Ettinger S.J., Textbook of Veterinary Internal Medicine, W.B. Saunders Co., Philadelphia, 1893-1961.Clement 1992Edwards D.J., Brown Low M.A., Hutchins D.R. (1989) - Indices of renal function: reference values in normal horses. Aus. Vet. J., 66, 60-63.Fleming S.A., Hunt E.L., Brownie C., Rakes A., McDaniel B. (1992) - Fractional escretion of electrolytes in lactating dairy cow. Am. J. Vet. Res., 53, 222-224.Fleming S.A., Hunt E.L., Riviere J.E., Anderson K.L. (1991) - Renal clearances and fractional escretion of electrolytes over four 6-hour periods in cattle. Am. J. Vet. Res., 52, 5-8.Fowler, M.E. 1998. Medicine and Surgery of South American Camelids. 2nd ed. Iowa State Univ. PressFowler, M.E.; Zinkl, J.G. 1989. Reference ranges for hematologic and serum biochemical values in llamas (Lama glama). Am. J. Vet. Res. 50, 2049-2053Garry F., Dennis J.C., Rings D.M., Tarr M.J., Hoffsis G.F. (1990a) - Renal excretion of creatinine, electrolytes, protein, and enzymes in healthy sheep. Am. J. Vet. Res. 51 (3), 414-419.Itoh N.(1989) - Fractional electrolyte excretion in adult cow: Establishment of reference ranges and evaluation of seasonal variations. Vet. Clin. Path., 18 (4), 86-87.Lackey, M.N., Belknap, E.B., Salman, Mo D., Tinguely, L., Johnson, LaRue W., (1995), Urinary indices in llamas fed different diets - Am J Vet Res, vol. 56, n°7, 859-865.Kaneko

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Mayer 1992Morgante M., Ranucci S., Beghelli D., Petrocchi G. (1996) - Le clearances frazionarie degli elettroliti in bovine da latte durante periodi produttivi diversi. Atti della Società Italiana di Buiatria, Vol. XXVIII, 403-414.Morgante M., Ranucci S., Vitellozzi G., Fruganti G., Cristofori M. (1993) - Proteinuria, enzimuria e clearances frazionarie degli elettroliti nel bovino. Atti III Congresso Fe.Me.S.P.Rum, Teramo, 22-23 ottobre, 39-1-39-8.Morgante 2000Rübsamen et al., 1975Smith B.B. (1996) -Camelid Medecine and Surgery, Oregon State University, Version 3.60.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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Sanità e Pro duzione

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Fe.Me.S.P.Rum

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003

“SORGOLINA”, “PETTIATZA”, “ISTRINGADA”, “BERTIGADA”: UNA ANTICA E/O NUOVA RAZZA BOVINA IN SARDEGNA IN VIA DI ESTINZIONE !? Cancedda M. , Cancedda G.

EFFETTI DEL LIVELLO DI CARBOIDRATI ALIMENTARI NON FIBROSI SU ALCUNI PARAMETRI ENDOCRINO-METABOLICI NELLA PECORA SARDA IN LATTAZIONE Bomboi G. , Parmegiani A. , Cannas A. , Sechi P. , Molle G., Floris B.

GLI ADDITIVI NELL’ALIMENTAZIONE DEGLI ANIMALI Biagi Giulia, Luchetti Elena, Nannipieri Sandra, Signorini Giancarlo

IL BOLDENONE NEI BOVINI DA CARNE Tassinari M.

INTOXICACIÓN AGUDA POR ÁCIDO OXÁLICO: HALLAZGOS BIOQUÍMICOS González Montaña Jr, Álvarez Nistal R, López Méndez S, Palma Barriga A, Prieto Montaña F.

IL RUOLO DELLA FORMAZIONE AI FINI DELL’APPLICAZIONE DEL SISTEMA HACCP NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE Formato G., De Angelis G., Chiaro M., Bozzano A.I.

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“SORGOLINA”, “PETTIATZA”, “ISTRINGADA”, “BERTIGADA”: UNA ANTICA E/O NUOVA RAZZA BOVINA IN SARDEGNA IN VIA DI ESTINZIONE !?

Cancedda M*. E Cancedda G**.

*Dipartimento di Biologia Animale Facoltà di Medicina Veterinaria - Università Degli Studi di Sassari

**Veterinario libero professionista - SassarI

AbstractFossil findings document the presence of ruminants in Sardinian Island, some of these fossils dated back to Miocenic period about 5—6 millions years ago.The pictures, found in the cave of Cogul (Spain) dated back to paleolitic period, with surprise look like ours Sardinian cattles, subject of our reporting.The iconography of cattles in Sardinia is often rappresented on the burials and on famous nuragical bronze little statues, dated back to VIII— VII century b. C..The possessions of Sardinian breed cattles is decreasing constantly for introduction of new breeds more productive in zootechnics and for industrial and substituction breedings. Actually these possessions is about 25.000 cattles, in this number of Sardinian cattles it has been individuated a breed population very small with only 300 cattles (about 1,2% of total).These animals was diffused in all over the island, like a real breed, denominated in different ways: “Sorgolina”, “Pettiatza”, “Istringada”, “Bertigada”, and their morphological characteristics are in particulary the vertical striped, diffused on all the mantle.This breed presents zebuin characteristics with a big growth of cutaneous “plica” on the umbelicus, and a wide dewlap of the “giogaia”, like the biggest part of rustical bovine breed.

IntroduzioneLa presenza dei ruminanti in Sardegna risale a circa 5-6 milioni di anni, ciò è testimoniato dal ritrovamento di un fossile, ascrivibile alla punta di un corno osseo di un bovino nel Miocene di Nureci (Or), sul versante nord dell’Altopiano della Giara.In Europa specificamente esiste una documentazione iconografica di raffigurazioni paleolitiche, in Spagna nella grotta di Cogul è rappresentato un bovino che ricorda e riproduce l’aspetto dei nostri bovini sardi oggetto di questa comunicazione.Nella nostra isola i bovini sono effigiati nelle preistoriche sepolture delle “domus de Janas”, come protomi taurine nel secondo millennio a.C., ma soprattutto sono efficacemente riprodotti nell’VIII°-VII° secolo a. C. in una varietà di forme e forse di razze bovine nei bronzetti nella civiltà nuragica.Nei secoli successivi, l’allevamento bovino ha avuto un grande sviluppo anche per l’uso polivalente come animale domestico, nelle sue varie attitudini produttive ed in particolare come animale motore per eccellenza nei traffici commerciali e particolarmente nei lavori agricoli.Per un lunghissimo periodo i bovini hanno accompagnato l’attività agricola dell’uomo in Sardegna. Aggiogati per trainare aratri, carri da trasporto e da diporto in concorrenza con gli equini ed infine soppiantati in questo agli inizi del 1950 dalla meccanizzazione agricola.Alle razze bovine locali, apparentemente poco produttive, si sono aggiunte, già dalla fine del 1800, numerose altre razze introdotte in Sardegna per “migliorare” l’aspetto morfologico, produttivo e la funzione motoria con le razze Marchigiana, Romagnola e Modicana da incrociare con la razza sarda somaticamente meno sviluppata.Si è imposta con successo la razza Modicana, tanto che la maggior parte dei gioghi bovini da lavoro erano rappresentati da bovini di razza pura o da incroci effettuati nella zona del massiccio del Montiferru e del Sulcis-Iglesiente. Successivamente è stata introdotta la “bruno svizzera” per migliorare la produttività della carne e del latte ed in parte anche l’aspetto motorio e che ha poi costituito la razza bruno-sarda a duplice attitudine (carne e latte).Più recentemente hanno fatto la loro comparsa la “nuova” bruna alpina e la pezzata nera olandese ad elevate produzioni lattee.Infine l’Introduzione delle razze Chaloraise, Limousine e Chianina, le prime due utilizzate negli incroci “industriali” con la razza sarda per la produzione della carne.Questi incroci, talvolta veri incroci di sostituzione stanno contribuendo ad una contrazione numerica della razza sarda in generale.L’utilizzazione di poche razze molto produttive a scapito delle razze più rustiche sta determinando un calo di interesse e, in vari casi, un vero e proprio abbandono. Lo stesso fenomeno di sostituzione ed abbandono di razze ha interessato la specie equina, ovina, caprina e suina e le specie avicole. Questo ha dato una spinta all’esodo rurale e all’abbandono delle aree più svantaggiate della collina e della montagna ed alla scomparsa delle razze rustiche, ad un impoverimento della variabilità biologica e/o scomparsa di processi culturali delle popolazioni ad esse legate.Queste motivazioni ci hanno spinto ad interessarci a queste razze e qui in particolare ad una razza bovina.

Materiale e metodiIl nostro primo obbiettivo è stato l’individuazione dei soggetti e delle aree in cui sono ancora allevati. La semplice conoscenza

di questo patrimonio autoctono è il primo passo per la sua conservazione, per la salvaguardia della razza e dell’ambiente, al quale è quasi sempre strettamente connessa. Nella nostra indagine ci siamo prefissi di vedere gli animali, puntigliosamente, soggetto per soggetto segnalati e/o appartenenti e/o non alla razza in argomento e/o soggetti “migliorati” per verificare direttamente “in situ” e conoscere la reale consistenza numerica della razza popolazione e delle difficoltà a cui sta andando incontro.Abbiamo individuato 3 aree principali di allevamento.

1) Intorno al Monte Arci, nota sede di provenienza della ossidiana usata dalle popolazioni preistoriche. Qui sono stati rintracciati 24 soggetti, 4 capi alle sue pendici verso il territorio di Villaurbarna (OR), 4 capi a Morgongiori (OR) e 18 capi inselvatichiti, disconosciuti in sede giudiziaria dai proprietari originali a seguito delle multe da pagare per danneggiamento nei cantieri forestali e lasciati liberi, costituendo attualmente un singolare patrimonio pubblico. Dei quattro capi di Morgongiori 2 (una femmina di oltre 15 anni ed un maschio di 3 anni) sono stati acquistati e trasferiti in una azienda agricola di Guspini (CA- futura provincia de Medio Campidano) per incrementarne il numero attraverso prelievi e trasferimenti embrionali. La caratteristica peculiare di questo gruppo di animali è quella di avere una mantellazione di base rossa, con striature nere diffuse in tutto il corpo, somaticamente abbastanza sviluppati, raggiungendo un’altezza al garrese di 125 centimetri ed un peso di 450 kg nelle femmine, con corna brachicere e macrocere di varia conformazione e 135 centimetri e 600 kg nei maschi, con corna brachicere robuste ad andamento semicircolare.

2) Nel Gerrei, nella zona sud-orientale dell’isola, con 20 soggetti di oltre sei 6 anni di età, suddivisi in 4 allevamenti, il mantello di base è grigio o giallastro (fromentino) con vergature nere, le dimensioni somatiche sono più ridotte rispetto alle precedenti raggiungendo circa 115 centimetri al garrese ed un peso di 350 kg nella femmine, 120-125 centimetri e 500 kg nei maschi, le corna come nella precedente area; l’ambiente montano in cui vivono è difficile, per un mese circa ricevono meno di 500 grammi di mangime.

3) Nella Sardegna centro - orientale con 206 capi, 156 di questi, distribuiti in 35 allevamenti, sono presenti nel territorio di Urzulei (NU - futura provincia dell’Ogliastra) , quasi una presenza simbolica in ogni allevamento. Le striature nere insistono generalmente su un fondo grigio. (Vedi foto) Le corna prevalentemente brachicere.I soggetti di quest’area hanno un ridotto sviluppo somatico: l’altezza è dell’ordine di 105-110 centimetri e di kg 250 nelle femmine, 120 centimetri e 400-450 kg nei maschi. Nello stesso distretto sono presenti altri 60 soggetti, con le caratteristiche di cui sopra.Inoltre una quarantina di soggetti vengono allevati nel territorio di Buddusò (SS) acquistati una quindicina di anni addietro in questa terza area e con le stesse caratteristiche.Infine un gruppo di 80 soggetti, tutti in provincia di Sassari, con le caratteristiche striature, ma derivanti da incroci con altre razze (Bruno-Sarda, Limuosine e Chaloraise), morfologicamente vicine alle razze incrocianti.

Risultati e discussioneL’elemento discriminante per l’individuazione della razza è stato l’aspetto “fenotipico”, caratterizzato da striature, distribuite su tutta la superficie corporea compresa la testa, tanto da rappresentare un carattere distintivo razziale.Il carattere del pelame ha un valore etnico non trascurabile, alcuni studiosi hanno basato la loro classificazione delle razze bovine sul colore e le caratteristiche del mantello (Marchi, 1925). La mantellazione nei bovini viene considerata una caratteristica razziale.Questo elemento distintivo è probabilmente una espressione di mimetismo e derivante da una particolarità delle antiche razze bovine.Di bovini con il mantello fromentino e con striature scure, in Sardegna si hanno solo cenni: un tempo erano diffusi, considerati a”triplice attitudine”, delle razze rustiche locali erano i “più resistenti al lavoro ed alle malattie (Farina, 1999). “Sorgolinu o sorgolina” è il mantello striato di nero e giallastro, grigio scuro di una razza rude tipica di Baunei, Talana e Urzulei. Probabilmente variante di sorighinu, sorichinu “del colore del topo” (sorcino) (Pittau 1999). Nella maggior parte dell’isola, questa mantellazione viene indicata con il nome di “pertiatza o pettiatza” di derivazione da “pertia o pettia” (bastone, pertica, verga), rassomigliando dette strisce a colpi di pertica … “si narat de boi, bacca ecc chi portat algunas ispertiadas de pilu diversu de sa manta dominanti, … bue di pelo rosso listato di strisce nere (Porru 1866). Così la stessa tipologia nella Gallura viene denominata “Istringada” e nel Logudoro “Bertigada”.Le “tigrature” decorrono in senso dorso – ventrale ad una distanza variabile, si infittiscono sulle spalle, sulla regione costo -addominale, sui fianchi, sulle natiche, diventano più rade sugli arti ed in genere assenti sulle parti mediali degli arti.Nella popolazione esaminata si riconoscono quattro tipi fondamentali di colore di fondo: grigio chiaro, bruno, rosso e giallastro (rosso fromentino). Presentano costantemente i bordi palpebrali rosei, le mucose apparenti rosee, gli unghioni rosati o scuri.Hanno fronte larga, faccia breve, profilo rettilineo, collo proporzionato, garrese poco rilevato, profilo dorso lombare rettilineo, avvallato negli animali adulti (anche vent’anni). La coda è attaccata alta, lunga, con fiocco poco voluminoso, la giogaia ben sviluppata, con plica cutanea ombelicale zebuina nelle femmine. La mammella ben conformata con produzioni adeguate all’allevamento della vitellanza, alcuni allevatori usano mungere 1,5 - 2 litri di latte per la trasformazione in formaggio per uno o due mesi nel periodo dell’allattamento.Attualmente questi bovini sono allevati allo stato brado in aree montagnose e difficili, l’integrazione alimentare in foraggi e concentrati sono limitatissimi ed in quantità irrilevanti. Lo sviluppo morfologico, così come le produzioni, sono legate all’area di allevamento in generale. Per avere un’idea concreta della presenza e della distribuzione geografica e della consistenza numerica di questa razza

85XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

abbiamo redatto una cartina anche delle varianti tipologiche e dei soggetti considerati “migliorati”, mediante incroci con altre razze. (Vedi cartina allegata della Sardegna)

ConclusioniNel 1771 la consistenza del patrimonio bovino di razza sarda era di 354.160, un numero rilevante, in considerazione anche del fatto che i sardi si dimostrarono poco propensi a dichiarare il loro numero per via delle tassazioni, e che nel 1770 le gelate distrussero un terzo del loro numero (Azuni, 1802).La consistenza numerica oggi è stimata in circa 300.000 capi, di questi solo 25.000 circa sono ascrivibili alla razza sarda, e soltanto 300 soggetti appartengono alla razza oggetto della nostra segnalazione, che rappresentano l’1,2%, quindi un numero abbastanza piccolo.In proposito è opportuno rilevare come nel 1996 la FAO suddivideva i Tipi Genetici a Rischio in 4 classi secondo il seguente criterio:numero di femmine classe di rischio geneticoin età riproduttiva < 100 critica 100 – 1000 danneggiata1000 – 5000 vulnerabile5000 – 10000 raraQuesto fa presagire una imminente estinzione della razza “pettiatza” se non si prenderanno adeguati provvedimenti. E’ la stessa razza sarda, che negli ultimi anni sta subendo una forte contrazione a causa delle difficoltà venutesi a creare, sia per le pesanti ripercussioni economiche determinate dalla presenza della “lingua blu” negli ovini, che hanno bloccato la loro commercializzazione, sia per il mancato sostegno da parte delle istituzioni pubbliche. Quando nel 2006 la Sardegna uscirà dall’obiettivo “uno” dell’Unione Europea, che prevede quote di sostegno per la vacca nutrice, il numero dei bovini di razza sarda si ridurrà notevolmente con la probabile scomparsa della razza “striata”.E’ opportuno sottolineare come tipologie fenotipiche simili sono riscontrabili nella razza spagnola bovina di Lidia, denominata “chorreado” e protetta dal Decreto Reale 60/2001 del Ministero dell’Interno, nella razza francese normanna “contentine” (Marchi, 1925) e nella razza “dole” norvegese (Johansson, 1982) .Caratteristica comune a tutte le popolazioni locali è l’armonia con l’ambiente grazie ad una selezione naturale realizzatasi nel corso del tempo. Questa armonia si traduce in rusticità, frugalità, resistenza alle malattie, capacità di sopravvivenza, di riprodursi e produrre con risorse alimentari modeste, là dove le razze con più elevate attitudini produttive addirittura annullano le loro potenzialità genetiche.Per questo motivo bisogna avere maggior rispetto e dare maggior attenzione ad un patrimonio naturale, che ha anche una implicazione sociale e culturale.Per la loro originalità genetica possono produrre latte e carne con caratteristiche diverse e dare un prodotto anch’esso originale.Occorre che vengano istituiti aiuti pubblici, da calcolarsi in funzione del differente ricavo fra il vitello puro rispetto a quello dell’incrocio, anche se, senza una adeguata presa di coscienza degli allevatori, rischierebbero di risolversi in caduta di interesse non appena cessato il finanziamento. Perciò è necessario sviluppare una competitività sul mercato per i prodotti derivati da queste popolazioni sfruttando la loro tipicità e qualità. Occorre una fase iniziale di studio, concertando queste iniziative anche con enti pubblici (Regione, Province, A.R.A., A.P.A., organizzazioni di categoria, comunità locali…).La istituzione di un Registro Anagrafico e la costituzione dell’Associazione Allevatori della razza sono una Premessa.Ragioni di ordine pratico ci possono suggerire che in condizioni di ambiente difficile la razza locale può risultare superiore, per fertilità e sopravvivenza. Alla carenza di resa in quantità di latte o di carne, si può semplicemente proporre la valorizzazione come qualità.“Le carni di questi bovini, sebbene poco infiltrate di grasso, sono di ottima qualità, di un profumo gradevole e di un sapore molto dolce e delicato. Ciò è dovuto ai pascoli ricchi di erbe aromatiche, di mirto, mortella, lentisco, che ricoprono le montagne del Nuorese e della Gallura” (Manetti, 1924)Non c’è dubbio che senza un utilizzo economico, mantenere una razza bovina è molto costosa e pone problemi per la sua conservazione, ma nonostante ciò si può e si deve mantenere la razza in purezza (materna e paterna). Il bestiame autoctono mostra una migliore adattabilità all’ambiente povero, utilizzando pascoli poveri, riproducendosi regolarmente e con un certo tornaconto economico in condizioni di agricoltura sfavorevole, là dove popolazioni con più elevata produttività sono eliminate per la riduzione della fertilità e l’aumento della morbilità.In molte aree in cui si è voluto sostituirla con una razza specializzata oggi non esiste più produzione animale.In determinati ambienti o si allevano le popolazioni rustiche o non si alleva più nulla. E’ più conveniente allevare l’animale adatto all’ambiente, che non modificare l’ambiente per allevare animali più “specializzati”.

Bibliografia1) Azuni D.A. (1802) – Storia geografica politica e naturale della Sardegna – Parigi

2) Farina L. (1999) – Bobaculariu Sardu Nugoresu Italianu –Gallizzi – Sassari 3) Johansson I., Rendel J., (1982) Genetica ed Animale – Edagricole – Bologna 4) Manetti C. (1924) – Geografia Zootecnica Italiana – Francesco Battiato – Catania 5) Marchi E., Mascheroni E. (1925) Zootecnia Speciale – Unione Tipografico – Editrice Torinese – Torino 6) Pittau M. (1999) – Dizionario della lingua Sarda – Gasperini Editore – Cagliari 7) Porru V. (1866) – Dizionariu Sardu Italianu – Stamperia Nazionali – Casteddu

86 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Bovina striata dell’Ogliastra

Distribuzione dei bovini striati

87XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

EFFETTI DEL LIVELLO DI CARBOIDRATI ALIMENTARI NON FIBROSI SU ALCUNI PARAMETRI ENDOCRINO-METABOLICI NELLA PECORA SARDA IN LATTAZIONE

Bomboi G. (1), Parmegiani A. (2), Cannas A. (3), Sechi P. (1), Molle G. (4), Floris B. (1)

(1) Dipartimento di Biologia Animale, Sassari(2) Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria e Produzioni Animali, Bologna

(3) Dipartimento di Scienze Zootecniche, Sassari (3) Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna, Olmedo Sassari

Riassunto 20 pecore Sarde al 3° mese di lattazione, suddivise in 2 gruppi omogenei e tenute in gabbia metabolica, vennero alimentate per 3 settimane con 400 g/d di fieno di medica e pellets ad libitum. I pellets differivano nella concentrazione di NFC: 36% (dieta NFC35) e 23% (dieta NFC24). Glucosio e FT4 ematici furono più elevati in NFC35 (62.1 vs. 59.8 mg/dl, P<0.02; 1.23 vs 0.99 ng/dl, P<0.001 rispettivamente), mentre il contrario avvenne per insulina, urea e GH (14.6 vs. 22.6 µU/ml, P<0.002; 57.5 vs. 67.9 mg/dl, P<0.001; 3.36 vs. 5.20 ng/ml, P<0.02 rispettivamente). NEFA, PRL, cortisolo e FT3 non mostrarono differenze legate al trattamento. I dati endocrino-metabolici, comparati con quelli zootecnici, suggeriscono che, nelle pecore a metà lattazione, l’elevata concentrazione di NFC influisce negativamente sul rilascio di GH e sulla lattazione.

IntroduzioneI carboidrati alimentari, strutturali (NDF) e non strutturali (NFC), sembrano influenzare la secrezione lattea delle pecore diversamente a seconda dello stadio di lattazione. In principio della secrezione mammaria, quando il bilancio energetico è presumibilmente negativo, razioni con elevata quota di NFC hanno permesso di ottenere produzioni nettamente superiori rispetto a razioni con un minor tenore (Brown e Hogue, 1985). A fine lattazione, invece, in pecore con bilancio energetico positivo, Bomboi et al. (2001) osservarono che alti livelli di NFC assecondavano l’asciutta e la ricostituzione delle riserve corporee. Si ritiene che ciò sia dovuto al diverso equilibrio endocrino-metabolico dominante nei due periodi. All’inizio della lattazione, infatti, il quadro endocrino é dominato dagli effetti lipolitici della somatotropina (GH). A fine lattazione, invece, prendono il sopravvento gli effetti di lipodeposizione dell’insulina. Per chiarire questi aspetti può essere importante indagare la fase intermedia di lattazione, periodo in cui il bilancio energetico da negativo tende gradualmente a riassestarsi per diventare positivo. Durante questo periodo è stato già effettuato uno studio mettendo a confronto 3 diverse razioni, caratterizzate da 3 diversi rapporti Foraggio:Concentrati (Bomboi et al., 2002 e 2003). I risultati hanno dimostrato che a metà lattazione un’elevata ingestione di NDF influenza positivamente il livello plasmatico di GH e, quindi, la persistenza della secrezione lattea, se comparata a diete con minore concentrazione di NDF (e, quindi, a più alto tenore in NFC). Considerando l’importanza della relazione tra NFC, digeribilità, metabolismo proteico e produzione di latte, é stata condotta una prova sperimentale che aveva come obiettivi principali lo studio, su pecore di elevato livello genetico e produttivo in fase intermedia di lattazione, dell’effetto degli NFC e della fibra: a) sulla ingestione alimentare, sulla produzione e sulla qualità di latte e sulle variazioni di riserve adipose; b) sulla digeribilità delle razioni e sul bilancio energetico degli animali; c) sulla relazione tra NFC della razione e urea del latte e del sangue; d) su alcuni parametri ematici che hanno un consolidato ruolo come indicatori metabolici. Questa nota riporta le osservazioni endocrino-metaboliche effettuate confrontando 2 razioni caratterizzate da un diverso rapporto F:C e, quindi, da una diversa concentrazione di NDF e NFC. Per i rilievi zootecnici di cui sopra si rimanda a Cannas et al. (2003).

Materiali e metodiLa prova prevedeva l’applicazione di uno schema monofattoriale a 2 livelli con misurazioni ripetute per 3 settimane su 20 pecore di razza Sarda al 3° mese di lattazione (89±1 giorni di lattazione all’inizio del periodo sperimentale). Prima della prova le pecore vennero alimentate al pascolo con integrazione di concentrati in coincidenza delle due mungiture giornaliere. Quindi, esse vennero trasferite in un paddock e gradualmente abituate all’uso di razioni asciutte, costituite da fieno di medica e concentrati. Vi fu una fase preliminare (FP)di 2 settimane, durante la quale le pecore vennero introdotte in gabbie metaboliche individuali, dove disponevano di acqua a volontà ed erano alimentate con una razione di 200 g/d di fieno di medica trinciato e una miscela (50:50) dei due alimenti sperimentali pellettati. All’inizio della fase sperimentale (FS) le pecore vennero divise in 2 gruppi isoproduttivi e di peso corporeo simile e quindi alimentate, sempre nelle gabbie metaboliche individuali, con le diete sperimentali: a) ad un gruppo (NFC24) vennero somministrati 400 g/d/capo di fieno di medica trinciato e pellets a volontà con il 23% di NFC sulla S.S. Gli NFC nella razione totale ammontavano al 24% circa; b) all’altro gruppo (NFC35) vennero somministrati 400 g/dcapo di fieno di medica trinciato e pellets a volontà con il 36% di NFC sulla S.S. Gli NFC nella razione totale erano pari al 35% circa. I prelievi ematici vennero effettuati alla giugulare, al mattino, sugli animali a digiuno, utilizzando provette vacutainer con litio eparinato come anticoagulante. Il sangue veniva immediatamente centrifugato ed il plasma congelato a – 20 °C per le successive analisi. I prelievi vennero effettuati nell’ultima settimana della FP e alla fine di ciascuna delle 3 settimane sperimentali. Sul plasma vennero determinate le concentrazioni di glucosio, NEFA e urea tramite le usuali metodiche enzimatico-colorimetriche (Roche Diagnostics, Mannheim, Germany), nonché quelle di GH e prolattina (PRL) tramite RIA, insulina, cortisolo, tri-iodotironina libera (FT3) e tiroxina libera (FT4) tramite ELISA (Roche Diagnostics, Mannheim, Germany). I dati vennero sottoposti ad ANCOVA per misure ripetute, usando uno schema bifattoriale, con i fattori dati dal trattamento alimentare (2 livelli) e dal tempo (3 livelli) e utilizzando i dati della FP come covariate.

88 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Risultati e discussione Nelle tabelle sono riportate le medie reali dei singoli parametri, mentre l’analisi statistica si basa sull’ANCOVA.

Tab. 1 – Concentrazione ematica di NEFA (µEq/l), glucosio (mg/dl) e urea (mg/dl).

NEFA Glucosio Urea NFC35 NFC24 NFC35 NFC24 NFC35 NFC24

Fase Preliminare

388.8

312.360.8265.3555.446.2

Fase SperimentaleSettimana 1 81.52 94.20 64.12 59.24 58.6 68.2Settimana 2 60.51 67.75 61.12 58.40 55.7 66.9Settimana 3 51.09 55.07 61.05 61.69 58.2 68.5Media Sperimentale 64.37 72.34 62.10a 59.78b 57.5A 67.9B

A,B = P<0.001; a,b = P<0.05; basati su ANCOVA

La concentrazione in NEFA (Tab. 1), già piuttosto bassa nella FP, fu ancora minore nel corso della FS, assumendo valori tipici di animali in bilancio energetico fortemente positivo. Non vi furono effetti significativi associati al trattamento, ma si ebbe un effetto significativo del periodo (P<0.01). I valori furono molto più bassi di quelli trovati non solo da Bizelis et al. (2000) in pecore nei primi 20 giorni di lattazione e da Marongiu et al. (1995) in pecore Sarde nei primi 2 mesi di lattazione, ma anche di quelli osservati da Marongiu et al. (1994) in pecore Sarde in fase intermedia di lattazione, con livelli produttivi piuttosto bassi. Essi, tuttavia, furono simili a quelli precedentemente osservati da Bomboi et al. (2001) in pecore a fine lattazione con livelli produttivi molto inferiori, ma con variazioni di peso simili a quelle dei nostri animali (Cannas et al., 2003). Si può ragionevolmente ipotizzare che questo parametro abbia subito un netto calo tra FP e FS, perché all’inizio l’ingestione alimentare non aveva ancora raggiunto i livelli della FS (era più bassa, da cui una maggiore richiesta e mobilitazione lipidica). Da notare, inoltre, che il gruppo NFC24 durante la FS, nonostante la maggiore ingestione di sostanza secca e il suo maggiore livello d’ingestione (P<0.005 per entrambi i parametri; vedi Cannas et al., 2003), ha mantenuto valori di NEFA costantemente superiori all’altro gruppo. L’osservazione va probabilmente rapportata alla sua maggiore produzione lattea e ad una tendenziale maggiore lipodeposizione (Cannas et al., 2003).La glicemia (Tab. 1) si collocò nei normali ranges conosciuti per la specie ovina. Nelle prime 2 settimane sperimentali risultò più elevata in NFC35, mentre nell’ultima settimana le differenze si annullarono. Nel complesso, i valori di NFC35 furono significativamente maggiori rispetto a NFC24 (P<0.02). Per tutto l’esperimento 1e concentrazioni di glucosio risultarono più elevate di circa 5-10 mg/dl di quelle riscontrate in pecore a fine lattazione da Bomboi et al. (2001), con bassi livelli produttivi, ma furono simili a quelle trovate in principio di lattazione da Bizelis et al. (2000) ed a metà lattazione da Bomboi et al. (2002). In NFC24 la minore glicemia é verosimilmente da mettere in rapporto con la sua maggiore produzione di latte e la contemporanea minore disponibilità di carboidrati alimentari. Nella FP le concentrazioni di urea (Tab. 1) risultarono più elevate in NFC35 rispetto a NFC24, ma durante la FS assunsero un andamento inverso con livelli significativamente superiori in NFC24 P<0.001). I valori sono dello stesso ordine di grandezza di quelli riportati da Bomboi et al. (2001). I più alti livelli osservati in NFC24 potrebbero essere dovuti alla maggiore ingestione di sostanza secca, e quindi di proteine (le razioni erano isoproteiche) di questo gruppo (Cannas et al., 2003). L’alta correlazione negativa osservata tra urea e glucosio (r = - 0.63; P<0.003) fa supporre che in questo gruppo, più povero in NFC, una quota degli amminocidi alimentari sia stata deviata verso la gluconeogenesi, necessaria per una maggiore sintesi del lattosio. Perciò, mentre il livello glicemico calava rapidamente per via dell’attivo prelievo mammario, quello dell’urea tendeva a mantenersi a concentrazioni superiori.Le concentrazioni di FT3 e FT4 (Tab. 2) diminuirono passando dalla FP alla FS in entrambi i gruppi, ma il trattamento sperimentale indusse un effetto significativo solo a carico dell’FT4 (P<0.001). Il calo, durante la FS, della frazione libera ed attiva degli ormoni tiroidei indica un apporto alimentare superiore alle necessità della lattazione in entrambi i gruppi. Ciò spiega il bilancio energetico positivo e l’ingrassamento, testimoniati dal livello dei NEFA e dalle variazioni di peso corporeo (Cannas et al., 2003). Forse per lo stesso motivo l’FT4 risulta presente in concentrazioni maggiori in NFC35. Questo ormone presenta un grado di attività nello stimolare il metabolismo nettamente inferiore all’FT3, di cui è una riserva circolante. Da notare, infatti, che in questo gruppo c’è stata la minore produzione lattea.

89XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 2 – Concentrazione ematica di FT3 (pg/ml) e FT4 (ng/dl)

FT3 FT4

NFC35 NFC24 NFC35 NFC24

Fase Preliminare

10.8110.441.441.29

Fase Sperimentale

Settimana 1 10.24 9.11 1.39 1.11

Settimana 2 5.86 5.65 1.12 0.90

Settimana 3 5.28 5.28 1.20 0.96

Media Sperimentale 7.13 6.68 1.23A 0.99B

A,B = P<0.001; basati su ANCOVA.

Tab. 3 - Concentrazione ematica di insulina (µU/ml) e cortisolo (µg/dl)

Insulina Cortisolo

NFC35 NFC24 NFC35 NFC24

Fase Preliminare

12.3919.311.131.63

Fase SperimentaleSettimana 1 13.49 18.60 0.83 0.84Settimana 2 15.45 27.21 0.56 0.59Settimana 3 14.78 22.07 0.24 0.23

Media Sperimentale 14.57a 22.62b 0.54 0.55

a,b = P<0.05; basati su ANCOVA.

L’insulina (Tab. 3) si mantenne molto bassa per tutto l’esperimento. I suoi valori crebbero leggermente passando dalla FP alla FS, e si mantennero significativamente superiori in NFC24 (P<0.02). Essi furono più elevati di quelli trovati da Bizelis et al. (2000) in pecore nei primi 20 giorni di lattazione. Per contro, furono abbastanza simili a quelli riportati da Marongiu et al. (1994, 1995) in pecore Sarde rispettivamente in fase intermedia e in principio di lattazione, e inferiori a quelli osservati a fine lattazione da Bomboi et al. (2001) su pecore Sarde con livelli produttivi molto bassi. I suoi valori aumentarono leggermente durante la FS, probabilmente per la maggiore ingestione di energia verificatasi in questa fase e si accordano con quelli degli ormoni tiroidei in calo. Le differenze di concentrazione tra i 2 gruppi esistevano già nella FS, per cui dipendono probabilmente dalle diverse caratteristiche insite negli animali che hanno composto i gruppi. In teoria si avrebbero dovuto avere i maggiori livelli in NFC35, caratterizzato da maggiore disponibilità di amido e minore produzione lattea. Il periodo fisiologico (3°-4° mese), caratterizzato ancora da bassi livelli dell’ormone, induce a ritenere che le variazioni siano in realtà del tutto casuali, ma non si può escludere che siano un primo segnale della modifica del quadro endocrino verso la ricostituzione delle scorte energetiche corporee. I livelli di cortisolo (Tab. 3) diminuirono nel passaggio dalla FP alla FS in entrambi i gruppi. I trattamenti sperimentali non indussero effetti significativi. Si tratta di un ormone il cui effetto metabolico, iperglicemizzante in particolare (r tra glucosio e cortisolo = + 0.48; P<0.03), si rende particolarmente evidente in stati di stress e di digiuno. Poichè gli animali erano alimentati ad libitum, quest’ultima situazione ovviamente non è plausibile. Il livello piuttosto basso ed il significativo calo in entrambi i gruppi, durante la FS, suggeriscono che gli animali si sono adattati gradualmente e agevolmente alla vita in gabbia, e che il livello alimentare era più che sufficiente per mantenere stabile la glicemia. I livelli di PRL (Tab, 4), particolarmente elevati, aumentarono nel passaggio dalla FP alla FS, risultando in linea con il periodo della prova, caratterizzato da fotoperiodi crescenti (Curlewis, 1992). Essi, tuttavia, non mostrarono differenze legate al diverso trattamento alimentare. L’effetto metabolico della PRL (sblocco della sintesi proteica a livello alveolare mammario) si rende indispensabile in principio di lattazione. Nelle fasi successive, tuttavia, non esiste una chiara prova del ruolo svolto. E’ possibile, perciò, che nel proseguo della lattazione si abbia una netta riduzione dei suoi recettori a livello mammario, nonostante gli alti livelli riscontrabili nel plasma. Al contrario, i livelli di GH (Tab. 4) diminuirono nel passaggio dalla FP alla FS, ma si mantennero significativamente più elevati in NFC24 (P<0.02). Ciò potrebbe spiegare perchè questo gruppo abbia prodotto più latte, con una maggiore ingestione di sostanza secca e di energia (Cannas et al., 2003). Le osseervazioni sono in perfetto accordo con quanto osservato in precedenza (Bomboi et al., 2002 e 2003). E’ curioso osservare, tuttavia, che il gruppo NFC24 ebbe anche la maggiore concentrazione di insulina ed è noto l’antagonismo tra questi due ormoni. L’unica spiegazione che al momento possiamo ipotizzare è che la maggiore concentrazione di insulina in circolo rappresenti, oltre a quanto già detto in precedenza, la risposta ad un intenso processo di gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi alimentari, come detto parlando dell’urea. D’altra parte, è noto che l’assunzione mammaria del glucosio avviene a prescindere dall’insulina.

90 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 4 - Concentrazione ematica di prolattina (ng/ml) e somatotropina (ng/ml).

PRL GHNFC35 NFC24 NFC35 NFC24

Fase Preliminare

3993795.018.07

Fase Sperimentale

Settimana 1 406 368 3.45 7,03

Settimana 2 451 429 3.42 4.33

Settimana 3 500 515 3.22 4.25

Media Sperimentale 452 437 3.36a 5.20b

a,b = P<0.05; basati su ANCOVA

Conclusioni – I livelli dei parametri ematici sono risultati in perfetto accordo con i dati zootecnici, sebbene le differenze tra i due gruppi sperimentali non siano apparse tanto marcate quanto quelle produttive. La concentrazione di cortisolo nel sangue, inoltre, suggerisce che gli animali si sono perfettamente adattati alla permanenza prolungata nelle gabbie metaboliche. I dati confermano nella sostanza quanto già osservato da Bomboi et al. (2002 e 2003), e suggeriscono che fra i numerosi fattori che possono incidere sul quadro endocrino e metabolico di una pecora in lattazione, un ruolo centrale va assegnato agli aspetti quantitativi e, soprattutto, qualitativi, della razione. Perciò, anche nelle pecore ad elevato livello produttivo il quadro metabolico-ormonale nella fase intermedia di lattazione é tale da sconsigliare la somministrazione di razioni con concentrazioni elevate di carboidrati non strutturali. Questi, infatti, inducendo elevate produzioni ruminali di propionato e lattato, determinano una notevole attività gluconeogenetica a livello epatico stimolando la lipodeposizione a svantaggio della secrezione lattea in relazione ad un aumento della secrezione di insulina (Ørskov, 1986), fatto peraltro non verificato in questo studio. Al contrario, in questa fase di lattazione, l’uso di razioni con elevate quote di fibra, di eccellente qualità e tali da garantire elevati livelli di ingestione alimentare, si associa positivamente al livello plasmatico di GH ed assicura, non solo la persistenza della lattazione, ma anche elevati livelli produttivi. Gli altri ormoni presi in considerazione dalla presente ricerca (PRL, FT3, FT4, cortisolo) rivestono probabilmente un ruolo minore nella genesi del fenomeno osservato.

Bibliografia1) Bizelis J. A., Charismiadou M. A., Rogdakis E. (2000): Metabolic changes during the perinatal period in dairy sheep in relation to

level of nutrition and breed. II. Early lactation. J. Anim. Physiol. A& Anim Nutr., 84: 73-842) Bomboi G., Sechi P., Rubattu R., Cannas A., Annichiarico G., Floris B. (2002): Effetto del rapporto foraggi/concentrati della

razione su alcuni parametri endocrini e metabolici nel sangue di pecore da latte a fine lattazione. Atti Fe.Me.S.P.Rum. IX, CD.3) Bomboi G., Annichiarico G., Taibi L., Floris B., Sechi P., Rubattu R., Cannas A. (2002): Effetto del rapporto foraggi:concentrati

in pecore in fase intermedia di lattazione. Atti S.I.P.A.O.C. 15, 139, (Abstract).4) Bomboi G., Cannas A., Parmeggiani A., Floris B. (2003): Effetti endocrino-metabolici di razioni a differente rapporto F:C in

pecore da latte nella fase intermedia di lattazione. Atti So.Fi.Vet., 5, in print.5) Brown D.L., Hogue D.E. (1985): Effects of roughage level and physical form of diet on Finnsheep lactation. SID Research Digest,

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in vivo digestibility and milk yield in Sarda ewes. Proc. Annual Meeting EAAP, 54, in press.7) Curlewis J.D. (1992) : Seasonal prolactin secretion and its role in seasonal reproduction: a review. Reprod. Fertil. Dev. , 4: 1-23.8) Marongiu A., Molle G., Bomboi G., Ligios S. (1994a): Livelli ematici di glucosio, NEFA e insulina in pecore sarde al pascolo con

differenti disponibilità di erba e concentrato. Atti SISVET, 48: 395-399.9) Marongiu A., Molle G., Bomboi G. (1995): Influenza della disponibilità di erba e concentrato sui livelli plasmatici di glucosio,

NEFA e insulina in pecore di razza Sarda a inizio lattazione. Atti SISVET, 49: 307-308.10) Ørskov E.R. (1986): Starch digestion and utilization in ruminants. J. Anim. Sci. 63: 1624-1633

Lavoro effettuato con finanziamento ex 60% (anno 2001- Titolare Prof. Antonio Marongiu)

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GLI ADDITIVI NELL’ALIMENTAZIONE DEGLI ANIMALI

Biagi Giulia1, Luchetti Elena1, Nannipieri Sandra2, Signorini Giancarlo3

1Dipartimento di Clinica Veterinaria – Università di Pisa2Veterinario Dirigente – AzUSL Livorno

3Scuola di Specializzazione in “Diritto e Legislazione Veterinaria” – Università di Parma

RiassuntoSulla Gazzetta Ufficiale n. 291 del 15 dicembre 2001 è stato pubblicato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 433, “Regolamento di attuazione delle direttive 96/51/CE, 98/51/CE e 1999/20/CE in materia di additivi nell’alimentazione degli animali”, che sostituisce ed abroga il decreto del Presidente della Repubblica n. 228/92. Gli Autori riportano gli aspetti innovativi relativi agli additivi presenti nella nuova norma e ribadiscono che quanto disciplinato dalla vigente normativa in materia, con particolare riguardo al Decreto Legislativo n. 123/99, “Attuazione della direttiva 95/69/CE che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni stabilimenti ed intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali”, deve essere ottemperato.

Summary - ANIMAL FEEDING ADDITIVESOn number 291 of the Official Gazette December, 15, 2001, has been published the President of the Republic Decree n. 433, “Putting into effect rule of the directives 96/51/EC, 98/51/CE and 1999/20/EC in matter of animal feeding additives. The new rule replaces and abrogates the President of the Republic decree n. 228/92. The authors underline the innovative aspects relative the new norms regarding the additives and the underline the necessity that these norms must be complied as soon as possible; particularly the norms, disciplined by the current provisions in matter, in connection with the Legislative Decree n. 123/99, “Putting into effect of the 95/69/EC directive that fixed the conditions and the modality for the recognition and the recording of the companies and the intermediary operators of the animal feeding sector” must be refreshed.

IntroduzioneIl concetto di Dose Giornaliera Ammissibile (DGA) per l’uomo, espressa sulla base del peso corporeo (milligrammi/chilogrammo di peso corporeo) e definita come la quantità di un additivo alimentare che può essere assunta nella dieta quotidiana senza rischi, anche per tutto l’arco della vita, fu sviluppato dal Comitato misto FAO/OMS di esperti per gli additivi alimentari (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives, JECFA) e fu in seguito approvato dal Comitato scientifico per l’alimentazione umana (Scientific Committee on Food) della Commissione Europea. In genere la DGA viene definita in base a studi a lungo termine condotti sull’alimentazione degli animali, determinando per prima cosa il cosiddetto “Livello Effetto Zero”, cioè la quantità di additivo che può essere somministrata giornalmente agli animali senza alcun effetto tossico, al quale viene aggiunto un largo fattore di sicurezza, di solito uguale a 100, per arrivare alla DGA per l’uomo, fattore di sicurezza che tiene conto sia della differenza tra l’animale e l’uomo che della variabilità tra i vari individui, incluse le differenze di stato di salute, di alimentazione, di età, ecc.: ad esempio, se il Livello Effetto Zero osservato sugli animali è 100 mg/kg di peso corporeo, questo è poi convertito nella dose giornaliera di 1 mg/kg di peso corporeo per gli esseri umani. Occorre inoltre sottolineare che la DGA non rappresenta un livello di tossicità ma indica invece un livello di assunzione prudenziale tanto che gli individui possono anche eccedere occasionalmente la DGA, a condizione che la media giornaliera sia ad essa inferiore: la DGA, sebbene sia stata chiamata dose giornaliera ammissibile, in realtà dovrebbe essere sempre confrontata con la media su periodi prolungati, piuttosto che con la quantità assunta giorno per giorno. Prima che un additivo possa essere usato negli alimenti, nei quali sono consentiti solo quelli che hanno dimostrato, alle dosi proposte, di essere sicuri, deve appunto aver superato severissimi controlli. D’altra parte, la sicurezza di un additivo alimentare non è il solo criterio adottato per consentirne l’impiego negli alimenti: deve esserne dimostrata anche la necessità e se questa non può essere provata, la Commissione Europea non consente l’uso dell’additivo. Attualmente la DGA si è dimostrata essere il miglior strumento per i legislatori poiché ha contribuito a portare avanti un approccio uniforme su base mondiale per indicare la sicurezza di una sostanza in relazione alla sua assunzione da parte dell’uomo.Negli ultimi decenni, la ricerca spasmodica del profitto ha spinto allevatori, genetisti ed alimentaristi a studiare razioni alimentari alle quali sono stati aggiunti gli additivi più diversi al fine di ottimizzare ed incrementare il tipo di produzione proprio degli animali allevati. Naturale conseguenza di ciò è stato che l’igiene della produzione delle derrate di origine animale sia diventata una fase complessa ed articolata di un processo unitario che inizia in allevamento, oltre che con la lotta alle malattie infettive trasmissibili tra animali e la lotta alle zoonosi, con il controllo degli alimenti destinati agli animali, la vigilanza sull’inquinamento ambientale di derivazione animale e la sorveglianza sul benessere e sanità animale. D’altra parte è ormai superfluo sottolineare la stretta relazione esistente tra sanità animale, igiene della produzione e salubrità delle derrate di origine animale e, se certe sostanze possono essere assunte dagli animali in modo del tutto involontario o accidentale, altre molecole vengono somministrate agli animali a scopo terapeutico o per incentivare le produzioni.Il concetto di DGA ritenuto valido per l’uomo, a maggior ragione deve essere ritenuto valido per gli animali per tutte le molecole che possono essere loro somministrate, additivi compresi in quanto qualsiasi sia il composto che, in vario modo e per diverse vie, può giungere agli animali per i quali si riconoscono due possibilità di comportamento a seconda della natura chimica dei contaminanti, filtri o concentratori, ma comunque sempre responsabili di residui in grado di contaminare gli alimenti da essi prodotti dagli stessi animali. Gli effetti biologici dei residui sono strettamente correlati alle caratteristiche tossicologiche delle molecole originarie, alla metabolizzazione nell’animale, ai legami che i diversi metaboliti contraggono con le sostanze biologiche e che ne condizionano la biodisponibilità, oltre alla loro degradazione.Una cospicua legislazione è stata emanata a partire dagli anni settanta riguardante gli additivi nell’alimentazione degli animali

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in base alla quale solo le sostanze elencate negli allegati delle direttive, ed unicamente alle condizioni indicate, possono essere contenute negli alimenti per animali e non possono essere distribuiti in altra maniera nel quadro dell’alimentazione degli animali. In generale si può dire che una sostanza può essere impiegata come additivo soltanto se ha un effetto favorevole sulle caratteristiche degli alimenti in cui viene incorporata o sulla produzione animale; se non ha effetti sfavorevoli sulla salute animale e umana; se non reca pregiudizio al consumatore dei prodotti animali. Naturalmente, in caso di minaccia per la salute animale o umana, uno Stato membro può, per un periodo massimo di quattro mesi, sospendere l’impiego di taluni additivi o ridurne il tenore massimo fissato. Inoltre, è prevista un’etichettatura speciale per gli alimenti per animali contenenti additivi, e particolarmente gli alimenti complementari contenenti concentrati di alcuni additivi, in modo che l’utilizzatore sia informato sulla natura degli additivi e protetto contro le frodi.Sulla Gazzetta Ufficiale (GURI) n. 291 del 15 dicembre 2001 è stato pubblicato il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 433, “Regolamento di attuazione delle direttive 96/51/CE, 98/51/CE e 1999/20/CE in materia di additivi nell’alimentazione degli animali”, che sostituisce ed abroga il decreto del Presidente della Repubblica n. 228/92. Il DPR n. 433/2001 regolamenta la filiera degli additivi e delle premiscele di additivi (preparazione, distribuzione, commercio, anche a titolo gratuito, impiego) utilizzate nella alimentazione degli animali; alcuni aspetti relativi ai mangimi che contengono additivi e premiscele, fermo restando quanto disciplinato dalla vigente normativa in materia, con particolare riguardo al Decreto Legislativo (D. L.gs) n. 123/99, intitolato “Attuazione della direttiva 95/69/CE che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni stabilimenti ed intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali” e pubblicato nella GURI del 7 maggio 1999, n. 105.

Decreto del Presidente della Repubblica n. 433 del 2 novembre 2001L’art. 1, “ambito di applicazione”, dispone che il presente regolamento disciplina la preparazione, il commercio, la distribuzione, anche a titolo gratuito, e l’impiego degli additivi, delle premiscele e dei mangimi che li contengono, utilizzabili nell’alimentazione degli animali e che non si applica ai coadiuvanti tecnologici utilizzati deliberatamente come sostanze nella trasformazione di materie prime per mangimi o di mangimi ai fini di un determinato obiettivo tecnologico, durante il trattamento o la trasformazione, e il cui impiego può risultare nella presenza non intenzionale, ma tecnicamente inevitabile, di residui di tali sostanze o di loro derivati nel prodotto finale, purché i suddetti residui non presentino rischi sanitari e non abbiano alcun effetto tecnologico sul prodotto finito. Non sono considerati additivi neppure le sostanze che, pur corrispondendo ad una sostanza autorizzata, sono presenti allo stato naturale nella materia prima, che rientrano nella composizione normale dei mangimi, purché non si tratti di prodotti specificamente arricchiti con tali sostanze.L’art. 2 dà le definizioni a cui fare riferimento. Ricordiamo quella di “additivi” (sostanze o preparazioni utilizzate nell’alimentazione degli animali che hanno una o più delle seguenti finalità: influenzare favorevolmente le caratteristiche delle materie prime per mangimi o dei mangimi composti o dei prodotti di origine animale; soddisfare le esigenze nutrizionali degli animali o migliorare la produzione animale influendo, in particolare, sulla flora gastrointestinale o sulla digeribilità dei mangimi; introdurre elementi favorevoli per raggiungere obiettivi nutrizionali particolari o per rispondere a esigenze nutrizionali specifiche momentanee degli animali; prevenire o ridurre gli effetti nocivi provocati dalle deiezioni animali oppure migliorare l’ambiente in cui si trovano gli animali); “materie prime per mangimi” (i diversi prodotti di origine vegetale o animale, allo stato naturale, freschi o conservati nonché i derivati della loro trasformazione industriale, come pure le sostanze organiche o inorganiche, comprendenti o no additivi destinati ad essere impiegati nell’alimentazione degli animali per via orale, direttamente come tali o previa trasformazione, per la preparazione di mangimi composti oppure ad essere usati come supporto delle premiscele); “premiscele” (che sostituisce il termine “integratore”): le miscele di additivi o le miscele di uno o più additivi con sostanze che costituiscono un supporto, destinate alla fabbricazione di mangimi.Nessun additivo può essere immesso in circolazione senza un’apposita autorizzazione comunitaria (art. 3), rilasciata con regolamento della Commissione europea a seguito della procedura prevista nell’art. 4, a condizione che l’additivo utilizzato nei mangimi abbia uno degli effetti previsti all’art. 2; che, tenuto conto delle condizioni di impiego, non abbia influenze sfavorevoli sulla salute umana o animale o sull’ambiente e non danneggi il consumatore alterando le caratteristiche dei prodotti di origine animale; che sia controllabile sia in quanto additivo stesso, sia nelle premiscele, sia nei mangimi o, sia, eventualmente, nelle materie prime per mangimi; che, tenuto conto del tenore consentito, non possa essere usato per il trattamento o la prevenzione delle malattie degli animali ad eccezione degli additivi appartenenti al gruppo dei coccidiostatici e altre sostanze medicamentose; che per seri motivi attinenti alla salute umana o degli animali, non sia esclusivamente riservato all’uso medico o veterinario. Gli additivi autorizzati possono essere immessi in circolazione e possono essere utilizzati alle condizioni previste nel relativo regolamento di autorizzazione solo se incorporati nei mangimi anche se in deroga gli additivi appartenenti a gruppi diversi da “antibiotici, “coccidiostatici e altre sostanze medicamentose”, nonché “fattori di crescita”, possono essere utilizzati secondo modi di somministrazione diversi dall’incorporazione nei mangimi, purché questi siano previsti dal regolamento di autorizzazione. Inoltre non devono essere aggiunti alle materie prime per mangimi e ai mangimi semplici a meno che la loro utilizzazione non sia espressamente prevista nel regolamento di autorizzazione.La procedura per ottenere l’autorizzazione comunitaria (art. 4) prevede la scelta di uno Stato membro, per l’Italia l’autorità competente è il Ministero della salute, quale relatore, in occasione della procedura d’esame, presentando un fascicolo costituito conformemente alle disposizioni dell’allegato D al presente DPR.Nel caso in cui un additivo sia costituito da o contenga organismi geneticamente modificati (art. 5) deve essere effettuata una valutazione specifica dei rischi per l’ambiente in base al Decreto Legislativo (D. L.gs) n. 92/93, “Attuazione della direttiva 90/220/CEE concernente l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati” per proteggere appunto sia la salute umana che l’ambiente.L’art. 6 riguarda l’autorizzazione comunitaria associata al responsabile, l’art. 7 la protezione dei dati scientifici e le informazioni contenuti nel fascicolo presentato ai fini del rilascio della prima autorizzazione, l’art 8 l’autorizzazione comunitaria non associata al responsabile e l’art. 9, “Additivi già autorizzati”, consente l’immissione provvisoria in circolazione in attesa che

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la Commissione europea riesamini le autorizzazioni, su istanza del richiedente, secondo le procedure previste dal presente regolamentoI tenori massimi e minimi stabiliti (art. 10) per taluni additivi si riferiscono ai mangimi completi con tasso di umidità del 12%, quando i regolamenti comunitari di autorizzazione non prevedono disposizioni particolari e se la sostanza utilizzabile come additivo esiste anche allo stato naturale in talune materie prime del mangime, la parte di additivo da incorporare deve essere calcolata in modo che la somma degli elementi aggiunti e degli elementi presenti naturalmente non superi il tenore massimo previsto nei regolamenti comunitari di autorizzazione. Inoltre, nelle premiscele e nei mangimi è ammessa la miscelazione degli additivi unicamente se viene rispettata la compatibilità fisico-chimica e biologica tra i componenti della miscela, in funzione degli effetti ricercati e se non si tratta di una miscela oggetto di autorizzazione specifica in quanto additivo, non possono essere mescolati tra loro: gli antibiotici e i fattori di crescita, sia che appartengano ad uno stesso gruppo, sia che appartengano ai due gruppi; i coccidiostatici e le altre sostanze medicamentose, con gli antibiotici ed i fattori di crescita, quando gli stessi coccidiostatici esercitano, per una stessa categoria di animali, una funzione di antibiotico o di fattore di crescita; i coccidiostatici e le altre sostanze medicamentose, se i loro effetti sono analoghi. Infine la miscela di antibiotici, fattori di crescita, coccidiostatici e altre sostanze medicamentose con microrganismi e’ vietata a meno che nel regolamento comunitario di autorizzazione del microrganismo non sia ammessa tale miscela.In base all’art 11, il Ministero della salute può autorizzare, esclusivamente per esperimenti ai fini scientifici ed a fini non commerciali, l’utilizzazione come additivi di prodotti non autorizzati a livello comunitario o l’utilizzazione di additivi a condizioni diverse da quelle previste nel regolamento comunitario purché gli esperimenti siano effettuati secondo i principi e le condizioni fissati in sede comunitaria e sotto il controllo delle AzUSL competenti per territorio, secondo le modalità previste dal D. L.gs n. 116/92 e purché la sperimentazione di tali prodotti non comporti un rischio per la salute dell’uomo, dell’animale o dell’ambiente. L’art. 12 prescrive che gli additivi e le premiscele devono essere adeguatamente custoditi e contenuti in recipienti particolarmente idonei alla loro conservazione che possono essere facilmente identificati e naturalmente devono essere commercializzati in imballaggi o recipienti sigillati il cui dispositivo di chiusura sia tale da non poter essere riutilizzato dopo l’apertura.L’impiego di uno degli additivi autorizzati o la sua utilizzazione alle condizioni eventualmente fissate possono essere sospesi provvisoriamente o limitati nel territorio quando si constati che essi comportano un pericolo per la salute dell’uomo o degli animali o per l’ambiente (art. 13). L’adozione del provvedimento e i motivi che lo giustificano sono comunicati alla Commissione europea e agli altri Stati membri a cura del Ministero competente (della salute e/o dell’ambiente e della tutela del territorio).I mangimi complementari, tenuto conto della diluizione prevista per il loro impiego, non possono contenere tenori di additivi superiori a quelle fissati per i mangimi completi (art. 14). In particolare nei mangimi complementari i tenori di antibiotici, di coccidiostatici ed altre sostanze medicamentose, di fattori di crescita, di vitamina D e di antiossidanti possono superare i tenori massimi fissati per i mangimi completi solo se si tratta di mangimi complementari a disposizione di tutti gli utilizzatori, a condizione che il loro tenore di antibiotico o di vitamina D o di fattore di crescita non superi il quintuplo del tenore massimo fissato o se si tratta di mangimi complementari destinati a talune specie animali a disposizione di tutti gli utilizzatori in considerazione del sistema particolare di nutrizione, presentando però nella composizione una o più caratteristiche, quali proteine o minerali, che escludano il superamento dei tenori di additivi fissati per i mangimi completi o la destinazione del mangime ad altre specie animali. Ad ogni modo, la percentuale non deve superare per gli antibiotici ed i fattori di crescita 1000 mg/kg e per i bovini destinati all’ingrasso, 2000 mg/kg; per gli antiossidanti, nonché per i coccidiostatici ed altre sostanze medicamentose, il quintuplo del tenore massimo fissato; per le vitamine D, 200.000 Ul/kg.L’immissione in commercio è regolamentata dall’art. 15 che prevede che possano essere immessi in circolazione o utilizzati i relativi additivi contemplati dal presente regolamento, le premiscele preparate con questi additivi per essere incorporate nei mangimi composti, nonché i mangimi composti contenenti queste premiscele, soltanto dalle imprese o dagli intermediari che soddisfano le condizioni previste dal D. L.gs n. 123/99. Tutti gli additivi del gruppo antibiotici, coccidiostatici e altre sostanze medicamentose, fattori di crescita possono essere forniti soltanto da imprese riconosciute ai sensi del D. L.gs n. 123/99 ad intermediari o ad imprese di fabbricazione di premiscele che sono stati riconosciuti ai sensi del D. L.gs n. 123/99 e sotto forma di premiscele, soltanto ad intermediari o ad imprese che procedono alla fabbricazione di mangimi composti, al fine della loro immissione in circolazione o esclusivamente per le necessità del bestiame allevato, riconosciuti sempre in base alle disposizioni del citato D. L.gs n. 123/99. Gli oligoelementi (rame e selenio), le vitamine, provitamine e sostanze con effetto analogo chimicamente ben definite (vitamine A e D) possono essere forniti soltanto da imprese riconosciute ad intermediari o ad imprese di fabbricazione di premiscele che sono stati riconosciuti in base alle disposizioni del D. L.gs n. 123/99 e sotto forma di premiscele, soltanto ad intermediari riconosciuti a norma del D. L.gs n. 123/99 o ad imprese che procedono alla fabbricazione di mangimi composti al fine della loro immissione in circolazione o esclusivamente per le necessità del bestiame allevato, registrate o riconosciute ai sensi del D. L.gs n. 123/99. Tutti questi additivi possono essere incorporati nei mangimi composti soltanto se sono stati preventivamente preparati sotto forma di premiscele, che possono essere incorporate nei mangimi composti soltanto in proporzione minima dello 0,2 per cento in peso, in stabilimenti che soddisfano le condizioni previste dal D. L.gs n. 123/99. In deroga il Ministero della salute può consentire che siano incorporate alcune premiscele nei mangimi composti in proporzione minore allo 0,2 per cento in peso, ma non al di sotto dello 0,05 per cento in peso, a condizione che la composizione quantitativa e qualitativa delle premiscele lo consenta e qualora sia stato preventivamente accertato dalla regione o dalla provincia autonoma, ai sensi del D. L.gs n. 123/99, che gli stabilimenti soddisfano le condizioni definite nell’allegato I per ripartire in maniera omogenea le premiscele e per rispettare i tenori in additivi prescritti per il mangime completo.Per quanto riguarda l’etichettatura, ferme restando le vigenti disposizioni in materia, deve essere effettuata ai sensi dell’art. 16 per gli additivi, dell’art. 17 per le premiscele e dell’art. 18 per i mangimi. In particolare l’art. 16 in merito alla etichettatura

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degli additivi prevede per tutti (ad eccezione degli enzimi e dei microrganismi) l’indicazione del nome attribuito all’additivo all’atto della sua autorizzazione e del numero di registrazione CE dell’additivo. Inoltre, sulla etichetta degli additivi, la cui autorizzazione è associata al responsabile dell’immissione in circolazione, devono essere indicate anche la denominazione ed il numero di immatricolazione della ragione sociale del responsabile della immissione in circolazione. Al riguardo, nelle more della pubblicazione dei previsti elenchi degli additivi autorizzati, ed anche per gli enzimi ed i microrganismi, al fine di consentire una piena identificazione degli additivi in circolazione e la loro assoluta tracciabilità, si ritiene, per quanto possibile, che occorra fare ancora riferimento agli elenchi di cui al DPR n. 228/92, alle successive modificazioni ed integrazioni, nonché ai successivi regolamenti comunitari relativi all’autorizzazione di additivi, così come evidenziato nella sezione relativa alle “condizioni per l’autorizzazione degli additivi e relative procedure”. Relativamente all’art. 18, il numero di riconoscimento attribuito all’impresa, deve intendersi riferito al produttore del mangime e non al fabbricante degli additivi. In via transitoria entro sei mesi a far data dalla pubblicazione dei summenzionati elenchi, e’ consentito lo smaltimento delle giacenze di tutti i prodotti etichettati come indicato ai punti precedenti. Per quanto riguarda i mangimi complementari (art. 20), fatte salve le disposizioni di cui alla L. n. 281/63, e successive modificazioni, se contengono un tasso di additivo superiore ai tenori massimi fissati per i mangimi completi, possono essere commercializzati solo se è dichiarata, secondo la specie animale e l’età, la quantità massima in grammi o in chilogrammi di alimento complementare da somministrare per animale e al giorno, conformemente alle disposizioni di utilizzazione previste dall’autorizzazione comunitaria dell’additivo.Le autorità competenti, effettuano in base all’art. 20, nel corso della commercializzazione, almeno a campione, ai sensi del D. L.gs n. 460/98, e successive norme di attuazione, il controllo ufficiale degli additivi, delle premiscele e degli alimenti per animali relativo all’identità degli additivi utilizzati ed al rispetto delle altre disposizioni previste nel presente regolamento. In mancanza di disposizioni comunitarie che fissano le tolleranze in caso di divergenza tra il risultato del controllo ufficiale ed il tenore dichiarato dell’additivo nel mangime composto, le tolleranze stesse sono stabilite secondo quanto previsto dalla L. n. 281/63, e successive modificazioni. L’art 23 infine abroga il DPR n. 228/92.Infine, il 4 luglio 2002 il Ministro della Salute ha emanato la Circolare n. 2, esplicativa del DPR 2 novembre 2001, n. 433, concernente “Regolamento di attuazione delle direttive 96/51/CE, 98/51/CE e 1999/20/CE in materia di additivi nella alimentazione degli animali, che sostituisce ed abroga il decreto del Presidente della Repubblica n. 228/1992. La Circolare è stata emanata per favorire una corretta applicazione delle nuove disposizioni e nell’intento di chiarire ogni eventuale perplessità in merito, fornendo indicazioni sugli articoli per i quali potrebbero eventualmente sussistere dubbi interpretativi.

Valutazioni conclusiveL’accresciuta attenzione in merito all’alimentazione degli animali, determinata anche dagli ultimi eventi epidemiologici, in particolare BSE, afta epizootica e blue tongue, hanno ulteriormente evidenziato l’opportunità di intensificare i controlli, ed eventualmente di attivarne ulteriori mirati sull’intera filiera degli alimenti per gli animali dato che la prevenzione e ed il controllo delle patologie di allevamento passa anche attraverso la somministrazione agli animali di mangimi contenenti sostanze farmacologicamente attive. D’altra parte è ormai dimostrata l’influenza dell’alimentazione degli animali sulle qualità organolettiche e sulla salubrità delle derrate alimentari di origine animale per cui è l’evoluzione della normativa comunitaria e nazionale non può essere altro che tendente ad una maggiore tutela della sanità pubblica ed a garantire sempre più i consumatori in merito ai prodotti alimentari di origine animale.Finalità anche del DPR n. 433/2001 è la tutela della sanità pubblica attraverso la vigilanza sull’alimentazione degli animali produttori di alimenti destinati al consumo umano per contribuire ad assicurare la salubrità dei prodotti di origine animale. Le linee direttrici per la valutazione degli additivi impiegabili nell’alimentazione degli animali prevedono infatti che siano forniti i risultati degli studi intesi a stabilire l’identità, le condizioni di impiego, le proprietà fisico-chimiche, i metodi di controllo e l’efficacia dell’additivo nonché il suo metabolismo e i suoi effetti biologici e tossicologici sulle specie bersaglio e se l’additivo è destinato a una particolare categoria di animali appartenenti ad una data specie, gli studi devono essere effettuati su questa categoria bersaglio. Dovranno poi essere effettuati studi necessari alla valutazione dei rischi per la salute umana e per l’ambiente e questi dipenderanno essenzialmente dalla natura dell’additivo e dalle circostanze del suo impiego. Per gli additivi destinati all’alimentazione degli animali da reddito, da cui vengono ottenuti prodotti destinati al consumo umano, è sempre necessario prevedere un complesso di prove complete sulla tossicità cronica, sulle proprietà mutagene e cancerogene specialmente se vi sono indicazione di mutazioni, in base alla composizione chimica, alle esperienze nell’utilizzazione o altro. Inoltre, è di fondamentale importanza conoscere il metabolismo dell’additivo nell’organismo degli animali da reddito nonché i residui e la relativa biodisponibilità per poter stabilire la portata degli studi tossicologici da effettuare su animali da laboratorio al fine di valutare gli eventuali rischi per il consumatore; questa valutazione non potrà in alcun caso basarsi su dati limitati all’azione diretta dell’additivo sull’animale da laboratorio perché non permetterebbero di ottenere alcuna informazione specifica sugli effetti reali dei residui del metabolismo nelle specie alle quali è destinato l’additivo. Particolare importanza rivestono gli studi concernenti la sicurezza dell’impiego dell’additivo per le specie bersaglio; i rischi di inalazione o da altro contatto con mucose, occhi o pelle per le persone che dovranno manipolare l’additivo tal quale o incorporato nelle premiscele o negli alimenti; i rischi per il consumatore che possono derivare dal consumo di prodotti alimentari contenenti residui dell’additivo o suoi metaboliti; i rischi di inquinamento dell’ambiente o di persistenza in esso dovuti all’additivo stesso o ai prodotti da esso derivati ed escreti dagli animali; gli eventuali rischi per le specie non bersaglio.A conclusione di questa breve disamina sulla nuova normativa in materia di additivi nell’alimentazione degli animali, poiché l’alimentazione animale riveste un ruolo di estrema importanza soprattutto dal punto di vista sanitario e rappresenta sia una componente fondamentale per garantire la sicurezza delle derrate alimentari che una base importante per valorizzare una politica di qualità dei prodotti di origine animale, riteniamo indispensabile che sia sottoposta ad un particolare controllo e

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che quindi sia necessario che per la preparazione e la somministrazione di additivi si ricorra alle buone pratiche di produzione, al corretto uso degli ingredienti, oltre che all’applicazione delle buone norme di distribuzione e di somministrazione.Soltanto da animali in perfette condizioni di salute, alimentati razionalmente e mantenuti in strutture idonee e tali da rispondere ai requisiti previsti per garantire condizioni di benessere, si possono ottenere derrate sane ed accettabili. Pertanto, data la stretta correlazione esistente tra alimentazione e salute animale, riteniamo opportuno sottolineare come il DPR n. 433/2001 faccia nei suoi disposti riferimento al D. L.gs n. 123/99 (GURI n. 105, 07 maggio 1999) riguardante l’«Attuazione della direttiva 95/69/CE che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni stabilimenti ed intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali» il cui fine è stato quello di realizzare un metodico e sistematico controllo dell’alimentazione animale con l’intento di tutelare lo stato di salute degli animali, la sicurezza dei prodotti di origine animale ed escludendo nel contempo qualsiasi impatto negativo con l’ambiente.Concludiamo ricordando che la Commissione europea ha intenzione di proporre nuove regole di sicurezza alimentare mettendo al bando dai mangimi per animali da carne entro il 1° gennaio 2006 anche altri antibiotici, quali flavofosfolipidi, monensin sodio, salinomycina sodio e avilamycina, sostanze proibite per l’uomo ma ancora autorizzati negli allevamenti europei, utilizzati allo scopo di stimolare la crescita e nella cura delle patologie, con l’intento di evitare il rischio di un aumento dei batteri resistenti agli antibiotici nell’uomo e negli animali, preservando l’efficacia dei farmaci in caso di necessità. Non dimentichiamo che l’Unione europea è impegnata sul fronte “carne pulita” da diversi anni ed ha già cancellato ben venti antibiotici utilizzati per “gonfiare” gli animali. Fino a qualche anno fa, gli antibiotici che venivano usati per la salute degli uomini e degli animali ammontavano a 10.000 tonnellate e che di questi il 15% finiva nei mangimi specialmente negli allevamenti intensivi per limitare le malattie e per favorire una crescita veloce.

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IL BOLDENONE NEI BOVINI DA CARNE

Tassinari M.

Dimorfipa, Facoltà Di Medicina Veterinaria – Università Di Bologna, ItaliaVia Tolara Di Sopra, 50 – 40064 Ozzano Emilia (Bo)

Tel: 051792865 Fax: 051792869 E-mail: [email protected]

AbstractThe androgenic steroid Boldenone is an anabolic compound wich affects the growth and food conversion of cattle for meat production. During 2001-2002 years many Boldenone’s urine positiveness were discovered in beef cattle. Some authors attribute to boldenone an alimentary source from phytosterols by Mycobacterium sp. activities in the gut. More than 5,000 urine samples of veal calves were collected during officials controls by Public Veterinary in some farms. The samples were collected in different ways: with plastic zootechnical bag, with or without preliminary cleaning before taking off the urine in a saucepan, or directly from bladder at slaughter house. The samples that were collected in saucepan without cleaning or with plastic zootechnical bag showed a Boldenone’s positiveness from 1.5% to 20%. All samples collected at slaughter house from bladder or in the farm with preliminary cleaning were negative. We suppose that faecal contamination of urine samples may be the origin of positiveness to Boldenone.

IntroduzioneIl boldenone (1,4-androstadien-17β-ol-3-one) è un ormone steroideo ad attività androgenica e rientra, secondo la Direttiva 96/23/CE, nella categoria A3 (sostanze ad effetto anabolizzante e sostanze non autorizzate). Il suo impiego quale anabolizzante è stato rilevato nel cavallo sportivo (O’Connor e coll., 1993), nel cane (Williams e coll., 2000) e persino nel piccione (Hagedorn e coll., 1996). A partire dalle fine del 2000, e soprattutto negli anni 2001 e 2002, nel corso di controlli effettuati nell’ambito del Piano Nazionale Residui (PNR) nel nord Italia centinaia di campioni di urine provenienti da vitelli a carne bianca e vitelloni sono risultati positivi all’α-boldenone e, in misura molto ridotta, anche al β-boldenone (le due forme isomeriche del boldenone delle quali l’α costituisce il prodotto metabolico di inattivazione della forma β).Le prime ricerche sulla presenza del boldenone nelle urine di vitello sono state eseguite da Arts e coll. (1996). I risultati ottenuti hanno indotto gli Autori ad ipotizzare che il 17 α-boldenone poteva essere presente nelle urine di vitelli sicuramente non trattati e con valori fino a 3 ng/ml; di conseguenza, il ritrovamento del 17 α-boldenone nelle urine non poteva essere considerato prova di un trattamento illecito. Per quanto riguarda il β-boldenone, invece, ritrovato a livelli che non superavano mai 0,1 ng/ml, gli Autori non escludevano la possibilità di una sua presenza in vitelli non trattati. Van Puymbropeck e coll. (1998) analizzando le feci di 50 vitelli nell’ambito di uno screening routinario in sede di macellazione hanno riscontrato la presenza di α e β boldenone e, inoltre, anche di 1-4 androstadiene 3-17 dione (ADD o boldione, precursore del boldenone) e di 4 androstene 3-17 dione (AED, metabolita del boldenone). Nei vitelli non è stata dimostrata la presenza endogena di boldenone a livello di ghiandole sessuali primarie; nei testicoli del suino si è ritrovato sia il β-boldenone che l’ADD, mentre il 17 α-boldenone non è stato evidenziato (Schilt, 2002). Una recente ricerca di Ho e coll., del Racing Laboratory – the Hong Kong Jockey Club di Hong Kong in Cina, ha dimostrato la natura endogena di questa molecola anche nel cavallo intero.In Italia fino alla fine del 2002 il ritrovamento del boldenone nelle urine dei bovini da carne, sia nella forma α e/o β, era considerato sempre indice di trattamento illecito, indipendentemente dai valori ritrovati. Il Consiglio Superiore di Sanità (Sezione IV) nelle sedute del 24/10 e 18/11/2002, alla luce delle conoscenze scientifiche alla fine del 2002, ha raccomandato un livello analitico di riferimento di 2 ng/ml solamente per l’α-boldenone, senza però esprimersi nel merito dell’origine dell’α-boldenone e, pertanto, questo si presta di fatto ad una soglia di tolleranza.L’origine naturale dell’α-boldenone è accreditata come scientificamente plausibile, dal Laboratorio Europeo di Riferimento di Bilthoven, a partire da steroli presenti nella dieta dei vitelli (fitosteroli) ed in base ad alcune segnalazioni che riguardano la presenza di boldenone in feci provenienti da animali sotto stretto controllo sperimentale. Il lavoro più specifico in materia alla fine del 2002 risultava quello di Song e coll. (2000) in cui è dimostrata la presenza nelle feci di precursori del testosterone e del boldenone (ADD o boldione) in ratti alimentati con una miscela di fitosteroli (β-sitosterolo, campesterolo e stigmasterolo).Alla luce di quanto ritrovato in Bibliografia e sulla base delle ipotesi formulate da alcuni Autori relativamente alla possibile origine “naturale” del boldenone, si è pensato che le positività al boldenone delle urine dei vitelli a carne bianca potessero derivare da una contaminazione fecale. Certi della buona fede di parecchi allevatori, si è sposata l’ipotesi di alcuni Autori i quali sostengono che determinati ceppi di Micobatteri presenti nel pabulum microbico intestinale sono in grado di trasformare i fitosteroli, normalmente presenti nelle diete dei vitelli (e che possono arrivare fino a 300 mg/kg di latte ricostituito), in ADD, il precursore del boldenone (Schilt, 2002).

Materiale e metodiA partire da Agosto 2001 e fino ad Agosto 2002 sono stati effettuati, da parte dei Servizi Veterinari del Piemonte e della Lombardia, 5275 campionamenti di urine di vitelli a carne bianca nel corso di controlli ufficiali “su sospetto”, come previsto dal PNR in caso di positività ad una sostanza di tipo anabolizzante, in allevamenti di alcuni soci del Consorzio Italiano del Vitello di Qualità. Nell’ambito di questi controlli si sono prelevate le urine da vitelli di età compresa fra 30 e 260 giorni. Le urine sono state raccolte con 4 diverse modalità:- tramite il sistema normalmente utilizzato dal Servizio Veterinario, ovvero con l’apposizione all’animale del cosiddetto “grembiule zootecnico” (3821 campioni);

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- mediante contenitore (“pentolino”) mantenuto al di sotto del prepuzio senza toelettatura prima del prelievo (388 campioni);- con pentolino previa pulizia accurata (e in molti casi anche rasatura del pelo) della zona prepuziale (978 campioni) ;- direttamente dalla vescica in sede di macellazione (88 campioni totali in 2 diversi macelli).In parecchi allevamenti, in giorni diversi, si sono effettuati i prelievi tramite le diverse modalità descritte. Si sono quindi considerati i dati analitici di tutti i campioni, analizzati dagli Istituti Zooprofilattici di pertinenza.

RisultatiNella tabella 1 vengono riportati i risultati delle analisi delle urine prelevate con le diverse modalità. Appare subito evidente che la modalità di prelievo ha comportato significative differenze nelle positività riscontrate.Il 17 α-boldenone è stato ritrovato in 714 campioni prelevati tramite grembiule zootecnico (positività pari al 18,7%), mentre nei campioni di urine raccolte mediante il pentolino senza preventiva toelettatura della zona prepuziale la positività è nettamente inferiore e pari a 1,6% (6 campioni positivi su 388 prelievi). Il β-boldenone è risultato presente in 70 campioni (su 3821 prelievi) ottenuti con grembiule zootecnico (positività pari a 1,8%) mentre non è mai stato riscontrato nei campioni raccolti mediante il pentolino senza toelettatura prima del prelievo. In tutti i campioni di urine raccolti con pentolino ma con accurata pulizia e toelettaura della zona prepuziale prima del prelievo (978 in totale) ed in tutti quelli effettuati in sede di macellazione direttamente dalla vescica (88 campioni, dei quali la maggior parte erano risultati positivi al prelievo in allevamento) non è mai stato ritrovato il 17 α-boldenone e neppure il β-boldenone.

Tabella n.1: Positività al boldenone delle urine prelevate con metodiche diverse

Modalità di prelievo Campioni (n°) Positività α-boldenone Positività β-boldenone

Grembiule zootecnico 3821 714 (18,7%) 70 (1,8%)

Pentolino senza toelettatura 388 6 (1,6%) --

Pentolino con toelettatura 978 -- --

Vescica (al macello) 88 -- --

I prelievi di urine effettuati mediante grembiule zootecnico indicano chiaramente, accettando per valida l’ipotesi della presenza “naturale” del boldenone nelle feci dei vitelli, che la presenza di materiale fecale e/o peli imbrattati può essere determinante per la presenza dell’α-boldenone e del β-boldenone. Non è possibile, infatti, ottenere urine “pulite” con questo metodo di campionamento. A conferma di questo è ben evidente la bassissima positività ottenuta con il campionamento tramite pentolino ma, soprattutto, la negatività delle urine raccolte con accurata pulizia e toelettatura della zona prepuziale prima del prelievo oppure direttamente dalla vescica.

DiscussioneE’ noto da tempo che i fitosteroli vengono utilizzati, dalle industrie farmaceutiche, quale substrato di fermentazione microbica per la formazione di ADD (boldione), con efficienza di formazione di ADD fino al 40%. L’ADD viene impiegato per la successiva sintesi di ormoni steroidei. Nei lavori di fermentazione in vitro risulta che la selezione dei ceppi batterici più attivi nel fermentare i fitosteroli dipende dal tempo di contatto dei germi con il substrato e dalle concentrazioni del substrato stesso. Concentrazioni troppo alte o troppo basse inibiscono o non inducono, rispettivamente, tale selezione microbica.Nella flora microbica intestinale del colon e del cieco dei vitelli possono essere presenti Micobatteri a rapida crescita (M. fortuitum, M. vaccae) ed è noto che vitelli, nati da bovine da latte con andamento subclinico di paratubercolosi, alla nascita possono venire in contatto con alte concentrazioni di M. paratuberculosis. I batteri dell’intestino risultano dotati, tra l’altro, di attività beta idrossilasica per cui è possibile la formazione sia di α-boldenone che di β-boldenone a partire dal diretto precursore ADD o boldione.Con una nota datata 18 marzo 2003 la Commissione Europea (Health & Consumer protection, Directorate D–Food Safety, D3-Chemical and physical risk; surveillance) dirama il report del gruppo esperti (riuniti il 25/02/2003) della Commissione dove si afferma che l’α-boldenone è stato trovato in campioni di urina bovina di animali che non sono mai stati trattati con Boldenone, mentre il β-boldenone non è stato ritrovato, ma che le forme α e β del boldenone sono state entrambe ritrovate nei campioni di feci di bovini che non sono mai stati trattati con boldenone.Ancor più recentemente Sgoifo Rossi e coll. (2003) riportano che le urine campionate mediante il grembiule zootecnico sono di norma contaminate a seguito di dilavamento del materiale fecale presente sui peli del prepuzio durante la minzione, per caduta accidentale nel grembiule zootecnico di materiale fecale presente sul prepuzio, sulla zona adiacente allo stesso e sul ventre dell’animale e, inoltre, per contatto prolungato delle urine raccolte con il materiale fecale presente sulle zone citate. Nelle ricerche effettuate gli Autori riportano che le urine raccolte dagli stessi animali nell’arco di poco tempo con grembiule zootecnico o con metodologia che eviti la contaminazione fecale (tramite pentolino previa accurata toelettatura della zona prepuziale) risultano, rispettivamente, positive e negative alla presenza di boldenone.Pompa e coll. (2003) riportano che nell’ambito delle loro ricerche sulle feci fresche di vitelli a carne bianca e vitelloni (animali non trattati con nessun tipo di anabolizzante) è stato ritrovato soprattutto il β-boldenone ma anche l’α-boldenone. Inoltre, aspetto ancor più interessante, gli Autori hanno evidenziato che rilevanti quote di α-boldenone e ADD si formano durante il processo di naturale disidratazione anche in feci in cui, in origine, non era rilevabile né boldenone (α e β) né ADD e depongono per un’origine “naturale” del boldenone nelle feci bovine.

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ConclusioniAlla luce delle recentissime ricerche effettuate sulle feci dei vitelli e dei vitelloni da carne e considerando le diverse modalità di prelievo delle urine si può ragionevolmente concludere che non è corretto eseguire un prelievo di urine bovine contaminate da feci poiché questo potrebbe interferire con la positività dei campioni all’analisi del boldenone.E’ stata dimostrata scientificamente la presenza “naturale” del boldenone (α e β) e dell’ADD (boldione, diretto precursore del boldenone) nelle feci di animali sicuramente non trattati.Le recenti positività al boldenone delle urine di bovini fanno quindi deporre a favore di una presenza della molecola per contaminazione da materiale fecale e non certamente a trattamenti illeciti. E’ ovvio, a questo punto, che appare di fondamentale importanza eseguire prelievi di urine non contaminate da materiale fecale (urine assolutamente pulite) al fine di poter stabilire se la presenza di boldenone sia imputabile o meno ad un trattamento illecito.

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INTOXICACIÓN AGUDA POR ÁCIDO OXÁLICO: HALLAZGOS BIOQUÍMICOS

González Montaña Jr, Álvarez Nistal R, López Méndez S, Palma Barriga A, Prieto Montaña F.

Dpto. Medicina Veterinaria. Facultad de Veterinaria. Universidad de León. 24007. León. España. E-mail: [email protected]

ResumenSe han descrito múltiples casos de intoxicación por plantas que contienen cantidades variables de ácido oxálico. Intentando comprobar en un futuro la toxicidad de la remolacha azucarera, planta con gran contenido en ácido oxálico, hemos administrado el ácido oxálico puro a ovejas.Para ello se han dado dos tipos de dosis a ovejas estabuladas en nuestra Facultad. Uno de los grupos recibió 300 mg/kg p.v./día mientras que el otro recibió 600 mg/kg p.v./día. Realizamos muestreos diarios de sangre al objeto de comprobar la posible toxicidad aguda del ácido oxálico. Se describen los hallazgos laboratoriales encontrados con ambas dosis de tóxico.

INTOSSICAZIONE ACUTA DA ACIDO OSSIALICO: REPERTI BIOCHIMICIRiassuntoSono stati descritti molteplici casi di intossicazione per ingestione di piante che contenevano quantita’ variabili di acido ossialico. Per comprovare la tossicita’ della barbabietola da zucchero, che contiene alte concentrazioni del suddetto composto, abbiamo somministrato a pecore acido ossialico puro.Sono state fornite due tipi di dosi a pecore stabulate nella nostra facolta’. Un gruppo ha ricevuto 300mg/kg pv/dia, l’altro 600mg/kg pv/dia.Furono realizzati prelievi giornalieri di sangue per comprovare la possibile tossicita’ acuta dell’acido ossialico. Si descrivono i reperti laboratoriali incontrati con entrambe le dosi

IntroducciónEn la provincia de León, la remolacha azucarera (Beta vulgaris) se viene utilizando de forma rutinaria para la alimentación del ganado ovino, bien directamente, bien a través de sus subproductos o bien de los productos resultantes de su transformación para la obtención de azúcar.Si tal como se ha citado en la bibliografía esta planta posee gran cantidad de ácido oxálico (Radostits et al, 1999) y otras plantas que tienen distintas cantidades de ácido oxálico han sido causantes de intoxicaciones en distintas especies de rumiantes, cabe la posibilidad que la alimentación con remolacha y sus subproductos pueda tener efectos adversos para el ganado ovino. Así la ingestión en exceso de ácido oxálico parece provocar diversas patologías que van desde irritación gastrointestinal hasta patologías renales, debido a la precipitación de cristales de oxalato en la luz de los túbulos renales, e incluso la muerte de los animales por una importante caída del calcio sanguíneo debido a que es quelado por el ácido oxálico (González- Montaña et al, 2002).Por tanto el objetivo final del presente trabajo ha sido valorar el efecto sobre animales vivos de la administración de ácido oxálico puro en distintas cantidades, al objeto de determinar las alteraciones bioquímicas producidas.

Material y métodosUtilizamos 6 ovejas adultas de raza Churra, convenientemente desparasitadas y en buen estado de salud. Durante su estancia en las instalaciones en el Pabellón Clínico de la Facultad de Veterinaria de León, se alimentaron a base de forraje de heno, paja de cebada, y concentrado de grano de cebada y de avena.Las ovejas se dividieron al azar en dos grupos, para la administración de distintas cantidades de ácido oxálico. Se les administró ácido oxálico dihidratado (RectapurTM, Prolabo, C

2H

2O

42H

2O, con 99% pureza) disuelto en 1 litro de agua

mediante sonda esofágica. A tres ovejas se les aplicó 600 mg/kg p.v./día, mientras que las otras 3 recibieron una dosis 300 mg/kg p.v./día hasta el fallecimiento.Diariamente y previa a la administración del preparado se procedió a la exploración de las ovejas y la recogida de sangre mediante punción en yugular con jeringas heparinizadas. Se han valorado los siguientes parámetros: fosfatasa alcalina, ASAT, ALAT, GGT, urea, glucosa, creatinina, calcio, fósforo, magnesio y proteínas totales.

ResultadosLas ovejas a las que se ha administrado 600 mg de ácido oxálico/kg p.v./día murieron a los 5, 7 y 9 días. Los principales síntomas encontrados han sido depresión, inapetencia, temblores, indiferencia al medio y disminución de la actividad ruminal, evolucionando posteriormente a anorexia, parálisis ruminal, diarrea importante y estado comatoso. En un animal se realizó la eutanasia cuando observamos que la evolución del proceso era irreversible.En las tres ovejas comprobamos un importante incremento de la creatininemia y azoemia, ya observado a partir del día 3 (excepto una oveja que en el día 5 presenta una ligera disminución). La ASAT y la GGT tienen valores por encima de los fisiológicos en toda la experiencia, incluso a partir del primer día. Se evidencia un descenso de los valores de ALAT, GGT y ASAT (excepto en las últimas tomas). La glucemia desciende ligeramente o se mantiene, con un importantísimo incremento en el último muestreo en una las ovejas, correspondiéndose con las horas previas a la muerte del animal. Los niveles de proteínas totales no se alteran, excepto en aquella oveja que sobrevive más días, donde se observa una caída continua.

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Se observa una caída importante de la calcemia hasta niveles incompatibles con la vida. Esto coincide con un descenso continuo de la fosfatemia (excepto en los últimos días donde la evolución es inversa). No se evidencian variaciones importantes en la magnesemia. La fosfatasa alcalina sigue prácticamente la misma evolución que la fosfatemia disminuyendo a lo largo de la experiencia.Las tres ovejas a las que se administró 300 mg de ácido oxálico/kg p.v./día tuvieron un comportamiento diverso, una murió tras 18 días de administración, otra murió el día 63 de administración y la tercera oveja murió repentinamente 75 días después de haber comenzado la aplicación del tóxico.Los hallazgos patológicos encontrados en la oveja muerta a los 18 días postadministración son similares a los encontrados en las ovejas tratadas con 600 mg/Kg p.v./día. Por el contrario, los otros dos animales presentaron importantes lesiones renales, que podrían justificar su fallecimiento.La mayoría de hallazgos laboratoriales encontrados en la oveja fallecida el día 18 son similares a los indicados en las ovejas que recibían el doble de dosis tóxica. Sólo en este animal se observa una disminución de la calcemia y un incremento importante de la azoemia y creatininemia, sin modificaciones importantes en las otras ovejas.Los valores de ASAT y GGT están elevados en todos los animales y durante toda la experiencia. En una de las ovejas (la que sobrevive más tiempo) se observa un incremento continuo, tanto de ASAT como de ALAT, a partir de la segunda semana hasta el momento de su muerte. En otra oveja comprobamos un importantísimo incremento de la GGT a partir del día 10 con retorno a los valores iniciales a medida que avanza la experiencia.La glucemia presenta valores aceptables en todo el experimento, sin seguir un patrón marcado, de forma similar a como evolucionan las proteínas totales. Se observa un comportamiento similar de la calcemia y la magnesemia en los dos animales que sobreviven más tiempo, manteniéndose en valores constantes. Por el contrario, la fosfatemia oscila de manera importante durante todo el protocolo experimental. No se observa que exista relación entre estos minerales y los niveles de fosfatasa alcalina.

Discusión El importante incremento de la creatininemia y azoemia coincide con lo señalado en la intoxicación natural por plantas que contienen este tóxico (Roger et al, 1990; Pritam et al, 1996), pudiendo ser la posible causa de la muerte de los animales (Watts, 1959; James y Butcher, 1972).También la muerte de las ovejas pude achacarse a la hipocalcemia, al descender hasta valores incompatibles con la vida (Watts, 1959; James 1972; Littledike et al, 1976; Roger et al, 1990; Radostits et al, 1999; Pritam et al, 1996). La hipocalcemia es confirmada por Littledike et al (1976) administrando ácido oxálico en dosis cercanas al doble de la que nosotros empleamos. Sin embargo, Duncan et al (1997) afirmaron que la concentración de calcio y de creatinina en plasma no presenta modificaciones significativas. La hipocalcemia constatada por los investigadores revisados es justificada mediante la posible quelación del calcio por parte del ácido oxálico (García-Partida et al, 1984; Libert y Franceschi, 1987; Dhoot et al, 1995), formando complejos insolubles (García-Partida et al, 1984). Además de la interacción con el calcio también se altera la absorción del magnesio (Wittwer et al, 1983).Estamos en desacuerdo con James (1972) y Littledike et al (1976) para quienes la tasa de magnesio y de fósforo aumenta en animales que ingieren ácido oxálico, ya que comprobamos un descenso de la fosfatemia y sin variaciones importantes de la magnesemia. Existe una relación entre la fosfatemia y la fosfatasa alcalina (Watts, 1959). James en 1972 habla de la interferencia del ácido oxálico sobre las enzimas que participan en el metabolismo del calcio y del magnesio. El incremento del fósforo y magnesio sérico producido inmediatamente antes de morir es debido a la movilización de minerales originada por la hipocalcemia, lo que provoca la alteración en la excreción renal del fósforo (Littledike et al, 1976). Los valores elevados de la ASAT y la ALAT han sido citado por Pritam et al (1996) y por James (1972), si bien en nuestro caso se hace más evidente en las ovejas que recibieron dosis menores del tóxico y sobre todo en aquella que sobrevivió más tiempo.No existen variaciones importantes ni de la glucemia (Pritam et al, 1996), ni de la proteinemia (Dhoot et al, 1995, Pritam et al, 1996), pero sí observamos un importantísimo incremento de la glucosa sérica en las horas previas a la muerte de algunas ovejas. La hipoproteinemia es justificada por la pérdida proteica en orina como consecuencia de la alteración de la función renal por (Mcintosh, 1972; Katra y Khera, 1965).

ConclusionesLa administración oral de ácido oxálico a dosis de 600 mg de ácido oxálico/kg p.v./día provoca una intoxicación aguda en ovejas que conduce a su muerte.Los principales alteraciones bioquímicas encontradas son incremento de la azoemia y creatininemia, así como importante hipocalcemia.Si la dosis es de 300 mg de ácido oxálico/kg p.v./día los resultados son más dispares y las alteraciones laboratoriales no son tan marcadas.

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101XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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MODIFICACIONES SANGUÍNEAS RELACIONADAS CON LA ADMINISTRACIÓN ORAL DE ÁCIDO OXÁLICO

González Montaña JR, Alvarez Nistal R, López Méndez S, Prieto Montaña F.Dpto. Medicina Veterinaria. Facultad de Veterinaria. Universidad de León. 24007. León. España. E-mail: [email protected]

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IL RUOLO DELLA FORMAZIONE AI FINI DELL’APPLICAZIONE DEL SISTEMA HACCP NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE

Formato G.*, De Angelis G.**, Chiaro M.***, Bozzano A.I.*

*Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana [email protected]** Azienda USL RM B

***Veterinary pactitioner.RiassuntoL’applicazione del Sistema HACCP nell’industria alimentare richiede un cambiamento di mentalità sia negli operatori del settore, sia per chi svolge attività di controllo ufficiale (veterinari ed altre figure preposte). Attualmente in Italia, detta applicazione risulta non essere omogenea e, probabilmente, ciò potrebbe essere imputato anche ad una non appropriata formazione degli operatori e dei controllori ufficiali. Gli Autori illustrano una metodologia didattica basata su un coinvolgimento attivo dei partecipanti che garantisce buoni risultati ai fini dell’applicazione dell’HACCP. E’ un metodo che, tenendo in considerazione il tipo di apprendimento degli adulti, si articola nelle seguenti fasi:• analisi del contesto in cui i partecipanti lavorano;• analisi dei loro fabbisogni formativi;• progettazione dell’intervento formativo;• verifica e valutazione immediata;• verifica e valutazione a distanza.Detta metodologia prevede un ampio ricorso a esercitazioni in piccoli gruppi consistenti nella trattazione di casi realistici che possono intervenire nella pratica.Per rafforzare l’apprendimento maturato in aula, è raccomandabile una successiva e/o parallela formazione sul lavoro.Essa può venire effettuata anche dagli organi ufficiali durante l’attività di vigilanza. Infatti, in accordo ai recenti orientamenti europei, il veterinario ufficiale ha anche un ruolo educativo, il cui corretto svolgimento richiede, a sua volta, una specifica formazione.

AbstractHACCP implementation in food chain production needs a significative change of mentality both in personnel staff and in controllers (veterinarians and other technicians).At the moment, HACCP system implementation is not uniform in Italy. Probably it could be due also to a not proper training of personnel staff and controllers.The Authors show a training methodology based on an active involvment of partecipants, which allows good results for HACCP implementation.This metodology takes in account the learning way of adults, and it is characterized by the following phases: - analysis of the context where the partecipants work - analysis of the partecipants’ training needs - planning of the training course - course making- short term training results evaluation - long term training results evaluation. In this method a strong importance is given to working in small groups to solve realistic cases which could happen in practice. At the same time, to strengthen the partecipants’ learning bound to the attended courses, is advisable the training on the job.It can be carried out by the controller during inspection activities. In accordance with the last European trends, the controller has also an educational role. But to perform this important role, a specific training is also required for the controllers.

IntroduzioneCon il Decreto legislativo n.155 del 26.05.1997, l’Italia ha recepito la Direttiva Europea 43/93 del 15.06.1993, che prevede l’adozione del sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) per garantire la salubrità degli alimenti lungo tutta la filiera produttiva (Carraro, 2000; Peccolo and Cinotti, 1998; Spiridigliozzi e coll., 2003).Il sistema HACCP è un metodo di autocontrollo di tipo sistematico e preventivo basato sull’identificazione, prevenzione e controllo di quei pericoli (di natura biologica, fisica o chimica) che possono compromettere la qualità igienico-sanitaria degli alimenti (Codex Alimentarius, 1997; Hulebak and Schlosser, 2002; USDA/FSIS, 1998).Malgrado la Direttiva 43/93 in Europa e il D.L.vo 155/97 in Italia siano in vigore da diversi anni, l’applicazione effettiva del sistema HACCP sembra non essere uniforme, come indicato da diversi autori (Gilling e coll., 2001; Formato e coll. 2003; Panisello e coll., 1999; Walker e coll., 2003). Tra le motivazioni di tale fenomeno si può riconoscere una certa difficoltà degli operatori ad accettare e applicare la nuova impostazione che i principi dell’ HACCP comporta in tutte le fasi della produzione alimentare. Alcuni addetti lo considerano, infatti, un sistema troppo burocratico, o eccessivamente costoso in termini di tempo o di danaro (Carraro, 2000; Formato e coll., 2003; Gilling e coll., 2000; Walker e coll., 2003).L’effettiva adozione del sistema richiede ancora un processo di cambiamento sia di forma mentis, sia di modus operandi di

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tutti gli attori coinvolti, a diverso titolo, nella filiera: responsabili dell’industria alimentare, addetti, personale adibito al controllo ufficiale e, in una certa misura, consumatori. Uno degli strumenti essenziali per facilitare il cambiamento è la formazione, in quanto processo costituito dall’insieme di iniziative volte a fornire nuove conoscenze, sviluppare competenze e capacità, modificare i comportamenti delle persona, in relazione sia agli specifici ambiti tecnico-professionali, sia a quelli della cultura aziendale.Il ruolo primario della formazione ai fini dell’acquisione delle competenze essenziali a rendere operativo il sistema in oggetto viene richiamato dalle numerose norme di tipo “orizzontale” e “verticale”, comunitarie e nazionali, che hanno previsto l’applicazione dell’autocontrollo e l’utilizzo dello strumento HACCP, e diversi Autori lo evidenziano nei loro lavori (Ehiri, 1995; USDA/FSIS, 1998; Walker et coll., 2003; Williams, 2003).In Italia è dal 1997 che si assiste alla realizzazione di un numero elevato di iniziative di aggiornamento e formazione sui temi dell’autocontrollo e dell’HACCP rivolti a diverse categorie professionali: addetti del settore alimentare, personale laureato e tecnico operante negli organismi di controllo, altre figure professionali impegnate in attività di consulenza.Nonostante questa imponente attività di formazione, l’applicazione dell’autocontrollo risulta ancora incompleta e la cultura dell’HACCP rischia di essere più teorica che pratica. I motivi di tale fenomeno, peraltro non omogeneo sul territorio nazionale, sono articolati e complessi, e probabilmente tra essi potremo annoverare la qualità della formazione erogata.Scopo di questo lavoro è di illustrare la metodologia impiegata dagli Autori in diverse iniziative formative finalizzate all’apprendimento di concetti e metodologie trasferibili in comportamenti coerenti con i principi igienico-sanitari dell’HACCP. Materiali e metodiNel periodo 1997 – 2002 sono state realizzate diverse iniziative formative indirizzate ad operatori del settore carni, a veterinari, tecnici della prevenzione e tecnici di laboratorio impegnati in organismi di controllo (Aziende USL e Istituti Zooprofilattici) e a consulenti aziendali , per lo più biologi e chimici.Due le tipologie di formazione adottate: la prima organizzata in veri e propri interventi (formazione strutturata), la seconda si sviluppa nel corso delle attività di vigilanza (formazione sul lavoro).

La formazione strutturataAffinché un intervento formativo sortisca i risultati auspicabili, cioè il cambiamento effettivo dei comportamenti, è necessario progettare e realizzare le azioni utilizzando metodologie formative attualmente riconosciute efficaci per gli adulti, e che tengano quindi conto delle loro peculiari modalità di apprendimento teorico-applicative.Le lezioni tradizionali, caratterizzate unicamente dalla esposizione di informazioni e concetti, risultano sicuramente inappropriate allo scopo e causa di spreco delle risorse impiegate. E’ opportuno seguire una metodologia scientifica articolata nelle seguenti fasi:• analisi del contesto; • analisi dei fabbisogni formativi; • progettazione degli interventi;• realizzazione e monitoraggio degli interventi;• verifica e valutazione immediata;• verifica e valutazione a distanza.Considerando, per esempio, il caso di un progetto formativo da realizzarsi nei confronti di addetti di nella lavorazione

di alimenti le fasi elencate possono essere così illustrate: analisi del contenuto, analisi dei fabbisogni formativi, progettazione degli interventi, realizzazione degli interventi, verifica e valutazione immediata, verifica e valutazione a distanza.

Analisi del contesto: determinazione del tipo di economia della zona; tipologia degli esercizi e stabilimenti in cui operano gli addetti (piccole strutture artigianali, supermercati, grossi stabilimenti, ecc.); tipo e volumi di produzione; tipologia della clientela; esito delle visite ispettive effettuate in passato dai servizi pubblici negli esercizi coinvolti e degli esami di laboratorio effettuati su campioni di alimento ivi prelevati; titolo di studio dei partecipanti, formazione pregressa, ecc. Tutte informazioni necessarie ad impostare degli interventi adeguati ai partecipanti e funzionali al conseguimento dell’obiettivo del piano.

Analisi dei fabbisogni formativi: è “un momento di interrogazione effettuato raccogliendo informazioni attraverso gli strumenti dell’osservazione diretta e dell’intervista individuale o di gruppo”, finalizzata alla identificazione delle reali e specifiche esigenze formative. Può essere effettuata anche con l’ausilio di questionari. E’ un momento cruciale ai fini della corretta individuazione degli obiettivi formativi e delle relative metodologie. Gli obiettivi specifici, da esprimersi in termini di competenze che i partecipanti matureranno a seguito dell’intervento formativo, saranno tanto più validi quanto più:

§ chiari e precisi nella formulazione§ pertinenti ai problemi definiti e alle esigenze identificate in sede di analisi di contesto e di fabbisogni formativi;§ adeguati al livello di competenze già possedute dagli interessati ( né troppo facili, né troppo difficili);§ realizzabili nel contesto dato e con le risorse disponibili; § completi e misurabili, quindi dovranno essere indicate:

- le prove che il discente dovrà compiere al termine dell’intervento al fine di una valutazione di apprendimento; - campi da apprendimento da saggiare (sapere; saper fare; saper essere); - livello di accettabilità della prestazione.

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Inoltre, l’analisi dei fabbisogni formativi, è utile per instaurare dei canali di comunicazione efficaci tra formatori e futuri discenti. Quest’ultimi apprezzeranno l’interesse per i loro reali problemi, il che potrà contribuire a ridimensionare gli ostacoli alla comunicazione esistenti tra operatori e formatori, favorendo l’instaurarsi di un clima di inizio corso aperto e collaborativo.

Progettazione degli interventi: si realizza tenendo conto degli obiettivi generali e specifici che si intende perseguire; di quanto emerso dalle due precedenti fasi; dei sistemi di verifica e valutazione dell’efficacia degli interventi che si ritiene utilizzare; della necessità di dover impiegare metodologie didattiche tese al coinvolgimento attivo dei partecipanti e alla valorizzazione delle loro esperienze.Realizzazione degli interventi: da quanto detto nasce la necessità di ricorrere, oltre che alla lezione frontale, a dei momenti interattivi, quali:

- discussione in plenaria di casi pratici- lavori in sottogruppi su casi pratici o problematiche- dimostrazioni pratiche.

Durante la lezione frontale, che potrà intervallare i metodi didattici più interattivi, il docente procederà secondo uno stile che tenga conto delle modalità di apprendimento degli adulti, avvalendosi di alcune raccomandazioni:

1. centrarsi sul ricevente, trasmettendo messaggi assimilabili dalla struttura psicologica, culturale e professionale di chi ascolta;

2. essere semplici ed essenziali; 3. partire dal generale, inquadrare l’argomento e poi analizzarlo; 4. preoccuparsi della comprensione prima di sviluppare l’idea, specie se si utilizza un linguaggio tecnico; 5. ribadire/ripetere i concetti chiave del messaggio: le idee più importanti vanno ripetute in maniera diversa; 6. organizzare il proprio messaggio a stadi: uno stadio deve essere completato prima di introdurne un altro; 7. concentrarsi sugli aspetti essenziali del messaggio: non sovraccaricare gli ascoltatori di informazioni; 8. mettere in relazione le idee nuove con quelle già possedute da chi partecipa.

In tal senso il docente non può essere una figura che impone dei concetti o delle regole, bensì un facilitatore che introduce gli argomenti, aiuta a focalizzare i problemi e a trovare le possibili soluzioni.

Verifica e valutazione immediata: costituisce il momento più delicato dell’intervento, ma anche quello che conferisce credibilità scientifica al processo formativo.Il formatore valuta il progetto, gli obietti raggiunti e quindi le competenze acquisite dai discenti e il cambiamento dei comportamenti. Questa valutazione di apprendimento può essere effettuata secondo diverse modalità: questionari “in entrata” e “in uscita”, colloqui, stesure di documenti, simulazioni, prove pratiche, ecc. La scelta della tecnica dipende da diversi fattori: obiettivi formativi, numero e tipologia di partecipanti, esperienza del docente, tempo e risorse disponibili. Le prove di valutazione dovranno essere introdotte con le necessarie spiegazioni, al fine di ridurre “la paura dell’esame”.D’altra parte, lo stesso formatore richiederà ai discenti una loro valutazione, o gradimento, dell’intervento, per esempio con l’utilizzo di apposite schede anonime, nelle quali si prevedono delle domande che sondino le diverse dimensioni dell’evento: chiarezza e completezza degli argomenti trattati, disponibilità e attitudini relazionali dei docenti, raggiungimento degli obiettivi prestabiliti, qualità del materiale didattico, aspetti logistici (confort aula, puntualità, ecc.). Queste schede forniranno preziosi suggerimenti utili a modificare successivi eventi e faciliteranno il consolidamento di un clima di reciproco rispetto e fiducia tra formatori e discenti, fondamentale nella formazione degli adulti.

Verifica e valutazione a distanza. La modificazione dei comportamenti eventualmente prodotta dall’intervento formativo sui singoli soggetti e sul loro operato nella quotidianità lavorativa, richiedono un certo tempo affinché possano svilupparsi.Sono, inoltre, aspetti di non facile verifica, considerati sia i molteplici fattori che, anche indipendentemente dall’azione formativa, influenzano i comportamenti delle persone, sia i costi che detta verifica comporta.E’ necessario individuare degli indicatori significativi di cambiamento, che conseguono dagli obiettivi formativi, e dei relativi standard di accettabilità. Ad esempio, nel caso di un intervento formativo che mirasse a migliorare i comportamenti igienico-sanitari di addetti alla preparazione e vendita di preparazioni a base di carne, si potrebbe andare a controllare gli esiti delle visite di vigilanza a distanza di 4-5 mesi dall’evento formativo, comparandole con quelle eseguite nei mesi precedenti all’intervento. Nella stessa maniera si potrebbero paragonare i risultati di esami di laboratorio eseguiti su campioni e/o tamponi ambientali effettuati nei 5-6 mesi prima dell’intervento, con quelli effettuati dopo 4-mesi. Una verifica a distanza, meno scientifica e quindi di carattere orientativo, è quella di riunire i partecipanti ad un corso dopo 5-6 mesi dallo stesso, al fine di sviluppare un confronto, con l’aiuto del formatore, su ciò che ciascuno ha fatto o modificato nel proprio contesto lavorativo a seguito dell’intervento.La formazione strutturata, secondo la metodologia sopra illustrata, è stata da noi impiegata nei seguenti progetti formativi:

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Tabella n. 1: progetti formativi realizzati

CATEGORIA PROFESSIONALE

DURATA N. DI INTERVENTIN. COMPLESSIVO DI PERSONE

COINVOLTE

Operatori di stabilimenti di macellazione 8 giornate/intervento 2 40

Operatori di stabilimenti di sezionamento e trasformazione

carni8 giornate/intervento 1 30

Operatori di macelleria 5 giornate/intervento 4 300

Veterinari, tecnici della prevenzione, biologi e chimici 3 giornate/intervento 7 173

La formazione sul lavoroLa formazione sul lavoro, a differenza della formazione strutturata, si sviluppa nell’ambito dell’attività di vigilanza e viene effettuata nei confronti degli operatori del settore alimentare che si incontrano nelle visite di controllo effettuate o dalle autorità competenti o dai consulenti aziendali.

Diversi sono gli elementi che caratterizzano tale tipo di formazione (tabella n. 2), come risultato dalle esperienze maturate dagli Autori nel periodo indicato.

Tabella n. 2 – Elementi caratterizzanti la formazione sul lavoro

> Riguarda le problematiche dell’azienda controllata

> Diretta a poche persone

> Elevato livello di attenzione

> Molto efficace per gli operatori

> Prevede intuito da parte del formatore nel focalizzare gli errori fatti dagli operatori

> E’ facoltativa

> E’ “gratuita” – non prevede ricompense “extra”

> Richiede tempo

> Richiede competenze didattiche e competenze professionali da parte dei controllori

> Non viene sempre valorizzata Anzitutto è quasi sempre rivolta ad un numero ristretto di individui. Questo consente di modulare l’intervento formativo, che verterà principalmente sulle problematiche riscontrate nell’ambito del controllo, in funzione del livello delle persone che si hanno di fronte. Si instaura così un rapporto controllore/controllato in un clima che spinge gli operatori a porre delle domande per capire e risolvere i loro errori.Indubbiamente si è avvantaggiati dal fatto che i soggetti cui è diretto tale tipo di formazione manifestano solitamente un elevato livello di attenzione, vuoi per la paura di essere sanzionati, vuoi per l’occasione che hanno di potersi confrontare con un professionista che li può aiutare a gestire meglio la loro attività per quanto riguarda gli aspetti igienico-sanitari.Di importanza fondamentale per il formatore è porre frequenti domande per verificare che siano stati compresi a fondo i concetti base di igiene ed i principi su cui si impernia il sistema di autocontrollo aziendale. A volte, infatti, capita che dal punto di vista documentale tutto sia in ordine (es. il manuale di autocontrollo è presente, le schede di monitoraggio sono compilate, ecc…) ma si rischia di non rendersi conto, se non facendo appunto delle domande, che manca una consapevolezza di ciò che viene fatto. E’ questa purtroppo la situazione peggiore. Quando è così, infatti, le cose vengono fatte dagli operatori “perché me lo richiede la legge” e non “perché effettivamente è meglio”, arrivando al punto di compilare meccanicamente, “a tavolino”, la documentazione necessaria per adempiere quanto richiesto dalla legge, mentre in realtà si rifiuta e ci si sente vittime del sistema di autocontrollo aziendale.Da quanto premesso, si capisce che la formazione sul lavoro risulta essere di singolare efficacia per gli operatori. Malgrado ciò, questi interventi formativi non vengono sempre accuratamente svolti, se non del tutto omessi.Si deve poi considerare che essa richiede un notevole investimento di tempo.

Risultati Le attività formative svolte secondo le metodologie adottate, hanno sortito positivi risultati sia in termini di apprendimento concettuale dei principi del sistema HACCP, sia nelle pratiche lavorative quotidiane. Ciò è stato verificato tramite questionari di apprendimento, esercitazioni in piccoli gruppi, dibattiti in plenaria, esiti di visite ispettive eseguite dopo gli interventi formativi, risultati di esami di laboratorio effettuati su prodotti alimentari.

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Discussione e conclusioniSulla base delle esperienze sviluppate, si ritiene che una completa applicazione del sistema HACCP viene favorito dalla impostazione di processi formativi che si basano su metodologie simili a quelle esposte e che si fondano sulle caratteristiche di apprendimento degli adulti, sull’utilizzo di tecniche didattiche interattive, sulla verifiche di apprendimento e di cambiamento e su un ampio impiego della formazione sul lavoro. Quest’ultima, ad oggi, non viene ancora tenuta in debita considerazione, ma tale atteggiamento dovrà certamente essere rivalutato nel tempo, anche in considerazione delle nuove tendenze della normativa europea.

Bibliografia1. Carraro V. 2000. Verifiche dei piani di autocontrollo: primi riscontri. Atti Seminario Food Quality di San Michele all’Adige: 9-14.2. Codex Alimentarius. 1997. Guidelines for the application of the Hazard Analysis Critical Control Point system. Annex to CAC/RCP-1 (1969), Revision 3.3. Ehiri J.E., Morris G.P. 1995. HACCP implementation in food businesses: the need for a flexible approach. J. R. Soc. Health 115: 249-253.4. Formato G., Bozzano A. 2003. HACCP system in the retail sale of raw meat and meat products. In press.5. Gilling S.J., Taylor E.A., Kane K., Taylor J.Z. 2001. Successful Hazard Analysis Critical Control Point implementation in the United Kingdom: understanding the barriers through the use of a behavioral adherence model. J. Food Protect 64 (5): 710-715.6. Hulebak K.L., Schlosser W. 2002. Guest editorial: Hazard Analysis and Critical Control Point (HACCP) history and conceptual overview. Risk Anal. 22 (3): 547-552.7. Panisello J.P., Quantick P.C., Knowles M.J. 1999. Toward the implementation of HACCP; results of a UK regional survey. Food Control. 10 (2): 87-98.8. Peccolo G. and Cinotti S. 1998. Evoluzione legislativa in materia di autocontrollo nelle aziende agroalimentari e sistema HACCP. Atti S.I.S.Vet 52: 359-360.9. Spiridigliozzi S., Abetti P., Santini F. 2003. Aziende sotto controllo. La prevenzione è a singhiozzo. Alimenti & Bevande. 1/2: 45-53.10. USDA/FSIS. 1998. Hazard Analysis and Critical Control Point Principles and Application Guidelines. J. Food Protect. 61: 1246-1259.11. Walker E., Pritchard C., Forsythe S. 2003. Hazard Analysis Critical Control Point and prerequisite programme implementation in small and medium size food business. Food Control. 14: 169-174.12. Williams A.P., Smith R.A., Gaze R., Mortimore S.E., Motarjemi Y., Wallace C.A. 2001. An international future for standards of HACCP training. Food Control. 14: 111-121.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003

PREVALENZA ED ABBONDANZA STAGIONALI DEI NEMATODI DEL PICCOLO INTESTINO IN PECORE DI UN ALLEVAMENTO DELLA SICILIA OCCIDENTALE

PREVALENCE AND ABUNDANCE OF SMALL INTESTINE NEMATODES IN ONE SHEEP FARM IN WEST SICILY

Torina A., Vullo A., La Terra D., Caracappa S. A 3-YEAR EPIDEMIOLOGICAL SURVEY OF GASTRO-INTESTINAL NEMATODES IN A

SHEEP FLOCK FROM SOUTH SARDINA Scala A., Gruner L., Carta A. Nieddu M.S.

IDENTIFICAZIONE DEGLI OSvvwPITI INTERMEDI DI MUELLERIUS CAPILLARIS (MUELLER, 1889) IN SARDEGNA E LORO INFESTAZIONE SPERIMENTALE.

Polinas L., Chighine C., Sardo D., Scala A., Garippa G. ANALISI DELLA DIFFUSIONE DELLA NEOSPOROSI MEDIANTE IFI E PCR IN

ALLEVAMENTI OVINI E CAPRINI DELLA SARDEGNA Madau L., Tanda A., Fiori S., Porcu R., Chisu V., Sanna G., Tola S. , Masala G. EFFICACIA DELLA MOXIDECTINA IN FORMULAZIONE INIETTABILE E POUR ON PER

IL CONTROLLO DELL’IPODERMOSI BOVINA IN BASILICATA Lia R., Agostini A., G. Prestera, Otranto D.ù EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO DI ROUTINE CON IVERMECTINA O

DORAMECTINA IN BOVINI ALL’INGRASSO. Stancampiano L., Bulgarelli M., Corradini D., Micagni G., Battelli G.

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PREVALENZA ED ABBONDANZA STAGIONALI DEI NEMATODI DEL PICCOLO INTESTINO IN PECORE DI UN ALLEVAMENTO DELLA SICILIA OCCIDENTALE

Torina A., Vullo A., La Terra D., Caracappa S.

Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri”(*)

Riassunto E’ stato intrapreso da aprile 1996 a marzo 1997 uno studio sui nematodi infestanti il piccolo intestino di ovini della Sicilia occidentale. La ricerca è stata condotta su un campione di ovini di provenienza da un allevamento pilota sito a 1360 m.s.l.m. . Sono stati esaminati 8 visceri in inverno, 9 in primavera, 24 in estate e 12 in autunno. Le specie riscontrate appartengono al genere Trichostrongylus , Nematodirus e Bunostomum, e Cooperia. Sui 53 piccoli intestini esaminati 35 erano infestati (66 %), la percentuale di infestazione era del 62.5% in inverno, 44.4% in primavera, 66.6% in estate e 83,3% in autunno. La carica parassitaria media era rispettivamente 370, 482, 1101 e 1914. le specie con maggiore prevalenza ed abbondanza erano T.vitrinus e T.colubriformis. T.vitrinus era piu abbondante in autunno (516) con una prevalenza del 41.7 %, mentre in inverno la prevalenza si mantiene elevata (50%) ma l’abbondanza assume valori molto bassi (25). B.trigonocephalus mantiene valori di prevalenza intorno al 30% per tutto l’anno ad esclusione della primavera durante la quale si ha un calo (11%), l’abbondanza assume il suo massimo valore in inverno (34). I nematodi appartenenti al genere Nematodirus sono presenti in tutte le stagioni, N.filicollis ha prevalenza ed abbondanza maggiori in autunno (33% e 227), N.spatiger ha i valori più elevati di prevalenza ed abbondanza in inverno (38% e 126). I nematodi del genere Cooperia sono poco rappresentati , avendo per ciascuna specie valori di prevalenza inferiori al 4% e di abbondanza inferiori a 34.

IntroduzioneIl calcolo dei danni arrecati dalle parassitosi al patrimonio zootecnico registra ovunque perdite ingenti nell’ordine di milioni di dollari all’anno. Il minor rendimento in carne, lana e latte ed i costi dei trattamenti antielmitici (Barger 1982), sono la maggiore causa delle perdite di produzione dell’attività Zootecnica nel mondo (A.A.V.P. 1983) e sono considerate il maggiore ostacolo in una produzione ovina efficiente.(Urguhart et al. 1987)Anche in Italia stime attendibili attribuiscono ai parassiti perdite che rappresentano oltre il 6% del reddito agricolo nazionale. Si calcola che per alcune specie in produzione zootecnica, quali ovini e caprini, i parassiti sono i responsabili dei 4/5 dell’intera patologia (Arru E. 1985).Negli ovini i nematodi gastrointestinali più largamente diffusi appartengono ai Trichostrongylidi con i generi Haemonchus, Ostertagia (Teladorsagia), Trichostrongylus, Cooperia e Nematodirus, ciascuno con diverse specie, agli Strongilidi coi generi Oesophagostomum e Chabertia, agli Ancylostomidi col genere Bunostomum ed ai Tricuridi. Ogni genere è presente con numerose specie che hanno uno specifico potere patogeno e localizzazione in diversi distretti dell’apparato gastro intestinale. Inoltre manifestano la patologia con una spiccata polispecificità eziologica, nel senso che, l’alto numero di generi e specie, contribuiscono a determinare una situazione sostanzialmente unitaria e riconducibile in ultima analisi ad un’unica entità nosologica (Ambrosi M. 1991).L’azione patogena può essere determinata sia dalle forme larvali che dai parassiti adulti o da entrambi .La capacità dei nematodi gastroenterici di sfuggire all’azione combinata di vari sistemi di controllo deriva dall’associazione di fattori legati a conduzione dell’allevamento, resistenza agli antielmintici e dalla presenza di serbatoi di parassiti allo stato larvale nei pascoli. Lo sviluppo e la sopravvivenza di questa popolazione larvale richiede l’esistenza di condizioni ambientali adeguate per cui l’importanza clinica ed i quadri di trasmissione di queste parassitosi differiscono da una regione all’altra (Zojac e Moore 1993).E’ noto che il distretto anatomico dell’apparato gastrointestinale maggiormente parassitato è l’abomaso e diversi studi sono stati condotti per lo studio dei Nematodi maggiormente implicati e della loro stagionalità nel territorio siciliano (Gallo 1960; Caracappa et al. 1994; Caracappa et al. 1996, Torina & Dara 1998;Caracappa & Torina 1998; Torina et al 2002), ma un’alta prevalenza di infestazione è stata riscontrata anche nel piccolo intestino (Caracappa et al. 1996; Caracappa & Torina 1998), pertanto in questo lavoro ci riproponiamo di esaminare le specie di nematodi del piccolo intestino e la loro stagionalità.

Materiale e metodi L’indagine ha avuto inizio nell’Aprile 1996. L’ allevamento ovino preso in considerazione è ubicato a 1360 m.s.l.m. in contrada Monte Zimmara Comune di Gangi PA, superficie 60 ha ricoperta per la maggior parte da pascoli polifiti naturali la natura del terreno è argilloso calcareo, costituito da 160 capi allevati allo stato brado, gli animali hanno subito un solo trattamento antiparassitario nel mese di Dicembre ed hanno partorito a Settembre;.Per l’isolamento del materiale gastrointestinale e la tipizzazione dei parassiti adulti presenti nell’apparato, l’intestino è stato suddiviso in modo da esaminare separatamente il materiale presente nell’abomaso, nel piccolo intestino, nel grosso intestino e nel cieco, con la tecnica della doppia legatura. Ogni singolo tratto è stato poi esaminato con apertura longitudinale in bacinella, leggera raschiatura e lavaggio della mucosa, raccolta del materiale intestinale e del liquido di lavaggio e sua decantazione attraverso filtrazioni per setacci calibrati (pori di diametro decrescente 212-75-38 micron) , facilitando il passaggio del materiale con getti d’acqua sotto pressione. Per ciascun campione è stata prelevata, dopo accurato rimescolamento un’aliquota pari al 10% del materiale ed i parassiti, in esso contenuti, sono stati raccolti e mantenuti in alcol a 70°; per l’identificazione sono stati chiarificati in lattofenolo e classificati secondo le chiavi tassonomiche di Skrjabin et al. (1961), Durette - Desset (1983), Cabaret et al. (1986) ed in accordo con la nomenclatura proposta da Durette - Desset (1989).

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È stata calcolata la prevalenza stagionale per ogni specie riscontrata e l’abbondanza intesa come il numero dei parassiti totali di una data specie in rapporto al numero di campioni esaminati (Margolis et al., 1982)

Risultati e conclusioniSui 53 piccoli intestini esaminati 35 erano infestati (66 %), la percentuale di infestazione era del 62.5% in inverno, 44.4% in primavera, 66.6% in estate e 83,3% in autunno. La carica parassitaria media era rispettivamente 370, 482,1101 e 1914 (Tab.1).le specie con maggiore prevalenza ed abbondanza erano T.vitrinus e T.colubriformis. T.vitrinus era piu abbondante in autunno (516) con una prevalenza abbastanza elevata durante tutte le stagioni (20.8-50 %), in inverno la prevalenza è elevata (50%) ma l’abbondanza assume valori bassi (25). B.trigonocephalus mantiene valori di prevalenza intorno al 30% per tutto l’anno ad esclusione della primavera durante la quale si ha un calo (11.1%), l’abbondanza assume il suo massimo valore in inverno (34). I nematodi appartenenti al genere Nematodirus sono presenti in tutte le stagioni, N.filicollis ha prevalenza ed abbondanza maggiori in autunno (33.3% e 227), N.spatiger dimostra invece di essere più resistente durante le stagione invernale con valori di prevalenza ed abbondanza più elevati (37.5% e 126). I nematodi del genere Cooperia sono poco rappresentati , avendo per ciascuna specie valori di prevalenza inferiori al 8.3 % e di abbondanza inferiori a 34 (Tab.2).

Tab 1. Prevalenza di infestazione e carica media parassitaria dei nematodi del piccolo intestino

Stagione Nr. Tot Nr. Pos Prev C.M.

Inverno 8 5 62,5 % 370

Primavera 9 4 44,4 % 482

Estate 24 16 66,7 % 1101

Autunno 12 10 83,3 % 1914

Totale 53 35 66,0 % 967

Tab 2. Prevalenza ed abbondanza stagionale per singola specie

SpecieInverno Primavera Estate Autunno

Prev A Prev A Prev A Prev AB.trigonocephalus 25,0 % 34 11,1 % 2 29,2 % 20 33,3 % 30N.abnormalis 12,5 % 7 11,1 % 7 20,8 % 10 33,3 % 110N. filicollis 12,5 % 3 11,1 % 7 25,0 % 25 33,3 % 227N.spatiger 37,5 % 126 22,2 % 20 20,8 % 21 33,3 % 77N.battus 25,0 % 11 0 0 8,3 % 125 0 0T.axei 0 0 11,1 % 4 8,3 % 2 0 0T.capricola 0 0 11,1 % 3 8,3 % 13 25,0 % 373T.vitrinus 50,0 % 25 22,2 % 80 20,8 % 287 41,7 % 516T.colubriformis 37,5 % 21 33,3 % 71 20,8 % 206 41,7 % 157C.pectinata 0 0 0 0 8,3 % 5 0 0C.oncophora 0 0 0 0 8,3 % 5 0 0C.punctata 0 0 0 0 4,2 % 2 0 0C.curticei 0 0 0 0 0 0 8,3 % 34Teladorsagia spp 0 0 11,1 % 7 8,3 % 3 8,3 % 4

L’estate e la primavera sono le stagioni con la maggiore prevalenza ed abbondanza di nematodi ed i livelli più elevati di poliparassitismo, anche se comunque nelle altre stagioni nel piccolo intestino riscontriamo non meno di 7 differenti specie di nematodi. Questi dati confermano il dato più volte segnalato in letteratura dell’incremento di infestazioni nel periodo preparto e durante la lattazione. Il trattamento antielmintico effettuato nel mese di Dicembre contiene il numero di nematodi nella stagione invernale, ad eccezione di B.trigonocephalus e N.spatigher , evidentemente specie resistenti sia ai trattamenti antielmintici che alle basse temperature.Inoltre, essendo l’allevamento ubicato in una zona interna a 1300 mslm , per le condizioni climatiche rigide nei mesi invernali, verrebbero comunque indotti meccanismi di ipobiosi, ciò nonostante la discordanza fra prevalenza ed abbondanza stagionale dimostra come anche a bassi livelli di carica media si ha un alto potere infestante, per cui le specie parassite permangano durante l’intero anno per manifestarsi al massimo livello di infestazione nei mesi più caldi.. Queste osservazioni ci conducono alla conclusione che tale tipo di indagine, soprattutto nella nostra regione, caratterizzata per condizioni climatiche e morfologia di territorio particolari, è la base indispensabile per affrontare il problema delle parassitosi gastro-intestinali in maniera organica , prestando una maggiore attenzione ai periodi più opportuni per la somministrazione dei

111XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

trattamenti antielmintici e per cercare di sincronizzare tali trattamenti, almeno per fasce di altitudine, per contenere la diffusione dei parassiti

Ibliografia1. Barger I.A. (1982) Helminth parasites and animal production in Symons LEA, Donald A.D. Dineen J.K. (eds): Biology and control of Endoparasites Sydney, Australia, Academic Press; 133-155.2. AAVP (American Association of Vetrinary Parasitologist) (1983) Research needs and priorities for ruminant internal parasites in the United States - America Journal of Veterinary Research 44, 1836-1847.3. Urquhart G.M., Armour J., Duncan J.L., Dunn A.M., Jennings F.W. (1987) Veterinary Parasitology. Avon Longman Scientific and Technical.4. Arru E. (1985) Principali Nematodi e Trematodi degli animali domestici - Elmintiasi: problemi veterinari e zootecnici. Atti Pfizer 9: 5-12.5. Ambrosi M. (1991) Le elmintiasi degli ovini nelle aree interne dell’Italia centrale - Regione Umbria. Piani di intervento mediterranei - Contributi scientifici e tecnici.6. Zajac A.M., Moore G.A. (1993) Trattamento e controllo dei nematodi gastroenterici degli ovini. “The compendium on continuing education for the Practicing Veterinariana” 15; 7: 999-1010.7. Gallo C. (1960) I Tricostrongilidi degli ovini nella Sicilia sud-orientale. Parassitologia II°, 179-180.8. Caracappa S., Riili S., Prato F., Stancanelli A., Di Marco V., Loria G.R., Manfredi N.T. (1994) Indagine sulla fauna elmintica abomasale in ovini e caprini siciliani. Atti Congresso S.I.P.A.O.C., 287-290.9. Caracappa S., Di Marco V., Dara S., Torina A., Riili S. (1996) Indagine sulla diffusione dei nematodi intestinali in allevamenti di ovini e caprini della Sicilia. Atti Congresso S.I.P.A.O.C..10. Torina A., Dara S. “Condizioni climatiche ed infestazioni da Trichostrongili: osservazioni su ovini e caprini” Atti XIII Congresso Nazionale SIPAOC (1998): 255-259. 11. Caracappa S., Torina A. “Nematodi gastrointestinali in ovini della Sicilia occidentale” Atti XIII Congresso Nazionale SIPAOC (1998): 267-270.12. A. Torina, S. Riili, S. Caracappa, C. Genchi. “Seasonal variation of prevalence and abundance of trichostrongylid infections in one sheep farm in west Sicily”, (2002) XXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Parassitologia.(2002) Parassitologia 44 (suppl. 1); 186.13. Skrjabim K.I., Shikhobalova N.P., Schulz R.S. (1961) Key to parasitic nematodes. Strongylata Israel Program for Scientific Translation, Jerusalem (3).14. Durette-Desset M.C. (1983) Key to genera of the Superfamily Trichostrongyloidea. Ediz. CAB.-Cabaret J., Morales G., Durette-Desset M.C. (1986) Ann. Parasit. Hum. Comp., 61(1) 55-64.

112 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

A 3-YEAR EPIDEMIOLOGICAL SURVEY OF GASTRO-INTESTINAL NEMATODES IN A SHEEP FLOCK FROM SOUTH SARDINA

Scala A.1, Gruner L.2, Carta A.3 Nieddu M.S. 1

1Dipartimento di Biologia Animale, Università di Sassari, Italy, 2INRA-BASE, 37380 Nouzilly, France, 3IZCS Olmedo, Italy.

Parasitological investigations were conducted from January 2000 to March 2003 in a flock of 980 ewes born on December 1998 and located at Monastir (South Sardina), with the purpose of identification of Quantitative Trait Locus (QTL) related to resistance to gastro-intestinal nematode infection. They grazed some hours each day annual irrigated pastures, out of dry season (August). Thirty faecal egg counts were done to monitor the evolution of egg excretion and individual counts processed on all the ewes at 7 times (McMaster method). Species diversity was investigated by the use of larval identification from pooled cultures and by necropsy of 2-3 ewes at each time.Teladorsagia circumcincta and Trichostrongylus colubriformis were dominant species in winter, Haemonchus contortus was abundant during the spring, favoured by the irrigation. High numbers of worms in early June were H. contortus at larval stage, highest egg excretion being observed later on. Breeding group and father had significant effects. The repeatability of faecal egg count was 0.23.

INDAGINE EPIDEMIOLOGICA TRIENNALE SUI NEMATODI GASTRO-INTESTINALI DI UN GREGGE DI OVINI NELLA SARDEGNA MERIDIONALE

Scala A.1, Gruner L.2, Carta A.3 Nieddu M.S. 1

1Dipartimento di Biologia Animale, Università di Sassari, Italy, 2INRA-BASE, 37380 Nouzilly, France, 3IZCS Olmedo, Italy.

Da gennaio 2000 a marzo 2003 sono state effettuate indagini parassitologiche su un gregge di 980 ovini nati nel dicembre 1998 e allevati a Monastir (CA) con l’obiettivo di identificare dei Quantitative Trait Locus (QTL) in rapporto alla resistenza alle infestioni da nematodi gastro-intestinali. Gli ovini, divisi in diversi gruppi, pascolavano per qualche ora al giorno su pascoli irrigui, ad eccezione della stagione secca (agosto).Per valutare l’evoluzione dell’eliminazione delle uova dei nematodi sono state effettuate analisi copromicroscopiche quantitative su ogni soggetto per 7 volte nell’arco del periodo di monitoraggio (metodo McMaster).Ad ogni campagna di prelievi, per stabilire la composizione dell’elmintofauna presente, sono state allestite coprocolture per l’identificazione delle larve da pools di feci ed effettuata la necroscopia di 2-3 soggetti.Teladorsagia circumcincta e Trichostrongylus colubriformis erano le specie dominanti in inverno, Haemonchus contortus era abbondante durante la primavera, favorito anche dall’irrigazione. Un alto numero di parassiti dati soprattutto da larve di H. contortus si riscontrava ai primi di giugno. La loro successiva evoluzione si rendeva responsabile dell’aumento dell’eliminazione di uova che si registrava subito dopo questo periodo. L’elaborazione dei dati evidenziava un effetto significante dei gruppi pascolo. La ripetibilità legata ai valori delle uova per grammo di feci era di 0,23.

113XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

IDENTIFICAZIONE DEGLI OSPITI INTERMEDI DI MUELLERIUS CAPILLARIS (MUELLER, 1889) IN SARDEGNA E LORO INFESTAZIONE SPERIMENTALE.

Polinas L., Chighine C., Sardo D., Scala A., Garippa G.

Dipartimento di Biologia Animale, Sezione di Parassitologia-Malattie Parassitarie, Università degli Studi di Sassari.

Summary Muellerius capillaris determina nei piccoli ruminanti, ed in particolare nei caprini, danni alle performance produttive e come gli altri protostrongilidi, necessita per completare il ciclo biologico di gasteropodi terresti dei generi Helicella, Agriolimax, Euparipha, ecc. Raccolte di molluschi, effettuate in pascoli esclusivamente riservati a capre, hanno evidenziato che in Sardegna Helix aperta, H. aspersa, H. (Eubania) vermiculata, Rumina decollata, Helicella spp. e Murella spp. sono coinvolte nel ciclo biologico di M. capillaris. L’intensità media di L

2-L

3 variava da 0,32 per gli esemplari giovani di Eubania vermiculata, a

1,53 per Helix aperta. Infestestazioni sperimentali atte a valutare la recettività e le modalità di sviluppo delle larve in Helix aperta, H. (Eubania) vermiculata, Cyclostoma elogans e di Helicella spp., hanno permesso di rilevare valori di Intensità Media (L

2-L

3)

compresi tra 0,17 in Cyclostoma elogans e 4,09 in Helicella spp.. Infine gli A A hanno evidenziato che il picco

massimo di eliminazione larvale (L3) si ha a 18 gg. dalla morte dei molluschi.

IntroduzioneMuellerius capillaris, è uno dei protostrongilidi responsabili della broncopolmonite verminosa dei piccoli ruminanti, causa danni alle performance produttive e necessita per completare il ciclo biologico di gasteropodi terresti dei generi Helicella, Agriolimax, Euparipha, ecc.. (Ambrosi M., 1995). In Sardegna è stato e riscontrato nel 21,3% degli ovini (Scala et al., 2000) e nel 40,6% delle aziende ovine (Pietrobelli et al, 2002), Numerose le ricerche condotte sull’argomento, soprattutto in Francia e Spagna, mentre in Italia risulta un’unica indagine effettuata in Abruzzo e Puglia (Scaramozzino et al., 1992). In considerazione dell’assenza di notizie sulle specie di molluschi coinvolti nel ciclo biologico dei protostrongilidi nella nostra isola, e nell’ambito di ricerche atte a migliorare le conoscenze sulla biologia di questi parassiti finalizzate all’individuazione di idonee misure di profilassi, di seguito vengono riferiti i primi risultati di indagini volte ad identificare gli ospiti intermedi di M. capillaris in Sardegna.

Materiali e metodi Da un allevamento di circa 150 capre, situato nel Comune di Ittiri (SS), risultato, da indagini all’uopo effettuate, particolarmente infestato da Muellerius capillaris, sono stati prelevati pool di feci e contemporaneamente effettuate raccolte di gasteropodi terrestri.Sui campioni fecali è stato eseguito un esame copromicroscopico quali-quantitativo per la ricerca e la conta delle larve L

1

utilizzando la metodica di Bearmann, l’identificazione dei generi è stata fatta utilizzando le chiavi riportate da Euzeby (1982).I gasteropodi raccolti sono stati suddivisi per generi e quando possibile per specie e ulteriormente in giovani ed adulti.I molluschi così suddivisi sono stati sacrificati per annegamento in acqua e sottoposti ad esame parassitologico secondo le seguenti metodiche:a) sezionamento e successiva compressione: esame microscopico di sezioni di piedi dei molluschi compressi tra due vetrini portaoggetti;b) digestione artificiale semplice: sminuzzamento separato del piede e dell’addome, che vengono collocati in appositi rettangoli di garza e posti in provettoni da 50ml contenenti una soluzione cloridro-peptica (acqua distillata, 100ml; HCl al 35%, 2 ml; pepsina 1:2,5, 2 gr)Il tutto è stato posto in termostato 37° C per 15-16h, la sospensione così ottenuta viene centrifugata a 2000 giri per 10 minuti. Esame del sedimento al microscopio conta e classificazione delle larve utilizzando le chiavi proposte da Rose (1947) e Cabaret (1981).Durante lo stesso periodo da terreni non pascolati da ovini e caprini, sono stati raccolti 516 gasteropodi terresti. (tab 1)I gasteropodi sono stati divisi per sito di raccolta, per generi e dove è stato possibile per specie ed ancora in giovani ed adulti.Nonostante si sia ritenuta l’assenza di infestione naturale da larve di protostrongilidi si è preferito, come ulteriore garanzia, controllare il 10% di ogni campione, utilizzando la digestione artificiale semplice. Tab. 1. Gasteropodi inseriti nella prova

N. camp Specie N. ind. RacN. ind ins.nella prova

1 Eubania vermiculata adulti 4 32 Helicella spp. 95 853 Eubania vermiculata giovani 18 164 Cyclostoma elegans 37 345 Helicella spp. 281 2536 Eubania vermiculata adulti 9 87 Eubania vermiculata giovani 71 608 Helix aperta 1 1

Tot. 516 460

I molluschi rimasti sono stati collocati in 4 gabbie seguendo la disposizione riassunta nella tabella n. 2.

114 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 2. Suddivisione dei gasteropodi nelle gabbie

Specie N. ind.Gabbia 1 Helicella spp. 253

Tot. 253Gabbia 2 Cyclostoma elegans 34

Tot. 34Gabbia 3 Eubania vermiculata adulti 3

Helicella spp. 85Eubania vermiculata giovani 16

Tot. 104Gabbia 4 Eubania vermiculata adulti 8

Eubania vermiculata giovani 60Helix aperta 1

Tot. 69

Per la successiva infestazione dei gasteropodi, sono state utilizzate le feci prelevate dall’allevamento precedentemente descritto. Sul materiale fecale prima di essere introdotto nelle gabbie, è stato calcolato l.p.g. (1100 larve per grammo), utilizzando la metodica di Bearmann, ed in seguito le feci sono state suddivise in quattro aliquote da 30gr. ciascuna, sono state sciolte con acqua e fatte sedimentare, e il sedimento è stato versato sul fondo delle gabbie, introducendo così circa 33.000 L

1.

Le gabbie sono state tenute per tutta la durata della prova all’aperto.Dal 15° giorno dall’infestazione in poi sono stati sacrificati periodicamente gruppi di gasteropodi.I molluschi dopo essere stati sacrificati, sono stati sottoposti ad esame parassitologico secondo le metodiche precedentemente descritte (sezionamento e compressione e digestione artificiale semplice).Inoltre due gruppi composti uno da 11 e uno da 12 esemplari di Helicella spp., appartenenti rispettivamente al gruppo n. 2 e n. 5, dopo essere stati sacrificati, sono stati messi a macerare in acqua, l’acqua di macerazione è stata allontanata ed esaminata ogni tre giorni, e sostituita con altra fino alla completa disgregazione dei molluschi.In ultimo sono stati valutati: le specie di gasteropodi sensibili, il grado di infestazione sia in natura che indotta sperimentalmente ed inoltre sono stati valutati i tempi di “rilascio” delle larve infestanti L3 dopo la morte dei gasteropodi.

Risultati – Le raccolte dei molluschi, effettuate su terreni frequentati esclusivamente da caprini, hanno evidenziato che Helix aperta, H. aspersa, H. (Eubania) vermiculata, Rumina decollata, Helicella spp. e Murella spp. sono coinvolte nel ciclo biologico di M. capillaris. Infatti gli esami copromicroscopici hanno rilevato che sia i caprini oggetto dell’indagine erano massivamente infestati da Muellerius capillaris (1.100 l.p.g.), che i gasteropodi raccolti, ad eccezione dei quattro adulti di Eubania vermiculata, erano portatori di larve L

2-L

3.

La digestione peptidica semplice, ha permesso di raccogliere da 146 gasteropodi 108 larve M. capillaris e precisamente: 91 dal piede e 17 dall’addome. L’intensità media riscontrata variava da 0,32 larve per gli esemplari giovani di Eubania vermiculata, a 1,53 per Helix aperta (Tab. 3).

Tab. 3. Gasteropodi raccolti in natura e loro grado di infestazione

N. Larve raccolteSpecie N. ind. Piede addome tot IMHelix aperta giovani 26 30 10 40 1,53Helix aspersa giovani 56 37 2 39 0,69Eubania vermiculata giovani 28 7 2 9 0,32Eubania vermiculata adulti 4 0 0 0 0Helicella spp. 14 3 3 6 0,42Rumina decollata 5 5 0 5 1Murella spp. 13 9 0 9 0,69

Totale 146 91 17 108 0,7

Infestestazioni sperimentali hanno permesso di rilevare che Helix aperta, H. (Eubania) vermiculata, Cyclostoma elogans e di Helicella spp. sono recettive a M. capillaris. Nei gasteropodi sperimentalmente infestati (n. 460) sono state complessivamente repertate 550 larve di 2° e 3° stadio di M. capillaris, n.521 nel piede e n.29 nell’addome (IM 1,19).Da rilevare che, almeno nelle condizioni della prova, la suscettibilità all’infestazione sembra risultare influenzata da diversi fattori come ad esempio la densità dei gasteropodi. L’esame della tabella 4 mostra come l’IM di M. capillaris in Helicella spp., sia inversamente proporzionale al numero di soggetti presenti, infatti a fronte di un’IM di 0,22 della gabbia n.1 (253 esemplari) quella della n. 3 risulta nettamente superiore (4,09).Inoltre a differenza di quanto riportato in Bibliografia Cyclostoma elogans, almeno a livello sperimentale, risulta suscettibile

115XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ad essere parassitato da Muellerius capillaris.

Tab. 4 risultati infestazione sperimentale

Specie N. ind. Piede addome Tot I.M.Gabbia 1 Helicella spp. 253 56 1 57 0,22

Tot. 253 57 0,22Gabbia 2 Cyclostoma elegans 34 3 3 6 0,17

Tot. 34 6 0,17Gabbia 3 Eubania vermiculata adulti 3 8 0 8 2,6

Helicella spp. 85 324 24 348 4,09Eubania vermiculata giovani 16 30 0 30 1,8

Tot. 104 386 3,71Gabbia 4 Eubania vermiculata adulti 8 2 0 2 0,25

Eubania vermiculata giovani 60 82 1 83 1,38Helix aperta 1 16 0 16

Tot. 69 101 1,46Tot 460 521 29 550 1,19

Infine dall’esame della tabella 5 si evidenzia che il picco massimo di eliminazione larvale (L3) si ha a 18 gg dalla morte

dei molluschi.

Tab 5 Durata liberazione delle larve (L3) dopo la morte dei molluschi

0

5

10

15

20

0° 3° 6° 10°14°18°21°24°27°30°33°37°

giorni

n.larveraccolte

Cp 2

Cp 5

Considerazioni conclusive - Le indagini condotte hanno permesso di stabilire per la prima volta in Sardegna che Helix aperta, H. aspersa, H. (Eubania) vermiculata, Rumina decollata, Helicella spp. e Murella spp. sono ospiti intermedi di M.capillaris. Inoltre almeno in condizioni sperimentali C.elogans risulta potenziale ospite intermedio di detto protostongilide.Il piede non deve essere considerato l’unico sito di localizzazione di larve di M.capillaris, infatti alcune larve sono state riscontrate anche nell’addomeDa rilevare inoltre che in condizioni naturali i giovani esemplari risultano portatori di un numero maggiore di larve infestanti (L

3) rispetto agli adulti e che pertanto, in considerazione delle ridotte dimensioni, della fragilità del guscio e

della loro localizzazione sulle piante pabulari possono assumere un importante ruolo nell’epidemiologia di M. capillaris. Tra le due metodiche utilizzate (sezionamento e compressione e digestione artificiale semplice), la seconda è risultata essere la più efficace, sia per la semplicità nell’esecuzione che per la sensibilità, al contrario della prima.

Lavoro eseguito con fondi MURST legge 488/92Bibliografia Ambrosi M. Parassitologia Zootecnica. Edagricole, Bologna (1995) - Euzeby J. Diagnostic Experimental des Helminthoses Animales. Travaux Pratiques d’Helminthologie Veterinaire. Edition “Information Thecniques des Services Veterinaires, Ministere de L’Agricolture, Paris (1982). - Scaramozzino P., Fasanella A., Giangaspero A., Puccini V. (1992), Parassitologia, 34 (1): 26-27. Scala A., Pintori A., Uras P., Marrosu R., Parassitologia 42 (suppl. 1) 91, 2000 - Pietrobelli M,. Scala A:, Garippa G. Progetto Giasone, Regione Sardegna, 2002

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ANALISI DELLA DIFFUSIONE DELLA NEOSPOROSI MEDIANTE IFI E PCR IN ALLEVAMENTI OVINI E CAPRINI DELLA SARDEGNA

Madau L.1, Tanda A.1, Fiori S.2, Porcu R.1, Chisu V.1, Sanna G.1, Tola S. 1, Masala G.1

1: Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi” – Sassari 2: Associazione Regionale Allevatori della Sardegna

RiassuntoLa neosporosi, frequentemente diagnosticata nella specie bovina in varie parti del mondo, si manifesta nelle aziende in forma endemica od epidemica. L’infezione naturale da Neospora caninum è nota anche in altre specie animali, quali la pecora, la capra ed il cane. Scopo del nostro lavoro è valutare la diffusione della neosporosi negli allevamenti della Sardegna, ricercando la presenza del parassita mediante PCR su placente ed organi di feti ovini e caprini, e studiando la sieroprevalenza tramite immunofluorescenza indiretta su emosieri prelevati in azienda.Nel periodo 1999 – 2002 sono stati analizzati, per la ricerca di Neospora caninum, 2421 organi fetali ovini ed 356 caprini ( placenta, cervello, muscolo, fegato, milza e IV stomaco) provenienti da 964 allevamenti, distribuiti sull’intero territorio regionale. Negli allevamenti in cui venivano riscontrate positività in PCR per Neospora caninum, è stata eseguita una visita aziendale durante la quale venivano prelevati tutti i capi presenti, compresi i cani.I sieri sono stati analizzati in IFI per evidenziare la risposta anticorpale.I risultati ottenuti indicano una presenza sporadica del parassita ed una bassa sieroprevalenza.

IntroduzioneNeospora caninum è un protozoo appartenente al Phylum Apicomplexa, famiglia Sporozoasidae. Presenta un ciclo biologico coccidio simile, caratterizzato da fasi schizogoniche nell’ospite intermedio (rappresentato da bovino, cavallo, pecora, capra, cane, ecc) (Dubey,1996), una fase gametogonica nell’intestino del cane, riconosciuto come ospite definitivo, ed una fase di sporulazione nell’ambiente esterno, che porta alla formazione di oocisti contenenti due sporocisti, ciascuna con quattro sporozoiti (McAllister et al, 1998; Lindsay et al, 1999). La trasmissione all’ospite intermedio avviene in larga prevalenza per via verticale, transplacentare (Dubey, 1999), mentre appare di minor importanza la quota di infezione postatale, ad opera di oocisti sporulate nell’ambiente o di tachizoiti contenuti nelle lochiazioni di animali che hanno abortito a seguito dell’infezione. Descritta inizialmente nel cane (Bjerkas et al, 1984), è stata poi riconosciuta come importante causa di aborto, natimortalità e debolezza neonatale nel bovino (Dubey, 1996). E’ stato successivamente osservato che numerosi altri animali, tra cui pecora e capra, sono suscettibili all’infezione, sia naturale che sperimentale, e le lesioni messe in evidenza su feti e placente sono simili a quelle osservate nella specie bovina (McAllister et al, 1996; Buxton et al, 1997). Scopo del nostro lavoro è valutare la diffusione della Neosporosi negli allevamenti della Sardegna, ricercando la presenza del parassita mediante PCR su placente e feti ovini e caprini (Buxton et al.1998), e studiando la sieroprevalenza in Immunofluorescenza Indiretta su emosieri prelevati in aziende in cui si erano riscontrati organi positivi in PCR.

Materiale e metodiCampioni clinici e collezione organiNel corso degli anni 1999-2002 sono stati collezionati 145 placente e 2632 organi di feti abortiti, ovini e caprini, pervenuti al nostro Istituto. Da ciascuno dei feti sono stati prelevati: fegato, IV stomaco, milza, cervello e muscolo. Organi e placente sono stati lavati più volte con un buffer salino (PBS; 0,1 M phosphate; 0,33 M NaCl; pH 7,2) addizionato con 1.000.000 UI/L di penicillina (Pharmacia-Upjohn) e streptomicina (Bristol-Myers Sqibb), e successivamente digeriti con tripsina (Difco, Detroit, MI,USA) al 2% per tre ore a 37° C. Per il cervello è stata utilizzata la tripsina allo 0,6%.Dopo filtrazione con garza sterile i campioni sono stati centrifugati a 3500 rpm per 10’, lavati tre volte in PBS, risospesi in siero fetale bovino (FBS, Gibco BRL) e dimetilsulfossido (DMSO, Sigma Chemical Co) al 10%, aliquotati e congelati a – 80° C fino al momento dell’uso.

ORGANO CAMPIONI OVINI

CAMPIONI CAPRINI

MUSCOLO 496 80

FEGATO 479 79

IV STOMACO 420 63

MILZA 394 41

CERVELLO 499 81

PLACENTA 133 12

TOTALE 2421 356

Tab.1.Totale numero di organi ovini e caprini analizzati nel periodo 1999-2002

Ricerca di neospora caninum nei tessuti con polymerase chain reactionIl DNA di Neospora caninum è stato estratto dai campioni clinici totali (2421 ovini e 356 caprini) mediante l’uso di

117XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Dneasy Tissue Kit (Quiagen, GmbH). Il DNA genomico di Neospora caninum (BPA1, ATCC 75710) è stato estratto con fenolo-cloroformio-isoamil alcool secondo la metodica descritta da Ausubel et al. (1992), utilizzato come controllo positivo nella reazione di amplificazione in PCR. Si è proceduto alla ricerca del Dna di Neospora caninum mediante una nested PCR, utilizzando come target la sequenza intergenica ITS1 dell’ rRNA, ideale perché ripetuta e altamente conservata.Per la reazione di PCR sono stati utilizzati quattro primers (NF1; NS2; NR1; SR1), che amplificano un frammento di 146 bp, secondo quanto descritto da Ellis et al. (1999). La PCR è stata eseguita in un GeneAmp PCR System 9700 (Applied Biosystem).

Aziende problemaA seguito di un riscontro positivo per Neospora caninum in PCR, è stata eseguita una visita aziendale durante la quale, oltre alla raccolta dell’anamnesi, venivano eseguiti prelievi di sangue dalla vena giugulare all’intero gregge, al fine di monitorare il movimento anticorpale. Sono stati esaminati 1722 sieri ovini e 290 sieri caprini provenienti da 6 allevamenti “problema”. Laddove possibile, sono stati prelevati campioni di sangue dei cani presenti in azienda.

ALLEVAMENTO Emosieri OVINI Emosieri CAPRINI Emosieri CANI

1 - 290 -

2 314 - 6

3 172 - 6

4 608 - 24

5 250 - 2

6 378 - 1

TOTALE 1722 290 39

Tab.2. Aziende problema in cui si è eseguito il prelievo di sangue su tutti i capi presenti.

Ceppo, linea cellulare, condizioni di crescita e preparazione dell’antigeneL’antigene per l’esecuzione dell’immunofluorescenza indiretta è stato ottenuto utilizzando una linea cellulare fibroblastica (BS CL86 Vero) infettata con Neospora caninum ( BPA1, ATCC 75710). La cultura infetta è stata amplificata e fatta crescere in fiasche da 25cm2 (Corning, NY) contenenti Minimum Essential Medium (MEM, Gibco) addizionato con siero equino al 10% (Horse Serum, Gibco) a 37° C con 5% di CO2. A seguito della lisi del monostrato cellulare i tachizoiti sono stati raccolti e centrifugati a 1200 x g per 15 minuti, e lavati 2 volte con un buffer salino (PBS; 0,1 M phosphate; 0,33 M NaCl; pH 7,2). Il pellet finale è stato risospeso in PBS e dispensato, nella quantità di 10 µl per pozzetto, in vetrini da 24 pozzetti (Teflon –coated slides, Immuno-Cell Int). I vetrini sono stati fatti asciugare per 1 ora, fissati con acetone freddo per 15 min. e stoccati a – 20° C fino al momento dell’uso.

Immunofluorescenza indirettaI sieri prelevati nelle aziende problema sono stati diluiti 1: 200 in PBS per la ricerca delle IgG per gli ovini e i caprini, e 1:50 per i cani; un’aliquota di 10 µl di ciascun siero è stata dispensata in ogni pozzetto; i vetrini sono stati posti ad incubare per 30 minuti a 37° C in camera umida. Dopo una fase di lavaggio in PBS, sono stati incubati per 30 min. a 37°C con le FITC coniugate rabbit anti-goat, rabbit anti-sheep e goat anti-dog (KPL, Gaithersburg, MD) diluite 1:100 in Blu di Evans, ed esaminati al microscopio a fluorescenza. I campioni positivi sono stati successivamente titolati con diluizioni scalari fino a 1: 1600 per gli ovini e i caprini e 1:400 per i cani. In ogni vetrino sono stati inclusi anche i controlli positivo e negativo.

RisultatiSu 2777 campioni esaminati in PCR , solo 11 organi ovini (0,4%) e 8 caprini (0,3%) sono risultati positivi per Neospora caninum (tabella 3).Il cervello è l’organo in cui più volte è stato messo in evidenza il DNA di Neospora caninum (6 campioni ovini, 4 campioni caprini) come precedentemente descritto da Buxton et al (1998) in un’infezione sperimentale nelle pecore. Il protozoo è stato anche evidenziato in due IV stomaci, una placenta e due fegati ovini. Nella specie caprina il DNA di N. caninum è stato inoltre evidenziato in due campioni di tessuto muscolare e due fegati. Non è stata riscontrata invece alcuna positività a carico della milza.

ORGANO CAMPIONI OVINI POSITIVI

CAMPIONI CAPRINI POSITIVI

MUSCOLO - 2

FEGATO 2 2

IV STOMACO 2 -

MILZA - -

CERVELLO 6 4

PLACENTA 1 -

TOTALE 11 (0,4%) 8 (0,3%)

Tab. 3. Organi ovini e caprini risultati positivi in PCR

118 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Anticorpi nei confronti di N. caninum sono stati reperiti in tutte le sei aziende monitorate. La sieropositività varia dall’1,97% al 57,2% nella specie ovina, con una media del 15,61%, mentre si aggira intorno al 20% a carico dell’unico allevamento caprino sottoposto a controllo. La presenza di anticorpi specifici nei sieri ovini e caprini è indice di sicura esposizione verso Neospora caninum, in quanto non esiste cross-reattività con altri protozoi (Dubey et al, 1996; Dubey et al, 2002). La grande variabilità dei valori di sieroprevalenza è probabilmente legata al fatto che i prelievi sono stati eseguiti a distanza di tempo differente rispetto al momento dell’aborto; quindi, considerato che la quantità di anticorpi si dimezza ogni quindici giorni, potremmo aver eseguito i prelievi ematici quando il titolo anticorpale era già decaduto.E’ stato possibile fare i prelievi ai cani in cinque aziende problema, su alcuni cani presenti non è stato possibile eseguire i prelievi perchè mordaci e non contenibili. La sieropositività varia dal 12,5% al 100%, con una media del 45,7%.

Allevamento Soggetti esaminati Ovini positivi Ovini dubbi Caprini positivi Caprini dubbi

1 290 - - 60 (20,68%) 56 (19,31%)

2 314 18 (5,73%) 2 (0,63%) - -

3 172 19 (11,04%) - - -

4 608 12 (1,97%) 8 (1,31%) - -

5 250 143 (57,2%) 34 (13,6%) - -

6 378 8 (2,11%) 11 (2,91%) - -

Tab. 4. Sieroprevalenza per N. caninum nelle aziende problema su ovini e caprini

ALLEVAMENTO Cani esaminati Cani positivi1 - -2 6 2 (33%)3 6 5 (83%)4 24 3 (12,5%)5 2 neg6 1 1 (100%)

Tabella 5. Sieroprevalenza per N. caninum sui cani delle aziende problema.Discussione e conclusioniL’analisi dei risultati di attività del nostro Istituto evidenzia la sporadica presenza di Neospora caninum negli allevamenti ovini e caprini della Sardegna. L’accertamento diagnostico per neosporosi in PCR è entrato nel novero degli esami che vengono routinariamente eseguiti nel nostro laboratorio per la ricerca di agenti infettivi e parassitari causa di aborto negli ovini e caprini.Considerazioni di opportunità e praticità hanno favorito la scelta della PCR come metodica routinaria per la diagnosi diretta dell’infezione in quanto l’esame può essere eseguito anche su campioni fetali congelati o in cattivo stato di conservazione, e consente di disporre di un esito in tempi brevi.Il rinvenimento del protozoo in azienda dovrebbe essere in ogni caso occasione di un controllo generale della situazione igienica e manageriale, in particolare sarebbe opportuno avviare una attenta ricerca di possibili fattori di rischio o cause scatenanti dell’episodio ed attuare gli eventuali interventi correttivi.Il rilievo di sieropositività nei confronti di N. caninum fornisce certamente una buona indicazione diagnostica se i prelievi vengono eseguiti in prossimità del fenomeno aborto. In particolare è consigliabile utilizzare l’esame sierologico per una diagnosi aziendale piuttosto che limitarlo a singoli animali, e conviene prelevare campioni di sangue anche da soggetti non coinvolti nell’episodio di aborto.Da non sottovalutare la presenza sporadica di N. caninum, considerato che la trasmissione avviene prevalentemente per via verticale, e può generare linee familiari già infette.Il ruolo del cane nella trasmissione è stato peraltro accertato solo in laboratorio e non ancora verificato in situazioni di campo. Rimane ancora da chiarire la possibilità di infezione tramite ingestione di altri stadi vitali infettanti del parassita da fonti non identificate quali altre specie animali ospiti. Al momento la combinazione della ricerca diretta del parassita e degli esami sierologici si è dimostrato una strategia utile per identificare gli allevamenti infetti ed ha permesso di rivelare la presenza di N. caninum nelle aziende ovine e caprine della nostra regione.Sicuramente Neospora caninum non va annoverata tra i principali problemi ancora irrisolti degli allevamenti ovini e caprini dell’isola, ma gioca un ruolo di corresponsabilità in allevamenti in cui esistono già altri problemi legati sia alla presenza di agenti infettivi che al tipo di management.

BibliografiaDubey J.P., Lindsay D.S., 1996. A Review of Neospora caninum and neosporosis. Vet. Parasit. 67:1-59.Lindsay D.S., Dubey J.P., Duncan, 1999. Confirmation that the dog is a definitive host for Neospora caninum. Vet. Parasit. 82: 327-333.McAllister, Dubey J.P., Lindsay D.S., Jolley,W.R., Willis, R.A., McGuire, A.M., 1998. Dogs are definitive hosts of Neospora caninum.

119XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Int.J. Paras. 28, 1473-1478.McAllister M.M., McGuireA.M., Jolley, W.R., Lindsay, D.S., Trees, A.J., Stobart, R.H. 1996. Experimental neosporosis in pregnant ewes and their offspring. Vet. Pathol. 33, 647-655.Buxton, D., Maley, S.W., Thomson, K.M., Trees, A.J., Innes, E.A. 1997. Experimental infection of non-pregnant and pregnant sheep with Neospora caninum. J. Comp. Pathol. 117: 1-16.Buxton, D., Maley, S.W., Wright, S., Thomson, K.M., Rae, A.G., Innes, E.A.1998. The pathogenesis of experimental neosporosis in pregnant sheep. J. Comp. Path. 118: 267-279.Bjerkas, I., Mohn, S.F., Presthus, J. 1984. Unidentified cyst-forming sporozoon causing enchefalomyelitis and myositis in dogs. Z. Parasitenk. 70, 271-274.Ellis, J.J., McMillan, D., Ryse, C., Payne, S., Kinson, R.T., Harper, P.A.W. 1999. Development of a single tube nested Polymerase Chain Reaction assay for the detection of Neospora caninum DNA. Int. J. for Paras. 29: 1589-1596.Dubey, J.P., Barr, B.C., Barta, J.R., Bjerkas, I., Bjorkman, C., Blagburn, B.L., Bowman, D.D., Buxton, D., Ellis, J.T., Gottstein, B., Hemphill, A., Hill, D.E., Howe, D.K., Jenkins, M.C., Kobayashi, Y., Koudela, B., Marsh, A.E., Mattson, J.G., McAllister, M.M., Modry’, D., Omata, Y., Sibley, L.D., Speer, C.A., Trees, A.J., Uggla, A., Upton, S.J., Williams, D.J.L., Lindsay, D.S. 2002.Redescription of Neospora caninum and its differentiation from related coccidia. Int. J.for Paras. 32 : 929-946. Ausubel F.M., Brent R., KingstonR.E., Moore D.D., Seidan J.G., Smith A.A., StruhlK. Current protocolsa in molecular biology. 1992. Vol. I. Wiley- Interscience, New York, NY.

Allevamento Pos. Chlamydophila a. Pos. Coxiella b.

1 34 (11,7%) 13 (4,48%)2 5 (1,59%) 3 (0,95%)3 2 (1,16%) 4 (2,32%)4 15 (2,46%) 26 (4,27%)5 3 135 (54%)6 2 Da Fare

Allevamento Feti abortiti Organo positivo Agente abortigeno

1 1 cervello Neospora; toxoplasma

2 1 CervelloMilza

Neospora; ToxoplasmaToxoplasma

3 1 Feto intero Neospora4 2 cervello Neospora; Toxoplasma

5 1Cervello

IV StomacoMuscolo

NeosporaNeospora

Toxoplasma

6 1 CervelloIV stomaco

Neosporaneospora

Allevamento Pos. Toxoplasma IgG Pos. Toxoplasma IgM Pos. Neospora

1 125 (43,1%) 87 (30%) 60 (20,63%)

2 301 (95,85%) Neg 18 (5,73%)

3 18 (10,46%) Neg 19 (11,04%)

4 383 (62,99%) 247 (40,62%) 12 (1,97%)

5 141 (56,4%) 84 (33,6%) 143 (57,2%)

6 165 (43,65%) 176 (46,56%) 8 (2,11%)

120 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

EFFICACIA DELLA MOXIDECTINA IN FORMULAZIONE INIETTABILE E POUR -ON PER IL CONTROLLO DELL’IPODERMOSI BOVINA IN BASILICATA

1Lia R., 2Agostini A., 3G. Prestera, 1Otranto D.

1Facoltà di Medicina Veterinaria, Valenzano (BA) Italy2 Fort Dodge Animal Health S.p.A. Bologna, Italy3 Associazione Provinciale Allevatori, Potenza Italy

1Dipartimento di Sanità e Benessere degli Animali. Tel. +39 080 5443802/39 Strada Provinciale per Casamassima Km 3 -70010 Valenzano (BA) Italy. e-mail: [email protected]

RiassuntoL’ipodermosi dei bovini è una miasi causata da larve di Hypoderma bovis e Hypoderma lineatum (Diptera, Oestridae). In Italia la prevalenza oscilla tra il 3 e il 70%. In provincia di Potenza è stato eseguito un programma pilota per il controllo dell’ipodermosi mediante trattamento di 9.939 bovini allevati allo stato brado e provenienti da 304 aziende utilizzando una formulazione iniettabile all’1% (200 µg/Kg) e pour -on allo 0.5% (500 µg/ Kg) di moxidectina (Cydectin® Fort Dodge Animal Health). L’efficacia del trattamento è stata verificata mediante esame parassitologico pre- e post- trattamento; inoltre, su un gruppo di animali, è stato eseguito un test sierologico. La moxidectina ha dimostrato un’efficacia del 99.9% e del 100% rispettivamente per la formulazione pour-on e iniettabile.

IntroduzioneL’ipodermosi dei bovini è una miasi degli organi interni, causata da larve di Hypoderma bovis e Hypoderma lineatum (Diptera, Oestridae), caratterizzata dalla presenza di noduli sottocutanei che emergono, nella regione dorso-lombare degli animali, durante i mesi primaverili ed estivi. I danni arrecati alle produzioni zootecniche dei bovini da questa patologia sono ingenti (ridotto accrescimento, riduzione delle produzioni di latte e della qualità delle pelli).L’ipodermosi è diffusa in molti Paesi dell’emisfero settentrionale: Canada (Colwell, 1992), U.S.A. (Scholl, 1998) ed Europa (O’Brien, 1998). Nei Paesi che si affacciano nel bacino del Mediterraneo è segnalata in: Albania (Tagari e Manehasa, 1973), Algeria (Benakla et al., 1998), Libia (Beesley e Gabaj, 1991), Marocco (Dakkar et al., 1981) e Tunisia (Jaballah, 1983).Nonostante questa patologia sia diffusa in Italia, non sono mai stati avviati piani di eradicazione a livello nazionale. I primi tentativi di controllo dell’ipodermosi in Italia risalgono agli anni ‘60-70, quando furono avviate sporadiche campagne di profilassi in Puglia (Nardi e Lellis, 1959), e su base regionale in Trentino Alto Adige (Leinati et al., 1971) e Sardegna (Ruatti et al., 1971). Solo successivamente alcune regioni hanno continuato ad attuare misure di controllo nei confronti dell’ipodermosi spesso in maniera sporadica e occasionale. In diversi Paesi europei, il controllo dell’ipodermosi è stato da anni avviato a livello nazionale e in alcuni Paesi (Gran Bretagna, Irlanda, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Paesi Bassi, la maggior parte delle regioni della Francia) la prevalenza dell’infestazione è attualmente inferiore allo 0,5%. In Italia l’avvio dei programmi di controllo sono in notevole ritardo, sia sul piano della conoscenza della reale diffusione di questa patologia sul territorio, ma anche sul piano legislativo regionale e nazionale. Ciononostante l’ipodermosi bovina è una malattia “diffusiva” inserita nell’Art. 1 del Regolamento di Polizia Veterinaria, quindi, soggetta a denuncia obbligatoria (D.P.R. 320 del 08-02-1957, suppl. G.U. 24-06-1954 n° 142). I progetti europei denominati COST 811 prima e COST 833 dopo, si sono proposti di affrontare in maniera coordinata il controllo dell’ipodermosi stabilendo linee di intervento comuni, con particolare riferimento ai sistemi di rilevamento, allo studio dell’epidemiologia e ai trattamenti (Boulard, 1997). In passato, il trattamento sistematico con avermectine (ivermectina e doramectina) ha determinato il successo nel controllo/eradicazione dell’infestazione. Recentemente, la moxidectina è stata impiegata per il controllo dell’ipodermosi bovina in diversi Paesi: Algeria (Benakhla et al., 1998), Belgio (Losson and Lonneux, 1993 a, b; Lonneux e Losson 1994), Canada (Colwell et al., 1997), Francia (Le Stang et al., 1995), Libia (Beesley e Gabaj, 1991), Olanda (Sol et al., 1994) e U.S.A. (Scholl et al. 1992). Questo studio è stato condotto con lo scopo di confermare in condizioni di campo, su larga scala, l’efficacia della moxidectina (Cydectin® Fort Dodge Animal Health) in formulazione iniettabile all’1% e pour -on allo 0,5%. Il programma per il controllo dell’ipodermosi è stato svolto su bovini autoctoni infestati in condizioni naturali nella provincia di Potenza (Basilicata, Sud-Italia).

Materiali e metodiIl territorio oggetto di questa indagine ricade interamente nella provincia di Potenza e si estende per la maggior parte sulla dorsale dell’Appennino Lucano; l’area è prevalentemente montuosa con estese superfici di bosco, e nella zona collinare, ampi pascoli naturali assicurano l’alimento agli animali. Il patrimonio zootecnico della Regione Basilicata ammonta a 86.756 bovini, circa 59.621 capi sono bovini da carne e 39.000 capi sono di razza Podolica o suoi derivati, e di questi, 17.691 sono distribuiti nella provincia di Potenza in 492 aziende.La prova è stata condotta da Gennaio 2000 a Giugno 2001 su 9.939 bovini appartenenti a 304 aziende presenti in 42 comuni. Gli allevamenti, omogeneamente distribuiti sul territorio, erano così distribuiti: 121 allevamenti situati ad altitudine compresa tra 300 e 700 m (sul livello del mare), 159 allevamenti situati ad altitudine compresa tra 700 e 1200 m s.l.m. e 24 allevamenti situati ad altitudine oltre i 1200 m s.l.m.

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Nella zona in esame è stata stimata una prevalenza di ipodermosi del 70% degli allevamenti di bovini di razza Podolica.Nel periodo Gennaio-Giugno 2000 sulla base della distribuzione territoriale sono state monitorate tutte le aziende e tutti i capi presenti. E’ stato eseguito un primo controllo parassitologico mediante palpazione del dorso dei bovini. Dopo aver effettuato il segnalamento (età e sesso), gli animali sono stati identificati (mediante targhetta auricolare), divisi in quattro gruppi e trattati con le modalità riportate di seguito, nel periodo Ottobre-Novembre 2000.Nei soggetti del gruppo 1, costituito da 2.989 capi (113 aziende), il trattamento è stato effettuato utilizzando una formulazione pour -on di moxidectina (Cydectin® 0.5%) alla dose di 500 μg/Kg p.v.Nei soggetti del gruppo 2, costituito da 5.803 capi (140 aziende), il trattamento è stato effettuato mediante iniezione sottocutanea di moxidectina (Cydectin® 1%) alla dose di 200 μg/Kg p.v.Nei soggetti del gruppo 3, costituito da 665 capi (27 aziende), il trattamento è stato effettuato mediante iniezione sottocutanea di una microdose (0.1 ml per capo) di una formulazione iniettabile di moxidectina (Cydectin® 1%).I soggetti del gruppo 4, costituito da 482 capi (24 aziende), non sono stati trattati ed hanno costituito il gruppo controllo.Tutti gli animali inclusi nella sperimentazione sono stati controllati a 1 ora e dopo 24 ore.Sono state selezionate 42 aziende (18 del gruppo 1 e 24 del gruppo 4) e in ognuna di esse sono stati effettuati 5 prelievi di campioni di sangue per effettuare la diagnosi sierologica. Sui sieri, conservati a -20°C fino al momento dell’esame, è stata effettuata la ricerca degli anticorpi specifici mediante test immunoenzimatico (ELISA), impiegando l’Hypodermosis Elisa kit (Vétoquinol Diagnostics, France) allestito con antigene estratto da larve di H. bovis. Nel periodo Gennaio-Giugno 2001 su tutti i capi è stato eseguito un secondo controllo parassitologico, per rilevare la presenza dei noduli di Hypoderma spp.Durante il secondo controllo parassitologico le larve presenti sono state raccolte, conservate in alcool e successivamente identificate utilizzando le chiavi di identificazione di Zumpt (1965) e di James (1947).

RisultatiDurante il primo controllo parassitologico (prima del trattamento) l’esame clinico svolto ha rilevato la presenza di noduli in 5.502 animali (43.27%) distribuiti in 338 aziende (68.6%) sulle 492 esaminate. L’esame sierologico svolto su un totale di 210 sieri con la metodica ELISA ha rilevato il 99% di positività dei capi esaminati.Nessuno degli animali sottoposti al trattamento con moxidectina pour –on e per via sottocutanea ha manifestato reazioni secondarie o effetti clinici collaterali al farmaco.Al controllo parassitologico successivo al trattamento l’esame clinico ha rilevato nei bovini dei differenti gruppi i seguenti risultati: nei soggetti del gruppo 1 (trattamento pour –on) è stata osservata la presenza di 3 noduli in 2 animali (0.06%);nei soggetti del gruppo 2 (trattamento per via sottocutanea) non sono comparsi noduli negli animali;nei soggetti del gruppo 3 (trattato con microdose) è stata osservata la presenza di noduli in 437 animali (65.71%);nei soggetti del gruppo 4 (gruppo controllo) è stata osservata la presenza di noduli in 154 bovini (31.95%).In tabella n°1 sono riportati in dettaglio i dati relativi alla prevalenza ed alla positività riscontrata nei diversi gruppi. I noduli emersi durante il secondo controllo clinico-parassitologico sono stati osservati dalla fine del mese di Gennaio fino alla metà del mese di Giugno, con una intensità di noduli da 1 a 18 (media 9,89 ±4,76), il picco massimo di numero di noduli è stato registrato tra fine Marzo e fine Maggio. Durante il controllo parassitologico sono state prelevate dai noduli della regione dorsale 36 larve, tutte di III stadio: 15, raccolte durante il periodo Gennaio-Aprile, sono state identificate come H. lineatum, mentre 21 larve, raccolte durante il periodo Marzo-Giugno, sono state identificate come H. bovis.

Discussione e conclusioniLa somministrazione della moxidectina pour –on e per via sottocutanea alla dose consigliata, è risultata altamente efficace (rispettivamente del 99.9% e 100%) nel trattamento dell’ipodermosi bovina. In particolare, l’applicazione della formulazione pour –on si è dimostrata di facile e pratico impiego.Questo programma di controllo dell’ipodermosi mediante l’utilizzo della moxidectina ha contribuito a ridurre la prevalenza dell’ipodermosi bovina sul territorio della regione oggetto dell’indagine.Nei soggetti del gruppo 1, la presenza di 3 noduli in 2 animali (provenienti dalla stessa azienda), può essere spiegata dal non corretto utilizzo dell’erogatore durante l’applicazione del medicamento, o da un sottodosaggio dovuto al non corretto calcolo del peso del bovino. Questo in analogia all’attività che è strettamente dipendente dalla dose somministrata.Negli animali del gruppo 2, la formulazione iniettabile di moxidectina alla dose di 200 μg/Kg p.v. ha dimostrato di possedere un’efficacia pari al 100%.Al contrario, il trattamento con microdose, non ha dato risultati soddisfacenti ed è stata registrata una percentuale di positività del 65.71%.Negli animali del gruppo controllo il 31,95% dei bovini hanno presentato noduli di ipoderma.L’allevamento dei bovini in Basilicata rappresenta un settore importante per la zootecnia della regione ed è indispensabile portarlo a standard produttivi più elevati. Un piano di trattamenti di durata triennale o quinquennale sarebbe importante per attuare l’eradicazione di questa patologia che è tutt’oggi sottostimata nonostante i comprovati danni che essa causa alle produzioni. Le linee guida di un programma di risanamento nei confronti dell’ipodermosi, devono definire la situazione epidemiologica nella regione, informare gli enti e tutte le figure coinvolte nel programma, trattare con antiparassitari tutti gli animali presenti e introdotti nella regione e monitorare costantemente i risultati ottenuti con prove sierologiche (ELISA). Gli animali trattati dovrebbero essere controllati sierologicamente, utilizzando sia il sangue (Boulard, 1985; Puccini et al., 1995) sia il latte (Otranto et al., 1999) al fine di sottoporre ad un nuovo trattamento i bovini sieropositivi finché in

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tutta l’area non si registrino nuovi casi di ipodermosi. Inoltre occorrerebbe applicare i regolamenti di polizia sanitaria sui movimenti di Introduzione e uscita degli animali dal territorio, e certificare l’avvenuto trattamento degli animali.Per quanto riguarda l’Italia è assolutamente auspicabile che l’attenzione nei confronti di questa patologia aumenti e che i trattamenti, oggi esclusivamente condotti su base volontaria da singoli allevatori, si trasformino in iniziative più organizzate che coinvolgano tutti gli allevamenti e di conseguenza territori più ampi e geograficamente delimitati in modo che gli interventi di chemioprofilassi in combinazione con rilievi sierologici ed epidemiologici ci permettano di realizzare l’eradicazione su base nazionale dell’ipodermosi.

Tabella n°1. Risultati dell’esame clinico parassitologico sugli animali appartenenti ai diversi gruppi di trattamento.

Animali esaminati Animali negativi Animali positivi Percentuale

POUR –ON 2.989 2.987 2 0.06 %INIETTABILE 5.803 5.803 0 -MICRODOSE 665 228 437 65.71 %

GRUPPO CONTROLLO 482 328 154 31.95 %TOTALE 9.939 9346 593 5,96 %

RingraziamentiSi ringraziano i Direttori dell’Associazione Provinciale Allevatori di Potenza (Dott. G. Giuratrobocchetti) e di Matera (Dott. A. Calbi) e tutti i colleghi veterinari dell’ Associazione che hanno operato in campo per la realizzazione del piano di controllo.

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123XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO DI ROUTINE CON IVERMECTINA O DORAMECTINA IN BOVINI ALL’INGRASSO.

Stancampiano L*1., Bulgarelli M.*, Corradini D.*, Micagni G.**, Battelli G.*

*Alma Mater Studiorum Università di Bologna e **Azienda Sanitaria Locale di Reggio Emilia, Italia1Laura Stancampiano. DIPROVAL- Sez. Allevamenti Zootecnici, Via F.lli Rosselli 107, 42100 Coviolo (RE),

Italia. Tel 0522.290625; fax 0522.290523; e-mail: [email protected]

RiassuntoCentodiciannove bovini da carne di età media 12 mesi importati dalla Francia nel periodo marzo-agosto 2003 sono stati trattati, 3-4 settimane dopo l’arrivo, con ivermectina (n=38) o con doramectina (n=81) in soluzione iniettabile. Esami coprologici (quantitativi solo per nematodi e cestodi), effettuati il giorno successivo all’arrivo e 8-10 settimane dopo il trattamento, hanno evidenziato uova di Nematodirus spp. (Ne), altri strongili gastrointestinali (Sgi), Trichuris spp., Capillaria spp., cestodi (Ce), trematodi e oocisti di coccidi (Co). Al controllo post-trattamento, sono risultati inferiori (p<0,05): i) le prevalenze per Ne (5,9% vs 16,0), Sgi (8,4% vs 60,5%), Ce (1,7% vs 7,6%) e Co (6,7% vs 61,3%); ii) il numero di uova di Sgi per grammo di feci (media: 1,4 vs 40; massimo: 40 vs 300). Nessuna differenza significativa è stata osservata tra animali trattati con ivermectina e con doramectina. La maggiore durata dell’azione antiparassitaria riportata in letteratura per doramectina non sembra comportare una diversa efficacia del trattamento in condizioni di allevamento intensivo. Il contesto ambientale, sfavorevole al ciclo biologico dei parassiti (condizioni igieniche, assenza di pascolo, ecc.), probabilmente impedisce le reinfezioni.

AbstractEFFICACY OF ONE ROUTINARY TREATMENT USING IVERMECTIN OR DORAMECTIN

IN FATTENING BEEF CATTLE.One-hundred and nineteen beef cattle, 12 months of age on average, imported from France between March and August 2003 were treated with an injectable solution of ivermectin (No. 38) or doramectin (No. 81), 3-4 weeks after their arrival in Italy. Faecal examinations (quantitative tests only for nematodes and tapeworms) were performed the day after the arrival of the animals and were repeated 8-10 weeks after the treatment. Eggs of Nematodirus spp. (Ne), as well as of other gastrointestinal strongyles (Sgi), Trichuris spp., Capillaria spp., tapeworms (Ta), trematodes, and oocysts of coccidia (Co) were detected. After the treatment, the following data were lower (p<0.05) than the ones observed at the arrival: i) prevalence of Ne (5.9% vs 16.0), Sgi (8.4% vs 60.5%), Ta (1.7% vs 7.6%) e Co (6.7% vs 61.3%); ii) egg output per gram of faeces of Sgi (mean: 1,4 vs 40; maximum: 40 vs 300). No significant differences were found out between animals dosed with ivermectin and doramectin. The long-lasting action reported for doramectin compared to ivermectin, doesn’t seem to influence the efficacy of the treatment. The intensive husbandry conditions of fattening beef cattle in Italy, unsuitable for parasite cycles (hygienic conditions and management, absence of pasture, etc.), would probably prevent reinfections.

IntroduzioneA livello internazionale, i dati relativi alle parassitosi in bovini da carne allevati in stabulazione permanente risultano, anche negli ultimi anni, estremamente scarsi. La maggior parte dei lavori riguardano animali da latte o allevati al pascolo, quest’ultimo considerato il fattore di rischio per eccellenza per le principali parassitosi dei ruminanti (Ballweber et al., 1997; Eddi et al., 1997; Williams et al., 1997; Epperson et al., 2001).In Italia una certa attenzione verso le parassitosi bovine si è avuta nei confronti di quelle dell’apparato digerente di vacche da latte o di animali allevati al pascolo. Inoltre, malgrado la maggior parte dei bovini da carne allevati in Italia sia importata dall’estero ed in particolare dalla Francia (Ismea-Osservatorio latte, 2002) in letteratura i dati reperibili su animali importati sono estremamente scarsi (Battelli et al, 1989; Genchi et al, 1997).Le scarse informazioni sui parassiti presenti nei bovini all’ingrasso in Italia si riflettono in una mancanza di dati scientifici relativi al controllo dei parassiti stessi. Tale controllo viene spesso effettuato con l’ausilio di farmaci la cui opportunità di uso andrebbe confermata con prove effettuate nella specifica realtà degli allevamenti. In particolare per quanto riguarda i lattoni macrociclici, gruppo di antiparassitari del quale fanno parte ivermectina e doramectina, le prove sperimentali relative alla loro efficacia vengono effettuate in condizioni di elevata probabilità di reinfezione, solitamente al pascolo, od utilizzando animali infettati sperimentalmente (Genchi et al., 1995; Ballweber et al., 1997; Eddi et al., 1997; Ranjan et al., 1997; Williams et al, 1997). Tali condizioni sono estremamente diverse da quelle che si riscontrano nei tipici allevamenti intensivi da carne in Italia. In condizioni di elevato rischio di infezione vengono solitamente riportati migliori risultati con l’utilizzo della doramectina rispetto all’ivermectina, in particolare una maggiore durata dell’efficacia protettiva nei confronti delle reinfezioni (Eddi et al., 1997; Ranjan et al., 1997).Scopo del presente studio è stato quello di valutare l’efficacia dei trattamenti antiparassitari effettuati routinariamente in allevamento in animali da carne importati dalla Francia e di confrontare l’efficacia dell’ivermectina e della doramectina nelle condizioni di allevamento considerate.

Materiali e metodiLo studio è stato effettuato presso l’allevamento Bernolda, del Consorzio Carni Naturali di Novellara (Reggio Emilia).Sono stati esaminati 119 bovini di razza Charolaise (n=89) e meticci (n=30) appartenenti a 6 diverse partite, 2 di maschi

124 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

(per un totale di 42 animali) e 4 di femmine (77 animali), importate dalla Francia nel periodo marzo-agosto 2002. Gli animali erano di età compresa tra i 5 e i 18 mesi (media 12 mesi) e di peso medio pari a 350 kg. Dopo una prima fase di ambientamento gli animali vengono permanentemente stabulati in box su pavimento di grigliato.Il giorno successivo all’arrivo in allevamento sono stati prelevati campioni di feci individuali direttamente dall’ampolla rettale.Ciascun animale è stato sottoposto ad un trattamento antiparassitario, effettuato di routine in allevamento, 3-4 settimane dopo l’arrivo, utilizzando ivermectina (IVOMEC®) o doramectina (DECTOMAX®) in soluzione iniettabile all’1% sottocute, per 38 (23 maschi; 15 femmine) e 81 (19 maschi; 62 femmine) animali, rispettivamente. Il dosaggio è di 1 ml/50 kg peso-vivo. Agli animali, non pesati individualmente, sono stati somministrati 10 ml/capo.Un secondo campionamento individuale di feci è stato effettuato dopo circa 9 settimane dal trattamento (59-70 giorni).I campioni sono stati conservati a +4°C ed esaminati entro 2 gg, oppure congelati e scongelati a temperatura ambiente prima degli esami parassitologici. Ciascun campione è stato sottoposto ad esame qualitativo per sedimentazione e flottazione utilizzando una soluzione a p.s. 1500. I campioni positivi per nematodi o cestodi sono quindi stati sottoposti ad esame quantitativo con la camera di McMaster per la conta del numero di uova per grammo di feci (UPG) utilizzando 5 g di feci sospesi in 30 ml di soluzione a p.s. 1300 (soglia di sensibilità: 20 UPG).L’elaborazione statistica dei risultati relativi alle prevalenze è stata effettuata utilizzando: a) test del Chi-quadrato o test della probabilità esatta di Fisher per valutare differenze tra categorie (campioni indipendenti) (Siegel, 1980); b) test per il confronto delle proporzioni per il paragone tra primo e secondo controllo (campioni dipendenti) (Armitage, 1971). L’elaborazione dei risultati degli esami quantitativi, a causa della non normalità della distribuzione di frequenza delle UPG, è stata effettuata utilizzando i seguenti test non parametrici (Siegel, 1980): a) test di analisi della varianza per ranghi di Kruskal-Wallis (campioni indipendenti); b) test di Wilcoxon per il confronto tra primo e secondo controllo (campioni dipendenti); c) test di correlazione per ranghi di Spearman.

RisultatiSono state evidenziate oocisti di Coccidi ed uova dei seguenti parassiti: Strongili gastrointestinali (Sgi); Nematodirus spp.; Trichuris spp.; Capillaria spp.; Cestodi; Paramphistomum spp; Dicrocoelium dendriticum; Fasciola hepatica. I risultati relativi agli Sgi non comprendono i Nematodirus che, pur facendo parte dello stesso gruppo di parassiti, hanno uova morfologicamente differenziabili.I risultati degli esami qualitativi e quantitativi sono riportati rispettivamente in Tabella 1 e in Tabella 2.

Parassita1° controllo 2° controllo variazione di P

tra 1° e 2° controlloP(%) P(%)Coccidi 61,3 6,7 -89,0%

Sgi 60,5 8,4 -86,1%Nematodirus spp. 16,0 5,9 -63,2%

Trichuris spp. 5,9 0 -100%Capillaria spp. 3,4 0 -100%

Cestodi 7,6 1,7 -77,8%Paramphistomum spp. 27,7 36,1 +30,3%

D.dendriticum 1,7 1,7 0%F.hepatica 0 1,7 +100%

Tabella 1-Risultati degli esami qualitativi: prevalenze (P) al 1° ed al 2°controllo.

Parassita1° controllo 2° controllo variazione di m

tra 1° e 2° controllom d.s. min-max m. d. s. min-maxSgi 40 72,0 0-300 1,4 6,8 0-40 -96,5%

Nematodirus spp. 0,6 3,6 0-20 0 0 0 -100%Trichuris spp. 1 6,3 0-60 0 0 0 -100%Capillaria spp. 0,6 5,5 0-60 0 0 0 -100%

Cestodi 6,6 30,0 0-240 3,2 34,8 0-380 -51,5%

Tabella 2-Risultati degli esami quantitativi: media (m), deviazione standard (d.s.), minimo e massimo (min-max) del numero di UPG al 1° ed al 2°controllo.

Al 1°controllo non sono state rilevate differenze significative (di prevalenze o di UPG) dovute a sesso, razza e tipo di trattamento cui sono successivamente stati sottoposti gli animali, né alcuna correlazione significativa tra intensità di emissione di uova ed età degli animali (p>0,05).Tra 1° e 2°controllo sono state rilevati cali significativi di prevalenza per Coccidi (p<0,01), Sgi (p<0,01), Nematodirus (p<0,05), Cestodi (p<0,05) e un calo di intensità di emissione di uova per Sgi (p<0,01).I risultati quali-quantitativi ottenuti considerando separatamente gli animali trattati con doramectina e con ivermectina sono riportati in Tabella 3 ed in Tabella 4. Non è stata riscontrata nessuna differenza significativa al 2°controllo relativamente al farmaco utilizzato (p>0,05). Il calo di intensità di emissione di uova di Sgi tra 1° e 2°controllo è risultato significativo (p<0,01) anche considerando separatamente gli animali trattati con ivermectina e con doramectina. Nessuna correlazione significativa è stata osservata tra intensità di emissione di uova al secondo prelievo ed età o intervallo trattamento-prelievo (p>0,05)

125XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Parassita

Ivermectina Doramectina

P(%) variazione di Ptra 1° e 2° controllo P(%) variazione di P

tra 1° e 2° controllo

1° controllo

2° controllo

1° controllo

2° controllo

Coccidi 63,2 5,3 -91,6% 60,5 7,4 -87,8%Sgi 60,5 10,5 -82,6% 60,5 7,4 -87,8%

Nematodirus spp. 7,9 0 -100% 19,7 0 -100%Trichuris spp. 7,9 0 -100% 4,9 8,6 +75,5%Capillaria spp. 5,3 0 -100% 2,5 0 -100%

Cestodi 5,3 0 -100% 8,6 2,5 -70,9%Paramphistomum spp. 21,1 36,8 +74,4% 30,8 35,8 +16,2%

D.dendriticum 0 2,6 +100% 2,5 1,2 -52%F.hepatica 0 0 / 0 2,5 +100%

Tabella 3–Confronto tra animali trattati con ivermectina e con doramectina. Prevalenze (P) al 1° ed al 2°controllo.

Parassita

Ivermectina Doramectina

m variazione di mtra 1° e 2° controllo m variazione di m

tra 1° e 2° controllo

1° controllo

2° controllo

1° controllo

2° controllo

Sgi 30 2,2 -92,7% 44,6 1,0 -97,8%

Nematodirus spp. 0,6 0 -100% 0,8 0 -100%

Trichuris spp. 0 0 / 1,4 0 -100%

Capillaria spp. 1,6 0 -100% 0 0 /

Cestodi 3,2 0 -100% 8,2 4,6 -43,9%

Tabella 4– Confronto tra animali trattati con ivermectina e con doramectina. Medie del numero di UPG (m) al 1° ed al 2°controllo.

DiscussioneL’utilizzo di esami coprologici ha reso possibile seguire gli animali durante il ciclo produttivo senza interferire con il management dell’allevamento. Queste analisi potrebbero non fornire una stima esatta dell’efficacia dei trattamenti, poiché il numero di UPG non sempre si correla con il numero di parassiti presenti. In particolare l’efficacia di un antielmintico potrebbe essere sovrastimata nel caso in cui il farmaco sopprima la fertilità dei parassiti. Poiché quest’ultima evenienza si riscontra solitamente in occasione di trattamenti ravvicinati e nei giorni immediatamente successivi al trattamento (Taylor et al., 2002) è improbabile che essa si sia verificata nel presente studio, considerato che l’antiparassitario è stato somministrato una sola volta e che il controllo post-trattamento è stato effettuato circa 2 mesi dopo.Sono state osservate diminuzioni significative di prevalenza per coccidi e cestodi malgrado ivermectina e doramectina non siano efficaci nei confronti di questi parassiti. La drastica diminuzione di coccidi è da mettere in relazione sia allo sviluppo di immunità nell’ospite all’aumentare dell’età, sia all’allontanamento delle feci, grazie alla stabulazione su grigliato, che minimizza il rischio di sporulazione e assunzione di oocisti. Per quanto riguarda i cestodi, le condizioni ambientali e l’alimentazione, prevalentemente a base di insilati e mangime, determinerebbero l’assenza di acari oribatidi, ospiti intermedi, quindi della fonte di nuove infezioni; si assiste di conseguenza ad un calo di prevalenza dovuto alla mortalità naturale di questi parassiti negli ospiti, mediata anche dalla resistenza che si instaura negli animali più adulti.Per quanto riguarda l’efficacia del trattamento nei confronti dei nematodi, ed in particolare degli Sgi, il confronto con i dati riportati da altri autori non è semplice, in quanto tali dati si riferiscono a situazioni sperimentali che differiscono in molti aspetti da quelle del presente studio.Genchi et al. (1995) riportano un’efficacia della doramectina iniettabile, in bovini infettati sperimentalmente con Sgi, del 99,8-99,9%, sia sulle forme adulte sia sulle forme larvali, al 14° giorno dal trattamento. L’efficacia inferiore riscontrata nel presente lavoro potrebbe essere dovuta alla resistenza di alcuni strongili (adulti o larve) al trattamento, oppure ad una minima fonte di reinfezione nel periodo successivo al trattamento.Eddi et al. (1997) riportano in bovini al pascolo un’efficacia, a 56 giorni dal trattamento, del 98% per doramectina e del 77% per ivermectina, sempre riferita al numero effettivo di Sgi (larve e adulti). Tale differenza non veniva rilevata dagli esami coprologici che risultavano analoghi per entrambi i trattamenti fino al termine dello studio (84° giorno).Ranjan et al. (1997) riportano un analogo numero di UPG in vitelli al pascolo trattati con ivermectina e con doramectina, almeno fino al 63° giorno dal trattamento. Essi rilevano, comunque, un aumento del numero di UPG a partire dal 28° giorno dal trattamento con ivermectina e dal 42° per doramectina e segnalano una migliore efficacia della doramectina, seppure con una significatività piuttosto bassa, sulla conta dei nematodi totali (adulti e larve) 65 giorni post-trattamento. Addirittura gli animali trattati con ivermectina risultavano infestati con un numero di nematodi totali paragonabile al gruppo di controllo non trattato. Gli stessi autori non segnalano alcuna differenza significativa tra i due trattamenti né tra questi ed il gruppo di controllo per quanto riguarda il genere Nematodirus; tale risultato è in accordo con la minore efficacia da noi osservata, almeno relativamente alle prevalenze, nei confronti di questi strongili.

126 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Williams et al. (1997), sempre in bovini al pascolo, riportano un’emissione di UPG significativamente inferiore in animali trattati con doramectina rispetto a quelli trattati con ivermectina tra il 28° ed il 56° giorno dal trattamento. Tale effetto sarebbe da imputarsi ad una maggiore durata del periodo protettivo nei confronti delle reinfezioni. Non vi sono dati relativi al periodo successivo.Ballweber et al. (1997) in bovini da carne al pascolo osservano differenze significative di UPG tra le due molecole dal 42° all’84° giorno post-trattamento, dovute ad un aumento più graduale nel gruppo trattato con doramectina.Nel presente studio non si sono riscontrate differenze tra gli animali trattati con ivermectina e con doramectina, né correlazioni tra numero di UPG e intervallo trattamento-controllo. Ciò fa supporre che in condizioni di allevamento su grigliato, nelle quali il rischio di infezione è estremamente scarso, la maggiore durata dell’azione antielmintica riportata per la doramectina non sortirebbe alcun vantaggio rispetto all’ivermectina. Occorre tenere in considerazione, inoltre, che gli animali importati risultano infestati da strongili gastrointestinali con medie di emissione piuttosto basse (40 UPG) all’arrivo in allevamento, il che è probabilmente da imputarsi ad una certa immunità acquisita (Gasbarre et al. 2001), anche in relazione all’età piuttosto elevata di Introduzione in allevamento.E’ probabile che, anche in assenza di trattamento, si sarebbe potuto assistere ad una diminuzione delle infezioni da nematodi, analogamente a quanto rilevato per coccidi e per cestodi, come osservato anche da Eddi et al. (1997) in un gruppo di bovini non trattato. A tale proposito, segnaliamo che indagini ancora in corso, effettuate sugli stessi animali al momento della macellazione, hanno rilevato una totale assenza di uova di Sgi.

ConclusioniI trattamenti effettuati di routine sembrano sufficientemente efficaci nei confronti dei nematodi, verso i quali sono attivi, seppure non al 100%.La maggiore durata dell’azione antiparassitaria riportata in letteratura per doramectina rispetto ad ivermectina non sembra comportare una diversa efficacia dei due trattamenti, in vitelloni importati ed allevati intensivamente su grigliato nelle condizioni descritte nel presente lavoro. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che le migliori performances riportate per la doramectina sono relative ad una prolungata protezione nei confronti delle reinfezioni, le quali non si verificherebbero in un contesto ambientale sfavorevole al ciclo dei parassiti. In tale contesto, è consigliabile l’uso del farmaco meno costoso, indipendentemente dall’efficacia rilevata in diverse situazioni sperimentali. Sarebbe inoltre interessante, alla luce dei risultati ottenuti e di quanto reperito in letteratura, valutare con successivi studi l’effettiva opportunità di un trattamento antiparassitario negli allevamenti intensivi da carne, anche in termini di costi e di benefici.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003

VALUTAZIONE DEL SEME DI CAPRONI AFFETTI DA CALICOSI TESTICOLARE SEMEN EVALUATION IN BUCKS AFFECTED BY TESTICULAR CALICOSIS Cristarella S., Scirpo A., Cinone M., Gimbo A., Cassata R. B. FUNZIONALITÅ TESTICOLARE E PARAMETRI SEMINALI I IN ARIETI IN CONTROSTAGIONE STIMOLATI CON NALOXONE, CALCIO E GnRH Binetti F., Aiudi G., Giannoccaro A., *Cinone M., Quaranta A., Lacalandra G.M, GLYCOCONJUGATES HISTOCHEMISTRY OF DUODENAL GLANDS AND DUODENAL

GOBLET CELLS IN BUBALUS BUBALI Verdiglione R., Sarullo V., Gargano M., Mammola C.L. RILIEVI ISTOPATOLOGICI ED IMMUNOISTOCHIMICI SU TESSUTI FISSATI I FORMALINA E INCLUSI IN PARAFFINA DI PECORE INFETTATE

SPERIMENTALMENTE CON MYCOPLASMA AGALACTIAE Rocca S., Pirino S., Antuofermo E,. Chiarolini A., Tola S., Leori G. IL CARCINOMA MAMMARIO A CELLULE SQUAMOSE DELL’OVINO SARDO Antuofermo E., Pirino S., Rocca S., Idili S., Leoni A., Nieddu A.M.. BLUE TONGUE: UN’EMERGENZA ANCHE A LIVELLO LEGISLATIVO Passantino A., Fenga C., Di Pietro C., Venza M., Passantino M. NEW DISPOSITIONS ON IDENTIFICATION AND REGISTRATION OF CATTLE IN ITALY Di Pietro C., Passantino A., Fenga C., Passantino M. NORMATIVA VIGENTE IN MATERIA DI TUTELA DELLA BUFALA MEDITERRANEA ITALIANA Passantino A., Fenga C., Di Pietro C., Passantino M.

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129XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

VALUTAZIONE DEL SEME DI CAPRONI AFFETTI DA CALICOSI TESTICOLARE

Cristarella S., Scirpo A., Cinone M., Cassata R. B., Gimbo A.

Dipartimento di Chirurgia, Fisiopatologia e Clinica della Riproduzione degli animali domestici - Facoltà di Medicina Veterinaria – Università degli Studi di Messina

RiassuntoLa calicosi è una delle più comuni forme distrofico-degenerative testicolari della specie caprina, con limitazione dell’efficienza riproduttiva. Essa colpisce soggetti d’ogni età con un’incidenza variabile ed un’evoluzione progressiva. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare in caproni con differenti stadi di calicosi il liquido seminale, prima e dopo capacitazione in vitro, al fine di verificarne la potenziale fertilità. La sperimentazione è stata condotta durante la stagione riproduttiva su sei caproni; quattro soggetti hanno presentato livelli differenti di calicosi testicolare, valutata tramite ecografia, ed altri due, esenti da patologia, hanno rappresentato il gruppo controllo. Il seme prelevato mediante elettroeiaculazione è stato esaminato dal punto di vista macroscopico, microscopico e capacitato mediante metodica di swim-up. Gli elementi relativi alle caratteristiche morfo-funzionali dei nemaspermi, il grado d’estensione della lesione, confermano un residuo valore di fertilità dei caproni con calicosi testicolare.

Introduzione La calicosi o mineralizzazione è una lesione degenerativa, aflogistica delle strutture testicolari, caratteristica dei ruminanti domestici (Smith, 1986; McEntee, 1990;). Generalmente si osserva con maggiore incidenza in età avanzata, può interessare uno od entrambi i testicoli con una frequenza fino al 50% nei caproni (Gimbo et al., 1982). Nell’uomo è stata segnalata sporadicamente associata a neoplasie o ad altre patologie testicolari quali criptorchidismo, orchite e torsione testicolare (Sato et al., 2002). L’eziologia negli animali, anche se non ancora del tutto chiarita, viene riferita ad un eccesso di provitamine del gruppo D nella razione alimentare ricca di alcune graminacee (Gimbo et al., 1986). La degenerazione insorge inizialmente sotto forma di focolai isolati, successivamente diffusi, raggiati secondo l’andamento tubulare ed è caratterizzata da un’infiltrazione di sali calcarei (idrossiapatite o calciofosfato idrato). La patogenesi ha esordio in una lesione vascolare di tipo arteriosclerotico che interessa le arterie dell’albuginea, le arteriole e i precapillari parenchimali cui segue un progressivo addensamento nel lume, di materiale basofilo PAS-negativo. La conseguente deposizione di sali di calcio si estende dalle pareti vascolari al parenchima, ivi comprese le membrane peritubulari e l’interno dei tubuli, determinando lesioni di diversa entità a carico del parenchima testicolare (Gimbo et al., 1982; 1986).Oggetto del nostro studio è stata la valutazione del liquido seminale, prima e dopo capacitazione in vitro degli spermatozoi, in caproni affetti da diversi gradi di calicosi testicolare, al fine di verificare la fertilità in rapporto all’estensione della lesione e alle caratteristiche morfologiche nemaspermatiche.

Materiale e metodiLa ricerca è stata condotta su sei caproni di differente razza e provenienza con età compresa tra 2-8 anni utilizzati come riproduttori. Lo stadio evolutivo della calicosi è stato valutato mediante esame ecografico dell’apparato scroto-testicolare ( Logic α Samsung GE Medical System-Korea con sonda convex 6.5 MHz e lineare 7,5 MHz), evidenziando focolai da 1.1-9.8 mm. Quattro soggetti presentavano percentuali progressive di calicosi in entrambi i testicoli: stadio iniziale 20%, 40%, 60% e 80% rispettivamente per i caproni n°1, 2, 3 e 4. Nei soggetti con gravi lesioni, i focolai apparivano fra loro in vicinanza o anche in contatto per una progressiva confluenza. Il gruppo di controllo era rappresentato da due soggetti n°5 e 6 privi di lesioni calicotiche. La raccolta del seme è stata praticata da febbraio ad ottobre 2001 con prelievi ogni due settimane realizzati mediante elettroeiaculazione (Electrojac G. Nichols, New Zealand) con elettrodo rettale, 4-5 stimolazioni di 40 volts e 160 mA. Dopo il prelievo, il seme è stato mantenuto a temperatura di 38,5°C per effettuare i controlli macroscopici (volume, aspetto, colore, odore, pH) secondo i parametri di Refsal (1986). Nell’esame microscopico è stata valutata, la mobilità di massa secondo la classificazione di Evans e Maxwell (1987); la vitalità con metodo di Blom (colorazione sopravitale); la concentrazione con camera di Makler previa immobilizzazione nemaspermatica; la morfologia nemaspermatica con colorazione di Williams e arancio di acridina. La capacitazione nemaspermatica in vitro è stata ottenuta separando dal liquido seminale la frazione spermatica a più alta mobilità tramite metodica di swim-up, incubando il seme per 2 ore a 38.5°C in 5% CO

2 in Earle Balanced Solution (Sigma E-2888) supplementato con 0.5% di albumina

bovina (Sigma A-2153) e gentamicina (Sigma G-1264). La capacitazione è stata ottenuta con l’aggiunta di eparina (Sigma H-3393) al medium di capacitazione. (Larsson and Rodriguez-Martinez,2000). I valori ottenuti dall’analisi del liquido seminale sono stati analizzati mediante test del Chi-quadro, con correzione di Yates, confrontando i soggetti del gruppo con differenti gradi di calicosi e il gruppo controllo.

Risultati e discussioneNei soggetti affetti da calicosi testicolare, le caratteristiche macroscopiche seminali non presentano modificazioni. La motilità degli spermatozoi decresce in rapporto alla percentuale di patologia testicolare con differenze altamente significative (p<0.001) anche in confronto al gruppo di controllo (Tab. 1). Le percentuali di vitalità dei soggetti con calicosi tendono a decrescere nei caproni con maggiore grado della patologia (caprone n°3, 4) con differenze altamente significative (p<0.001) anche in confronto al gruppo di controllo. Tutti i prelievi di seme da febbraio ad ottobre hanno presentato crescenti percentuali di spermatozoi anomali in relazione al grado di calicosi testicolare con differenze altamente significative (p<0.001) (Tab. 2). Le alterazioni primarie della spermatogenesi hanno generato evidenti forme anomale (testa vacuolizzata, irregolare ispessimento del tratto intermedio, coda sottile) soprattutto nei soggetti con elevato grado di

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calicosi (caprone n°3, 4) con compromissione della capacità fecondante. Le alterazioni secondarie della morfologia (tratto intermedio attorcigliato e ripiegato, coda nodosa e ripiegata) potrebbero derivare da manipolazioni del seme prelevato tramite elettrostimolazione. La concentrazione nemaspermatica prima e dopo capacitazione segue in maniera inversamente proporzionale il grado di calicosi, pur non presentando differenze statisticamente rilevabili in rapporto all’esiguo numero di soggetti esaminati (Tab. 3-4). In conclusione la motilità, la morfologia e la concentrazione degli spermatozoi sono in rapporto all’evoluzione della lesione testicolare evidentemente espressione di un disturbo trofico nel processo di maturazione nemaspermica. In questa direzione, altre indagini ultrastrutturali ed ormonali sono tuttora in corso su altri caproni per ampliare ulteriormente la casistica. Sebbene i parametri seminali sono risultati accettabili è verosimile che la lesione testicolare ha generato una ridotta fertilità dei soggetti negli allevamenti di provenienza. Le porzioni di tessuto testicolare non danneggiate dalle lesioni calicotiche riescono ugualmente a produrre, in concentrazione differente, nemaspermi potenzialmente attivi in rapporto al grado di calicosi. I caproni con calicosi conservano quindi un “valore residuo di fertilità” proporzionato al grado d’estensione della lesione che in allevamento dovrà essere commisurato al regime di monta naturale (Cristarella et al., 2003).

Bibliografia -Cristarella S., Scirpo A., Gimbo A. (2003) Ultrasonographic diagnosis of the testicular calicosis in buck. Turkish Journal of Veterinary and Animal Sciences. In press.Evans G., Maxwell W.M.C. (1987) Salamon’s Artificial Insemination of Sheep and Goats. Butterworts Pty Limited. Sydney.Gimbo A., Giannetto S., Zanghì A. (1982) Osservazioni preliminari sulla degenerazione testicolare (calcinosi) nella specie caprina. Atti Soc. It. Sci. Vet. XXXVI, 319-322.Gimbo A., Zanghì A., Giannetto S. (1986) Calicosi e arteriosclerosi testicolare nella specie caprina. Fisiopat. Riprod. IV, 1.Larson B., Rodriguez-Martinez H. (2000) Cam we use in vitro fertilitazation tests to predict semen fertility ?. Anim. Reprod. Science 60-61, 327-336.McEntee K. (1990) Reproductive pathology of domestic mammals. Academic Press., Inc. N.Y.Refsal K.R. (1986) Collection and evaluation of caprine semen. In Morrow D.A.: Current Therapy in Theriogenology. WB Saunders, Philadelphia.Sato K., Komatsu K., Maeda Y., Ueno S., Koshida K., Namiki M. (2002) Case of mediastinal seminoma with testicular microlithiasis. Int. J. Urol. 9, 2, 114-6.Smith M.C. (1986) Infertility in the buck. In Morrow D.A.: Current Therapy in Theriogenology. WB Saunders, Philadelphia.

Tab. 1 Confronto fra la motilità degli spermatozoi di caproni con differenti gradi di calicosi e gruppo controllo.

MOTILITA’ (%) Data

Caprone 21-feb 07-mar 20-mar 03-apr 19-apr 02-mag 16-mag 05-giu 03-ott

n° 1 70 c 80 c 60 c 50 c 70 c 80 c 50 c 70 c 80 cn° 2 20 d 40 d 50 75 d 50 d 20 d 75 d 50 d 60 dn° 3 50 d 30 d 20 d 70 d 60 50 40 50 d 75n° 4 75 10 d 60 c 50 c 30 d 20 d 10 d 20 d 30 dn° 5 50 d 70 c 80 c 80 d 80 c 80 c 80 c 80 c 80 cn° 6 70 75 80 c 80 d 80 c 80 c 80 c 80 c 80 c

Test chi-quadro con correzione di Yates per colonne: c,d = p<0,001

Tab.2 Confronto fra la morfologia nemaspermatica di caproni con differenti gradi di calicosi e gruppo controllo.

MORFOLOGIA (%) Data

Soggetto 21-feb 07-mar 20-mar 03-apr 19-apr 02-mag 16-mag 05-giu 03-ott

n° 1 15 c 15 c 25 c 25 c 20 c 20 c 40 c 20 c 20 cn° 2 35 d 25 35 40 35 40 d 40 c 20 c 30n° 3 60 d 70 d 55 d 45 d 60 d 60 d 60 d 85 d 80 dn° 4 50 d 45 d 40 55 d 50 d 50 d 70 d 50 d 60 dn° 5 45 d 40 d 15 20 10 15 20 d 15 10n° 6 30 25 15 20 10 15 20 d 15 10

Test chi-quadro con correzione di Yates per colonne: c,d = p<0,001

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Tab. 3 Concentrazione degli spermatozoi di caproni con differenti gradi di calicosi e gruppo controllo.

CONCENTRAZIONE (109/ml)

Data

Soggetto 21-feb 07-mar 20-mar 03-apr 19-apr 02-mag 16-mag 05-giu 03-ott

n° 1 0,5 2,5 1,8 1 1,6 1,1 0,9 0,7 2,2n° 2 0,4 1 0,8 0,8 0,8 0,4 0,9 0,6 0,4n° 3 0,6 0,5 0,4 1,1 0,9 0,9 0,8 1,5 0,9n° 4 0,76 0,6 0,8 0,6 0,1 0,25 0,3 0,4 0,3n° 5 0,65 2,4 2,4 2,4 2,3 2,4 2,5 2,4 2,5n° 6 1 1,2 2,4 2,2 2,4 2,4 2,4 2,4 2,5

Tab. 4 Concentrazione dopo capacitazione degli spermatozoi di caproni con calicosi e gruppo controllo.

CONC. DOPO CAPAC. (109/ml)

Data

Soggetto 21-feb 07-mar 20-mar 03-apr 19-apr 02-mag 16-mag 05-giu 03-ott

n° 1 0,25 0,3 0,4 0,5 0,7 0,7 0,5 0,5 0,6n° 2 0,08 0,2 0,02 0,4 0,3 0,3 0,4 0,3 0,2n° 3 0,15 0,03 0,02 0,6 0,6 0,5 0,5 0,6 0,2n° 4 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,2 0,1

n° 5 0,2 0,5 0,6 0,5 0,5 0,5 0,6 0,5 0,4n° 6 0,25 0,4 0,4 0,4 0,5 0,6 0,5 0,5 0,4

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FUNZIONALITA’ TESTICOLARE E PARAMETRI SEMINALI I IN ARIETI IN CONTROSTAGIONE STIMOLATI CON NALOXONE, CALCIO E GnRH

Binetti F., Aiudi G., Giannoccaro A., *Cinone M., Quaranta A., Lacalandra G.M.

Dipartimento di Produzione Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Strada Provinciale per Casamassima, Km 3, 70010 Valenzano (Bari), tel.: 0804679879, fax: 080/4679883, g.lacalandra@veterinaria.

uniba.it¸ *Dipartimento di Chirurgia, Fisiopatologia e Clinica della Riproduzione degli Animali Domestici, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Messina.

RiassuntoNegli ovini in controstagione riproduttiva è nota l’esistenza di una attività inibitoria degli oppioidi endogeni sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Nel presente lavoro è stata stimolata la libido e la funzionalità testicolare in arieti in controstagione, utilizzando GnRH associato a Naloxone (Nx), antagonista degli oppiodi endogeni, e Calcio (Ca). La sperimentazione è stata condotta su 20 arieti meticci, su cui sono stati valutati libido, circonferenza testicolare e parametri seminali. Gli arieti sono stati divisi in 5 gruppi sottoposti a differenti trattamenti farmacologici: Gruppo A: GnRH (40 µg/capo im) ogni 8 h per 2 gg., ogni 12 h per altri 2 gg., e ogni 24 h per ultimi 2 gg.; B: protocollo del gruppo A + 5 ml/capo im di Ca/Nx ogni 24 h per 6 gg.; C: 5 ml/capo di Ca/Nx ogni 24 h per 6 gg.; D: 5 ml/capo im di NaCl (0,9%) ogni 24 h per 6 gg.; E: 5 ml/capo di Ca++ ogni 24 h per 6 gg.Il trattamento farmacologico ha indotto incrementi significativi della circonferenza scrotale e della libido nei Gruppi A e B. I migliori parametri seminali sono stati ottenuti nel gruppo B. La stimolazione con GnRH/Ca-Nx è risultata la più valida nell’indurre la ripresa dell’attività riproduttiva negli arieti in controstagione.

IntroduzioneNell’ariete la maturità sessuale si raggiunge intorno ai 100-150 giorni di età. La spermatogenesi ha inizio verso gli 80-100 giorni, benché la produzione di spermatozoi dotati di buona vitalità non si realizzi prima dei 150 giorni (Corteel, 1985). L’attività riproduttiva è sotto il controllo del sistema endocrino e del S.N.C., ma è anche fortemente influenzata da fattori ambientali quali razza, sistema di allevamento, temperatura, alimentazione, eventuali forme patologiche intercorrenti e fotoperiodo. L’inizio della stagione riproduttiva nell’ariete è preceduto da una stimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisario che porta ad un incremento nella sintesi di GnRH, e dunque nella secrezione pulsatile di LH e di FSH, ed alla riduzione dell’increzione di prolattina. Questi cambiamenti ormonali regolano la steroidogenesi e la spermatogenesi; infatti è stata osservata una variazione stagionale nel numero di recettori di LH ed FSH in sede testicolare (Barenton et al, 1983). Il GnRH è un decapeptide secreto in modo pulsatile dall’ipotalamo; la sua attività è fortemente legata al ruolo di secondo messaggero giocato dal calcio. Il recettore per il GnRH è strettamente interconnesso ai canali del calcio sulla membrana cellulare, per cui la sua attivazione comporta l’apertura dei canali e l’ingresso del calcio extracellulare (Zorn et al., 1992). Il calcio endocellulare mobilizzato, si lega ad una proteina di legame la calmodulina, la quale funge da vero e proprio recettore intracellulare del calcio. Il legame del calcio con la calmodulina è a sua volta responsabile dell’attivazione di enzimi calcio-dipendenti (proteinchinasi, adenilciclasi e fosfodiesterasi) che determinano secrezione e liberazione delle gonadotropine. Tra i principali inibitori della secrezione di gonadotropine ricordiamo i peptidi oppioidi endogeni (Evans et al., 1997). Sono neuropeptidi appartenenti a tre categorie: le enkefaline, le dinorfine e le endorfine (Julius, 1997). La loro azione più nota è quella di tipo antalgico conseguente ad un loro aumento in risposta ad una condizione di stress di qualsiasi natura ed entità. Tuttavia tali sostanze inducono negli animali una vasta serie di effetti sul sistema endocrino; in particolare, ricerche in vivo ed in vitro su testicoli di ratto, hanno dimostrato che le β-endorfine determinano un effetto inibente la sintesi di testosterone, probabilmente alterando la risposta delle cellule interstiziali all’LH (Kant et al., 1995). Alti livelli di oppioidi endogeni, provocando il blocco dei canali del calcio a livello di membrana e alterandone gli scambi (Attali et al., 1991; Wang et al., 1992; Minoia et al., 1994), inibiscono produzione (Speroff et al., 1980), rilascio (Larakis et al., 1986) ed azione del GnRH (Page, 1997; Minoia et al., 1997); inoltre modificano, agendo sui recettori μ presenti negli spermatozoi di ariete, i caratteri quali-quantitativi del materiale seminale (Guaricci et al., 2002). Gli antagonisti degli oppiodi, fra i quali il Naloxone, si legano con alta affinità ai recettori per gli oppioidi (Hardingam et al., 1997). Il Naloxone, in particolare, agisce soprattutto a livello di recettori μ e rimuove rapidamente gli oppioidi dai recettori specifici (Minoia et al., 1997). L’azione del Naloxone, favorendo l’ingresso del calcio nella cellula e nei tessuti attraverso una riattivazione dei canali L del calcio, consente la riattivazione intracellulare del pacemaker per il calcio, con il raggiungimento dell’equilibrio dinamico (Lograno et al., 1996) e la riattivazione del normale turnover di funzioni fisiologiche regolari (Casavola et al., 1996).Precedenti studi hanno dimostrato l’efficacia del GnRH di sintesi e dell’associazione Calcio/Naloxone nell’aumentare la libido nei becchi (Minoia et al., 1988; Lacalandra et al., 1994; Lacalandra et al., 1997). Scopo della nostra ricerca è stato quello di valutare la possibilità di indurre un aumento della libido ed un miglioramento dei parametri seminali negli arieti in controstagione, dopo stimolazione farmacologia con GnRH e Calcio/Naloxone, al fine di neutralizzare gli effetti negativi degli oppioidi endogeni sull’asse gonadotropo-ipotalamo-ipofisario.

Materiale e metodiLa sperimentazione è stata condotta nel mese di Maggio 2002 presso l’azienda agricola “L. Ricchioni”, dell’Università degli Studi di Bari. Sono stati utilizzati venti arieti, meticci di Sopravvisana x Gentile di Puglia, di età compresa fra due e cinque anni, preventivamente sottoposti a visita clinica generale ed esame obiettivo particolare dell’apparato riproduttore. Durante la sperimentazione tutti gli arieti hanno ricevuto una razione alimentare giornaliera equilibrata ed acqua a volontà. In precedenza maschi e femmine sono stati separati per trenta giorni, al fine di evitare qualunque reciproca influenza

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sessuale relativa a fattori di tipo olfattivo, visivo e sonoro. Il giorno prima dell’inizio dei trattamenti sono state effettuate valutazioni del comportamento, misurazioni della circonferenza mediana testicolare, rilievi ecografici (Scan Vet 480, 5Mhz, Pie Medical) della distanza biparietale testicolare e della distanza tra mediastino e parete. Gli arieti sono stati divisi in cinque gruppi, ciascuno costituito da quattro soggetti scelti a random.GRUPPO A: Somministrazione di GnRH (Fertagyl, Intervet Italia), 40 μg/capo i.m., ogni 8 ore il 1° e 2° giorno, ogni 12 ore il 3° e 4° giorno e ogni 24 ore il 5° e 6° giorno.GRUPPO B: Somministrazione di GnRH (Fertagyl, Intervet Italia), secondo le modalità indicate nel gruppo precedente, e di una soluzione di Calcio Gluconato al 20%, contenente 0,2 mg/ml di Naloxone cloridrato alla dose di 5 ml/capo die i.m. per 6 giorni.GRUPPO C: Somministrazione di una soluzione di Calcio Gluconato al 20%, contenente 0,2 mg/ml di Naloxone cloridrato, alla dose di 5 ml/capo die i.m. per 6 giorni.GRUPPO D: Somministrazione di Soluzione Fisiologica alla dose di 5 ml/capo die i.m. per 6 giorni.GRUPPO E: Somministrazione di Calcio Borogluconato (Fatro, Italia) al 20%, alla dose di 5 ml/capo die i.m. per 6 giorni.Il giorno successivo alla fine del trattamento, ogni ariete è stato posto in un box con una pecora in calore indotto con estrogeni, al fine di valutarne la libido. Due giorni alla settimana, per due settimane successive alla fine del trattamento, si è proceduto a prelievi e a valutazioni macro-microscopiche del materiale seminale. La motilità di massa è stata classificata secondo il metodo Bonadonna (1980), mentre la concentrazione spermatica è stata calcolata mediante fotometro ACCUCEL (I.M.V., France). I dati sono stati sottoposti ad analisi statistica della varianza fra medie (ANOVA).

RisultatiAlla fine del trattamento, soprattutto negli arieti appartenenti ai gruppi A e B, sono stati osservati irrequietezza, tentativi reciproci di monta e interesse verso la femmina in calore indotto, con tentativi di monta della stessa. È stato possibile effettuare due prelievi di seme, a distanza di sette giorni l’uno dall’altro, da un ariete per ciascun gruppo. La circonferenza scrotale (Tab. 1), è risultata aumentata in tutti i gruppi. Gli incrementi più significativi sono stati però ottenuti nei gruppi A, da 31,5±1,3 a 34,4±0,7 cm (P≤0,01), e B, da 30±1,6 a 35±4,1 cm (P≤0,05).

Tab. 1: Circonferenza (cm; X±D.S.) testicolare nei vari gruppi sperimentali.

GRUPPIGiorni

Pretrattamento 0 1 2 3 4 Post

trattamento

GnRH 31,5±1,3A 31,8±0,8 32,5±1 33±0,8 33,6±0,5 34,3±0,6 34,4±0,7B

GnRH+Ca/Nx 30±1,6a 31,63±1,7 32,88±1,7 33,33±1,9 33,4±2,1 34,4±2,8 35±4,1b

Ca/Nx 32,5±2,1 32,75±2,2 33,38±1,9 33,63±1,5 34±1,5 34,3±1,3 35,3±2,1

NaCl 31,8±1,7 31,75±1,7 31,88±1,7 32,25±1,5 32,5±1,3 33±1,6 33,1±1,7

Ca 31,5±1,3 32±2,2 32,25±1,7 33,75±2,2 33,8±2,2 35,4±2 35,4±2

Sulla stessa riga: A≠B per P≤0,01; a≠b per P≤0,05, significatività intragruppo.

Al rilievo ecografico della distanza tra le pareti testicolari, è stato riscontrato un incremento in tutti i gruppi (Tab. 2). Incrementi significativi (P≤0,01) sono stati registrati nei gruppi A e B, come anche nel gruppo C (P≤0,05).

Tab. 2: Rilievi ecografici della distanza (cm; X±D.S.) tra le pareti testicolarinei vari gruppi sperimentali.

GRUPPIGiorni

Pretrattamento 0 3 4 Post

trattamento

GnRH 5,74±0,1A 5,88±0,2 6,07±0,2 6,17±0,2 6,32±0,2B

GnRH+Ca/Nx 5,36±0,1A 5,66±0,2 5,9±0,2 6,09±0,5 6,27±0,4B

Ca/Nx 5,54±0,4a 5,66±0,3 6,06±0,2 6,24±0,2 6,51±0,3b

NaCl 5,82±0,7 5,97±0,6 6,37±0,5 6,52±0,4 6,59±0,4

Ca 5,44±0,7 5,49±0,6 5,77±0,4 5,98±0,3 6,07±0,3

Sulla stessa riga: A≠B per P≤0,01; a≠b per P≤0,05, significatività intragruppo.

Il rilievo ecografico della distanza tra parete e mediastino testicolare (Tab. 3) ha permesso di registrare e confermare i risultati ottenuti con i due metodi di valutazione prima descritti, con incremento significativo (P≤0,05) solo nei Gruppi trattati con GnRH.

134 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 3: Rilievi ecografici della distanza (cm; X±D.S.) tra parete mediastino testicolare nei vari gruppi sperimentali.

GRUPPIGiorni

Pretrattamento 0 3 4 Post

trattamento

GnRH 3,04±0,4a 3,39±0,2 3,38±0,2 3,53±0,1 3,71±0,2b

GnRH+Ca/Nx 3,12±0,2 3,26±0,2 3,37±0,3 3,49±0,3 3,55±0,3

Ca/Nx 3,61±0,9 3,71±0,9 3,97±1 4,04±0,9 4,32±0,9

NaCl 3,29±0,4 3,32±0,5 3,5±0,5 3,53±0,5 3,66±0,5

Ca 2,97±0,3a 3,04±0,3 3,11±0,3 3,39±0,4 3,54±0,2b

Sulla stessa riga: a≠b per P≤0,05, significatività intragruppo.

Il rilievo dei parametri seminali (Tab. 4) dopo trattamento, ha evidenziato che il volume dell’eiaculato e la concentrazione degli spermatozoi, tranne che nel gruppo A, sono da considerarsi buoni e nella media della specie (vol. 0,7 ml; concentrazione 2,5-3x109).

Tab. 4: Variazioni nei parametri seminali dopo trattamento nei vari gruppi sperimentali.

Gruppi N. Ariete

1° prelievo 2° prelievo

Volume(ml)

Concentrazione(Nx109/ml) Motilità Volume

(ml)Concentrazione

(Nx109/ml) Motilità

GnRH 4 0,3 1,853 Ondelente 0,35 1,868 Vortici

rapidi

GnRH+Ca/Nx 6 0,55 2,655 Assenza

di onde

1,23,243

Onde evorticirapidi

Ca/Nx 11 0,7 5,503 Assenzadi onde

Mancato salto

NaCl 13 0,62 3,903 Vorticirapidi 0,5 1,194 Vortici

rapidi

Ca 17 0,67 5,419 Ondelente 0,4 4,187 Vortici

rapidi

Nel gruppo B (GnRH + Ca/Nx) il volume dell’eiaculato è più che raddoppiato dal primo al secondo prelievo (da 0,55 a 1,2 ml) e la concentrazione è passata da 2,655x109 a 3,243x109 con spermatozoi di ottima motilità. Negli altri gruppi (C, D ed E) i volumi e le concentrazioni di spermatozoi nel primo prelievo sono risultati buoni, ma la motilità è stata caratterizzata da onde lente e deboli. Nel gruppo D il II° prelievo è stato caratterizzato da una notevole riduzione di volume e concentrazione degli spermatozoi rispetto al I°. Nel gruppo E, infine, si è rilevata una riduzione del volume dell’eiaculato accompagnata da un aumento notevole della motilità degli spermatozoi.

DiscussioneLa valutazione globale dei dati ed il confronto tra i vari trattamenti effettuati conferma che il GnRH è l’ormone d’elezione ed indispensabile da utilizzarsi in controstagione per indurre modificazioni morfofunzionali delle gonadi maschili per una ottimale attività seminale. Tuttavia il nostro studio ha permesso di evidenziare come il trattamento combinato GnRH+Ca/Nx abbia fornito i migliori risultati. Ciò è sicuramente da riferirsi all’azione di antagonizzazione delle ß-endorfine sia a livello ipotalamo-ipofisario che a livello gonadico che consente una più efficace attività di stimolazione del GnRH sull’adenoipofisi, una migliore azione delle gonadotropine ipofisarie endogene sulle cellule bersaglio testicolari, un’ottimale attività cellulare ai diversi livelli per la maggiore disponibilità endocellulare di ioni calcio. L’aggiunta del calcio, da solo o in associazione con il Naloxone, estrinseca la sua azione prevalentemente a livello metabolico. Si dimostra quindi che in questa specie la minore attività sessuale degli arieti in controstagione vede coinvolto il sistema opioidergico come causa di minore attività cellulare al livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Il rilievo clinico più evidente, registrato in maniera significativa nel gruppo A (GnRH; P≤0,01), e nel gruppo B (GnRH+Ca/Nx; P≤0,05), è stato l’aumento di volume dei testicoli che rappresenta il parametro fortemente legato ed indicativo della produzione di spermatozoi. Tale correlazione, già dimostrata negli arieti (Lindsay et al., 1984; Cameron et al., 1984) e nei becchi (Minoia et al., 1988; Lacalandra et al. 1994), nella pratica viene utilizzata per valutare indirettamente la capacità e l’attitudine del maschio alla produzione di elevate quantità di spermatozoi e quindi la possibilità di utilizzarlo in maniera efficace nei programmi riproduttivi. Va segnalato che l’utilizzo degli ultrasuoni ai fini della determinazione dell’accrescimento testicolare, ha rappresentato un valido e preciso ausilio diagnostico rispetto alla misurazione manuale.In conclusione, l’aumento di volume dei testicoli ed il miglioramento dei parametri seminali dopo trattamento, conferma

135XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ed avvalora la validità di un protocollo terapeutico che prevede l’utilizzazione del GnRH + l’associazione farmacologica Naloxone e Calcio nella induzione della libido in arieti in controstagione, rivelando una efficacia superiore rispetto alla pur valida somministrazione del solo GnRH esogeno.

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136 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

INDAGINI ISTOCHIMICHE SUI GLICOCONIUGATI ELABORATI DALLE GHIANDOLE DUODENALI E DALLE CELLULE MUCIPARE CALICIFORMI DUODENALI IN BUBALUS BUBALI

GLYCOCONJUGATES HISTOCHEMISTRY OF DUODENAL GLANDS AND DUODENAL GOBLET

CELLS IN BUBALUS BUBALI

*Verdiglione R., **Sarullo V., ***Gargano M., **Mammola C.L.

*Department of Animal Science, University of Padua, Italy; **Department STAFAUniversity of Reggio Calabria, Italy; ***Professional man

RiassuntoLo scopo principale di questo lavoro è stato quello di studiare la natura dei glicoconiugati elaborati dalle ghiandole duodenali e dalle cellule mucipare caliciformi nel bufalo. Campioni di mucosa intestinale, prelevati da 10 bufali maschi di circa 13 mesi d’età, sono stati fissati ed inclusi in paraffina. Sezioni seriate sono state sottoposte a metodiche d’istochimica classica per lo studio dei glicoconiugati (PAS, Alcian blu, HID), mentre i residui glucidici presenti sulle catene oligosaccaridiche laterali sono stati studiati con l’ausilio di alcune lectine biotinilate (GS-I-B4, RCA-I, PNA, WGA, UEA-I, ConA, GNA, LPA). Le metodiche impiegate hanno messo in luce che sia le ghiandole duodenali sia le cellule caliciformi elaborano glicoconiugati di natura neutra. Le cellule caliciformi tuttavia appaiono particolarmente ricche anche di glicoconiugati acidi per la presenza di gruppi carbossilici e solforici. Anche nelle ghiandole duodenali è presente una componente acida, ma in quantità limitata e localizzata nelle parti terminali dei corpi ghiandolari. L’istochimica delle lectine ha dimostrato che il secreto delle cellule caliciformi e quello delle ghiandole duodenali contiengono glicoproteine di tipo O-legato ed N-legato; in particolare nelle ghiandole duodenali il maggior contributo nella produzione di glicoproteine del tipo O-legato è imputabile alle cellule localizzate nei tratti terminali. In conclusione il secreto elaborato dalle ghiandole duodenali del bufalo consiste in un muco viscoso, simile per vari aspetti a quello elaborato dalle cellule caliciformi, che svolge un ruolo importante nella protezione della mucosa duodenale dall’acidità del chimo gastrico. La complessità della composizione chimica del secreto, inoltre, suggerisce, anche in questa specie, una possibile funzione delle ghiandole duodenali nell’ambito dei processi digestivi (Skutelsky et al., 1989; Takehana et al., 1989; Antonov et al., 1992; Zamolodchikova et al., 1997).

Introduzione I contenuti di questa nota congressuale, rappresentano una selezione dei numerosi dati da noi ottenuti nello studio morfologico ed istochimico delle ghiandole intraparietali dell’apparato digerente. L’intento è quello di mettere a confronto, nel bufalo, come già fatto da alcuni autori in altri animali (Burkl, 1950; Sheahan et al., 1976; Poddar and Jacob, 1979; Ohwada e Susuki, 1992; Verdiglione et al., 2000), la natura del secreto elaborato dalle ghiandole duodenali con quello prodotto dalle cellule mucipare caliciformi. Le ghiandole duodenali del bufalo si presentano, da un punto di vista morfologico, simili a quelle del bovino (Takehana et al., 1991; Verdiglione et al., 2002). Trattasi, anche per il bufalo, di ghiandole tubulari ramificate a prevalente localizzazione sottomucosa; negli adenomeri tubulari, la cui estremità si presenta talora dilatata a forma di alveolo, si possono distinguere due porzioni: una corrispondente al fondo dell’adenomero e collocata nell’area periferica del lobulo -parte terminale- ed una immediatamente precedente -parte preterminale- rivolta verso la porzione centrale del lobulo e terminante nel condotto escretore.

Materiali e metodi Sono stati utilizzati 10 bufali maschi di circa 13 mesi di età provenienti dal pubblico macello. Campioni di parete duodenale sono stati prelevati, immediatamente dopo l’abbattimento degli animali, a livello del tratto craniale del duodeno a distanza di circa 50 cm dal piloro , fissati nei liquidi B4G (bicloruro di mercurio 6% in sodio acetato 1% contenente glutaraldeide allo 0.1%) e formolo calcio acetato (formalina al 10% contenente calcio acetato al 2%) e successivamente inclusi in paraffina. Sulle sezioni seriate di 4-5 μm di spessore sono state eseguite le tecniche istochimiche per lo studio dei glicoconiugati (PAS, Alcian blu a pH 1 e 2.5, Alcian blu/PAS, High Iron Diamine (Spicer, 1965) e HID/Alcian blu). Per l’identificazione dei residui glucidici delle catene laterali oligosaccaridiche sono state utilizzate le lectine biotinilate: GS-I-B

4 => Α-D-Gal; RCA-I => �-Gal; PNA=> D-Gal β-(1-3)-D-GalNac, WGA=> β-(1-4)-D-GlcNac> NeuAc; WGA

succinilata=> β-(1-4)-D-GlcNac; UEA-I=>α-L-Fuc, ConA=>α-D-Man> α-D-Glc >α-D-GlcNac; GNA=> Man α(1-3)-Man, LPA=> NeuAc> D-GlcNac. Per alcune lectine (RCA-I, PNA) la reazione è stata preceduta da digestione degli eventuali residui di acido sialico mediante incubazione a t° ambiente per 18 ore in tampone acetato pH 5.5 contenente 0,1 U/ml di neuraminidasi (tipo X della Sigma, estratta da Clostridium perfrigens). Sono stati, infine, eseguiti controlli della specificità di legame delle lectine mediante l’impiego di zuccheri inibitori.

Risultati - MorfologiaLe ghiandole del Brunner, particolarmente abbondanti nella parte craniale del duodeno, si estendono lungo tutto questo segmento dell’intestino e si possono rinvenire, in forma di piccoli ammassi isolati, anche nella prima metà del digiuno. Trattasi di ghiandole tubulari ramificate solitamente allogate nello spessore della sottomucosa e solo alcune appaiono collocate nella parte profonda della mucosa. I loro condotti escretori attraversano solitamente la muscularis mucosae e si aprono in una ghiandola intestinale oppure in una fossetta superficiale. Appaiono organizzate in lobuli separati da una ben definita trama connettivale. Presentano una membrana basale sulla quale poggia un singolo strato di cellule prismatiche. Nel corpo ghiandolare è possibile distinguere un tratto terminale (t), collocato alla periferia del lobulo, costituito da cellule alte con citoplasma granulare e nucleo sferico in posizione basale; in tali tratti spesso è possibile osservare elementi con citoplasma chiaro e nucleo schiacciato in posizione basale. A questo fa seguito un tratto preterminale (pt) che si continua nel dotto escretore (ce): entrambi risultano localizzati nella porzione centrale del lobulo e sono formati da cellule più basse delle precedenti e caratterizzate da citoplasma finemente granulare e nucleo sferico basale.

Istochimica classica Tutto il corpo ghiandolare mostra una forte affinità per la PAS: una colorazione rosso magenta marca l’area golgiana

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e una stretta fascia apicale. In alcune cellule dei tratti t risulta marcato tutto il citoplasma sovranucleare. Le cellule caliciformi appaiono intensamente colorate mentre nella parte apicale degli enterociti una colorazione rosata è appena apprezzabile. I quadri ottenuti con l’Alcian blu mostrano una netta differenza nella risposta tra i due tratti: l’alcianofilia risulta assente nei tratti preterminali e nelle cellule dei dotti escretori mentre compare, seppur in maniera discontinua, in t, in prevalenza nelle parti più profonde del lobulo. Le cellule mucipare caliciformi si colorano intensamente. La risposta alle diammine risulta decisamente negativa nelle aree centrali dei lobuli mentre varia da negativa ad intensa nella zona periferica degli stessi, nei quali pochi gruppetti di cellule, tutte appartenenti ai tratti terminali e localizzate in profondità, hanno assunto il bruno delle diammine. La risposta all’HID/AB riassume il quadro osservato singolarmente ed evidenzia che solo alcune delle cellule alcianofile sono anche HID-positive.

Istochimica delle lectine. Tutte le lectine biotinilate utilizzate hanno mostrano affinità per le ghiandole del Brunner. GS-I-B

4 - La risposta è estesa a

tutto il corpo ghiandolare (Fig. 1). La teca delle cellule caliciformi non sembra interessata dalla colorazione, mentre minuti granuli sono sparsi nel citoplasma degli enterociti che appaiono inoltre fortemente marcati nella parte apicale. RCA-I - Nel citoplasma delle cellule sono sparsi uniformemente minuscoli granuli più intensamente colorati a livello delle aree periferiche; cellule caliciformi ed enterociti rispondono vivacemente alla lectina. Il pretrattamento con neuraminidasi sembra non aver modificato la risposta. PNA – In tutta la ghiandola si evidenzia una risposta positiva (Fig. 2). Le cellule caliciformi assumono una colorazione da moderata ad intensa: rispondono maggiormente quelle adluminali; negli enterociti appare marcata l’area golgiana. Il pretrattamento con neuraminidasi sembra non aver modificato la risposta. WGA - La colorazione interessa tutto il corpo ghiandolare; le cellule caliciformi appaiono intensamente positive mentre è minore l’affinità degli enterociti. WGAsucc – L’intero corpo ghiandolare risponde positivamente (Fig. 3). Le cellule caliciformi si colorano molto intensamente, mentre negli enterociti appaiono marcati l’area golgiana ed il plasmalemma apicale. UEA-I – Si evidenzia una colorazione estesa a tutto il corpo ghiandolare (Fig. 4). Le cellule caliciformi si colorano molto vivacemente; negli enterociti minuti granuli sono sparsi nel citoplasma sopranucleare mentre il plasmalemma apicale appare fortemente marcato. ConA - In pt è marcata l’area basale perinucleare, i tratti t talvolta presentano una colorazione più intensa e diffusa. Le cellule caliciformi sono interessate da una colorazione di intensità variabile; minuti granuli interessano anche gli enterociti. GNA - La risposta appare positiva sotto forma di granuli diffusi ma maggiormente concentrati nell’area perinucleare; appaiono marcati i contorni cellulari basali e laterali. Le cellule caliciformi sembrano non legare questa lectina, mentre negli enterociti minuti granuli appaiono sparsi nel citoplasma. LPA - La risposta è molto lieve, sottoforma di minuti granuli diffusi; la concentrazione è maggiore nei tratti t. Le cellule caliciformi appaiono non colorate, una colorazione bruna appena percettibile caratterizza gli enterociti.

Tabella 1. Risposta alle lectine nelle ghiandole duodenali e nelle cellule caliciformi duodenali

Lectine Tratti terminali Tratti preterminalie dotti escretori

Cellule mucipare caliciformi Enterociti

GS-I-B4 +/++ + -/-+ ++++ ap

RCAI ++ + ++++ ++/+++ ag

PNA +++ ++ ++/+++ +ag

WGA ++/+++ ++/+++ ++++ ++/+++ag

WGAsucc +++ ++b ++++ ++/+++ag

UEA-I +++/++++ -/+++ ++++ +

Con A +++ ++pn ++/+++ ++/+++

GNA ++pn ++pn b -/-+ +Intensità: - = negativa; -+ = molto lieve; + = lieve; ++ = moderata; +++ = intensa; ++++ molto intensaLocalizzazione: ap= apicale; b= basale; pn= perinucleare; ep= epinucleare; ag= area golgiana; quando non indicato la colorazione è estesa a tutto il citoplasma.

Discussione e conclusioni Le ghiandole duodenali sono state generalmente classificate come ghiandole mucose, e ciò, soprattutto a causa del loro secreto viscoso, particolarmente ricco di glicoconiugati, riportato come del tutto privo di enzimi digestivi. Le numerose ricerche di ordine istologico, istochimico e ultrastrututturale, hanno consentito di scoprire, soprattutto con le tecniche istochimiche e ultrastrututturali, notevoli e significative differenze tra le varie specie. I dati della letteratura segnalano la presenza di elementi tipicamente mucosi nella cavia e nell’Uomo (Cochrane, 1964; Leeson e Leeson, 1968); di tipo sieroso nel coniglio e nel cavallo (Leeson e Leeson, 1967; Takehana et al., 1991). Le cellule hanno le caratteristiche ultrastrutturali dei citotipi mucoso e sieroso, nel gatto, nel topo e nell’echidna (Oduor-Okelo, 1976; Friend, 1965; Leeson e Leeson, 1966; Krause, 1970, 1971). Nelle ghiandole del maiale, la porzione terminale dei tubuli appare costituita da cellule sieromucose con granuli di secreto contenenti un “core” elettrondenso, reattivi alle tecniche istochimiche per i mucopolisaccaridi neutri e acidi, per radicali solforici e carbossilici (Takehana et al., 1994). Le ghiandole del bovino, infine, sono caratterizzate dalla presenza di due distinti citotipi: cellule sierose, che elaborano glicoconiugati neutri e occupano i tratti pt, e cellule a prevalente natura mucosa, che elaborano glicoconiugati neutri e acidi per radicali carbossilici e solforici, localizzate nei tratti t (Verdiglione et al., 2002). Da un punto di vista morfologico le ghiandole duodenali del bufalo presentano alcune analogie con quelle del bovino. Le metodiche morfologiche non ci hanno permesso di osservare una netta distinzione tra tratti pt e t come nel bovino, tuttavia nei fondi delle ghiandole, diversamente che nel resto della ghiandola, sono stati individuati degli elementi con l’aspetto tipicamente mucoso. L’analisi istochimica del secreto elaborato dalle ghiandole duodenali del bufalo ha indicato che esse elaborano glicoconiugati di natura prevalentemente neutra; solo alcuni elementi dei fondi delle ghiandole, soprattutto quelli posti più in profondità, producono glicoconiugati acidi per la presenza di gruppi carbossilici mentre sparuti elementi producono anche glicoconiugati acidi per gruppi solforici. L’istochimica delle lectine ha permesso di identificare alcuni residui glucidici terminali e/o interni alle catene oligosaccaridiche. Sotto questo aspetto i tratti t

138 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

presentano una particolare eterogeneità essendo risultati ricchi in residui terminali di �-L-Fuc, D-Gal β-(1-3)-D-GalNac, Α-D-Gal, β-Gal, NeuAc; sono stati anche individuati residui di β-(1-4)-D-GlcNac in posizione terminale e interni alla catena e residui di α-D-Man e mannosio ramificato [Man α(1-3)-Man]. Le catene oligosaccaridiche dei glicoconiugati delle cellule dei tratti pt presentano una minore eterogeneità, differenziandosi dai precedenti per la minor presenza di residui di Gal, per la discontinua presenza di residui di Fuc e per l’assenza di residui di NeuAc. In conclusione le ghiandole duodenali del bufalo elaborano glicoproteine del tipo N-legato ed O-legato, quest’ultima componente appare maggiormente elaborata dai tratti t. Le cellule mucipare caliciformi elaborano glicoconiugati neutri e acidi per gruppi carbossilici e solforici; esse sono risultate particolarmente ricche di tutti i residui glucidici indagati con l’esclusione dei residui di α-D-Gal e di mannosio ramificato. Il secreto delle cellule caliciformi quindi, presenta delle differenze rispetto a quello delle ghiandole duodenali probabilmente in relazione ad un possibile ruolo di queste ultime nei processi digestivi intestinali. A questo riguardo va ricordato che nei fondi delle ghiandole duodenali del cavallo è stata isolata una lipasi mentre nei tratti t delle ghiandole del bovino è stata identificata la duodenasi, enzima che agirebbe svolgendo un ruolo funzionale attivando la proenteropeptidasi in enteropeptidasi e quindi dando il via alla cascata di enzimi proteolitici pancreatici (Zamolodchikova et al., 1997).

Fig.1 – GS-I-B4 335X- Una risposta positiva, variabile da lieve a moderata, interessa tutto il corpo ghiandolare. Minuti granuli di precipitato sono sparsi in tutto il citoplasma sopranucleare e, in alcuni casi, concentrati a livello dell’area golgiana. In diversi adenomeri la colorazione nelle cellule dei tratti pt appare meno estesa.

Fig.1 – PNA 225X- La risposta a questa lectina è positiva in tutto il corpo ghiandolare, ma appare variabile tanto per intensità quanto per estensione: risulta più concentrata nei tratti terminali.

Fig.1 – WGAsuccinilata 225X- Tutto il corpo ghiandolare è interessato da una colorazione intensa, localizzata nell’area basale delle cellule, più concentrata in t.

139XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig.1 – UEA-I 88X- La risposta è positiva in tutto il corpo ghiandolare ma in pt la positività appare discontinua: generalmente l’intensità e l’estensione della colorazione sono maggiori in t.

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140 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

RILIEVI ISTOPATOLOGICI ED IMMUNOISTOCHIMICI SU TESSUTI FISSATI I FORMALINA E INCLUSI IN PARAFFINA DI PECORE INFETTATE SPERIMENTALMENTE CON

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Rocca S., Pirino S., Antuofermo E,. Chiarolini A., *Tola S., *Leori G..

-Istituto di Patologia Generale Anatomia Patologica e Clinica Ostetrico-Chirurgica Veterinaria07100 Sassari Tel: 079-229515 Fax: 079 229415, e mail: [email protected]

*Istituto Zooprofilatto Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”,07100 Sassari. Tel: 079-216914, Fax:079-219477, e-mail: [email protected]

RiassuntoIn questo lavoro abbiamo esaminato dei campioni di tessuto provenienti da un gruppo di sette pecore sottoposte ad infezione sperimentale. Dopo un periodo di acclimatamento di due settimane, due soggetti sono stati sottoposti ad infezione per via intracanalicolare con un pool di Mycoplasma agalactiae. I controlli si sono ammalati naturalmente dopo circa 10gg dall’infezione strumentale.L’infezione è stata confermata dalla sintomatologia clinica mentre l’identificazione del batterio è stata effettuata mediante PCR. Dopo aver monitorato la sintomatologia per circa due mesi si è proceduto sui soggetti all’esame autoptico previa eutanasia. Sono stati eseguiti prelievi per esami isto-patologici dai diversi organi bersaglio della malattia. I tessuti sono stati fissati in formolo, inclusi in paraffina, sezionati e colorati con ematossilina-eosina. L’osservazione, oltre che mirata ad accertare la presenza dell’infezione e a chiarirne i quadri patologici eventualmente presenti, è stata condotta con lo scopo di valutarne anche l’entità. Parallelamente si procedeva all’indagine immunoistochimica; come anticorpo primario si è utilizzato un siero iperimmune ottenuto da pecore infettate naturalmente ed un antisiero specifico contro la proteina immunodominante p80 del M. agalactiae prodotto in agnello.Con tali metodiche è stato possibile mettere in evidenza la presenza del M. agalactiae in vari tessuti e correlarla ai processi infiammatori-degenerativi riscontrati

IntroduzioneL’agalassia contagiosa (A.C.) è una delle malattie più gravi tra quelle che colpiscono i piccoli ruminanti, considerata endemica nella maggior parte dei paesi mediterranei. L’agente eziologico è il M. agalactiae.L’A.C. ha fatto la sua comparsa in Sardegna nel 1980 nella provincia di Cagliari, presumibilmente in seguito all’Introduzione di ovini portatori-eliminatori provenienti dalla Sicilia (Leori, 1985).Purtroppo una serie di fattori concomitanti (pascolo in comune, scambio incontrollato di animali e un’insufficiente adozione di misure di polizia veterinaria) ha permesso una diffusione pressoché incontrollata dell’infezione, con un danno economico enorme per l’economia isolana.Nei primi anni la malattia si è manifestata con una sintomatologia iperacuta e acuta (agalassia, mastite, cheratite, artrite) mentre negli ultimi anni si è osservata una progressiva attenuazione, e in alcuni casi la scomparsa di sintomi quali la cheratite e l’artrite a significare che la malattia, anche in Sardegna, va assumendo i caratteri della forma enzootica.In questo lavoro, abbiamo voluto intraprendere uno studio sugli attuali ceppi batterici isolati nei focolai, verificare la validità di un test immunoistochimico, con lo scopo di evidenziare l’agente eziologico sui tessuti e la sua precisa localizzazione.In assenza di anticorpi specifici contro il M. agalactiae distribuiti commercialmente, abbiamo voluto utilizzare dei sieri monospecifici policlonali prodotti in agnello, sviluppati appositamente per lo studio di due delle principali proteine immnunodominanti del M. agalactiae, la P80 e la P55 (Tola at al, 2001).Tale metodica permette l’evidenziazione selettiva delle strutture coinvolte nelle lesioni e delle varie tipologie cellulari coinvolte.

Materiali e metodiCeppi utilizzati e condizioni di crescita. Sono stati utilizzati dei ceppi di M. agalactiae isolati da alcuni focolai di malattia presenti dell’isola con i quali è stato costituito un pool. I micoplasmi sono stati messi a crescere in terreno di Hayflick modificato fino alla fase logaritmica di crescita e successivamente sottoposti a centrifugazione e lavaggio con un buffer salino (PBS, 0.1 M phosphate, 0.33 M NaCl, pH 7.4). Dopodiché sono stati preparati gli inoculi da somministrare per via intracanalicolare, agli animali sottoposti all’esperimento, ad una concentrazione di 107 CCU.Infezione sperimentale. Sette pecore di razza sarda di circa 3-4 anni di età, negative al M. agalactiae, sono state trasferite nel paddock dell’Istituto di Patologia Generale e Anatomia Patologica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Sassari. Il paddock e le attrezzature ivi inserite rispondevano al DLgs 116 del 27 gennaio 92 riguardante “ Attuazione della direttiva n° 86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali od altri fini scientifici”.L’acclimatamento in stabulazione fissa è durato circa tre settimane. Durante tutta la sperimentazione, le pecore sono state alimentate con mangime Unipellet della Martini Mangimi.Due delle sette pecore sono state infettate con un pool di micoplasmi per via intracanalicolare con 107 CCU di micoplasmi, dopo circa 4-5 giorni comparivano i primi sintomi della malattia e dopo circa 10 gg, anche le restanti cinque pecore presentarono la classica sintomatologia. La diagnosi è stata confermata mediante PCR (Tola et al., 1996) e semina su Agar Hayflick. A tutte le pecore infettate sono stati effettuati, quotidianamente, i rilievi termometrici e prelievi di sangue e si è osservata la sintomatologia clinica per circa 60gg. Al termine dell’esperimento gli animali sono stati sottoposti ad eutanasia.Produzione degli anticorpi monospecifici. Per la produzione degli anticorpi monospecifici sono state isolate e purificate le

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proteine P80 e P55 mediante SDS-Page. Le proteine sono state successivamente concentrate mediante elettroeluizione. Gli inoculi contenenti le proteine furono preparati su un volume di 200μl addizionati con adiuvante completo di Freund.I soggetti utilizzati per l’immunizzazione erano agnelli di razza sarda di circa 45 gg di età precedentemente controllati per verificarne la loro sieronegatività. Si sono effettuate due inoculazioni a distanza di 10gg l’una dall’altra e una volta verificata la produzione degli anticorpi si proceduto al salasso degli animali e la conservazione del siero.Processazione dei tessuti e colorazione istochimica. Dopo l’abbattimento degli animali e la successiva indagine autoptica, si è proceduto al prelievo di campioni provenienti da diversi organi. Abbiamo quindi preso in considerazione il parenchima mammario, la cisterna del latte, i linfonodi sopramammari, le capsule articolari e le guaine, il fegato, la milza, il polmone, il cervello e infine l’intestino.Tutti campioni sono stati fissati in formalina al 10% tamponata, inclusi in paraffina e tagliati ad uno spessore di 3 μm. Le sezioni sono state colorate con Ematossilina ed Eosina.Reazione immunoistochimica. Per la reazione d’immunoistochimica sono state utilizzate sezioni di spessore di 3 μm, sparaffinate e reidratate, quindi sottoposte allo smascheramento degli antigeni mediante forno a microonde, in tampone citrato pH 6, con 2 cicli di 7 e 4 minuti rispettivamente a 700 e 900 Watt; si è proceduto quindi all’inibizione delle perossidasi endogene con un trattamento in H

2O

2 al 3%.

I lavaggi venivano effettuati con PBS addizionato con siero-albumina bovina allo 0.1% per eliminare eventuale segnale aspecifico. Dopo la fase di saturazione si è proceduto all’incubazione delle sezioni con l’anticorpo primario (pool costituito dal siero anti-P80 e anti-P55) alla diluizione 1: 800. In seguito, sono state incubate con l’anticorpo secondario monoclonale (anti-sheep) biotinilato ad una diluizione di 1: 200.Lo sviluppo della reazione è stato effettuato con l’utilizzo del cromogeno diaminobenzidina (DAB). I vetrini venivano quindi contrastati con Emallume di Harris.

Risultati e conclusioniDopo circa 10 gg dall’infezione sperimentale tutti gli animali hanno presentato sintomi della malattia, con calo della produzione lattea, edema della mammella ed ingrossamento linfonodale. Il latte si presentava sieroso con precipitazione delle caseine in fiocchi biancastri. In taluni soggetti si è riscontrato anche del secreto siero-emorragico.In due soggetti si è potuto osservare, durante il periodo finale dell’esperimento, anche la comparsa dei primi segni di artrite con edema delle articolazioni cruro-tarsica e radio-carpicaLa diagnosi di A.C. è stata poi confermata mediante identificazione del M. agalactiae mediante PCR e semina su terreno di Hayflick. Dopo un periodo complessivo di circa 60 gg, si è proceduto con l’abbattimento degli animali mediante eutanasia. All’esame anatomo-patologico si é riscontrato a carico della mammella le lesioni tipiche di una mastite cronica con aree di necrosi e di ectasia acino-duttale. Il secreto latteo appariva sieroso e a tratti coagulato all’interno dei lumi ghiandolari. In stadi più avanzati l’organo appariva consistente per una incipiente fibrosi e sequestro delle aree necrotiche. La cisterna e i grossi dotti presentavano una superficie deformata da rilievi nodulari di colore bianco-giallastro con contenuto di secreto latteo frammisti a floculi biancastri. A carico dei linfonodi si è riscontrato una marcata linfadenite. Istologicamente abbiamo potuto osservare, un essudato alveolo-duttale con caratteristiche siero-fibrinosa con tendenza alla disepitelizzazione degli alveoli con una massiccia presenza di elementi epiteliali frammisti a neutrofili e macrofagi. Inoltre abbiamo osservato un rilevante infiltrato linfoplasmocitario lungo gli interstizi, negli spazi e nei setti interlobulari; nonché fenomeni di degenerazione e necrosi e numerosi macrofagi. A carico dei linfonodi abbiamo osservato edema, congestione e iperreatività follicolare e presenza di un cospicuo contingente macrofagico. Per ciò che concerne le osservazioni effettuate sui preparati sottoposti ad immunoistochimica si è osservata una spiccata positività lungo tutti gli epiteli con particolare riferimento alle cellule degli alveoli e dei dotti galattofori. Una intensa positività citoplasmatica è stata osservata a carico dei neutrofili e macrofagi presenti nei dotti e negli interstizi, anche il secreto nei lumi alveolari presentava una segnale evidente, segno di una massiccia presenza di micoplasmi.A carico dei linfonodi si è potuta osservare un’interessante positività citoplasmatica a carico dei macrofagi presenti nei seni, segno questo di un’intensa attività immunitaria impegnata nel riconoscimento dell’agente patogeno.Dalle osservazioni da noi effettuate, si può affermare, che il micoplasma è un’agente di malattia che coinvolge totalmente sia il parenchima mammario determinando lesioni a carico delle strutture funzionali dell’organo, sia il sistema immunitario nelle fasi precoci e tardive della malattia.E’ stato possibile verificare la validità del test immnunoistochimico per meglio comprendere la patogenesi che coinvolge la mammella durante le fasi della malattia. Così pure gli anticorpi utilizzati si sono rivelati essere un valido strumento per diagnostica istopatologica nelle infezioni da M. agalactiae.

BibliografiaAusubel F. et al., (1993) Current protocols in molecular biology. Wiley Interscience – Laemmli, UK. (1970) Nature 227: 680-685.- Leori et al., (1998) Mycoplasmas of ruminants:pathogenicity, diagnostics, epidemiology and molecular genetics. EUR 18018/COST, pp 98-101.- Sambrook J. et al. (1989) Cold Spring Harbor Lab.,N.Y.- Tola S. et al., (1997) FEMS Microbiol. Letters 154: 355-362. - Tola et al., (2001) FEMS Microbiol. Letters 202: 45-50. – F. Rodriguez et al. (2002) Immunohistochemical dectection of Mycoplasma agalactiae in formalin-fixed, paraffin-embedded tissues from naturaly and experimentaly infected goats J. Vet. Med. B 49, 226-229 - Rodriguez F et al. (2000) Immunohistochemical characterization of lung lesions induced experimentally by Mycoplasma agalactiae and Mycoplasma bovis in goats. J Comp Pathol. Nov;123(4):285-93.

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DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA

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DIDASCALIE FOTO

Foto 1 Istochimica - Mastite da M. agalactiae, diffuso infiltrato linfo-plasmocellulare. E.E. 4 X.Foto 2 Istochimica - Mastite da M. agalactiae, degenerazione e desquamazione dell’epitelio ghiandolare, infiltrato linfo-plasmocellulare. E.E. 10 X.Foto 3 Istochimica - Mastite da M. agalactiae, ingrandimento della precedente. E.E. 40 X.Foto 4 Istochimica - Mastite da M. agalactiae, desquamazione dell’epitelio ghiandolare. E.E. 40 X.Foto 5 IHC - Mastite da M. agalactiae, positività alveolo-duttale all’anticorpo policlonale (anti P80 e anti P55) 4 X.Foto 6 IHC - Mastite da M. agalactiae, espressione dell’anticorpo policlonale (anti P80 e anti P55) sulla superficie delle cellule epiteliali di un grosso dotto galattoforo. 20 X.Foto 7 IHC - Mastite da M. agalactiae, ingrandimento della precedente 40 X.Foto 8 IHC - Mastite da M. agalactiae, strutture alveolo-duttali ripiene di secreto ricco di M. agalactiae 40 XFoto 9 IHC - Mastite da M. agalactiae grosso dotto galattoforo con positività all’anticorpo policlonale (anti P80 e anti P55) ben evidente 4 X.Foto 10 IHC - Mastite da M. agalactiae, particolare della precedente 40 XFoto 11 Istochimica - linfonodo sopra mammario, iperreattività follicolare. E.E. 4 X.Foto 12 Istochimica - linfonodo sopra mammario, presenza di un cospicuo contingente macrofagico E.E. 10 X.Foto 13, 14 IHC - linfonodo sopra mammario, numerosi macrofagi positivi all’anticorpo policlonale (anti P80 e anti P55) 40 XFoto 15 IHC - linfonodo sopra mammario, particolare della precedente 100 X

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IL CARCINOMA MAMMARIO A CELLULE SQUAMOSE DELL’OVINO SARDO

Antuofermo E., Pirino S., Rocca S., Idili S., Leoni A., Nieddu A.M..

(Istituto di Patologia Generale Anatomia Patologica e Clinica Ostetrico-Chirurgica Veterinaria,07100 Sassari -Tel: 079-229515 -Fax: 079 229415, -e mail: [email protected] )

RiassuntoIl carcinoma squamo-cellulare si presenta nell’ovino in varie aree cutanee, solitamente rappresentate da regione nasale, orecchio, occhio, vulva e cute della mammella. I contributi casistici risultano tuttavia scarsi soprattutto per quanto attiene la regione mammaria. Abbiamo pertanto condotto un’indagine sistematica volta a caratterizzarne gli aspetti patomorfologici, utilizzando, allo scopo, reperti di macellazione provenienti dal Nord-Sardegna. I prelievi sono stati processati con tecniche generali e speciali e sottoposti a tests immunoistochimici e ultrastrutturali. In tutti i casi osservati, il carcinoma non è mai giunto a coinvolgere il parenchima mammario, manifestando tuttavia aspetti di differente invasività. In alcuni casi, il tumore si presentava, infatti, relativamente ben differenziato, con presenza di perle cornee e limitata estensione sottocutanea; in altri, si apprezzavano invece cordoni solidi di cheratinociti atipici e comportamento marcatamente infiltrante. Lo studio della progressione del carcinoma squamocellulare in sede mammaria, è tuttavia limitato, in condizioni naturali, dalla breve vita produttiva e dalla rapida eliminazione dall’allevamento dei soggetti colpiti.

Introduzione: Nell’ambito di uno studio volto ad evidenziare, descrivere e classificare la patologia mammaria negli ovini della Sardegna, venivano controllate 361 mammelle di soggetti regolarmente macellati presso il pubblico macello di Chilivani (Sassari).Gli organi, sottoposti ad un primo esame in loco, allorché riscontrati in preda ad alterazioni patologiche, venivano condotti presso il nostro Istituto per ulteriori accertamenti di tipo macroscopico e per l’eventuale successiva processazione istologica.Il riscontro di lesioni cutanee è stato relativamente infrequente: solo n° otto organi presentavano alterazioni di vario grado ed estensione; in cinque casi, i soggetti erano stati sottoposti a caudectomia. Poiché l’aspetto macroscopico richiamava patologie di tipo neoplastico, abbiamo ritenuto utile effettuare, sui predetti campioni, una serie di accertamenti volti a inquadrarne le caratteristiche istopatomorfologiche, immunoistochimiche ed elettromicroscopiche, che saranno oggetto del presente lavoro.

Materiali e metodi: Dalle otto mammelle che presentavano lesioni cutanee, sono stati eseguiti prelievi bioptici. Il materiale biologico è stato fissato in formalina al 10% tamponata, incluso in paraffina, successivamente sezionato a 4 μ di spessore, infine colorato con Ematossilina Eosina, P.A.S., Azan Mallory e Polycrom.Il materiale inoltre è stato sottoposto a processazione immunoistochimica mediante l’impiego della tecnica dell’ immunoperossidasi. Allo scopo le sezioni sparaffinate sono state incubate overnight a temperatura ambiente con l’anticorpo primario monoclonale anti-Pan citocheratina, clone (AE1\AE3), alla diluizione 1:300, con lo scopo di evidenziare tutte le cellule epiteliali.Al fine di render liberi i determinanti antigenici presenti sulle cellule, mascherati dai ponti creati dal formolo, prima di procedere alla processazione con l’anticorpo anti Pan citocheratina i campioni sono stati preincubati, previa digestione enzimatica con Pepsina all’1%, in HCl 0,01 N per trenta minuti a temperatura ambiente.Contemporaneamente una parte del materiale biologico è stata fissata in Glutaraldeide al 2,5 %, post-fissata in Osmio Tetrossido ed infine, previa disidratazione, inclusa in Epon Araldiste. Dalle piramidi sono state allestite le sezioni semifini di 1μ di spessore, colorate con Blu di Toluidina a caldo. In seguito, previa mappatura del campione sono state allestite le ultrafini su retino, che, colorate con Piombo Citrato e Acetato di Uranile, sono state esaminate al microscopio elettronico a trasmissione ZEISS EM 109 Turbo del Centro di Microscopia Elettronica di Sassari.

Risultati: La nostra indagine ha portato all’evidenziazione di otto carcinomi squamo cellulari a sede mammaria. Questi si presentavano macroscopicamente differenti per dimensione, morfologia e grado di sviluppo.• La più piccola delle lesioni, di 1-2 cm di diametro,per 2-3 cm di altezza, era localizzata in un’emi mammella, si presentava singola, parzialmente rilevata, pigmentata e non ulcerata.• In sei casi il tumore aveva dimensioni medie di 7-8 cm di diametro per 4-5 di altezza e risultava circondato da numerose piccole formazioni rotondeggianti e prominenti. Le neoplasie presentavano superficie irregolare, colore grigio-verdastro per la presenza di fenomeni necrotico-purulenti, ulcerazioni e fenomeni infiammatori.• In un caso la lesione interessava entrambe le mammelle; essa presentava una superficie di aspetto crostoso, odore nauseabondo, fenomeni necrotico-emorragici.Al taglio, tutte le lesioni si mostravano scarsamente consistenti, di colorito grigio-rosato, ma non era apprezzabile il coinvolgimento del sottostante parenchima mammario.

Istochimica: Istologicamente è stato possibile osservare due differenti tipologie del carcinoma squamo cellulare.1. Carcinoma ben differenziato:Il quadro principale era rappresentato da cordoni o nidi di cellule carcinomatose in fase di cheratinizzazione, proliferanti nel derma sottostante. I cheratinociti assumevano una disposizione lamellare-concentrica conferente l’aspetto tipico delle

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“perle cornee”. Intorno a queste ultime è stato riscontrato sovente un infiltrato infiammatorio di tipo linfoplasmocitario macrofagico; l’indice mitotico appariva poco elevato.2. Carcinoma scarsamente differenziato:Si osservava la proliferazione di voluminose cellule epiteliali squamose, con citoplasma chiaro e nucleo ipercromatico, organizzate in cordoni e nidi, che sovente si approfondivano nel derma, circondate da un abbondante tessuto connettivo. A differenza della tipologia precedente l’indice mitotico appariva più elevato e le perle cornee rare.Le piccole formazioni che circondavano il tumore principale, erano caratterizzate da marcata acantosi e ipercheratosi dell’epidermide e sostenute da uno stroma connettivale di tipo embrionale al cui interno si apprezzava il fascio vascolare. Dette caratteristiche consentivano di formulare diagnosi di papilloma, neoplasia ad eziologia virale che, come riportato da vari Autori, precede spesso lo sviluppo del carcinoma squamo cellulare.

Immunoistochimica (IHC): I risultati delle prove anti pan citocheratina hanno evidenziato una reazione positiva per le cellule epiteliali squamose.Tale reazione consentiva inoltre di evidenziare piccoli gruppi di cellule carcinomatose, costituite da non più di 2-3 elementi, scarsamente tendenti alla cheratinizzazione. In entrambi i citotipi di carcinoma a cellule squamose osservati non é stato evidenziato alcun coinvolgimento del parenchima mammario né dei linfonodi regionali.

Microscopia Elettronica a Trasmissione (T.E.M.): L’osservazione delle sezioni ultrafini ci ha permesso di constatare che le cellule neoplastiche avevano forma rotondeggiante ovoidale, nucleo a cromatina dispersa, citoplasma ricco di mitocondri e ribosomi; inoltre si apprezzava un aumento significativo di tonofilamenti e desmosomi, caratteristica questa tipica del carcinoma squamo cellulare. Non veniva rilevata presenza di virioni.

Considerazioni conclusive: Nel corso della nostra indagine, tendente- come riferito in Premessa- ad uno studio generale della patologia mammaria, è stato possibile studiare il carcinoma a cellule squamose, già osservato e descritto dal nostro istituto in altre sedi e in altre specie animali (bovino).Le nostre osservazioni - ancorché limitate da un punto di vista numerico - riteniamo siano interessanti in quanto evidenziano le prime fasi di sviluppo del tumore e una serie di lesioni probabilmente anticipanti l’evoluzione della neoplasia.Va riferito che il tumore in fase iniziale di sviluppo si presenta con aspetti anatomopatologici affatto caratteristici (forma nodulare, superficie regolare) e che quindi solo l’esame istopatologico ne consente il riconoscimento. Detta situazione cambia radicalmente per le forme più avanzate, del tutto sovrapponibili a quelle già osservate a livello oculare, auricolare e perineale (marcato accrescimento esofitico, colore brunastro, superficie irregolare, necrosi ed emorragie).Proprio in merito al comportamento biologico del tumore, il presente studio fornisce dati apparentemente in contrasto con precedenti nostre osservazioni. Infatti anche nei casi di maggiore sviluppo del tumore, non si è apprezzato l’interessamento del parenchima mammario; in altre esperienze si era invece visto che le cellule proliferanti avevano caratteristiche invasive, riuscendo a colonizzare e distruggere tessuti circostanti anche molto consistenti (vedi demolizione del tessuto osseo della regione oculare in corso di tumore della terza palpebra).Tuttavia detta differenza nel comportamento biologico potrebbe essere solo un falso problema. L’allevatore infatti, constatata la presenza di tali lesioni a livello mammario, decide solitamente la riforma del capo e pertanto la neoplasia non va incontro al suo massimo accrescimento e tanto meno invade i tessuti circostanti.Il presente studio sembrerebbe confermare l’importanza di alcuni fattori nell’induzione della trasformazione neoplastica. Va infatti rilevato che cinque degli otto soggetti colpiti dal tumore erano stati sottoposti ad asportazione chirurgica della coda. Come noto la “tecnica di Mules” è ritenuta da vari studiosi uno dei fattori predisponesti più importanti per l’insorgenza del tumore, inducendo una maggiore azione dei raggi solari, particolarmente U.V., nella regione perineale e in quelle circostanti.Le osservazioni al microscopio elettronico non hanno invece consentito di accertare la presenza di particelle virali nelle cellule neoplastiche. Va peraltro rilevato che esse sono state condotte solo su un limitato numero di campioni e, in ogni caso, mai nelle forme di iniziale sviluppo del tumore e tanto meno in lesioni di tipo papillomatoso da cui il carcinoma sembra derivare.In conclusione quanto esposto deve essere considerato come l’approccio a iniziative di ricerca più ampie, coinvolgenti un numero senz’altro più significativo di animali.Nell’ambito di tale studio avranno sicuramente parte di rilievo prove immunoistochimiche tendenti a verificare la presenza nelle cellule neoplastiche di antigeni virali, particolarmente di papillomavirus, come d’altra parte viene oramai routinariamente fatto in medicina umana.

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FOTO 1 -macro Carcinoma Squamo Cellulare (C.S.C.) piccola neoformazione cutanea rilevata e pigmentata.FOTO 2 -macro C.S.C. massa neoplastica di 8 cm ∅ circondata da numerose piccole neoformazioni pigmentateFOTO 3 -macro C.S.C. massa neoplastica ulcerataFOTO 4 -macro C.S.C. masse neoplastiche di dimensioni differenti con superficie crostosa e ulcerataFOTO 5 -macro C.S.C. sezione di taglio della precedenteFOTO 6 -macro C.S.C. ampia e voluminosa neoformazione, estesa su l’intera superficie cutanea della mammella.FOTO 7 –Istochimica. C.S.C. ben differenziato. In evidenza numerose ʺperle corneeʺ. E.E. 4 XFOTO 8 –Istochimica. C.S.C. ben differenziato. In evidenza numerose ʺperle corneeʺ. P.A.S. 4 XFOTO 9 –immunoistochimica. C.S.C. ben differenziato. Pan Citocheratina, evidente positività per le cellule epiteliali. 4 XFOTO 10 –istochimica. C.S.C. scarsamente differenziato. Voluminose cellule epiteliali squamose. E.E. 10 XFOTO 11 –Istochimica. C.S.C. scarsamente differenziato. Piccoli gruppi cellulari in attiva replicazione mitotica. P.A.S.. 20 XFOTO 12 –immunoistochimica. C.S.C. scarsamente differenziato. Pan Citocheratina, evidente positività per le cellule epiteliali. 10 XFOTO 13 –T.E.M. C.S.C. piccolo gruppo di cellule carcinomatose.FOTO 14 -15 –T.E.M. tonofilamenti e desmosomi in un cellula neoplastica.

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BLUE TONGUE IS ALSO A LEGISLATIVE EMERGENCYBLUE TONGUE: UN’EMERGENZA ANCHE A LIVELLO LEGISLATIVO

Passantino A., Fenga C., Venza M., Di Pietro C., Passantino M.(Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie - Università degli Studi di Messina – Polo Universitario, Annunziata - 98168

Messina - [email protected])

SummaryBlue tongue is a non-contagious infectious disease, caused by an orbivirus, whose vector is a haematophagous arthropod, “Culicoides imicola” which affects ovines and other domestic and wild ruminants.The actual path of entry into Italy is not know. The disease occurred initially in some provinces of Sardinia, generating significant health concern. It then spread to southern Italy and, in particular, to some provinces of Sicily and Calabria, where the health authorities were informed so as to limit the phenomenon.The problem has been addressed by creating and continually improving a surveillance net work, within national health structures, throughout the country. Despite this, recent event show that the surveillance systems to guard against the arrival of tropical diseases are not sufficiently efficient in Italy.The Authors make a detailed evaluation of the most recent steps taken with the aim of wiping out the disease. They then demonstrate that, in spite of regional and national rulings based on E.U. guide-lines, which make vaccination obligatory for all stock present in Italy together with a series of preventive measures.

Key words: blue tongue, emergency, Sicily, law.

RiassuntoLa “blue tongue”, o febbre catarrale degli ovini, è una malattia infettiva, non contagiosa, sostenuta da un orbivirus, trasmessa attraverso un artropode vettore ematofago, il “Culicoides imicola”, che colpisce gli ovini e altri ruminanti domestici e selvatici.Non è stata individuata con certezza la via d’ingresso di tale virosi nel Paese. Comparsa inizialmente in varie province sarde provocando considerevoli preoccupazioni di ordine sanitario, soltanto successivamente si è diffusa nell’Italia meridionale, in particolare in talune province siciliane e calabresi, ove sono state allertate le autorità sanitarie al fine di contenere il fenomeno.Questo problema è stato affrontato mediante la creazione e il continuo miglioramento di una rete di sorveglianza su tutto il territorio nazionale, integrata nelle strutture del sistema sanitario nazionale. Tuttavia, i recenti accadimenti testimoniano come il sistema preposto alla vigilanza dell’ingresso di malattie tropicali sul territorio nazionale presenti smagliature tali da consentire il realizzarsi di condizioni idonee alla loro comparsa e diffusione.Gli AA. effettuano un attento esame critico dei più recenti provvedimenti emanati nella regione Sicilia al fine di debellare la malattia, evidenziando taluni aspetti legati agli interventi effettuati a livello regionale e nazionale, in recepimento di disposizioni comunitarie, con particolare riferimento all’obbligo di vaccinare i capi bovini e ovicaprini presenti sul territorio italiano ed alla serie di misure di profilassi attuate.

Parole chiave: blue tongue, emergenza, Sicilia, normativa.

IntroduzioneLa “Blue Tongue”, o febbre catarrale degli ovini, è una malattia infettiva, non contagiosa, di origine virale, trasmessa da insetti ematofagi che effettuano il proprio pasto di sangue su ovini e altri ruminanti domestici e selvatici. Pur essendo la puntura del Culicoides imicola, artropode attivo nelle ore notturne, la principale via di contagio, eccezionalmente la trasmissione può realizzarsi attraverso il seme di animali malati, sia con la monta naturale sia con la fecondazione artificiale.A tutt’oggi non è stata individuata con certezza la via d’ingresso di tale virosi nel territorio italiano. Comparsa inizialmente in varie province sarde provocando considerevoli preoccupazioni di ordine sanitario, soltanto successivamente la Blue Tongue (B.T.) si è diffusa nell’Italia meridionale, in particolare in talune province siciliane e calabresi, ove sono state allertate le autorità sanitarie al fine di contenere il fenomeno.Questo problema è stato affrontato mediante la creazione ed il continuo miglioramento di una rete di sorveglianza su tutto il territorio italiano, integrata nelle strutture del sistema sanitario nazionale. Tali recenti accadimenti, tuttavia, testimoniano come il sistema, preposto alla vigilanza dell’ingresso di malattie esotiche sul nostro territorio, presenti smagliature tali da consentire il realizzarsi di condizioni idonee alla loro comparsa e diffusione.

STATO DELL’ARTEIl virus della B.T. appartiene alla famiglia Reoviridae, genere Orbivirus. La malattia ad esso correlata ha andamento stagionale e compare solitamente in estate avanzata. Il Culicoides imicola è un piccolo insetto (la grandezza da adulto varia da 1 a 3 mm) appartenente alla famiglia delle Ceratopogonidae che, per riprodursi, deve disporre di acqua dolce; depone, infatti, le uova nelle zone umide e più precisamente in quel tratto di terreno che segna il confine tra la terra e l’acqua. In questo stesso luogo si compiono tutti i diversi stadi della crescita, passa cioè dalla condizione di larva a quello di pupa ed infine ad insetto adulto. Generalmente ha una vita di 10-20 giorni e, solo in casi particolari, può sopravvivere anche per 60-90 giorni; non ama le basse temperature e pertanto la sua vitalità decresce con temperature inferiori ai 12°C.La B.T. negli ovini ha un periodo di incubazione che varia dai 5 ai 20 giorni (in media intorno ai 7 giorni). In questa specie la mortalità può variare dal 2% al 30% in relazione alle condizioni generali degli animali, alla razza, all’età,

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all’alimentazione ed al corretto management aziendale. Altre variabili sono legate al ceppo virale chiamato in causa, nonché alle condizioni epidemiologiche delle aree interessate.

SintomatologiaIl primo sintomo, in ordine di frequenza, è la comparsa di febbre molto alta, fino a 42°C, che si protrae per 6-7 giorni, accompagnata da rapida perdita di peso, inappetenza e depressione. In seguito possono manifestarsi edema delle labbra, della lingua, del retrobocca e della punta del petto. In particolare la mucosa orale si arrossa, diventa cianotica e può presentare erosioni su tutta la sua superficie. Contestualmente è, in genere, apprezzabile quel corteo sintomatologico caratteristico, da cui deriva la denominazione di “Lingua blu”, contraddistinto dal rinvenimento di una lingua tumefatta e cianotica, unitamente ad una evidente tumefazione della testa dell’animale (similmente a quanto può osservarsi in corso di reazioni da fotosensibilizzazione) e dalla fuoriuscita di scolo nasale muco-purulento. Infine possono manifestarsi anche lesioni podali sottoforma di erosioni ed arrossamenti della cute localizzati in prossimità del cercine coronario, alterazioni muscolari responsabili di vari gradi di rigidità nella locomozione.In considerazione del fatto che nei bovini l’infezione decorre, generalmente, in forma asintomatica e che in questa specie animale la presenza del virus nel sangue circolante e, quindi, la possibilità di infettare i Culicoides permane a lungo, tali animali possono rappresentare un importante serbatoio per l’infezione. La B.T. è diffusa in America, Australia, in alcuni paesi del sud-est Asiatico e dell’Oceania, ed in Africa. Fra i Paesi del bacino del Mediterraneo, nel biennio 1999-2000, sono stati segnalati focolai in Grecia, Bulgaria, Tunisia, Turchia.

ProfilassiAi sensi degli artt. 1 e 2 del Regolamento di Polizia Veterinaria (R.P.V.), qualunque caso, anche sospetto, di B.T. “deve essere immediatamente denunciato al sindaco che ne dà subito conoscenza al veterinario comunale”. Il veterinario della competente Azienda USL, in osservanza dell’art. 9 del R.P.V., provvede all’accertamento della diagnosi e propone per iscritto al sindaco, con la massima urgenza, tutte le misure di profilassi e controllo della malattia atte ad impedire la diffusione della stessa, disponendo l’immediato blocco della movimentazione degli animali vivi dalle aree infette ad attuando campagne di vaccinazione.

Interventi legislativiL’Unione Europea con la direttiva 2000/75/CE ha fissato le norme di controllo e le misure di eradicazione contro la febbre catarrale degli ovini con l’istituzione, a livello nazionale, di una “cellula di crisi” incaricata del coordinamento di tutte le misure di urgenza nello Stato Membro ed introducendo il ricorso ai piani di vaccinazione che possono essere praticati solo ai sensi delle disposizioni della suddetta direttiva. Successivamente, anche con la Decisione 18 gennaio 2001, la Commissione Europea ha ritenuto efficace l’utilizzo di vaccini contro l’afta epizootica e la febbre catarrale degli ovini, valutando che i rischi connessi all’utilizzazione del vaccino della B.T. sono assimilabili a quelli derivati dall’utilizzazione di qualsiasi vaccino vivo attenuato. Inoltre la stessa ha bandito una gara che è stata vinta, relativamente alla preparazione del vaccino per la B.T., dal Centro Nazionale di Referenza per le Malattie Esotiche-Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, il quale ha utilizzato i ceppi dell’Istituto di Ondersteport. Infine, con la recente Decisione del 23 marzo 2003, la Commissione delle Comunità Europee ha istituito zone soggette a restrizioni, indicate nell’allegato I (allegato IA, IB, IC), comprendenti zone di protezione e di sorveglianza definite tali ai sensi dell’art.8 della direttiva 2000/75/CE, ed ha ulteriormente stabilito norme sui movimenti in entrata ed in uscita da tali zone degli animali di specie sensibili alla B.T.. In Italia nei primi mesi del 2001, a seguito di un vivace dibattito sull’uso dei vaccini, l’allora Ministero della Sanità richiese il parere del Consiglio Superiore di Sanità prima di rendere obbligatoria la profilassi attuata attraverso la vaccinazione. Il Consiglio, in data 24 aprile 2001, ha espresso parere favorevole per la vaccinazione dei ruminanti nelle zone di protezione (parte del territorio comunitario avente un raggio minimo di 100 km intorno all’azienda infetta ai sensi dell’art. 8 direttiva 2000/75/CE). L’eventualità di effetti indesiderati secondari alla vaccinazione è stata contemplata nel programma di vaccinazione allegato all’Ordinanza Ministeriale (O.M.) 11 maggio 2001. In tale programma è prevista la compilazione di una scheda (SBT10) per individuare gli effetti indesiderati potenzialmente riconducibili all’utilizzazione del vaccino.In Sicilia, stante il verificarsi di numerosi casi di B.T., già con Decreto Assessoriale (D.A.) n.32938 del 13 ottobre 2000, è stata istituita un’unità di crisi locale per il monitoraggio della situazione epidemiologica territoriale e per il coordinamento delle misure sia amministrative che sanitarie di emergenza da adottarsi per fronteggiarne la diffusione. Nell’isola si sono succeduti nel tempo diversi provvedimenti legislativi al fine di predisporre ed attuare misure di prevenzione e profilassi. Di seguito vengono elencati quelli più significativi: 1) Il D.A. n. 35694 del 10 agosto 2001, con cui sono state rese obbligatorie, nel territorio della Regione Siciliana, le misure urgenti di profilassi vaccinale obbligatoria contro la B.T., previste dall’O.M. 11 maggio 2001;2) il Decreto dell’Ispettore Generale (D.I.G.) n.01804 del 3 ottobre 2002, con cui tutti i territori dei comuni delle province di Palermo e Trapani sono stati dichiarati, in via cautelativa, territori con infezione in atto da B.T., in attesa degli accertamenti e delle verifiche in merito agli spostamenti di animali sensibili provenienti da territori con infezione in atto;3) la nota protocollo n. 551 del 9 ottobre 2002 con cui l’Azienda U.S.L. n.1 di Agrigento ha trasmesso le comunicazioni, protocollo n. 1388 del 7 ottobre 2002 del distretto di Licata e protocollo n. 2165 del 7 ottobre 2002 del distretto di Canicattì, dalle quali si evince che i territori dei comuni di Favara, Aragona, Comitini e Grotte, non compresi tra i comuni con infezione in atto, sono stati oggetto di transito di animali sensibili alla BT provenienti da territori con infezione in atto;4) la nota protocollo n. 3888 del 14 ottobre 2002 con cui l’Azienda U.S.L. n.9 di Trapani, a seguito delle verifiche effettuate sulle movimentazioni avvenute e sui relativi percorsi di animali sensibili alla B.T. provenienti da zone con

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infezione in atto verso il territorio della provincia di Trapani, chiedeva che lo status di territorio con infezione in atto venisse mantenuto solo per i territori dei comuni di Gibellina, Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi;5) il D.I.G. n.01875 del 17 ottobre 2002 dispone che i territori dei comuni della provincia di Palermo, alcuni della provincia di Trapani (Gibellina, Alcamo, Castellammare del Golfo e Catalafimi) e di Agrigento (Favara, Aragona, Comitini e Grotte) sono da considerarsi a rischio per la diffusione della BT ed in via cautelativa sono dichiarati “territori con infezione in atto da B.T.” In Italia, con Decreto del Ministero della Salute (D.M.) emanato in data 6 marzo 2003, è stata istituita, presso il M.d.S., una Commissione d’inchiesta con il compito di valutare i problemi connessi ad eventuali effetti indesiderati conseguenti alla campagna di vaccinazione per il controllo e l’eradicazione della B.T..

Considerazioni e ConclusioniAl fine di impedire la diffusione del Culicoides Imicola sarebbe opportuno:1) Intervenire in tutte le zone umide in prossimità delle aziende, zone scelte dall’insetto per la sua riproduzione. Occorrerebbe bonificare, inoltre, eventuali pozzanghere e raccolte d’acqua, curare con la massima diligenza l’igiene dell’azienda evitando che si formino raccolte di liquami.2) Disinfestare i luoghi dove normalmente sostano gli animali utilizzando insetticidi a base di derivati del piretro ed infine, ove la presenza di strutture aziendali lo consente, sarebbe opportuno ricoverare gli animali durante la notte, tenuto conto che in tali ore l’imicola è attivo e non ama i locali chiusi.Le linee d’intervento da seguire per il controllo della B.T. sono rappresentate oltre che dal pieno rispetto delle più elementari norme di igiene zootecnica, dal controllo dell’ambiente in cui si muove il vettore responsabile della trasmissione del virus, sia nella forma larvale che adulta, e dalla protezione dei singoli animali recettivi dalla puntura dell’insetto adulto.Il legislatore, comunitario, nazionale e regionale si è attivato in tempi brevi attraverso l’emanazione di provvedimenti a volte assai restrittivi, disponendo l’Introduzione di misure di profilassi spesso drastiche. Tuttavia, soltanto attraverso l’osservanza di tali misure e con la fattiva collaborazione degli addetti ai lavori (veterinari ed allevatori) sarà possibile debellare definitivamente la malattia.

TESTI CONSULTATI1. Ann. Ist. Super. Sanità 1994, 30 (2): 237-242.2. Battelli G.: Aspetti socio-economici delle malattie degli ovi-caprini. X Congresso Internazionale della Società Italiana di Patologia e Allevamento degli ovini e dei caprini. 4/7 giugno 1992 Pizzomunno – Viete (Foggia). 73-78 3. D.I.G. n.01875 del 17.10.2002.4. Decisione della Commissione del 24 luglio 2000 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n.L187 del 26/07/2000, 56.5. Decisione della Commissione del 18 gennaio 2001 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n. L 026 del 27/01/2001, pag. 0038 - 00396. Decisione della Commissione del 15 novembre 2002 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n.L 313 del 16/11/2002, 30-31.7. Decisione della Commissione del 10 gennaio 2003 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n. L 7 dell’11/01/2003, 87-89.8. Decisione della Commissione del 27 marzo 2003 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n. L 82 del 29.03.2003, 35-39.9. D.P.R. 08.02.1954 n.320 – Vigente alla G.U. 06.04.2002 n.81.10. Direttiva 2000/75/CE del Consiglio del 20 novembre 2000 pubblicata in G.U. dell’Unione Europea n. L 327 del 22/12/2000, 74-83.11. J. Med. Entomol. 1997 May, 34 (3):263-271.12. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, vol. 11, n 6, giugno 1998.13. O.I.E.- Organizzazione Internazionale delle Epizoozie: Blue tongue in Italy. Epidemiologic Bulletin, 1 September 2000. 14. Ordinanza Ministeriale 11 maggio 2001 pubblicata in G.U. del 05.06.2001 n.128, 43-44. 15. Romi R., Majori G. - Commercio di copertoni usati e importazione di zanzare: un aggiornamento della distribuzione di Aedes albopictus e Aedes atropalpus in Italia. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, vol. 11, n 6, giugno 1998.

SITI CONSULTATI1. http://europa.eu.int/eur-lex2. http://www.parlamento.it3. http://www.regione.sicilia.it/sanita/blue%20tongue.htm4. http://www.pa.izs.it/BLUE%20TONGUE/Blue_tongue.htm

151XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

NEW DISPOSITIONS ON IDENTIFICATION AND REGISTRATION OF CATTLE IN ITALY NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI IDENTIFICAZIONE E REGISTRAZIONE DEI

BOVINI IN ITALIA

Di Pietro C., Passantino A., Fenga C., Passantino M.(Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie - Università degli Studi di Messina – Polo Universitario, Annunziata - 98168

Messina - [email protected])

SummaryCattle registration, that is, the system of identification and registration of cattle, has acquired a role of fundamental importance from a medical, economical and juridical point of view. The innovations brought about by the Ministry of Health on 31st January 2002, together with previous norms on the same subject, have radically changed breeders’ habits and have induced breeders to adopt new methods. . Some cultural and procedural obstacles have had to be overcome, allowing the introduction of a clearer and more accurate system of identification (of every single head of cattle and, as a consequence, of the foodstuffs derived from it) which meets the requirement, felt more and more nowadays, for a well organized and more efficient veterinary health system.In the light of such considerations the Authors have examined both European and Italian legislation on this matter, and in particular on the new dispositions on cattle identification, brought about by Ministerial Decree of 31st January 2002 (G.U. no. 72, 26/03/2002).

Key words: identification, registration, cattle, legislation

RiassuntoL’anagrafe bovina, ossia il sistema di identificazione e registrazione degli animali della specie bovina, assume un ruolo di fondamentale importanza dal punto di vista sanitario, economico e giuridico. Le innovazioni apportate dal Decreto del Ministero della Salute del 31 gennaio 2002, unitamente alla normativa precedente sull’argomento, hanno cambiato in modo radicale le abitudini degli allevatori ed hanno spinto i servizi veterinari ad adottare nuove metodologie.Ciò ha richiesto il superamento di ostacoli culturali e procedurali, ma ha introdotto un sistema di identificazione (dei singoli capi e, di conseguenza, delle derrate alimentari da essi derivate) più perfezionato e trasparente, che risponde all’esigenza, oggi sempre più avvertita, di pianificazione ed ottimizzazione della sanità pubblica veterinaria.Gli A.A., alla luce di tali considerazioni, effettuano una breve disamina della normativa nazionale e comunitaria sull’argomento soffermandosi, in particolare, sulle nuove disposizioni in materia di funzionamento dell’anagrafe bovina, introdotte dal Decreto del Ministero della Salute del 31 gennaio 2002 (G.U. n.72 del 26/03/2002).

Parole chiave: identificazione, registrazione, bovini, legislazione

IntroduzioneL’identificazione dei bovini rappresenta un presupposto indispensabile per la conoscenza capillare della consistenza ed ubicazione di tale specie e, di conseguenza, per effettuare un controllo efficace delle malattie infettive.Grazie alle garanzie fornite dal miglioramento di tale sistema, potranno essere soddisfatte talune esigenze di interesse generale, così individuate nell’art.2 del Decreto del Ministero della Salute del 31 gennaio 2002:

a) tutela della salute pubblica e tutela del patrimonio zootecnico (costituzione e funzionalità della rete di epidemiosorveglianza);

b) fornire il basilare supporto per trasmettere informazioni al consumatore di carni bovine e consentire un’etichettatura adeguata e chiara del prodotto;

c) assicurare efficienza ed efficacia nella gestione, nell’erogazione e nel controllo dei regimi di aiuto comunitari. Infatti, se da un lato è indispensabile istituire un sistema comunitario specifico di etichettatura nel settore delle carni bovine, al fine di informare e garantire i consumatori, dall’altro si rende necessario individuare un sistema valido di identificazione e registrazione dei bovini nella fase di produzione. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene interessante soffermarsi sulla normativa vigente in materia di funzionamento dell’anagrafe bovina ed, in particolare, sulle nuove disposizioni introdotte in Italia dal Decreto del Ministero della Salute del 31 gennaio 2002

SINTESI DELLE PRINCIPALI DISPOSIZIONI LEGISLATIVE ATTUALMENTE IN VIGORELa regolamentazione attuale della materia inerente l’identificazione e la registrazione dei bovini consta di una ricca legislazione:- la Direttiva n.92/102/CEE, che prevede la registrazione e l’identificazione dei singoli capi, al fine di poter risalire

all’azienda d’origine, di favorire lo scambio fra i diversi Stati membri e di meglio gestire i fondi europei;- la Direttiva n.97/12/CE, che si occupa degli scambi di animali della specie bovina effettuati all’interno della

comunità;- il Regolamento n.1760/2000/CE, relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti da esse derivati, che

abroga il Regolamento n.820/97/CE e che è stato integrato dal Regolamento CE del 25 agosto 2000 n.1825, e meglio specificato dal successivo Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 13 dicembre 2001. Il primo provvedimento prevede che gli operatori e le organizzazioni che commercializzano carni bovine devono provvedere ad etichettarle in tutte le fasi, indicando sull’etichetta le informazioni inerenti la macellazione, l’allevamento e le altre ritenute utili per il consumatore, mentre il secondo specifica che gli organismi indipendenti autorizzati ai controlli

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devono comunicare le eventuali violazioni alla vigente normativa e relazionare sull’attività di controllo svolta; - il D.P.R. n.437 del 19/04/2000, recante le modalità per l’identificazione e la registrazione dei bovini, che abroga il

D.P.R. n.317/96;- il Regolamento n.494/98/CE, che concerne l’applicazione di sanzioni amministrative nell’ambito dell’anagrafe

bovina;- il Decreto del Ministero della Salute del 31/01/2002, che tratta il tema specifico del funzionamento dell’anagrafe

bovina, il quale stabilisce (art.2, comma 2) che tutti i bovini nati successivamente all’1 gennaio 1998 debbano essere muniti di:

1) due marchi auricolari, apposti su ciascun orecchio entro 20 giorni dalla nascita e, comunque, prima che lascino l’azienda in cui sono nati, contenenti un codice identificativo;2) il passaporto, che deve accompagnare gli animali in ogni loro spostamento;3) il registro aziendale; e debbano, altresì, essere inseriti in:1) una banca dati informatizzata.Il decreto in oggetto individua, come soggetti responsabili del sistema, i detentori degli animali, i titolari degli stabilimenti di macellazione, i produttori di marchi auricolari, i servizi veterinari delle A.S.L., l’AGEA, le regioni e le province autonome e il Ministero della salute (art.2, comma 3), attribuendo a ciascuno di essi, in base alle rispettive competenze, i compiti specificati negli artt.7-12. Più precisamente, il detentore di bovini è responsabile della tenuta dei passaporti, delle cedole identificative, dei marchi auricolari e del registro aziendale. Su quest’ultimo deve annotare tutti i dati identificativi del bovino, la data del decesso con l’indicazione della causa di morte e, per gli animali che lasciano l’azienda, la data di partenza e gli estremi dell’azienda di destinazione, mentre per quelli che giungono in azienda, la data di ingresso in stalla, l’indicazione dei certificati sanitari e dei documenti di accompagnamento e il codice di identificazione dell’azienda di provenienza.Egli, ancora, deve notificare o registrare alla Banca Nazionale Dati (BDN) la nascita e le importazioni da Paesi Terzi, entro 7 giorni dall’apposizione dei marchi auricolari, nonché ogni movimentazione in entrata e in uscita dall’azienda, compresa l’uscita per la macellazione, entro 7 giorni dall’evento.Il titolare dello stabilimento di macellazione ha, invece, il compito di comunicare alla Banca dati nazionale e regionale, entro sette giorni dalla macellazione, le informazioni relative ai capi macellati e di provvedere alla distruzione dei marchi auricolari degli animali macellati.Al fornitore spetta produrre e distribuire marchi conformi a quanto previsto dall’art. 3 del presente decreto e trasmettere alla Banca dati l’elenco dei marchi forniti a ciascun allevamento.Il servizio veterinario dell’A.S.L. si occupa del rilascio e della vidimazione dei passaporti, vigila sulla corretta applicazione delle disposizioni previste per l’identificazione e la registrazione dei bovini, effettua i controlli presso le aziende zootecniche e registra le relative informazioni nella Banca dati, unitamente alle notizie relative alle nascite, alle movimentazioni, alle macellazioni, alle importazioni, ai furti e agli smarrimenti di animali o di documentazioni ad essi inerenti.L’AGEA (ossia l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, ex AIMA) verifica l’idoneità delle domande di aiuto presentate dagli allevatori che vogliono accedere ai contributi stanziati dalla Comunità a favore delle attività agricole e del settore zootecnico.Le regioni e le province autonome assicurano il corretto funzionamento dell’anagrafe sul territorio di propria competenza ed, in particolare, coordinano l’attività dei servizi veterinari delle AA.SS.LL. e organizzano le fasi gestionali di afflusso dei dati garantendo, così, l’aggiornamento delle BDN.Il Ministero della Salute, infine, ha il compito di detenere la Banca dati e di garantirne la consultazione a chiunque ne abbia interesse, il che dovrebbe assicurare la c.d. “trasparenza” del sistema, quello di assegnare il certificato elettronico di identità, di redigere l’elenco dei fornitori di marchi auricolari e di comunicarlo alle regioni e alle province autonome e, principalmente, di verificare la corretta applicazione della disciplina prevista dal presente decreto.Tutti i suddetti adempimenti devono essere attuati in maniera tale da consentire, a far data dal 01/luglio/2002, la piena operatività dell’anagrafe bovina, la quale costituisce condizione indispensabile per potere conoscere, in tempo reale, attraverso il ricorso a procedure automatizzate interattive, tutte le informazioni occorrenti per garantire la rintracciabilità dei prodotti zootecnici e la sanità della filiera alimentare.

ConclusioniI meccanismi informatici introdotti dal Decreto del Ministero della Salute del 31 gennaio 2002, unitamente alle innovazioni apportate dalla normativa precedente sull’argomento, hanno radicalmente modificato gli adempimenti degli allevatori e le metodologie dei servizi veterinari in tema di funzionamento dell’anagrafe bovina.Ciò ha comportato il superamento di ostacoli culturali e procedurali, ma ha introdotto un sistema di identificazione (dei singoli capi e, di conseguenza, delle derrate alimentari da essi derivate) più perfezionato e trasparente, che risponde all’esigenza, oggi sempre più avvertita, di pianificazione ed ottimizzazione della sanità pubblica veterinaria.Concludendo, è auspicabile che, anche dal punto di vista pratico-attuativo, attraverso l’espletamento di controlli più serrati e l’acquisizione di una maggiore responsabilità, si riesca a debellare il pericoloso fenomeno dei macelli clandestini e dell’interscambio di bovini tra i Paesi d’Europa, affinché i consumatori, ancora disorientati a causa della triste vicenda della BSE, possano avere delle certezze in merito alla sicurezza e alla salubrità dei prodotti.

TESTI CONSULTATI− Decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 30 aprile 1996 - pubblicato in GURI n. 138 del 14 giugno 1996.− Decreto del Presidente della Repubblica n. 437 del 19 ottobre 2000 - pubblicato in GURI n.30 del 6 febbraio 2001.− Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 13 dicembre 2001 - pubblicato in G.U. n.23 del 28 gennaio 2002.

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− Decreto del Ministero della Salute 31 gennaio 2002 - pubblicato in GURI n.72 del 26 marzo 2002.− Direttiva CEE n. 425 del 26 giugno 1990 - pubblicata in GUCE n. L 224 del 18 agosto 1990.− Direttiva CEE n. 102 del 27 novembre 1992 - pubblicata in GUCE n. L 355 del 5 dicembre 1992.− Direttiva CE n. 12 del 17 marzo 1997 - pubblicata in GUCE n. L 109 del 25 aprile 1997.− Regolamento CE n. 820 del 21 aprile 1997 - pubblicato in GUCE n. L 117 del 7 maggio 1997.− Regolamento CE n. 494 del 27 febbraio 1998 - pubblicato in GUCE n. L 060 del 28 febbraio 1998.− Regolamento CE n. 132 del 21 gennaio 1999 - pubblicato in GUCE n. L 017 del 22 gennaio 1999.− Regolamento CE n. 1663 del 28 luglio 1999 - pubblicato in GUCE n. L 197 del 29 luglio 1999.− Regolamento CE n. 1760 del 17 luglio 2000 - pubblicato in GUCE n. L 024 del 11 agosto 2000.− Regolamento CE n. 1825 del 25 agosto 2000 - pubblicato in GUCE n. L216 del 26 agosto 2000.

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PRESENT LEGISLATION CONCERNING PROTECTION OF THE ITALIAN MEDITERRANEAN BUFFALO COW

NORMATIVA VIGENTE IN MATERIA DI TUTELA DELLA BUFALA MEDITERRANEA ITALIANA

Passantino A., Fenga C., Di Pietro C., Passantino M.(Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie - Università degli Studi di Messina – Polo Universitario, Annunziata - 98168

Messina - [email protected])

SummaryIn view of the need to safeguard the Italian Mediterranean Buffalo Cow, legislation has recently been approved. Specifically, this comprises a ruling of nation-wide validity, contained in law n.292, of 27th December 2002, which was published in the “Gazzetta Ufficiale” n. 1, of 02th January 2003. The ruling contemplates urgent measures for protection of the indigenous breed of buffalo. It derives from the pressing need to protect the breed from the uncontrolled introduction of foreign stock as well as from the spread of infectious diseases. Comma 1 of article 1 expressly provides for regional planning concerning prevention and eradication of infectious diseases and infestations with the aim of protecting food products (especially buffalo mozzarella) and consumer health.The law requires the state to allocate euro 1.000,00 to the regions concerned to put the ruling into effect.The Mediterranean buffalo cow’s unique genetic characteristics and the distinctive nature of its food products make this animal a special national livestock resource, the authors therefore think it useful to analyse these new measures to shed light on the importance of protection for this species.

Key words: Mediterranean Buffalo Cow, infectious diseases, animal protection, regulation.

RiassuntoStante la necessità di salvaguardare la Bufala Mediterranea Italiana e le sue produzioni, il Legislatore ha disciplinato la materia attraverso l’emanazione di una recente normativa a livelli nazionale contenuta nella Legge 27 dicembre 2002, n.292, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 02/01/2003, disposizione legislativa questa che prevede misure urgenti volte a tutelare la razza bufalina nostrana.La legge in questione trova il proprio fondamento, pertanto, nell’urgenza di intervenire con una serie di misure finalizzate a proteggere tale razza dall’immissione incontrollata dall’estero di capi, nonché dalle malattie infettive a carattere diffusivo. Infatti, l’art. 1 al comma 1 prevede espressamente il ricorso a piani regionali di profilassi ed eradicazione di malattie infettive ed infestive, allo scopo di garantire la salvaguardia delle produzioni di filiera (tipicamente la mozzarella di bufala) e la salute del consumatore.Per il raggiungimento degli obiettivi suddetti, la Legge di cui sopra prevede che lo Stato stanzi la somma di 1 milione di euro, da ripartire tra le regioni interessate.Considerato che la Bufala Mediterranea costituisce un patrimonio zootecnico nazionale, sia per l’unicità delle sue caratteristiche genetiche, sia per la specificità delle sue produzioni agroalimentari, gli AA. ritengono opportuno soffermarsi ad analizzare queste nuove disposizioni sull’argomento al fine di evidenziare l’importanza della salvaguardia di tale specie

Parole chiave: Bufala Mediterranea, malattie infettive, protezione animale, normativa.

PremessaL’allevamento dei bufali è un settore in grande espansione che, nel tempo, ha assunto caratteristiche tali da rappresentare una fonte di ricchezza, basti pensare che in Italia sono allevati 181.951 capi bufalini, di cui il 71,85% solo in Campania (tabella 1). Pertanto, la salvaguardia della presenza nella nostra penisola della bufala mediterranea e delle caratteristiche della razza rappresenta un obiettivo importante per il patrimonio zootecnico nazionale sia dal punto di vista del mantenimento delle risorse genetiche che da quello produttivo per la destinazione del latte alla trasformazione nella famosa e celebre mozzarella di bufala campana a denominazione di origine protetta (DOP) in ambito europeo (Regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996 relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all’articolo 17 del Regolamento CEE n. 2081/92 del Consiglio) (4).Lo sviluppo razionale di questo settore, nonché il miglioramento della produttività possono essere ottenuti avviando misure veterinarie intese ad una sempre maggiore tutela della salute dell’uomo e degli animali.Nel contesto di un’iniziativa di salvaguardia di produzioni tipiche e di valorizzazione dei c.d. prodotti di nicchia, la Legge n. 292/02 (3) detta disposizioni precise per il riconoscimento e la tutela della bufala mediterranea, nonché misure sanitarie volte a prevenire ed eradicare malattie a carattere diffusivo attraverso la realizzazione di piani regionali di profilassi, al fine di garantire la salvaguardia delle produzioni di filiera (tipicamente la mozzarella di bufala) e la salute del consumatore.Si tratta di norme che rispondono ad una duplice esigenza: 1) creare le premesse per un’adeguata tutela del produttore/consumatore garantendo elevati livelli qualitativi del prodotto da immettere sul mercato; 2) assicurare il benessere animale. Le questioni legate al benessere animale sono integrate nella politica alimentare. Infatti, la salute ed il benessere degli animali da cui derivano prodotti alimentari è essenziale per la salute pubblica e la protezione dei consumatori. Alla luce di tali considerazioni, gli AA. analizzano le nuove disposizioni emanate in merito alla tutela della bufala mediterranea italiana e sottolineano che nella legislazione si deve tener conto dell’impatto sulla qualità e sicurezza dei prodotti di origine animale destinati al consumo umano.

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DISPOSIZIONI LEGISLATIVELa Legge n. 292/02 trova il proprio fondamento nella necessità di intervenire con una serie di misure finalizzate a tutelare “le caratteristiche genetiche della bufala mediterranea italiana dall’immissione incontrollata di capi esteri” che, per l’unicità del suo patrimonio genetico e per la specificità delle produzioni agroalimentari che ne derivano, è considerata, ai sensi dell’art. 1, comma 1, “patrimonio zootecnico nazionale”. A tal riguardo, va osservato che il principio di libera circolazione all’interno dell’Unione Europea non appare in alcun modo pregiudicato e l’esigenza della salvaguardia di tale specie animale è stata pienamente considerata dal Governo nella predisposizione del provvedimento, così come l’opportunità di comunicare preventivamente alla Commissione europea i piani straordinari di intervento previsti dall’articolo 1, comma 2.Il comma 1 dell’art. 1 prosegue affermando che il patrimonio bufalino italiano deve essere tutelato nei confronti di tutte le patologie infettive ed infestive, attraverso la predisposizione di piani di profilassi per la prevenzione e l’eradicazione delle malattie a carattere diffusivo.Il comma 2 consente alle regioni, per un periodo di sei anni, di elaborare, d’intesa con il Ministero della Salute ed anche in deroga alle normative sanitarie vigenti, piani straordinari di intervento per il risanamento delle malattie infettive del patrimonio bufalino. Detti piani possono includere le vaccinazioni come metodo profilattico.A tal riguardo, una disciplina temporanea, posta in deroga alla normativa sul risanamento obbligatorio dalla brucellosi degli allevamenti bovini e bufalini, adottata con il decreto interministeriale (Ministeri Sanità ed Agricoltura) 5 febbraio 1991, n. 84, predisponeva uno specifico piano di risanamento per gli allevamenti bufalini, in virtù del quale la macellazione obbligatoria degli animali riconosciuti sierologicamente positivi poteva essere eseguita gradualmente, secondo piani aziendali concordati con l’autorità sanitaria locale. La macellazione degli animali infetti si doveva concludere entro i sei anni dal primo controllo sierologico. Ulteriori disposizioni prevedevano la possibilità, per le sole vitelle tra i quattro e i sei mesi di età, di fare ricorso alla vaccinazione, da eseguirsi sotto controllo ufficiale ed a completamento di altre misure profilattiche.Oggi, gli allevamenti bufalini sono sottoposti alla disciplina concernente il piano nazionale per l’eradicazione della brucellosi negli allevamenti bovini, prevista dal Decreto Ministeriale 27 agosto 1994 n. 651, (2), in base alla quale i bovini in cui la brucellosi è stata constatata devono essere immediatamente isolati e macellati sotto controllo ufficiale non oltre trenta giorni dalla notifica al proprietario o al detentore (articolo 8). Il piano, inoltre, vieta (articolo 25) in via generale la vaccinazione, consentendola, tuttavia, in particolari situazioni epidemiologiche, nelle quali deve essere però assoggettata a specifiche autorizzazioni rilasciate dall’autorità regionale, previo parere conforme della Direzione Generale dei Servizi Veterinari del Ministero della Sanità.Il comma 3 specifica che la selezione genetica deve essere garantita a tutti gli allevamenti bufalini che ne fanno richiesta, anche nel caso in cui gli stessi siano interessati dall’applicazione di piani di intervento straordinari per l’eradicazione delle malattie infettive ed infestive.I commi 4, 5 e 6 stabiliscono norme di carattere finanziario derivanti dall’applicazione della legge stessa. In particolare, il comma 4 prevede un contributo dello Stato per l’attuazione dei piani straordinari di intervento da parte delle regioni, pari ad 1 milione di euro per l’anno 2002, da ripartire tra le regioni interessate, secondo i criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.Il comma 5 statuisce che le disponibilità, pari ad 1 milione di euro, necessarie alla copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento, saranno rinvenute nel “Fondo speciale” per l’anno 2002, utilizzando allo scopo l’accantonamento relativo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Considerazioni e ConclusioniAttraverso questa legge si vogliono mettere in evidenza due aspetti. In primo luogo, si vuole salvaguardare il patrimonio zootecnico e genetico della bufala mediterranea, soprattutto dall’immissione - a volte indiscriminata - di capi provenienti dall’estero e geneticamente non conformi alla razza mediterranea bufalina che, naturalmente, può comportare conseguenze negative dal punto di vista della produzione dei prodotti tipici. Pertanto, il riconoscimento della bufala mediterranea italiana quale patrimonio zootecnico rappresenta un passo avanti nella tutela dei prodotti tipici e delle razze autoctone. L’altro aspetto che emerge è rappresentato dal risanamento della popolazione bufalina. Infatti, l’importanza strategica della sanità animale è indispensabile per consentire all’Italia il conseguimento dello standard sanitario richiesto dall’U.E. per qualificare le produzioni ed assicurare la salute pubblica.Premesso che l’allevamento bufalino è tipico della Campania e del basso Lazio ed è presente marginalmente anche in Puglia, Basilicata e Sicilia (tabella 1), va segnalata una maggiore presenza di brucellosi umana nelle regioni meridionali (5,7), sicché, uno degli obiettivi primari è quello di eradicare questa malattia. In passato, uno dei metodi più utilizzati era il c.d. stamping out, cioè l’eliminazione dei capi infetti per arrivare ad ottenere che l’intera nazione fosse indenne da quella patologia. L’urgenza della promulgazione della Legge n.292/02 è derivata dal fatto che, oltre la Campania, che ha già messo in atto un piano per l’eradicazione della brucellosi bufalina (approvato con provvedimento della giunta regionale n.3527 del 20 luglio 2001), e le Marche (Decreto del P.G.R. n. 42 del 14 aprile 1999 – Attuazione del piano di risanamento della brucellosi bufalina per l’anno 1999 e successivi in esecuzione del D.M. 5 febbraio 1991 n.84 - pubblicato BUR Marche n.44 del 29 aprile 1999) anche le altre regioni in cui è presente un patrimonio zootecnico di bufale dovranno dotarsi di idonei piani per le finalità previste dalla presente legge. La Commissione Europea, con Decisione n. 598 del 15 luglio 2002 (1), che consente l’utilizzo di vaccini contro la brucellosi bovina nel quadro della Direttiva 64/432/CEE del Consiglio, autorizza gli Stati membri ad effettuare una serie di vaccinazioni per un intervento di risanamento dalle malattie infettive ed infestive anche per quanto riguarda la bufala mediterranea.

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In conclusione, alla luce di quanto sopra esaminato e ribadendo la rilevanza sanitaria, sociale ed economica della L. n. 292/02, ci si augura che vengano posti in essere sempre più efficaci sistemi di monitoraggio e di controllo sull’attuazione della stessa.

TESTI CONSULTATI1) Decisione n. 598 del 15 luglio 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. L 194 del 23/07/2002 pag. 0045 – 0046. 2) Decreto Ministeriale 27 agosto 1994 n. 651, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 26 novembre 1994.3) Legge 27 dicembre 2002, n. 292, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 02/01/2003.4) Regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. L 148 del 21/06/1996 pag. 0001 - 0010.5) Twisselmann B., 2002: “A patient with prolonged fever in Germany”. Eurosurveillance Weekly, Vol. 4, Issue 34.6) www.istat.it7) www.simi.iss.itT

abella 1 - Numero di animali presenti nel territorio italiano (da www.istat.it, modificata)

REGIONI N° CAPI

Italia nord-occidentalePiemonteLombardiaLiguria

598 (0.33%)4393 (2.41%)20 (0.01%)

ITALIA NORD-ORIENTALE

Trentino Alto AdigeVenetoFriuli Venezia GiuliaEmilia Romagna

24 (0.01%)1364 (0.74%)569 (0.31%)1179 (0.65%)

ITALIA CENTRALE

ToscanaUmbriaMarcheLazio

521 (0.29%)126 (0.07%)493 (0.27%)33518 (18.42%)

ITALIA MERIDIONALE

AbruzzoMoliseCampaniaPugliaBasilicataCalabria

58 (0.03%)489 (0.26%)130732 (71.85%)5604 (3.08%)547 (0.30%)169 (0.09%)

ITALIA INSULARESardegnaSicilia

984 (0.54%)563 (0.31%)

Totale 181951

157XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

ATTISABATO 24 MAGGIO 2003

I LIPOIDROPEROSSIDI NELLA TERAPIA DELLA MASTITE NELLA BOVINA DA LATTE LIPOHYDROPEROXIDES IN THE TREATMENT OF MASTITIS IN DAIRY COWS

Marusi A., Ubaldi A., Fusari A., Marasi G. ISOLAMENTO DI Streptococcuc canis IN LATTE DI BOVINE AFFETTE DA MASTITE Scatassa M.L., Lo Verde V., Caruso S., Cascio M.A., Caracappa S. SENSIBILITÀ NEI CONFRONTI DEGLI ANTIBIOTICI DI STAFILOCOCCHI ISOLATI

NEL LATTE DI CAPRE CON MASTITE SUBCLINICA Virdis S., Mureddu A., Campus M.G., Mazzette R., De Santis E.P.L CORRELATION AMONG THE CALIFORNIA MASTITIS TEST, THE SOMATIC CELLS

CONTENT AND THE HEALTH STATUS OF THE UDDER IN THE MEAT SHEEP Aliberti A., Alessi A., Decaro N., Daidone A, Orlandella B.M., Fisichella V., Buonavoglia D.

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I LIPOIDROPEROSSIDI NELLA TERAPIA DELLA MASTITE NELLA BOVINA DA LATTELIPOHYDROPEROXIDES IN THE TREATMENT OF MASTITIS IN DAIRY COWS

Marusi A.*, Ubaldi A.*, Fusari A.*, Marasi G.

*Dipartimento di Salute Animale – Università degli Studi di ParmaLibero Professionista – Parma

Prof. Aurelio Marusi – Dipartimento di Salute Animale – 0521902658 – [email protected]

RiassuntoL’olio ozonizzato può essere utilizzato nella terapia delle mastiti acute,croniche e subcliniche in lattazione e anche nella messa in asciutta, prima della profilassi con trattamento antibiotico in mammella. E’ stata utilizzata una miscela costituita da olio ozonizzato in quantità di 1,8 ml diluito in 500ml di soluzione fisiologica. Di questa miscela venivano usati 100 ml per ogni quarto mammario da trattare.La terapia era diversificata secondo la gravità della patologia mammaria e precisamente:1) nelle bovine che non presentavano segni clinici di mastite, ma solo un numero di cellule superiori alla norma (CMT+);2) nei casi di mastite acuta con gonfiore mammario e febbre da agenti infettivi;3) nei casi in cui la mastite si presentava con gonfiore mammario senza febbre;4) nelle bovine a fine lattazione con leucocitosi cronica o mastiti subcliniche da agenti infettivi.Sono state trattate n.400 bovine e precisamente 280 casi di mastiti acute e subacute e 120 a fine lattazione. L’uso degli oli ozonizzati si è dimostrato vantaggioso sia nel trattamento che nella profilassi della mastite. Inoltre considerato che fino a pochi anni fa l’ozono terapia era praticato solo con particolari macchine e con l’insufflazione di gas ozonizzato, oggi il trattamento delle mastiti con olio ozonizzato è risultato molto più pratico ed economico.

Introduzione L’ozono (O3) è la forma triatomica dell’ossigeno (O2).Dal punto di vista medico l’ozono è considerato nocivo in quanto con l’inquinamento dell’aria può causare un effetto tossico sulle vie respiratorie.Ma a dosi molto basse e limitate nel tempo l’ozono presenta un azione ossidante con una attività battericida e anche contro i virus (Burleson 1975; Mattassi 1985).Pertanto l’ozono terapia viene praticata oltre che nella medicina umana anche nei vari campi della medicina veterinaria (Scrollavezza et al. 1987).La somministrazione di ozono per essere efficace rende necessaria la sua produzione direttamente dall’ossigeno puro;considerata la notevole instabilità dell’ozono pertanto è necessaria la sua produzione ed utilizzo al momento della applicazione terapeutica mediante particolari apparecchi. L’ozono ha una particolare affinità verso gli acidi grassi,in particolare insaturi; facendo assorbire e legando l’ozono a diversi oli, si ottengono oli ozonizzati ricchi di lipoidroperossidi.Questi oli, se conservati in contenitori di vetro o plastica scuri e a temperatura di 4-5° C, possono rimanere stabili per lungo tempo mantenendo la loro azione antisettica.Vista la difficoltà ed il tempo necessario per l’applicazione dell’ozono terapia direttamente in azienda in campo buiatrico, noi da qualche anno utilizziamo gli oli ozonizzati, già da tempo in commercio, oltre che nelle patologie uterine (Marusi et al.1999-2000) anche nella terapia delle mastiti. Trattiamo mastiti acute, croniche e subcliniche in lattazione e anche nella messa in asciutta, nelle bovine a fine lattazione, prima della profilassi con trattamento antibiotico in mammella..Materiali e metodiNormalmente utilizziamo una miscela costituita da olio ozonizzato in quantità di 1,8ml diluito in 500 ml di soluzione fisiologica.Di questa miscela vengono usati 100 ml per ogni quarto mammario da trattare. La terapia è diversificata secondo la gravità della patologia mammaria e precisamente:1) nelle bovine che non presentano segni clinici di mastite ma solo un numero di cellule superiori alla norma (CMT+) vengono praticati 2 trattamenti post mungitura, a distanza di 24 ore;2) nei casi di mastite acuta caratterizzata da gonfiore mammario e febbre da agenti infettivi, vengono effettuati sempre 2 trattamenti post mungitura, uno ogni 24 ore, con olio ozonizzato in mammella associati a una terapia antibiotica i.m.Se il gonfiore mammario è elevato alla terapia antibiotica viene associata anche una terapia antinfiammatoria tipo FANS i.m.3) Se la mastite si presenta con gonfiore mammario senza febbre, le bovine vengono trattate solo con la miscela di olio ozonizzato una volta al giorno per due giorni; se l’edema mammario è notevole alla miscela di olio ozonizzato vengono aggiunti anche 5 ml di desametasone.4) Alle bovine al termine della lattazione con leucocitosi cronica o mastiti subcliniche da agenti infettivi tipo Streptococcus Agalactiae o Staphylococcus Aureus, vengono iniettati 100 ml di miscela di olio ozonizzato per quarto per due volte,una ogni 24 ore, quindi accertato che all’ultima mungitura non si presentassero alterazioni nel latte, viene praticata la profilassi della mastite con l’utilizzo di tubetti di antibiotico a largo spettro.Sono state trattate complessivamente n.400 bovine; precisamente n 280 casi di mastiti acute e subacute e n 120 a fine lattazione Risultati e considerazioniDei 280 casi di mastiti trattate in lattazione, 60 sono state considerate patologie acute; di queste 46 hanno presentato una buona risposta alla terapia con completa guarigione dopo 2 trattamenti con olio ozonizzato; mentre nelle rimanenti 14 bovine trattate si è ottenuta solo una parziale guarigione,pur avendo ripetuto il trattamento.

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Nelle 220 bovine che presentavano mastiti subcliniche, caratterizzate da leucocitosi elevate,(CMT +++, oltre 1 milione di leucociti nel latte), con 2 trattamenti con olio ozonizzato, abbiamo ottenuto buoni risultati: una notevole diminuizione delle cellule con meno di 400.000 leucociti/ml. in 182 casi.Nelle rimanenti 38 bovine che non hanno presentato risultati significativi nella mammella si rilevavano noduli e all’esame batteriologico è risultata una infezione da Staphylococcus Aureus.Delle 120 bovine trattate a fine lattazione con olio ozonizzato e successivamente con pomate di antibiotici in quanto risultate affette da elevata leucocitosi o mastiti subliniche, 115 hanno presentato un regolare inizio di lattazione post partum con una normale secrezione lattea. Solo 5 capi sono stati eliminati dopo il parto in quanto presentavano ancora segni di mastite subclinica e scarsa produzione lattea.

DiscussioneSia nelle bovine affette da mastiti acute che in quelle con mastiti subcliniche abbiamo osservato una significativa reazione mammaria al trattamento con olio ozonizzato; oltre alla diminuizione dell’indurimento edematoso della mammella ed un ritorno alla sua normale elasticità, si evidenziava anche un ritorno alla buona qualità e produzione del latte senza la presenza di fiocchi o masse filamentose. Il ritorno alla normalità della ghiandola mammaria è accelerato dagli oli ozonizzati in quanto i lipoidroperossidi si legano ai lipidi del latte e aumentano così la loro efficacia diffondendosi nel tessuto mammario con la secrezione lattea.La terapia della mastite con miscela di olio ozonizzato ha dimostrato,pertanto, una buona efficacia essendo attiva contro una buona parte degli agenti patogeni mammari.Con gli antibiotici non sempre si ha una terapia efficace, poiché possono crearsi situazioni di antibiotico resistenza.La terapia della mastite solo con oli ozonizzati nei casi in cui non si sia reso necessario l’uso associato di antibiotici consente l’utilizzo del latte sia per uso industriale che per l’alimentazione umana subito dopo il ritorno alla normalità della produzione lattea, senza il divieto di uso del latte per almeno 5 giorni dopo il trattamento.

ConclusioniIn conclusione possiamo affermare che nella gestione economica di un allevamento di bovine da latte si deve tener conto anche dei costi dei trattamenti sanitari, pertanto l’uso di oli ozonizzati nel trattamento e nella profilassi delle mastiti è oggi sicuramente vantaggioso. Non solo si ha una notevole diminuizione nel tempo di sospensione dell’utilizzo del latte con il ritorno alla normalità della mammella rispetto agli antibiotici ma, cosa non ultima, si ha una diminuizione della spesa sanitaria, in quanto gli oli ozonizzati hanno un costo inferiore agli antibiotici. Fino a pochi anni fa l’ozono terapia era praticata con una particolare macchina (Ozone Generator-Output Range 0-150μg/ml) che consentiva la insufflazione di gas ozonizzato a differente concentrazione secondo il tipo di mastite. Considerato il tempo occorrente per la terapia ed il costo dell’apparecchio si capisce perché,nonostante i vantaggi sulla salute animale, l’ozono terapia è stata finora poco praticata.Oggi, invece, il trattamento delle mastiti con l’uso di olio ozonizzato è molto più pratico ed economico.

BibliografiaBurleson G.R., Murray T.M., Pollard M.(1975)-Inactivation of viruses and bacteria by ozone with and without sonication. Appl.Microbiol.29,340.Marusi A., Allegri M., Marasi G.,Orsi G., Ubaldi A.(1999)- I lipoidroperossidi nella profilassi e terapia della metrite e nel miglioramento della fertilità nella bovina da latte. Atti Soc. It. Buiatria XXXI,219.Marusi A., Ubaldi A., Fusari A., Marasi G., Islenghi F.(2000)- Haptoglobin response in dairy cow metritis treatment with lipohydropexides.XXI Congress World Bujatrics. Uruguay. Mattassi R.(1985)-Ozonoterapia. Org.Edit.Med.Ferm.Milano.Scrollavezza P., Ablondi M., Pogliacomi B.,Guareschi D., Dall’Aglio R., Poldi R.,Pezzoli G.(1997)- Ozone treatment in mastitis, metritis and retention of fetal membranes in the dairy cow. Havana,Cuba. 1997

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ISOLAMENTO DI STREPTOCOCCUC CANIS IN LATTE DI BOVINE AFFETTE DA MASTITE

Scatassa M.L., Lo Verde V., Caruso S., Cascio M.A., Caracappa S.

Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A Mirri”- Palermo

RiassuntoGli Autori descrivono un caso di mastite con isolamento di Streptococcus canis in un allevamento di Frisone di circa trenta capi.Diverse bovine presentavano, da circa sei-otto mesi, casi di mastite resistente ai trattamenti antibiotici; le analisi del latte, effettuate nel maggio 2002, hanno evidenziato circa il 60% di soggetti con elevato tenore in cellule somatiche (SCC) e presenza di Streptococcus canis in cinque capi.In vitro, lo Streptococcus canis si dimostrava resistente a diversi antibiotici e sensibile a tetraciclina, cefalexina e amoxicillina + ac. clavulanico; è stato prescritto un rigoroso rispetto delle norme igienico-sanitarie e il trattamento antibiotico di tutti gli animali che presentavano un aumento in SCC nonché un corretto trattamento antibiotico su tutti gli animali a fine lattazione.Si è proceduto ai trattamenti antibiotici e all’eliminazione della maggior parte delle bovine con mastite ricorrente, ma le misure di profilassi sono state attuate parzialmente e con discontinuità. Per il ripresentarsi di nuovi casi clinici, quest’anno sono stati effettuati ulteriori esami e, ancora una volta, in sette soggetti è stato isolato Streptococcus canis.Quanto riscontrato sembra confermare il possibile ruolo eziologico di Streptococcus canis nelle mastiti bovine, che può assumere carattere di persistenza e contagiosità, con conseguente difficile eradicazione. Non è stato possibile accertare l’origine dell’infezione, ma verosimilmente, per il suo mantenimento, risulta rilevante l’insufficiente applicazione delle misure profilattiche.

Summary-The Authors describe a case of mastitis in which Streptococcus canis has been isolated in some lactating among a group of thirty bovines raised in Sicily.Several cows exhibited – in the last six to eight months – cases of mastitis that did not respond to antibiotics. Analysis of their milk, in May 2002, showed that approximately 60 % of the bovines had a high count of somatic cells (SCC) while Streptococcus canis was present in five cases.In vitro, the Streptococcus canis was resistant to several antibiotics and showed sensitivity to tetracycline, cefalexine and amoxicilline combined with clavulanic acid; the recommended treatment consisted in a strict hygienic regimen as well as the proper use of antibiotics for all bovines that presented a high SCC at the end of lactation.The cattle farmer did administer the antibiotics and proceeded to eliminate some of the affected bovines but the hygienic procedures were applied partially only and without continuity. Because of the recurrence of more clinical cases, new tests were completed in the first months of 2003. Again Streptococcus canis appeared in seven cases. These findings seem to confirm the possible role of Streptococcus canis as pathogen for bovine mastitis both persistent and contagious and therefore very hard to eradicate. It was not possible to ascertain the origin of the infection but an insufficient regimen of prophylactic measures seems to have a big impact in the failure of eliminating mastitis.

Introduzione La mastite bovina, dalle forme sub-cliniche a quelle croniche, rappresenta un problema significativo nell’ambito dei singoli allevamenti con ripercussioni anche notevoli sull’economia aziendale.Nell’ambito dell’attività di supporto tecnico e diagnostico agli allevamenti svolta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, sono stati riscontrati, in un piccolo allevamento bovino in provincia di Caltanissetta, diversi casi di mastite clinica e sub clinica con ripetuti isolamenti di Streptococcus canis, patogeno normalmente responsabile di infezioni su cani e gatti (Ling G.V. e Ruby A.M., 1978; Biberstein E.L. et al., 1980; Clemetson L.L. e Ward A.C., 1990).A fronte dell’estrema rarità delle segnalazioni bibliografiche a riguardo (Kamburov G. e Mekhandzhiiska L., 1979; Bergner-Rabinowitz S. et al., 1981; Watts J.L. et al., 1984; Devriese L.A. et al., 1986; Devriese L.A. et al., 1989) gli autori hanno ritenuto interessante segnalare il caso nella sua evoluzione dal maggio 2002 al maggio 2003.

Materiali e metodi Lo studio, condotto in un’azienda cerealicolo-zootecnica della Sicilia centrale, ha interessato 33 bovine di razza Frisona, allevate a stabulazione libera e alimentate a base di concentrati, fieno, insilato di sulla, e paglia prodotti in azienda; nel periodo primaverile-estivo gli animali si alimentano su prati-pascoli aziendali e la razione giornaliera è integrata con mangime. Il concentrato viene somministrato durante le due mungiture giornaliere sulla base della produzione di latte di ciascuna bovina. L’azienda è dotata, dal dicembre 2001, di sala di mungitura a posta fissa mentre in precedenza veniva utilizzato un impianto di mungitura mobile a secchio.Le caratteristiche costruttive dell’azienda ed il tipo di allevamento e di alimentazione consentono possibili contatti delle bovine con cani randagi, inoltre durante il periodo considerato sono stati accolti in allevamento due cuccioli che vivono a stretto contatto con le bovine.La ricerca ha avuto inizio nel maggio 2002 a seguito della segnalazione da parte dell’allevatore del manifestarsi, da circa 7-8 mesi, di frequenti e spesso persistenti casi di mastite, resistenti alle terapie effettuate (tetracicline, ampicillina + cloxacillina, rifampicina, sulfamidico + trimetoprim, cefalexina).Durante il corso dell’indagine, condotta sino al maggio 2003, sono stati effettuati ripetuti campionamenti di latte sui capi in lattazione, in relazione alla stagione produttiva e all’insorgenza di nuovi casi. I campioni sono stati prelevati da tutti i

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quarti, dopo aver lavato ed asciugato la mammella, eliminando i primi getti di latte. Tutti i campioni, sono stati trasportati a + 4°C presso il Centro Latte dell’IZS di Palermo e, entro le 6 ore dal prelievo, sottoposti alla conta delle cellule somatiche (SCC) in citometria di flusso. All’inizio della ricerca, nei campioni con valori superiori a 300.000 cellule/ml, si è proceduto all’esame microbiologico per l’isolamento e la tipizzazione dei germi mastidogeni mediante semina su piastre di AS, MSA e TKT; successivamente tale procedura è stata estesa a tutti i campioni. Sono stati effettuati, inoltre, alcuni campionamenti di latte di massa sottoposti ai controlli quali-quantitativi di routine ed ai medesimi esami microbiologici. Nel febbraio 2003 è stato condotto un approfondimento delle indagini microbiologiche prelevando dai due cani presenti in stalla (età circa 8-10 mesi) tamponi nasali, gengivali, auricolari e vaginali e campioni di urina. Sui patogeni isolati è stato condotto l’antibiogramma secondo la tecnica di Kirby Bauer.

RisultatiNella tabella 1 e 2 è riportata la valutazione dello stato sanitario delle bovine sulla base del contenuto in SCC prima e dopo l’immissione dei nuovi capi. In particolare viene riportato nelle colonne 4 e 5 il numero dei capi e dei relativi quarti che mostravano un valore in SCC elevato.Dall’indagine microbiologica volta all’isolamento di agenti mastidogeni è stata ripetutamente riscontrata la presenza di uno streptococco β-emolitico, appartenente al gruppo G di Lancefield ed identificato come Streptococcus canis in base alle prove biochimico-enzimatiche (lattosio, ribosio, salicina, ADH e β-galattosidasi positivi; mannitolo, raffinosio, sorbitolo, trealosio, ippurato, VP e β-glucuronidasi negativi).Nelle tabelle 3 e 4 sono riportati rispettivamente i dati relativi agli isolamenti di Streptococcus canis e stafilococchi coagulasi negativi dai singoli animali e dai quarti mammari.

Tab. 1 – Valutazione dello stato sanitario delle bovine in lattazione sulla base del contenuto in CSS del latte

Mese di prelievo

Capi presenti

Capi saggiati

Capi con cellule somatiche

>300.000/ml

N. totale di quarti appartenenti a bovine con CSS >300.000/ml

N. di quarti con cellule somatiche

>300.000/ml

Numero medio di quarti con cellule

somatiche >300.000/ml per capo

Maggio2002 33 24 14 (58,3 %) 53 38 2 - 3

Luglio2002 33 32 24 (75%) 92 32 1 - 2

Tab. 2 – Valutazione dello stato sanitario delle bovine in lattazione sulla base del contenuto in CSS del latte dopo l’immissione dei nuovi capi.

Mese di prelievo

Capi presenti

Capi saggiati

Capi con cellule

somatiche >300.000/ml

N. totale di quarti

appartenenti a bovine con CSS >300.000/ml

N. di quarti con cellule somatiche

>300.000/ml

Numero medio di quarti con

cellule somatiche >300.000/ml per

capo

Gennaio2003 27 24 13 (54,1 %) 48 25 2

Febbraio- Marzo2003

27 26 17 (65,4 %) 63 31 2

Maggio 2003 30 21 13 (61.9 %) 50 20 1 - 2

Tabella 3 - Isolamento di Streptococcus canis

Mese di prelievo Capi saggiati Isolamento Streptococcus canis Capi Isolamento Streptococcus canis Quarti

Maggio 2002 24 5 6

Luglio 2002 32 1 2

Gennaio 2003 24 3 3

Febbraio-Marzo 2003 26 7 10

Maggio 2003 21 3 6

163XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 4 – Isolamento di stafilococchi coagulasi negativi (SNC)

Mese di prelievo Capi saggiati Capi positivi SNCQuarti positivi

SNC

Quarti positivi SNC con SCC > 300.000/ml

Quarti positivi SNC con SCC < 300.000/ml

Maggio 2002* 24 4* 6* 6* --

Luglio 2002* 32 17* 32* 27* 5*

Gennaio 2003 24 24 56 23 33

Febbraio - Marzo 2003

26 18 47 17 30

Maggio 2003 21 16 22 7 15

* Nel mese di maggio le indagini microbiologiche sono state effettuate solo sui campioni di latte con SCC >300.000/ml, nel mese di luglio sui capi in cui almeno un quarto presentava SCC >300.000/ml

Discussione e conclusioni Dal complesso degli accertamenti svolti risulta un’alta percentuale di capi con SCC elevate, a testimonianza di condizioni di generale sofferenza dell’apparato mammario. S. canis è stato ripetutamente isolato, a fronte di un’assenza di altri streptococchi tipicamente mastidogeni (S. agalactiae e S. dysgalactiae) e di un unico isolamento di Staphylococcus aureus in un singolo quarto. Discretamente presenti, inoltre, stafilococchi coagulasi negativi isolati sia in quarti con SCC >300.000/ml sia inferiori.Dopo i primi isolamenti, avvalendosi dei risultati forniti dall’antibiogramma, che evidenziava una sensibilità in vitro a Tetraciclina, Cefalexina e Amoxicillina associata ad acido Clavulanico, è stato consigliato all’allevatore di effettuare un’idonea terapia con Amoxicillina+Acido Clavulanico su tutti i soggetti con SCC elevate nonché un corretto trattamento antibiotico su tutti gli animali a fine lattazione. Contemporaneamente venivano prescritte rigorose misure di profilassi igienico-sanitaria al fine di limitare i rischi di infezione.Nel prosieguo delle indagini è stato accertato che le misure profilattiche e terapeutiche consigliate non erano state eseguite correttamente né su tutti gli animali con SCC elevate; in particolare due bovine sulle quali era stato isolato S. canis non sono state sottoposte a terapia. Dagli esiti delle analisi effettuate nel mese di luglio si ha motivo di ritenere, comunque, che anche per i pochi animali trattati la terapia non abbia dato esito soddisfacente.A seguito dei deludenti risultati ottenuti, l’allevatore ha provveduto nel mese di agosto ad eliminare parte (50%) delle bovine con tenore in SCC elevato, mantenendo però un soggetto sicuramente eliminatore di S. canis. Subito dopo il gruppo delle bovine da latte veniva reintegrato con l’acquisto di 7 giovenche e l’immissione di due manze di rimonta interna. Trascorsi circa 4 mesi, persistendo le medesime condizioni di allevamento, sono stati segnalati nuovi casi di mastite e nei mesi di gennaio, febbraio e maggio è stato nuovamente isolato S. canis da 7 soggetti.E’ da rilevare (come si evince in tabella 3) che la presenza di S. canis è stata ripetutamente riscontrata in più quarti appartenenti a singole bovine, in particolare nel mese di maggio 2003 da una delle giovenche acquistate è stato isolato S. canis in tre singoli quarti. La concentrazione del patogeno nel latte è risultata sempre elevata e gli isolamenti in purezza (solo in 4 casi si trovava in associazione a stafilococchi coagulasi negativi); nei mesi di luglio 2002 e febbraio 2003 è stato isolato anche dal latte di massa.I due cani presenti in allevamento, nonostante vivano a stretto contatto con le bovine e si alimentino anche con il latte prodotto dalle stesse, non hanno ad oggi mostrato sintomi clinici di malattia e le indagine microbiologiche condotte nel mese di febbraio non hanno consentito di dimostrare la presenza di S. canis nei vari campioni prelevati.Le indagini svolte non hanno permesso di accertare l’origine della malattia e le evidenti carenze nel management sanitario dell’allevamento non hanno consentito l’attuazione puntuale di protocolli terapeutici e di profilassi. Quanto riscontrato sembra confermare il possibile ruolo eziologico di Streptococcus canis nelle mastiti bovine, che può assumere carattere di persistenza e contagiosità con conseguente difficile eradicazione, in particolar modo in presenza di un management dell’allevamento non rispondente a corretti principi igienico-sanitari.

Bibliografia Ling G.V. e Ruby A.M. (1978) Aerobic bacterial flora of the prepuce, urethra and vagina of normal adult dogs. - Am.J.Vet.Res. 39:4, 695-698; Kamburov G. e Mekhandzhiiska L. (1979) Biochemical and serological studies of streptococci isolated from mastitic cows Nauchni-Trudove, - Vissh-Institut-po-Zootekhnika-i-Vet. Med. 26: 2, 131-136; Biberstein E.L., Brown C., Smith T. (1980) Serogroups and biotypes among beta-hemolytic streptococci of canine origin - J. Cl. Microbiol. 11:6, 558-561; Bergner-Rabinowitz S., Ferne M., Fleiderman S., Ziv G., Saran A.,Winkler M. (1981) Group G type X: a new antigenic combination in streptococci isolated from cases of bovine mastitis in Israel - Vet. Microbiol. 6:4, 383-387; Watts J.L., Nikerson S.C., Pankey J.W. (1984) A case study of streptococcus group G infection in a dairy herd - Vet. Microbiol. 9:6, 571-579; Devriese L.A., Hommez J., Clipper-Balz R., Schleifer K.H. (1986) Streptococcus canis sp. Nov.: a species of group G streptococci from animals - Int. J. Systematic Bacteriology 36: 3, 422-425; Devriese L., Ceyssens K., Hommez J., Vandermeersch R. (1989) Occurence of Streptococcus canis infection among dogs, and cats and cattle Vlaams-Diergeneeskundig-Tijdschrift 58:1, 11-13; Clemetson L.L. e Ward A.C., (1990) Bacterial flora of the vagina and uterus of healthy cats - J.A.V.M.A. 196: 6, 902-906.Ringraziamenti – Si ringraziano I Sigg. Pippo Bono, Augelo Iuculano e Giulio Verro per la preziosa collaborazione tecnica.

164 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

SENSIBILITÀ NEI CONFRONTI DEGLI ANTIBIOTICI DI STAFILOCOCCHI ISOLATI NEL LATTE DI CAPRE CON MASTITE SUBCLINICA

Virdis S., Mureddu A., Campus M.G., Mazzette R., De Santis E.P.L.

Sezione Ispezione degli Alimenti di O.A., Dipartimento di Biologia AnimaleUniversità degli Studi di Sassaritel 079 229453, fax 079 229458

e-mail: [email protected].

KEY WORDS: Antibiotic Susceptibility, MIC, Staphylococcus spp, Subclinical Mastitis, Goats’ milk

SummaryMinimum inhibitory concentrations were determined on 126 staphylococci strains (n=30 Staphylococcus aureus and n=96 coagulase-negative staphylococci) isolated from half-udder goats’ milk samples with high somatic cell count (>3x105/ml) and positive bacteriological analysis (>500 cfu/ml). In vitro antibiotic susceptibility of staphylococci was determined by microdilution method (NCCLS, 1999a) and then compared to the breakpoints of ampicillin (AMP), cephalothin (KF), cefoperazone (CFP), cloxacillin (OB), novobiocin (NV), ofloxacin (OFX), oxitetracycline (OT) and vancomycin (VA). The MIC

90 for these antimicrobial agents were 2.0, 0.25, 4.0, 1.0, 0.5, 1.0, 16 and 4 μg/ml, respectively. More than 96%

or over of the isolated strains were susceptible to all antimicrobial agents tested, with the exception of AMP (71.4%) and OT (89.7%). Multiple resistance was detected on 10 strains. CNS displayed greater antibiotic resistance than Staphylococcus aureus vs AMP, OB, NV, OFX.

IntroduzioneIl diffondersi dell’antibiotico resistenza tra i microrganismi patogeni per l’uomo e per gli animali rappresenta una delle principali problematiche sanitarie degli ultimi anni (Gnanou J.C. et Sanders P., 2000). La selezione o l’emergenza di microrganismi antibiotico-resistenti può avvenire in ambito prettamente nosocomiale o negli allevamenti zootecnici. Da questi ultimi può verificarsi una ulteriore disseminazione nell’ambiente e lungo la catena alimentare, attraverso i prodotti di origine animale (MAFF, 1998). A tale proposito, riveste particolare interesse la valutazione dei fenomeni di resistenza nei confronti degli antibiotici da parte degli agenti di mastite, clinica e subclinica (Guérin-Faublée V. et Brun Y., 1999). Da tali patologie nella capra è frequente l’isolamento di microrganismi del genere Staphylococcus (Bergonier et al., 1998), rappresentati principalmente da Stafilococchi Coagulasi Negativi (55%-95,2%) e da S. aureus (2,6%-37,3%). Le ricerche sulle caratteristiche di sensibilità di Staphylococcus spp. isolati in casi di mastite subclinica (MSC) della capra sono limitate (Adegoke G.O. et al., 1982; Bedidi-Madani N. et al., 1992), mentre la maggior parte dei dati si riferisce alla specie bovina (McDonald J.S. et al, 1981; Mackie D.P. et al., 1988; Owens W.E. et al., 1988; Trinidad P. et al., 1990; Perrin-Coullioud I. et al., 1991; Watts J.L. et al., 1995; Fthenakis G.G., 1998; Salmon S.A. et al., 1998; Busato A. et al., 2000; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). Gli studi sulla sensibilità di tali patogeni sono stati condotti prevalentemente con il metodo Bauer-Kirby (Wray C. et Gnanou J.C., 2000) piuttosto che mediante microdiluizione in brodo o diluizione in agar (NCCLS, 2000), tecniche che consentono la diretta valutazione della Concentrazione Minima Inibente (MIC). La valutazione della sensibilità dei microrganismi del genere Staphylococcus spp. isolati in mastiti subcliniche della capra riveste interesse per la scelta dell’antibiotico da somministrare per via endomammaria in asciutta. Tale pratica terapeutica si è dimostrata infatti efficace nei confronti delle mastiti subcliniche dei piccoli ruminanti ed è sempre più diffusa negli allevamenti (Poutrel B. et al., 1997; De Santis E.P.L. et al., 2001). I risultati ottenuti consentiranno inoltre di valutare la diffusione di microrganismi con antibiotico-resistenza singola o multipla negli allevamenti caprini.

Materiali e metodiLa ricerca è stata condotta su n. 126 ceppi appartenenti al genere Staphylococcus isolati in campioni di latte di capre di razza sarda e sarda-maltese, allevate allo stato semi brado in n. 6 aziende situate in Sardegna. I microrganismi sono stati isolati in campioni di latte prelevati nella prima fase della lattazione da emimammelle che non presentavano segni clinici di mastite, nei quali l’analisi batteriologica aveva evidenziato la presenza di 5 o più colonie con caratteri macroscopici omogenei ed il contenuto in cellule somatiche (CCS) risultava >300.000/ml. I campioni di latte, prelevati sterilmente, venivano seminati (10 μl) su agar sangue (5%) e posti ad incubare per 48 - 72 ore a +37°C. La determinazione del CCS è stata effettuata mediante Fossomatic 360 (Foss Electric), secondo la metodologia descritta in precedenti lavori (Cosseddu A.M. et al., 1996). Nei confronti dei microrganismi isolati , mediante microdiluizione in brodo (NCCLS 1999a, 1999b), è stata determinata la MIC di 8 antibiotici (ampicillina, cefalotina, cefoperazone, cloxacillina, novobiocina, ofloxacina, oxitetraciclina e vancomicina), saggiati in concentrazioni comprese tra 0,06 e 128 μg/ml. Relativamente alle MIC di ciascuno dei chemioantibiotici sono state determinate la moda, il range, la MIC

50, la MIC

90 e definita la sensibilità,

rapportando i valori rilevati ai breakpoints di riferimento (NCCLS 1999, 2000).

Risultati e discussioneI microrganismi con caratteristiche riferibili alla famiglia Micrococcaceae (n. 126), appartenevano alle specie S. aureus (n. 30; 23,8%), S. caprae (n. 28; 22,2%), S. warneri (n. 18; 14,3%), S. simulans (n. 16; 2,7%), S. chromogenes (n.10; 7,9%), S. epidermidis (n. 6; 4,8). Altri ceppi, appartenenti alla specie S. equorum (n.=3) oppure a specie meno rappresentate (n. isolamenti =1) sono stati inclusi nel gruppo “altri SCN”. N.8 (6,35%) ceppi sono stati identificati esclusivamente a livello di genere (S. spp.). Il CCS/ml (media geometrica) nei campioni di latte dai quali sono stati isolati i microrganismi è risultato

165XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

3,4x106, con range compreso tra 369x103 e 15,8x106. Per ciascuno degli antibiotici saggiati vengono di seguito riportati ed analizzati i risultati dei test di microdiluizione. Ampicillina (AMP) - la MIC

50 era pari a

0,12 μg/ml, la MIC

90 2 μg/ml,

la moda 0,06 μg/ml e il range compreso fra 0,06 μg/ml e 16 μg/ml. Nei confronti dell’AMP n. 90 (71,4%) ceppi sono risultati sensibili e n. 36 resistenti (28,6%). L’AMP, nelle prove condotte in vitro, si è dimostrato il meno efficace tra gli antibiotici β-lattamici saggiati (tabella 1), contrariamente a quanto osservato in precedenti ricerche su ceppi isolati dalle capre (Adegoke G.O. et Ojo M.O, 1982). Dei ceppi resistenti la maggior parte era rappresentata dagli SCN (n. 35; 36,5%) mentre soltanto n. 1 apparteneva alla specie S. aureus (3,3%). La sensibilità nei confronti dell’AMP di Staphylococcus spp. era compresa tra il 66,6% e il 100% dei ceppi isolati da MSC dell’ovino (Burriel A.R., 1997; Fthenakis G.G., 1998; De Santis E.P.L. et al., 2000), mentre in isolati da MSC del bovino era del 31%-100% (Mackie D. P. et al., 1988; Trinidad P. et al., 1990; Umoh V.J. et al., 1990; Fthenakis G.G., 1998; Busato A. et al., 2000; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). Cloxacillina (OB) - la MIC

50 era 0,5 μg/ml, la MIC

90 1 μg/ml, la moda 0,25 μg/ml ed il range compreso tra ≤0,06 μg/ml

e ≥128 μg/ml. La OB, penicillinasi resistente, risultava efficace nei confronti del 96,8% degli isolati; n. 4 ceppi (3,2%) resistenti, appartenevano alle specie S. epidermidis (n.1), S. simulans (n.1), S. caprae (n.1) e altri SCN (n.1). Non sono disponibili in letteratura dati relativi alle MIC della OB nei confronti degli stafilococchi isolati da MSC della capra, mentre, in ceppi di provenienza ovina, la MIC

50 era compresa fra 0,12μg/ml-0,5 μg/ml, la MIC

90 0,5μg/ml-2 μg/ml e la sensibilità

compresa tra il 98,8% e il 100% (Burriel A.R., 1997; Fthenakis G.G., 1998; De Santis E.P.L. et al., 2000). In stafilococchi isolati da MSC del bovino tale valore era compreso tra il 96% e il 100% (Mackie D.P. et al., 1988; Trinidad P. et al., 1990; Fthenakis G.G., 1998; Busato A. et al., 2000; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). Cefalotina (KF) - la MIC

50 e la MIC

90 risultavano coincidenti (0,25 μg/ml), la moda e il range erano rispettivamente di 0,25 μg/ml e comprese tra 0,06 μg/ml e 128 μg/ml. Cefoperazone (CFP) - la MIC

50 e la MIC

90 erano rispettivamente comprese tra 2 μg/ml e 4 μg/ml, la moda

era di 2 μg/ml e il range compreso tra ≤0,06 μg/ml e 32 μg/ml. Nei confronti della KF e del CFP sono risultati sensibili rispettivamente il 98,4% e il 99,2% dei ceppi testati. I microrganismi resistenti alla KF erano rappresentati da S. aureus (n. 1), S. spp. (n. 1) e solamente n. 1 ceppo della specie S. simulans presentava sensibilità intermedia nei confronti di entrambi gli antibiotici. I risultati confermano l’eccellente efficacia delle cefalosporine nei confronti dei Gram positivi (Sanders C.C. e Sanders W.E., 1986). Altri autori hanno rilevato, in ceppi isolati da MSC dell’ovino, una sensibilità nei confronti del CFP compresa fra il 98,8% ed il 100% (Fthenakis G.G., 1998; De Santis E.P.L. et al., 2000), laddove nel bovino questa variava tra il 96 ed il 100% (Trinidad P. et al., 1990; Busato A. et al., 2000; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). La sensibilità dei ceppi isolati da MSC della capra nei confronti della KF era del 100% (Bedidi-Madani et al., 1992), compresa tra il 96% e il 100% in isolati bovini (Trinidad P. et al., 1990; Busato A. et al., 2000; Carnevali N. et Nocetti M., 2001) e tra il 70,56% e il 100% quando di provenienza ovina (Fthenakis G. G., 1998; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). Oxitetraciclina (OT) - la MIC

50 era 0,5 μg/ml, la MIC

90 16 μg/ml, la moda 0,25 μg/ml e il range compreso tra ≤0,06 μg/ml e ≥128 μg/ml.

N. 113 (89,7%) ceppi isolati sono risultati sensibili all’OT e n. 13 (10,3%) resistenti. Questi ultimi appartenevano alle specie S. caprae (n.2), S. epidermidis (n.1), S. aureus (n.5), S. warneri (n.1), S. spp. (n.2) e altri SCN (n.2). Le percentuali di sensibilità riscontrate in precedenti ricerche nei confronti dell’OT erano comprese tra il 10% e il 68,4% (Adegoke G.O. et Ojo M.O., 1982; Bedidi-Madani N. et. al., 1992) per i ceppi di provenienza caprina, tra il 78,3% e il 100% per gli isolati dall’ovino (Fthenakis G.G., 1998; Burriel A.R., 1997; De Santis E.P. L. et al., 2000) e tra il 66,6% e il 100% nel bovino (Mackie D.P. et al., 1988; Vecht U. et al., 1989; Trinidad P. et al., 1990; Busato A. et al., 2000; Fthenakis G.G., 1998; Carnevali N. et Nocetti M., 2001). Novobiocina (NV) - la MIC

50 era di 0,12 μg/ml, la MIC

90 0,5 μg/ml, la moda

0,06 μg/ml e il range compreso tra 0,06 μg/ml e 32 μg/ml. Il 95,2% degli isolati era sensibile a questo antibiotico. I ceppi novobiocina-resistenti appartenevano alla categoria “altri SCN” (n.6), erano rappresentati dalle specie S. equorum (n.3), S. gallinarum (n.1), S. chonii (n.1) e S. xylosus (n.1). La sensibilità nei confronti della NV riveste interesse soprattutto sotto il profilo tassonomico ed è specifica per gli SCN dotati di maggiore attività patogena (Deinhofer M. et Pernthaner A., 1995). Nei confronti di questo antibiotico la sensibilità degli SCN isolati da MSC era compresa tra l’81,9% e il 93,9% nei ceppi di provenienza ovina (Burriel A.R., 1997; De Santis E.P.L. et al., 2000) e tra l’83,4% e il 100% in quelli bovini (Trinidad P. et al., 1990; Owens W.E. et al., 1997). Vancomicina (VA) - la MIC

50 era di 2 μg/ml, la MIC

90 4 μg/ml, la moda 2 μg/ml e

il range compreso tra 0,06 μg/ml e 4 μg/ml. Tutti gli stafilococchi saggiati erano sensibili alla VA conformemente a quanto rilevato da altri autori (McDonald J.S. et al., 1981; Owens W.E. et al., 1988; Gutierrez L.M. et al., 1990; Bedidi-Madani N. et al., 1992; De Santis E.P.L. et al., 2000). Ofloxacina (OFX), la MIC

50 era di 0,5 μg/ml, la MIC

90 1 μg/ml, la moda

0,5 μg/ml e il range compreso tra ≤0,06 μg/ml e 32 μg/ml. Sono risultati sensibili n. 123 (97,6%) ceppi. I microrganismi resistenti e con sensibilità intermedia erano rappresentati rispettivamente da S. epidermidis (n.2) e S. caprae (n. 1). La sensibilità degli Stafilococchi isolati da MSC dell’ovino nei confronti dell’OFX era pari al 92,1% (De Santis E.P.L. et al., 2000). N. 10 ceppi (7,9%) presentavano resistenza multipla (tabella 2). Le specie contemporaneamente resistenti a due o più antibiotici erano: S. aureus (AMP-OT), S. equorum (AMP-NV), S. gallinarum (AMP-NV-OB), S. simulans (AMP-OB), S. warneri (AMP-OT), S. xylosus (NV-OT), S. spp. e n. 2 S. caprae (AMP-OT). N. 1 ceppo appartenente alla specie S. epidermidis ha dimostrato resistenza nei confronti di quattro differenti antibiotici (AMP-OB-OFX-OT).

ConclusioniI microrganismi del genere Staphylococcus isolati da casi di mastite subclinica della capra hanno dimostrato buona sensibilità nei confronti di tutti gli antibiotici saggiati, ad eccezione dell’ampicillina. Gli SCN presentavano sensibilità inferiore rispetto a S. aureus nei confronti dell’AMP (63,5% vs 96,7%), OB (95,8% vs 100%), OFX (97,9% vs 100%) e NV (93,7% vs 100%). Soltanto nei confronti dell’OT la frequenza di ceppi di S. aureus resistenti è risultata più elevata rispetto a quella degli SCN (16,7% vs 7,3%). E’ stata inoltre riscontrata resistenza multipla in n. 10 ceppi (7,9%), che in un caso (S. epidermidis), era relativa a quattro degli antibiotici saggiati (AMP-OB-OFX-OT). Il fenomeno dell’antibiotico resistenza pertanto è stato rilevato con maggiore frequenza negli SCN piuttosto che in S. aureus. Tuttavia è nota da tempo la possibile trasmissione interspecifica di tale resistenza tra i microrganismi del genere Staphylococcus mediante plasmidi e trasposoni (Lyon B.R. et Skurray R., 1987), che è indipendente dal grado di patogenicità. E’ stato infatti descritto il

166 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

trasferimento della resistenza da ceppi di SCN (S. epidermidis) a S. aureus (Jaffe H.W et al., 1980). L’antibiotico resistenza rilevata in microrganismi del genere Staphylococcus isolati da casi di mastite subclinica della capra, rappresenta un possibile rischio da considerare, non soltanto in relazione a risvolti clinici e terapeutici, ma anche per quanto concerne la sicurezza alimentare.

Tabella 1 - Ceppi Sensibili (S), Intermedi (I), Resistenti (R) e relative percentuali (%). MIC50

, MIC90

, moda e range delle MIC.

antibiotici n° S %S I %I R %R MIC50

MIC90

moda range

AMP 126 90 71,4 0 0,0 36 28,6 0,12 2 0,06 0,06 - 16

CFP 126 125 99,2 1 0,8 0 0,0 2 4 2 0,06 - 32

KF 126 124 98,4 1 0,8 1 0,8 0,25 0,25 0,25 0,06 - 128

NV 126 120 95,2 0 0,0 6 4,8 0,12 0,5 0,06 0,06 - 32

OB 126 122 96,8 0 0,0 4 3,2 0,5 1 0,25 0,06 - ≥128

OFX 126 123 97,6 1 0,8 2 1,6 0,5 1 0,5 0,06 - 32

OT 126 113 89,7 0 0,0 13 10,3 0,5 16 0,25 0,06 - ≥128

VA 126 126 100,0 0 0,0 0 0,0 2 4 2 0,06 - 4

AMP=Ampicillina; CFP=Cefoperazone; KF=Cefalotina; NV=Novobiocina.; OB=Cloxacillina; OFX=Ofloxacina; OT=Ossitetraciclina; VA=Vancomicina (Breakpoints NCCLS).

Tabella 2 - Resistenza multipla agli antibiotici: MIC (μg/ml) superiori ai breakpoints (NCCLS 1999, 2000)

specie AMP CFP KF NV OB OFX OT VAS. aureus 0,5 - - - - - 128 -S. caprae 2 - - - - - ≥128 -S. caprae 8 - - - - - ≥128 -S. epidermidis 8 - - - >128 8 ≥128 -S. equorum 2 - - 2 - - - -S. gallinarum 1 - - 4 4 - - -S. simulans 0,5 - - - 16 - - -S. spp 0,5 - - - - - 128 -S. warneri 1 - - - - - ≥128 -S. xylosus - - - 32 - - ≥128 -

BibliografiaA review of antimicrobial resistance in the food chain, A technical report for MAFF, July 1998.Adegoke G.O., Ojo M.O. (1982). Biochemical characterization of staphylococci isolated from goats. Vet. Microbiol., 7, 463-470.Bedidi-Madani N., Richard Y., Borges E., Lerondelle C. (1992). Identification and susceptibility to antibiotics of coagulase negative staphylococci isolated from goat milk. Rev. Méd. Vét., 143, 539-545.Bergonier D., Berthelot X., Romeo M., Contreras A., Coni V., De Santis E.P.L., Rolesu S., Barillet F., Lagriffoul G., Marco J. (1998). Frèquence des diffèrents germes responsables de mammittes cliniques chez les petits ruminants laitiers. 6th International Symposium on the Milking of Small Ruminants., Athens.Burriel A.R. (1997). Resistance of coagulase negative staphylococci isolated from sheep to various antimicrobial agents. Res. Vet. Sci., 63, 189-190.Busato A., Trachsel P., Schällibaum M., Blum J.W. (2000). Udder health and risk factors for subclinical mastitis in organic dairy farms in Switzerland. Preventive Veterinary Medicine, 44, 205-220.Carnevali N., Nocetti M. (2001). Indagine sulla sensibilità agli antibiotici di ceppi di S. aureus isolati da latte bovino in cinque anni. Atti della Società Italiana di Buiatria. Vol XXXII, 231-137.Cosseddu A.M., Spissu A., De Santis E.P.L., Mazzette R. (1996). Some microbiological causes of the increase of somatic cells in sheep milk. Proceedings of International Symposium Somatic Cells and milk of small ruminants. Wageningen Pers. Wageningen (the Netherlands).Deinhofer M., Pernthaner A. (1995). Staphylococcus spp. as mastitis-related pathogens in goat milk, Vet. Microbiol, 43, 161-166. De Santis E.P.L., Mencarelli A., Nieddu M.P., Farina S., Mazzette R., Sanna S., Virdis S. (2001). Efficacia della somministrazione endomammaria di cloxacillina benzatina per il trattamento delle infezioni intramammarie dell’ovino nel corso dell’asciutta. Large Animal Review., 7, 39-47.De Santis E.P.L., Virdis S., Mazzette R., Nieddu M.P., Farina S., Corona A. (2000). Sensibilità nei confronti degli antibiotici di stafilococchi coagulasi negativi isolati in mastiti subcliniche dell’ovino. Atti del XIV Congresso Nazionale S.I.P.A.O.C., 79-82.Fthenakis G.G. (1998). Susceptibility to antibiotics of staphylococcal isolates from cases of ovine or bovine mastitis in Greece. Small Rum. Res., 28, 9-13.Gnanou J.C., Sanders P. (2000). Antibiotic resistance in bacteria of animal origin: methods in use to monitor resistance in EU countries. International Journal of Antimicrobial Agents. 15, 311–322.Guérin-Faublée V., Brun Y. (1999). La résistance aux antibiotiques chez les staphylocoques d’origine animale. Revue Méd. Vét., 150, 299-312.

167XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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168 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

CORRELAZIONE TRA CALIFORNIA MASTITIS TEST, CONTENUTO IN CELLULE SOMATICHE E STATO SANITARIO DELLA MAMMELLA NELLA PECORA DA CARNE

CORRELATION AMONG THE CALIFORNIA MASTITIS TEST, THE SOMATIC CELLS CONTENT AND THE HEALTH STATUS OF THE UDDER IN THE MEAT SHEEP

Aliberti A.1, Alessi A.1, Decaro N.2, Daidone A.1, Orlandella B.M.1, Fisichella V.1, Buonavoglia D.1

1)Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, sez. Malattie Infettive, Facoltà di Medicina Veterinaria - Messina2)Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria – Valenzano (Bari)

RiassuntoE’stata condotta una ricerca su 102 pecore da carne al fine di valutare la correlazione tra il California Mastitis Test (CMT) ed il Contenuto delle Cellule Somatiche (CCS) in corso di mastite.La ricerca è stata condotta su circa 2400 campioni di latte, prelevati settimanalmente durante tutto il periodo di allattamento dell’agnello (12 settimane).Su ogni campione è stato effettuato l’esame batteriologico, il CMT e la conta delle cellule somatiche.I risultati ottenuti permettono di affermare che, in base allo stato sanitario della mammella valutato con l’esame batteriologico, il numero delle cellule somatiche è correlato in maniera significativa con gli scores del CMT (P<0.025).

SummaryA research on 102 meat sheep was carried out to evaluate the correlation between the California Mastitis Test (CMT) and the Content of Somatic Cells (SCC) in the presence of mastitis. The research was based on analysis of about 2400 milk samples, collected weekly throughout the lactation period of the lambs (12 weeks). Each sample was tested by bacteriological examinations, by the CMT and by evaluation of the SCC. The results obtained allow us to observe that, on the basis of the health status of the udder, evaluated by the microbiological examinations, the number of somatic cells is significantly related to the CMT scores (P<0.025).

IntroduzioneLe mastiti rappresentano un problema igienico-sanitario molto grave per l’allevamento della pecora da latte.Clinicamente le mastiti possono essere distinte in cliniche e subcliniche e, se da una parte le mastiti cliniche, responsabili di ingenti perdite economiche per la morte degli animali e per l’eliminazione prematura dei soggetti colpiti, si sono ridotte notevolmente, quelle subcliniche possono interessare anche il 25-35% dei capi in produzione (de la Crutz M. et al., 1994; De Santis E.P.L. et al., 1996). Queste, pur senza compromettere la vita e la carriera produttiva degli animali colpiti, alterando la composizione del latte prodotto, ne riducono la resa alla caseificazione e, nella pecora da carne, incidono negativamente sull’incremento ponderale dell’agnello (Ahmad G. et al., 1992; Fthenakis G.C. e Jones J.E.T., 1990; Keisler D.H. et al., 1992).Negli ultimi anni, numerosi Ricercatori hanno correlato lo stato sanitario della mammella nei piccoli ruminanti con il contenuto di cellule somatiche (CCS) nel latte prodotto (Bergonier D. et al., 1995), anche se un aumento sensibile del CCS, a volte, non deriva da cause infettive, ma fisiologiche quali l’età degli animali, il periodo della lattazione o, più semplicemente, per il sistema di mungitura adottato.Come per il bovino, anche per i piccoli riminanti è stato più volte suggerito di tracciare una linea guida che fissi alcuni standard igienico-sanitari per il latte prodotto; per quanto riguarda il parametro CCS, dopo avere più volte cercato di fissare il livello soglia, a tutt’oggi non esiste alcun valore di riferimento.Il CCS rappresenta un valido parametro per identificare episodi di mastite, anche se la sensibilità spesso si riduce in corso di mastite sostenuta da patogeni poco virulenti (Aliberti A. et al., 2002a; Aliberti A. et al., 2002b)Nella presente nota si descrive la correlazione tra contenuto di cellule somatiche, California Mastitis Test (CMT) e stato sanitario della mammella ai fini della diagnosi di mastite sub-clinica nella pecora da carne.

Materiale e MetodiAnimali - La ricerca è stata condotta su 102 pecore da carne, razza Bergamasca, durante l’intero periodo di allattamento dell’agnello (12 settimane). Gli animali appartenevano a 3 allevamenti (a, b, c) della Sicilia Nord-Orientale, alimentati prevalentemente con sottoprodotti agro-alimentari, integrati con mangime.Gli animali del gruppo sperimentale, sono stati scelti previo esame clinico della mammella e dello stato generale (Donovan G.A. et al 1992).

Protocollo sperimentaleCampioni – Complessivamente sono stati esaminati 2.448 campioni di latte. A partire dal terzo giorno post-partum, settimanalmente, da ogni singola emimammella degli animali del gruppo sperimentale sono stati prelevati campioni di latte per l’esame batteriologico, per la conta delle cellule somatiche e per la determinazione di altri parametri di laboratorio. Al momento della raccolta dei campioni di latte in provette sterili, i capezzoli venivano puliti con apposite salviettine imbevute di clorexidina.Esame batteriologico – L’esame batteriologico è stato effettuato secondo le indicazioni del National Mastitis Council (1999), utilizzando i seguenti terreni di coltura: Agar nutritivo al 5% di sangue defibrinato di montone, Agar Verde Brillante e Staphilococcus medium 110 (OXOID), in piastre di Petri, per la ricerca di Staphilococcus aureus, enterobatteri e Stafilococchi coagulasi negativi (SCN).

169XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Ogni piastra è stata seminata con 50μl del campione ed incubata a 37°C per 48 ore, valutando giornalmente lo sviluppo di colonie e considerando negative quelle piastre che non presentavano lo sviluppo di almeno 5 colonie morfologicamente omogenee. Ogni tipo morfologico di colonia è stato isolato e sottoposto a prove preliminari di identificazione, prima di procedere alla caratterizzazione biochimica mediante API-test (Bio-Meriéux, Francia).Cellule Somatiche – La conta delle cellule somatiche è stata effettuata con Fossomatic (metodo fluoro-opto-elettronico) su campioni di latte (50 ml), addizionati con 100μl di azidiol alla concentrazione di 0.1ml/40ml.California Mastitis Test – A 2 ml di latte è stata aggiunta la stessa quantità di reattivo CMT (lauril-etere-solfato al 3% in H

2O distillata) e l’interpretazione dei risultati ha tenuto conto di uno score a cinque gradi (da 0 a 4) che, in base alle

caratteristiche assunte dalla miscela latte/reattivo, classificava il campione come negativo, traccia, debolmente positivo, positivo e molto positivo.Analisi statistica – I risultati ottenuti sono stati inseriti in database ed analizzati con programma Microsoft Excel 2000 con P<0.05

RISULTATI Duemilacentocinquantanove campioni esaminati, pari all’88%, sono risultati batteriologicamente negativi per tutta la durata della prova.Dai restanti 289 campioni, costantemente è stato possibile isolare microrganismi responsabili di mastite che, in accordo con le indicazioni del FIL/IDF (1999), sono stati classificati come patogeni maggiori (Staphylococcus aureus e Streptococchi emolitici) e patogeni minori (Stafilococchi coagulasi negativi, Micrococchi, Bacillus spp, Streptococchi non emolitici e Corynebacterium spp.) (grafico 1).

grafico 1:microrganismi isolati dalle emimammelle infette

Nella tabella 1 è riportata la relazione tra il CMT ed il contenuto di cellule somatiche, così che allo score zero di CMT corrisponde un valore medio di cellule somatiche di 73.772/ml-1, allo score 1 corrisponde un valore di 295.782/ml-1 e per gli scores 2, 3 e 4 corrispondono, rispettivamente, valori di 532.557, 1.899.177 e 5.641.840/ml-1. La correlazione tra CMT e CCS, valutata con il calcolo del r di Pearson, è risultata pari a 0.86 (P<0.025) (grafico 2), mentre l’analisi della varianza (ANOVA) ha rilevato una differenza altamente significativa (P<0.001) tra gli scores di CMT.

tab. 1: Analisi descrittiva scores del CMT.

CCSScores CMT

0 1 2 3 4

Media 73.772 295.782 532.557 1.899.177 5.641.840

E.S. 2.010 8.837 22.030 79.388 526.378

D.S. 51.423 157.340 172.062 620.046 3.722.057

Min. 12.000 73.000 278.000 754.000 2.686.000

Max 358.000 886.000 984.000 2.912.000 19.991.000

L.F. (95%) 3.945 17.387 44.067 158.801 1.057.796

graf. 2: correlazione tra CCS eCMT

Nella tabella 2 è riportata la distribuzione dei campioni in relazione al CMT ed allo stato sanitario della mammella, da dove si può evincere come la maggior parte dei campioni negativi abbia trovato collocazione negli scores zero, 1 e 2 di CMT. I campioni infetti da patogeni responsabili di mastite sub clinica (patogeni minori) si sono distribuiti nei cinque

170 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

scores di CMT, con una maggiore prevalenza negli scores 3 e 4, mentre i campioni infetti da patogeni maggiori si sono collocati solo negli scores 3 e 4 di CMT.

tab. 2: Distribuzione campioni in funzione di CMT, CCS e stato sanitario delle mammelle.

Score CMT 0 1 2 3 4

Media CCS 73.772 295.782 532.557 1.899.177 5.641.840

negativi 1.372 64% 668 31% 117 5% 2 = 0 =

patog. minori 20 9% 18 8% 15 7% 102 45% 71 31%

patog. magg = = = = 1 2% 27 43% 35 55%

graf. 3: Distribuzione dei campioni in funzione dell’IIM e CMT

ConclusioniI risultati dell’esame batteriologico confermano che la prevalenza di mastite sub-clinica negli animali da carne è compresa tra il 10% e il 15%. (Keisler D.H. et al., 1992).Come per la pecora da latte, anche per quella da carne, in corso di mastite, il parametro che maggiormente risente dello stato sanitario della mammella è il contenuto delle cellule somatiche. In base ai risultati ottenuti nella presente indagine, è emerso che esiste una correlazione significativa tra infezione mammaria e aumento delle cellule somatiche nel latte prodotto; pertanto, il parametro CCS, potendo indurre variazioni in aumento in corso di infezione mammaria, potrebbe essere preso in considerazione per la diagnosi di mastite. L’impiego del CMT per la diagnosi di mastite nella pecora, correlato con il CCS e con l’esame batteriologico del latte, ha fornito anch’esso risultati statisticamente significativi.La lettura del CMT è risultata particolarmente agevole quando i campioni esaminati si collocavano negli score 3 e 4 di CMT.Considerato che tutti i campioni di latte infetti da patogeni maggiori e la maggior parte di quelli infetti da patogeni minori si sono collocati negli scores 3 e 4 di CMT e che tutti i campioni batteriologicamente negativi non hanno superato lo score 2, si può tranquillamente affermare che il CMT, per la semplicità ed i tempi rapidi di esecuzione, nonché per i costi relativamente contenuti, può essere considerato un test valido per la diagnosi di mastite.Limiti riguardo alla specificità e alla sensibilità del test, il CMT li manifesta in corso di infezione sostenuta da microrganismi poco patogeni, tali da indurre un aumento del CCS relativamente basso (falsi negativi) e quando l’aumento delle cellule somatiche non deriva da cause infettive ma da fattori fisiologici (falsi positivi).

BibliografiaAhmad G., Timms L.L., Morrical D. G., Brackelberg P.O. – Dynamics and significance of ovine subclinical intramammary infections and their effects on lamb performance. – Sheep Res J 1992;8:25-29Aliberti A., Fisichella V., Alessi A., Tonante C., Costa R., Scatassa M.L., Buonavoglia D. - Cellule somatiche e California Mastitis Test nella diagnosi di mastite subclinica nella capra. - Atti XV Congresso Nazionale S.I.P.A.O.C, Chia Laguna, Cagliari, 2002a 11-14 settembre 2002, p. 17.

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daylew
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pagina bianca lasciata intenzionalmente

173XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

ATTISABATO 24 MAGGIO 2003

DIAGNOSI DI AGALASSIA CONTAGIOSA MEDIANTE UN TEST ELISA BASATO SU PROTEINE RICOMBINANTI

Zinellu S., Rosa N., Fusco M., Foddai A., Idini G., Chessa G., Rocca S., Ibba B., e Tola S*. VACCINAZIONE CONTRO IL MYCOPLASMA AGALACTIAE MEDIANTE UN VACCINO A DNA Rocca S., Fusco M., Idini G., Foddai A., Rosa N., Ibba B., Zinellu S., Chessa G., e Tola S. IDENTIFICAZIONE DEL MYCOPLASMA AGALACTIAE DAL MYCOPLASMA BOVIS

MEDIANTE POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR) Foddai A., Chessa G., Idini G., Fusco M., Rosa N., Ibba B., Zinellu S., Rocca S., e Tola S. ANALISI PREDITTIVA PER L’IDENTIFICAZIONE DI ALLEVAMENTI CON SOGGETTI

PERSISTENTEMENTE INFETTI DA VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV) Ciulli S., Ostanello F., Galletti E., Battilani M., Scagliarini A., Cazzoli M.,* Zocca A.*, Prosperi S. TEST DI WESTERN BLOTTING PER DIFFERENZIARE LE INFEZIONI DA BRUCELLA SPP. e YERSINIA ENTEROCOLITICA O:9 NEGLI OVINI Corrente M., Desario C. , Greco G., Madio A. , Scaltrito D. , Consenti B. e Buonavoglia D.

DUE FOCOLAI DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN BOVINI DEL SUD ITALIA Decaro N., Tinelli A., Cirone F., Pratelli A., Tempesta M., Buonavoglia C. ENTERITE NEONATALE DEI RUMINANTI DA ROTAVIRUS: IDENTIFICAZIONE DI UN

NUOVO SIEROTIPO VP4 NEL BUFALO Martella V., Terio V., Camero M., Campolo M., Cavaliere N., Cafiero M., Buonavoglia C. ABORTI OVINI E CAPRINI IN SARDEGNA RIFERITO A TOXOPLASMA GONDII, COXIELLA

BURNETII E CHLAMYDOPHILA ABORTUS : ANALISI DEL QUADRIENNIO 1999-2002 Tanda A., Porcu., Madau L., Gallisai E., Cillara G., Sanna S., Tola S., Masala G.

175XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DIAGNOSI DI AGALASSIA CONTAGIOSA MEDIANTE UN TEST ELISA BASATO SU PROTEINE RICOMBINANTI

Zinellu S., Rosa N., Fusco M., Foddai A., Idini G., Chessa G., Rocca S., Ibba B., e Tola S*.

*Istituto Zooprofilatto Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”, 07100 Sassari.

Riassunto In questo lavoro, il gene p80 del Mycoplasma agalactiae è stato inserito in “open reading frame” nel polylinker del plasmide pQE-30 (Qiagen). L’Escherichia coli, contenente il plasmide ricombinante, è stato fatto crescere in Luria Broth fino alla fase logaritmica di crescita e successivamente indotto per 18 ore con isopropyl-1-thio-β-D-galactoside (IPTG). La proteina, corrispondente al gene p80, è stata denaturata con Urea 8M, successivamente estratta con colonne di affinità all’acido nickel-nitrilotriacetico ed infine quantificata allo spettrofotometro a 750 nm. Piastre di polistirene a 96 pozzetti sono state sensibilizzate con 10 µg/pozzetto di proteina ricombinante in tampone carbonato-bicarbonato pH 9.6 a 4°C per 18 ore. Dopo vari lavaggi con PBS contenente Tween20, la piastra è stata incubata con i sieri di pecora provenienti da un’infezione sperimentale con M.agalactiae. Come controllo positivo si è utilizzato un siero di una pecora malata naturalmente. L’ELISA con la proteina ricombinante si è dimostrato un metodo rapido e sensibile per la diagnosi di agalassia contagiosa.

IntroduzioneL’agalassia contagiosa (a.c.) è una sindrome che colpisce i piccoli ruminanti ed è caratterizzata principalmente da mastite e secondariamente da artrite e cheratocongiuntivite. L’a.c. fece la sua comparsa in Sardegna nel 1980 in seguito all’introduzione di ovini portatori-eliminatori provenienti dalla Sicilia. In pochi anni la malattia ha colonizzato quasi tutta l’isola provocando danni economici molto rilevanti, quantizzati in circa 10-15 miliardi/annui (Leori, 1997). La diffusione dell’a.c. è dipesa da una serie di motivi legati, in prima istanza, all’alto numero di capi ovi-caprini presenti in Sardegna (3.5 milioni di capi, circa 1/3 del patrimonio nazionale) e all’altissima densità di animali/km2; in seconda istanza, alle caratteristiche strutturali dell’allevamento ovino in Sardegna (pascolo brado, transumanza, scambio di animali) e infine, in terza istanza, all’inadeguatezza delle misure di polizia veterinaria, diagnostiche e profilattiche. Per quanto riguarda la diagnosi, è stato messo a punto un sistema diagnostico basato sulla Polymerase Chain Reaction (PCR) in grado di evidenziare la presenza di M. agalactiae nel latte ovino in solo 5 ore (Tola et al, 1996, 1997). Risultati molto interessanti si sono conseguiti anche nella caratterizzazione genetica e proteica del M. agalactiae. L’analisi degli antigeni di membrana ha permesso di evidenziare 6 principali proteine immunodominanti. In particolare, la proteina di 80 kDa è presente in tutti i ceppi di M. agalactiae analizzati fin dai primi stadi d’infezione e potrebbe risultare un’ ottima candidata per l’allestimento di un sistema diagnostico basato su proteine ricombinanti..

Materiali E Metodi Estrazione del DNA dal ceppo di referenza- Il DNA è stato estratto dal ceppo di referenza PG2 utilizzando le metodiche descritte da Ausubel et al. (1992); mentre la concentrazione del DNA è stata determinata mediante lettura spettrofotometrica (Sambrook et al., 1989). PCR del gene ma-mp81- Due primers, contrassegnati con KpnI-F e HindIII-R, sono stati disegnati a partire dalla sequenza del gene p80 del M. agalactiae riportata in banca-dati sotto il numero di accesso X95628. Un μl di DNA totale di M. agalactiae è stato utilizzato in 25 μl di una reazione standard di PCR costituita da: 2.5 μl di buffer 10X (Roche), 2.5 μl di 50 mM MgCl2, 1 μl di primer reverse e forward alla concentrazione di 25 pmole/μl, 0.5 μl di 1.25 mM dNTP, 0.2 μl di 5 U/μl Taq polymerase (Roche) e 12.3 μl di H2O. Le reazioni di PCR sono state effettuate in un Thermal cycler 9700 della Applied Biosystems utilizzando i seguenti parametri: denaturazione iniziale a 95 °C per 5 min., 30 cicli di 1 min di denaturazione a 95 °C, 1 min di annealing a 52 °C e 1 min. di estensione a 72°C. Gli ampliconi sono stati fatti correre a 100 V in un gel di agarosio all’1% e visualizzati sotto i raggi ultravioletti in seguito ad una colorazione con bromuro di etidio. La banda è stata inoltre tagliata dal gel e purificata con il kit Concert Gel della Life Technologies. L’amplicone concentrato è stato tagliato con gli enzimi di restrizione in modo da renderlo compatibile ed in Open Reading Frame (ORF) con il plasmide pQE 30 (Qiagen).Purificazione del plasmide pQE 30 - Il plasmide pQE 30 (Qiagen) contenente l’inserto è stato inserito in cellule di Escherichia coli rese competenti a 2500V con l’elettroporatore. I ricombinanti di E.coli sono stati selezionati in piastre di Luria-agar contenenti ampicillina (100 µg/ml) e kanamicina (25 µg/ml). Una colonia ricombinante di E. coli, contenente il plasmide provvisto del gene di M. agalactiae, è stata fatta crescere a 37°C per 18 ore in Luria Broth contenente 1 mM isopropil-β -tio-galactoside (IPTG). Purificazione della proteina ricombinante- Il plasmide pQE 30 permette di produrre proteine ricombinanti legate ad una coda di sei istidine (His)6 in modo da facilitare il legame delle molecole ricombinanti e conseguentemente la loro purificazione mediante l’uso di colonne di affinità. Pertanto la brodocoltura indotta con IPTG è stata centrifugata a 6,000 rpm per 10 min e il pellet denaturato con 8M Urea. Dopo un’ulteriore centrifugazione a 10,000 rpm per 15 min, la proteina ricombinante, presente nel surnatante, è stata estratta con colonne di affinità all’acido nickel-nitrilotriacetico (Qiagen) ed infine quantificata allo spettrofotometro a 750 nm. Infezione sperimentale- Due pecore di razza sarda di circa cinque-sei anni di età, negative al M. agalactiae, sono state trasferite nel paddock dell’Istituto di Anatomia Patologica e Patologia Generale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Sassari. Il paddock e le attrezzature ivi inserite rispondevano al DLgs 116 del 27 gennaio 97 riguardante “ Attuazione della direttiva n° 86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali od altri fini scientifici”.L’acclimatamento alla stabulazione fissa è durato circa due settimane. Durante l’acclimatamento e tutta la prova di challenge, le pecore sono state alimentate con Unipellet della Martini Mangimi.

176 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Le due pecore negative sono state infettate con un pool di micoplasmi. Alla prima pecora controllo sono stati introdotti, per via intracanalicolare in entrambe le mammelle, 103 CCU di micoplasmi. Mentre alla seconda pecora controllo sono stati somministrati, sempre per via intracanalicolare, 107 CCU di micoplasmi. A queste 2 pecore infettate sono stati effettuati, quotidianamente, i prelievi termometrici e di sangue per una durata di 35 giorni. L’andamento anticorpale è stato valutato mediante immunoblotting.SDS-PAGE e immunoblotting- per l’elettroforesi delle proteine di micoplasmi sono stati utilizzati dei gel di acrilamide (8 o 12 %) contenenti lo 0.1% di SDS, secondo il metodo di Laemmli (1970).Dopo elettroforesi le proteine dei micoplasmi sono state trasferite su membrane di nitrocellulosa mediante un apparecchio Trans-Blot-semidry (Bio-Rad). Le membrane sono state saturate mediante incubazione per 2 ore a temperatura ambiente in PBS-2% di skim milk e poi incubate per 1 ora con i sieri provenienti dalle pecore trattate e con un antisiero positivo per M. agalactiae. Dopo diversi lavaggi in PBS-2% di skim milk, i blots sono stati incubati per 1ora a 37 °C con un siero anti-pecora coniugato con fosfatasi. Dopo vari lavaggi, i blots sono stati sviluppati con NBT/BCIP. La reazione è stata bloccata infine con acquaELISA con la proteina ricombinate- Piastre da 96 pozzetti di polistirene sono state sensibilizzate con 960 µg di proteina ricombinante in carbonato/bicarbonato pH 9.6 a 4°C per 18 ore. Dopo 5 lavaggi con un buffer salino (PBS, 0.1 M phosphate, 0.33 M NaCl, pH 7.4) contenente 0.1% Tween 20, le piastre sono stati incubate per 1 ora a 37°C con i vari sieri provenienti dall’infezione sperimentale e con un siero proveniente da una pecora malata naturalmente di agalassia contagiosa. Dopo ulteriori lavaggi con PBS e Tween 20, le piastre sono state incubate con un anticorpo anti-IgG di pecora coniugato con perossidasi. Dopo vari lavaggi, le piastre sono state sviluppate con o-pheniylenediamine/H2O2. La reazione è stata bloccata infine con 2N H2SO4.

Risultati e discussioneIn un lavoro precedente si è visto che le proteine immunogeniche del M. agalactiae sono lipoproteine e hanno un peso molecolare compreso tra 80 e 30 kDa (Tola et al., 1997). In particolare della proteina p80 è conosciuta sia la sequenza nucleotidica che aminoacidica.Nella prima parte di questo lavoro abbiamo, pertanto, amplificato una porzione da 1000 bp del gene ma-mp 81. Tale frammento è stato clonato in un vettore di espressione per la produzione di una proteina ricombinante provvisto di un tag di sei istidine (Figura 1, pannello A e B).Nella seconda parte del lavoro, abbiamo purificato la proteina ricombinante a partire dal ceppo di E. coli contenente il gene della proteina p80. Dopo aver fatto crescere i coli a 18 ore a 37 °C in 250 ml di terreno contenente IPTG, la proteina è stata purificata ed eluita dalle colonne di affinità della Qiagen. La concentrazione della proteina ricombinante è stata stimata in 1.5 mg/ml. Tale proteina è stata utilizzata per sensibilizzare delle piastre di polistirene. L’analisi mediante ELISA dei sieri provenienti dalle pecore infettate naturalmente ha dato dei risultati comparabili con l’immunoblotting con il vantaggio che il test ELISA rispetto all’immunoblotting è meno costoso. Ulteriori analisi dovranno essere condotte utilizzando i sieri provenienti da pecore malate naturalmente di agalassia contagiosa.

A BFigura 1.

Pannello A-Corsa elettroforetica su gel di SDS-PAGE delle proteine totali di E.coli contenente il plasmide con l’inserto di M. agalactiae. Linea O, coli non indotto; linea 1, coli dopo 30 min d’induzione con IPTG; linea 2, coli dopo 60 min d’induzione con IPTG; linea 3, coli dopo 90 min d’induzione con IPTG. Il marker caleidoscopico

è indicato con M.

Pannello B-Immunoblotting dei ceppi di E.coli con i sieri anti sei istidine. Da sinistra verso destra: M-marker caleidoscopico, O-ceppo di E.coli provvisto del gene p80 non idotto con IPTG, 1-2-3-E.coli dopo 30, 60, 90 min di induzione con IPTG.

177XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

BIBLIOGRAFIA- Ausubel F. et al., (1993) Current protocols in molecular biology. Wiley Interscience – Laemmli, UK. (1970) Nature 227: 680-685.- Leori et al., (1998) Mycoplasmas of ruminants:pathogenicity, diagnostics, epidemiology and molecular genetics. EUR 18018/COST, pp 98-101.- Sambrook J. et al. (1989) Cold Spring Harbor Lab.,N.Y.- Tola S. et al., (1997) FEMS Microbiol. Letters 154: 355-362. - Tola et al., (2001) FEMS Microbiol. Letters 202: 45-50.

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VACCINAZIONE CONTRO IL MYCOPLASMA AGALACTIAE MEDIANTE UN VACCINO A DNA

Rocca S*., Fusco M., Idini G., Foddai A., Rosa N., Ibba B., Zinellu S., Chessa G., e Tola S.

Istituto Zooprofilatto Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”, 07100 Sassari.*Tel:079-216914, Fax:079-219477, e-mail: [email protected]

RiassuntoPer questo lavoro si è preparato il seguente costrutto: nel plasmide pCMV-Script della Stratagene, contenente un’origine di replicazione ColE1 e la resistenza alla neomicina, si è inserito in “open reading frame” il gene p80 del Mycoplasma agalactiae. Un gruppo di 6 pecore adulte di razza sarda, sprovviste di anticorpi anti-M.agalactiae, è stato sottoposto a vaccinazione per via intramuscolo con 100 µg di plasmide. Il primo richiamo è stato effettuato a distanza di un mese sempre con 100 µg di plasmide mentre il secondo richiamo a distanza di un altro mese. L’andamento anticorpale è stato monitorato mediante immunoblotting.

IntroduzioneL’agalassia contagiosa (A.C.) è una delle malattie più serie tra quelle che colpiscono i piccoli ruminanti, considerata endemica nella maggior parte dei paesi mediterranei. Il principale agente eziologico è il Mycoplasma agalactiae.L’ A.C. ha fatto la sua comparsa in Sardegna nel 1980 nella provincia di Cagliari, presumibilmente in seguito all’Introduzione di ovini portatori-eliminatori provenienti dalla Sicilia (Leori, 1985). L’elevato numero di ovini e caprini presenti nell’isola, circa 1/3 del patrimonio nazionale, alcune condizioni strutturali dell’allevamento brado (pascolo in comune, scambio incontrollato di animali) e un’insufficiente adozione di misure di polizia veterinaria hanno determinato una diffusione pressochè incontrollata dell’infezione, con un danno economico stimato intorno ai 10 miliardi annui.Nei primi anni la malattia si è manifestata con una sintomatologia iperacuta e acuta (agalassia, mastite, cheratite, artrite) mentre negli ultimi anni si è osservata una progressiva attenuazione, e in alcuni casi la scomparsa, di sintomi come la cheratite e l’artrite a significare che la malattia, anche in Sardegna, va assumendo i caratteri della forma enzootica.Il controllo e l’eventuale eradicazione di questa malattia potrebbe essere fatto, oltre che migliorando le condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti, applicando test diagnostici rapidi e sensibili, terapie antimicrobiche mirate ed efficaci e producendo presidi immunizzanti in grado di bloccare la diffusione dell’A.C.Nello specifico, la conoscenza dei principali antigeni del M. agalactiae permetterebbe di realizzare dei test diagnostici sierologici e di sviluppare nuovi tipi di vaccini basati su definiti antigeni protettivi. Molte proteine immunogeniche del M. agalactiae sono state identificate e caratterizzate (Rosati et al., 1999; Tola et al., 2001). In particolare la lipoproteina p80 è non solo immunogenica ma risulta essere presente in tutti i ceppi di M. agalactiae a partire dai primi stadi d’infezione (Tola et al., 1997). Con il presente studio ci siamo prefissi di allestire un vaccino a DNA inserendo nel plasmide una porzione del gene ma-mp 81 e di somministrarlo ad un campione di pecore per analizzarne la produzione anticorpale.

Materiali e metodiCeppi utilizzati e condizioni di crescita. In questo lavoro è stato utilizzato il ceppo di referenza PG2 (Bga) del M. agalactiae. I micoplasmi sono stati messi a crescere in terreno di Hayflick modificato fino alla fase logaritmica di crescita e successivamente sottoposti a centrifugazione e lavaggio con un buffer salino (PBS, 0.1 M phosphate, 0.33 M NaCl, pH 7.4). Il pellet è stato utilizzato per l’estrazione del DNA. Estrazione del DNA dal ceppo di referenza. Il DNA è stato estratto dal ceppo di referenza PG2 utilizzando le metodiche descritte da Ausubel et al. (1992); mentre la concentrazione del DNA è stata determinata mediante lettura spettrofotometrica (Sambrook et al., 1989). PCR del gene ma-mp81. Due primers, contrassegnati con HindIII-F e EcoRI-R, sono stati disegnati a partire dalla sequenza del gene p80 del M. agalactiae riportata in banca-dati sotto il numero di accesso X95628. Un μl di DNA totale è stato utilizzato in 25 μl di una reazione standard di PCR costituita da: 2.5 μl di buffer 10X (Roche), 2.5 μl di 50 mM MgCl2, 1 μl di primer reverse e forward alla concentrazione di 25 pmole/μl, 0.5 μl di 1.25 mM dNTP, 0.2 μl di 5 U/μl Taq polymerase (Roche) e 12.3 μl di H2O. Le reazioni di PCR sono state effettuate in un Thermal cycler 9700 della Applied Biosystems utilizzando i seguenti parametri: denaturazione iniziale a 95 °C per 5 min., 30 cicli di 1 min di denaturazione a 95 °C, 1 min di annealing a 52 °C e 1 min. di estensione a 72°C. Gli ampliconi sono stati fatti correre a 100 V in un gel di agarosio all’1% e visualizzati sotto i raggi ultravioletti in seguito ad una colorazione con bromuro di etidio. La banda è stata inoltre tagliata dal gel e purificata con il kit Concert Gel della Life Technologies. L’amplicone concentrato è stato tagliato con gli enzimi di restrizione in modo da renderlo compatibile ed in Open Reading Frame (ORF) con il plasmide pCMV-Script.Purificazione del plasmide pCMV-Script.- Il plasmide pCMV-Script (Stratagene) contenente l’inserto è stato inserito in cellule di Escherichia coli rese competenti a 2500V con l’elettroporatore. Una colonia ricombinante di E.coli, contenente il plasmide provvisto del gene di M. agalactiae, è stata fatta crescere a 37°C per 18 ore in Luria Broth. Successivamente il plasmide è stato estratto e purificato con il Kit Endo-free (Qjagen). La determinazione della quantità di plasmide estratto è stata valutata allo spettrofotometro alla lunghezza d’onda di 260 nm.Animali da esperimento- Per questo lavoro sono state utilizzate 6 pecore di razza sarda di circa cinque-sei anni di età. Prima di iniziare il protocollo vaccinale, tutte le pecore sono state sottoposte a visita clinica preliminare per escludere patologie in

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atto o pregresse, soprattutto quelle a carico dell’apparato mammario.Per escludere qualsiasi contatto con micoplasmi, abbiamo analizzato campioni di latte, provenienti dalle mammelle destra e sinistra di ciascuna pecora, e campioni di siero. I campioni di latte sono stati analizzati mediante PCR mentre i sieri mediante immunoblotting.Protocollo vaccinale- Il protocollo vaccinale è stato articolato in modo da prevedere: una prima vaccinazione e un richiamo ad un mese dalla prima vaccinazione. In ogni fase abbiamo somministrato alle pecore per via intramuscolo, 100 µg di plasmide ricombinante. A partire dalla prima vaccinazione, abbiamo prelevato dei campioni di sangue alle pecore trattate. L’analisi anticorpale è stata fatta mediante immunoblotting.SDS-PAGE e immunoblotting: per l’elettroforesi delle proteine di micoplasmi sono stati utilizzati dei gel di acrilamide (8 o 12 %) contenenti lo 0.1% di SDS, secondo il metodo di Laemmli (1970).Dopo elettroforesi le proteine dei micoplasmi sono state trasferite su membrane di nitrocellulosa mediante un apparecchio Trans-Blot-semidry (Bio-Rad). Le membrane sono state saturate mediante incubazione per 2 ore a temperatura ambiente in PBS-2% di skim milk e poi incubate per 1 ora con i sieri provenienti dalle pecore trattate e con un antisiero positivo per M. agalactiae. Dopo diversi lavaggi in PBS-2% di skim milk, i blots sono stati incubati per 1ora a 37 °C con un siero anti-pecora coniugato con fosfatasi. Dopo vari lavaggi, i blots sono stati sviluppati con NBT/BCIP. La reazione è stata bloccata infine con acqua.

Risultati E ConclusioniUn frammento di 1000 bp del gene ma-mp 81 del M. agalactiae è stato inserito “ in frame” nel plasmide pMCV-Script della Stratagene. Il frammento clonato è stato amplificato in modo tale che presentasse il codone iniziale ATG e il codone Stop TAG. La selezione dei ricombinati è stata possibile grazie alla presenza nel plasmide dell’antibiotico resistenza alla kanamicina. Il plasmide è stato costruito in modo da permettere un’alta espressione proteica a livello delle cellule eucaristiche. Nei mammiferi l’espressione dei frammenti clonati è sotto il controllo di un promoter derivato da citomegalovirus (CMV). Il plasmide contiene anche il gene per la resistenza alla neomicina che viene espressa a livello delle cellule eucariotiche sotto la guida del promoter SV40.

1 2

Figura 1-Immunoblotting delle proteine di M. agalactiae con il siero di una pecora prima della vaccinazione (linea 1) e dopo le due vaccinazioni (linea 2).

La somministrazione intramuscolo del vaccino a DNA ad un gruppo di pecore è stata monitorata mediante immunoblotting. Dopo due somministrazioni le pecore presentavano una notevole produzione di anticorpi nei confronti della proteina di M. agalactiae codificata dal gene inserito nel plasmide (Figura 1, linea 2). Ulteriori studi sono necessari per valutare l’azione protettiva degli anticorpi prodotti dal vaccino a DNA.

Bibliografia-Ausubel F. et al., (1993) Current protocols in molecular biology. Wiley Interscience – Laemmli, UK. (1970) Nature 227: 680-685.- Leori et al., (1998) Mycoplasmas of ruminants:pathogenicity, diagnostics, epidemiology and molecular genetics. EUR 18018/COST, pp 98-101.- Rosati et al., (1999) Infect. Immun. 67: 6213-6216.- Sambrook J. et al. (1989) Cold Spring Harbor Lab.,N.Y.- Tola S. et al., (1997) FEMS Microbiol. Letters 154: 355-362. - Tola et al., (2001) FEMS Microbiol. Letters 202: 45-50.

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IDENTIFICAZIONE DEL MYCOPLASMA AGALATIAE DAL MYCOPLASMA BOVIS MEDIANTE POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR)

Foddai A., Chessa G., Idini G., Fusco M., Rosa N., Ibba B., Zinellu S., Rocca S., e Tola S*.

* Istituto Zooprofilattico Sperimentale Della Sardegna “G. Pegreffi”, 07100 Sassari

RiassuntoNell’ambito dei micoplasmi animali, il Mycoplasma agalactiae e il Mycoplasma bovis hanno un ruolo determinante rispettivamente in molte malattie ovine e caprine. Queste 2 specie sono filogeneticamente correlate tra di loro. L’analisi comparata della sequenza del 16S rRNA ha infatti mostrato un’identità tra le due specie pari a 99.47%. In questo lavoro, partendo dal gene ma-mp81 del M. agalactiae, si è disegnato una coppia di primers in grado di amplificare un frammento di 1000 bp interno al gene ma-mp81. Tale amplicone è stato marcato con fluoresceina per essere utilizzato come sonda in un Southern Blotting di DNA totale di M. bovis digerito con HindIII. Il frammento di DNA del M. bovis, riconosciuto dalla sonda, è stato isolato,clonato e sequenziato. Dall’analisi comparata delle due sequenze, è stata disegnata una coppia di primers specifica per il M. bovis e un’altra che amplifica entrambe le specie.

IntroduzioneI mollicutes sono microrganismi privi di parete cellulare con dimensioni tali da ritenerli i più piccoli tra i batteri conosciuti. La classe Mollicutes è suddivisa in 8 generi, tra cui anche il genere Mycoplasma che comprende più di 120 specie. Alcune di queste specie sono patogene per l’uomo mentre altre per animali e piante (Maniloff et al., 1992). Nell’ambito delle specie patogene per gli animali, il Mycoplasma agalactiae e il Mycoplasma bovis hanno un ruolo determinante rispettivamente in molte malattie ovine e bovine. Il Mycoplasma agalactiae è l’agente responsabile dell’agalassia contagiosa degli ovini e dei caprini caratterizzata da mastite, poliartrite e cheratocongiuntivite (DaMassa, 1983). Il Mycoplasma bovis può determinare mastite, artrite, polmonite e ipofertilità nei bovini (Boughton,1979). Queste due specie sono strettamente correlate fra loro, tant’è che fino al 1976 il M. bovis veniva classificato come M. agalactiae subsp. bovis in quanto presenta le stesse caratteristiche biologiche e biochimiche del M. agalactiae (Askaa and Erno,1976). La stretta correlazione tra le due specie è confermata anche dagli studi sul 16S RNA che hanno evidenziato una similitudine del 99.47% tra i due patogeni ( Mattsson e al. 1994).Data tale altissima similarità, risulta difficile approntare una PCR diagnostica in grado di differenziare le due specie. Subramaniam et al. (1998) utilizzando il gene uvrC non sono riusciti ad evidenziare le minime variazioni intraspecifiche. Nel 2001, Tola et al. hanno identificato nel M. agalactiae un gene codificante per una lipoproteina di membrana. A partire da questo gene, gli autori di questo lavoro hanno sequenziato il gene omologo nel M. bovis. Dalle sequenze sono stati tratti dei primers in grado di differenziare il M. agalactiae dal M. bovis mediante PCR e Restriction fragment lenght polymorphism (RFLP)-PCR.

Materiali e metodi Ceppi utilizzati e condizioni di crescita. In questo lavoro sono stati utilizzati 15 ceppi di M. agalactiae isolati da altrettanti campioni di latte provenienti da focolai di agalassia contagiosa, il ceppo di referenza PG2 (Bga), 13 ceppi di M. bovis e il ceppo di referenza PG45. I ceppi di M. agalactiae sono stati clonati (Tully 1983) e identificati mediante PCR (Tola et al., 1996). I micoplasmi sono stati messi a crescere in terreno di Hayflick modificato fino alla fase logaritmica di crescita e successivamente sottoposti a centrifugazione e lavaggio con un buffer salino (PBS, 0.1 M phosphate, 0.33 M NaCl, pH 7.4). Il pellet è stato utilizzato per l’estrazione del DNA Estrazione del DNA e ibridazione. Il DNA è stato estratto dai ceppi di referenza PG2 e PG45 e da tutti i ceppi da campo. I pellets contenenti i vari ceppi sono stati risospesi in TE buffer (10 mM Tris-HCl, 1 mM EDTA; pH 8.0) addizionato con SDS e proteinase K. Dopo 2 ore di incubazione a 50 °C, il DNA è stato estratto mediante due passaggi in fenolo-cloroformio e una precipitazione in etanolo, secondo la metodica descritta da Ausubel et al. (1992). La concentrazione del DNA è stata determinata mediante lettura spettrofotometrica (Sambrook et al., 1989). Il DNA dei ceppi di M. bovis è stato digerito con HindIII e fatto correre a 15 V per 18 ore in un gel di agarosio alla concentrazione di 0.6%. Successivamente il DNA digerito è stato trasferito secondo il metodo di Southern (1972) su una membrana di nylon (Qiabrane, Qiagen) e ibridizzato con l’amplicone derivato dal gene ma-mp 81 marcato con fluoresceina. Le bande positive sono state, infine, tagliate dal gel e purificate con il kit Concert Gel della Life Technologies.Inserimento delle bande positive in plasmide. Le bande di DNA positive all’ibridazione sono state inserite all’interno del plasmide pZero (Invitrogen) predigerito con lo stesso enzima dei frammenti positivi. I trasformanti sono stati ottenuti dopo aver seminato le cellule TOP10/plasmide/inserto in piastre di Luria Broth Agar contenenti tetraciclina (50 μg/ml), zeocina (15 μg/ml) e isopropil-β -tio-galactoside (IPTG).Sequenze del DNA. I frammenti clonati in pZero sono stati sequenziati mediante l’utilizzo dell’apparecchio semiautomatico ALF-express dell’ Amhersham.Analisi delle sequenze. Le sequenze nucleotidiche dei frammenti clonati sono stati analizzati utilizzando differenti programmi on-line. In particolare, sono stati consultati BLAST e ORF-FINDER.Primers e PCR - I primers utilizzati in questo lavoro sono stati tratti dalla sequenza del gene ma-mp 81(GenBank, numero

181XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

di accesso:AF299294 e dal gene omologo del M. bovis. Un μl di ciascun campione di DNA è stato utilizzato in 25 μl di una reazione standard di PCR costituita da: 2.5 μl di buffer 10X (Roche), 2.5 μl di 50 mM MgCl2, 1 μl di reverse e forward primer per ciascun gene alla concentrazione di 25 pmole/μl, 0.5 μl di 1.25 mM dNTP, 0.2 μl di 5 U/μl Taq polymerase (Roche) e 12.3 μl di H2O.Le reazioni di PCR sono state effettuate in un Thermal cycler 9700 della Applied Biosystems utilizzando i seguenti parametri: denaturazione iniziale a 95 °C per 5 min., 30 cicli di 1 min di denaturazione a 95 °C, 1 min di annealing a 52 °C e 1 min. di estensione a 72°C. Gli ampliconi sono stati fatti correre a 100 V in un gel di agarosio all’1% e visualizzati sotto i raggi ultravioletti in seguito ad una colorazione con bromuro di etidio.Restriction fragment lenght polymorphism (RFLP). Gli ampliconi ottenuti con i primers specifici per M. agalactiae e M. bovis sono stati digeriti con gli enzimi di restrizione Sau3A, BglI e ClaI (Roche) per 12 ore e alla temperatura indicata dal produttore. I polimorfismi di restrizione sono stati analizzati in un gel di agarosio al 3 % in TAE 1X.

RISULTATI E DISCUSSIONESequenza del frammento del M. bovis. Il frammento di 2900 bp derivato dalla digestione HindIII del M. bovis è stato sequenziato. La sequenza confrontata in banca-dati presenta un’omologia del 63.9% con il gene ma- mp81 del M.agalatiae. PCR differenziale. Dall’ analisi comparata delle due sequenze, è stato possibile individuare i primers BT ed F1 che amplificano un frammento di circa 537 bp specifico per il M. bovis e assente nel M. agalactiae. Con tali primers è stata allestita una PCR in grado di amplificare solo il DNA del M. bovis (Foto 1, linea 2). Dalla sequenza del M. agalactiae sono stati tratti i primers A1 e BX che amplificano una porzione di

M 1 2 3 4 5 6 7

Figura 1- Corsa elettroforetica su gel di agarosio all’1.5% dei prodotti di PCR ottenuti utilizzando i primers BTF1 e BTR1 con M. bovis (linea 1), i primers A1 e BX con M. agalactiae, (linea 2), i primers XB e BX con M. agalactiae (linea 3), i primers A1-BX e BTF1-BTR! con M. agalactiae e M. bovis (linea 4), e i primers XB-BX e BTF1-BTR1 con M. agalactiae e M. bovis (linea 5). La linee 6 e 7 rappresentano i controlli negativi, mentre M è il marker VII della Roche.

L’uso contemporaneo dei primers A1-BX del frammento ma-mp81 e BT-F1 e BT-R1 in una multiplex PCR ha permesso di differenziare i due microrganismi anche su campione ibrido contenente il DNA di entrambi (Figura 1, linee 4 e 5).

BibliografiaAskaa et al., (1976) Int. J. Syst. Bacteriol. 26: 323-325 - Ausubel F. et al., (1993) Current protocols in molecular biology. Wiley Interscience .- Boughton, E. (1979) Vet. Bull. 49: - DaMassa (1983) J.Am. Vet. Med. Assoc. 183: 548-554- Maniloff, J. et al.,(1992) Mycoplasmas : molecular biology and pathogenesis. ASM Press, Washington D.C.- Sambrook J. et al. (1989) Cold Spring Harbor Lab.,N.Y.- Tola S. et al., (1996) Vet. Microbiol. 51: 77-84. - Tola et al., (2001) FEMS Microbiol. Letters 202: 45-50.- Tully, J. G., (1983), Methods of Mycoplasmology 1, 173-177.

182 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ANALISI PREDITTIVA PER L’IDENTIFICAZIONE DI ALLEVAMENTI CON SOGGETTI PERSISTENTEMENTE INFETTI DA VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV)

Ciulli S., Ostanello F., Galletti E., Battilani M., Scagliarini A., Cazzoli M.,* Zocca A.*, Prosperi S.

Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia AnimaleUniversità degli Studi di Bologna, Bologna.

*Libero professionista.

SummaryBovine Viral Diarrhoea (BVD) is a cosmopolitan disease with a great economic impact in the world. The spreading of the infection is related to the presence of persistent infectious animal (PI) in the herd. This study has the aim to test the application of the sampling method proposed by Houe et al., (1995) in the Emilia-Romagna region, Italy. This method allows to detect the herds with PI animal testing for BVDV-Ab a little number of animal of 6-18 months. The data from the serological survey of 8 farms were used to calculate the probability to find at least 2 (P

min2) or at least 3 (P

min3)

seropositive animals out of 5 sampled animals in the group of the animals between 6 months and the first birth. The Pmin2

and P

min3 values were related to the presence of PI animal in the herd. These results show that is possible to test for BVDV-

Ab a little number of animals to know the presence/absence of PI animal in the herd. This sampling method, easy and cheap, could be used to set up a control programme in a region with high BVDV prevalence.

ANALISI PREDITTIVA PER L’IDENTIFICAZIONE DI ALLEVAMENTI CON SOGGETTI PERSISTENTEMENTE INFETTI DA VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV)

RiassuntoLa diarrea virale bovina (BVD) è una patologia cosmopolita che riveste una grande importanza dal punto di vista economico. La trasmissione dell’infezione è legata soprattutto alla presenza in allevamento di animali persistentemente infetti (PI). Il presente lavoro ha lo scopo di valutare l’applicabilità del metodo di campionamento proposto da Houe et al., (1995) nella realtà produttiva della Regione Emilia-Romagna. Questo metodo permetterebbe di individuare le stalle con bovini PI testando un piccolo numero di animali della classe di età 6-18 mesi. I dati ottenuti da un’indagine sierologica svolta su 8 allevamenti sono stati utilizzati per calcolare la probabilità di trovare almeno 2 (P

min2) o almeno 3 (P

min3) soggetti

sieropositivi su un campione di 5 animali di età compresa tra i 6 mesi e il primo parto. I valori di Pmin2

e Pmin3

sono stati messi in relazione alla presenza di soggetti PI nell’allevamento. I risultati dello studio dimostrano che è possibile utilizzare un piccolo campione di animali per la ricerca degli anticorpi anti-BVDV per valutare la presenza/assenza di soggetti PI in azienda. Tale metodo di campionamento, agevole e economico, potrebbe essere sfruttato per intraprendere un’eventuale piano di controllo da applicare in una regione ad elevata prevalenza di BVDV.

INTRODUCTIONBovine Viral Diarrhoea (BVD) is widespread throughout different areas of the world. BVDV infection was found everywhere the bovine are farmed and it is responsible for huge economic losses (Houe, 1999). In Italy the pathology was described since 1960 (Poggi and Carboni, 1960) and it is now widespread in dairy farms and in beef farms (Cavirani et al., 1999; Luzzago et al., 1999). Some European country began programs for the control or for the eradication of BVDV to reduce the economic losses and increase the animal trade (Lindberg and Alenius, 1999).Persistent infected (PI) animals are responsible of the widespread of the virus in the farm and among different farms when some animals are moved from a herd to another. Detection and removal of PI animal is therefore fundamental to control the pathology (Houe, 1999).Houe (1992) proposed a sampling methods to detect farm with PI animals analysing 3 to 5 bovine in each farm. This method represent the first fundamental step for the identification of farms with PI animals without testing all the farm, saving time and money. Later other Authors evaluate the adaptability of this method to their countries (Roxanne and Grooms 2002; Zimmer et al., 2002).The aim of this study was to evaluate the application of the Houe et al., (1995) sampling method in Emilia-Romagna region, north Italy. We analysed 7 dairy farms and 1 milk and beef farm with reproductive problems. Serological investigation was conduct in each farms. BVDV PI animals were detect with RT-PCR. Seroprevalence data were used for the calculation of probability of obtaining at least two (P

min2) or three (P

min3 ) BVDV-antibody positive cattle out of a sample of 3 to 5 animals

6 to 24 months old. Pmin2

and Pmin3

were calculated by use of a hypergeometric probability function.

Materials and methods− Collection of blood and analysis of samplesWe analysed 7 dairy farms and 1 milk and beef farm from Bologna and Modena provinces, Emilia-Romagna region, north Italy. Herd consistency varied from 31 to 160 animals. No BVDV vaccination was used in any of the tested farms. Reproductive problems like aborts, low first-service conception rate and repeat breeding were signalised in each herds by farm veterinarians.Sera were drawn from 6 to 24 months old heifers to evaluate the BVDV antibody presence. Six to 24 months class was chosen to avoid maternal passive antibody or pre existing immunity. Some Authors emphasise this class as the most

183XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

representative of actual infection status of the herd (Houe, 1992). Antibody negative animals were then drawn to collect blood samples for virological test to identify PI animals. Positive animals were tested again a month later to confirm persistent infection. Blood samples from <6 months old cattle were collected in farms 1b, 2, 4, 5, 6, 8 for virological analysis.Serological analysis was conduct with a commercial test (Calfcheck BVD, Agrolabo, Italy). Infection status was established with two tests: a commercial ELISA test (Pestivirus Antigen Detection kit, Moredun, UK) and a RT-PCR as described by Vilcek et al., 1994.

− Pmin2

and Pmin3

calculations

Antibody positive and antibody negative animals were calculated in each farms. The probability of obtaining at least two (P

min2 ) or at least 3 (P

min3 ) antibody positive animals out of a sample of n animals was calculated (Houe et al. 1995). In

accordance with Houe et al. (1995) sample consistency was 5 animals.

For the calculation we use the following formula

Pmin2

= 1 - P0 - P

1 P

min3 = 1 - P

0 - P

1 – P

2

At last, Pmin2

and Pmin3

values were correlated to the presence of PI animals in the farms.

ResultsSerological results are shown in table 1 and P

min2 and P

min3 values are shown in table 2. In figure 1, P

min2 value was express

in function of the presence/absence of PI animals in the farms.

Table 1. Serological analysis results.

Herd no. Herd productionNo. of

animals in herd

No. of animals aged 6 to 24 months

No. of tested animals

No. antibody-positive

No. antibody-negative

A milk 160 29 26 3B milk 160 38 3 35C milk 120 50 41 9D milk 160 54 1 53E milk and beef 160 48 41 7F milk 31 9 8 1G milk 110 49 7 42H milk 150 57 51 6

Table 2. Pmin2

and Pmin3

values.

Herd no. Pmin2 Pmin3

No. of PI animals in the herd

A 1.000 1.000 3B 0.040 0.001 0C 0.998 0.965 8D 0.000 0.000 0E 0.999 0.982 1F 1.000 1.000 0G 0.143 0.017 0H 1.000 0.994 0

In farms with PI animals Pmin2

value were 0.998 to 1 and Pmin3

were 0.965 to 1. In farms without PI animals, but farms F and H, P

min2 value were 0.000 to 0.143 and P

min3 were 0.000 to 0.017. In farms F and H where P

min2 value was 1 and

184 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Pmin3

values varied between 0.994 and 1. In farm F we didn’t found any PI animals at the sampling time, but a veal sold to farm E resulted to be persistent infected. The high values of P

min2 and P

min3 in farm F was due to this animal, in fact, it

was responsible for the infection in farms E and F. In farm H we didn’t found any PI animal, this result could be due to the quickly removal of male cattle from the farms; these subjects are normally moved within 6 days from the birth and we couldn’t test them.-Figure 1. P

min2 value are express in function of the presence/absence of PI animals in the farms.

0.000 0.0400.143

1.0001.0001.0000.9990.998

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

D B G C E H F A

Her d no .

Pmin 2

Discussion and conclusionsIn this work we apply the hypergeometric probability function (Houe et al., 1995) to calculate the probability of obtaining at least two (P

min2 ) or at least 3 (P

min3 ) antibody positive animals out of a sample of 5 animals in farm with and without

BVDV PI animals. With this sampling method we can easily and cheaply detect farm with PI animals and subsequently identify PI animals without testing all the farms. For this reason this method provides an incentive for the application of control programs in regions with high BVD prevalence.Different Authors evaluate the adaptability of this method to their countries (Roxanne and Grooms 2002; Zimmer et al., 2002); so we did it for Emilia-Romagna region, north Italy. We found a good correlation between P

min2 and P

min3 values and the presence/absence of PI animals in the herd.

Some Authors reported that farms with PI animals could have low Pmin2

values when PI animals are younger that two months or when they are separate from heifers (Houe, 1992); but in our study we have not the chance to confirm this hypothesis.In some cases the early removal of the young male cattle, as it happens in dairy farm, could interfere with the finding of PI animal in herd with high P

min2 as we suspect in farm H. Despite these disadvantages the application of this method could

be suitable to set up control programs in areas with high BVDV prevalence where the cost of this programs are very high. This method could decrease the cost of the programs providing an incentive for the eradication of BVD-MD.

ReferecesCAVIRANI S., ALLEGRI G., DONOFRIO G., CABASSI C. S., CECCATO C., BALLOTTIN M., GALVANI G. AND TADDEI S. (1999). Anticorpi Verso Bovine Viral Diarrhea Virus in Bovini da Carne Allevati in Nord Italia. Atti Soc. Ital. Buiatria, 31, 303-309.HOUE H. (1992). Serological analysis of a small herd sample to predict presence or absence of animals persistently infected with bovine viral diarrhoea virus (BVDV) in dairy herds. Res. Vet. Sci., 53, 320-323. HOUE H., BAKER J.C., MAES R.K., RUEGG P.L. AND LLOYD J.W. (1995). Application of antibody titers against bovine viral diarrhea virus (BVDV) as a measure to detect herds with cattle persistently infected with BVDV. J. Vet. Diagn. Invest., 7, 327-332.HOUE H. (1999). Epidemiological Features and Economical Importance of Bovine Virus Diarrhoea Virus (BVDV) Infections. Vet. Microbiol., 64, 89-107.LINDBERG A. AND ALENIUS S. (1999). Principles for eradication of bovine viral diarrhoea virus (BVDV) infections in cattle populations. Vet. Microbiol., 64, 197-222. LUZZAGO C., PICCININI R., ZEPPONI R. AND ZECCONI A. (1999). Study on prevalence of bovine viral diarrhoea virus (BVDV) antibodies in 29 italian dairy herds with reproductive problems. Vet. Microbiol,. 64, 247-252.POGGI A. AND CARBONI A. (1960). La diarrea da virus dei bovini della Pianura Padana. Sel. Vet., 1, 281-283.ROXANNE B. AND GROOMS D. (2002). Serologic evaluation of five unvaccinated heifers to detect herds that have cattle persistently infected with bovine viral diarrhea virus. Am. J. Vet. Res. 63, 499-505.VILCEK S., HERRING A.J., NETTLETON P.F., LOWINGS J.P. AND PATON D.J. (1994). Pestivirus isolated from pigs, cattle and sheep can be allocated into at least three genogrups using polimerase chain reaction and restriction endonuclease analysis. Arch.Virol., 136 ,309-323.ZIMMER G., SCHOUSTRA W. AND GRAAT E. A. M. (2002). Predictive values of serum and bulk milk sampling for the presence of persistently infected BVDV carriers in dairy herds. Res. Vet. Sci., 72, 75-82.

185XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

TEST DI WESTERN BLOTTING PER DIFFERENZIARE LE INFEZIONI DA BRUCELLA SPP. E YERSINIA ENTEROCOLITICA O:9 NEGLI OVINI

Corrente M. a, Desario C. a, Greco G.a, Madio A. a, Scaltrito D. b, Consenti B. b e Buonavoglia D. c

aDipartimento di Sanità e benessere animale, Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Barib Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata.

c Dipartimento di Patologia e Malattie Infettive, Università di Messina,.

RiassuntoE’ stato messo a punto un test di Western Blotting (WB) per la diagnosi di brucellosi negli ovini, utilizzando come antigene le proteine della membrana esterna (OMPs) del ceppo Rev 1 di Brucella melitensis. Sono stati saggiati 45 sieri di pecore con differente reattività ai tests sierologici per Brucella spp., così raggruppati: A) n. 10 sieri positivi prelevati da pecore infette da B. melitensis e 1 siero da una pecora vaccinata con Rev 1; B) n. 10 sieri negativi di animali provenienti da allevamenti ufficialmente indenni; C) n. 12 sieri classificati dall’Istituto Zooprofilattico come “sospetti”; D) n. 12 sieri classificati come “positivi” ma prelevati ad animali “single reactors”(SR). In aggiunta sono stati saggiati 9 sieri prelevati a intervalli di 1 settimana da una pecora sottoposta a infezione sperimentale con Yersinia enterocolitica O:9. Nel test WB è stata evidenziata la reattività verso una proteina di 17kDa nei sieri del gruppo A (animali infetti) e solo in 3 sieri del gruppo D (SR). I risultati ottenuti suggeriscono un possibile e utile impiego del WB come test di conferma per la diagnosi di brucellosi, nelle situazioni epidemiologiche in cui è ipotizzabile una cross-reattività sierologica.

AbstractWestern Blotting assay was developed for the diagnosis of brucellosis in sheep, using Outer Membrane Proteins (OMPs) of Rev-1 strain of Brucella melitensis as an antigen. The following sera were tested: A) n. 10 samples positive and collected from sheep infected with Brucella melitensis and 1 sample from a sheep vaccinated with the Rev 1 strain; B) n. 10 samples collected in “officially brucellosis-free” herds; C) n. 12 samples classified as “suspicious” by Istituto Zooprofilattico; D) n. 12 samples classified as “positive” and collected from animals “Single reactors”(SR). We tested also 9 serum samples collected weekly from one sheep that had been experimentally infected with Y. enterocolitica O:9. In the WB assay, a 17kDa protein was recognised by all sera of the group A (infected animals) and 3 sera of the group D (SR). The results suggest WB as a confirmatory test for the diagnosis of brucellosis in the epidemiological conditions suggesting a serological cross-reaction.

IntroduzioneLa brucellosi è una malattia caratteristica di diverse specie animali sia domestiche che selvatiche. Negli animali da reddito causa notevoli danni economici, legati ad aborto e infertilità; inoltre la brucellosi può essere trasmessa all’uomo tramite il consumo di latte non sottoposto a trattamenti termici, o formaggi freschi, soprattutto di origine ovina (Michaux- Charachon e coll, 2002) . Per questi motivi, i Paesi membri dell’Unione Europea applicano da diversi anni piani di profilassi che mirano all’eradicazione della brucellosi negli allevamenti. L’individuazione degli animali infetti è effettuata mediante prove sierologiche, il test di sieroagglutinazione rapida (r-SAT) e la Fissazione del complemento (FdC). Questi test, che rilevano la produzione di anticorpi verso il Lipopolisaccaride di membrana (LPS) di Brucella spp., hanno un’elevata sensibilità (Nielsen, 2002). Alcuni batteri gram –, come Escherichia coli, Salmonella enterica subsp. enterica, e soprattutto Yersinia enterocolitica O:9, condividono frazioni antigeniche a livello del LPS. Questo può determinare false positività ai test suddetti, con gravi problemi soprattutto negli allevamenti ufficialmente indenni (a.u.i.) in quanto la presenza di pochi animali positivi, chiamati Single Reactors (SR) provoca la perdita dello status sanitario di allevamento ufficialmente indenne, con notevoli danni economici. Le attuali norme di Polizia veterinaria non prevedono la possibilità di chiarire la natura della sieropositività dei SR (Godfroid e col, 2002). In letteratura sono riportati diversi studi sull’impiego di frazioni antigeniche più specifiche come le Outer membran proteins (OMPs), da utilizzare in test sierologici, per discriminare le infezioni da Brucella spp. e Yersinia enterocolitica O:9. (Weynants e coll, 1996) In questa nota è descritto un test di Western Blotting basato sull’impiego di OMPs di un ceppo attenuato (Rev 1) di B. melitensis come antigene e la validazione di questo test per la diagnosi di brucellosi negli ovini.

Materiali e metodiInfezione sperimentale. Per ottenere un antisiero specifico, una pecora proveniente da un allevamento ufficialmente indenne e sieronegativa per Brucella spp. è stata infettata sperimentalmente con un ceppo di Y. enterocolitica O:9, mediante somministrazione per os per 5 giorni consecutivi di 4 ml di una sospensione di 1012 cellule/ml. Sono stati effettuati prelievi di sangue a intervalli di 7 giorni, a partire dal giorno della prima somministrazione del bolo sino alla 8a settimana post infezione (p.i.). Sono stati inoltre prelevati settimanalmente campioni di feci per l’esame batteriologico. Sieri Oltre ai 9 campioni di siero prelevati dalla pecora sottoposta a infezione sperimentale (gruppo I), sono stati saggiati altri 45 sieri, divisi nei seguenti gruppi: A) n. 10 sieri positivi prelevati da pecore infette da B. melitensis e 1 siero da una pecora vaccinata con Rev 1; B) n. 10 sieri negativi di animali provenienti da allevamenti ufficialmente indenni; C) n. 12 sieri classificati dall’Istituto Zooprofilattico come “sospetti”, ovvero r-SAT + e FdC -; D) n. 12 sieri classificati come “positivi”, ovvero r-SAT + e FdC +, ma prelevati ad animali “single reactors” (SR). Tutti i sieri sono stati testati con le prove ufficiali r-SAT e FdC, secondo le direttive dell’Office International des Epizooties (OIE, 2000), e con il Western Blotting.Western Blotting. Il ceppo di Rev 1 è stato messo in coltura in Tryptose soy broth (TSB, Oxoid , Milano) per 3 giorni in

186 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

agitazione a 37°C. La brodocoltura è stata centrifugata a 4000 xg per 10 minuti. Il pellet è stato trattato con un tampone di lisi (Potassio fosfato 50 mM, NaCl 400 mM, KCl 100mM, glicerolo 10%, Triton X-100 0.5%, imidazolo 10mM, ph 7.8) sino a completa chiarificazione. I corpi cellulari non dissolti sono stati allontanati mediante centrifugazione a 5000 xg per 2 minuti; il surnatante è stato centrifugato a 10000 xg per 40 minuti e il pellet conservato in soluzione fisiologica a –80°C.Per l’ SDS PAGE ( Laemmli, 1970), è stato utilizzato un gel secondo gradiente lineare 4-22%, ricostituendo l’antigene in proporzione 1:4 in buffer di Laemmli (Tris HCl 5 mM, SDS 2.5%, 2-β- mercaptoetanolo 5%, glicerolo 15%, blu di bromofenolo 0.05%, ph 6.8). La separazione delle proteine è stata effettuata mediante un apparato verticale (BIORAD Laboratories S.r.l. USA) a 20 mA per 6 ore in Running Buffer (Tris 25 mM, glicina 192 mM, SDS 0,1% a ph 8,3).Il gel è stato equilibrato in Transfer Buffer (Tris 25 mM, glicina 192 mM, pH 8.3, metanolo 20 %) per 1 h e quindi sottoposto a trasferimento su di una membrana di Polyvinylidene difluoride (PVDF, diametro dei pori 0.45μm, Immobilon P, Millipore Corporation, Bedford) a un voltaggio costante di 70 V per 6 h. La membrana è stata tagliata in strisce, che sono state immerse in una soluzione di TBS-T ( Tris 25 mM, Na Cl 200 mM, ph 7,4, Tween 20 0,05%) con 5% di latte scremato per una notte, allo scopo di saturare i siti aspecifici di reazione. Dopo tre lavaggi in TBS per 10 minuti, le strisce sono state incubate con i sieri ovini diluiti 1:100 in TBS-T per 90 min. Sono stati effettuati ancora 3 lavaggi, quindi l’ incubazione con IgG di coniglio anti-pecora marcate con perossidasi (Sigma Chemicals, St.Louis, MO) diluite 1:5000 in TBS-T, per 90 min. Dopo 3 lavaggi le strisce sono state trattate con una soluzione cromogena (3,3’-Diaminobenzidine tetrahydrochloride [Sigma] in TBS-T, Perossido d’idrogeno 0.08%) sino a sviluppo della reazione, che è stata bloccata con acqua distillata.

Risultati e discussioneInfezione sperimentale. La pecora non ha mostrato sintomi in seguito all’infezione sperimentale , nonostante l’esame batteriologico abbia messo in evidenza l’escrezione fecale di Y. enterocolitica O:9 a partire dalla 1a sino alla 8a settimana dopo l’infezione. Test sierologici. La pecora sottoposta a infezione sperimentale è risultata positiva a r-SAT e FdC a partire dalla 2a settimana p.i., mostrando un alto titolo anticorpale in Fdc dalla 4a settimana. Come è indicato nella tabella 1, i sieri del gruppo A sono risultati positivi con alti titoli anticorpali, mentre i sieri del gruppo B sono risultati negativi. Per quanto riguarda i sieri dei gruppi C e D, sono stati confermati i risultati dell’Istituto Zooprofilattico.Immunoblotting. I campioni di sangue prelevati dalla pecora infetta con Y. enterocolitica O:9 hanno mostrato una reattività verso bande di 28 e 23 kDa, a partire dalla 5a settimana p.i. Nei campioni di siero del gruppo A (infetti) sono stati evidenziati anticorpi verso bande di 60 , 35, 28, 23 e soprattutto nei confronti di una proteina di 17 kDa. Il siero della pecora vaccinata con il Rev 1 ha mostrato la stessa reazione. I sieri del gruppo B (negativi) non hanno mostrato reattività nel test di WB. Nessuno dei sieri del gruppo C ha mostrato reattività verso la proteina di 17 kDa, mentre nel gruppo D, solo 3 sieri (n. 43,47 e 52) hanno reagito con tale proteina.L’infezione sperimentale con Y. enterocolitica O:9 ha evidenziato che nella pecora, come in altre specie animali, questo microorganismo induce la produzione di anticorpi che cross-reagiscono con l’antigene impiegato nei test per la diagnosi della brucellosi. Il test WB ha evidenziato la reattività verso una proteina di 17 Kda solo nei sieri delle pecore infette da Brucella spp o vaccinate con Rev 1. Dei sieri degli animali SR solo 3 hanno reagito con la proteina 17 kDa. Questo dato è estremamente importante e sottolinea l’esigenza di mettere a punto nuovi test per valutare in maniera corretta il responso sierologico in situazioni epidemiologiche in cui l’infezione da Brucella potrebbe essere poco probabile.

BibliografiaMichaux-Charachon S, Foulongne V, O’Callaghan D, Ramuz M. Brucella à l’aube du troisième millénaire: organisation du génome et pouvoir pathogène. Pathol Biol (2002); 50: 401-412. Nielsen K. Diagnosis of brucellosis by serology.Vet Microbiol 2002; 90: 447-459. Godfroid J, Saegerman C, Wellemans V, Walravens K, Letesson J-J, Tibor A, Mc Millan A, Spencer S, Sanna M, Bakker D, Pouillot R, Garin-Bastuji B. How to substantiate eradication of bovine brucellosis when aspecific serological reactions occur in the course of brucellosis testing. Vet Microbiol 2002; 90: 461 – 477. Weynants V, Tibor A, Denoel PA, Saegerman C, Godfroid J, Thiange P, Letesson J-J. Infection of cattle with Yersinia enterocolitica 0:9 a cause of the false positive serological reactions in bovine brucellosis diagnostic tests. Vet Microbiol 1996; 48: 101-12. OIE Manual of standards for diagnostic tests and vaccines. Caprine and ovine brucellosis. Paris 2000; 475-489. Laemmli UK. Cleavage of structural proteins during the assembly of the head of bacteriophage T4. Nature 1970; 227: 680-685.-

187XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 1: risultati del test di sieroagglutinazione rapida (r-SAT). Fissazione del Complemento (FDC) e Western Blotting (WB) in sieri di pecora.

Sieri Campioni r-SAT FdC WB’

1* - - -2 - - -3 + - -4 + 1:80^ -5 + 1:80 -6 + 1/160 -7 + 1/160 -8 + 1/160 -9 + 1/160 -

A

10 + 1:160 +11 + 1: 320 +12 + 1:160 +13 + 1:160 +14 + 1:80 +15 + 1:80 +16 + 1:320 +17 + 1:320 +18 + 1:80 +19 + 1:160 +

20° + 1:640 +

B

21 - - -22 - - -23 - - -24 - - -25 - - -26 - - -27 - - -28 - - -29 - - -30 - - -

C

31 + - -32 + - -33 + - -34 + - -35 + - -36 + - -37 + - -38 + - -39 + - -40 + - -41 + - -42 + - -

D

43 + 1:20 +44 + 1:40 -45 + 1:20 -46 + 1:20 -47 + 1:40 +48 + 1:80 -49 + 1:40 -50 + 1.20 -51 + 1:20 -52 + 1:40 +53 + 1:80 -54 + 1:20 -

’: reattività alla proteina di 17 kDa; §: prelievi da pecora sottoposta a infezione sperimentale ;*tempo O (inizio dell’infezione sperimentale); ^: titolo anticorpale ( UI /ml); °: pecora vaccinata con Rev 1.

188 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DUE FOCOLAI DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN BOVINI DEL SUD ITALIA

Decaro N., Tinelli A., Cirone F., Pratelli A., Tempesta M., Buonavoglia C.

Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari

Autore comunicante:Nicola Decaro

Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria di BariS.p. per Casamassima km 3, 70010, Valenzano, Bari

Tel: 080 4679833Fax: 080 4679843

E-mail: [email protected]

RiassuntoLa febbre catarrale maligna (MCF), causata da ovine herpesvirus 2 (OvHV-2), è stata descritta in diversi paesi europei, mentre, al momento, in Italia le segnalazioni sono sporadiche e mai supportate dalla identificazione dell’agente causale. Nella nota vengono descritti due focolai di MCF in bovini presenti in due distinti allevamenti dell’Italia Meridionale. Gli animali colpiti, una vacca di tre anni ed un vitello di sei mesi di età, hanno presentato i segni clinici caratteristici della forma cefalo-oculo-nasale, osservata in corso di MCF: febbre, scialorrea, diarrea, opacamento corneale, scolo oculo-nasale mucopurulento, ulcere sulla mucosa oronasale e necrosi della cute del musello. Nell’allevamento di provenienza della vacca è stata accertata una stretta coabitazione con gli ovini, mentre nessun contatto con specie carrier è stato documentato per l’episodio osservato nel vitello. Mediante il test di immnuofluorescenza indiretta (IFI), sono stati evidenziati anticorpi specifici solo nel vitello, mentre la bovina è risultata sieronegativa. Il test PCR per la ricerca del DNA di OvHV-2, effettuato su campioni di sangue e di tessuti prelevati dai due animali, ha fornito esito positivo in entrambi i casi. Si tratta delle prime due segnalazioni in Italia di focolai di MCF, confermati dall’identificazione diretta di OvHV-2.

TWO OUTBREAKS OF MALIGNANT CATARRHAL FEVER IN CATTLE IN SOUTHERN ITALY

AbstractMalignant catarrhal fever (MCF), caused by ovine herpesvirus 2 (OvHV-2), has been described in several European countries, but in Italy reports are rare and not reinforced by the identification of the causative agent.In this note, two outbreaks of MCF in cattle belonging to different herds of Southern Italy are reported. The affected animals, a three-year-old cow and a six-month-old calf, developed clinical manifestations resembling those of the “head and eye” form of MCF, i. e., fever, hypersalivation, diarrhoea, corneal opaqueness, mucopurulent ocular and nasal discharge, erosions of the oronasal mucosa, and necrosis of the muzzle. A close cohabitation with sheep was demonstrated in the farm of the cow, whereas no contact with carrier animals was reported for the calf. By an indirect immunofluorescent (IIF) assay, MCF antibodies were found only in the serum of the calf, whereas the cow resulted seronegative. A PCR assay detected the OvHV-2 DNA in blood and tissue samples from both the affected animals. These are the first cases of MCF in Italy, which were confirmed by PCR detection of OvHV-2 DNA.

IntroduzioneLa febbre catarrale maligna (MCF) è una malattia infettiva a decorso acuto ed invariabilmente letale, che colpisce i bovini domestici e numerose specie di ruminanti selvatici. È caratterizzata da fenomeni linfoproliferativi e da infiltrazione linfocitaria a carico di diversi tessuti. Attualmente sono note due diverse forme della malattia, differenziabili su base eziologica ed epidemiologica. La wildebeest-associated MCF (WA-MCF), sostenuta da alcelaphine herpesvirus 1 (AlHV-1), è diffusa in Africa, colpisce prevalentemente alcuni ruminanti selvatici e riconosce come carrier asintomatici gli gnu; la sheep-associated MCF (SA-MCF), causata da ovine herpesvirus 2 (OvHV-2), è diffusa su scala mondiale, colpisce i bovini ed i cervidi ed è veicolata da pecore e capre (Plowright, 1990; Radostits e coll., 2000). La malattia nella specie bovina ha carattere sporadico. I bovini rappresentano degli ospiti a fondo cieco, in quanto, generalmente, sviluppano una forma clinica rapidamente letale e non sono in grado di trasmettere l’infezione ad altri animali recettivi. Sono tuttavia numerose le segnalazioni di SA-MCF in bovini con decorso benigno o inapparente. La trasmissione di OvHV-2 dagli ovicaprini ai bovini si realizza a seguito di uno stretto contatto tra le due specie; i bovini si infettano attraverso l’inalazione di aerosol proveniente dalle secrezioni nasali ed oculari di agnelli infetti, oppure mediante l’ingestione di acqua o foraggi contaminati dai secreti infetti o dai liquidi del parto (Plowright, 1990).Nei bovini la SA-MCF può presentarsi in diverse forme cliniche, tra le quali la forma cefalo-oculo-nasale (head and eye form degli autori anglosassoni) è la più frequente ed è caratterizzata da febbre (41-42°C), depressione, scolo oculo-nasale mucoso o mucopurulento, fotofobia, lacrimazione, opacamento corneale, mono o bilaterale, iperemia della mucosa oronasale, che appare cosparsa di focolai erosivo-necrotici. Nei casi più gravi possono comparire anche i segni dell’interessamento del SNC, quali atassia, nistagmo, rigidità cervicale e tremori (Plowright, 1990; Radostits e coll., 2000).Nella presente nota si descrivono due casi di MCF in bovini allevati in Italia Meridionale.

Materiali e metodiCasi clinici. I casi clinici sono stati osservati in due diversi allevamenti dell’Italia Meridionale. Il primo episodio di MCF è stato osservato in un allevamento di bovini di razza frisona della provincia di Benevento, che comprendeva 56 bovine da latte e 32

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vitelli. In aprile 2002, una vacca di 3 anni ha sviluppato una grave forma clinica, caratterizzata da febbre (42°C), abbattimento, lacrimazione, scolo oculo-nasale di tipo mucopurulento e diarrea profusa. Ad un attento esame clinico si potevano apprezzare linfoadenopatia generalizzata e lesioni necrotiche sul musello ed intorno alle narici, le quali, ostruendo il passaggio dell’aria, erano responsabili di difficoltà respiratoria. La morte sopraggiungeva 4 giorni dopo la comparsa della sintomatologia respiratoria. Dall’indagine epidemiologica è emerso che lo stesso allevamento ospitava un gregge di 110 pecore, le quali avevano accesso agli stessi foraggi ed agli stessi abbeveratoi dei bovini. In base alla sintomatologia ed all’anamnesi è stata formulata la diagnosi di sospetto di MCF. Un campione di sangue intero, un campione di siero ed una crosta del musello, prelevati dalla vacca poco prima della morte, sono stati inviati al laboratorio per gli accertamenti virologici.Il secondo caso di MCF è stato segnalato, a settembre dello stesso anno, in un allevamento di 36 brune alpine della provincia di Potenza. Un vitello di sei mesi ha presentato i segni tipici della forma cefalo-oculo-nasale, con ipertermia (41°C), cheratocongiuntivite bilaterale, opacamento corneale, scialorrea, scolo nasale, dapprima mucoso e poi mucopurulento, nonché iperemia e fenomeni erosivi a carico della mucosa oronasale. Dopo 11 giorni dalla comparsa dei primi segni clinici, il vitello ha sviluppato sintomi nervosi (incoordinazione motoria e convulsioni) ed è stato abbattuto. Prima dell’abbattimento sono stati prelevati campioni di sangue con e senza anticoagulanti, mentre subito dopo la morte sono stati asportati i turbinati, che presentavano una grave flogosi. Il materiale raccolto è stato inviato al laboratorio.Estrazione del DNA virale e PCR. Dal sangue intero della vacca e del vitello con sospetta MCF è stato raccolto il buffy coat mediante stratificazione su Lympholyte®-H (Cedarlane, Hornby, Ontario, Canada), seguendo le istruzioni della casa produttrice. Il DNA virale è stato estratto dal buffy coat dei due animali mediante QIAamp® DNA Blood Mini Kit (Qiagen GmbH, Hilden, Germany), e dalla crosta del musello della vacca e dai turbinati del vitello mediante DneasyTM Tissue Kit (Qiagen GmbH, Hilden, Germany). Per la ricerca del DNA di OvHV-2 è stata effettuata una eminested-PCR, secondo la metodica descritta da Baxter e coll. (1993), modificata da Hüssy e coll. (2001). Nel primo ciclo di amplificazione è stata utilizzata la coppia di primers 488 (AGTCTGGGG TATATGAATCCAGATGGCTCT)/755 (AAGATAAGCACCAGTTATGCATCTGATAAA), che amplifica un frammento di 422 bp del gene che codifica per la proteina del tegumento. Sono state impiegate le seguenti condizioni termiche: 40 cicli di 94°C per 30 sec, 60°C per 30 sec, 72°C per 30 sec, seguiti da una fase finale di polimerizzazione a 72°C per 10 min. Un’aliquota di 2,5 μl dell’amplificato PCR è stata sottoposta ad un secondo ciclo di amplificazione (eminested), utilizzando i primers 488/555 (TTCTGGGGTAGTGGCGAGCGAAGGCTTC), che amplificano un frammento interno di 238 bp, e le stesse condizioni termiche della PCR per un totale di 30 cicli. Infine, i prodotti dei due cicli di amplificazione sono stati sottoposti ad elettroforesi in gel di agarosio e visualizzati al transilluminatore UV, previa colorazione con etidio bromuro. Come controlli positivi sono stati utilizzati il DNA di OvHV-2 estratto da un campione di campo, gentilmente fornito da I. Campbell (Department of Viral Diseases, Veterinary Laboratories Agency, Weybridge, UK), ed il plasmide pOvHV-2 (Hüssy e coll., 2001), gentilmente fornito da M. Engels (Institute of Virology, Veterinary Medical Faculty, Zurigo, Svizzera).Analisi di sequenza. Gli amplificati PCR di 422 bp sono stati inviati alla Genome Express (Meylan, Francia) per il sequenziamento diretto. Le sequenze ottenute sono state analizzate, utilizzando il programma di analisi molecolare BLAST del National Center of Biotechnology Information (NCBI; www.ncbi.nih.gov), ed allineate mediante il software BIOEDIT (Hall, 1999).

Esami sierologici. La ricerca di anticorpi specifici per i virus della MCF è stata effettuata mediante test di immunofluorescenza indiretta (IFI). Lo stipite AlHV-1 WC 11 è stato inoculato su cellule primarie di rene fetale bovino e le cellule infette, quando l’effetto citopatico era avanzato, sono state tripsinizzate, distribuite su vetrini multispot e fissate in acetone freddo. I sieri dei due bovini sono stati diluiti per raddoppio, partendo dalla diluizione 1:50, fino a 1:1600, e le diverse diluizioni sono state deposte sui pozzetti e incubate a 37°C per 30 min. Dopo 3 lavaggi in soluzione salina tamponata (PBS) di 15 min ciascuno, è stato aggiunto siero anti-IgG di bovino marcato con fluoresceina (Sigma Aldrich Srl, Milano). Dopo incubazione a 37°C per 30 min, i vetrini sono stati sottoposti a 3 cicli di lavaggi in PBS ed osservati al microscopio a fluorescenza.

Diagnosi differenziale. Il buffy coat ed i campioni di tessuto dei due bovini sono stati testati in diversi test PCR, per la ricerca dell’acido nucleico del virus della diarrea virale bovina (BVDV), dell’herpesvirus bovino tipo 1 (BoHV-1) e tipo 4 (BoHV-4).

RisultatiI sintomi presentati dai due bovini sono altamente indicativi di MCF. I test PCR ed eminested hanno evidenziato la presenza dell’acido nucleico di OvHV-2 nel buffy coat e nei campioni di tessuto prelevati da entrambi gli animali.L’analisi di sequenza dei prodotti PCR ottenuti ha evidenziato una identità nucleotidica del 99% rispetto alle sequenze di OvHV-2 disponibili nella GenBank (numeri di accesso L05908 e S64565) ed al DNA plasmidico pOvHV-2, mentre una identità del 100% è stata riscontrata nei confronti del campione positivo di Weybridge.Tuttavia, mediante test IFI, anticorpi specifici per i virus della MCF sono stati messi in evidenza solo nel siero del vitello, con titolo pari a 1:800, mentre la vacca è risultata sieronegativa. I test PCR per la ricerca di BVDV, BoHV-1 e BoHV-4 hanno fornito esito costantemente negativo.

DISCUSSIONELa diagnosi clinica di MCF nei due bovini è stata confermata dall’esito positivo dei test PCR ed eminested, la cui specificità è stata dimostrata dall’analisi di sequenza degli amplificati ottenuti. L’indagine epidemiologica ha evidenziato una stretta coabitazione con le pecore solo per la vacca, mentre per il vitello non sono emersi pregressi contatti con specie carrier (ovicaprini), anche se non possono essere esclusi occasionali contatti al pascolo. L’assenza di anticorpi specifici per i virus della MCF nel siero della vacca potrebbe essere spiegata dal decorso rapidamente letale della malattia. È infatti noto che un decorso particolarmente rapido della MCF può portare a morte l’animale, prima che gli anticorpi raggiungano un livello evidenziabile con le normali tecniche sierologiche (Radostits e coll., 2000).

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In Italia, focolai di MCF in allevamenti promiscui sono stati raramente segnalati e, comunque, la diagnosi è stata effettuata sulla base dei sintomi clinici, dei dati anamnestici, del quadro istopatologico, oppure dei risultati degli esami sierologici (Guarino e coll., 1993; Casalinuovo e coll., 1996; Decaro e coll., 2003). Pertanto, i casi descritti nella presente nota rappresentano, in Italia, le prime segnalazioni di MCF, nelle quali il quadro clinico e gli esami sierologici sono stati confermati dall’evidenziazione dell’acido nucleico di OvHV-2.

BibliografiaBaxter SIF, Pow A, Bridgen A, Reid HW (1993) PCR detection of the sheep-associated agent of malignant catarrhal fever. Arch. Virol., 132: 145-159. - Casilinuovo F, Cacia A, Scarpino P, Gualtieri G, Gagliardi G, Caparello G (1996). Febbre catarrale maligna dei bovini: segnalazione di 2 casi clinici negli allevamenti calabresi. Praxis Vet., 17: 20-22. - Decaro N, Bozzo G, Tinelli A, Aliberti A, Buonavoglia D, Magrì VM (2003). Febbre catarrale maligna in due bovine in Sicilia. L.A.R., 9: 29-35. - Guarino A, Agrimi U, Fenizia D, Tollis M (1993). Focolaio di Febbre catarrale maligna bovina in Italia. Atti S.I.S.Vet., Riccione, 29 Settembre – 2 Ottobre 1993, 47: 1949-1950. - Hall TA (1999). BioEdit: a user-friendly biological sequence alignment and analysis program for Windows 95/98/NT. Nucleic Acids Symp. Ser., 41: 95-98. - Hüssy D, Stäuber N, Leutenegger CM, Rieder S, Ackermann M (2001). Quantitative fluorogenic PCR assay for measuring ovine herpesvirus 2 replication in sheep. J. Clin. Microbiol., 8: 123-128. - Plowright W. (1990). Malignant catarrhal fever virus. In: Dinter Z, Morein B, Eds, Virus infections of vertebrates, vol. III, Virus infections of ruminants, 1st Ed., pp. 123-150; Elsevier Science Publishing Co. Inc., Amsterdam, The Netherlands. - Radostits OM, Gay CC, Blood DC, Hinchcliff KW. (2000). Diseases caused by viruses. In: Radostits OM, Gay CC, Blood DC, Hinchcliff KW, Eds, Veterinary Medicine: a textbook of diseases of cattle, sheep, pigs, goats, and horses, 9th Ed., pp. 1081-1085; W.B. Saunders Co. Ltd., London, UK.

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ENTERITE NEONATALE DEI RUMINANTI DA ROTAVIRUS:IDENTIFICAZIONE DI UN NUOVO SIEROTIPO VP4 NEL BUFALO

Martella V.,1 Terio V.,1 Camero M.,1 Campolo M.,1 Cavaliere N.,2 Cafiero M.,2 Buonavoglia C.1

1Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari2Istituto Zooprofilattico Sperimentale – Sezione di Foggia

Autore comunicante: Martella Vito

Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria di BariS.p. per Casamassima Km3, 70010, Valenzano, Bari

Tel: 080 4679833 Fax: 080 4679843E-mail: [email protected]

RiassuntoUno stipite rotavirus, 10733, isolato dalle feci di un vitello di bufalo colpito da grave enterite, è stato caratterizzato mediante analisi dei principali determinanti antigenici (VP7, VP4 e VP6), nonché dei geni delle proteine non struttali (NSP4, NSP5/6) e del pattern di migrazione elettroforetico dell’RNA genomico virale. Da un punto di vista antigenico, il virus è stato classificato come P5B[3],G6, SG I. Il lungo pattern elettroforetico di migrazione dei segmenti di RNA virale e l’omologia nei geni delle proteine non strutturali (NSP4, NSP5/6) confermano l’origine prettamente bovina (o comunque l’appartenenza ad un ruminante) del virus isolato. Mediante analisi di sequenza, la frazione VP8* della VP4 ha rilevato una elevata omologia nella sequenza aminoacidica (96.3%) con lo stipite di scimmia RRV (P5B[3]). Ad eccezione del virus prototipo RRV MMU18006, isolato alla fine degli anni ’70 negli Stati Uniti da una scimmia rhesus, rotavirus in possesso dell’allele P5B[3] non sono mai stati identificati né negli animali né nell’uomo. L’identificazione del genotipo P[3], RRV-simile in un bufalo, fornisce ulteriore conferma della diversità antigenica/genetica dei rotavirus di gruppo A.

AbstractA rotavirus strain, 10733, isolated from the faeces of a buffalo calf affected with severe enteritis diarrhoea, was characterised by analysis of the main antigenic determinants (VP7, VP4 and VP6), as well as of the electrophoretic pattern of the genomic viral RNA segments. Strain 10733 was antigenically characterised as P5B[3],G6, SGI. The long electrophoretic pattern and the high sequence similarity to bovine rotaviruses in the non structural protein (NSP4 and NSP5/6) confirm that strain 10733 is a bovine-like rotavirus (or a ruminant-like strain). Sequence analysis of the VP8* trypsin-cleavage product of the VP4 protein revealed a high amino acid (aa) identity (96.3%) to that of RRV (P5B[3]). With the only exception of the prototype strain RRV MMU1088, isolated in the early 1970s in the USA from a rhesus monkey, P5B[3] rotaviruses have never been identified neither in animals nor in humans. Thus, the identification of the P[3] VP4 genotype, RRV-like, in a buffalo calf, provides additional evidence for the antigenic/genetic diversity of group A rotaviruses.

IntroduzioneI rotavirus di gruppo A sono la principale causa di gastroenterite virale acuta nell’uomo ed in molte specie animali. I rotavirus appartengono alle Reoviridae e possiedono 11 segmenti di RNA bicatenario (dsRNA) racchiuso in un capside trilaminare (Estes, 2001). La proteina interna VP6 esprime l’antigene di gruppo e sottogruppo che permette la classificazione in sottogruppi SGI, SGII o SGI+II (19). I ceppi rotavirus possono esibire pattern elettroforetico (e-tipo) lungo o corto, sulla base della migrazione dell’11° segmento di dsRNA su gel. La maggior parte dei ceppi animali ed umani possiedono pattern lungo ma i primi appartengono al SGI, i secondi al SGII (Kapikian et al., 2001).La classificazione in sierotipi si basa su due determinanti antigenici, localizzati rispettivamente sulla proteine capsidiche esterna VP7 (G sierotipo) e VP4 (P sierotipo) (Estes, 2001). Sulla base dell reattività sierologica e della analisi genetica, 15 G sierotipi sono stati identificati (Estes, 2001; Kapikian et al., 2001). Antisieri specifici e anticorpi monoclonali costruiti verso la VP4 hanno identificato 14 P sierotipi, mentre l’analisi di sequenza della VP4, o della subunità VP8* della VP4, ha identificato 23 P genotipi (Hoshino et al., 2002; Kapikian et al., 2001; Martella et al ., in press; Liprandi et al., comunicazione personale). Con poche eccezioni, (Ciarlet et al., 1997a), ceppi che esibiscono almeno l’89% di omologia aminoacidica (aa) sono classificati come appartenenti allo stesso P genotipo. Seguendo le linee guida di questo sistema di classificazione, il P sierotipo viene indicato come un numero immediatamente subito dopo la lettera P, mentre il genotipo viene indicato con un numero tra parentesi quadra (Estes, 2001; Hoshino et al., 2002; Kapikian et al., 2001). Rotavirus appartenenti ai sierotipi G6, G8 e G10, in associazione con tipi VP4 P6[1], P7[5] o P8[11], sono comunemente identificati nei bovini, sebbene siano stati identificati sporadicamente dei ceppi appartenenti ai tipi G1, G2, G3, G7 e G11 (El-Attar et al., 2002; Kapikian et al., 2001; Varshney et al., 2002). Inoltre, è stato possibile isolare da vitelli dei virus inusuali, P[17],G7, presumibilmente di origine aviare (Rohwedder et al., 1995), e degli stipiti P[21],G15, mai identificati prima in nessun altra specie animale (Rao et al., 2000). Nel presente studio, viene descritto l’isolamento e la caratterizzazione molecolare dei geni VP8*, VP7, VP6, NSP4, e NSP5/6 di un inusuale stipite rotavirus, 10733, da un vitello di 1 settimana di età colpito da grave enterite. Dall’analisi molecolare si evince che, sebbene lo stipite 10733 possieda una costellazione di alleli tipicamente di origine bovina, uno dei suoi determinanti antigenici, la proteina VP4, risulta molto simile (> 96% a livello aa) a quella di un virus di scimmia rhesus (RRV), mai identificato sinora negli animali e nell’uomo.

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Materiali e metodiIsolamento del virus. Lo stipite rotavirus 10733 è stato isolato nel 2001 nel Sud Italia in un allevamento di bufali da un vitello di 1 settimana di età, che manifestava gravi sintomi di enterite. Il virus è stato adattato alla crecita su cellule MA-104, in DMEM addizionato di tripsina 5 µg/ml. La crescita virale è stata evidenziata mediante osservazione dell’effetto citopatico (ECP) ed immunofluorescenza indiretta (IF), usando un siero di coniglio specifico per rotavirus di gruppo A. Dopo 12 passaggi seriali, il virus è stato purificato per tre volte ed il suo titolo è stato determinato mediante metodo delle placche. Le placche virali sono state ottenute usando DMEM agarosio 0.6% in presenza di tripsina 5 µg/ml e siero fetale bovino 2.5% ed il titolo virale è stato espresso in unità formanti placche per ml (UFP/ml). Lo stipite virale 10733 ha prodotto placche di 0.1-1 mm in terreno semi-solido, raggiungendo titoli di 1.5x107 UFP/ml già dal 9° passaggio in vitro.Determinazione dell’elettroferotipo. L’RNA virale è stato estratto dalle cellule infette in presenza di ECP 50%. Il virus è stato purificato mediante solvente (Mendez et al., 2000) e l’RNA è stato estratto con fenolo-cloroformio, precipitato con etanolo e sodio acetato 0.3 M, e risospeso in TE (Tris-EDTA, pH 8.0). L’e-tipo è stato visualizzato in TAE gel (Tris-EDTA-Acetato, pH 8.0) allo 0.5% e 1.5% di agarosio, dopo elettroforesi a 15V per 18 h e colorazione con etidio bromuro. Extrazione RNA virale e amplificazione PCR dei geni VP7, VP4, VP6, NSP4 e NSP5/6. L’RNA virale è stato estratto sia dal campione di feci originario sia dal 3° passaggio su cellule, mediante adsorbimento su cellulosa CF11, come descritto in precedenza (Wilde et al., 1990). L’RNA virale è stato denaturato in dimetilsulfossido a 97°C per 5 min. La retrotrascrizione virale è stata effettuata usando la retrotrascrittasi MuLV (Perkin-Elmer Europe B.V. Monza), mentre l’amplificazione PCR è stata effettuata usando la DNA-polimerasi AmpliTaq Gold (Perkin-Elmer Europe B.V. Monza).Il gene VP7 (1,062 nucleotidi [nt]) è stato amplificato usando i primer Beg9 (Gouvea et al., 1990) ed il primer End9deg (GGTCACATCDWMCARYTCTAAYYHM). La sub-unità VP8* del gene VP4, il peptide di connessione, e l’estremità N-terminale della sub-unità VP5* della VP4 (876 nt) sono stati amplificati usando i primer Con2-Con3 (Gentsch et al., 1992). Il gene NSP4 (725 nt) è stato amplificato usando i primer 10Beg16-10End722 (Lee et al., 2000), mentre il gene NSP5/NSP6 (667 nt) è stato amplificato usando i primer descritti da Krishna et al. (2001). Il genogruppo VP6, predittivo della specificità di SG, è stato determinato mediante amplificazione di un frammento di 379 nt, codificante per gli aminoacidi (aa) 241-367, usando i primer VP6F-VP6R (Iturriza-Gòmara et al., 2002). Analisi di sequenza.Per l’analisi di sequenza diretta, tre distinti amplificati PCR sono stati analizzati e una sequenza consensus è stata elaborata. Inoltre, i geni VP7 e VP8* sono stati clonati nel vettore pCRT7/NT-TOPO (Invitrogen BV, Groningen, The Netherlands) e la sequenza è stata determinata usando tre cloni plasmidici. Le sequenze sono state assemblate ed analizzate usando il software Bioedited (Hall et al., 1999) e registrate in GenBank con i numeri di accesso AY281360, AY281359, AY293829, AY293830, per la VP7, VP8*, NSP4 ed NSP5/6, rispettivamente.

RisultatiDeterminazione dell’elettroferotipo. L’e-tipo dello stipite 10733 ha esibito un pattern lungo, tipico dei rotavirus di gruppo A animali con minime differenze di mobilità nei segmenti 4, 7, 8 e 9 rispetto ai ceppi di referenza del nostro laboratorio (dati non mostrati). Analisi di sequenza. Il gene VP7 dello stipite di bufalo 10733 è risultato lungo 1,062 nt. La sequenza aa della proteina codificata, lunga 326 aa, è risultata molto simile (98.7-87.4%) a quella di virus appartenenti al sierotipo G6. La più elevata omologia (98.7 e 93.5% aa) è stata osservata nei confronti degli inusuali virus umani P3[9],G6 Hun4 (Ungheria) e PA151 (Italia). A livello del frammento VP8*, il virus 10733 ha mostrato un’elevata omologia ( 95.6% nt e 96.2% aa) verso lo stipite di scimmia rhesus RRV MMU10833, caratterizzato come P5B[3] (Tabella 1). Un’elevata omologia (83% nt e 90.8% aa) è stata inoltre osservata nei confronti del virus caprino GRV, recentemente identificato in Giappone (Lee et al., 2000). Poiché virus che esibiscono un’omologia a livello di VP8* · 89% (aa) appartengono allo stesso P sierotipo o sottotipo (Gorziglia et al., 1990), lo stipite 10733 può essere assegnato al genotipo P[3] ed al sierotipo P5B, di cui lo stipite RRV MMU18006 è il prototipo. L’analisi comparativa del frammento VP6 (aa 281-350), correlato con la specificità SG (Iturriza-Gómara et al., 2002), ha permesso di caratterizzare il virus 10733 come genogruppo I, indicativo del SGI (dati non mostrati). La sequenza della proteina NSP4 è risultata simile (97.1%) a quella dell’inusuale stipite umano A64, G10, di probabile origine bovina, ed al ceppo bovino UK, P7[5],G6, consentendo di caratterizzare il virus come appartenente al genogruppo NSP4 A, KUN-simile, cui appartiene la maggior parte dei ceppi bovini. La sequenza del gene NSP5/6 del virus 10733 ha mostrato la più elevata omologia (96.7%) nei confronti dello stipite bovino RF. In questo gene, un’elevata omologia è stata osservata anche verso i virus umani P3[9], come gli stipiti 512B (93.9%), K8 e AU-1 (93.4%), nonché verso lo stipite bovino UK (92.9%).

DiscussioneL’epidemiologia dei rotavirus nei bufali è poco nota. La tipologia di conduzione dell’allevamento e/o la stretta affinità di specie tra bovini e bufali possono spiegare l’identificazione nei bufali di rotavirus con determinanti antigenici G6, G8 e G10, associati a P6[1], P7[5], o P8[11] in Italia (Martella et al., 1999; Pratelli et al., 1999). Analogamente, rotavirus dotati di specificità antigeniche analoghe a quelle dei rotavirus bovini sono stati identificati nei bufali in India, dove i tipi G10 e P8[11] sono prevalenti (Gulati et al., 1999). Il virus di bufalo 10733, ha mostrato un e-tipo lungo, e una specificità VP6 di tipo SG I. Un tale pattern è comunemente descritto nei virus di origine animale (Kapikian et al., 2001). Inoltre, l’analisi di sequenza dei geni VP7, VP8*, NSP4 e NSP5/6 ha mostrato che il virus possiede specificità G6 e P[3], nonché geni NSP5/6 ed NSP4 (KUN-simile, genotipo

193XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

A), di origine bovina.L’elevata omologia nucleotidica ed aminoacidica della VP8* dello stipite 10733 nei confronti del virus RRV, suggerisce che lo stipite 10733 possiede un allele VP4 analogo a quello del virus RRV e consente di includere il virus 10733 nel P tipo P5B[3]. Analizzando le sequenze nei database, è stato possibile trovare la sequenza del gene VP8* di un virus, GRV, isolato da un capretto in Corea, che mostra elevata omologia nei confronti dei virus 10733 ed RRV (Lee et al., 2003). L’identificazione del raro allele VP4 P[3], RRV-simile, nei ruminanti solleva degli interrogativi sull’ origine e sull’Introduzione di questo nuovo P tipo nel pool di alleli dei rotavirus dei ruminanti. Lo stipite di scimmia rhesus RRV MMU18006 è stato originariamente isolato dalle feci di una scimmia rhesus di 3-5 mesi di età colpita da diarrea (Stucker et al., 1980). Lo stipite RRV è stato classificato sia sierologicamente che geneticamente come P5B[3],G3, SG I e genotipo NSP4 C (Au-1-simile) (Ciarlet et al., 2000). Mentre la specificità G3 è stata descritta in un ampio spettro di specie animali (Estes, 2001), sinora il virus prototipo RRV è il solo stipite che possiede allele VP4 P5B[3] (Hoshino et al., 2002). Nonostante sia usato come ceppo di referenza in molti laboratori e come virus vettore nel vaccino tetravalente riassortante sviluppato per la prevenzione della rotavirosi nei bambini (Kapikian, 2002; Midthun et al., 1985, 1986), virus RRV- simili non sono mai stati descritti sinora ed il P tipo 5B[3] è considerato un allele di scarsa rilevanza epidemiologica sia negli uomini che negli animali. Pertanto, l’identificazione di virus P[3] RRV-simili, ha solo due possibili spiegazioni: (i) l’allele P[3] RRV-simile è presente nei ruminanti ma non è mai stato identificato sinora a causa della sua limitata diffusione e/o dei sistemi di tipizzazione utilizzati; (ii) tale allele è stato introdotto recentemente nel pool di alleli genici dei rotavirus dei ruminanti, come risultato di un riassortimento genetico realizzatosi con un virus di scimmia o con il virus vaccinale rhesus. Per esempio, la trasmissione orizzontale del virus è stata dimostrata sia nei bambini vaccinati sia nei soggetti di controllo durante la sperimentazione del vaccino riassortante rhesus in Venezuela (Perez-Schael et al., 1997). Poiché il vaccino reassortante rhesus è stata sperimentato in diversi Paesi sin dalla metà degli anni ’80, potrebbe avere avuto luogo una massiva contaminazione ambientale con il virus di origine vaccinale nel corso degli ultimi 20 anni. Questa ipotesi è estremamente affascinante, poiché evoca lo spettro del potenziale rischio biologico derivante dalla manipolazione di virus vivi che possiedono elevata plasticità genetica/antigenica, quali i virus ad RNA segmentato. L’identificazione di uno stipite rotavirus di bufalo, caratterizzato come P5B[3],G6, mentre da una parte fornisce un’ulteriore conferma della diversità genetica/antigenica dei rotavirus di gruppo A, d’altra parte è anche importante nella prospettiva di comprendere la basi della restrizione d’ospite di questi virus. Sebbene i rotavirus abbiano una bassa specie-specificità, le infezioni eterologhe (in una specie ospite inusuale) di solito non determinano segni clinici e non sono in grado di propagarsi efficientemente (Ciarlet et al., 1998; 2000; Estes, 2001). Lo stipite 10733 è stato isolato da un vitello di bufalo con diarrea, pertanto la presenza di questo nuovo allele VP4, RRV-simile, nel background di un virus bovino è probabilmente permissiva nei confronti dell’infezione acuta sintomatica nei vitelli. Curiosamente, il virus RRV, P5B[3],G3, è anche il solo stipite in grado di determinare infezione eterologa produttiva (sintomatica ed in grado di propagarsi) nel modello coniglio (Ciarlet et al., 1998; 2000). L’analisi comparativa della sequenza di altri geni del virus 10733, nonché l’infezione sperimentale di vitelli bovini o bufalini, potrebbe fornire importanti informazioni sui meccanismi molecolari che regolano la restrizione dello spettro d’ospite nel caso dei rotavirus, nonché potrebbe aiutare a comprendere l’origine di questo virus insolito.

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194 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 1: comparazione aminoacidica della porzione VP8* dello stipite rotavirus di bufalo 10733con P genotipi noti. N.d.: non determinato.

PGenotipo

PSierotipo

Identità aminoacidica VP8*(aa 1 - 247)

Stipite (origine) 10733 GRV RRV

A5 (bovino) 1 6 80.9 81.2 79.8SA11 (scimmia) 2 5B 85.4 84.5 84.0

RRV (scimmia) 3 5B 96.2 91.0 -

10733 (bufalo) 3 n.d. - 91.3 96.2

GRV (capra) 3 n.d. 91.3 - 90.9

K9 (cane) 3 5A 88.2 87.8 85.7

CU-1(cane) 3 5A 87.1 86.5 85.7

L26 (uomo) 4 1B 61.8 62.8 61.1

UK (bovino) 5 7 66.3 69.1 66.3

M37 (uomo) 6 2A 64.9 63.9 64.2

Gottfried (suino) 6 2B 64.2 63.5 64.2

OSU (suino) 7 9 79.2 78.1 77.1

WA (uomo) 8 1A 61.4 63.5 60.7

K8 (uomo) 9 3 62.1 63.2 62.1

69M (uomo) 10 4 77.7 77.2 78.3

B223 (bovino) 11 8 45.2 46.9 45.5

H-2 (equino) 12 72.2 73.6 72.57

MDR-13 (suino) 13 67.7 70.5 67.0

ALA (coniglio) 14 11 61.8 63.2 61.5

Lp14 (ovino) 15 78.8 80.5 78.8

EW (topo) 16 10 68.7 68.2 67.7

993/83 (topo) 17 48.2 49.3 47.2

L338 (equino) 18 73.3 75.7 74.6

Mc323 (uomo) 19 12 64.2 65.6 63.5

EHP (topo) 20 13 73.3 78.1 75.7

Hg18 (bovino) 21 68.7 71.2 67.7

160/01 (lapine) 22 65.9 68.8 64.9

195XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ABORTI OVINI E CAPRINI IN SARDEGNA RIFERITO A TOXOPLASMA GONDII, COXIELLA BURNETII E CHLAMYDOPHILA ABORTUS :

ANALISI DEL QUADRIENNIO 1999-2002

Tanda A.1, Porcu.1, Madau L.1, Gallisai E.1, Cillara G.1, Sanna S.1, Tola S.1, Masala G.1

1Isituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “ G. Pegreffi” Sassari

RiassuntoDurante il periodo 1999-2002 sono stati analizzati 9639 sieri ed 815 prodotti di aborto (670 feti e 145 placente) provenienti da 964 allevamenti “problema”, ovini e caprini, distribuiti su tutto il territorio regionale.Scopo di questo lavoro è avere un quadro epidemiologico ed una mappa di distribuzione degli agenti infettivi Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii e Chlamydophila abortus nel territorio sardo. Tutti gli emosieri sono stati esaminati per valutare la presenza di anticorpi circolanti per gli agenti infettivi oggetto del nostro studio; sono state applicate tecniche quali : immunofluorescenza indiretta (IFI) per T. gondii, ELISA per C. burnetii e C. abortus . E’ stata eseguita la Polymerase Chain Reaction su 2421 campioni fetali ovini e 356 caprini ( placenta, cervello, muscolo, fegato, milza, IV stomaco) utilizzando primers specifici per ciascun microorganismo. La sieroprevalenza media nel quadriennio considerato si è rivelata più elevata a carico del T. gondii (IgG ovini 29% e caprini 10.7 % ; IgM ovini 9.5% e caprini 4.1 %). Le percentuali sierologiche riconducibili a C. burnetii (ovini 9.7%, caprini 11.85%) e C. abortus (ovini 6 %, caprini 10.7 %) sono relativamente basse, indice di scarsa circolazione nella nostra isola di tali agenti abortigeni. Sono risultati positivi in PCR (considerando specie ovina e specie caprina ) 294 organi (10.6%) per T. gondii, 141 (7.2%) per C. burnetii e 26 (2.2%) per C. abortus.

IntroduzioneL’ incidenza degli aborti ovini e caprini di origine infettiva in Sardegna è molto elevata; questo è attribuibile sia all’ingente patrimonio zootecnico dell’isola che all’alta densità di animali sul territorio.Si tratta di un fenomeno sempre di grande attualità e interesse non solo sanitario ma anche economico causato dalla perdita di agnelli e dalla mancata lattazione: si stima che il danno si attesti ogni anno intorno ai 10 milioni di Euro. La diagnosi di alcuni agenti infettivi responsabili di aborto è alquanto complessa ed è legata ad una serie di concause dirette ed indirette. La prima è in stretta relazione con i metodi diagnostici utilizzati per isolare batteri e protozoi ; le tradizionali tecniche colturali permettono infatti la crescita di batteri poco esigenti dal punto di vista nutrizionale ma non favoriscono la crescita dei microrganismi particolarmente “difficili” quali Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii, e Chlamydophila abortus che necessitano di lunghi tempi di crescita e di un substrato cellulare per l’isolamento [3,6,7,8,12,14]. La seconda è connessa al materiale patologico, non essendo facile, considerate le condizioni strutturali degli allevamenti della Sardegna, reperire feti e placente per le analisi di laboratorio.Scopo del nostro lavoro è : 1) avere un quadro epidemiologico degli agenti infettivi ad interesse zoonosico nel territorio sardo ; 2) ridurre i tempi di diagnosi applicando metodiche bio-molecolari ai prodotti di aborto, per migliorare la diagnostica diretta; 3) abbreviare i tempi di refertazione. In questo lavoro presentiamo i risultati di un quadriennio di raccolta di sieri e prodotti di aborto relativi ai valori di sieroprevalenza, in Immuno-fluorescenza indiretta ed Enzyme-Linked Immunosorbent Assay, ed all’identificazione degli agenti infettivi mediante Polymerase Chain Reaction. Materiali e metodiTutti i campioni di sangue e prodotti di aborto ovini e caprini pervenuti presso i nostri laboratori nel quadriennio 1999-2002 da 964 aziende “problema” distribuite su tutto il territorio sardo sono elencati in Tabella 1.

ANNO Allevam. ovini

Allevam. caprini Sieri ovini Sieri

caprini Feti ovini Feti caprini

Placente ovine

Placente caprine

1999 210 23 1972 463 49 8 15 -

2000 216 18 1437 554 240 27 37 -

2001 219 21 1689 365 131 11 32 3

2002 225 32 2096 1063 162 42 49 9

Totali 870 94 7194 2445 582 88 133 12

Tabella 1- Numero dei sieri, dei feti e delle placente ovini e caprini pervenuti nel periodo 1999-2002.

Analisi sierologicaTutti gli emosieri sono stati esaminati per ricerca di anticorpi specifici per Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii, e Chlamydophila abortus.Per l’individuazione di anticorpi circolanti per Toxoplasma gondii è stato utilizzato l’antigene liofilizzato della ditta Biomerieux, ricostituito e dispensato, alla concentrazione indicata dalla casa produttrice su vetrini a 24 pozzetti (GSG-Nuclear). Dopo una prima incubazione con i sieri da analizzare, diluiti a partire da 1:200 per IgG e 1:20 per IgM, i vetrini sono stati lavati con PBS, incubati con il 2° anticorpo coniugato con isotiocianato di fluoresceina (FITC, Kpl) e letti al microscopio a fluorescenza.L’analisi sierologica è stata eseguita con metodica ELISA, per la ricerca di Ac verso Coxiella burnetii, utilizzando piastre sensibilizzate prodotte dalla ditta Hoechst-Roussel Vet. , seguendo le istruzioni della casa produttrice. Gli anticorpi per Chlamydophila abortus sono stati ricercati mediante i kit Panclabort della ditta Yaba : i sieri positivi alle piastre “Screen” venivano testati successivamente utilizzando le piastre “Controlled” che mettono in evidenza esclusivamente anticorpi specifici per ceppi abortigeni di Chlamydophila escludendo falsi positivi dovuti a ceppi patogeni ma non abortigeni oppure a ceppi saprofiti.

Stoccaggio dei feti e delle placente.Da ciascuno dei 670 feti sono stati asportati il fegato, la milza, il cervello, il IV stomaco e il muscolo. Gli organi fetali e le 145 placente sono stati lavati tre volte con un buffer salino (PBS: 0.1 M phosphate, 0.33 M NaCl, pH 7.2) addizionato con 1.000.000 UI/L di penicillina (Carlo Erba) e di streptomicina (Squibb) e successivamente digeriti con tripsina al 2% per 3 ore a 37°C. Per il cervello è stata utilizzata tripsina allo 0.6%. Dopo una filtrazione con garza sterile, il materiale digerito è stato centrifugato a 3500 rpm per 10 min, lavato 3 volte con PBS, risospeso in siero fetale con dimetilsolfossido (DMSO) al 10% e congelato a –80°C fino al momento d’uso.

Estrazione del DNA e PCR.Il Dna dei microrganismi è stato estratto con kit High Pure PCR Template della ditta ROCHE, successivamente amplificato mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) [1]: le bande specifiche di positività sono state evidenziate mediante separazione degli ampliconi con elettroforesi su gel di agarosio.I primers utilizzati amplificavano frammenti della dimensione di: 497 bp delle sequenze intrageniche (IGS) del dna ribosomiale (rDNA) di Toxoplasma gondii [4]; 257 bp del gene di Coxiella burnetii che codifica per l’enzima superossido dismutasi [13] ; 320 bp del gene Omp2 per Chlamydophila abortus [10] .

RisultatiSieroprevalenzaI risultati ottenuti sono riportati nelle tabelle 2, 3 e 4. Nella tabella 2 sono illustrati i risultati ottenuti in IFI per Toxoplasma gondii utilizzando anticorpi anti IgG ed anti IgM. I positivi anti-IgM relativamente alla specie ovina sono in totale 652 pari in media al 9.50% mentre i positivi anti-IgG sono complessivamente 2048 pari in media al 29%. La percentuale di positività media per la specie caprina è del 10.75% per le anti-IgG e del 4.10% per le anti-IgM.Il test IFI utilizzato per Toxoplasma gondii possiede alta specificità e buona sensibilità [5].

ANNO Sieri positivi IgG Sieri positivi IgM Sieri dubbi

Ovini

1999 249 12,60% 103 5,20% 84 (4,20%)

2000 416 28,90% 122 8,40% 198 (13,70%)

2001 753 44,50% 366 21,60% 41 (2,40%)

2002 630 30,00% 61 2,90% 80 (3,80%)

Tot 2048 Media 29% Tot 652 Media 9.5% Tot 403 ; Media 6.00%

Caprini

1999 60 12,90% 15 3,20% 20 (4,30%)

2000 46 8,30% 18 3,20% 15 (2,70%)

2001 19 5,20% 1 0,20% 10 (2,70%)

2002 177 16,60% 100 9,80% 29 (2,70%)

Tot 302 Media 10.70% Tot 134 Media 4.10% Tot 74 ; Media 3.10%

Tabella 2 - Risultati ottenuti con l’immunofluorescenza indiretta per Toxoplasma gondii.

Dalla Tabella 3 si evince che la media delle positività in ELISA per Coxiella burnetii e pari al 9.7% per la specie ovina e al 11.90% per la specie caprina. Il test ELISA utilizzato è specifico al 98% e sensibile al 100% [2,11].

197XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ANNO Sieri positivi Sieri dubbi

Ovini

1999 133 6,70% 148 7,50%

2000 243 16,90% 58 4,00%

2001 185 10,90% 50 2,90%

2002 91 4,30% 46 2,20%

Tot 652 Media 9.70% Tot 302 Media 4.15%

Caprini

1999 14 3,00% 13 2,80%

2000 135 24,30% 17 3,00%

2001 54 14,70% 7 1,90%

2002 58 5,40% 49 4,60%

Tot 261 Media 11.90% Tot 86 Media 3.70%

Tabella 3- Risultati ottenuti con il test ELISA riferiti alla Coxiella burnetii.

La tabella 4 riporta i dati relativi alla sieroprevalenza per Chlamydophila abortus ottenuti mediante ELISA “Screening”. La percentuale di positivi è risultata essere maggiore per la specie caprina (media 10.80%) rispetto alla specie ovina (media 6%).Al successivo esame con ELISA Chlamydophila Controlled si è avuta una riduzione del 50% di positività sia nella specie ovina che caprina.

ANNO Sieri positivi Sieri dubbi

Ovini

1999 186 9,40% 146 7,40%2000 90 6,30% 24 1,70%2001 48 2,80% 9 0,50%2002 116 5,50% 7 0,30%

Tot 440 Media 6,00% Tot 186 Media 2.50%

Caprini

1999 44 9,50% 14 3,00%2000 62 11,00% 2 0,40%2001 24 6,60% 2 5,50%2002 169 16,00% 5 0,50%

Tot 299 Media 10.80% Tot 23 Media 2.25%Tabella 4- Risultati ottenuti con il test ELISA riferiti alla Chlamydophila abortus.

PCRI risultati ottenuti sono riportati nelle tabelle 5,6 e 7. Dalla tabella 5 si evince che su 2421 organi ovini analizzati con primers specifici per Toxoplasma gondii sono risultati positivi 271 pari al 11.1%. La prevalenza maggiore è stata riscontrata a carico della placenta, seguita dal muscolo e dal cervello. Su 356 organi caprini analizzati abbiamo ottenuto una media del 6.40% di positività. La banda di amplificazione ottenuta risulta di circa 497 bp corrispondente a quanto riportato in letteratura.

ORGANI

ovini caprini

Campioni esaminati

Campioni positivi

Campioni esaminati

Campioni positivi

Muscolo 496 76 15,30% 80 5 6,20%

Fegato 479 34 7,00% 79 2 2,50%

IV stomaco 420 32 7,60% 63 - -

Milza 394 24 6,00% 41 3 7,30%

Cervello 499 63 12,60% 81 7 8,60%

Placenta 133 42 31.60% 12 6 50,00%

Totali 2421 271 11.10% 356 23 6,40%Tabella 5- Risultati ottenuti con la PCR riferiti al Toxoplasma gondii.

198 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Nella tabella 6 sono riportati i campioni positivi per Coxiella burnetii : su 1948 organi ovini e caprini esaminati sono risultati positivi 141 (7.2%). La maggiore prevalenza di positivi è a carico della placenta .L’amplicone di 257 bp corrisponde a quanto riportato in letteratura.

ORGANIovini caprini

Campioni esaminati

Campioni positivi

Campioni esaminati

Campioni positivi

Muscolo 344 28 8.10% 43 -

Fegato 358 29 8.10% 43 -

IV stomaco 295 25 8.50% 38 -

Milza 287 21 7.30% 21 -

Cervello 353 26 7.40% 39 -

Placenta 115 10 8.70% 12 2 1.70%

Totali 1752 139 7.90% 196 2 1.00%

Tabella 6- Risultati ottenuti con la PCR riferiti alla Coxiella burnetii.

Infine nella tabella 7 sono presentati i campioni positivi per Chlamydophila abortus : su 1184 organi ovini e caprini esaminati sono risultati positivi 26 (2.2%). La maggiore prevalenza di positivi è a carico della placenta.La banda di amplificazione ottenuta risulta di 320 bp corrispondente a quanto riportato in letteratura.

ORGANIovini caprini

Campioni esaminati

Campioni positivi

Campioni esaminati

Campioni positivi

Muscolo 217 6 2.80% 23 - -

Fegato 230 4 1.70% 23 - -

IV stomaco 170 3 1.80% 20 - -

Milza 179 3 1.70% 12 - -

Cervello 218 4 1.80% 21 - -

Placenta 62 5 8.00% 9 1 11.80%

Totali 1076 25 2.30% 108 1 0.90%

Tabella 7- Risultati ottenuti con la PCR riferiti alla Chlamydophila abortus.

Discussione e conclusioniL’analisi del quadro epidemiologico della campagna quadriennale, relativa agli agenti Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii e Chlamydophila abortus è risultato esaustivo ma non definitivo poichè abbiamo preso in considerazione solo tre agenti abortigeni. La sieroprevalenza media in IFI per il Toxoplasma gondii è risultata essere del 29% ma tale dato potrebbe essere sottostimato poiché si è escluso il 4.56% di risultati dubbi che una futura sieroconversione avrebbe potuto in parte o del tutto sommare alla risultante positiva : ciò indica una “forte” circolazione del T. gondii nei nostri allevamenti.Le percentuali di positività sierologiche per Coxiella burnetii oscillananti tra il 9.7% e il 11.90% indicano che seppur in misura minore tale microorganismo circola nella regione sarda. La bassa positività sierologica per Chlamydophila abortus ha notevolmente ridimensionato il ruolo di questo agente abortigeno nel nostro territorio. L’analisi bio-molecolare applicata ai prodotti di aborto ha evidenziato la maggiore incidenza di infezioni attribuibili a Toxoplasma gondii; infatti l’11.1% degli organi ovini ed il 6.40% degli organi caprini analizzati è risultato positivo. Le percentuali di positività in PCR riconducibili alla Coxiella burnetii e alla Chlamydophila abortus oscillano dal 7.9% al 2.3% rispettivamente. In definitiva i dati ottenuti nella campagna di aborti 1999-2002 e relativi agli agenti Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii e Chlamydophila abortus hanno messo in evidenza che, in Sardegna, il primato degli aborti spetta al Toxoplasma gondii . L’obiettivo futuro è isolare e caratterizzare i ceppi di Toxoplasma gondii presenti nella nostra isola così da differenziarli per diverso grado di patogenicità .Questo pone due ordini di problemi:1) di ordine igienico-sanitario in quanto Toxoplasma gondii, Coxiella burnetii e Chlamydophila abortus sono agenti zoonosici.

199XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

2) di management aziendale perché non esiste una terapia farmacologica diretta né un vaccino utilizzabile per Toxoplasma gondii.A questo si aggiunge che, le misure di profilassi indiretta (derattizzazione, controllo dei vettori passivi) non risultano di facile applicazione nelle aziende sarde. In merito all’impiego di avanzate tecniche di biologia molecolare come la PCR per la routine diagnostica, è lecito confermare un effettivo progresso nella specificità, sensibilità e rapidità analitica.

Bibliografia1- Ausubel F.M., Brent R., Kingston R.E., Moore D.D. Seidan J.G., Smith A.A., Struhl K. Current protocols in molecular biology. 1992 ; vol I. Wiley-Interscience, New York, NY.2- Cowley R., Fernandez F., Freemantle W., Rutter D. Enzime immunoassay for Q fever: comparison with complement fixation and immunofluorescence test and dot immunoblotting. J. Clin. Microbiol.,1992; vol. 30: pp 2451-2455.3- Dawson M., Zaghloul A., Wilsmore A., J. Ovine enzootic abortion : experimental studies of immune responses. Research Veterinary Science, 1986; vol. 40: 59-64. 4- Guay J.M., Dubois D., Morency M., Gagnon S., Mercier J., Levesque R. Detection of pathogenic parasite Toxoplasma gondii by specific amplification of ribosomal sequences using comultiplex polymerase chain reaction. J. Clin. Microbiol. 1993; vol. 31: pp 203-207. 5- Marca M.C., Ramos J.J., Loste A., Saez T., Sanz M.C. Comparison of indirect immunofluorescent antibody test and modified direct agglutination test methods for detection of Toxoplasma gondii antibodies in adult sheep in Spain. Vet. Parassit., 1996; vol.67: pp 99-103.6- Maurin M., Raoult D. Q fever. Clinical Microbiol., Reviews, 1999. vol 12: pp 518-553.7- Owen M.R., Clarkson M.J., Trees A.J. Acute phase Toxoplasma abortions in sheep. Veterinary Record , 1998, 142 : pp 480-482.8- Palmer N.C., Kierstaed M., Key D. W. Placentitis and abortion in goat and sheep in Ontario caused by Coxiella burnetii. Can. Vet. J., 1983, 24 : pp 60-63.9- Sambrook J., Fritsch E.F., Maniatis T. Molecular cloning: a laboratory manual. 1989, Cold spring Harbor Laboratory, Cold Spring Harbor, NY.10- Sheehy N., Markey B., Gleeson M., Quinn P.J. Differentiation of Chlamydia psittaci and C. pecorum strains by species-specific PCR. J. Clinical Microbiol.,1996, vol. 34: pp 3175-3179.11- Soliman A.K., Botros B.A.M., Watts D.M. Evaluation of a competitive enzyme immunoassay for detection of Coxiella burnetii antibody in animal sera. J.Clin. Microbiol.,1992; vol. 30: pp 1595-1597.12- Stamp J.T., McEwen A.D., Watt J.A.A., Nisbett D.I. Enzootic abortion in ewes. Trasmission of the disease. Vet. Rec., 1950 , 62: pp251-254.13- Stein A., Raoult D. Detection of Coxiella burnetii by DNA amplification using polymerase chain reaction. J. Clin. Microbiol.1992, vol. 30: pp 2462-2466. 14- Waldhalm D.G., Stoenner H.G., Simmons R.E., Thomas L.A. Abortion associated with Coxiella burnetii infection in dairy goats. J. Amer. Med. Assoc. 1978, 133: pp 1580-1581.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

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Fe.Me.S.P.Rum

ATTISABATO 24 MAGGIO2003

RIATTIVAZIONE NATURALE DI CAPRINE HERPESVIRUS 1 (CPhv.1) IN CAPRE CON INFEZIONE LATENTE IN SICILIA Guercio A., Vicari D., Purpari G., Ferrantelli V., Di Marco P., Camero M., Tempesta M. EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE

VETERINARIA. Marenzoni M.L., Splendiani F. , Orso F. , Cuteri V. , Valente C. ANAPLASMOCI E BABESIOSI DEL BOVINO, RECENTI OSSERVAZIONI CLINICO-EPIDEMIOLOGICHE EFFETTUATE NELL’ITALIA DEL SUD Ceci L, Carelli G., Sasanelli M., de Caprariis D., Febbraio G. Lacinio R, Greco B. ECOGRAFIA BIDIMENSIONALE E DOPPLER DELLA MAMMELLA DI PECORA E CAPRA: OSSERVAZIONI PERSONALI. De Majo M., Pugliese M., Niutta P.P. ASPETTI FARMACO-EPIDEMIOLOGICI IN MEDICINA VETERINARIA: ESPERIENZE SUL TERRITORIO Niutta P.P., Licitra G., Giudice E., Pugliese A. PROTIDOGRAMMA DEL SECRETO LACRIMALE NEL BUFALO (Bubalus bubalis) Montalbano R.M., Gruppillo A., Pugliese M., Incardona A., Di Pietro S. ELEMENTI DI SEMIOLOGIA OCULARE NEI BUFALI Incardona A., Di Pietro S., Montalbano R.M., Gruppillo A., Pugliese A. UMORE ACQUEO DELL’OVINO: TRACCIATO ELETTROFORETICO. Gargano V., Santangelo L., Domina F., Niutta P.P., Pugliese A.

202 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

RIATTIVAZIONE NATURALE DI CAPRINE HERPESVIRUS 1 (CPHV.1) IN CAPRE CON INFEZIONE LATENTE IN SICILIA

Guercio A.*, Vicari D.*, Purpari G.*, Ferrantelli V.*, Di Marco P.*, Camero M.*, Tempesta M.**

*Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo** Dipartimento di Sanità e Benessere Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari

Autore comunicante:Vicari Domenico

Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, PalermoVia Rocco Dicillo, 4

90129 Palermo Tel/fax: 091/6565243e-mail [email protected]

RiassuntoL’infezione da Caprine Herpesvirus 1 (CpHV.1) è diffusa negli allevamenti caprini di numerosi Paesi. Indagini sierologiche condotte in Italia meridionale riferiscono percentuali di positività oscillanti tra il 37% ed il 43%. In Sicilia, analoghe indagini hanno dimostrato una prevalenza dell’infezione pari al 37,4%. Gli AA. hanno posto sotto osservazione un allevamento caprino con problemi di ipofertilità e mortalità neonatale riconducibili ad infezione da CpHV.1. Per 3 mesi sono stati sottoposti a monitoraggio 7 soggetti adulti (6 femmine, 1 maschio) sieropositivi a bassi titoli neutralizzanti verso CpHV.1. Durante il periodo di osservazione, ogni settimana sono stati prelevati tamponi oculari, nasali, vaginali/prepuziali e prelievi di sangue per la valutazione della cinetica anticorpale. Sui campioni è stata eseguita la PCR per la ricerca del DNA virale ed è stato tentato l’isolamento di CpHV.1 su colture cellulari in linea continua MDBK (Madin Darby Bovine Kidney). CpHV.1 è stato evidenziato mediante PCR da un tampone vaginale e da un tampone prepuziale prelevati in coincidenza con il periodo estrale. Dallo stesso tampone vaginale è stato possibile isolare il virus su colture cellulari. Il ceppo virale identificato come CpHV.1, è stato sottoposto all’analisi genomica con enzimi di restrizione per la comparazione con lo stipite di referenza italiano CpHV.1 BA.1.

IntroduzioneCaprine Herpesvirus (CpHV.1) è causa di una sindrome acuta ad esito letale in capretti di 1 - 2 settimane di età, caratterizzata da interessamento prevalente dell’apparato enterico con comparsa di grave diarrea, dolorabilità addominale, depressione del sensorio, anoressia, ipertermia (Saito et al., 1974;Tempesta et al., 1998c). Il quadro anatomopatologico è caratterizzato dalla presenza di lesioni ulcerativo-necrotiche a livello della mucosa intestinale. Negli adulti la malattia generalmente evolve in forma subclinica ed interessa prevalentemente la sfera genitale e l’apparato respiratorio (Rosadio et al., 1984; Buddle et al., 1990). A carico dell’apparato genitale si riscontrano lesioni della vulva e della mucosa vaginale e peniena: edema, iperemia, ulcerazioni (Grewal and Wells., 1982; Horner et al., 1982). Frequenti sono gli aborti e la nascita di agnelli poco vitali. La malattia è ampiamente diffusa nel territorio. Indagini sierologiche hanno evidenziato la presenza di CpHV.1 in numerosi Paesi, tra cui Norvegia, Irlanda del Nord, Spagna, Siria, Turchia (Kao et al., 1985), Nuova Zelanda (Horner and Tisdall, 1985), Germania (Muluneh and Liebermann, 1990), Grecia (Koptopoulos et al., 1988) e Italia, con una prevalenza nelle regioni meridionali pari al 35-37% (Cavalli et al., 1993; Tempesta et al., 1994; Palomba and Iovane, 1995; Foti et al., 1996; Guercio et al., 1998).L’infezione nel gregge si manifesta con andamento ciclico e diffonde soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti piuttosto che all’epoca dei parti (Koptopoulos et al., 1988). In condizioni naturali, la riattivazione virale è stata osservata solo nel periodo dell’estro (Tempesta et al., 1998a, 1998b), ma questa evenienza non si realizza facilmente né in condizioni naturali né sperimentali. L’ipotesi che l’infezione tra gli adulti abbia luogo soprattutto per via venerea è supportata dai risultati di alcune ricerche che evidenziano una prevalente e più duratura escrezione del virus per via vaginale o prepuziale rispetto ad altre vie di escrezione (Tempesta et al., 1995; Buonavoglia et al., 1996). Gli A.A. hanno ritenuto opportuno effettuare una ricerca a lungo termine in un allevamento caprino con problemi a carico della sfera riproduttiva riconducibili ad infezione da CpHV-1 e con una diffusa positività sierologica al fine di verificare: 1) una eventuale riattivazione naturale in soggetti con bassi titoli sierologici; 2) effettuare l’isolamento del CpHV-1; 3) effettuare l’analisi genomica con enzimi di restrizione dell’isolato e confrontarlo con lo stipite di referenza italiano CpHV.1 BA.1.

MATERIALE E METODIL’indagine è stata condotta in un allevamento caprino, semistabulato, in cui afferivano soggetti provenienti da differenti aziende. L’anamnesi recente riferiva un basso indice di natalità e mortalità neonatale. In totale erano presenti 115 capi di cui 86 capre adulte, 26 caprette e 3 becchi. La maggior parte dei soggetti erano meticci, pochi appartenevano alla razza maltese e siriana. Al fine di conoscere la prevalenza sierologica verso CpHV.1, considerati gli alti valori riscontrati in precedenza in Sicilia (37,4%) (Guercio et al., 1998), sono stati saggiati tutti i capi presenti in azienda. Tra i soggetti risultati positivi sono stati individuati 6 capi (5 femmine e 1 maschio) con bassi titoli neutralizzanti, compresi tra 1:4 e 1:16. Una femmina sieronegativa è stata inserita nello studio come controllo negativo .Il monitoraggio dei soggetti selezionati è stato condotto nell’arco di 3 mesi, includendo nel periodo di studio la stagione dell’estro, e precisamente da Aprile (T0) a Luglio (T13) 2002, per un totale di 13 settimane. Durante questo periodo gli animali sono stati sottoposti settimanalmente a visita clinica e da ognuno di essi sono stati prelevati, per l’isolamento virale e per la PCR, tamponi oculari, nasali, vaginali e prepuziali. Al termine della sperimentazione è stato fatto un controllo sierologico negli animali in osservazione per valutare eventuali movimenti anticorpali.Esami sierologici. Le analisi sierologiche sono state condotte mediante la tecnica della sieroneutralizzazione in micrometodo utilizzando come antigene

203XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

100 TCID50 dello stipite Svizzero E/CH di CpHV.1 e cellule in linea continua MDBK (Madin Darby Bovine Kidney ) coltivate in Minimum Essential Medium con il 10% di siero fetale bovino (Buonavoglia et al., 1996).Esami virologici. I tamponi sono stati immersi in MEM con aggiunta di antibiotici (1000 IU/ml di penicillina, 1 mg/ml di streptomicina a 2,5 µg/ml di amfotericina B) e siero fetale bovino al 2% per 30 minuti, e poi sono stati centrifugati per 15 min. a 2000 g a +4°C. Con il surnatante di ciascun campione sono stati infettati monostrati confluenti di cellule MDBK. Le colture sono state tenute in osservazione per 5 gg; in assenza di effetto citopatico sono stati effettuati altri 2 passaggi. Il virus isolato è stato identificato in base al tipico effetto citopatico e alla prova di virusneutralizzazione con un siero monospecifico di capra per CpHV.1PCR. La PCR è stata condotta secondo il protocollo riportato in precedenti lavori (Sagazio et al., 1998). Come DNA target è stato scelto un frammento della lunghezza di circa 414 bp del gene che codifica per la glicoproteina C di CpHV.1.Analisi con enzimi di restrizione. Il genoma del virus isolato è stato sottoposto ad analisi con enzimi di restrizione e comparato con il genoma dello stipite italiano BA.1. L’analisi è stata effettuata seguendo il protocollo descritto in letteratra (Pratelli et al., 2000). Sono stati utilizzati gli enzimi BamHI, BstEII, KpnI, NotI e PstI.

RisultatiLe visite cliniche effettuate sugli animali in osservazione non hanno mai rilevato alcuna sintomatologia ascrivibile ad infezione da CpHV.1.Le indagini virologiche condotte sui tamponi effettuati con cadenza settimanale, hanno dato esito positivo per CpHV.1 soltanto in 2 dei 6 animali siero positivi rispettivamente un maschio ed una femmina, alla settima settimana di osservazione (prima decade di giugno) in concomitanza con il periodo degli accoppiamenti. Nella femmina è risultato positivo solo il tampone vaginale sia all’isolamento sulle colture cellulari che alla PCR. Il tampone oculare e quello nasale prelevati dallo stesso soggetto hanno dato esito negativo. Nel maschio, invece, ha fornito esito positivo in PCR soltanto il tampone prepuziale, l’isolamento virale è risultato negativo. Le indagini virologiche condotte sui prelievi effettuati successivamente, sino alla fine della sperimentazione, hanno sempre fornito risultati negativi.In Tabella 1 sono riportati gli esiti degli esami sierologici effettuati sui soggetti selezionati ad inizio ed al termine del periodo di osservazione.In Figura 1 è confrontato il profilo di restrizione del DNA dello stipite di CpHV.1 isolato con quello del ceppo di riferimento BA.1.

Tabella 1 A B C D E F G H I L

Identificativo T0 T13

Maschio n. 1 6 48

Femmina n. 2 8 48

Femmina n. 3 4 96

Femmina n. 4 12 192

Femmina n. 5 6 12

Femmina n. 6 12 12

Femmina n. 7 (K neg) NEG NEG

Figura 1 Profilo di restrizione dei DNA dello stipite BA.1 (linee A, C, E, G, I) e dello stipite di CpHV.1 isolato in Sicilia (linee B, D, F, H, L) digeriti con gli enzimi di restrizione BamHI (A,B), BstEII (C, D,), KpnI (E, F), NotI (G, H) e PstI (I, L). Come DNA marker è stato impiegato il lambda DNAx HIndIII.

Discussione e conclusioniNel corso dei tre mesi (13 settimane) di osservazione nessuno degli animali oggetto di studio ha mai manifestato sintomi clinici riferibili ad infezioni da CpHV.1. Nonostante ciò, l’indagine virologica ha fornito risultati positivi nei campioni prelevati in corrispondenza della 7° settimana, in piena stagione degli accoppiamenti, in un tampone vaginale effettuato da un soggetto (femmina n. 4) avente titolo sierologico 12 al T0 ed in un tampone prepuziale (maschio n. 1) avente titolo sierologico 6 al T0. Quanto rilevato risulta in accordo con le osservazioni di altri Autori (Tempesta et al., 1998a, 1998c) che hanno indicato una maggiore frequenza di riattivazione virale, sia in condizioni naturali che sperimentali, in soggetti con bassi titoli neutralizzanti ed hanno ipotizzato nella fase estrale il periodo in cui più facilmente si verifica la riattivazione naturale del virus (Koptopoulos et al., 1992; Tempesta M., et al. 2000). Il tampone vaginale della femmina n. 4 ha fornito esito positivo sia all’isolamento su MDBK che in PCR. Il tampone prepuziale del maschio n. 1 è invece risultato positivo soltanto in PCR. Ciò, probabilmente, è da ricondurre alla estrema labilità di CpHV.1 e conferma l’utilità di utilizzare diverse metodiche diagnostiche complementari.Le analisi sierologiche condotte all’inizio ed alla fine del periodo di osservazione hanno evidenziato sieroconversione in 4 soggetti su 7 in osservazione. Tuttavia la mancata comparsa dei sintomi clinici conferma che tale malattia sovente evolve in forma subclinica. Il capo sieronegativo si è mantenuto tale sino a fine sperimentazione.L’analisi con gli enzimi di restrizione ha permesso di evidenziare alcune piccole differenze tra lo stipite BA.1 ed il virus isolato in Sicilia soprattutto con l’enzima KpnI. I profili di restrizione dei due virus sono apparsi sovrapponibili con l’enzima NotI.

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RINGRAZIAMENTISi ringrazia per la collaborazione tecnica la Sig.ra Laura Russotto.

BibliografiaBuddle B. M., Pfeffer A., Cole D. J. W., Pufford H.D., Ralston M. J. (1990). A caprine pneumonia outbreak associated with caprine herpesvirus and Pasteurella haemolyitica respiratory infection. N. Z. Vet. J. 38, 28-31.Buonavoglia C., Tempesta M., Cavalli A., Voigt V., Buonavoglia D., Conserva A., Corrente M. (1996). Reactivation of caprine herpesvirus 1 in latently infected goats. CIMID 19, 275-281.Cavalli A., Voigt V., Buonavoglia D., Tempesta M., Iovane G. (1993). Anticorpi per Caprine herpesvirus 1 (CapHV-1) in allevamenti dell’ Italia del Sud. Acta Med. Veterinaria 39, 89-91.Foti M., Orlandella B. M., Sciortino M. T., Corrado F., Medici M. A. (1996). Diffusione di anticorpi per Caprine herpesvirus-1 (CpHV-1) in capre della Sicilia .Atti SISVET 50, 277-278.Grewal A. S., Welles R. (1986). Vulvovaginitis of goats due to a herpesvirus. Aust. Vet. J.63, 79-82.Guercio A., Greco A., Iannizzotto G., Di Marco V., Todaro M. (1998). Valutazione della diffusione di anticorpi anti Herpes Virus della capra in allevamenti della Sicilia.Atti SIPAOC 12, 138-142. Horner G. W., Day A. M. (1982). An outbreak of vulvovaginitis in goat caused by a caprine herpesvirus. N. Z. Vet. J. 30, 150-152.Horner G. W., Tisdall D. (1985). Veterinary Viral Diseases, Their Significance in South-East and Western Pacific. Ed. A. J. Della-Porta. Sydney, Academic. Press. p 459Kao M., Liskau T., Koptopoulos G., Papadopulos O., Horner G. W., Hyllseth B., Fadel M., Gedi A. H., Straub O. C., Ludwig H. (1985). Immunity to herpesvirus infection of domestic animals. Report 9739. Eds P. P. Pastoret, E. Thery, J. Saliki. Brussels, Commission of the European Communities. p 93.Koptopoulos G., Papanastasopoulos M., Papadopoulos O., Ludwig H. (1988). The epizootology of caprine herpesvirus (BHV-6) infections in goat populations in Greece. Comp Immun Microbiol Infect Dis 11, 199-250.Koptopoulos G., Papanastasopoulou M., Lekkas S., Skaragas G., Papadopoulos O. (1992). CIMID 15, 235.Palomba E., Iovane G. (1995). Indagine siero-epidemiologica sull’ infezione da CapHV-1 incapre dell’ Italia Meridionale. Atti SISVET 49, 529-530Pratelli A., Greco G., Dall’Ara P., Engels M., Tempesta M., Buonavoglia C. (2000) Restriction endonuclease analysis of the genome of two italian caprine herpesvirus 1 strains. Archives of Virology, 145:845-851.Rosadio R. H., Evermann J. F., Mueller G. M. (1984). Spectrum of naturally occurring discase associated with herpesvirus infections of goats and sheep. Agri-Practice 5, 20-27.Sagazio P., Tempesta M., Buonavoglia D., Cirone F., Scatassa M.L., Greco G. (1998). Amplificazione del gene della glicoproteina C di Caprine herpesvirus 1 mediante la polymerase chain reaction. Atti XIII SIPAOC 135-137.Saito J. K., Gribble D. H., Berrios P. E. Knight H. D., and McKercher D. G (1974). A. new herpesvirus isolate from goats: preliminary report. Am. J. Vet. Res.,35, 847-848Tempesta M., Cavalli A.,Voigt V., Buonavoglia D. (1994). Presenza di anticorpi per Caprine herpesvirus 1 (CapHV-1) in allevamentoi caprini dell’ Italia Meridionale. Atti SIPAOC 11, 121-122.Tempesta M., Abdi Farah A., Cavalli A., Corrente M., Narcisi D., Buonavoglia C. (1995). Studio della riattivazione di Caprine herpesvirus 1 in capre con infezione latente. Atti SISVET 49, 531-532.Tempesta M., Buonavoglia D., Sagazio P., Pratelli A., Buonavoglia C. (1998a). Natural reactivation of caprine herpesvirus 1 in latently infected goats. Vet. Rec.143,200.Tempesta M., Cavalli A., Sagazio P., De Palma M. G., Camero M., Buonavoglia C. (1998b). Infezione sperimentale di capre con caprine herpesvirus 1. Atti 13° SIPAOC, Palermo 16-19/4/1998.Tempesta M., Pratelli A., Buonavoglia D., Greco C. (1998c). Infezione da caprine herpesvirus 1 e mortalità neonatale in capretti. Large animal review, 4(4), 59-62.Tempesta M., Buonavoglia D., Greco G., Pratelli A., Normanno G., Carelli G., Buonavoglia C. (2000). 7° International Conference on Goats, France, 15-21/5/2000.

205XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE VETERINARIA.

Marenzoni M.L.1, Splendiani F. 2, Orso F. 2, Cuteri V. 2, Valente C. 1

1Dipartimento di Tecnologie e Biotecnologie delle Produzioni Animali, Sez. Malattie Infettive, Università di Perugia, Italy 2 Dipartimento Scienze Veterinarie, Università di Camerino, Italy

RiassuntoStaphylococcus aureus in medicina veterinaria è uno dei più importanti agenti patogeni responsabili di infezioni mammarie, cutanee e contaminazioni alimentari. L’uso eccessivo degli antibiotici, nel settore veterinario, ha determinato, nell’ambito di questo microrganismo, l’insorgenza di antibiotico-resistenza, in particolare nei confronti di meticillina.E’ stata condotta uno studio genomico allo scopo di comparare 33 ceppi di Staphylococcus aureus, meticillino-resistenti (MRSA) e meticillino-sensibili (MSSA), di diversa provenienza.I ceppi sono stati analizzati secondo il metodo della macrorestrizione con SmaI risolta mediante elettroforesi pulsata (PFGE). Degli stipiti impiegati, 15 sono stati ulteriormente analizzati per variazioni nei siti di restrizione EcoRI ed MseI, usando la tecnica dell’Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP).La PFGE ha evidenziato una similarità genomica tra 6 ceppi, 4 MRSA, di cui 2 identici e 2 strettamente correlati, e 2 MSSA risultati anch’essi strettamente correlati. L’AFLP, una metodica più discriminante rispetto alla PFGE, ha dimostrato la grande diversità genomica di tutti i ceppi, nonostante gli stipiti esprimessero comuni caratteristiche chimico-metaboliche.

AbstractStaphylococcus aureus, in veterinary medicine, is one of the most important pathogen responsible of mammary and cutaneous infections and food contaminations. The indiscriminate use of antibiotics, in the veterinary practice, has determined, in this microrganisms, the arise of antibiotic-resistant strains, particularly against the methicillin. It was carried out a study on the genomic similarity among 33 strains of Staphylococcus aureus, methicillin-resistant (MRSA) and methicillin-sensitive (MSSA), of various origin. The strains have been analysed according to the method of macrorestriction SmaI resolved by Pulsed Field Gel Electrophoresis (PFGE). 15 strains, out of the 33, has been further analyses for variations of restriction EcoRI and MseI, using the Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP) technique. The PFGE has evidenced a genomic similarity between 6 strains, 4 MRSA, 2 of which were identical and 2 closely correlated, and 2 MSSA closely correlated too.The AFLP, a method one more discriminating regarding the PFGE, have demonstrated the great genomic diversity of all the strains, in spite of the common chemical-metabolic characteristics.IntroductionThe presence in veterinary medicine of methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA), is kwow since the methicillin was introduced into clinical practice to control the infection caused by this microorganisms (Devriese, 1975). The colonizing capacity and active moltiplication of staphylococci represent some of virulence carachters. The risk factors that contribute to diffusion of infection are represented by slowly of recovery of some recurrent infections, by prolonged antibiotic treatment, by use of catheters and finally by the presence of wound (Zadoks e coll., 2000). Staphylococcus aureus is one of the most significant and widespread pathogens causing infections and it is the cause of mastitis in dairy cows (Devriese, 1975; Zadoks e coll., 2000), in sheep and goats and is often involved in skin infections in pigs and others animals (Scott e coll., 1988) and finally is responsible of food contaminations (Wei & Chiou, 2002).The continuous selective pressure resulting from the extensive use of antibiotics, in order to limit the bacterial spread, causes antibiotic-resistant bacterial strains and the appearance of resistance genes among pathogenic microrganisms (Pérez-Roth e coll., 2001).During the terapeutic treatment of staphylococci infections, using methicillin and β-lactamic in general, it is possible that methicillin-resistant strains arise. MRSA are isolated from dog (Pattanayak e coll., 2000), horse and dairy cows (Wei & Chiou, 2002).The methicillin-resistant S. aureus (MRSA) are of a remarkable interest because have a gene acquired and activated, the mecA, which encodes the low-affinity penicillin-binding protein 2A, the PBP2A, and can work as a transpeptidase in the presence of high concentrations of β-lactam antibiotics inactivating the four high-affinity PBPs native to S. aureus (de Jonge & Tomasz, 1993; Wei e coll., 2001). Resistance to methicillin and oxacillin, a similar antibiotic frequently used in veterinary pathology, is usually associated to an analougus behaviour against an elevated range of antibiotics (Vos e coll., 1995) as well to compromise the terapeutic treatment that , for as regard mastitis, represent the more efficacy methods for the control of disease.In order to clarify the epidemiology and genetic relatedness of MRSA and to identify the strains responsible for cross-infection, a genomic typing must be make.The pulsed field electrophoresis is considered from many authors the gold standard for molecular typing of a wide range of microorganisms and for many pathogen bacteria it has been demonstrated highly discriminative and comparable, if not advanced, to other methods (Excoffier e coll., 1992; Zabeau & Vos, 1993; (Wei & Chiou, 2002).Accurate fingerprinting techniques are required and among all the techniques, the amplified fragment length polymorphism (AFLP) analysis, is resulted the most suitable since this assay is a PCR-based technique, which has already been demonstrated to have a higher discriminative power in differentiating highly related bacterial strains at the infra-subspecies level (Agodi e coll., 1999; Pattanayak e coll., 2000).The aim of the study was to compare the sensitivity of two different molecular analysis in differentiating methicillin-resistant S.

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aureus (MRSA) isolated in the same breeding area among theme and from MRSA strains.

Materials and methodsBacterial strains. During 2001, 33 strains of Staphylococcus aureus from dairy cows with subclinical mastitis, were isolated. The isolates were cultured on blood sheep agar and Mannitol Salt Agar (Oxoid), tested for catalase, coagulase and DNAse and biochemically identified with Api Staph (bio Mérieux, France) and Sceptor System (Beckton Dickinson) (Cuteri e coll., 2002). The S. aureus used for this study are divided in MRSA and MSSA. The MSSA were 10 samples and coming from the same breeding of MRSA.The MRSA are 23 samples and have been isolated from the same dairy cow breeding.

Methicillin-resistanceThe strains were cultured on Mueller Hinton Agar (Oxoid, Milan). Four- five single colonies were piked up and inoculated on Trypticase Soy Broth (TSB, Oxoid, Milan) to obtain a torbidity of 0.5 McFarland in 2-8 h at 37°C. An aliquote, 0.01 ml, was diluted in 10 ml of saline solution and 3 ml were distributed on a Mueller Hinton Agar plate (Mantel, 1967). On this plate a nitrocellulose strip containing Methicillin (E-test, Oxoid, Milano) was put on to determine the Minimum Inihibition Concentration (MIC) expressed in µg/ml. The cultures were incubated at 35°C for 24 h and the S. aureus strains were considered resistant (MRSA) if they show an inihibition equal or superior to 16 µg/ml.The presence of mecA gene was put in evidence using PCR (Vos e coll., 1995).DNA extraction was obtained with QIAmp tissue Kit (Quiagen, Hilden, Germany). The amplification of mecA gene was conducted using the primers mecA1 (5’-AAA ATC GAT GGT AAA GGT TGG C) and mecA2 (5’- AGT TCT GCA GTA CCG GAT TTG C) that evidence a PCR product of 533bp (Rohlf, 1993). The DNA amplification was realized following the Ungeheuer procedure (1994).The electrophoresis of DNA was realized on 2% of agarose gel, coloured with ethidium-bromide and photographed under exposition of UV rays.

Pulsed-field gel electrophoresis (PFGE)The strains were characterized using the macrorestriction method with Sma I (Celbio, Milano) resolved with pulsed electrophoresis (Zabeau & Vos, 1993). Bacteria were grown into 10 ml di Trypticase Soy Broth (Oxoid, Milano) at 37° for 24 h, centrifuged at 2000 x g for 10 min. and the pellet obtained resuspended in PIV buffer [NaCl 1M, Tris-HCl 10mM, pH 7.6 (Celbio-Pierce, Milano)]. An aliquote of 0.5 ml, of the last suspencion, were mixed with an equal amount of Incert Agarose (low melting) 1% (FMC - SPA div. BIOSPA, Milano) to create the plugs. To each plug was added 1 ml of lysis solution [Tris-HCl 10 mM, pH 7.5, NaCl 50 mM, EDTA 100 mM, pH 7.5, Na-Deoxycholate 0.2%, Na-lauroyl-sarcosina 0.5%, Lysozima 5mg/ml, Lysostaphin 25 µl/ml (Sigma-Aldrich, Milano)] and were put in incubation at 37°C for 24 h under shaker. The lysis solution was changed with a digestion proteic buffer [EDTA 0.5 M, pH 8.0, Na-lauroyl-sarcosina 1%, Proteinase K 0.5 mg/ml (Sigma-Aldrich, Milano)] and incubated at 50°C for 48 h under shaker. The were washed using TE [Tris HCl 10 mM, pH 7.5, EDTA 1mM, pH 8.0] e PMSF [Phenyl-methyl-sulphonyl-fluoride (Celbio, Milano) 20 mg/ml in isopropanol] and further trhee times using TE. Finally the plugs were submitted to enzymatic digestion in a misture of steril H

2O, spermidine (1 mM), SmaI 100U (Celbio, Milano) for a final volume of 250 µl, for 24 h at 25°C and

utilized for pulsed electrophoresis on 1% Fast Lane agarose gel (FMC - SPA div. BIOSPA, Milano) at 14°C in TBE buffer (Tris-Borato EDTA, pH 8.5) autoalgorictim for 24 h. The standard used was Lambda Ladder (Biorad Lab., Hercules, Ca, USA). The PFGE was carried out using CHEF Mapper sistem (Biorad Lab., Hercules, Ca, USA). The electrophoretic patterns have been acquired using a telecamera (Gel-Doc 1000, Biorad Lab.) into the software Molecular Analyst Finger Printing (Biorad) and analyzed with MA Fingerprinting programme (Biorad Lab.) to generate a dendrogram of similarity (Zabeau & Vos, 1993).The coefficient of similarity (S

AB) were directly calculated by software. The S

AB values varied from 0 to 1, where 0 showed

that patterns were not correlated and 1 that patterns were closely correlated.

Extraction of bacterial genomic DNA and AFLP assayBacteria grew up on Staphylococcus medium agar (Oxoid) at least 16 h at 37°C. Single colony was used to inoculate 10 ml of TSB (Oxoid) and then incubated at 37°C for 24 h. Genomic DNA was extracted according the following procedure (Cuteri e coll., 2002). Cells were harvested from the broth cultures by centrifugation at 3000 × g for 15 min. The pellet was re-suspended in 0.1ml of TE buffer (10 mM Tris, 1 mM EDTA, pH 8 – Sigma Aldrich, Milan, Italy) with lysozima (5mg/ml – Sigma Aldrich, Milan, Italy) and lysostaphyn (50µl/ml of a solution 100 µg/µl – Sigma Aldrich, Milan, Italy). The mixture was incubated for 1h at 37°C. 0.5ml of GES (guanidine thiocyanate 0.5 M, EDTA 0.1 M – Sigma Aldrich, Milan, Italy) was added at room temperature for 10 min. Then 0.25ml of ammonium acetate 7.5 M was added and the mixture were maintained on ice for 10min. 0.5ml of chloroform-isoamyl alcohol (24:1) (Sigma Aldrich, Milan, Italy) was added to the suspension, mixed and centrifuged at 13000 × g for 10 min at room temperature. The upper phase was collected and DNA was precipitated by addition of 0.7 cold isopropanol (Sigma Aldrich, Milan, Italy) and centrifuged for 5 min at 13000 x g. The DNA was re-suspended in 0.2 ml of TE and re-precipitate with 0.5 ml of cold ethanol. DNA sample was air dried prior of suspension in 0.5 ml of TE buffer.DNA samples were treated with 1μl of RNAse (10 μg/ml) at 37°C for 30 min. DNA was extracted with an equal volume of chloroform-isoamyl alcohol, vortexed and centrifuged for 5 min at 11000 x g. The upper phase was collected and a double volume of 90 % (v/v) ethanol was added, mixed and placed at –20°C for 45 min. DNA was pelletted by centrifugation for 10 min at 11000 × g. The DNA pellet was washed with an double volume of 70 % (v/v) ethanol and dissolved in 50

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μl of TE.The quality of the DNA was checked by electrophoresis in a 1% agarose gel containing ethidium bromide (0.5 µg/ml – Sigma Aldrich, Milan, Italy) in 1 X TBE (89 mM Tris-HCl, 89 mM boric acid, plus 2 mM EDTA). DNA was quantified using the DNA λ (MBI Fermentas).The final concentration of the DNA was adjusted to 0.5 μg in 30 µl of final volume.AFLPs have been generated according to the protocol of Keygene, Inc. (Janssen e coll., 1996; Vos e coll., 1995). Briefly, the genomic DNA (0.5 μg) was digested with 5 U EcoRI and 5 U MseI (New England Bio Labs Inc.). For the ligation of the adapters, 5 pmol of EcoRI adapter and 50 pmol of MseI adapter and 1 U of T4 DNA ligase (Amersham Biosciences) were added. The primers used (Gibco BRL) in the pre-amplification step included the respective restriction enzyme and the adapter sequence plus one extension base for each primer (A for Eco and G for Mse). The product was used as the template for selective amplification, using primers with an extension of an additional two bases; in this case the EcoRI primer was fluoresceine-labelled. Eight µl of modified formamide dye (98% formamide and 10 mM EDTA with bromophenol blue) was added to the total reaction. An aliquot (6 µl) of each reaction product was heated for 5 min at 95°C and then analyzed on 6 % denaturing polyacrylamide (19:1) gels with 7 M urea in 1 X TBE buffer. Electrophoresis was performed at a constant power, 95 W, for approximately 2.15 h on a Genomix LR apparatus (Beckman Instruments). The same equipment was used to obtain the fluorescent images of the gel after the run.

Data analysisThe presence/absence data from the AFLP samples were used to calculate genetic similarities for all possible pair wise comparisons of individuals. Genetic similarities (GS) was calculated on all bands using the Dice coefficient (Dice, 1945). The similarity matrices were subjected to a cluster analysis using the unweighted pair-group method with arithmetic average algorithm (UPGMA). The matrix-correspondence test (Mantel, 1967) was conducted to compare the similarity matrix with the cophenetic matrix (cophenetic correlation) to examine the goodness of dendrogram fit to the data. The analyses were performed using the NTSYS.PC package version 1.8 (Rohlf, 1993). The genetic structure of S. aureus strains was assessed used analysis of molecular variance, AMOVA (Excoffier e coll., 1992), based on an Euclidean distance matrix between all pairs of multilocus phenotypes. The AMOVA was used to estimate variance components for AFLP phenotypes and for partitioning the variation between resistant and susceptible strains and within each ones. Significance levels for variance component estimates are computed by non-parametric permutation procedures. AMOVA analyses were conducted with the Arlequin software (Schneider e coll., 1997).

Results The 33 isolate of Staphylococcus aureus showed homogenous chemical-metabolic characters.Among the 33 strains 23 were Methicillin-resistant (MRSA).Ten MRSA strains, in which it has been verified the presence of the gene mecA using PCR in order to confirm the results obtained with E-test and Sceptor System, and 5 MSSA strains have been submitted to PFGE.As resulted from PFGE, the study of the genomic similarity of the different strains, visualized by dendrogram (Fig. 1), has shown that the MRSA and MSSA strains were different. Among MRSA, PFGE put in evidence that two strains could be consider genetically identical and others two probably correlate.For as regards AFLP the presence/absence data was used to generate a matrix of genetic similarities (GS) calculated by the Dice coefficient. The average similarity for all samples was 0.4667 ± 0.239. From the GS data a cluster analysis following the UPGMA was executed and the results were used to construct the dendrogram represented in figure 2. According to Rohlf (1993), who consider good value of the cophenetic correlation between 0.8 and 0.9 and very good >0.9, the goodness of our value of the cophenetic correlation (r=0.9799; P= 0.002) can be considered very good. As showed by the dendrogram, all the samples resulted as a single genotype. At the GS level of 0.8 is possible to recognize 7 different genotypes and 2 clusters grouping respectively others 6 and 2 genotypes.The analysis of molecular variance (AMOVA) among strains MRSA and MSSA and within them revealed that the major component of total variation was due to variation within strains (82.12%), while variance among strains was responsible for 17.88% of the total variation.

ConclusionOne of the microorganisms mainly diffused in nature and responsible of diseases, both in man and animals, is Staphylococcus aureus that often induce infections of difficult solution during therapy (Cuteri e coll., 2002). The indiscriminate use of antibiotics has induced Staphylococcus aureus to modify its genomic structure and to produce, from the mecA gene, a protein, PBP2a, that have low affinity for beta-lactamic antibiotics and consequently the appearance of methicillin-resistant strains (Cuteri e coll., 2002). One of the problems to face is the choice of a method of identification of staphylococci strains. MRSA strains are not easy identifiable not even with the international set of phagi and therefore it has been thought opportune to replace the conventional methods with molecular biology, like the PFGE or the PCR that using the primers mecA1 and mecA2, identifies a sequence of 533 bp, specific for MRSA strains (Perez-Roth e coll., 20019. Pulsed field gel electrophoresis (PFGE) carried out on the 33 strains has demonstrated a genomic differentiation among MSSA and MRSA except for two strains that resulted indistinguishable and two probably correlate and placed the S. aureus isolated from different animals in the same pulsotypes.The AFLP technique consists in the DNA digestion with two restriction enzymes and restriction halfsite-specific adaptors ligation to all restriction fragments, followed by selective amplification of these fragments with two PCR primers that have corresponding adaptor- and restriction-site-sequences as their target sites; finally the PCR products are analysed on a

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polyacrylamide gel (Cuteri e coll., 2002; Zabeau e coll., 1993).The selectivity is obtained by the amplification of a subset of fragments only because primers contain at their 3’-end one or more selective bases which are complementary to nucleotides flanking the restriction sites.The low level of similarity found between different S. aureus strains implies high levels of genetic diversity. Results from this type of phylogenetic analysis become evident when the microrganisms studied are genetically very different. While the strains isolated from animals were collected homogeneously in a limited time period they nevertheless show a different genomic composition. The test results do not specify if the genomic variation was correlated with the genes of virulence and antibiotic resistance or with non-essential genes. The same conclusion could be deduced from the AMOVA analysis of AFLP results in which the value of among-strain variation was not very high, but significant and no differentiation between the MRSA and the MSSA strains was found. Several factors play a role in the genetic differences of S. aureus such as the presence of many plasmids in each strain, the conjugation transfer mechanism and the transposon-like inverted repeats flanking the esotoxin genes which facilitates a high frequency of DNA re-arrangements.The results of survey, also conditionated from a modest number of strains, they confirm the presence of MRSA in the bovine and show the great genomic variability also to the inside of methicillin-resistant strains which could spread from the animals in the environment involving other animals beyond the man.Moreover, to demonstration of the complex somatic structure of S. aureus, an opposite behavior between the homogeneity expressed from the chemical-metabolic analysis and the genomic inequality is found, that it represents the element that better characterizes the bacterium. Finally, AFLP could be considered more accurate than PFGE to obtain an epidemiological map of S. aureus in a herd.

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analysis of bovine and human Staphylococcus aureus isolates. J. Clin. Microbiol. 38:1931-1939.

Figure 1. PFGE: dendrogram of similarity

Figure 2. Dendrogram obtained from cluster analysis of the AFLP data of the 15 S. aureus strains. MSSA strains are in red, MRSA in black

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ANAPLASMOSI E BABESIOSI DEL BOVINO, RECENTI OSSERVAZIONI CLINICO-EPIDEMIOLOGICHE EFFETTUATE NELL’ITALIA DEL SUD

Ceci L., Carelli G., Petazzi F., Sasanelli M., de Caprariis D., Febbraio G., Greco B., Lagrasta R., Lacinio R.

Università degli Studi di Bari , Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Sanità e Benessere degli AnimaliSezione di Clinica Medica, Strada per Casamassima km 3 – Valenzano (Ba) Italia

Gli autori riportano i risultati di un’indagine clinico-epidemiologica trasversale e longitudinale condotta in tre regioni dell’Italia meridionale: Puglia, Basilicata e CalabriaNell’ambito delle tre regioni sono state selezionate a random, in 8 distretti sanitari (AUSL), 150 allevamenti bovini; in ciascun allevamento sono state scelte a caso 10 femmine adulte per un totale di 1500 animali. Gli animali sono stati sottoposti a visita clinica e a prelievo di sangue. Su tutti i campioni di sangue intero in EDTA è stato effettuato l’esame emocromocitometrico completo. Sul siero è stata indagata la presenza di anticorpi verso Anaplasma marginale e Babesia bigemina mediante test ELISA.Si è proceduto inoltre alla raccolta delle zecche sottoponendo a controllo il 50% degli animali campionati.Nell’ambito dei 150 allevamenti è stato riscontrato un alto livello di infezione, con il 94.7% di positività per A.marginale e il 98% per B.bigemina. Dei 1.500 bovini testati il 55.6% degli animali è risultato sierologicamente positivo per A. marginale e il 59.4% per B. bigemina. L’esame emocromocitometrico ha mostrato in 365 animali (24.3%) gradi differenti di anemia.Per effettuare lo studio epidemiologico longitudinale sono stati scelti due allevamenti di bovine da latte, denominati A e B, nei quali negli anni precedenti erano stati riscontrati casi di anaplasmosi e/o babesiosi. La ricerca è stata condotta per 24 mesi dal mese di maggio 1999 al mese di aprile 2001. Nei due allevamenti, situati in Puglia, costituiti da circa 140 animali ciascuno, sono stati scelti a random 20 animali di cui 10 vitelli, tra 0 e 3 mesi di età, e 10 manze, tra 12 e 18 mesi di età. Sui 20 animali sono stati eseguiti mensilmente, oltre al controllo clinico, gli esami ematologici, comprese le indagini microscopiche per evidenziare eventuali emoparassiti. Sul siero è stata indagata la presenza di anticorpi verso Anaplasma marginale e Babesia bigemina mediante test ELISA. Contemporaneamente è stata effettuata la raccolta bimensile delle zecche. Nell’allevamento A, tra giugno e luglio 1999, 7 manze su 10 monitorate, hanno sviluppato una anaplasmosi clinica di lieve entità, con un’anemia con valori di ematocrito (Hct) compresi tra 16,7% e 20,9%. Complessivamente nel suddetto allevamento, nel periodo maggio 1999-aprile 2001, sono stati osservati 28 casi clinici. Nell’allevamento B si sono verificati casi clinici di anaplasmosi, in 6 delle 10 manze monitorate, dopo il parto. Per la gravità dei sintomi è stato necessario effettuare la terapia con tetracicline. Altri 8 casi clinici (4 anaplasmosi e 4 infezioni miste) sono stati osservati tra gli altri animali dell’allevamento.Nei due allevamenti sono stati riscontrati nel corso dell’indagine 42 casi clinici riconducibili alle malattie emoparassitarie.Questi risultati indicano che l’anaplasmosi e la babesiosi del bovino rappresentano un’importante realtà clinica-epidemiologica per le regioni meridionali. L’alta prevalenza e l’alta incidenza riscontrata, probabilmente comuni a tutte le zone temperate del Mediterraneo, devono essere tenute in debita considerazione dagli operatori del settore, sia ai fini diagnostici, per orientare una corretta diagnosi eziologica e di conseguenza una specifica terapia, sia al fine di migliorare le prestazioni zootecniche, attraverso opportune strategie di controllo.

BOVINE ANAPLASMOSIS AND BABESIOSIS, RECENT EPIDEMIOLOGICAL AND PATHOGENETIC FINDINGS IN SOUTHERN ITALY

The results of a cross-sectional and longitudinal clinical and epidemiological survey are reported. The survey was carried out in three regions of southern Italy (Apulia, Basilicata and Calabria) where 150 cow farms were randomly selected in 8 Local Health Districts; 10 adult females were randomly chosen from each farm, thus totalling 1500 animals. Physical examination was performed on all the cows and blood samples obtained. Complete blood cell counts were run on all the samples of whole blood kept in EDTA. ELISA tests were performed to measure the anti-Anaplasma marginale and anti- Babesia bigemina antibodies. Fifty percent of the sampled animals were controlled to collect ticks. A high infection rate was found on the 150 farms with a positivity of 94.7% for A.marginale and of 98% for B.bigemina. Of the 1500 animals tested, 55.6% exhibited seropositivity for A. marginale and 59.4% for B. bigemina. The blood tests revealed varying degrees of anaemia in 365 (24.3%) of the animals.Two dairy cow farms (A and B) where cases of anaplasmosis and/or babesiosis had been reported in previous years were chosen for the longitudinal epidemiological study. The farms were located in Apulia and housed approximately 140 animals each; the study lasted 24 months, from May 1999 to April 2001. Twenty animals were randomly chosen from the two farms: 10 calves (0-3 months old) and 10 females (12 – 18 months old). Each month, physical examinations and blood tests were performed on the 20 animals and blood samples were examined microscopically for haemoparasites . ELISA tests were performed to measure the serum levels of anti- Anaplasma marginale and anti- Babesia bigemina antibodies. Finally, ticks were collected every two months. In June-July 1999, 7 of the 10 cows monitored on farm A developed mild clinical anaplasmosis, exhibiting anaemia with PCV values ranging from 16.7 to 20.9%. From May 1999 to April 2001, a total of 28 clinical cases were observed on the farm amongst the monitored and non-monitored animals. On farm B, clinical cases of anaplasmosis were observed in 6 of the 10 cows after calving. Due to the severity of symptoms, tetracycline therapy was instituted. Other 8 clinical cases (4 with anaplasmosis and 4 with mixed infections) were reported amongst the other cows on the farm.A total of 42 clinical cases due to haemoparasitic disease were thus registered during the survey.These findings suggest that bovine anaplasmosis and babesiosis are important clinical and epidemiological realities in southern Italy. The high prevalence and incidence found are probably similar to those of other temperate regions of the Mediterranean. They should be taken into due consideration by veterinarian practitioners and farmers alike to correctly detect the causative agent involved and thus institute specific treatment, and also to improve productive performance through adequate control strategies.

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ECOGRAFIA BIDIMENSIONALE E DOPPLER DELLA MAMMELLA DI PECORA E CAPRA: OSSERVAZIONI PERSONALI.

De Majo M., Pugliese M., Niutta P.P.

Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie – Facoltà di Medicina Veterinaria – Università degli Studi di Messina.

RiassuntoAttraverso l’esame ecografico dell’apparato mammario è possibile l’esame morfologico del parenchima ghiandolare, del seno ghiandolare, della cisterna e del canale del capezzolo; nella vacca, tale indagine, è risultata particolarmente utile nella diagnosi di lesioni ostruttive della cisterna del latte e del canale del capezzolo. Obiettivo della nostra ricerca è stato la valutazione ecografica e Doppler della mammella di pecora e capra in lattazione. Gli esami ecografici sono stati condotti su cinque pecore, di razza Pinzerita, Comisana e Sarda, e cinque capre Derivate di Siria, utilizzando un Kontron Iris 440 dotato di sonda settoriale meccanica duplex di 7.5 MHz. Il parenchima mammario presenta una struttura omogenea nella quale i dotti lattiferi appaiono come strie anecogene confluenti nel seno ghiandolare, anch’esso anecogeno con pareti irregolari; il passaggio dalla cisterna del latte al seno del capezzolo è delimitato da pliche di tessuto aggettanti nel lume. Con approccio caudo-craniale è risultata agevole l’esplorazione del linfonodo mammario, dell’arteria pudenda esterna, delle aa. mammarie mediale e laterale e della vena mammaria mediana. La velocità massima sistolica, in a. mammaria, raggiunge i 50 cm/s mentre la velocità telediastolica è sui 10 cm/s; l’indice di resistività (IR) è risultato intorno a 0.60-0.70. Si ritiene che l’esame ecografico della mammella dei piccoli ruminanti in produzione lattea possa fornire dati interessanti nella caratterizzazione delle lesioni ma anche durante e dopo terapia specifica.

B-MODE AND DOPPLER ULTRASONOGRAPHY OF THE MAMMARY GLAND OF THE SHEEP AND GOAT: PERSONAL OBSERVATIONS.

SummaryUdder ultrasonography makes it possible to differentiate morphological structures such as the glandular parenchyma, the gland cistern, the teat cistern, the teat canal and the gland sinus. In the cow, this examination has proved particularly useful in diagnosis of stenosis of the teat and the gland cistern. Our research aimed to use bi-mode and Doppler ultrasonography to evaluate the state of the udder in sheep and goats during the lactation period. Ultrasonography was carried using a Kontron Iris 440 equipped with a duplex mechanical sectorial 7.5 Mhz. The glandular parenchyma has a homogeneous structure in which the milk ducts appear as anechoic bands, joining in the gland sinus, which too is anechoic and has irregular contours. The crossing of the gland cistern to the teat sinus is bordered by small projections of tissue. From a caudal-cranial position, it is possible to explore the mammary lymphnode, the external pudendal artery, the medial and lateral mammary arteries and the medial mammary vein. The maximum systolic blood flow in the mammary artery is of 50 cm/s., while the telediastoic blood flow is about 10 cm/s.; the resistivity index (RI) is between 0.60 and 0.70.We believe that ultrasonography examination of the udder in small ruminants during the lactation period can supply useful data for the characterization of lesions, but also during and after specific therapy.

Parole chiave: ultrasonografia, mammella, pecora, capra. Key words: Ultrasonography, mammary gland, sheep, goat.

IntroduzioneIn medicina veterinaria, fondamentalmente per ragioni economiche, l’indagine ecografica e quella radiologica sono le tecniche di diagnostica per immagini maggiormente utilizzate. L’esame ultrasonografico risponde in modo eccellente ad alcune condizioni preminenti di scelta applicativa: non è invasivo né per il paziente che per l’operatore; è ripetibile; è di facile applicazione pratica, in quanto non necessita di particolare predisposizione dei locali e, grazie alle attrezzature portatili, utilizzabile anche in azienda; gli ecografi sono divenuti nel tempo sempre meno costosi rispetto ad altre attrezzature di diagnostica per immagini.L’ecografia (dal greco eco=suono e grafia=scrivere), sfrutta, a fini diagnostici, la registrazione degli echi ricevuti dalle strutture di differente impedenza acustica attraversate dagli ultrasuoni; le caratteristiche dell’eco differiscono a seconda del tipo di materia attraversata.La prima applicazione nella storia della tecnologia ad ultrasuoni si è avuta in ambito militare, successivamente fu utilizzata in campo civile, per misurare le profondità ed i profili dei fondali marini attraverso la registrazione dell’intensità dell’eco riflesso, tale strumento prese il nome di sonar.Per la produzione e la ricezione degli ultrasuoni vengono sfruttate le proprietà piezoelettriche di alcuni cristalli (quarzo, zirconio o titanio) che hanno la capacità di entrare in vibrazione ad altissima frequenza se vengono sottoposti a determinati impulsi elettrici. Al contempo, producono essi stessi un campo elettrico misurabile qualora vengano “urtati” dagli ultrasuoni riflessi (echi). Di fatto, al contempo, il cristallo può funzionare da generatore e da ricevitore di ultrasuoni.Negli animali da compagnia, l’ecografia è praticamente utilizzabile nella diagnosi di modificazioni strutturali a carico di quasi tutti gli organi e apparati, sia nella medicina interna che nella chirurgia. Nella specie equina, la diagnosi ecografica fa oggi parte integrante dell’esame ginecologico della cavalla e diventa sempre più importante per la diagnosi e la prognosi delle patologie tendinee e legamentose, specialmente nei cavalli sportivi. Nella specie bovina l’ecografia è un mezzo diagnostico essenziale nella pratica ostetrica ginecologica. Sempre in questa specie, nella vacca da latte, l’ecografia della mammella consente l’esame morfologico del parenchima ghiandolare, del seno ghiandolare, della cisterna e del canale del capezzolo (Cartee, 1986; Trostle, 1998; Dinc, 2000). Tale indagine è particolarmente utile, integrata all’esame clinico,

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per valutare la struttura e l’estensione di un processo infiammatorio e nella identificazione di lesioni ostruttive del seno e del canale del capezzolo (Saratsis, 1991). Nella presente esperienza, visto che le strutture mammarie si prestano molto bene alla esplorazione ultrasonografica e considerata la notevole importanza zooeconomica e sanitaria di tale organo anche nei piccoli ruminanti, abbiamo effettuato l’esame ecografico della mammella nelle specie ovina e caprina.

Materiali e metodiGli esami ecografici, effettuati prima della mungitura del mattino, sono stati condotti su cinque pecore, di razza Pinzerita, Comisana e Sarda, e cinque capre Derivate di Siria. Dei dieci soggetti esaminati, cinque mostravano un apparato mammario con caratteri di normalità all’esame fisico e con normale produzione lattea, in due soggetti, con produzione lattea assente ormai da tempo, l’esame clinico mostrava alla ispezione una notevole riduzione del volume mammario e alla palpazione una aumentata consistenza, negli ultimi tre soggetti si evidenziava alla ispezione la presenza di formazioni nodulari superficiali con tendenza alla fistolizzazione, l’esame di palpazione confermava la presenza di noduli profondi. L’apparecchio utilizzato è stato un Kontron Iris 440 dotato di sonda settoriale meccanica duplex di 7.5 MHz, con zona focale tra 4 e 7 cm, capace di una esplorazione massima fino a 10 cm di profondità; l’esame Doppler è stato condotto con volume campione di 4 mm e filtro regolato su 50 Hz, per l’esame di flussi a bassa velocità.Le ecografie sono state condotte sia con l’animale in stazione che in decubito laterale destro, effettuando scansioni longitudinali e trasversali dell’organo, a partire dalla base del capezzolo e spostando la sonda verso la base della mammella. Per l’esame del capezzolo è stato utilizzato un distanziatore al fine di portarlo nella zona focale della sonda. Con approccio caudo-craniale è risultata agevole l’esplorazione del linfonodo mammario, delle arterie mammarie e delle vena mammaria mediana.L’esplorazione Doppler ha permesso la valutazione morfologica dei flussi arterioso e venoso, la misurazione della velocità massima sistolica (Vmax sistolica) e della velocità massima diastolica (Vmax diastolica) nonché di ottenere l’indice di resistività (IR) del flusso arterioso.

RisultatiASPETTI ECOGRAFICI FISIOLOGICI: Il parenchima mammario presentava una struttura omogenea con echi fini, molto simili a quelli prodotti dal parenchima epatico, in cui si identificavano piccoli dotti anecogeni che confluivano nella cisterna mammaria (Fig.1). La cisterna del latte appariva come una cavità a pareti irregolari con pliche di tessuto aggettanti in cavità e contenuto liquido con piccoli echi puntiformi e più o meno brillanti (Fig.2). Il passaggio tra cisterna mammaria e seno del capezzolo veniva identificato da un anello della mucosa che si presentava come una struttura iperecogena e che divideva le due cavità a contenuto liquido. Il capezzolo presentava uno strato esterno iperecogeno; uno strato intermedio ipoecogeno; uno strato interno più ecogeno (Fig. 3). Il flusso delle aa. mammarie era un flusso bifasico con un picco sistolico, più elevato e un secondo diastolico. La velocità massima sistolica (Vmax sistolica), mediamente rilevata, è stata sui 50 cm/s e la velocità massima diastolica (Vmax diastolica) intorno ai 10 cm/s. L’indice di resistività (IR) è risultato con valori compresi tra 0.60-0.70 (Fig. 4). In figura 5 è stato riportato il flusso della vena mammaria, caratterizzato da un segnale a bassa velocità e non pulsatile. Il linfonodo appariva come una struttura nodulare, ipoecogena ed omogenea, con limiti ben identificabili (Fig. 6).

ASPETTI ECOGRAFICI PATOLOGICI: Nei soggetti con mastite cronica, l’aspetto del parenchima mammario appariva disomogeneo, con maggior presenza di punti iperecogeni di dimensioni differenti riconducibili a tessuto fibroso (Fig. 7). Contemporaneamente, per assenza di funzionalità degli acini ghiandolari, non si riscontravano né i dotti galattofori né la cisterna mammaria. Il linfonodo presentava zone centrali iperecogene con margini che rimanevano ancora ben identificabili. Il flusso ha mostrato un incremento della velocità diastolica e l’IR ha mostrato valori più bassi di quelli fisiologici (Fig. 8).In corso di mastite cronica nodulare si riscontrava una disomogeneità del parenchima per la presenza di aree iperecogene. Sono risultate evidenti aree nodulari di differenti dimensioni, di aspetto ipoecogeno con presenza di echi interni iperecogeni disomogenei, che erano riconducibili ad ascessi (Fig. 9).

Considerazioni e Conclusioni L’approccio ecografico per la valutazione della mammella nella specie ovina e caprina è risultato abbastanza agevole e, la possibilità di condurre l’esame con animale in stazione lo rende sicuramente effettuabile anche in ambito aziendale.Il parenchima mammario possiede, in condizioni fisiologiche, una struttura che ben si presta all’esame ecografico grazie anche al contrasto offerto dal latte all’interno della cisterna e del seno del capezzolo. Viceversa, il riscontro di un parenchima più ecogeno e privo di dotti galattofori orienta la diagnosi verso una forma di mastite cronica con grave compromissione funzionale a causa della sostituzione del tessuto fibroso a quello ghiandolare. Come evidenziato, l’indagine ultrasonografica si presta in modo eccellente alla diagnosi di lesioni nodulari di tipo ascessuale situate anche in profondità. Di buona qualità sono anche le immagini del linfonodo sopramammario e dei vasi dell’organo.Per lo studio del capezzolo e del canale del capezzolo, si concorda con le esperienze di Franz (2001) che indica la necessità di utilizzare sonde a frequenza molto elevata (12 MHz) previa immersione del capezzolo in acqua. Infatti l’uso di un distanziatore, costituito nella nostra esperienza da un guanto monouso ripieno di gel, non assicura la stessa qualità d’immagine dello studio in bagno d’acqua.La possibilità di effettuare l’esame con animale in stazione, in un momento antecedente la mungitura, ne consente una applicazione pratica. A tal riguardo, ovviamente sono da utilizzare attrezzature di tipo portatile dotate di sonde che, per un buon esame del parenchima, non devono avere frequenza inferiore ai 5 MHz, meglio se di 6.5 – 7.5 MHz, di tipo lineare o convex. L’ecografia, per le sue caratteristiche di non invasività e di ripetibilità è un esame da considerarsi di utile applicazione nella

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valutazione dell’entità ed estensione di processi patologici a carico del parenchima mammario anche nei piccoli ruminanti in produzione lattea, come pure, potrebbe avere importanti applicazioni nella valutazione della risoluzione delle affezioni infettive del parenchima mammario a seguito di terapia specifica. Anche lo studio della flussimetria dei vasi mammari in diverse condizioni sia fisiologiche che patologiche potrebbe fornire interessanti spunti di ricerca anche in medicina veterinaria.

INDICE FOTOGRAFIE

Fig. 1 Fig.2

Fig. 3 Fig. 4

Fig. 5 Fig. 6 Fig.1- Parenchima mammario: struttura omogenea con echi lineari, molto simile al parenchima epatico; i dotti galattofori si identificano come piccole strie anecogene che confluiscono nella cisterna mammaria. Fig. 2- La cisterna appare come una struttura liquida con echi fini corrispondenti al latte. Fig.3– Capezzolo: strato esterno iperecogeno; uno strato intermedio ipoecogeno; uno strato interno più ecogeno. Fig. 4 - Il flusso delle aa. mammarie è un flusso bifasico con un primo picco sistolico, più elevato e un secondo diastolico. Vmax sistolica è stata mediamente sui 50 cm/s e Vmax diastolica intorno ai 10 cm/s. L’indice di resistività (IR) è risultato con valori compresi tra 0.60-0.70, indicativo di un flusso a bassa resistenza. Fig. 5 – Il flusso della vena mammaria è caratterizzato da un segnale a bassa velocità. Fig. 6 – Il linfonodo sopramammario appare come una struttura nodulare, ipoecogena ed omogenea, con limiti ben identificabili.

214 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig. 7 Fig. 8

Fig. 9

Fig. 7 - In corso di mastite purulenta cronica, il parenchima mammario mostra un aspetto disomogeneo, con maggior presenza di punti iperecogeni di dimensioni differenti riconducibili a tessuto fibroso. Fig. 8 – Il flusso ha mostrato valori di IR più bassi di quelli fisiologici. Fig. 9 - Mastite purulenta cronica con focolai nodulari asessuali: disomogeneità parenchimale per presenza di fitte aree iperecogene. Sono evidenti aree nodulari di differenti dimensioni, di aspetto ipoecogeno con presenza di echi interni iperecogeni. Tali lesioni sono riconducibili ad ascessi.

Bibliografia 1) CARTEE, R. E.,IBRAHIM, A.K. & MCLEARY, D. (1986) B-mode ultrasonography of the bovin udder and teat. Journal of the American Veterinary Medical Association 188, 1284-12872) TROSTLE S.S., O’BRIEN R.T. (1998) Ultrasonography of the bovine mammary gland. Comp. Cont. Educ. Pract. Vet. Vol.20, pp. S64-S71.3) DINC D.A., SENDAG S., AYDIN I. (2000) Diagnosis of teat stenosis in dairy cattle by real time ultrasonography. Vet. Rec., Sep 2; 147(10): 270-272.4) SARATSIS P. (1991) Diagnostic of teat stenosis in cattle using ultrasound tomography. Dtsche Tierarzti Wochenschr. Vol 98: pp. 456-458.5) S. FRANZ, M. HOFMANN-PARISOT, W. BAUMGARTNER, G. WINDISCHBAUER, A. SUCHY, B. BAUDER (2001) Ultrasonography of the teat canal in cows and sheep. Veterinary Record 149, 109-112

215XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Aspetti Farmaco-Epidemiologici in Medicina Veterinaria: esperienze sul territorio

ASPECT OF VETERINARY PHARMACO-EPIDEMIOLOGY: FIELD TEST

Niutta P.P., Licitra G*., De Domenico A., Pugliese A.Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie – Università degli Studi di Messina

*Azienda Unità Sanitaria Locale n.7- Regione Sicilia

RiassuntoGli Autori riportano i risultati e le considerazioni di uno studio farmaco-epidemiologico effettuato nell’area territoriale di pertinenza del Servizio Veterinario di un’Azienda Unità Sanitaria Locale (A.U.S.L.) del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) italiano, nell’anno 2002.Lo scopo dello studio è stato quello di effettuare una verifica sull’impiego del farmaco negli animali da reddito, considerando: numero delle prescrizioni; qualità/quantità dei farmaci utilizzati, in relazione alla specie animale considerata ed al gruppo farmacologico d’appartenenza; dosaggi e durata dei trattamenti chemio-antibiotici e/o antiparassitari; tempi di sospensione; errori e/o omissioni nell’effettuare le prescrizioni; reazioni avverse (ADRs). In base al rapporto quali/quantitativo delle molecole utilizzate ed al rapporto animali trattati/animali presenti sul territorio è stato possibile valutare, inoltre, lo stato sanitario del patrimonio zootecnico preso in esame.Lo studio è stato effettuato prendendo in esame la copia delle ricette pervenute al Servizio Veterinario dell’A.U.S.L di riferimento, a norma del decreto legislativo n° 119 e successive modifiche. Durante l’anno 2002 sono state prodotte n.375 ricette, a fronte di un patrimonio zootecnico costituito da: n.28.653 ovi-caprini, n.13.000 suini, n.1.600 equini, n.3.257.500 volatili.

Parole chiave: Farmaco, farmacoepidemiologia, ricetta, salute animale

SummaryThe Authors report the results and considerations of a pharmaco-epidemiological study carried out in the Local Veterinary Health Authority ( A.U.S.L. ) of National Health Service ( SSN ), in the year 2002. The aim of the study was to evaluate control and use of veterinary drugs in food animals, considering these aspects: number of prescriptions; the type and quantity of veterinary drugs used grouping the various products in relation to species; dosage and period of treatment for antibiotic and/or antiparasitic drugs; withdrawal times; errors and/or omissions in making out prescriptions; reported case of ADRs. On the basis of the quality and quantity of veterinary drugs used and the ratio of treated animals/animals present in the area, it was possible to investigate animal health status. For the study, we used the copies of prescriptions consigned to the AU.S.L. as required by the Legislative Decree N° 119/92 and its subsequent modifications.The total number of prescriptions received in 2002 was 375. The numbers of animal in this year was: 28.653 sheep and goats, 13.000 swine, 1.600 equines, 3.257.500 avian species.

Key words: drugs, pharmaco-epidemiology, prescription, animal health.

IntroduzioneNell’ultimo decennio l’aumentato impiego di farmaci negli animali da reddito al fine di controllare alcune entità nosologiche (uso terapeutico) o limitarne l’insorgenza (uso profilattico), ha reso necessario un più attento e regolamentato sistema di controllo sul consumo di queste sostanze. Per raggiungere questo obbiettivo si è provveduto attraverso l’emanazione del D.Lgs n. 71 del 9 aprile 2003 “Attuazione delle direttive 2000/37/CE e 2001/82/CE concernenti medicinali veterinari”, a perfezionare il sistema di farmaco-vigilanza, modificando alcuni articoli del D.Lgs n.119 del 27 gennaio 199. In particolare, in questo ultimo decreto vengono riportate alcune note relative alle reazioni avverse ed all’efficacia del trattamento: “i medici veterinari ed i farmacisti devono riferire tempestivamente di eventuali effetti collaterali e di sospette diminuzioni di efficacia di farmaci somministrati agli animali, di norma entro sei giorni lavorativi o entro tre giorni lavorativi se trattasi di gravi effetti collaterali sugli animali e/o uomo”. Ancora nello stesso decreto viene istituito il Sistema Nazionale di farmaco-vigilanza, avente lo scopo di raccogliere e valutare scientificamente le informazioni utili per la vigilanza dei medicinali veterinari. Il sistema tiene conto, inoltre, di tutte le informazioni relative alla diminuzione di efficacia dei medicinali, all’uso improprio, alla validità dei tempi di sospensione ed agli eventuali problemi ambientali causati dall’uso dei farmaci. Le informazioni raccolte sono correlate ai dati di vendita e prescrizione di medicinali veterinari e sono interpretate alla luce delle linee guida emanate dalla Commissione Europea. Tale sistema fa capo al Ministero della Salute, Direzione Generale della Sanità Pubblica Veterinaria, degli Alimenti e della Nutrizione, ed è costituito dalla stessa Direzione e dai Centri regionali di farmaco-vigilanza. La Direzione promuove e coordina, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, studi e ricerche sull’utilizzazione dei medicinali, sull’epidemiologia e predispone controlli ordinari e straordinari attraverso il prelievo di campioni dal circuito distributivo.La Direzione mantiene i necessari rapporti con l’Agenzia Europea per i medicinali denominata “EMEA”, con i Centri Nazionali di farmaco-vigilanza degli altri Stati membri, con gli Organismi internazionali, con le Regioni e le Province autonome. I Centri regionali di farmaco-vigilanza si avvalgono degli Istituti Zooprofilattici e delle Facoltà Universitarie di Medicina Veterinaria o di altri centri specializzati.In un sistema di farmaco-vigilanza così sviluppato, riteniamo utile ed efficace valutare la diffusione del farmaco all’interno

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di una popolazione animale destinata ai fini produttivi: farmaco-epidemiologia.Questa disciplina pur alquanto attuale in medicina umana (6; 7), in medicina veterinaria non è stata ancora completamente riconosciuta.Lo studio farmaco-epidemiologico è considerato un fattore indicativo della salute di una popolazione presa in esame (2; 5), tanto più veritiero quanto più ampio risulta il campione.Considerato che, le indagini farmacoepidemiologiche da noi effettuate nell’anno 1997, facevano emergere l’insufficienza del numero di prescrizioni rispetto al numero di animali presenti sul territorio, nonchè la presenza di innumerevoli errori di compilazione delle ricette (4), abbiamo voluto approfondire tale studio al fine di fornire un aggiornamento relativo all’applicazione in campo del D.L. 119. A tale scopo abbiamo proseguito le ricerche presso la medesima Azienda Unità Sanitaria Locale considerata precedentemente, prendendo in esame le prescrizioni relative all’anno 2002 riferite ad ovicaprini, equini, suini e volatili.

Materiali e metodiNel territorio dell’ A.U.S.L. oggetto della nostra indagine il patrimonio zootecnico preso in esame contava n°28.653 ovi-caprini, n°13.000 suini, n°1.600 equini, n°3.257.500 volatili.Il numero di copie delle ricette pervenute al Servizio Veterinario, per le specie considerate, ammontava a 375; per l’interpretazione di tali dati è stato utilizzato il software di archiviazione presente nella A.U.S.L. che ha reso possibile estrapolare i seguenti dati: a) rapporto animali trattati/presenti; b) tipo e numero di principi attivi prescritti; c) errori di compilazione delle ricette; d) segnalazione di reazioni avverse ai farmaci da parte dei veterinari.Dalle categorie zootecniche presenti in archivio (Tab.1) si è proceduto alla realizzazione di categorie ristrette (Tab.1.1), unendo in gruppo gli ovicaprini, i suini, gli equini, gli avicoli ed in “altre” le rimanenti specie.

RisultatiNell’anno 2002, sono pervenute all’A.U.S.L. 375 ricette di cui 26 riguardavano gli ovi-caprini, 127 i suini, 92 gli equini e 130 gli avicoli. Nella tabella 2 vengono riportati il numero di animali trattati farmacologicamente, il rapporto animali trattati/animali presenti nel territorio.Nelle specie considerate sono state impiegate principalmente otto classi di farmaci, ed in particolare: antibiotici, vitamine, anestetici sedativi, analgesici/antinfiammatori, ormonali, antiparassitari, analettici respiratori, ruminativi digestivi; inoltre sono state somministrate altre molecole: caolino, mepiramina maleato, pectina ed idrossido di alluminio.In tabella 4 viene riportato il numero di prescrizioni raggruppate per classe di appartenenza per le diverse specie.In tabella 4.1 il valore percentuale sul totale dei farmaci prescritti raggruppati per classe di appartenenza, che viene rappresentato nel grafico 1.In tabella 5 vengono riportati tutti i principi attivi che risultano prescritti nelle ricette, raggruppati per categoria farmaceutica, in relazione alla specie trattata. In tabella 6 vengono riportati gli errori e/o omissioni nella compilazione della ricetta.In merito alle reazioni avverse non è risultata agli atti alcuna segnalazione.

Considerazioni e ConclusioniLo studio farmacoepidemiologico effettuato nell’ A.U.S.L di riferimento, consente di avere una chiara visione dell’incidenza annuale del farmaco negli allevamenti relativamente alle specie considerate ed effettuare alcune considerazioni.Da una valutazione comparativa con una precedente ricerca, il numero di ricette prescritte risulta discretamente aumentato: 104 nel 1997 e 375 nel 2002 (5).Il rapporto tra il numero di animali presenti sul territorio ed il numero di ricette prescritte (per singola specie) può rappresentare un parametro interessante per una rapida interpretazione delle prescrizioni effettuate. Nel 1997 in alcuni dell’A.U.S.L. n°7 di Ragusa, risultava una sola ricetta per i 6.500 ovicaprini presenti, 1 per 9 equini, 1 per 475 suini, ed 1 per 3800 volatili (5), invece nel 2002 venivano registrati i seguenti dati: 1 per 1.102, 1 per 17, 1 per 102, 1 per 25.057 rispettivamente per gli ovicaprini, equini, suini e volatili. Il rapporto appena considerato potrebbe essere indicato come “indice di prescrizione medico veterinaria”.Per gli ovi-caprini ed i suini è stato notato un aumento considerevole nel numero delle prescrizioni, invece una diminuzione per gli equini ed i volatili.Questa diminuzione probabilmente, per i volatili, è da imputarsi alla tipologia di allevamento ed al numero elevato di soggetti presenti nelle aziende avicole, dove vengono previsti trattamenti profilattici sulla quasi totalità degli animali, utilizzando così una ricetta per un elevato numero di capi (1:25057 animali presenti sul territorio).Il rapporto animali trattati animali presenti, confrontato con i risultati di studi precedenti non è facilmente interpretabile (tab. 2-3).Gli antibiotici sono risultati i farmaci più prescritti in tutte le specie; 25.23% negli ovicaprini (al pari delle vitamine) 91.67% nei volatili, 71.43% negli equini, il 52.02% nei suini. I principi attivi ad azione antibiotica somministrati agli ovicaprini risultano appartenere a svariati classi, così come per gli avicoli, mentre nei suini si osserva la maggiore prescrizione di specialità medicinali contenenti neomicina, seguita dalla diidrostreptomicina; quest’ultima molto utilizzata anche negli equini, ai quali viene somministrata pure benzilpenicillina.Le uniche prescrizioni di vitamine riguardano gli ovicaprini, così come le sostanze ormonali.Tra i farmaci ad azione antinfiammatoria si è notata la tendenza a prescrivere FANS al posto dei glucocorticoidi, che dai precedenti studi, risultavano maggiormente prescritti. Ancora dalla nostra indagine, risulta un discreto farmaco-uso di antiparassitari (ivermectina e praziquantel), cosa che in passato non era stata registrata (Tab 4-4.1-5) Non sono presenti agli atti ricette illeggibili ma gli errori di compilazione o meglio, le omissioni sono ancora numerose e riguardano in maggior misura la “posologia e la durata del trattamento” ed i “tempi di sospensione” (Tab. 6). Verosimilmente queste omissioni

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sono da imputare a scarsa cura nella compilazione delle ricette.I campi “categoria, marca auricolare e tatuaggio, box, razza, sesso”, non sono stati presi in considerazione in quanto non archiviati nel database; per quanto riguarda le voci “posologia e durata del trattamento” e “tempi di sospensione”, per il calcolo delle omissioni è stato considerato errore ogni volta che alla singola specialità medicinale prescritta, non veniva attribuita la rispettiva posologia, durata del trattamento e tempi di sospensione; i valori riscontrati possono sembrare elevati, ma, considerata l’alta percentuale di singole ricette con prescrizione di più farmaci, tale valore risulta in modo percentuale alle omissioni per ogni specialità prescritta (tab. 6).Il non aver riscontrato alcuna segnalazione di effetti indesiderati da farmaco negli animali, ci porta a rimarcare le probabili cause alla base delle mancate segnalazioni:- scarsa sensibilizzazione alle problematiche inerenti la farmacoterapia da parte dei medici veterinari;- difficoltà nel rilevare la causalità tra farmaco utilizzato ed effetto collaterale;- possibili interferenze derivanti dall’utilizzo di più farmaci, contemporaneamente e non;- mancanza di dati relativi al paziente o l’erronea interpretazione di alcuni segni clinici da parte del proprietario;- timore del veterinario ad andare incontro a problemi burocratici o sanzioni;- tendenza a segnalare all’informatore farmaceutico piuttosto che agli organi competenti.Sulla base di questo fenomeno si evince la necessità e il dovere di rafforzare i controlli sul consumo di sostanze farmacologiche in animali adibiti a produzioni zootecniche coinvolgendo le Autorità Sanitarie.Per far ciò è necessario trovare strategie d’intervento a costi contenuti, per incrementare le segnalazioni senza, di conseguenza, aumentare quelle false positive così come è stato fatto in Medicina Umana (1).Riteniamo utile promuovere approfondimenti scientifici riguardo la farmacoepidemiologia, la farmacovigilanza ed il corretto uso dei farmaci che rappresentano gli strumenti attraverso i quali è possibile valutare costantemente il rapporto rischio-beneficio, garantendo così la sicurezza sull’utilizzazione del farmaco veterinario, supportando permanentemente i Medici Veterinari attraverso un’educazione sanitaria continua che, rafforzando l’informazione, dia al farmaco la doverosa importanza.Sarebbe inoltre opportuno istituire una “cabina di regia” che funga da osservatorio farmaco epidemiologico capace di monitorare costantemente i principi attivi somministrati agli animali da reddito presenti sul territorio, permettendo ,nel tempo, una efficacie comparazione dei dati sviluppati atta a valutare in maniera approfondita l’utilizzo del farmaco sugli animali da reddito che ricordiamo, quasi ogni giorno, ci troviamo sulla tavola sotto forma di carne o derivati.

Bibliografia1 Caputi A. P. et al., (1997) “Le reazioni avverse ai farmaci: segnalazioni e sistemi di sorveglianza del Ministero della

Sanità” Professione Sanità Pubblica e Medicina Pratica. Anno 4 n° 2: 6-11;2 Chauvin C. et al. (2002) “Pharmaco-epidemiology and economics should be developed more extensively in veterinary

medicine”. J. vet. Pharmacol. Therap. 25, 455-459. 2002;3 Lawson D.H. (1984) “Pharmacoepidemiology: a new discipline”. Medical Jurnal. 289, 940-941.1984;4 Pugliese et al. (1999) “Farmaco-epidemiologia in una ASL del SSN” 2° Congresso Nazionale della Società Italiana

di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria (S.I.Di.L.V.) e 1° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Epidemiologia Veterinaria;

5 Pugliese et al. (2000) “Pharmacoepidemiology in sicilian local health authority (ASL) 8th International Congress Mediterranean Federation for Health and Production of Ruminants (Fe.Me.S.P.Rum.);

6 Scott D.M. & Pedersen,C.A. (2000) An outcome research (pharmacoeconomics/pharmacoepidemiology) course for pharmD students. American Journal of Pharmaceutical Education. 64, 114-115;

7 Vray, M., Szafir, D., Jallion, P. & les participants à la table ronde , n°3 del Giens XVI (2001) Pharmaco-épidémiologie: identification des besoins, bases de données, critères de qualità des études. Thérapie. 56, 349-353;

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�����CATEGORIE ZOOTECNICHE COD CAT. RISTRETTA

AGNELLI AG OV

AGNELLONI AL OV

ANATRE AN VO

API AP ALTRE

ASINI AS EQ

ARIETI AT OV

ANGUILLE AU ALTRE

BECCHI BE OV

BROILER (POLLI) BR VO

CAPRE CA OV

CINGHIALI CI SD

CANI CN ALTRE

CAPRETTI/CAPRETTONI CP OV

CAVALLI CV EQ

FARAONE FA VO

FAGIANI FG VO

GALLINE OVAIOLE GA VO

GALLETTI GL VO

GRASSI GR SD

GATTI GT ALTRE

LATTONZOLI LA SD

MAGRONI MA SD

MAGRONCELLI MG SD

MONTONI MO OV

MULI/BARDOTTI MU EQ

CASTRATI OC OV

ORATE OR ALTRE

PECORE PE OV

PICCIONI PI VO

PESCI PS ALTRE

PULEDRI PU EQ

QUAGLIE QU VO

SCROFE SC SD

SCROFETTE SF SD

SPIGOLE SP ALTRE

STRUZZI ST VO

SUINETTI SU SD

TACCHINI TA AV

UOVA DI MUGGINE UM ALTRE

VERRI VE SD

���� ���OV OVI-CAPRINI

VO VOLATILI

EQ EQUIDI

SD SUINI

ALTRE ALTRE

TABELLE

219XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab.2 ������ ����OVI-

CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

TOTALE RICETTE 2002 375 26 127 92 130

TOTALE ANIMALI NEL

TERRITORIO����� ����� ���� �������

TOTALE ANIM. TRATTATI 2041 2308 221 2198680

RAPPORTO % ANIMALI

TRATTATI/PRESENTI7,12 17,75 13,81 67,5

Tab.3 ������ ���� ���OVI-

CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

TOTALE RICETTE 104 1 12 40 10

TOTALE ANIMALI NEL

TERRITORIO 6500 5700 363 38000

RAPPORTO % ANIMALI

TRATTATI/PRESENTI - 1,8 33,6 15,6

Tab. 4

N° PRESCRIZIONI PER

CLASSE

FARMACOLOGICA

OVI

CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

����������� 28 103 85 22

�������� 28

���������� �������� 18 17 4

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�������� 10

����� 7 17 2

��������������� 3 34 15

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Tab. 4.1

% sul totale dei farmaci

prescritti

OVI-

CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

����������� 25,23 52,02 71,43 91,67

�������� 25,23

���������� �������� 16,22 8,59 3,36

�����������

��������������� 10,81 12,63 12,61

�������� 9,01

����� 6,31 8,59 8,33

��������������� 2,7 17,17 12,61

����������

����������� 2,7 1,01

���������� ��������� 1,8

220 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 5

CATEGORIA FARMACEUTICA OVI

PRINCIPIO ATTIVO CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

ANTIBIOTICI

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ANALGESICI + ANTINFIAMMATORI

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ANTIPARASSITARI

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VITAMINE

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ORMONALI

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221XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. 5

CATEGORIA FARMACEUTICA OVI

PRINCIPIO ATTIVO CAPRINISUINI EQUINI AVICOLI

ANESTETICI SEDATIVI

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RUMINATIVI - DIGESTIVI

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ANALETTICI RESP�

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ALTRI

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GRAFICO 1

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222 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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Tab. 6

VOCI ERRATE/OMESSE NELLA

COMPILAZIONE DELLA RICETTA%

CATEGORIA *

CONFEZIONE/QUANTITA' 1.64

MARCA AURICOLARE E TATUAGGIO BOX *

NUMERO ANIMALI 4.5

POSOLOGIA E DURATA DEL TRATTAMENTO177.64**

RAZZA *

RICETTE ILLEGIBILI 0

SESSO *

SPECIE 4.43

TEMPI DI SOSPENSIONE 82.5***

N.B. il totale degli errori è stato calcolato sul totale delle ricette pervenute, di tutte le specie animali.

* non sono stati presi in considerazione, in quanto non presenti nel database** Per il calcolo delle omissioni è stato considerato errore ogni volta che al singolo farmaco non veniva attribuita la posologiae la durata del trattamento, il valore può sembrare elevato, ma se si considera l’alta percentuale di singole ricette conprescrizione di più farmaci, tale valore risulta in modo percentuale alle omissioni per ogni farmaco prescritto.*** Per il calcolo delle omissioni è stato considerato errore ogni volta che al singolo farmaco non veniva attribuito il relativotempo di sospensione, il valore può sembrare elevato, ma se si considera l’alta percentuale di singole ricette con prescrizionedi più farmaci, tale valore risulta in modo percentuale alle omissioni per ogni farmaco prescritto.

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INDICE DI PRESCRIZIONE MEDICO VETERINARIA

Ragusa-1997 (5)

TOT N° ANIMALITOT N° RICETTERAPPORTO

OVI-CAPRINI 6500 1 6500

EQUINI 363 40 9

SUINI 5700 12 475

VOLATILI 38000 10 3800

���� �

INDICE DI PRESCRIZIONE MEDICO VETERINARIA

Ragusa 2002

TOT N° ANIMALITOT N° RICETTERAPPORTO

OVI-CAPRINI 28653 26 1102,04

EQUINI 1600 92 17,39

SUINI 13000 127 102,36

VOLATILI 3257500 130 25057,69

223XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

PROTIDOGRAMMA DEL SECRETO LACRIMALE NEL BUFALO (Bubalus bubalis)

TEAR PROTEIN ELECTROPHORESIS OF BUFFALO (Bubalus bubalis)

Montalbano R.M., Gruppillo A., Pugliese M., Incardona A., Di Pietro S.Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Messina

Parole chiave: elettroforesi; lacrime; bufaloKey words: electrophoresis; tear; buffalo

RiassuntoLa prima linea di difesa dell’occhio nei confronti di patogeni esogeni, è rappresentata dalle numerose componenti della frazione proteica lacrimale. Tali componenti sono infatti in grado di esercitare un’azione antibatterica sia specifica che aspecifica, rispettivamente Ig, Lisozima e Lattoferrina. Considerato l’importante ruolo che tali sostanze svolgono nel mantenere l’integrità anatomo-funzionale dell’apparato visivo, in particolare della cornea e della congiuntiva, abbiamo ritenuto interessante valutare in questo studio l’assetto proteico lacrimale di bufali, allo scopo di ottenere dei parametri fisiologici di riferimento. Lo studio è stato condotto su 15 femmine di bufalo, allevate presso l’azienda Velo di Torregrotta (Me), di età compresa tra 6 e 11 anni.Il campione lacrimale, prelevato da entrambi gli occhi, è stato sottoposto ad elettroforesi in gel d’agaroso per la separazione, l’identificazione e la quantificazione delle singole frazioni proteiche. In particolare, sono state determinate specificatamente albumina, lattoferrina ed immunoglobuline; la migrazione proteica ha inoltre permesso di individuare sulla striscia di gel ulteriori bande, verosimilmente correlate alla presenza di frazioni proteiche con peso molecolare diverso.

SummaryThe first kinds of the ocular defence against the external pathological agents are the numerous portions of the protein fractions present in the tear fluid. They, in fact, are able to show a specific and a no specific antimicrobial activity with Ig, lisozime and lactoferrin. These substances play a very important role to maintain the anatomic-functional integrity of the eye, particularly of the cornea and the conjunctiva. So we considered very interesting to evaluate in this study the tear protein pattern of the buffalo, with the aim to obtain the reference physiological parameters. The study is performed on 15 buffalos, females, with age ranged from 6 to 11 years, reared at the Velo’s farm in Torregrotta (Me), Italy. The tear sample, token on both eyes, is subjected to the agarose gel electrophoresis to obtain the separation, the identification and the amount of every protein fractions. Particularly, albumin, lactoferrin and immunoglobulin are determined; the migration of the tear protein allowed to identify other bands on the gel’s strip, correlated probably to the presence of the protein fractions with different molecular weight.

IntroduzioneNel corso degli ultimi anni l’allevamento del bufalo in Italia ha registrato una notevole espansione, raggiungendo livelli considerevoli soprattutto nei territori del centro-sud, con una concentrazione massima di aziende (95%) in Campania e Lazio (dati ISTAT 1995) (4). Il patrimonio bufalino nazionale, infatti, è divenuto una sicura fonte economica alternativa alle attività industriali e zootecniche; la bufala mediterranea italiana viene allevata principalmente per la produzione del latte, dal quale vengono ottenuti diversi prodotti della trasformazione, primo fra tutti la mozzarella. Accanto alla filiera del latte si sta affermando sempre più anche la produzione della carne di bufala, che sembra, in prospettiva, offrire interessanti sviluppi commerciale (4). Le conoscenze scientifiche su questa specie animale sono state effettuate in gran parte in paesi tropicali (Asia ed Egitto) ma è con una certa prudenza che le conoscenze acquisite in questi paesi possono essere trasferite alla realtà italiana, considerato che il bufalo mediterraneo, seppur simile costituzionalmente alle razze orientali, è sottoposto a differenti condizioni ambientali e di management aziendale (2, 8, 9, 12).L’aumentato interesse nei confronti del bufalo ha comportato un impegno sempre maggiore nell’ambito della medicina specialistica, negli ultimi anni, infatti, sono state condotte numerose ricerche sul bufalo mediterraneo, relative all’assetto ematologico ed ematochimico per lo studio patogenetico di determinate malattie infettive che possono interessare la specie, nonché sull’assetto endocrino-metabolico, al fine di meglio definire alcune peculiarità metaboliche della razza (2,3,8,9,12) .Tuttavia, scarse risultano in letteratura le indagini riguardanti le peculiarità morfo-strutturali e funzionali dell’apparato oculare del bufalo mediterraneo e le poche ricerche prodotte riguardano esclusivamente le specie allevate nei paesi tropicali.Nell’ambito di un progetto di ricerca volto a valutare le caratteristiche anatomo-funzionali dei diversi distretti oculari nel bufalo mediterraneo (Bubalus bubalis); in questa nota, l’attenzione viene rivolta allo studio dei meccanismi difensivi dell’occhio, organo a diretto contatto con l’ambiente esterno e come tale coinvolto in diversi processi infettivi. Più specificatamente, obiettivo della presente indagine è studiare l’assetto proteico lacrimale della specie bufalina, il cui ruolo difensivo contro la crescita e la diffusione di patogeni sulla superficie oculare risulta di grande importanza ai fini della prevenzione di alcune malattie.

Materiali e metodiLo studio è stato condotto su 16 bufali, 11 femmine adulte di età compresa tra 6 e 11 anni, e 5 vitelli, 3 femmine e 2 maschi, di circa 2 mesi di età. Gli animali venivano allevati allo stato semibrado, in ambiente confinato, presso un’azienda ubicata nella provincia di Messina, con indirizzo produttivo di latte destinato alla trasformazione. Al momento dell’esame tutti gli animali, in buone condizioni di salute, non presentavano a livello dell’apparato oculare alcun sintomo clinico riferibile a patologie specifiche né a lesioni secondarie a malattie sistemiche, come evidenziato dalla visita specialistica condotta sul campione in oggetto. Introdotti all’interno di un travaglio, previa contenzione della testa con l’ausilio di

224 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

corde, su ciascun soggetto veniva effettuato il prelievo di circa 30 µl di lacrime, utilizzando una pipetta munita di puntale posta a livello del sacco congiuntivale ventrale di ciascun occhio, tangenzialmente alla mucosa stessa. Il materiale prelevato, posto in provette Eppendorf, veniva trasportato in laboratorio, per essere congelato fino all’espletamento dell’esame per la valutazione del pool proteico lacrimale. Sul fluido lacrimale scongelato veniva eseguito l’esame spettrofotometrico per valutarne il contenuto proteico medio e, successivamente, veniva effettuata l’indagine elettroforetica (FastRep Helena®) al fine di discriminare e quantificare le singole frazioni proteiche contenute nel liquido lacrimale. La migrazione anodica su piastra in gel d’agaroso, dopo colorazione della striscia con blu di metilene, permetteva di individuare le proteine lacrimali sotto forma di bande a diversa intensità cromatica; il tracciato elettroforetico utilizzato come campione di riferimento era il siero ematico ottenuto dagli stessi animali. Attraverso lo studio del grafico relativo a ciascuna migrazione foretica è stato possibile ottenere la concentrazione media (± la deviazione standard) delle singole proteine identificate sulla striscia, espressa in percentuale rispetto alla quantità totale di proteine contenute nel fluido lacrimale. I dati quantitativi delle singole componenti proteiche sono stati analizzati statisticamente attraverso la valutazione del test t di Student, prendendo in esame le differenze eventualmente esistenti tra soggetti di età diversa, adulti e vitelli rispettivamente, e considerando statisticamente significativi i valori con p<0.05.

RisultatiLa migrazione su striscia in gel d’agaroso ha permesso di identificare diverse bande con intensità cromatica variabile, corrispondenti ad altrettante frazioni proteiche contenute nel campione lacrimale in esame (Fig.n°1); nella Fig. n°2 viene riportato un grafico “tipo” relativo alla migrazione elettroforetica delle proteine lacrimali di bufalo, nel quale viene indicata la concentrazione media di ogni frazione proteica, espressa in percentuale sul valore proteico totale, che per tale specie animale è stato calcolato in 7 g/dl. Attraverso il confronto tra il tracciato foretico lacrimale e quello sierico di riferimento è stato possibile individuare la banda cromatica relativa alla migrazione dell’albumina lacrimale, che essendo di derivazione sierica, assume la medesima posizione sulla striscia di gel in entrambi i campioni.La frazione albuminica è presente nella concentrazione di 6,42±4,36% (media +/- deviazione standard) e si presenta sulla striscia sotto forma di una banda cromatica debolmente colorata, individuabile a livello della parte anodica della stessa. In prossimità della porzione apicale corrispondente all’anodo vengono evidenziate deboli bande di colore blu, in numero variabile da due a tre nei diversi soggetti, corrispondenti a proteine a basso peso molecolare e carica elettrica negativa, indicate come proteine acidiche a migrazione rapida (PMR); la concentrazione media di queste frazioni proteiche si attesta intorno a valori di 2,29±2%. Tra queste bande viene individuata la frazione leggera della lattoferrina. Tali frazioni proteiche risultano assenti nei tracciati lacrimali relativi ai soggetti giovani.Proseguendo nell’esame della striscia elettroforetica, è possibile evidenziare una netta banda cromatica localizzata in corrispondenza dell’estremità anodica dell’ampia zona di migrazione delle globuline, le cui caratteristiche fanno ipotizzare si tratti con ogni probabilità della frazione ad elevato peso molecolare della lattoferrina, con una concentrazione media nei soggetti esaminati di 1,88±7,56%.In prossimità del punto di semina del campione lacrimale, da entrambi i lati, in direzione anodica e catodica è stata evidenziata un’ampia zona di migrazione proteica caratterizzata da bande ipercromatiche. Dalla comparazione con il siero di riferimento viene identificata zona relativa alla migrazione delle globuline con una concentrazione media di 71,89±6,86%. Nel tracciato elettroforetico lacrimale del bufalo non viene messa in evidenza, in prossimità del polo catodico della striscia di gel, la banda riferibile al lisozima. Inoltre dall’analisi dei dati ottenuti non è stata evidenziata alcuna differenza statisticamente significativa tra le diverse componenti proteiche lacrimali esaminate nei bufali adulti e nei vitelli, eccezion fatta per le proteine a migrazione rapida, che risultavano assenti nei soggetti giovani, presentando una differenza statistica altamente significativa ( p ≤ 0,01).Siero

LT pes.ALB

PMR LT. Legg

LacrimeGLOBULINE

Fig. n°1 – Striscia di gel: migrazione elettroforetica di siero e lacrime di bufalo

225XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig. n°2 - Grafico tipo relativo alla migrazione elettroforetica di lacrime di bufalo

Considerazioni e ConclusioniDall’analisi dei protidogrammi lacrimali effettuati negli animali oggetto del presente studio si evince che il pattern proteico lacrimale del bufalo presenta delle differenze significative in relazione all’età dei soggetti esaminati. In particolare, nei vitelli non sono state individuate le bande cromatiche corrispondenti alle proteine a migrazione rapida . In accordo con i dati bibliografici l’assenza di tali frazioni potrebbe essere spiegata con una comparsa tardiva di tali sostanze a livello del secreto lacrimale. Difatti alla nascita le lacrime contengono quasi esclusivamente proteine sieriche e soltanto in seguito compaiono le proteine secrete dalle ghiandole lacrimali (10). Questo fenomeno potrebbe comportare una aumentata sensibilità del segmento oculare esterno dei vitelli rispetto agli adulti..Relativamente alla lattoferrina, suddivisa in due porzioni con caratteristiche biochimiche differenti, la concentrazione totale elevata riscontrata testimonia l’importanza di tale molecola nella protezione aspecifica della superficie oculare, in quanto è in grado di effettuare una ’intensa attività batteriostatica e battericida (1, 7, 10, 11).Il mancato riscontro sul tracciato elettroforetico del lisozima, lascia presagire un’azione protettiva vicariante della lattoferrina, supportata da altre sostanze proteiche presenti nel fluido lacrimale quali transferrina, ceruloplasmina, α1-antitripsina, α1-amilasi e α2-macroglobulina, che conferiscono all’occhio un’ulteriore attività difensiva di tipo non immunitario, attraverso meccanismi enzimatici o di deplezione di ioni metallici (5,6).La standardizzazione di mappe proteiche lacrimali riproducibili potrebbe consentire di individuare processi patologici a carico del segmento oculare esterno, in quanto alcune affezioni di questo distretto determinano variazioni nella concentrazione proteica lacrimale che si traducono in modificazioni del tracciato elettroforetico con incremento, diminuzione o scomparsa di una o più bande cromatiche, in relazione all’interessamento di una o più categorie proteiche. È innegabile, quindi che attraverso questo sistema di indagine, sia possibile effettuare uno studio patogenetico di alcune entità nosologiche che colpiscono l’apparato oculare e che prevedono nel loro determinismo anche variazioni qualitative e quantitative del pool proteico lacrimale. Ne deriva l’importanza dello studio dell’apparato oculare anche in questa specie animale, con particolare attenzione ai meccanismi difensivi di tale organo, nell’ottica di salvaguardare la salute animale in ogni suo aspetto, non tralasciando quello economico, considerato che l’allevamento bufalino, come altri comparti del settore zootecnico, tende ad ottenere elevati livelli di qualità e salubrità dei prodotti aziendali, che risultano imprescindibili da una condizione clinica ottimale del singolo individuo.In conclusione, i risultati della presente indagine forniscono, a nostro parere, dei valori di base relativi alla composizione proteica delle lacrime di bufali clinicamente sani. Tali valori, considerati i modesti riferimenti bibliografici sull’argomento, possono essere indicati come parametri di riferimento per una valutazione quali-quantitativa dell’assetto proteico lacrimale nella specie in oggetto. Sulla base di quanto detto non è possibile escludere che le modificazioni del contenuto proteico lacrimale potrebbero svolgere un ruolo di indicatore precoce dello stato clinico dell’apparato oculare; infatti, attraverso la comparazione di tracciati lacrimali fisiologici e patologici potremmo identificare eventuali correlazioni tra modificazioni proteiche ed evoluzione della malattia in atto. Inquadrata in quest’ottica, l’esecuzione di protidogrammi lacrimali può rappresentare un valido ausilio nella diagnosi precoce, nella prognosi e nel follow-up terapeutico delle lesioni del segmento oculare esterno.

226 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

--Bibliografia1) Banyard M.R.C. & McKenzie H.A., The fractionation and characterization of bovine tear proteins, especially lactoferrin,

Molecular and Cellular Biochemistry, 47:115-124, 1982.2) Bertoni G., Lombardelli R., Piccioli Capelli F., Bartucci F., Amici A., Agricoltura e Ricerca 153, 87-98, 1994a.3) Ciaramella P., De Luna R., Aspetti di patologia metabolico-nutrizionale nel bufalo, Atti V Congresso FeMeSPRum, Ozzano

Emilia, pp.51-64, 1997.4) Galero G., Finalmente il Centro di Referenza Nazionale per la bufala, Bubalus bubalis II, 2002, pp.27-30.5) Gionfriddo J.R., Davidson H., Asem E.K., Krohne S.G., Detection of lysozime in llama, sheep and cattle tears, AmJVetRes,

vol.61(10), pp.1294-1297, 2000.6) Gionfriddo J.R., Melgarejo T., Morrison E.A., Alinovi C.A., Asem E.K., Krohne S.G., Comparison of tear proteins of llamas

and cattle, AmJVetRes, vol.61(10), pp.1289-1293, 2000.7) Kijlstra A., Kuizenga A., Van Der Velde M., Van Haeringen N.J., Gel electrophoresis of human tears reveals various form of

tear lactoferrin, Curr Eye Res, 8(6):581-8, 1989.8) Oliva G., Tranquillo A., Persechino A., Acta Med Vet 35, 207-217, 1989.9) Persechino A., Oliva G., De Luna R., D’Amore L., Acta Med Vet 35, 219-228, 198910) Steindler P., Il sistema lacrimale – Fabiano Editore, pp.44-54, 2000.11) Yu R.H., Schryvers A.B., Bacterial lactoferrin receptors: insights from characterizing the Moraxella bovis receptors, Biochem

Cell Biol, 80(1):81-90, 2002.12) Zicarelli L., Avallone L., Salvatore M., Pizzuti G.P. Comportamento di alcune costanti ematiche nella bufala in gravidanza e

lattazione, Atti SISVET 40, 569-572, 1986.

227XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

ELEMENTI DI SEMIOLOGIA OCULARE NEI BUFALI

Ocular semeiology in the buffalo

Incardona A., Di Pietro S., Montalbano R.M., Gruppillo A., Pugliese A.Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie – Università di Messina

Parole chiave: semiologia; occhio; bufaliKey words: semiology; eye; buffalo

RiassuntoNell’ambito della medicina degli animali da reddito, a differenza di quanto avviene per gli animali da compagnia, l’interesse per le affezioni oculari è piuttosto limitato in quanto subordinato all’impatto economico sia individuale, come nel caso dell’epitelioma spinocellulare, sia collettivo, cheratocongiuntive infettiva. Però l’occhio con i suoi annessi rappresenta una struttura relativamente facile da esaminare ed i quadri patologici che si possono riscontrare rappresentano spesso un prezioso aiuto nella diagnosi di numerose patologie a carattere generale o più specificatamente in quelle alterazioni del sistema nervoso che possono avere ripercussioni anche sull’apparato oculare. Sulla base di quanto affermato risulta importante condurre frequenti visite dell’apparato oculare anche in questi animali da reddito. Nel presente lavoro gli Autori riportano i risultati di esami oftalmologici condotti su 10 bufale di sesso femminile, di età compresa tra 6 e 11 anni, allevate nella provincia di Messina. Mediante la strumentazione specialistica si è proceduto ad effettuare una attenta valutazione dei diversi segmenti oculari, nonché ad applicare i test diagnostici utilizzati di routine. Con i risultati del presente lavoro si ritiene di fornire degli elementi di semiologia oculare del bufalo, la cui presenza sul territorio nazionale ha visto negli ultimi anni una crescita esponenziale, ma che non è stato particolarmente indagato riguardo agli aspetti inerenti l’oftalmologia.

SummaryIn the large animals medicine, on the contrary of the small animals, the interest to the ocular pathologies is very little because of the economic loss that they can determine, both individual (e.g. ocular mass) and general (e.g. infectious kerato-conjunctivitis). Nevertheless the eye is a structure easy to examine and the encountered pathologies frequently represent a valid aid in the diagnosis of the nervous system alterations that can determine secondary problems of the eye. So it is very important to perform frequent ocular examinations in large animals too. In this study the Authors report the results of the ocular examination conduced on 10 buffalos, females, with age ranged from 6 to 11 years, reared in the province of Messina (Italy). Using the specific instruments it was possible to effect an accurate evaluation of the different ocular segments and to apply the various diagnostic test. With the results of this study the Authors believe to obtain the semeiological data of the buffalo’s eye. The breeding of this large animal is became very diffuse in Italy during last years but the ocular pathologies are not much considered.

IntroduzioneNel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un crescente interesse da parte degli imprenditori zootecnici verso l’allevamento bufalino.Diversi fattori quali minore costo di gestione aziendale rispetto all’allevamento di bovine da latte ad alta produzione, maggiore capacità da parte del bufalo di utilizzare foraggi più grossolani e quindi meno costosi, aumento della richiesta di mercato dei prodotti della trasformazione del latte di bufala, uniti alla rusticità di questo animale hanno spinto diversi allevatori a convertire le loro aziende da bovine a bufaline.All’incremento numerico dei capi si è associato un progressivo cambiamento della tipologia di conduzione aziendale, passando da allevamenti di tipo prevalentemente brado o semi-brado, a sistemi di tipo intensivo. Quanto verificatosi nel tempo, oltre a determinare l’incremento della produzione lattea, ha permesso da un lato la riduzione dell’incidenza di malattie tipiche quali “barbone bufalino”, afta epizootica, oesophagostomiasi ed altre parassitosi epatiche e gastrointestinali, dall’altro la comparsa di patologie tipiche dell’allevamento intensivo quali: brucellosi, mastiti, malattie virali quali IBR, BVD, RSV nonché patologie metaboliche (Ciaramella P. & De Luna R., 1997; Persechino A., 1997; Fenizia D., 1997).Il sistema di allevamento in stabulazione ha permesso di monitorare lo stato di salute degli animali e di rilevare più agevolmente eventuali alterazioni morfo-funzionali a carico dei diversi organi ed apparati, tra questi anche quello oculare. La crescente attenzione da parte di chi ha investito su questa specie animale nei riguardi dell’intera sfera sanitaria, ai fini di un miglioramento del benessere che si traduca in aumenti della produttività, ha spinto il nostro gruppo di ricerca, già impegnato negli ultimi anni in lavori sull’apparato oculare di ruminanti domestici e selvatici, ad intraprendere uno studio volto alla valutazione di alcuni elementi di semiologia oculare nel bufalo. Questo interesse nasce anche dalla consapevolezza che per poter effettuare una adeguata valutazione clinica di un qualsiasi organo od apparato è fondamentale la conoscenza di quei parametri fisiologici specie-specifici. Lo studio dell’occhio delle razze bufaline autoctone consente di approfondire le conoscenze relative ad alcune patologie specifiche d’organo o sistemiche che, se trascurate, potrebbero impedire il raggiungimento di elevati standard di protezione sanitaria, al fine di ottimizzare le performance produttive del singolo individuo e migliorare, in tal modo, il trend economico aziendale.

Materiali e metodiIl presente lavoro è stato condotto nell’azienda zootecnica Velo di Torregrotta (ME). Il campione era costituito da 20 soggetti di sesso femminile di età compresa tra 6 ed 11 anni che non presentavano segni di patologie oculari in atto o pregresse. Le indagini preliminari sono state condotte in condizioni di luce naturale, in modo da esaminare la posizione e la

228 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

simmetria dei globi, nonché gli annessi oculari (ciglia, palpebre, membrana nittitante e congiuntiva). Dopo questa prima fase gli animali sono stati trasferiti in gruppo all’interno dei locali mungitura dove sono stati rilevati i valori dello Schirmer Tear Test per la produzione lacrimale e della pressione oculare mediante tonometria per applanazione (Tonopen XL), previa instillazione nel fornice congiuntivale di un collirio anestetico a base di ossibuprocaina cloridrato allo 0,4%. L’esame è proseguito in ambiente semi-oscuro e, previo contenimento della testa dell’animale con delle corde, sono stati valutati inizialmente le reazioni alla minaccia ed il riflesso fotomotore, quindi si è proceduto all’ispezione del segmento anteriore osservando la cornea, la sclera, la camera anteriore, l’iride e la pupilla tramite un transilluminatore, un oftalmoscopio diretto ed una lampada a fessura; infine, dopo midriasi farmaco-indotta, è stato esaminato il cristallino ed il fondo oculare mediante oftalmoscopia diretta ed indiretta.

RisultatiLo schema di conduzione della visita oculistica riprende quanto riportato per l’esame obiettivo particolare dell’occhio nei grossi animali.Gli occhi dei bufali, come in tutti gli erbivori da preda, sono posti ai due lati della testa. L’orbita è di tipo chiuso, cioè completamente circondata dalla struttura ossea formata da: lacrimale, frontale, temporale e zigomatico, per dare più protezione all’occhio e come rinforzo per il cranio durante i rituali per gli accoppiamenti e le lotte tra i maschi (Foto n°1).Le palpebre sono costituite da cute sottile provvista di corti peli ed il margine libero della palpebra superiore è dotato di ciglia lunghe e robuste, meno evidenti in quella inferiore (Foto n°2); la fessura palpebrale, particolarmente ampia, garantisce un ottimo campo visivo; la congiuntiva palpebrale appare di colorito rosato mentre la congiuntiva sclerale, fatta eccezione per la zona perilimbare che può presentarsi pigmentata, risulta trasparente e lascia intravedere i vasi sottostanti.La cornea in questi animali, perfettamente diafana, appare lucida ed omogenea e, così come accade per molti animali da pascolo, ha una forma ellittica con diametro maggiore disposto in senso orizzontale, fattore questo che insieme all’ampia fessura palpebrale aumenta il campo visivo (Foto n°2).Lo Schirmer Tear Test, effettuato in entrambi gli occhi dei soggetti esaminati prima di procedere all’esame strumentale delle diverse strutture oculari, fornisce un valore medio di 22,37 ± 5,44 (deviazione standard) mm/sec. Il riflesso fotomotore, diretto e consensuale, con un tempo di reazione di pochi secondi, ha fornito valori sovrapponibili a quelli riscontrati nel bovino.L’esame strumentale del distretto anteriore dell’occhio ha permesso di evidenziare la camera anteriore discretamente profonda e le peculiarità morfo-strutturali dell’iride. Quest’ultima, di colore nocciola-castano, presenta un foro pupillare disposto orizzontalmente rispetto al piano sagittale dell’occhio, a forma di ellisse in condizioni di miosi e di rettangolo con angoli smussi in midriasi. Sul margine superiore della pupilla si evidenziano i cosiddetti “corpora nigra” (Foto n°3). I rilievi tonometrici eseguiti su entrambi gli occhi hanno dato un valore medio di 20,12 ± 3,44 (deviazione standard) mm/Hg.A completamento della visita oculistica l’esplorazione del fondo oculare, previa midriasi farmaco indotta ottenuta in 20-30 minuti, ha permesso di osservare le strutture morfologiche tipiche della specie in esame. La vascolarizzazione retinica in questa specie animale è costituita dal circolo venoso del nervo ottico, posto al centro della papilla, dal quale si dipartono 3 o 4 vene primarie di grosso calibro e di colore rosso scuro. Dalla periferia del disco ottico emergono altrettante arterie di calibro minore e di colore più chiaro che, pur decorrendo parallelamente alla rete venosa, assumono una distribuzione più irregolare ed un decorso più tortuoso. La vena e l’arteria superiore si distinguono rispetto agli altri vasi in quanto decorrono intrecciate; arteriole addizionali si irradiano dal disco ottico, provvedendo all’irrorazione dell’intera superficie retinica. Lungo il decorso dei vasi di calibro maggiore si evidenziano anastomosi ad angolo retto, che contribuiscono all’irrorazione sanguigna delle varie porzioni di retina.La zona tapetale, presente a livello dei quadranti dorsali, mostra variazioni cromatiche che vanno dal giallo al blu, e risulta uniformemente costellata da punti rossi ben evidenti, rappresentanti un numero elevato di sottili capillari.. I quadranti retinici ventrali sono occupati della zona non tapetale, uniformemente pigmentata e di colore marrone scuro. A questo livello, in posizione eccentrica, si trova il disco ottico, di forma rotondeggiante e di colore giallo più o meno intenso, circondato da un anello pigmentato completo che ne rende più netti i margini rispetto al tessuto retinico circostante. Al centro del disco ottico in tutti i soggetti da noi esaminati è stata osservata una zona di colorito biancastro, procedente nel vitreo, vestigia dell’arteria ialoidea (Foto n°4).

Foto n°1 Foto n°2

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Foto n°3 - Foto n°4

Considerazioni e ConclusioniI risultati della presente indagine necessitano di alcune considerazioni. Il significato ontogenetico della posizione laterale dei globi oculari è da ricercare nella necessità, per questi animali, di avere una visione più ampia possibile per difendersi dai predatori naturali; infatti, questo ruminate presenta un campo visivo di circa 330° che, pur non raggiungendo i 360°, gli consente ugualmente la visione dell’intero arco dell’orizzonte. Tuttavia, questa ottica “panoramica”, ma perlopiù monoculare, fondamentale nella percezione tempestiva di eventuali predatori, va a scapito della visione stereoscopica che, con la sovrapposizione dei due campi visivi, permette una migliore valutazione degli spazi e delle profondità. La presenza dei corpora nigra a livello del margine superiore della pupilla sembra sia necessaria per svolgere una funzione di “filtro” nei confronti dei raggi luminosi, mentre alcuni Autori attribuiscono ad essi, nella specie equina, anche la capacità di produrre umore acqueo (Sack W.O., 1992).E’ da rilevare che nel corso delle nostre indagini non sono emerse eterocromie a carico del tessuto irideo, come invece riportato da altri Autori (Misk N.A., et al., 1998) in questa specie animale, a testimonianza della necessaria cautela nell’assumere come attendibili i risultati delle ricerche svolte su razze bufaline orientali, non allevate sul territorio italiano. La semeiologia dell’apparato oculare nei bufali, così come avviene per la maggior parte degli animali da reddito, risulta attualmente limitata principalmente da problemi di ordine economico; l’interesse degli allevatori nei confronti delle patologie a carico di tale distretto risulta legato, infatti, all’impatto economico che le stesse possono avere sul bilancio aziendale. Tuttavia, se da un lato è innegabile l’ottica utilitaristica di chi investe danaro su animali da reddito, d’altro canto è altrettanto vero che gli occhi ed i loro annessi sono delle strutture direttamente investigabili che, oltre a patologie proprie, possono riferire segni di patologie di natura sistemica. Quanto sopra sottolinea l’importanza della conoscenza dei sintomi oculari per il medico veterinario, quale ausilio diagnostico per svariate patologie.In conclusione, è bene sottolineare che il presente lavoro, scarsamente supportato sul territorio nazionale da analoghe ricerche, a nostro avviso fornisce importanti elementi di semiologia oculare nel bufalo che possono rappresentare dati di riferimento per quanti si confrontano quotidianamente con gli aspetti sanitari di questo poderoso ruminante, il cui numero tende ad aumentare nel tempo, vista la crescita esponenziale degli allevamenti bufalini sul nostro territorio.

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UMORE ACQUEO DELL’OVINO: TRACCIATO ELETTROFORETICO (STUDI PRELIMINARI).----------------------

OVINE HUMOUR AQUEOUS: ELECTROPHORETIC PATTERN (PRELIMINARY STUDIES).

----------------------Gargano V., Santangelo L., Domina F., Niutta P.P., Pugliese A.

Dipartimento Scienze Mediche Veterinarie - Università degli Studi di Messina

RiassuntoLa valutazione quali-quantitativa dell’assetto proteico dell’umore acqueo rappresenta oggi un elemento di sicuro interesse ai fini diagnostici e prognostici di alcune malattie che coinvolgono il segmento anteriore dell’occhio: uveite, cataratta, glaucoma.Contrariamente a quanto avviene in medicina umana, in ambito veterinario ancora poche sono le note bibliografiche a riguardo.Scopo del presente lavoro è stato quello di tracciare, attraverso un’ indagine elettroforetica, il profilo proteico dell’umore acqueo di ovini clinicamente sani, al fine di acquisire dei valori quali-quantitativi di riferimento della specie in questione. Le nostre indagini sono state condotte su un campione significativo di animali, prelevando, in fase di macellazione, immediatamente dopo lo stordimento e prima della iugulazione, circa 80 μl di umore acqueo da ciascuno occhio.Tramite migrazione elettroforetica su gel di Agaroso (Fast Rep Helena) è stato possibile ottenere la separazione, l’identificazione e la quantificazione delle singole frazioni proteiche presenti nei campioni di umore acqueo processati.L’analisi dell’elettroferogramma ha permesso di riconoscere n° 6 frazioni proteiche, disposte sulla striscia in relazione al proprio peso molecolare: albumina, transferrina, aptoglobina, ceruloplasmina, α2 macroglobulina, immunoglobuline. Ritenendo i dati ottenuti preliminari e necessari di ulteriori approfondimenti, gli Autori hanno effettuato alcune considerazioni sull’importanza delle indagini nelle specie da reddito.

SummaryThe aqueous humour is produced by the ciliary body epithelium through active and passive processes. It’s a transparent fluid almost lacking in cells that has important functions like nutrition of lens and cornea and the maintenance of a constant I.O.P.From the clinical point view, the proteic fractions have an important role because their quali-quantitative variations can modify the function of aqueous humour.The aim of this study is to analyse, by the electrophoresis, the proteic fractions of the aqueous humour of the sheep, obtaining values of reference in physiological conditions.A significant sample of animals was examined, and about 80 μl of aqueous humour were taken from each animal. The evaluation of proteins was determined by electrophoretic technique on agarose gel (Fast REP Helena).Characteristic protein bands relative to albumin, immunoglobulins, lisozime and other proteins were detected on the strip in a position corresponding to their molecular weight.The results of our study are basic parameter useful to evaluate the qualitative and quantitative composition of the proteic fraction of the aqueous humour, and they could be a diagnostic and prognostic instrument in some disease of the anterior segment of the eye.

PremessaSulla scia di precedenti indagini effettuate dal nostro gruppo di ricerca sulle variazioni quali-quantitative dell’umore acqueo in animali di specie bovina, elementi di supporto allo studio di alcune malattie sistemiche, le cui ripercussioni determinano alterazioni patologiche del distretto anteriore (cheratiti, cheratouveiti, opacamenti della lente ed aumento della pressione endobulbare), riportiamo in questa nota le indagini preliminari sull’assetto proteico del suddetto secreto in ovini clinicamente sani. Per quanto l’argomento sia particolarmente attenzionato in medicina umana, al momento, non abbiamo lo stesso riscontro in medicina veterinaria. Disporre di questi dati consentirebbe di approfondire lo studio diagnostico e prognostico già avviato in modo da ampliare le conoscenze nell’ambito della patologia d’organo ed, eventualmente, correlare questa sintomatologia ad alterazioni di natura sistemica.Infatti, ad esempio, come è stato dimostrato nell’uomo, l’umore acqueo di pazienti glaucomatosi contiene concentrazioni significativamente più alte di proteine totali ed in particolare della frazione �, rispetto a occhi di soggetti normali, presi come controllo 5, 8.Prima ancora di addentrarci nella descrizione delle metodologie operative e degli obiettivi che si intende raggiungere, consideriamo interessante soffermarci sulla funzione di questo umore e sull’importanza delle alterazioni che possono essere riscontrate.L’umore acqueo, liquido trasparente, quasi privo di cellule, riempie completamente la camera anteriore, dando consistenza al bulbo oculare e assicurando il nutrimento di importanti strutture quali lente e cornea 4.Secreto dai processi ciliari, situati in camera posteriore, attraversa lo spazio irido-lenticolare e raggiunge la camera anteriore dove subisce un continuo rimescolamento con movimenti da parete a parete e moti circolatori di convezione termica, ascendenti verso l’iride e discendenti verso la cornea, originati dalla differenza di temperatura delle due strutture 4. La

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principale via di drenaggio è rappresentata dall’angolo irido-corneale.Questo liquido ipertonico rispetto al plasma è costituito principalmente da anioni (cloro, bicarbonato, lattato, ascorbato, fosfato), cationi (sodio, potassio) e sostanze non elettrolitiche (anidride carbonica, urea, glucosio, albumina, transferrina, aptoglobina, ceruloplasmina, α2 macroglobulina, immunoglobuline) 2, 7, 8, 10.La forza esercitata da questo fluido sulla tunica corneo-sclerale, “pressione intraoculare” (I.O.P.), viene fisiologicamente mantenuta a livelli pressoché costanti, in quanto all’aumento della pressione, corrisponde una diminuzione della produzione. Tale umore, inoltre, contiene diversi fattori di crescita che svolgono azioni chemotattiche e/o mitogene per fibroblasti e cellule infiammatorie 4.L’elettroforesi, tecnica di laboratorio relativamente semplice, rapida e riproducibile, che si basa sul principio della ionoforesi, ha permesso di ottenere la separazione e la determinazione quantitativa e qualitativa delle principali frazioni proteiche di tale fluido 1.Il sistema elettroforetico con gel d’agaroso consta di quattro componenti fondamentali: la proteina che migra, la soluzione tampone, un campo elettrico e un mezzo stabilizzante (gel d’agaroso) con carica negativa 1.La velocità di migrazione appare legata a diversi fattori intrinseci alla molecola proteica stessa: peso molecolare, ingombro sterico, carica elettrica e punto isoelettrico 6, 9.Tali caratteristiche biochimiche stabiliscono l’esatta posizione della proteina lungo la striscia di gel.

Materiali e metodiLe nostre indagini sono state condotte nel marzo 2003 presso il Frigomacello del Comune di Messina, su un campione di n° 8 ovini, 5 maschi e 3 femmine, di età compresa tra gli 8 e i 16 mesi e prossimi alla macellazione. I soggetti, tutti in ottime condizioni di salute, sono stati sottoposti a controllo oftalmologico, da cui non si evidenziava alcuna alterazione patologica a carico dei diversi distretti oculari.Il prelievo di umore acqueo, nella quantità di 80μl da ciascun occhio, è stato possibile dopo lo stordimento e prima della iugulazione dei soggetti.Con un ago da insulina (27 Gauge), cui abbiamo preventivamente raccordato una siringa da 2,5 ml per avere un calibro maggiore e vincere la pressione negativa, siamo entrati in camera anteriore attraverso il limbo; procedendo parallelamente all’iride e, facendo molta attenzione a non perforare quest’ultimo, abbiamo aspirato la quantità di umore acqueo necessaria per eseguire le nostre indagini.I campioni, subito dopo il prelievo, sono stati mantenuti a temperatura di refrigerazione e successivamente congelati per una settimana. Dopo scongelamento l’analisi elettroforetica delle proteine è stata effettuata con un metodo a migrazione anodica su piastra in gel d’Agaroso (Fast Rep Helena). Al fine di individuare le diverse componenti proteiche è stato utilizzato, come campione di riferimento, un protidogramma di siero di ovino e quindi una migrazione foretica in parallelo dei due fluidi organici, assumendo come riferimento la migrazione dell’albumina serica lungo la striscia di gel. In tal modo è stato possibile individuare, sulla stessa, le bande relative alle diverse frazioni costituenti il pool proteico dell’umore acqueo in tale specie animale.Per eseguire l’indagine elettroforetica sono state effettuate n°3 semine di umore acqueo; la migrazione è avvenuta in 16 minuti a 400 Volts e 70mÅ.

RisultatiL’elettroforesi dell’umore acqueo ha consentito di riconoscere la presenza sulla striscia di gel d’Agaroso di n° 6 bande corrispondenti ad altrettante frazioni: albumina, transferrina, aptoglobina, ceruloplasmina, α2 macroglobulina e γ globuline. La mobilità elettroforetica di tali frazioni proteiche dipende dal peso molecolare, dall’ ingombro sterico, dal punto isoelettrico e principalmente dalla carica elettrica, per cui l’albumina (la più negativa) migra verso l’anodo, l’aptoglobina, la ceruloplasmina, l’α2 macroglobulina e la transferrina (tutte con carica negativa intermedia), migrano in posizione centrale, mentre la γ globuline (le meno negative) verso il catodo. Da ciò si evince che la mobilità elettroforetica è maggiore nelle particelle con più elevata carica negativa. Si noti che, nella striscia di gel, solo le � globuline si collocano a destra del punto d’origine, poichè hanno una bassa carica negativa e quindi la forza elettrostatica è insufficiente a vincere l’elettrosmosi (non migrano verso l’anodo positivo).Tutte le altre frazioni proteiche, con carica negativa in grado di vincere l’elettrosmosi, sono attratte verso l’anodo, migrando alla sinistra del punto d’origine e distribuendosi, in relazione al loro peso molecolare, lungo la striscia di gel.Una volta ottenuta la concentrazione totale delle proteine presenti in tale fluido (1,48 g/dl), abbiamo potuto valutare la quantità, espressa in percentuale ed in g/dl, delle singole frazioni nell’umore acqueo (Fig.2).La comparazione tra il tracciato elettroforetico delle proteine sieriche e di quelle dell’umore acqueo di ciascun animale ha permesso di identificare con sicurezza la zona di migrazione dell’albumina che, essendo di derivazione sierica, assume la medesima posizione in entrambi i tracciati. Dal grafico relativo alla migrazione delle proteine (fig.1), l’albumina appare come una banda omogenea e simmetrica. Tale frazione proteica ha un peso molecolare di 69000 D, con una concentrazione di 27,43 +/- 0,51 %, mentre in g/dl risulta 0,406.Per quanto riguarda le frazioni proteiche che migrano a destra dell’albumina, noi riteniamo di identificarle, sulla base del loro peso molecolare, nelle seguenti bande (tab. 1) : - transferrina (79/90.000 D), 14,99 +/- 0,81%, (0,222 g/dl);- aptoglobina (86/300.000 D), 10,46 +/- 0,48%, (0,155 g/dl);- ceruloplasmina (151.000 D), 13,06 +/- 0,71%, (0,193g/dl);- α

2 macroglobulina (760.000 D), 9,34 +/- 0,43%, (0,138 g/dl);

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- γ globuline (150/900.000 D) 24,72 +/- 0,52 %, (0,366 g/dl).

Fig. n° 1- Elettroferogramma tipo di umore acqueo ovino. In alto a destra viene riportata una striscia di gel d’Agaroso.

Tab. n° 1- Peso molecolare e concentrazione in % e g/dl delle singole frazioni proteiche.

Considerazioni e conclusioniPrima di effettuare debite considerazioni sui risultati preliminari ottenuti nella presente ricerca è bene sottolineare il ruolo significativo che queste proteine oculari (umore acqueo) possono avere nello studio patogenetico di determinate entità nosologiche.Difatti le variazioni di concentrazione di tali proteine rappresentano un segnale importante nelle affezioni del segmento anteriore dell’occhio e non si esclude che esse stesse possano eventualmente essere messe in relazione a patologie sistemiche.Ricordiamo che il fegato è il principale organo deputato a sintetizzare la maggior parte delle proteine, eccezion fatta per le gamma globuline che originano dalle plasmacellule.Dall’analisi dei risultati ottenuti sugli animali oggetto del nostro studio, che non presentavano alcuna alterazione dell’apparato oculare, si evidenziano, come riportato nel tracciato tipo, situazioni quali-quantitative degne di riferimento.Per meglio interpretare i valori ottenuti ed il significato di questi parametri, nell’ambito di uno studio sulle variazioni patologiche, facciamo un breve cenno sulle principali funzioni delle frazioni proteiche rilevate.

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Albumina: proteina che fornisce il maggior contributo alla pressione oncotica, attraverso l’ esame elettroforetico abbiamo evidenziato una concentrazione alquanto elevata; sintetizzata dal fegato, tale proteina assume un ruolo importante nel trasporto di numerose sostanze: ormoni, acidi grassi, steroidi, farmaci, bilirubina non coniugata,rame, nichel e soprattutto calcio. Transferrina: migra nell’area � ed assicura il trasporto di ferro e zinco; aumenta nelle anemie ferroprive e diminuisce nei processi flogistici e nelle forme tumorali; rappresenta un importante marker per la valutazione dell’integrità fisica e funzionale della barriera sangue-acqueo.Aptoglobina: appartiene ad un gruppo di proteine plasmatiche che hanno la capacità di combinarsi con l’emoglobina libera e svolge una funzione importante nei processi di ossigenazione delle strutture intraoculari. Proteina viscosa, con caratteristiche intermedie fra globuline e albumine, migra nell’area dell’�2. Una bassa aptoglobinemia può essere indicativa di emolisi intravasale; aumenta nelle infiammazioni acute e croniche, nelle neoplasie e nelle nefrosi.Ceruloplasmina: sulla striscia di gel d’agaroso, presenta una mobilità elettroforetica uguale a quella dell’ �2 macroglobulina nonostante il suo peso molecolare sia notevolmente inferiore;dotata di debole attività ossidasica, aumenta nelle infezioni acute, nelle neoplasie e nelle flogosi.�2 Macroglobulina: proteina ad alto peso molecolare, il cui ruolo non è ancora stato chiarito; possiede attività antiproteasica ad ampio spettro, aumenta nel diabete e nella sindrome nefrosica.� Globuline: a differenza delle precedenti frazioni proteiche sintetizzate a livello epatico, sono molecole sintetizzate dalle plasmacellule e dai linfociti e sulla striscia di gel appaiono come una stretta banda che di solito si colora intensamente nelle zone � e �. Sono definite anticorpi, ossia proteine capaci di legarsi a strutture molecolari antigeniche e, poichè sono specifiche per un solo determinante antigenico, sono presenti in elevate concentrazioni.Dopo aver passato in rassegna le funzioni delle frazioni proteiche registrate nell’umore acqueo degli animali oggetto della nostra indagine, senza tralasciare dal considerare gli aspetti quantitativi delle stess, quali parametri di riferimento, riteniamo doveroso sottolineare l’importanza dei dati ottenuti e le possibili correlazioni a seguire le ricerche.Pertanto possiamo concludere considerando che i dati riportati nel presente lavoro, per quanto preliminari, costituiscono comunque degli elementi di base nello studio di entità nosologiche in continua evoluzione, che meritano certamente di maggiori approfondimenti.In quest’ottica riteniamo di aver apportato un ulteriore e fattivo contributo ad un filone di ricerche già avviato, ma che dovrà in futuro interessare anche altre specie animali, per valutare sempre meglio e con tecniche più innovative questo fluido ancora così poco esplorato.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

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SABATO 24 MAGGIO

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ELENCO POSTER

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LA MALATTIA DELLA IENA INDOTTA DA IPERVITAMINOSI A

INTERACCIONES ORGÁNICAS DE LOS METALES ESENCIALES (COBRE Y CINC) EN EL GANADO OVINO DE RAZA SEGUREÑA DE LA REGIÓN DE MURCIA.

Barba C, Montes AMª, Gutiérrez-Panizo C, Cerón JJFacultad de Veterinaria. Universidad de Murcia, 30100, Espinardo, Murcia, España.

ResumenEn el estudio de los metales en el organismo animal es importante considerar los esenciales, que al ser fundamentales para el desarrollo orgánico son habitualmente utilizados en la producción animal, pero suministrados en exceso pueden ser nocivos. Estos metales son habitualmente añadidos a dietas animales para optimizar la producción y conseguir fuentes de minerales para la alimentación humana, introduciendo así elementos traza en la cadena trófica. En este trabajo determinamos los niveles de Cu y Zn en hígado y riñón de 20 ovejas de raza segureña mediante espectrofotometría de absorción atómica de llama. Las concentraciones medias en hígado y riñón (mg/kg peso fresco) de Cu fueron 138,02 y 3,24 y de Zn 52,72 y 19,51. Con el fin de estudiar las interrelaciones metálicas en el organismo animal se comprobó su distribución normal, se representaron gráficamente, y se estudió la correlación. El hígado ovino acumula mayores cantidades de Cu y Zn que el riñón, consecuencia de su mayor carácter bioacumulativo y su importancia en el metabolismo metálico, además encontramos grandes variaciones individuales posiblemente relacionadas con la capacidad de metabolización de cada animal. Por un lado, existe una relación positiva entre los niveles de Cu en hígado y riñón, experimentando variaciones individuales en la misma dirección. Por otro lado, los niveles de Zn en estos órganos también se relacionan positivamente. Cu y Zn son dos metales esenciales que compiten en el organismo a muchos niveles, y este antagonismo competitivo se ve reflejado en la relación inversamente proporcional existente entre sus concentraciones hepáticas y renales.

ESSENTIAL TRACE ELEMENTS RELATIONSHIP INTO THE ANIMAL ORGANISM IN ADULT SHEEP SLAUGHTERED IN SE SPAIN.

SummaryIt is important to take into account the essential metals in ruminant production, which beside being necessary for organic performance, can also be acutely toxic in certain concentrations. So that, trace amount of these metals were usually added in animal feeding to optimise the production and to reach a source of trace elements for human diet. But significant amounts of the ingested metals were excreted by the animals to the environment and the metals were introduced in the food chain.The Cu and Zn measurement by flame atomic absorption spectrometry has been carried out in this study to determine the levels in liver and kidney from healthy segureña sheep. On the one hand, in mg/kg fresh weight, the mean Cu concentrations were 138,02 and 3,24; on the other hand, Zn levels were 52,72 and 19,51, in liver and kidney respectively. Cu and Zn concentrations found in livers were higher than concentrations found in kidneys, because the liver has an important role in metal metabolism, and it is an important organ for the accumulation of metals. A positive relationship was found between Cu concentrations in liver and in kidney, and the same with Zn. Moreover, the antagonism between Cu and Zn was shown by the negative correlations between both metals in different organs, so that on increasing one of them, the levels of the other metal in the organism decrease.

INTERACCIONES ORGÁNICAS DE LOS METALES ESENCIALES (CU Y ZN) EN GANADO OVINO DE RAZA SEGUREÑA DE LA REGIÓN DE MURCIA.

Barba C, Montes AMa, Gutiérrez-Panizo C, Cerón JJ. Facultad de Veterinaria, Universidad de Murcia, 30100, Espinardo, Murcia, España.

Introducción Dentro del grupo de los metales y sus compuestos, es importante considerar los esenciales, ya que son necesarios para el desarrollo adecuado del organismo pero en exceso pueden llegar a ser tóxicos. Dentro de este grupo, Cu y Zn son importantes por sus múltiples funciones biológicas que los hacen indispensables para la vida. De modo que sus desequilibrios en la dieta y las interacciones con otros minerales provocan alteraciones del rendimiento productivo e incluso problemas clínicos. Es importante tener en cuenta que estos metales son habitualmente añadidos a las dietas animales para optimizar la producción siendo además fuente de minerales para la alimentación humana. El problema es que sólo una pequeña fracción de los elementos suplementados aparece en los productos animales, mientras que cantidades significativas son excretados por el animal, por lo que al utilizar purines y excrementos animales como abono, al tiempo que beneficia a los cultivos también los contamina, introduciendo elementos traza en la cadena trófica (JONG TSENG, 1998). Dada la importancia de la producción ovina en la Región de Murcia, en concreto, la raza segureña por el tipo de explotación extensiva y semiextensiva en que se desarrolla, el ganado ovino es una especie animal que se encuentra directamente expuesta a la contaminación ambiental.

Material y métodos Elección de los animales de estudio. Los animales fueron seleccionados en el matadero de un lote de ovejas de raza segureña sanas a la inspección ante y postmortem procedentes de una zona agrícola poco industrializada. Se tomaron muestras de 20 hembras entre 5 y 6 años. Elección del tipo de muestras. La elección de hígado y riñón como órganos de estudio se debe a que ambos son acumuladores de metales y por tanto son un buen indicador de la exposición del animal a los metales y del carácter agudo o crónico de la misma.

240 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Procesamiento de las muestras. Las muestras se procesaron por digestión ácida utilizando ácido nítrico concentrado 65% y peróxido H 30%. Determinación de Cu y Zn. Los análisis se realizaron mediante espectrofotometría de absorción atómica (EAA) de llama. Control de calidad analítico. Para controlar la fase experimental se introdujo un material de referencia certificado (Pig Kidney CRM 186) en cada serie analítica, sometido al mismo procedimiento que las muestras hasta su análisis. Para detectar interferencias y efectos de matriz se utilizó el método de calibración de adiciones estándar. Para evitar las posibles fuentes de variación se siguió el programa recomendado por la FAO European cooperative network on trace elements (KUMPULAINEN, 1987).

Resultados y discusiónLas concentraciones medias de Cu y Zn encontradas en hígado y riñón de ganado ovino aparecen en la Tabla 1.

Tabla 1. Niveles de Cu y Zn en ovejas segureñas de la Región de Murcia.

NIVELES DE METALES ESENCIALES (mg/kg peso fresco)TEJIDO n Cobre a Cinc a

Hígado 20 138 ± 112,4 (8,5-396,5) 52,7 ± 19,3 (39,3-101,6)Riñón 20 3,2 ± 0,6 (1,9-3,9) 19,5 ± 1,7 (17,2-23,4)

a media ± desviación estandar (mínimo-máximo)

La distribución de Cu y Zn en cada órgano y sus variaciones se representaron en el gráfico dónde se muestra que los niveles de metales en riñón son constantes en todos los animales del mismo grupo mientras que los niveles de metales en hígado sufren grandes variaciones individuales en función de la capacidad de metabolización de cada animal. Por otro lado también observamos que el hígado es el principal órgano para el almacenamiento de metales y esto se debe a la función que desempeña en el metabolismo metálico. En el caso del Cu, los altos niveles encontrados tienen su explicación en que los rumiantes no tienen un mecanismo de control efectivo sobre el almacenamiento del Cu en el hígado (MILLER et al, 1993).

Fig. 1. Distribución de cobre y cinc en hígado y riñón de 20 ovejas de raza segureña (media ± intervalo de confianza 95%).

En cuanto a las interacciones entre los metales en el organismo animal se ha realizado un estudio de correlación con las concentraciones existentes en cada órgano (tabla 2) dónde observamos que los valores absolutos de los coeficientes de correlación no son en ningún caso menores de 0,6, lo que sugiere que existe una relación entre Cu y Zn en los diferentes órganos animales. Además si tenemos en cuenta el símbolo de los coeficientes podemos estudiar la dirección de las relaciones, de modo que los coeficientes negativos tienen su explicación en el antagonismo existente entre Cu y Zn, y por otro lado, al correlacionar el mismo metal en distintos órganos encontramos siempre coeficientes positivos con lo que se evidencia }claramente que niveles mayores de un metal en un organismo provocan que se almacene en mayor proporción en todos sus órganos diana, demostrando así una relación directamente proporcional.

Tabla 2. Coeficientes de correlación (nivel signif.) de las concentraciones de Cu y Zn presentes en hígado y riñón de los animales muestreados.

ELEMENTO/MUESTRA CU/HÍGADO CU/RIÑÓN ZN/HÍGADO

CU/RIÑÓN 0,379* (0,05)

ZN/HÍGADO -0,301 (0,099) -0.550** (0,006)

ZN/RIÑÓN -0,441* (0,026) -0.130 (0,292) 0,295 (0,103)* significativo al 0,05. ** significativo al 0,01.

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Los resultados de correlación entre los niveles de Cu en hígado y de Cu y Zn en riñón son significativos en el nivel 0.05 y esto indica que existe una relación lineal entre estos elementos en estos tejidos. Además, también encontramos entre el Cu en riñón y el Zn en hígado una correlación significativa al nivel 0.01, lo que indica una relación fuertemente lineal entre estas dos variables. En un estudio de correlación similar realizado por Langlands et al (1987) entre Cu y Zn en ovejas, obtuvieron correlaciones significativas al 0,05, pero en ningún grupo encontraron una relación inversa entre Cu y Zn, además de que la relación lineal existente entre los niveles de metales fué menor que la obtenida en este estudio.

ConclusionesEn base a los niveles de metales obtenidos, comprobamos que el hígado ovino acumula mayor cantidad de Cu y Zn que el riñón, consecuencia de su mayor carácter bioacumulativo y su función en el metabolismo metálico. Por otro lado, los niveles bien de Cu o de Zn en hígado y riñón se comportan de manera similar y aumentan o disminuyen conjuntamente en ambos órganos. Y además, hemos observado como son metales esenciales que compiten en el organismo a muchos niveles y el antagonismo competitivo se refleja en la relación inversamente proporcional existente entre sus concentraciones hepáticas y renales.

BibliografíaJONG TSENG, Y. 1998. Impact of trace element nutrition of animals on the food chain. United States Department of Agriculture, Agricultural Research Service, Nutrition Research Unit.KUMPULAINEN, J. y PAAKKI, M. 1987. Analytical quality control program used by the trace elements in foods and diets sub-network of the FAO European Cooperative network on trace elements. Fresenius J. Anal. Chem. 326: 684-689.LANGLANDS, J.P.; DONALD, G.E. y SMITH, A.J. 1987. Analysis of data collected in a residue survey: copper and zinc concentrations in liver, kidney and muscle in Australian sheep and cattle. Aust. J. Exp. Agric. 27: 485-491.MILLER, J.K.; RAMSEY, N. y MADSEN, F.C. 1993. Elementos vestigiales. En CHURCH, C.D. (ed). El Rumiante: fisiología digestiva y nutrición. pp. 391-457. Ed. Acribia. Zaragoza.

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EFFETTO DELL’INTEGRAZIONE ALIMENTARE SULLE CAPACITA’ DI MANTENIMENTO DELLE RISERVE ENERGETICHE NEL PERIPARTO E SULLE PRODUZIONI IN CAPRE

D’ANGORA

Beghelli D., Trabalza Marinucci M.*, Acuti G. #, Moscati L.°, Battistacci L.°,

Fac. di Med. Vet., Via Circonvallazione 93/95, 62024 Matelica (MC) * Dip. di Tec. e Biotec. delle Prod. Anim., Fac. di Med. Vet.,Via S. Costanzo, 29 06126 Perugia

# Dottorato di ricerca ° Istit. Zoop. Sperim. dell’Umbria e delle Marche, Via Salvemini 1, 06126 Perugia

Tel. 0039 737 403438 Fax 0039 737 [email protected]

SummaryThe aim of this research was to investigate the effects of different diets (control diet based on mixed hay either alone or supplemented with Vicia faba minor) on peripartum energy/protein balance and productions of Angora goats. Twenty-six Angora goats (either lactating, “L”, or non-lactating, “A”), aged 2 to 5 years and weighing 33.1 ± 9.2 kg, were allocated by randomised block design to receive one of two dietary treatments after parturition. One group, kept as a control (C), was fed mixed hay ad libitum and a mineral-vitamin supplement; goats had access to grass pasture for at least seven hours per day. The remaining goats (T) were fed the basal diet supplemented during lactation with 300 g/head/day of horse bean (Vicia faba var. minor). Periodically, blood samples pre– and post-lambing were collected for total protein, albumin, glucose, urea, triglycerides, beta hydrossibutirrate, non esterified fatty acids and cholesterol determinations. The variations of body condition score (BCS) and body weight (PV) of goats and kids were registered. Diet T increased total protein (mmol/l 78.8±1.1 vs 75.6± 1.0; P< 0.05) and urea concentrations (mmol/l 7.1±0.2 vs 5.5±0.2; P< 0.001) in both L and A goats. Furthermore, in group A, diet T induced an improvement of goats’ BCS (P< 0.001); in group L the effect of supplementation only resulted in an higher PV of kids (P<0.001).

IntroduzioneNegli ultimi anni si è assistito ad un crescente interesse nei riguardi della diversificazione dei sistemi produttivi a favore di tutte quelle produzioni non in eccedenza nell’ambito dell’Unione Europea (Shahjalal e coll., 1992). La capra d’angora è, tra gli animali produttori di fibra pregiata, una delle specie con il più elevato rapporto tra qualità del vello prodotto e peso vivo (Nixon e coll., 1991). Come per le pecore da lana, una nutrizione sbilanciata influisce significativamente sulle caratteristiche quali-quantitative del mohair e sulle variazioni ponderali degli animali. La produzione di mohair ed il peso vivo sono suscettibili di essere migliorati, tramite adeguate integrazioni alimentari, in periodi caratterizzati dalla disponibilità di foraggi scadenti; d’altra parte questo comporta inevitabilmente un aumento dei costi di gestione. Una migliore conoscenza delle relazioni esistenti tra capacità d’ingestione, nutrizione e produzione di mohair è, quindi, fondamentale per aumentare la produttività e, nello stesso tempo, razionalizzare gli investimenti. Nel lungo periodo le variazioni nella produzione di mohair e di peso vivo e la somministrazione di integrazioni alimentari risultano correlate positivamente (McGregor e Hodge, 1989). Tuttavia, i processi fisiologici che controllano l’incremento di peso vivo e la crescita della fibra differiscono. Per tale motivo modificazioni del piano alimentare a corto termine possono avere effetti di durata ed ampiezza diverse sui parametri ponderali e su quelli caratteristici della fibra, nonché comportare possibili squilibri di natura metabolica. L’obiettivo di questa sperimentazione è stato appunto quello di verificare l’effettiva validità, sia in termini di mantenimento delle riserve energetiche che di miglioramento della qualità delle produzioni, di integrazioni alimentari nella fase critica della lattazione e dell’accrescimento dei capretti.

Materiale e metodiLo studio è stato condotto in un’azienda privata situata su un’area collinare nel comune di Umbertide (PG) nel periodo: Dicembre 2001-Giugno 2002. Per la sperimentazione sono state utilizzate 26 capre d’angora femmine di età compresa tra i 2 e i 5 anni, di cui 18 a 7-21 giorni dal parto (L) e 8 in asciutta non gravide (A). Gli animali sono stati suddivisi in 2 gruppi omogenei dal punto di vista dello stato nutritivo, rilevato con il sistema del Body Condition Score (BCS) e del peso vivo (PV). In ciascun gruppo sono state ripartite, più o meno in eguale misura, le capre L e A. Il primo gruppo (controllo, C: 12 soggetti) è stato alimentato con una dieta costituita da fieno polifita somministrato ad libitum e da pascolo naturale migliorato, costituito prevalentemente da graminacee. Il secondo gruppo (trattato, T: 14 soggetti ) oltre al fieno ed al pascolo ha ricevuto un’integrazione a base di favino (Vicia faba minor) in quantità pari a 300 g/die. La somministrazione di tale concentrato è iniziata dopo il parto; il favino prima di essere somministrato agli animali veniva lasciato in acqua per un tempo pari a 12 ore circa. Inizialmente è stato previsto un periodo di adattamento di 10 gg in cui sono state somministrate quantità crescenti dell’integratore. Entrambi i gruppi avevano, inoltre, a disposizione un integratore minerale -vitaminico in blocchi. Per quanto concerne il fieno la stima indiretta dell’ingestione nell’intero arco della prova è oscillata da 1100 a 1250 g/capo/die. La razione nel suo insieme è risultata tale da soddisfare approssimativamente i fabbisogni suggeriti dalle tavole INRA (1988) e NRC (1981). I capretti nati sono stati mantenuti nei gruppi della madri dalla nascita fino allo svezzamento, effettuato a 90 giorni di età. In tutti gli animali, prima dell’uscita mattutina dal ricovero, sono stati effettuati dei prelievi di sangue venoso tramite puntura della vena giugulare rispettivamente a 15 –7 gg prima del parto (1° prelievo) e dopo +5–13 gg (2°), + 17-29gg (3°), +35-43 gg (4°), +49-62 gg (5°), 81-91 gg (6°) dal parto. I campioni di siero, ottenuti previa centrifugazione dei campioni di sangue in toto, sono stati utilizzati per la determinazione dei seguenti parametri: proteine totali (Pt); albumina (alb); Urea; glucosio (gluc); trigliceridi (trig); colesterolo (chol); acidi grassi non esterificati (NEFA) e β-idrossibutirrato (BHBA). Per l’effettuazione di queste analisi sono stati impiegati reagenti e metodiche

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della RANDOX (Randox Laboratories LTD., Crumlin UK) ed analizzatore automatico Hitachi 704. Le capre, inoltre, sono state pesate ad intervalli di 30 gg mediante una bilancia elettronica (Mettler, Germania) installata nel ricovero. In concomitanza con le operazioni di pesatura è stato rilevato il punteggio di BCS secondo la metodologia proposta da Santucci e coll. (1991). I dati relativi alle misurazioni del PV e BCS, nonché i risultati delle determinazioni ematochimiche sono stati sottoposti ad analisi della varianza mediante procedura GLM del software SAS (1990) utilizzando, come variabili indipendenti, il tipo di trattamento (C/T), la data del rilevamento e lo stato fisiologico.

RisultatiL’analisi della varianza indica che il PV degli animali nel corso della prova è risultato essere influenzato in maniera significativa dal “trattamento alimentare”, dal “periodo” e dallo “stato fisiologico”, nonché da tutte le interazioni tra gli stessi fattori. Nelle figure 1 e 2 viene illustrata l’evoluzione nel tempo del PV, ma separatamente per tutte le categorie di animali coinvolti nella prova (T:rosso; C: blu).

I dati relativi alla BCS, figure 3 e 4, confermano le osservazioni già espresse per l’andamento del PV.

Nella figura 5 vengono riprodotti i valori di incremento ponderale giornaliero (IPG) dei capretti.Nella figura 5 vengono riprodotti i valori di incremento ponderale giornaliero (IPG) dei capretti.

I dati relativi alla BCS, figure 3 e 4, confermano le osservazioni già espresse per l’andamento del PV.

Nella figura 5 vengono riprodotti i valori di incremento ponderale giornaliero (IPG) dei capretti.

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L’effetto del trattamento sui diversi parametri ematochimici medi ± ds considerati nei gruppi di animali trattati e controllo viene riportato nella tabella 1. Tabella 1. Valori medi ± ds dei diversi parametri ematochimici considerati nei gruppi di animali trattati (T) e controllo(C).

UREA GLUC Ptot ALB Colest. Trigl NEFA BHBAMmol/l Mmol/l G/L G/L Mg/dl Mg/dl Mmol/L Mmol/L

T 7.5 ± 0.2 2.8 ± 0.05 74.4 ± 1.0 16.8 ± 0.5 58.2 ± 2 49.2 ± 2.3 0.88 ± 0.1 2.97± 0.12

C 5.4 ± 0.2 3.0 ± 0.05 78.8 ± 1.1 15.7 ± 0.5 59.3 ± 2 45.5 ± 2.3 0.86 ± 0.1 2.94± 0.12

*P< 0.001 0.005 0.005 n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

*P: interazione significativa tra i due fattori

L’effetto dell’interazione del “trattamento X periodo di prelievo”, rispettivamente negli animali in lattazione e negli animali in asciutta, viene, invece, riportato, insieme ai valori medi ± ds dei parametri ematochimici considerati, nelle tabelle 2 e 3.I valori medi sopra indicati rientrano nei limiti di riferimento per quanto riguarda: urea, glucosio, colesterolo, NEFA e beta idrossibutirrato (Sahlu e coll., 1993; Kaneko e coll., 1997); mentre, per proteine totali e trigliceridi da una parte e albumina dall’altra, sono, rispettivamente superiori o inferiori a quelli riportati in Bibliografia (Kaneko e coll., 1997).

Tabella 2. Risultati medi (± ds) dei diversi parametri ematochimici rilevati negli animali in lattazione (L: animali in lattazione; T: trattati; C: controllo).

Capre Prel. UREA GLUC Ptot ALB Colest. Trigl NEFA BHBAMmol/l Mmol/l G/L G/L Mg/dl Mg/dl Mmol/L Mmol/L

1 5,3 ± 0,6 3.0 ± 0.2 77.9 ± 3.1 23.5±1.6 69±5 48±7 0.7±0.2 3.8±0.42 7.2 ± 0,8 3.3 ± 0.2 76.0 ± 3.5 21.6±1.8 71±6 46±8 1±0.2 4±0.5

L/C 3 7.4 ± 0,6 2.9 ± 0.2 78.3 ± 3.5 20.7±1.8 74±6 29±8 1.7±0.2 3±0.54 8.1 ± 0,6 2.6 ± 0.2 73.7 ± 3.5 18.7±1.8 69±6 47±8 1±0.2 3±0.55 7.7 ± 0,6 2.7 ± 0.2 74.0 ± 3.5 17.8±1.8 57±6 43±8 0.7±0.2 2.5±0.56 8.5 ± 0,7 3.4 ± 0.2 76.0 ± 3.5 16.9±1.8 48±6 70±8 0.5±0.2 2.8±0.51 5,2 ± 0,7 3.2 ± 0.2 84.9 ± 2.4 23.8±1.3 70±4 58±6 1.2±0.2 3.9±0.32 4,9 ± 0,8 3.2 ± 0.2 79.6 ± 3.5 23.4±1.8 72±6 39±8 1.1±0.2 3.5±0.5

L/T 3 5,4 ± 0,8 3.2 ± 0.2 84.1 ± 2.8 21.7±1.5 61±5 38±6 1.2±0.2 3.8±0.44 5,6 ± 0,8 2.7 ± 0.2 80.9 ± 2.8 19.5±1.5 61±5 48±6 1.1±0.2 2.8±0.45 7,7 ± 0,8 2.1 ± 0.2 81.5 ± 2.8 19.9±1.5 60±5 48±6 0.8±0.2 2.7±0.46 4,5 ± 0,8 2.4 ± 0.2 74.5 ± 3.1 16.2 ±1.6 53±5 60±7 1.2±0.2 2±0.4

*P < =0.05 0.05 0.05 n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

*significatività dell’interazione tra i fattori “periodo” x “trattamento”

Tabella 3 . Risultati medi (± DS) dei diversi parametri ematochimici rilevati negli animali in asciutta (A: asciutta; T: trattati; C: controllo).

Capre Prel. UREA GLUC Ptot ALB Colest. Trigl NEFA BHBA

Mmol/l Mmol/l G/L G/L Mg/dl Mg/dl Mmol/L Mmol/L

1 5.5±0.6 3.5±0.2 84.3±4.3 21.3±1.9 55.3±8.8 49.5±8.3 0.8±0.2 3±0.42 6.5±0.6 3.4±0.2 75.9±4.3 14.4±1.9 61. ±8.8 63.4±8.3 1.7±0.2 2.5±0.4

A/C 3 5.8±0.6 3.1±0.2 78.9±4.3 15.5±1.9 66.7±8.8 46.3±8.3 1.6±0.2 3.3±0.44 4.2±0.6 2.6±0.2 70.6±4.3 12.5±1.9 56.7±8.8 45.6±8.3 0.7±0.2 2.8±0.45 6.7±0.6 2.9±0.2 72.5±4.3 12.2±1.9 44.5±8.8 43±8.3 1.1±0.2 2.5±0.46 4.1±0.6 3.5±0.2 70.4±4.3 14.2±1.9 37.7±8.8 40.3±8.3 0.4±0.2 3.5±0.41 5.3±0.6 3.6±0.2 75.7±4.3 18.8±1.9 65±8.8 46.8±8.3 0.9±0.2 3.3±0.42 7.2±0.6 3.4±0.2 77±4.3 14.3±1.9 68.5±8.8 48±8.3 0.8±0.2 2.8±0.4

A/T 3 7±0.6 2.8±0.2 81.2±4.3 15.3±1.9 72.3±8.8 35±8.3 0.4±0.2 3±0.44 7.6±0.6 2.7±0.2 71.5±4.3 12.1±1.9 60.7±8.8 53.6±8.3 0.7±0.2 2.8±0.45 7.6±0.6 2.4±0.2 74.1±4.3 12.2±1.9 47±8.8 44.1±8.3 1.2±0.2 2.5±0.46 6.8±0.6 2.5±0.2 79.8±4.3 15.6±1.9 41±8.8 86.1±8.3 0.5±0.2 3.5±0.4

*P < n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. 0.05 n.s. n.s.

*significatività dell’interazione tra i fattori “periodo” x “trattamento”

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Nella figura 6 vengono rappresentati gli andamenti della glicemia negli animali in lattazione.

Discussione e conclusioniPer quanto riguarda gli animali in lattazione, la risposta all’integrazione proteica si traduce normalmente in un aumento della produzione lattea (Sahlu e coll., 1999; Hadjipanayiotou e Morand-Fehr, 1991; Morand-Fehr e Sauvant, 1980), soprattutto quando tale integrazione viene somministrata all’inizio della curva di lattazione. Il tasso di sostituzione di foraggio/concentrato, già ridotto quando il valore nutritivo del foraggio è scarso (INRA; 1988), risulta ancora più limitato proprio in questo momento fisiologico (Hadjipanayiotou e Morand-Fehr, 1991; Trabalza Marinucci e coll., 1992). Nel caso della presente sperimentazione era, pertanto, da attendersi, per il gruppo T, un aumento complessivo sia della quantità di proteina grezza che della quantità di energia assunte con la razione e questo risulta confermato dai rilievi ematochimici che hanno evidenziato una differenza significativamente superiore per le concentrazioni di urea e proteine totali (tabella 1). L’effetto dell’integrazione proteica somministrata alle madri, inoltre, si è evidentemente tradotta anche in aumento della produzione lattea, con conseguente effetto “benefico” sui valori di incremento ponderale giornaliero (IPG) dei capretti (figura 5). Conferme del positivo riscontro dell’integrazione proteica sull’incremento ponderale dei capretti sono molteplici anche nella letteratura scientifica consultata (Hadjipanayiotou e coll., 1991; Lindberg, 1989). Il netto miglioramento del PV del gruppo C nell’ultimo mese di lattazione è legato allo svezzamento dei capretti, avvenuto naturalmente in maniera molto più precoce che nel gruppo T, a motivo del calo più brusco della produzione lattea; nello stesso periodo, inoltre, anche l’apporto del pascolo è sensibilmente migliorato. Questo allontanamento più precoce della prole nel gruppo L/C non solo spiega i valori più elevati di glicemia riscontrati in questi animali proprio negli ultimi due prelievi (Figura 6), ma è anche responsabile delle concentrazioni di glucosio medie significativamente superiori nel gruppo C rispetto al gruppo T (vedi tabella 1). I dati relativi alla BCS confermano le osservazioni già espresse per l’andamento del PV. Il coefficiente di correlazione tra BCS e PV è risultato essere pari a 0.60 (P<0.001). E’ noto che le due variabili non hanno una elevatissima correlazione poiché il PV risente molto dello stato di ripienezza del rumine e, quindi, del momento di rilevazione nell’arco della giornata. Aumont e coll. (1994) hanno stimato per tale metodica coefficienti di ripetibilità e di riproducibilità pari, rispettivamente, all’88% e al’80%. Le relazioni tra nutrizione e qualità della fibra nella capra angora non sono state, a tutt’oggi, oggetto di studio in maniera molto diffusa. Le ricerche sembrano indicare alcune similitudini nella biologia della produzione della fibra tra ovini e capre angora. I risultati di questa ricerca dimostrano che un’integrazione energetica nella prima fase della lattazione è in grado di ridurre le perdite in peso vivo e, conseguentemente, di migliorare la produzione lattea e l’incremento ponderale dei capretti. Al di la di una significativa concentrazione superiore di urea e proteine totali negli animali T e inferiore di glucosio (anche se la significatività verrebbe meno se non si considerassero gli ultimi due prelievi nei C in lattazione, visto che lo svezzamento per loro è stato naturalmente più precoce) non sono stati rilevati, dal punto di vista delle determinazioni ematochimiche, altri parametri che abbiano risentito in maniera significativa del trattamento. Potrebbe, pertanto, ritenersi un successo il fatto che, negli animali trattati si siano ottenute performance produttive migliori (che indubbiamente comportano un maggior dispendio energetico) senza che queste abbiano comportato squilibri a carico del metabolismo lipidico; i lipidi che derivano dalla lipolisi

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tissutale, infatti, insieme agli aminoacidi glucogenetici, tramite la neoglucogenesi, rappresentano l’unica fonte di glucosio endogeno cui poter attingere in caso di ipoglicemia (Kaneko e coll., 1997). Infine, l’utilizzazione del favino si può ritenere adatta per aumentare la redditività di questo tipo di aziende situate in aree marginali dell’Italia centrale, dove tale leguminosa è facilmente reperibile sul mercato locale e compatibile con i sistemi produttivi ad indirizzo biologico.

BibliografiaAumont G., Poisot F., Saminadin G., Borel H. e Alexandre G. (1994) Body condition score and adipose cell size determination for in vivo assesment of body composition and post-mortem predictors of carcass components of creole goats. Small Ruminant Research, 15: 77-85; Hadjipanayiotou M. e Morand-Fehr P. (1991) Intensive feeding of dairy goats. Goat nutrition (Ed. Morand-Fehr), 197-208; INRA (1988) Alimentation des caprins. Alimentation des Bovins, Ovins et Caprins. INRA, 281-304; Kaneko J.J, Harvey J.W e Bruss M.L (1997) Clinical Biochemestry of domestic animals (Ed. Academic Press, Harcour Brac & Company, San Diego, California USA), 890-894; Lindberg, J.E. (1989) Nitrogen metabolism and urinary excretion of purines in goat kids. Brit. J. Nutr.61: 309-321; McGregor B.A. e Hodge R.W. (1989) Influence of energy and polymer-encapsulated methionine supplements on mohair growth and fiber diameter of angora goats fed at maintenance. Australian Journal of Experimental Agriculture 29: 179-181; Morand-Fehr P. e Sauvant D. (1980) Composition and yield of goat milk as affected by nutritional manipulation. J. Dairy Sci.,63: 1671-1680; NRC (1981) Nutrient requirement of goats. Nutrient requirements of domestic animals, 15:91, National Academy Press, Washington, DC (USA); Nixon A.J., Saywell D. P. e Bown M.D. (1991) Nutritional effects on fiber growth cycles and medullated fibre production in angora goats. Proc. N. Z: Soc. Anim. Prod. 51: 365-370; Sahlu T., Carneiro H., El Shaer H.M., Fernandez J.M., Hart S.P. e Goetsch A.L. (1999) Dietary protein effects on and the relationship between milk production and mohair growth in angora does. Small Ruminant Research, 33: 25-36; Sahlu T., Fernandez J. M., Jia Z. H., Akinsoyinu A. O., Hart S. P., and Teh T. H. (1993) Effect of source and amount of protein on milk production in dairy goats J. of Dairy Sci. 76:2701-2710; Santucci P.M, Branca A., Napoleone M., Bouche R., Aumont G., Poisot F. e Alexandre G. (1991) Body Condition scoring of goats in extensive conditions. Goat Nutrition (Ed. P. Morand –Fehr), 240-255; SAS (1990) SAS user’s guide: statistics (Ed. Version 6). SAS Inst. Inc., Cary, NC; Shahjalal MD., Galbrait H. e Topps J.H. (1992) The effect of changes in dietary protein and energy growth, body composition and mohair fibre characteristics of British angora goats. Anim. Production 54: 405-412;

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EFFICACIA TERAPEUTICA DELLA TILMICOSINA NELLE INFEZIONI POLMONARI DEI VITELLI

Calò M., *Giofrè F., **Pintimalli A., Martino D., Naccari F.

Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria – Sezione di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria– Università di Messina; *Servizio Provinciale Veterinario (ASL n. 5) Vibo Valentia; **Libero Professionista

RiassuntoVarie ricerche suggeriscono che la tilmicosina continua ad essere un antibiotico efficace nel trattamento delle malattie respiratorie in diverse specie animali. La sensibilità della tilmicosina è stata largamente valutata “in vitro” contro batteri Gram-positivi e Gram-negativi e alcune specie di Micoplasma mostrando un’elevata attività antibatterica. Lo scopo delle presenti indagini è stato quello di valutare l’efficacia terapeutica della tilmicosina, dopo una singola somministrazione di 10 mg/kg p.c. per via sottocutanea, in 11 vitelli di differente peso, di età 30-150 giorni, allevati in Calabria, con infezioni batteriche dell’apparato respiratorio. La sintomatologia clinica risultava caratterizzata da: anoressia, ipertermia, tosse, dispnea, scolo nasale, murmuri e rumori vescicolari all’auscultazione toracica. L’indagine batteriologica eseguita sui campioni di scolo nasale ha evidenziato la presenza di ceppi di Pasteurella haemolytica (7 casi) e P. multocida (4 casi). Dopo 24 ore dal trattamento è stata osservata una diminuzione della sintomatologia clinica, con una completa remissione e ripristino della normale funzionalità respiratoria a distanza di 3-4 giorni. Nessuno degli animali trattati ha evidenziato effetti collaterali di tipo locale o generale correlabili alla tilmicosina; inoltre, non sono state osservate recidive nel mese dopo il trattamento.

IntroduzioneLe patologie respiratorie e l’antibiotico resistenza rappresentano gravi problemi nella terapia delle infezioni batteriche dei bovini, in particolare dei vitelli. Varie ricerche suggeriscono che la Tilmicosina, per le sue caratteristiche chimico-fisiche e farmacocinetiche, si può considerare un antibiotico macrolidico, semisintetico, di prima scelta nel trattamento di varie affezione respiratorie di bovini (Ziv e coll. 1995; Modric e coll. 1998; Huwyler 1999), ovini (Modric e coll. 1998; Naccari e coll. 2001) e suini (Innamoto e coll. 1994; Clark e coll. 1998; Hoflack e coll. 2001). La Tilmicosina, a differenza di altri macrolidi, mostra un’elevata attiva antibatterica, oltre che su germi Gram-positivi e Micoplasmi, anche su alcuni germi Gram-negativi (Ose 1987; Ziv e coll. 1995; Naccari e coll. 2001). Inoltre, la somministrazione nei bovini e negli ovini di una sua singola dose (10 mg/kg p.c.), per via sottocutanea, consente di raggiungere il picco ematico in un’ora, di distribuirsi adeguatamente nell’organismo, localizzandosi elettivamente a livello polmonare, dove mantiene concentrazioni terapeuticamente efficaci per almeno tre giorni (Thompson e coll. 1994; Ziv e coll. 1995; Modric e coll. 1998; Naccari e coll. 2001). Per il suo ampio spettro d’azione, le valide caratteristiche farmacocinetiche e la comodità di utilizzare efficacemente una singola dose, già da qualche tempo l’antibiotico viene impiegato in bovini e vitelli affetti da varie forme respiratorie (Ose & Tonkinson 1988; Galli e coll. 1993; Conforti e coll. 1995).Lo scopo delle presenti indagini è stato quello di valutare l’efficacia terapeutica della tilmicosina in giovani vitelli allevati in Calabria con affezioni dell’apparato respiratorio, difficili da trattare, resistenti ai più comuni chemioantibiotici impiegati in Medicina Veterinaria.

Materiali e metodiLe presenti indagini sono state effettuate su 11 giovani vitelli di 30 – 65 Kg di peso corporeo, di 30-150 giorni di età, allevati in Calabria, con affezioni dell’apparato respiratorio (bronchite e broncopolmonite). La sintomatologia clinica era caratterizzata da: anoressia, ipertermia, tosse, dispnea, scolo nasale e altri disturbi di tipo respiratorio, come asma, sfregamenti vescicolari e soffi all’auscultazione toracica. Prima di iniziare la terapia antibiotica, da ciascun animale è stato prelevato in maniera asettica un campione di scolo nasale per l’esame batteriologico. I campioni da esaminare sono stati omogeneizzati per 3 minuti in tampone fosfato (pH 7) con l’1% di N-acetilcisteina e quindi incubati per 30 minuti a 37°C. Successivamente sono stati sottoposti a colorazione di Gram, coltivati per 18 ore su Brain-Heart Medium e quindi inoculati in Mac Conkey agar e in Chapman-Stone agar per l’isolamento rispettivamente dei batteri Gram-negativi e Gram-positivi. L’identificazione dei relativi microrganismi isolati è stata effettuata con un kit commerciale (API-System). Il grado di positività dell’infezione è stato espresso in modo convenzionale da + a ++++ rapportandolo al log della carica microbica (Tab.1). La sensibilità dei ceppi isolati nei confronti di diversi antibiotici comunemente usati in Medicina Veterinaria è stata valutata “in vitro” secondo Amsterdam (1991) (Tab. 2). La tilmicosina è stata somministrata in dose singola (10 mg/kg p.c.), per via sottocutanea. L’efficacia terapeutica dell’antibiotico è stata valutata sulla base del miglioramento delle condizioni cliniche osservate prima e dopo la terapia antibatterica, utilizzando uno scoring che andava da 0 a 3 (0 = sintomo assente, 1 = moderato, 2 = grave, 3 = molto grave) (Tab. 3). Al fine di evidenziare la presenza di differenze significative tra i punteggi registrati prima e dopo il trattamento antibiotico tutti i dati ottenuti sono stati sottoposti ad elaborazione statistica mediante il τ di Student

RisultatiL’indagine batteriologica eseguita su campioni di scolo nasale dei vitelli allevati in Calabria con affezioni respiratorie ha permesso d’isolare ceppi di Pasteurella haemolytica (n. 7 casi) e Pasteurella multocida (n. 4 casi) (Tab. 1). La valutazione della sensibilità “in vitro” dei ceppi isolati nei confronti di vari antibiotici (tilmicosina, enrofloxacina, tetraciclina, tiamfenicolo e gentamicina), comunemente impiegati in Medicina Veterinaria, ha documentato che la tilmicosina rappresenta l’antibiotico più efficace (Tab. 2). Inoltre, è stato rilevato che, a distanza di 3 giorni dal trattamento, nessun microrganismo è stato isolato nei campioni di scolo nasale sottoposti ad esame batteriologico.

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Dal punto di vista terapeutico, è stato osservato che il trattamento della tilmicosina nei vitelli con infezioni respiratorie, induce una diminuizione della sintomatologia clinica dopo 24 ore, con completa remissione e ripristino della normale funzionalità respiratoria dopo 3-4 giorni (Tab. 3). Durante e dopo il trattamento nessuno degli animali ha evidenziato effetti collaterali di tipo locale o generale correlabili alla tilmicosina; inoltre, non sono state osservate recidive nel mese successivo al trattamento.

Discussione e conclusioniUn rapido miglioramento della sintomatologia clinica (temperatura, tosse, dispnea e scolo nasale) dopo trattamento con una singola dose di tilmicosina è stato osservato nelle affezioni respiratorie di bovini (Ziv e coll. 1995; Scott e coll. 1996; Morck e coll. 1997; Clark e coll. 1998; Vogel e coll. 1998; Wagner 1998; Huwyler e coll. 1999), ovini (Sargison & Scott 1995; Modric e coll. 1998; Naccari e coll. 2001) e suini (Innamoto e coll. 1994; Clark e coll. 1998; Hoflack e coll. 2001). Altri Autori hanno già documentato l’efficacia terapeutica di tale antibiotico nel vitello (Re & Dacasto, 1991), nel vitellone (Galli e coll. 1993) e nel vitello da carne (Conforti e coll., 1995). Tuttavia, in tali studi non sono state effettuate indagini batteriologiche sullo scolo nasale per l’isolamento dei microrganismi responsabili dell’infezione, né per la valutazione “in vitro” dell’attività antibatterica della tilmicosina e/o di altri chemioantibiotici ad uso veterinario.Le nostre indagini hanno permesso di rilevare una significativa regressione della sintomatologia clinica a partire dal secondo giorno dopo il trattamento, mostrando come la tilmicosina risulti efficace nell’infezioni batteriche respiratorie, difficili da trattare, anche in giovani vitelli. In tale studio, è stato effettuato un monitoraggio batteriologico dei germi responsabili dell’infezione respiratoria prima e a tempi successivi dal trattamento, evidenziando la completa assenza dei germi a partire dal 3 giorno, confermata anche a distanza di un mese. Inoltre, l’antibiogramma eseguito “in vitro” ha documentato come, tra i vari chemioantibiotici più comunemente impiegati in Medicina Veterinaria nelle infezioni respiratorie, tale antibiotico risulti ancora oggi il più efficace. La tilmicosina, pertanto, per la sensibilità verso i ceppi batterici isolati, le sue caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche, che ne consentono l’impiego in un’unica dose, correlate all’ampio volume di distribuzione e all’elettiva concentrazione nel tessuto polmonare, può rappresentare un farmaco di prima scelta anche nel trattamento delle patologie respiratorie difficili di giovani vitelli.

Biografia1. Clark, L.K., Wu, C.C., Van Alstine, W.G., Knox, K.E. (1998). Evaluation of the effectiveness of a macrolide antibiotic on reduction of respiratory pathogens in 12 day and 21 day weaned pig. Swine Health & Production 6, 257-262.2. Conforti, A, Casartelli, A., Lemmi, T., Lugli, M. (1995). Esperienze d’uso di tilmicosina nel trattamento di forme respiratorie indifferenziate del vitello di razze da carne. Atti Soc. Buiatria XXVII, 369-375.3. Galli, G., Bacciu, L., Cubeddu, G., Fadda, A. (1996). Evaluation of the efficacy of tilmicosin injectable in the treatment of ovine mastitis. Proc. IV Fe.Me.S.P.Rum. Murcia, España, pp. 517-519Galli et al. 1993.4. Hoflack, G., Maes, D., Mateusen, B., Verdonck, M., De Kruif, A. (2001). Efficacy of tilmicosin phosphate (Pulmotil premix) in feed for the treatment of a clinical outbreak of Actinobacillus pleuropneumoniae infection in growing-finishing pigs. Journal Vet. Med. B Infect Dis. Vet. Public Health 48, 655-664.5. Huwyler, U., Reeve-Jhonson, L., Korfitsen, J., Liesegang, A., Wanner, M. (1999). Efficacy evaluation of the use of oral tilmicosin in pneumonic calves. Schweiz Arch Tierheilkd 141, 203-208.6. Innamoto, T., Kikuchi, K., Ijima, H., Kawashima, Y., Nakay, Y., Ogimoto, K. (1994). Antibacterial activity of tilmicosin against Pasteurella multocida and Actinobacillus pleuropneumoniae isolated from pneumonic lesions in swine. Journal of Veterinary Medical Science 56, 917-921.7. Modric, S., Webb, A.I., Derendorf, H. (1998). Pharmacokinetics and pharmacodynamics of tilmicosin in sheep and cattle. J. Vet. Pharmacol. Ther. 21, 444-452.8. Morck, D.W., Merrill, J.K., Gard, M.S., Olson, M., Nation, P.N. (1997). Treatment of experimentally induced pneumonic pasteurellosi of young calves with tilmicosin in sheep. Jpur. Vet. Pharmacol. Therapeut. 61, 187-192.9. Naccari, F., Giofre’, F., Pellegrino, M., Calo’, M., Licata, P., Carli, S. (2001). Effectiveness and kinetic behaviour of tilmicosin in the treatment of respiratory infections sheep. The Veterinary Record, 148, 773-776.10. Ose, E.E. (1987). In vitro antibacterial properties of EL-870, a new semisintethic macrolide antibiotic. Journal of antibiotics 40, 190-194.11. Ose, E.E., Tonkinson, L.V. (1988). Single dose treatmento of neonatal calf pneumonia with the new macrolide antibiotics. Veterinary Record 123, 367-369.12. Re, G., Dacasto, M. (1991). La tilmicosina nelle affezioni respiratorie del vitello. Documenti Veterinari, 10, 67-71.13. Sargison, N.D., Scott, P.R. (1995). Evaluation of antibiotic treatment of respiratory disease, including suspected septicemic pasteurellosi in five week-old lambs. Agri Practice 16, 25-28.14. Scott, P.R., Mcgowan, M., Sargison, N.D., Penny, C.D., Lowman, B.G. (1996). Use of tilmicosin in a severe outbreak of respiratory disease in weaned beef calves. Australina Veterinary Journal 73, 62-64.15. Thompson, T.D., Laudert, S.B., Chamberland, S., Lawrence, K (1994). Micotil – pharmacokinetics of tilmicosin, a semi-synthetic macrolide antibiotic, in acutely pneumonic cattle and primary bovine alveolar macrophages. Proc. 6th EAVPT, Edinburgh, 31.16. Vogel, G.J., Laudert, S.B., Zimmermann, A., Guthrie, C.A., Mechor, G.D., Moore, G.M. (1998). Effects of tilmicosin on acute undifferentiated respiratory tract disease in newly arrived feedlot cattle. JAVMA 212, 619-620.17. Wagner, F. (1998). The single treatment of bacterial lung diseases, a siccessful therapy for cattle. Muhle und Mischfuttertechnik 212, 1919-1924.18. Ziv, G., Shem-Tov, M., Glickman, A., Winkler, M., Saran, A. (1995). Tilmicosin antibacterial activity and pharmacokinetics in cow. J. Vet. Pharm. Ther. 18, 340-345.

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Tab. 1 – Indagine batteriologica su campioni di scolo nasale effettuata prima (basale) e dopo vari tempi dalla somministrazione di una singola dose di tilmicosina per via SC (10 mg/kg p.c.) in 11 giovani vitelli con infezioni respiratorie difficili

N° CASI

CEPPI ISOLATI

CAMPIONE BASALE

DOPO 1 GIORNO

DOPO 2 GIORNI

DOPO 3 GIORNI

DOPO 4 GIORNI

DOPO 10 GIORNI

DOPO 15 GIORNI

DOPO 30 GIORNI

7 P. haemolytica +++ ++ + - - - - -

4 P. multocida +++ ++ + - - - - -

Concentrazione batterica: ++++ = 106; +++ = 105; ++ = 104; + = 103

Tab. 2 – Sensibilità di alcuni antibiotici verso i microrganismi isolati dallo scolo nasale di giovani vitelli con infezioni respiratorie difficili

ANTIBIOTICI Pasteurella haemolytica Pasteurella multocida

Tilmicosina +++ ++Enrofloxacina ++ ++Tetraciclina + +Tiamfenicolo + ++Gentamicina + +

+++ = molto sensibile (< 0.56 μg/ml), ++ = sensibile (0.57-6.25 μg/ml), + = poco sensibile (6.26-12.5 μg/ml), - = resistente (>12.5 μg/ml)

Tab. 3 – Effetti di una singola dose di tilmicosina per via SC (10 mg/kg p.c.) sullo scoring clinico (valori medi ± d.s.) di 11 giovani vitelli con infezioni respiratorie difficili

SINTOMATOLOGIA CLINICA Prima del trattamento

Dopo 1 giorno

Dopo 2 giorni

Dopo 3 giorni

Dopo 4 giorni

DISPNEA 2,27 ± 0,8 1,64 ± 0,8 0,91 ± 0,7 0,27 ± 0,5 -TOSSE 2,36 ± 0,5 1,82 ± 0,8 1,00 ± 0,8 0,45 ± 0,5 -ESPETTORATO 1,45 ± 1,0 1,09 ± 1,0 0,64 ± 0,7 0,27 ± 0,5 -SEGNI OBIETTIVI TORACICI (a, sf, s) 2,36 ± 0,8 1,64 ± 0,7 1,18 ± 0,9 0,36 ± 0,5 -TEMPERATURA CORPOREA (°C) 39,5 ± 0,8 39,2 ± 1,1 38,8 ± 0,7 38,4 ± 0,5 38

*Segni obiettivi toracici = asma (a), sfregamenti vescicolari (sf ), soffi (s). I sintomi clinici sono stati misurati prima e dopo la terapia antibiotica per mezzo di uno scoring che andava da 0 (sintomo assente) a 3 (sintomo molto grave)

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L’ABIGEATO E LA CONTRAFFAZIONE DEI MARCHI AURICOLARI IN OVINI SARDI: OSSERVAZIONI MEDICO-LEGALI, CLINICHE E LEGISLATIVE.

Cubeddu G.M. Pintori G., Coda S. Manconi M*.

Istituto di Clinica Medica Veterinaria- Università di Sassari-* Libero Professionista.

RUSTLING AND THE FORGERY OF EAR SEALS IN SARDINIA SHEEP: OBSERVATION ONTHE LEGAL, MEDICAL, CLINICAL AND LAWFUL ASPECTS.

The authors examine the problems relative to rustling and to the faking of ear seals in those sheep of Sardinian breed undergoing clinical examination; under the light of modern legislation about animal welfare and thede-penalization of the offence of cattle-stealing, they examine the various hypotheses of crime, foreseen bythe standard rules present in some articles of the Civil and Penal code, and by the Regulations of sanitary Police.They lean their attention on those crimes foreseen by the art. 2052 of the C.C., 672, 638 and 500 of the C.P., and on the new D.I vo 473/93 on the theme of ill-treatment of animals; they scrutinize the various registryphases of Sardinian sheep, highlitghing all the consequences of thefts and counterfeiting, as a burden to theanimals. They value, with critical sense, the various criminal instances about the damages suffered by animals, on omitted custody and ill-management of animals, on the damages caused onto animals owned by third partiesand about the spreading of infective diseases.They finish by casting hypotheses on some corrections which might stem the recurrence of such phenomena in Sardinia, proposing a new identification system for sheep which, together with the enforcement of administrative and penal sanctions, might avoid such crimes nowadays present in Sardinia.

Introduzione: L’obiettivo della ricerca è evidenziare gli aspetti medico-legali, clinici e legislativi sulla contraffazione dei marchi auricolari negli ovini, fenomeno legato all’abigeato e alle frodi. Abigeato significa furto di animali; alcuni autori (2) considerano l’abigeato come l’asportazione dolosa dal gregge o dalla mandria di capi animali. Il Codice Penale vigente prevede, all’art.625 n.8 come circostanza aggravante del furto, che il fatto sia commesso su tre o più capi animali. Nel corso degli anni, alcuni decreti legislativi hanno garantito un sistema di anagrafatura e di identificazione degli animali, al fine di tutelarne la proprietà. Allo stato attuale, con il D.L. n.689/90 sono stati depenalizzati i reati minori, che vengono assorbiti nella categoria degli illeciti amministrativi, pertanto, il furto di bestiame non è più perseguibile d’ufficio, ma solo se vi è querela di parte. La repressione dell’abigeato in Sardegna è stata combattuta da leggi speciali (14/7/1898 n°404), e da specifiche ordinanze e disposizioni emanate dai prefetti e dal rappresentante del Governo nella Regione Sarda negli anni 1947-48. Esse prevedevano nuove bollette anagrafiche , e i registri di consistenza negli uffici abigeato, oltre al segno o marchio comunale, rappresentato da una sigla (costituita da due lettere dell’alfabeto, racchiuse in un rettangolo o in un esagono irregolare) che identificava un determinato Comune di una determinata Provincia. Nel caso degli ovini, esso veniva fatto nell’orecchio sinistro con la marchiatura a tatuaggio, mediante l’uso di tenaglie e di grasso colorante. Nonostante le nuove disposizioni in materia, il fenomeno del furto e la conseguente contraffazione dei marchi padronali costituiscono un problema emergente nel nostro territorio.

Materiali e metodi: E’ necessaria una Premessa, prima di prendere in esame le argomentazioni del caso, nel nostro territorio, sussiste una particolare tecnica di marchiatura che risale nei tempi, oltre al tatuaggio agli ovini venivano applicati dei segni padronali denominati “Sos Sinnos”, che verranno descritti come segue: i suddetti segni padronali, usanza di antica data, rappresentavano dei segni di riconoscimento che ogni proprietario imponeva ai propri animali per distinguerli da quelli di altri proprietari. Si trattava di tagli, “mutilazioni,” che venivano eseguiti sul padiglione auricolare di uno o di entrambe le orecchie ( vedi foto), distinti in: Binnida (senza segno), Suppada (spaccata o fessa), Pertunta (bucata), Trunca (spuntata), Rundinina (coda di rondine), Bogada Plana (tagliata per traverso), Nairi (spaccata per traverso), Giuale (taglio a giogo, a forma di mezza luna), Muzzada (mozzata), Scala (taglio ad angolo retto o a ronca), Trunca Suppada (spuntata e spaccata). I segni potevano essere apposti ad un orecchio o ad entrambe le orecchie con il coltello “ Leppa”, con “su giuale”, con le forbici da tosare e con le tenaglie (foto n.). Spesso l’abigeatario ricorreva a questi sistemi, per sottrarre illecitamente il bestiame a proprietari che adoperavano segni e marchi uguali. I segni padronali vengono ancora usati da molti allevatori, pur non essendo più obbligatori. Negli ultimi anni il sistema di anagrafatura e di identificazione degli ovini è cambiato ed è disciplinato dal DM 02/07/92, dal DPR 317/96 e dal Regolamento recante norme per l’attuazione della direttiva 92/102 CEE relativa all’identificazione e alla registrazione degli animali. Il sistema di identificazione da collettivo è diventato di tipo individuale. Ogni azienda possiede un solo codice identificativo e un registro aziendale vidimato dall’ASL. Il contrassegno auricolare (art.1) è un tatuaggio apposto sull’animale senza comprometterne il “benessere”, che consente di identificare l’animale e l’azienda di origine. Per l’art. 4 gli animali della specie bovina, bufalina, suina, ovina e caprina devono essere contrassegnati nell’azienda di origine con un marchio recante il loro codice di identificazione che deve contenere la sigla IT che individua lo stato italiano, il codice aziendale e il n. progressivo assegnato all’animale. Nel caso delle specie ovina e caprina il marchio si compone di 2 parti: una a tatuaggio (realizzato in inchiostro nero o verde per gli animali a cute pigmentata ) recante la sigla IT e il codice aziendale da apporre alla grassella o sull’orecchio sn; l’altra, sempre tramite tatuaggio o bottone auricolare, da apporre sull’orecchio ds, recante il n° progressivo individuale (0,001 etc.) che può essere preceduto da una lettera dell’alfabeto che indica l’anno di nascita Le nostre osservazioni riguardano due allevamenti ovini, diversamente ubicati, nei confronti dei quali sono stati segnalati dei furti di animali, il fenomeno dell’abigeato , con conseguente contraffazione dei marchi padronali citati. Nel primo caso si tratta di un gruppo di 100 agnelle, di età compresa fra i 3 e i 4 mesi, che all’epoca del furto presentavano il marchio comunale TZ

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sull’orecchio Sn e il segno padronale Rundininas Ambas (cioè ad entrambe le orecchie).; le agnelle furono ritrovate dopo 3 giorni in un’azienda non lontana, dove gli abigeatari avevano provveduto a radunarle all’interno di un recinto. Si procedette alla visita clinica ed al riconoscimento del gregge attraverso una serie di valutazioni (sesso, età, marchio comunale e padronale, frammenti anatomici). L’esame del marchio comunale mise in evidenza la presenza della sigla TZ in tutti i soggetti. L’esame dei segni padronali in tutti gli ovini mise in evidenza un’apposizione recente di un segno che poteva essere assimilabile a “bogadas faddidas” ( taglio trasversale). Attraverso un esame attento del padiglione auricolare vennero evidenziati segni di alterazione recenti , e nella porzione prossimale l’orecchio presentava una superficie di taglio di colore rosa, esito cicatriziale di un altro segno apposto in precedenza (vedi foto). Inoltre anche il segno Bogada sembrava particolarmente ampio. Tutti i dati raccolti, permisero di stabilire l’esatta provenienza degli animali. Ma fu l’evidente contraffazione dei segni padronali che rappresentò l’ulteriore conferma. In definitiva il segno padronale Rundininas Ambas era stato contraffatto e sostituito con il segno Bogadas Faddidas. Nel secondo caso in oggetto sono stati presi in esame 22 ovini , a cui erano stati contraffatti e alterati il marchio aziendale e i segni padronali. Dette agnelle secondo il denunciante recavano il segno padronale (“doppio giuale e segus e pertunta a dx” e il marchio aziendale “IT 033 SS 043”)- vedi foto - nell’orecchio dx; nell’orecchio sn recavano una sigla caratterizzata dalla lettera A e da un n° compreso fra 100 e 180. I quesiti posti al CTU proponevano di verificare se il marchio aziendale e se i segni padronali fossero stati contraffatti e se in qualche modo detti ovini potessero essere di proprietà dell’allevatore che li aveva in custodia giudiziale e quindi gli stessi agnelli a lui sottratti. Gli ovini sono stati visitati singolarmente, secondo i canoni adottati in precedenza per il riconoscimento che ha consentito di evidenziare quanto segue: il padiglione auricolare dx presentava dei segni cicatriziali, esiti di ferite da taglio: al tatuaggio primitivo erano sovrapposti altri tatuaggi secondo più orientamenti che confondevano lettere e cifre originarie. Nonostante ciò è stato possibile in uno solo degli ovini esaminati riconoscere alcune lettere e alcuni numeri che sembravano compatibili con quelli del codice aziendale dell’allevatore in questione. Nell’orecchio sn della maggior parte degli ovini si poteva chiaramente leggere un altro tatuaggio caratterizzato dalla lettera A e da un numero di tre cifre compreso tra 100 e 180. Tale tatuaggio però non risultava perfettamente leggibile in due soggetti i quali anche nell’orecchio sn presentavano lo stesso segno padronale dell’orecchio dx (bogada plana e segus e pertunta a sn) che impediva di eseguire la lettura di tale sigla. Per cui sulla base di tali dati è stato possibile rispondere ai quesiti. Questo dato unitamente all’evidenziazione in sede peritale del tatuaggio sull’orecchio dx caratterizzato dalla lettera A seguita dal numero progressivo compreso fra 100 e 180 (che corrispondeva quindi a quello denunciato dall’allevatore) ha permesso di concludere che gli ovini sottoposti a perizia erano quelli rubati. Il segno padronale si presentava così ampio da nascondere qualunque altro segno apposto in precedenza . Anche il tatuaggio del codice aziendale risultava essere contraffatto dal momento che i tatuaggi impressi nell’orecchio dx degli ovini sequestrati erano tutti illeggibili per la sovrapposizione di altri. Solo uno presentava lettere e cifre leggibili compatibili con quelle del codice aziendale dell’allevatore. Solo un allevatore poco abile avrebbe potuto apporre un marchio così maldestramente e in maniera frettolosa, per confondere quello presente in origine compiendo il cosiddetto trassegnamento, cioè trasformazione di un segno. Osservazioni personali:I due casi ci hanno permesso di effettuare una serie di osservazioni in merito a questa fattispecie, purtroppo ancora ampiamente utilizzata nel nostro territorio. Ponendo a confronto i due sistemi di identificazione degli ovini sicuramente il primo rappresentava una condizione più favorevole per la contraffazione dei marchi auricolari.. Molti segni padronali potevano adattarsi alla trasformazione (nei due casi è stato agevole trasformare “ rundininas ambas in bogadas faddidas e giuale in bogara”- vedi foto). E’ pur vero altresì che anche allo stato attuale, con l’identificazione individuale dell’animale, continuano a verificarsi con una certa frequenza furti e contraffazioni. Inoltre abili abigeatari riescono a trassegnare il tatuaggio, apponendovi il proprio codice aziendale e cercando, per quanto possibile, di nascondere quello originario. Quando ciò accade si possono avere dei problemi anche a carattere igienico-sanitario, in quanto non verrebbe ad essere correttamente individuato un eventuale soggetto sieropositivo per una malattia infettiva.

Osservazioni di polizia sanitaria, medico-legali e di protezione e benessere animale:Le osservazioni condotte ci permettono di fare alcune valutazioni critiche sul problema dell’abigeato e della contraffazione dei marchi, di effettuare una disamina giuridica e medico-legale sul problema, oltre infine a proporre i correttivi da molti auspicati per poter porre rimedio ad un male ormai radicato nella nostra terra. Seri rischi possono derivare da errori di riconoscimento anagrafico dei soggetti. Infatti, soprattutto in questi ultimi anni, nel corso dei quali in Sardegna imperversano l’Agalassia contagiosa degli ovini e dei caprini, la Blue tongue, la Scrapie, la contraffazione dei marchi potrebbe rendere difficoltosi i normali piani di eradicazione; ma nella peggiore delle ipotesi, l’eventuale immissione (in aziende indenni) di animali portatori di patogeni, potrebbe configurare l’ipotesi di reato di incontrollata diffusione di malattie infettive. In merito a questo argomento una recente sentenza della Cassazione Penale sez. VI 10/10/90, ai fini della configurabilità della fattispecie criminosa di cui all’art. 500 del Codice Penale, recita chiaramente che : non è necessaria la diffusione di malattia infettiva all’intero territorio nazionale, o a vaste zone dello stesso, essendo sufficiente che la possibilità di estensione, anche per la facilità e rapidità di trasmissione, faccia sorgere un concreto pericolo per l’economia rurale o forestale, ovvero per il patrimonio zootecnico. Da ciò si evince che, in presenza di abigeatari che, in quanto tali, rappresentano delle fattispecie criminose, si può facilmente ipotizzare anche l’abbandono, in caso di trasferimenti di bestiame rubato, di animali eventualmente possibili vettori di patogeni, in località indenni da malattie. Il Codice Penale, tra gli altri articoli, prevede il reato di omessa custodia o malgoverno degli animali all’art. 672 C.P., ora depenalizzato ai sensi dell’art. 33 lettera A L. 689/81 che prevede la responsabilità e la punibilità per una mancata custodia e conseguente pericolosità…omissis.. A tutt’oggi il dettato dottrinale ai sensi dell’art 672 C.P. fa capire che la pericolosità debba essere valutata esclusivamente in relazione alla incolumità della collettività. Sembra verosimile valutare invece, alla luce della giurisprudenza attuale, ( Cassazione Penale sez. VI 10/10/90) che la pericolosità degli animali possa essere ricondotta anche alla possibilità di arrecare danni al patrimonio zootecnico e alla salute pubblica. Ci sembra altrettanto verosimile, nell’ipotesi di abbandono improvviso per “situazioni contingenti”, che il fatto possa ricondursi

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al reato previsto dall’art. 2052 del C.C. che riguarda la responsabilità del proprietario o “chi se ne serve “, è responsabile dei danni cagionati dall’animale.. omissis.. Altrettanta importanza merita il dettato dell’art. 638 del Codice Penale: uccisione o danneggiamento di animale altrui, in cui viene presa in considerazione non solo l’uccisione degli animali ma anche “..o rende inservibile o comunque deteriora animali…omissis.. e rende punibile tale reato. Anche in questo caso diverse sono le sentenze che avvalorano ed integrano le fattispecie di reato: ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art.638 C.P., è necessario e sufficiente, quanto all’elemento materiale, che vi sia stata, senza necessità, l’uccisione, il deterioramento o il danneggiamento di un animale altrui e, con riguardo al dolo, che l’azione sia stata commessa con la coscienza e volontà di produrre uno degli eventi innanzi indicati. Per quanto attiene alle ipotesi del danneggiamento, è idonea a configurare tale elemento la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile (Cass. Pen., Sez. II, 12/07/1984, Cass. Pen., 1986,928. Una considerazione a parte merita l’aspetto relativo al benessere e protezione animale in questi due particolari casi oggetto del nostro lavoro. Infatti, mentre sino a qualche anno addietro il sistema di identificazione degli animali era una pratica che comunque recava sofferenza all’animale, sia nell’apposizione dei marchi padronali, sia con l’applicazione del tatuaggio auricolare praticato senza anestesia, e il tutto era accettato dalla stragrande maggioranza degli allevatori , in realtà arcaiche che ai nostri giorni non avrebbero ragione di esistere, oggi la mutata coscienza zoofila impone quantomeno il rispetto per la sofferenza degli animali. Non a caso il vecchio articolo 727 del C.P. è stato sostituito dal D.Lvo n. 473 del 22/11/1993, il quale recita in maniera indiscutibile, anche in ottemperanza a quanto dettato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali, che gli animali sono a tutti gli effetti considerati esseri viventi capaci di provare lo stimolo del dolore e quindi sofferenza. Numerose sono le sentenze della Cassazione Penale al giorno d’oggi in tema di maltrattamento di animali, che, prendendo in considerazione il concetto ampio di “maltrattamento” non puniscono soltanto gli atti di sevizie, torture, crudeltà, caratterizzati dal dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono ed incuria, che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali, quali autonomi esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore, come alle attenzioni amorevoli dell’uomo (Cass. Pen., Sez.III. 22/10/1992, cass. Pen.,1993,2835). “Il maltrattamento dolore è una violazione delle leggi naturali o biologiche, fisiche e psichiche di cui l’animale è portatore”. Le categorie di maltrattamenti e sevizie possono essere fisiche (violenza gratuita di ogni tipo occasionale o abitudinaria (Pret. Amelia, 7/10/1987, Riv. Pen., 1988,167).

Conclusioni: Poiché i sistemi di identificazione degli animali fino ad ora utilizzati possono essere facilmente alterati e contraffatti, oltre a provocare inutili sofferenze e poter determinare le problematiche suddescritte in tema legislativo e medico-legale, appare evidente la necessità di creare un sistema di identificazione più sicuro, più facile a realizzarsi e indolore. Queste considerazioni sono supportate dalla tendenza che si sta facendo strada anche in sede di Unione Europea, che prevede per il futuro l’abolizione delle targhette auricolari come sistema di identificazione. Tale sistema potrebbe essere rappresentato dall’identificazione elettronica negli ovini con l’apposizione di microchips all’interno di un bolo reticolare (bolo ceramico atossico, contenente al suo interno un trasponder). Da esperienze già acquisite, abbiamo rilevato come tale sistema fornisca buoni risultati. Questo tipo di identificazione elettronica porterà senz’altro questi vantaggi: certezza dell’identificazione, affidabilità, rarissima perdita (< all’1%), celerità di lettura e di identificazione degli animali, migliore gestione dei dati anagrafici degli animali, scarsissimo rischio di contraffazioni; infatti sarebbe improponibile da parte di un contraffattore asportare e sostituire il microchip tramite una laparotomia reticolare. Le argomentazioni sin qui riportate hanno una valenza che abbraccia un vasto raggio d’azione legislativa e di sanità pubblica. Con la depenalizzazione del reato di abigeato il legislatore non ha previsto la recrudescenza di tale fenomeno, almeno nelle nostre realtà agro-pastorali, dove i ladri di bestiame ed i contraffattori di marchi pare abbiano vita facile grazie alla depenalizzazione; inoltre con l’abigeato e la contraffazione si va chiaramente contro quei principi legislativi dettati dalle moderne regole sul benessere animale, ove l’animale è considerato a tutti gli effetti essere vivente capace di provare dolore: infatti le pratiche della contraffazione, a carico prevalentemente dei padiglioni auricolari, mal si adattano alle esigenze della protezione degli animali, estendendo il concetto a quelle sanzioni penali previste dal D.L.vo 473/93 in tema di maltrattamento di animali. A nostro modo di vedere, oltre all’applicazione del nuovo sistema di identificazione, si dovrebbe ritornare indietro nelle pieghe degli articoli dei Codici Civile e Penale già descritti, eliminando la depenalizzazione, dimostratasi solo a favore degli abigeatari, inasprendo le sanzioni amministrative e penali contemplate negli art. 2052 C.C, 672, 638 e 500 C.P. Possiamo dire pertanto che con l’inasprimento delle pene, unito alla identificazione elettronica, sarà possibile evitare che nei nostri allevamenti, il proprietario debba ricorrere a più di un sistema di identificazione per sentirsi al sicuro dai furti.

Bibliografia: Cinotti S., Peccolo G. Protezione animale, Utet, 1997.- Dialma Balasini, Zoognostica, Ed agricole, Bologna, 1995.- D. Mainardi , Etologia e protezione animale, Editoriale Grasso 1991-Franco Pezza, Diritto e legislazione veterinaria, Monduzzi Editore 1993.-Francesco Bartolini, Luigi Alibrandi, Piermaria Corso, I nuovi quattro codici civili e di procedura civile, penale e di procedura penale, casa editrice La tribuna, 1992.- Giovanni Fiandanca, Enzo Musio, I delitti contro il patrimonio, Giufrè, 1994.- Norme regionali di indirizzo per l’applicazione uniforme del DPR 30/04/1996, n° 307, circolare ministeriale 14/08/96 n°11, recante norme per l’identificazione e registrazione degli animali.- Marino Contu, Mario Bitti, Walter Pinna, L’identificazione elettronica dei ruminanti, L’allevatore sardo 2002. - Maggiore Pietro Luna Prevenzione e repressione dell’abigeato in Sardegna,Cagliari 1960. 1978. - Umberto Gasparini, Appunti di medicina legale veterinaria legislazione veterinaria e deontologia,Società editrice Esculapio. - Walter Pinna, P.L.Bitti, P. Sedda, G.Moniello, I.L.Solinas, Progetto pilota di identificazione elettronica dei ruminanti in Sardegna, Giornate di studio sulle prospettive di applicazione in larga scala dell’identificazione elettronica nei ruminanti, Nuoro (Italy), 10/12/05/2002.

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VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE IN AGNELLI MERINOS: PREFERENZE ALIMENTARI CON L’IMPIEGO DI ALIMENTI SEMPLICI

D’Alessandro A.G.(1), Quaranta A.(2), Frate A.(2), Colella G.E.(3), Martemucci G.(1), Casamassima D.(3)

.(1)Dipartimento PRO.GE.S.A. - Università di Bari - ITALIA

(2)Dipartimento di Produzione Animale - Università di Bari - ITALIA - Telefono: +390804679927, Fax: +390804679883, e-mail: [email protected]

(3)Dipartimento S.A.V.A. - Università del Molise - ITALIA

RiassuntoE’ stato valutato il comportamento alimentare in agnelli Merinos allevati intensivamente, considerando le preferenze alimentari verso 12 alimenti semplici: avena in granella, erba medica disidratata pellettata, polpa di bietola in fettucce, farinaccio di frumento, soia farina di estrazione, fiocchi di soia, soia estrusa, mais farina glutinata, farina di mais, fiocchi di mais, farina di orzo, fiocchi di orzo. Lo studio è stato condotto su 27 agnelli maschi in due periodi consecutivi di 7 giorni. Per limitare la competizione, sono stati costituiti due gruppi per pesi omogenei. Gli alimenti venivano somministrati giornalmente ad libitum, distribuendo ciascun alimento in rastrelliere separate con la possibilità per gli animali di accedere liberamente e scegliere tra i 12 alimenti. Dopo i primi 7 giorni di prova, la disposizione degli alimenti è stata simmetricamente invertita. La preferenza alimentare è stata valutata considerando la quantità di alimento assunto. Sono stati controllati i pesi e gli accrescimenti degli agnelli. I risultati indicano che la preferenza alimentare è influenzata dal tipo di alimento (P<0,01) e significativa (P<0,05) risulta l’interazione alimento per periodo. Nei due periodi la preferenza è stata maggiore per la farina di estrazione di soia (2855,6 e 3157,4 g/capo) e il mais fioccato (2420,4 e 2120,4 g/capo), minore per l’orzo e il farinaccio.

IntroduzioneLa “preferenza alimentare” è definita come il consumo relativo di un alimento, liberamente scelto dall’animale in un particolare momento e luogo (Frost e Ruyle, 1993). Essa viene determinata da complesse interazioni neuro-mediate tra alimento ingerito e il feedback post-ingestivo (PIF), positivo o negativo, noto come “cambiamento edonistico”, che coinvolge processi affettivi e cognitivi (Provenza, 1995). Il sistema affettivo mette in relazione primariamente il gusto dell’alimento con il PIF, mentre il sistema cognitivo integra le sensazioni di gusto, odore e vista, che l’animale utilizza per discriminare l’alimento, e rende “cosciente” la scelta (Fig. 1). Ciò consente una modificazione comportamentale nel selezionare o evitare un alimento sulla base dell’esperienza (Kyriazakis e Oldham, 1993; Provenza et al., 1994). L’azione integrata di questi due sistemi conferisce all’animale la flessibilità nell’imparare e nel modificare il suo comportamento alimentare in risposta a variazioni delle condizioni ambientali e delle esigenze nutrizionali (Provenza, 1995). La preferenza alimentare è influenzata dalla razza (Casamassima et al., 1991a), dalle caratteristiche morfo-fisiologiche dell’animale nonché dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’alimento (Provenza, 1995). Il nostro studio ha avuto lo scopo di valutare la preferenza alimentare nei confronti di alimenti naturali con caratteristiche diverse, in agnelli in accrescimento allevati intensivamente.

Figura 1 - Rappresentazione schematica dei processi affettivi e cognitivi che determinano il comportamento alimentare (modificata da: Provenza, 1995).

Materiali e metodiSono stati considerati 27 agnelli maschi di razza Merinos precoce, di 90 ± 5 giorni di età, allevati intensivamente, in due periodi consecutivi di 7 giorni ciascuno. Sono stati utilizzati 12 alimenti semplici, di cui alcuni con forma fisica diversa: avena in granella (A); erba medica disidratata pellettata (EMD); polpa di bietola in fettucce (PB); farinaccio di frumento (F); farina di estrazione di soia (SFE); fiocchi di soia (SFc); soia estrusa (SE); farina glutinata di mais (MFG); farina di mais (MF); fiocchi di mais (MFc); farina di orzo (OF); fiocchi di orzo (OFc). Gli animali sono stati suddivisi in due gruppi, per pesi omogenei, al fine di limitare la competizione, e potevano accedere liberamente alle rastrelliere e scegliere tra i 12 alimenti (Fig. 2). Giornalmente, ciascun alimento veniva distribuito ad libitum in rastrelliere separate, e venivano valutate le quantità assunte in peso, per gruppo, sulla base dei residui.

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Figura 2 – Disposizione degli alimenti nell’ambiente di prova.

Dopo i primi 7 giorni di prova, la posizione occupata da ciascun alimento è stata simmetricamente invertita, per evitare che gli animali potessero associare l’alimento alla posizione da questo occupata. La valutazione della preferenza alimentare è stata effettuata considerando la quantità di alimento assunto. Sono stati controllati i pesi degli animali all’inizio e alla fine della prova e calcolati gli incrementi ponderali medi giornalieri. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza utilizzando la procedura GLM del SAS (1999-2000). Le differenze tra le medie sono state stimate mediante il t value (pdiff option).

Risultati e discussione - La preferenza alimentare risulta influenzata dal tipo di alimento (P<0,01). In entrambi i periodi, gli alimenti maggiormente graditi sono stati la farina di estrazione di soia e il mais fioccato (Fig. 3).

Figura 3 - Preferenza alimentare espressa in termini di quantità media di alimento ingerito (g/capo). *, **: differenze tra 1° e 2° periodo (*: P<0,05; **: P<0,01).

Il più basso gradimento ha riguardato l’orzo, senza alcuna differenza fra la farina e il fiocco, e il farinaccio. La forma fisica dell’alimento influenza il gradimento per alcuni alimenti. Per la soia, il maggior consumo ha interessato la farina di estrazione rispetto alla soia estrusa e alla soia fioccata; il mais fioccato, invece, è risultato più gradito rispetto alla farina di mais glutinata (Tab. 1).E’ stato rilevato che la preferenza alimentare è condizionata dal soddisfacimento delle esigenze energetiche (Ortega Reyes et al., 1992) e, soprattutto negli animali in accrescimento, da quelle proteiche (Casamassima et al., 1991b; Webster, 1993). E’ stato altresì osservato che gli alimenti scarsamente digeribili e/o con ridotto contenuto energetico sono poco graditi (Burritt e Provenza, 1992). Considerando le quantità complessive di tutti gli alimenti tra i due periodi allo studio, le differenze non sono risultate significative. Infatti, le quantità medie totali degli alimenti consumati giornalmente risultano similari. Significativa (P<0,05) risulta comunque l’interazione alimento × periodo per il farinaccio. In particolare, si è registrato un calo di preferenze nel secondo periodo per l’erba medica (P<0,05) e per la soia estrusa (P<0,05) e un aumento per la polpa di bietola (P<0,01) (Fig. 3). Ciò può essere ascritto alle variazioni delle esigenze nutrizionali e al PIF che condiziona, positivamente o negativamente, il comportamento alimentare nell’assunzione di quantità differenti di alimenti in rapporto alla loro influenza sui chemio- osmo- e meccano-recettori dell’apparato digerente (Kyriakis e Oldham, 1993; Provenza et al., 1994). Nell’arco dell’intera prova, gli incrementi medi ponderali giornalieri realizzati nei due gruppi di agnelli, costituiti per omogeneità del peso iniziale, sono risultati pari a 244,6 ± 0,02 g (E.S.) e 265,9 ± 0,02 (E.S.). Tali valori rientrano nel range di valori normali di accrescimento per la razza Merinos precoce (Sevi et al., 2001; Quaranta et al., 2002), lasciando ipotizzare la capacità degli agnelli di autoformularsi la dieta per soddisfare le esigenze nutrizionali, sulla base delle preferenze alimentari.

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Tabella 1 - Significanze statistiche tra le quantità medie dei singoli alimenti ingeriti nell’ambito del 1° e del 2° periodo di prova.

Bibliografia- Casamassima D., Bufano G., Sevi A. (1991a) - Preferenze alimentari tra mangimi a diverso contenuto proteico e distribuzione dei consumi giornalieri in agnelloni di razze diverse. Atti IX Cong. A.S.P.A., 351-361.- Casamassima D., Bufano G., Sevi A. (1991b) - Preferenze alimentari tra mangimi a diverso contenuto proteico, distribuzione dei consumi alimentari giornalieri e prestazioni produttive di agnelloni di popolazione Altamurana. Terra Pugliese, 40, 3-13.- Frost B., Ruyle G.B. (1993) - Arizona Ranchers’ Management Guide. Arizona Cooperative Extension.- Kyriakis I., Oldham J.D. (1993) - Diet selection in sheep: the ability of growing lambs to select a diet that meets their crude protein (nitrogen x 6.25) requirements. Brit. J. Nutr., 69, 617-629.- Ortega Reyes L., Provenza F.D., Parker C.F., Hatfield P.G. P.G. (1992) - Drylot performance and ruminal papillae development of lambs exposed to a high concentrate diet while nursing. Small Rum. Res., 7, 101-112.- Provenza F.D. (1995) - Postingestive feedback as an elementary determinant of food preference and intake in ruminants. J. Range Manage., 48, 2-17.- Provenza F.D., Lunch J.J., Burritt E.A., Scott C.B. (1994) - How goats learn to distinguish between novel foods that differ in postingestive consequences. J. Chem. Ecol., 20, 609-624.- Quaranta A., Sevi A., Nardomarino A., Colella G.E., Casamassima D. (2002) - Effects of graded noise levels on behavior, physiology and production performance of intensively managed lambs. It. J. Anim. Sci, 1, 217-227.- SAS (1999-2000) - SAS/STAT TM Guide for Personal Computers, Version 8.1 Edn. SAS Institute Inc., Cary, NC.- Sevi A., Quaranta A., Nardomarino A., Bellitti A., Colella G.E., Casamassima D. (2001) - Effetti del rumore su alcuni parametri fisiologici, produttivi e comportamentali dell’agnello allevato intensivamente. Zoot. Nutr. Anim., 27, 3-13.- Webster A.J.F. (1993) - Energy partitioning, tissue growth and appetite control. Proc. Nutr. Soc., 52, 69-76.

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FARMACOCINETICA, RESIDUI NEL LATTE ED EFFICACIA TERAPEUTICA DEL MARBOFLOXACIN IN ALCUNE PATOLOGIE DI ORIGINE BATTERICA DELLE PECORE.

NOTA I: CINETICA EMATICA E RESIDUI NEL LATTE.

Farca A.M., Pollicino P., Panichi M., Mattoni M.*, Cavana P., Romboli S.

Dip. Patologia Animale, *CISRA (Centro Interdipartimentale Servizio Ricovero Animali)Facoltà Medicina Veterinaria – Torino

RiassuntoGli Autori hanno estrapolato i dati riguardanti la cinetica ematica e la presenza di residui nel latte da un più vasto lavoro ancora in corso, teso ad evidenziare in ovini con patologie batteriche (in particolare malattie respiratorie e mastiti) l’efficacia terapeutica, la cinetica ematica ed i residui nel latte del marbofloxacin, un fluorochinolone di III generazione ad esclusivo uso veterinario. Gli animali sono stati trattati per via IM con 2 mg/Kg di marbofloxacin in somministrazione unica, ed i prelievi di sangue e latte sono stati eseguiti prima e dopo 15’, 30’, 45’, 1, 2, 4, 6, 12, 24, 48 e 72 ore dal trattamento.Le concentrazioni di antibiotico sia nel sangue sia nel latte, sono state valutate utilizzando il metodo microbiologico di diffusione in Agar/germi, impiegando come germe test E. coli ATCC 8739, sensibile al fluorochinolone in esame (sensibilità del metodo pari a 0,05 mcg/ml).I dati preliminari indicano che nel siero, il marbofloxacin è presente già a 15’ dalla somministrazione, in 45’ – 60’ raggiunge il picco e tende a scomparire intorno alla 12° ora.Il comportamento dell’antibiotico nel latte è simile a quello nel siero: ne è stata osservata la presenza già a 15’, si è manifestato il picco intorno ai 45’ – 60’ e la scomparsa dal latte si è riscontrata alla 6° ora.Questi dati, in accordo con i pochi reperiti in letteratura sulle pecore, evidenziano che il marbofloxacin presenta una permanenza sia nel siero sia nel latte di durata relativamente breve, ben sotto ai limiti posti per i tempi di sospensione indicati dalla casa produttrice per altri animali zootecnici.

IntroduzioneIl marbofloxacin è un fluorochinolone di IIIa generazione espressamente formulato per l’uso in medicina veterinaria (Shem-Tov e coll., 1997; Brown, 1996; Aliabadi e Lees, 2002).Come gli altri chinoloni possiede una rapida attività battericida mediante l’inibizione della DNA girasi batterica (Chu e Fernandes, 1991), presenta un ampio spettro d’azione che comprende la maggior parte dei germi G-, alcuni G+ e, secondo alcuni Autori, è efficace anche nei confronti dei micoplasmi (Aliabadi e Lees, 2002).La farmacocinetica del marbofloxacin è stata valutata in alcune specie animali quali il cane (Schneider e coll., 1996), la scrofa gravida o in lattazione (Petracca e coll., 1993), i bovini preruminanti e ruminanti (Thomas e coll., 1994 a,b), mentre esistono pochi dati bibliografici riguardanti le pecore (Shem-Tov e coll., 1997).Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare i principali parametri farmacocinetici ed il passaggio dal sangue al latte del marbofloxacin nelle pecore dopo singola somministrazione IM.

Materiali e metodiLo studio è stato condotto su 5 pecore di razza Biellese, del peso di 65–72 kg (denominate a, b, c, d, e) di cui a, b, ed e in lattazione mentre c e d in fase di asciutta. Le pecore a e b stavano allattando l’agnello, mentre la pecora e era priva di agnello ed era munta manualmente ogni sera. Gli animali sono stati allevati presso il CISRA, mantenuti in ovile, alimentati con fieno e pellettato non medicato con acqua di bevanda ad libitum.Il marbofloxacin è stato somministrato per via IM nella regione del collo sinistra, alla dose di 2 mg/kg in singola somministrazione, sottoforma di soluzione acquosa al 10% (Marbocyl 10% ® ATI).I prelievi di sangue e latte sono stati eseguiti dalla vena giugulare destra e da ogni capezzolo, prima e 15’, 30’, 45’, 1h, 2h, 4h, 6h, 12h, 24h, 48h e 72h dopo il trattamento.I campioni di sangue sono stati lasciati a T° ambiente per 2 – 3 ore ed il siero è stato separato per centrifugazione (3500g x 5 min).I campioni di siero e latte sono stati congelati a –20°C sino al momento delle determinazioni. Le concentrazioni di marbofloxacin nel siero e nel latte sono state valutate con il metodo di diffusione in agar germi (Bennet e coll., 1966) impiegando come germe test Eschirichia coli ATCC 8739 coltivato in Tripton Soy Agar (Biogenetics, Padova, Italia). Per ogni campione le determinazioni sono state ripetute 4 volte.Brevemente, 20 ml di Trypton Soy Agar, contenente il germe test, sono stati posti a solidificare in capsule Petri sterili di plastica del diametro di 10 mm, in seguito sono stati praticati nell’agar solido, ad eguale distanza l’uno dall’altro, 8 fori che sono stati poi riempiti con 80 µl dei campioni in esame o del marbofloxacin standard. Le piastre sono state poste ad incubare a 37°C per 18-24 ore ed infine sono stati misurati gli aloni di inibizione.La curva di taratura per la corrispondenza tra dosi e diametro degli aloni di inibizione è stata ricavata da quattro repliche, impiegando concentrazioni scalari di marbofloxacin corrispondenti a 4, 2, 1, 0.5, 0.25, 0.1, 0.05, 0.01, 0.005 mcg/ml.Il metodo ha presentato una sensibilità pari a 0.05 mcg/ml e ha permesso di quantificare solo l’attività microbiologica del chemioantibiotico utilizzato e dei suoi eventuali metaboliti attivi.I parametri farmacocinetici sierici dopo la sola somministrazione I.M. ed i dati per il latte, sono stati analizzati con un metodo mono compartimentale (Yamaoka e coll., 1978) mediante un programma computerizzato (Yamaoka, 1986).I risultati ottenuti sono presentati per singolo animale e come media ± SEM.

RisultatiLa somministrazione di marbofloxacin non ha provocato reazioni avverse nella sede di iniezione.Le concentrazioni di antibiotico nel siero e nel latte dopo somministrazione IM in ogni singolo animale sono rappresentate nei grafici 1 e 2.

257XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Il marbofloxacin è stato rapidamente assorbito, infatti, nel siero di tutti gli animali, si è rilevata la sua presenza già 15’ dopo il trattamento, la Cmax è stata raggiunta tra i 30’ ed i 60’ e l’antibiotico tendeva a scomparire tra la 12a e la 24a ora dopo il trattamento (graf.1). Nel latte ha seguito il medesimo andamento ma la scomparsa è avvenuta intorno alla 6a ora (graf.2). Le concentrazioni medie ± SEM del marbofloxacin nel siero e nel latte sono rappresentate nel grafico 3 e i principali parametri farmacocinetici determinabili con la sola somministrazione IM sono riassunti in tabella 1.L’antibiotico è stato rapidamente assorbito ed i valori medi della Cmax raggiunti a 1 ora dopo la somministrazione (Tmax) sono stati pari a 0,879 ± 0,18 mcg/ml.Il marbofloxacin è penetrato rapidamente ed estensivamente dal sangue al latte (graf. 3) dove ha raggiunto la Cmax (0,565 ± 0,23 mcg/ml) a 45’

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258 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DISCUSSIONE E CONCLUSIONEAbbiamo osservato differenze di concentrazione nel siero e nel latte nei diversi animali, a nostro avviso correlabili al differente stadio produttivo d’ogni singolo animale, infatti, le due pecore in asciutta (animali c e d) presentavano la maggiore concentrazione sierica di antibiotico; delle tre in lattazione le due che stavano allattando l’agnello (animali a e b) presentavano livelli bassi di antibiotico sia nel siero sia nel latte, mentre la terza pecora (animale e), priva di agnello, presentava bassi livelli di antibiotico nel siero e le più elevate concentrazioni nel latte.Tali differenze concordano con i dati bibliografici da noi reperiti (Shem-Tov e coll, 1997; Petracca e coll., 1993; Oukesou e coll., 1990; Soback e coll., 1994).

Tab.1 - Marbofloxacin: Principali parametri farmacocinetici nel siero dopo somministrazione I.M.

PARAMETRI FARMACOCINETICI I.M.

t ½ß (h) ± SEM 1.1 ± 0.05

t ½α (h) ± SEM 0.178 ± 0.05

Cmax (mcg/ml) ± SEM 0.879 ± 0.18

Tmax (h) 1

AUCtot (mcg/ml/h) ± SEM 2,689 ± 0.5

t½α = emivita fase di distribuzionet ½ß = emivita fase di eliminazioneCmax = concentrazione massimaTmax = tempo necessario per la massima concentrazioneAUCtot = area sottesa alla curva

Risulta quindi utile proseguire il lavoro: adottando diverse vie di somministrazione dell’antibiotico (OS, IM e EV), utilizzando gruppi di animali più omogenei (in lattazione con agnello, in lattazione senza agnello ed in asciutta) e valutando anche la presenza di antibiotico assunto attraverso la suzione nel siero degli agnelli.Questi primi dati, in accordo con i pochi reperiti in letteratura, evidenzierebbero che il marbofloxacin presenta una permanenza sia nel siero sia nel latte di durata relativamente breve, ben sotto ai limiti posti per i tempi di sospensione dalla casa produttrice per altri animali zootecnici.

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259XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

NIVELES DE MICROMINERALES EN OVEJAS DE “TIERRA DE CAMPOS”, LEÓN (ESPAÑA)

González Montaña Jr, Martín Alonso Mj, Alonso Díez Aj, Torío Álvarez R, Rejas López J.

Dpto. Medicina Veterinaria. Facultad de Veterinaria. Universidad de León. 24007. León. España. E-mail: [email protected]

ResumenLa comarca Tierra de Campos abarca una amplia zona geográfica en la zona sureste de la provincia de León. La mayoría del ganado ovino pertenece a la raza Churra y cruces absorbentes con Assaf. Suelen ser explotaciones no demasiado grandes (300-500 cabezas) con amplia base en la producción de cereales y en el pastoreo.Hemos evaluado los niveles de minerales séricos (calcio, fósforo, magnesio, hierro, cobre y zinc) en varias ganaderías ovinas situadas en esta comarca, muestreando la misma explotación en primavera y en verano. Las determinaciones analíticas se han realizado mediante ICP en el Laboratorio de Técnicas Instrumentales (LTI) de la Universidad de León. Los valores encontrados se han sometido al correspondiente estudio estadístico.

LIVELLI DI MICROELEMENTI IN PECORE DI “TIERRA DE CAMPOS”, LEON (SPAGNA)RiassuntoIl territorio Tierra de Campos comprende un’ amplia zona geografica nel sud est della provincia di Castilla e Leon. La maggior parte del bestiame ovino e’ di razza Churra o deriva da incroci con Assaf. Gli allevamenti sono di piccole dimensioni con una media di 300-500 capi e si dedicano alla produzione di cereali e alla pastorizia.Abbiamo valutato i livelli di calcio, fosforo, magnesio, ferro, rame e zinco presenti nei terreni; raccogliendo campioni provenienti dallo stesso allevamento sia in primavera che in estate .Le determinazioni analitiche sono state realizzate mediante tecnica ICP nel Laboratorio di Tecniche Strumentali (LTI) dell’ universita’ di Leon. I valori incontrati sono stati sottoposti al corrispondente studio statistico

IntroducciónLa provincia de León tiene un censo ovino de 535.000 cabezas según datos de la Consejería de Agricultura y Ganadería de la Junta de Castilla y León, lo que representa aproximadamente un 2,7% del total nacional. La mayoría de las ovejas pertenecen a las razas Merina, Churra, Assaf, Awassi y cruces entre ellas.No existe, o por lo menos no tenemos conocimiento de ninguna encuesta reglada sobre los niveles de minerales (macro y microelementos) ni en la provincia de León ni en la Comunidad.Se sabe que muchas carencias minerales pueden dar lugar a la muerte de los ovinos, aunque en la mayoría de las ocasiones conducen a una serie de enfermedades subclínicas, que no cursan con una sintomatología importante, pero que predisponen a la aparición a otras patologías. Y, en el mejor de los casos, esas carencias minerales disminuyen considerablemente las producciones. Estas carencias únicamente pueden ser detectadas mediante técnicas laboratoriales.La presente encuesta se realiza en una zona donde la ganadería ovina tiene especial importancia, denominada “Tierra de Campos”. Esta zona geográfica se caracteriza por explotaciones agrícolas de gran extensión y donde se cultivan sobre todo cereales de secano. La mayoría de las ovejas localizadas en esta zona practican el pastoreo tradicional, es decir durante la mayor parte del día se alimentan de los restos de los cultivos cerealistas y hierbas que crecen espontáneamente y sólo en determinados periodos, como en la gestación avanzada y lactación, se suplementa con concentrados y forrajes en la propia majada.Si bien tradicionalmente la mayoría de los rebaños estaban constituidos por ovejas de raza Churra, últimamente se está produciendo la sustitución mediante cruces por absorción de esta raza autóctona por otras como son Assaf y Awassi. Este tipo de animales presentan doble aptitud carne-leche, aunque quizá con cierta tendencia a incrementar la producción lechera. La intensificación de las producciones y el tipo de manejo, creemos que puede traer consigo importantes carencias tanto energéticas como minerales. Por ello hemos realizado un muestreo en varias explotaciones de esta comarca intentando diagnosticar posibles carencias minerales en estos animales.La realización de un doble muestreo (otoño y primavera) permite eliminar las posibles variaciones estacionales e incluso comprobar si la salida al campo de los animales tras la aparición del pasto en primavera provoca un mayor aporte de minerales, en especial en aquellas explotaciones donde pudieran existir carencias o subcarencias tras el periodo invernal.

Material y métodosSe han muestreado un total de 19 explotaciones localizadas en el área geográfica “Tierra de Campos” (zona de Sahagún y áreas limítrofes), intentando buscar que las explotaciones y el manejo sea bastante homogéneo y representativo de esta zona.Todos los animales muestreados son cruces de raza Churra con razas lecheras, de tal forma que algunos rebaños ya se podrían considerar exclusivamente constituidos por raza Assaf y raza Awassi. La totalidad de los rebaños presentaron un estado sanitario adecuado, que incluía desparasitaciones periódicas y vacunaciones.En cada explotación, y en función de su tamaño hemos muestreado un mínimo de 20 animales, distribuidos en cuatro grupos de edad: corderas (hasta primer parto), primalas (un parto), ovejas y desvieje (más de cinco partos). Todos los animales, salvo las corderas, estaban en período de lactación.Realizamos doble muestreo en cada explotación, uno en otoño (octubre-noviembre) y otro en primavera (abril y mayo). No siempre coincide el animal en ambos muestreos.En cada animal se realizó una extracción de sangre en la vena yugular con jeringas y agujas de un sólo uso. En el suero obtenido se valoraron los macrominerales: calcio, fósforo y magnesio y los oligoelementos: cobre, hierro y zinc. Excepto el fósforo medido por fotocolorimetría, el resto de minerales se valoró mediante espectrofotometría de absorción atómica.

260 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Se realizó una ficha del establo en la que además de los datos de la explotación y de los animales, se recogieron las características del manejo, tipo de alimentación, suplementación con correctores vitamínico-minerales, etc.

Resultados y discusiónLas tablas 1 y 2 expresan los valores medios de cada elemento determinado, en dependencia de la explotación, y la época de muestreo. Además se tiene en cuenta la edad de los animales.Tanto la calcemia como la magnesemia y la fosfatemia presenta valores dentro de la normalidad si los comparamos con otros autores (Alonso de Vega, 1984; Doxey, 1987; Castillo, 1994; Gómez Piquer y col, 1992; Meyer y col, 1992). La calcemia y la fosfatemia presenta los valores medios más altos en los animales jóvenes, en pleno crecimiento, mientras que el valor medio de la magnesemia es menor en los corderos. El incremento de la calcemia y de la fosfatemia aparece en animales en crecimiento donde las necesidades minerales son más elevadas, por producirse una importante movilización de estos minerales para el desarrollo y remodelado esquelético. La calcemia está más agrupada en otoño y con mayores variaciones en primavera.Queremos señalar que en aquellas explotaciones que presentan valores más bajos en el muestreo de otoño vuelven a tener también valores inferiores en la primavera, y por el contrario, cuando algún grupo muestra valores más elevados en una estación también lo hace en la otra.La amplia variedad de los niveles de hierro, cobre, zinc y manganeso en sangre de otros investigadores consultados permite que todos nuestros resultados se encuentren dentro de los parámetros considerados normales en la especie ovina (Alonso de Vega, 1983; Underwood, 1983, Brooks, 1984, Doxey, 1987; Heselink, 1990; Suttle, 1991; Gómez Piquer, 1992; Castillo, 1994, Torío, 1998). La concentración sérica de zinc en los distintos grupos oscilan entre 0,75 y 1,4 μg/ml, considerados como normales en la especie ovina (Mills et al, 1967; Lamand, 1987; Ramos et al, 1994; Radostits et al, 1999; Rejas et al, 1999; Rejas et al, 2000; González et al, 2001). Las ovejas adultas y, más aún las de desvieje, presentan los valores más bajos (medias de 0,92) pero superiores a los que Pastrana et al (1991) y Ramos et al (1994) consideran baja en esta especie. Por el contrario los animales en crecimiento muestran valores más altos tal como describe Pastrana (1991) y ya habíamos observado en otras zonas de la provincia leonesa (Rejas et al, 2000; González et al, 2001). Aquellos grupos de animales, y de forma análoga a lo observado en la magnesemia, con valores inferiores vuelven a presentar esta característica en el muestro siguiente. La cupremia, de forma similar a la tasa de zinc, es más alta en los animales más jóvenes, aunque sin diferencias significativas (Rivero et al, 1990; Ramos et al, 1993; Rejas et al, 2000). En estudios previos realizados en la provincia leonesa habíamos comprobado esta evolución (Rejas et al, 2000; González et al, 2001).Los valores oscilan entre 0,56 μg/ml y 1,64 μg/ml, estando siempre los niveles más elevados en el grupo de las corderas independientemente de la explotación, al contrario de lo que habíamos encontrado en explotaciones de otras comarcas de León (González et al, 2001). Lamand (1987) y Radostitis et al (1999) sitúan el valor limite de este oligoelemento en 0,700 μg/ml cuando se valora cobre en plasma y de 0,600 μg/ml en el caso de cobre sérico (Suttle, 1986; Pastrana et al, 1991). Por ello, solo las primalas de dos explotaciones (Cea y Villeza) podrían estar en situación comprometida. Los niveles de cobre sérico son prácticamente iguales en los dos muestreos, al contrario de lo indicado por Pastrana et al (1991) quien observó niveles más bajos tras épocas lluviosas.Los niveles de hierro sérico oscilan entre 1,42 μg/ml y 2,63 μg/ml siendo difícil comparar con otros autores por la gran disparidad de valores referenciados. En todos los casos hemos hallado tasas de hierro superiores a los valores mínimos citados (Underwood, 1981; Radostits et al, 1999; Rivero et al, 1990; Pastrana et al, 1991). Los valores más bajos los encontramos en las corderas para incrementarse considerablemente en las primalas, sucediendo lo contrario lo que habíamos encontrado en la comarca “Tierras de León” (González et al, 2001) y que había sido citado por Rivero et al (1990). También en los niveles de cobre y de zinc sérico comprobamos que se repiten los valores más bajos y los más altos en las mismas explotaciones independientemente de la época de muestreo.

ConclusionesCon los resultados obtenidos podemos concluir que los valores séricos de calcio, fósforo, magnesio, hierro, cobre y zinc en los rebaños ovinos de la Comarca Tierra de Campos se encuentran dentro de la normalidad no precisando modificaciones importantes del manejo.La mayoría de minerales valorados presentan valores máximos y mínimos siempre en la misma explotación y grupo muestreado independientemente de la época, lo cual podría explicarse por el mejor o peor manejo realizado en la explotación.

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52,4

92,0

52,0

92,5

42,1

9

Castr

ovega V

alm

adrigal

10,2

510,1

29,1

09,9

410,5

39,7

59,7

49,7

06,6

35,6

55,7

06,0

46,3

75,9

85,8

06,5

82,3

21,9

32,4

92,5

62,5

61,9

12,7

12,6

6

Cea

10,5

18,5

39,1

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19,1

56,4

66,3

76,5

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07,2

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16,1

56,2

62,0

02,1

62,7

82,7

12,1

62,0

22,5

52,6

6

El B

urg

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anero

9,8

89,8

311,7

410,4

09,6

710,9

612,2

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97,3

15,8

36,6

66,1

27,1

56,1

16,1

06,4

82,1

12,1

32,8

92,2

22,0

22,2

52,8

22,1

3

Gord

aliz

a d

el P

ino

10,5

110,2

410,4

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210,6

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56,5

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06,3

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52,4

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22,2

82,6

7

Gra

jal de C

am

pos

11,2

510,4

29,9

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59,9

810,2

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96,2

06,3

06,2

56,5

85,9

55,8

86,2

02,3

52,5

52,4

02,4

82,5

22,6

82,4

52,3

1

Joarilla

de las M

ata

s9,3

57,7

69,4

412,2

78,8

18,6

09,4

911,5

16,8

76,8

36,7

16,4

96,4

96,8

16,2

16,5

22,3

72,3

92,5

92,2

42,4

92,5

42,6

52,0

9

Joarilla

de las M

ata

s10,6

07,9

111,1

89,8

710,6

19,0

210,8

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36,3

16,9

26,5

57,0

97,2

16,6

36,3

36,7

52,4

12,4

22,3

82,4

32,3

92,2

22,6

12,3

2

Joarilla

de las M

ata

s10,0

011,1

88,8

39,9

69,3

610,3

29,7

69,6

57,2

05,6

75,5

85,3

46,8

55,7

96,1

55,8

12,3

62,3

32,3

52,4

72,5

02,5

02,4

42,4

1

Sahagún d

e C

am

pos

10,5

09,8

59,9

810,7

210,2

48,0

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06,5

26,4

56,3

56,1

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96,1

96,0

36,2

52,5

12,5

22,5

52,4

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62,8

92,7

72,1

0

San P

edro

Vald

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10,9

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45,7

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67,1

06,3

65,6

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33,0

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12,2

72,6

32,4

9

San P

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Vald

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9,1

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05,8

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22,4

42,8

02,4

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02,5

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5

Sta

Cristina V

alm

adrigal

7,9

78,4

59,6

110,1

08,8

98,8

610,9

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75,9

75,9

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76,4

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62,6

22,4

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92,5

22,5

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22,5

3

Sta

Cristina V

alm

adrigal

11,3

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011,7

511,1

212,8

112,2

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210,7

76,9

05,9

06,3

75,8

36,9

05,9

65,9

15,8

42,7

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22,3

92,7

52,1

11,8

62,2

1

Valv

erd

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nrique

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32,4

32,2

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32,8

62,2

62,2

92,4

32,8

2

Vill

am

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. S

ancho

13,0

111,3

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65,8

36,3

86,2

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46,4

95,9

86,0

36,3

21,9

92,7

82,2

32,7

52,1

03,0

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02,6

4

Vill

am

ora

tiel de las M

ata

s10,0

810,5

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59,9

510,1

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46,5

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16,7

85,8

26,1

75,7

52,6

52,6

52,1

62,4

52,4

32,7

52,1

02,4

2

Vill

eza

12,0

810,7

910,1

910,9

111,2

39,9

710,3

911,6

66,3

36,0

75,7

66,4

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65,8

85,2

87,0

02,4

02,9

42,4

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22,2

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8

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ia p

or

gru

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56,8

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45,9

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02,3

22,4

22,5

02,5

22,3

42,4

32,4

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5

Tabla

1. V

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sD

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sD

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11,2

01,2

50,9

50,8

80,8

51,8

02,2

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51,8

52,2

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8

Calz

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1,1

50,8

50,8

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50,8

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80,8

00,9

20,8

51,3

61,0

50,9

51,0

51,6

51,9

51,8

51,8

51,6

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5

Castr

ovega V

alm

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1,1

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80,9

61,0

90,7

00,8

91,0

21,0

90,8

00,9

00,9

91,0

90,7

70,8

70,9

61,6

12,0

82,2

21,8

21,7

12,0

82,2

81,7

2

Cea

1,0

91,0

20,8

20,8

81,1

91,0

80,8

10,9

21,5

40,5

91,0

31,0

11,4

30,6

11,0

90,9

31,6

51,9

32,1

12,0

01,7

51,8

02,0

22,0

7

El B

urg

o R

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1,0

50,9

31,0

40,7

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51,0

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41,2

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00,6

00,6

31,2

91,0

90,6

30,6

71,7

11,8

92,1

52,0

61,7

01,7

42,0

01,8

8

Gord

aliz

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00,9

10,8

21,5

00,7

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01,0

81,9

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22,0

42,0

51,9

01,9

02,0

52,0

2

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1,1

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21,0

01,1

21,1

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61,2

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20,9

51,3

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81,8

12,2

22,1

02,1

01,8

51,8

51,9

92,0

9

Joarilla

de las M

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s1,2

51,0

80,9

00,7

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51,0

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80,8

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40,8

70,8

51,1

71,4

22,6

32,1

51,9

31,5

22,4

62,0

02,0

6

Joarilla

de las M

ata

s1,1

60,9

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00,9

21,0

50,9

80,8

90,8

81,1

41,3

10,9

91,1

11,2

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31,0

51,5

42,0

11,9

92,1

31,5

51,9

52,2

02,3

0

Joarilla

de las M

ata

s1,0

90,8

00,9

31,0

71,0

20,8

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71,4

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02,3

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5

Sahagún d

e C

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1,1

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8

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11,9

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0

San P

edro

Vald

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10,9

41,1

10,9

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50,8

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30,8

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01,3

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8

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2

Sta

Cristina V

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1,1

20,8

20,8

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60,8

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31,3

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31,8

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7

Valv

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21,0

11,1

31,2

81,0

30,9

31,0

91,6

52,2

42,2

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32,1

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4

Vill

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5

Vill

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ora

tiel de las M

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20,8

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40,7

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20,7

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41,9

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8

Vill

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1,0

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90,9

51,5

30,5

80,8

20,9

01,4

50,5

90,8

60,8

41,9

11,8

72,1

21,9

31,7

71,8

32,2

21,9

2

Med

ia p

or

gru

po

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70,9

50,9

20,9

21,1

50,9

40,9

20,9

11,3

30,9

00,8

61,0

01,3

20,8

80,8

50,9

91,7

52,1

02,0

21,9

91,7

72,0

32,0

22,0

0

Tabla

2. V

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263XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fósforo sérico (primavera)

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����

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����

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264 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fósforo sérico (otoño)

����

����

����

����

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����

����

����

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Calcio sérico (otoño)

����

����

����

����

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����� ����� ����� �����

265XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Zinc sérico (otoño)

����

����

����

����

����

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����

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Zinc sérico (primavera)

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266 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Magnesio sérico (otoño)

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Magnesio sérico (primavera)

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267XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Cobre sérico (primavera)

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Cobre sérico (otoño)

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268 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

CAMBIOS ELECTROLÍTICOS ASOCIADOS A LA ADICIÓN DE PREBIÓTICOS EN TERNEROS DE CEBO EN FASE DE CRECIMIENTO.

ELECTROLYTE CHANGES IN RELATION TO ADDITION TO PREBIOTICS IN BEEF CALVES

Hernández J1; Pereira V1; Méndez J 3;; López Alonso M1 ; Vazquez Chas, P1 Miranda M2.; Benedito JL 1; Castillo C 1

1 Dpto. Patoloxia Animal. Facultad de Veterinaria de Lugo. Universidad de Santiago de Compostela. España. Telef: 00-982252303.2 Dpto. Ciencias Clínicas Veterinarias. Facultad de Veterinaria de Lugo. Universidad de Santiago de Compostela. España. Telef: 00-982252303.

3 Cooperativas Orensanas (COREN) SCL. Orense. España.

ResumenLa próxima prohibición del uso de promotores del crecimiento tipo antibióticos hace necesario buscar alternativas seguras y fiables, entre las cuales está el empleo de malato, y del cual se desconocen los efectos in vivo. Para profundizar en su estudio, hemos utilizado 18 terneros, divididos en tres grupos, uno control sin aditivo, y los otros monensina y malato, para ver la posible influencia de estos prebióticos sobre parámetros electrolíticos como son el Na, K, Cl y bicarbonato, piezas importantes la homeostasis del medio interno. Se obtuvieron seis muestras de sangre diferidas en el tiempo. De los resultados obtenidos destaca que el grupo más estable es el control, con cambios solo en el cloro, mientras que los terneros del lote malato presentan cambios en los restantes tres elementos. Particularmente interesante es estudiar las relaciones entre parámetros según grupos, ya que observamos que solo en el grupo monensina no existe una correlación significativa entre bicarbonato y cloro, lo cual hace pensar que existe una sobreproducción de aniones no medibles en este lote, manteniéndose por este mecanismo la carga aniónica del medio interno.

IntroduccionEl mantenimiento del equilibrio ácido-básico es una prioridad del ser vivo, ya que garantiza su supervivencia. Para poder llevar a cabo este control homeostático, se deben poner en marcha unos fenómenos compensadores relacionados con los distintos sistemas tampones, valorando de forma rutinaria al pH, bicarbonato y pCo

2. Sin embargo, hoy en día ya se manejan mas parámetros que los anteriormente

citados, debido a la posible pérdida de información de derivaría de su uso. Desde que Hasselbach modificó la ecuación clásica propuesta por Henderson hasta nuestros días, hemos asistido a una profunda renovación del concepto del equilibrio ácido-básico, pues se han ido incorporando nuevos componentes que permiten obtener una visión más práctica del estado del medio interno. En este contexto, y muy relacionado con el pH , incluimos el principio de electroneutralidad, que nos dice que el total de cationes en el organismo debe de ser igual al total de aniones, constituyendo al diferencia entre ambos la Ganancia aniónica. Y como ambos grupos con diferente carga pueden ser subdivididos en medibles y no medibles, pero teniendo en cuenta que más del 95 % de cationes son medibles, es lógico pensar que las variaciones importantes vendrán de la mano de los aniones.Dado que la presencia de ellos depende, entre otros factores, del tipo de alimento ingerido, y que hoy en día, en explotaciones de terneros de cebo se utilizan promotores del crecimiento, hemos querido estudiar que influencia van a tener aquellos sobre parámetros seleccionados. Entre los prebióticos, se ha utilizado mucho la monensina, perteneciente al grupo de antibióticos ionóforos. Pero la nueva política comunitaria ha decidido la prohibición de este tipo de sustancias a partir de finales de 2002, por lo que se han propuesto alternativas a su uso, en concreto una de ellas es el ácido málico, el cual ha sido evaluado in vitro, pero no en vivo.

Material y métodosPara el presente experimento hemos utilizado 18 terneros de cebo, cruce de Azul belga con Frison, con edades comprendidas entre 3 meses y 6 meses. Todos ellos han pasado la correspondiente cuarentena sanitaria, y han sido subdivididos en tres grupos:-Grupo Control: Constituidos por 5 animales- Grupo problema Monensina: Constituido por 5 animales- Grupo problema Malato: Constituido por 8 animales. El grupo Control no ha recibido ningún tipo de aditivo, por lo que la cantidad de fibra bruta incorporada en la ración ha sido superior (7,5%) al recibido por los grupos problema (5%), con objeto de evitar el riesgo de Acidosis ruminales. Se realizaron seis muestreos en granja, correspondientes a las toma 0 (antes de incorporar el aditivo), toma 1 (a los tres días posincorporación promotor), y a partir de aquí a los 7 días (toma 3), 21 días (toma 4), 46 (toma 5) y 56 días (toma 6) de la incorporación del mismo.La medición sodio, potasio, bicarbonato y cloro fue realizada sobre muestras obtenidas por venoclisis de la vena yugular, en sangre entera, y realizadas con un gasómetro portátil marca I-STAT, de Abbott Laboratorios® La Ganancia aniónica fue calculada mediante la fórmula: GAP= (Na+ +K+) – (CO3H- + Cl -) (Constable, 2000)El análisis estadístico fue una Análisis de Varianza de una vía, comparando las medias para una p< 0,05 , efectuando también un análisis de correlación entre parámetros por lotes. Todas las pruebas se realizaron en el paquete estadístico SPSS 11.5 para Windows.

ResultadosLos estadísticos descriptivos de la Ganancia Aniónica (media ± error típico) vienen expresados en la tabla 1

269XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Toma Control Monensina Malato Nivel Significación

123456

13,120 ±1,26411,640±1,264

12,980± 1,26414,480± 1,264

14,140±1,26418,240± 1,264

14,920±0,87814,800±0,87813,820±0,87813,480±0,87812,760±0,87813,220±0,878

14,763±0,62712,263±0,62712,925±0,62713,400±0,62714,925±0,62716,500±0,627

0,3060,0680,2360,3900,1790,018

La correlaciones vienes expresadas en las tablas 2, 3 y

270 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DiscusiónLa ganancia aniónica es una buen a herramienta como estimación del valor de aniones no medibles presentes en el plasma, ya que pese a estar calculada en base a las modificaciones de cationes y aniones medibles y no medibles, los cambios derivan, como norma general, de las modificaciones en las moléculas de carga negativas. Los valores medios obtenidos en nuestro estudio son inferiores a las cifras reseñadas por Constable de 18, 1 (2000) , y dentro del amplio rango sugerido por Bailey (1998), en todos los grupos a excepción de la última toma y en el lote control. La disminución en los valores de la ganancia aniónica sugiere, por tanto, que en todo el período los animales a excepción de esa toma va a haber una sobreproducción de aniones. Durante todo el experimento asistimos a una evolución parecida entre los tres grupos, observando una elevación de los niveles en la última toma, en especial en el caso del grupo Control, mayor y diferente a los dos grupos. Aparentemente, los dos prebióticos utilizados sirven para frenar la producción de aniones no medibles, por lo que no se hace necesario incrementar las concentraciones de bicarbonato en sangre. Todo sugiere que, tomando como punto de referencia el rumen y la dieta con baja cantidad de fibra, como es nuestro caso, no se van a apreciar grandes cambios a nivel del pH ruminal, previniendo asi la aparición de lactoacidosis, lo cual sería esperable con dietas ricas en carbohidratos no estructurales (Hernández, 2002). Y en el lote Control, parece evidente que asistimos a una disminución en la cantidad de aniones medibles, los cuales teóricamente serán utilizados para contrarrestar el incremento de los no medibles.Para conocer si los cambios entre aniones van a estar condicionadas por aumento en los medibles, con variaciones proporcionales en ambos, o bien un aumento en los no medibles, nos planteamos establecer correlaciones entre todos los parámetros determinado, ya que existen profundos lazos fisiológicos entre ellos. Hemos de corroborar si se cumple el principio de electroneutralidad, establecido por Siggaard- Andersen en 1960, el cual permite discernir si en el individuo los cambios aniónicos se producen por una utilización de las bases o una eliminación de la mismas, lo cual denotará diferentes situaciones en el individuo.Asi, en los resultados obtenidos, se aprecia como que existe una relación negativa entre bicarbonato y cloro en el caso del malato, lo cual señala hacia una eliminación del cloruro buscando incrementar las reservas de bicarbonato, con el fin de neutralizar las sobreproducciones de aniones no medibles (grupos ácidos) (Bailey, 98), situación no observada en el resto de los grupos. El control se convierte en el grupo más estable, sin correlaciones significativas, encontrando en el grupo de monensina relaciones positivas entre bicarbonato y el sodio, lo cual puede indicar una estimulación de la salivación, pese a ser de raciones de baja fibra, para evitar problemas de acidosis ruminales, y por tanto, de lactacidosis y situaciones de acidosis metabólicas (Hernández, 2002).BibliografíaBailey, J. and Pablo, L. (1998). Practical approach to acid-base disorders. Advances in Fluid and Electrolyte Disorders vol 28 (3): 645-662.Constable P(2000). Clinical assessment of the Acid-Base Status: Comparison of the Henderson-Hasselbalch and Strong Ion Approaches. Veterinary Clinical Pathology , Vol. 29(4): 115-128.Constable, P. (2002). Calculation of variables describing plasma non-volatile weak acids for use in the strong ion approach to acid-base balance in cattle. American Journal of Veterinary Research, vol. 63 (4): 482-490.Hernandez, J.(2002). Lactacidosis ruminal en terneros de cebo. Congreso de la Sociedad Española de medicina Interna Veterinaria. León.This work was support by the Xunta de Galicia (Spain), grant nº 2002/CG320. Victor Pereira was the recipient of a research fellowship (FPU) from Ministerio de Educación y Ciencia. (España).

271XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

INFLUENZA DELLA TECNICA DI ALLEVAMENTO SUGLI ASPETTI QUANTI-QUALITATIVI DELLA PRODUZIONE DI LATTE NEGLI OVINI

Laudadio V. & Dario C.

Dipartimento Di Sanità E Benessere - Università Degli Studi Di Bari Strada Provinciale per Casamassima Km 3, 70010 VALENZANO ITALIA

Tel: 003980 5443916 ; Fax: 003980 5443925 – E-mail: [email protected]

RiassuntoPer valutare l’influenza della tecnica di allevamento (pascolo vs stabulazione permanente) sulla produzione quanti-qualitativa di latte negli ovini, è stata condotta una prova della durata di 18 settimane (febbraio-giugno), su 30 pecore di razza Comisana e 30 di razza Leccese, suddivise in due gruppi omogenei per razza, ordine ed epoca di parto e rilievi preliminari di produzione di latte. Il primo gruppo veniva condotto al pascolo, mentre il secondo gruppo era allocato in un recinto di 250m2 ed alimentato con una miscela unifeed.Le pecore di razza Comisana, rispetto alle pecore di razza Leccese, hanno prodotto una quantità di latte significativamente maggiore (118,3 vs 77,6 kg) con un minor contenuto in proteina (5,38 vs 5,74%) e grasso (7,04 vs 8,07%); le pecore al pascolo, rispetto a quelle a stabulazione permanente, hanno prodotto una maggior quantità di latte (110,9 vs 84,9 kg ) con un minor contenuto di grasso (7,31 vs 7,79%) e di proteina (5,46 vs 5,66%).L’ìnterazione razza x sistema di allevamento non ha influenzato in maniera significativa nessuno dei parametri considerati.

IntroduzioneNegli ultimi anni il graduale passaggio dell’allevamento ovino, tradizionalmente estensivo, ad un sistema intensivo ha subito un notevole impulso determinato soprattutto dall’esigenza da parte degli allevatori di incrementare la redditività delle greggi (Bufano e Dario, 1997; Bufano e coll. 1998) nonché dalla difficoltà crescente di reperire manodopera. Questa condizione sta determinando effetti deleteri nelle zone dedite da sempre alla pastorizia come le aree marginali della Murgia barese. Non bisogna dimenticare che le pratiche di allevamento tradizionalmente utilizzate in questa zona sono state nel tempo adattate alle caratteristiche stagionali e pedo-climatiche del territorio. Accoppiamenti in primavera e conseguenti parti in autunno, per esempio, scaturiti dalla necessità di assicurare all’animale pascoli copiosi hanno consentito di ottenere un incremento quantitativo di latte, dotato di caratteristiche qualitative ed organolettiche del tutto peculiari, ritrovabili, secondo alcuni AA, peraltro nel prodotto trasformato.In questi ultimi anni la necessità etica di soddisfare il benessere degli animali allevati ha assunto una crescente importanza per cui l’Unione Europea si è prodigata ad incentivare metodi alternativi, meno invasivi e più tradizionali di allevamento animale.Da questo è scaturita una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica e politica verso tematiche riguardanti il rispetto del benessere animale e dell’ecologia ambientale, spesso ciò ha determinato un atteggiamento avverso e discriminante nei confronti di tutte le recenti acquisizioni tecnico-scientifiche aventi come finalità l’incremento delle produzioni zootecniche e conseguentemente il reddito degli allevatori. In particolare, l’attuale ostilità verso gli allevamenti intensivi con esaltazione invece di quelli estensivi risulta spesso colma di preconcetti.A tale proposito resta infatti ancora da dimostrare che i prodotti ottenuti da animali provenienti da allevamenti estensivi siano di qualità superiore e che l’allevamento intensivo non sia eco-compatibile (Russo e coll.., 2000) o precluda a priori il benessere degli animali.Il presente lavoro ha inteso valutare l’influenza della tecnica di allevamento (pascolo vs stabulazione permanente) e quello della razza sulla produzione quanti- qualitativa di latte negli ovini.

Materiale e MetodiE’ stata condotta una prova della durata di 18 settimane (febbraio-giugno) di cui 2 preliminari e 16 sperimentali, su 30 pecore di razza Comisana e 30 di razza Leccese, in un’azienda zootecnica sita in agro di Altamura (Bari). Le pecore oggetto della sperimentazione a 30 giorni di distanza dal parto sono state suddivise in due gruppi omogenei per razza, ordine ed epoca di parto e rilievi preliminari di produzione di latte.Il primo gruppo (Pascolo) veniva condotto quotidianamente al pascolo su cotico erboso naturale e la sera al rientro all’ovile riceveva una miscela unifeed in ragione di 0,5 kg di sostanza secca per capo/die, mentre il secondo gruppo (Stabulato) veniva immesso quotidianamente in un recinto di 250m2 provvisto di tettoie, mangiatoie ed abbeveratoi ed alimentato esclusivamente con la miscela unifeed in ragione di 2,5 kg di s.s. nei primi 60 giorni di lattazione e quindi, considerando le diminuite necessità per la minore produzione, kg 2,0 per il restante periodo della prova. Durante la notte, le pecore di entrambi i gruppi sperimentali a confronto erano ricoverate in un ovile in muratura.La composizione chimica percentuale della miscela unifeed, determinata secondo le norme A.S.P.A. (1980), è riportata nella tabella 1.Ad intervalli di 14 giorni è stata valutata, per ciascun soggetto, la quantità di latte prodotto nelle due mungiture giornaliere e ad ogni due controlli quantitativi, sono stati prelevati, dalla mungitura della mattina e della sera, campioni individuali di latte. Per ogni campione sono stati determinati il contenuto in proteina, grasso e lattosio, mediante apparecchiatura Milko-scan 255, ed il contenuto in cellule somatiche mediante apparecchiatura Fossomatic 250 della Foss-electric.

272 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Ad inizio e fine prova è stato infine rilevato il peso di tutti i soggetti in prova.I risultati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi di varianza usando la procedura GLM del SAS, utilizzando il seguente modello:

Yijkm

= μ + Ti + R

j + L

k + (TR)

ij + (TRL)

ijk +ε

ijkm

dove: Y

ijkm =osservazione sperimentale;

μ = media generale;T

i = effetto dovuto al i-esimo sistema di allevamento (i = 1, 2);

R i = effetto dovuto alla j-ma razza (j = 1, 2);

Lk = effetto dovuto al k-mo ordine di lattazione (k = 1,…3);

TR iJ = effetto dovuto alla interazione sistema di allevamento x razza;

TRLijk

= effetto dovuto alla interazione sistema di allevamento x la razza x ordine di lattazione;ε

ijkm = effetto dovuto all’errore casuale.

Le medie stimate sono state confrontate mediante il test T value con l’opzione PDIFF del GLM (SAS, 1990).

Risultati e discussioneIndipendentemente dalla razza, le produzioni di latte delle pecore portate al pascolo risultano significativamente superiori (P≤0.01) a quelle registrate per i soggetti allevati a stabulazione permanente (872,1g vs 667,5g).Dall’analisi dei dati riportati nella tabella 3 emerge chiaramente in entrambe le razze ovine considerate una maggiore produzione, per le pecore al pascolo rispetto a quelle e tale differenza in termini percentuali è risultata pari al 25% per le pecore Comisane (1023,1g vs 814,5g ) e al 38% per le Leccesi (721,1g vs 520,6g) a dimostrazione di una peggiore adattabilità di quest’ultima alla stabulazione permanente. Anche le quantità medie di latte corretto al 6,5% in grasso delle pecore portate al pascolo risultano significativamente superiori (P≤0.01) a quelle registrate per i soggetti allevati a stabulazione permanente (904,3g vs 757,4g) con differenze nell’ambito di ciascuna razza, attribuibili alla tecnica di allevamento, comunque inferiori a quelle registrate per il latte prodotto. Infatti per la razza Comisana la riduzione nella produzione media di latte standard nelle pecore stabulate risulta pari al 22% (1039,62g vs 854,84g) mentre per le pecore di razza Leccese tale riduzione corrisponde al 30% (768,9g vs 590,7g) e tale risultato è attribuibile al maggior tenore in grasso del latte registrato per le pecore stabulate rispetto a quelle al pascolo (7,77% vs 7,29%).L’andamento delle produzioni medie di latte e di latte standard nel corso della lattazione per le due razze in funzione delle due diverse condizioni sperimentali è riportato nei grafici 1 e 2.Il latte delle pecore di razza Leccese risulta più ricco in grasso rispetto a quello delle Comisana (8,09% vs 7,7&) e, mentre il tipo di allevamento non sembra influenzare il tenore in grasso del latte nelle pecore di razza Comisana (6,92% per le pecore al pascolo vs 7,23% per le pecore stabulate), è possibile cogliere una differenza statisticamente significativa (P≤0,01) tra quello presente nel latte delle pecore di razza Leccese portate al pascolo (7,80%) e quelle allevate a stabulazione (8,38%). L’andamento del contenuto in grasso delle due razze in funzione delle due diverse condizioni sperimentali è riportato nel grafico 3.Il contenuto proteico del latte delle pecore di razza Leccese risulta più elevato rispetto a quello delle Comisana (5,75% vs 5,37%), con una influenza statisticamente significativa del tipo di allevamento sia nelle pecore di razza Comisana (5,26% per le pecore al pascolo vs 5,49% per le pecore tabulate, P ≤0,01) che per quelle di razza Leccese (5,69% per le pecore al pascolo vs 5,81% per le pecore stabulate, P ≤0,05). L’andamento del contenuto in proteina delle due razze in funzione delle due diverse tecniche di allevamento è riportato nel grafico 3. I valori di grasso e proteina registrati per le Comisana al pascolo sono risultate più bassi di quelli riportati da Giaccone e coll. (1992), Dario e Bufano (1992), Laudario e coll. (1999).Il latte delle pecore portate al pascolo ha fatto registrare un tendenziale aumento del contenuto percentuale in lattosio (5,01% vs 4,95%) così come il latte delle pecore di razza Leccese rispetto a quello delle pecore di razza Comisana (5,02% vs 4,95%). Andando ad esaminare nell’ambito della razza, l’influenza della tecnica di allevamento sul contenuto in percentuale di lattosio nel latte, nel caso delle pecore di razza Comisana i valori registrati sono risultati statisticamente significativi (5,00% per le pecore al pascolo vs 4,90% per le pecore stabulate, P≤0,05).Le pecore condotte al pascolo hanno fatto registrare un contenuto in cellule somatiche tendenzialmente inferiore rispetto a quello registrato per le pecore mantenute a stabulazione (720.000 vs 852.000) e comunque le differenze osservate non mostrano alcuna significatività. Nel corso della sperimentazione le pecore condotte al pascolo hanno fatto registrare un incremento medio di peso di circa il 5,7% rispetto al 6,8% misurato per le pecore a stabulazione permanente mentre tra le due razze a confronto, sono state le pecore Leccesi, indipendentemente dalla tecnica di allevamento utilizzate quelle che hanno fatto registrare un maggior incremento di peso nel corso della sperimentazione (6,6% vs 5,9%). L’andamento dei pesi vivi nel corso della sperimentazione per le due razze in funzione delle due diverse tecniche di allevamento è riportato nel grafico 4.

ConclusioniI risultati ottenuti dalla presente indagine permettono di trarre le seguenti considerazioni conclusive:- Il sistema di allevamento influenza la produzione lattea, sia quantitativa che qualitativa. In particolare il pascolamento ha esercitato un’influenza positiva, per l’annata presa in considerazione, sulle quantità di latte, mentre la stabulazione sul contenuto percentuale in grasso ed in proteina. - Delle due razze prese in considerazione, è la Leccese a sfruttare al meglio le potenzialità del pascolo, infatti l’incremento produttivo di latte di questa razza è risultato pari al 38% contro il 25% riscontrato per la pecora Comisana, ciò è dovuto probabilmente alla maggior rusticità e al fatto che essendo la Leccese razza autoctona pugliese risulta meglio adattata alle condizioni pedo-climatiche del territorio.

273XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

BibliografiaA.S.P.A. (1980)- Valutazione degli alimenti di interesse zootecnico. 1. Analisi chimica. Zoot. Nutr. Anim., VI, 1, 19-34.Bufano G., Dario C. (1997) La adaptalidad del ganado ovino a la estabulacion permanente: primeras experiencias sobre la raza Leccese – Proceed. XXII Jornad. Y 1° Intern. De la Soc. Esp. De Ovinotecnia y Caprinotecnia, 257-264;BUFANO G., DARIO C., LAUDADIO V. (1998) The adaptability of sheep to permanent stabling. Note II: first investigation on Comisana breed – Proceed. 8th World Conf. On Animal Prod., Vol. I, 920-921;DARIO C., BUFANO G. (1992) La qualità del latte di alcune razze ovine allevate sulla Murgia Barese – Il Latte, 897-901;Giaccone P., Portolano B., Bonanno A., Alabiso M. (1992) Aspetti quanti-qualitativi della produzione del latte in pecore di razza Comisana, Atti XLVI SISVet 1813-1817;Laudadio v., Ciruzzi B., Zezza l., marsico g., (1999)- quanti-qualitative aspects of milk yield in Comisana ewes permanent stabling reared.-Atti 26th World Veterinari Congress (Lyon, France) 23-26/09/1999;Russo V., Bertoni G., Franchini A., Costa N., Pulina G. e Valfrè F. Quaderni Assalzoo.Convegno di Verona 21-22/6/2000;SAS (1990)- Statistics guide version 6. Ed. SAS Inst. N.C. USA.

Tabella 1 - Composizione percentuale della miscela unifeedFieno di avena 25,00Mais macinato 15,00Cruschello di grano duro 15,00Soia f.e. 15,00Girasole f.e. 7,50Farinaccio di grano duro 5,00Mais semola glutinata 5,00Buccette di soia 5,00Mais distillers 3,50Calcio carbonato (da rocce calciche macinate) 2,00Idrogeno fosfato di calcio 1,20Sodio cloruro 0,40Integratore vitaminico-minerale* 0,40

totale 100,00

Apporti per kg di miscela unifeed: Vitamina A (16.000 UI); D3 (3.200 UI); E (16 mg); B

1 (10 mg); B

2 (6 mg); B

6 (2,4

mg); B12

(0,01 mg); PP (26 mg); Acido pantotenico (8 mg); Colina cloruro (160 mg); Co (0,6 mg); Fe (80 mg); I (2 mg); Mn (48 mg); Se (0,08 mg) e Zn (120 mg).

Tabella 2 - Caratteristiche chimiche e nutritive della miscela unifeed (% s.s., media ± d.s.)Umidità 12,27 ± 0,48Proteina Grezza 18,52 ± 0,35Fibra Grezza 13,62 ± 0,78Estratto Etereo 3,17 ± 0,29Ceneri 8,49 ± 0,24Estrattivi Inazotati 56,20 ± 0,34N.D.F. 32,31 ± 0,98A.D.F. 17,25 ± 0,79A.D.L. 3,81 ± 0,39A.I.A. 0,61 ± 0,26N.D.S. 67,69 ± 0,98Emicellulose 15,06 ± 0,42Cellulosa 12,83 ± 0,24UFL n°/kg S.S. 0,89 ± 0,04

Tabella 3 – Produzione media e composizione chimica del latte nell’intera prova.

COMISANA LECCESEPascolo Stabulazione e.s. Pascolo Stabulazione e.s.

Latte g/d 1023,11A 814,46B 37,29 721,07B 520,58C 35,58

Latte standard g/d 1039,62A 854,84B 39,65 768,92B 590,66C 37,82

Grasso % 6,92A 7,23A 0,14 7,80B 8,38 C 0,13

Proteina % 5,26A 5,49B 0,04 5,69aC 5,81bbC 0,04

Lattosio % 5,00a 4,90Ab 0,03 5,07B 4,95 0,03

CCSx1000 n° 754 863 103 648 839 98

a, b,c :P ≤0.05, A, B, C: P ≤ 0,01

274 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Grafico 1: Andamento della produzione di latte ai vari controlli (g/

d). Grafico 2: Andamento della produzione di latte standard ai vari controlli (g/

d).

Grafico 3: Andamento del contenuto in grasso del latte ai vari controlli (%).

Grafico 4: Andamento del contenuto in proteina del latte ai vari controlli (%).

Grafico 5: Andamento dei pesi vivi nel corso della sperimentazione (kg)

275XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

EFFETTO DELL’ INTEGRAZIONE CON VITAMINE ED OLIGO-ELEMENTI SULLA PRODUZIONE QUANTI-QUALITATIVA DI LATTE IN PECORE AL PASCOLO

Laudadio V., Petrera F., Ciruzzi. B.

Dipartimento Di Sanità E Benessere - Università Degli Studi Di Bari

RiassuntoPer valutare gli effetti dell’integrazione con vitamine ed oligoelementi sulla produzione quanti-qualitativa di latte in pecore al pascolo, è stata condotta una prova della durata di 14 settimane (marzo-giugno), su 50 pecore di razza “Valle del Belice”. Le pecore, dopo l’allontanamento dell’agnello dalla madre, sono state suddivise in 2 gruppi omogenei. A tutti i soggetti in prova, oltre al pascolo, venivano somministrati 300 grammi/capo/giorno di un mangime sperimentale, identico per i due gruppi tranne che per l’ aggiunta, in uno di essi, di un integratore vitaminico-minerale, il quale apportava: Vitamina A (12000 UI); D

3 (2400 UI); E (12 mg); B

1 (7,5 mg); B

2 (4,5 mg); B

6 (1,8 mg); B

12 (0,0075 mg); PP (19,5 mg); Acido

pantotenico (6 mg); Colina cloruro (120 mg); Co (0,45 mg); Fe (60 mg); I (1,5 mg); Mn (36 mg); Se (0,06 mg) e Zn (90 mg).L’integrazione del mangime sperimentale con vitamine ed oligo-elementi ha determinato un incremento medio tendenziale della produzione giornaliera di latte (1,31 vs 1,23 kg), mentre per le produzioni di latte corretto al 6,5% in grasso, le differenze tra i due gruppi a confronto sono risultate statisticamente significative (1,40 vs 1,28 kg; P≤0,05) a causa del maggior contenuto in grasso nel latte dei soggetti che ricevevano il mangime integrato (7,46 vs 7,29%). Sul contenuto in proteina, lattosio e cellule somatiche del latte, nonché sulle caratteristiche di coagulazione del latte, il trattamento alimentare non ha comportato differenze degne di nota. L’aggiunta di un integratore vitaminico-minerale nell’alimentazione della pecora da latte condotta al pascolo ha comportato, nel complesso, un tendenziale vantaggio produttivo in termini di quantità di latte prodotto e di contenuto in proteina e grasso.

IntroduzioneNelle pecore da latte condotte al pascolo, i foraggi verdi rappresentano una fonte alimentare di notevole importanza sia per gli apporti in β-carotene ed in α-tocoferolo, che in micro-elementi (Aitken e Hankin, 1970; Underwood, 1981; Bondi e Sklan, 1984; McDowell, 1989). Il contenuto dei foraggi in questi micro-nutrienti essenziali, varia notevolmente in funzione di vari fattori, quali la famiglia, la specie, la varietà e lo stadio di maturità della pianta (Burridge, 1970; Jumba e coll., 1995), le condizioni climatiche, la stagione (Kappel, 1985; Ramirez e coll., 2001) e la composizione del terreno (Wilson, 1981; Fraser, 1984; Kabata-Pendias e Pendias, 1992; Jumba e coll., 1995). A causa di questa variabilità, si rende necessario, in condizioni di pascolo carente in vitamine ed oligoelementi, ricorrere ad un’adeguata integrazione. Mancano in Bibliografia lavori relativi al contenuto in vitamine ed oligo-elementi dei pascoli del Mezzogiorno d’Italia. Pertanto lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare l’influenza dell’aggiunta di un integratore vitaminico-minerale sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione di latte in pecore al pascolo.

Materiali e metodiLa prova è stata condotta su 50 pecore di razza “Valle del Belice”, in un’azienda di Laterza (Ta), a partire dall’allontanamento dell’agnello dalla madre, avvenuto intorno al 40° giorno circa dopo il parto, per una durata complessiva di 14 settimane (marzo-giugno). Gli animali sono stati suddivisi in due gruppi omogenei (A e B) di 25 soggetti ciascuno, scelti sulla base dell’ordine di lattazione, del peso vivo e dei rilievi preliminari di produzione di latte.Tutti i soggetti in prova venivano condotti quotidianamente al pascolo su prato naturale ed al rientro serale all’ovile, prima della mungitura, ricevevano 300gr/capo/giorno di un mangime sperimentale pellettato, preparato secondo le indicazioni suggerite da Sierra (1992), Rossi e coll. (1991) e Pulina e coll. (1992). Al gruppo A veniva somministrato il mangime privo di integrazione vitaminico-minerale, mentre al gruppo B lo stesso mangime, ma con l’aggiunta dell’1% di un integratore vitaminico-minerale, specifico per ovini, il quale apportava per capo/giorno: Vitamina A (12000 UI); D

3 (2400 UI); E (12

mg); B1 (7,5 mg); B

2 (4,5 mg); B

6 (1,8 mg); B

12 (0,0075 mg); PP (19,5 mg); Acido pantotenico (6 mg); Colina cloruro (120

mg); Co (0,45 mg); Fe (60 mg); I (1,5 mg); Mn (36 mg); Se (0,06 mg) e Zn (90 mg).Nelle giornate piovose, frequenti nel mese di aprile, in cui gli animali restavano nell’ovile, essi ricevevano fieno di veccia-avena di buona qualità unitamente al mangime sperimentale. Le analisi chimiche del pascolo sono state effettuate su 3 diversi campioni rappresentativi, raccolti all’inizio, a metà ed alla fine della prova stessa e, ciascuno di essi, proveniva dallo sfalcio di 5 aree di saggio di 1 mq ciascuna. La composizione chimica percentuale dei vari alimenti utilizzati nel corso della sperimentazione, determinata secondo le norme ASPA (1980), è riportata nella tabella 1.Al fine di verificare il contenuto reale in vitamine del mangime con l’aggiunta dell’integratore, è stato inviato un campione al Centro di Vitaminologia del Dipartimento di Biochimica dell’Università di Bologna (Centro di riferimento Nazionale per il dosaggio delle vitamine presenti nei mangimi).

276 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 1:Composizione chimica percentuale degli alimenti ( s.s., media ± d.s.)

CostituentiMangime

sperimentale*

PascoloFieno di

veccia-avenaInizio prova

Metà Prova

FineProva

Umidità 12,27 ± 0,48 74,21 ± 0,85 71,02 ± 0,43 60,51 ± 1,26 11,64 ± 0,59Proteina Grezza 18,52 ± 0,35 16,63 ± 1,11 16,99 ± 0,48 15,30 ± 1,03 11,58 ± 0,38

Fibra Grezza 13,62 ± 0,78 24,80 ± 0,83 25,21 ± 0,54 24,30 ± 5,80 33,43 ± 0,84Estratto Etereo 3,17 ± 0,29 2,20 ± 0,38 1,91 ± 0,36 2,19 ± 0,13 2,85 ± 0,05

Ceneri 8,49 ± 0,24 6,87 ± 0,71 5,80 ± 0,39 6,13 ± 0,47 11,08 ± 0,17Estrattivi inazotati 56,20 ± 0,34 49,50 ± 0,24 50,09 ± 1,21 52,08 ± 5,57 41,06 ± 0,67

N.D.F. 32,31 ± 0,98 36,50 ± 1,63 36,37 ± 0,85 37,47 ± 1,16 54,49 ± 1,13A.D.F. 17,25 ± 0,79 26,53 ± 0,53 27,43 ± 0,60 28,22 ± 0,72 40,85 ± 1,53A.D.L. 3,81± 0,39 2,06 ± 0,25 2,25 ± 0,15 2,31 ± 0,18 7,21 ± 0,12A.I.A. 0,61± 0,26 1,10 ± 0,12 1,13 ± 0,09 1,10 ± 0,12 0,70 ± 0,14

N.D.S. 67,69 ± 0,98 63,50 ± 1,63 63,63 ± 0,85 62,53 ± 1,16 45,51 ± 1,13Emicellulose 15,06 ± 0,42 9,96 ± 1,09 8,94 ± 1,40 9,25 ± 0,45 13,64 ± 2,61

Cellulosa 12,83 ± 0,24 23,37 ± 0,27 24,06 ± 0,79 24,80 ± 0,44 32,94 ± 1,49*Componenti del mangime sperimentale: Cruschello di grano duro, Erba medica disidratata, Mais, Orzo, Soia f.e., Girasole f.e., Buccette di Soia, Mais distillers, Melasso di canna, Calcio carbonato (da rocce calciche macinate), Idrogeno fosfato di calcio, Sodio cloruro, Premix vitaminico-minerale solo per il gruppo B.

I rilievi riguardanti la produzione quantitativa di latte sono stati eseguiti ogni 14 giorni, pesando il latte della mungitura del mattino e quello della sera di tutti i soggetti in prova, mentre i rilievi di tipo qualitativo sono stati eseguiti ogni 28 giorni e prevedevano il prelievo di un campione individuale di latte rappresentativo delle due mungiture giornaliere. Sui campioni individuali medi giornalieri di latte sono state eseguite le analisi relative al contenuto percentuale in proteine, grasso, lattosio ed al numero delle cellule somatiche, mediante apparecchiature tipo Milkoscan 255 e Fossomatic 250 della Foss-Electric.Inoltre, su tutti i campioni di latte dei soggetti in prova prelevati al secondo ed all’ultimo controllo, si è proceduto alla valutazione dell’attitudine alla coagulazione, mediante il Formagraph, per determinare il tempo di coagulazione in minuti (r), i valori di consistenza del coagulo a 30’ (A

30) e la velocità di formazione del coagulo (K

20).

I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi di varianza con il metodo dei minimi quadrati, utilizzando il seguente modello monofattoriale: Y

ij = μ + α

i +ε

ij dove:

Yij =osservazione sperimentale; μ = media generale; α

i = effetto dovuto all’ integrazione con vitamine ed oligo-elementi (i =

1, 2); εij = effetto dovuto all’errore casuale.

Le differenze tra le medie stimate sono state valutate statisticamente con il “t” di Student (SAS, 1990).

Risultati e discussioneL’analisi del contenuto in vitamine del mangime integrato ha evidenziato una buona corrispondenza tra il contenuto analitico riscontrato e quello teorico calcolato.Mettendo a confronto le produzioni medie di latte dei due gruppi (tabella 2), i soggetti del gruppo B hanno fatto registrare una produzione media superiore del 6,5% rispetto alle pecore del gruppo A (1310,0 vs 1230,0 g). Osservando invece l’andamento delle produzioni di latte dei due gruppi nel corso della sperimentazione (grafico 1), il vantaggio produttivo riscontrato per i soggetti del gruppo B è andato progressivamente crescendo nel corso della lattazione, fino a raggiungere validità statistica (P≤0,05) al 6° ed al 7° controllo.Per le produzioni di latte corretto al 6,5% di grasso, le differenze tra i due gruppi sono risultate statisticamente significative (P≤0,05), grazie al maggior contenuto in grasso nel latte dei soggetti che ricevevano il mangime integrato, con un incremento medio di circa il 9% nelle pecore del gruppo B (tabella 2). Mettendo a confronto l’andamento della produzione di latte standard tra i due gruppi nel corso della prova (grafico 2), si possono notare delle differenze tra i valori medi registrati ai vari controlli, già a partire dal 2° controllo, che aumentano con il progredire della sperimentazione, raggiungendo una validità statistica (P≤ 0,05) al 4°, 6° e 7° controllo. Tabella 2: Quantità di latte prodotto, contenuto medio in grasso, proteina, lattosio, cellule somatiche e parametri latto-dinamografici

Gruppo A Gruppo BErrore

standardProduzione di latte (g/die) 1230,00 1310,00 37,54Produzione di latte standard (g/die) 1277,95 a 1395,97 b 0,040Grasso (%) 7,29 7,46 0,079Proteina (%) 5,49 5,56 0,042Lattosio (%) 4,85 4,84 0,06CCS (n° x 1000) 662,37 597,45 104,23

Velocità di formazione del coagulo r (min) Inizio prova 14,49 14,70 0,61Fine prova 19,59 19,00 0,99

Tempo di formazione del coagulo K20

(min) Inizio prova 1,39 1,35 0,057Fine prova 1,38 1,44 0,088

Consistenza del coagulo a 30’A30

(mm).Inizio prova 56,14 53,50 1,64Fine prova 50,72 45,88 2,77

Gruppo A: senza integrazione; Gruppo B: con integrazione. a, b: p ≤0.05

277XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

**

400

800

1200

1600

2000

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8°

Controllo

* P 0,05

Gruppo A

Gruppo B

*

**

400

800

1200

1600

2000

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8°

Controllo

* P 0,05

Gruppo A

Gruppo B

.

*

6.5

7

7.5

8

8.5

1° 2° 3° 4°*p 0.05

Controllo

Gruppo A

Gruppo B

1° 2° 3° 4°

Gruppo A

Gruppo B

1° 2° 3° 4°

Gruppo A

Gruppo B

**

400

800

1200

1600

2000

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8°

Controllo

* P 0,05

Gruppo A

Gruppo B

*

**

400

800

1200

1600

2000

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8°

Controllo

* P 0,05

Gruppo A

Gruppo B

Grafico 1:Andamento della produzione di latte ai vari controlli (g).

Gruppo A: senza integrazione; Gruppo B: con integrazione.

Grafico 2: Andamento della produzione di latte standard ai vari controlli (g).

Grafico 3: Andamento della produzione di grasso ai vari controlli (%).

Grafico 4: Andamento della produzione di proteina ai vari controlli (%).

Grafico 5: Andamento della produzione di lattosio ai vari controlli (%).

278 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Per quanto concerne gli aspetti qualitativi delle produzioni, sia il contenuto medio in grasso che in proteina del latte dei soggetti del gruppo B è risultato tendenzialmente maggiore rispetto a quelli del gruppo A, mentre quello in lattosio ed in cellule somatiche è risultato grosso modo sovrapponibile tra le due tesi sperimentali a confronto (tabella 2, grafici 3, 4 e 5).Andando a valutare i risultati relativi alle caratteristiche trombo-elastografiche del latte dei due gruppi a confronto (tabella 2), i valori tabulati mostrano che il trattamento alimentare non ha influito sulla velocità di formazione del coagulo (r), sul tempo richiesto per la formazione del coagulo (K

20) ed infine sulla consistenza del coagulo (A

30).

ConclusioniSulla base dei risultati della nostra ricerca e nelle nostre condizioni sperimentali, si può affermare che nell’alimentazione della pecora da latte condotta al pascolo, l’aggiunta di un integratore vitaminico-minerale ha comportato, nel complesso, un tendenziale vantaggio produttivo in termini di quantità di latte prodotto e di contenuto in proteina ed in grasso.

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279XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

RAPID DETECTION OF Mycobacterium Tuberculosis Complex AND Mycobacterium Avium Complex, IN BOVINE BIOLOGICAL SAMPLES BY NESTED REAL-TIME PCR

Sistema rapido per la ricerca di Mycobacterium tubercolosis complex, e Mycobacterium avium complex in campioni biologici bovini tramite nested PCR real-time

Liciardi Manuele1, Crobeddu Susanna1, Solinas Fabio1, Piras Vincenzo2, Orru’ Germano2*.

1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dpt. Cagliari.2 Università degli studi di Cagliari, Dipartimento di Chirurgia e Scienze Odontostomatologiche

* Corresponding author :Germano Orrù , mailing address: O.B.L. (Oral Biotechnology Laboratory). Dipartimento di Scienze

Odontostomatologiche, Universita’ degli Studi di Cagliari, Via Binaghi n°4, 09121 Cagliari-Italy. Phone: 0039 070 537418. Fax: 0039 070 537416 E-mail: [email protected]

AbstractIn the eradication program for bovine tuberculosis, a definitive diagnosis depends on the isolation of Mycobacterium spp. However, in some cases bacterial culture is unsuccessful. The purpose of this study it was to determine by nested real-time PCR, the presence of Mycobacterium tuberculosis complex (MTC) or Mycobacterium avium complex (MAC) in bovine biological samples (lymph nodal tissue or nasal swabs).In this study we used: i) a first PCR amplification of 471 bp of 16S rRNA gene, common in Mycobacterium spp., (ii) subsequent 117 bp amplification, with MTC/MAC differentiation, by hybridisation probes in real-time PCR. The method showed high sensitivity (as few as ten genome copies of Mycobacteria DNA/sample were detected) and hight specificity (100%), by reconstruction experiment. The nested real-time PCR tests successfully identified a Mycobacterial infection (MTC) in 1 of 6 bovine in nasal swabs, (the bovine positive showed negative tuberculin test). This assay can be completed in one day, it is highly suitable for large-scale use in a clinical laboratory.

Keywords: Mycobacterium avium complex, Mycobacterium tuberculosis complex, real time PCR. 1. IntroduzioneNella tubercolosi bovina, l’esame microbiologico di conferma alla prova di intradermoreazione positiva, effettuato mediante sistemi tradizionali colturali risulta spesso eccessivamente lungo ( 1-2 settimane). Scopo di questo lavoro è di determinare tramite una metodica molecolare innovativa (nested PCR real-time) la presenza di Mycobacterium tuberculosis complex (MTC) o Mycobacterium avium complex (MAC) in campioni biologici di origine bovina ( tessuto linfonodale o tamponi nasali) in tempi brevi e con elevata specificità/sensibilità. Una prova preliminare su campo effettuata in una serie di 10 prelievi ( provenienti dallo stesso allevamento) sia su animali in vita ( 6 tamponi nasali , 3 puntati di linfonodi prescapolari) che su animali macellati (1 linfonodo mediastinico già positivo all’esame colturale ) ha permesso di identificare positività per MTC in un tampone nasale bovino che risultava negativo al test della tubercolina e nel linfondo mediastinico . L’esame di laboratorio e’ stato effettuato in un giorno; il metodo ha mostrato elevata sensibilità, (tale da rilevare 10 copie di DNA Micobatterio /campione ) e una specificità pari al 100% .

2. Materiali e Metodi

2.1 Ceppi di riferimento : Per valutare la specificità e la sensibilità del metodo, sono stati utilizzati: (MAC) Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis DMSZ 44133 e (MTC) Mycobacterium bovis subsp. bovis, DMSZ 43990 provenienti dalla DMSZ 44175 , Deutsche Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen GmbH (German Collection of Microorganisms and Cell Cultures). I ceppi sono stati sospesi in soluzione fisiologica sterile fino ad una torbidità pari a 0,5 McFarland. 400 μl di ciascuna sospensione sono stati utilizzati per l’estrazione del DNA.

2.2 Prelievo dei campioni patologici: Il lavoro ha interessato un allevamento bovino da latte di razza frisona nel sud Sardegna. In tale allevamento era stato riscontrato, nell’ambito dei piani di controllo della tubercolosi bovina, un alto numero di animali positivi all’intradermoreazione con tubercolina. La presenza del focolaio di tubercolosi era stata confermata dopo la macellazione con i successivi esami anatomo isto-patologici, batterioscopici e colturali. Linfonodo mediastinico: e’ stato prelevato durante la visita ispettiva su un capo bovino regolarmente macellato in quanto positivo alla prova dell’intradermoreazione. Ai fini dell’esame molecolare e’ stato utilizzato un frammento interessato da evidenti lesioni anatomo patologiche riferibili a tubercolosi; sono stati utilizzati per l’estrazione del DNA 30 mg del campione previa omogeneizzazione in soluzione fisologica tramite “stomacher”. Puntati linfonodali: provenivano da linfonodi prescapolari di 3 animali, 2 positivi alla prova tubercolinica, 1 negativo che tuttavia presentava un evidente stato di magrezza; 0,4 ml del campione sono stati utilizzati per l’estrazione del DNA. Tamponi nasali: prelevati da 3 bovini , 2 positivi alla prova tubercolinica, 1 negativo corrispondente allo stesso capo descritto precedentemente per i puntati linfonodali. Ciascun tampone introdotto profondamente in ogni narice è stato ruotato più volte prima di essere deposto in una provetta sterile contenente 0,4 ml di soluzione fisiologica.

280 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

2.3 Esame microscopico Ciascun campione clinico e’ stato sottoposto ad esame microscopico per acido-resistenti, mediante il metodo Ziehl-Neelsen mediaante la procedura di Somoskovi (Somoskovi et al., 2001).

2.4 Estrazione del DNA:E’ stato utilizzato il metodo di vanEmden (Bunschoten et al., 1998) partendo da 0,4 ml di campione; l’estratto sospeso in 20 μl di tampone (Tris HCl pH 8.00) è stato conservato a - 20°C fino alla PCR.

2.5 Nested PCR real-timeE’ una metodica molecolare che permette di: (i) rilevare Micobacterium spp. nei campioni partendo dal DNA estratto, (ii) determinare se il ceppo identificato appartenga a Mycobacterium tuberculosis complex MTC o Mycobacterium avium complex MAC.

Principio. La procedura si compone di due fasi: I° PCR, un frammento del gene per l’rRNA 16S specifico per Mycobacterium spp., viene amplificato migliaia volte mediante: (a) un enzima (Taq polimerasi); (b) due corti segmenti di DNA (Primer) che delimitano il frammento bersaglio nel genoma batterico. II° PCR real time: il prodotto di amplificazione ottenuto con la prima reazione è utilizzato per un secondo ciclo di PCR dove viene aggiunta alla soluzione di reazione una sonda fluorescente chiamata “Hybridization probe”, capace di legare il DNA bersaglio; un frammento della sonda possiede un fluorocromo capace di trasferire energia, l’altro presenta un secondo fluorocromo, che se eccitato dal primo emette luce. La fluorescenza è rilevata solo se entrambi i frammenti si sono legati al DNA bersaglio durante la reazione di PCR (figura 1, 2a). Il processo viene eseguito in un’apparecchiatura ( LightCycler,Roche) che rileva la fluorescenza emessa dalla sonda e provvede, dopo la reazione di amplificazione a riscaldare la miscela da 35 a 95°C a velocità costante ( figura 2b). In queste condizioni esiste una temperatura (T

m) alla quale il 50% delle sonde si stacca dal DNA bersaglio, questo evento

viene registrato dal computer come una curva dove il picco rappresenta la Tm (figura 2c). La T

m dipende dalle variazioni

nucleotidiche presenti lungo il frammento legato dalla sonda. (Wittwer 2001) Nel nostro caso il MAC differisce dal MTC per la differenza di 1 sola base nucleotidica ( Timina nel primo Citosina nel secondo, figura 2d), per questo motivo il MTC viene rilevato ad una T

m pari a 67° C mentre Il MAC a 62 °C (figura 2c, figura 3).

3. Risultati e Conclusioni La Nested PCR real time richiede 30 minuti, nelle prove eseguite con i ceppi di riferimento ha mostrato una sensibilità di 10 cellule Micobatteri/campione e una differenza nelle temperature di melting ( T

ms) pari a 5°C ( Figura 3).

Dei 10 campioni selezionati, 1 era un linfonodo mediastinico proveniente da animale regolarmente macellato e positivo all’ intradermoreazione, il campione rilevava MTC con la metodica descritta ( figura 4). 9 campioni appartenevano a 3 bovini analizzati in vita, di cui 2 positivi alla reazione di intradermoreazione, mentre 1 risultava negativo. Quest’ultimo ( Ziehl-Neelsen debolmente positivo , circa 20 bastincelli acido resistenti in 300 campi) presentava in PCR real time un picco di Tm nel tampone nasale sn pari a 67°C tipico del gruppo MTC. (Tabella I). I risultati preliminari ottenuti mettono in rilievo: (a) l’esame indiretto ( intradermoreazione) non è sempre sufficiente a confermare una tubercolosi bovina in atto, (b) la metodica da noi proposta potrebbe rappresentare un valido supporto diagnostico per la conferma di infezione tubercolare considerando i tempi ridotti per ottenere il risultato. La Nested PCR real time richiede 30 minuti, ha mostrato una sensibilità di 10 cellule Micobatteri/campione.

4. Bibliografia

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281XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti ��

Fig.1 Schema della real time PCR

282 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

��

Fig. 2 . Funzionamento della sonda Hybridization probe

283XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti ��

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Fig. 4. Risultato ottenuto con il linfonodo mediastinico--- Controllo negativo--- Controllo positivo--- Linfonodo

Fig. 3. Risultato ottenuto con i ceppi di riferimento.---(MTC) Mycobacterium bovis subsp. bovis.---(MAC) Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis

284 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tab. I. Prospetto dei risultati ottenuti con i bovini analizzati in vita.

Bovino Campione Intradermoreazione Real time PCR MAC MTC

Tampone nasale dx1 Tampone nasale dx Positiva negativo negativo

Puntato linfonodale negativo negativonegativo negativo

Tampone nasale dx negativo negativo2 Tampone nasale dx Positiva negativo negativo

Puntato linfonodale negativo negativonegativo negativo

Tampone nasale dx negativo negativo3 Tampone nasale dx Negativa negativo Positivo

Puntato linfonodale negativo negativo

285XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

CADMIUM AND LEAD ACCUMULATION IN BEEF AND DAIRY CATTLE IN NW SPAIN

M. López Alonso1, F. Prieto Montaña2, P García Partida3 , M. Miranda4, C. Castillo1, J. Hernández1, J. L. Benedito1

1Universidade de Santiago de Compostela, Dept. Patoloxía Anima. Fac. Veterinaria, Lugo (Spain)2Universidad de León, Dept. Medicina Veterinaria, Fac. Veterinaria, León ( Spain)

3Universidad Complutense de Madrid, Dept. Patología Animal I. Fac. Veterinaria, Madrid (Spain)4Universidade de Santiago de Compostela, Dept. Ciencias Clínicas Veterinarias, Fac. Veterinaria, Lugo (Spain)

AbstractThis study investigated if differences in the nutritional management, linked to feed composition and feed intake, can determine differences in toxic metal accumulation between beef and dairy cattle in NW Spain. Cadmium and lead concentrations were determined in the liver, kidney and muscle of 57 cows (3-16 years old) by Inductively Coupled Plasma Optical Emission Spectroscopy (ICP-OES). Dairy cattle accumulated significantly higher cadmium and lead residues in the liver (geometric means: 51.6 and 43.7 μg/kg fresh weight respectively) than beef cattle (35.7 and 14.7 μg/kg fresh). In the kidney and muscle, cadmium and lead residues were similar in dairy and beef cattle (cadmium: 194 (kidney) and 8.12 (muscle) μg/kg for dairy cattle and 186 and 7.71 μg/kg for beef cattle; lead: 17.3 and 14.2 μg/kg for dairy cattle and 16.5 and 13.2 μg/kg for beef cattle). The higher metal accumulation in the liver of dairy cattle could be associated not only with a higher metal intake through the diet, but also to a higher hepatic metabolism, associated with milk production.

IntroductionIndustrial and agricultural processes have resulted in the release of many toxic metals in the environment, although relatively high concentrations can also occur naturally. In terms of potential adverse effects on human and animal health, cadmium and lead are amongst the elements that have cause most concern. This is because they are readily transferred through food-chains and are not known to serve any essential biological function. (Friberg et al., 1979). Subletal exposure to these elements can result in adverse effects on a variety of physiological and biochemical processes (Bires et al., 1995). Toxic metal accumulation in livestock, and therefore human exposure from animal products, is affected by many factors; such as age, gender, interaction between essential and toxic elements and especially, diet (Goyer, 1995). In relation to diet, differences in food composition, linkage to the production system and feed consumption, as related to the energy needs, can affect toxic metal accumulation in animal tissues. Animals with increased metabolic activity, as high productive dairy cattle or intensive fattening beef cattle, are frequently supplemented with concentrates, which can contain certain proteins and mineral components with considerable amounts of toxic metals (Salisbury et al, 1991; Linden et al, 1999). A high feed consumption in response to an elevated energy need implies a risk of higher metal exposure and of accumulation in the body (Olsson et al, 2001). The North –West of Spain is mainly an agricultural region where cattle production (the most important form of agriculture) comprises approximately 25% of the bovine production for the whole country (MAPA, 2001). Although most of cattle are reared in traditional farms, that means animals graze or predominantly feed on locally grown fodder, here are important differences in terms of nutritional management between beef and dairy farms that can affect toxic metal accumulation in animal tissues. Whereas beef cattle graze outdoors on pasture throughout the year, dairy cattle, with a higher energy need, in addition to graze, receive corn silage and concentrates indoors. The objective of this study was to investigate if differences in the nutritional management between beef and dairy cattle in NW Spain can determine differences in toxic metal accumulation in the animal tissues.

Material and methodsSamples were collected from cows raised in the Leon Province (latitude 42-43º N, longitude 4º50’-6º35’ W), NW Spain. Samples of beef cattle were collected in farms consisting of pure breed Brown Swiss, grazing outdoors all the year only receiving additional hay and silage cut from the local fields in winter. The selected dairy farms consisted of pure breed Holstein Friesian; in these farms cattle graze outdoors during the day, but receive corn silage and concentrates made basically from locally grown fodder. Roughage was given ad libitum, and the concentrate ration was calculated according to the milk production, but never more than 50 % of the roughage DM.From October 2000 to July 2001, samples from animals (n=57) from these two types of farms were collected at the slaughterhouses of the Leon Province. Information on the age, precise origin, and husbandry history of the animals was obtained from the farm documentation. Samples were only taken from healthy animals. The age of the animals ranged from 3 to 16 years and the mean of age was very similar in both groups of animals (beef cattle: 7.06±3.83, dairy cattle: 6.52±2.89). Half a kidney, approximately 200 g of liver from the lobus caudatus and diaphragm were collected and immediately frozen at –20 ºC until analysed. For the liver and the muscle, approximately 2 g subsamples were excised from semi-thawed tissues and digested in 5 ml of concentrated nitric acid (Suprapur grade) and 2 ml 30% w/v hydrogen peroxide in a microwave digestion system (Milestone, Ethos Plus). The kidney samples were homogenised previously to digestion. Digested samples were transferred to polypropylene sample tubes and diluted to 25 ml with ultrapure water. Metal concentrations in the digest were determined by ICP-OES (Perkin Elmer Optima 4300 DV).An analytical quality control programme was employed during the study. Blank absorbance values were monitored throughout the survey and were subtracted from the readings before the results were calculated. The limit of detection in the acid digest was set at three times the standard deviation of the reagent blanks. The limits of detection, expressed as a concentration in the tissue, calculated on the basis of the mean sample weight/ volume analysed, were 12.9 and 22.0 μg/kg for cadmium and lead respectively. Analytical recoveries, determined from a certified reference material (pig kidney CRM

286 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

186, BCR Reference Materials) in 12 samples were 90.28 and 98.19% for cadmium and lead respectively. For statistical purposes, non-detectable concentrations were assigned a value of half the detection limit. One way Analysis of Variance (SPSS 10.0 for Windows) was used to test for differences in tissue metal concentrations between beef and dairy cattle. Data were log-transformed before analysis to meet the underlying assumptions of the ANOVA. Average values for the data are, therefore, given as geometric means.

Results Cadmium concentrations in the body tissues of cattle in this study varied between non-detected and 1388 μg/kg fresh weight (Table 1). Concentrations were significantly higher in the kidney than in the liver and residues in both were greater than the low levels in the muscle, where a high percentage of samples (78-87.5 %) had non-detected cadmium residues. Dairy cattle showed higher cadmium residues than beef cattle in all the tissues (Table 1) although differences were only statistically significant in the liver (51.6 and 35.7 μg/kg fresh weight in dairy and beef cattle respectively). Dairy cows showed a statistically significant lower renal cadmium/hepatic cadmium ratio compared with beef cattle (3.82±0.48 and 5.22±1.90 respectively, P<0.05).Tissue lead residues in cattle in this study ranged from non-detected to 234 μg/kg fresh weight (Table 2). The liver was the only tissue that showed appreciable lead residues, dairy cattle having 3 times higher lead concentrations than beef cattle (43.7 and 14.7 μg/kg fresh weight respectively, P<0.001). In the other tissues analysed, lead residues were very low and most samples (62.5-81.2%) were below the limit of detection in both groups of animals.

DiscussionCadmium and lead levels in cattle in this study were low and, in general, similar to those found in the tissues of cattle from relatively unpolluted rural areas, both in NW Spain and in other countries (López ALonso et al, 2000).Dairy cattle accumulated significantly higher levels of cadmium and lead in the liver than beef cattle. If we take into account that cattle in this study are from a relatively unpolluted agricultural region and are fed mainly in local products, it is probable that most of the metal exposure occurs through the diet (Friberg et al., 1979). Without feed or manure analysis it is not possible to determine if dairy cattle have a higher exposure to toxic metals through the diet as compare to beef cattle, although, differences in the nutritional management (linked to feed composition and feed intake) could support this hypothesis. It has been demonstrated that certain proteins and mineral components of concentrates can contain considerable amounts of toxic metals (Salisbury et al., 1991; Jorhem et al, 1991), and even constituting a small proportion of the feed they can contribute a major part of the total toxic metal content in the feed (Linden et al, 1999). Thus, in this study beef cattle, receiving a diet based essentially on pasture, probably have a lower toxic metal intake compared with dairy cattle, that in addition to pasture receive important supplementation with corn silage and concentrates. However, if a higher dietary exposure was the only reason of the higher cadmium and lead accumulation in the liver of dairy cattle, it would be expected that differences in metal accumulation between dairy and beef cattle would also occur in the kidney, the organ that accumulate the highest residues in animals exposed to elevated concentrations of these metals (Vreman et al, 1988; Kottferová and Koréneková, 1995). This is specially relevant for cadmium, a metal that in a chronic exposure to low dietary dosages over time progressively accumulates in the liver, but mainly in the kidney (García Fernández et al, 1996; Scheuhammer, 1987).The higher cadmium accumulation in the liver of dairy cattle could be related, at least in part, to a higher hepatic metabolism, associated with milk production. In fact, the lower renal cadmium/hepatic cadmium ratio in dairy cattle, compared with beef cattle, indicates a higher importance of liver in the cadmium organic accumulation in this group of animals. Our results are in agreement with Olsson and co-workers (Olsson et al, 2001) who found that in dairy cows the production index, used as an indirect measure of the energy requirement and liver metabolism, is correlated with cadmium concentration in the liver but not in the kidney. These findings could reflect to the authors, a higher metabolic activity and blood flow through the liver, associated with milk production, that may lead to a higher uptake of cadmium from the blood into the liver.The significantly higher lead accumulation in the liver of dairy cattle in this study could also be related to milk production. Calcium is probably the most important nutritional factor affecting lead accumulation (Goyer, 1995). In experimental animals, dietary calcium intake below requirements has been shown to greatly increase blood and soft tissue levels of lead (Goyer, 1995; Quarterman, 1987); this is because calcium, and paralleling lead, gut absorption and specially bone reabsorption are increased. At early stages of lactation in dairy cattle, dietary calcium is frequently below requirements, originating a high mineral turnover from the bone (Lappeteläinen et al, 1993) that could be responsible for a significant lead mobilisation from this tissue, the major storage compartment accounting for more than 90% of the total lead body loan (Quarterman, 1987; National Research Council, 1980). As previously indicated, the higher blood flow and metabolic activity of the dairy cattle liver could contribute to the significantly higher accumulation of lead in this tissue as compared to the kidney. Cadmium and lead concentrations in the muscle of cattle in this study were very low and no differences were found between beef and dairy cattle. The muscle tissue has a very low capacity for metal accumulation and it has been demonstrated that increased dietary concentrations of toxic metals did not result in significantly higher concentrations in this tissue (Vreman et al, 1988; Kottferová and Koréneková, 1995).

ConclusionsIn this study, dairy cattle accumulated significantly higher residues of cadmium and lead in the liver compared with beef cattle. These differences in metal accumulation could be associated not only with a higher metal intake through the diet, but also to a higher hepatic metabolism, associated with milk production. New studies are needed to evaluate the importance of the liver as main target organ for metal accumulation in animals with a high hepatic metabolism activity,

287XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

especially in polluted areas when this offal is used for human consumption.

ReferencesBires J, Dianovsky J, Bartko P et al: Effects on enzymes and the genetic apparatus of sheep after administration of samples from industrial emissions. BioMetals 8:53-58, 1995.Friberg L, Nordberg G F, Vouk V B: Handbook on the Toxicology of Metals. 1st ed. Elsevier, Amsterdam, 1979.García-Fernández AJ, Sánchez-García JA, Gómez-Zapata M et al: Distribution of cadmium in blood and tissues of wild birds. Arch Environ Contam Toxicol 30:252-258, 1996.Goyer RA: Factors influencing metal toxicity. In Goyer RA, Klaassen CD, Waalkes MP eds: Metal toxicology. Academic Press, San Diego: 31-45, 1995.Jorhem L, Slorach S, Sundström B et al: Lead, cadmium, arsenic and mercury in meat, liver and kidney of Swedish pigs and cattle in 1984-88. Food Addit Contam 8:201-212, 1991.Kottferová J, Koréneková B: The effect of emissions on heavy metals concentrations in cattle from the area of an industrial plant in Slovakia. Arch Environ Contam Toxicol 29:400-405, 1995.Lappeteläinen R, Lappeteläinen E, Hassinen T et al: Biochemical indicators of bone metabolic activity in bovine periparturient hypocalcemia. J Vet Med 40:67-72, 1993.Linden A, Olsson IM, Oskarsson A: Cadmium levels in feed components and kidneys of growing/finishing pigs. J AOAC Int 82: 1288-1297, 1999.López Alonso M, Benedito JL, Miranda M et al: Arsenic, cadmium, lead, copper and zinc in cattle from Galicia, NW Spain. Sci Total Environ 246:237-248, 2000MAPA (Ministry of Agriculture, Fish and Food). Available from: http://neptuno.net/dage/dage8.html, 1996.National Research Council: Mineral tolerance of domestic animals. National Academy of Sciences, Washinton:256-275, 1980.Olsson IM, Jonsson S, Oskarsson A: Cadmium and zinc in kidney, liver, muscle and mammary tissue from dairy cows in conventional and organic farming. J. Environ. Monit 3:531-538, 2001.Quarterman J: Lead. In Mertz W: Trace elements in human and animal nutrition. Academic Press, INC: 298-317, 1986.Salisbury CDC, Chan W, Saschenbrecker PW: Multielement concentrations in liver and kidney tissues from five species of Canadian slaugher animals. J Assoc Off Anal Chem 74:587-591, 1991.Scheuhammer AM: The chronic toxicity of aluminium, cadmium, mercury and lead in birds: A review. Environ Pollut 46:263-295, 1987.Vreman K, van der Veen NG, van der Molen EJ et al: Transfer of cadmium, lead mercury and arsenic from feed into tissues of fattening bulls: chemical and pathological data. Neth J Agri Sci 36:327-338, 1988.

Table 1. Cadmium in the liver, kidney and muscle, expressed as μg/kg fresh weight, in dairy and beef cattle.

Dairy cattle Beef cattle

N (< l.d.) GM (range) N (< l.d.) GM (range)

Liver 39 51.6 **(23.6-265) 16 35.7

(17.0-187)

Kidney 36 194(29.8-866) 16 186

(42.3-1388)

Muscle 41 (32) 8.12(ND-29.6) 16 (14) 7.71

(ND-36.3)N: number of samples; (< l.d.): number of samples below the limit of detection; GM: Geometric mean; ND: non detected. ** indicate significant differences between dairy and beef cattle at P<0.01.

Table 2. Lead in the liver, kidney and muscle, expressed as μg/kg fresh weight in dairy and beef cattle.

Dairy cattle Beef cattle

N (< l.d.) GM (range) N (< l.d.) GM (range)

Liver 39 (8) 43.7 ***(ND-234) 16 (13) 14.7

(ND-71.9)

Kidney 36 (24) 17.3(ND-106) 16(10) 16.5

(ND-43.9)

Muscle 41 (31) 14.2(ND-48.5) 16 (13) 13.2

(ND-34.3)

N: number of samples; (< l.d.): number of samples below the limit of detection; GM: Geometric mean; ND: non detected. ** indicate significant differences between dairy and beef cattle at P<0.001.

288 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

PRATICHE DI ALIMENTAZIONE NELL’ALLEVAMENTO CAPRINO ESTENSIVO MEDITERRANEO

Marongiu M. L.(1), Santucci P. M.(2), Branca A.(3), Bomboi G.(1), Floris B.(1)

(1) Dipartimento di Biologia Animale, Sassari(2) INRA-SAD LRDE Corti

(3) Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna. Olmedo Sassari

RiassuntoVennero studiati gli effetti dell’apporto alimentare invernale in 4 allevamenti estensivi di capre da latte in Corsica (20 animali per azienda). Vennero controllati i livelli plasmatici di NEFA, glucosio e urea, nonché lo stato corporeo degli animali (BCS) attorno al parto (in media giorni -13, +10, +26). L’integrazione al pascolo (fieno di medica e mais in granella) iniziò circa 10 giorni prima del parto e terminò a fine aprile. L’apporto (g/die/testa) fu molto variabile da un allevamento all’altro (300g di fieno e 300-900g di concentrati). Il BCS delle capre diminuì nei periodi pre-partum e partum; in seguito si riprese 26 giorni post-partum a prescindere dalla quantità di alimento somministrato. I NEFA confermarono l’andamento della condizione corporea. I livelli di glucosio e di urea sono sembrati in relazione con la qualità degli alimenti. Viene riportata una riflessione sull’evoluzione delle pratiche di alimentazione sulla base di un indice di complementazione che sintetizzi la durata e l’intensità dell’apporto alimentare.

IntroduzioneL’allevamento estensivo dei caprini è tuttora il sistema prevalente nelle aree mediterranee. Queste zone, dove la macchia rappresenta la vegetazione dominante, si caratterizzano per periodi molto siccitosi; perciò gli animali devono affrontare squilibri nutrizionali che possono causare un marcato calo quanti-qualitativo della produzione lattea ed improvvise variazioni della condizione corporea (Branca e Casu, 1989). In queste condizioni la valutazione del Body Condition Score (BCS) e del profilo metabolico potrebbero dare un valido aiuto per la gestione alimentare dell’allevamento. Scopo di questa nota è di stabilire un primo approccio ai benefici pratici che può dare la valutazione del BCS e di alcuni parametri ematici strettamente associati al metabolismo nel periodo del parto (novembre) in capre al pascolo nella macchia con integrazione alimentare in azienda. Il lavoro s’inquadra in un accordo di collaborazione tra Corsica e Sardegna, volto a produrre informazioni sulle tecniche di integrazione ed una base di riflessione per attuare un programma di miglioramento delle pratiche di integrazione nell’allevamento caprino estensivo del Mediterraneo.

Materiale e metodiLa prova, che iniziò a fine Ottobre e si concluse a fine Maggio, ebbe luogo in 4 aziende della Corsica. Gli allevamenti si basavano sul pascolo naturale ed erano simili per la razza degli animali (Corsa), la localizzazione aziendale (media montagna) ed il tipo di pascolo: Tab. 1). Di notte, gli animali venivano rinchiusi nel caprile, senza poter accedere al cibo, ma venivano lasciati al pascolo per il resto del giorno. Le modalità dell’integrazione alimentare erano simili (distribuzione alla mangiatoia la mattina e la sera), ma la quantità e la qualità dell’integrazione differivano da un allevamento all’altro (Tab. 2). Per ogni allevamento furono scelti 20 animali in funzione dell’età (preferenzialmente 3/5 anni), della prolificità (1 solo capretto) e del loro stato sanitario.

Tab. n. 1 - Descrizione degli allevamenti caprini controllati

AziendaAltitudine

Tagliagregge

Terreno Aziendale

Tipo di pascolo

Tipo di integrazione Tipo di parto

1500 m s.l.m.

250Pascolo

DominanteMacchia

AltaFieno di medica

e mais

Parto principale a

Novembre

2450 ms.l.m.

130Pascolo e superficie in erba

Macchia basssa

MaisParto principale

a Novembre

3600 ms.l.m.

300Pascolo

EsclusivoMacchia

Alta

Fieno di graminacee e semi proteaginosi

(piselli)

Parto principale a

Novembre

4700 ms.l.m.

200Pascolo

EsclusivoMacchia

AltaMais

e fieno di medicaParto principale

a Novembre

All’inizio del ciclo di produzione (Novembre-Dicembre), che corrisponde al parto e all’inizio della lattazione, venne controllato lo stato nutrizionale degli animali. Inoltre, vennero registrate regolarmente le quantità di alimento che venivano distribuite nel caprile. Al fine di osservare la cinetica degli indicatori di lipomobilizzazione (NEFA) e del metabolismo glicidico e proteico (glucosio e urea), ciascun animale venne sottoposto a 3 prelievi ematici alla giugulare, in media secondo il calendario seguente: 13 giorni prima del parto; 10 e 26 giorni dopo il parto. Le scadenze vennero dettate dalle condizioni dell’allevamento (aziende private, omogeneità delle date di parto, stress degli animali, etc). Il prelievo veniva effettuato al mattino, con gli animali a digiuno

289XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

da almeno 9-10 ore, prima della loro uscita al pascolo. Allo scopo si utilizzavano provette sottovuoto tipo “vacutainer” con sodio eparina come anticoagulante. I campioni di sangue venivano centrifugati ed il relativo plasma conservato a -20°C per le successive analisi che vennero effettuate in una sola seduta. Le concentrazioni plasmatiche di NEFA, glucosio e urea vennero determinate per via enzimatico-colorimetrica con i comuni kit commerciali. La condizione corporea, che veniva controllata in occasione dei prelievi ematici, venne determinata secondo il metodo di Santucci e Maestrini (1985).

Tab. n. 2 – Modalità d’integrazione alimentare ripartite per azienda

Azienda Fieno Quantità Concentrato Quantità

1 Medica25/10 – 31/3 300 g Mais

25/10 – 30/4

25/10-12/4: 400 g12/4 – 25/4: 200 g25/4 – 30/4: 100 g

2 - - Mais25/10 – 30/4 400 g

3 Graminacee1/11 – 15/4 300 g Piselli

1/11 – 15/4 300 g

4 Medica25/10 – 20/4 300 g Mais

25/10 – 20/4 900 g

RisultatiPrima del parto, il BCS ha mostrato valori abbastanza discreti (superiori a 2.5) e relativamente simili nel confronto aziendale (l’All. 3 si discostava per valori più bassi, intorno a 2.25), e anche la sua evoluzione post-partum è risultata altrettanto comparabile (Fig. 1). Il calo di BCS constatato dopo il parto riflette il deficit energetico che si manifesta in questo periodo e che non venne compensato neppure dall’integrazione in azienda. Tuttavia, l’ampiezza delle variazioni all’interno di ciascun allevamento fu differente. Essa, infatti, apparve più marcata nelle capre che avevano presentato sin dall’inizio una migliore condizione corporea generale (All. 1 e 2). In seguito, i valori di BCS segnarono un leggero aumento, ad eccezione dell’All. 4, e questo malgrado un notevole apporto di concentrato. Infatti, le capre di questo allevamento ricevevano alla mangiatoia 900g di mais/animale/die. L’ipotesi più attendibile é che l’energia (principalmente amido), ingerita in un momento caratterizzato da notevoli cambiamenti metabolici (post-partum e principio della lattazione), sia stata deviata principalmente verso la produzione di latte anzichè verso la ricostituzione delle riserve corporee (Peel e Bauman, 1987). Tuttavia, non si può escludere che l’ingestione di questo eccesso di energia alimentare abbia influenzato negativamente il comportamento degli animali al pascolo (minore ingestione di foraggio). Anche la qualità dell’alimento ingerito (amido) potrebbe aver influito sui rapporti percentuali delle varie popolazioni microbiche ruminali e sulla loro attività, contrastando in tal modo una migliore utilizzazione del foraggio prelevato al pascolo. Naturalmente, é possibile anche una sommatoria delle cause appena enunciate. Negli altri allevamenti, il rapporto teorico “foraggio pascolato/concentrato somministrato” è stato nettamente favorevole al pascolo poichè si sa che, nelle stesse condizioni, la quantità di materia secca ingerita ogni giorno da una capra al pascolo si aggira grosso modo intorno ai 2 kg (Vertès, 1984). Il livello medio dei NEFA (Fig. 2) é stato di 0.50, 0.22, e 0.34 mmol/l, rispettivamente per il 1°, 2° e 3° rilievo. I valori più elevati, dunque, si collocano prima del parto e si accordano con i risultati già ottenuti nei caprini e nei bovini da latte (Hussain et al., 1996; Vazquez-Anon et al., 1994). Questa intensa lipolisi in un certo qual modo preannuncia il successivo calo del BCS. Questi valori si possono spiegare con un calo dell’ingestione alimentare nel periodo precedente il parto, e quindi con una intensa lipomobilizzazione in risposta ai fabbisogni del feto ormai a termine (Peel e Bauman, 1987), e con le richieste causate dall’imminente attività mammaria. Da quest’ultimo punto di vista, occorre ricordare che lo status endocrino di questa fase è dominato dalla somatotropina, il cui effetto principale é quello di elevare il livello di metaboliti nel sangue. I valori di NEFA più bassi, invece, sono stati osservati 10 giorni dopo il parto. Fa eccezione l’All. 1, evidentemente più pronto a rispondere alle sollecitazioni dell’attività mammaria. Sebbene, per ragioni organizzative, non abbiamo potuto eseguire rilievi al momento del parto, è plausibile ritenere che subito dopo il parto fosse già iniziato un certo recupero energetico da parte dell’animale. Infatti, nel 3° controllo, accanto ad un lieve incremento del BCS, si nota un leggero e generale incremento dei NEFA che si accorda con una crescente domanda energetica in funzione dell’attività mammaria. Il livello medio di glucosio é stato di 50.97, 58.50 e 54.79 mg/dl, rispettivamente per il 1°, 2° e 3° rilievo. Come mostra la Fig. 3, i valori non subirono variazioni di una certa importanza e non presentarono differenze notevoli fra gli allevamenti. Può essere interessante osservare come l’eccesso di carboidrati somministrati nell’All. 4 non si tradusse in un reale aumento della glicemia di questi animali. Poichè gli animali di questo allevamento furono gli unici a non manifestare un recupero del BCS dopo il parto, l’osservazione rafforza l’ipotesi che la notevole quota di carboidrati ingerita sia stata deviata essenzialmente verso la ghiandola mammaria. Il dato si accorda con quanto osservato in pecore in principio di lattazione alimentate con elevate quote di concentrati (Brown e Hogue, 1985), e si spiega col fatto che le capre, in questa fase, si trovavano in fase di bilancio energetico negativo, come dimostrato dal calo del BCS intorno al parto.

290 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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Figura n. 1. Evoluzione della nota corporea nei 4 allevamenti attorno al parto

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Figure n. 2-3 – Variazioni dei livelli ematici di NEFA e glucosio nei 4 allevamenti attorno al parto

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Figura n. 4 – Variazioni dei livelli ematici di urea nei 4 allevamenti attorno al parto

I valori medi dell’urea, utilizzati per valutare il metabolismo proteico, sono stati di 14.01, 13.55 e 22.70 mg/dl, rispettivamente per il 1°, 2° e 3° rilievo. La variazione riscontrata nel corso dell’ultimo controllo (Fig. 4) è principalmente da attribuire al notevole aumento manifestatosi nell’All.3. L’effetto della forte componente azotata nella razione giornaliera dopo il parto (300g di piselli/capra/die) è evidente. Il fenomeno era già stato osservato nel bovino e nella pecora (Manston et al., 1975; Cannas et al., 1998), ma anche negli stessi caprini, allevati in condizioni di esclusivo regime alimentare primaverile sulla macchia mediterranea (Cabiddu et al., 1999). Ricordiamo, però, che il livello di urea può essere correlato anche con l’energia assorbita. L’urea, infatti, può originare sia dal rumine che dal catabolismo epatico degli amminoacidi (ad esempio per la gluconeogenesi), e con entrambe le vie può influenzarne il livello ematico (Colin-Schoellen et al., 1998).I metaboliti ematici, così come determinati in questa ricerca, e allo stato attuale di elaborazione ed interpretazione dei dati, non hanno dato sufficienti informazioni sullo stato nutrizionale delle capre. Tutt’al più, essi ci permettono di osservare dei valori più elevati se comparati a condizioni di allevamento differenti (Rubino et al., 1991; Morand-Fehr et al., 1991). Il fatto si spiega con le notevoli differenze tra un prelievo e l’altro e con le condizioni sperimentali poco controllabili: animali non abituati alla presenza dell’uomo (stress) e sottoposti a regimi alimentari pascolativi molto diversi (ad esempio, il diverso tenore ligno-cellulosico). La messa in relazione con altri indicatori (composizione in acidi grassi del latte) permetterebbe senza dubbio di valorizzare meglio questi dati.

Discussione e conclusioni Nell’allevamento estensivo caprino, l’integrazione alimentare in azienda rappresenta una sorgente di importanti cambiamenti. Questa pratica, che viene giustificata essenzialmente da un parto contro stagione (e cioè da un’insufficiente offerta foraggera

291XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

dei pascoli all’inizio dell’inverno) rappresenta per la ricerca una fonte di interrogativi, soprattutto per via dei suoi riflessi sulla conduzione delle greggi, sul comportamento e sulle performances degli animali. Secondo gli allevatori l’acquisto di alimenti costituisce una voce di spesa “elevata ma necessaria”. Da un lato, le condizioni geografiche fanno sì che i fattori climatici (siccità e gelate), le costrizioni fisiche (scarsità di superfici piane) e strutturali (proprietà fondiaria), limitano le colture foraggere. Inoltre, nel periodo autunno/inverno è disponibile soltanto una vegetazione arbustiva poco varia (leccio, erica, citisi), la durata del pascolamento è relativamente breve (da 4 a 6 ore) e le femmine non si allontanano dal caprile fintanto che allattano i loro capretti. D’altro, l’apporto di alimento permette di liberarsi di alcuni compiti (diminuzione della sorveglianza, organizzazione del lavoro), di non correre certi rischi dell’alimentazione al pascolo e, soprattutto, di evitare che il livello della produzione lattea delle singole capre possa scendere troppo in basso. Attualmente, i ricavi permettono di coprire le spese per l’acquisto degli alimenti. In effetti, é l’aspetto economico che sembra guidare la riflessione sugli impatti dell’integrazione alimentare. Tenuto conto delle costrizioni e dei vantaggi (soprattutto con la vendita in azienda) da una parte, e della tendenza generale alla sedentarizzazione dell’allevamento pastorale dall’altra, la complementazione alimentare rappresenta ormai una pratica ben radicata anche nella conduzione delle aziende pastorali. Tuttavia, se lo si inserisce in una logica di allevamento pastorale (razze locali, legami con i luoghi, conoscenze locali, etc.) ma anche alle aspettative sociali (biodiversità, tipicità dei prodotti, beni ambientali), il significato della complementazione deve restare quello di un “complemento” ad una razione di risorse foraggere spontanee prelevate sul territorio. Di conseguenza, l’effetto di questa complementazione, sia sulle caratteristiche delle materie prime (e dunque sulla qualità dei prodotti) che sulle pratiche dell’allevatore, si deve collocare in un ordine di grandezza che non deve alterare i fondamenti dell’allevamento pastorale. Inoltre, una quantificazione di questa complementazione che renda conto dell’”alimento” aggiunto, potrebbe essere utile, soprattutto nel quadro dei punti rilevanti della “tracciabilità” o più globalmente dell’eco-certificazione. In quest’ottica il prodotto, dato dalla durata dell’apporto x la copertura dei fabbisogni in UFL, rapportato alla durata del ciclo di produzione (DA x CF/CP), da noi definito “indice di complementazione” (Ic), costituisce un primo approccio alla questione. Si può anche ipotizzare che l’Ic, riferito ad una scala ancora da definire, possa essere utilizzato in un regolamento tecnico che contribuisca a qualificare l’allevamento pastorale odierno. A titolo di esempio, nella nostra prova, l’Ic è apparso molto variabile negli allevamenti corsi, collocandosi a 51 per l’Allevamento 4, a 27 per l’Allevamento 1, a 21 per l’Allevamento 2 e 22 per l’Allevamento 3. Queste informazioni permettono di posizionare gli allevamenti in rapporto all’”alimento” aggiunto e mettono in evidenza la differenza degli apporti alimentari. Al di fuori degli effetti diretti descritti in precedenza, si pone la questione dell’assistenza tecnica all’allevatore, vista sotto svariati aspetti: tipo di integrazione alimentare (natura e combinazione delle sorgenti energetiche e azotate), riferimento all’alimentazione su pascolo in termini di efficienza alimentare, ma anche in termini di gestione di questi ambienti con l’obiettivo dichiarato di controllo della vegetazione arbustiva, di pilotaggio dell’apporto alimentare e, dunque, delle interazioni tra i due tipi di razioni degli animali. Un certo numero di conoscenze sono già disponibili (Chabert et al., 2002). Alcuni lavori dimostrano, per esempio, che la complementazione sul pascolo nel corso della giornata, permette di stimolare l’appetito delle capre e, dunque, di aumentare i loro prelievi dalla vegetazione arbustiva (Meuret et al., 1995). In conclusione, questo lavoro, incentrato su un approccio dello stato nutrizionale delle capre in allevamento estensivo, conferma che la mobilizzazione delle riserve corporee nel periodo attorno al parto è inevitabile, malgrado il pascolo a volontà, bassi livelli produttivi e un discreto apporto alimentare al caprile. Da qui l’importanza di garantire un buon livello delle riserve corporee delle femmine prima del parto (BCS ideale >3). I metaboliti ematici sembrano poco utilizzabili per caratterizzare lo stato nutrizionale delle capre e questo si spiega in gran parte con le condizioni di sperimentazione (prelievi troppo distanziati nel tempo, situazioni non controllabili di stress degli animali). Questi valori, tuttavia, forniscono informazioni sulla cinetica del BCS e permettono di riferirsi ad altre situazioni d’allevamento per posizionarne gli ordini di grandezza. A questo riguardo, abbiamo constatato dei dati relativamente comparabili. Questo lavoro ci permette anche di confermare che l’allevamento pastorale attraversa una fase di cambiamenti legata alla sedentarizzazione con l’instaurazione dell’integrazione alimentare, pratica diffusasi inizialmente negli allevamenti ovini, e quindi adottata anche in quelli caprini. Gli apporti alimentari in azienda sono relativamente elevati e rinviano, nella situazione attuale, a questioni di disponibilità foraggera all’inizio dell’inverno (colture e/o prati permanenti), alla gestione dell’integrazione (gestione delle sorgenti energetiche e azotate), ma anche a delle scelte sulla data del parto più in sintonia con il ciclo vegetale, soprattutto nelle zone di montagna (Allevamenti 3 e 4). La complementazione alimentare «non ragionata» può costituire un fattore di rischio o di instabilità dell’allevamento pastorale quando essa può corrispondere per l’allevatore ad una soluzione di facilità, tanto più attraente quanto più i prodotti tipici di questo allevamento conoscono una notorietà sempre più grande. A questo riguardo, la riflessione su un indice di complementazione ci sembra necessariamente da affinare per contribuire a rendere possibile atti di certificazione dei prodotti e migliorare così gli allevamenti pastorali. In conclusione, il lavoro conferma che la mobilizzazione delle riserve corporee nel periodo attorno al parto è inevitabile, malgrado un pascolo a volontà, deboli livelli produttivi ed una discreta integrazione alimentare. Da qui l’importanza, per l’allevatore, di garantire un buon livello delle riserve corporee delle femmine prima del parto (BCS ideale >3). I metaboliti ematici sembrano poco utili per caratterizzare lo stato nutrizionale delle capre e questo si spiega in gran parte con le condizioni sperimentali (prelievi troppo distanziati nel tempo, situazioni non controllabili di stress degli animali). Questi valori forniscono tuttavia delle informazioni nel senso della cinetica del BCS e permettono di riferirsi ad altre situazioni d’allevamento per posizionarne gli ordini di grandezza. A questo riguardo, abbiamo constatato dei dati relativamente comparabili.

Bibliografia 1) Branca A., Casu S. (1989): Body condition score annual evolution and its relationships with body reserves in Sarda goat. In: Flamant

J.C., Morand-Fehr P. (Eds.), Symposium “Philoetios” «L’évaluation des ovins et des caprins méditerranéens» (23-25/09/1987), Fonte Boa, Santarem (Portugal). Rapport EUR 11893, OPOCE, Luxembourg, 221-236

292 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

2) Brown D.L., Hogue D.E. (1985): Effects of roughage level and physical form of diet on Finnsheep lactation. SID Res. Dig., 11-14

3) Cabiddu A., Branca A., Decandia M., Pes A., Santucci PM., Masoero F., Calamari L. (1999): Relationship between body condition score, metabolic profile, milk yield and milk composition in goats browsing a Mediterranean shrubland. Livest. Prod. Sci., 61, 267-273

4) Cannas A., Pes A., Mancuso R., Vodret B., Nudda A. (1998): Effect of dietary energy and protein concentration on the concentration of milk urea nitrogen in dairy ewes. J. Dairy Sci., 81, 499-508

5) Chabert J.P., Lécrivain E., Meuret M. (2002): Eleveurs et chercheurs face aux broussailles. In: Dossiers de l’Environnement «l’INRA face au développement durable. Repères pour le sommet de Johannesbourg. Dossier, 22, coord. Legrand P., Fraval A. Laurent C.

6) Colin-Schoellen O., Jurjanz S., Laurent F. (1998): Nitrogen supply and fermentescible nitrogen deficit in total mixed ratio for dairy cows: influence on milk yield and composition. Ren. Réch. Rum., 5, 222

7) Hussain Q., Havrevoll O., Eik L.O., Ropstad E. (1996): Effects of energy intake on plasma glucose, non-esterified fatty acids and acetoacetate concentration in pregnant goats. Small Rum. Res., 21, 89-96

8) Manston R., Russell A. M., Dew S. M., Payne J. M. (1975): The influence of dietary protein upon blood composition in dairy cows. The Vet. Rec., 96, 497-502

9) Meuret M., Bellon S., Guérin G., Hanus G. (1985): Faire pâturer sur parcours. Ren. Réch. Rum. 2, 27-36 10) Morand-Fehr P., Schmidely P., Hervieu J., Bas P. (1991): Evaluation de la teneur en lipides des chèvres laitières selon leur stade

physiologique par les notes d’etat corporel e des paramètres zootechiques et mètaboliques. Options Méditerranéennes (Séries Séminaires), 13, 69-76

11) Peel C. J., Bauman D. E. (1987): Somatotropin and lactation. J. Dairy Sci., 70, 474-486 12) Rubino R., Pizzillo M., Fedele V. (1991): Estimation de l’état corporel des chèvres élevées en systemes de type extensif. Options

Méditerranéennes Séries Séminaires), 13, 113-11613) Santucci P.M., Maestrini O. (1985): Body condition in extensive systems of production: method of estimation. Ann. de Zoot., 34,

473-474 (Abstr.)14) Vasquez-Anon M., Berticks S., Luck M, Grummer R.R., Pinheiro J. (1994): Peripartum liver triglyceride and plasma metabolites

in dairy cows. J. Dairy Sci., 77, 1521-1528 15) Vertès C. (1983): Utilisation du territoire par les chèvres corses et étude de la végétation. Mémoire de DAA. ENSA de Montpellier.

INRA Corté. 40 pages + annexes

Lavoro finanziato in parte dal CNR ( Short Term Mobility 2001) e in parte con finanziamento ex 60% (2002)

293XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

“EFFECTS OF THE 17-α-ETHINYLESTRADIOL ON HYDROELECTROLITIC BALANCE IN CALVES”

Pereira V1†; Castillo, C1; Hernandez J1; Lopez Alonso, M1; Vilariño, O1; Benedito JL 1

1Dpto. Patoloxia Animal. Facultad de Veterinaria. Universidad de Santiago de Compostela. † V. Pereira was the recipient of a research fellowship (FPU) from Ministerio de Educación y Ciencia. (España)

ResumenEl presente estudio trata sobre el uso de sustancias hormonales utilizadas con fines anabólicos en Producción animal. Su utilización está prohibida por la U.E., y como consecuencia emerge un mercado negro de productos anabólicos prohibidos.Paralelamente a nuestro estudio, se consiguió en los mismos animales, detectar la dosis inyectada del 17-α-etinilestradiol en pelo, de ahí la importancia de conocer los efectos que produce sobre el metabolismo del animal, concretamente sobre el equilibrio hidroelectrolítico, la dosis aplicada de la hormona. De esta forma éste se plantea como objetivo primordial del presente estudio.Para analizar los posibles cambios metabólicos estudiaremos, en ocho terneros de aproximadamente tres meses de edad, los siguientes parámetros: sodio, potasio, cloruros, valor hematócrito, proteínas totales, albúmina, glucosa, urea y osmolalidad. Estos parámetros los evaluaremos durante los tres meses del estudio mediante la extracción semanal de la sangre.Después de realizar el análisis estadístico pertinente, podemos concluir que bajo la dosis administrada del 17-α-etinilestradiol no se aprecian cambios en ningún parámetro, lo que nos llama la atención al conocer que sí que se puede detectar en pelo; y nos hace pensar que el umbral de detección de dicha sustancia sea inferior al necesario para apreciar los efectos anabólicos.

IntroducciónEl presente estudio se engloba dentro de un proyecto de investigación que abarca el uso de sustancias hormonales utilizadas con fines anabólicos en la Producción Animal y pretende establecer una correspondencia entre la dosis de detección de las mismas y sus efectos sobre el metabolismo del animal, ya que pueden inducir a determinados cambios metabólicos que es preciso conocer y analizar. Siendo preciso analizar si realmente es necesaria una dosis umbral para comenzar a apreciar los efectos anabólicos, o si por el contrario estos aparecen gradualmente según la dosis administrada. Todo esto es posible gracias a un estudio paralelo en el que se consiguió aislar el esteroide utilizando el pelo como matriz, lo que demuestra los avances realizados con los nuevos métodos de detección y abre la posibilidad de que los probables beneficios debidos a un aumento en la ganancia de peso, no se correspondan con la realidad, al poder existir sanciones económicas derivadas del uso de estas sustancias que están prohibidas por la Unión Europea, tal y como dicta la Directiva EEC, 96/22 No L 125/3 de Abril de 1996.Ante esta situación nos planteamos un objetivo primordial al comienzo de nuestro estudio, que es el conocer si bajo la dosis administrada del 17-α-etinilestradiol, que sabemos que se puede detectar analíticamente se ve afectado el metabolismo del animal y en caso de que así sea determinar que parámetros son y en que medida.

Material y métodosTRATAMIENTO HORMONAL: El inyectable se preparó disolviendo 1,84 g del principio activo en 4,6 ml de alcohol bencílico y posteriormente en 25,4 ml de aceite de cacahuete, esta mezcla se filtró para después llenar los viales con 92 mg del esteroide. Una vez preparados realizamos una única administración del 17-α-etinilestradiol por vía intramuscular, a cada uno de los seis terneros del grupo experimental, de forma que recibiesen una dosis de 2 mg/kg de peso vivo.MATERIAL VIVO: Empleamos 8 terneros de aproximadamente 3 meses de edad, 3 de ellos de raza Rubia Gallega, 3 de raza Holstein y 2 cruces de ambas razas. Todos ellos fueron desparasitados con Eprinex pour on a su llegada.RECOGIDA DE MUESTRAS: Efectuamos 12 muestreos semanalmente, desde el momento previo a la administración de la hormona hasta el final del estudio, 3 meses después. Éstos se realizaron siempre a primera hora de la tarde y mediante punción en la vena yugular, usando jeringas de 20 ml y agujas estériles de 18 G de diámetro.ANÁLISIS LABORATORIALES: Según el parámetro del que se trate empleamos diferentes técnicas que son las siguientes:• Para el cálculo de las proteínas totales, albúmina, glucosa, urea y cloruros, empleamos tests enzimáticos-colorimétricos de los laboratorios Gernon y HumanH. Y la medición de sus absorbancias la realizamos gracias a un espectrofotómetro de absorción ultravioleta-visible Perkin Elmer.• El valor hematocrito se calculó empleando el sistema MS9 de los laboratorios Melet Schloesing.• El sodio y el potasio los medimos utilizando un fotómetro de llama de emisión atómica.• La osmolalidad es una medida indirecta calculada a partir de la siguiente fórmula:Osmolalidad = 2xNa+ + glucosa/18 + BUN/2.8PROCESAMIENTO ESTADÍSTICO: Todos los datos conseguidos se introdujeron en una base de datos para Microsoft Excel 2000, y con ellos realizamos un análisis de varianza ANOVA tipo-I y los análisis estadísticos gracias al paquete SPSS, considerando siempre una probabilidad del 95%.

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Resultados y discusión

VALOR MEDIO

PARÁMETRO CONTROL TRATADOS Significación

Sodio (mmol/L) 148.5±0.6 147.8±0.3 N.S.

Potasio (mmol/L)* 5.33±0.08 5.09±0.05 N.S.

Cloro (mmol/L)* 99.8±1.0 98.4±1.0 N.S.

Valor Hematócrito (%)* 34.08±0.75 32.87±0.39 N.S.

Proteínas totales (g/L)* 68.88±1.36 70.56±0.89 N.S.

Albúmina (g/L) 42.20±1.87 41.26±0.98 N.S.

Glucosa (mg/dL) 131.4±7.7 131.6±4.2 N.S.

Urea (mg/dL) 24.62±1.46 22.95±0.70 N.S.

Osmolalidad (mOsm/kg) 308.4±1.2 306.8±0.6 N.S.

N.S. no significativo.* Indica los parámetros en los que se encontraron diferencias significativas en una única toma del experimento, aunque éstas no se volvieron a repetir durante el mismo.

Como se observa en la tabla no existen diferencias estadísticamente significativas entre los grupos a estudio en ninguno de los parámetros. Ya que como mucho encontramos diferencias en una toma en los parámetros: potasio, cloro, valor hematocrito y proteínas totales; pero estas no se volvieron a repetir en todo el estudio. Esto nos hace sospechar que el tratamiento hormonal a la dosis administrada no ocasionó cambios relevantes.En líneas generales nuestros valores medios se encuadran dentro del rango descrito por la mayoría de los autores consultados, y la existencia de pequeñas variaciones podría atribuirse a la edad de los animales. Con la única excepción de la glucosa, cuyo valor medio es superior al de todos los autores consultados, y si bien sabemos que los animales jóvenes presentan una glucemia mayor que los adultos, también influyen otros factores como la alimentación, puesto que tras la llegada de los terneros a nuestras instalaciones, pasaron a disponer de pienso prácticamente ad libitum, de ahí que encontrásemos un aumento tan brusco de los valores entre las dos primeras tomas del estudio; en cada uno de los grupos estudiados, ya que en el control pasamos de valores de 53,91±8,97 mg/dL en la toma-1 a 142,4±7,2 en la toma-2; y en el grupo de animales tratados se pasa de 61,09±2,40 a 134,3±10,8 mg/dL. Además observamos como en líneas generales la glucemia aumenta al avanzar el estudio en ambos grupos, ya que durante el resto del estudio los valores de glucosa se mantienen por encima de los 100 mg/dL en ambos lotes (excepto en la toma-4 del grupo control donde tenemos 90,4±6,8), y terminamos el muestreo con valores de 165,5±18,1 en el lote control y de 164,4±4,4 en el de tratados, ambos en la toma-12.

ConclusiónLa administración del 17-α-etiniletradiol a dosis de 2 mg/kg no produce diferencias estadísticamente significativas entre el lote de animales tratados y el control. Y como a esta dosis si que es posible la detección analítica de la hormona en pelo, nos hace suponer que su umbral de detección sea inferior a la dosis mínima con efectos anabólicos.

BibliografíaDurant, A.M. 2001.- Empleo del pelo como nueva matriz para la detección del 17-α-etiniletradiol utilizado fraudulentamente en producción de carne. Desarrollo de nuevas técnicas analíticas. Tesis Doctoral. U.S.C.Knowles, T.G.; Edwards, J.E.; Bazeley, K.J.; Brown, S.N.; Butterworth, A.; Warriss, P.D. 2000.- Changes in the blood biochemical and haematological profile of neonatal calves with age. Veterinary Record. 147,593-598.Lone, K.P. 1997.- Natural Sex Steroids and Their Xenobiotics Analogs in Animal Production: Growth, Carcass Quality, Pharmacokinetics, Metabolism, Mode of Action, Residues, Methods, and Epidemiology. Food Science and Nutrition, 37(2): 93-209.Pearson, A.M.; Dutson, T.R. 1991.- Growth regulation in farm animals. Ed. Elsevier Applied Science. London.Pereira, V. 2003.- Efectos del 17-α-etiniletradiol sobre el equilibrio hidroelectrolítico en terneros. Memoria de Licenciatura. U.S.C.

295XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

IL PROFILO SIEROPROTEICO NELLA CAPRA JONICA.

Petazzi1 F., Rubino1 G.T., Giordano1 G., Pieragostini2 E.

1Dipartimento di Sanità e Benessere degli Animali — Università di Bari, Italy *2Dipartimento PRO.GE.S.A. – Università di Bari, Italy

Abstract. The Authors report the results of an investigation carried out to evaluate the goat serum protein electrophoretic pattern and total proteins. 144 Jonica goats were sampled in 7 farms in the area around Taranto (Apulia); total proteins were evaluated by the biureto technic and fractionated by electrophoresis performed on agarose gel following the Helena BioSciences method. The farms were classified on the basis of management quality (MS=bad and MB=good). The results were analysised by linear model to evaluate the effect of the farm management. The examined groups show statistically significant differences for most of protein fractions confirming that the protein electrophoretic pattern is a useful tool to check goat herd health and management.

Introduzione.La presenza in Puglia di allevamenti di capre di razza Jonica, che conta il maggior numero di effettivi nella provincia di Taranto e zone limitrofe, trova una sua ragion d’essere nel prosieguo di una tradizione culturale ed una vocazione che vede gli allevatori particolarmente attenti alla selezione dei soggetti, sia per quanto riguarda l’aspetto morfologico che per il miglioramento delle performances produttive, in un sistema di allevamento estensivo a basso costo che sfrutta aree di pascolo naturali tipiche pugliesi.E’ questo un settore in lento sviluppo che cerca la propria valorizzazione con l’emersione di prodotti, attualmente di “nicchia”, puntando sì ad una evoluzione tecnologica, ove indispensabile ed inderogabile soprattutto dal punto di vista sanitario, non derogando però dalle tecniche di allevamento tradizionali e dalle antiche e semplici ricette, come quella della tipica “cacioricotta caprina”. Alta digeribilità, elevato contenuto in proteine, maggior contenuto in selenio, maggiore percentuale di taurina, ipoallergenicità e minor contenuto di colesterolo sono aspetti non secondari che definiscono il latte di capra come un alimento che, oltre che “naturalmente” biologico, si configura come di elevato valore nutrizionale del quale, sia a ragion veduta, sia per moda, si comincia a parlare come business possibile per allevatori “dimenticati”. A conoscenza delle differenze sempre presenti tra i valori di riferimento, per i diversi parametri ematochimici, presenti in letteratura e quelli di campo in razze poco conosciute vuoi perché nuove o poco rappresentate da un punto di vista numerico od areale, vuoi perché allevate in condizioni le più disparate, abbiamo ritenuto opportuno tentare la definizione di un intervallo di riferimento dell’assetto proteico il più possibile specifico per la capra di razza Jonica.La realtà di allevamento con elevate disparità di managment aziendale, ci ha suggerito comunque di valutare anche la possibilità di utilizzo di un parametro di base, come quello in oggetto, quale segnale del disagio di azienda.

Materiali e metodi. Animali. La capra Jonica è di vello bianco, a volte leggermente rosato, con orecchie lunghe e pendenti; è la risultante dell’incrocio tra la capra Rossa tarantina e la Maltese ed un successivo meticciamento selettivo, in realtà condotto quest’ultimo secondo criteri artigianali ovvero di competizione con i vicini, magari relativa alla lunghezza delle orecchie. Sia le femmine, molto prolifiche, che i maschi possono essere provvisti di corna; gli indirizzi produttivi principali sono il latte e la carne. Dotata di eccezionale adattabilità ai suoli aridi, con pascoli poveri e carenti di acqua, fornisce sino a 2,1 lt. di latte al giorno con una produzione media annua, nelle pluripare, di 440 lt. ed un contenuto in grasso del 4%.Campioni ed analisi. Sono stati effettuati prelievi di sangue in 7 allevamenti di capre di razza Jonica ubicati nella provincia di Taranto su un totale di 144 soggetti, 42 maschi e 102 femmine, in allevamento estensivo, nel periodo compreso tra i mesi di settembre e novembre. Tutti i campioni sono stati prelevati al mattino a digiuno e gli stessi sono stati conferiti al laboratorio refrigerati entro poche ore. Sul siero ottenuto per centrifugazione è stata determinata la concentrazione delle proteine totali con la tecnica del biureto ed è stata effettuata una elettroforesi sieroproteica a 450 volt su gel di agarosio, secondo il metodo della Helena BioSciences (fig. 1).Statistica. In base ad osservazioni di tipo clinico e manageriale complessivo, nonché di benessere degli animali, le aziende sono state raggruppate in due livelli: MS (management scadente) e MB (management buono). I valori delle diverse frazioni proteiche, sia in g/dl che in percentuale, sono stati sottoposti ad analisi statistica mediante modello lineare, per valutare l’effetto del tipo di conduzione aziendale a parità degli altri fattori (sesso, età dell’animale).

296 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Risultati e discussione. La tabella 1 riporta le medie stimate delle frazioni proteiche di capre Joniche suddivise in base al management. A fianco, per confronto, sono riportati i valori di letteratura “classici” (Kaneco, 1997).

Differenze significative si osservano nei due gruppi MS ed MB per quasi tutte le frazioni proteiche, con l’eccezione delle frazioni β1 g/dl e γ g/dl e delle proteine totali. Non sono state osservate differenze significative in rapporto al sesso, mentre differenze, peraltro attese anche se non evidenziate in tabella, si sono osservate in rapporto al crescere dell’età (incremento delle γ globuline, decremento delle albumine). Nel confronto tra i valori ottenuti nei presenti campionamenti ed i valori di letteratura, l'unica osservazione riguarda il valore assoluto delle proteine totali, che comunque risulta essere più elevato per gli animali allevati in zona, indipendentemente dal tipo di allevamento, probabilmente da considerare come una situazione “di zona”: analoga evidenza è stata riscontrata ponendo a confronto con i valori della letteratura l’assetto sieroproteico di capre Camosciate allevate in regime intensivo nello stesso areale delle Joniche, (Rubino G. et al., 2002).Va comunque osservato come tutti i valori delle varie frazioni sieroproteiche siano significativamente diversi nel confronto tra i soggetti di razza Jonica a conduzione aziendale diversa.I valori riscontrati confermano l’utilità della definizione dell’assetto proteico nella valutazione di massima della qualità dell’allevamento.

Bibiolografia: Kaneko J.J., Harvey J.J.W., Bruss M.L. (1997) Clinical Biochemistry of Domestic Animals. Academic Press San Diego, California.Rubino G., Bramante G., Petazzi F., Massari M. (2002) Su di alcuni parametri ematochimici della capra Camosciata in allevamento intensivo in Puglia. Proc. X Congr. Fe.Me.S.P.Rum., Tunisi sett.

297XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 1: Confronto delle frazioni proteiche (x ± es) rilevate in funzione del tipo di conduzione aziendale messe a confronto con i dati di letteratura (Kaneko, 1997)

Jonica Herds

Protein fractions MS MB Kaneco

x ± es x ± es Range Media

alb % 35.26A*±0.51 40.77B±0.58

alb g/dl 3.02A±0.07 3.52 B±0.08 2.7 - 3.9 3.3±0.33

α % 11.2A±0.29 8.5 B± 0.30

α g/dl 0.94 A±0.02 0.74 B±0.03 0.5- 0.7 0.6±0.06

β 1 % 10.7 A±0.20 11.9 B± 0.23

β 1 g/dl 0.94±0.03 1.03 ±0.03 0.7 - 1.2 0.9±0.1

β 2 % 6.14 A±0.20 4.69 B±0.23

β 2 g/dl 0.52 A±0.02 0.41 B±0.02 0.3 - 0.6 0.4±0.02

γ % 36.7a±0.67 34.1b±0.75

γ g/dl 3.24 ±0.11 2.98± 0.12 0.9 - 3 1.7±0.44

prot. tot. g/dl 8.65±0.19 8.67±0.21 6,4 - 7 6.9±0.48

alb/glob 0.55 A±0.01 0.70 B±0.01 0.63 - 1.26 0.95±0.17 * A lettere maiuscole e minuscole corrispondono rispettivamente P < 0.001 e P < 0.05.

298 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

QUALE SCENARIO PER LA ZOOTECNIA DA LATTE NELLA MURGIA BARESE?

1Pieragostini E., Bramante1 G., Roma2 R., Sorrentino3 A.

1Dipt. PROGESA - Università di Bari2 Dipt. per lo Studio delle società mediterranee - Università di Bari

3DEAR - Università della Tuscia, Viterbo

Abstract. What Future for dairy cattle husbandry in Murgia hills? Within the Italian dairy sector there co-exist realities of production which strongly differ from the social, environmental and technical-economic point of view. Thus, dairy production activities can be found in areas with good agricultural vocation, such as Padana plain or, conversely, in areas as Murgia hills in Apulia whose point of strength is represented by the tight linkage to the production of “Fior di latte”, the most famous Apulian cheese. The safety rules adopted to face the BSE and Blue Tongue emergency as well as the new milk quotas regulation introduced variables to a system based in itself on a difficult equilibrium. This work investigates the economic sustainability of dairy cattle husbandry in Murgia hills in the light of the present scenery and reports the results of the cost analyses perfomed in a group of dairy farms homogeneous as to the structure and management while different as to the cattle breed bred Italian Friesian and Italian Brown. In conclusion the dairy cattle breeding in the analysed areas appears in all its the financial fragility. At present the economical sustainability of IF dairy business seems to rely mainly on the neglect of rules, while the IB dairy business is hardly sustainable.

IntroduzioneAll’interno del comparto “latte bovino”, in Italia, convivono realtà produttive con situazioni strutturali, tecnico–economiche, sociali ed ambientali molto diverse. A fronte di realtà vocate all’allevamento bovino, quali quelle della pianura Padana, troviamo zone, come la Murgia Barese-Tarantina che, ancorché svantaggiata, ha per lungo tempo vantato un saldo legame con la tradizione lattiero-casearia ed in particolare con la produzione del “fior di latte”, il formaggio pugliese più famoso. Per decenni la materia prima del “fior di latte” è stato il latte della Bruna, Bruna Pugliese prima e Bruna Italiana poi. La prima era il risultato dell’incrocio di sostituzione della razza Podolica con la Bruna Alpina, operato intorno alla seconda metà del secolo scorso. Il miglioramento genetico teso ad aumentare le performance produttive della Bruna Pugliese ha raggiunto livelli tali da far sì che verso la metà degli anni ‘80 si è giunti alla denominazione di Bruna Italiana. Così facendo però alcune delle caratteristiche di rusticità proprie della Bruna Pugliese, legate al background genetico di Podolica sono andate via via affievolendosi. La corsa alla quantità ha indubitabilmente portato ad incrementare i litri di latte prodotti, ma ha anche diminuito i punti di vantaggio rispetto ai caratteri di adattamento all’ambiente della Murgia che la Bruna aveva sulla Frisona. Il distacco numerico costante che esisteva tra le due razze, con la Bruna attestata su valori di circa il 70% del patrimonio bovino da latte della Murgia, nell’ultimo decennio è andato progressivamente riducendosi. Questo fenomeno merita attenzione perché in una realtà produttiva costituita in gran parte da aziende di medie dimensioni (50 vacche) l’allevatore ha un legame di tradizione con i sui animali e non ha la tendenza al cambiamento. È evidente che provvedimenti sanitari adottati per fronteggiare le nuove emergenze sanitarie (BSE, Blue Tongue) nonché il riordino normativo in corso circa l’applicazione del regime delle quote, hanno introdotto nuove variabili in un sistema già connotato da un difficile equilibrio. Sulla base delle considerazioni suesposte ci siamo posti l’obbiettivo di analizzare la zootecnia da latte della Murgia ed in particolare questo lavoro riporta i risultati: a) dell’indagine condotta sulla Murgia barese circa l’andamento demografico negli ultimi quindici anni delle popolazioni bovine di razza Bruna e di della razza Frisona; b) di un esame effettuato confrontando i costi di produzione del latte della prima e della seconda a parità di condizioni rispetto alle strutture e alle tecniche di allevamento, e tenta una prima interpretazione alla luce dei nuovi scenari normativi che si vanno delineando.

Materiali e metodiPer l’indagine demografica sono stati utilizzati i dati forniti dalle Associazioni Provinciali Allevatori di Bari e di Taranto. Le aziende prese in esame appartengono ad un campione rappresentativo di aziende omogenee per localizzazione geografica (Murgia barese) e dimensione produttiva (POM. Quolatte, 2001). All’interno di questo campione sono state individuate due aziende, simili per caratteristiche strutturali dell’allevamento e dimensione economica e diverse solo per la razza allevata: Frisona Italiana in un caso, Bruna Italiana nell’altro. L’analisi del costo di produzione del latte è stata effettuata mediante il metodo tradizionale (De Benedictis and Cosentino, 1979) recentemente usato dall’Osservatorio Latte-ISMEA, considerando tutte le voci di costo sostenute dall’imprenditore utilizzando i prezzi medi ordinari della zona. In particolare Il metodo utilizzato considera tutte le voci di costo sostenute sia per le bovine, in lattazione ed in asciutta, presenti in stalla che per la quota di rimonta. Le spese varie comprendono le spese veterinarie, quelle relative ai farmaci ed alle inseminazioni, i consumi di gasolio, acqua ed energia. Il calcolo delle quote di ammortamento, manutenzione e assicurazione è stato effettuato per i capitali durevoli coinvolti nella attività produttiva dell’allevamento. Il beneficio fondiario è relativo ai terreno sui quali viene svolta l’attività zootecnica.

Risultati e discussioneI risultati ottenuti sono riportati sinteticamente nel Grafico 1 ed in tabella 1; nel primo viene evidenziato il vistoso ed inarrestabile incremento avuto dalla popolazione di FI durante l’ultimo decennio, mentre nella seconda il dato che balza agli occhi è il maggior costo di produzione del latte della BI.

299XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Questa prima rilevazione merita tuttavia di essere analizzata nel dettaglio per meglio comprendere le cause del fenomeno ed infatti, osservando i risultati riportati in Tabella 1 si nota che, alimentazione a parte, in generale il costo delle varie voci è più alto nel caso della BI che della FI. Se invece si valuta l’incidenza percentuale delle singole voci di costo sul totale, particolare attenzione merita la voce interessi sul capitale di esercizio che nel caso della Bruna incide per una quota percentuale doppia di quella della Frisona.Dall’analisi delle incidenze percentuali relative alle singole voci di costo la Bruna presenta valori più alti rispetto alla Frisona fatta eccezione per la voce di costo alimentazione, per la quale la FI rispetto alla BI ha una incidenza maggiore (+11.6%), ciò è da ricondurre alle elevate prestazioni produttive ed al conseguente aumento dei fabbisogni nutritivi richiesti dalla FI. Dall’analisi dei risultati ottenuti emerge una differenza fra le due razze, in termini di costo di produzione, pari a + 0,132 € per il latte della BI. Considerando che nel periodo gennaio –marzo 2003 il prezzo del latte alla stalla è stato di 0.388€ a litro e confrontando i due costi di produzione, ne deriva che nel caso della BI il costo di produzione del latte incide per l’98% contro il 64% della FI.

Tabella 1 – Costo di produzione di un litro di latte

Voci di costo Bruna Italiana Frisona Italiana

€ % € %

Lavoro 0.047 12.34 0.024 9.41

Alimentazione 0.199 52.15 0.159 62.36

Paglia lettiera 0.030 7.88 0.018 7.27

Ammortamento, manutenzione ed assicurazione 0.014 3.70 0.011 4.42

Spese varie 0.031 8.06 0.022 8.94

Interessi sul capitale di esercizio 0,059 15.52 0.013 5.37

Beneficio fondiario 0.001 0.34 0.001 0.25

Totale 0.381 100 0.249 100

Sembrerebbe, quindi, che la ragione della progressiva disaffezione per la Bruna, si trovi in questo semplice computo il quale evidenzia la convenienza economica ad allevare la FI. Tuttavia anche se i dati pare non pongano dubbi, soprattutto in considerazione del fatto che uno studio analogo condotto sulla Murgia Tarantina va esattamente nello stesso senso (Bramante et al. 2003), non è il caso di essere precipitosi nel preconizzare la scomparsa della BI dalla Murgia. Lo scenario è piuttosto fumoso e due sono gli aspetti essenziali sui quali è opportuno richiamare l’attenzione nel confronto tra le due razze e cioè la quantità e la qualità del latte prodotto e le problematiche ad esse connesse. Riguardo alla quantità è evidente che gli allevamenti FI con una media produttiva regionale di 7.802 litri (dati A.P.A. 2002) contro i 6.779 osservati per la BI hanno la possibilità di innescare economie di scala che determinano un abbassamento del costo di produzione unitario. Di contro, se consideriamo l’aspetto qualitativo, il latte prodotto da vacche di razza Bruna è caratterizzato da parametri qualitativi e tecnologici (Pecorari et al. 1987), molto apprezzati dall’industria lattiera casearia pugliese incentrata sulla produzione del “fior di latte”. Questo aspetto, unito al legame storico che questa razza ha con il territorio, ha consentito alla BI di continuare ad essere presente negli allevamenti pugliesi nonostante le più basse performance produttive, ma non di limitare la diffusione della FI. Una spiegazione di questo fenomeno è da ricercare nella mancata applicazione, nella grande maggioranza dei casi, del sistema di pagamento del latte crudo alla stalla in funzione di quei parametri qualitativi ritenuti strategici per la produzione del fior di latte pugliese. Questi infatti conferirebbero un premio-qualità al latte delle vacche di razza Bruna che compenserebbe per il maggior costo unitario di produzione. L’incremento numerico della popolazione di FI, avvenuta negli ultimi anni in Puglia, è da imputare sia alle sue alte performance produttive che all’andamento della domanda di mercato di latte, la quale fino al 2001 ha mantenuto livelli alti e costanti nel tempo. Questa condizione di mercato ha determinato, in un regime di contingentamento della produzione (le cosiddette “quote latte”), l’insorgere di un mercato nero del latte che, paradossalmente, ha gli stessi operatori del mercato legale. Nella primavera del 2002 si sono avuti i primi segnali di instabilità del mercato del latte, dovuti ad un aumento dell’offerta, che hanno portato ad un abbassamento del prezzo alla stalla nonostante gli accordi fatti a livello regionale sul prezzo del latte crudo alla stalla. Inoltre, se si considerano le proposte della Commissione Europea per la revisione di medio termine della Politica Agricola Comunitaria, che prevedono un allargamento dei contingenti produttivi accompagnato da una sensibile riduzione dei prezzi di intervento di burro e latte scremato in polvere, c’è da attendersi a fianco di un aumento dei quantitativi di latte prodotto, una caduta del prezzo del latte alla stalla di circa 0.100 € (European Commission 2003). In uno scenario di questo tipo l’allevamento bovino da latte nell’area considerata, appare in tutta la sua fragilità economica e, attualmente, la sostenibilità economica dell’allevamento della Bruna sulla Murgia sembra poggiare sulla speranza di entrate aggiuntive, procurate dall’istituzione di un marchio di qualità per il Fior di latte e da un sistema di remunerazione, promossa dalle Istituzioni pubbliche, che protegga ed incentivi produzioni indirizzate alla qualità del latte (Sorrentino, Branca 2001).

300 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Grafico 1. Consistenze e variazione percentuali delle popolazioni di Bruna Italiana e di Frisona Italiana sulla Murgia barese dal 1986 al 2001(dati A.P.A.).

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Bibliografia1. Bramante G., Roma R., Pieragostini E., Sorrentino A. (2003) First investigation on economic sustainability of dairy cattle breeding in Apulia. Atti XVCongresso Nazionale ASPA – Parma 18-20 Giugno 2003, In stampa.2. De Benedictis M, Cosentino V.1979, Economia dell’azienda agraria, Il Mulino.3 European Commission (2003), Proposal for a Council Regulation amending Regulation (EC) No 1255/1999 on the common organisation of the market in milk and milk products.- 2003/0011 (CNS)4. Pecorari M., Sandri S., Mariani P. 1987, Sci. Tecn. Latt.-cas.,38, 376-348. 5. POM Quolatte 2001, Il sistema di produzione del latte in Puglia. 6. Osservatorio latte – Ismea 2002 Annuario del latte.7. Sorrentino A., Branca G. 2001, Ancora sei anni di quote…e poi?, “Unalat informa” n.55.

301XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

STUDIO ELETTROFORETICO DI UNA VARIANTE αS2 CASEINA NEL LATTE OVINO

Di Luccia1 A., Bramante2 G., Caroli3 A., Pieragostini2 E.

1 Dipartimento Produzione Animale- Bari, Italy.2 Dipartimento PROGESA - Bari, Italy .

3 Dipartimento SBA - Bari, Italy.

Abstract. Electrophoretic study of an αs2 casein variant in sheep milk. The importance of milk protein genetic polymorphism is well known, mainly for the effects on milk technological quality. Several studies were developed in cattle and goat, while the ovine milk protein polymorphism has been less extensively investigated. A first screening was performed by isoelectrofocusing in Gentile di Puglia sheep. Variations in the α

s2-casein fraction were found, namely three different phenotypes supposedly

controlled by two codominant alleles (A and B), based on the presence of HW equilibrium. The BB phenotypes exhibiting a more basic couple of the main α

s2 bands with respect to the AA phenotype, a titration curve was carried out aiming to

check a lost of negative charge − due to an acid (aspartic or glutamic acid) to neutral amino acid substitution − or a gain of positive charge by neutral to basic amino acid (arginine or histidine or lysine) substitution. The results suggest that α

s2-A

differs from αs2-B because of the replacement of a neutral amino acid by a basic one which seems to be hystidine on the basis of the comparison between the theoretical curves calculated for the ovine α

s2-casein and obtained by adding an His

to the deduced amino acid sequence of the αs2-cn mRNA.

IntroduzioneIn un precedente lavoro(Chessa et al., 2002), analizzando il latte della razza ovina Gentile di Puglia, abbiamo

messo in evidenza la presenza di polimorfismo a carico della frazione αs2-caseina (CSN1S2) ed in particolare sono stati

evidenziati tre fenotipi che, sulla base della verifica dell’equilibrio di Hardy-Weinberg, sembrano il risultato della presenza di due alleli codominanti (A e B) al locus CSN1S2. È stata registrata una frequenza del 28% per la variante B che allo stato di omozigosi presenta un fenotipo IEF con una coppia di bande più basiche di quelle esibite dall’omozigote AA. Questo diverso comportamento elettroforetico può derivare dalla perdita di una carica negativa a seguito di una sostituzione di un amminoacido acido con un aminoacido neutro o viceversa dal guadagno di una carica positiva come conseguenza della sostiuzione di un aminoacido neutro con uno basico.

Allo scopo di rispondere a questo primo interrogativo, in attesa delle analisi strutturali che consentano di delucidare la sequenza proteica della variante, in questo lavoro è stato effettuato uno studio elettroforetico mediante curve di titolazione delle caseine intere contenenti le due varianti CSN1S2 A e B allo stato omozigote ed eterozigote.

Materiali e MetodiLa focalizzazione isoelettrica della caseina intera ovina, con i tre genotipi α

s2 caseina, è stata eseguita secondo la

procedura di Erhardt et al. (1998) modificata da Chessa et al. (2002).Le curve di titolazione sono state svolte secondo la procedura di Righetti et al. (1979). Il campione di caseina intera

ovina è stato disciolto in urea 8 M e 5% di 2-mercaptoetanolo ad una concentrazione finale del 2% (p/v).La curva di titolazione teorica è stata calcolata mediante l’equazione di Moore (1985)

Risultati e DiscussioneIn figura 1 è mostrata la focalizzazione isoelettrica dei campioni di caseina intera ovina relativi ai fenotipi α

s2 AA,

AB and BB. Il fenotipo BB mostra due componenti principali più basici dell’αs2-Cn rispetto al fenotipo AA. Come già

detto in premessa, questo fenomeno può essere dovuto ad una perdita di carica negativa per effetto di una sostituzione di un amminoacido acido (acido aspartico o glutamico ) con uno neutro, o a un guadagno di carica positiva per effetto della sostituzione di un amminoacido neutro con uno basico (arginina o istidina o lisina).

I risultati dell’elettroforesi bidimensionale effettuata allo scopo di ottenere le curve di titolazione da cui valutare quale delle due possibili sostituzioni sia avvenuta, sono rappresentati in figura 2. Detta figura mostra la curva di titolazione della caseina intera ovina contenente l’eterozigote AB dell’α

s2-Cn. Nella porzione del gel con pH al di sotto del punto

isoelettrico si osservano tre curve, una più veloce e una più intensa per effetto della comigrazione delle curve β e αs1 caseina

a pH acido mentre le altre due, che rappresentano la frazione αs2, mostrano una differente mobilità. La più lenta delle due

esibisce un punto isoelettrico più basico che la identifica come αs2-Cn B. Le due curve α

s2-Cn A e B si uniscono intorno a

pH 7 muovendosi come una singola curva nella porzione alcalina del gel.

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302 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Risultati e Discussione

Fig.2. Curve di titolazione di caseina intera di un soggetto �s2 AB.

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In figura 1 è mostrata la focalizzazione isoelettrica deicampioni di caseina intera ovina relativi ai fenotipi �s2 AA, ABand BB. Il fenotipo BB mostra due componenti principali piùbasici dell’�s2-Cn rispetto al fenotipo AA. Come già detto inpremessa, questo fenomeno può essere dovuto ad una perdita dicarica negativa per effetto di una sostituzione di unamminoacido acido (acido aspartico o glutamico ) con unoneutro, o a un guadagno di carica positiva per effetto dellasostituzione di un amminoacido neutro con uno basico (argininao istidina o lisina).

I risultati dell'elettroforesi bidimensionale effettuata alloscopo di ottenere le curve di titolazione da cui valutare qualedelle due possibili sostituzioni sia avvenuta, sono rappresentati infigura 2. Detta figura mostra la curva di titolazione della caseinaintera ovina contenente l’eterozigote AB dell’�s2-Cn. Nellaporzione del gel con pH al di sotto del punto isoelettrico siosservano tre curve, una più veloce e una più intensa per effettodella comigrazione delle curve � e �s1 caseina a pH acido mentrele altre due, che rappresentano la frazione �s2, mostrano unadifferente mobilità. La più lenta delle due esibisce un puntoisoelettrico più basico che la identifica come �s2-Cn B. Le duecurve �s2-Cn A e B si uniscono intorno a pH 7 muovendosicome una singola curva nella porzione alcalina del gel.

Fig.1. Focalizzazione isoelettrica deicampioni di caseina interaovina relativi ai fenotipi �s2

AA, AB e BB.

303XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Questo fenomeno si spiega considerando che l’His ha un pKa = 6 e che dopo tale valore di pH la carica positiva dell’His viene titolata (cioè neutralizata). Infatti, dalla determinazione delle curve teoriche mediante l’equazione di Moore (1985), aggiungendo un residuo di His alla sequenza amino acidica dedotta dall’mRNA dell’α

s2 -Cn (Boisnard & Petrissant,

1985), si ottengono due curve simili come mostrato in figura 3.L’analisi bidimensionale delle curve di titolazione suggerisce che l’α

s2 A differisce dalla B per una sostituzione di un

residuo amminoacidico neutro con uno basico. Questa ipotesi è consistente con il differente comportamento elettroforetico dei due fenotipi della frazione caseinica ovina α

s2 mostrato in figura 1.

Figura 3. Rappresentazione delle curve di titolazione teoriche ottenute dalla sostituzione di un residuo di His (curva H) con un amminoacido neutro (curva N).

Bibliografia1. Chessa S., Falcone M.G., Dario C., Caroli A., Pieragostini E. Milk protein variability in “Gentile di Puglia sheep”: A

screening by isoelectrofocusing. Proc. X Convegno Fe.Me.S.P.Rum. 22-24 settembre 2002 Tunisi (Tunisia), 66-67.2. Erhardt G., Juszczak J., Panicke L., Krick-saleck H. (1998) - Genetic polymorphism of milk proteins in Polish Red

Cattle: a new genetic variant of β-lactoglobulin. J. Anim. Breed. Genet. 115: 63-71.3. Boisnard M, Petrissant G (1985) Complete sequence of ovine alpha s2-casein messenger RNA. Biochimie 67(9):1043-

1051.4. Righetti PG, Krishnamoorthy F, Lapoumeroulie C, Labie D. (1979) Titration curves of polypeptide chains by combined

isoelectric focusing-electrophoresis in 8M urea. J. Chromatogr. 177(2): 219-225.5. Moore D.S.(1985) Amino acid and peptide net charges: a simple calcunational procedure. Biochemical Education, 13:

10-11.

Figura 3. Rappresentazione delle curve di titolazione teoriche ottenute dalla sostituzione di unresiduo di His (curva H) con un amminoacido neutro (curva N).

304 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

MEAT QUALITY OF BEEF REARED WITH ORGANIC SYSTEM1

Preziuso G.*, Russo C.Department of Animal Production, Viale delle Piagge 2 - Pisa

SummaryThe aim of this experiment was to analyse quality traits of meat derived from twelve beef cattle (six Limousine and six Limousine x Red Pied) organically raised on the same farm and slaughtered at 23 months of age.After a 7-day ageing period, longissimus thoracis muscle was taken from right half carcasses and analysed for pH, meat colour, water holding capacity, tenderness, chemical analysis, fatty acid profile and cholesterol content.Results underlined the good quality of the organic meat; a statistical difference between breeds was revealed only as regards colour, since the Limousine meat appeared lighter (P≤ 0.05). Storage for 48h at 4°C had no effect on colorimetric traits and drip loss was quite low; cooking loss was somewhat high, probably due to the low ether extract content. Raw and cooked meat were tender, despite the late slaughtering age of the animals.The results lead us to think that the feeding program may not be adequate: an appropriate finishing period, respecting organic guidelines, would probably lower the slaughtering age, raising the meat ether extract content and may improve atherogenic and thrombogenic indices.

IntroductionOrganic meat production (Council Regulation (EC), 1999, Nos 2092/91 and 1804/99) is becoming increasingly widespread in order to satisfy consumer demand for meat that is guaranteed to be free from residues; at present only a few studies on the effect of organic production on meat qualitative characteristics can be found in scientific literature (Castellini et al., 2002; Morbidini et al., 2000; Preziuso et al., 1998)To contribute to our knowledge of this interesting subject, a trial to verify the effect of the organic system on meat quality of beef cattle was performed in San Rossore Park, in Tuscany.

Material and methodsSix carcasses derived from male Limousine and six carcasses derived from male Limousine x Red Pied beef cattle were used; all had been raised on the same organic farm and slaughtered in a commercial EU licensed abattoir at an average age of 23 months.After ageing (7 days), 10-cm-thick slices of longissimus thoracis (7th-8th thoracic vertebrae) was excised from the hindquarters from all right half carcasses; the muscle pH was determined using a Hanna pH211 pH-meter provided with a Hanna FC 200B electrode and an automatic temperature compensator.To evaluate meat quality characteristics, the following analysis were carried out:- Meat colour, using a Minolta CR300 colourmeter (Illuminant D 65), calibrated against a standard white tile in the CIEL*a*b* system, which measures the values of coordinates lightness (L*), saturation (C*) and hue (H*) (Renerre, 1982). This was done by making three readings for each sample consisting of a 2.5-cm-thick slice of meat covered with a polyethylene film and refrigerated for 45 min at 4°C.- Meat colour after 48h, on the same sample kept at 4°C for 48h to show possible “alteration” of colour during meat storage.- Water holding capacity, expressed as:Drip loss, that is the percentage of water lost during storage at 4°C for 48h in a double-bottomed plastic container.Cooking loss on the meat sample used for drip loss and then cooked on a metal tray in an oven at 180°C to an internal temperature of 75°C.Filter paper press method (Grau & Hamm, 1957), expressed as the ratio M/T, where M is the area (cm2) of the meat and T is the total area (cm2): therefore a higher value indicates a greater water holding capacity (Hofmann, Hamm, & Blüchel, 1982).- Tenderness measured as the shear force (kg) using Warner Bratzler Shear applied to an Instron 1011, on 1-inch-diameter cylinders of row and cooked meat.- Chemical analysis (AOAC, 1990).- Fatty acid composition using the Folch et al. (1957) extraction method; the extract was subjected to gaschromatographic analysis on a ω-wax 0.32 capillary column. Subsequently, atherogenic and thrombogenic indices were calculated (Ulbricht and Southgate, 1991).- Cholesterol content of intramuscular fat (Bohac et al., 1988).All data underwent a variance analysis (SAS, 1994).

305XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Results

Table 1: Meat quality characteristics of longissimus thoracis muscle

Limousine x Red Pied Limousine

n 6 6 S.E.D.

pH 5.50 a 5.36 b 0.06

Meat colour

L* 39.71 b 42.95 a 2.12

C* 25.63 28.42 4.03

H* 24.19 26.04 1.99

After 48 h of storage

L*48 41.39 44.20 2.39

C*48 31.60 30.60 1.99

H*48 26.45 27.17 0.95

Shear force:

on raw meat (kg) 9.57 9.48 1.16

on cooked meat (kg) 9.67 10.08 1.98

Water holding capacity:

Drip loss (%) 1.67 1.77 0.67

Cooking loss (%) 31.37 31.54 5.71

M/T 0.46 0.44 0.06

Chemical composition:

Dry matter (%) 23.61 24.07 0.83

Ether extract (%) 0.85 0.73 0.48

Crude protein (%) 21.53 22.31 0.62

Ash (%) 1.01 1.04 0.06

Atherogenic index 0.65 0.71 0.10

Thrombogenic index 1.40 1.58 0.32

Cholesterol (mg/100g) 61.28 62.57 0.69On row: P≤0.05

DiscussionMeat quality traits of longissimus thoracis muscle are reported in table 1. The meat derived from the Limousine breed appeared significantly lighter than the meat derived from Limousine x Red Pied, and tended to be paler; this is probably due to the lower pH value (P≤ 0.05) which, as known, may influence meat colour (Abril et al., 2001; Lucifero and Giorgetti, 1980).Storage for 48h at 4°C had no effect on colorimetric characteristics of the meat analysed: the stability of meat colour is very important for the consumer, indicating a long shelf-life for the products and therefore a good suitability for domestic conservation.No differences between Limousine and Limousine x Red Pied were found for meat tenderness measured as shear force on raw and cooked meat: the meat analysed was tender despite the late slaughtering age of the animals; the cooking process did not allow the expected tenderization of meat.As regard water holding capacity, expressed by drip loss, cooking loss and M/T ratio, it can be noted that there were no differences between the two breeds; it is interesting to observe that drip loss was quite low, confirming the good aptitude for domestic storage since it is strictly related to the appearance of the meat (Warriss, 2000); on the contrary, cooking loss was rather high.Independent of the breed, the meat analysed had a very low content of intramuscular fat, expressed as ether extract (%): this may explain the high cooking loss previously pointed out and this may compromise some of organoleptic properties of meat (Savell & Cross, 1988 quoted in Fiems et al., 2000).

306 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Atherogenic and thrombogenic indices were rather high, testifying to the high content in saturated fatty-acids; this may have occurred because the finishing period of animals was inadequate, and it is well-known that the use of concentrate diets prior to slaughter permits monounsaturated and polyunsaturated fatty acids deposition in spite of saturated fatty acids deposition (Slyter and Putnam, 1967; Slyter et al., 1970).No differences in cholesterol content of the meat derived from the two breeds were noted.

ConclusionThe organic system produced meat with good quality characteristics; moreover, Limousine and Limousine x Red Pied beef were well-adapted, giving meat with similar quality traits.The low values of ether extract suggest that the feeding program was probably not adequate: an appropriate finishing period, respecting organic guidelines, will probably raise the meat ether extract content, and perhaps will improve atherogenic and thrombogenic indices of meat.

ReferencesAbril, M., Campo, M. M., Önenç, A., Sañudo, C., Albertì, P., & Negueruela, A. I. (2001). Beef colour evolution as a function of ultimate pH. Meat Science, 58, 69-78.AOAC. (1990). Official methods of analysis of the Association of Official Analytical Chemists. Meat and meat products. 39 (15th ed.). Washington DC: Publication.Bohac C.E., Rhee K.S., Cross H.S., Ono K. (1988). Assessment of methodologies for colorimetric cholesterol assay of meats. J.Food Sci. 53: 1642-1644.Castellini C., Mugnai C., Dal Bosco A. (2002). Effect of organic production system on broiler carcass and meat quality. Meat Sci. 60: 219-225.Council Regulation (EC) (1999). No 1804/99 of July 1999 supplementing Regulation (EEX) No. 2092/91 on organic production of agricultural products. Official Journal, L 222 (24/08/1999), 1-28.Fiems, L. O., De Campeneere, S., De Smet, S., Van de Voord, G., Vanacker, J. M., & Boucqué, Ch. V. (2000). Relationship between fat depots in carcasses of beef bulls and effect on meat colour and tenderness. Meat Science, 56, 41-47.Folch J., Lees M., Sloane Stanley G.H. (1957). A simple method for isolation and purification of total lipids for animal tissues. J. Biol.Chem. 256: 497-509.Grau, R., & Hamm, R. (1957). Über das Wasserbindungsvermogen des Saugetiermuskels. II. Mitt. Über die Bestimmung der Wasserbindung der Muskels Zeitschr für Lebens. - Untersuchung und Forschung, 105, 446-460.Hofmann, K., Hamm, R., & Blüchel, E. (1982). Neues über die Bestimmung der Wasserbindung des Fleisches mit Hilfe der Filterpapierpreßmethode. Fleischwirtsch, 62, 87-94.Lucifero M., Giorgetti A. (1980). „CNR Progetto strategico: nuovi orientamenti dei consumi e delle produzioni alimentari. La carne e i fattori endogeni ed esogeni all‘animale che ne influenzano la produzione di qualità con particolare riferimento alla specie bovina”.Morbidini L., Pauselli M., Valigi A., La Rovere G. (2000). Carcasse, resa in tagli e qualità delle carni di vitelloni Chianini allevati con sistema in riconversione biologica presso un’azienda umbra. Taurus Speciale 11: 129-143.Preziuso G., Russo C., Campodoni G., Cianci D. (1998). Performance produttive e qualità delle carni di vitelli Charolais x Maremmana allevati con metodo tradizionale o biologico. Taurus Speciale 9, 17-26.Renerre, M. (1982). La couleur de la viande et sa mesure. Bulletin Technique, C.R.Z.V.. Theix. I.N.R.A. 47, 47-54.SAS Institute Inc. (1994). JMP Cary. NC. USA.Slyter L.L., Putnam P.A. (1967). In vivo versus in vitro continuous culture of ruminal microbial populations. J.Anim.Sci. 26: 1421-1427. Slyter L.L, Oltjen R.R., Kern D.L., Blank F.C. (1970). Influence of type and level of grain and diethylstilbestrol on rumen microbian population of steers fed all concentrate diets. J.Anim.Sci. 31: 996-1002.Ulbricht, T. L. V., & Southgate, D. A. T. (1991). Coronary heart disease: seven dietary factors. The Lancet, 338, 985-992.Warriss, P. D. (2000). Meat Science. An Introductory Text. New York: Cabi Publishing.(Footnotes)1 Research supported by a grant of “Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa”.

* Preziuso Giovanna - Dipartimento di Produzioni Animali, Università di Pisa, Viale delle Piagge, n°2 - 56124 Pisa, Italy Tel. 050 -3139428 Fax: 050 - 3139433 E-mail: [email protected]

307XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DIFFUSIONE DELLE SPECIE DI EIMERIA NEGLI ALLEVAMENTI BOVINI SEMIBRADI DI UN’AREA DELL’APPENNINO MERIDIONALE

Rinaldi L., Veneziano V., Santaniello M., Schioppi, M., Musella V., Cringoli G.

Dipartimento di Patologia e Sanità Animale – Settore di Parassitologia Veterinaria Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli, Italy

Riassunto - E’ stata condotta una ricerca in 81 allevamenti bovini semibradi di un’area dell’Appennino Meridionale per valutare la presenza e la distribuzione spaziale delle diverse specie di Eimeria. Utilizzando un metodo originale di campionamento, gli allevamenti sono stati scelti in modo da essere uniformemente distribuiti nell’area di studio. Sono stati sottoposti a prelievo individuale di feci 975 animali (494 adulti, 259 vitelloni/manze e 222 vitelli). Per la ricerca e la conta delle oocisti sono stati eseguiti esami copromicroscopici quanti qualitativi e sono state identificate le specie di Eimeria presenti in ciascun allevamento.Il 100% degli allevamenti ed il 74.3% degli animali esaminati sono risultati parassitati. Le specie di Eimeria identificate sono risultate le seguenti (prevalenza aziendale): E. bovis (87.7%), E. zuernii (43.2%), E. ellipsoidalis (33.3%), E. wyomingensis (28.4%), E. canadensis (24.7%), E. cylindrica (16.0%), E. subspherica (14.8%), E. auburnensis (11.1%), E. alabamensis (9.9%) ed E. pellita (7.4%). Nella maggior parte degli allevamenti erano presenti due o più specie contemporaneamente. Con un sistema GIS (Geographical Information Systems) sono state realizzate le seguenti tipologie di mappe parassitologiche: mappa con cerchi proporzionati, mappe con omogenea distribuzione dei punti e mappe con omogenea distribuzione dei punti e picco proporzionato, che mostrano la distribuzione spaziale delle positività e delle intensità delle differenti specie di Eimeria.

Summary Distribution of Eimeria species in bovine pasturing farms from an area of the southern Italian ApenninesA cross-sectional coprological survey of Eimeria species was conducted on 81 bovine farms with animals pasturing in an area (3,971 km2) of the southern Italian Apennines. The farms were selected to be uniformly distributed throughout the study area using Geographical Information Systems (GIS). Faecal samples were collected from 975 cattle (494 adults, 259 heifers/steers and 222 calves) and examined using copromicroscopic examinations. The Eimeria species occurring on each farm were identified. Eimeria spp. oocysts were found in the 100% of the farms and in the 74.3% of the animals tested. Ten species of Eimeria were found: E. bovis (87.7%), E. zuernii (43.2%), E. ellipsoidalis (33.3%), E. wyomingensis (28.4%), E. canadensis (24.7%), E. cylindrica (16.0%), E. subspherica (14.8%), E. auburnensis (11.1%), E. alabamensis (9.9%), and E. pellita (7.4%). Mixed infections involving two or three species were common. In addition, the following types of parasitological maps were drawn using GIS: proportional circle map, point distribution maps and point distribution maps with proportion peaks. These maps show the spatial distribution of positivities and intensities of the Eimeria species.

IntroduzioneI coccidi del genere Eimeria sono protozoi parassiti dei tessuti epiteliali (intestino, fegato e rene) di numerosi animali domestici e selvatici. Quelli che colonizzano i bovini, tutti a localizzazione intestinale, appartengono ad almeno 13 specie differenti; tra queste, le più patogene sono E. bovis ed E. zuernii (Levine, 1985; Marshall et al., 1998). Più frequentemente sono parassitati i bovini in allevamento intensivo rispetto a quelli al pascolo (Mage et al., 1990). La diffusione delle diverse specie di Eimeria nei bovini è ampiamente documentata da numerosi studi eseguiti in varie parti del mondo (Matjila e Penzhorn, 2002).Tuttavia, in Italia mancano dati epidemiologici recenti su questo argomento. Obiettivo del presente lavoro è stato quello di valutare la presenza e la distribuzione spaziale delle positività e delle intensità delle diverse specie di Eimeria in bovini semibradi allevati in un’area ben definita dell’Appennino Meridionale. Per la pianificazione del campionamento e per la rappresentazione dei risultati con diverse tipologie di mappe parassitologiche è stato utilizzando un sistema GIS (Geographical Information Systems).

Materiali e metodi Area di studio - L’area di studio, di 3.971 Kmq, ricade interamente nei limiti amministrativi di 92 comuni contigui. Il territorio, che si estende sull’Appennino Dauno, Irpino e Lucano, è a cavallo di 3 regioni (Basilicata, Campania e Puglia) ed ha un’altitudine variabile da 100 a 1000 mslm. Estrazione del campione – Sono stati direttamente controllati 81 allevamenti bovini. Questo numero di allevamenti (dimensione del campione) è stato determinato utilizzando la formula proposta da Thrusfield (1995) e considerando i seguenti 4 parametri: popolazione totale di allevamenti bovini presenti nell’area di studio (420); prevalenza attesa dei coccidi (93%); errore massimo ammesso (5%), e livello di confidenza (95%). In questo studio sono stati considerati solo gli allevamenti bovini con oltre 20 animali, che praticavano con regolarità il pascolo (occasionale, permanente o stagionale). Distribuzione del campione – Gli 81 allevamenti bovini sono stati campionati in modo da essere omogeneamente distribuiti nell’area di studio. A tal fine, utilizzando il software GIS Idrisi, l’intera area di studio e’ stata suddivisa in 81 sub aree e di queste sono stati poi individuati e georeferenziati i centri geometrici, intorno ai quali sono state disegnate le aree di campionamento (AC), circolari e di 3 km di diametro. Tutti gli allevamenti campionati sono stati individuati a random all’interno delle rispettive AC. Prelievo dei campioni – Nel periodo giugno 2000-marzo 2001, in ciascun allevamento, in relazione al numero di animali presenti, sono stati sottoposti a prelievo individuale di feci da 9 a 18 soggetti. In funzione dell’età, gli animali sono stati suddivisi in tre categorie: vitelli (0-6 mesi), manze/vitelloni (6-18 mesi) ed adulti (> 18 mesi), per cui, compatibilmente con

308 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

il numero di animali presenti per ciascuna categoria, sono stati direttamente controllati da 3 a 6 animali per categoria. In totale sono stati sottoposti ad esame coprologico 975 campioni individuali di feci (relativi a 494 adulti, 259 manze/vitelloni e 222 vitelli).

Indagini copromicroscopiche – Su ciascun campione di feci, per la ricerca e la conta delle oocisti dei coccidi, è stata utilizzata la tecnica di McMaster modificata, con sensibilità pari a 10 oocisti per grammo feci (o.p.g.) (M.A.F.F., 1986). Allo scopo, è stata utilizzata una soluzione flottante a base di saccarosio (d=1.250).Identificazione delle specie – Per ciascun allevamento sono state allestite coprocolture in bicromato di potassio al 2.5%. Dopo sporulazione, l’identificazione delle diverse specie di Eimeria riscontrate è stata effettuata seguendo le chiavi morfometriche indicate da Eckert et al. (1995).

Risultati La presenza di oocisti di coccidi è stata riscontrata nel 100% degli allevamenti (81/81) e nel 74.3% degli animali (724/ 975), con una intensità media pari a 374 o.p.g. Rispetto alle differenti classi di età, i vitelli sono risultati i più parassitati (88.3%), seguiti da manze/vitelloni (83.4%) e dagli adulti (63.2%) (Tabella 1). Le specie di Eimeria identificate sono state le seguenti: E. bovis, E. zuernii, E. ellipsoidalis, E. wyomingensis, E. canadensis, E. cylindrica, E. subspherica, E. auburnensis, E. alabamensis, ed E. pellita. In Tabella 2, per ciascuna delle specie riscontrate, si riportano le prevalenze e gli indici di predominanza (n. riscontri positivi per una data specie/somma dei riscontri positivi per tutte le specie).Nella maggior parte degli allevamenti erano presenti due o più specie contemporaneamente (Tabella 3). Rappresentazione dei risultati – I risultati vengono presentati anche con tre tipologie di mappe parassitologiche elaborate con Idrisi (Fig. 1).Nella mappa con cerchi proporzionati, un cerchio di grandezza proporzionata disegnato in corrispondenza di ciascuna AC, rappresenta la intensità di Eimeria spp. nell’allevamento ivi positivo (Fig. 1 (m)).Le mappe con omogenea distribuzione dei punti mostrano, per ciascuna specie di Eimeria, le AC con allevamenti positivi (grigio) e le AC con allevamenti negativi (bianco) (Fig. 1 (a) – (l)). Nelle mappe con omogenea distribuzione dei punti e picco proporzionato (mappe tridimensionali e quantitative), per ciascuna specie di Eimeria, in corrispondenza delle AC con allevamento positivo, un picco proporzionato ne rappresenta la intensità di allevamento Fig. 1 (a1) – (l1)).

Tabella 1. Prevalenza e intensità di Eimeria spp. nelle diverse classi di età dei bovini esaminati

Classi di età Animali esaminati (n.)

Animali positivi (n.)

Prevalenza(%)

95% CI*

Intensità media (o.p.g.)

Vitelli(0-6 mesi) 222 196 88.3 83.1 – 92.1 91

Manze/vitelloni (6-18 mesi) 259 216 83.4 78.2 - 87.6 372

Adulti(> 18 mesi) 494 312 63.2 58.7 - 67.4 659

Totale animali 975 724 74.3 71.4 - 76.9 374

* CI = Intervallo di Confidenza

Tabella 2. Prevalenza and predominanza delle specie di Eimeria riscontrate negli allevamenti esaminati

Specie di Eimeria Allevamenti positivi(n.)

Prevalenza (%)

Predominanza(%)

E. bovis 71 87.7 31.7E. zuernii 35 43.2 15.6E. ellipsoidalis 27 33.3 12.1E. wyomingensis 23 28.4 10.3E. canadensis 20 24.7 8.9E. cylindrica 13 16.0 5.8E. subspherica 12 14.8 5.4E. auburnensis 9 11.1 4.0E. alabamensis 8 9.9 3.6E. pellita 6 7.4% 2.7

309XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Tabella 3. N. di specie di Eimeria presenti contemporaneamente negli allevamenti esaminati

N. di specie di Eimeria in allevamento N. di allevamenti positivi %

1 23 28.42 16 19.83 20 24.74 6 7.45 12 14.86 3 3.77 1 1.2

DiscussioneTutti gli allevamenti controllati sono risultati parassitati dai coccidi del genere Eimeria ed era la norma ritrovare due o più specie contemporaneamente. I più alti valori di prevalenza sono stati riscontrati per E. bovis ed E. zuernii, a conferma che queste due specie sono quelle più frequentemente repertate in caso di coccidiosi bovina (Speer, 1999). Ciò è stato riportato anche in Francia (Yvore et al., 1982; Mage et al., 1990), Kenia (Munyua e Ngotho, 1989), Tanzania (Chibunda et al., 1996) e Sud Africa (Matjila et al., 2002).Le tre tipologie di mappe parassitologiche (mappa con cerchi proporzionati, mappe con omogenea distribuzione dei punti e mappe con omogenea distribuzione dei punti e picco proporzionato) consentono di apprezzare immediatamente e con chiarezza la distribuzione spaziale delle positività e delle intensità delle differenti specie di Eimeria.

BibliografiaChibunda, R.T., Muhairwa, A.P., Kambarage, D.M., Mtambo, M.M., Kusiluka, L.J., Kazwala, R.R., 1996. Eimeriosis in dairy cattle farms in Morogoro municipality of Tanzania. Prev. vet. Med. 31, 191-197.

Eckert, J., Taylor, M., Catchpole, J., Licois, D., Coudert, P., Bucklar, H., 1995. Identification of Eimeria species and strains. Morphological characteristics of oocysts. In: Biotechnology, guidelines on techniques in coccidiosis research. Cost 89/820, report EUR 16602 EN, 113-119 pp.

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Mage, C., Reynal, P., Chasteloux, C., 1990. Coccidiosis in suckled Limousin calves. Rev. Med. Vet. 141, 671-676.

Marshall, R.N., Catchpole, J., Green, J.A., Webster, A., 1998. Bovine coccidiosis in calves following turnout. Vet. Rec.143, 366-367.

Matjila, P.T., and Penzhorn, B.L., 2002. Occurrence and diversity of bovine coccidia at three cocalities in South Africa. Vet. Parasitol. 104, 93-102.

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Yvore, P., Sendral, R., Bordas, C., Chasteloux, C., Mage, C., Bernard, Y, 1982. La coccidiose bovine. Premiers résultas de l’enquete SNGTV, INRA, Labos DSV, ITEB. Bull. GTV, 232, 7-9.

310 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

E. bovis

E. ellipsoidalis

A

E. wyomingensis

E. zuernii

(a1)

(a)

(b1)

(b)

(c1)

(c)

(d1)

(d)

311XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

E. canadensis

E. cylindrica

E. subspherica

E. auburnensis

(e1)

(e)

(f1)

(f)

(g1)

(g)

(h1)

(h)

312 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Fig. 1 - Area di studio (3.971 Kmq) con 81 aree di campionamento in ciascuna delle quali è stato controllato unallevamento: (a) – (l) distribuzione spaziale delle positività delle diverse specie di Eimeria (mappe con omogeneadistribuzione dei punti); (a1) – (l1) distribuzione spaziale delle intensità delle diverse specie di Eimeria (mappe conomogenea distribuzione dei punti e picco proporzionato); (m) intensità di Eimeria spp. in ciascuno degli 81allevamenti controllati (mappa con cerchi proporzionati).

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E. alabamensis E. pellita

Area con allevamento positivo

Area con allevamento negativo

Intensità 100 o.p.g.

Legenda Fig. 1 (a – a1) – (l – l1)

Intensità negli 81

allevamenti

Eimeria spp.

(m)

(i1)

(i)

(l1)

(l)

313XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

NIVELES DE COBRE Y CINC EN LECHE DE VACAS PARDO-ALPINAS EXPLOTADAS EN CONDICIONES SEMIEXTENSIVAS

Ríos-Granja MA, Pérez-García CC, García-Rodríguez MB, Cano-Rábano MJ, Diez-Prieto I

Departamento de Medicina Veterinaria, Universidad de León, 24071 León, España.

ResumenNo existen demasiados datos sobre el contenido en oligoelementos de la leche y, en algunos casos, se refieren a leches preparadas para el consumo humano. Unas pocas descripciones hacen referencia a valores en la leche de animales que sufren algún tipo de carencia o déficit de algún mineral concreto.En nuestro estudio presentamos los valores de cobre y cinc en la leche de vacas de una raza de aptitud mixta carne/leche, explotadas en condiciones semiextensivas. Hemos estudiado dos periodos del año diferentes, invierno y verano, en los que el alimento base era diferente, heno en el primer caso y pasto en el segundo. Quince vacas de dos explotaciones diferentes, y que se encontraban entre el segundo y el séptimo mes de lactación, fueron muestreadas. Valoramos, mediante espectrofotometría de absorción atómica, el contenido de cobre y cinc en la leche, el heno, el pasto y el pienso concentrado que consumían los animales.La leche presentó cifras más altas de cobre en invierno mientras que, respecto al cinc, la situación se invirtió, siendo los valores más elevados los del verano.

Summary (Milk copper and zinc content in Pardo-Alpina breed cattle in semiextensive conditions)There are not much information about the trace element content of the milk, and in many cases the values are related to the milk of human consumption. Also, we found limited information about trace elements in the milk from animals that suffer some type of mineral deficiency. In our study we present the values of copper and zinc concentration in the milk of cows from a mixed aptitude beef/milk breed, maintained in semiextensive regimen. We have studied two different periods of the year, winter and summer, in which the food bases was different, hay in the first case and pasture in the second one. Fifteen cows from two farms, between the second and the seventh month of lactation, were sampled. The content of copper and zinc in the milk, the hay, the pasture and the concentrated feed that they consumed were measured using an atomic absorption spectrophotometry technique. The results observed shown that the copper level in the milk were higher in winter whereas the zinc content showed a different performance, being the highest levels in the milk of summer.

IntroducciónEl cobre (Cu) y el cinc (Zn) son dos oligoelementos que el organismo necesita para un buen funcionamiento metabólico, originando su carencia una ralentización de las vías metabólicas. Esta actuación se justifica por tratarse de elementos integrantes de cofactores de diversos sistemas enzimáticos (entre otros se puede citar la anhidrasa carbónica, la fosfatasa alcalina, la carboxipeptidasa y las polimerasas de ADN y ARN, en el caso del Zn, y la ceruloplasmina, la citocromo-oxidasa, la lisil-oxidasa y la polifenil-oxidasa, en el caso del Cu) (Auld y Vallee, 1987; Riffard, 1989).A pesar de esa importancia, no existe demasiada información sobre el contenido de la leche en esos oligoelementos. De hecho, son escasas las referencias sobre cualquier tipo de oligoelemento (Flyn, 1992) y parte de ellas se refieren a leches comercializadas para el consumo humano (Murthy y col., 1972). Algunas otras citas corresponden a estudios en los que se estudiaban animales que padecían una deficiencia del oligoelemento (Neathery y col., 1973).En general, se considera que la leche es rica en Zn (así como en calcio, fósforo, potasio y cloro) y pobre en Cu (además de en magnesio, hierro y manganeso) (Underwood, 1983).En el presente trabajo estudiamos, en dos épocas del año, en las que el alimento base era diferente, heno (en invierno) y pasto (en verano), el contenido de Cu y Zn en la leche de vacas de una raza de aptitud mixta carne/leche pertenecientes a dos ganaderías explotadas en condiciones semiextensivas.

Material y métodosSe han recogido muestras del alimento (pasto, heno, pienso) y de leche de 15 hembras bovinas de raza “Pardo Alpina” con edades comprendidas entre 3 y 9 años, pertenecientes a dos ganaderías explotadas en régimen semiextensivo en la montaña leonesa (León, España). Los animales objeto de muestreo se encontraban, en todos los casos, entre el segundo y el séptimo mes de lactación y habían sido desparasitados de acuerdo con las pautas convencionales.Los muestreos se llevaron a cabo en invierno y en verano. Los animales se alimentaban con heno en la época invernal y con pasto el resto del año, recibiendo además, de manera continuada, un suplemento de pienso. La leche se obtuvo de cada una de los pezones, previa limpieza de la ubre y tras desechar los primeros chorros (Prieto Montaña, 1999). Se recogió en tubos de plástico y posteriormente se congeló a –18°C. De cada tipo de alimento (heno, pasto y pienso) se tomaron muestras de unos 50 g, que secamos en estufa (12 horas, 100ºC).El Cu y el Zn se valoraron mediante espectrofotometría de absorción atómica (Smith-Hieftje 11, con llama de aire acetileno). Para su determinación en la leche se desproteinizaron las muestras (1 ml de muestra + 3 ml de ácido tricloroacético 0,75 M), se agitaron y se dejaron reposar durante 5 minutos para, a continuación, centrifugarlas (4000 rpm, 10 minutos), realizándose posteriormente la lectura en el sobrenadante (Ríos y col., 1998 y 2000). El ataque del alimento se llevó a cabo por vía húmeda (Ríos y col., 1996): a 1 g de muestra se añadió 1 ml de ácido sulfúrico concentrado, 2 ml de ácido perclórico al 60% y 5 ml de ácido nítrico concentrado. El ataque se realizó lentamente en un digestor hasta que el residuo fue totalmente líquido y transparente. A continuación se vertió el líquido en un matraz aforado de 10 ml. En todos los casos

314 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

se realizaron 3 lecturas de 1 segundo de duración cada una, con un intervalo entre lecturas de 0,5 segundos, a una longitud de onda de 324,7 nm (Cu) y 213,9 nm (Zn).

Resultados y discusiónLos valores medios de Cu y Zn en leche de las vacas se presentan en las Figuras 1 y 2 respectivamente. Las cifras medias de ambos minerales en los distintos tipos de alimento aparecen en la Tabla 1.

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Figura 1. Valores medios de cobre (µg/ml) en la leche devacas explotadas en condiciones semiextensivas

Figura 2. Valores medios de cinc (µg/ml) en la leche devacas explotadas en condiciones semiextensivas

Cobre CincInvierno Verano Invierno VeranoGranja A Granja B Granja A Granja B Granja A Granja B Granja A Granja B

Pasto - - 5,51 10,18 - - 48,72 52,26Heno 7,41 4,52 - - 29,40 56,91 - -Pienso 17,34 12,53 11,32 13,50 116,14 98,07 91,45 109,98

Tabla 1. Valores medios de cobre y cinc (µg/g) en los diferentes alimentos consumidos por vacas explotadas en condiciones semiextensivas.

El conjunto de la dieta que recibían los animales aseguraba un aporte suficiente para cubrir las necesidades de Cu, estimadas en 10 µg/g (National Research Council, 1996), porque, aunque el heno de las dos granjas y el pasto de una de ellas se encontraba por debajo de dicha cifra, el aporte continuado de un pienso suficientemente rico en el oligoelemento compensaba el déficit de los otros alimentos.El contenido de Cu en la leche se mantuvo entre 0,1 y 0,2 µg/ml con una tendencia clara a disminuir durante el verano. En todo, caso las cifras obtenidas por nosotros se encuentran dentro de los valores considerados como normales para esta especie (Stöber, 1983) y para el periodo de lactación estudiado, pues el calostro es más rico (de Maria, 1978). El hecho de que no coincidan los niveles más elevados de Cu en la leche con los del alimento puede justificarse porque este mineral se acumula fundamentalmente en el hígado (Gooneratne y col., 1989) durante períodos en los que el aporte a través de la dieta es elevado, para liberarse posteriormente con el fin de mantener los niveles en la leche en los momentos en los que el contenido del mismo en el alimento baja. Ello se vería corroborado por el dato (obtenido utilizando Cu marcado) de que sólo el 24% del Cu presente en la leche provenía directamente del Cu absorbido en el aparato digestivo (Buckley, 1991). Aunque ha sido sugerido que el contenido en Cu de la leche se reduce sustancialmente a lo largo de la lactación (Salih y col., 1987) en nuestro caso no justificaría tampoco la diferencia entre verano e invierno pues en cada uno de los dos muestreos el número de animales en sus primeros meses de lactación era prácticamente igual al número de animales en la segunda mitad de la lactación.El aporte de Zn de la dieta cubría sobradamente los 30 µg/g que son considerados como el mínimo necesario (National Research Council, 1996). En una estimación global, los animales recibieron prácticamente la misma cantidad de oligoelemento en invierno que en verano, pues la diferencia existente en una de las ganaderías entre heno y pasto (más rico este último) se compensa con el pienso (valores más bajos en el que se administraba en la época de pasto).La concentración de Zn en la leche osciló entre 7 y 10 µg/ml, con unos niveles medios más elevados en verano. Estas cifras son similares a las encontradas por Salih y col. (1987). A diferencia de lo que ocurre en el caso del Cu, el Zn presente en los tejidos no se moviliza para mantener estables los valores del mineral en la leche, dependiendo éstos más estrechamente del contenido en el alimento que consumen los animales en cada momento, como demuestra el hecho de que cuando se suplementa la dieta con este mineral se incrementa su concentración en la leche (Flyn, 1992); por ello resulta difícil justificar los valores más elevados encontrados en verano. El tiempo transcurrido desde el parto tampoco ayuda pues, aunque se sabe que el calostro es sustancialmente más rico en Zn que la leche (Vaillancourt y Allen, 1991; Kincaid y Cronrath, 1992), nuestro muestreo se limitó a vacas entre el segundo y séptimo mes de lactación.

315XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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316 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

LA MALATTIA DELLA IENA INDOTTA DA IPERVITAMINOSI A

Testoni S. e Bernardini D.

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Padova, Italia

RiassuntoGli autori hanno riprodotto sperimentalmente la Malattia della Iena con la somministrazione di eccessi di vitamina A. Quattro vitelli hanno ricevuto 1.000.000 UI di vitamina A, per via sottocutanea, quotidianamente, per un periodo di tre mesi. Due vitelli sono stati utilizzati come controlli.Prima dell’inizio della prova, successivamente ogni 20 giorni per i tre mesi di somministrazione vitaminica ed in seguito ogni tre mesi fino ad un anno di età, si è proceduto a misurazioni del peso, prelievi di sangue per esami emato-biochimici ed indagini radiografiche delle articolazioni del ginocchio e del gomito di destra.Aspetti riconducibili alla Malattia della Iena hanno iniziato ad abbozzarsi già dopo due mesi di iperdosaggio vitaminico, aumentando col passare del tempo fino ad assumere, a circa sei mesi una caratterizzazione clinica inequivocabile: ridotto sviluppo del treno posteriore, bacino stretto, profilo dorsale di tipo I in 3 vitelli, e di tipo II in 1 vitello.In termini di precocità diagnostica ha assunto particolare importanza il quadro radiologico. In base ai risultati da noi ottenuti si può affermare la responsabilità della vitamina A nell’insorgenza della Malattia della Iena.

Summary Hyena Disease by hypervitaminosis AThe Hyena Disease was induced in 4 calves by vitamin A excessive administration; 1,000,000 I.U./day were injected subcutaneously for three months. Other 2 calves were used as controls. Weight, drawing of blood and radiographic examination were performed every three weeks during the period of vitamin administration and subsequently every three months until the calves were one year old.Growth disturbance was already evident after two months of the vitaminic administration; clinical findings typical of Hyena Disease became more obvious with time. The experimental group calves showed: growth reduced, tight pelvis, dorsal profile type I, for three calves and type II, for one calf. The radiological findings were very helpful in the establishment of a early diagnosis.Our research confirm the responsability of vitamin A for Hyena Disease.

Parole chiave: vitello, apparato locomotore, radiologia, vitamina A.Key words: calf, skeletal system, radiology, vitamin A.

IntroduzioneLa Malattia della Iena è una osteo-morfodistrofia caratterizzata da un difettoso sviluppo scheletrico del giovane bovino il quale, nel profilo, viene ad assumere l’aspetto di uno ienide. Dalla prima segnalazione avvenuta nel 1975 (Parodi e Espinasse, 1975) molti autori si sono dedicati all’approfondimento clinico ed eziopatogenetico di questa patologia (Renner, 1985; Agosti e coll.,1994; Takaki e coll., 1996; Testoni e coll., 1997; Klee, 1999). La ormai accettata eziologia ipervitaminica deriva sia da osservazioni di quadri di malattia spontanea che da indagini sperimentali; di volta in volta sono stati chiamati in causa stati di ipervitaminosi D (Renner e coll., 1985; Agosti e coll., 1994), ipervitaminosi A (Takaki e coll., 1996; Klee, 1999), oppure sommazione ipervitaminica A-D-E (MacKay e coll., 1992; Testoni e coll.,1998).Allo stato attuale delle conoscenze l’ipotesi della vitamina A è quella che trova la prevalente concordia di giudizio (Soeta e coll., 2000; De Luca e coll., 2000). Negli animali in crescita questa vitamina provocherebbe, stimolando la differenziazione dei condrociti e la calcificazione della matrice, una precoce chiusura delle cartilagini di accrescimento (Orth, 1999), alla quale sarebbe da ricondurre il ridotto allungamento e la deformazione di alcuni segmenti ossei.Nel bovino questi quadri compaiono nella Malattia della Iena e sono responsabili, in ultima analisi, dell’aspetto simile ad uno ienide assunto dall’animale ammalato; ne sono esempio l’appiattimento dell’epifisi prossimale della tibia e, soprattutto, la chiusura dell’angolo caudale femorale (Trenti e Cinotti, 1981). Quest’angolo, che in condizioni fisiologiche è 100°-116°, negli animali ammalati può ridursi fino a valori di 82°-84° (Trenti e Cinotti, 1981; Calvari e Belloli, 1988; Vollmerhaus e coll., 1989). Le anomalie ossee si ripercuotono oltre che sull’aspetto dell’animale -profilo dorsale degradante posteriormente- anche sull’andatura -barcollamento del treno posteriore con arti portati in fuori e difficoltà nell’effettuare curve strette.In corso di Malattia della Iena sono stati osservati anche ridotto sviluppo corporeo, pelo arruffato e presenza di aree cutanee alopeciche (Gentile e coll., 1997).L’interesse per la Malattia della Iena si colloca in un filone di ricerca avviato da tempo da alcuni degli autori. Nel 1997 segnalammo un episodio di Malattia della Iena attribuito ad una errata ed eccessiva somministrazione di un complesso multivitaminico A-D-E (Testoni e coll., 1997).Stimolati da questo episodio e curiosi di verificare la reale responsabilità delle vitamine “incriminate”, nel 1998 riproducemmo la malattia con la somministrazione di iperdosaggi vitaminici A-D-E paragonabili a quanto osservato nell’episodio spontaneo (Testoni e coll., 1998). Sulla base di queste esperienze, nel prosieguo dell’approfondimento eziologico, e tenuto conto di quanto sopra riferito sui recenti sviluppi sperimentali inerenti l’azione tossica della vitamina A, nel presente lavoro si è voluta riprodurre la malattia con la somministrazione di iperdosaggi di sola vitamina A.

317XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Materiale e metodiSei vitelli di razza Frisona, maschi, di 15 giorni di vita, mantenuti insieme in box collettivo con lettiera in paglia, sono stati suddivisi in due gruppi: § gruppo A, di prova, quattro soggetti (vitelli N° 103, 105, 106 e 107) § gruppo B, di controllo, due soggetti (vitelli N° 102 e 104). A partire dal 15° giorno di vita i vitelli del gruppo A hanno ricevuto1.000.000 UI di vitamina A (retinolo propionato), per via sottocutanea, quotidianamente per un periodo di tre mesi. Per i vitelli del gruppo B, invece, non è stata prevista alcuna integrazione vitaminica.Durante il periodo latteo, i vitelli hanno ricevuto latte ricostituito1 in una quantità pari al 10% del peso vivo, distribuito in due razioni giornaliere, avendo, comunque, sempre a disposizione fieno polifito, mangime ed acqua. Dopo lo svezzamento, avvenuto a circa tre mesi di età l’alimentazione è stata a base di fieno polifito e mangime2. I vitelli sono stati mantenuti sotto costante controllo clinico per tutto il periodo di somministrazione vitaminica (quotidianamente) e quindi, nei mesi successivi (settimanalmente), fino al termine del periodo di osservazione fissato ad un anno di età.Prima dell’inizio della prova, ogni 20 giorni per i primi 5 mesi di lavoro e quindi a 250 giorni dall’inizio, su tutti i vitelli sono stati controllati i pesi, sono stati fatti prelievi di sangue per indagini emato-biochimiche (oltre al profilo emocromocitometrico completo sono stati determinati: glucosio, urea, proteine totali, albumina, bilirubina totale, creatinina, latticodeidrogenasi, creatinfosfochinasi, fosfatasi alcalina, alanina aminotransferasi, aspartato transferasi, gammaglutamiltranspeptidasi) e sono state effettuate indagini radiografiche delle articolazioni del ginocchio e del gomito di destra. Dopo circa due mesi dall’inizio della somministrazione vitaminica, la prova è proseguita con cinque vitelli a causa della morte improvvisa di un vitello del gruppo A (N° 107).A seguito della comparsa di imponenti lesioni cutanee a partire dal primo mese di somministrazione vitaminica nei soggetti del gruppo A sono stati eseguiti, una volta al mese nei tre mesi di somministrazione vitaminica, ripetuti raschiati e tamponi cutanei per la ricerca di ectoparassiti ed indagini batteriologiche.Al termine del periodo di controllo gli animali sono stati soppressi in maniera eutanasica e sottoposti ad esame autoptico.In questa sede i femori, per l’ottenimento dei preparati anatomici, sono stati sottoposti ad un processo di macerazione; il distacco o meno dei nuclei di ossificazione è stato preso come indice della mancata o dell’avvenuta chiusura delle cartilagini di accrescimento.

RisultatiA partire da circa otto settimane l’inizio della somministrazione vitaminica i vitelli del gruppo A hanno cominciato a presentare le seguenti anomalie a carico dell’apparato scheletrico: profilo della linea dorsale degradante posteriormente, atteggiamento di cifosi, ritardato sviluppo del bacino, il tutto associato ad andatura disarmonica del treno posteriore con cenni di barcollamento. Nel vitello N° 103 questa turba locomotoria ha poi rapidamente assunto un carattere di estrema gravità, aggiungendo, all’estremo vacillamento, uno spostamento a scatto verso l’esterno degli arti posteriori, una rotazione dall’esterno verso l’interno degli unghioni, ed un evidente difficoltà nel girare in tondo in curve strette, col rischio di caduta.Verso la decima settimana di prova le modificazioni sopra riportate hanno raggiunto una evidenza tale da essere associate a quanto riconosciuto “tipico” per la Malattia della Iena: ridotto sviluppo del treno posteriore, bacino stretto, linea del dorso degradante posteriormente di tipo I nei vitelli N° 105, 106 e 107 3, e di tipo II nel vitello N° 103 4.Alla fine del periodo di osservazione, in approssimativa coincidenza con l’anno di età, gli aspetti dismorfici dei vitelli del gruppo A sono stati considerati di inequivocabile sovrapposizione con quanto clinicamente riconducibile alla Malattia della Iena. Per quanto riguarda i vitelli del gruppo B, per tutta la durata del periodo di osservazione essi hanno mostrato uno stato generale ed uno sviluppo scheletrico da considerarsi pienamente fisiologici.Dopo un mese circa l’inizio della somministrazione vitaminica, oltre alle alterazioni scheletriche tutti i vitelli del gruppo A hanno manifestato anomalie a carico del mantello caratterizzate da evidente opacamento ed arruffamento del mantello e prurito irrefrenabile a livello delle regioni ascellari e del piatto interno della coscia. In rapida sequenza temporale in queste zone sono comparse lesioni da autoleccamento del tipo arrossamento, dermatite umida ed alopecia. I ripetuti raschiati e tamponi cutanei hanno sempre dato esito negativo sia per ectoparassiti che per infezioni batteriche.Col passare del tempo la sintomatologia cutanea si è attenuata fino a scomparire completamente dopo circa tre mesi senza alcun intervento terapeutico. Con maggiore accentuazione durante i primi 30 giorni di trattamento, i vitelli del gruppo A hanno presentato reazioni anomale nel punto di inoculo del preparato vitaminico: edemi sottocutanei tondeggianti del diametro di circa 10 cm, caldi e dolenti, tendenti alla remissione nel giro di circa tre giorni. Col passare del tempo queste reazioni hanno attenuato la loro manifestazione, fino a non manifestarsi più nell’ultimo periodo di somministrazione. Analogamente a quanto riportato per l’apparato scheletrico, i vitelli del gruppo di controllo, per i quali si ricorda la comunanza del box con il gruppo A, sono rimasti completamente esenti da qualsiasi forma di manifestazione cutanea. Per quanto riguarda il dato relativo al peso degli animali, non è stata notata alcuna differenza statisticamente significativa nel confronto fra i due gruppi di vitelli. Gli incrementi ponderali relativi a tutto il periodo di osservazione sono risultati 840 ± 158 g/die e 910 ± 75 g/die rispettivamente per i vitelli del gruppo A e del gruppo B. Questa scarsa differenza di incremento ponderale potrebbe essere ricondotta, in parte, al fatto che proprio uno degli animali di controllo (N° 104), durante la prova, ha sofferto ripetutamente di patologie respiratorie e gastroenteriche che ne hanno ritardato e compromesso l’accrescimento (Tab. 1).

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Tabella 1: Peso dei vitelli durante il periodo sperimentale

giorni (±3)Gruppo A, di prova Gruppo B, di controllo

vit. nr. 103 vit. nr. 105 vit. nr. 106 vit. nr. 107 vit. nr. 102 vit. nr. 1040∗ 58 45 42 49 50 37

+20 69 55 49 60 60 45+40 75 65 61 71 73 51+60 89 82 80 - 97 74+80 107 100 100 - 118 87+100 131 121 118 - 143 106+120 145 135 138 - 159 126+140 165 164 161 - 178 146+160 185 181 187 - 218 164

+250

257261280

-

315244

Incremento ponderale medio Incremento ponderale medio 840 ± 158 kg/die 910 ± 75 kg/die

∗ Giorno 0: inizio somministrazione iperdosaggio vitaminico

Analogamente, nessuna differenza fra i gruppi è stata evidenziata dagli esami emato-biochimici.Quanto osservato in sede clinica, in riferimento alla comparsa della Malattia della Iena, è stato confermato dalla contemporanea evoluzione dei quadri radiografici; per la descrizione di questi aspetti si rimanda alla presentazione effettuata al precedente convegno della Femesprum (Testoni e coll., 2002). In questa sede desideriamo solo riassumere quanto evidenziato dalle indagini radiografiche alla fine del periodo di osservazione, vale a dire ad un anno di età degli animali: completa chiusura, negli animali di prova, delle cartilagini di accrescimento dei segmenti ossei esaminati (femore, tibia e radio) esprimentisi radiograficamente con la scomparsa delle classiche linee radiotrasparenti (indicative di attività evolutiva delle cartilagini metafisarie) e la presenza di bande o nastri radiopachi; slittamento dell’epifisi distale del femore in senso caudale e chiusura dell’angolo caudale femorale; appiattimento dell’epifisi prossimale della tibia e comparsa di un “becco” nella porzione caudale della stessa.Al termine della sperimentazione gli animali sono stati sottoposti a soppressione eutanasica ed a successiva indagine necroscopica. In questa sede, i femori dei vitelli del gruppo A, una volta separati dalla componente muscolare, si sono presentati più corti di 3-4 cm rispetto a quelli dei soggetti di controllo. Il ripiegamento su se stessa dell’epifisi distale femorale aveva causato la chiusura dell’angolo femorale caudale (da 85°a 98° contro da 105° a 110° dei controlli).La macerazione delle ossa femorali dei vitelli del gruppo A non ha comportato il distacco dei nuclei di ossificazione, cosa che invece è avvenuta per i vitelli del gruppo B.

Considerazioni e conclusioniI quadri clinici ed i reperti radiografici osservati nel corso della prova confermano che, come sostenuto da altri autori (Renner, 1996; Takaki e coll., 1996; Soeta e coll.,1999), un eccesso di vitamina A può provocare la Malattia della Iena.Le manifestazioni cliniche nella malattia indotta sperimentalmente, se paragonate ai casi spontanei (Testoni e coll., 1997) risultano indubbiamente ridotte ma appaiono quasi del tutto sovrapponibili, sia per gravità che per tempi di insorgenza, a quanto osservato nella prova di induzione della malattia con iperdosaggi di vitamine A-D-E (Gentile e coll., 1997; Testoni e coll., 1998). In entrambe le prove sono stati utilizzati gli stessi dosaggi di vitamina A, la stessa via e lo stesso periodo di somministrazione. I risultati ottenuti, quasi sovrapponibili, fanno supporre che la vitamina A giochi un ruolo dominante nell’eziopatogenesi della Malattia della Iena mentre la vitamina D abbia solo un ruolo marginale aggravante, vista la comparsa leggermente anticipata dei sintomi nell’ipervitaminosi A-D-E rispetto all’ipervitaminosi A.Le lesioni cutanee a carattere alopecico e di natura infiammatoria comparse nei vitelli del gruppo A potrebbero far sospettare un nesso causale con l’iperdosaggio vitaminico. In particolar modo la comparsa di tali manifestazioni, l’assenza di elementi deponenti per una eziologia infettiva, la mancanza di un coinvolgimento dei vitelli del gruppo di controllo, nonostante la stretta convivenza, depongono a favore di una responsabilità della vitamina A. In questo senso si pone anche la fortissima analogia con quanto osservato, dagli stessi autori, nella precedente prova (Testoni S. e coll.,1998).Merita sottolineare, se non altro come curiosità, che durante la fase di allestimento, per macerazione, dei preparati ossei i femori dei vitelli del gruppo A rimanevano integri, mentre i femori dei vitelli del gruppo B subivano la separazione delle diafisi dalle epifisi. Il fenomeno potrebbe essere in parte spiegato con il diverso stadio evolutivo delle cartilagini di accrescimento al momento della soppressione eutanasica; infatti nei vitelli del gruppo A le cartilagini di accrescimento si erano completamente chiuse e quindi era avvenuta la calcificazione delle stesse con saldatura delle epifisi alle diafisi, mentre nei vitelli del gruppo B, trovandosi le cartilagini di accrescimento ancora in una fase evolutiva (confermata anche dai quadri radiografici eseguiti prima del sacrificio degli animali), questa saldatura non era ancora completata e di conseguenza si assisteva ad una separazione delle componenti epifisarie dalle diafisi.Allo stato attuale delle conoscenze il passo successivo che ci proponiamo è quello di valutare se un’ipervitaminosi D sia in grado singolarmente di provocare la Malattia della Iena, oppure sia solo un cofattore aggravante e non determinante ai fini dell’insorgenza della malattia.

319XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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320 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

Figura 1 : a sinistra vit. nr. 103 (gruppo A), a destra vit. nr. 102 (gruppo B)

(Footnotes)1 Relativamente al contenuto in vitamina A del latte ricostituito, il cartellino riportava una quantità pari a 25.000 UI/Kg di polvere, sulla base della razione somministrata, la quantità alimentare di vit. A ricevuta durante il periodo latteo è stata stimata in circa 15.000 UI/capo/die.2 Relativamente al contenuto in vitamina A del mangime, il cartellino riportava una quantità pari a 25.000 UI/Kg di mangime, sulla base del mangime consumato, la quantità alimentare di vit. A ricevuta è stata stimata in circa 50.000 UI/capo/die.3 Profilo di tipo I o “profilo classico” secondo la classificazione di Vacirca e coll. (1985) = profilo della linea dorsale digradante cranio-caudalmente con andamento continuo dalle vertebre toraciche al tratto sacro-coccigeo.4 Profilo di tipo II o “profilo spezzato o a sella” secondo la classificazione di Vacirca e coll. (1985) = digradazione della linea dorsale interrotta in corrispondenza delle vertebre sacrali.

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XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

XI CongressoInternazionale del la Federaz ione Mediterranea

Sanità e Pro duzione

Ruminant i

Fe.Me.S.P.Rum

INDICE

323XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

SOMMARIO

RELAZIONI 5

22 - 23 MAGGIO 5

L’ECHINOCOCCOSI-IDATIDOSI: TASSONOMIA, MORFOBIOLOGIA E NOTE EPIDEMIOLOGICHE E DI CONTROLLO APPLICATE IN SARDEGNA (ITALIA). 7

INFEZIONI DA ROTAVIRUS ED ESCHERICHIA COLI ENTEROTOSSICO NEI PICCOLI RUMINANTI 12

CRIPTOSPORIDIOSIS EN PEQUEÑOS RUMIANTES: IMPORTANCIA Y MEDIDAS DE CONTROL. 14

IL RUOLO DEL VETERINARIO ISPETTORE NEL GARANTIRE LA SICUREZZA SANITARIA DELLA CARNE. 18

ATTIGIOVEDÌ 22 MAGGIO 2003 21

ABANDONMENT AND OMISSION OF TENDING THE BOVINES AFTER A POSITIVITY CASE OF B. S. E. INSIDE A FARM: LEGISLATIVE OBSERVATIONS AND IMPLICATIONS OF SANITARY RISK 23

EPIDEMIOLOGIA DELLA SCRAPIE: AGGIORNAMENTO 26

GENETIC DISEASES OF THE BROWN CALVES 30

RILIEVI CLINICI ED ISTOPATOLOGICI SU TRE CASI 33

DI ATASSIA PROGRESSIVA DELLO CHAROLAIS. 33

ATTIGIOVEDÌ 22 MAGGIO 2003 37

MANAGEMENT AND CONTROL OF THE CLAW DISEASES IN INTENSE DAIRY PRODUCTION 39

APPROCCIO AL FENOMENO DI “RIPRESA” DELLA CURVA DI LATTAZIONE NELL’ALLEVAMENTO CAPRINO ESTENSIVO 42

ELECTRONIC IDENTIFICATION IN TRANSITION GOATS 46

VALORI LATTODINAMOGRAFICI E CONTENUTO IN CELLULE SOMATICHE NELLA PECORA DA CARNE. 50

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003 53

SEROPREVALENCIA DE OESTROSIS EN OVINOS SARDOS MEDIANTE ELISA-INDIRECTO 55

IPODERMOSI BOVINA: PROGRAMMA DI MASSIMA PER LA MESSA A PUNTO DI UN PIANO DI CONTROLLO IN SARDEGNA. 58

LA DIAGNOSI DELLA DICROCOELIOSI OVINA: METODICHE COPROMICROSCOPICHE A CONFRONTO 61

LA CENUROSI OVINA DA COENURUS CEREBRALIS IN SARDEGNA: RILIEVI EPIDEMIOLOGICI,

PARASSITOLOGICI E ISTOPATOLOGICI. 65

OUTBREAK OF COENUROSIS IN ADULT SHEEP IN VITERBO’S DISTRICT (ITALY) 69

AGGIORNAMENTI SULL’EPIDEMIOLOGIA DI Echinococcus granulosus IN SARDEGNA 72

PATHOLOGICAL OBSERVATIONS OF A FOCUS OF CYSTICERCOSIS IN IMPORTED CATTLE 75

EFFETTO DELLE TEMPERATURE AMBIENTALI SU ALCUNI PARAMETRI EMATICI E SULL’ESCREZIONE FRAZIONARIA DEGLI ELETTROLITI NELL’ALPACA (LAMA PACOS) 77

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003

“SORGOLINA”, “PETTIATZA”, “ISTRINGADA”, “BERTIGADA”: UNA ANTICA E/O NUOVA RAZZA BOVINA IN SARDEGNA IN VIA DI ESTINZIONE !? 83

EFFETTI DEL LIVELLO DI CARBOIDRATI ALIMENTARI NON FIBROSI SU ALCUNI PARAMETRI ENDOCRINO-METABOLICI NELLA PECORA SARDA IN LATTAZIONE 87

324 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

GLI ADDITIVI NELL’ALIMENTAZIONE DEGLI ANIMALI 91

IL BOLDENONE NEI BOVINI DA CARNE 96

INTOXICACIÓN AGUDA POR ÁCIDO OXÁLICO: HALLAZGOS BIOQUÍMICOS 99

IL RUOLO DELLA FORMAZIONE AI FINI DELL’APPLICAZIONE DEL SISTEMA HACCP NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE 102

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003 107PREVALENZA ED ABBONDANZA STAGIONALI DEI NEMATODI DEL PICCOLO INTESTINO IN PECORE DI UN ALLEVAMENTO DELLA SICILIA OCCIDENTALE 109A 3-YEAR EPIDEMIOLOGICAL SURVEY OF GASTRO-INTESTINAL NEMATODES IN A SHEEP FLOCK FROM SOUTH SARDINA 112

IDENTIFICAZIONE DEGLI OSPITI INTERMEDI DI MUELLERIUS CAPILLARIS (MUELLER, 1889) IN SARDEGNA E LORO INFESTAZIONE SPERIMENTALE. 113

ANALISI DELLA DIFFUSIONE DELLA NEOSPOROSI MEDIANTE IFI E PCR IN ALLEVAMENTI OVINI E CAPRINI DELLA SARDEGNA 116

EFFICACIA DELLA MOXIDECTINA IN FORMULAZIONE INIETTABILE E POUR -ON PER IL CONTROLLO DELL’IPODERMOSI BOVINA IN BASILICATA 120

EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO DI ROUTINE CON IVERMECTINA O DORAMECTINA IN BOVINI ALL’INGRASSO. 123

ATTIVENERDÌ 23 MAGGIO 2003 127

VALUTAZIONE DEL SEME DI CAPRONI AFFETTI DA CALICOSI TESTICOLARE 129

FUNZIONALITA’ TESTICOLARE E PARAMETRI SEMINALI I IN ARIETI IN CONTROSTAGIONE STIMOLATI CON NALOXONE, CALCIO E GnRH 132

INDAGINI ISTOCHIMICHE SUI GLICOCONIUGATI ELABORATI DALLE GHIANDOLE DUODENALI E DALLE CELLULE MUCIPARE CALICIFORMI DUODENALI IN BUBALUS BUBALI 136

RILIEVI ISTOPATOLOGICI ED IMMUNOISTOCHIMICI SU TESSUTI FISSATI I FORMALINA E INCLUSI IN PARAFFINA DI PECORE INFETTATE SPERIMENTALMENTE CON MYCOPLASMA AGALACTIAE 140

IL CARCINOMA MAMMARIO A CELLULE SQUAMOSE DELL’OVINO SARDO 144

BLUE TONGUE IS ALSO A LEGISLATIVE EMERGENCY 148

NEW DISPOSITIONS ON IDENTIFICATION AND REGISTRATION OF CATTLE IN ITALY 151

PRESENT LEGISLATION CONCERNING PROTECTION OF THE ITALIAN MEDITERRANEAN BUFFALO COW 154

ATTISABATO 24 MAGGIO 2003 157

I LIPOIDROPEROSSIDI NELLA TERAPIA DELLA MASTITE NELLA BOVINA DA LATTE 159

LIPOHYDROPEROXIDES IN THE TREATMENT OF MASTITIS IN DAIRY COWS 159

ISOLAMENTO DI STREPTOCOCCUC CANIS IN LATTE DI BOVINE AFFETTE DA MASTITE 161

SENSIBILITÀ NEI CONFRONTI DEGLI ANTIBIOTICI DI STAFILOCOCCHI ISOLATI NEL LATTE DI CAPRE CON MASTITE SUBCLINICA 164

CORRELAZIONE TRA CALIFORNIA MASTITIS TEST, CONTENUTO IN CELLULE SOMATICHE E STATO SANITARIO DELLA MAMMELLA NELLA PECORA DA CARNE 168

CORRELATION AMONG THE CALIFORNIA MASTITIS TEST, THE SOMATIC CELLS CONTENT AND THE HEALTH STATUS OF THE UDDER IN THE MEAT SHEEP 168

ATTISABATO 24 MAGGIO 2003 173

325XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

DIAGNOSI DI AGALASSIA CONTAGIOSA MEDIANTE UN TEST ELISABASATO SU PROTEINE RICOMBINANTI 175

VACCINAZIONE CONTRO IL MYCOPLASMA AGALACTIAE 178

MEDIANTE UN VACCINO A DNA 178

IDENTIFICAZIONE DEL MYCOPLASMA AGALATIAE DAL MYCOPLASMA BOVIS MEDIANTE POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR) 180

ANALISI PREDITTIVA PER L’IDENTIFICAZIONE DI ALLEVAMENTI CON SOGGETTI PERSISTENTEMENTE INFETTI DA VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV) 182

TEST DI WESTERN BLOTTING PER DIFFERENZIARE 185

LE INFEZIONI DA BRUCELLA SPP. E YERSINIA ENTEROCOLITICA O:9 NEGLI OVINI 185

DUE FOCOLAI DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN BOVINI DEL SUD ITALIA 188

ENTERITE NEONATALE DEI RUMINANTI DA ROTAVIRUS: 191

IDENTIFICAZIONE DI UN NUOVO SIEROTIPO VP4 NEL BUFALO 191

ABORTI OVINI E CAPRINI IN SARDEGNA RIFERITO A TOXOPLASMA GONDII, COXIELLA BURNETII E CHLAMYDOPHILA ABORTUS : 195

ATTISABATO 24 MAGGIO2003 201RIATTIVAZIONE NATURALE DI CAPRINE HERPESVIRUS 1 (CPHV.1) IN CAPRE CON INFEZIONE LATENTE IN SICILIA 202

EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE VETERINARIA. 205

ANAPLASMOSI E BABESIOSI DEL BOVINO, RECENTI OSSERVAZIONI CLINICO-EPIDEMIOLOGICHE EFFETTUATE NELL’ITALIA DEL SUD 210

ECOGRAFIA BIDIMENSIONALE E DOPPLER DELLA MAMMELLA DI PECORA E CAPRA: OSSERVAZIONI PERSONALI. 211

ASPETTI FARMACO-EPIDEMIOLOGICI IN MEDICINA VETERINARIA: ESPERIENZE SUL TERRITORIO 215

PROTIDOGRAMMA DEL SECRETO LACRIMALE NEL BUFALO (Bubalus bubalis) 223

ELEMENTI DI SEMIOLOGIA OCULARE NEI BUFALI 227

UMORE ACQUEO DELL’OVINO: TRACCIATO ELETTROFORETICO (STUDI PRELIMINARI). 230

POSTER 235

ELENCO POSTER 237

INTERACCIONES ORGÁNICAS DE LOS METALES ESENCIALES (COBRE Y CINC) EN EL GANADO OVINO DE RAZA SEGUREÑA DE LA REGIÓN DE MURCIA. 239

EFFETTO DELL’INTEGRAZIONE ALIMENTARE SULLE CAPACITA’ DI MANTENIMENTO DELLE RISERVE ENERGETICHE NEL PERIPARTO E SULLE PRODUZIONI IN CAPRE D’ANGORA 242

EFFICACIA TERAPEUTICA DELLA TILMICOSINA NELLE INFEZIONI POLMONARI DEI VITELLI 247

L’ABIGEATO E LA CONTRAFFAZIONE DEI MARCHI AURICOLARI IN OVINI SARDI: OSSERVAZIONI MEDICO-LEGALI, CLINICHE E LEGISLATIVE. 250

VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE IN AGNELLI MERINOS: PREFERENZE ALIMENTARI CON L’IMPIEGO DI ALIMENTI SEMPLICI 253

FARMACOCINETICA, RESIDUI NEL LATTE ED EFFICACIA TERAPEUTICA DEL MARBOFLOXACIN IN ALCUNE PATOLOGIE DI ORIGINE BATTERICA DELLE PECORE. 256

NIVELES DE MICROMINERALES EN OVEJAS DE “TIERRA DE CAMPOS”, LEÓN (ESPAÑA) 259

CAMBIOS ELECTROLÍTICOS ASOCIADOS A LA ADICIÓN DE PREBIÓTICOS EN TERNEROS DE CEBO EN FASE DE CRECIMIENTO. 268

326 XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

INFLUENZA DELLA TECNICA DI ALLEVAMENTO SUGLI ASPETTI QUANTI-QUALITATIVI DELLA PRODUZIONE DI LATTE NEGLI OVINI 271

EFFETTO DELL’ INTEGRAZIONE CON VITAMINE ED OLIGO-ELEMENTI SULLA PRODUZIONE QUANTI-QUALITATIVA DI LATTE IN PECORE AL PASCOLO 275

RAPID DETECTION OF Mycobacterium Tuberculosis Complex AND Mycobacterium Avium Complex, IN BOVINE BIOLOGICAL SAMPLES BY NESTED REAL-TIME PCR 279

CADMIUM AND LEAD ACCUMULATION IN BEEF AND DAIRY CATTLE IN NW SPAIN 285

PRATICHE DI ALIMENTAZIONE NELL’ALLEVAMENTO CAPRINOESTENSIVO MEDITERRANEO 288

“EFFECTS OF THE 17-α-ETHINYLESTRADIOL ON HYDROELECTROLITIC BALANCE IN CALVES” 293

IL PROFILO SIEROPROTEICO NELLA CAPRA JONICA. 295

QUALE SCENARIO PER LA ZOOTECNIA DA LATTE NELLA MURGIA BARESE? 298

STUDIO ELETTROFORETICO DI UNA VARIANTE αS2 CASEINA NEL LATTE OVINO 301

MEAT QUALITY OF BEEF REARED WITH ORGANIC SYSTEM1 304

DIFFUSIONE DELLE SPECIE DI EIMERIA NEGLI ALLEVAMENTI BOVINI SEMIBRADI 307

DI UN’AREA DELL’APPENNINO MERIDIONALE 307

NIVELES DE COBRE Y CINC EN LECHE DE VACAS PARDO-ALPINAS EXPLOTADAS EN CONDICIONES SEMIEXTENSIVAS 313

LA MALATTIA DELLA IENA INDOTTA DA IPERVITAMINOSI A 316

327XI Congresso Internazionale della Federazione Mediterranea Sanità e Produzione Ruminanti

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