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La conclusione della Conferenza sui cambiamenti cli- matici di Copenaghen (COP15, 15th Conference Of the Parties), tenutasi nel dicembre del 2009, sancita da un documento che non obbliga i Paesi firmatari (parti) della United Nations framework convention on climate change (UNFCCC), entrata in vigore nel 1994, a limitazioni legalmente vincolanti delle emis- sioni in atmosfera di gas clima-alteranti (GHG, Green House Gas), rappresenta emblematicamente l’esito di un percorso iniziato ben prima che fosse definita la stessa convenzione quadro. Il summit danese ha segnato una linea di demarcazione sostanziale, pur non avendo il valore simbolico dell’ultimo atto, ossia non costituendo l’ultima Conferenza delle parti nel periodo di operatività (2008-2012) del trattato che ha finora regolato l’applicazione dei principi UNFCCC e la misurazione dei conseguenti obiettivi di riduzione delle emissioni (Protocollo di Kyoto). Avere stabilito, per il quadro degli accordi inter- nazionali che regolerà la politica dei cambiamenti cli- matici dopo il Protocollo di Kyoto, una strategia di contenimento delle emissioni affidata a strumenti caratteristici dell’economia di mercato (avendo peral- tro recepito la portata del rischio di cambiamenti cli- matici messo in evidenza dai dati scientifici) costitui- sce una scelta con ogni probabilità non reversibile che necessita di essere ricontestualizzata in un clima cul- turale riconducibile alla fine degli anni Sessanta del 20° secolo. La sua origine si può, infatti, far risalire al lavoro di ricerca del Club di Roma, osservatorio internazionale e multidisciplinare dello sviluppo eco- nomico mondiale; in particolare alla prima sintesi ela- borata in questo contesto, ossia il rapporto The limits to growth (1972), dove si introduce per la prima volta in termini economici il concetto di limite della cre- scita imposto dalla finitezza delle risorse naturali, pre- messa fondamentale per la formalizzazione del prin- cipio di sviluppo sostenibile espresso nel rapporto Brundtland dell’ONU (Our common future, 1987). Il lavoro critico e teorico condotto in seguito su tali con- cetti e la circolazione delle relative elaborazioni nel- l’ambito della società civile hanno portato a racchiu- dere nella formula ‘sviluppo con limiti’ il modello eco- nomico di riferimento per la politica dei cambiamenti climatici. Tale formula, basata su una funzionale inver- sione di termini (da limiti dello sviluppo a sviluppo con limiti), implica una trasformazione di carattere culturale di notevole portata che si risolve in una rin- novata prospettiva economica attraversando dialetti- camente molteplici aspetti di ambito diverso (sociale, politico, giuridico, etico e, ovviamente, scientifico) e istituendo una dimensione transdisciplinare, supe- riore a quella interdisciplinare, in cui si collocano con- cetti, definizioni e teorie. Nel quadro delineato, il rischio associato agli effetti ambientali negativi dei cambiamenti climatici potrebbe assumere la valenza di volano dello sviluppo econo- mico. La capacità di tradurre i limiti fisici della fini- tezza di risorse ed ecosistemi in valore di scambio, attraverso le attività volte a ridurre la vulnerabilità ambientale (aumento della resilienza) e le emissioni in atmosfera (mitigazioni degli effetti climatici secondo lo sviluppo di tecnologie a basso impatto di carbonio), rappresenta, infatti, la migliore opportunità per svin- colare il tasso di crescita dell’economia mondiale dai problemi che ne determinano l’attuale sofferenza. Tra le criticità che troverebbero soluzione grazie all’af- fermazione di una economia a basso contenuto di car- bonio (low carbon economy), sono da evidenziare la dipendenza eccessiva dalla disponibilità di risorse energetiche fossili non illimitate e il sempre maggior rilievo della finanza in economia come leve di sviluppo produttivo. L’incremento di tecnologie, servizi e lavoro nell’ambito low carbon consentirebbe di fondare il tasso di crescita dell’economia più su un patrimonio di conoscenze che su risorse fisiche, prospettando oriz- zonti di espansione anche in termini di vivacità di mercato associata all’apprezzamento di prodotti inno- vativi. Una parabola esemplare di tali implicazioni viene offerta dal caso della bolla del settore immobi- liare statunitense da cui è scaturita la crisi economica mondiale verificatasi alla fine del primo decennio del 495 Fabio Catino Conseguenze ambientali dei cambiamenti climatici 495-504 47bis.6 Rischio ambientale dei camb climatici - Catino D.qxp:III MIllennio 2009 18-10-2010 9:25 Pagina 495

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La conclusione della Conferenza sui cambiamenti cli-matici di Copenaghen (COP15, 15th Conference Ofthe Parties), tenutasi nel dicembre del 2009, sancitada un documento che non obbliga i Paesi firmatari(par ti) della United Nations framework conventionon climate change (UNFCCC), entrata in vigore nel1994, a limitazioni legalmente vincolanti delle emis-sioni in atmosfera di gas clima-alteranti (GHG, Green House Gas), rappresenta emblematicamente l’esito diun percorso iniziato ben prima che fosse definita lastessa convenzione quadro. Il summit danese hasegnato una linea di demarcazione sostanziale, purnon avendo il valore simbolico dell’ultimo atto, ossianon costituendo l’ultima Conferenza delle parti nelperiodo di operatività (2008-2012) del trattato che hafinora regolato l’applicazione dei principi UNFCCCe la misurazione dei conseguenti obiettivi di riduzionedelle emissioni (Protocollo di Kyoto).

Avere stabilito, per il quadro degli accordi inter-nazionali che regolerà la politica dei cambiamenti cli-matici dopo il Protocollo di Kyoto, una strategia dicontenimento delle emissioni affidata a strumenticaratteristici dell’economia di mercato (avendo peral-tro recepito la portata del rischio di cambiamenti cli-matici messo in evidenza dai dati scientifici) costitui-sce una scelta con ogni probabilità non reversibile chenecessita di essere ricontestualizzata in un clima cul-turale riconducibile alla fine degli anni Sessanta del20° secolo. La sua origine si può, infatti, far risalireal lavoro di ricerca del Club di Roma, osservatoriointernazionale e multidisciplinare dello sviluppo eco-nomico mondiale; in particolare alla prima sintesi ela-borata in questo contesto, ossia il rapporto The limitsto growth (1972), dove si introduce per la prima voltain termini economici il concetto di limite della cre-scita imposto dalla finitezza delle risorse naturali, pre-messa fondamentale per la formalizzazione del prin-cipio di sviluppo sostenibile espresso nel rapportoBrundtland dell’ONU (Our common future, 1987). Illavoro critico e teorico condotto in seguito su tali con-cetti e la circolazione delle relative elaborazioni nel-

l’ambito della società civile hanno portato a racchiu-dere nella formula ‘sviluppo con limiti’ il modello eco-nomico di riferimento per la politica dei cambiamenticlimatici. Tale formula, basata su una funzionale inver-sione di termini (da limiti dello sviluppo a sviluppocon limiti), implica una trasformazione di carattereculturale di notevole portata che si risolve in una rin-novata prospettiva economica attraversando dialetti-camente molteplici aspetti di ambito diverso (sociale,politico, giuridico, etico e, ovviamente, scientifico) eistituendo una dimensione transdisciplinare, supe-riore a quella interdisciplinare, in cui si collocano con-cetti, definizioni e teorie.

Nel quadro delineato, il rischio associato agli effettiambientali negativi dei cambiamenti climatici potrebbeassumere la valenza di volano dello sviluppo econo-mico. La capacità di tradurre i limiti fisici della fini-tezza di risorse ed ecosistemi in valore di scambio,attraverso le attività volte a ridurre la vulnerabilitàambientale (aumento della resilienza) e le emissioniin atmosfera (mitigazioni degli effetti climatici secondolo sviluppo di tecnologie a basso impatto di carbonio),rappresenta, infatti, la migliore opportunità per svin-colare il tasso di crescita dell’economia mondiale daiproblemi che ne determinano l’attuale sofferenza. Trale criticità che troverebbero soluzione grazie all’af-fermazione di una economia a basso contenuto di car-bonio (low carbon economy), sono da evidenziare ladipendenza eccessiva dalla disponibilità di risorseenergetiche fossili non illimitate e il sempre maggiorrilievo della finanza in economia come leve di sviluppoproduttivo. L’incremento di tecnologie, servizi e lavoronell’ambito low carbon consentirebbe di fondare iltasso di crescita dell’economia più su un patrimoniodi conoscenze che su risorse fisiche, prospettando oriz-zonti di espansione anche in termini di vivacità dimercato associata all’apprezzamento di prodotti inno-vativi. Una parabola esemplare di tali implicazioniviene offerta dal caso della bolla del settore immobi-liare statunitense da cui è scaturita la crisi economicamondiale verificatasi alla fine del primo decennio del

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Fabio Catino

Conseguenze ambientali dei cambiamenti climatici

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21° secolo. Avendo come riferimento la dimensionedelle riserve in valuta estera cinesi (circa 1900 miliardidi dollari nel 2008, prevalentemente conferite agliStati Uniti), l’ingente quantità di capitali veicolati nelmercato immobiliare statunitense attraverso nuovistrumenti finanziari ha provocato una cascata specu-lativa risultata infine non sostenibile, i cui effetti reces-sivi si sono progressivamente propagati su scala mon-diale, prima al settore bancario poi a quello industriale(Spaventa 2008). Il surplus di risparmio cinese (savingsglut) che ha contribuito a sostenere la crescita econo-mica (e l’indebitamento) degli Stati Uniti ha trovatoimpiego prevalentemente in un settore ad alto rischioin quanto strutturato sul credito generalizzato noncontrollato. Una maggiore e migliore diversificazionedelle stesse riserve finanziarie, per es. attraverso l’al-locazione in settori più favorevoli per tasso di sviluppodi tecnologie, prodotti e servizi innovativi a bassoimpatto ambientale (green economy), avrebbe forsedeterminato una leva di sviluppo più consistente emeno incerta nel lungo periodo.

Malgrado alcuni aspetti potenzialmente positivi,il quadro politico e istituzionale per la definizione deldopo Kyoto comporta, tuttavia, anche gravi incer-tezze. In questo contesto, il conseguimento degli obiet-tivi che i Paesi aderenti hanno confermato (la ridu-zione delle emissioni e la stabilizzazione del clima) èvincolato all’efficacia degli accordi internazionali fis-sati in merito. Si tratta, infatti, di un impianto di trat-tati e convenzioni che coinvolge sia Stati con inizia-tive bilaterali sia varie istituzioni sovranazionalioperative a livelli diversi: oltre alla UNFCCC, l’UNEP(United Nations Environment Programme), la WMO(World Meteorological Organization), il MEF (MajorEconomies Forum on energy and climate), il G20, l’APP(Asia-Pacific Partnership on clean development and cli-mate), la FAO (Food and Agriculture Organization),la WTO (World Trade Organization), l’IMF (Inter-national Monetary Fund). In analogia con il sistemafisico e quello economico che dovrebbe rispettiva-mente salvaguardare e governare, esso presenta lecaratteristiche di un sistema complesso in cui è par-ticolarmente difficoltoso prevedere l’esito delle spintecentripete rispetto alla governance concentrata e diri-gista del Protocollo di Kyoto. La tentazione di asse-condare logiche protezionistiche di posizioni econo-miche e industriali varie e consolidate (per es., ilsistema non riformato dei sovvenzionamenti all’in-dustria delle fonti fossili di energia che nel 2007 valevacirca 400 miliardi di dollari, prevalentemente in Paesinon OECD, Organisation for Economic Cooperationand Development; Gaining traction, 2010) potrebbefavorire un quadro in cui risolvere il conflitto degliinteressi divergenti, stabilendo un equilibrio avversoal mantenimento di condizioni climatiche funzionaliagli ecosistemi così come sono noti.

Un panorama simile, in cui si impongono sceltenon marginali e selettivamente penalizzanti di poli-

tica industriale, contempla un elemento fortementecritico. Per la complessità dell’argomento, la media-zione tra la formulazione di risultati scientifici e laformazione di opinioni di merito informate, a livellosia dei decisori politici sia della società civile, si pre-sta a strategie speculative. Il problema del rischioambientale dei cambiamenti climatici indotti dall’at-tività antropica si deve necessariamente affrontare intermini di incertezza e probabilità, ragione per cuimovimenti ispirati a correnti di pensiero negazioni-ste hanno avuto agio di promuovere campagne aggres-sive di contrasto alle politiche istituzionali ed econo-miche di lotta ai cambiamenti climatici.

Rischio e probabilità nella scienza dei cambiamenti climatici

Prima di entrare nel tema dei cambiamenti clima-tici e dei loro effetti, è opportuno definire l’oggetto dicui si esaminano l’equilibrio e la tendenza al cambia-mento: il sistema climatico. Esso si manifesta comedistribuzione sulla superficie terrestre dell’insieme dicondizioni meteorologiche (pressione, temperatura,umidità, precipitazioni ecc.) che caratterizzano per lun-ghi periodi regioni in questo modo individuate. Talesistema si considera complesso nei termini fisici dellateoria della complessità e si trova in condizioni di equi-librio dinamico determinato dall’interazione di variparametri ( forzanti) che appartengono a differenti sot-tosistemi (atmosferico, idrologico, geologico, biologico,astronomico) caratterizzati da fenomeni a scale moltodiverse (per es., da quella molecolare del cambiamentodi fase dell’acqua durante il suo ciclo nel trasferimentomutuo atmosfera-idrosfera, a quella continentale dellecircolazioni oceanica e atmosferica). Questi sottosi-stemi, che sono aperti dal punto di vista termodina-mico (scambiano materia ed energia), interagiscono tradi loro e comportano meccanismi di retroazione ( feed-back) in grado di rinforzare o inibire i cambiamenti.Pertanto, una condizione di equilibrio può risponderealla variazione dei forzanti in modo molto diverso, siacon una variazione continua sia raggiungendo una sogliacritica oltre la quale si possono verificare bruschi cam-biamenti. Fluttuazioni climatiche di tipologia diffe-rente sono state rilevate nelle passate ere geologiche el’elaborazione di quei dati contribuisce al migliora-mento dei modelli climatici di previsione.

La complessità del sistema climatico implica chela valutazione degli effetti dei suoi cambiamenti, inparticolare di quelli associati alle emissioni antropo-geniche di gas serra, sia ancorata a scenari probabili-stici di sintesi rispetto a una serie di incertezze distri-buite lungo una catena di cause-effetti. In termini distima del rischio questa condizione si traduce nelladifficoltà di esprimere analiticamente la pericolositàdi un fenomeno. Tipicamente, per un generico feno-meno potenzialmente dannoso per gli uomini e i manu-

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CONSEGUENZE AMBIENTALI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

fatti (per es., il terremoto), si stabilisce una relazionetra il rischio R, la pericolosità intrinseca del fenomenofisico P (cioè la probabilità che esso si manifesti conuna determinata intensità), la vulnerabilità allo stessodell’ambiente sotto valutazione V (cioè l’attitudine asubire danni di cose, persone e attività) e l’esposizioneH (ossia la stima in valore economico dell’importanzasociale e antropica del sistema eventualmente dan-neggiato). Nei limiti della natura generalmente nondeterministica della variabile di pericolosità, il rischioè quantificato attraverso una relazione del tipoR=PVH. Tuttavia, nel caso, per es., delle ondate dicalore, uno degli eventi estremi i cui aumenti di inten-sità e di frequenza di accadimento sono imputati alriscaldamento globale atmosferico, il calcolo di Pdovrebbe includere stime probabilistiche di incertezzea cascata (quali, tra le altre e a scala diversa, quellerelative al ciclo del carbonio, ai forzanti radiativi, allarisposta climatica globale e regionale).

Malgrado siano oggetto di intensa attività di ricerca,considerato anche il vivo interesse suscitato nelle mul-tinazionali del credito e del mercato assicurativo coin-volte negli investimenti per la mitigazione e la coper-tura dei danni potenziali, i termini probabilistici incui sono espresse le pericolosità degli effetti indottidai cambiamenti climatici risentono dei limiti impli-citi di un linguaggio strutturato in modo ibrido. Neè riprova il rapporto del 2007 AR IV (Assessment ReportIV), ultimo delle periodiche sintesi di valutazione suicambiamenti climatici prodotte dall’organismo tec-nico-scientifico (IPCC, Intergovernmental Panel onClimate Change) di riferimento della UNFCCC e isti-tuito dalle organizzazioni UNEP e WMO, in cui rischiclimatici e vulnerabilità continuano a essere espressiin termini descrittivi attraverso cinque categorie d’im-patto (reasons for concern) già identificate nel prece-dente rapporto del 2001 (TAR, Third AssessmentReport): rischi per sistemi unici e minacciati (qualibarriere coralline, ghiacciai tropicali, specie in peri-colo di estinzione, ecosistemi unici, zone ad alta con-centrazione di biodiversità, Stati residenti in piccoleisole, comunità indigene); rischio di eventi atmosfe-rici estremi (quali onde di calore, inondazioni, siccità,cicloni tropicali, incendi); distribuzione degli impatti(in cui rientra la valutazione della disparità degliimpatti tra diversi Paesi, regioni e popolazioni); danniaggregati (in cui sono racchiusi in singola metricaimpatti come danni materiali, perdite di vita e per-sone sottoposte a cure mediche); rischi di disconti-nuità di grande scala (quali, per es., lo scioglimentoparziale o totale delle calotte glaciali antartica e dellaGroenlandia, la riduzione sostanziale o il collasso dellacircolazione oceanica nordatlantica).

In merito, è interessante evidenziare quanto pesoabbiano le implicazioni delle strategie di comunica-zione dei dati scientifici nell’attività politica di media-zione che presiede la stesura dei documenti tecnicicondivisi di riferimento nelle convenzioni interna-

zionali: per definire l’intensità del rischio nelle cate-gorie d’impatto sopra menzionate, l’IPCC aveva sceltonel TAR una rappresentazione diagrammatica (burn-ing embers), attraverso una scala cromatica correlataall’aumento di temperatura media globale atmosfe-rica associato a scenari probabili di emissioni gassoseantropogeniche a effetto serra (fig. 1); pur avvaloratada ulteriori evidenze sperimentali e sostenuta da variesponenti scientifici già autori del TAR, tale opzionenon è stata confermata nell’AR IV, a causa della pres-sione esercitata nelle commissioni competenti da alcunigoverni (in particolare Stati Uniti, Cina, Russia, Ara-bia Saudita), ufficialmente per una sua presunta mar-cata soggettività, malgrado fossero stati accolti neltesto del documento i contenuti che ne avrebberodeterminato lo sviluppo in termini di aggiornamentodel diagramma con maggiore impatto comunicativo.

Si deve peraltro sottolineare che tali contenuti sonoancora proposti utilizzando un linguaggio misto in cuil’incertezza è probabilisticamente trattata sia qualita-tivamente (attraverso espressioni quali high agreement,much evidence, medium agreement, medium evidenceecc.) sia quantitativamente (con formule che espri-mono intervalli di verosimiglianza per la probabilitàdi occorrenza, come, per es., very likely e likely, cheequivalgono rispettivamente a probabilità superiorial 90% e al 66%). Tuttavia, i progressi nella scienzadei cambiamenti climatici consentono d’intravedereun futuro prossimo, probabilmente già identificabilenella data di pubblicazione dell’AR5 (Assessment Report5) dell’IPCC, prevista nel 2013, nel quale le incer-tezze sulle fluttuazioni climatiche saranno elaboratein modo più omogeneo. Ciò non significa che tali incer-tezze diminuiranno; paradossalmente, infatti, lamigliore conoscenza dei fattori climatici noti potrebbecomportare una maggiore comprensione di altri fat-tori in precedenza non opportunamente considerati,per es. nei modelli previsionali. Considerando ladimensione e l’impatto delle implicazioni economi-che e industriali nella lotta ai cambiamenti climatici,alcuni elementi che contribuiscono a delineare i para-metri fisici e matematici della stima delle incertezzedi merito assumono valore generale, oltrepassandol’originario ambito scientifico.

Forzanti radiativiIl rischio di cambiamenti climatici in precedenza

definito è associato alle interferenze antropogeniche(DAI, Dangerous Anthropogenic Interference) nel-l’evoluzione naturale del sistema climatico. Dato perassunto questo concetto, il fattore inequivocabile dacui partire è l’aumento della concentrazione in atmo-sfera di gas e aerosol prodotti dalle attività umane invari settori (industria, agricoltura, trasporti, residen-ziale ecc.), in particolare dalla rivoluzione industrialein poi, e in grado di operare come agenti di cambia-mento climatico (drivers). La loro azione si determinanell’alterazione del bilancio energetico del sistema

32 – XXI SECOLO – L’Universo fisico

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atmosfera-Terra attraverso la variazione del rapportotra la radiazione solare in entrata e la radiazione infra-rossa uscente (tale bilancio radiativo regola la tempe-ratura superficiale terrestre). L’effetto dell’azione diogni driver (o gruppi di drivers) sull’equilibrio radia-tivo si misura generalmente in termini di una gran-dezza definita forzante radiativo (radiative forcing,RF), espressa in W/m2 (tasso di cambiamento di ener-gia a unità di superficie): se essa è positiva determinanel tempo l’aumento del contenuto energetico delsistema atmosfera-Terra, con conseguente aumentodella temperatura; viceversa se è negativa. Questagrandezza consente di confrontare i vari drivers dicambiamento climatico, antropogenici e naturali, defi-nendo una metrica valida per gli agenti di cambia-mento sia radiativi diretti (GHG, aerosol ecc.) sia ini-zialmente non radiativi (per es., il cambiamento neltasso di evaporazione sulla superficie terrestre).

Per quanto riguarda i drivers radiativi diretti, RFregistra complessivamente gli effetti delle caratteri-stiche ottiche della materia in gioco (spettro di assor-bimento molecolare dei gas, albedo di singolo scat-tering e coefficienti di estinzione degli aerosol) e dellaconcentrazione con cui la stessa si manifesta in atmo-sfera. Quindi è possibile stimare in modo omogeneoil contributo al bilancio radiativo portato dai vari gasintrodotti in atmosfera dalle attività antropogeniche,siano essi a lungo tempo di residenza, i cosiddettiLLGHG (Long Lived GHG), che costituiscono i driv-

ers portanti dei cambiamenti climatici (diossido di car-bonio, CO

2; metano, CH

4; monossido di diazoto, N

2O;

idroclorofluorocarburi, HCFC; idrofluorocarburi,HCF; perfluorocarburi, PCF; esafluoruro di zolfo,SF

6), o a breve tempo di residenza (per es., ozono tro-

posferico e stratosferico, vapore acqueo stratosfericoindotto da metano). In questo modo, considerando,per es., le azioni del diossido di carbonio e del metano,le più rilevanti tra quelle dei LLGHG, si possono sti-mare forzanti radiativi specifici, pari rispettivamentea 1,66±0,17 Wm−2 e 0,48±0,05 Wm−2, poiché se laconcentrazione del CO

2è di due ordini di grandezza

superiore a quella del CH4

(379.000 ppb rispetto a1774 ppb nel 2005) di contro la sua efficienza radia-tiva è di un ordine di grandezza inferiore (1,4·10

−5

rispetto a 3,7·10−4 Wm−2ppb−1). Si noti che il forzante

radiativo è per un GHG una funzione dell’aumentoin atmosfera della sua concentrazione nell’intervallodi tempo considerato: prese come riferimento (Rama-swamy, Boucher, Haigh et al. 2001) le concentrazionidi CO

2(circa 278 ppm) e CH

4(circa 742 ppb) nel

periodo preindustriale (1750), dedotte attraversometodi indiretti (proxy, per es. lo studio delle carotedei ghiacci), esso segue l’andamento logaritmicoFRCO

2

=f(ln([CO2]/[CO

2]

1750)) per il CO

2, che tende

ad autoschermarsi in quanto relativamente abbon-dante in atmosfera, e per il CH

4l’incremento secondo

radice quadrata FRCH4

=f([CH4]1/2−[CH

4]1/2

1750), ciò

sta a significare che uno stesso aumento di concen-

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FABIO CATINO

rischi permolti

grandeaumento

negativoper la

maggiorparte

impattinegativiin ognimetrica

moltoalti

rischi persistemiunici e

minacciati

rischieventi

atmosfericiestremi

distribuzionedegli

impatti

danniaggregati

rischi didiscontinuità

di grandescala

rischieventi

atmosfericiestremi

distribuzionedegli

impatti

danniaggregati

rischi didiscontinuità

di grandescala

rischi peralcuni

rischi permolti

rischi persistemiunici e

minacciati

rischi peralcuni

rischi permolti

aumento

rischi permolti

negativoper alcune

regioni;positivoper altre

rischi permolti

impattidi mercatopositivi onegativi;

maggioranzadelle

personecolpita

in modoavverso

alti

bassiaumento

negativoper alcune

regioni;positivoper altre

impattidi mercatopositivi onegativi;

maggioranzadelle

personecolpita

in modoavverso

moltobassi

au

men

to T

med

ia g

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l 1990 (

°C)

�0,6

0

1

2

3

4

5

futu

rop

ass

ato

Fig. 1 – Diagramma burning embers pubblicato nel TAR 2001 e suo aggiornamento non confermato nell’AR IV

(Fonte: figura ridisegnata da Smith, Schneider, Oppenheimer et al. 2009)

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CONSEGUENZE AMBIENTALI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

trazione ha un’efficacia diversa in termini di RF aseconda della concentrazione in cui interviene (mag-giore se avviene a basse concentrazioni). Si deve evi-denziare, tuttavia, che, ai fini dell’ottimizzazione dellestrategie di minimizzazione dei drivers climatici nonnaturali, rispetto agli obiettivi di stabilizzazione dellaconcentrazione in atmosfera dei LLGHG, sembraessere più efficace un’impostazione basata sulla rela-zione tra picco di riscaldamento atmosferico ed emis-sioni cumulative nell’intervallo temporale in cui sonoprodotte (Allen, Frame, Huntingford et al. 2009).Oltre a declassificare l’importanza dell’andamentotemporale delle emissioni, svincolando i concetti dipicco di temperatura e picco di concentrazione, que-sta impostazione dovrebbe consentire anche di ridurrele incertezze sulle risposte climatiche associate al ciclodel carbonio. Tenendo presente che il CO

2comporta

un RF più elevato, va considerato che questo gas,introdotto in atmosfera, dopo aver eventualmente inte-ragito chimicamente con componenti a vita breve (siadella biosfera terrestre sia della superficie oceanica),è coinvolto in dinamiche di ridistribuzione tra i varireservoires attivi di carbonio (per es., biosfera terre-stre a vita lunga, oceano profondo), secondo una scaladei tempi secolare e processi di feedback per il sistemaclimatico. Modelli di calcolo specifici (per es., C4MIP,Coupled Carbon Cycle Climate Model IntercomparisonProject) si occupano di analizzare tali aspetti per pre-vederne e simularne gli impatti.

La necessità di valutare i drivers di cambiamentoclimatico inizialmente non radiativi in termini di RFcomporta interventi metodologici che suggerisconoalcune considerazioni sul calcolo di questa grandezza,sulla sua misurazione e sulla relativa incertezza delrisultato. In primo luogo, la metodologia di calcolorichiede un’impostazione diversa rispetto a quella rela-tiva ai drivers radiativi, per i quali è sufficiente con-siderare la quantità RF come variazione della densitàdel flusso radiante (irradianza) alla troposfera, impo-nendo eventualmente per l’equilibrio radiativo l’adat-tamento delle temperature stratosferiche. Viceversa,è necessario, per es., prevedere cambiamenti dellostato troposferico (temperatura e/o contenuto in vaporeacqueo) nella metodologia del calcolo di RF per agentiquali: variazioni antropogeniche di albedo della super-ficie terrestre (causate da cambiamenti di utilizzazionedel territorio o presenza nella neve e nel ghiaccio diparticelle fuligginose derivate da combustione incom-pleta di combustibili fossili o biomassa, black carbon,considerati, nel complesso, termini rispettivamenteantiriscaldamento e di riscaldamento con valori di−0,2±0,2 Wm−2 e 0,1±0,1 Wm−2); cambiamenti deiflussi di calore latente e sensibile all’interfaccia suolo-atmosfera (per es., a causa dell’inibizione nelle piantedel trasferimento di umidità dalla superficie attra-verso la traspirazione, indotta dall’aumento della con-centrazione di CO

2in atmosfera e considerata termine

di riscaldamento non ancora ben quantificato anche

se comunque controbilanciato dalle conseguenze del-l’associata diminuzione di vapore acqueo in atmo-sfera); effetti indiretti degli aerosol (termine antiri-scaldamento con RFan=−0,7 [−1,1; +0,4] Wm−2,riferito all’effetto indiretto primario, leggermente piùintenso di quello degli effetti radiativi diretti degliaerosol, RFda=−0,5±0,4 Wm−2).

Per richiamare l’estrema variabilità della scala spa-ziale dei fenomeni che condizionano la stabilità e lavariazione del sistema climatico, in merito a questoultimo driver (effetti indiretti degli aerosol) è oppor-tuno segnalare quanto esso sia associato a meccanismidi scala ridotta nello spazio: gli aerosol, in funzionedelle proprie dimensioni, composizione chimica, statodi mescolanza e condizioni al contorno, agiscono alivello microfisico come nuclei di condensazione dellegocce d’acqua (e di ghiaccio) nelle nubi, alterando pro-prietà radiative, quantità e vita media della coperturanuvolosa. Tale dinamica microfisica, rispetto cui sipuò individuare un effetto albedo delle nubi (con l’as-sunzione di mantenere fisso il contenuto di acqualiquida, LWC, Liquid Water Content), altrimenti dettoeffetto indiretto primario, per distinguerlo dal secon-dario in cui sono considerati altri parametri (qualivariazioni di LWC, altezza e tempo di residenza dellenubi), consente di riprendere in esame gli aspetti cheriguardano il calcolo delle quantità RF e, in partico-lare, le incertezze associate. Come per gli altri driversclimatici, la valutazione dell’effetto indiretto prima-rio si avvale di misurazioni strumentali, da terra, insitu e da satellite per stabilire nello specifico relazionitra proprietà delle nubi e concentrazione degli aero-sol, da utilizzare come vincolo nei modelli di circola-zione atmosferica generale (GCM, General Circula-tion Model). Tuttavia, uno dei problemi più rilevanti,nel generare incertezza sul risultato del calcolo di RFanè la risoluzione spaziale dei GCM, non sufficiente perconsiderare senza approssimazioni le interazioni aero-sol-nuvole che avvengono a piccola scala spaziale (nel-l’ordine di centinaia di metri). Questa e altre limita-zioni sono incluse nell’intervallo di precisione con cuiè fornita la migliore stima di RFan. Tale intervallo,detto di confidenza, esprime nel caso specifico il campoin cui ricade il 90% dei valori ricavati da lavori scien-tifici accreditati in letteratura (IPCC-WGI 2007),ovvero gli estremi (−0,3 Wm−2 e −1,8 Wm−2) che limi-tano il campo di variabilità di una distribuzione nonsimmetrica, la cui mediana è −0,7 Wm−2, nei quan-tili 5% e 95% (i termini entro cui sono compresi rispet-tivamente il 5% e il 95% dei valori acquisiti).

Più in generale, l’intervallo di confidenza del 90%esprime la misura omogenea dell’incertezza che, attri-buita ai termini RF dei vari drivers climatici, consentela loro addizione per il calcolo del forzante radiativoantropogenico complessivo. Si deve peraltro eviden-ziare che, per essere quantificato, un RF deve risul-tare ben stabilito (well-established) in seguito a unaprocedura che ne quoti qualitativamente il livello di

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comprensione scientifica (LOSU, Level Of ScientificUnderstanding): una volta stabiliti, relativamente aglistudi scientifici pubblicati, sia il livello di evidenzascientifica (secondo una scala di tre gradi che da A aC demarca in ordine decrescente la capacità delle osser-vazioni sperimentali di verificare gli aspetti di un RFe l’esistenza di modelli fisici di riferimento in gradodi spiegarlo), sia il livello di consenso (secondo l’at-tribuzione di un coefficiente da 1 a 3 in valore decre-scente), si quantifica il LOSU relativo assegnandouna classe di merito derivata dal prodotto tra evidenzae consenso; si ottengono in questo modo le categoriehigh, medium, medium-low, low, very-low. Per quantoriguarda l’effetto albedo delle nubi, pur essendosi regi-strati progressi che ne hanno elevato la conoscenzacome driver climatico, il suo FRan è contrassegnato daLOSU low. Diversamente, l’effetto diretto degli aero-sol totali, per il quale si registra un riscontro miglioretra parametri chiave elaborati dai modelli di calcolo edati sperimentali rilevati sia da satellite sia da reti stru-mentali di superficie (fotometri solari e lidar), è sti-mato nell’incertezza del RFda con LOSU medium-low.

Il processo di addizione dei termini RF dei singolidrivers antropogenici è scientificamente accettabile neilimiti delle precedenti considerazioni. È opportunoevidenziare che l’elaborazione statistica dei diversi RF,trattati mediante la combinazione di stime e incertezzeal 90% di confidenza impiegando simulazioni con ilmetodo Monte Carlo, consente di ricavare funzioni didensità di probabilità (PDF, Probability Density Func-tions) sia per categorie convenienti di forzanti radia-tivi (per es., LLGHG più ozono, effetto albedo piùeffetto diretto degli aerosol) sia per il driver antropo-genico totale. Le PDF sono uno strumento analiticodi grande utilità per i raffronti delle incertezze deifenomeni in mutua relazione che contribuiscono adimensionare il rischio dei cambiamenti climatici. Leultime stime pubblicate dall’IPCC nell’AR IV valu-tano il valore di RF antropogenico complessivo +1,6[−1, +0,8] Wm−2, rispetto, per es., a una variazionenaturale dell’irradianza solare relativa al 1750 di +0,12

[−0,06, +0,18] Wm−2 con LOSU low. Con l’intentodi riaffermare il concetto di multiscalarità dei cam-biamenti climatici, si può osservare che tali valori sonoin ordine di grandezza 10

−3 e 10−4 volte più piccoli

dell’irradianza solare (il flusso di energia che alimentail sistema climatico terrestre, pari a 1367 Wm−2 fuoridell’atmosfera terrestre, considerato su superficie per-pendicolare e con variazioni di circa ±3% relativamenteal cambiamento della posizione orbitale della Terra).Variazioni minime nel bilancio energetico del sistemaTerra-atmosfera possono causare consistenti cambia-menti climatici, essendo indotte da drivers alimentatida agenti causali (per es., sorgenti di emissione di CO

2)

caratterizzati come segue: diffusione capillare sullasuperficie terrestre di un elevato numero di unità ele-mentari; relazione non lineare tra numero di sorgentidi emissione e intensità di emissione; capacità di inci-

dere significativamente su un parametro di scala glo-bale come la concentrazione nella miscela atmosfericadi un componente chimico (variazione della concen-trazione della CO

2da 278 a 379 ppm in 250 anni).

Sensitività climaticaAttraverso il forzante radiativo vi è la possibilità

di definire un altro parametro chiave del sistema cli-matico, la sensitività climatica λ che è definita dallarelazione ΔTs= λRF, in cui ΔTs rappresenta la varia-zione di temperatura media globale di superficie tradue stati di equilibrio. Nella sua semplicità e costi-tuendo un’approssimazione lineare, tale relazioneimporta gli effetti retroattivi (feedback) delle rispo-ste climatiche caratteristici del sistema atmosfera-Terra nei margini di incertezza attribuibili a λ. Traquesti si può citare, per es., la relazione di mutuoincremento tra temperatura atmosferica e rilascio dimetano dalle zone paludose: l’aumento di tempera-tura atmosferica favorisce l’emissione di metano dallezone paludose, che induce la crescita di concentra-zione in atmosfera di questo gas a effetto serra, a suavolta capace di rinforzare l’aumento di temperaturaatmosferica. Tali processi possono peraltro interagirecon fenomeni naturali discontinui e ricorrenti come,per es., le eruzioni vulcaniche: conseguentementeall’eruzione del vulcano Pinatubo del 1991 furonoimmesse nella bassa stratosfera notevoli quantità diceneri e diossido di zolfo (SO

2) in grado di favorire la

soppressione di metano in due modi sinergici (alte-razione fotochimica con azione sulla rimozione attra-verso OH atmosferico, riduzione del rilascio da zonepaludose per diminuzione della temperatura e delleprecipitazioni). Il ciclo eruttivo del vulcano islandeseEyjafjallajökull, attivatosi nell’aprile del 2010, con-sentirà di sviluppare questa tipologia di ricerche.

La sensitività climatica è di importanza capitale,anche nello sviluppo e nell’applicazione, con finalitàprevisionali, dei modelli di circolazione atmosfericagenerale, perché costituisce matematicamente un fat-tore di proporzionalità tra RF e la risposta in varia-zione della temperatura atmosferica, che è associabilealla probabilità di occorrenza delle manifestazioni deicambiamenti climatici. Generalmente, per ragioni diopportunità, negli studi di settore la sensitività è cal-colata attraverso una grandezza derivata, la variazionedi temperatura corrispondente al raddoppio della con-centrazione di CO

2in atmosfera: ΔTCO

2(2×)=λRFCO

2(2×).

La determinazione di λ può seguire modalità sia spe-rimentali sia di calcolo attraverso modelli, entrambecomunque implicanti fattori di incertezza riconduci-bili in ultima analisi ai forzanti radiativi, in partico-lare a quello complessivo degli aerosol. Le metodolo-gie sperimentali si basano sulla misura della variazionedella temperatura media globale di superficie relativaa un periodo di tempo noto e del forzante radiativo cau-salmente corrispondente. Sono stati effettuati studi ascala temporale molto diversa, considerando sia tempi

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geologici (per es., il riscaldamento dall’ultimo minimoglaciale al presente o il raffreddamento dal Cretacicoal presente) con l’ausilio di tecniche proxy (per es., lostudio della distribuzione degli isotopi stabili nei ghiaccifossili e nei sedimenti per calcolare le variazioni di tem-peratura) sia tempi storici (per es., dalla rivoluzioneindustriale a oggi utilizzando serie di misurazioni stru-mentali). Tuttavia, nel primo caso le incertezze intro-dotte dalla deduzione sperimentale sia delle tempera-ture sia dei forzanti tendono a comporsi in un intervallotroppo ampio per poter effettuare un confronto con leazioni indotte dai fattori antropogenici; nel secondo iltermine di incertezza è dominato da quello relativo allaquantità RF totale degli aerosol. Un metodo speri-mentale alternativo si avvale delle misure da satelliteper determinare il tasso di riscaldamento globale attra-verso il calcolo del flusso netto di energia al limite supe-riore dell’atmosfera (TOA, Top of the Atmosphere).Tale metodo, pur caratterizzato dal vantaggio di nondover considerare l’inerzia termica delle masse ocea-niche, attraverso il termine altrimenti necessario chein questo tipo di calcoli esprime il flusso di energia cor-rispondente al riscaldamento degli oceani, comporta,tuttavia, aspetti problematici che incidono sull’accu-ratezza della sensitività climatica calcolata: i forzantiradiativi, e più di altri il termine FR da aerosol, dovreb-bero essere considerati non invarianti durante il periodocoperto dai dati satellitari e, in particolare, dovrebberoesser note con sufficiente approssimazione le loro varia-zioni stagionali quando si utilizzano medie mensili ditemperatura e di flussi radiativi, in luogo dei cambia-menti in media annuale di queste grandezze (modestinella durata dell’intervallo sperimentale proprio di taleserie), per ridurre l’impatto sia di variazioni naturalinon forzate sia di forzanti non previsti; i dati satellitarisono parzialmente idonei a fornire la misura di un flussoradiativo globale medio (per es., le piattaforme satel-litari ERBE, Earth Radiation Budget Experiment, noncoprono le regioni polari, mentre quelle CERES, Cloudsand the Earth’s Radiant Energy System, che rilevano ilpianeta complessivamente, non campionano sul ciclodiurno poiché sono in orbita polare). Lo sviluppo dellacapacità di rilevamento da satellite con il potenziamentodella rete strumentale, a cominciare dal lancio dellamissione NPOESS (National Polar-orbiting Opera-tional Environmental Satellite System), previsto per il2011, contribuirà a migliorare l’efficacia del metodo.

La stima della sensitività climatica secondo l’ap-proccio modellistico è condizionata dalla capacità deimodelli di rappresentare con sufficiente accuratezzai processi chiave del sistema climatico. Da questopunto di vista, sono rilevanti gli effetti amplificantidei meccanismi di feedback, che possono condurre arisultati di modello significativamente diversi in fun-zione del tipo di approssimazione necessariamenteapplicata alla descrizione dei processi fisici indivi-duali, per limiti nella capacità di calcolo e nella cono-scenza dei fenomeni. L’incertezza attribuita ai singoli

forzanti radiativi, in particolare nei casi in cui è ampiacome per gli aerosol, limita l’accuratezza della misuramodellistica della sensitività climatica.

Proiezioni di temperaturaParte sostanziale del processo previsionale sui cam-

biamenti climatici antropogenicamente indotti è costi-tuita dalle proiezioni delle variazioni di temperaturamedia atmosferica in funzione dell’andamento neltempo delle emissioni di GHG e aerosol. Ciò implical’utilizzazione di modelli di calcolo di complessitàvaria che possono simulare prioritariamente differentiaspetti del sistema climatico quali: circolazione gene-rale atmosferica e oceanica in accoppiamento (modelliAOGCM, Atmosphere-Ocean General CirculationModel); feedback tra ciclo del carbonio e clima in pre-senza di forzanti radiativi esterni (per es., C4MIP);valutazione degli impatti climatici dei GHG (per es.,MAGICC, Model for the Assessment of GHG InducedClimate Change). Generalmente tali modelli conten-gono molti parametri, caratterizzati da incertezza pro-pria, che si possono vincolare a serie storiche di misuresperimentali per quantificare le incertezze delle pro-iezioni di interesse. Nel caso delle proiezioni di tem-peratura atmosferica, si è affermata la tendenza versol’applicazione integrata dei modelli, per esigenze dicalibrazione dei parametri e di confronto dei risultati;si è inoltre confermata la necessità di conseguire ana-lisi onnicomprensive in grado di prevedere stimatoridi probabilità non semplificati e di vincolare il piùalto numero possibile dei parametri di modello.

Una sintesi pionieristica in questi termini è stataprodotta dal gruppo di ricerca di Malte Meinshausen(M. Meinshausen, N. Meinshausen, Hare et al. 2009)che ha sviluppato un metodo per calcolare la probabi-lità di riscaldamento atmosferico eccedente 2 °C in fun-zione della quantità cumulata di GHG emessi nellaprima metà del 21° sec. (fig. 2). Applicando un modelloMAGICC, le proiezioni di temperatura sono state pro-babilisticamente vincolate al seguente corposo com-plesso di dati sperimentali: serie storiche di tempera-ture atmosferiche dal 1850 al 2006, di cui sono statetrattate separatamente le incertezze multiple (valuta-zione spaziotemporale degli errori di misura sia indi-pendenti, incertezza di misurazione, sia sistematici,riflettenti effetti di urbanizzazione e cambiamenti diesposizione dei termometri, controllo della variabilitàinterna attraverso modelli AOGCM); stime di assor-bimento di calore oceanico; stime con relative incer-tezze di forzanti radiativi di 17 drivers (GHG, aerosolecc.); variazioni di sensitività climatica effettiva. Talivincoli consentono di ricavare stime di probabilità (intermini di PDF) per uno spazio climatico parametricoa 82 dimensioni (parametri climatici, parametri di ciclidi gas, parametri RF) attraverso un approccio baye-siano (la distribuzione statistica risultante è modulatada una distribuzione a priori informata secondo un giu-dizio esperto). Le distribuzioni in evoluzione tempo-

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B1

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dimezzate al 2050

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°C

emissioni cumulative GHG Kyoto 2000-49 (Gt CO2eq)B

Fig. 2 – Probabilità di aumento di temperatura atmosferica superiore a 2 °C in funzione della quantità cumulata di CO

2(A) e di GHG (B)

(Fonte: figura ridisegnata da M. Meinshausen, N. Meinshausen, Hare et al. 2009)

SRES A1FI

6 SRES illustrativi

35 SRES

7 EMF di riferimento

14 EMF di riferimento

3 Stern/EQW

948 EQW

dimezzate al 2050

Scenari

SC a prioricaso defaultemulazioneCMIP3 e C4MIP

Incertezze climatiche

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rale dei termini RF con le implicazioni associate ditemperatura atmosferica sono state calcolate per mol-teplici scenari futuri di emissioni che rispondono a dif-ferenti criteri e modalità di riduzione: 26 IPCC SRES(IPCC Special Report on Emissions Scenarios), 20 EMF-21 (Energy Modeling Forum working group 21), 948

EQW (multi-gas Equal Quantile Walk). Rispetto a unarco temporale limitato superiormente al 2100, perogni scenario la percentuale di esiti di modello (runs)con riscaldamento massimo a 2 °C definisce il posi-zionamento nel grafico della figura 2. Riguardo le carat-teristiche e la struttura della curva che compendia illavoro di proiezione climatica sono da evidenziare dueaspetti: in primo luogo, il campo di variazione dellaprobabilità di eccedenza T=2 °C per ogni valore diemissioni cumulate riflette la sensibilità del metodoalla varietà di stime di sensitività climatica presenti inletteratura; in secondo, è possibile leggere i risultatinei termini del linguaggio probabilistico dell’AR IVIPCC (ordinate a destra nella figura 2).

Tipping pointsA causa della complessità delle interazioni tra i vari

componenti del sistema climatico, quest’ultimo puòraggiungere condizioni limite in cui piccoli cambia-menti nei meccanismi forzanti possono determinarebrusche variazioni. I fenomeni che rispondono a que-sto criterio, per i quali si possono determinare grandidiscontinuità di scala e divergenze irreversibili dapreesistenti condizioni di equilibrio, sono denominatitipping points. Ne sono stati elencati precedentementealcuni (scioglimento parziale o totale delle calotte gla-ciali antartica e della Groenlandia, riduzione sostan-ziale o collasso della circolazione oceanica nordatlan-tica). Per evidenziare l’effetto amplificativo che essicomportano sul rischio dei cambiamenti climatici, sipuò, per es., citare un ulteriore fenomeno di questotipo, ossia il rilascio di grandi quantità di metanoattualmente contenute nel permafrost siberiano o neiclatrati dei fondali oceanici.

La possibilità che le interferenze antropogenichenel sistema climatico assumano tali dimensioni sug-gerisce qualche considerazione riguardo al principiodi precauzione. È opportuno richiamare la posizionedell’economista Nicholas Stern, autore del rapportoomonimo sui costi dei cambiamenti climatici (Stern2007), nel dibattito circa la necessità e l’urgenza degliinvestimenti finalizzati a minimizzare gli effetti deicambiamenti climatici. Egli intravede due possibilivie d’errore: la prima è considerare corrette e quindiseguire le indicazioni fornite pressoché unanimementedal mondo scientifico (riassunte nei rapporti del-l’IPCC), per verificarne poi eventualmente l’infon-datezza; la seconda consiste, invece, nel non agire, omeglio agire come se le previsioni ricavate in base aidati scientifici fossero inesatte, per scoprirle infinecorrette. Questi due errori sono talmente asimmetrici,dal punto di vista delle ricadute, da ricavarne un ter-

mine di giudizio secondo il principio di precauzione.Infatti, nel caso in cui si dovesse incorrere nel primoerrore, i massicci investimenti effettuati per l’aumentodell’efficienza e della sostenibilità ambientale dei set-tori energetico, dei trasporti, industriale e residen-ziale avrebbero comunque prodotto un risultato rile-vante: la diminuzione dell’impatto antropico sullabiosfera e, nello stesso tempo, la riduzione della dipen-denza dei cicli economici da risorse esauribili e geo-graficamente non distribuite in modo omogeneo (peres., gli idrocarburi). Al contrario, commettere ilsecondo errore sarebbe esiziale in termini sia socialie ambientali sia economici.

Prospettive nell’integrazione dei linguaggi

I termini economici delle strategie di abbattimentodei GHG, finalizzate alla riduzione dell’impatto antro-pogenico dei cambiamenti climatici, sono espressa-mente vincolati a parametri scientifici. È possibilericavare una visione di questa fondamentale relazioneprendendo spunto dal ruolo attribuito negli Assess-ment report IPCC ai forzanti radiativi per stabilire unametrica comune necessaria a confrontare gli effettidelle differenti emissioni nelle strategie multicompo-nente di abbattimento dei GHG. Per ogni driver antro-pogenico i, si definisce un potenziale di riscaldamentoglobale (GWP, Global Warming Potential) calcolatodal suo RF globale medio (per 1 kg di gas emessoistantaneamente) integrato su un orizzonte temporalet rispetto a quello di una massa equivalente di CO

2:

t∫0

RFi(t)dtt∫0

aiCi(t)dtGWP = ————— = ————— [1]t

∫0

RFr(t)dtt∫0

arCr(t)dt

dove ai è l’efficienza radiativa del componente i (RFa unità di massa) per una sua data abbondanza atmo-sferica, Ci(t) è l’andamento nel tempo dell’abbondanzaatmosferica del componente medesimo, mentre ar eCr(t) sono gli analoghi per la CO

2.

Tralasciando alcuni aspetti delle semplificazioniche la [1] implica, si evidenzia come tale formulazioneriduca in termini fisici un confronto che dovrebbeprevederne anche altri di carattere economico. Informa più generale essa dovrebbe assumere un’espres-sione del tipo:

∞∫0

[I(ΔCr+i(t) − I(ΔCr(t))] g(t)dt [2]

dove I(ΔCr+i(t)) è una funzione che descrive l’impatto(danno o eventuale beneficio) di un cambiamento cli-matico ΔC al tempo t, per una perturbazione di emis-sione i rispetto a uno scenario di riferimento r, e g(t)stabilisce una modulazione nel tempo (per es., e−kt

costituisce un tasso di sconto che attribuisce maggiorpeso agli impatti di breve termine). L’individuazione

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di termini adatti allo sviluppo di una metrica secondola [2] definisce un campo di ricerca da cui sono attesiimpulsi rilevanti per la crescita economica sosteni-bile. Per es., la valutazione delle esternalità comportaanalisi in cui l’equilibrio tra costi sociali dell’incre-mento di GHG in atmosfera e costi delle tecnologiedi abbattimento delle emissioni (Stern 2007), nei limitidelle incertezze che caratterizzano l’evoluzione delsistema climatico, deve rispondere anche a parametridi modulazione nel tempo, quali curve g(t) che sianoin grado di descrivere il ritardo tra emissione e rela-tivo effetto dannoso. Gli studi per l’implementazionein termini di sostenibilità ambientale e progressosociale degli indicatori di crescita economica (come ilPIL) contemplano questi aspetti (Stiglitz, Sen, Fitoussi2009) e consentono di prefigurare la stessa crescitaeconomica attraverso una filiera di valore che risultadi conseguenza arricchita. In questo modo, sarebbeinoltre possibile fronteggiare un altro rischio di cuisi temono gli effetti nel prossimo futuro: la depres-sione economica associata al paventato esaurimentodelle fonti energetiche fossili. Bisogna ricordare che,nelle attuali condizioni strutturali industriali e finan-ziarie basate sull’economia del petrolio, la capitaliz-zazione globale del mercato vale circa 300.000 miliardidi dollari, a fronte dei 1000 miliardi di quella relativaalla filiera delle cosiddette tecnologie pulite. Se nededuce che una crisi economica indotta da scarsità diidrocarburi, ipotesi peraltro non remota in base avalutazioni statistiche delle più autorevoli stime dellacollocazione temporale del picco massimo di produ-zione mondiale di petrolio (ASPO 2008), potrebbeassumere le dimensioni di un collasso senza prece-denti se non tamponata da elementi di crescita ana-loghi a quelli appena menzionati.

L’affermazione di una economia capace di soste-nere tali sfide (low carbon economy) comporta comun-que trasformazioni di notevole portata, sia negli aspettipolitici di gestione e pianificazione del bene comunesia nei modelli culturali che orientano il costume indi-viduale. Anche in questi ambiti fervono gli sforzi dellaricerca: per es., gli studi del premio Nobel per l’eco-nomia nel 2009 Elinor Ostrom sull’efficacia di poli-tiche multiscala e multilivello (locale, regionale, nazio-nale) nella lotta ai cambiamenti climatici (Ostrom2009) e le prospettive dell’economia evolutiva fina-lizzate alla comprensione dei feedback inibenti, indottidai comportamenti individuali consolidati, che osta-colano l’azione degli apparati tecnico-decisionali(Marechal, Lazaric 2010).

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Tutte le pagine web s’intendono visitate per l’ultima volta il 6luglio 2010.

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