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“Archivio veneto”, s. V, vol. CLXXI (2008), pp. 33-60 PALIFICATE DI FONDAZIONE A VENEZIA. LA CHIESA DELLA SALUTE Nel 1856 Agostino Sagredo, illustrando l’evoluzione di quelle che definisce le «costrutture sottacquee» di Venezia, cioè delle palificate infisse nel terreno per consolidarlo e formare un suolo artificiale sul quale poggiare le fondamenta in pietra degli edifici, tocca un’importante questione: Chi guarda alle Alpi della Venezia e dell'Istria non può stupire vedendole disboscate se pensa agli alberi sepolti nelle nostre lagune. Abbiamo dallo Stringa continuatore della Venezia del Sansovino, che per sostenere il ponte di Rialto si impiegarono dodicimila pali di olmo della lunghezza di oltre a tre metri. E il Martinioni che proseguì l'opera dello Stringa ci narra che nei fondamenti della chiesa della Salute si pose in opera un milione centocinquantamila seicentocinquantasette pali di legni duri. La mente si perderebbe se volesse numerare lo spoglio fatto ai boschi per sostenere la città nostra. E per avere una idea della spesa che costa Venezia e non si vede, si pensi che un metro lineare di fondamento costa austr. lire 200 all'incirca (franchi l74). II sistema delle palafitte è il più sicuro e mal si apporrebbe al vero chi ne dubitasse, se si pensa alla qualità del suolo e alle profondità dei canali, che lo circondano 1 . Indubbiamente nel corso dei secoli il prelievo nei boschi è stato assai pesante e le scelte di politica forestale dei governi veneziani, pur attente e consapevoli ma anche discontinue e a volte contraddittorie, non sono state in grado di arrestare, con alcune eccezioni, il progressivo degrado del manto forestale. Del resto a questo tipo di utilizzazione se ne aggiungevano molti altri, dato che Venezia richiedeva legname come materia prima per molteplici attività: la cantieristica navale esercitata nell’arsenale pubblico e negli squeri privati, le difese a mare lungo i lidi della laguna, la segnaletica lagunare, l’edilizia civile e quella religiosa, la costruzione di mobili e utensili di ogni tipo, il commercio d’esportazione. Il legno costituiva inoltre una importantissima fonte di energia. Flussi rilevanti di legna da fuoco e di carbone vegetale alimentavano l’approvvigionamento di combustibile per gli usi domestici, dal riscaldamento alla cottura dei cibi, e per quelli industriali e artigianali: le vetrerie di Murano 1 A. SAGREDO, Sulle consorterie delle arti edificative in Venezia. Studi storici, Venezia, Naratovich, 1856, p. 41.

-Palificate di fondazione a Venezia. La chiesa della Salute, «Archivio veneto», s. V, CXXXIX (2008), 206, pp. 33-60

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“Archivio veneto”, s. V, vol. CLXXI (2008), pp. 33-60

PALIFICATE DI FONDAZIONE A VENEZIA.

LA CHIESA DELLA SALUTE

Nel 1856 Agostino Sagredo, illustrando l’evoluzione di quelle che definisce le «costrutture

sottacquee» di Venezia, cioè delle palificate infisse nel terreno per consolidarlo e formare un suolo

artificiale sul quale poggiare le fondamenta in pietra degli edifici, tocca un’importante questione:

Chi guarda alle Alpi della Venezia e dell'Istria non può stupire vedendole disboscate se pensa agli alberi

sepolti nelle nostre lagune. Abbiamo dallo Stringa continuatore della Venezia del Sansovino, che per

sostenere il ponte di Rialto si impiegarono dodicimila pali di olmo della lunghezza di oltre a tre metri. E il

Martinioni che proseguì l'opera dello Stringa ci narra che nei fondamenti della chiesa della Salute si pose

in opera un milione centocinquantamila seicentocinquantasette pali di legni duri. La mente si perderebbe

se volesse numerare lo spoglio fatto ai boschi per sostenere la città nostra. E per avere una idea della

spesa che costa Venezia e non si vede, si pensi che un metro lineare di fondamento costa austr. lire 200

all'incirca (franchi l74). II sistema delle palafitte è il più sicuro e mal si apporrebbe al vero chi ne

dubitasse, se si pensa alla qualità del suolo e alle profondità dei canali, che lo circondano1.

Indubbiamente nel corso dei secoli il prelievo nei boschi è stato assai pesante e le scelte di

politica forestale dei governi veneziani, pur attente e consapevoli ma anche discontinue e a volte

contraddittorie, non sono state in grado di arrestare, con alcune eccezioni, il progressivo degrado del

manto forestale. Del resto a questo tipo di utilizzazione se ne aggiungevano molti altri, dato che

Venezia richiedeva legname come materia prima per molteplici attività: la cantieristica navale

esercitata nell’arsenale pubblico e negli squeri privati, le difese a mare lungo i lidi della laguna, la

segnaletica lagunare, l’edilizia civile e quella religiosa, la costruzione di mobili e utensili di ogni

tipo, il commercio d’esportazione.

Il legno costituiva inoltre una importantissima fonte di energia. Flussi rilevanti di legna da fuoco

e di carbone vegetale alimentavano l’approvvigionamento di combustibile per gli usi domestici, dal

riscaldamento alla cottura dei cibi, e per quelli industriali e artigianali: le vetrerie di Murano

1 A. SAGREDO, Sulle consorterie delle arti edificative in Venezia. Studi storici, Venezia, Naratovich, 1856, p. 41.

soprattutto, ma anche le officine dei fabbri, i laboratori degli orefici, i forni da pane, le botteghe dei

caffettieri2.

Non si può che convenire con Sagredo sull’impossibilità di abbozzare un calcolo anche

approssimativo dell’entità della pressione esercitata sui boschi e delle sue conseguenze:

particolarmente per quanto riguarda l’uso di pali per le fondazioni degli edifici, dato che le fonti in

materia sono assai reticenti. Ma gli esempi da lui riportati non possono non suscitare in chi legge

forti perplessità per l’enorme divario fra i due dati: 12.000 pali per il ponte di Rialto e oltre un

milione per la chiesa della Salute.

Sagredo non coglie il problema, limitandosi ad utilizzare, accostandole, le informazioni

disponibili in letteratura, cioè le aggiunte secentesche alla Venetia città nobilissima et singolare di

Francesco Sansovino: quelle inserite da Giovanni Stringa nella riedizione del 1604 e quelle

introdotte da Giustiniano Martinioni nell’edizione del 1663.

Scrive lo Stringa, professandosi testimone oculare, sulle fondazioni del ponte di Rialto:

onde dato principio a disfar il vecchio l’anno 1587 a dì primo febraro, si cominciò pur in detto anno e

giorno anco a cavar il terreno per le fondamente del nuovo per piedi 16 sotto, e quivi poscia piantarono

dodici mila palli di olmo, lunghi piedi dieci l’uno, sei mila overo in circa per ciascuna parte, così di qua

come di là del canale; ed erano così spessi che si toccavano insieme: vi posero poscia sopra quelli un

suolo di tavoloni di larese a traverso un sopra l’altro, di grossezza poco meno d’un palmo; poi vi

accomodarono per ogni canto bordonali pur di larese, lunghi più di quaranta piedi l’uno: dopo tutte queste

cose, viste da me coi proprij occhi, fu messa la prima pietra a dì 9 giugno 15883.

Sessant’anni dopo Martinioni ripete le stesse informazioni sul ponte, pur presentandole con

parole diverse. Nell’aggiunta relativa alla chiesa della Salute, afferma, con riferimento al 1631:

Alli 6 poi di settembre del medesmo anno, si principiò a gettar i fondamenti, ne quali vi andorno un

milione, cento cinquanta sei milla e sei cento cinquanta sette pali, fra di rovere, onaro, larese et altri

legnami, di lunghezza alcuni di piedi 14, altri di 12 et altri di 10. Il qual lavoro, fatto con tutta

sollecitudine, durò due anni e due mesi circa. Sopra il qual battudo, fatto il suolo di tavoloni di rovere e

2 A. LAZZARINI, Alla ricerca di risorse energetiche per le vetrerie di Murano.Due lettere dal Cansiglio (1793), in «Cose

nuove e cose antiche». Scritti per monsignor Antonio Niero e don Bruno Bertoli, a cura di F. CAVAZZANA ROMANELLI,

M. LEONARDI, S. ROSSI MINUTELLI, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 2006, pp. 225-262. 3 Venetia città nobilissima et singolare, descritta in XIIII libri da M. Francesco Sansovino: et hora con molta diligenza

corretta, emendata e più d’un terzo di cose nuove ampliata dal m. r. d. Giovanni Stringa canonico della chiesa ducale

di s. Marco, Venezia, Altobello Salicato, 1604, p. 254. Un piede di Venezia misura centimetri 34,77: si divide in 12

once, ognuna di centimetri 2,90; 5 piedi formano un passo, pari a metri 1,74; un passo quadro, di 25 piedi quadri,

corrisponde a metri quadrati 3,02 (A. MARTINI, Manuale di metrologia ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e

anticamente presso tutti i popoli, Torino, Loescher, 1883, p. 817).

larese bene collegati e concatenati, s’incominciò a lavorare con pietre e malta, alzandosi la gran macchina

nella forma e modello ordinato dall’architetto4.

Il grande erudito rifugge dai toni enfatici. Intende esporre, con brevità e precisione, un fatto di

cronaca: uno dei tanti che hanno contribuito a rendere Venezia «città nobilissima et singolare». Ma

quell’enorme numero di 1.156.657 pali infissi nel terreno, esatto fino all’unità ed espresso in lettere

quasi a voler escludere ogni possibilità di equivoco o di errore, intende dar risalto alla grandiosità

dell’opera, all’imponenza dei lavori eseguiti, al grande impegno profuso sin dall’inizio per la sua

realizzazione.

L’autorevolezza della fonte e l’estrema precisione della cifra sono elementi che hanno

contribuito a far sì che quest’ultima sia stata ripresa senza troppi problemi da molti autori nei secoli

successivi in pubblicazioni di ogni sorta. Forse a causa della formazione prevalentemente

umanistica di gran parte degli eruditi e degli storici, compresi quelli dell’arte e dell’architettura, e

della loro limitata dimestichezza con questioni quantitative e dati tecnici; e forse anche per la scarsa

propensione a mettere in discussione uno fra i tanti miti che Venezia ha costruito e tenacemente

coltivato.

Sta di fatto che questo dato è stato ripetuto moltissime volte, senza rendersi conto della sua totale

inattendibilità. Certo non in tutte, ma nella maggior parte delle cronache, delle guide, delle storie di

Venezia, delle pubblicazioni divulgative, dei siti internet: e anche in parecchi saggi monografici che

trattano, secondo angolature diverse, della chiesa della Salute, fatta oggetto di grande interesse e

argomento di molti studi per i suoi caratteri di originalità, per il suo valore architettonico, per la

valenza simbolica, per il significato religioso e per quello politico.

Nelle indagini, che di recente si sono moltiplicate analizzando tutte le fonti disponibili, è stato

documentato ogni momento delle vicende della costruzione della chiesa e del contesto in cui

avviene: la decisione del Senato, il 22 ottobre 1630, di erigere un tempio alla Madonna per

impetrare la fine della peste; la nomina di una Deputazione sopra la fabbrica della chiesa votiva; le

modalità del finanziamento e l’entità dei singoli stanziamenti, posti a carico della cassa dei

Provveditori al Sal, ufficio competente per le spese dei pubblici edifici; la rapida individuazione del

sito più opportuno, fra i sette considerati possibili, con la scelta dell’area in cui sorgeva il priorato

della Trinità, alle spalle della Dogana da mar, e le trattative col patriarca per indurlo a spostare

altrove il seminario che vi era ospitato, condotto dai padri somaschi; l’esibizione di ben undici

progetti e la contrapposizione finale fra i fautori di quello a pianta ottagonale ideato dal giovane

4 Venetia città nobilissima et singolare, descritta in XIIII libri da M. Francesco Sansovino [...] con aggiunta di tutte le

cose notabili della stessa città fatte e occorse dall’anno 1580 sino al presente 1663 da d. Giustiniano Martinioni primo

prete titolato in ss. Apostoli. Dove vi sono poste quelle dello Stringa, servato però l’ordine del medesimo Sansovino,

Venezia, Stefano Curti, 1663. Naturalmente il riferimento è al calendario more veneto, con l’anno che inizia in marzo:

perciò l’avvio dei lavori di scavo ha luogo il primo febbraio 1588.

architetto Baldissera Longhena, che propone una chiesa «in forma di corona per esser dedicata a

essa Vergine», e i sostenitori di quello a pianta rettangolare, pedissequamente ispirato alla chiesa

del Redentore, presentato congiuntamente da due pubblici proti ben affermati, Antonio Smeraldi

detto Fracao e Zuan Battista Rubertini; l’appassionata difesa da parte di Longhena del proprio

modello di una costruzione «prima opera vergine, non più vista, curriosa degna et bella fatta in

forma di rotonda machina che mai più s’è veduta né mai inventata in tutto o in parte da altre chiese

di questa serenissima città»; la coraggiosa scelta del Senato di premiare la soluzione più innovativa,

nonostante le molte perplessità dei periti, contrariamente a quanto avvenuto mezzo secolo prima

proprio nel caso del Redentore, quando venne respinto il progetto a pianta rotonda di Andrea

Palladio; il tentativo, fallito, da parte di un gruppo di senatori capeggiati da Gerolamo Soranzo di

rendere più incisivo il significato simbolico del tempio spostandolo in posizione ancor più centrale,

sulla Punta della Dogana; il lungo e accidentato processo di erezione dell’edificio, seguito passo

passo da Longhena per cinquant’anni, e del rifacimento di quelli circostanti per giungere ad una

completa rifondazione dell’intera area a ridosso della Dogana, processo ricostruito fin nei dettagli

grazie all’esistenza di un’ampia documentazione relativa ad appalti e contratti di fornitura di

materiali e a prestazioni lavorative.

Sono stati esplorati e dibattuti, oltre agli aspetti architettonici ed agli influssi delle diverse scuole,

gli intenti che stanno all’origine della scelta del sito, della forma del tempio, della stessa decisione

di costruirlo: le opzioni urbanistiche, le valenze simboliche, i significati allegorici, le motivazioni

culturali, religiose, politiche.

Si è discusso ampiamente se le scelte siano imputabili ad una vittoria del movimento sarpiano,

nel contesto del conflitto fra «giovani» e «vecchi» all’interno del patriziato veneziano; oppure alla

volontà del potere politico, con a capo il doge Nicolò Contarini, di consolidare nel centro della città

la propria presenza allontanandone, col seminario patriarcale, quella vescovile; o, ancora, all’intento

di appoggiare anche in questa occasione l’ordine religioso dei somaschi (fondato dal veneziano

Gerolamo Miani e anche per questo sempre favorito nella lunga competizione con i gesuiti), al

quale verrà affidata l’officiatura della chiesa e sarà concesso di mantenere nelle vicinanze la scuola

della Trinità, ricostruendone l’edificio, per giungere infine all’erezione ad opera dello stesso

Longhena del collegio, che diventerà poi sede del seminario patriarcale.

Si è parlato di un’identificazione ideale fra la Madonna e Venezia ed è stata collegata la

dedicazione alla Vergine alla diffusione del culto mariano, promossa a Venezia dal patriarca

Giovanni Tiepolo, che subentra alla prospettiva cristocentrica prevalente nel periodo rinascimentale

e sottesa alla decisione di dedicare il precedente tempio votivo al Redentore nel 1576.

Si è dato risalto alla collocazione della chiesa all’interno del centro politico e religioso di

Venezia, alla sua equidistanza da San Marco, San Giorgio e Redentore, alla contiguità con la Punta

della Dogana fulcro del commercio marittimo: quindi al disegno di farne il simbolo della volontà di

ripresa dopo la peste, della riaffermazione del mito di Venezia e delle sue origini, del progetto di

rifondazione dello stato veneziano unendo assieme, in chiave antiromana, religione e politica5.

Naturalmente tutto questo, e molto altro, esula in massima parte dal problema assai circoscritto

affrontato in questa sede, che si limita alla chiesa della Salute nella sua parte sotterranea e nascosta,

anzi soltanto alla costruzione della palificata e della piattaforma in legno che sostengono le

fondamenta in pietra dell’edificio: salvo per il fatto che anche ad esse si estende il mito di Venezia

che col tempio si vuole esaltare. Un edificio di mole tale che resta vivo nella tradizione il ricordo

dei lunghi lavori compiuti per erigerlo: lavori che chiunque ha potuto seguire passo passo per più di

mezzo secolo, trovandosi il grande cantiere nel luogo più frequentato della città. In particolare

quelli della fase iniziale, protrattisi per oltre due anni per realizzare le impegnative opere di

fondazione, sulle quali si crea una leggenda cui si dimostra funzionale la cifra iperbolica dei pali

piantati nel terreno riferita incautamente da Martinioni e rimasta nella memoria collettiva non solo

in ambito popolare ma anche nel mondo dei colti e persino nella cerchia degli esperti del ramo.

Pur essendo quello delle fondazioni un tema delimitato, non per questo è da considerare di scarsa

importanza. Infatti da un lato sono investite rilevanti questioni attinenti sia alla storia delle tecniche

costruttive che a quella del territorio e in particolare dei boschi; dall’altro è un dato di fatto che la

solidità delle opere di fondazione, come è stato sottolineato anche di recente, ha consentito la durata

nei secoli. Se nella chiesa della Salute non si sono avuti cedimenti, come invece accade abbastanza

spesso negli edifici veneziani, è proprio perché questa struttura lignea è stata realizzata con molta

perizia ed è dotata di grande solidità6.

Veniamo quindi alla questione della quantità di legname utilizzato. Se le basi della leggenda

sono state gettate nel Seicento (da Martinioni con quel numero così preciso, ripetuto nel 1697 da

Pietro Antonio Pacifico nella sua Cronica veneta, come vedremo7), la ripresa e la costruzione del

mito è quasi tutta ottocentesca, per continuare nel secolo successivo. Di pali non si parla infatti né

5 Mi limito a citare alcuni fra gli studi che hanno maggiormente contribuito al dibattito, rinviando ad essi per più ampie

indicazioni bibliografiche: R. WITTKOWER, S. Maria della Salute, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 3, Venezia,

Neri Pozza, 1963, pp. 31-54; G. CRISTINELLI, Baldassarre Longhena architetto del ‘600 a Venezia, Padova, Marsilio,

1978; M. GEMIN, La chiesa di Santa Maria della Salute e la cabala di Paolo Sarpi, Abano Terme (PD), Francisci,

1982; A. HOPKINS, Santa Maria della Salute. Architecture and ceremony in Baroque Venice, Cambridge, Cambridge

University Press, 2000; M. FRANK, Baldassare Longhena, Venezia, IVSLA, 2004; S. LANGÉ, M. PIANA, Santa Maria

della Salute a Venezia, Milano, TCI/Marcianum, 2006; A. HOPKINS,. Baldassare Longhena, 1597-1682, Milano, Electa,

2006, pp. 69-101. Per riferimenti al contesto politico e culturale: G. COZZI, Il doge Nicolò Contarini: ricerche sul

patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1958. Per quello

religioso: A. NIERO, Spiritualità popolare e dotta, in La Chiesa di Venezia nel Seicento, a cura di B. BERTOLI, Venezia,

Studium, 1992, pp. 253-290. 6 M. PIANA, La chiesa di Santa Maria della Salute, in LANGÉ, PIANA, Santa Maria della Salute cit., pp. 13-57 (in

particolare pp. 26-30). 7 P. A. PACIFICO, Cronica veneta overo succinto racconto di tutte le cose più cospicue e antiche della città di Venezia,

Venezia, Lovisa, 1697.

nelle successive edizioni della Cronica veneta né in quelle di un’altra opera assai nota di Francesco

Sansovino, Le cose notabili et meravigliose della città di Venezia (ripubblicate entrambe più volte

con successive modifiche e senza riferimento agli autori originari), né nella guida settecentesca

Forestiere illuminato, anch’essa più volte riedita, e neppure nel Ritratto di Venezia di Domenico

Martinelli8.

È nell’Ottocento che viene ripreso il dato del milione e passa di pali, in particolare da

Giannantonio Moschini nel primo studio organico dedicato alla chiesa della Salute: egli utilizza

ampiamente e in parte riproduce la documentazione dell’Archivio di Stato di Venezia, ma per

quanto riguarda i pali (utilizza però il termine «travi») assume semplicemente il dato di Martinioni,

che viene in tal modo confermato e ulteriormente accreditato9. Lo ripeteranno molte volte gli autori

posteriori, ora arrotondandolo a 1.200.000, ora parlando di oltre un milione, ora riportando il

numero con qualche cifra errata; in qualche caso aggiungendo prudentemente un «dicesi»

(Romanin, Musatti) o al massimo commentando con un «creda chi vuole» (Selvatico) o con

l’avvertimento «cifra da assumere con opportuna cautela» (Pedrocco): avanzando quindi qualche

dubbio ma senza entrare nel merito e affrontare il problema10. 8 Forestiere illuminato intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne, della città di Venezia, Venezia, Albrizzi,

1740; D. MARTINELLI, Il ritratto di Venezia, Venezia, Hertz, 1684. 9 G. MOSCHINI, La chiesa e il seminario di Santa Maria della Salute in Venezia, Venezia, Antonelli, 1842, p. 7; ID.,

Nuova guida di Venezia, Venezia, Maisner, 18472, p. 150. Il riferimento al numero dei pali non c’è nella prima edizione

della guida (Venezia, Tip. di Alvisopoli, 1815), mentre già esiste in ID., Ragguaglio delle cose notabili nella chiesa e

nel seminario patriarcale di Santa Maria della Salute in Venezia, Venezia, Tip. di Alvisopoli, 1819. In precedenza

alcuni dei documenti dell’Archivio di Stato di Venezia erano già stati pubblicati da F. CORNER, Ecclesiae venetae

antiquis monumentis, Decas septima et octava, Venezia, Pasquali, 1749, pp. 74-79. 10 Cito in ordine cronologico, senza distinguere per tipologia e tralasciando i numerosi siti Internet: Le fabbriche più

cospicue di Venezia misurate, illustrate ed intagliate dai membri della veneta reale Accademia di belle arti, Venezia,

Tip. di Alvisopoli, 1820, II, n. 31; G. CASONI, La peste di Venezia nel MDCXXX. Origine della erezione del tempio a S.

Maria della Salute, Venezia, Tip. di Alvisopoli, 1830, p. 37; B. e G. COMBATTI, Nuova planimetria della città di

Venezia, Venezia, Naratovich, 1846, II, p. 298; P. SELVATICO, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal Medio

Evo sino ai nostri giorni, Venezia, Ripamonti Carpano, 1847, p. 412; A. QUADRI, Otto giorni a Venezia, Venezia,

Cecchini, 1853, p. 145; A. DIEDO, Tempio di Santa Maria della Salute, in L. CICOGNARA, A. DIEDO, G. A. SELVA, Le

fabbriche e i monumenti cospicui di Venezia, Venezia, Antonelli e Basadonna, 1858, p. 115; G. MORONI, Dizionario di

erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, XCI, Venezia, Tip. Emiliana, 1858, p. 217; S.

ROMANIN, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia, Naratovich, 1857, p. 307; ID., Lezioni di storia veneta,

Firenze, Le Monnier, 1875, p. 75; M. TABARRINI, Studi di critica storica, Firenze, Sansoni, 1876, p. 366; E. MUSATTI,

Guida storica di Venezia, Padova, Prosperini, 1890, p. 137; P. MOLMENTI, La storia di Venezia nella vita privata: dalle

origini alla caduta della Repubblica, III, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 19084, p. 97 (nessun cenno nella I

edizione: Torino, Roux e Favale, 1880); M. MURARO, Nuova guida di Venezia e delle sue isole, Firenze, Arnaud, 1953,

p. 291; C. SEMENZATO, L’architettura di Baldassare Longhena, Padova, Cedam, 1954, p. 19; E. MIOZZI, Venezia nei

secoli. La città, Venezia, Libeccio, 1957, I, p. 505; D. HOWARD, The architectural history of Venice, New York,

Holmes & Meier, 1981, p. 181; U. PIZZARELLO, E. CAPITANIO, Guida alla città di Venezia, Venezia, L’altra riva, 1986,

I, p. 202; M. PEDROCCO, Il restauro ottocentesco della cupola maggiore di S. Maria della Salute, in Restauro: tecniche

Si arriva in tal modo fino ai nostri giorni. Tuttavia da qualche tempo viene talvolta indicato un

numero molto diverso, pari a meno di un decimo del precedente: circa 110.000 pali. Vi fa

riferimento, fra l’altro, Mario Piana, nel volume già citato, esplicitamente dedicato alla

ricostruzione della storia materiale del tempio, considerando «certamente esagerato» il dato di

Martinioni11. Cita a sostegno alcune brevi osservazioni di Antonio Niero, che propone in realtà

110.772 pali, un numero ancora una volta esatto all’unità12.

Da dove salta fuori? Non può trattarsi che di quello fornito nel 1930 da Vittorio Piva, autore del

secondo studio ampio e documentato, dopo quello di Moschini, interamente dedicato alla storia

della chiesa della Salute13. Piva si avvale di un altro cronista del Seicento, Pietro Antonio Pacifico,

poche volte citato in letteratura nonostante fornisca, oltre allo stesso numero complessivo indicato

da Martinioni, anche abbondanti dati disaggregati per assortimento di legname14.

Questa ricerca minuziosa fra dati quantitativi tanto differenti e improbabili può apparire quasi

maniacale: ma è l’unico modo per venire a capo del dilemma e comprendere le ragioni di tutto

questo, come si vedrà fra poco.

Scriveva dunque Pacifico nel 1697:

Furono buttate le fondamenta alli 6 di settembre 1631 e vi furono messi tanti pali, cioè di rovere 800, di

onari da 18 fino in 24 numero 4295, de detti da 14 fino in 18 numero 33778, de tressi de larese e zappini

numero 6250, de rulli e chiavi bastarde e tolpi numero 49004, de chiavi communi e tressoni numero

19940, de onari che si cavò dal fondo della Boresella e rimessi numero 1000, che sono in tutto un million

156 milla e 657. Le lunghezze di detti pali furono di 4 sorti, cioè di piedi 14, di 12, di 10 e alcuni di 4. Si

durò a metter questi pali dalli 6 di settembre 1631 fino alli 8 di novembre 1633.

Se in precedenza c’è stato chi ha riportato questo brano di Pacifico e si è accorto dell’errore, ma

senza approfondire la questione e limitandosi ad un rinunciatario commento («così trovo i

e progetto. Saggi e ricerche sula costruzione dell’architettura a Venezia, a cura di G. CRISTINELLI, Soveria Mannelli

(CZ), Rubbettino, 1994, pp. 122-137 (in particolare p. 122); E. CONCINA, Le chiese di Venezia. L’arte e la storia,

Udine, Magnus, 1995, p. 334; ID., Storia dell’architettura di Venezia, Milano, Electa, 1995, p. 246; H. HONOUR, The

companion guide to Venice, Woodbridge, Suffolk, UK/Rochester, NY, USA, Boydell and Brewer, 1997, p. 153;

HOPKINS, Santa Maria della Salute cit., p. 53; I. FASOLO, Un’altra venezia, Venezia, Arsenale, 2000, p. 121; G.

BELLAVITIS, M. MANZELLE, Itinerari per Venezia e Mestre, Venezia, Ateneo veneto, 2005, p. 310; L. DILENA, A.

CENDON, Venezia. Il legno, Ponzano (TV), Vianello Libri, 2005, p. 21; M. BRUSEGAN, Le chiese di Venezia. Storia,

arte, segreti, leggende, curiosità, Roma, Newton Compton, 2007, p. 219. 11 PIANA, La chiesa cit., p. 27. Analoga indicazione in T. SCARPA, Venezia è un pesce. Una guida, Milano, Feltrinelli,

2000, p. 9. 12 A. NIERO, Chiesa di Santa Maria della Salute, Venezia, Ardo, 1971 (pagine non numerate). 13 V. PIVA, Il tempio della Salute eretto per voto de la Repubblica Veneta XXVI.X.MDCXXX, Venezia, Libreria

Emiliana, 1930, p. 47. 14 PACIFICO, Cronica veneta cit., p. 123.

numeri»)15, Piva affronta invece il problema. Ma non trascrive in modo del tutto corretto i dati

forniti da Pacifico: confonde qualche voce e ne tralascia un’altra, cosa che gli impedisce di capire

dove nasce l’equivoco. La tabella riporta le due versioni.

Piva Numero pali Pacifico

roveri 800 roveri

tressi de larese 33.778 onari da 14 fino in 18

zappini 6.250 tressi de larese e zappini

chiavi bastarde e tolpi 49.004 rulli, chiavi bastarde e tolpi

chiavi comuni e tressoni 19.940 chiavi comuni e tressoni

onari che si cavò dal fondo della Boresella e rimessi 1.000 onari che si cavò dal fondo della

Boresella e rimessi

Totale dati Piva 110.772

4.285 onari da 18 fino in 24

115.057 Totale dati Pacifico

1.156.657

Il confronto fra il totale derivante dai dati forniti da Pacifico (115.057) e il numero dell’ultima

riga, che è quello da lui (e da Martinioni) indicato come somma (1.156.657), consente non soltanto

di individuare il macroscopico errore, come ha già fatto Piva, ma anche di comprenderne l’origine:

semplicemente, ed incredibilmente, un doppio 6 è stato sostituito allo 0, facendo aumentare il

numero complessivo di ben dieci volte. Di conseguenza quest’ultimo, calcolato correttamente

sommando i dati disaggregati forniti da Pacifico, non è 110.772, ma 115.057.

Sarebbe dunque questo il dato da assumere. Ma, pur essendo pari ad un decimo del precedente,

non sono pochi i motivi che inducono a ritenere anch’esso di gran lunga troppo elevato.

Sembra però inutile cercare di approfondire la questione percorrendo ancora la strada della

memorialistica dell’epoca. Per quanto riguarda Pacifico, l’esistenza di un errore di questa portata

sul dato complessivo non può che indurre a non fidarsi neppure dei dati parziali, almeno di quelli

quantitativi, mentre è più plausibile che le qualità degli assortimenti siano effettivamente quelle

indicate: anche perché corrispondono esattamente a quelle utilizzate in altre occasioni, come

vedremo.

Va inoltre tenuto presente che, poiché Martinioni scrive molti anni prima di Pacifico e siccome

quest’ultimo offre informazioni assai più ampie del primo, nessuno dei due può aver preso i dati

dall’altro: sembra evidente che abbiano attinto ad una stessa fonte, alla quale (o ad altra ad essa

15 G. GALLICCIOLLI, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche, Venezia, Fracasso, 1795, II, p. 259.

Riproduce integralmente quanto scritto da Gallicciolli, compreso il commento, F. MUTINELLI, Annali urbani di Venezia

dall’anno 810 al 12 maggio 1797, Venezia, Merlo, 1841, p. 550.

precedente) è da attribuire l’errore. Una fonte che però, nonostante prolungate ricerche, non sono

riuscito ad individuare.

Chiusa questa strada, ne restano altre due da percorrere.

La prima è quella di un esame attento ed esaustivo delle fonti archivistiche relative alla

costruzione della chiesa della Salute. Certo, essendo state ampiamente utilizzate in studi antichi e

recenti, resta poco che non sia stato visto ed anche riprodotto, ma sempre portando scarsa attenzione

alla questione delle fondazioni. Va inoltre estesa l’indagine ad archivi di altre magistrature che

possano essere state in qualche modo coinvolte nell’approvvigionamento del legname, quali i Savi

ed esecutori alle acque, il Provveditore generale di Palma, i Provveditori al Montello, i Patroni e

Provveditori all’Arsenal.

L’altra via è quella di considerare quanto è avvenuto in casi analoghi: particolarmente quello del

ponte di Rialto, edificato solo una quarantina d’anni prima e quindi con criteri tecnici che non

possono essere molto diversi, sul quale esiste una documentazione assai ampia essendo conservato

presso l’Archivio di stato di Venezia il fondo dei Provveditori alla fabbrica del ponte.

Invece nel caso della Salute, se alcuni fondi archivistici offrono abbondanti informazioni sui

lavori edilizi, ampiamente sfruttate negli studi recenti, poco si trova sulle fondazioni: non ci sono

pervenuti né i contratti stipulati con i fornitori («mercati»), né le attestazioni delle spese, né i

mandati di pagamento perché l’archivio della Deputazione sopra la fabbrica della chiesa votiva non

è stato conservato, non si trovano documenti relativi a questa materia nella Cancelleria ducale,

mancano per quegli anni anche le carte dei Provveditori al sal16.

Sarà quindi impossibile pervenire con sufficiente esattezza a definire quantità e qualità del

legname impiegato, cioè il numero dei pali e i diversi assortimenti. È tuttavia egualmente possibile

approfondire l’indagine e giungere ad alcune conclusioni.

È noto che il 22 ottobre 1630 il Senato delibera l’erezione della chiesa votiva, stanzia 50.000

ducati e istituisce la Deputazione sopra la fabbrica. Quando, dopo un mese, sulla base delle indagini

effettuate e delle proposte avanzate da quest’ultima, effettua la scelta del sito della Trinità, subito i

deputati invitano ad avviare le pratiche «per abbondante provvigione di pietre et di legnami belli»,

oltre ad un grande blocco di marmo sul quale scolpire l’immagine della vergine17. Passato soltanto

qualche giorno, si affrettano a precisare che «sarebbe ben ordinar antecipatamente provvision di 12

16 Le norme fissate l’8 e il 20 agosto 1631 dal Senato concedono ai Deputati sopra la fabbrica della chiesa votiva ampia

discrezionalità: per disporre dei fondi necessari devono soltanto richiederli all’Offizio al sal, competente per il

finanziamento all’edilizia pubblica, che li trasferisce dalla propria «cassa grande» a 3000 ducati per volta, previo

assenso del Senato; possono stabilire autonomamente i «mercati», dei quali devono essere conservate due copie, una

presso il ragionato della Deputazione stessa, l’altra presso il segretario della Cancelleria ducale; necessitano

dell’autorizzazione del Senato soltanto per quelli di maggiore importanza. I decreti si trovano in Archivio di Stato di

Venezia (ASV), Senato, Terra, reg. 105 e f. 328). 17 ASV, Senato, Deliberazioni, Roma, f. s. n. (a. 1630), Scrittura 7 novembre 1630 dei Deputati alla fabbrica della

chiesa, allegata a decreto Senato 23 novembre 1630.

mila tolpi e scriver a Rovigno perché sia fatto venir qua alcuno dei capi de Montanari dei più esperti

e facoltosi per trattar della provvision di pietre»18. Non conoscono le dimensioni esatte dell’edificio,

dato che non è stato ancora scelto il progetto, ma ritengono di poter già fissare l’entità del

fabbisogno per la palificata e, contestualmente, pensare alla fornitura di pietra d’Istria.

Certo altro legname potrà essere acquistato in seguito, ma l’ordine di grandezza cui si pensa è

questo: 12.000 tólpi di rovere. Subito il Senato investe della questione i Savi ed esecutori alle

acque, esperti nel settore perché deputati all’approvvigionamento del legname per le opere di

arginatura dei fiumi e soprattutto per le difese a mare lungo i lidi che delimitano la laguna. Timorosi

di vedersi sottrarre le già scarse risorse, sono ben contenti di poter consigliare l’accettazione di

un’offerta capitata a fagiolo: quella di circa 10.000 tólpi provenienti dai boschi del contado di

Pisino, nell’Istria imperiale, di dimensioni notevoli perché lunghi 15 piedi (metri 5,21) e con

circonferenza alla base variabile da due a tre piedi (metri 0.70-1,04: quindi centimetri 22,30-36,16

di diametro).

Sarebbe la soluzione ideale. Da un lato perché i boschi all’interno dello Stato sono assai

deteriorati, in seguito ad una pressione ormai divenuta eccessiva; dall’altro perché le condotte ai

porti fluviali risultano molto problematiche, a causa sia dell’inadeguatezza delle strade che delle

pessime condizioni degli abitanti delle campagne che vi sarebbero tenuti, duramente provati dalla

guerra e decimati dalla peste19.

Le informazioni e le osservazioni dei Savi ed esecutori alle acque forniscono indizi interessanti

per la conoscenza della situazione dei boschi e di quella dell’approvvigionamento del legname,

particolarmente difficili in quegli anni, quando le difficoltà di trasporto fanno sì che persino molti

dei roveri destinati all’Arsenale, benché assai più preziosi dei tólpi, restino a marcire nei boschi, ai

margini delle strade, lungo le rive dei corsi d’acqua: tanto che proprio ai ritardi delle condotte, che

costringono ad usare legname non stagionato, vengono spesso imputati i difetti che già

caratterizzano le galee veneziane e che si aggraveranno in seguito nei vascelli quando, trent’anni

18 Ivi, Scrittura 1° dicembre 1630 dei Deputati alla fabbrica, allegata a decreto Senato 3 dicembre 1630. 19 «La provvigione di 12.000 tolpi necessaria per la costruzione del tempio votivo per l’esperienze continue fatte dal

magistrato nostro crediamo che potrebbe esser fatta più sicura et ispedita fuori dello Stato che dentro. La ragion

principale fra l’altre è che quelli dello Stato vengono difficilissimamente carrizzati alle rive per il diffetto delle strade,

essendo sparsi in molti luoghi, et per l’impossibilità delle contadinanze consumate dalle guerre et distrutte dalla

pestilenza, anzi che dell’ultimo taglio di Trevisana, che furno 10.000, non si può per i medesimi rispetti cavarne

quantità che interamente sovvenga all’occorrenze ordinarie de’ pubblici lidi; difficoltà incontrata anche nelli tagli del

Friuli nel quale, dopo esser andata di male quantità di legni nei boschi, si risolse la prudenza pubblica, per recuperare il

resto, porgere un sovvenimento di soldi trenta per carrizzo a quei territori, che forse sarà necessario anco in questi di

Trevisana, affine che non marciscano sui terreni. Oltre che il cavare dai boschi di V. S. la somma di 12.000 legni dopo

essersi fatti per tutto lo Stato tagli freschissimi sarebbe di pregiudizio de’ boschi» (ASV, Senato, Terra, f. 321, Scrittura

7 dicembre 1630, allegata a decreto Senato 18 gennaio 1630 m. v.). Anche in ASV, Savi ed esecutori alle acque (SEA),

f. 276.

dopo, l’avvio della costruzione delle grandi navi di linea farà aumentare le necessità di materia

prima dell’Arsenale20.

Ma non si tratta soltanto delle condotte. Alcuni anni prima, nel 1623, il Senato ha decretato, su

istanza del Reggimento dell’Arsenal, un assoluto decennale divieto di effettuare tagli di tólpi per il

magistrato alle acque e di roveri per i costruttori navali privati (squerarioli), salvo quelli di Caorle,

in tutto il territorio trevigiano e nell’intera Patria del Friuli, temendo un vero e proprio

diboscamento di queste aree, già abbondantemente sfruttate21. Ciononostante i bisogni per la

riparazione dei lidi sono tali e tanto impellenti che già due volte il Senato ha dovuto rimangiarsi il

divieto concedendo al Magistrato alle acque di tagliare, nel 1625 e nel 1629, nei luoghi vietati, oltre

che in Padovana e Vicentina22.

Negli anni seguenti, «ogni giorno sollecitati dal Collegio a fare abbondante provvigione di tolpi

per la chiesa e soprattutto per la necessaria ed importante riparazione dei lidi»23, i Savi ed esecutori

alle acque cercano affannosamente pali ovunque. Ripetute e violente mareggiate hanno seriamente

danneggiato le difese a mare, ponendo in grave pericolo la laguna e la stessa città di Venezia, tanto

che il Consiglio dei Dieci si vede costretto ad accordare due forniture molto consistenti dal bosco

del Montello (di 10.000 tólpi nel 1631 e di 15.000 l’anno seguente) e il Senato ad infrangere ancora

il proprio divieto autorizzando l’abbattimento di altre migliaia di alberi in Mestrina e nel Friuli

occidentale (Tisana e Meduna)24.

Sottrarre tólpi alle riparazioni dei lidi risulta quindi ben difficile in tali circostanze. Escluso di

provvedersi nei boschi dello Stato, è necessario rivolgersi all’estero: non però, come ipotizzato dal

Senato, nel Ferrarese, dove spesso si riforniscono i cantieri privati, «per essersi distinti i boschi

della Mesola per poco buoni per tal effetto»25. Siccome la peste non concede tregua e urge dare

avvio al soddisfacimento del voto, nella speranza che serva ad arrestare il flagello, per la palificata

della chiesa non resta che accettare l’offerta del legname del contado di Pisino, cercando di

20 Si vedano alcune delle relazioni sull’Arsenale raccolte in ASV, Collegio, Relazioni, b. 57: in particolare quelle di

Alvise Molin (1633), Domenego Lion (1636), Bertucci Trevisan (1669), Sebastian Foscarini (1674), Vettor Grimani

(1683). 21 Il decreto seguiva alla netta denuncia presentata ai Patroni e provveditori all’Arsenal da Gerolamo Morosini il quale,

dopo la visita effettuata l’anno precedente, affermava «che riusciva di grandissimo danno di quella Casa il conceder il

taglio di tolpi nei boschi piccoli et vicini e che era un addito facile alla disboscatione per che li roveri buoni erano stati

in più tempi tagliati da squeraroli e da altri con solite loro licenze, li tolpi a centenara et migliara si tagliavano per

l’Offizio delle acque et per altre occorrenze per parte di questo Consiglio, li semenzali erano distrutti con li pascoli et il

rimanente poi di roveri poco buoni, inutili et marzi era levati via da particolari proprietari di boschi, onde ne è seguito in

molti luochi con gran facilità la disboscatione con danno dell’Arsenale»: ASV, Amministrazione forestale veneta

(AFV), b. 35, Copia decreto Senato 16 luglio 1623. 22 Si veda la raccolta di decreti conservati nel fondo del Magistrato del Montello (ASV, AFV, b. 35). 23 ASV, SEA, reg. 844, Lettera 12 aprile 1631 al Provveditore generale di Palma. 24 ASV, SEA, reg. 348; AFV, b. 35. 25 ASV, Senato, Terra, f. 321, Scrittura 7 dicembre 1630 cit.

abbassare il prezzo, particolarmente elevato, richiesto dal venditore. Si domandano infatti ben

cinque lire per ogni tronco consegnato al porto di Barbana, nell’Istria Veneta, dovendo aggiungere

altre lire una e mezza per il trasporto a Venezia. Complessivamente questi tólpi verrebbero a costare

un terzo in più del massimo prezzo mai pagato per l’importazione dall’estero.

Si tratta di un’offerta già avanzata mesi prima al Reggimento dell’Arsenal, il quale l’aveva

rifiutata trattandosi di legno di cerro e quindi non adatto alle costruzioni navali26, e da poco

riproposta, tramite il Provveditor generale di Palma, dal capitano di Gradisca barone Antonio di

Rabata su incarico del Re d’Ungheria, proprietario dei boschi, al quale la conclusione di questo

accordo commerciale sembra stare particolarmente a cuore27.

Il Senato approva quindi l’acquisto e incarica il Magistrato alle acque di raggiungere una

transazione sul prezzo, cercando nel frattempo, dato che i tempi saranno lunghi, di «accomodar con

di quei tolpi che vanno capitando per i lidi, da essergli restituiti poi con di quelli del partito»28. Ma,

benché l’accordo sia caldeggiato da più parti, anche come segnale di distensione e contributo ai

buoni rapporti politici internazionali in occasione della pace appena firmata fra Venezia e l’Impero,

la vicenda si trascina a lungo e sembra concludersi, dopo vari tentativi andati a vuoto, con risultati

modesti: un contratto viene stipulato col mercante Francesco Galilei, procuratore del barone di

Rabata, soltanto nell’aprile 1632 e per soli 2000 tólpi, al prezzo di lire 4:10 l’uno in valuta corrente,

«condotti ai lidi» a spese del venditore, che però oltre un anno più tardi devono ancora arrivare a

destinazione e probabilmente non sono utilizzati per il tempio29.

Nel frattempo i Deputati sopra la fabbrica della chiesa sono riusciti a risolvere vantaggiosamente

la questione assegnando al muranese Giacomo Gaio, formalmente mediante gara d’appalto, la

fornitura di 10-12 mila tólpi di onàro il 24 settembre 1631.

26 I veneziani usavano nella cantieristica soltanto il legno della farnia (Quercus pedunculata A. DC) e quello della

rovere vera (Quercus sessiliflora A. DC), entrambe indicate col termine róvare, al maschile (L. SUSMEL, I rovereti di

pianura della Serenissima, Padova, Cleup, 1994, pp. 5-6). 27 È da escludere un intervento massiccio dell’Arsenale, ipotizzato da Ennio Concina e inteso come prova di forza della

sua ripresa produttiva dopo la peste, nella vicenda delle fondazioni della chiesa (CONCINA, Le chiese cit., p. 334; Id.,

Storia dell’architettura cit., p. 246). Il cantiere pubblico, infatti, non viene chiamato in causa per l’approvvigionamento

di legname, a parte la somministrazione di «magieri di galeazza disfatta passa 200, da restituirsi poi». E neppure

interviene sul piano dell’organizzazione del lavoro: si limita alla fornitura, disposta dal Senato, di alcuni attrezzi, fra i

quali due zattere, qualche paranco, corde e cavi, un paio di picconi, una ventina di «mastelle da secar le acque», sei

«cugni per sfender le piere» (ASV, Senato, Terra, reg. 105, Decreti Senato 1 e 14 marzo 1631 m. v.; Collegio,

Notatorio, f. 279, Decreto Senato 4 febbraio 1631 m. v.; f. 282, Decreto Senato 27 settembre 1632). 28 ASV, Senato, Terra, f. 321, Decreto Senato 18 gennaio 1630 m. v. (anche in SEA, reg. 348). 29 ASV, SEA, reg. 387, Terminazione 1° aprile 1632. Ampia documentazione sull’intera vicenda in ASV, Senato,

Dispacci rettori, Palma, ff. 25 e 26; SEA, f. 634 e reg. 844. Non sembra facciano parte della stessa partita altri 2000

tólpi provenienti dai boschi arciducali acquistati in precedenza a lire 4:16 l’uno da Nicolò Busetto, sempre con la

clausola di condurli «alli lidi a tutte sue spese» (ASV, SEA, reg. 387, Terminazione 20 agosto 1631).

Il «mercato» viene approvato all’unanimità dal Collegio l’1 ottobre 163130:

L’illustrissimi et eccellentissimi Deputati sopra la fabrica della chiesa votiva dedicata a Santa Maria della

Salute intende far partito con quello o quelli che si offerirà dar tolpi di onaro per far pali per le

fondamente di detta chiesa, che sia dretti, di longhezza almeno di piedi dodici et de cinta da onze disdotto

in suso fino le onze vintiquattro da esser misurati un piede dentro della testa.

Intendendo sue eccellenze illustrissime che di detti tolpi che saranno condotti per ogni cento ne sii dalle

onze 18 fino le onze 20 un terzo, et dalle onze 20 fino le onze 22 un terzo, et dalle onze 22 fino le onze 24

un altro terzo.

Con obbligo al conduttore di dar essi tolpi alle rive in terra di detta fabrica a tutte sue spese et interesse di

qual si voglia sorte.

Dovendo il conduttore condurli freschi dal taglio, di volta in volta secondo che dall’intervenienti di sue

eccellenze le sarà ordinato et facendone condur che avesse patito o che non fossero alle misure et delle

qualità sopradette gli siano repudiati né puossi perciò prettender ressarcimento imaginabile.

Dovendo esso conduttore dar piezaria sufficiente della manutenzione del mercato che sarà concluso.

Et all’incontro sue eccellenze illustrissime si obbliga farli contar il suo denaro di volta in volta del

legname che anderà conducendo.

1631 a 24 settembre l’illustrissimi et eccellentissimi Deputati sopradetti, tre in numero absente

l’eccellentissimi Contarini cavalier et procurator et Gio. Marco Molino, ridotti nella giesiola

dell’eccellentissimo Collegio, ha concluso mercato di onari in miara dieci in dodeci, delle qualità

sopradette et con le sopradette condizioni, con Giacomo Gaio da Muran qual si ha offerto darli a soldi

trentauno dell’uno, di valuta corrente.

Item ha concluso mercato con Giacomo Polvaro mercante di legni detti bordonali di larice n. 61 a ducati

vinti, cioè 20 l’uno, quali doverà esser segati in fettoni per metter sopra il battudo de pali sotto le

fondamente della rotonda.

Si tratta quindi di due diversi «mercati». Il primo di 10-12 mila tólpi di onàro (o anche onèr,

ontano, presumibilmente nero o comune: Alnus glutinosa L.): devono misurare almeno 12 piedi di

lunghezza (metri 4,17) e da 18 a 24 once di circonferenza (corrispondenti mediamente a circa 20

centimetri di diametro). Vengono pagati soltanto 31 soldi ciascuno: poco più di una lira e mezza,

contro le 4-5 lire cui è ormai giunta sul mercato internazionale la quotazione di un palo di rovere, le

cui dimensioni sono in genere maggiori, ma non di molto31. 30 ASV, Collegio, Notatorio, f. 278, Decreto 1° ottobre 1631 (anche nel reg. 91). Il documento non è di facile lettura,

tanto che Hopkins l’ha parzialmente pubblicato con omissioni e fraintendimenti che hanno reso il testo incomprensibile

e hanno portato l’autore a confondere le misure dei pali di ontano con quelle dei bordonali di larice, attribuendo ai

secondi le dimensioni dei primi (HOPKINS, Santa Maria della Salute cit., pp. 182-183). Scrive infatti: «Logs at least 12

feet long and between 18 and 24 inches in circumference were to be sawn into planks in order to be laid upon the

foundations of pilings» (p. 53). In LANGÈ, PIANA, Santa Maria della Salute cit., p. 110 il documento è riportato nella

versione omissiva di Hopkins. 31 Quelli del contratto Galilei misurano mediamente metri 4,80 di lunghezza e centimetri 22 di diametro.

È noto che l’ontano nero è largamente utilizzato per le opere in sommersione, come appunto le

palificate di fondazione della laguna veneta, perché il suo legno diventa particolarmente duro e

resistente se immerso a lungo nell’acqua32. I Savi ed esecutori alle acque prudentemente rifiutano di

pronunciarsi sull’esito di un suo uso nelle fondazioni della Chiesa, ma affermano di averlo

adoperato «per fondare fabbriche di porti»33. Del resto è già stato ampiamente e felicemente

collaudato nell’opera più difficile di tutte: il batùdo a gradini dei due piloni di sostegno del ponte di

Rialto. In quell’occasione, infatti, i 12.000 tólpi infissi ai due lati del Canal grande non erano di

olmo, come è indicato in quasi tutte le pubblicazioni, di qualsiasi tipo e valore, che abbiano trattato

del ponte negli ultimi quattro secoli, riportando quanto affermato nel 1604 da Giovanni Stringa nel

brano già citato: erano invece di onàro, come risulta da numerosi documenti contenuti nel relativo

fondo dell’Archivio dei Frari.

Il secondo «mercato» riguarda l’acquisto di 61 bordonali di làrese (larice: Larix decidua Mill.).

È una prima fornitura alla quale ne seguono altre tre, arrivando a complessivi 244 bordonali, pagati

in tutto 3630 ducati: quindi, in media, 15 ducati ciascuno34.

I bordonali sono travi lunghe almeno 22 piedi, ma anche fino a 30 e 40: nel nostro caso la media

ponderata dei dati che possediamo è di 32 piedi di lunghezza, cioè 11 metri, con una sezione

trasversale di centimetri 40x27. Sono segati in tavole (fetóni o magièri)35 che vengono disposte e

fissate in due strati incrociati sopra il batùdo per costruire la piattaforma (zaterón o zatarón) sulla

quale si erigono poi le fondamenta in pietra dei muri perimetrali36.

Altre utili indicazioni, sui versanti sia tecnico che economico, offrono i preventivi stesi

nell’aprile 1631 da Longhena e Fracao per quantificare la rispettiva spesa37. Il primo recita:

Per il battudo sotto le fondamente di tutta la chiesa redotto a passo quadro passa n. 522, monta, di palli et

mageri et fattura, ducati 15 il passo, ducati 7830.

32 G. GIORDANO, Tecnica delle costruzioni in legno, Hoepli, Milano 1999, pp. 744-746. 33 ASV, SEA, Scrittura 7 dicembre 1630 cit. 34 Due contratti, per l’acquisto rispettivamente di 25 e 35 bordonali per complessivi 575 ducati, vengono approvati dal

Senato il 28 settembre 1632 (ASV, Senato, Terra, reg. 108 e f. 341) e un terzo, per 123 bordonali a 15 ducati l’uno, dal

Collegio il 2 marzo 1633 (ASV, Collegio, Notatorio, reg. 93 e f. 284. 35 I fetóni sono grosse tavole (féte) di almeno 5 centimetri di spessore. I magièri sono fetóni di rovere usati per il

fasciame delle galee, spessi generalmente 8-9 centimetri. Niente a che vedere con i madieri, cioè le travi, pure di rovere,

che costituiscono il pezzo inferiore e centrale di ogni costola dello scafo (còrba), unito per incastro alla chiglia

(colómba) e a Venezia denominato piàna (S. STRATICO, Vocabolario di marina, Milano, Stamperia reale, 1813, I, pp.

125, 278, 281, 348; III, pp. 203, 208; Arte degli squerarioli, a cura di G. CANIATO, Venezia, Stamperia reale, 1813, I,

pp. 186, 200; E. CONCINA, Pietre, parole, storia. Glossario della costruzione nelle fonti veneziane (secoli XV-XVIII),

Venezia, Marsilio, 1988, pp. 47, 92, 111-112). 36 SAGREDO, Delle arti edificative, cit., pp. 39-40. 37 ASV, Senato, Terra, f. 326, Conti di avviso di Longhena e Smeraldi 13 e 15 aprile, allegati al decreto Senato 13

giugno 1631.

È assai probabile che il costo unitario in questa previsione di spesa sia troppo basso, dato che

Fracao, il quale presumibilmente di queste cose se ne intende assai di più essendo proto dei

Provveditori di Comun, conteggia l’esborso per legname e manodopera un 60 per cento in più per

passo quadro, cioè 24 ducati contro 15:

Per il battudo, che doverà esser fatto de pali di rovere, sarà passa 456 a ducati 16 il passo ducati 7296.

Per li magieri de rovere sopra detto battudo passa 456 a ducati 8 il passo ducati 3648.

Ma è l’ordine di grandezza che conta e anche nel secondo caso il capitolo di spesa per le

fondazioni non supera gli 11.000 ducati. È possibile quindi fare qualche considerazione.

Se un milione e passa di pali sarebbero venuti a costare non molto meno del mezzo milione di

ducati sborsato in cinquant’anni per l’intero edificio, anche il numero di circa 115.000 risultante dal

prospetto di Pacifico appare esagerato. Il loro acquisto avrebbe probabilmente richiesto l’intero

importo di 50.000 ducati stanziato inizialmente dal Senato ed esaurito più o meno alla stessa data in

cui hanno termine i lavori della palificata, cioè fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del

163338. Mentre invece tale somma è stata utilizzata per far fronte anche a molte altre spese, e non

certo irrilevanti: l’acquisto del blocco di marmo per la posa della prima pietra e di alcune partite di

pietre provenienti dall’Istria; le operazioni di abbattimento degli edifici preesistenti e lo sgombero

dei materiali; i lavori di scavo, che normalmente arrivano ad una profondità variabile da due a

quattro metri sotto il comun39; le retribuzioni del personale fisso (sei persone) e quelle delle

maestranze per i lavori della palificata, pagate a giornata.

Particolare interesse rivestono per noi anche le misure della superficie del batùdo indicate nei

due preventivi. Sono 522 passi quadri in quello di Longhena, 456 in quello di Fracao:

rispettivamente 1578 e 1368 metri quadrati. Quindi in entrambi i casi la fondazione lignea

progettata è più ristretta rispetto alla superficie totale della chiesa, prevista in 2007 metri quadrati

nel primo e 2198 nel secondo. Ciò porta a pensare che si consideri necessario rinforzare il terreno

su aree abbastanza ampie, sotto i muri e i pilastri, ma non sotto l’intera costruzione, probabilmente

38 Il computo della spesa sui dati disaggregati di Pacifico non può essere che di larga approssimazione. Sulla base di

quanto detto sopra calcolo a lire 1 e 1 e mezza l’uno i pali di ontano delle due dimensioni e a lire 4-5 i tolpi di rovere,

mentre per il legname di larice, in mancanza di dati, faccio riferimento ai prezzi pagati per il ponte di Rialto

(mediamente 1 lira ciascuno i tressi e tressoni, 3-4 lire i rulli, 3 le chiave comuni e 8 quelle bastarde). Ma certamente

quei prezzi, soprattutto negli ultimi anni, sono aumentati in misura considerevole: basti pensare che un bordonale, che

veniva pagato da 10 a 25 lire, costa ora da 10 a 20 ducati. 39 Comun è il livello cui normalmente giunge l’alta marea, indicato dal «limite superiore delle fascia verde di alghe

lasciata dall’alternarsi delle maree sulle rive marmoree degli edifici lungo i canali», contrassegnato da una linea

orizzontale fatta incidere sulla pietra in vari punti della città, sovrastata da una C alta 10-12 centimetri (G. ZUCCHETTA,

Venezia e i suoi canali, Venezia, Marsilio, 1998, p. 30; cfr. SAGREDO, Sulle consorterie cit., p. 40).

lasciando libera la parte centrale: infatti il divario è maggiore nel progetto di Fracao, di forma

rettangolare, e minore in quello di Longhena, assai più articolato e complesso. È previsto

comunque, in entrambi i casi, che la palificata copra un’area inferiore a quella dell’edificio.

In base agli standard indicati da alcuni autori, di otto o nove pali per metro quadrato, per i 1578

metri quadrati di batùdo previsti da Longhena sarebbero necessari 13 o 14 mila pali40. Sembrerebbe

quindi che dovesse essere quasi sufficiente il legname procurato con i cinque «mercati» approvati

dal Senato: 10-12 mila tólpi di onaro (con una eventuale limitata integrazione di pali di rovere

anticipati dal Magistrato alle acque utilizzando quelli pervenuti per i lidi), e 244 bordonali di larese

per la piattaforma, che, se segati ciascuno in quattro fetóni, potrebbero bastare alla formazione dei

due strati. Ma così certamente non è.

È infatti già in atto quel processo, rilevato secoli dopo da studiosi quali Giovanni Casoni e

Agostino Sagredo, che porta a realizzare fondazioni sempre più imponenti, anche se non si sono

ancora raggiunti gli eccessi che Casoni nell’Ottocento deplora, lamentando che in certi casi si

esageri «fino a vedere palizzate diventare elastiche e sopralzarsi nel mezzo», con conseguenze assai

negative per la stabilità degli edifici sovrastanti41.

Occorre tener presente che i sistemi di fondazione a Venezia variano notevolmente sia nello

spazio che nel tempo.

Non sempre sotto gli edifici si fabbricano palificate: e inoltre, se queste esistono, spesso sono

limitate al sostegno dei muri esterni posti lungo i canali. Quando non si ritiene necessaria

l’infissione di pali, ci si limita a costruire una piattaforma che viene a poggiare direttamente sopra il

terreno opportunamente spianato. È il caso dello zatterone che regge le mura trecentesche del

porticato di Palazzo Ducale verso la Piazzetta, ma sembra anche quello della chiesa del Redentore,

del tardo Cinquecento, per la quale risultano utilizzati magièri di rovere per lo strato inferiore,

ottenuti dal disfacimento di due galeazze in disarmo e quindi in numero superiore a 500, e bordonali

di larice per quello superiore, destinando a questo scopo i 100 avuti in dono dalla Comunità di

40 È da escludere che Pacifico, fornendo un numero di pali tanto elevato, possa far riferimento ad una superficie più

vasta di quella del tempio, comprendendo anche gli altri edifici della zona. Infatti all’inizio degli anni Trenta viene

intrapresa unicamente la costruzione della chiesa votiva, smantellando poi progressivamente quella della Trinità e

spostando la scuola, mentre soltanto negli anni Settanta sarà edificato il collegio dei Somaschi, assai vasto e tanto

imponente da togliere in parte la vista del tempio dal bacino di San Marco, e nel decennio successivo avrà luogo la

sistemazione del campo, delle fondamente e delle rive, con l’estensione per 10 piedi di larghezza in Canal Grande. Le

complesse e contrastate vicende costruttive dell’intera insula, già affrontate parzialmente nelle ricerche di Hopkins e

Frank, sono state accuratamente ricostruite e interpretate, nonché analiticamente documentate, nel volume di Langé e

Piana. 41 G. CASONI, Sopra un singolare apparato di fondazione scoperto nell’occasione che fu disfatta un’antica torre in

Venezia, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», vol. 14, t. I, s. III (1855-1856), p. 33-49 (la citazione a p.

45).

Cadore per la ricostruzione dell’ala del palazzo Ducale danneggiata dall’incendio del 157442. In tali

circostanze, mancando la superficie costituita dalle teste dei pali, lo zatterone deve essere di

spessore notevole per consentire che la pressione si distribuisca uniformemente sul suolo

sottostante.

Quando vengono utilizzate palificate di sostegno, la loro dimensione dipende dal tipo di terreno

sul quale deve sorgere l’edificio. Se gli strati più consistenti di esso, che possono essere considerati

portanti, vengono raggiunti dai pali, questi hanno soprattutto il compito di trasferire la pressione del

fabbricato direttamente su tale base solida, come avviene per il campanile di San Marco, nel quale

l’enorme peso della struttura viene scaricato sull’argilla compatta attraverso uno zatterone di

quercia di limitata estensione poggiante su corti pali di ontano43.

Se invece i pali non arrivano allo strato di sabbia sottostante o a quello di argilla limosa molto

compatta (il caranto, non sempre presente e comunque distribuito in laguna in modo assai

irregolare), essi svolgono essenzialmente una funzione di costipamento del terreno per addensarlo e

rassodarlo, rendendolo così adatto a sostenere la costruzione44.

Le fondazioni più antiche (IX-XII secolo) erano di modesta entità, formate di pali piuttosto corti,

come appunto nei casi del campanile di San Marco o di quelli di Sant’Agnese e di Sant’Angelo: non

42 ASV, Senato, Mar, f. 68, Decreti Senato 24 aprile e 13 maggio 1577; Senato, Terra, reg. 52, Decreto Senato 13

febbraio 1578 m. v. Cfr. D. M. DA PORTOGRUARO, Il tempio del Redentore e il convento dei cappuccini di Venezia,

Venezia, Tip. Emiliana, 1930, pp. 22-24; G. FABBIANI, Breve storia del Cadore, Feltre, Castaldi, 19723, p. 86. 43 G. BONI, Il muro di fondazione del campanile di S. Marco, «Archivio veneto», XV (1885), 29, pp. 355-368; ID.,

Sostruzioni e macerie, in Il campanile di San Marco riedificato. Studi, ricerche, relazioni, a cura del Comune di

Venezia, Venezia, Officine grafiche Carlo Ferrari, 1912, pp. 27-65; L. BELTRAMI, Settantadue giorni ai lavori del

campanile di S. Marco. Marzo-giugno 1903, s. e., s. d., pp. 78-91; ID., Indagini e studi per la ricostruzione dal marzo al

giugno 1903, in Il campanile di San Marco cit., pp. 67-129. 44 Sui terreni della laguna e sulle fondazioni di Venezia utili indicazioni, benché non sempre concordanti, sono oggi

reperibili in E. MIOZZI, Conservazione e difesa dell’edilizia di Venezia. Il minacciato suo sprofondamento ed i mezzi

per salvarla, in Atti del convegno per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia, Venezia, IVSLA,

1960, pp. 147-159; F. SCAPINI, Terreni e fondazioni in Venezia insulare, «Ateneo veneto», n. s., II (1964), vol. 2, n. 2,

pp. 17-26; G. ŠEBESTA, Gli edifici e l’uomo. Opifici, tecniche, materie prime: dalle origini all’epoca moderna, in G.

CANIATO, M. DAL BORGO, Le arti edili a Venezia, Roma, Edilstampa, 1990, pp. 259-307; M. SACCHETTO, G. CIBIN,

Caratteristiche geodetiche del sottosuolo e metodi di indagine geognostica, in Le fondazioni degli edifici a Venezia. 3°

convegno “Architetti veneziani”, associazione tra liberi professionisti. Venezia 3 dicembre 1994, s. e., s. d., pp. 9-50; I.

TURLON, Fondazioni e fondamente sui rii, in Le fondazioni degli edifici cit., pp. 76-84; I. TURLON et alii, Il sistema

delle sponde, in Venezia, la città dei rii, a cura di G. CANIATO et alii, Sommacampagna (VR), Cierre, 1999, pp. 123-

135; M. BORTOLETTO, De canalibus, rivis piscinesque: primi passi verso un’archeologia idronomastica veneziana, in

“Tra due elementi sospesa”. Venezia, costruzione di un paesaggio urbano, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 136-152; W.

DORIGO, Venezia romanica. La fondazione della città medioevale fino all’età gotica, Sommacampagna (VR), Cierre,

2033, pp. 297-307; P. APOLLONIO, U. BARBISAN, Introduction to Venetian historical constructive techniques,

«Tecnologos», n. 2, 2001 (www.tecnologos.it); U. BARBISAN, Fondare gli edifici: storia e concezione, «Tecnologos»,

n. 19, 2005.

più di un metro o un metro e mezzo. Si trattava di pali di ontano o di rovere, ma anche di olmo o di

salice, tratti dai boschi che si trovavano nel vicino retroterra, dove era più facile

l’approvvigionamento45.

In seguito sono andate aumentando sia le dimensioni dei pali che la loro quantità e si è affermata

la tendenza a piantarne quanti più possibile, stipandoli e comprimendoli al massimo, mediante

macchine battipalo sempre più potenti.

Così è avvenuto nella costruzione del doppio batùdo che sostiene i piloni del ponte di Rialto,

dove da Antonio Da Ponte sono stati utilizzati non solo i già ricordati 12.000 pali di onàro, ma

anche notevoli quantità di legname di làrese e, in misura assai minore, di zapìn46. Infatti, alle forti

perplessità suscitate dalla soluzione radicalmente innovativa della struttura a denti o gradini

realizzata nella palificata del primo pilone, quello verso Rialto47, si accompagnarono pesanti

critiche per l’uso di pali considerati troppo corti, essendo lunghi tre metri e grossi mediamente 15

centimetri, e infissi usando battipalo manuali. Tanto che il proto fu costretto a rinforzarlo facendo

costruire esternamente al batùdo una robusta coronella di tronchi di larice assai più lunghi,

superiori ai cinque metri, mentre altri ne faceva inserire fra gli ontani riempiendo ogni vuoto

rimasto, questa volta usando una macchina battipalo, per concludere con un’altra fila di pali, in

questo caso di rovere, infissi all’esterno della coronella. Analogo procedimento fu seguito sull’altra

sponda del canale, verso San Bortolomio48.

45 CASONI, Sopra un singolare apparato di fondazione cit., pp. 33-43. La memoria di Casoni è parzialmente riprodotta

in appendice a SAGREDO, Sulle consorterie cit., pp. 179-180 e se ne trova una prima più breve versione in «Atti

dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», vol. 9, t. 2, s. II (1850-1851), p. 81-91. Cfr. anche la lettera da lui inviata

in precedenza al Cicogna sullo stesso argomento in E. A. CICOGNA, Delle iscrizioni veneziane, IV, Venezia, Picotti,

1834, pp. 624-626. 46 Col termine zapìn (o zappino) nelle varie regioni italiane vengono indicate essenze diverse di conifere: in Veneto

ritengo possa trattarsi del pino silvestre (Pynus sylvestris L.). 47 La struttura a gradini verso Rialto, molto contestata, fu realizzata da Antonio Da Ponte per non mettere a nudo le

fondazioni del palazzo dei Camerlenghi: ma alla fine, per ragioni di uniformità, fu scelta la stessa soluzione anche per la

palificata verso San Bortolomio. 48 Oltre ai contratti di acquisto sono soprattutto le polizze presentate dal proto e dai capimastri per ottenere i pagamenti

che, documentando minutamente giorno per giorno i lavori effettuati, indicano qualità, quantità e destinazione del

legname utilizzato (ASV, Provveditori alla fabbrica del ponte di Rialto, b. 6). In particolare presso la Biblioteca

Nazionale Marciana, ms. it.,VII, 2207, esiste una polizza presentata il 17 dicembre 1588 dai murèri addetti alla

costruzione del batùdo del pilone verso Rialto, con la quale chiedevano un aumento per le maggiori spese avute per

l’infissione di pali lunghi 15 o 16 piedi e anche più rispetto a quelli di 10 piedi contemplati nel contratto: facevano

riferimento a 2000 pali piantati nel batùdo e ad un numero imprecisato (probabilmente alcune centinaia), impiegati per

le coronelle di rinforzo. Trovando fondata la richiesta, i Provveditori concedevano 100 ducati in aggiunta ai 300 dovuti.

Trascurando le lunghe dispute ottocentesche sull’attribuzione del progetto originario (a Da Ponte, a Scamozzi, a Boldù),

che videro impegnati molti autori (da Antoine Rondelet a Filippo Scolari, da Francesco Lazzari a Leopoldo Cicognara,

da Antonio Magrini a Francesco Zanotto), sulle vicende costruttive del ponte si vedano, oltre a T. TEMANZA, Vite dei

più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo sedicesimo, Venezia, Palese, 1778, pp. 507-514,

A parte i roveri, si tratta in buona parte di legni di larice squadrati, acquistati direttamente presso

i mercanti: molte delle botteghe di legname veneziane, sia nella zona di San Basegio e delle Zattere

che in quella di Barbaria delle Tole, Santi Giovanni e Paolo, Gesuiti e fino alla Madonna dell’Orto,

effettuarono in quell’occasione abbondanti forniture49.

Senza tener conto dei ponti e dei bordonali che costituiscono la piattaforma, fabbricata in quattro

strati probabilmente per garantire la coesione e la compattezza messe in pericolo dalla soluzione a

denti, e senza contare il legname di larice e abete usato per la costruzione delle due palàde, cioè dei

casseri eretti per mettere in asciutto le sponde del canale, si può ritenere che sommassero a quasi

5000 i tronchi che vennero utilizzati per rinforzare i due batùdi realizzati con i 12.000 ontani,

ciascuno con una superficie superiore ai 300 metri quadrati50.

Mentre architetti, proti e capimastri esprimevano dubbi e perplessità, o anche pareri nettamente

negativi, sulla solidità del batùdo realizzato da Antonio Da Ponte, poco rispondente ai canoni

tradizionali51, i negozianti dei dintorni, consultati dalla commissione d’inchiesta per sentire anche

l’opinione di chi aveva avuto sott’occhio giorno per giorno i lavori, si dichiaravano tutti sicuri del

buon esito: attestavano concordi, con dovizia di particolari, che i pali, di onèr e di làrese, «erano

stretti stretti insieme quanto più si poteva», essendone stati conficcati altri frammezzo ai primi e

battuti con molta fatica fino al rifiuto, tanto che ogni spazio era stato riempito e alla fine, tagliate a

livello uniforme le teste dei tronchi non completamente infissi, non rimanevano vuoti e «pareva il

battudo come un terrazzo»52.

soprattutto L. BELTRAMI, Le fondazioni del ponte di Rialto, in appendice a Id., Settantadue giorni cit., pp. 123-135; R.

CESSI, A. ALBERTI, Rialto. L’isola - il ponte - il mercato, Bologna, Zanichelli, 1934; P. MORACHIELLO, Il ponte, in D.

CALABI, P. MORACHIELLO, Rialto: le fabbriche e il ponte. 1514-1591, Torino. Einaudi, 1987, pp. 171-300. 49 Fornirono legname per il ponte, oltre ad alcuni della Terraferma, almeno una ventina di mercanti veneziani o che in

città tenevano bottega, fra cui alcuni appartenenti al patriziato (Tommaso Mocenigo, Vettor Giustinian, Francesco

Bernardo, Tommaso Contarini) e altri non patrizi che si collocavano fra i maggiori operatori del settore (Giacomo

Campelli, Bortolo Maccarini, Andrea Bianchini, Giacomo Someda, Andrea Zuliani, Lazzaro Nordio, ecc.). 50 Si arriva a questa cifra, coerente con i dati della polizza citata nella nota 47, analizzando attentamente e ponendo a

confronto sia i contratti stipulati con i mercanti, sia i mandati di pagamento, sia le fedi presentate dai proti per

documentare le spese dei lavori dati a giornata, sia il materiale raccolto dalle commissioni d’inchiesta (ASV,

Provveditori alla fabbrica del ponte di Rialto, bb. 3-6). Il calcolo è approssimativo perché non sempre risulta possibile

distinguere con esattezza fra i diversi tipi di utilizzazione. 51 Sia a quelli dell’esperienza, sia a quelli che ormai cominciavano a trovare codificazione nei trattati dei grandi

architetti che affrontavano anche il tema delle sottofondazioni, ispirandosi a Vitruvio: da Andrea Palladio a Giovanni

Antonio Rusconi, ma soprattutto Vincenzo Scamozzi. Canoni che rimasero a lungo in vigore: a fine Settecento Daniele

Danieletti non farà che ripetere le prescrizioni di Scamozzi (A. PALLADIO, I quattro libri dell’architettura, Venezia,

Franceschi, 1570, I, pp. 10-11; G. A. RUSCONI, I dieci libri di architettura, Venezia, Nicolini, 1660, pp. 60-61, I ed.

Venezia 1590; V. SCAMOZZI, L’idea della architettura universale, Venezia, Tip. Valentino, 1615, II, pp. 289-292; D.

DANIELETTI, Elementi d’architettura civile, Padova, s. e., 1791, pp. 38-40). 52 Si trattava di un fruttivendolo, un salumiere, un commerciante di vini, un venditore di arance e uno di Malvasia. Tutti

avevano le loro botteghe nelle vicinanze e avevano osservato con grande interesse le operazioni d’impianto dei pali,

Qualcosa di simile deve accadere nel caso della Salute. Molto probabilmente, come per il ponte

di Rialto, i Deputati sopra la fabbrica della chiesa ricorrono ad acquisti effettuati direttamente dai

mercanti. Acquisti di trèssi, tressoni, ruli, chiave comuni e chiave bastarde: come già detto, gli

assortimenti indicati da Pacifico sono gli stessi usati per il ponte. Segno che le soluzioni tecniche

sono ormai consolidate, indirizzate nel senso di una intensa costipazione del terreno realizzata

inserendo tronchi di larice sia intorno che frammezzo a quelli di ontano o di rovere. Le

denominazioni usate fanno riferimento a legni non rotondi ma squadrati, usati qui non solo per

unire e concatenare fra loro i tólpi, ma anche, una volta resi appuntiti e talora tagliati nel senso della

lunghezza, per conficcarli nel terreno al fine di rafforzare e consolidare il batùdo53.

Tuttavia non dovrebbe trattarsi di quantità molto rilevanti. Se per questo uso nel caso del ponte

di Rialto si è giunti all’acquisto di quasi 5000 pezzi, sembra improbabile che per la Salute, su una

superficie poco più che doppia, si sia potuto superare di molto i 15.000, anche tenendo conto del

fatto che gli ontani forniti da Giacomo Gaio hanno un diametro maggiore di quelli usati per il ponte

(20 centimetri contro 15). Tanto più se si cosidera che per le grosse partite c’è l’obbligo

dell’approvazione dei contratti da parte del Senato e quindi se ne dovrebbe trovare traccia nei fondi

del Senato stesso oppure del Collegio, mentre così non è. Certo potrebbero esserci delle forniture,

sotto forma di anticipi come previsto nel decreto già citato, da parte dei Savi e Provveditori alle

acque: ma questi ultimi, del resto poco abituati a provvedersi di legname di larice, si dibattono già

in gravi difficoltà per i lidi, cui certo tengono assai di più, dato che si tratta del loro più importante

compito istituzionale.

Se appare assai probabile che parecchio altro legname, prevalentemente di larice, entri nella

palificata oltre ai 12.000 pali di ontano, non sembra dunque possibile che il numero complessivo dei

tronchi utilizzati possa avvicinarsi ai circa 115.000 risultanti dalla somma dei dati disaggregati di

Pacifico, che contengono molto probabilmente qualche altro errore.

Vi si oppongono, in conclusione, anche ragioni di ordine tecnico, riconducibili allo spazio

occupato dalla palificata, in aggiunta a quelle di carattere economico portate in precedenza,

concernenti la spesa sostenuta, e alle altre relative alle possibilità di approvvigionamento connesse

alla questione forestale, dato lo stato dei boschi della Terraferma veneta e le difficoltà

delle quali riferivano con toni entusiastici, illustrandone molte particolarità. Sostenevano di riferire anche l’opinione

corrente, affermando che a detta di tutti l’opera era stata fatta con ogni cura e appariva solidissima. Le testimonianze,

conservate in Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it., VII, 29, sono state pubblicate, assieme agli altri atti dell’inchiesta,

in appendice a CESSI, ALBERTI, Rialto cit. pp. 403-405. 53 In genere sia i trèssi (traversi) che le chiave (chiavi) servono per unire fra loro elementi verticali, ma i termini sono

ormai usati per indicare legni squadrati di abete o larice aventi determinate dimensioni: in genere sui 12-15 piedi di

lunghezza i primi e sui 30 le seconde. Anche i ruli, nonostante il nome, che in italiano richiama la forma cilindrica,

sono travi, di lunghezza compresa fra 15 e 18 piedi. Tuttavia, come osserva anche Ennio Concina (Pietre, parole, storia

cit., pp. 14-15), le dimensioni dei vari assortimenti legnosi, usati sia nell’edilizia che nella cantieristica, presentano nel

tempo una variabilità talora piuttosto marcata.

d’importazione dall’estero. Per non parlare dell’ingorgo cui il trasporto di tanto legname potrebbe

dare origine, ripetendo la difficile situazione creatasi due secoli prima, nelle vie del traffico acqueo

verso Venezia, già messe a dura prova nella loro parte terminale dall’ordinario afflusso della legna

da fuoco per le arti della città e per gli usi domestici, del legname per le costruzioni navali e di

quello per l’edilizia privata, dei roveri per le riparazioni dei lidi e per la segnaletica lagunare, di

travi e tavole di larice e abete che ancora alimentano consistenti correnti di esportazione54.

ANTONIO LAZZARINI

54 Ph. BRAUNSTEIN, De la montagne à Venise: les réseaux du bois au XV

e siècle, «Mélanges de l'École Française de

Rome. Moyen Age-Temps modernes», C (1988), 2, pp. 761-799; A. DI BÉRENGER, Saggio storico della legislazione

veneta forestale dal secolo VII al XIX, Venezia, Libreria alla Fenice, 1863, pp. 45-52; A. LAZZARINI, Le vie del legno

per Venezia: mercato, territorio, confini, in Comunità e questioni di confini in Italia settentrionale (XVI-XIX sec.), a

cura di M. AMBROSOLI e F. BIANCO, Milano, Angeli, 2007, pp. 97-110.