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Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 1 Alcune note sul ruolo del commercialista nel finanziamento delle PMI di Alberto Baccini 1 Uno dei temi di dibattito attuale è relativo al finanziamento delle PMI. Una quota crescente di letteratura si muove, schematizzando, in due direzioni: (i) la ricostruzione, teorica ed empirica, dei comportamenti tenuti dai vari agenti (imprese, intermediari, risparmiatori) nei mercati finanziari, delle modalità di funzionamento di quei mercati e degli equilibri che vi sono raggiunti; (ii) il legame tra i vari strumenti finanziari e lo sviluppo economico. Vi si evidenziano i legami tra l’accumulazione e lo sviluppo delle imprese, la finanza e gli assetti proprietari e di controllo, e tra queste dimensioni e quella organizzativa. La non indipendenza di questi aspetti dell’agire imprenditoriale pone il problema del finanziamento al centro di una serie di questioni cruciali per il funzionamento soddisfacente o ottimale dell’impresa. La struttura del capital e di un’azienda influenza gli incentivi e il comportamento dei suoi dirigenti, creditori, possessori del capitale sociale, così come la probabilità di incorrere nei costi di fallimento. Cambiare la struttura finanziaria di un’impresa significa cambiarne gl i incentivi; i conseguenti mutamenti reali nel comportamento influenzano i guadagni generati. Ciò determina il valore dell’impresa per gli investitori esterni e conseguentemente le loro disponibilità di pagamento (Milgrom-Roberts 1994). Da questa struttura di base hanno avuto origine molti filoni di ricerca che vanno da quello strettamente aziendale: lo studio delle modalità di finanziamento ottimale; all’applicazione della nozione di asimmetria informativa ai rapporti che si instaurano 1 [email protected]. Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Firenze. Versione largamente provvisoria ed incompleta: si prega di non citare. Sono richiesti commenti.

Alcune note sul ruolo del commercialista nel finanziamento delle PMI

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Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 1

Alcune note sul ruolo del commercialista

nel finanziamento delle PMI

di Alberto Baccini1

Uno dei temi di dibattito attuale è relativo al finanziamento delle PMI. Una quota

crescente di letteratura si muove, schematizzando, in due direzioni: (i) la ricostruzione,

teorica ed empirica, dei comportamenti tenuti dai vari agenti (imprese, intermediari,

risparmiatori) nei mercati finanziari, delle modalità di funzionamento di quei mercati e

degli equilibri che vi sono raggiunti; (ii) il legame tra i vari strumenti finanziari e lo

sviluppo economico.

Vi si evidenziano i legami tra l’accumulazione e lo sviluppo delle imprese, la

finanza e gli assetti proprietari e di controllo, e tra queste dimensioni e quella

organizzativa. La non indipendenza di questi aspetti dell’agire imprenditoriale pone il

problema del finanziamento al centro di una serie di questioni cruciali per il

funzionamento soddisfacente o ottimale dell’impresa. La struttura del capitale di

un’azienda influenza gli incentivi e il comportamento dei suoi dirigenti, creditori,

possessori del capitale sociale, così come la probabilità di incorrere nei costi di

fallimento. Cambiare la struttura finanziaria di un’impresa significa cambiarne gli

incentivi; i conseguenti mutamenti reali nel comportamento influenzano i guadagni

generati. Ciò determina il valore dell’impresa per gli investitori esterni e

conseguentemente le loro disponibilità di pagamento (Milgrom-Roberts 1994).

Da questa struttura di base hanno avuto origine molti filoni di ricerca che vanno

da quello strettamente aziendale: lo studio delle modalità di finanziamento ottimale;

all’applicazione della nozione di asimmetria informativa ai rapporti che si instaurano

1 [email protected]. Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Firenze. Versione

largamente provvisoria ed incompleta: si prega di non citare. Sono richiesti commenti.

Baccini
Casella di testo
mimeo, Firenze 10 giugno 1998
Baccini
Linea
Baccini
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Baccini
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Baccini
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Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 2

nel mercato finanziario, ed alla conseguente necessità dell’intermediazione finanziaria;

all’applicazione di strumenti derivati dalla schematizzazione principale-agente. Da

questi filoni derivano anche ricerche empiriche consistenti. In Italia esse hanno preso la

forma di indagine sul finanziamento delle PMI e sui rapporti tra banche e PMI <bibl>.

Nessuna di queste ricerche si è mossa nel senso di definire precisamente i meccanismi

decisionali che all’interno di un impresa portano alla scelta di strumenti finanziari

diversi; ed il modo in cui l’operare in particolare contesti produttivi e territoriali

influenzi la possibilità di accedere a strumenti di finanziamento differenziati.

Questo lavoro si muove nella direzione di ricostruire i meccanismi decisionali che

all’interno delle PMI determinano la scelta degli strumenti finanziari, limitandosi però a

un aspetto particolare relativo al ruolo del consulente finanziario nelle decisioni di

impresa. L’ipotesi dalla quale parte questo contributo è che nei lavori che si occupano

della definizione del contesto che co-determina le caratteristiche del finanziamento delle

PMI in Italia non si tenga sufficientemente di un tassello importante, rappresentato

appunto da coloro che svolgono per conto delle imprese attività professionali relative

all’ambito economico e contabile - come vedremo i commercialisti -. Scopo di questo

lavoro è tentare di ricostruire, in molte parti in modo congetturale, in altre con

riferimento a consolidati strumenti teorici il ruolo svolto dal commercialista nelle

decisioni e nelle procedure di finanziamento delle PMI in Italia. Alcune delle possibili

conseguenze della ricostruzione sono state verificate attraverso una piccola indagine sul

campo svolta attraverso interviste dirette e semistrutturate ad alcuni commercialisti,2 e a

32 PMI industriali.3 L’esiguità del campione e soprattutto il carattere eminentemente

qualitativo delle interviste effettuate suggerisce di non enfatizzare i risultati aggiunti,

che sono utilizzati come contrappunto esemplificativo dei ragionamenti svolti nel testo.

Lo scopo del lavoro potrà essere considerato raggiunto se le considerazioni contenute

2 Si sono svolti cinque colloqui con altrettanti commercialisti operanti nell’area fiorentina.

3 Le 32 imprese industriali intervistate operano tutte in Toscana. Si tratta di imprese piccole e

piccolissime con un fatturato medio di lit. 750 milioni nel 1997, e con un numero medio di 12 addetti.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 3

nel testo potranno essere di stimolo per ulteriori indagini che dovranno aggredire il

problema in modo maggiormente strutturato, ed in riferimento ad un campione di

imprese e professionisti rappresentativo delle realtà regionali.

L’articolo è organizzato come segue: nel primo paragrafo si considerano

brevemente alcuni recenti studi sul finanziamento d’impresa in Italia; nel secondo si

schematizza la proposta di ricerca di cui questo contributo è un esempio; nel terzo si

passa alla descrizione delle caratteristiche dell’offerta di servizi professionali da parte

dei commercialisti italiani alle PMI; nel quarto si commentano alcuni indizi utili per

cogliere i rapporti tra commercialisti; nel quinto paragrafo si propone una lettura del

ruolo del commercialista nelle decisioni di finanziamento delle PMI; seguono alcune

considerazioni conclusive.

1.1. Il finanziamento d’impresa in Italia

E’ ben noto che il dibattito relativo ai sistemi finanziari contrappone quello dei

paesi anglosassoni - Stati Uniti e Inghilterra - a quello dei paesi cosiddetti continentali

- Germania e Giappone -. Schematizzando, il primo sarebbe caratterizzato per il ruolo

rilevante svolto dal mercato nel finanziamento delle imprese, il secondo per i rapporti

stretti e stabili tra sistema bancario e sistema industriale. L’Italia è difficilmente

collocabile rispetto a questi due modelli poiché il ruolo del mercato nel finanziamento

delle imprese è stato storicamente marginale, e perché le banche italiane, secondo

quanto stabilito dalla Legge Bancaria del 1936, non hanno potuto partecipare

direttamente al capitale delle imprese. Le peculiarità del sistema italiano consistono per

le imprese più grandi nella messa a punto di meccanismi alternativi legati alla struttura

organizzativa dei gruppi - gerarchica e familiare - (Barca 1994), nella peculiarità dei

meccanismi di autofinanziamento e di accesso al credito bancario. Sulla base di questa

considerazione di fondo si muovono molte delle più recenti ricerche applicate sul

finanziamento delle imprese in Italia. Scopo di questo paragrafo è illustrarne

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 4

brevemente alcuni risultati e caratterizzare rispetto a quelli l’approccio scelto per questo

lavoro.

Si può iniziare dal Sesto rapporto annuale sull’industria italiana e sulla politica

industriale di Mediocredito Centrale (1997) che sintetizza efficacemente il quadro sulla

finanza delle imprese manifatturere italiane con una formula: “imprese dinamiche sul

piano reale e finanza vecchia”. Tale interpretazione si riferisce ai seguenti fatti stilizzati:

(i) le imprese sono ricorse in maniera limitata a strumenti finanziari

innovativi (prestiti partecipativi);

(ii) hanno fatto ricorso solo raramente alla cessione di quote di capitale di

rischio;

(iii) circa il 70% delle imprese - con percentuali più elevate presso le piccole

e medie imprese - dichiara di preferire altre forme di finanziamento

rispetto a quelle indicate ai due punti precedenti.

(iv) l’utilizzo di servizi finanziari innovativi offerti dagli intermediari si

colloca su livelli molto modesti;

(v) prevalgono i servizi tradizionali soprattutto quelli di incasso e pagamento.

Le PMI hanno comportamenti e risultati sicuramente peggiori rispetto a quelli

medi appena ricordati, ad indicare una struttura finanziaria appesantita rispetto agli anni

precedenti.4

Sintetizzando il quadro generale emerso da alcune indagini sulle PMI Andreozzi,

Di Salvo, Maggiolini (1997) parlano di “scarso sviluppo della funzione finanziaria […],

elevata dipendenza dal credito bancario, soprattutto a breve, […] significativa capacità

di autofinanziamento. Tali assetti riflettono una struttura proprietaria (e organizzativa)

di tipo familiare e uno scarso orientamento alla diversificazione e all'innovazione

finanziaria, dovuto anche alle condizioni di arretratezza dei mercati obbligazionari e del

4 In tutto questo meccanismo il credito agevolato avrebbe svolto e svolgerebbe una funzione di supplenza

per le funzioni di accumulazione e sviluppo delle piccole e medie imprese di determinate aree e settori. A

fronte di un ruolo declinante di queste forme di incentivazione emerge la necessità di un aggiustamento

strutturale positivo della finanza d’impresa. Secondo Mediocredito centrale “tale coscienza emerge

soprattutto nelle imprese di medie dimensioni, in alcune aree ed in alcuni settori”.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 5

più ampio mercato dei capitali privati, e pongono in luce la debolezza strutturale di

questo segmento dell’imprenditoria italiana, particolarmente soggetto ai mutamenti

congiunturali” (p.228-229).

La centralità del ruolo della banca nel finanziamento d’impresa in Italia è oggetto

di un interesse di ricerca crescente. Flaccadoro e Pittaluga considerano consistente la

crescita dimensionale delle PMI negli anni '80, ma qualitativamente fragile:

l’allargamento della base produttiva è avvenuto cioè con investimenti a basso contenuto

innovativo, con scarsi investimenti in capitale umano e dando luogo a rigidità sotto il

profilo organizzativo. Nel corso degli anni '80: (i) le PMI si sono finanziate

prevalentemente attraverso forme di indebitamento, mentre le imprese più grandi hanno

attinto a fondi interni e capitale di rischio; (ii) la struttura delle passività delle PMI è

risultata estremamente rigida; (iii) la forma prevalente di finanziamento delle PMI è

stato l'indebitamento a breve termine verso aziende di credito medio-piccole. In questo

modo le PMI hanno finito per disporre di una ristretta gamma di strumenti di

finanziamento alternativi al credito bancario, e per dipendere prevalentemente da singoli

o pochi istituti eroganti, in larga misura di piccole dimensioni. Così i fattori di

inferiorità di queste banche in termini di caratteristiche dei servizi offerti -prodotti

bancari tradizionali- e di sfruttamento di economie dimensionali e di scopo hanno finito

per gravare sulle PMI. (Flaccadoro-Pittaluga)

Più recentemente Bianco (1997) ha effettuato una verifica empirica sulla rilevanza

dei vincoli finanziari nel determinare la propensione all’investimento delle imprese

italiane. Tali vincoli sono aggravati dallo scarso sviluppo del mercato dei capitali e dalla

pressoché totale assenza di relazioni tra banche e imprese fondate su legami

partecipativi. Bianco ha messo in evidenza che le imprese private italiane incorrono in

vincoli finanziari nelle scelte di investimento. La forza di tali vincoli è inversamente

proporzionale alla dimensione media delle imprese. Come è noto, in Italia le imprese

tendono a mantenere rapporti con un numero elevato di banche (Padoa Schioppa 1995).

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 6

Stretti rapporti con una banca dovrebbero ridurre per l’impresa i problemi di agenzia

garantendo un più ampio accesso al finanziamento. D’altra parte tali relazioni

potrebbero generare potere monopolistico per la banca, dando a quest’ultima la

possibilità di imporre un costo più elevato per il credito, appropriandosi di parte dei

profitti generati dalle imprese. Solo un numero limitato di PMI mantiene rapporti stabili

con una banca di riferimento; tali rapporti stabili attenuano il problema del vincolo

finanziari, ma comportano probabilmente costi molto alti - testimoniati dal fatto che

contrariamente al caso tedesco o giapponese, rapporti stretti e stabili non si realizzano

neppure tra grandi banche e grandi imprese -.

Su questo filone si muovono le ricerche che analizzano le relazioni di clientela tra

banca e impresa per spiegare le politiche di determinazione dei tassi di interesse

(Angelini, Di Salvo, Ferri 1997; D’Auria-Foglia 1997) ed anche alcuni dei fattori

determinanti le scelte finanziarie delle imprese (Sapienza 1997).

Contributi recenti evidenziano il ruolo positivo delle banche locali nei processi di

crescita dei sistemi economici locali, per l’instaurarsi di meccanismi virtuosi che fanno

perno principalmente sul radicamento locale della banca. Questo fa sì che si instaurino

meccanismi che migliorano le informazioni in possesso delle banche per selezionare e

controllare gli affidati permettendo un più efficace finanziamento delle iniziative

economiche locali <Cesarini Ferri Giardino 1997>

1.2. Una proposta di ricerca

La letteratura cui si è appena fatto riferimento, pur con l’ausilio di strumenti

teorici differenziati, concentra la sua attenzione essenzialmente su due aspetti diversi e

complementari. Essa è attenta, da una parte, ai legami tra forme di credito e sviluppo

economico e d’impresa; dall’altra a individuare i fattori che influenzano il rapporto

bilaterale, contrattuale e informativo, tra finanziatore e impresa; dallo studio di tali

fattori emerge il modo in cui i vincoli contrattuali e le asimmetrie informative

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 7

influenzano il raggiungimento dell’equilibrio nel mercato finanziario e le conseguenti

particolari modalità in cui avviene il finanziamento. Di fatto in entrambe le prospettive

l’attenzione è centrata sull’analisi dei comportamenti e sui fattori che li influenzano;

minore o scarsa attenzione è rivolta alla ricostruzione dei processi decisionali concreti -

specialmente dal lato della domanda5 - che li determinano. Tale analisi permetterebbe

di rispondere ad una serie di quesiti importanti: qual è l’insieme di strumenti finanziari

sul quale l’impresa può esercitare la sua decisione? Quali sono i fattori che vincolano

l’estensione di quell’insieme? Quali sono i vincoli istituzionali, se ce ne sono, che

influenzano le decisioni delle imprese? Quali sono gli strumenti di decisione

generalmente adoperati dalle imprese? Chi è che prende le decisioni all’interno

dell’impresa? La percezione del problema del finanziamento è connessa con altre

questioni decisionali rilevanti all’interno dell’impresa?

Un tentativo di muoversi in questo senso è stato compiuto da Gabi Dei Ottati

(1992) che ha proposta una ricostruzione della forma particolare di finanziamento alle

imprese attivata nel contesto dei distretti industriali. Secondo Dei Ottati nel distretto

l'esistenza di rapporti di conoscenza personale e cooperazione che si cristallizzano, nel

tempo, in capitale marshalliano di fiducia, favorisce l'instaurarsi di rapporti privilegiati

tra operatori: due o più operatori in rapporti di fiducia tenderanno a concludere quante

più transazioni possibile tra loro. Se la costruzione di rapporti di fiducia prevede

comportamenti costosi da parte degli operatori per segnalare le proprie qualità e quindi

un investimento in capitale di fiducia, allora l'instaurarsi di rapporti privilegiati tra

operatori è un modo efficace per ridurre i costi di transazione. Una delle forme tipiche

di transazioni intrecciate è quella tra subfornitura e credito: attraverso di esse si crea una

struttura organizzativa informale - una sorta di società implicita - in cui l'imprenditore

terminale partecipa in modo diretto e personale al rischio dell’impresa fornitrice.

L’attività dell’imprenditore terminale sarebbe facilitata dal fatto che anche il credito

5 Esistono studi sulle procedure decisionali dell’offerta?

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 8

concesso dal sistema bancario risente del clima del distretto: tra i clienti più conosciuti

in banca vi sono proprio gli imprenditori terminali che arrivano al credito bancario con

relativa facilità sia direttamente, sia come intermediari degli imprenditori fornitori per i

quali firmano fideiussioni. Dei Ottati suggerisce perciò che all’interno del distretto si

istituisca una doppia intermediazione finanziaria: quella delle banche, e quella degli

imprenditori terminali accreditati in banca, che alimentano un mercato secondario dei

prestiti.

La preferenza accordata dalla banca all’imprenditore terminale deriva da due

ordini di circostanze, per così dire, materiali e immateriali, che concorrono a diminuire

il rischio della banca: (i) l’imprenditore terminale è meno esposto ai rischi del

fallimento dell’impresa subfornitrice poiché partecipa a molte e diverse attività che si

svolgono nel distretto (p. 21); (ii) ha già investito nella costruzione di un rapporto di

fiducia con il funzionario della banca, e quindi è attento a non incrinare tale rapporto.

Tale rapporto di fiducia tenderebbe a ridurre se non eliminare i rischi di selezione

avversa o azzardo morale nelle transazioni tra banca e cliente (p. 8). In questo senso

sembra di capire che l’imprenditore terminale agirebbe come vettore di informazione

presso la banca riducendo l’asimmetria informativa esistente tra prestatore e creditori.

Il lavoro di Dei Ottati non presenta che debolissime evidenze dell’esistenza di

transazioni intrecciate di subfornitura e credito all’interno del distretto. Niente o molto

poco si dice dei meccanismi concreti di funzionamento dei rapporti di credito tra

imprenditore terminale e imprese del distretto. Lo stesso rilievo vale per i rapporti tra

imprese e sistema bancario: in questo caso il riferimento più preciso alle pratiche di

finanziamento (Dei Ottati, 1992: 21) mostra l’imprenditore terminale intento a firmare

fidejussioni a favore di imprese di fase. Ciò può fare pensare che in realtà il volume di

credito attivato dall’imprenditore terminale dipenda esclusivamente dalla sua capacità di

fornire garanzie reali, e che sia perciò in larga parte indipendente dal rapporto di fiducia

instaurato con la banca. In questo senso il ruolo giocato dall’imprenditore terminale è

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 9

quello di trasmettere liquidità alle “sempre rinnovantesi piccole imprese del distretto”.

L’effetto complessivamente positivo per il distretto deriva dall’esistenza di una

asimmetria informativa tra banca e imprenditore terminale per cui la valutazione operata

da quest’ultimo sulla qualità intrinseca del progetto di investimento del subfornitore

sarebbe migliore rispetto a quella che la banca potrebbe mai raggiungere: Il punto

chiave è dunque questo: l’imprenditore terminale chiede credito alla banca per

finanziare i migliori progetti di investimento del distretto.

In questo senso dunque il modello di Dei Ottati non fa altro che mostrare

l’efficienza relativa del meccanismo della doppia intermediazione rispetto al

meccanismo di finanziamento che passa attraverso la sola intermediazione della banca,

assumendo implicitamente che non siano disponibili altre forme di accesso al

finanziamento che quella del ricorso al credito bancario - o non dice niente

sull’efficienza relativa della doppia intermediazione rispetto alle altre forme possibili di

finanziamento -. L’opera di intermediazione dell’imprenditore terminale può avere

effetti negativi nella misura in cui seleziona strumenti di finanziamento in sé meno

efficienti di altri strumenti disponibili, facendo affluire alle imprese del distretto credito

con costi relativamente più alti di quelli disponibili sul mercato. Il punto è il seguente:

per mostrare che la doppia intermediazione è efficiente si dovrebbe dimostrare che le

imprese affidate dall’imprenditore terminale non avrebbero avuto accesso non tanto al

credito bancario bensì a qualsiasi altra forma meno costosa o più efficace di

finanziamento del proprio fabbisogno.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario valutare in estremo dettaglio il

meccanismo attraverso cui avviene o potrebbe avvenire l’accesso al credito da parte

delle imprese del distretto. Ciò significa nella sostanza ricostruire in modo

circostanziato le modalità concrete e le procedure normalmente utilizzate dalle imprese

per l’accesso al credito; verificare le conoscenze disponibili e quelle diffuse tra gli

imprenditori - e più in generale tra gli operatori del distretto - in materia di

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 10

finanziamento; in altri termini: ricostruire un quadro di insieme che mostri le opzioni

disponibili e quelle praticate, e la relativa efficienza delle une rispetto alle altre, con

indicazioni precise dei vincoli istituzionali operanti nel particolare contesto analizzato.

In realtà questa proposta non vale soltanto per quella forma particolare di

agglomerazione territoriale di piccole imprese che è il distretto industriale, ma anche per

forme meno strutturate di sistema locale e più in generale per ogni PMI che si trova ad

affrontare il problema del finanziamento del proprio fabbisogno. In generale il problema

può essere posto nei termini dell’efficienza relativa degli strumenti finanziari

generalmente adottati delle PMI rispetto alle procedure alternative potenzialmente

disponibili, e al ruolo che particolari configurazioni informative e istituzionali giocano

nella selezione degli strumenti di finanziamento generalmente adottati.

Un programma di ricerca di questo tipo richiede una attenzione minuta ai

microprocessi che si instaurano all’interno di contesti particolari - che espone al rischio

di limitarsi alla narrazione di accadimenti particolari, mai ricondotti ad una dimensione

analitica generale -. E’ plausibile ritenere che rivolgendo l’attenzione ai micro-processi

sarebbe possibile ricostruire con qualche dettaglio maggiore le determinanti dei

comportamenti d’impresa, e sarebbe possibile individuare con una precisione maggiore

i fattori che determinano i risultati anomali delle imprese italiane in fatto di

finanziamento. Senza la ricostruzione di questi micro-comportamenti non solo

continuerebbero a rimanere oscure alcune parti del meccanismo complessivo, ma

potrebbe accadere che le decisioni di politica economica relative agli strumenti

finanziari siano vanificate proprio dalle viscosità dei processi di trasmissione alle

imprese.

Un progetto di analisi di questo tipo - naturalmente complementare a quelli

ricordati in precedenza - richiede uno sforzo di ricerca consistente, esterno ai limiti di

questo lavoro, che intende limitarsi a proporre la ricostruzione di un aspetto particolare

dallo studio del quale è forse possibile inferire una procedura più generale di indagine.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 11

Gli spunti da cui la proposta di studio ha preso il via sono tre: il primo riguarda la

complessità dei meccanismi decisionali delle imprese; il secondo deriva da una

classificazione puntuale dei soggetti che hanno un ruolo nelle procedure decisionali di

finanziamento delle imprese; il terzo da una considerazione derivata dall’esperienza di

chiunque abbia svolto indagini sul campo intervistando le PMI italiane.

Per quanto riguarda il primo spunto: i meccanismi decisionali possono essere

molto diversi a seconda della complessità organizzativa delle imprese - per la quale la

dimensione potrebbe rappresentare una proxy attendibile -. Holt, Modigliani, Muth e

Simon (1960) suggeriscono di suddividere le decisioni delle imprese relative a

produzione, magazzino e forze di lavoro in tre insiemi. Appartengono al primo le

decisioni prese individualmente ogni volta che se ne presenti la necessità sulla base di

un giudizio ponderato che considera fattori volta per volta ritenuti importanti. Tale

procedura decisionale può rivelarsi particolarmente efficace quando attuata da manager

esperti ed in relazione a problemi relativamente circoscritti. La necessità di procedure

sistematiche si fa più forte al crescere della complessità delle decisioni. Nel secondo

sono comprese le decisioni per le quali un sistema semi-formalizzato garantisce che

almeno alcuni dati importanti sono considerati e valutati opportunamente dal decisore.

Nel terzo infine le decisioni sono caratterizzate dalla ricerca sistematica di migliorare il

sistema di decisione al fine di selezionarne le più efficaci e, al limite, la migliore

(HMMS 1960: 6-7).

Questa classificazione è talmente generale da potersi adattare ad ogni tipo di

decisione d’impresa, anche relativa al finanziamento. Ma non è questo il punto

importante. Qui interessa rilevare che HMMS distinguono le decisioni non sulla base

dei risultati raggiunti, bensì delle modalità che hanno portato alla decisione. Un

ragionamento di questo tipo non preclude la possibilità per decisioni appartenenti al

primo gruppo di dare luogo al risultato migliore - se calcolato con le procedure

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 12

decisionali del terzo -; afferma soltanto che tale risultato è frutto di un procedimento

non sistematico e non formalizzato di decisione.

Questo punto è molto importante ai nostri fini. Ricostruire minutamente l’attività

di decisione anche in tema di finanziamento può permettere di identificare gli obiettivi e

magari agire per modificare i meccanismi decisionali. Nel resto del lavoro si suggerisce

che le procedure decisionali adottate dalle PMI appartengono normalmente al primo o al

secondo gruppo. Rispetto al modello di Dei Ottati l’attenzione alle procedure

decisionali comporta una maggiore attenzione alla considerazione dei soggetti coinvolti

nelle decisioni di finanziamento, con i loro obiettivi strategici ed i vincoli reali

all’azione.

Una recentissima normativa6 - e questo è il secondo spunto - individua i soggetti

che hanno parte attiva nelle procedure di finanziamento:

1. i finanziatori - acquirenti del capitale di rischio -

2. gli intermediari finanziari,7 le società di intermediazione mobiliare (SIM), le

imprese di investimento;

3. i prestatori di servizi accessori;8

4. gli attori istituzionali - istituzioni comunitarie, nazionali, regionali, provinciali

o locali - che erogano finanziamenti agevolati o servizi reali alle imprese;

5. le imprese, e gli stakeholders delle stesse (azionisti, lavoratori, fornitori,

creditori, consumatori).

In quanto segue si focalizza l’attenzione sul ruolo del prestatore di servizi

accessori nella definizione delle decisioni e delle procedure di finanziamento delle PMI,

nell’ipotesi che il consulente dell’impresa abbia un peso rilevante nella definizione

dell’insieme degli strumenti di finanziamento perseguibili, e, in definitiva, sulla

decisione dell’impresa. Questo significa tentare di ricostruire in qualche dettaglio le

6 <bozza Draghi>

7 Le banche o intermediari iscritti nell’elenco previsto dall’art. 107 del T.U. bancario.

8 I servizi accessori di particolare interesse ai nostri fini sono relativi alla consulenza alle imprese in

materia finanziaria, strategia industriale e di questioni connesse, nonché alla consulenza e ai servizi

concernenti le concentrazioni e l’acquisto di imprese.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 13

interazione del prestatore di servizi accessori con le PMI, ma anche i rapporti che si

instaurano tra questo e gli altri soggetti attivi nella procedura di finanziamento.

Veniamo infine al terzo spunto. Chiunque abbia svolto ricerca presso le PMI può

avere notato la presenza pervasiva della figura del consulente di impresa, sia esso

dottore commercialista, ragioniere o consulente del lavoro.9 Malgrado ciò non esistono

studi specifici sulla presenza del commercialista nel tessuto produttivo italiano. Si

rimanda al paragrafo seguente per alcune congetture che rafforzano la constatazione cui

si è appena fatto riferimento, e che apportano qualche evidenza al punto che qui

interessa sottolineare: il commercialista svolge all’interno dell’impresa una pluralità di

funzioni ponendosi spesso come consulente aziendale globale, estendendo perciò il suo

ambito di intervento anche in tema di finanziamento d’impresa. La ricostruzione del

ruolo del commercialista nel particolare contesto del finanziamento d’impresa potrebbe

permettere di iniziare a colmare una lacuna conoscitiva importante per la definizione del

quadro istituzionale in cui si trovano ad operare le imprese italiane; lacuna tanto più

importante poiché probabilmente impedisce di capire molti dei meccanismi che

determinano il passaggio di informazione tra i vari livelli istituzionali e le imprese. In

questo senso questa indagine può rappresentare un tassello non secondario nella

spiegazione della arretratezza finanziaria delle PMI italiane, e fornire al contempo

alcuni spunti di riflessione utili ai policy maker.

9 Le competenze dei tre ordini sono del tutto simili, e sono riferite al controllo contabile delle imprese e

alla consulenza in materia commerciale, tributaria e del lavoro. Mentre l’ordinamento dei consulenti del

lavoro specifica competenze e attività tutto sommato specializzate - la gestione dei rapporti di lavoro -, gli

ordinamenti professionali dei commercialisti e dei ragionieri individuano ambiti di attività completamente

sovrapposti per non dire identici. Le competenze dei tre ordini sono del tutto simili, e sono riferite al

controllo contabile delle imprese e alla consulenza in materia commerciale, tributaria e del lavoro. Mentre

l’ordinamento dei consulenti del lavoro specifica competenze e attività tutto sommato specializzate - la

gestione dei rapporti di lavoro -, gli ordinamenti professionali dei commercialisti e dei ragionieri

individuano ambiti di attività completamente sovrapposti per non dire identici. Se non altrimenti

specificato nel resto del testo con la dizione “commercialista” si intendono gli appartenenti all’ordine dei

dottori commercialisti e dei ragionieri.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 14

1.3. Le attività del commercialista

Scopo di questo paragrafo è descrivere le attività offerte dai commercialisti alle

imprese italiane.10

Le fonti più utili per descrivere la tipologia dei servizi offerti dai commercialisti

sono legislative. Nei Decreti costitutivi degli ordini sono indicate le categorie generali

delle attività che possono essere svolte da ragionieri e commercialisti.11

Nei decreti che

stabiliscono le tariffe professionali minime12

quelle categorie sono disaggregate fino ad

un livello di dettaglio tale da permettere una descrizione minuziosa delle attività.13

Ai commercialisti e ai ragionieri la legislazione italiana riconosce competenza

tecnica nelle seguenti materie commerciali, economiche, finanziarie, tributarie e di

ragioneria:14

amministrazione e liquidazione di aziende, patrimoni e singoli beni; perizie

e consulenze tecniche; ispezioni e revisioni amministrative; verifica ed indagine

sull’attendibilità di bilanci, conti, scritture e ogni altro documento contabile delle

imprese; regolamenti e liquidazioni di avarie; funzioni di sindaco e di revisore nelle

società commerciali.

10

E’ da notare che nessuno degli intervistati ha dato rilevanza al fatto che il consulente appartenesse

all’ordine dei ragionieri o dei dottori commercialisti. 11

Cfr. art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1067, recante “Ordinamento della professione di dottore

commercialista” e art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068 12

Per i commercialisti DPR 645 del 10 ottobre 1994; per i ragionieri DPR 100 del 6 marzo 1997.

L’AGCM ha avviato una istruttoria relativa ai comportamenti tenuti dai Consigli nazionali di ragionieri e

commercialisti nelle procedure di fissazione delle tariffe che “vanno molto oltre le stesse previsioni

normative” (http://www.agcm.it/italiano/com_stam/1997/971105.html). L’AGCM si era già pronunciata

sfavorevolmente sull’uso dei minimi tariffari in conclusione dell’indagine conoscitiva sugli ordini e

collegi professionali (http://www.agem.it/italiano/com_stam/1997/971024.html), dove si legge: “di

particolare gravità appare la fissazione di tariffe inderogabili minime o fisse, che risulta direttamente

finalizzata alla protezione delle categorie interessate […]. […]la fissazione di un determinato prezzo non

è sufficiente a garantire l’erogazione di un prodotto con un determinato livello minimo di qualità […] a

ciò si aggiunga che la struttura delle tariffe [è] determinata in cifra fissa e indipendentemente dall’esito

dell’attività svolta dal professionista”. 13

Diversamente da quanto avviene per i servizi forensi e notarili non esiste l’obbligo di avvalersi del

commercialista da parte del cliente, né esiste una esclusiva sulle attività da essi svolte. Altri soggetti con

configurazioni societarie e specializzazioni diverse - consulenti del lavoro, società di consulenza e

tributaristi - possono svolgere e svolgono le attività proprie di commercialisti e ragionieri. Su questi

aspetti si rimanda a Autorità garante della concorrenza e del mercato, Conclusioni dell’indagine

conoscitiva sul settore degli ordini e collegi professionali, delibera del 03/01/1997, boll. 42/1997. 14

<DIFFERENZA CON ORDINI PROFESSIONALI DEGLI ALTRI PAESI>

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 15

Rispetto a questa varietà di compiti è possibile isolare i soli ambiti di intervento

del commercialista nelle aziende, che comprendono:

1. l’esecuzione di lavori contabili quali le attività di revisione, l’impianto e la

tenuta di contabilità, la redazione del bilancio;

2. l’intervento nella costituzione di enti sociali e negli aumenti di capitale;

3. l’intervento nella trasformazione, fusione, scissione e concentrazione;

4. l’assistenza societaria continuativa e generica diretta ad assicurare

l’adempimento delle pratiche e delle formalità non inerenti la gestione vera e

propria della società;

5. la consulenza in materia contrattuale concernente l’acquisizione, la vendita e

la permuta di aziende, di quote di partecipazione, di azioni etc.;

6. l’assistenza tributaria, ovvero la predisposizione di atti e documenti aventi

rilevanza tributaria quali dichiarazioni dei redditi, dichiarazioni IVA etc.;

7. la rappresentanza tributaria dell’azienda attuata attraverso l’intervento diretto

presso gli uffici tributari in qualità di mandatario del cliente;

8. la consulenza tributaria attuata in sede (i) di analisi della legislazione e della

giurisprudenza, (ii) di assistenza tributaria, (iii) “ed in sede di scelta dei

comportamenti e delle difese più opportuni in relazione alla imposizione

fiscale” (art. 46);

9. la consulenza economico finanziaria (art. 47). Essa si esplica nella

realizzazione di (i) studi relativi al rapporto tra il capitale proprio e di terzi; (ii)

“studi relativi alla scelta delle diverse forme tecniche di finanziamento: mutui,

prestiti obbligazionari debiti bancari, leasing factoring etc.”; (iii) studi ed

adempimenti per la collocazione di titoli sul mercato;15

10. la consulenza aziendali in senso lato. Essa si esplica nell’analisi di bilancio

(costruzione di indici e flussi; analisi del profilo strategico delle imprese,

15

La tariffa per la prestazione in materia economico finanziaria è stabilità con una percentuale variabile -

tra lo 0,5% e il 2% - del valore del capitale oggetto dell’operazione.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 16

analisi delle strutture organizzative); nell’ausilio alla osservanza delle

disposizioni legislative anche in materia tributaria; nella progettazione e

implementazione di sistemi direzionali; nella programmazione e nel controllo

delle principali variabili economico-finanziarie; nella valutazione degli

investimenti; nell’assistenza in materia di lavoro;16

A queste categorie onnicomprensive la legislazione aggiunge una categoria

residuale chiamata “consulenza aziendale continuativa e generica” che serve per

comprendere qualsiasi attività non esplicitamente richiamata nel testo.

Dalla lettura dell’elenco delle attività emerge che il commercialista ha di fatto

competenza e possibilità regolata di intervento su tutti gli aspetti della gestione

dell’impresa. Emerge altresì che il confine tra i vari tipi di attività è fortemente

sfuggente. Queste due constatazioni sono altrettanti indizi del fatto che il

commercialista tende a porsi rispetto all’impresa quale prestatore globale di servizi. Nel

sintetizzarne l’attività Francesco Serao parla, non senza retorica, di un grado elevato di

complessità da porre “[…] in relazione alla crescente evoluzione del panorama

economico-aziendale, caratterizzato da una crescente industrializzazione, dalle

innovazioni in materia societaria introdotte dal recepimento delle direttive comunitarie,

ed, infine, dai continui provvedimenti legislativi in materia fiscale che hanno reso

estremamente complessa la materia tributaria.” (Serao, 1996: 3-4). Questa affermazione

coglie attraverso un punto di vista particolare la labilità dei confini di cui si diceva in

precedenza: ovvero l’intreccio fittissimo tra l’attività di gestione corrente dell’azienda e

gli aspetti strettamente fiscali. Ciò significa che nella valutazione di ogni problema di

gestione aziendale uno dei punti che l’imprenditore necessariamente o normalmente

considera nella procedura decisionale è relativo alla dimensione fiscale dei corsi di

azione alterntaivi. Nelle PMI la sovrapposizione al piano delle decisioni imprenditoriali

della necessità di una loro continua valutazione in ambito fiscale richiede conoscenze

16

Anche in questo caso la tariffa è fissata tra lo 0,50% e il 2% del valore della pratica.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 17

sostanzialmente estranee a quel piano. Ciò può essere considerata una delle concause

della forte propensione da parte delle imprese italiane, specialmente delle PMI, ad

avvalersi dei servizi dei commercialisti.

Questo intreccio di fatto favorisce l’instaurarsi di un rapporto tra professionista ed

impresa: la delicatezza delle informazioni di cui il professionista entra in possesso nello

svolgimento della sua attività; la complessità dei flussi informativi che si instaurano tra

impresa e professionista - e quindi l’alto costo iniziale per l’impresa dell’apertura di una

relazione di clientela - favoriscono, anche attraverso la strutturazione di meccanismi

fiduciari, la ripetizione della prestazione e l’allargamento dell’ambito originario

dell’intervento del commercialista.

1.4. Il commercialista e le PMI

Una volta descritta in dettaglio l’attività dei commercialista può essere utile

tentare (i) di cogliere l’estensione e la generalità dei rapporti che si instaurano tra

commercialisti e imprese; (ii) di spiegare le ragioni per cui l’impresa trova conveniente

rivolgersi al commercialista, piuttosto che attivare risorse organizzative interne per

svolgere le stesse funzioni.

Come si è già detto non esistono ricerche specifiche sulla pervadente presenza

nelle aziende dei dottori commercialisti per cui si può soltanto ricorrere ad alcuni indizi.

Il primo è rappresentato dalla diffusione territoriale di commercialisti e ragionieri sul

territorio italiano che è capillare e poco concentrata come si rileva da alcune

elaborazioni compiute sugli iscritti agli albi professionali.

Tabella 1. Iscritti agli albi dei ragionieri e dei dottori commercialisti

Ragionieri Dottori commercialisti

1995 35.021 36.881

1996 40.600 43.678

1997

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 18

Fonte: consiglio nazionale dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri e

periti commerciali

Nel caso dei commercialisti, come mostra la tabella A1 in appendice, essi sono

presenti su tutto il territorio nazionale con punte nelle maggiori città: Roma, al cui albo

sono iscritti il 10,6% dei commercialisti italiani, Milano (8,6%), e Napoli (5,2%). Al di

là di questo fenomeno i quattro ordini con maggiore numero di iscritti rappresentano

complessivamente il 27,2% dei commercialisti; gli otto ordini maggiori il 36,6%. Per

arrivare a coprire il 50% dei commercialisti italiani si devono sommare 17 ordini

provinciali. La polarizzazione metropolitana serve altresì a spiegare la distribuzione

regionale dei dottori commercialisti, riportata nella tabella A2 in appendice.

Dalla tabella 2 relativa alla distribuzione per grandi aree geografiche dei

commercialisti si ricava una suggestione interessante: il centro e l’est hanno una densità

di commercialisti per impresa/abitante superiore alla media nazionale mentre l’ovest

mostra valori più bassi della media nazionale. Ciò può forse suggerire che le PMI -

concentrate nelle aree NEC - ricorrano più frequentemente ai servizi dei commercialisti.

Discorso diverso per quanto riguarda il Sud: qui la presenza per abitante dei

commercialisti è inferiore a quella nazionale e a quella del nord ovest del paese; mentre

la presenza per imprese e addetti alle imprese è molto superiore rispetto a tutte le altre

aree del Paese. L’anomalia di questo risultato non può essere spiegata semplicemente

per la minore presenza complessiva di imprese, quanto piuttosto in riferimento

all’economia - con un eufemismo - sommersa che probabilmente si avvale anch’essa

dei servizi dei commercialisti.

Tabella 2. Distribuzione territoriale dei commercialisti. Abitanti, imprese e addetti delle

imprese per commercialista iscritto all’albo.

Abitanti Imprese Addetti alle

imprese

Centro 1366,8 115,9 335,1

Est 1460,2 117,3 447,2

Ovest 1544,0 126,3 451,5

Sud 1532,2 91,2 172,3

Totale 1487,2 110,1 328,3

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 19

Fonte: ns elaborazioni da http://www.iol.it/commercialisti; abitanti: residenti al

Censimento della popolazione 1991; imprese ed addetti non agricoli al 1995: sistema

informativo Excelsior.

Sembra dunque di poter ipotizzare che le PMI abbiano una maggiore tendenza ad

avvalersi dei servizi dei commercialisti rispetto alle grandi imprese.17

Il livello di

aggregazione dei dati disponibili impedisce di tentare una correlazione tra struttura

dimensionale delle imprese e presenza del commercialista. Si può però ricorrere, in

mancanza di evidenza statistica, ad alcuni indizi a favore di questa ipotesi:

(i) nella presentazione de “la professione del dottore commercialista

nell’Europa degli anni ‘90” pubblicata aui Quaderni dell’organo di stampa

dell’Ordine l’estensore della nota rileva esplicitamente la stretta

connessione esistente tra struttura dimensionale del sistema produttivo

italiano e importanza del commercialista: “[…] questa moltitudine di

imprenditori [quelli delle PMI dove ancora non si è verificata la scissione

tra funzione imprenditoriale e manageriale] ha sempre trovato un valido

punto di riferimento nella figura del dottore commercialista, dapprima nel

campo della consulenza contabile-amministrativa e fiscale, poi in quello

dell’assistenza in materia societaria e contrattuale […] ed infine nel campo

della consulenza economico-aziendale e finanziaria […].” (Quaderni del

Giornale del dottore commercialista, dicembre 1997: 5-6);

(ii) alcune ricerche (Ciriec 1996a, 1996b, 1998) permettono di argomentare la

relazione inversa tra dimensione e ricorso al commercialista con una

maggiore articolazione. Tutte le imprese intervistate nelle ricerche

mostrano una elevata propensione a ricorrere a servizi esterni di tipo

17

C’è da dire che sarebbero necessari ulteriori approfondimenti che non sono possibile sulla base dei dati

disponibili. Sarebbe interessante per esempio verificare la correlazione tra presenza di commercialisti e

imprese in ambiti geografici diversi (comune, sistema economico locale etc.), o in particolari

configurazioni di sistema economico locale (distretto industriale marshalliano etc.).

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 20

amministrativo, fiscale e gestionale; essa sembra crescere al diminuire

della dimensione.18

Il 48,9% delle imprese manifatturiere medio-grandi

della Toscana (media addetti 71,4) ricorre a servizi esterni per l’area

amministrativa, gestionale e finanziaria,19

una quota addirittura

leggermente superiore a servizi tradizionalmente esternalizzati quali

pulizie e mensa (48,4%).20

Un campione di imprese toscane del sistema

moda con dimensione media di 74 addetti ricorre a servizi esterni

amministrativi, gestionali e finanziari nel 40,3% dei casi. (Ciriec 1997a:

15 tab 4.3). Un ulteriore campione di imprese toscane del comparto della

meccanica strumentale con una dimensione media di appena 22 addetti

ricorre nel 70% dei casi a personale esterno per i servizi amministrativi

(Ciriec 1996b: 41 tab. 4.3).

Il maggiore ricorso al commercialista da parte delle PMI rispetto alle grandi può

essere spiegato in termini di differenze nella dotazione di capitale, di differenze nella

dinamica di costo dell’acquisizione di competenze e così via. Un semplicissimo

modellino statico di make or buy che consideri la struttura dei costi dei servizi fiscali e

di gestione può forse schematizzare efficacemente processi dinamici in realtà molto

complessi.

In questo modello si assume che i servizi offerti possono essere scorporati dal

processo produttivo senza pregiudicarne il funzionamento. Si può ritenere inoltre che

tali funzioni rappresentino costi fissi o quasi fissi poiché devono essere realizzate da

personale specializzato non utilizzabile in altre funzioni aziendali. Sotto questa ipotesi

esiste una dimensione minima efficiente - livello dell’attività produttiva - al di sotto

della quale il costo medio della funzione sale rapidamente. Oltre tale dimensione si può

18

Le imprese oggetto delle tre indagini fanno parte di settori diversi. Si può però ritenere che le necessità

amministrative e gestionali non siano diverse tra diversi comparti manifatturieri: che cioè le variazioni

rilevate non dipendano dall’appertenenza settoriale delle imprese. 19

Nostre elaborazioni da Ciriec 1996a, tabb. 5.6 e tabb. 5.7. 20

La stessa indagine rilevava che il 38% delle imprese manifatturiere acquisiva dall’esterno servizi

direttamente produttivi; per le altre funzioni indicate la propensione era molto più bassa (tra il 10% e il

20% per un gruppo di altre 5 funzioni; e tra il 2 e il 6% per altre 5) (Ciriec 1996: 61 tab 5.7).

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 21

ipotizzare che il costo medio divenga pressoché piatto. In periodi di ristagno o crescita

lenta l’impresa può incorrere nel rischio di vedere sottoutilizzata la propria struttura

fissa. La scelta se organizzare la funzione all’interno dell’impresa o acquisirla

all’esterno dipende dalla valutazione dei costi relativi delle due ipotesi. Si può ritenere

che la complessità della legislazione fiscale e amministrativa italiana, e più in generale

la complessità istituzionale italiana rafforzino la fissità del costo, attraverso la necessità

della crescente specializzazione della funzione del commercialista, favorendo così

l’opzione buy.21

Da questo modello deriva che l’opzione buy è legata alla dimensione

d’impresa: imprese più piccole - con livelli dell’attività produttiva più bassa -

difficilmente raggiungono la scala minima perché sia disponibile l’opzione make.

Rispetto alla staticità di questo schema esplicativo, l’attenzione ad elementi legati

alla dinamica delle competenze in gioco (ed al loro costo) può essere di particolare

utilità. Una efficiente funzione fiscale, amministrativa e commerciale può essere fornita

soltanto da personale specializzato ed aggiornato sulle novità legislative, fiscali etc.. Si

può forse ritenere che tale aggiornamento avvenga in maniera più efficace da parte di un

professionista esterno che all’interno dell’impresa: il professionista può avere accesso a

informazioni che non passano attraverso canali formalizzati (collaborazione e scambio

di informazioni con altri professionisti; frequentazione di ambienti differenziati che

favorisce la contaminazione con esperienze diverse etc.); ed è spinto dalla varietà dei

clienti a svolgere attività di problem solving probabilmente molto differenziata, con lo

stimolo ad una maggiore diversificazione e approfondimento delle questioni in esame.

Vedremo più avanti come gli effetti di una crescente specificità (informativa) delle

transazioni tra PMI e commercialista abbia affetti non tanto sulla scelta iniziale di make

or buy quanto sulla persistenza nel tempo del rapporto tra impresa e professionista, e

sull’ampliamento della gamma dei servizi oggetto della transazione.

21

Il modello è adattato da Contini-Revelli 1992: 29-32.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 22

1.5. Il commercialista e il finanziamento di impresa

Si sono fino ad ora descritte le attività del commercialista e le ragioni per cui,

specialmente le PMI, ricorrono alla sua consulenza. Ulteriori spunti di riflessione

provengono dalla considerazione delle caratteristiche principali del rapporto che si

instaura tra impresa/imprenditore e consulente esterno. Il punto chiave risiede nella

asimmetria informativa esistente tra impresa e commercialista: essa ha origine nella

natura specialistica delle competenze messe in gioco dal commercialista e si ripercuote

sulla difficoltà da parte del cliente non solo di identificare precisamente la prestazione

necessaria a risolvere il suo problema (asimmetria informativa ex ante), ma anche di

valutare compiutamente il risultato dell’attività (ex post). Molto generalmente il tipo di

asimmetria ex post cui si è fatto riferimento è ridotta dalla possibilità di valutare il

risultato attraverso l’esperienza personale di transazioni ripetute o attraverso la

conoscenza di transazioni simili messe in atto da altri soggetti. La natura ripetuta della

transazione dà origine ad un meccanismo reputazionale che tende a ridurre la possibilità

di selezione avversa e azzardo morale nel rapporto tra impresa e professionista.

Questa caratterizzazione serve a descrivere, per così dire, macroscopicamente il

rapporto tra PMI e commercialista; essa soffre però ai nostri fini di un grado di

aggregazione troppo accentuato. Può essere più utile considerare la varietà tipologica

delle prestazioni - sulle quali ci siamo già soffermati - che il commercialista svolge a

favore dell’impresa. Ad ogni gruppo della tipologia di prestazioni (assistenza tributaria,

tenuta di contabilità, redazione di bilancio etc.) può corrispondere un diverso grado di

asimmetria informativa; la probabilità di incorrere in selezione avversa e azzardo

morale non è equamente distribuita su tutte le prestazioni offerte dal commercialista, ma

dipende strettamente dal grado di asimmetria riscontrabile in relazione alla tipologia

della prestazione.22

22

Con questa affermazioni non si intende enunciare il fatto, peraltro banalmente vero, che il grado di

asimmetria informativa di ogni transazione è definito in relazione alle caratteristiche di quella

transazione, ovvero, più brutalmente, che la misurazione del grado di asimmetria debba avvenire caso

per caso.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 23

Per chiarire questo punto si può considerare la classificazione dei servizi

professionali proposta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in

relazione al grado di asimmetria informativa esistente tra cliente e professionista. Essa

distingue i servizi professionali in:

(i) search goods: servizi professionali caratterizzati da nulla o scarsa

asimmetria informativa sia ex ante che ex post, per i quali il cliente può

avvalersi di informazioni comunque reperibili sul marcato;

(ii) experience goods: servizi professionali caratterizzati da elevata asimmetria

informativa ex ante, e da media asimmetria ex post; una volta ricevuta la

prestazione è relativamente facile valutarne le conseguenze, in riferimento

a esperienze precedenti o di altri soggetti;

(iii) credence goods: servizi professionali caratterizzati da elevata asimmetria

informativa ex ante ed ex post, per i quali è cioè difficile per il beneficiario

osservare e valutare il valore della prestazione ricevuta. In questo caso

l’attività professionale può essere di fatto considerata una “forma di

assistenza fiduciaria, sostanzialmente slegata da vincoli di obbligatorietà

di risultato”.

La nostra ipotesi è che le varie tipologie di servizi prestate dai dottori

commercialisti possano essere variamente classificate secondo la precedente

distinzione. E che quindi l’impresa abbia probabilità diverse di incorrere in risultati

inefficienti a seconda delle caratteristiche della tipologie del servizio. Search,

experience e credence goods hanno infatti proprietà diverse in relazione all’efficienza

assicurata dai meccanismi di mercato: per i primi il meccanismo di mercato assicura

risultati efficienti; per i secondi i risultati sono efficienti nel medio periodo; per i terzi i

meccanismi di mercato non sono in grado di assicurare l’efficienza. Per ciascun servizio

offerto dai commercialisti la valutazione del grado di asimmetria informativa determina

quindi l’appartenenza del servizio stesso ad una delle tipologie di beni appena viste e,

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 24

conseguentemente, la probabilità da parte del cliente di acquisire un servizio

inefficiente.

Per capire in quale tipologie di beni si situi la consulenza in materia finanziaria si

deve considerare in maggiore dettaglio l’asimmetria informativa ad essa correlata.

L’asimmetria informativa ex ante che caratterizza il rapporto di consulenza finanziaria è

plausibilmente elevata dato che trae origine da almeno tre ordini di fattori diversi:

(i) la conoscenza limitata da parte dell’imprenditore dell’insieme degli

strumenti di finanziamento disponibili; ciò comporta l’incapacità da parte

dell’imprenditore anche solo di individuare il ventaglio di alternative

disponibili sul mercato finanziario rispetto alla soluzione suggerita dal

commercialista; di conseguenza l’imprenditore non è in grado di

riconoscere il livello di conoscenza posseduta dal suo consulente ed è

perciò incapace di valutarne la potenziale abilità nel dare risposta al suo

problema;

(ii) la difficoltà di valutare l’efficienza relativa dello strumento utilizzato

rispetto a quelli potenzialmente utilizzabili: anche qualora l’imprenditore

conoscesse le soluzioni alternative la valutazione comparata di diversi

piani finanziari legati all’utilizzazione di strumenti diversi continuerebbe

ad essere difficoltosa, oltreché onerosa;

(iii) la difficoltà ricordata al punto precedente si sostanzia anche nell’incapacità

da parte dell’imprenditore di valutare l’abilità del professionista nella

procedura di selezione della soluzione al problema di finanziamento:

l’informalità delle procedure decisionali rende difficile individuare le

modalità di selezione adottate dal professionista.

Anche l’asimmetria informativa operante ex post può essere considerata elevata.

Essa è una conseguenza della già notata informalità dei processi decisionali in materia

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 25

di finanziamento, e deriva dalla difficoltà oggettiva di calcolare attraverso esercizi

controfattuali l’efficienza relativa degli strumenti finanziari: l’imprenditore non è in

grado di valutare le caratteristiche ed i risultati relativi della soluzione adottata rispetto

ai risultati di corsi di azione alternativi, e quindi la reale qualità del servizio di

consulenza ricevuto. Inoltre si deve considerare che nella valutazione ex post è molto

difficile valutare se l’esito dell’azione dipende dalla scelta fatta, o se sono intervenuti

mutamenti delle condizioni di contorno tali da avere modificato i risultati altrimenti

perseguibili.

Si deve ancora sottolineare una caratteristica particolare della consulenza

finanziaria: essa è acquisita, per così dire, in bundle con una serie di altri servizi offerti

dal commercialista dato che è parte del pacchetto completo di consulenza offerta dal

commercialista alle PMI. La necessità di distinguere il grado di asimmetria informativa

nasce proprio dall’esigenza di individuare all’interno del pacchetto completo i servizi

più a rischio, rispetto ai quali cioè si possa individuare una maggiore probabilità di

incorrere in selezione avversa. Si tratta cioè di individuare quelle parti del pacchetto

completo per le quali il mercato e i meccanismi di controllo in essere non sono in grado

di prevenire la selezione avversa. In mancanza di una distinzione di questo tipo

caratteristiche proprie di alcune parti del servizio di consulenza possono essere

impropriamente attribuite ad altre, o al servizio nel suo complesso.

Quest’ultimo processo è anzi favorito dal meccanismo che di norma si crea tra

PMI e commercialista: la scelta del commercialista da parte della PMI è questione

molto delicata. L’acquisizione del pacchetto di consulenza avviene dopo una ricerca di

mercato in cui contano alcuni fattori tra cui, almeno nei casi da noi considerati,

principalmente la reputazione globale del professionista presso il gruppo di

conoscenti/colleghi dell’imprenditore. Con l’inizio del rapporto di consulenza - anche

relativo soltanto, per esempio, alla tenuta dei libri contabili - il professionista inizia ad

acquisire informazioni anche molto delicate relative alla PMI. Il passare del tempo ed il

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 26

protrarsi del rapporto favoriscono la creazione di routine nello scambio di informazioni

(definizione delle modalità di trasmissione dell’informazione contabile; individuazione

dei referenti per lo scambio dell’informazione; definizione di procedure standard di

trasmissione; adozione di software standardizzato etc.) che diminuiscono il costo della

transazione stessa. D’altra parte la creazione di routine e soprattutto la conoscenza via

via più approfondita della PMI da parte del consulente aumentano il grado di asset

specificity delle transazioni, favorendo per questa via non solo il ripetersi nel tempo

delle tipologie di transazione previste nel contratto di consulenza iniziale, ma anche

l’intreccio di transazioni relative a tipologie di servizio diverse. Si può perciò ritenere

che la scelta di avvalersi della consulenza in materia finanziaria da parte di uno

specifico professionista derivi nella maggior parte dei casi dall’estensione alla sfera

finanziaria dei rapporti instauratisi con quel professionista in relazione a servizi

gestionali, fiscali e amministrativi. Questa è quanto accade nel gruppo di imprese

oggetto della nostra indagine, nessuna delle quale si avvale di professionisti diversi in

relazione alle sfere gestionale, contabile e finanziaria.

Da quanto detto finora sembra di poter affermare che la consulenza in materia

finanziaria prestata dai commercialisti alle PMI sembra appartenere alla classe dei

credence goods, ovvero si configuri come una forma di assistenza fiduciaria cui non

corrispondono vincoli di obbligatorietà di risultato. Essa è perciò particolarmente

soggetta ad andare incontro a problemi di selezione avversa che provocano la caduta

della qualità del servizio offerto dal commercialista alle PMI. A favore di questo

depongono le seguenti considerazioni:

(i) i servizi di consulenza finanziaria sono caratterizzati da un basso grado di

standardizzazione; la loro domanda non è dilazionabile nel tempo - la

decisione di finanziamento è definita una tantum poiché i costi di

aggiustamento sono molto alti -;

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 27

(ii) la difficoltà di valutazione ex post dei risultati conseguiti è resa

difficoltosa dalla disponibilità di informazioni pubbliche sulle

performance conseguite dalle imprese sulla base di tipi diversi di

finanziamento; ciò rende impossibile non solo la valutazione puntuale

delle alternative, ma anche la comparazione della prestazione ottenuta con

quelle ricevute da altre imprese;

(iii) le caratteristiche del mercato finanziario in Italia sono tali che è difficile

acquisire informazione sui risultati delle procedure di finanziamento; tale

ricerca è inoltre complicata e costosa;

(iv) il panorama ricordato all’inizio di fatto limita grandemente le possibilità di

ricorrere a tipo di finanziamento diverso dall’attuale. Si è cioè in una

situazione in cui la PMI per decidere di accedere a una forma di

finanziamento alternativa a quelle tradizionali deve operare una scelta

coraggiosa, con un alto livello di rischio derivante dalla non conoscenza di

esperienze analoghe;

(v) un ragionamento speculare vale per il consulente finanziario: nel caso

decida di proporre una forma di finanziamento alternativa non mette in

gioco la sola consulenza temporanea in tema di finanziamento, ma l’intero

pacchetto consulenza da lui offerto all’azienda. Poiché la gran parte del

suo lavoro si indirizza sul altri campi è plausibile ritenere che non voglia

rischiare la sua reputazione adottando comportamenti innovativi e

maggiormente rischiosi su temi marginali rispetto all’asse portante della

sua attività;

(vi) si può ritenere che in questo panorama statico la comparazione della

prestazione ottenuta in tema di finanziamento rispetto ad altre prestazioni

ottenute in precedenza sia di scarso significato poiché il ventaglio delle

soluzioni adottate da ogni impresa non è vario;

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 28

In queste situazioni non si può escludere che l’imprenditore riceva, anche nel

lungo periodo, consulenze di qualità inadeguata o subisca una selezione avversa che si

esercita in primo luogo sulla qualità della consulenza acquisita e di conseguenza sul

ventaglio delle soluzioni di finanziamento possibili. L’impossibilità persistente di

valutazione ex post dei risultati, ovvero, in sostanza, la permanenza del tempo

dell’asimmetria informativa, può produrre persistenti allocazioni inefficienti.

Ciò può realizzarsi attraverso:

(i) l’offerta di servizi di consulenza finanziaria da parte di commercialisti che

non sono adeguatamente qualificati su questi temi;

(ii) l’adozione da parte del commercialista di comportamenti opportunistici

che sfruttano a proprio vantaggio la difficoltà di valutazione da parte

dell’imprenditore; tali comportamenti possono essere rivolti a rafforzare la

dipendenza dell’imprenditore/cliente dal commercialista/fornitore del

servizio;

(iii) l’adozione da parte del commercialista di comportamenti opportunistici

dettati da negligenza ovvero dalla volontà minimizzare i costi di ricerca

delle soluzioni ai problemi di finanziamento dell’impresa;

(iv) varie combinazioni dei comportamenti precedenti possono dare luogo alla

standardizzazione di routine di consulenza che favoriscono l’adozione da

parte degli imprenditori di decisioni conservative - ovvero la reiterazione

di decisioni già adottate in passato -.

Indizi dell’esistenza di questi meccanismi possono essere individuati nel gruppo

di imprese intervistate. Il 75% di queste ha effettuato investimenti nel corso degli ultimi

tre anni.23

Solo nel 16,6% dei casi il titolare dichiara ai aver preso la decisione di

finanziamento in totale autonomia; nel restante 84,4% dei casi l’imprenditore si è

23

L’investimento medio annuale nel triennio è stato di circa 74 milioni di lire.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 29

avvalso del commercialista. Il ruolo svolto dal commercialista è stato nella metà dei casi

di consulenza: la decisione di finanziamento è stata presa congiuntamente da

imprenditore e commercialista; nella restante metà dei casi l’imprenditore dichiara che

la decisione di investimento è stata presa in autonomia dal commercialista.

L’investimento globale nel biennio 1996-97 è stato di 4.609 milioni di lire, coperto per

il 42,2% da autofinanziamento; per il 19,3% con finanziamento a medio-lungo termine a

tassi di mercato; per il 17,7% con finanziamento a medio-lungo termine a tassi

agevolati; per il 13,9% con leasing. Come si può notare nessuna impresa ha fatto ricorso

a capitale di rischio, a contributi pubblici o agevolati, e più in generale a strumenti

finanziari con caratteristiche innovative.24

Il commercialista è dunque presente anche nella decisione di finanziamento della

PMI; nel particolare gruppo di imprese da noi considerate non sembra aver mai svolto

un ruolo di promozione nell’adozione di strumenti di finanziamento diversi da quelli

tradizionalmente di pertinenza della PMI.

Si deve ancora sottolineare un elemento emerso con particolare forza dalle

interviste. Quando richieste di descrivere il ruolo svolto dal commercialista nelle

procedure di finanziamento il 50% delle imprese fa riferimento in primo luogo al suo

proporsi come tramite tra imprenditore e intermediario finanziario. Ciò significa non

solo che il commercialista predispone la modulistica necessaria ad attivare le procedure

di finanziamento, ma che svolge una parte attiva nel favorire l’accesso dell’imprenditore

al credito bancario.

La presenza istituzionale del commercialista può risultare di qualche interesse

nella determinazione dei tassi praticati dalle banche alle imprese. D’Auria-Foglia (1997)

mostrano che le politiche di discriminazione di tasso applicate dalle banche italiane

tengono conto solo marginalmente della situazione economico-patrimoniale delle

24

L’esiguità delle interviste non permette di cogliere particolari elementi emergenti. Sembra però di poter

azzardare che le imprese con i finanziamenti più alti siano quelle in cui si è ricorso ad un mix di strumenti

finanziari (3) ed in cui la procedura di finanziamento è stata cogestita da consulente e imprenditore.

Eccetto due casi tutte le procedure di finanziamento gestite in proprio dall’imprenditore si sono risolte

con l’autofinanziamento.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 30

imprese desunta dai bilanci o da altri indicatori di performance economica. Nella

determinazione dei tassi pesano maggiormente le caratteristiche proprie dell’offerta:

obiettivi dell’attività di intermediazione, efficienza gestionale della filiale, capacità di

selezione degli affidati, struttura dei rapporti di fido.

In questo contesto il commercialista può favorire lo scambio di informazione tra

intermediario finanziario e impresa richiedente il prestito, diminuendo per questa via

l’asimmetria informativa tra prestatore e mutuatario, e diminuendo i costi di

monitoraggio della banca. Perché si verifichi questo meccanismo virtuoso è necessario

che l’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto tra intermediario finanziario e

commercialista sia coperta dalla ripetizione frequente dei rapporti, al fine di instaurare

un rapporto di tipo fiduciario.

La ripetizione dei rapporti tra banca e commercialista e tra quest’ultimo e la PMI

può instaurare un doppio meccanismo di costruzione di fiducia che può non favorire

l’adozione di comportamenti innovativi da parte dell’impresa.

Come si è visto il commercialista è in possesso di informazioni chiave sulla PMI

sua cliente; è inoltre in grado di parlare il linguaggio tecnico necessario alla

strutturazione dell’informazione richiesta dalla banca per l’accesso al finanziamento. E’

depositario della fiducia dell’impresa - costruita secondo il processo ricordato in

precedenza -, e dell’intermediario finanziario - rispetto alla quale si presenta non solo

come collettore di informazioni sui propri clienti, ma anche come garante morale della

loro veridicità25

-. Il commercialista ha dunque interesse nel fornire informazioni

veritiere alla banca sullo status del potenziale affidatario, ed ha in generale un forte

incentivo a non indurre la banca a comportamenti rischiosi - la sua reputazione ne

verrebbe infatti danneggiata -. Nello stesso tempo ha interesse a che la banca adotti un

comportamento che favorisca la PMI sua cliente - magari con un tasso anche solo

leggermente inferiore a quello di mercato, o con condizioni particolari di pagamento, o

25

Nel corso di un’intervista la garanzia offerta dal commercialista è stata efficacemente descritta come

“affidavit morale derivante dalla reputazione”.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 31

con una richiesta contenuta di garanzie reali -. In questo modo potrà vantarsi presso

l’impresa del successo conseguito nell’attività di intermediazione da lui svolta presso la

banca. Questo meccanismo ha il duplice effetto di (i) rafforzare il rapporto di clientela

tra PMI e commercialista, e (ii) rafforzare il rapporto di fiducia tra commercialista e

banca, che aumenterà la propria disponibilità a favorire i clienti del commercialista.

Si può perciò ritenere che il commercialista abbia influenza sulla struttura dei tassi

di interesse praticati dalla banca alle imprese e più in generale sulle procedure e sui

tempi di accesso delle PMI al credito bancario. Un meccanismo diverso e forse

complementare rispetto a quello già ricordato da Dei Ottati.

Il meccanismo dovrebbe avere risultati positivi sull’efficienza delle transazioni tra

banca e impresa poiché favorisce lo scambio di informazioni senza aggravarne i costi.

Potrebbe avere invece conseguenze negative nel momento in cui l’incentivo per il

commercialista a far funzionare il doppio meccanismo di rafforzamento del rapporto di

clientela con la PMI, e fiduciario con la banca gli fa preferire il credito bancario a

soluzioni alternative di finanziamento più efficienti.26

1.6. Fattore di declino o di sviluppo? //provvisorie//

Da quanto detto finora è possibile cogliere alcuni punti di un qualche interesse. Si

può affermare che le imprese italiane, specialmente le PMI, hanno una alta propensione

a rivolgersi al commercialista per lo svolgimento di funzioni gestionali, amministrative,

fiscali e finanziarie. Le PMI tendono d’altra parte ad essere clienti di un solo

professionista, il cui ambito di intervento all’interno dell’impresa tende ad allargarsi

rispetto a quello definito nel contratto di consulenza iniziale che riguarda generalmente

26

L’impresa ha a sua volta un incentivo a favorire la scelta bancaria del commercialista: dalle interviste è

emerso che le imprese si ritengono soddisfatte del lavoro del professionista se sono riuscite a spuntare un

tasso ritenuto più basso di quello di mercato. La PMI può ritenere di valutare ex post più facilmente la

prestazione offerta dal commercialista in relazione all’accesso al credito bancario rispetto a forme

alternative di finanziamento perché può avere accesso facilmente alle informazioni sui tassi e

conforntare il tasso ottenuto con quello di mercato. Si ha addirittura l’impressione che in questo caso la

maggiore disponibilità di informazione possa agire favorendo lo spostamento verso un tipo di

finanziamento più facilmente controllabile.

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 32

gli aspetti gestionali e contabili. Il commercialista arriva dunque ad occuparsi delle

decisioni relative alla sfera finanziaria dell’impresa a causa dell’instaurarsi di

meccanismi - che nel testo si sono descritti in termini di asset specificity della

transazione - che favoriscono la ripetizione e l’estensione del rapporto, e non quindi in

relazione ad una sua eccellenza sull’intervento di consulenza relativamente a questi

temi.

Proprio il rapporto tra PMI e commercialista in tema di finanziamento può

diventare il punto in cui è più facile una caduta di qualità dell’apporto professionale del

commercialista, a causa di una struttura informativa peculiare. Ciò, come si è tentato di

mostrare, può favorire l’accesso a forme tradizionali di finanziamento delle PMI italiane

e in parte anche a spiegarne l’arretratezza finanziaria.

Dalla ricostruzione offerta nel testo si possono trarre due ordini di considerazioni

utili nella costruzione di strategie di politica economica:

(i) l’intervento in materia di finanziamento per le PMI deve tenere conto del

quadro istituzionale delineato - ovvero delle viscosità introdotte dal

commercialista - nella costruzione delle politiche per l’impresa. Un

intervento efficace non può non tenere conto di questo snodo cruciale nei

flussi informativi tra livello istituzionale e PMI. Il commercialista può

rappresentare l’elemento di passaggio fondamentale per indurre

modificazioni nei comportamenti delle imprese in tema di finanziamento.

Può d’altra parte rappresentare, se non adeguatamente considerato nel

disegno della strategia di intervento, un elemento di attrito ineliminabile

nella trasmissione delle politiche;

(ii) l’opportunità di modificare la regolamentazione dei servizi professionali,

tra cui gli ordini di Ragionieri, Dottori Commercialisti e Consulenti del

Lavoro è stata ampiamente argomentata dall’AGCM. Qui interessa

aggiungere soltanto una postilla. L’impossibilità sancita per legge per gli

Alberto Baccini, "Il commercialista e il finanziamento delle PMI" 33

appartenenti agli Ordini di stipulare contratti diversi da quelli

regolamentati per il pagamento delle consulenze è una delle concause dei

meccanismi che si sono visti all’opera nel caso del finanziamento

d’impresa. Molte delle possibili inefficienze potrebbero molto

semplicemente essere superate dando la possibilità di vincolare il

pagamento della prestazione professionale al raggiungimento di risultati

osservabili anche da parte dell’impresa. Ciò avviene per esempio nei

contratti di consulenza offerti alle PMI da agenzie specializzate

nell’istruzione di pratiche per l’accesso ai finanziamenti agevolati

comunitari. In tali contratti il consulente e la PMI concordano che la quota

più consistente del pagamento avverrà subordinatamente all’accesso al

finanziamento. Pur con problemi tecnici di osservabilità molto maggiori di

quelli appena ricordati, potrebbe non essere impossibile pensare a contratti

che in tema di finanziamento riescano a ridurre le caratteristiche di

transazione fiduciaria senza obbligatorietà di risultato attualmente proprie

della consulenza in materia finanziaria offerta dal commercialista alle

PMI.