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Indice Introduzione 2 Adidas e il calcio: una storia indissolubile 4 La gara degli spot 6 Lionel Messi: da “Impossible is Nothing” a “There Will Be Haters” 9 Conclusioni 13 Bibliografia 15 Appendice immagini 16 1

Adidas football

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Indice

Introduzione 2

Adidas e il calcio: una storia indissolubile 4

La gara degli spot 6

Lionel Messi: da “Impossible is Nothing” a “There Will Be Haters” 9

Conclusioni 13

Bibliografia 15

Appendice immagini 16

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Introduzione

All’ inizio di Maggio 2015, Adidas annuncia il lancio sul mercato di due nuovi modelli di scarpini da calcio, chiamati ACE 15 ed X15. Due sole alternative, dunque, che contestualmente mandano in archivio la produzione di tutti i silos precedenti, tra i quali 11pro, Nitrocharge, F50 e soprattutto la storica serie Predator, che per oltre vent’anni ha rappresentato un oggetto di culto, nelle sue differenti versioni, ed ha incarnato - nel vero senso della parola - l’innovazione e la professionalità dei prodotti a marchio Adidas all’interno dell’universo calcistico.

“Nel calcio moderno esistono solo due tipi di giocatori, quelli che provocano il caos e quelli che controllano il gioco

C’è solo caos e controllo. C’è solo X e ACE”

Adidas parla di “rivoluzione nel mondo del calcio” e proprio di rivoluzione si tratta, ossia quella inerente alle modalità con cui Adidas decide di autorappresentarsi agli occhi dei consumatori e di rimettere in gioco la propria posizione all’interno del marketing calcistico. A colpire non è tanto il cambiamento operato dall’azienda tedesca, quanto la repentinità di esso e la maniera in cui, nell’arco di poco tempo, siano profondamente mutate le narrazioni riguardanti il calcio e le narrazioni che Adidas offre di sé stessa all’interno dell’universo calcistico; mutazioni inerenti alle proprietà visive ed estetiche, sia dei prodotti che dell’advertising ma riguardanti anche gli universi valoriali e i frame di riferimento. La sensazione è che, Adidas Football, compiendo un’operazione di propriocezione all’interno dello spazio culturale del calcio, abbia avvertito la necessità di modificare la propria comunicazione, consapevole che il cambiamento che lo circonda sia concomitante con un profondo mutamento dei targets del consumatore, che, nel caso particolare, è quasi sempre un consumatore del football –come pratica sportiva, come prodotto di entertainment, come prodotto culturale – prima ancora che un consumatore di Adidas Football.

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Nel corso dell’elaborato viene spiegato il legame forte e le dinamiche sociali e di mercato che fanno sì che Adidas cerchi di mantenere sempre vivo il proprio ruolo come azienda principe nella rappresentazione dei consumi nel mondo del calcio. Viene affrontata una breve panoramica storica dell’ascesa del brand tedesco all’interno di questo sport, fino ad arrivare alle contromisure adottate in seguito agli exploit di importanti concorrenti come Nike. L’azienda americana viene utilizzata come riferimento e pietra di paragone costante, soprattutto per chiarire e valutare alcuni fondamentali cambiamenti nelle strategie pubblicitarie e di marketing da parte di Adidas e per comprendere come, tra decise inversioni di rotta e dichiarazioni di fedeltà con la tradizionale immagine che il marchio teutonico ha contribuito a creare di sé stessa agli occhi dei consumatori, si sia giunti a quella che Adidas ha appunto definito come una rivoluzione.

Adidas e il calcio: una storia indissolubile

La storia di Adidas è legata in maniera identitaria allo sport e in particolar modo a quello che, da oltre un secolo, continua ad essere lo sport più popolare del Pianeta: il calcio.Gli albori dell’azienda risalgono al 1924, quando i fratelli Adolf (Adi) e Rudolf (Rudi) Dassler fondarono la Gebruder Dassler schufabrik, una piccola fabbrica di scarpe nel paesino bavarese di Herzogenaurach. L’ idea è quella di riuscire a progettare e creare tipologie specifiche di scarpe per ogni diverso sport e il punto di partenza è l’atletica leggera, sport che permette di portare alla ribalta le capacità dei due fratelli tedeschi che equipaggiano con le loro innovative scarpette tacchettate gli olimpionici Lina Radke, nel 1928, e il celeberrimo statunitense Jesse Owens, nel 1936. Al termine della seconda guerra mondiale, con un azienda ormai affermata e famosa in tutto il mondo, “Adi” e “Rudi”, in seguito a divergenze insanabili, separano le proprie strade lavorative e non solo. Rudi decide di fondare una nuova azienda chiamata Ruda (che in seguito diventerà Puma), mentre Adi decide di proseguire l’azienda già esistente. Così, il 18 agosto 1949 registra il marchio Adi Dassler

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adidas Sportschufabrik1; contemporaneamente registra il brevetto di un paio di scarpe da atletica con tre bande laterali – che i Dassler applicavano per mantenere più compatto il corpo della calzatura – rendendole il marchio distintivo dell’azienda.L’ingresso nel mondo del calcio avviene negli anni ’50. Durante la finale della Coppa del Mondo del 1954 tra la Germania Ovest e l’Ungheria, i giocatori tedeschi calzano un nuovo modello di scarpini mai visti prima, leggeri almeno il doppio dei tradizionali e, per la prima volta, dotati di tacchetti intercambiabili da adattare alle condizioni del terreno. Secondo media e addetti ai lavori, la vittoria tedesca contro l’imbattibile compagine magiara è anche merito delle rivoluzionarie scarpe Adidas; questo evento consacra l’azienda ed eleva il suo know-how nella produzione tecnica calcistica a livelli irraggiungibili. Per anni le uniche calzature da calcio brandizzate ai piedi dei grandi giocatori porteranno le tre strisce come segno distintivo, introducendo un’identificazione quasi totale tra il marchio e il principale strumento di chi pratica questo sport.

Ben presto l’egemonia di Adidas come fornitore nel football si espanderà a tutto il materiale ed il vestiario. A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, sebbene fosse ancora proibito per le squadre nazionali e di club mostrare il proprio sponsor tecnico sulle maglie da gioco, l’aumento di popolarità per Adidas è vertiginoso. Il brand teutonico è il primo nel mondo del calcio, seppur non in maniera esplicita, ad utilizzare la strategia del testimonial già adottata per l’atletica. Così il giocatore simbolo della Germania di quegli anni, Franz Beckenbauer, diventa una vera e propria pubblicità vivente: non solo utilizza scarpe da calcio Adidas, ma indossa tute da passeggio, vestiario e sneakers che portano il suo nome. Ancora oggi, l’ex difensore ed ex allenatore è testimonial Adidas e una intera linea di vestiario è chiamata Franz Beckenbauer.In occasione dei mondiali in Messico del 1970, poi, viene lanciato Telstar, il primo pallone “firmato” della storia del calcio, nonché il primo di una lunga serie di palloni ufficiali targati Adidas, utilizzati nei grandi tornei per

1 Così come per Ruda, anche Adidas deriva da un gioco di combinazione tra il vezzeggiativo del suo nome di Battesimo, Adi, e le prime tre lettere del suo cognome, Das.

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nazionali. Questo evento segna l’inizio di una partnership tra la federazione mondiale di calcio (FIFA) e Adidas, che di recente è stato prolungato fino al 2030: il brand delle tre strisce fornisce tutto il materiale tecnico - dai palloni, alle divise degli arbitri - per le competizioni organizzate dalla FIFA, nonché per quelle organizzate dalla UEFA (Federazione europea), siano esse riservate alle nazionali o alle squadre di club.

La leadership di Adidas nel calcio si lega non solo ad un ruolo di adiuvante nella performance calcistica, ma, come detto, ad una vera e propria identificazione del brand con lo sport in questione. Le scarpe sono esclusiva Adidas, così le divise, come anche i palloni: ogni oggetto tecnico, ogni supporto che gli atleti e non solo utilizzano nella loro pratica sportiva porta indelebili i segni delle tre strisce. Adidas materializza il calcio, e attraverso l’utilizzo dei testimonial veste i miti, rendendo tangibili e visibili a tutti i valori di un intero universo passionale. Il leit-motiv è sempre lo stesso: fornire prodotti adatti alle esigenze di ciascun atleta, primeggiare e distinguersi come unica, o perlomeno, come la miglior scelta che i calciatori possano compiere.

L’ascesa della concorrenza e la nascita di Predator

Se fino agli anni ’70 la concorrenza nell’ambito delle scarpe è limitata alle aziende artigianali e locali, a partire proprio dai mondiali del 1970, un primo attacco al vertice è sferrato da Puma, che avvalendosi come testimonial del giocatore più forte del mondo, il brasiliano Pelé, sfida Adidas sul terreno della scarpa griffata. In seguito Puma riuscirà a far indossare i propri scarpini anche al giocatore considerato come il più forte della storia, l’argentino Diego Armando Maradona, mentre la liberalizzazione riguardo la comparsa degli sponsor tecnici sulle divise fa sì che sempre più numerosi diventino i brand sportivi ad apparire sui campi da gioco. Nulla di tutto questo, tuttavia, scalfisce l’egemonia Adidas: scarpa da calcio e Adidas continuano ad essere identificati quasi come due sinonimi, mentre il trifoglio – che nel frattempo è diventato il nuovo logo – compare sulla stragrande maggioranza delle casacche da gioco internazionali. Adidas reagisce agli attacchi fornendo un

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ulteriore elemento di identità al suo prodotto, così, l’ormai classico e celebre scarpino si modellizza e assume il nome di World Cup o Copa Mundial. L’importanza di questa operazione è peraltro fortemente legata al mutamento dei consumi. Il calcio, almeno in Europa, sta diventando uno sport praticato a tutti i livelli, e se fino a qualche tempo prima il fatto di legare l’immagine del marchio a quella dei grandi campioni e delle grandi squadre rispondeva ad una pura esigenza di visibilità e di valorizzazione di Adidas come azienda di abbigliamento di grande valore estetico e pratico, ora si fa largo la necessità di creare una vera e propria rete di consumatori di prodotti finalizzati alla pratica calcistica: insomma, lo scarpino – così come le divise e le tute – devono diventare un prodotto di largo consumo, accessibile e ben riconoscibile a tutti, dal più grande campione internazionale fino ai giocatori e alle squadre periferiche di questo gioco sempre più globale e popolare. Di fronte alla comparsa di modelli di altre marche, l’idea che sta alla base della Copa Mundial è quella di render ancor più caratteristiche le proprie scarpe, che non possono più limitarsi alla semplice appartenenza ad un marchio, seppur garanzia di qualità.Questo meccanismo di discorsivizzazione si fa sempre più marcato ed esplode definitivamente tra gli anni ’80 e i ’90, quando la visibilità dei marchi concorrenti aumenta e l’offerta per i consumatori si fa sempre più variegata. Gli scarpini ai piedi dei calciatori si diversificano nei colori e nelle fogge, così come gli sponsor tecnici che compaiono sulle maglie delle società calcistiche, dando vita ad una corsa alla creazione del prodotto più originale e stravagante.

La cesura definitiva, tuttavia, è segnata dall’ ingresso nel mondo del calcio dell’altro grande colosso dell’abbigliamento sportivo, la statunitense Nike, che annuncia la nascita della propria divisione Soccer2 in occasione della Coppa del Mondo del 1994, che si svolgerà proprio negli USA. Adidas necessita di una mossa che la elevi al di sopra di tutte le concorrenti ormai agguerrite ed affermate, qualcosa che possa permettere ancora una volta di poter dire che Adidas è differente. La risposta è il lancio di un nuovo

2 Così viene chiamato il calcio negli Stati Uniti, per non confonderlo con lo sport più importante del Paese, il football giocato con la palla ovale.

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modello di scarpa, ancora una volta estremamente innovativo sia nella tecnologia che nel design: Predator, scarpa che presenta una serie di applicazioni in gomma utili ad aumentare il grip del piede a contatto con il pallone e a fornire al calciatore un supporto per un maggior controllo della sfera.Predator suona come la risposta ad una sfida. L'ingresso di Nike nel calcio non ha solo alzato l'asticella della competizione, ma l'ha trasportata su un universo valoriale molto più ampio ed articolato. Per la prima volta si gioca con una concorrente il cui brand ha un portato mitico, qualitativo ed identitario sugli stessi livelli di Adidas: Nike e il suo swoosh sono in grado di colpire e sedurre l'occhio quanto le tre strisce, e allo stesso modo sono capaci di instillare nel consumatore un surplus di fiducia e la sensazione di acquisizione di uno status, oltre che di un prodotto.Per distinguersi ulteriormente, dunque, la nuova calzatura diventa l'ideale. Non è dato sapere quanto fosse nelle intenzioni dell'azienda tedesca la prosecuzione del silos Predator, fatto sta che, visto il grande successo di vendite e di approvazione da parte dei consumatori, lo stile e il nome sono stati riproposti per oltre venti anni, con l'uscita di nuovi modelli a cadenza più o meno biennale.Come detto, oltre all'innovazione tecnologica, ciò che ha permesso il grande successo di Predator è soprattutto la fusione perfetta tra questa alta performanza, con un design mai visto prima. Non solo le applicazioni in gomma, ma anche gli inserti color rosso caratterizzano l'aspetto di questa scarpa e entrambe le soluzioni verranno riproposte su tutte le successive varianti, diventando delle vere e proprie marche distintive dell'estetica Predator. In realtà queste gommature, più che una reale innovazione tecnologica propedeutica al controllo del pallone, sembrano voler essere un richiamo simbolico e tattile a questa skill calcistica. A questo effetto di senso contribuirà anche il fatto che, negli anni, personaggi del calibro di Zinedine Zidane, Alessandro Del Piero, David Beckham e Raul ne saranno i principali testimonial; giocatori noti per il loro tocco di palla pulito, per la loro precisione e per l'eleganza e la classe sul campo – e non solo.Con questa operazione Adidas non lancia solo un nuovo modello di scarpa, ma si propone di ampliare il dialogo con il consumatore, aprendogli, un mondo di

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prospettive estetiche, pratiche e valoriali mai viste prime. Non è più solo Adidas ma è anche Predator a diventare mito acquistabile ed indossabile: non è un caso, credo, che un'altra delle marche distintive presenti nei vari "episodi" di questa calzatura, sia la presenza delle tre strisce distorte e curvate.

La gara degli spot

L'ingresso di nuovi concorrenti, dunque, ed un mercato sempre più variegato hanno creato la possibilità di ampliare il discorso di marca e il dialogo con i consumatori, mentre le logiche del consumo hanno imposto la necessità di segmentazione dell'offerta da parte delle aziende portando, come visto, ad una sempre maggior cura di ogni settore di produzione e vendita. La dinamica della settorializzazione ha assunto effetti sempre più evidenti proprio nel calcio, dove la specializzazione si è evidenziata non solo nell'offerta produttiva, ma anche nell'ambito pubblicitario.Da questo punto di vista, ancora una volta, un'importante spinta propulsiva al cambiamento e al rinnovamento parte dalla nascita della divisione calcio di Nike per poi riflettersi su Adidas, e si svolge in campo promozionale, in particolar modo negli spot TV e nell'utilizzo dei giocatori come testimonial.Nike inventa letteralmente una nuova tipologia di spot pubblicitario, in cui sono i calciatori stessi a comparire nel commercial e a diventarne i protagonisti. Il primo spot, quello concomitante con la coppa del mondo del 1994, mostra una serie di proiezioni giganti ed animate di alcuni calciatori che si passano un pallone da una città all'altra, a partire da Eric Cantona a Parigi per finire con la parata del portiere Jorge Campos a Città del Messico, passando da Paolo Maldini a Milano ed altri. Tuttavia, la vera rivoluzione sarà segnata dallo spot del 1996 “Good Vs Evil” dell’azienda dell’Oregon, in cui una squadra composta tra gli altri da Paolo Maldini, Ronaldo, Manuel Rui Costa, Eric Cantona e Luis Figo, si scontra in un match infernale contro una compagine di demoni malvagi. Di fatto, Nike dà vita ad un genere di prodotto di intrattenimento in cui i calciatori-celebrities compaiono alla spicciolata in

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veste di attori e protagonisti, stimolando lo spettatore a riconoscere ciascuno di loro.Sotto questa spinta innovativa anche Adidas decide di ricorrere a questa tipologia di spot a testimonial multiplo e nel 1997, nell'ambito della campagna "Soccer reinvented", lancia "Adidas Clone Team", un advertising in cui il cosiddetto Adidas Team, composto da Alessandro del Piero, Paul Gascoigne,Marcel Desailly, Edwin Van Der Sar ed altri, sfida una squadra di perfetti cloni di loro stessi.Sarà opportuno, senza puntare a pretese di esaustività, procedere ad una breve analisi comparata dei due spot, per rendere conto di come Adidas, nonostante utilizzi un'idea molto simile a quella di Nike, in realtà proponga una narrazione del suo brand profondamente differente.Come detto, "Good vs Evil" di Nike presenta una sfida tra celebri calciatori ed una squadra di demoni.Una voce fuoricampo introduce lo scenario, spiegando come all'improvviso, una forza maligna sia emersa dalle viscere della terra per distruggere il gioco più bello, e l'eccezionale selezione di campioni sia chiamata a difendere il calcio da questa minaccia. Il match si svolge in un sabbioso campo ricavato al centro di un anfiteatro romano (del tutto simile al Colosseo come appare oggi), in mezzo ad un pubblico altrettanto infernale quanto la squadra che sostiene. La partita si svolge tra continue scorrettezze ed azioni violente commesse dai rappresentanti del male, di fronte alle quali la maggior parte delle football stars si ritrova a soccombere. Sarà un intervento in scivolata da parte di Paolo Maldini a rilanciare il gioco della squadra Nike. A questo punto i campioni riescono ad imbastire una pregevole azione in cui il pallone viene trasmesso da Kluivert a Brolin, passa per i piedi di Ronaldo ed arriva ad Eric Cantona. Quest'ultimo stoppa il pallone e dopo essersi alzato il coletto della maglietta, rivolge un Au revoir all'indirizzo degli avversari; poi scaglia un tiro che trasforma la palla in una sfera infuocata che va a trapassare lo stomaco del portiere nemico, che esplodendo fa scomparire tutta la squadra dei demoni e il loro stadio infernale: il calcio è salvo. Anche lo Spot Adidas, come detto, vede protagonista una squadra di stelle, questa volta impegnate in una partita contro un team composto da cloni di

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loro stessi. Lo scenario è un utopico e futuristico stadio ipertecnologico in cui il pubblico è costituito da teleschermi con l'immagine di alcuni spettatori.L'impianto narrativo è piuttosto scarno: ad un'azione da parte del Clone Team, che termina con la parata di Edwin Van Der Sar, segue un'azione del Real Team Adidas, che dopo una serie di passaggi del pallone funzionali all'apparizione dei vari calciatori-testimonial, si conclude con un gol di Alessandro Del Piero, il quale, a partita finita, offre la sua maglia in dono al suo clone, rifiutando, però, la richiesta di quest'ultimo di cedergli le sue Predator. I due spot hanno in comune – oltre ovviamente all’espediente narrativo del team di campioni - l’ambientazione utopica. Tuttavia, se Nike decide di situare l’azione in un simil-Colosseo dislocato in un deserto, proponendo un rimando storico-culturale ed attivando un frame che fa riferimento alle lotte gladiatorie, Adidas colloca il suo match fittizio in uno stadio che ha tutte le caratteristiche del non-luogo, in quanto privo di qualsiasi riferimento spazio-temporale esterno: futuristici montacarichi, spogliatoi con armadietti in metalli satinati e luci al neon, teleschermi al posto degli spalti e macchine che scandagliano il DNA dei calciatori per poterli clonare. Questa totale non situabilità dell’azione è rafforzata dal fatto che sia il Real Team che il Clone Team indossano dei generici e speculari completi – ovviamente marchiati Adidas – diversamente dai calciatori Nike che portano le divise delle squadre di club nelle quali militano o delle nazionali dei paesi di appartenenza. Questa soluzione è in realtà funzionale alla centralità del marchio e dei prodotti Adidas – in particolare della scarpa Predator – nei termini di una sua valorizzazione pratica ed estetica. Dopo una prima sequenza in cui viene introdotto l’ambiente tecno-futuristico, viene subito dedicata un’esclusiva inquadratura ad una paio di Predator sospese nel vuoto, mentre ruotano su loro stesse. Anche le successive sequenze, seppur di stampo maggiormente narrativo, continuano ad essere puntuate dall’onnipresenza del marchio e dei prodotti, mostrandoci i giocatori mentre indossano le loro divise, il portiere olandese Van Der Sar che palleggia con un pallone ed il difensore francese Marcel Desailly che estrae ancora una volta la calzatura protagonista, alla quale è dedicata un’altra inquadratura esclusiva. Notevole è in ciò la differenza con lo spot Nike, in cui il marchio dell’azienda non viene mai

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introdotto esplicitamente, mentre agli scarpini sono dedicati solo fugaci inquadrature, ad eccezione di un prolungato primo piano sul piede destro di Eric Cantona; inquadratura che, comunque, oltre ad una funzione mostrativa del brand svolge un’importante funzione narrativa, introducendo la sequenza risolutiva del plot. D’altra parte si è già detto di quanto sia l’impianto narrativo dei due spot ad essere profondamente diverso. Nel caso di Adidas anche il momento più propriamente performativo, la partita, è costituita da una narratività piuttosto lasca e le azioni che si susseguono vengono presentate attraverso slow-motion e primi piani mirati all’esaltazione dei particolari e della bellezza dei gesti atletici dei campioni coinvolti. Che la partita si risolva con la vittoria del Real Team è una formalità, ma il fatto che si arrivi a tale risultato grazie ad una splendida rovesciata di Del Piero è un particolare di fondamentale eleganza, mentre per la squadra di Nike ogni azione è decisiva per il raggiungimento dell’obiettivo. Se Adidas è coinvolta in uno spot in cui il prodotto e le sue qualità costituiscono il perno di una narrazione che mira a valorizzare il calcio nella sua bellezza essenzialmente atemporale, l’azienda statunitense decide di presentarsi ai consumatori attraverso l'utilizzo di uno storytelling sempre più denso e raffinato, in cui l'azienda e il suo marchio rappresentano i garanti identitari sullo sfondo di una storia che ha vita propria e che assume significato solo grazie alle azioni dei celebri calciatori testimonial: se per Nike salvare il calcio è la missione, per Adidas lo è il calcio stesso. Dunque, è la fondamentale funzione garante del brand in rapporto al calcio a giocarsi su due piani diversi. Adidas ricorda ai suoi consumatori la propria superiorità indiscutibile e la forte identificazione tra calcio e azienda: producono scarpe innovative da 50 anni, forniscono palloni, divise e materiale tecnico ufficiale e nessun altro ha mai raggiunto questi livelli di professionalità, che nello spot vengono veicolati, in maniera neanche troppo velata, con un attenzione maniacale nel mostrare tutti questi oggetti. Nike, invece, consapevole del proprio noviziato calcistico, riserva al brand un ingresso in punta di piedi, offrendo, tuttavia, tramite un intrattenimento ludico e spensierato, una nuova immagine fresca e divertente del calcio e anche del suo Star-system. Negli anni, queste differenze all’interno dei due marketing rimarranno marcate. Nike continuerà a proporre spot e campagne con storytelling sempre

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più complessi. Facendo leva sull’idea di un calcio divertente e divertito, legherà la propria immagine alla nazionale brasiliana e al concetto di “joga bonito” e si prodigherà nell’organizzazione di tornei di freestyle ad iscrizione libera in giro per il mondo. Adidas continuerà a far valere la sua idea di tradizione ed eleganza del gioco, accentrando sempre l’immagine dei propri prodotti come qualcosa di inimitabile e unico, dei veri e propri feticci che sarebbero in grado di rendere unici e inimitabili anche coloro che li utilizzano.

Lionel Messi: da “Impossible is nothing” a “There Will be haters”

Nonostante l’ingresso di un competitor quale Nike, dunque, Adidas è riuscita mantenere a lungo la sua leadership all’interno del settore calcio; una leadership di vendite ma non per forza una leadership comunicativa. Il marketing product oriented dell’azienda tedesca e la sua immagine tradizionale ed istituzionalizzata hanno cominciato a soffrire sempre di più quello votato al lifestyle e alla creazione di mondi operato dalla casa dello Swoosh, così il primato di Adidas ha continuato a far leva sulla produzione di oggetti-fetticcio, come appunto le Predator o i palloni di gara ufficiali. Ma se in Europa e Sudamerica Adidas riesce ancora ad avere il suo ruolo preminente per quanto riguarda il calcio, riuscendo a reggere il confronto generale con Nike come azienda leader nel settore sportivo, è soprattutto in mercati come quello degli Stati Uniti che il brand tedesco fatica considerevolmente. Negli USA i ricavi di Adidas non solo sono estremamente distanti da quelli di Nike, ma al termine del 2014 sono stati superati anche da quelli di un’altra azienda statunitense, Under Armour, che ha realizzato un totale di vendite di 2,6 miliardi di dollari contro gli 1,6 di Adidas, la quale si è ritrovata a perdere il 20% nell’ abbigliamento sportivo e addirittura il 30% nelle calzature3. In un articolo-dossier di Bloomberg Business4, Brendan Greeley dice che Nike vuole il calcio mentre Adidas ne ha bisogno, ed è proprio qui che si giocano le possibilità del marchio teutonico di rosicchiare

3 Dati Wall Street Journal http://www.wsj.com/articles/under-armour-overtakes-adidas-in-u-s-sportswear-market-1420753934 4 http://www.bloomberg.com/bw/articles/2014-05-15/2014-world-cup-nike-adidas-gear-up-for-soccer-duels-next-round#p3

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terreno sul mercato statunitense nei confronti delle concorrenti. Sebbene, infatti, la casa di Herzogenauarach sia attiva già da lungo tempo e con un ruolo di rilievo nei due maggiori sport a stelle e strisce, il basket NBA e il football, il calcio ha ormai una mole di popolarità gigantesca anche negli USA e non è un caso che il crollo del fatturato Adidas nel paese nordamericano sia coinciso con il sorpasso di Nike nel settore calcistico e con l’ingresso di Under Armour nel business del pallone.Questi dati non vogliono puntare a stabilire nessun tipo di correlazione forte – tantomeno deterministica – con il decisivo cambiamento nello stile di comunicazione e di produzione di Adidas negli ultimi anni5; piuttosto vogliono mostrare come il calcio sia diventato uno sport di notevole importanza in ogni angolo del pianeta. Chi lo promuove a livello mondiale – comprese le grandi aziende come Adidas – è consapevole che uscendo dal suo naturale habitat europeo e sudamericano, questo sport non è più limitato ad un fenomeno tradizionale e fortemente legato al territorio come un “affare” per folle di tifosi e schiere di giocatori dilettanti, ma diventa un prodotto globale in grado di espandersi in universi di consumo sempre più numerosi (Non solo prodotti per la pratica sportiva, ma anche videogame, Star System, entertainment, ecc.). Inoltre il calcio è ormai seguitissimo non solo in paesi in via di sviluppo in cui lo sport presenta retaggi storici relativamente recenti e fortemente influenzati dai modelli europei e statunitensi, ma anche in mercati decisivi, come appunto quello degli USA, che invece radicano storicamente la propria concezione del mondo sportivo ad un’idea di spettacolarizzazione imponente.

Un aspetto, in particolare, ha segnato un cambiamento che ha influenzato notevolmente le narrazioni intorno al mondo calcistico: quello legato all’immagine individuale dei calciatori, che diventano sempre più divi a tutto tondo. Negli ultimi anni alla parola campione si è sempre più spesso sostituita la dicitura di Top Player per designare una ristretta risma di giocatori che, 5 A proposito, sempre nel 2014, per quanto riguarda le vendite in Cina Adidas ha operato un sorpasso nei confronti di Nike che negli anni ’80, ’90 e primi 2000 ha dominato tale mercato in maniera quasi incontrastata. Questo risultato è stato raggiunto grazie ad una strategia di marketing che si è concentrata sulle vendite degli stock in uscita e su una politica di forti sconti, mentre Nike ha continuato a puntare su tutto ciò che l’aveva portata alla ribalta negli anni del boom economico cinese: sponsorizzazioni di importanti atleti e squadre nazionali, grandi campagne pubblicitarie, investimenti nella costruzione di impianti e nell’organizzazione di eventi sportivi. In questo caso, in un periodo di grande crisi economica e riduzione dei consumi che ha colpito anche il paese asiatico, la scelta di Adidas di puntare ancora una volta sui prodotti si è rivelata vincente.

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come mai in passato, sono in grado da soli di determinare le sorti del Gioco, grazie alle loro qualità esageratamente sopra la media. I Top Player, però, non sono solo giocatori dalle capacità calcistiche fuori dalla norma, ma anche uomini con stipendi e contratti di sponsorizzazione multipli e dalle cifre fantascientifiche, nonché personaggi appartenenti allo Star System mondiale, in grado di influenzare le mode e il look di milioni di appassionati. In questa individualizzazione del ruolo sportivo del giocatore singolo e nella sua divizzazione, i calciatori hanno raggiunto il livello di alcune personalità legate a sport come il football americano o il basket NBA, e a testimoniarlo non ci sono solo le cifre degli introiti complessivi di alcuni Top Player - che hanno colmato un gap coi loro colleghi di altre discipline da sempre più remunerative - ma anche l’interesse planetario verso la loro immagine e le loro vite fuori dal rettangolo verde. Due giocatori, al momento, rappresentano la quintessenza del Top Player: Lionel Messi, e ancor di più Cristiano Ronaldo, entrambi non a caso testimonial e simboli rispettivamente di Adidas e Nike.Se il portoghese è da sempre perfetto per lo stile Nike, grazie ad un aspetto fisico maniacalmente curato, ad un look fresco e giovanile fuori e dentro il campo e ad un carattere sfrontato per cui si potrebbe dire che sia il marchio ad adattarsi alle sue caratteristiche, l’immagine del campione argentino, più minuto e risaputamente più mite e pacato, è stata modellata nel tempo sulle esigenze comunicative e pubblicitarie di Adidas. Se Nike ha lanciato sul mercato un modello di scarpe chiamate CR7 (dalle iniziali e dal numero di maglia di Cristiano Ronaldo), Adidas ha subito replicato con una linea di F50 dedicata alla figura di Messi e col tempo ha affiancato a prodotti dagli stili e dai colori concordanti con la propria tradizione, altri con fantasie multicromatiche o fosforescenti, assecondando una tendenza votata ad una crescente appariscenza.Questo scarto tra diverse rappresentazioni di Messi fornite da Adidas, vengono alla luce nel confronto tra due spot che vedono “La pulce”6 come unico protagonista.Nel commercial “Impossible is Nothing” del 2007, Messi viene inserito insieme ad altri atleti di fama mondiale all’interno di una serie di spot facenti 6 Soprannome di Lionel Messi

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parte dell’omonima e fortunata campagna in cui queste personalità raccontano in maniera delicata e leggera l’inizio della loro ascesa sportiva, mentre con un pennarello compiono alcuni disegni stilizzati che si animano con il procedere della storia narrata7.Su un sottofondo musicale intimo e acustico, Messi racconta di come da bambino abbia dovuto fronteggiare una struttura fisica molto inferiore a quella dei suoi coetanei a causa di una disfunzione ormonale e di come abbia saputo sfruttare questa caratteristica, apparentemente svantaggiante, per sviluppare un gioco basato su palla a terra e velocità, diventando uno dei più forti calciatori al mondo.Di tutt’altro tenore, invece, lo spot del 2015 della campagna “There will be haters” 8, in cui ogni elemento presenta connotati diametralmente opposti a quelli dell’ advertising di otto anni prima. Messi compare sospeso a mezz’aria all’interno di uno stadio colmo di gente che lo acclama, mentre una voce narrante extradiegetica elenca ironicamente tutti i traguardi tagliati dal campione di Rosario nella sua carriera e che, secondo i cosiddetti haters, o invidiosi, egli non avrebbe mai potuto raggiungere:

“You never be good enough, or big enough. You never make it with the big boys in the big league.You never leave your little own hometown, and you never make your overseas, definitely not in first class. You never score with your head or your right foot. You never even stand on your feets.When you do go down, you never get back up. You never win a FIFA Ballon D’or, and no way four9.You never break a record, and no way all of them. You never be a champion, a champion of champion, a hero, a legend.You never be the greatest and never the greatest player that’s ever lived.”

In un climax ascendente, sottolineato da un crescendo di musica Trap mista a gloriosi cori soprano, l’elenco dei successi di Leo procede senza sosta, mentre l’inquadratura, partita da un primo piano del suo volto incappucciato, allarga

7 https://www.youtube.com/watch?v=xGs3cvs_yO0 8 https://www.youtube.com/watch?v=x5UfNmZ4-Pg 9 Nel frattempo, Messi ha vinto anche il quinto FIFA Ballon D’Or.

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lentamente il campo fino a svelarne la figura intera, sospesa nel vuoto e incorniciata da tutti i premi individuali conquistati nell’arco della sua carriera. A completare il quadro, una serie di indefiniti avversari che vengono letteralmente spazzati via da Messi, senza che quest’ultimo muova un solo dito. Se in “Impossible is nothing” lo stesso Messi, molto più in linea con il suo carattere mite e un po’ timido, raccontava in maniera sobria come grazie al talento e alla forza di volontà sia riuscito a superare le avversità e a diventare uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, in “There Will Be Haters” l’esaltazione delle sue qualità si sviluppa all’interno di una dialettica “Leo vs tutti”: gli avversari sul campo vengono respinti senza pietà di sorta, mentre quelli fuori dal campo, gli haters, non possono far altro che inchinarsi di fronte alla nuda realtà del suo successo. Le soluzioni plastiche e figurative del secondo spot, inoltre, mirano ad un preciso effetto di sontuosità ed ostentazione di uno stile estetico ormai predominante nell’universo culturale che ruota intorno al calcio. Messi ha un abbigliamento molto appariscente e vicino agli stilemi della cultura Hip-Hop, mentre gli elementi decorativi di contorno contribuiscono a veicolare contenuti che attivano i frames dello Swag e dellla Bling Culture 10. Inoltre Messi viene inserito all’interno di una disposizione plastica molto simile, senza esagerare, ad un’iconografia religiosa.Seppur non molto in linea con le peculiarità del Messi uomo, personaggio e giocatore, i tratti richiamati dallo spot del 2015 rispecchiano alcuni elementi predominanti dell’attuale semiotica che regola l’universo culturale del pallone. Questi Top Player, infatti, non solo sono straordinariamente capaci ed influenti, ma spesso sono anche uomini caratterizzati da ego molto forti, quasi ipertrofici, e mantengono atteggiamenti spregiudicati e spavaldi, volti all’ostentazione del proprio aspetto esteriore e della propria ricchezza come simboli dei traguardi sportivi e di vita. Tutto ciò si risolve in quella dialettica da “uno contro tutti” ben veicolata dallo spot “There Will Be Haters”; dialettica che si espande a macchia d’olio anche ai livelli più bassi del Gioco e

10 Con i termini Swag e Bling, ci si riferisce ad uno stile volto all’ostentazione di un abbigliamento appariscente, ornato da una gioielleria elaborata e da accessori luccicanti. Questa definizione non si applica solo ad uno stile estetico ma anche ad una precisa attitudine e comportamento, molto in voga tra i giovani, caratterizzato da un atteggiamento spavaldo e votato all’eccesso. https://it.wikipedia.org/wiki/Bling-bling

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a larga parte del contesto calcistico. Oggi, girando nei campi di periferia, si può notare come anche nei giocatori delle categorie più basse del sistema ci sia una particolare attenzione per le scelte estetiche e gli atteggiamenti, mostrando come questo stile di consumo venga ben imposto dall’alto, in una dinamica decisamente bottom-up. Così, se nel 2007 Adidas dialogava coi propri consumatori invitandoli a non arrendersi di fronte alle difficoltà e a credere nei propri sogni, nel 2015 propone modelli vincenti simili a Dei, i quali si fanno largo tra schiere di invidiosi che altro non fanno, se non rafforzare i propositi di successo di questi campioni. La strizzata d’occhio verso il consumatore, dunque, consiste nell’alimentare la falsa illusione di poter raggiungere quei livelli, in una dinamica in cui ogni invidioso dovrebbe essere la cartina di tornasole dei propri successi. D’altronde, chi non si è guadagnato la propria schiera di haters nel corso della propria vita?

ConclusioniLa campagna There Will be Haters, sembra non aver riscosso grande successo e rimarrà sulle scene per poco tempo, anche a causa degli stravolgimenti nelle modalità produttive che hanno portato al ritiro dal mercato di tutti i vecchi modelli di scarpe per lasciare il posto ad X15 e ACE15. Evidentemente spinta da un istinto di emulazione nei confronti delle più schiette tendenze estetiche, Adidas ha finito per perdere di vista il focus su ciò che da sempre la rende l’azienda numero 1 nel comparto calcistico: la creazione di prodotti di pregevole fattura e dalle alte prestazioni. Con la nuova campagna “Be the Difference” Adidas continua a proporre modelli estetici vicini al gusto dominante della fetta più giovane di consumatori che ruotano intorno al calcio, tuttavia gli obiettivi promozionali tornano ad essere product-oriented, probabilmente ancor più che in passato. L’azienda tedesca utilizza la parola rivoluzione per descrivere questa operazione di mercato e, di fatto, ci si trova fi fronte a metodologie piuttosto inusuali di proporre i propri prodotti al grande pubblico. Come detto, due modelli di scarpe che vanno a sostituire tutti quelli già esistenti, scelta giustificata dall’espediente narrativo per cui, in seguito ad una accurata

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ricerca tra allenatori e calciatori, si è arrivati a classificare i giocatori in due sole categorie: quelli che controllano il pallone e le redini del gioco, e quelli che scatenano il caos grazie alle loro qualità fisiche. Ciascuno di loro non può fare a meno del modello di Adidas più adatto ad esaltare le proprie caratteristiche.Anche i canali di promozione risultano inusuali rispetto al passato. Infatti, Adidas rinuncia quasi del tutto alla promozione tramite spot televisivi (se non in Sudamerica, dove si sfrutta l’attenzione intorno al medium televisivo generata dallo svolgimento nel corso dell’estate della Copa America), affidandosi ad un rilascio in rete di video promozionali relativamente lunghi (5-6 minuti) in cui, attraverso interviste ad ingegneri e tecnici Adidas, vengono spiegati i principi e le modalità di produzione che hanno portato alla nascita di Ace 15 e X 15. In altri video, poi, vengono interpellati direttamente calciatori e allenatori, i quali alimentano questa narrazione dicotomica delle categorie di giocatori, esaltando in maniera molto dettagliata le qualità che gli scarpini Adidas mettono al loro servizio al fine di aumentare notevolmente le performance in campo. Insomma, la rivoluzione da parte di Adidas sembra incentrata sulle modalità piuttosto che sui contenuti veicolati, dove Adidas preferisce tornare alla celebrazione – ancor più marcata che in passato – dell’alta qualità e dell’unicità di prestazioni dei propri prodotti, con in testa sempre la scarpa come testa d’ariete per far breccia nei gusti dei consumatori. D’altra parte, la spinta propulsiva data dal confronto con i competitor ed in particolare con la rivale storica Nike, non si esaurisce e mostra tutta la sua forza nei radicali cambiamenti degli stili estetici adottati da Adidas nel corso degli ultimi anni, a partire dalle caratteristiche esteriori dei prodotti fino ad arrivare alle modalità con cui vengono presentati insieme ai loro testimonial. Questo è ciò che rimane un aspetto costante, dal quale per ora né Adidas né nessuna azienda attiva nel settore calcio sembra poter prescindere in un ambiente sempre più votato all’eccesso, e alla cura maniacale dell’apparenza.

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APPENDICE IMMAGINI

Figura 1 La scarpa della finale 1954

Figura 2 Franz Beckenbauer

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Figura 3: le Copa Mundial

Figura 4: l’evoluzione della serie Predator

Figura 5: le nuove X15 e Ace15

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Figura 6: alcuni shots dallo spot Nike del 1996 “Good vs Evil”

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Figura 7: alcuni shots dallo spot Adidas del 1997 “Real Team vs Clone Team”

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Figure 8 e 9: “Impossible is nothing” del 2007 vs “There will be Haters” del 2015

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