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FRANCESCO SPADAFORA
CRISTIANESIMO
E
GIUDAISMO
@ EDIZIONI KRINON
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COLLANA
« STUDI E DOTTRINA D
Diretta da PUCCICIPRIANI
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STUDI E DOTLIIINA
Collana diretta da h c c ~ IPRIANI
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FRANCESCO SPADAFORA
Cristianesimo e Giudaismo
EDIZIONI KRINON
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I' edizione M a n o 1987
Ediiioni Krinon s.a.s. di Giandesin LuisaVia Liberth, 186 - 93100 Caltanissetta - Tel. (0934) 51973
Stampato in Italia Printed in Italy
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A Mons. Donato De Bonis
Protonotario Apostolico
solerte e fedelissimo
fattore
nella V ign a del Signore
grato, l'Autore.
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È il tema più discusso in particolare dal 1945 ai nostri giorni. Ne ha trat-
tato anche il Concilio Vaticano I I , nella « Dichiarazione Nostra aetate
sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane », al n. 4 .
A. « Scrutando il mistero della Chiesa, il Sacro Concilio ricorda
il vincolo che lega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento
con la stirpe di Abramo.
B. . . « Come attesta la Sacra Scrittura, Gerusalemme non rico-
nobbe il tempo in cui fu visitata (Lc. 9,44); gli Ebrei, in gran parte,
non accettarono il Vangelo, ed anzi non pochi si opposero alla sua dif-
fusione (cf. Rom. 11,28). Tuttavia, secondo l'Apostolo, gli Ebrei, a
motivo dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la
cui vocazione sono senza pentimento ( R o m . 11,28-29). Con i Profeti
e con lo stesso Apostolo, la Chiesa aspetta il giorno . . . in cui tutti ipopoli invocheranno il Signore . . . ( R o m . 11,ll-32).
C. . . « Sebbene autorità ebraiche con i propri seguaci si siano
adoperate per la morte di Cristo (cf. G i o v . 19,6), tuttavia quanto è stato
commesso durante la Sua Passione non può essere imputato né indi-
stintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro
tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei
tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come
maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura.
D. « Curino pertanto tutti che . . . non insegnino alcunché chenon sia conforme alla verità dell'Evangelo e allo spirito di Cristo . . .
Del resto, il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in
virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla
passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti
gli uomini conseguano la salvezza . .». ( l )
( l ) Sacro Concilio ENn. Vaticano 11. Costituzioni Decreti Dichiarazioni a cura diS. Garofalo, editore Ancora, Milano 1966, pp. 591-595.
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La dichiarazione fu promulgata il 28 ottobre 1965, dopo un
lungo e faticoso dibattito che la rinviò da sessione in sessione B . ( ~ )
Essa rimanda in particolare e ripetutamente alla lettera ai Romani
(C . 11 e raccomanda la fedeltà a alla tierità deU'Euangelo ».
I1 tema è infatti squisitamente, essenzialmente esegetico: sia per il
nesso tra Vecchio e Nuovo Testamento, questione basilare (A); sia,
ancor più, per il capoverso B; e infine per le responsabilità, di cui in C.
E all'esame, all'interpretazione dei testi biblici sono dedicati, ad
esempio, gli studi di S. Ecc. Mons. Luigi Carli (') e del Card. Agostino
Bea, s.j.,(') senz'altro al primo posto tra quanti hanno scritto sull'argo-
mento, a commento della Dichiarazione conciliare: sono addotti versetti
dagli Evangeli, Atti degli Apostoli, lettere di S. Paolo, in particolare
Rom., ma con deduzioni e conclusioni opposte. L'è che non bisogna
fermarsi al singolo versetto, avulso magari dal contesto mediato ed
immediato; per la retta esegesi inoltre, è necessario tener presente e
debitamente valutare quanto hanno gih scritto i migliori autori, nei
loro commenti, per ciascun punto da trattare; e in ciò consiste la mag-
gior carenza in particolare nell'art. del Card. Bea.
Promulgato il testo definitivo (28 ott. 1965) della Dichiarazione'Nostra detate', il Cardinale Agostino Bea, l'artefice primario di essa,- ome diremo, tutto zelo per il giudaismo -, ne scrisse in difesa,
cercando di rispondere punto per punto alle argomentazioni ed ai testi
addotti da S. Ecc. Carli nell'articolo su citato. M Il popolo ebraico nelpiano divino della sdueua N , in La Civiltà Cattolica, p. 2769, 6 nov.
1965, pp. 209-229. .Non si parli di a deicidio N : a Non vi è dubbio che la condanna e
l'esecuzione di Cristo costituiscono in se stesse, oggettivamente parlando,un crimine di deicidio, perché Gesù è Uomo-Dio N . Ma M i capi del
Sinedrio e il popolo n non conoscevano M chiaramente la natura umano-
divina del Cristo n . In essi c'era .« una certa ignoranza: questa riguardava
(2) J. P . LICHTBNBE~G,.P., Contenu et portée dc la DCclaration... sur les Iuifs,in Nouu. Rev. ThCologique 98 (1966)225 ss.
(3 ) Mom, L. M. CARLI,a questione giudaicd davanti ui Conc. Vatic . I I , in Puiestradel Clero 44 (1965), 185-203 e più compiutmente, in Chiesa e sinagoga, ivi, l 5 m m1966, pp. 333-335 e la aprile, pp. 398419; con appropriata iiiusaazione dei testi citati.Per la persona, l'apostolato e gli scritti di S. E. CPrli, vescovo di Segni e quindi aruv.di Gaeta, morto il 25 aprile 1986, vedi La Pensde Catholiqrre, n. 223, lugiio-agosto1986, pp. 56-66: P.E., U n grand prélat: Mon~eigneurCarli.
(4) S.Em, il Card. Agmtino Bea, giA rettore dei P. 1st. Biblico, Il popolo ebraiconel piano divino dells suiuctzcr, in La CiuiltB Cattolicrr, quad. 2769, 6 novembre 1 x 5 ,pp. 209-229.
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in primo luogo il punto più difficile a comprendersi per un ebreo, cioè
la divinitd di Gesù ». ( I corsivi sono nel testo).
E il Card. Bea cita le parole di S. Pietro, cc il quale, dopo aver
rimproverato ai giudei di Gerusalemme: cc Voi uccideste l'autore della
vita M, quasi subito aggiungeva: a Ora, o fratelli, io so che voi operaste
per ignoranza, come anche i vostri capi » ( Ac t . 3,15-17). Cita S. Paolo
(Ac t . 13,27); e le parole di Gesù: a Padre, perdona loro, perché non
sanno quel che fanno » (L.3,34). (')
4< Non & possibile- fferma il Card. -, nel breve spazio conces-
soci, istituire una esauriente interpretazione di questi testi (p. 213).
La stessa osservazione o ammissione fa a p. 217, a proposito dei testi
degli Atti degli Apostoli e dei brani evangelici citati (p. 215 S. ) per la
domanda responsabilità collettiva del popolo ebraico? >> da lui negata:
4< Naturalmente per rispondere in modo esauriente al nostro quesitobisognerebbe istituire un'interpretazione particolareggiata dei singoli testi,
il che non è possibile nello spazio concessoci ».Sicché abbiamo soltanto i testi citati, presi fuori dal loro contesto,
con l'interpretazione che l'Eminente Autore loro attribuisce, per le
sue tesi.
Le parole di Gesù in Croce - ommenta l'Autore - ono a una
vera scusante a favore degli ebrei. I testi citati però non si possono
considerare come un'assoluzione propriamente detta, e tanto meno com-
pleta, dei responsabili della morte di Gesù; per esempio, la domandadi perdono di Gesù non avrebbe ragione di essere, se ci fosse stata
una ignoranza completa e quindi una completa assenza di colpa >>. Igno-
ranza dunque della divinità di Gesù. Eppure i testi evangelici, inequi-
vocabilmente, attestano una grave ignoranza « colpevole »: si sono
rifiutati di credere. E implicitamente lo ammette il Card. Bea con
la seguente precisazione: cc Con ciò non vogliamo certo negare l'efficacia
delle sufficienti dichiarazioni di Gesù riguardo alla sua divinità ed ilvalore del le proue fornite in favore di essa. Ma da questa sufficienza- ggiunge - egue solo che l'ignoranza poteva essere colpevole... »(p. 214).
Basti qui ricordare le parole di Gesù: cc Se non fossi venuto e
non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa
per il loro peccato. Se non avessi tra loro compiuto opere, che nessun
(5 ) Anche S. Ecc. Carli cita questi passi (art. cit., 15 febbraio 1965, p. 192 e nellanota 11); con in pib 1 Cor. 2,8: a si cnim cognovissent (il disegno saivifico, per cui
l'Eterno mandò il suo Figliolo), nunqurim Dominum gloriae cricifiiissent B; come l'aucto-rem vitae (Gesu uomo-Dio) di S. Pietro.
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altro ha fatte, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto,
pure odiano e me e il Padre mio ». ( G i o v . 15,18-25). E nel C. 10 ai
Romani, S. Paolo afferma la stessa cosa per « i Giudei responsabili
della loro riprovazione » (A Vaccari), nei vv. 18-21. Rimane - on-
tinua il Card. Bea - a responsabilità più generica della condanna
dell'innocente, conosciuto come un Maestro santo e magari anche
come profeta, anzi come il profeta, il Messia promesso. È essenziale
ora stabilire << se in una tale responsabilità è coinvolto il popolo e nel
caso d i risposta affe rm ativa , in quale senso P. E ammonisce: « È im-
portante conservare la più assoluta fedeltà al racconto dei Vangeli ».I testi citati sono: Act 2,22 S., 36 S. Pietro, nel giorno della Pen-
tecoste; <i Israeliti, - esù di Nazareth . . . voi l'avete crocifisso e
ucciso 9 ; 3,15: sempre ai Giudei, << V o i uccideste l'Autore della vita »;
5,30 al Sinedrio: <i Gesù, che voi uccideste appendendolo in croce »;7,52 S. Stefano sempre al Sinedrio: « . . .del Giusto, del quale voi
foste ora i traditori e gli omicidi . . . ». Analoghe espressioni in S. Paolo:
Act. 13,27 S. E nella 1 Thess. 2,14 ss., i Giudei uccisero Gesù e i
Profeti . . .; spiacenti a Dio e avversi a tutti gli uomini. Van così
colmando la misura dei loro peccati; ma già li coglie l'ira di Dio sino
in fondo D. Non c'è dubbio, qui S. Paolo parla << degli ebrei in gene-
rale ». Tuttavia, il Card. restringe ai soli abitanti di Gerusalemme gli
altri testi precedenti; ma arbitrariamente e in contrasto con tutto il
contesto: S. Pietro, ad es., in Act. 2 parla ai Giudei convenuti a Gem-salemme da tutte le regioni dell'impero romano: cf. vv. 5-13 « Giudei
d'ogni nazione . . .: Parti . . .; abitanti della Mesopotamia ecc. ».
Cita quindi, per il minacciato castigo per tutto il popolo: la para-
bola dei vignaioli M t. 21,43-46; il lamento di Gesù su Gerusalemme
Le. 19,43 S.; e l'annunzio del castigo che cadrà <i su questa generazione
M t. 23,31-36. E si chiede: Responsabilità collettiva del popolo ebraico?
La sua risposta è stranamente negativa; in aperto conflitto con i testi,
restringe ogni responsabilità ai capi ed a pochi abitanti di Gerusalemme:
nega il principio della solidarietà collettiva.Ha avuto pertanto buon gioco, S. Ecc. Carli (in <i Palestra del
Clero », 15 marzo 1966, p. 333-355 e 1 aprile p. 398-419: << Chiesa e
Sinagoga W ) , nel documentare la validità essenziale del suo primo articolo,
nella fedeltà alla interpretazione dei testi della Sacra Scrittura; e, co-
munque, nel rilevare gli arbitri e l'infondatezza delle deduzioni tratte
dal Card. dai medesimi testi.
Quanto alla validità del principio della « responsabilità collettiva »
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in atto in tutto il Vecchio Testamento, « per cui l'intero popolo rispon-
de dinanzi a Iahweh della colpa dei suoi rappresentanti », egli cita il
mio studio, presentato come tesi di laurea, sotto la direzione dei miei
professori, A. Bea e A. Vaccari, « Collettivismo e Individualismo nelVecchio Testamento », Rovigo 1953, pp. XXIV - 398, e il mio com-
mento ad Erechiele, ed. Marietti, 1951, p. 10 S.; 152 S. (vedi, art. cit.,
1 apr. 1966, p. 405).
« Soltanto il principio della responsabilità collettiva può, in parti-
colare, dar sufficiente ragione del fatto che il rimprovero degli Apostoli
venga rivolto anche ai Giudei di altre città palestinesi o della diaspora,
anzi persino ai proseliti: e forse a gente che per la prima volta sentiva
parlare di Gesù! » (n. 408).
Ed in nota (45); « Arbitrariamente il Baum, op. cit., restringe
Act. 2,14 agli abitanti della Giudea (p. 277, nota 2) e Act. 2,40 aiGerosolimitani (p. 134) . . .».
Già nella nota 21, art. del 15 marzo, p. 350, il Carli parla del
libro del Padre Gregory Baum O.S.A., « israelita convertito e sacerdote,
Consultore del Segretariato per l'unione dei cristiani »: The Jews andthe Go spe l. A Re-examination of the Ne w Testament, Londra 1961;
« che anticipa parecchie tesi sostenute dal Card. Bea, in Civ. Catt. ».I1 libro del P. Baum figura in testa alla limitatissima bibliografia
posta dal Card. Bea in testa al suo art.; con l'indicazione delle traduzioni
tedesca e francese del medesimo: Die Juden and das Evangelium, Ensie-deln 1963; Les Juifs et l'Evangile, Paris 1965. Segue a ruota: Giovanni
Caprile, La responsabilità degli ebrei nella crocifissione di Geszì, 2" ed.,
Firenze 1964. Di essi ci occuperemo in seguito. Ma la fonte comune al
Baum e al Card. Bea, non riportata da questi in bibliografia, è stata
senz'altro il libro dello israelita Jules Isaac, Jésus et Israel, in 8", 585
pp., Paris 1948.
Sulla parte preponderante avuta dal Card. Bea per la preparazione
e il varo del testo conciliare, ha scritto il Padre Stjepan Schmidt, già
suo segretario particolare, nella rubrica « Rileggere il Concilio »- 7-su Il Tempo, 5 nov. 1985, p. 17. « Il ruolo decisivo suolto dal Cardi-
naie tedesco Bea ».
Papa Giovanni XXIII nel giugno 1960 riceve in udienza l'israelita
Jules Isaac che dinanzi a Lui perora la causa del suo popolo, secondo
le tesi già formulate nel suo libro Gesù e Israele, e lo manda dal
Card. Bea.
Incominciano così i contatti di Bea con i rappresentanti più noti
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del giudaismo; e nell'udienza del 18 sett. 1960 riceve dal Ponteficel'incarico di preparare per il Concilio un documento sulla delicata materia.Era l'inizio del cammino che dopo cinque anni porterà alla Dichiara-zione conciliare.
Per superare la diffidenza, le difficoltà manifestatesi e per bendisporre favorevolmente i Padri, il Card. Bea preparò per la Civiltà
Cattolica un suo ampio articolo dal titolo impegnativo « Gli Ebrei sono
'deicidi' e 'maledetti da Dio'? ». L'articolo doveva simultaneamenteapparire sulla rivista tedesca Stimmen der Zeit e sulla Nouvelle Revue
Théologique di Lovanio. La Segreteria di Stato però non ne ritenneopportuna la pubblicazione.
I1 Card. Bea, tuttavia, cedette all'insistenza del direttore dellarivista tedesca e l'art. vi apparve egualmente sotto la firma del P. Ludo-
vico von Hertling, s.j., già prof. di Storia ecclesiastica alla PontificiaUniversità Gregoriana.
Quindi, l'articolo, tradotto in italiano e fatto stampare da unindustriale di Genova, anche in varie lingue, fu distribuito ai Vescovi,al momento opportuno per la presentazione dello schema in Concilio.E il suo influsso fu notevole e davvero determinante.
Un esempio positivo - irca il metodo da seguire per la rettaesegesi- i è offerto, al riguardo, dalla trattazione che del tema Ebrei
e Cristiani, fa con chiarezza, ricca ed appropriata conoscenza della lette-ratura recente, il grande teologo, il Card. Charles Journet, nel I11 vo-lume dell'opera L'Eglise du Verbe Incarné. Essai de Théologie de
l'histoire du Salut, Desclée de Brouver, 1969, grosso volume in 8"'pp. 721. Parte dal Vecchio Testamento: l'economia della Legge mosaica:
alleanza, profezie messianiche: « I l ruolo della Legge mosaica, ruolo
di pedagogo, era destinato a scomparire: Gal. 3,23-29. La Legge fu ilnostro pedagogo per condurci a Cristo . . . giustificati in v irttì della fede B.
È la conclusione geniale, ispirata, ben dimostrata e formulata già da
S. Paolo e da tutto il Nuovo Testamento.Quindi, si sofferma su « La tragedia d'Israele » e trattando della
causa immediata della morte di Gesù, confuta le tesi di Jules Isaac.Illustra quindi la dialettica paolina: « Giudei e Gentili » e commenta
Rom. 9-11. (pp. 412-518).I1 Card. Journet addita e segue per l'esegesi dei testi le migliori
fonti scientificamente sicure: per il Vecchio Testamento, per gli Evangeli
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e particolarmente per S. Paolo, l'opera classica del più grande esegeta
moderno, il domenicano P. Marie Joseph Lagrange (+1938): Le ju-
daisme avant Jésus Christ, 2" ed., Paris 1931, con Le Messianisme
chex les luifs, ivi 1909; Pasca1 et les prophéties messianiques, in RevueBiblique, 1906, pp. 550-557; i quattro grandi commenti ai singoli quat-
tro ss. Evangeli; Epitre aux Galates, 3" ed., Paris 1926; Epitre aux
Romains, 4" migliaio, Paris 1931.
I1 Card. Journet rimanda spesso al suo libro precedente Destinées
d'lsrael, Paris 1945.
Le sue conclusioni: 4 Le promesse divine (del V.T.) si sono rea-
lizzate nel 'resto' (i figli di Abramo per la fede, che hanno aderito al
Cristo: l'Israele « secondo la carne » invece ha respinto il Messia).
« Sulla massa d'Israele esse sono sospese. Ancora adesso, più
gravemente di prima, essi sono dei figli ribelli, nemici a motivo del-l'Evangelo. L'effetto delle promesse, ora sospeso . . ., finirà per scen-
dere nel loro cuore » (p. 482).
« Amati, in quanto destinati a convertirsi, come gruppo etnico,
in un futuro imprecisato, nella Chiesa, Co rpo mistico d i G es ù Reden-
tore » (cf. p. 495-499; L'epoca della reintegrazione; e p. 513 col
commento del P. Lagrange a P q m . 11).
Giustamente Mons. Carli rilevava che, nel trattare il nostro tema,
bisogna tener presente le concezioni del Giudaismo moderno e contem-
poraneo, sul Messia (cf. art. cit. del 15 marzo 1966, p. 345 S. ) ( 6 ) .
E il Card. Journet, con la consueta precisione, ne tratta nelle
pp. 467-478: « flessione e trasformazione della speranza messianica n.
L'attesa del Vecchio Testamento, per noi cristiani è la venuta in
Israele di Gesù, di un Salvatore per Israele e per il mondo intero,
che riconcilia tutto in Dio mediante il sangue della sua Croce: oportet
Illum (Cristo) regnare, fino a che Egli rimetta, dopo la resurrezione di
tutti gli uomini, il regno a Dio Padre (1 C or . 15,24). Tutto il Vecchio
Testamento tende e finisce a Gesù Redentore, che, con la Chiesa per-
petua la sua opera.Ora- ontinua Journet - i produce un rovesciamento. Ciò che
(6) P. Joseph Bonsirven, s.j., già dotto rabbino, autore di importanti ed eruditeopere sulla letteratura rabbinica, scrisse un interessante libretto: Les Jui fs et Jésus.
Attitudes nouvelles, Beauchesne, Paris 1937, p. 257.Presentava già un documentato, ricco specimen del giudaismo liberale, rispettoso
nei riguardi di Gesù. Cf., ad es., il giudeo Claudio Montefiore, Gesù di Nazareth nelpensiero ebraico moderno, tr. dall'inglese. Con ampia introduzione di Felice Momigliano:Il giudaismo liberale e Gesrì dei Sinottici, pp . XLIX, 1-152, R. F. Formiggini ed., Ge-nova 1913.
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specifica la speranza d'Israele è una speranza temporale, un piano dei
regni di questo mondo, interiore allo svolgimento della* toria, in cui
il ruolo principale l'avrà la comunità d'Israele - l popolo che è
u
messianicoN-
in cui il ruolo personale del Messia, semplice uomo,non può essere che episodico e secondario. Completamente chiuso sui
misteri della trascendenza cristiana, regno spirtuale - ei quattro
Evangeli, dall'inizio alla fine -, Israele si apre nell'avvenire temporale
dell'umanità.
A conferma, il Card. Journet, riporta la testimonianza di quattro
autori giudei, due anteriori e due posteriori alla proclamazione dello
Stato d'Israele.
1 . Al primo posto Joseph Klausner (') professore all'università
ebraica di Gerusalemme, nel libro Der judische Messias und der chri-
stliche Messias, 1945.I1 Messia, persona, scompare davanti ad Israele. Questi, come
popolo, occupa il proscenio della storia. Fedele al suo Dio, confidando
nelle sue buone opere, deve marciare alla testa del progresso e affrettare
così il tempo della conversione del mondo intero.
I1 Messia sarà figlio di David; re vittorioso. Non sarà che uomo
mortale: il superuomo del giudaismo; il suo regno sarà di questo mondo.
Incarnerà l'ideale della nazione giudaica: scuotere il giogo della disper-
sione, raggrupparsi nella Terra dei suoi padri. Come si compirà questo
ritorno, cominceranno i giorni del Messia. Israele sarà ricondotto daiquattro angoli dell'orizzonte nella sua patria, intorno a Gerusalemme.
La lingua ebraica rifiorirà. I1 Messia governerà non soltanto Israele,
ma in un certo senso, tutti i popoli. La restaurazione d'Israele porterà
in effetti dietro a sé quella del mondo intero. Sarà la fine dell'idolatria ...Non si incontreranno più sulla terra né povertà, né dolori, né guerre.
La stessa natura esterna sarà riscattata: il lupo pascolerà con le pecore...La terra si coprirà di messi e di raccolti. L'età d'oro, che l'ellenismo
sognava alla soglia della storia, sarà infine stabilita sulla terra. La fede
messianicaè
la semenza del progresso, dispensata dal giudaismo nelmondo intero.
2. Idee affini esprimeva il rabino russo Samuele Mohilever, nella
sua lettera al 1' Congresso sionista, 1897; concludeva citando Zach.
8,7 S.: u Così dice Iahweh Slibdt: Ecco, io trarrò in salvo il mio
popolo dall'occidente e dall'oriente e li condurrò ad abitare a Gerusa-
(7 ) Ben noto anche per la sua vita di Gesù, in ebraico, 1922; la trad. francese è
del 1933; Jésus de Nazareth; J . Bonsirven ne dà ampia e chiara sintesi, nel suo librocit. nella nota precedente: Les Ju ifs et Jésus, pp. 17-83.
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lemme; essi saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio fedele e
giusto a. Riferito al ritorno, ora realizzato, degli Ebrei in Palestina.
Anche il sacerdote cattolico, G. Caprile, cita il testo di Zach. in tal
senso (!). Ma il testo di Zaccaria si realizzò nella libera Gerusalemme,
la Chiesa, (Gal. 4,26). Un po' più giù (9,9) Zaccaria profetizza: ' Ralle-
grati molto, figlia di Sion (gli abitanti di Gerusalemme), manda grida
di letizia, figlia di Gerusalemme! Ecco il tuo re che a te viene: Egli
è giusto e vittorioso; è mite e cavalca un giumento, i1 puledro di
un'asina! D.
« L'entrata pacifica del re Messia nella sua capitale: giusto, pio,
vittorioso, ricompensa divina della sua pietà. Ma specialmente egli è
re mite, cioè umile e pacifico. Per questo viene scelto per il suo ingresso
un giumento, animale mansueto, anzi un puledro, cioè un giovane
asinello, non un destriero, animale in guerra.« E la sua indole pacifica la dimostrerà anche con i fatti, appena
assisosi sul trono: ogni strumento di guerra sarà bandito e nei suoi
indirizzi ai sudditi parlerà solo di opere di pace a . (Comm. del P. Alberto
Vaccari, s.j., La S. Bibbia, ed. Salani). Cf. v. 10. Come non ricordare
l'ingresso messianico di Gesù, tra le palme e il popolo osannante . . .M t. 20,l-112
Dopo la proclamazione dello Stato d"Israe1e (15 maggio 1948)
hanno scritto André Chouraqui, L'État d'lsrael, Paris, P.U.F., 955 e
André Neher, Moise et la nation juive, Paris, Seuil, 1957, scelti tratanti altri, dal Card. Journet.
3 . A. Chouraqui, nel suo « petit libre émouvant » (Journet), vede
nel risorto Stato d'Israele « la risposta di Dio alle persecuzioni subite
nei secoli da parte di tutte le nazioni cristiane, una risposta alla lunga
angoscia del suo popolo; come una splendida replica alle promesse
bibliche circa la riunione dei Dispersi; la ricostruzione di Gerusalemme
la nuova fioritura della Terra Santa . . . Venti secoli di dolore prepara-
vano il compimento della promessa e la triplice risurrezione di un
popolo, di una terra e di una lingua. La predicazione centrale dei
profeti annunciava il ritorno d'Israele e la restaurazione di Geru-
salemme . . .Conclude: leggete la Bibbia, vi troverete l'inizio e la fine di questa
stupenda storia.
4. André Neher, autore, tra l'altro, dell'ottimo studio: Amos.Contribution à I'étude du prophétisme, Paris, 1950, in 8", pp. 297,
nel libro su citato, pone Gesù tra i grandi fondatori di religioni con
Budda e Maometto. Il vero Messia che salva se stesso e il mondo,
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è il popolo d'Israele. u Iniziando la dialettica della Legge e della Fede
nel quadro redenzionale, san Paolo inaugurava uno scisma. Per i Giudei
infatti non è il Messia che giustifica l'uomo, ma il compimento della
Legge v . I1 compimento della thora è confidato al solo popolo giudaico.
Essi esaltano non tanto l'elezione di Abramo, quanto l'opera di Mosé.
Di Abramo dicono: << Nostro Padre », di Mosè: u Nostro Maestro m.
In Mosè si realizza l'irriducibile vocazione del popolo giudaico.
Come la marcia attraverso il deserto tendeva alla Terra, così l'esca-
tologia esilica resta tesa verso la Terra. La risurrezione dello Stato
d'Israele è un momento di questa dialettica: Esilio e Terra.
Lo Stato d'Israele e la Diaspora formano le due branche della
dialettica del messianismo giudaico. Ma la branchia dell'Esilio s'incur-
verà un giorno verso quella della Terra e, innestandosi in essa, vi si
svilupperà . . . Così gli uni e gli altri marciano su vie che solo inapparenza divergono. Tutti tendono alla Terra . . .Allora il lupo abiterà
con l'agnello, la tigre riposerà col capretto. Soltanto allora sarà risolta
la questione giudaica.
E sempre a proposito dello Stato d'Israele, la I11 Conferenza dei
rabbini europei (Parigi, 14-16 nov. 1961), riaffermando i 6 principi
fondamentali del giudaismo, formula cosl il 4': « La Terra Santa ha
un ruolo capitale nei destini del giudaismo e la risurrezione dello Stato
d'Israele deve essere considerata come il segno manifesto della Prov-
videnza » (8)I1 Card. Journet, come rileva la retta interpretazione delle profezie
messianiche realizzate in Gesù N.S., così per questa nuova suggestione
circa il ruolo 'religioso' del risorto Stato d'Israele, precisa: « Ma non
tutti i Giudei condividono tale punto di vista. Lo rifiuta, ad es.,
Raymond Aron nel suo studio: Les J uif s et 1'Etat d'lsrael, nel Figaro
littéraire, 24 fev. et 17 mars 1962. << Lo stato laico d'Israele, costituito
e mantenuto con la spada, non è meno paradossale della Diaspora.
Sarebbe un errore riconoscere al sionismo un valore religioso. La costi-
tuzione, in Palestina, di uno Stato che si dichiara laico e la cui popo-
lazione viene in maggioranza dalle comunità giudaiche della diaspora,
non è un elemento della storia sacra, essa non può essere interpretata
come il compimento delle profezie escatologiche. Qualunque siano le
citazioni dalla Bibbia o dal Talmud sarebbe prostituire la fede interpre-
tare lo Stato d'Israele in rapporto alle promesse millennaristiche. Tutti
i Giudei, credenti o non credenti, cittadini d'Israele o di un altro
(8) Cf. Docurnentotion Catholique, 21 gennaio 1962, col. 150
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paese, devono riconoscere che la creazione dello Stato d'Israele è un
episodio della storia tutta umana, non una fine o una svolta della
storia del popolo giudaico in rapporto a Dio n . (p. 478).
Riteniamo opportuno ricordare inoltre la tesi proposta dal filosofoebreo Martin Buber, vicino alla scuola sociologica n per il V.T. Karl
Cramer, Max Weber, David K~igen),(~)el suo libro Israel, tr. it.,
Milano 1964. Egli sostiene lo stretto legame del popolo d'Israele con
la Terra Santa, come condizione previa e necessaria per il compimento
della missione d'Israele. E conclude invitando i cristiani a marciare
insieme, doppio binario, verso la meta: seconda venuta del Messia per
i cristiani, prima venuta per gli Ebrei.
Accolgono l'invito, condividono l'accennata formulazione del filo-
sofo ebreo, alcuni « ecumenisti » acriticamente, con deplorevole eccesso,in contrasto con i testi così chiari del Nuovo Testamento:
1. Renato Fabris, Cristiani e Stato d'Israele. Lettura di un segno
dei tempi, nella rivista Studi Cattolici 11 (ag. 1967) 14-22 e sett. 1967,
nn. 78-79, pp. 33-42. Egli parla di a una nuova corrente della teologia »e cita il libretto di Marco Quattrini, Le profezie messianiche e gli Ebreidi oggi, Treviso 1965, il quale applica alla ricostruzione dello Stato
d'Israele, col sionismo in atto e l'afflusso di Giudei in Palestina, da
tutte le parti del mondo, le profezie del Vecchio Testamento, sul ritorno
degli esuli.
E sempre con compiacenza riporta quanto scrive William Yale,
Il uicino Oriente, Feltrinelli, Milano 1962, p. 430: a É un fatto che
molti ebrei e un numero considerevole di cristiani ( ? ) credono che . . .il ristabilimento di una patria nazionale ebraica in Palestina e la crea-
zione di uno Stato ebraico . . . siano l'adempimento delle promesse di
Dio: se non vi fosse stata questa opinione. . . oggi non esisterebbe
probabilmente alcun stato ebraico in Palestina n.
2. I1 religioso Paul Démann, Les Juifs, Foi et Destinée, Paris,
R. Fayard, 1961, pp. 111.- 1 Card. Journet, op. cit., p. 494 in nota, scrive delle tesi delDémann: a Ce serait . . . tout confond re que uoir dans Israel actuel e t
1'Eglise 'deux branches séparées d'uta seul et unique peuple de Dieu' n .
E l'autorevole P. Pierre Benoit, nella recensione, in Revue Biblique,
(9) Vedi, ad es., l'interessante suo volume: Mo?se; n. dal tedesco di Albert Kohn,Presses Universitaire de France, Paris 1957, p. 267. Neiia Coilection des sources d'Isrsel,diretta da André Chouraqui.
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1961, p. 457 S.: e Au sortir de cette lecture, le chrétien se demanderaen quei sa religion est préférable au judaisme. Ne lui présent-on pasle juif come un 'frère ainé qui a tant souffert et qui, malgré tout, estresté fidèl à sa part d'heritageJ (p. 105)? . . . Assurèment . . . la charitè
demande un e ff o rt de sympathie et de compréhension . . . Il ne faudraitpourtant pas que la bienveillance à to ut prix flt perdre I'équilibre.L'espérance d'lsrael est décrite (p. 78-84) sans qu'on ait à aucun momentI'impression d'un echec passé, comme si son attente du Régne et duMessie était encore parfaitement ualable »!
3. I1 sac. Giovanni Caprile che arditamente si è tutto dedicato
all'ecumenismo, ed in particolare al problema giudaico.
É del 1964 il suo libro La responsabilità degli Ebrei nella crocifissionedi Gesù, 2' ed., Firenze: fa sua la tesi di Jules Isaac (vedi più giù).
Egli articoli: Israele nellJeconomia della salvezza, in Humanitas, nov.-
dic. 1964, p. 1409 ss.; Il popolo ebraico e la sua terra nelle profeziebibliche e nella storia, in Palestra del Clero 63 (1984, 15 ott.) 1220-
1227: afferma che nel risorto Israele, col rientro in Palestina dei giudei
si realizzano le profezie del V.T. sul ritorno degli esuli.(lO)
Oltre a Zach. 9,9 (cf. l'op. cit. del Card. Journet, p. 467 S., con
lucida confutazione), il Caprile cita i versetti isolati, tolti abusivamente
dal loro contesto, 0 s . 3,4 S.; Ex. 38,8; Is. 14, Is. (p. 1225); ed ancora
Ex. 36,24; 37, 14-21; 38; 39,20 . . . p. 1226). Egli è completamente
fuori strada: basti leggere i capitoli dai quali abusivamente sono tratti
quei versetti per capire che Ezechiele, ad es., predice ai deportati del
597 a.C. che dopo quaranta anni essi, << il resto » che l'Eterno si èriservato e che benedirà, ritorneranno in patria, a formare la risorta
teocrazia; allora vivranno in pace; l'Eterno salverà dall'assalto delle
potenze pagane (Gog e le sue schiere) la rinata teocrazia la quale sarà
quindi assorbita ed elevata dalla a nuova Economia >p, opera del Messia.
É questo il tema e il limite storico di tutti i profeti. Vedi l'espo-
sizione critica dell'esegesi di questi capitoli 36-39 nel mio commento
Ezechiele (La S. Bibbia, VIII/2), Marietti 1951 (ed edizioni successive).
(10) E quanto sosteneva giA il rabbino Samuel Mohilevez e come prodamano ora irabbini di Parigi; d., ad es. Josy Eisenberg, Israel un XIX ..., in Le Monde, 26-5-1967:u La rinascita di uno Stato ebreo dà al nostro secolo una dimensione veramente biblica:il ritorno degli esuli precede l'avvento del Messia nei Profeti, V.T .. La coscienza ebraicapone al Cristianesimo la questione imp ortan te: riconoscete questo segno? B. Per lui loStato d'Israele è un fatto teologico. Lo stesso P. Gregory Baum, (vedi più giù nel testo)nel suo libro Tbe Jews and tbe Gospel, 1961, p. 159 S. , nota saggiamente che il risortoStato d'Israele u è un affare secolare » che non riguarda le profezie bibliche suil'awenired'Israele.
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Ritorneremo su questo punto essenziale trattando del Vecchio
Testamento.
I1 Caprile ripropone le stesse tesi negli articoli La Sinagoga e laChiesa. I vincoli che uniscono Cristiani ed Ebrei, in Palestra del Clero64 (15 gen. 1985) 99-110.
Ecco in sintesi le enormità esegetiche e teologiche categoricamente
affermate . . . con veri a controsensi biblici D: Gesù << spacca in due
parti il popolo di Dio ».Di esse solo la maggiore formata da quelli che non credono
in Lui, conserva ora il nome di Israele ». É la Sinagoga. L'altra parte
è la Chiesa.
a Queste due parti del Popolo di Dio (!) sono tuttavia intimamentecongiunte D e marciano insieme sul binario, verso la meta additata da
Martin Buber.Con ogni probabilità, il Caprile s'ispira anche all'art. preparato
a suo tempo dal Card. Bea e poi fatto distribuire ai membri del Concilio,
e che ora la Civiltà Cattolica ripropone integralmente: quad. 3161,
6 marzo 1982.
Le osservazioni critiche, le precisazioni al riguardo di questo
articolo del Card. Bea, sono state opportunamente formulate da Mons.
Pier Carlo Landucci, La vera carità verso il popolo ebreo, in Renovatio,luglio-sett. 1982, pp. 349-362. Articolo esemplare, per l'esattezza teo-
logica che lo pervade. Lo riporteremo pertanto integralmente alla finedel nostro esame esegetico dei testi della Sacra Scrittura.
Lo stesso Mons. Landucci confutò egregiamente le accennate enor-
mità disseminate nell'art. di G. Caprile, La Sinagoga e la Chiesa. . .,nello studio accurato, apparso ancora in Renovatio (aprile-giugno 1985),
pp. 219-227: Ebrei e Cristiani.
Sempre tra gli Israeliti che hanno scritto sul nostro tema occupa
un posto preminente Jules Isaac, che, ben può dirsi, l'instancabile
patrocinatore del dialogo dei Cristiani con gli Ebrei. Abbiamo accennato
all'udienza concessagli da Giovanni XXIII e ai suoi rapporti col Card.
Agostino Bea; e come così ebbe inizio l'iter del documento conciliare
<< Nostra aetate » per quel che attiene al giudaismo.
Nato a Ronnes in Bretagna nel 1887, professore di storia per oltre
trenta anni nei licei e all'università, dopo la tragedia che colpì la sua
famiglia: la moglie e la figlia uccise in un campo di concentramento
nazista, si dedicò al problema giudaico e concretò il suo studio, le sue
ricerche nel libro Iésus et Israel, in 8", 585 pp., Paris 1984. Continuò
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quindi a perorare con grande tenacia, le sue tesi, in esso calorosamente
sostenute, fino alla sua morte avvenuta ad Aix-en-Provence nel 1963.
I1 libro fu tradotto in italiano dalla signora Ebe Finzi Castelfranchi:
Gesù e Israele, Nardini, ed., Firenze 1976, pp. 461;
dalla nuova edi-zione francese del 1970.
I1 grosso volume dopo la Premessa de L'Amicizia ebraico-cristiana
di Firenze (p. 5 ) ' reca la Presentazione dell'edizione italiana (p. 7-10),
ad opera del domenicano P. Pierre - M. de Contenson, segretario della
Commissione per le relazioni religiose con l'ebraismo; e la Introduzione
(p. 11-16) del prof. Albert Soggin della Facoltà Valdese di Teologia.
I1 Padre Domenicano tesse l'elogio di « questa opera . . . un veroe proprio 'classico' fra quelle opere che hanno contribuito all'instaura-
zione del dialogo ebraico-cristiano ». E ne fa espressamente la fonte
« degli insegnamenti di Nostra Aetate e degli Orientamenti del 1" dic.1974 da parte delle autorità centrali della Chiesa Cattolica D .
La fonte comune al Baum e al Card. Bea è appunto questo libro
di Jules Isaac.
I1 prof. A. Soggin, invece, fa anche cenno, nella sua Introduzione
ad « elementi meno positivi » presenti nel libro: « La problematicadell'Autore - crive ad es. a p. 13 ss.- quella della guerra e parte
quindi dalla spinta traumatica, sul piano generale come su quello perso-
nale, prodotta dai campi di sterminio »; . . . nei quali « si trovavano
anche migliaia d i cristiani D.Per comodità dei lettori, riportiamo qui brani significativi del
lungo accurato esame critico fatto dal ben noto esegeta il P. Pierre
Benoit nella recensione al libro dell'Isaac, nella prestigiosa Revu e Bibique
56 (1949) 610-613.
« Israele- intetizza P. Benoit - on ha rigettato Gesù; Gesù
non ha riprovato Israele; l'idea di un "deicidio" commesso dalla massa
del popolo giudaico e che l'avrebbe votato al castigo di una vita
errante tra i popoli, è un mito inventato dalla teologia cristiana e che
nonè
conforme alla realtà della storia; disgraziatamente ess*è
all'originedi un antisemitismo secolare e sarebbe tempo che la Chiesa reprimesse
queste affermazioni che han causato e causano le persecuzioni di
giudei innocenti . . .; questa è la tesi difesa in questo libro da Jules
Isaac. Egli la sviluppa in 21 proposizioni distribuite in quattro Parti ».Quindi passa all'analisi dei punti più significativi.
Le prirfie proposizioni « sfondano una porta aperta »; tutti sono
d'accordo: Gesù è nato giudeo, da una madre giudea . . . La nona pro-
posizione (o nono argomento della ed. it., pp. 68-89) invece afferma
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che Gesù non ha mai sognato di abrogare la legge mosaica. « Col sacri-
ficio della Croce- onclude il P. Benoit la sua risposta - esù ha
soppresso la Legge, come insegna magnificamente san Paolo (particolar-
mente cf. Gal . e Rom.) , e, quando la Chiesa primitiva ha sancito taleaffermazione per la sua universalità, l'ha fatto sotto l'azione dello
Spirito Santo, che non è altro che lo Spirito di Gesù: que M. Isaac
veuille bien accepter cette vue « théologique », essentielle à la foi chré-
tienne W .Ancora: non è vero che « la massa del popolo giudeo » ha rigettato
Gesù, per la buona ragione che la maggioranza di questo popolo si
trovava fuori della Palestina e che quelli che si trovavano in Palestina,
nella maggior parte, sentirono parlare di Gesù in maniera indiretta
e molto vaga (undesimo argomento, p. 107-111). Furono i capi i com-
ponenti del Sinedrio, che vollero la morte di Gesù a dispetto della
simpatia delle folle per Lui (pp. 112 e ss.) Cf. L'art. del Card. Bea e
la Dichiarazione Conciliare.
Ma questi capi- hiede il Benoit- on rappresentavano Israele?
I1 Sig. Isaac lo nega. A torto. « Essi di fatto detenevano l'autorità
spirituale d'Israele ( M t 23,2). La fable, si fable il y a, - ontinua a
ragione e con forza il P. Benoit - 'est-elle pas dans cette histoire
qu'on veut nous faire croire d'un peuple juif conquis et enthousiasmé
par Jésus, mais dépouillé malgré lui de ce Prophète par une clique de
politicards et de faux dévots, agissant sans mandat et contre ses inten-tions? Ma come spiegare allora che il popolo giudaico una volta passato
il primo momento di sorpresa, non abbia aderito a questo caro Profeta
che aveva ora l'aureola del Martire? Come spiegare che egli abbia
ratificato, com pletamente, in pieno, la sentenza dei suoi capi, opponendo
dappertutto, e questa volta mediante la massa dei suoi membri, in
Palestina e nella Diaspora, questa resistenza feroce alla Chiesa nascente,
continuando nei discepoli di Gesù l'opera di persecuzione a morte? B(p. 610 S. della Rev. B.).
Un'altra ragione addotta dallo Isaac, per cui il popolo giudaiconon ha potuto rigettare il Messia Gesù e commettere un « Deicidio ",è che esso non ha visto in Lui il Messia e ancor meno il Figlio di Dio,
(vedi ed. it., pp. 147-189).
Lo sostiene contro tutti i più autorevoli esegeti cattolici e prote-
stanti, usando degli evangeli sinottici " ad usum delphini D e negando
ogni valore all'evangelo di san Giovanni.
Pur limitandosi ai Sinottici, il P. Benoit così conclude: ' Ce que
personne ne peut ignorer, c'est qu'il (Gesù) se dit Envoyé de Dieu,
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qu'il le prouve par ses oeuvres . . . La folla giudaica che l'ha conosciuto
non ha potuto ignorarlo, ma volendo seguirlo quando ne aspettava
un trionfo, l'ha abbandonato quando ha visto la croce. Ciò non hanno
ignorato soprattutto i capi giudaici, ma non hanno voluto saperne diun Maestro nuovo e di una via nuova aperta a tutti. Abbandonato
dalla folla, rigettato dai capi, Gesù è stato veramente respinto dal suo
popolo, il popolo giudaico, anche se, o, piuttosto perché, questo popolo
non ha vo luto rinunciare a sé per credere in lui * (p. 612).
L'incomprensi6ne dell'Autore ebreo, a proposito del « segreto mes-
sianico » particolarmente nell'evangelo di Marco, e per il dramma del-
l'opposizione a Gesù dei capi e del popolo giudaici, è davvero totale.
Per la responsabilità piena dei Giudei per la condanna e l'esecu-
zione di Gesù, con la revisione critica delle fonti giudaiche e l'esegesi
accurata dei quattro Evangeli, in particolare del IV di san Giovanni,
del quale rivendico positivamente l'esattezza, il valore storico, vedi F.
Spadafora, Pilato, 1st. Pad. Arti Graf., Rovigo 1973, pp. 215. Altro
che « scritti parziali e tendènziosi », come li maltratta J. Isaac, per ad-
dossare la colpa ai Romani.
« I1 ressort bien des quatre évangeles que, si les Romains ont
ratifié et exécuté la sentence de mort de Jésus, c'est bien du c6té des
Juifs qu'elle est venue » (Benoit, p. 612).
Concludendo, il P. Benoit rileva che J. Isaac « parla di Gesù con
un rispetto e una ammirazione che toccano il cuore cristiano». E fa
voti che i cristiani ripetino le parole di Gesù: « Padre, perdona loro,
essi non sanno quello che fanno ». Mais cette prière meme maintient
en toute justice que leurs pères ont « fait » quelque chose de mal et
qu'ils on besoin de « pardon ». Ce pardon consistera pour eux à retrou-
ver, par la misericorde du Père, cette giace du vrai Messie Jdsus qu'ils
ont refusée quand elle leur était offerte ». (p. 613).
Del P. Benoit ancora sono le critiche sostanziali al libro del P.Gregory Baum, Jews and Gospel, 1961- ià cit.- ella lunga recen-
sione in Revue Biblique 71 (1964) 80-90.
Va infine notata la trattazione che del « problème redoutable >p
fa una giudea convertita, la sig.ra D. Judant, Les deux Israel. Essai
sur le m ystère du salut d'lsrael selon l'economie d e s deux Testam ents.
Ed. du Cerf, Paris 1960, pp. 249. Cf. la recensione del P. Pierre
Benoit, in Revue Biblique 68 (1961) 458-462.
« Rifiutando Gesù, Israele s'è diviso in due; la parte che ha
accettato il Cristo, è divenuta la Chiesa, il vero Israele, compimento
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del V.T. L'altra parte, che ha rifiutato il Cristo, con un peccato « col-lettivo », è l'Israele infedele, che ha perduto la sua elezione, i suoiprivilegi, come gruppo è al di fuori della salvezza, come gruppo s'intende,
perché ci è ignota la responsabilità di ciascun'anima individuale. Inter-preta quindi Rom. 11 di una conversione progressiva dei singoli, e nonnecessariamente della totalità dei giudei.
« Sarebbe illusorio e falso- crive il Benoit, p. 459- retendereche la seconda elezione del "nuovo Israele" ne resti intatta (per ilgiudaismo) e che l'Israele attuale conservi proprio tutti i suoi "privilegi",
come un altro "popolo di Dio", parallelo alla Chiesa, dal quale questadovrebbe attendere l'integrazione per disporre infine di tutti i suoi
mezzi di salvezza ». La predilizione d'amore da parte di Dio, nel pas-sato d'Israele, influisce tuttavia sul futuro del suo destino; assicuraalla sua conversione una risonanza particolare: se Dio si rallegra per
il ritorno del peccatore (Lc. 15,7) e del figlio1 prodigo (Lc. 15,32),cosa non sarà di questo prodigo: è il primogenito che riprende il suoposto nel focolare! (Rom. 11,15) . . .
Pertinente è l'osservazione della Judant a p. 152: « La carità è
inseparabile dalla verità, e noi (cristiani) abbiamo un dovere di verità
da compiere ».Spetta ad una sana esegesi, scevra da ogni accenno polemico, com-
piere questo dovere di verità nella carità.
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NOTE BIBLIOGRAFICHE
Testi utilizzati, per il nostro saggio esegetico.Oltre alle opere del P. M. J. Lagrange, già emunerate (a pag. 6):- ai miei scritti:- zechiele, Marietti, Torino 1948, (ed. 1951-1970), pp. 357; trad.
dal testo critico originale e grande commento.- ollettivismo e Individualismo nel Vecchio Testamento, Rovigo1953, pp. XXIV-398. I1 voliim è dedicato ai RR.mi P. Bea e Vaccari chehan diretto il lavoro, presenrato come tesi di laurea. È essenziale per laesegesi del V.T. la retta comprensione della berit - G c a ~ x q : atto o alleanzatra Jahweh e il popolo d'Israele, con il vigente principio della solidarietàcollettiva, nei libri storici e in quelli profetici, che ne illustrano la natura;precisano l'idea del u resto W ne stabiliscano le fasi e il passaggio alla u nuovaalleanza opera del Messia, cui tende e termina tutto il V.T. (Vedi ancora
nel nostro Dizionario Biblico (3' edizione: ed . Studium, Roma 1963, allevoci Alleanxa . . . Messia-Profeta-Profetismo . .).- Profeti, volume di 353 p., Padova 1965; ristampa 1970.
Per il N.T.:- ilato, 1st. Pad. Arti Grafiche, Rovigo 1973, pp. 215: esame criticodelle fonti giudaiche; storicità del IV evangelo; responsabilità piena deiGiudei per la condanna e la crocifissione di Gesù.- a Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed. Rogate,Roma 1982, pp. 334; presenta la vita e l'insegnamento di Gesu: rapportocol V.T. nel Discorso del Monte e con i Farisei.- . Paolo alla conquista dell'impero, ed. Volpe, Roma 1983: per
il nostro tema, Cristianesimo e Giudaismo, in particolare nella lettera aiGalati e in quella ai Romani, col riferimento essenziale al Concilio di Geni-salemme ( A t t i 15).
Per la teologia del V.T., in particolare:- . von Imschoot, I Dieu; I1 L'Homme, Desclée, Paris-Roma, 1954,pp. 273; 1956, pp. 342.- dmond Jacob, Delachaux-Niestlé, Neuchatel - Paris 1955, pp. 287.- aul Heinisch, Cristo Redentore nell'A. Testamento, tr. it., Mor-celliana, Brescia 1956, pp. 349.- Walter Eichrodt, vol. I, Dio e il popolo, Paideia editrice, Brescia,2' ed., 1976, pp. 538.
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Per la berit, notevole il contributo di Andrd Neher, Am os. Contributionà l'étude du prophétieme, J. Vrin, Paris 1950, pp. 299; nelle pp. 34-48e 151 S.- Angelo Penna, Il Messianismo nel libro di Geremia, nel volume
Il Messianismo (Atti della XVIII Settimana Biblica), ed. Paideia, Brescia1966; pp. 147-157, la nuova alleanza; e nelle pp. 172-174: l'alleanza nel N.T.- G. Quell, 61,a9-i)xq berjt, car. regolare Theologisches Worterbuchzum Neuen Testament, 11, coll. 106-132 nella tr. it., vol. 11, fasc. IV,~011.1017-1078;- . Behme, nel V.T., 11, 132-138; tr. it., 11, coll. 1078-1094. Ancora,W. Guthrod, v. Israel, vol. 111, col. 389 S. e nella tr. it., vol. IV, fasc. 4,col. 1184 ss.
Per la teologia del Nuovo Testamento.- oachim Jeremias, Teologia del N. T. , vol. I, La predicazione di Gesù,Paideia, Brescia, tr. it., 2' ed., 1976, pp. 391, In particolare, u Il santo resto N ,
p. 198-201.Per S. Paolo:- erdinand Prat, s.j., La Théologie de S . Paul, I, G. Beauchesme,
Paris 1908, pp. 604.Nelle pp. 556 S. propone la sintesi prospettiva del contenuto della lettera
ai Romani; nelle pagine 353-369: Le scandale de la réprobation des juifs,esegesi di Rom, 9-11.
E nella parte 11, ivi, 1912, 579, ritorna sull'argomento nelle pp. 318 ss.,sempre per Rom. 11,28.
L'opera ha avuto ed. successive ed è stata- radotta anche in italiano.- . B. Colon, Paul (sa int ); nel Dictionnaire de Théologie Catholique,XI-2, Paris 1932, coll. 2330-2490.
I1 rapporto Cristianesimo e Giudaismo è trattato fin dall'inizio, nellaintroduzione, col. 2330 e specificamente nelle coll. 2355-2364: dalla con-versione al Concilio di Gerusalemme; e, quindi, dettagliatamente nel paragr.IV: « Il Concilio di Gerusalemme e la lettera ai Galati o la salvezza peropera di Gesù Cristo senza la Legge N, coll. 2364-2388. Con bibliografiaaccurata, generale (col. 2333 S.) e per ciascun paragrafo.- osé M. Bover, s.j., Teologia de S. Pablo, BAC, Madrid 1946,pp. 952; in particolare C. VI La reprebaciòn de les judios, pp. 234-251.- oseph Holzner, L'Apostolo Paolo, tr. it., Morcelliana, Brescia, 5'ed. 1961, pp. 597; cf. IV u La lotta per la libertà, Concilio Apostolico m,
pp. 153-173 e p. 278 S.- . Charne, L'incrédulité des Juifs dans le Nouveau Testament,Gembloux 1929.
Per i commenti ai Libri Sacri. Collezioni per la Bibbia intera:- tudes Bibliques, della Ecole Biblique di Gerusalemme, ed. Gabalda,Paris (dal 1900 in poi), oltre al Lagrange, op. cit., E. - B. Allo, 1 e 2 Cor;Ceslau Spicq, Lettere Pastorali; Hebr.- a Sainte Bible, L. Pirot (+ 1939) - Albert Clamer, ed. Letouzeyet Ané, 12 volumi; l'ultimo 1'Exode del Clamer è del 1956. Per il N.T.:D. Buzy, L. Marchal, F. M. Braun, A. Viard, C. Spicq, J. Renié, A. Charue...
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- lberto Vaccari, La Sacra Bibbia, ed. Adriano Salani 1961; volumedi 2412 pagine; ottima traduzione dagli originali e commento sintetico,perfetto.- a Sacra Bibbia, S. Garofalo - Giovanni Rinaldi, ed. Marietti,
Torino-Roma dal 1947 n poi: il nostro Erechiele, già cit.; P. De Ambroggi,Epist. Cattoliche; P. Teodorico da Caste1 S. Pietro, Hebr.; Vincenzo Iacono,Rom.; Gal.; 1 e 2 Cor.; P. Francesco M. Uricchio - P. Gaetano M. Stano,Vangelo secondo San Marco . . .- iblia Comentada dei Padri Domenicani « Profesores de Salamanca »in 7 volumi, BAC, Madrid 1960 1965: A. Colunga; Max. Garcia Cordero;Manuel de Tuya per gli Evangeli; Lorenzo Turrado per Act. e lettere paoline.- a Sagrada Escritura dei Professori della Compagnia di Gesù, dal1961 in poi, BAC, Madrid; commento denso, critico, sicuro; sotto la dire-zione del P. Juan Leal, che ha inoltre commentato ottimamente Lc. e Giov.,Evangelios, 1961; Antiguo Testamento, I, Pentateuco, con Félix Asensio;
S. Bartina; Rafael Criado, 1967 . . .Per il Nuovo Testamento soltanto:-Verbum Salu tis (manca 2 Cor.), Beauchesne, Paris, 16 vol., l'ultimo
Apoc. è del 1951. Edizione italiana, editrice Studium, Roma. Joseph Huby,A. Boudou, J. Bonsirven.- l Nuovo Testamento Commentato, Alfred Wikenauser - Ot to Kuss ,ed. F. Pustet, Regensburg. Tr. it. sotto la dir. del P. Giovanni Rinaldi, ed.Morcelliana Brescia, dal 1956 in poi: Jo seph Schm id, Mt., Mc., L uc.;A. Wikenauser, Act. ; J. Milch, Lettere Cattolice.
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ESEGESI DEI TESTI
Un ottimo esegeta protestante, Ph. -H . Menoud, nel 1952, haofferto in una sintesi, lodevole per obiettività teologica ed elevatezzadi sentimenti, una risposta alla domanda: « Quando e perché si è
stabilita tra i fedeli del Cristo e i Giudei questa rivalità che dovevacondurre alla separazione e alla lotta aperta? » ( l )
L'autore dimostra (cap. 1 ) come si conciliano nel Nuovo Testa-mento, in S. Pietro (discorsi negli Atti degli Apostoli), in S. Paolo,in S. Giovanni, " Amore d'Israele e anti-giudaismo ". Questa dupliceattitudine, finemente analizzata negli scritti del Nuovo Testamento, nonha nulla di contraddittorio. La Chiesa primitiva resta sostanzialmenteattaccata ad Israele, dal quale ha coscienza di ricevere la salvezza permezzo di Gesù Cristo. Essa si separa, con dolore, dai Giudei contem-
poranei, solo perché questi si rifiutano di credere a questa realizzazionenel Cristo della salvezza promessa. " L'anti-gudaismo della Chiesa nonè sentimentale - ome quello del mondo greco-romano -; è dot-trina e non passione; ha la sua radice in un conflitto teologico » (p. 22).
E questo (cap. 2) non per intransigenza di persone; è ad esseinvece imposto, a dispetto dei loro desideri di conciliazione e delleloro prime illusioni, per le stesse esigenze della loro fede. « I1 puntodi rottura tra Cristiani e Giudei è la cristologia della Chiesa » (p. 33).
Non solo Gesù è il Messia atteso dai Giudei; è « il Signore», di
natura divina, per mezzo del quale soltantoè
ormai data la salvezzagià promessa ad Israele. La sua venuta e la sua opera rendono caduche
le economie provvisorie della Legge e del Tempio. Ma nello stessotempo le « compiono
(1 ) L'opuscolo di 53 pagine s'intitola LJEglise naissante e t le juda'isme, (Etudesthéologiques et religieuses, XXVII, ) , n V,Montpellier 1952. La sintesi da noi riportatanel testo è sostanzialmente del P. Pierre Benoit, nella sua recensione in Reuue Biblique61 (1954) 134-136: Cristianesimo e Giudaismo.
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In piena buona fede la Chiesa si ritiene « il vero Israele » ( I )
e rivendica il passato di popolo eletto ripensandolo alla luce del Cristo.
« La fede cristologica della Chiesa la porta . . . ad una interpretazione
cristologica di tutta la storia della salvezza » (p. 42).
Se essa ha espressioni sempre più nette e recise in san Paolo sul
piano giuridico, nella lettera agli Ebrei sul piano liturgico e in san
Giovanni che ne fa la sintesi, questa convinzione teologica non ha nulla
pertanto di una elaborazione tardiva dovuta a queste personalità;
ha la sua fonte nell'essenza stessa del messaggio cristiano e risale
all'insegnamento di Gesù medesimo. Si può parlare soltanto di presa
di coscienza progressiva di una separazione radicale che era in germe
nella fede cristiana originaria e che si è imposta a poco a poco, mal-
grado i sinceri desideri di conciliazione e non senza strazio di cuori.
In tal modo « spogliato del suo patrimonio teocrito e di tutti i suoi
privilegi » (p. 39), è fatale che il giudaismo si sia opposto sempre più
violentemente al popolo che lo soppiantava. Messo fuori dalla salvem
per il suo ri fiu to d i credere al Cristo, esso diveniva il nemico della
Chiesa per il fatto stesso della fede cristiana.
Presentandosi come il vero Israele, la Chiesa rivendicava davanti
alle autorità romane i privilegi di « religio licita » da esse riconosciuti
ai Giudei (cap. 3); ma questi glieli contestavano.
Raccontando queste contese, gli Atti degli Apostoli sviluppano
forse una « tesi D, ma che è giustificata. Su questo piano politico, ilconflitto finì con una vittoria del giudaismo: a partire del I1 sec.
(Plinio), il cristianesimo appare al potere come una religione nuova,
che viene perseguitata. (La distruzione di Gerusalemme, predetta solen-
nemente e così chiaramente da Gesù N. Signore, segnò agli occhi di
tutti, la netta differenza tra i cristiani ed i Giudei).
E dal piano teologico si arrivò ad una separazione completa.
(Si pensi al Sinodo giudaico di Jamnia, a. 80 a.C.). Né poteva essere
altrimenti.
«
I1 conflitto non può cessare che mediante la restaurazione dellaunità d'Israele, cioè mediante il ritorno del cristianesimo al giudaismo,
con l'abbandono della fede cristologica, o mediante la conversione
d'Israele, con l'abbandono della incredulità verso il Messia Gesù W
(P. 52 ) .
(2 ) Cf.Th.W.z.N.T., voce Israel, di W. utbord: vol. 111,col. 388 ss.; tr. it., vol. IV,fasc. 4", coli. 1183-1189.
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I1 P. Benoit commenta: a La Chiesa spera quest'ultima soluzione,
al seguito di san Paolo. (E secondo tutta la rivelazione).a I1 Menoud non minimizza il conflitto e non lo riduce alle pro-
porzioni di un deplorevole malinteso che oggi bisognerebbe dissipare,
come (purtroppo) fa una apologetica più generosa che ben fondata. (3 )
Mantenendo a questo conflitto le sue tragiche dimensioni, egli non
cerca affatto di gravare sui Giudei; sottolinea soltanto questa distin-
zione radicale cosi importante e talvolta dimenticata, tra l'Israele
autentico delie promesse che la Chiesa impersona e continua, e il
popolo giudaico contemporaneo di Gesù, che essa ha dovuto lasciare.
(E l giudaismo, ancora oggi, << nemico a Dio a motivo dell'Evangelo »
Rom. 11,281. Con questa sincerità esegetica e teologica, il Menoud
non fa che mettere nella sua vera luce la posta del doloroso conflitto
e rendere più desiderabile, perché pii+ lealmente percepita, la solasoluzione che essa può ricevere: il ritorno dei Giudei alla fede al
Cristo, Gesù Uomo-Dio, Nostro Signore ».
L'opuscolo di Ph. H. Menoud puntualizza la essenza del contrastoinsanabile tra Cristianesimo e Giudaismo, come A. Charue l'aveva
fatto nella sua tesi ,ben nota. L'incrédulité des Juifs dans le Nouueau
Testament a, Gembloux 1929.
Ecco il suo commento, ne La Ste Bible, Pirot-Clamer, XII, Paris
1938, p. 533 S., ai vv. 22-23 della 1' lett. di S. Giovanni, cap. 2:
a Chi è il bugiardo, se non chi nega che Gesù sia il Cristo? Questi èl'anticristo: colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio,
non ha neppure il Padre; chi confessa il Figlio ha pure il Padre ».
<< Chi è il bugiardo tipico, l'eterodosso senza confronto, se non
colui che nega che Gesù sia il Cristo? I1 Cristo o Messia cristiano, la
cui personalità è essenzialmente divina. E così un tale mentitore è
l'anticristo, giacché incarna l'opposizione radicale al dogma fonda-
mentale del cristianesimo. Questi falsi dottori (vv. 18-23) negavano
a Gesù la sua trascendenza di Figlio di Dio e questo rapporto essen-
ziale col Padre, professato dalla grande Chiesa.
a L'errore cristologico include dunque, nota san Giovanni, un
errore trinitario; negando il Figlio, essi negano il Padre. Ed è anche
una chiara dottrina del IV Evangelo che il Padre non è conosciuto
che nella manifestazione del Figlio e che la nostra attitudine verso il
Figlio non può dissociarsi dalla nostra attitudine verso il Padre: cf.
(3 ) Cf. ROMANO MERIO,Zota unum. C. 16 « I1 diaologo » pp. 304314; e C. 35
u L'Ecumenismo», pp. 464-490. Milano-Napoli, 1985.
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Giou. 1,18; 5,23; 10,30; 14,623; 15-23. E già Mt. 11,27; Lc 10,22
i1 celebre loghion: « Ogni cosa a me fu data dal Padre mio, e nessuno
conosce il Figliuolo, se non il Padre; né alcuno conosce il Padre, se
non il Figliuolo, e colui al quale il Figliuolo voglia rivelarlo ". (Mt.).
« Così l'eretico che nega il Figlio non ha alcuna comunione con
il Padre, sebbene lo pretenda. Colui che possiede il Padre ed è in
vera comunione con Lui, è unicamente il fedele che confessa il Figlio ».
Lo stesso afferma san Paolo dei Giudei persecutori dei cristiani,
essi « non conoscono Iddio e non obbediscono all'Evangelo del Signor
Nostro Gesù ». (2 Tess. 1,5-8).
La fede cristologica della Chiesa illustra ed intende alla sua luce
tutta la storia della salvezza e questo spiega l'amore della Chiesa
primitiva per Israele D. (Menoud)
L'è che Gesù Nostro Signore realizza il piano divino di salvezza,
preannunziato e preparato da tutto il Vecchio Testamento; compie
l'alleanza di Dio con Israele, l'antica alleanza, inaugurando la nuova
« nel suo sangue B (1 Cor . 11-25), secondo il vaticinio di Geremia
(31,31-33): a Verranno giorni, nei quali stringerò con Israele e Giuda
un'alleanza nuova - ice il Signore -. Non come il patto che ho
stretto con i loro padri, quando li trassi dall'Egitto, patto da essi vio-
lato. Ma, nel nuovo, porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro
menti. . . E tutti, piccoli e grandi mi riconosceranno. Perdonerò laloro niquizia » (Cf. Hebr. 8,6-13).
Ben sintetizza un esegeta moderno (4): « Nei Sinottici la massima
importanza spetta alle parole pronunziate da Gesù nell'ultima cena:
Mc. 14,24; Mt. 26,28 che in Paolo (1 Cor. 11,25) suonano <( questo
calice è la nuova diatéche (alleanza) nel mio sangue (da cui dipende
Lc. 22,20 ...).
Questo calice D, ossia il vino che esso contiene, è, in virtù del
mio sangue, la nuova diatéche. I1 sangue, cioè la morte, di Gesù
instaura la nuova diatéche. Bisogna riconnettere l'espressione di Gesù
a Ger. 3 1,31 ss., dove il concetto è posto in antitesi alla diatéche costi-
tuita col sangue sul Sinai dopo la fuga dall'Egitto. (Ex . 19-24): « Gesù
ha considerato la sua attività messianica, che si conclude con la morte,
come adempimento della profezia della diatéche escatologica. Non
" estamento" di Gesù, ma "disposizione", "statuto" (nuova economia)
(4 ) J. BEHM, nel Th.W.z.N.T., &a voce Diatéche, 11, col. 132 S. ; nella trad. it.vol. T,asc. 4", coll. 1080 ss .
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disposti da Dio nella storia, la cui differenza sostanziale si scopre con-
siderando qual è lo "stato" da esse instaurato: da una parte, la schia-
vitù giudaica sotto la legge; dall'altra, la libertà cristiana dei figli di
Dio ( G a l . 5 , l ; 4,6 S.; Rom. 8,15; 2 Cor. 3,17). 11 concetto vetero
testamentario di diatéche viene ripreso con la chiara coscienza che
un aspetto determinante del suo contenuto è l'iniziativa unilaterale
di Dio e la validità vincolante per coloro che I'accolgono. Così concepita
la diatéche diviene, nelle mani di Paolo, un'arma nella battaglia che
egli comb atte per affermare la superiorità del cristianesimo sul giu-
daismo e un pilastro della nuova teologia della storia. Due diatécai,
una sola divina volontà che guida la storia della salvezza e trova la
sua definitiva rivelazione in Cristo, il quale è del pari télos nòmu- ine della legge- R o m . 10,4) e adempimento di ogni promessa
(2 Cor. 1'20). Così ancora neila Lettera agli Ebrei n.
A questo punto è bene presentare in sintesi l'origine, la natura
e il fine ultimo della be'rit (in ebraico) diatéche, alleanza, patto nel
Vecchio Testamento.
Amos 3'1 s. « Voi siete i soli che con amore io scelsi - ice
Iahweh a Israele - ra tutte le famiglie della storia ». (6)Già dopo il diluvio, con Noè, rappresentante della nuova umani ,
Dio aveva stabilito un'alleanza ( G e n . 9-10). I1 Vecchio Testamento,preparazione al Cristo, risuona tutto dell'alleanza di Dio con Israele;
l'alleanza per eccellenza; tutta la storia d'Israele è un frammento della
storia divina: Dio e Israele, se così è lecito esprimersi, lavorano aduna medesima opera. I loro rapporti sono espressi e regolati dalla
alleanza. È un insieme armonioso che si sviluppa e determina in un
(6) Vedi ANDRÉNEHER, mos. Contrabutzon à l'étude du prophétisme, Paris 1950:La Berith, pp. 34-58. La letteratura sull'argomento è molto vasta. Alcuni testi: L.G. DA
FONSECA,iatéche foedus an testamentum?, in Biblica 8 (1927) 31 ss.; 161 ss.; 290 ss.;
418 ss.; 9 (1928) 26 ss.; 143 ss.; J . BEHM,Th.W .z.N.T., 11, pp. 106-137. F. SPADAFORA,Collettivismo e Individualismo nel V.T., Rovigo 1953; F . ASENSIO, ahveh y su pueble(Analecta Gregoriana, 58 ), Roma 1953; Th.C. VEZIEZEN,ie Erwalung Israels nach denAlten Testament, Zurich 1953; P. van IMSCHOOT,héologie de llA.T., I, Paris-Tournai1954, pp. 237-270; CLAUDE RESMONTANT,aint Pauf et le mystère du Christ, Paris1956: la genèse du peuple de Dieu, pp. 64-83; ST. PORUBCAN,l patto nuovo in 1s. 40-66(Analecta Biblica, 8) , Roma 1958; ST . LYO NNE T,sraele, Chiesa, Cristo, in Il Messianisrno,Paideia, Brescia 1966, pp. 359-386; J . COPPENS,a nouvelle Alliance en Jer. 31,31-34,in CBQ 25 (1963) 1221; ANNIEJAUBERT,a notim d'alliance dans le Judaisme auxabords de l'&re chrétienne, éd. du Senil, Paris 1963; F. SPADAFORA,izionario Biblico,ed . Studium, 3O ed., Roma 1963, v. Alleanza, pp. 17-22.
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trittico: una triplice alleanza o tre forme di un'unica alleanza; ogni
parte illumina più immediatamente e direttamente ciascuno dei tre
lunghi periodi che le corrispondono.
L'alleanza con Abramo - eriodo patriarcale, da Abramo a
Mosè; l'alleanza con Israele al Sinai, tramite Mosè - all'esodo aDavid; l'alleanza con David (e perciò con la tribù e quindi col regno
di Giuda), preparazioni immediata al Messia. Dio ha l'iniziativa asso-
luta, sempre: scelta, elezione e vocazione di Abramo (Gen. 12,l -4);
del popolo d'Israele: Ex. 19,20; Am. 3'1 s; Ez. 16 ecc.; di David
(2 Sam. 7,8 ss ); quindi formulazione precisa degli impegni reciproci;
accettazione da parte dell'eletto; sanzione e ratifica.
L'alleanza con Abramo, inaugurata solennemente, Gen. 15, rimar-
rà presente in tutta la tradizione giudaica e cristiana (Lc. 1,53, 73;
Gal. 3; Rom. 4). Dio s'impegna a fare della discendenza di Abramouna nazione, destinandole la regione di Canaan (=terra promessa);
di farne il veicolo della salvezza (fonte di benedizione) per tutte le
genti (Gen. 12,2; 15; 17; 18,8); da parte degli eletti, Dio esige il
culto esclusivo (monoteismo), l'obbedienza ai suoi voleri (Gen. 17 l ;18, 19 ecc.). Nel nome nuovo, dato da Dio ad Abramo (Abraham),
era indicata la promessa di Dio (=padre di una grande moltitudine)
e insieme la missione per cui egli era scelto: padre di tutti i credenti
(Gen. 17,5).
Anche l'alleanza del Sinaiè
preceduta dalla vocazione di Mosèe della molteplice manifestazione della onnipotenza di Dio (Ex. 1-18)
a favore delle tribù israelitiche, dimoranti in Egitto. Esse sono le eredi
delle promesse divine, sancite nell'alleanza con Abramo; l'alleanza del
Sinai (Ex. 19-24), con la formazione d'Israele popolo-nazione, compiela prima promessa di Dio nell'alleanza con Abramo, precisandola e
dandole un nuovo impulso: ha inizio la nuova cooperazione tra Dio e
la nazione.
Libera elezione di Israele a suo popolo, da parte di Jahweh (Ex.
19,4-6); obbligo, liberamente accettato dalla nazione, del monoteismo
e dei precetti morali, contenuti nel Decalogo (Ex. 20,l-17; Deut.
5'6-21).La sanzione è aggiunta al primo precetto: << Non avere altro Dio
di fronte a me; perché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso
che punisco l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza e quarta gene-
razione di coloro che mi odiano; ma uso clemenza fino alla millesimagenerazione verso coloro che mi amano ed osservano i miei precetti P.
(Ex. 20,2-6; Deut. 5,9 S.; cf. Ex. 34,6 S. 14; Num. 14,18).
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I1 senso esatto è il seguente: « I o punisco l'iniquità de i padri
sui figli, fino alla terza e quarta generazione, dei padri, cioè, che miodiano; mentre estendo indefinitamente la mia benevolenza sui discen-denti di coloro che mi amano ». Le generazioni che discendono da
una generazione prava subiranno il castigo meritato da quella. I1
termine « padri » sta qui per « generazione precedente »; si tratta delprincipio della solidarietà nazionale; l'alleanza è contratta dalla nazione,come tale; quindi è naturale che la sanzione contro la trasgressionedel patto, sia rivolta alla collettività come tale e sia adatta, adeguataad essa. I1 castigo di Iah we h, per la violazione del pa tto da pa rte delpopolo, può non essere immediato; Egli può rimandarlo ad una dellegenerazioni successive; è certo però che verrà; d'altra parte, il premioper l'osservanza dell'alleanza avrà una estensione longanime, indice
eloquente della infinita misericordia del Signore.Come i beni promessi (Ex . 23, 20-23) alla nazione, sono collettivi,
cosi i castighi minacciati in Ex. 20,5: fra tutti, il più grave è l'espul-sione dalla terra promessa, la fine, sia pure temporanea, della nazione,l'esilio. Cf. Leu. 26; Deut. 28.
Ex. 20'5 S., riguarda dun que direttam ente la solidarietà nazio-nale: tutta la nazione è un vivo organismo ed è pertanto consideratacome una persona. In tale organismo è naturale che la sorte dei membrisia inscindibile. Mentalità tipicamente semitica. Tutti concorrono al
bene come al male; tutti egualmente partecipano del premio e delcastigo; e come su un organismo i disordini o la morigeratezza delpassato influiscono sullo stato di salute del presente, cosi sulla nazionei meriti e le colpe delle passate generazioni; tanto più che si trattadi responsabilità morale e il contraente dell'alleanza è l'Eterno, giudice
supremo.
Perciò l'importanza data dalle fonti bibliche alla giustizia, alla
fede di Abramo (Gen . 12 ,l-7 ; 13,14-17; 1 8,18 S.; 21,12 S.; 22,15-18),alla fedeltà d'Isacco, di Giacobbe (Gen. 26,2-5; 35,9 -12) , alla santità
di Mosè (Ex . 1 7 , l l - 1 3 ; 3 2 ,9 S. specialmente v. 13; Num. 11 , l S . ;21,5-9); per David, 2 Sam. 7,13-29; Ps. 89,27-38.
I Rabbini insisteranno tanto, ed a ragio ~ie, ui « meriti dei padri >p.
I n Gen . 18,19 si rileva come il bene - ia pure di pochi - uperiquanto ad efficacia, al cospetto e per la misericordia del Signore, ilmale, sia pure di molti, nella medesima collettività.
Fonte di benedizione collettiva, la solidarietà nazionale può dive-nire, naturalmente, causa di rovina. Specialmente per le colpe dei
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capi, dei sacerdoti... 7) . Ciascuna generazione riceve la sua improntadalle personalità più rappresentative che ha in grembo.
La sanzione dell'Esodo riguarda la rottura del patto per la vio-lazione del suo precetto fondamentale: il monoteismo, da parte dellanazione. La sanzione ebbe la sua attuazione completa, 1' nella distru-zione del regno di Samaria e 2" specialmente nella distruzione delsuperstite regno di Giuda, con la deportazione dei prigionieri.
È importante, infine, per l'esegesi esatta di Rom. 11,28-29, rile-
vare il rapporto tra castigo e premio, nella sanzione del patto. Comeben fa il Médebielle neil'art. cit., in nota: 4 Da questo duplice aspettodella soldarietà (in bene e nel castigo), risultano due conseguenzeapparentemente contraddittorie: da un lato i meriti di Abramo, Isacco,Giacobbe, accresciuti... dalla santità di tanti pii servitori di Dio, assi-
curano ad Israele, una eredità di benedizone. Dall'altro, a motivo dellemolteplici prevaricazioni, le quali vanno aumentando di secolo in secolo,la maledizione divina, meritata dai padri, dovrebbe colpire i discendenti.
« Ma non c'è affatto parità tra le due eredità . . . Prima di tuttobisogna fare i conti con la misericordia di Dio. Così la misericordiadivina sta alla giustizia qualcosa come mille sta a quattro! Questecifre in realtà mettono la bontà divina al disopra di ogni valutazione.
Altro motivo . . ., portato già dalla sua natura alla liberalità eal perdono (Ex. 34,6), Dio si è degnato impegnarsi senza riserva né
condizione con Abramo e la sua posterità, come con David e la suadiscendenza, e rimane legato dalla sua parola . . . Dio ha promessodi non dimenticare mai i meriti dei patriarchi, malgrado I'indignità deiloro discendenti » (')
L'alleanza con David (2 Sam. 7; 1 Par. 17; Ps. 88 (89) è ordinataal compimento del piano divino di salvezza: il regno di Iahweh sullaterra: su tutti gli uomini ad opera del Messia, che uscirà dalla discen-
denza di David (cf. Ps. 2; 110; 89,28-38). La profezia di Nathan
è di una grande importanza nello sviluppo delle idee messianiche ed
ha un'eco immensa nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Essa annunciache il Messia sarà figlio di David (1 Par. 17, l l ; Is. 9,6; 11,l; G e r .
(7 ) Cf. A. MÉDEBIELLE,. Expiation nel Dict. de la Bible, Supplém., 111, (1938),coll. 82-86.
( 8 ) Per l'analisi esegetica di Ex. 19-20, con la dimostrazione di quanto ho riportatoqui sopra, vedi il citato Collettivismo ed Individualismo nel V.T. , pp. 166-192. Per ilprincipio di solidarietà collettiva, pp. 121-164 e, in particolare, nelle pp. 192-258: ilcollettivismo nell'attuazione, prima dell'esilio e nei libri profetici; quindi, pp. 259-313,dopo l'esilio; i n tutto il V.T.
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23,5 ecc.), re d'Israele e il suo regno sarà eterno ( P s . 89,37; M t. 1;
Lc. 1,32 S.).(^)
I profeti scrittori, che dal sec. VI11 a Malachia riempiono la
storia d'Israele, riprendono la triplice forma dell'alleanza, sviluppando
col messianismo l'ultima rivelazione fatta a David: essi danno, talvolta
sistematicamente ( E z . 14.15.20.22.23) la teologia dell'alleanza, illu-
strandone la natura, le caratteristiche e rifacendone la storia.('')
Israele ha violato gli statuti del patto, subirà pertanto la sanzione:
anche il regno di ~ i u d a on ~e rusa le mm e arà distrutto; i superstiti
deportati in esilio. Ma l'alleanza non può perire. I1 disegno salvifico
di Dio sarà realizzato dalla sua onnipotenza e infinita misericordia,
mediante la conservazione e la conversione di un << resto D, attraverso
la tribolazione dell'esilio ( 0 s . 2; G e r . 7,23; 30-31=la nuova alleanza
[ = 1 Cor. 11,25; Hebr. 8,8-131; Ez. 11,20; 36; 37; Is. 40-66). Con
questo << resto », riportato in Giudea, Iahweh rinnoverà l'alleanza;
il rinato Israele ne adempirà gli obblighi. Questa risorta alleanza sarà
eterna, perché sarà elevata ed assorbita nel regno del Messia: l'opera
redentrice di Geszì: la nuova alleanza sancita col suo sangue. L'antica
alleanza è soltanto preparktoria; è in funzione del Messia: Is. 7,14-25;
8,8 ss. 23; 9,l -6; 11 ecc.; i profeti descrivono l'era messianica come
completamento della prima alleanza antica e come definitiva: vedi
G e r . 31.
Dio preserva Israele e poi la dinastia davidica, per la prepara-zione e la venuta del Messia. Cosi si spiega il particolarismo dell'alleanza
del Sinai, che d'altronde è solo una fase, un aspetto dell'alleanza di
Dio con Abramo; e a partire da David lo sviluppo del messianismo
e i ripetuti accenni alla universalità della salvezza per tutti gli uomini:
Is. 2,2 ss.; M i. 4,l-5; Ez. 16,60-63 e in particolare 1s. 40-66.
Queste stesse idee svolgeranno concretamente e in modo sempre
più distinto i libri postesilici: storici, profetici e sapienziali; in parti-
colare il libro di Daniele.
L'accentuato particolarismo giudaico insorge e si accentua nellaletteratura apocrifa (sec. 11-1 a.C.). Causato dall'oppressione seleucida,
dalla triste fine della dinastia Asmonea e dall'intervento di Roma,
esso attribuisce al Messia, re vittorioso e conquistatore, scopi essen-
zialmente nazionalistici e temporali, di rivalsa sulle genti. Particola-
(9) L. DESNOYENS,istoire du peuple hébreu, 111, Paris 1930, pp. 305-316; A. MÉ-DEBIELLE, ne La Ste Bible, L. Pirot - A . Clamer, 111, Paris 1949, pp. 490-495.
(IO) Cf. nel u Dizionario Biblico da me diretto, 3' ed., ed. Studium, Roma 1963,le voci Messianismo e Profetismo.
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rismo che si ferma all'alleanza del Sinai, escludendo dalla salvezza le
genti. I1 Giudaismo credeva che il libro di Daniele (cc. 2.7-9.12) con-
fermasse il suo sogno di impero, assimilando in tutto il regno « dei
santi » agli imperi che nella visione lo precedevano.(")
I1 Messia, quale nuovo Alessandro, avrebbe sconfitto, in una
grande battaglia, i Romani e avrebbe dato l'impero ai Giudei. I1 Messia
fu considerato, in modo prevalente, se non esclusivo, come un re guer-
riero e conquistatore. Furono affatto ignorati il perdono dei peccati,
la redenzione e negati in modo deciso i patimenti del Messia: cf. G i o v .
6,15; 18,34 ss.
Mentre negli apocrifi il Messia presenta ancora caratteristiche
soprannaturali e divine, i rabbini lo assimilarono ad un puro uomo,
anche se adorno dei doni dello Spirito di Iahweh; non vedevano come
salvare altrimenti il dogma del monoteismo.(12)Tutti ammettevano la sua discendenza da David (cf. M t. 22,
41-46); Egli sarebbe apparso improvvisamente (6 . i o v . 7,27); sarebbe
stato presentato e consacrato da Elia (cf. M t. 17,lO).
L'interpretazione giudaica non poteva allontanarsi in maniera più
stridente, dall'opera redentrice del Messia, venuto « non ad essere
servito, ma per servire, e a dare la Sua vita in riscatto per tutti gli
uomini » ( M t . 20,28).(13)
Era invalsa tra i Giudei la persuazione che la loro comune cre-
denza sulla venuta di un personaggio straordinario della loro stirpe,che sarebbe intervenuto per conquistare a Iahweh il mondo e reggerlo
in Suo nome, derivasse fin dal tempo dei più antichi profeti. La rive-
lazione sul Messia e la sua opera era ricca di vari elementi, non facil-
mente armonizzabili, per una esegesi non illuminata dalla luce della
realizzazione in Gesù Nostro Signore; come rileva il Lagrange, nella
conclusione del suo prezioso volume, Le judaisme ayant Jésus-Christ
(Paris 3, 1931), pp. 587-591.
È quello che san Paolo rileva, riflesso della sua personale espe-
rienza, nella 2' Cor. 3,6-18.« Ogni nostra capacità viene da Dio. È lui che ci ha resi capaci
di essere ministri del Nuovo Testamento (cainé diatéche - nvova allean-
za, nuovo patto), non della lettera materiale, ma dello spirito; ché la
lettera uccide, lo spirito invece dà vita.(14)
(11) Cf. F. SPADAFORA,el Dizionario Biblico, citato, alla voce Daniele, pp. 148-151.(U) OSEPH ONSIRVEN,e judaisrne palestinien, I , Paris 1935, pp. 362, 370-374.(13) M. J. LAGRANGE,e Messianisme..., pp. 210 ss.
( l4 ) Cf. KARLPRUMM,Diakonia Pnéurnatos, I1 Teil (1' Halbband). Theologie des
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Che se il ministero della morte, scolpito in lettere su tavole di
pietra, fu talmente glorioso che i figli d'Israele non potevano fissare
il volto di Mosè per lo splendore raggiante dal suo volto, splendore
effimero; quanto più non dovrà essere glorioso il ministero dellospirito? Se il ministero, che fu occasione di condanna, fu glorioso, di
quanto più lo sorpassa in gloria, il ministero che dà la giustizia! I1
nuovo ministero ha una gloria sovreminente. I1 vecchio ministero era
solo transitorio.
« Forti dunque di una siffatta speranza, usiamo di una grande
libertà; e non facciamo come Mosè, che si metteva un velo sul volto,affinché i figli d'Israele non tenessero lo sguardo sopra la fine di
quello splendore passeggero. Ma le loro menti si sono accecate. Infatti
fino al giorno d'oggi lo stesso velo persiste nella lettura del Vecchio
Testamento, non lasciandosi svelare, chè in Cristo viene abrogato. Anzi
fino ad oggi quando si legge Mosè il velo rimane steso sopra il loro
cuore.« Ogni qual volta però si ritorni al Signore, quel velo vienne
tolto via n . La traduzione è del P. Alberto Vaccari, che commenta:
(vv. 7-11) « I1 ministero conferito agli Apostoli è molto più glorioso
di quello di Mosè... perché deve durare sempre, mentre quello diMosè era transitorio e preparatorio per la venuta del Messia; perché
dà la vita della grazia, al contrario di quello di Mosè che era occa-
sione di morte e di condanna ( R o m . 7 , 5 1 1 ) .« (vv. 13-1 6). Mosè q uel su o volto raggiante per lo splendore
contratto dal suo conversare con Dio (Ex. 34,29) lo teneva svelato
mentre comunicava al popolo i voleri divini, e lo copriva con un velo
appena finita la comunicazione (ivi, 30 -35 ). I n tal fatto Paolo vede
un simbolo del carattere passeggero e transitorio dell'antica Legge,destinata a scomparire per dar luogo all'Evangelo etern o di G esù
Cristo; e nel velo di Mosè vede la cecicità dei Giudei, che non vollero
e ancora non mgliono riconoscere in Gesù Nazareno il loro Messia.
Ogni qual volta ecc., è d e t to in E x . 3 4 3 d i M o sè c he r ito rn av a aconversare con Dio; qui è applicato agli Israeliti, sia come individuisia come nazione (cf. Rom. 1 1 ,l l - 2 7 ) ogni qual volta r itornino al
Signore con la lo ro conversione alla fede d i Ges ù ».(l5)
2 Kor. Apostolat und cristliche Wirklichkeit. Kap. 1-7. Herder-Roma 1960: Neue Diatheke,
pp. 190-208; Diatheke und Nomos, pp. 208 ss.; Die Neuheit des Neuen Bundes, pp.
221-231.
(15) Cf. P. E-B, ALLO, econde Epitre au x Corinthiens, Paris 1937, pp. 83-93. «C'est
i'inspiration des Epitres aux Romains et aux Gaiates, et cornme le noyau doctrinai de
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Gesù fece di tutto per togliere questo velo dagli occhi dei suoi
oppositori e del popolo, in Galilea, in Giudea, a Gerusalemme. Ma
l'errore, cosi profondamente radicato, prevalse.
1. Altempo di Gesù, il Messia sofferente e messo a mortequale vittima espiatrice era ignorato, decisamente negato. Una nazione
che rivendicava il dominio del mondo rifiutava di credere in un re
crocifisso.
Eppure l'opera sublime della Redenzione, il dramma attestato
dall'Evangelo, era stato preannunciato dal più grande dei profeti nei
suoi Carmi del « Servo di Iahweh n : Isaia 42,l-7; 49,l-8; 50,4-9;
52'13-53,12.
Basta rileggerli integralmente per rendere ragione al grande ese-
geta M. J. Lagrange, op. cit. pp. 368-381: « È talmente impossibile
contestare la rassomiglianza tra la profezia e la realizzazione in Gesù
Nostro Signore, che per negare il carattere profetico dell'antico scritto,
bisognerebbe poter provare che la realtà è stata inventata secondo
l'abbozzo antico! ».« Disprezzato, abbandonato dagli uomini, . . .aduso alla sofferenza.
Tuttavia, Egli ha portato i nostri dolori,
si è caricato delle nostre sofferenze . . .Egli era trafitto a cagione dei nostri delitti,
stritolato a cagione delle nostre iniquith:
ciò che pesava su di Lui era la nostra riconciliazione,
nelle sue ferite era la nostra guarigione.
. . . Iahweh ha fatto ricadere su di lui
ciò che era dovuto da tutti noi.
Maltrattato, si rassegnava
e non apriva bocca;
come un agnello che vien trascinato all'abbattitoio . . .È
stato tolto via con un giudizio abominevole;e chi riflette ai suoi contemporanei?
Così è stato spazzato via dalla terra dei viventi,
è stato colpito a morte per i delitti del mio popolo.
la future Epltre aux He%reux W : l'antitesi della vechia e della nuova alleanza, della letterae dello spirito. u Dio ha mandato gli Apostoli a portare il messaggio di una alleanza
nuova, predetta da Geremia e promulgata da Gesù neli'ultima Cena W , pp . 83-84.
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Se Egli darà la vita in sacrificio espiatorio,
vedrà una posterità che prolungherà i suoi giorni
e il disegno favorevole di Iahweh riuscirà per mezzo suo.
Santo, darà la santitàa
delle moltitudini,perché piglierà su di sé le loro iniquità . . . ».
Gli esegeti, anche i più increduli, risentono della emozione davanti
a questa profezia, la cui somiglianza con il Salmo 22 (21) colpisce
immediatamente lo spirito. I1 Salmo descrive con mirabile chiarezza
le sofferenze del Cristo e la gloria che a Lui ne deriverà.
<< Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?. . . Eppure tu sei il Santo,
la speranza d'Israele.. . . Io invece sono un verme e spregio e non un uomo,
vilipendio di ognuno e spregio del popolo.
Quanti mi vedono mi fannb scherni,
sogghignano col labbro, scuotono la testa:
Si è rivolto a Dio, lo liberi Lui;
lo salvi, poiché gli vuol bene.(I6)
. . . Mi hanno attorniato dei mastini,
una frotta di tristi mi ha preso in mezzo;
mi hanno trafitto mani e piedi;possono contare tutte le mie ossa.
Essi guardano, si pascono della mia vita.
Si dividono tra loro i miei panni,
e sul mio vestito gettano le sorti.('')
. . . Ci penseranno e si convertiranno al Signore
tutti i paesi del mondo.
Si prostreranno dinanzi a Lui
tutte le stirpi delle genti;perché al Signore appartiene il regno
ed Egli impera sulle genti ».(l8)
(16) Cf. le parole, gli insulti dei Giudei, contro Gesù, ai piedi della Croce: M t.27,35 ss.; 19,23 ss.
(17) Esatta realizzazione, ai piedi della Croce: M t . 27,35.(18) Per questi testi, per la formulazione del dramma, nella vita di Gesù, dall'inizio
della predicazione a Gerusalemme, la Pasqua del 28, fino alla Crocifissione, vedi il miolibro: Ia Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed . Rogate, Roma 1982, p. 334.
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2 . Al Messia, concepito qual semplice uomo, negavano qual-siasi pote re di esercitare prerogative divine: ritengono che Gesù be-
stemmia quando dice di rimettere i peccati: Mt. 2,5 ss. La vecchiaSinagoga non ha mai attribuito al Messia il celebre testo di Isaia
9,5 per ciò che riguarda l'appellativo « Dio forte ».
« È nato per noi un bambino . . . ed è chiamato con questo nome:
Ammirabile Consigliere, Dio Forte, Padre per sempre, Principe dellapace ". Si ricordi che il nome in ebraico esprime la natura: « saràchiamato » equivale a « sarà », e quindi sarà riconosciuto come Dio.
« Sull'espressione ebraica 'd hibbor non vi è alcuna difficoltà:essa infatti ricorre nello stesso Is. 10,21, in Deut. 10,17: Ger. 32,18:
Neh. 9,3 1 sempre riferita a Dio, del quale si vuo le celebrare la potenza.Qui si ha perciò la proclamazione della divinità del bambino, che è
parimenti vero uomo (7'14; 8,8 ) ».(l9)
Inoltre, dello stesso profeta, in 8,8 la terra di Giuda, che è
sempre e soltanto nella Scrittura, la terra di Iahweh, è detta: « Latua terra, o Emmanuele ». E nel C. 11: lo Spirito di Iahweh dimoreràpermanentemente in lui, conferendogli don i' intellettuali e psichicisovrumani e qualità morali straordinarie. Lo stesso profeta, parlandodel « Servo di Iahweh », dice che sarà retto in tutta la sua attivitàreligiosa e morale dallo Spirito di Iahweh, perché sia mediatore dellanuova alleanza (I s. 42,6; 49 ,6 ), proclami il diri tto divino alle genti e
stabilisca la nuova religione sulla terra (Is. 42,l-6; cf. 61,l).
v. 3 « I1 timore di Dio sarà tutta la sua vita,Non giudicherà dall'apparenza,
né darà sentenza stando al sentito dire;
v. 4 ma giudicherà con giustizia i deboli,deciderà con equità per gli umili del paese.
Colpirà l'oppressore con la verga della sua bocca,ucciderà il violento col soffio delle sue labbra D.
L'azione del Messia (v. 3) sarà dunque tutta diretta alla salvezzadelle anime, a fondare il regno di Dio che nulla ha a che vedere conun regno terreno. A nche qu i è fat to cenno alla natura divina del Messia:conoscerà infatti i pensieri nascosti, « non giudicherà secondo quello
( l9) ANGELOENNA,saia (La S. Bibbia, S. Garofaio), Marietti, ed., Torino 1958,p. 118.
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che i suoi occhi vedranno W ;manifesterà una potenza divina, colpendo,uccidendo il violento con una semplice parola.
Allorché Nicodemo si meraviglierà per la rinascita spirituale neces-saria per entrare a far parte del regno di Dio, Gesù gli dirà: « Tu sei
maestro in Israele e non lo sai? ». Nicodemo era dottore, istruito neiLibri Sacri, ma, al pari dei suoi contemporanei, era accecato dai pre-giudizi farisaici sul Messia e il « Suo » regno. I1 velo, di cui parla sanPaolo, copriva il suo volto; giacché i profeti accennavano chiaramentea questa trasformazione interiore, opera del Messia, e al carattere sopran-naturale della medesima. Basti ricordare qui, oltre al profeta Isaia,Ezechiele 11,19 S.; 36,26 ss.
« Spargerò su di voi acque pure e sarete mondati da ogni vostrasozzura; vi darò un cuor nuovo, porrò in voi un nuovo spirito e, tolto
dal vostro corpo il cuore di sasso, ve ne darò uno di carne. Porrò invoi il mio spirito . . . ».
Sarà una verace trasformazione: la fon te dei pensieri e degli affetti(il cuore) non sarà più insensibile (il sasso) per Dio e la sua voce; nonpiù ingrato ai tanti benefici ricevuti, si muoverà tenero e obbediente(di carne), verso di Lui. Un nuovo principio di azione (spirito nuovo),quasi un altro principio vitale, guiderà la loro condotta, farà loro com-piere opere degne del Signore. Cf. Gioele 2,28; Zach. 4,6 . . .
Lo stesso Daniele 9,24: l'opera del Messia è così sintetizzata:
<< Settanta settimane sono stabilite, per il tuo popolo . . .,per far cessare la trasgressione,per mettere fine al peccato,
per completare l'espiazione,per inaugurare una giustizia eterna,per sugellare visione e profezia D.
« Alla fine di tale periodo, pone l'avverarsi di fatti di natura spi-rituale, caratteristici dell'era messianica . . .
Dopo la morte del persecutore, Antioco IV, sarà « la fine deitempi », « la fine delle ere » o dei periodi preparatori al Messia (cf.Mich. 4 , l -5 ; Is. 2,2 ss.; Er. 28,8-16), cioè l'inizio dell'era del NuovoTestam ento e tut te le profezie m essianiche avranno la loro realizzazione.
Si noterà il contenuto spirituale di queste promesse; esse rappresentanoil meglio degli annunzi fatti da Geremia e da Ezechiele circa la natura
(m)G. RINALDI, . J. LAGRANGE,TTSBERGER.er questo, come per gli altri testi
profetici, cf. F. SPADAFORA,l Libro Sacro, 2 , I Profeti, Padova 1965, ed., riprod. 1978.
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del giudaismo sul Messia atteso e la sua opera; concezione fatta propria
e proposta da Satana, che Gesù nettamente respinge. È il filo condut-
tore di tutta la trama.
I1 primo atto, primo anno di predicazione di Gesù, prevalente-
mente in Galilea: Beatitudini, Discorso del Monte, Parabole del Regno,numerosi miracoli, attestanti il potere del Figlio di Dio e la sua mis-sione << spirituale D, la natura << soprannaturale >> del regno di Dio: attua-
zione del piano divino di salvezza, preannunciato dai profeti. I1 secondo,
atto: con la preparazione degli Apostoli, la formazione della Chiesa,
predicazione più frequente nella Giudea e nel Tempio, porta all'epilogo
del dramma: Israele, capi e popolo, che non riconosce Gesù, l'atteso Mes-
sia, lo condanna a morte, passione e crocifissione del Redentore, concluse
dalla gloriosa Risurrezione. Vedi il libro già citato: La Chiesa di Cristo
e la formazione degli Apostoli (ed. Rogate, Roma 1982) che presentain tal modo la vita e l'insegnamento di Gesù Nostro Signore.
Ora, il primo anno, speso interamente da Gesù ad illuminare il
popolo e i loro capi, sulla natura del << regno di Dio n, opera del Messia,
ad affermare con l'insegnamento e i miracoli la sua missione di inviato
<< plenipotenziario del Padre »; con la preparazione e la chiara indi-
cazione dell'ultimo dei profeti, il battezzatore Giovanni, a favore di
Gesù, l'atteso Messia; finisce con << la rottura >> (lib. cit., pp. 120-130).
I Sinottici riferiscono le gravi parole di castigo rivolte da Gesù
alle città del lago:<<
Allora si mise a rimproverare le città, nelle qualiera stato compiuto il maggior numero di miracoli, di non aver mutato
mentalità: "Guai a te Corazain! Guai a te Betsaida! Perché se in Tiro
e Sidone fossero stati operati i miracoli compiuti in mezzo a voi, già
da gran tempo si sarebbero convertiti . . .
<< E tu, Cafarnao, sarai elevata fino al cielo? Ah, sarai precipitata
sino agli inferi! Poiché se in Sodoma fossero stati operati i miracoli
compiuti tra le tue mura, Sodoma ancora oggi sussisterebbe! . . ." »( M t . 11,20-24: cf. Lc. 10,13-15).
San Giovanni spiega i particolari e i motivi della rottura. Si era
nel mese di aprile del 29 (era volgare) e la Pasqua era vicina. Gesù
è sulla riva del lago e lo segue una grande folla: gli uomini sono circa
cinquemila, con in più le donne e i fanciulli. << Aveva dato frutto il
seme che Gesù aveva seminato. . .; per un istante il popolo parve
unito, ma come il vento del deserto tutto avvizzisce, così in due giorni
cadde tutto l'entusiasmo d; quella gente verso Gesù >> (M. Willam).
Dall'acclamazione entusiasta della sera, sul colle verdeggiante, dopo la
aoltiplicazione dei cinque pani di orzo e dei due pesci: << Questi è
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missione del Messia era diretta soltanto all'anima e ai suoi destini:
vedi il racconto delle tentazioni, il colloquio con Nicodemo, il Discorsodel Monte, le parabole del Regno. Fatiche inutili! I1 calcolo politico,
i sogni di rivincita e di vendetta; e presso i migliori uno zelo eccessivo
e deformato da una incomprensione delle vere vie di Dio; tutto questo
miscuglio confuso che fermentava in Israele incominciò ad avere la sua
esplosione. Essi volevano un re e volevano costringere Gesù ad essere
il Messia dei loro sogni.
Nel discorso di Gesù (Giov. 6), il processo delle idee e identico
a quello del colloquio con Nicodemo (Giov. 3,l -15) il regno di Dio
è un regno spirituale e per realizzarlo, il Messia-Gesù immolerà se
stesso sulla Croce, vittima per espiare il peccato e dare ai suoi la vita
eterna.
Altro che re o imperatore d'Israele, vittorioso sull'impero di Roma.Gesù - l Messia vaticinato dai Profeti - ancirà la nuova alleanza
(Ger. 31,31-34) col sacrificio di se stesso ( I s . : i carmi del « Servo di
Iahweh D, particolarmente 52, 13-53, 12); quanti vorranno esserne
partecipi dovranno partecipare al suo sacrificio, mangiando le Sue carni,
immolate per la redenzione del mondo. L'Eucarestia è davvero cena
sacrificale (Giov .6,51; 1 Cor. 5,7; 10,14-22), come l'ultima Cena
(Mt. 26,26 ss.; Lc. 22,19 S.).
<< I1 pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ».I Giudei respingono tale proposizione come assurda; non voglionoriconoscere in Gesù, il vero Figlio di Dio, e Dio Egli stesso. Spesso
Egli aveva ripetuto di essere disceso dal cielo; quando lo vedranno
risalire là dove prima era, ne rimarranno convinti. È lo spirito, la
divinità che dà la vita di cui ha parlato.
I Giudei non vollero credergli e in gran numero lo abbandonarono.
Rivolto ai Dodici: « Anche voi, domanda Gesù, volete andarvene?
Simon Pietro risponde a nome di tutti: « Signore, a chi ce ne andremo?
Tu solo possiedi parole di vita eterna, e noi crediamo e sappiamo che
sei il santo di Dio D. « E non sono io, concluse Gesù, che ho sceltovoi? E nonostante, uno di voi è un diavolo ». Era Giuda, figlio di
Simone Iscariota, che ormai aveva fatto la sua scelta, come la folla
incredula; e che Lo avrebbe tradito.Allo stesso modo, sei giorni prima della sua morte (Pasqua del
30 e.v.), avendo saputo che Gesù era a Betania, la grande folla dei
Giudei, vi accorre anche per vedere Lazzaro che Egli aveva risuscitato.
Tanto che i capi dei Sacerdoti deliberarono di far morire anche Lazzaro...(Giov. 12,9 ss.). E grande è l'entusiasmo del popolo e dei pellegrini
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giunti a Gerusalemme per quella solennità, quando Gesù muove da
Betfage su un asinello verso la città, dove fa il suo ingresso trionfale
(Mt. 21,l-11; Giou. 12,12-19). La prima Sua visita è al Tempio, e
trovati là ciechi e zoppi, che si avvicinavano a Lui, li risana.
Mentre i Farisei esprimono rabbiosi la loro impotenza, a pocoa poco l'esaltazione si calma e di nuovo molta gente gli si stringe
attorno. Alcuni Gentili, che aderivano al concetto del vero Dio, chiesero
di parlare con Gesù. Al loro avvicinarsi, Gesù corre col pensiero alla
loro vocazione, che sarà il frutto della sua morte. Ha presenti le pro-
fezie, secondo le quali le nazioni Gli sono date come retaggio; in quel
piccolo gruppo vede le sterminate moltitudini che aderiranno all'Evan-
gelo. « È venuta l'ora in cui il Figliuol dell'uomo sarà glorificato. In
verità, in verità vi dico: Se il grano di frumento, caduto in terra, non
muore, resta solo; ma se muore produce molto frutto. Ed io, quandosarò elevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini ».
La folla comprese benissimo che Gesù parlava della sua morte
sulla croce ed il loro pregiudizio del Messia vittorioso, invincibile si
affaccia prepotente alle loro menti. « Noi abbiamo appreso dalle Sacre
Scritture che il Cristo rimane per sempre; or come puoi dire che è
necessaria la sua morte? Di chi parli? . . . P.« Ancora una volta, la folla ammutolì di fronte al presentimento
di sofferenze ignominiose e si meravigliò del proprio entusiasmo della
mattina, ricominciando a dubitare del Messia tanto acclamato. Israeleera ancora come ai tempi di Osea (13 ,3) : volubile, incostante, comenubi a levar del sole, e come rugiada mattutina, che ben presto dilegua.
Cadeva la notte: le ultime luci del tramonto, rischiaravano la folla:
"Per poco tempo ancora la luce (che era Egli stesso) resta presso di voi".
Senza di essa finirette per rimanere avviluppati da ombre sempre più
fitte e di dover camminare senza sapere dove, in mezzo alle tenebre n
(M. J. Lagrange).
Lodando la grande fede del Centurione romano che lo pregavaper la guarigione miracolosa del suo schiavo, Gesù aveva detto: « Vi
assicuro che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno a
mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (cioè nel
regno di Dio, la Chiesa); i figli del regno, invece (i cittadini o candidati
al regno, coloro ai quali il regno era stato promesso nelle profezie del
Vecchio Testamento) saranno cacciati fuori nelle tenebre; ivi sarà il
pianto e lo stridore dei denti » (Mt. 8,11 S.).
« Dalla fede del centurione ancora pagano, Gesù prende occasione
per predire la vocazione dei Gentili alla fede al posto dei Giudei
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rimasti increduli davanti agli argomenti così evidenti offerti loro da
Gesù » (A . Vaccari).
Non c'è dubbio alcuno sulla predizione di Gesù: i Giudei increduli
rimarranno al di fuori del regno di Dio, e saranno severamente puniti.
« Le tre parabole, dei vignaiuoli omicidi (Mt. 2 1,33-46 e passi
paralleli: (Mc. 12'1-12; Lc. 20,9-19), dei due figli (Mt. 21-28-32),
e del convito nuziale (Mt. 22,l-14; Lc. 14,16-24) hanno per oggetto
la riprovazione dei Giudei e la vocazione dei Gentili al loro posto
nel regno messianico e contengono la dottrina della salvezza universale.
I1 re della parobal è Dio; il figliuolo è Gesù Cristo; le nozze raffigurano
il regno messianico, presentato già nell'antica alleanza sotto il simbolo
di un mistico sponsalizio di Dio col suo popolo e nella nuova di Gesù
con la sua Chiesa. La gioia festosa di un convito nuziale rappresenta
la felicità del regno messianico. C'era uso in Oriente, avvicinandosi ilgiorno della festa, di inviare dei servi a ricordarlo ai convitati. Gli inviati
da Dio per invitare il popolo eletto a prendere parte al regno messianico
sono i Profeti, succedutosi in lunga serie fino a Giovanni Battista com-
preso. Al posto dei Giudei ingrati e ribelli, e perciò riprovati, Dio ha
chiamato i Gentili » (A . Vaccari, op. cit., p. 1818).
« Molti sono chiamati, ma pochi eletti »; « questa sentenza con-
tiene il precipuo insegnamento della parabola (Mt. 22,14) tutti sono
stati invitati, ma soltanto pochi han risposto all'invito: l'invito al
regno di Dio rivolto ai Giudei, di essi, solo pochi, « il resto », l'accol-sero (A . Vaccari, ivi).
T wloni malvagi - Un padrone di casa piantò una vigna. curstn
con ogii premura; l'allegò a dei coloni, e andò lontano. Quando si
avvicinò il tempo dei frutti, mandò i propri servitori per avere la sua
parte. Ma i coloni, presi i servitori, chi bastonarono, chi uccisero e chi
lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma
a questi fecero lo stesso. Da ultimo, mandò loro il proprio figliuolo,
pensando che l'avrebbero rispettato. Ma i coloni lo presero, lo caccia-
rono fuori della vigna e lo uccisero. Quando dunque ritornerà il padrone
della vigna, che farà a quei coloni? Gli risposero: « Li farà miseramente
perire quei malvagi, e allegherà la vigna ad altri coloni, che gliene
daranno i frutti a tempo opportuno D.
Gesù disse loro (i Gran Sacerdoti e i Farisei): « Non avete mai
letto nelle Scritture: "La pietra che i costruttori han rigettata, è riuscita
in capo all'angolo; dal Signore è venuta tal cosa, ed è una meraviglia
agli occhi nostri?" Perciò io vi dico che sarà da voi tolto il regno di
Dio, e sarà dato a gente che faccia i suoi frutti. E chi cadrà su questa
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pietra si sfracellerà; su chi poi cadrà essa, lo stritolerà". I gran sacerdoti
e i Farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro . . .»(M t . 21,33-46).
« È trasparente il significato della parabola, e ben lo compresero
gli Scribi e i Farisei, ai quali era rivolta. Dio è il padrone; la vigna
il popolo giudaico; i coloni sono i sacerdoti, gli Scribi e i Farisei; i
servitori, mandati a più riprese dal padrone, sono i Profeti, maltrattati,
feriti ed anche uccisi; il figliuolo del Padrone è Gesù, Figlio di Dio,
che essi ben presto avrebbero ucciso. E Gesù predice il tremendo castigo,
che per il deicidio, stava per scendere .sulla nazione giudaica. I1 regno
di Dio, dopo la riprovazione d'Israele, doveva passare ai Gentili.
« Gesù è la pietra, il Messia, che i capi d'Israele hanno rigettato;
ma Dio ha stabilito che sia la pietra angolare, che congiunge e sostiene
i membri dell'edificio di Dio in terra. E guai a coloro che vanno acozzare contro di essa; vanno inevitabilmente in frantumi » (A. Vaccari,
p. 1827 S.).* * *
Del tremendo castigo che colpirà la nazione giudaica, Israele, Gesù
Nostro Signore tratta nelle due profezie particolareggiate sulla distru-
zione di Gerusalemme: la prima in LE. 17,20-18,8; la seconda in Mt.
24-25; Mc. 13 l-23 Lc. 21,5-24. Quest'ultima è preceduta dall'espresso
motivo della severa sentenza, formulata da Gesù alla fine delle sue fortiinvettive contro gli Scribi e i Farisei: Mt . 23,29-32. « Essi, studiando
di mettere a morte il re dei Profeti, lo stesso Messia, dimostrano di
essere degni figli dei loro padri (solidarietà piena con le precedenti
generazioni) che uccisero i Profeti e di essere con essi solidali. Con
questo delitto, essi fanno traboccare le loro colpe e il calice dell'ita
divina » (A. Vaccari, p. 1821).
Inoltre essi perseguiteranno ancora i vari ministri della Chiesa,
con a capo gli Apostoli: « li ucciderete, li flagellerete nelle vostre sina-
goghe, li perseguiterete di città in città (cf. già Mt. 10,16-23), affinché
ricada su di voi tutto il sangue innocente sparso, dal sangue del giusto
Abele, fino al sangue di Zaccaria che voi uccideste tra il tempio e
l'altare (2 Par. 24,19-225; Lc. 11,51). In verità, vi dico: tutte queste
cose (i castighi divini) ricadranno su questa generazione (ben presto,
ca. 40 anni).
« Per il principio di solidarietà, i Giudei devono rispondere anche
del sangue dei profeti versato dai loro maggiori », annota con precisione
il P. A. Vaccari (p. 1822). Esattamente, secondo la sanzione dell'alleanza
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di Iahweh con Israele (Ex. 20,5-6): i peccati delle precedenti gene-
razioni, solo in parte espiati, pesano sulla generazione posteriore, cheviene punita per la propria perdurante ribellione a Dio; lo esige la
divina giustizia. La colpa di G erusalemme raggiungeva il colmo col rifiuto
del Messia, termine ultimo ed oggetto dell'alleanza a Dio con Abramo,anche nella formulazione temporanea al Sinai, tra Dio e la nazione,tramite Mosè, ed infine in quella con David che esprime formalmentela suddetta finalità del patto, sviluppata chiaramente dai profeti: il
Messia, discendente di David, sancirà col suo sangue la nuova e defi-nitiva alleanza, per tutti uomini.
<< Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i Profeti e lapidi coloroche sono a te inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuolicome la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete
voluto! Ecco si lascia a voi la vostra casa deserta. Poiché io vi dico:d'ora innanzi più non m i vedrete, finché diciate:- enedetto chi vienenel nome del Signore! ».
Gesù ha presente la predetta distruzione di Gerusalemme; « mapredice anche, secondo la spiegazione più ricevuta, che, (in un futuroimprecisato), il popolo giudaico si convertirà (cf. Rom. 11,25-33),riconoscendo in Lui il suo redentore » (A. Vaccari, p. 1822).
Ed ecco il commento del P. Severiano del Paramo, s.j., a questiversetti: M t. 23,))-39. « Come si spiega che Cristo faccia responsabili
i Giudeidi
tu tti i crimini commessi dall'assassinio d i Abele fino a q uellodi Zaccaria? Prima di tutto notiamo che i due crimini sono narrati
nella Sacra Scrittura; uno nell'ultimo libro della Bibbia ebraica, leCronache (o Paralipornni): 2 Par. 24,20-22, e l'altro nel primo (Gen .
4,8-10). Cristo considera qui il popolo giudaico formante una unitàmorale ddl'inizio della sua esistenza fino al presente (principio di soli-darietà). Le morti dei profeti durante tutto il tempo della storia erano
crimini nazionali, che arrivarono al loro culmine con la morte violentadel Profeta dei Profeti, Gesh. Con il deicidio si colmò la misura dellapazienza divina e venne il castigo di tutta la nazione con la distruzione
di Gerusalemme e del suo tempio e con la scomparsa del medesimopopolo come nazione 3.
E d al v. 37 ss.: « Col paragone della gallina che accoglie i suoipulcini sotto le ali, Gesù allude ai suoi vari viaggi alla città santa, neiqual con la predicazione e i miracoli, cercò invano di attrarre i suoi
abitanti alla fede della sua legazione divina. La sua totale distruzioneche si presenta già come una realtà, sarà il castigo della sua incredulitàe durezza di cuore.
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« La maggior parte dei commentatori moderni vedono in questeparole di Cristo (v. 39 l'acclamazione "Benedetto colui che viene nelnome del Signore") una predizione della conversione del popolo giudaicoal Cristianesimo, quando alla fine dei tempi lo riconoscerà alfine come
suo redentore. San Paolo ci parla espressamente di questa conversionenella sua lettera ai Rom ani (1 1,2 5-3 3), di q uesta conversione della
massa de l popolo di Israele all'Evangelo (Evangeli0 de San Mateo,in La Sagrada Escritura, testo e com mento ad opera della Compagniadi Gesù, sotto la direzione dei PP. Rafael Criado (A. Testamento) eJuan Leal (N . Testamento), BAC. 207, Madrid 1961, N.T., 1 , Evan-gelios, pp. 288 ss.). Come ben sintetizza Claude Tresmontant (saintPaul et le m ystère du Christ, éd. du Seuil, Paris 195 6, p. 6 7 S.), il dram-ma d'Israele deriva dalla sua stessa costituzione, dalle esigenze non
contraddittorie ma complementari che la definiscono: con l'alleanza delSinai, Israele è costituito popolo distinto dagli altri, per la sua fedemono teistica, per gli obblighi dell'alleanza: la giurisdizione mosaica è
come una siepe che lo protegge dall'idolatria e dai costumi dell'ambientecircostante. Ma per l'alleanza originaria di Dio con Abramo, Israeleè anche e prima di tutto, questo germe della nuova umanità, redenta
dal Messia, termine e scopo della sua scelta da parte di Dio.a Parte essenziale dell'alleanza è la universalità: la salvezza di
tutti gli uomini. Se Israele si ripiega su se stesso, nell'esistenza dipopolo segregato, non compirà il suo destino, verrà meno alla suavocazione.
Due peccati, due infedeltà, sono adunque possibili: o Israelesi corrompe con l'idolatria e i costumi degli altri popoli circo stanti edè la storia delle sue infedeltà, stigmatizzate dai profeti in tutto il
periodo del Vecchio Testamento, a causa dei ripetuti castighi, soloparziali, temporanei, per la Misericordia di Dio, che conserva sempre
"u n resto", perché si compisse il Suo disegno di salvezza. Oppure sirichiude in se stesso, opponendosi allo scopo ultimo dell'alleanza:l'universalità della salvezza messianica; orgoglioso della sua giustizia,
riposta dell'osservanza delle prescrizioni ristrette e temporanee dellalegge mosaica .
Questi due peccati ha commesso Israele. Se la prima infedeltànon è stata fatale; la seconda ha finito di escludere Israele dall'umanitàredenta; "con la nascita della Chiesa".
Israele, l'Israele di Dio, è la Chiesa, aperta a tutte le nazioniche vengono a cercare in essa la conoscenza del Dio vivente. La Chiesa,formata dal "resto" - Giudei discepoli di Gesù - dai Gentili,
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dovette separarsi da Israele-popolo per compiere la vocazione medesima
d'Israele e la predizione di Dio ad Abramo: "in te saranno benedette
tutte le nazioni della terra " .I1 grande esegeta, Marie-Joseph Lagrange, nel commentare le invet-
tive di Gesù contro i Farisei ( M t . 23), risponde con la consueta compe-
tenza e chiarezza alla domanda: i( Hanno essi (i Farisei) compreso Gesù?
0 , piuttosto, perché l'hanno disconosciuto? (Vedi L'Evangelo di
Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1935, pp. 449-464: Sguardo retro-
spettivo sul ministero di Gesù. Gesù e i Farisei. Cf. Giov . 12-37-50).
Sono pagine che toccano ed illustrano significativamente il nostro
tema. Eccone qyalche saggio. a Ai tempi di Gesù il Talmud non era
stato ancora scritto, ma il suo spirito informava già le anime dei dottori.
Israele non si isolava soltanto perché sperava di convertire alla legge i
Gentili o piuttosto assoggettarli al giogo della legge e al proprio. (I1discredito in cui erano caduti i profeti proveniva dalla poca stima che
essi fanno delle osservanze esteriori). Farisei - questo il senso del
loro nome - rano già « isolati » a cagione delle loro meticolosità
per la purezza legale e per l'osservanza minuziosa dei moltiplicati
precetti.
Gesù adunque ha penetrato ed espresso con giustizia i senti-
menti dei Farisei. Essi non riducevano la religione al legalismo, ma la
soffocavano coll'abuso del legalismo e di quel legalismo arbitrario
che era proprio di loro.« Hanno disconosciuto Gesù, precisamente perché Egli faceva
rivivere la religione scuotendone di dosso il legalismo e la presentava
nella sua pura essenza piu degna del Padre comune di tutti gli uomini »(p. 455 S.).
È vero, Gesù non si è presentato come Messia, alla folla. i< L'Evan-
gelo di S. Marco è l'Evangelo del segreto messianico . . .: essendo le
disposizioni degli Ebrei quelle che erano, farsi acclamare come Messia
sarebbe stato uno scatenare la rivoluzione . . . Gesù si presenta come
l'inviato di Dio che predica la parola di Dio e parla in nome di lui.Ma perché i Farisei non l'hanno voluto ricevere come un profeta?
« Oltre all'antinomia profonda tra la sua e la dottrina dei Farisei..."ce ne danno la risposta" coloro che sarebbero fieri d'averne ereditato
lo spirito o che almeno li difendono e si associano alla scelta da essi fatta.
Alludiamo particolarmente al Klausmer nella sua vita di Gesù. Se lo
citiamo di preferenza è perché sembra aver egli indicaio assai esatta-
mente le accuse di quei Farisei che S. Giovanni chiama Ebrei, perché
infatti è l'ebraismo ufficiale che si è pronunciato per bocca loro.
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« . . . I Farisei compresero che Gesù non si atteneva al loro
modo di comprender la Legge. Hanno pensato che la colpa di Gesù fosse
di non preoccuparsi che di Dio, della religione che gli è dovuta, senza
prendersi alcun pensiero delle conseguenze che ne sarebbero derivateal giudaismo, e di sacrificare la vita della nazione, giacché la vita dellanazione era strettamente legata alla Legge . . . L'errore del partito domi-
nante f u precisamente di fare una questione nazionale d'una dottrinapuramente religiosa . . . Se il proposito omicida dei Farisei può comple-
tamente spiegarsi solo a questo modo, esso non è perciò né giustificato
e neppure sensato.
« . . . I Farisei dovevano solo verificare se Gesù fosse veramente
autorizzato a dirsi Figlio unico di Dio. Tanti miracoli insigni . . ., nume-
rose e facili vittorie sui demoni . . ., una vita così santa avrebbero dovuto
deciderli ad ascoltarlo con docilità, poi ad avere in lui confidenza:
ripreso quindi lo studio delle Scritture avrebbero potuto riconoscere
in lui la unità, a cui conducevano le due linee convergenti delle profezie,
di cui le une annunziavano la venuta personale di Dio per stabilire il
suo regno, e le altre promettevano la stessa opera al Figlio di Davide,
1'Emmanuele di Isaia, che sarebbe stato chiamato il Dio Forte, al Signore
di Davide seduto alla destra di Dio.
« . . . I Farisei avrebbero dovuto riconoscere l'essere divino di
Gesù, se fossero stati abbastanza docili per accettare la Sua testimo-
nianza confermata da quella del Padre.« Ma la docilità non era la loro virtù predominante, né essi vollero
rinunciare in pari tempo al sentimento della loro competenza e alla
riputazione di maestri in Israele. (Giov . 12,43).
« . . . Nei suoi disegni eterni Dio permise il loro accecamento
e la loro ostinazione e in tal modo senza volerlo eseguirono il piano
che egli aveva tracciato ».
D'altronde, le parole di Gesù tolgono ogni dubbio sulla colpevole
opposizione dei Giudei: « Se non fossi venu to e non avessi loro parlato,
non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chiodia me, odia anche il Padre mio » (cf. Giov. 5,17-47; 7,16-18; 8,12-59).
« Se non avessi tra loro compiuto opere che nessun altro ha fatto, nonavrebbero colpa; ma ora, benché abbiano vedu to, pure odiano e me e il
Padre mio. Ma deve pure adempiersi quella parola scritta nella loroLegge: " M i hanno odiato senza ragione" ». (Giov. 15,22-25).
Un esempio chiarissimo ci è offerto dalla pericope sinottica: guari-
gione di un indemoniato, cieco e muto, la bestemmia contro lo Spirito
Santo ( M t . 12,22-32; Mc. 3,22-30; Lc. 11,14-20; 12,lO). Già in S. Mat-
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teo dall'inizio dello stesso C. 12, è presentata l'ostinata ostilità dei Fariseicontro Gesù, la cui condotta umile e mansueta, in aperto contrasto conla condotta superba ed astiosa dei suoi oppositori, porge occasione
all'evangelista di far rilevare l'adempimento in Gesù della profezia diIsaia intorno al servo di Iahweh, il Messia eletto da Dio: vv. 17-21
e 1s. 42,l-4. In essa, si esalta la salvezza e il tono persuasivo della sua
predicazione.Esattamente tali caratteristiche riscontriamo nel brano successivo,
VV. 22-32.
u Allora gli fu condotto un indemoniato cieco e muto; ed eglilo sanò, sicché il muto parlava e vedeva; e tutte le turbe, prese d'ammi-razione, dicevano: "Che non sia questo il figlio di David? " Ma i Farisei,
udendo ciò, dissero: "Costui non scaccia i demoni se non per virtù delcapo dei demoni, Beelzebul".
« Gesù però conoscendo i loro pensieri, disse loro: "Ogni regno
tra sé discorde va in rovipa, ed ogni città o famiglia in sé disunitanon si terrà in piedi. Così se Satana scaccia Satana, è discorde con sestesso: come dunque potrà peqistere il suo regno? E se io scaccio idemoni per virtù di Beelzebul, per virtù di chi li scacciano i vostri
discepoli? Perciò essi stessi saranno vostri giudici. Se poi per virtùdello Spirito di Dio io scaccio i demoni, allora t già pervenuto tra voi
il regno di Dio.« Del resto come può uno entrare nella casa di un uomo fortee rapirgli le masserizie, se prima non lo abbia legato? Allora sf che
potrà saccheggiargli la casa.
a Chi non è con me, è contro di me; e chi non raduna con medisperde. Perciò io vi dico che qualunque peccato e bestemmia saràperdonata agli uomini; la bestemmia però contro lo Spirito non saràperdonata. E a chi avrà parlato contro il Figliuolo dell'uomo sarà per-donato; ma a chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato
né in questo, né nel secolo futuro D.
u La conclusione era palese - ommenta il P. Sev. Del Paramo,op. cit., p. 157-161 -.
« Se pertanto io scaccio i demoni per virtù divina, è segno cheè già in mezzo a voi il regno di Dio, cioè, il regno messianico, che,
secondo le profezie del V.T., deve distruggere il regno di Satana (cf.Prov. 12,31). Gesù indica chiaramente che Egli è il Messia (e abbiamvisto la Sua scienza divina, rilevata dall'evangelista: conoscendo i loropensieri) e che la sua dottrina, confermata da tanti miracoli, e parti-
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colarmente con la guarigione degli indemoniati, doveva liberare gliuomini dalla schiavitù del demonio W .
« I1 "forte", "il principe di questo mondon (Gi ou . 12,31) è scon-
fitto da Gesù, realizzatore del piano divino di salvezza, con il potereche gli è proprio di Figlio di Dio.
« Attribuire, conseguentemente, una chiara opera divina o, se sivuole, dello Spirito Santo . . ., al demonio, era senza dubbio un peccato
enorme, che scalzava il fondamento stesso della salvezza, che è la fede
in Gesù Cristo, Dio. Conseguentemente, la bestemmia contro lo Spirito
Santo consiste nell'attribuire al demonio, come facevano i Farisei, le
opere e i miracoli che sono manifestamente (innegalmente) di Dio ».
E il P. A. Vaccari (p. 1799): « La bestemmia contro lo Spirito
Santo, di cui parla Gesù, è quella dei Farisei, che volontariamente e
ostinatamente chiudevano gli occhi davanti a tanto splendore di verità,
negando di credere a Gesù, nonostante i suoi continui ed evidenti
miracoli, attribuiti da essi al demonio. Una volontà così ostinata, nonpuò per una colpa, per mancanza di buone disposizioni (rigettando la
luce), convertirsi e tornare a Dio, che pure è sempre pronto ad acco-
gliere il peccatore pentito ».
I1 P. Sev. Del Paramo conclude: « Le parole di Gesù da una
parte alludono alla sua umanità: le sue apparenze esterne potevanoessere oggetto di disprezzo e umiliazione (potevano suscitare motivo
di scandalo: cf. M t . 11,6; 7,23 per i discepoli di Giovanni Battista)e dall'altra parte alludono al suo potere divino . . ., uniti in una sola
persona. Due nature in Gesù Cristo, la umana e la divina sussistenti
in una sola persona n.
È da rilevare inoltre la enorme responsabilità di Scribi e Farisei,
che forti dell'ascendente di cui godevano sul popolo, se ne servivano
per impedire che accogliesse la luce e guarisse dalla cecità, dai comuni
pregiudizi, aderendo alla dottrina di Gesù, mossi dalla commozione
entusiasta suscitata dall'evidente strepitoso miracolo: la guarigione
dell'indemoniato cieco e muto.Vedi la prima invettiva di Gesù: « Guai a voi, Scribi e Farisei
ipocriti, che chiudete il regno dei cieli in faccia agli uomini; perchévoi non entrate, né permettete che entrino quelli che vorrebbero
entrare ». M t. 23,13.
- 1 castigo.
Per la prima predizione di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme,
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vedi l'esegesi nel mio libro, Gesh e la fine di Gerusalemme. L'escato-
logia in san Paolo, Rovigo2 1971, pp. 52-65; una sintesi, in La Chiesa
di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed. Rogate 1982, p. 191-195,
già cit.La seconda predizione, impropriamente definita u discorso esca-
tologico », è accuratamente esaminata, nel primo libro ora cit., pp. 1-
14; 125-160.
I testi evangelici (Mt. Mc. Lc.) preannunziano soltanto: 1) la
distruzione di Gerusalemme e del tempio e 2) lo stabilirsi della Chiesa,
libera dalla persecuzione dei Giudei.
Gesù, nel martedì santo, conclude la sua condanna contro i Farisei:
<< Ecco che vi si lascia la vostra casa (il tempio) deserta n (Mt. 23,38);
punizione già espressa nel suo ingresso solenne a Gerusalemme (Lc.
19,4 1-44); punizione che si realizzerà su quella stessa generazione
(Mt. 23,36).
All'uscita dal Santuario, la conferma: e Del tempio, non resterà
pietra su pietra che non sia sconvolta D. E alla domanda di Pietro:
<( Maestro, quando dunque avverranno tali cose e quale il segno che
staranno per accadere? >> (Lc. Mc.); o nella forma aramaica, più primi-
tiva, in Mt.: << . . .quando avverranno tali cose e quale sarà il segno
della tua venuta e della fine o completamento delle ere? n.
<< Venuta )> o manifestazione della potenza divina del Messia -come sempre in san Matteo (10,23; 16,27 S.; 26,64) e abitualmentenei Profeti - uale apparirà particolarmente nella distruzione della
nazione giudaica e nello sviluppo miracoloso del nuovo regno di Dio,
la Chiesa.
<< Fine o completamento delle ère D, epoche, come nella lettera agli
Ebrei 9,26: << sul termine dei secoli o delle epoche, ora una volta per
sempre si è manifestato il Cristo, per cancellare il peccato . . . ». Le
epoche che han preceduto la venuta del Messia: da Adamo ad Abramo,
da Abramo a Mosè . . . Gesù inizia l'èra definitiva, perfettta: 1 Cor.
10 , l l .Nostro Signore risponde incominciando dal secondo punto. -1. Segni preliminari: quel che accadrà prima che abbia inizio l'as-
sedio di Gerusalemme. Tra l'altro: la predicazione del17Evangelo si
diffonderà per tutte le regioni dell'impero romano, cioè del mondo
allora conosciuto (Mt. 24,14).
Quando S. Paolo scrive ai Romani (1,8), verso il 58 e nella lettera
ai Col. 1,6-23, l'Apostolo riteneva già compiuto quel segno preliminare.
2. I1 segno inconfondibile (Mt. 24,15 ss.). I1 segno per eccel-
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lenza, immediato, è così riferito da Lc. (21,20): « Quando vedrete
Gerusalemme cinta da armate sappiate che allora la sua desolazione è
vicina D. Mt. e Mc. « Quando vedrete l'abominazione devastatrice,
predetta dal profeta Daniele, stante nel luogo santo, allora quelli chestanno in dTiudea fuggano verso le montagne ».
In Luca è l'avanzata dell'esercito romano pe r investire direttam ente
Gerusalemme: nel 69 le legioni romane occupate Hebron, Emmaus,
Betel e Gerico, chiusero Gerusalemme in un cerchio di ferro. In Mt.-Mc,
è preannunziata la profanazione del tempio, ad opera degli Zeloti, nel
68 . . .: vedi la realizzazione in Giuseppe, La Guerra Giudaicu (testi
ripotrati per intero, nel mio libro Gesu e la fine di Gerusalemme,p. 47 ss.).
3 . L'assedio Mt. 24,16-28; Mc. 13,17-23; Lc. 21,21-24.
4 . Distruzione di Gerusalemm e. Sviluppo della Chiesa: M t. vv.
29-31; Mc. vv. 24-27; Lc. vv. 25-28. Ora Gesù parla dell'atto conclu-sivo: 19espugnazione e distruzione di ~e r u s a l e m m e del Tempio. Si
oscura il sole, cadon le stelle, si spegne la luna . . . « forti immagini,
espresse in termini usuali nella profezia » per delineare l'estrema gravità
del castigo: anche la natura n e resterà a tterrita , terrorizzata: cf. 1s.13,lO; 34,4; Ez, 32,7 . . . (Lagrange, Huby, Médebielle . . .). È così
indicato l'atto culminante della tragedia giudaica tutti dovranno rico-
noscere la mano d i Dio: anche gli stessi Gi ud ei (M t. v. 30 , citazione
di Zach. 12,12-14); « tutte le tribù della terra » è la stessa espressionedel profeta Zaccaria; riguarda le dodici tribù d'Israele.
Infine, nei vv. 31 di Mt.; 27 di Mc. e 28 di Lc. è preannunziato lo
sviluppo, il trionfo del regno di Dio, la Chiesa. « Quel che è la deso-
lazione per Gerusalemme sarà la liberazione per i discepoli » (Lagran-
ge): vedi Gesù e la fine di Gerusalemme, pp. 82-92. I vv. 28 e 3 1 di
Lc.: « Incominciando ad attuarsi queste cose, drizzatevi e levate il capo,
perché la vostra liberazione è vicina H ; << Quando vedrete avvenirequeste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino »; riguardano la trion-
fale espansione dell'Evangelo, a partire dalla distruzion e di Gerusalemm e.Egli rende chiaramente per i suoi lettori quanto gli altri due evangelisti
esprimono con immagini semite grandiose e, per alcuni elementi, tradi-
zionali: « Allora il Figlio dell'uomo manderà gli angeli e radunerà gli
eletti dai quattro angoli della terra D.
« Radunare gli eletti M esprime la benevola azione protettrice del
Cristo nei riguardi dei su oi fedeli , come già nel com mosso lamen to di
Gesù su Gerusalemme, M t. 23,37: dove indica metaforicamente l'azionebenevola del Messia per convertirne gli abitanti
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si erano intanto radunati i membri del Sinedrio; per il numero legale
bastano 23 dei 70 membri che lo componevano. Essi, per dare parvenza
di legalità alla già decisa condanna, sono in cerca, mediante inchiesta
testimoniale e più ancora per eventuale confessione dello stesso Gesù,di accusarlo di bestemmia e di attentato contro la religione mosaica.
Ma i testimoni, chiamati a deporre, non riescono a fornire un
passabile argomento di accusa. Allora intervenne Caifa. Nella sua qua-
lità di Sommo Pontefice interpellò Gesù in nome dell'Altissimo: << Io
ti scongiuro per il Dio vivente di dire a noi se tu sei il Cristo, il Figlio
di Dio ». E Gesù, con la massima chiarezza: << Tu lo hai detto. Anzi
vi dichiaro che a partire da questo momento vedrete il Figliuolo del-
l'uomo assiso alla destra dell'onnipotente e venire sulle nubi del cielo ».
Sono il Messia, il Figlio di Dio, come tu hai detto; a me spettanola dignità e le prerogative descritte nella profezia di Dan. 7,13 S. Né
tarderà a dimostrare con i fatti la verità della sua affermazione. Ben
presto manifesterà la sua potenza di Messia e Figlio di Dio, immedia-
tamente dopo la sua morte, con la risurrezione, la fondazione della
Chiesa, la distruzione dello stato giudaico, di Gerusalemma. (24)
A tale solenne dichiarazione, Caifa finge il più grande scandalo;
con gesto teatrale si straccia le vesti ed esclama: << Ha bastemmiato!
Che bisogno abbiamo di testimoni? Avete inteso anche voi la bestem-
mia. Che ve ne pare? D.
Gli fecero eco i compagni: « Merita la morte N. I giudici ( ! )aggiungono gli oltraggi . . . La seduta del Sinedrio finisce con questi
oltraggi, e Gesù viene affidato alla custodia della gente di Caifa, le
guardie che continuano i maltrattamenti . . .Restava, per i Capi, il compito delicato di ottenere da Pilato, il
procuratore romano, l'approvazione e l'esecuzione della loro sentenza
capitale. A tale scopo, si dettero convegno per il mattino. Sanno di
affrontare una dura battaglia e nella riunione mattutina si sono messi
d'accordo per le direttrici e le eventuali variazioni dell'attacco: era il
7 aprile dell'anno 30 della nostra èra.Gli autorevoli membri del Sinedrio- acerdoti, nobili, dottori -,
il supremo censesso, cui Roma riconosceva un potere quasi illimitato,
religioso e civile, sui Giudei di Palestina, in sul fare del giorno, muovono
dal Palazzo di Caifa, personalmente, verso la Torre Antonia, dove da
Cesarea, Pilato è venuto per la solennità della Pasqua.(*') Egli da quattro
(") Per l'esegesi di M t. 26,63-64; Mc. 14,61 ss.; L. 2,6 8 ss ., vedi il mio libroGesù e la fine di Gerusalemme (1971), pp. 16 ss., 23 ss. Lagrange, Huby, Fillion...
(") Per tutta questa sezione, << Gesù dinanzi a Pilato », vedi il mio libro, Pilato,
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anni (26-36 d.C.) amministrava la Giudea. Cavaliere della nobilissima
Gens Pontia, il suo cognome (o soprannome) Pilatus (l'uomo del giavel-
lotto) evocava qualche ardita bravura in battaglia, apparteneva al corpo
privilegiato dei Caesariani equ ites e portava quel titolo di amicodi
Cesarericordato dai Sinedriti nel loro ricatto. Educato e vissuto nel clima
della romanità più schietta, cioè imperiale, con un alto senso della
giustizia e della dignità, abituato al comando assoluto nella ferrea disci-
plina della legione, quando fu destinato alla Giudea concepì il disegno
di normalizzare la peculiare situazione colà esistente, unica nell'impero,
con i privilegi: esenzione dal servizio militare, indipendenza religiosa,
proibizione alle truppe romane di passaggio o dimoranti in Giudea di
spiegare le loro insegne, e qualsiasi altra manifestazione idolatrica.
Pilato, appena giunto in Palestrina, volle iniziare il suo tentativo
di assimilare la Giudea alle altre componenti dell'impero. Ordinò aisoldati di entrare a Gerusalemme (ma di notte, per evitare uno scontro)
e spiegare quindi le insegne, con l'effigie dell'imperatore e altri emblemi
idolatrici. Grande fu la collera dei Giudei, quando al mattino se ne
accorsero; per essi il fatto costituiva soltanto un voluto oltraggio allaLegge, al loro sentimento religioso.
In numero considerevole si recarono a Cesarea e dopo cinque
giorni e cinque notti passati nel cortile del Pretorio, ottennero da
Pilato la rimozione delle insegne. I1 Programma tuttavia rimase. Ed
ecco l'occasione degli scudi d'oro, in onore di Tiberio, senza simboli ido-latrici: li fece appendere pubblicamente nel palazzo di Erode, sua
sede a Gerusalemme. E questa volta, il Procuratore fu irremovibile,
anche nei confronti degli stessi principi erodiani. Ma dopo qualche
mese, si vide costretto a toglierli per ordine dell'imperatore Tiberio,
al quale i Giudei si erano rivolti.
Questa volta, oltre al risentimento, all'odio e alla derisione dei
governati, Pilato vedeva sminuito, compromesso lo stesso suo prestigio,
quella autorità che avrebbe voluto rafforzare; i tenaci ed accorti membri
del Sinedrio non ebbero più timore di giostrare con il nobile romano,valoroso in guerra, ma poco accorto in politica e la loro astuzia dovette
spesso prevalere.
Ecco perché, quella mattina del 30, muovono verso il Pretorio
col proposito di ottenere da Pilato il semplice avallo alla loro sentenza
di morte. Una condanna a morte che essi non avrebbero potuto giusti-
Istit. Pad. Arti Grafiche, Rovigo 1973, p. 215: bibliografia. pp. 201-214. Con l'esamecritico delle fonti e I'esegesi accurata.
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ficare; un avallo che avrebbe fatto di Pilato un loro complice, avvilendo
la sua dignità di amministratore e di giudice a semplice assassino di
un innocente. (Mt. 27,l S. 11-26; Mc. 15, l-15; LE. 23,l-25; Giov.
18,28-19,16).
(< (I membri del Sinedrio) condussero Gesù dalla casa di Caifa
al Pretorio. Essi però non entrarono nel Pretorio, per non contaminarsi
e poter mangiare la Pasqua >> (Giov. 18,28). Gesù dunque è condotto
dentro la Fortezza Antonia, mentre i Giudei rimangono all'esterno.
Pilato rispetta gli scrupoli o usanze dei Giudei ed esce dal Pretorio
verso di loro: <( Mi avete portato quest'uomo, quali sono le accuse cheavete contro di lui? ».
La risposta dei Capi esprime un'altezzosa pretesa: pretendono un
puro avallo della loro sentenza di morte: Se non fosse un malfattore,
degno di morte, non l'avremmo portato e consegnato a te ».Pilato si attiene al diritto: Ne quis indicta causa condemnetur; e
difende la sua dignità di giudice. <( Non volete addurre le accuse, ebbene
riprendetevi l'imputato e giudicatelo secondo le vostre leggi ».I Capi sono costretti a formulare l'accusa nuova: L'abbiamo
colto a sobillare la nazione, a vietare il tributo a Cesare, a proclamarsi
Cristo-Re >> (LE. 23,2). Accusa nettamente politica; azione giudiziaria
affatto nuova e differente. I1 Sinedrio l'aveva condannato a morte
come bestemmiatore; ora i Capi da giudici diventano accusatori. Sono
essi che denunciano all'autorità romana un ribelle (era una falsità eben lo sapevano), ma giudeo della loro razza! È di lega talmente falsa
questo loro inusitato ruolo di sudditi zelanti verso Roma che, si com-
prende, dovettero assumerlo soltanto costretti, pur di raggiungere lo
scopo tenacemente perseguito: l'esecuzione di Gesù. Di lega talmentefalsa che dovette giustamente suscitare più del sospetto, lo sdegno di
Pilato. Basti ricordare i rapporti intercorsi in quei quattro anni (dal
26 al 30) tra lui e gli stessi Capi, il Sinedrio.
Ma questi univano al disprezzo nei confronti di Pilato, la sicu-rezza di averlo in pugno. Se infatti l'avevano spuntata per la questione
degli scudi votivi, tanto più erano sicuri di imporre a Pilato l'esecu-
zione di Gesù: Roma al loro ricorso si sarebbe mossa e come! per
un ribelle che il procuratore vorrebbe lasciare impunito! Ecco perchéPilato alla fine cederà al sopruso; il ricorso a Tiberio, minacciato dai
Capi, questa volta avrebbe avuto l'aggravante del motivo affatto politico,
e l'aggravante della . . . ricaduta. Prima però di soccombere, Pilato farà
di tutto per salvare la giustizia perchè sa che Gesù è innocente, e per
salvare la propria dignità.
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Pilato, rientrato nel Pretorio, domanda: « Sei tu il re dei Giudei?
E Gesù: « Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse
di questo mondo, i miei soldati avrebbero combattu to, per non farmicadere in mano ai Giudei. No, il mio regno non è di quaggiù ». Egli
aveva rifiutato di essere re e di combattere i Romani.« Pilato ben sapeva che i Capi glielo avevano consegnato per
invidia » ( M t . 27,18; Mc. 15,lO) e, con ogni probabilità, da governatore
accorto, era informato circa la persona e la predicazione di Gesù, e
non era, perciò, mai intervenuto durante i due anni e mezzo del di
lui ministero, fino al trionfale ingresso a Gerusalemme . . ..Anche per questo, se non, forse, proprio per questo, il Sinedrio
esitò a formulare contro Gesù l'accusa di ribelle a Cesare: Pilato cono-
sceva bene quel che avveniva nel territorio ffidatogli. Ecco perché
egli non ebbe dubbi e prese subito le difese2Gesù; ecco perché fecedi t ut to per opporsi alla richiesta de i Giude i.
Pilato comprende bene le parole di Gesù: « Dunque, tu sei re D.
« Sì, Egli risponde. Per questo son venuto al mondo, per rendere testi-
monianza alla verità; chiunque ama la verità, ascolta la mia voce »;
intendendo quindi di regnare sulle anime. Pilato dovette interrompere
il colloquio, ed uscire fuori da dove i clamori si facevano più forti
(Lagrange): i Capi impazienti e temendo di non riuscire nel loro intento,
sollecitano il clamore della folla, fatta affluire; temono che Pilato subi-
sca l'influenza di Gesù.
Fatta la domanda: « Cos'è la verità? » Pilato *uscì attraverso il
litostrotos (o atrio dalle grosse pietre per pavimento), verso la folla.
« Per me non trovo in lui colpa alcuna ». Era come una sentenza di
assoluzione. Ma i Sinedriti moltiplicano le accuse, insistono pesante-
mente. E Pilato le tenta tutte, per salvare Gesù e difendere la propria
dignità: il rimando ad Erode Antipa (Lc. 23,6-12), il rilascio di un
prigioniero per la Pasqua . . . Iniziativa, questa, davvero geniale e riso-
lutiva: strappare Gesù ai suoi accusatori facendolo liberare dal popolo.
Pilato era sicuro del buon risultato in quanto poneva Gesù a raffronto
con uno scellerato famoso, i cui delitti avevano suscitato il disgustodi tutta la gente onesta. Ed invece . . . Appena Pilato ha formulato
la sua proposta, i Sommi Sacerdoti e gli Anziani si impegnarono ad
indurre la folla a domandare la liberazione di Barabba e a reclamare
la morte di Gesù.
E la folla, alla domanda del Procuratore su chi ricadesse la loro
scelta, gridò unanime il nome di Barabba, esigendo per Gesù la croci-fissione. Incitata e magari cattivata dai Capi, la folla prese con slancio
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la loro parte: al di fuori del termine fatale: a sia crocifisso ella non
sa dire altro.
Tutta la sua psicologia consisterà ormai a formulare sempre più
fortemente la sua domanda, la sua esigenza, passando dal chiasso, al
clamore, al tumulto.Pilato ne fu sorpreso e dolorosamente colpito; ma non si arrese,
non si diede per vinto. Quando i Capi insistono: i{ Secondo la nostra
Legge, deve essere mandato a morte, perché si è fatto Figlio di Dio »,
egli, ancora più impressionato, rientra nel Pretorio e chiede a Gesù:
<( Di dove sei? . . . » Ma non ne riceve risposta. u Non mi parli? Non
sai che io ho il potere di metterti in libertà, come ho il potere di croci-
figgerti? ».Gesù rispose: u Non avresti alcun potere su di me, se non ti
fosse sta to da to dall'alto; perciò chi mi ha consegnato a te è colpevoledi un peccato grauissimo ».
Nella sua risposta, esprime comprensione e compassione per Pilato,
che in quanto magistrato è solo un mandatario; egli ha il potere da
Tiberio. Tu dici di avere la possibilità di liberarmi o di uccidermi;
ed invece sei in balia di questi violenti; con la minaccia del ricorso a
Tiberio, ti costringono a fare quello che essi han deciso di ottenere e
proprio abusando della tua posizione di rappresentante e dipendente
di Tiberio. Pilato lo sapeva, purtroppo, molto bene. Non soltanto i
Capi hanno condannato ingiustamente Gesù, non solo presentano una
falsa accusa, ma con il ricatto del ricorso a Cesare costringono il giudice
ad eseguire la loro ingiusta condanna. Sono ingiusti contro l'accusato
e contro lo stesso Pilato! Usano violenza all'uno e all'altro! Perciò
il loro peccato è gravissimo! (26)
i( Dopo queste parole, Pilato cercava di tutto per rilasciarlo . . .,allora i Capi: i< Se lo rilasci, non sei amico di Cesare! chiunque si fa
re, si oppone a Cesare ».
I casi precedenti rendevano edotto Pilato ad evitare assolutamente
il ricorso dei Giudei a Roma, che oltre tutto lo avrebbero costretto
a condannare Gesù.Compie un ultimo tentativo. Rivolto al popolo, sembra dire: Badate
bene a quel che fate! i< Ecco il vostro re D. L'espressione ci riconduce
all'inizio, quando Gesù spiegò a Pilato in che senso Egli era realmente
(m)Cf. Pilato, già cit., pp. 136-140. Nessun confronto o paragone tra il peccato diPilato e quello dei Giudei. In realtà, il comparativo del testo greco equivale al superlativo,come più di una volta, nella Koine' o greco comune: 6 . F . M . ABEL, ram. du Grecbibl., Paris 1927, p. 152: § 37 K, che cita Act. 24 ,22; 25 , lO; 2Tim. 2 ,18; 2Cor . 8 ,17 .
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re, in senso spirituale, Pilato comprese bene; ed ora con gravità riaf-
ferma quel titolo. Pochi giorni addietro, il popolo plaudente aveva
accolto Gesù a Gerusalemme, con acclamazioni affini.
Gli risponde il clamore: << Via, via, crocifiggilo ». Pilato vuole
che essi riflettano: << Devo crocifiggere il vostro re? D. I1 popolo nellasua volubilità, avrebbe potuto ripensarci. Ecco perché i Capi questa
volta intervengono con la richiesta della condanna e la larvata minaccia
contro il Procuratore: << Noi non abbiamo altro re che Cesare ».
Pilato si lavò le mani: Io sono innocente da questo sangue:
a voi di pensarci. Non sono responsabile della morte di Gesù ». La
risposta: <( Che il suo sangue cada su di noi sopra i nostri figli »
dei nostri figli.
2oglie a Pilato ogni responsabilità: la respons ilità sia tutta nostra e
Ogni tentativo fatto, non dico di negare, ma di limitare la pienaresponsabilità collettiva dei Giudei, Capi e popolo, nella condanna a
morte e quindi nella esecuzione di Gesù N. Signore, e prima ancora
nel rifiuto di accettarne la predicazione, di riconoscere in lui l'inviato
del Padre, nonostante tutti i miracoli compiuti, contrasta con tutta la
documentazione dei nostri quattro Evangeli. (n)
E questo vale ancora più evidentemente, per tutto il popolo giudaico,
che - ome rilevava pertinentemente il P. Benoit nella sua critica al
libro di Jule Isaac (Rev. B., 1949, p. 610 S.)- atificò completamente,
in pieno, la sentenza dei loro Capi, opponendo dappertutto, e nellamassa dei suoi membri, in Palestina e nella Diaspora questa resistenza
feroce alla Chiesa nascente e continuando nei discepoli di Gesù l'opera
di persecuzione a morte.
Nelle parole di Gesù, nel racconto dei quattro Evangelisti, risulta
ineccepibilmente la responsabilità collettiva, per quel principio di soli-
darietà, ereditato da tutto il Vecchio Testamento, e fondamentale per
il concetto della b6rit o alleanza, che lo pervade.
Le parole di Gesù in croce, riportate soltanto da S. Luca 23,34 a:<< Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno D, non vanno
più in là dei testi riportati finora.
Lo confermano i commenti all'Evangelo di san Luca.
Nella collana Verbum Salutis, A . Valensin-G. Huby s.j. (trad. it.
(n) Per la loro data di composizione e per il valore storico dei Sinottici e del 4"Evangelo, cf. le opere recenti: de l'anglicano JOHN . R. ROBINSON,edating the Neultestament, London 1976; di CLAUDE RESMONTANTdi JEANCARMIGNAC,a naissancedes Ev. Synoptiques, Paris 1984 (3" ed.). Vedi mio art. in Divinitas 30 (1986) 78-84;e in Palestra del Clero, febbraio 1986.
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ed. Studium, Roma 1956, p. 456 S.), Vangelo secondo S . Luca,(28)
così commentava.L'evangelista, nel suo Evangelo della Misericordia, riferisce queste
parole << per far conoscere l'infinita misericordia del Salvatore del mondo.
Gesù ci dà l'esempio di quell'amore dei nemici e di quel perdono delleoffese, di cui aveva fatto un dovere per i figli del regno ( M t . 5,44).Si riferisce prima al popolo ebraico, poi a tutti quelli che, anche inmaniera indiretta, sono causa della sua morte. (Knabenbauer, in h.1.).
u Domanda perdono per loro, in considerazione della loro igno-ranza. Perché verament+n ogni peccato c'è un fondo d i tenebre . L'uomo
che pecca non sa complptamente tu tto ciò che f a . . . Gli Ebrei non
comprendevano tutta l'enormità del loro delitto. Questa ignoranza, in
quanto era frutto della resistenza alla grazia e dell'accecamento volon-
tario, non li assolveva della loro colpa; Gesù tuttavia la presenta alPadre come circostanza attenuante, e così farà più tarti san Pietro
(Ac t . 3,17) ».I1 Lagrange (S. Lc., p. 588) per l'omissione delle parole di Gesù
in vari codici, si pone la domanda: << si è pensato che l'indulgenza delSalvatore fosse eccessiva, perché i Giudei sapevano bene quel che face-vano? ». In realtà, si poteva pensare ad .una contraddizione con i testi
evangelici che, come abbiamo visto, attestano la cosciente malafede deiCapi e la responsabilità del popolo: Mt. 27,25 . . .
I Capi, continua il Lagrande, erano veramente colpevoli ed avevanogrande bisogno di perdono; le prove dell'accecamento volontario, diodio e di doppiezza non mancano in Luca; tuttavia essi non compren-devano l'enormità del loro crimine. Si compiva in Gesù, la predizione
d'Isaia 53,12: << intercede per i malfattori ».
Juan Leal s.j., E v. S . Lucas, (La S . Escritura), BAC 207, Madrid1961, p. 764.
<< Gesù ha presenti i Capi del giudaismo, responsabili della sua
morte. Essi sapevano come nessun altro, quello che facevano. E perchélo sapevano, peccarono ed avevano bisogno di perdono. In ogni peccato
umano c'è sempre qualche ignoranza e Gesù si richiama a questa scusa.
La preghiera di Gesù per i Giudei poteva risultare contraddittoria con
Mt. 27,25 << il suo (di Gesù) sangue sia su di noi e sopra i nostri figli »e con i testi in cui si predice il suo ripudio definitivo.
<< Una preghiera in queste circostanze, che chiede perdono per i
(28 ) Nella nota 4 a p. 456, gli Autori danno una chiara informazione sul problemadi critica testuale, sollevato dalle parole suddette, v. 34 a, che manca in molti codici,anche importanti.
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nemici è autenticamente cristiana: è in armonia con la dottrina del
Signore nel discorso del Monte (Mt. 5,44), col suo esempio (Lc. 2,48.51
con il traditore Giuda!) D.
<< Santo Stefano ha pregato nello stesso spirito di carità, ma non
con gli stessi termini (Act. 7,60). San Giacomo di Gerusalemme, prima
del martirio, << in ginocchio pregava così: - i supplico, o Signore,
Dio e Padre, perdona ad essi (Scribi e Farisei), perché non sanno quello
che fanno D (Eusebio, Storia Eccl., 1. II., C. 23, S. 15) . (Lagrande).
Cf. ancora il P. Vaccari, p. 1917.
San Pietro se ne fa eco, nel secondo discorso al popolo, dopo laguarigione dello storpio, alla porta del Tempio, detta la Bella: E
ora, fratelli, so che avete agito per ignoranza, come i vostri Capi H. I1
Boudou commenta: e Pietro non vuole gettarli (gli Uomini d'Israele »
accorsi numerosi intorno a Pietro e Giovanni, all'ingresso del Tempio,per la guarigione istantanea dello storpio) nella disperazione e trova
per loro delle scuse . . . si direbbe l'eco delle parole . . . cadute dall'alto
della Croce, raccolte da tutti i veri discepoli di Gesù, ripetute spesso . . .nelle stesse tragiche circostanze, in testimonianza della stessa eroica
carità D. S. Pietro infatti, all'inizio del discorso aveva rilevato l'enorme
peccato d'Israele nel ripudio e nella uccisione del Salvatore, la loro piena
colpevolezza e responsabilità collettiva.
. . . i<1 Dio dei nostri Padri, o Uomini d'Israele, ha glorificato
il suo servo, Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato davanti a Pilato,mentre egli aveva deciso di liberarlo. Ma voi avete rinnegato il Santo
e il Giusto e avete chiesto che fosse graziato un assassino, e avete fatto
morire l'autore della vita. Dio l'ha risuscitato dai morti e noi ne siamo
testimoni . . . La fede che viene da lui, la fede nel nome di lui, ha
dato a questo infermo la piena salute in presenza di voi tutti. E ora,
o fratelli, so che avete agito per ignoranza . . . Pentitevi, ecc. D.
Nel primo discorso che Pietro, nel giorno della Pentecoste, ai
numerosi Giudei accorsi nell'atrio del Tempio, colpiti dal miracolo della
glossolalia degli Apostoli (circa tremila aderirono all'Evangelo), è affer-
mata senz'altro la colpevolezza e la responsabilità collettiva dei Giudei
(Act. 2,23.36): << Gesù di Nazareth, da Dio approvato con opere potentie prodigi e miracoli . . . quest'uomo . . . voi l'avete crocifisso e per
mano degli empi l'avete fatto morire . . . Lo sappia dunque sicuramente
tutta la casa d'Israele: Dio ha fatto Signore e Cristo quel Gesù che
voi avete crocifisso ».(")
(29 ) ADRIANOOUDOU.J., nella colonna u Verbum Salutis »: Atti degli Apostoli,
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Per Act. 13,27 ritengo esatta la traduzione del Baudou: (") « Gli
abitanti di Gerusalemme e i loro capi hanno misconosciuto Gesù, e
condannandolo adempirono le parole dei profeti che si leggono ogni
sabato». È
san Paolo che così parla nella Sinagoga di Antiochia. Nonsi tratta di « ignoranza » (Gesù aveva detto loro chiaramente chi era:
Giou. 5,18; Mt. 26,65; 27,44 e Giou. 19,7 « si è detto Figlio di Dio »perciò deve morire, dicono i Sinedriti a Pilato): ma di rifiuto di fede
nella sua persona. I1 verbo greco aghnoé ha anche tale significato. Cod
nella lettera ai Romani 10'3 gli esegeti traducono lo stesso verbo:« Misconoscendo infatti la giustizia di Dio e cercando di stabilire la
propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio ». Pur conoscendo,
pur avendo appreso il contenuto dell'Evangelo: 10,16-21.
« Si potrà dire che Israele non ha capito di che si trattava nella
predicazione dell'Evangelo? No, risponde san Paolo, ha capito beneche l'Evangelo si presentava come il compimento delle promesse mes-
sianiche, ma per cattiva volontà ha rifiutato di accoglierlo, lo ha cono-
sciuto per misconoscerlo. Mentre i Gentili, che non si preoccupavano
molto di trovare Dio, lo hanno sconosciuto quando è stato manifestato
loro; Israele, preparato da una Provvidenza speciale all'avvento del
Messia, ha rifiutato di credere D . ( ~ ' )
Pertanto, anche nel discorso nella sinagoga di Antiochia, san Paoloesclude l'ignoranza, per rilevare agli ascoltatori: Israele ha realizzato
le Scritture profetiche che presentavano il Salvatore, il Messia, paziente,crocifisso, sepolto; morto e risorto, ma ha rifiutato la salvezza che noi
oggi vi annunziamo, sperando che non l'abbiate a rifiutare anche voi.
San Paolo è soltanto l'eco degli Evangeli: il messo tra le profezie e la
sua morte era stato affermato da Gesù (Lc. 18,31; Giou. 19,28; il
Risorto ai discepoli di Emmaus, Lc. 24,25-27).
tr. it., ed. Studium , Roma 1957, pp. 38 ss ., 67-70. Allo stesso modo, J . RENIÉ, Art. desAp . (L a St. Bible, Pirot-Clamer, X I , l ) , Paris 1949, p. 75.
(m)Boudou, ivi, pp. 287-293 ss. C f. F. ZORELL,Lex graecum N.T., s.v ., per I Cor.14,38 « sperno D.
(31) È il commento e la traduzione del P. J. HUBY,pistola ai Romani, (coll. Verbumsalutis), ed. Studium, Roma 1961, pp. 310-312, 325 , 327.
M. J. LAGRANGE;UAN LEAL,Nuevo Tesr., I1 (BAC 21 1) Madrid 1962, pp. 270 ss...La Sacra Bzbbia, Garzanti, 1964, p. 2027; A. Vaccari, pp. 2129 ss..
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CRISTIANESIMO E GIUDAISMO IN SAN PAOLO
In una delle sue pregiate Conferenze Bibli~he,(~')l Card. E. Ruffini,
dopo aver offerto uno schizzo di S. Paolo dall'infanzia, dallo zelantefariseo, feroce persecutore della Chiesa, alla chiamata del Cristo Risorto,
fulgido di gloria, a ca. 15 km. da Damasco, al s io ardente apostolatoattraverso l'impero, fino alla Spagna remota, ed infine alla seconda
prigionia a Roma con il martirio, l'eminente conferenziere presentavain sintesi precisa e documentata l'Evangelo di Paolo rilevandone quindii parallelismi con l'Evangelo di Gesù.
« L'Evangelo di Paolo, che è il mistero di Dio, il mistero di Cristo,chiamato semplicemente "mistero", non è altro - ome è stato detto
sopra, p. 203-210 - he la predicazione della redenzione di tutti gliuomini, dei giudei e dei pagani, per Cristo e in Cristo. Questo mistero,
nascosto dall'Eternità, l'Apostolo dice che ormai è rivelato e inoltremanifesto a tutte le genti (Rom. 16,25-27; cf. Col. 1,24-27; Ef. 3,l-13).Di esso rivendica a se medesimo una particolare comprensione ricevutada Dio. Nessuno per altro pensi che gli altri Apostoli abbiano ignoratoquesta dottrina, la quale certamente appartiene, secondo gli Evangeli,alla predicazione dello stesso Cristo come si vedrà subito. È un'offesa
che si reca a Paolo, quando lo si oppone a Cristo, quasi abbia datoun'altra impronta . . . all'insegnamento del Salvatore ». (p. 210).
Un saggio, dalla lettera agli Efesini (1,3-10): « Benedetto sia Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, checi
ha benedetti con ognibenedizione spirituale in Cristo.. In lui ci ha scelti, prima della crea-zione del mondo, per trovarci, al suo cospetto, santi e immacolati,nell'amore. Ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi per opera diGesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere, a lode e gloria della
sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto. In lui abbiamo la
(") ERNESTOard. RUFFINI,onferen ze Bibliche, Libt. Editrice Ancora, Roma 1966,
pp . 195-218: L'Evangelo di Paolo e I'Evangelo di Gesù Cristo.
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redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo
la ricchezza della sua grazia. Dio l'ha abbondantemente riversata su di
noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere
il mistero del suo volere, il disegno di ricapitolare in Cristo tutte lecose, quelle del cielo come quelle della terra. Nella sua benevolenza
lo aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi D.
(Cf. Col . 1,l-23).
Nel volume, Gesù e la fine di Gerusalemme - L'Escatologia in san
Paolo, ho rilevato l'eco perfetta delle stesse parole di Gesù sulla incre-
dulità dei Giudei e sul castigo, la preannunciata distruzione di Gerusa-
lemme, nella prima e seconda lettera di san Paolo ai Tessalonicesi:
pp. 161-364.(")
Come quadro introduttivo riporto (p. 164) la vivida narrazione
di san Luca ( A c t . 17,l-9): Paolo, Sila e Timoteo « vennero a Tessalonica,
dove i giudei avevano una sinagoga e Paolo, secondo la sua usanza,(%)
entrò da loro e per tre sabati ragionò con essi, spiegando e dimostrando
con le Scritture che era necessario che il Messia soffrisse e risuscitasse
dai morti (le parole di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus, Lc. 24,25-
27) , e il Messia- gli aggiungeva- quel Gesù che io vi annunzio S.
Pochi Giudei aderirono, insieme a « un gran numero di proseliti greci
e non poche donne delle prime famiglie ». « I Giudei rimasti increduli...misero sottosopra la città... ». Trascinano Giasone che ospitava Paolo
dai magistrati della città (non avendo potuto trovare san Paolo), conla stessa accusa dei Sinedriti contro Gesù: « Son tutti dei ribelli agli
statuti di Cesare proclamando, come fanno, che c'è un altro re, Gesù D .
Paolo fu costretto ad allontanarsi, prima a Berea, poco distante;
ma anche lì i Giudei di Tessalonica lo perseguitarono e i fedeli lo
fecero partire per Atene.
Dalla la ai Tess. si hanno accenni a sofferenze sopportate a Tessa-
lonica da Paolo e dai suoi collaboratori (2,2); ma gli stessi convertiti
subirono persecuzioni e violenze (1,6). Persecuzioni che continuarono
accanite, aumentarono dopo la partenza degli Apostoli.«
V oi , o fratelli,siete divenuti gli emuli delle chiese di Dio, che sono in Giudea, nel
Cristo Gesù; ché avete sofferto anche voi, da parte dei vostri compa-
trioti, le stesse pene che essi da parte dei Gi ud ei, i quali uccisero il
(33) Istituto Padano Arti Grafiche, Rovigo, 2" ed. 1971.(M)Cosf a Salamina (Act. 13,5), ad Antiochia di Psidia (19,14.42.44): r Era neces-
sario (secondo l'ordine dato da Gesù agli Apostoli: Act. 1,8) che a voi - iudei - e;
i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete... noi ci rivolgiamo ai
Gentili N; 14 ,l; 16, 12 ss...
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Signore G esù e i Profeti, e ferocemente han perseguitato noi; a Dio
spiacenti e nemici del genere umano, impedendoci di predicare ai Gentili
per salvarli; colmando così sempre più la misura dei loro peccati. Ma
l'ira di Dio è ormai su di essi totale e definitiva ». (2,14-16).
Eco letterale delle parole di Gesù: M t. 23,32.34.36.38 (vedi 1. cit.,p. 212-214). E per dare animo ai persegutati, san Paolo, che aveva avoce comunicata la profezia di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme,fine della persecuzione giudaica e sviluppo della Chiesa, ritorna suquesto argomento nella la Tess . 5'1-11 (vedi citazione letterale da M t.
24: 1. cit. p. 213 S.) e nella 2" C. 1'7; 2'1-11, sempre da M t. 24; (pp.214-217.217-320).(35)
L'odio fanatico dei Giudei rimasti « increduli D, nonostante la
fervida testimonianza dell'Apostolo sulla Messianicità di Gesù, suffra-
gata dall'esposizione dei vaticini dei profeti, lo seguirà dovunque (cf.l'apologia che S. Paolo fa contro i suoi denigratori, in 2 Cor . 11,22-
12,12), fino al tentativo di ucciderlo, già in atto, all'ingresso dello stessotempio, nella Pentecoste del 58, quando l'intervento provvidenziale deltribuno Lisia, accorso dalla Torre Antonina, riuscì a strapparlo, appenain tempo, dalle loro mani.
L'Apostolo inoltre doveva vigilare e rintuzzare gli attacchi dei
« falsi fratelli » (Ga l . 2,4), che recatisi nelle chiese da lui fondatepretendevano imporre ai Gentili convertiti la circoncisione, le altre
pratiche della Legge, come necessarie per la salvezza. Si trattava delgruppetto di fanatici farisei, che anche abbracciando il cristianesimorimanevano tuttora schiavi della loro mentalità ristretta, così bene deli-
neata e condannata da Gesù, negli Evangeli.Infine, c'era nei suoi confronti la diffidenza se non proprio l'osti-
lità degli Ebrei « che hanno creduto e sono rimasti zelanti della Legge N.
Essi credevano che Paolo insegnasse « l'allontanamento da Mosè agliEbrei dispersi tra i Gentili a. ( A c t . 21,17-26).
Qualche mese prima di iniziare dalla Macedonia il viaggio che lo
avrebbe portato per la Pentecoste del 58 a Gerusalemme, Paolo cosiscriveva ai fedeli di Roma ( R o m . 15'30 ss.): « Ora io vi prego, o fra-telli, per il Signor Nostro Gesù Cristo e per la carità dello Spirito
Santo, a lottare meco .con le vostre preghiere a Dio per me, che io
(35) J .B . ORCHARD,n Biblica 19 (1938) 19-42: 1-2Th ess . e gli Evangeli sino ttici.
E . GTHENET,n Rech. de Science Relig. 42 (1954) -39. pp. 210 ss. del mio libro cit.,riporto l'adesione degli esegeti H.A. A. Kennedy, A. Plummer, F. Amiot, G . Rinaldi,K. Staab, nei loro commenti alle lettere ai Tessaionicesi, sulla dipendenza di esse dal-l'Evangelo di san Matteo, C. 24 in particolare.
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sfugga al pericolo degli increduli di Giudea, e che il mio servizio a
Gerusalemme possa riuscire accetto ai santi, sicché io venga da voi, se
piace a Dio, con il cuore riboccante di gioia e trovi riposo in mezzo a
voi. I1 D io della pace sia con voi t utt i. A men ».Egli era dunque perfettamente conscio dei pericoli, degli ostacoli
che lo attendevano a Gerusalemme: da una parte l 'odio dei Giudei
« increduli »: una spada di Damocle pendente sul suo capo; dall'altra,
incomprensione, l'ostilità tra gli stessi « santi », Giu dei c onvertiti, rima-
sti attaccati fuo ri di m isura alle vecchie, avite pratiche del giudaismo. (% )
L'incomprensione concerneva la dottrina sul rapporto tra l'antica
e la nuova 4 alleanza », tra la Legge e l'Evangelo, tra la sinagoga e la
Chiesa; è il nostro tema: Cristianesimo e Giudaismo.
Cosa ne pensava ed insegnava san Paolo?
Nei mesi invernali tra il 57 e il 58 d.C., san Paolo da Corinto
rivolgeva alla comunità cristiana di Roma la lettera che ha negli scritti
ispirati del Nuovo Testamento il primo posto dopo gli Evangeli.
Pur rimanendo, quanto alla forma, quanto al genere letterario -come i moderni preferiscono dire -, nel novero delle altre lettere,
questa ai Romani si avvicina al trattato dogmatico vero e proprio. Nei
primi undici capitoli, svolge infatti ed illustra sistematicamente l'essenzadel cristianesimo, la natura e la portata della redenzione, in sé e nei
confronti dell'antica rivelazione. Anzi, quest'ultimo punto è il vero
oggetto formale della lettera, fissato in maniera lapidaria e definitiva:
il cristianesimo, la redenzione operata dal Cristo, compie, completa,
assorbe in sé ed eleva tutta l'antica economia.
(3)Per il conflitto con i giudaizzanti, farisei convertiti, 6 . M. J. LAGRANGE,pftreaux Galates, 3" ed . , Paris 1926, pp. XXIX-LVII; CL. TRESMONTANT,. Paul, éd. du Seuil,Paris 1956, pp. 98-125; A. BOUDOU, tti degli Ap., cit., coll. « Verbum Salutis >p, ed.
Studium, Roma 1957, pp. 326-351; G. HOLZNER, 'Apostolo Paolo, 5" ed., Morcelliana,Brescia 1961, pp. 153-173, 342-351.
Per la lettera ai Romani, in particolare i commenti: M. J. LAGRANGE,O migliaio,Paris 1931; G . HUBY, coll. « Verbum Salutis >p, ed. Studium, Roma 1961; A. VIARD,u La St. Bible », L. PIROT A . CLAMER, I , 2 , Paris 1949, pp. 7-159; A. VACCARI,aSacra Bibbia, A. Salani, Firenze 1961, pp. 2113-2137.
Per il Giudaismo negli Evangeli sono da rilevare i saggi contenuti nella Teologiadel Nuovo Testamento, vol. I, La predicazione di Gesù, T d., tr. i t . , ad opera di JoachiiJeremias, Paideia, Brescia 1976: La minaccia, pp. 168 ss.; La religiosith che separa daDio, pp. 172-177; I1 santo resto, pp. 198-205; Gesù e la legge dell'A.T., pp. 235-242;L'afflusso dei popoli, pp. 279-281.
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Abbiamo, nella lettera ai Romani, la soluzione teorica piena, perargomenti e per chiarezza, del problema grave e sostanziale, che siaffacciò spontaneo e fu p ropo sto con passione anche violenta dai G iudei
convertiti, fin dall'inizio medesimo della predicazione evangelica, dellavita della Chiesa: se col Cristo aveva termine la legge mosaica.Per ben valutare l'entità del problema e la geniale formulazione
di Paolo nella nostra lettera è necessario seguirne l'origine, lo sviluppo,con le risposte e l'azione degli Apostoli, principalmente dello stessosan Paolo. I1 presente paragrafo vuole esaurire questo punto di ambien-tazione, esso pertanto è come l'introduzione alla lettera ai Romani,
una premessa che la inquadra, ne facilita la comprensione, ne permetteuna valutazione quanto più adeguata possibile.
* * *
Nel discorso del monte, il divin Redentore aveva proposto conchiarezza il principio e aveva dato alcune esemplificazioni importanti,per la soluzione del problema: il rapporto tra l'antica e la nuova eco-nomia, tra la precedente rivelazione e quella definitiva ch'egli incomin-
ciava a fissare, tra il tempio, la legge, la sinagoga e la Chiesa, il regnodi Dio ch'egli stabiliva per sempre. I1 principio generale (Mt. 5, 17-20)viene illustrato praticamente con gli esempi che seguono (vv. 21-48);pertanto va ben compreso alla luce di questi.
L'antica alleanza, nella sua triplice fase o determinazione: conAbramo (Gen . 12 , 15-17 ); tramite Mosè al Sinai (Es. 1 9, 20.24); conDavid ( 2 Sam. 7 ; Ps. 88 ), era soltanto preparatoria, con termine il Cristo.
Gesù le dà compimento nel suo complesso: dà compimento allalegge morale, inculcandone l'osservanza in tutta la sua purezza e inte-grità; alla legge cerimoniale, trasformandone le figure, i simboli inrealtà, dà infine compimento ai profeti, attuandone gl'ideali e verifi-
candone in sé le predizioni.Ecco il principio: « Non sono venuto ad abrogare, ma a portare a
compimentoD
(v. 17 ), cioè sono venuto a«
portare alla perfezione»
( ' P E ~ E L ~ ) t. 5,17.L'antica rivelazione non perde cosi né un iota, né un apice dei
suoi elementi costitutivi. « Come uno scriba vigila con cura meticolosaa non tralasciare alcun elemento considerato da lui essenziale ad una
buona lettura del Libro Sacro, cosi Iddio prende cura di tutti i germidepositati nella rivelazione. I1 Cristo vi apporta uno sviluppo essenzialee definitivo » (Lagrange).
In tal modo, tutte le prescrizioni, anche le più minute, della legge,
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perfezionate nell'Evangelo, avranno il loro compimento nella Chit
cristiana, fino alla fine del mondo (cf. Lc. 16, 17; A. Vaccari).
Una volta posto il principio, Gesù ne trae, ne mette in risalto-mo' di esemplificazione
-lcune applicazioni. La legge interdi-
ceva l'omicidio (Es. 20, 13; Deut. 5, 17: è il quinto precetto del
decalogo). Gesù non abroga tale prescrizione, ma la supera perfezio-
nandola; egli non vuole che si vada neppure in collera: non solo le
parole offensive e ingiuriose, ma anche i moti interiori, contrari alla
carità possono costituire grave offesa della virtù e degni della pena
proporzionata (Mt. 5, 21 ss.).
Non si deve solo perdonare, ma si deve venire a una conciliazione,
anche quando non si è dalla parte del torto. . .La legge mosaica permetteva il divorzio (cf. Deut. 24, 1 ss.);
Gesù riporta il matrimonio alla indissolubilità primitiva (cf. Mt. 19,
3-8). La legge proibisce lo spergiuro (Es. 20, 7) ma il vero discepolo
del Cristo eviterà anche il giuramento e si limiterà ad affermare il vero.
Era in vigore la legge del taglione (Es. 21, 23 ss.); Gesù la abroga e
riprova lo spirito di vendetta e di rappresaglia, contrario alla carith
evangelica.
I1 principio, posto da Gesù, doveva essere applicato, nella pratica
a tutti gli altri aspetti e precetti, anche fondamentali, che costituivano
l'essenza stessa della antica religione, rivelata nel Vecchio Testamento,
e rimasta, fino al Cristo, norma di vita spirituale, disciplina dei rapportitra Dio e gli uomini.
Mi limito a due precetti basilari del giudaismo: la circoncisione
e la proibizione dei cibi impuri.
La circoncisione costituiva, per tutti i maschi, il rito di iniziazione,
la porta d'ingresso per fare parte di Israele, cioè del popolo eletto;
per partecipare agli obblighi e ai diritti dell'alleanza. Mediante la circon-
cisione compiuta otto giorni dopo la nascita, il bimbo diveniva di diritto
e di fatto discendente di Abramo e, quindi, erede delle divine promesse;
diveniva di diritto e di fatto, membro del popolo eletto, con gli obblighie i privilegi, fissati nell'alleanza del Sinai. L'Eterno l'aveva prescritta
ad Abramo, per lui e per tutti i suoi discendenti, segno esterno e suggello
del rapporto particolare stabilito, mediante la solenne alleanza tra lui
stesso e il grande patriarca, padre di tutti i credenti.
Gesù, senza parlare della circoncisione, stabilisce che per entrare
nel regno di Dio, nella Chiesa, è necessario aderire alla nuova dottrina,
da lui predicata, e ricevere il battesimo: un rito che a differenza di
quelli giudaici - irconcisione compresa - on è soltanto un rito
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esterno, ma vero e proprio sacramento, cioè un rito, che per virtù
datagli dal Redentore, comunica effettivamente una nuova vita, la vita
soprannaturale, partecipazione della vita stessa di Dio, un rito che
lava effettivamente l'anima da ogni macchia di peccato; che riproduce
realmente all'interno l'azione espressiva compiuta all'esterno.
I Giudei vantavano la circoncisione, era il loro segno distintivo,
esprimeva la loro posizione di privilegio, quali detentori della vera
religione, quali discendenti di Abramo ed eredi delle divine promesse.
La circoncisione era stata comandata da Dio stesso. Essi, per aderire
al Cristo, avevano ricevuto il battesimo: ma non era forse necessario
per un gentile, per un incirconciso, ricevere prima la circoncisione e,
soltanto dopo, il battesimo?
Ecco il grave problema che praticamente avrebbe paralizzato lo
sviluppo della Chiesa, e avrebbe legato il cristianesimo alla Sinagoga.Ma oltre questa considerazione pratica, c'era un problema di fondo,
di sostanza: sostenere una tale soluzione, era svalutare, sminuire la
portata, il significato della Redenzione, non comprendere affatto il
rapporto tra il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Non si trattava, infatti, di una « giustapposizione », di un abbi-
namento, ma, secondo il preciso e chiaro principio enunciato dal Cristo,
di « perfezionamento », di completamento che eleva, e, per ciò stesso,
assorbe e supplisce, prende il posto.
I1 frutto non si abbina al fiore, ma lo sostiruisce.È la soluzione sancita da Pietro nel « concilio » di Gerusalemme
(Act. 15).
Allo stesso modo, il precetto di astenersi dai cibi impuri, aveva
principalmente lo scopo di stabilire una barriera, una netta separazione
tra Israele e le genti idolatriche (cf. Leu. 11; Deut. 14, 3-21). Tale
segregazione era fortemente sentita ed accentuata al tempo di Gesù;
san Paolo la definisce un « muro di separazione » (E f . 2, 14); esso
doveva preservare i Giudei dal pericolo della idolatria, e dal contatto
con le Genti, pericoloso per la purezza del monoteismo e dei loro
costumi.
Era un grosso intralcio, naturalmente, per la vita stessa della
Chiesa primitiva. Si trattava di una mentalità così radicata, che lo
stesso san Pietro, per recarsi in casa del centurione Cornelio, il primo
pagano da lui battezzato, fu preparato dalla triplice visione celeste, che
gli ordinava di mangiare ogni sorta di animali (Act. 10, 28; 11, 3),
significandogli così Iddio che !a croce aveva abolito ogni separazione
e differenza tra Giudei e Gentili.
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Era l'ordine di Gesù: « Andate, predicate l'Evangelo a tutte lecreature, battezzandole nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito
Santo ». Eppure la reazione della comunità cristiana di Gerusalemme,
in massima parte costituita da Giudei convertiti, contro il battesimo
di Cornelio e l'operato di Pietro, non fu meno viva e risentita. San
Pietro dovette spiegare l'ordine e la visione ricevuti dal cielo, narrando
l'intervento diretto di Dio; intervento visibile su Cornelio e la suafamiglia, che precedette il loro battesimo (Ac t . 11).
Ma i Giudei, pur battezzati, specialmente alcuni ex-sacerdoti ed
ex-farisei, non riuscivano a superare le loro corte vedute, le loro pre-
venzioni; non disarmavano; si piegarono alle parole di Pietro, ma
ritennero quell'episodio come una eccezione. Continuarono, infatti, a
difendere il loro punto di vista; le prescrizioni della legge devono
essere osservate, anche dopo il battesimo. E così, arrivarono a spiarela condotta degli apostoli, sostenendo, con la tenacia che li distingueva,
il loro punto di vista, non soltanto in Palestina, ma anche e direi spe-
cialmente, nelle comunità cristiane che, rigogliose, incominciavano a
formarsi nelle varie città della Siria.
Ci soccorre qui il libro degli Att i , questo prezioso resoconto -sia pure, incompleto- he l'evangelista Luca ci ha donato, sulla nascita
e sullo sviluppo della Chiesa, dal giorno della Pentecoste fino al 63
d.C. Nei primi 12 capitoli, è la vita della Chiesa a Gerusalemme, nella
Palestina e nelle città di Siria, dal capitolo 13, segue il racconto deiviaggi missionari di Paolo, per il Mediterraneo, fino alla sua prigionia
romana. È il cammino del cristianesimo da Gerusalemme a Roma.
Tra le città della Siria, emerse subito Antiochia uno dei grandi
centri dell'Impero: vi si formò una comunità fiorente, composta, in
maggioranza, da Gentili; e là, per la prima volta, i seguaci della nuova
dottrina, furono chiamati « cristiani ». L'instancabile Barnaba lavorò
allo sviluppo e al consolidamento di quella cristianità e volle suo colla-
boratore Paolo, il grande convertito, allora ritornato nella sua Tarso.Da Antiochia, Barnaba e Paolo partirono per il loro primo viaggio
missionario, che fruttò al cristianesimo Cipro e tutta la regione sud-
orientale dell'Asia Minore ( 4 5 - 4 8 ) .Al loro ritorno, trovarono in sub-
buglio la fiorente comunità di Antiochia. Nella loro assenza, vi si erano
recati alcuni di quei farisei convertiti, ai quali abbiamo accennato, per
obbligare i Gentili che si erano battezzati o che intendevano ricevere
il battesimo, a ricevere la circoncisione e ad osservare le altre prescrizioni
della legge mosaica.
I due grandi missionari si opposero energicamente a tale pretesa
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ed offrirono il loro esempio, forti degli stessi miracoli operati da Gesù
in favore dei Gentili da loro convertiti e battezzati. I capi della Chiesa,
per quietare gli animi litigiosi e miopi dei giudaizzanti (come vennero
denominati quegli ex-farisei convertiti al crstianesimo, i quali ritenevano
ancora in vita e volevano imporre agli altri battezzati la circoncisione
e le prescrizioni della legge mosaica), risolsero di mandare le parti a
Gerusalemme, per rimettere la questione agli Apostoli.
Paolo e Barnaba vi furono inviati, quali rappresentanti ufficiali
della Chiesa di Antiochia e, naturalmente, perorarono la libertà dei
Gentili nei confronti della legge mosaica, col valore pieno e definitivo
della redenzione.
Paolo, a ragione definito Apostolo delle genti, il quale aveva preso
il primo posto durante la missione compiuta a Cipro e nell'Asia minore,
primeggiò ancora nelle riunioni che si tennero a Gerusalemme, per lasoluzione del primo grave problema, te,orico e pratico, presentatosi alla
Chiesa appena ai suoi inizi.
Ci furono tre assemblee: la prima, pubblica, nella quale gli apostoli,
presenti a Gerusalemme, accolsero gli invitati; nella seconda, ristretta,
gli Apostoli sentirono le opposte tesi; quindi, nella terza, anch'essa
pubblica e generale, fu letta la risoluzione solenne, di principio, e
furono accettati alcuni suggerimenti pratici, proposti da Giacomo, allora
vescovo di Gerusalemme (cugino di Gesù, detto il minore, per distin-
guerlo da Giacomo, apostolo e fratello di Giovanni l'evangelista, cheera stato ucciso da Erode Agrippa I nel 42) .
È il primo concilio: e la soluzione - a prima definizione -data dal principe degli Apostoli, san Pietro, il quale aveva già parlato,
nella assemblea particolare, in favore della libertà dei Gentili dichiarando
assolutamente arbitrarie, infondate, inattuabili le pretese dei giudaizzanti,
adducendo il suo esempio (conversione e battesimo del centurione Cor-
nelio) e particolarmente la volontà di Dio, chiaramente manifestatasi.
Non per nulla tutta l'assemblea tace, appena Pietro ha parlato;
e il decreto, che viene inviato alle varie chiese locali, incomincia conla formula solenne: <( V is u m est Spiritui Sancto et nobis n: abbiam
deciso lo Spirito Santo e Noi, di non imporre nulla delle antiche pre-
scrizioni ai Gentili che si convertono.
Paolo, con Barnaba e Sila, rientra ad Antiochia, latore della soluzione
apostolica. Sant'Agostino, in un caso analogo, si esprimeva con la
formula divenuta celebre Roma locuta est, causa finita est »: Roma
ha parlato, la causa è finita; Pietro - con lui e per mezzo di lui,
la Chiesa - a parlato, la questione è finita.
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La comunità di Antiochia esultò. I1 cristianesimo eliminava, almeno
nella formulazione solenne, il primo ostacolo sorto sul suo cammino:
superava il primo pericolo che avrebbe svuotato, nella teoria e nella
pratica, l'opera del Cristo.
Paolo aveva partecipato alla lotta, con tutta l'energia e la decisione
che gli provenivano dalla netta coscienza della gravità del pericolo da
scongiurare. Egli vedeva chiaro a quali conseguenze teoriche e pratiche
avrebbe portato l'errore dei giudaizzanti, lo rileveremo più giù. I1 lettore
non si privi del godimento che offrono allo spirito le pagine degli Atti
(C . 15) che riferiscono l'episodio del « concilio di Gerusalemme ».
La decisione solenne di Pietro e degli Apostoli presenti a Geru-
salemme, non quietò, non convinse i giudaizzanti. La storia si ripete;
le passioni, la mentalità non tramontano con .un atto ufficiale, anche
se accolto con deferenza, anche se razionalmente ineccepibile. La Chiesaconosce nella sua storia la stranezza dei pervicaci che dopo aver desi-
derato, dopo aver reclamato il responso del Supremo Pastore, non
trovando tale responso a loro favorevole, si appellano « dal papa male
informato », al papa ben informato e, infine, dal papa al concilio . . .Pietro aveva preso posizione netta e solenne; Giacomo, pur così
fedele al Tempio, alla Legge, aveva convalidato, con passi della stessa
Sacra Scrittura, la decisione di Pietro; ma Paolo . . .; con la sua elo-
quenza, col suo calore, col racconto della sua missione tra i Gentili,
aveva, secondo i giudaizzanti, la responsabilità (o, addirittura, la colpa)di quella decisione. E poi, Pietro e Giacomo vivevano ancora da buoni
giudei; Pietro, almeno finché stava lì con loro a Gerusalemme; Paolo,
invece, predicava ai Gentili, viveva apertamente senza cenno alcuno
alla legge e quando parlava ai Giudei, si riferiva al Vecchio Testamento
soltanto per dimostrare che Gesù era il vero Messia, preannunziato
dai profeti.
Per Paolo, era chiaro che la legge più non contava; giudeo, rabbino,
non aveva ritegno alcuno a vivere da gentile, tra i Gentili: accedere
alla loro mensa, accettarne l'ospitalità. Per i giudaizzanti più accaniti,Paolo rivestirà quasi la figura del rinnegato; come senz'altro sarà il più
odiato e il più odioso degli Apostoli nei confronti dei farisei e dei capi
della nazione, che cercheranno accanitamente ogni mezzo per sop-
primerlo.
La lotta, pertanto, dopo il concilio di Gerusalemme diventa più
subdola, ma non meno tenace, non meno violenta, da parte dei giudaiz-
zanti; nonostante il decreto di Gerusalemme, costoro s'infintrano nelle
comunità cristiane fondate da Paolo e cercano, con ogni argomento,
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di indurre i convertiti ad abbracciare e a praticare le prescrizioni della
legge mosaica.
Due casi sono rimasti celebri : quello verificatosi ancora ad Antio-
chia e l'altro che ebbe per teatro la comunità cristana della Galazia
(nord-est dell'Asia Minore; con capitale Ankara).
Ne siamo edotti dalla lettera che nel 54 Paolo scrisse ai Galati,
da Efeso.
L'episodio di Antiochia (Gal. 2, 11-12) ha avuto nella celebre
scuola di Tubingen, alcuni decenni or sono, una ripresa altrettanto
clamorosa quanto futile e sbagliata; si volle parlare di opposizione tra
Pietro e Paolo, e di una duplice corrente in contrasto, alla cui sintesi,
avrebbero lavorato tardivamente gli Atti degli Apostoli. Una ricostru-
zione fantastica, che è già troppo aver ricordato.
Poco dopo l'assemblea di Gerusalemme, Pietro pervenne ad Antio-chia, le famiglie si contendono l'onore di ospitarlo, di averlo a pranzo
con loro; ed egli accoglie volentieri l'invito di quei Gentili convertiti,
dando l'esempio di non tener più in conto le prescrizioni della legge
mosaica.
Antiochia festeggia, onora il principe degli apostoli, la comunità
gli dimostra la sua esultanza anche per la decisione che ha tutelato
la sua libertà nei confronti della legge. E Paolo e Barnaba gioiscono
per la presenza di Pietro, nella comunità da loro prediletta.
Ma ecco arrivare da Gerusalemme (quanto zelo!) alcuni « falsifratelli »- ome li chiama san Paolo -, i quali sono venuti a spiare la
condotta di Pietro. Essi osano rivolgergli vivaci rimostranze, per questa
violazione da parte sua delle prescrizioni mosaiche: non è forse il
capo di tutti i battezzati, Giudei e Gentili? Perché, pur essendo giudeo,
non dà alcun'importanza alla legge? Si mostrano addolorati e scanda-
lizzati. Pietro non ritiene utile una spiegazione: talvolta bisogna aspet-
tare che il tempo illumini, apra i nostri occhi; teme di offendere queste
coscienze deboli e cieche, e pensa sia meglio, per il momento, evitare
ogni occasione di turbamento per questi animi accesi ed offesi. Ritienepertanto prudente declinare gl'inviti ed, in qualche modo, eclissarsi.
Cioè, richiesto da quei fervidi Gentili convertiti incominciò a decli-
nare i loro inviti, facendo di tutto, tuttavia, per non riuscire indelicato:
stimò prudente ritrarsi.Ma giustamente, come osserva un grande esegeta moderno, ciò
sarebbe stato possibile a qualunque altro, non a Pietro!Non soltanto ogni sua parola, ma ogni suo gesto rivestiva, infatti,
per i fedeli un significato, un'importanza affatto particolari. Lo esprime
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qualcosa d i più raele, di più profondo: una svalutazione dell'opera d iCristo, un'incomprensione sul valore del Vecchio Testamento, e unaconcezione sbagliata dei rapporti tra la rivelazione precedente e la
definitiva apportata dal Cristo.
Lettera ai Galati
Questi aspetti, con gli argomenti che li illustrano, sono in partediscussi nella lettera ai Galati. Erano costoro gli abitanti della Galaziapropriamente detta o del nord (Asia Minore: Ankara); san Paolo,subito dopo la permanenza ad Antiochia, nel 50 (il concilio aveva
avuto luogo nel 49), partito per un nuovo e più ampio viaggio missio-
nario, vi perviene con Sila e Timoteo e deve fermarsi in mezzo a loropiù del previsto, per un attacco delle febbri di palude, contratte duranteil primo giro apostolico.
L'accoglienza di questi Celti alla predicazione del Vangelo fu dav-vero consolante: i Galati usarono a Paolo ogni sorta di affettuoseattenzioni (Gal. 4, 14 ss.) e aderirono al cristianesimo con vero entu-siasmo (Gal. 5,7 ). Fondata la chiesa, lasciò ben avviata e gerarchicamentefunzionante quella nuova comunità, per spingersi alla conquista dellaGrecia: Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto.
Una triste sorpresa doveva putroppo serbargli la comunità dellaGalazia; all'inizio del terzo viaggio missionario (nel 5 3 circa) l'Apostolo,come abitualmente faceva per tutte le comunità da lui fondate, passaa visitare quella dei Galati e deve purtroppo constatare che, con grandeleggerezza (caratteristica del tipo celtico), i convertiti si erano lasciatiabbindolare dai fanatici giudeo-cristiani (i giudaizzanti) ad abbracciare
le pratiche del giudaismo quasi necessarie alla salvezza.Costoro, dunque, persistendo nella loro pervicace propaganda, si
erano recati in Galazia dopo la predicazione di Paolo e, per riuscire nelloro intento avevano diffuso delle calunnie sul conto dell'Apostolo;quindi, avevano presentato argomenti che, secondo loro, dimostravanola necessità di praticare le prescrizioni della legge.
San Paolo s'informa, dona le sue direttive ai capi, e appena per-viene ad Efeso (53-54), dove si fermerà circa tre anni, scrive ai Galaticonfutando ad uno ad uno, energicamente, le accuse e gli errori deigiudaizzanti; è una veemente apologia dottrinale, concisa, alla qualesi associa strettamente connessa, la difesa del proprio operato, dellapropria dignità di apostolo del Cristo Gesù. Sono sei capitoli tesi,
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senza interruzioni, a convincere i Galati del seguente punto importante
e decisivo: non rinunziare (e sarebbe da balordi il farlo) alla fede
nel Cristo, perché accettare il gioco della legge altro non sarebbe che
rinunziare alla grazia e alla salvezza procurataci dal Cristo, mediante
la redenzione.
Si vuole- ncomincia san Paolo - he i Galati sostituiscano il
Vangelo, con una caricatura falsata di esso. Anatema a chi osa predicare
una simile contraffazione, contraria alla dottrina trasmessa dall'Apostolo.
Questo dimostra: 1) che l'evangelo da lui predicato è l'unico
evangelo autentico; 2) che sarebbe insensato, illogico, aggiungervi la
pratica della legge (1, 10 fino al C. 5, 12) è la parte principale, comu-
nemente detta « teorica » della lettera; quindi, 3) che l'evangelo è la
fonte della virtù (5, 13 - C. 6).
Paolo afferma solennemente la sua qualità di apostolo, conferi-tagli direttamente da Gesù. La sua predicazione diretta ai Gentili, tra-
scurando completamente la legge, è del tutto conforme alla predica-
zione degli altri apostoli, identico è il loro evangelo, lo prova eloquen-
temente il concilio di Gerusalemme e l'episodio di Antiochia.
Gli argomenti addotti dai giudaizzanti, per sostenere le loro pre-
tese, sono fallaci, erronei (3 - 5, 12). Era stato detto: il cristianesimo,
nuova economia, doveva continuare l'antica, ma non l'abrogava. Esso
realizzava le promesse fatte ad Abramo: per partecipare a tale realizza-
zione bisognava prima divenire discendenza di Abramo mediante lacirconcisione . . .
Prima della risposta diretta, Paolo veementemente richiama ai
Galati la loro personale esperienza: essi, aderendo al cristianesimo e
ricevuto il battesimo, avevano avuto in pieno la vita cristiana, i beni
messianici, i doni dello Spirito Santo- e erano indicazione precisa,
i miracoli, le manifestazioni soprannaturali operatesi esternamente, visi-
bilmente in mezzo a loro -, e tutto questo, quando essi non avevano
neppure sentito parlare della legge! Evidentemente, dunque, tutto aveva
operato in loro la fede cioè la piena adesione alla dottrina di Gesù, pre-
dicata da Paolo e accettata, praticata dai Galati (3, 1-5).
In realtà, la stessa alleanza di Dio con Abramo prescindeva dalle
opere prescritte poi al Sinai, la stessa circoncisione è segno conchsivo,
posteriore alle promesse fatte ad Abramo, le quali sono fatte in premio
della fede con cui Abramo risponde alla chiamata di Dio. L'essenziale
è l'adesione alla parola di Gesù, predicata dagli apostoli. Le prescrizioni
donate al Sinai, rispondevano alla nuova situazione creatasi: le dodici
tribù formano una nazione. I1 patto del Sinai non abrogava infatti
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l'alleanza di Dio con Abramo, con le divine promesse, ma regolava,transitoriamente, i rapporti d'Israele, come nazione, verso il suo Dio.« La legge era pedagogo a Cristo ». Quindi, si comprendono, in queltempo, le prescrzioni che isolavaon Israele dai Gentili, per preservarlo
dal pericolo d'idolatria.Oramai, venuto il Cristo, e convertiti gli stessi Gentili al suo
Vangelo, ogni distinzione e separazione non soltanto è abolita, quantoè incompatibile col principio della carità e con la realtà della nostra
incorporazione al Cristo. Basta essere innestati al Cristo, medianteil battesimo, per essere discendenti di Abramo ed eredi dei beni a luipromessi.
Dio escluse dalla salvezza la sinagoga e quanti si accaniscono, afavore della legge contro la Chiesa.
Era il commento esatto alle parole profetiche del Cristo: « Moltiverranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno alla mensa con Abra-mo e con Giacobbe, e i figli del regno (ai quali il regno era stato pro-messo, i discendenti diretti degli antichi patriarchi) ne saranno esclusi,saran gettati fuori nelle tenebre » (Mt. 8, 11 ss.).
L'efficacia della lettera ai Galati è tutta nel fatto che Paolo siattiene strettamente ai dati ambientali: risponde punto per punto allecalunnie contro di lui, e confuta gli argomenti addotti. In altri termini,si limita a quanto era necessario per ottenere il suo scopo: convincere
i Galati dell'errore commesso, e rimetterli sul cammino iniziale difervore, nella pratica integrale della vita cristiana, nella purezza dellafede. I1 carattere stesso di vivace polemica se contribuiva a scuotere,
a impressionare, invitava certo ad una esposizione dottrinale ampia e
di largo respiro.In Gal. 4, 22-31 contro l'argomento più forte addotto dai Giudaiz-
zanti in favore della continuità della Legge, anche per i cristiani, sanPaolo argomenta della S. Scrittura che, nei disegni di Dio, non unama due erano le « alleanze »: la prima, temporanea, imperfetta (quelladel Sinai), quella degli schiavi; la seconda, quella dei figli, i liberi; eche l'imperfetta deve cedere il posto alla definitiva, la più perfetta.
Trae tale argomento dall'episodio di Agar-Ismaele e Sara-Isacco.Tra Sara e la Chiesa c'è questa somiglianza: l'una e l'altra sono madrilibere di figli liberi; il giudaismo è una religione di timore, una religionedi schiavi, a somiglianza di Agar e dei suoi discendenti. Verificandosi
analoghe situazioni storiche, data l'immutabilità della divina Sapienza,Dio agisce allo stesso modo.
Come allora Dio dispose l'allontanamento di Agar, escludendo
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Si era formata pertanto la mentalità che, come risulta dai Vangeli,costitul l'ostacolo più forte e il preconcetto più radicato, contro l'inse-gnamento di Gesù.
Non era facile, in tali condizioni, riconoscere il disegno divinopreannunziato e preparato in tutto il Vecchio Testamento, ammettereche Israele era stato eletto da Dio per cooperare a questo stesso disegno
che doveva offrire, a titolo eguale, la salvezza a tutti gli uomini, senza
distinzione. Non era facile, per un fariseo, anche convertito riconoscereche soltanto questo era il privilegio di Israele, non era facile per lui
accettare la fine dei superbi sogni di rivincita e di predominio a lungoculla ti.
Il cristianesimo, con la croce come insegna e la carità come unicalegge, era la fine ingloriosa del Vecchio Testamento, come negli ultimidue secoli era stato concepito o meglio deformato dai Giudei.
Tutto ciò spiega la tragedia della comunità cristiana dei Giudeidi Palestina, dopo il 70: la distruzione del tempio, compimento dellagloriosa profezia di Gesù, fu per loro un lutto e non vollero riconoscerein essa la punizione di Dio per la uccisione del Cristo e per la violentapersecuzione contro la Chiesa. La comunità pertanto si scisse: parterinnegò il cristianesimo; il resto, pur non rientrando nelle file del giudai-smo, volle protestare contro il sentimento comune della Chiesa e siseparò da questa: ne risultò un troncone, odiato dai Giudei, considerato- ragione- cismatico, eretico dalla Chiesa, che vivacchiò fino alI1 sec., per scomparire quindi definitivamente.
Paolo aveva assommato in sé queste varie esperienze; rabbino, siportò con sé in patria il bagaglio culturale e religioso del giudaismodel suo tempo: quando rientrò a Gerusalemme, qualche mese dopo larisurrezione di Gesù e sentì parlare di una setta che proponeva quale
Messia un crocifisso, sentì tutto il suo intimo fremere, ribellarsi; sentiche era suo dovere, per tutelare la gloria stessa di Dio dalla derisione
cui veniva esposta, di troncare sul nascere gli assertori di una simile
pazzia. Era semplicemente ridicolo e ancor più blasfemo, identificareil Messia con un condannato alla morte, al supplizio degli schiavi, ilMessia che doveva godere della protezione di Iahweh, della potenzastessa di Dio; che doveva schiacciare i suoi nemici e rendere la libertàe la gloria ad Israele. Non era neppure il caso di discutere.
L'apparizione di Damasco svelò a Paolo il mistero della croce econseguentemente il carattere unicamente spirituale e soprannaturale
del disegno divino di salvezza, preannunziato nel Vecchio Testamento erealizzato da Gesù. I1 mistero della croce: solo tramite la sofferenza
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di Gesù, l 'amore di Dio redime l 'umanità, " bisognava che il Cristo
patisse e così entrasse nella sua gloria". Non bisognava infatti fermarsi
alla croce; c'era anche la risurrezione. Bastò, per Paolo, la visione del
Messia, già da lui disprezzato, schernito perché crocifisso, non solovivente, ma fulgido di gloria, nelia maestà che gli compete qual Figlio
d i Dio , per com prendere l'errore in cui aveva brancicato e il crollo
dell'impalcatura giudaica; me ntre il Vecchio Te stam ento gli appariva nel
SUO vero senso, nella sua vera essenza, e percepiva l'armonia tra le
precedenti rivelazioni particolari e quella definitiva.
Tutto era stato preparato in passato per il Cristo; le varie ère si
erano susseguite soltanto per questa èra definita iniziata dal Crocifisso-
Risorto, la croce e la risurrezione hanno una portata incalcolabile, un
valore infinito: il sacrificio della croce assomma e supera di gran lunga
e infinitamente, il valore di tutti i sacrifici compiuti nel passato; Gesùha riparato, una volta per sempre, e in modo definitivo, infinito; tutto
il passato, tutta la legge, impallidiscono, svaniscono dinanzi al Cristo,
al suo sacrificio, alla sua opera, come i colori dell'alba dinanzi alia
fulgida luce del disco solare. E tutta la gloria di Israele, tutta la gran-
dezza della legge, sta in questo di essere precursori del Cristo; è la
formula, già rilevata nella lettera ai Gala ti: la legge <( pedagogo a Crist o ».La loro funzione, naturalmente finisce con la venuta del Cristo;
ma essa è tale da consacrare il Vecchio Testamento alla perfetta vene-
razione dei fedeli.
<< Paolo, schiavo del Cristo Gesù, per vocazione (divina) apostolo,
prescelto (messo a parte) per la predicazione dell'evangelo di Dio -(evangelo) che (Egli) aveva preannunziato nelle Sacre Sc ritture per
mezzo dei suoi profeti e che ha per oggetto il suo Figliolo, nato quanto
alla natura umana, dalla stirpe di David, stabilito (immesso) quanto alia
natura divina, nella potenza che gli compete come Figlio di Dio, apartire dalla risurrezione da morte, Gesù Cristo Signor nostro; per il
quale abbiamo ricevuto la grazia e la missione di sottomettere alla fede,
nel suo nome, tutti i Gentili, tra i quali siete anche voi, chiamati da
Gesù Cristo - quanti siete in Roma, diletti a Dio,, chiamati alla
santità: a voi (sia o, auguro) grazia e pace da Dio nostro Padre e
dal Signore Gesù Cristo ».È questo l'esordio della nostra lettera. In esso, con gli abituali,
fervidi saluti, con la propria presentazione, troviamo espressa concisa-
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mente una cristologia perfetta, in una sintesi di quanto svolgerà nella
lettera.
Gesù, vero Dio e vero uomo, redentore, morto e risorto, è l'oggetto
dell'evangelo (la nuova dottrina), cioè del cristianesimo; evangelo cheè la realizzazione (ecco il tema essenziale) di quanto Dio aveva prean-
nunziato e preparato nel Vecchio Testamento, o, in altri termini, è
la realizzazione del piano salvifico formulato da Dio, a beneficio di
tutti gli uomini; basta per costoro, abbracciare tale dottrina; aderire
all'evangelo, è questo l'atto di " fede " necessario, l'adesione completa,
cioè di ciascuno ai precetti di Gesù, alla sua parola.
In questi primi versetti, riscontriamo il nome della capitale del-
l'Impero; una delle poche volte che ricorre nel Nuovo Testamento,
quasi sempre, altrove, in rapporto ad episodi della vita di Paolo.
Questo rabbino, tra i più rabbiosi tradizionalisti prima della conver-
sione; questo apostolo dalla grandiosa e geniale attività; fondatore delle
Chiese di Filippi, Tessalonica, Corinto, Efeso, centri propulsori di cri-
stianità per tutto l'Impero; era cittadino romano, e per anni cullò il
disegno di visitare la grande metropoli, cuore e mente del mondo.
Alla comunità di Roma, per l'importanza che le attribuisce, 1'Apo-
stolo espone la posizione della nuova religione nei confronti di quella
israelita e dell'intera umanità. Composta nella maggior parte di Gentili
convertiti, la cristianità romana era la più adatta, per l'ambiente cul-
turale vario ed aperto nel centro dell'Impero, ad una precisazioneteologica di tanta importanza.
Profondità e sublimità di dottrina, bellezza e solennità di stile
s'intrecciano in questa lettera. L'esposizione, pur sempre didattica, posi-
tiva, è resa vivacissima dalla forma letteraria, la diatribe cinico-stoica,
nella quale l'autore interpella un oppositore ideale, quasi fosse lì pre-
sente, in una specie di apparente dialogo; gli mette in bocca le obiezioni,
alle quali seguono le vivaci risposte.
Subito dopo l'esordio, Paolo propone formalmente il tema della
lettera:«
Gesù realizza i disegni della misericordia divina sull'umanità S .
Nell'evangelo si manifesta la giustizia di Dio, con più esattezza, appare
chiaramente nell'evangelo la fedeltà di Dio alle sue promesse. In realtà,
si tratta qui dell'attributo divino, così spesso celebrato nel Vecchio
Testamento e che esprime, prima di tutto, la volontà misericorde di
Dio di compiere, di realizzare fedelmente le promesse di salvezza, fatte
ad Abramo e rinnovate successivamente al Sinai e a David.In altri termini, l'evangelo, cioè la nuova alleanza, realizza l'antico
patto, e quindi dimostra la fedeltà di Dio alle promesse in quello for-
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mulate, nonostante le reiterate violazioni da patte di Israele, il contraente
umano.
Lo svolgimento del tema segue fino al cap. 11 e questa prima
parte vien detta pertanto dogmatica; nei cap. 11-16 vengono tratte leconclusioni pratiche, sempre in ordine alle reali necessità dei destinatari.
Di Cristo incarnato, redentore, si è servito, per trarre il male dal
bene, il Dio della rivelazione, che voleva manifestare al mondo la sua
bontà. I1 Cristo crocifisso, unica salvezza del mondo peccatore, è infatti
l'espressione più eloquente che si possa immaginare dell'amore di Dio
per noi.
È stato notato con ragione che l'antitesi è l'anima della dialettica
paolina: per far risaltare in tutta la sua forza questo tema positivo, san
Paolo gli opporrà il tema negativo della miseria dell'uomo senza Gesù.
Di ogni uomo: i Gentili e gli stessi Ebrei. Non si tratta qui di argo-
menti metafisici, ma è lo sguardo sulla storia, sulla realtà umana.
1, 18-3, 20. Tutti gli uomini sono nel peccato; hanno bisogno
della salvezza. In altri termini, il disegno salvifico di Dio, che non può
venir meno o esser fallace, non può dirsi che si realizzi- crive 1'Apo-
stolo -, tra i Gentili, in quanto tali, e neppure nella cerchia, pur cosi
beneficata, del popolo d'Israele.I pagani sono lontani dalla via della salvezza, immersi nei più
gravi peccati anche contro natura, perché abbandonati a se stessi da
Dio; pena questa della loro idolatria insensata e colpevole, in quantodal creato potevano e dovevano assurgere al Creatore, all'Essere Supre-
mo. Essi, invece, si sono abbassati a deificare delle creature, e hanno
soffocato la voce del creato e quella della propria coscienza (o la legge
naturale scritta nei nostri cuori; 1, 18-32).
Gli stessi Giudei, che si ergono a inesorabili giudici dei Gentili,
sono più colpevoli di loro, nonostante, anzi a motivo, dei molteplici
privilegi ricevuti da Dio, anche essi sono tanto lontani dalla via della
salvezza (C.2). (Nessuno sfugge al giudizio di Dio; ognuno vi è trattato
secondo la propria condotta; il Gentile a norma della legge dellacoscienza, il Giudeo a norma della legge positiva donata ad Israele da Dio.
Ecco perché il possesso della legge mosaica è un privilegio che,
anziché evitare ai Giudei il giudizio, rende più grande la loro respon-
sabilità e quindi la pena; più che averla, importa adempiere la legge.
Ora i Giudei (situazione storica, svelata a noi dai Vangeli), che preten-
dono di essere guida degli altri uomini, allontanano piuttosto gli altri
dalla verità, con la loro rabbiosa insofferenza e ribellione alla luce.
La circoncisione non vale se non come segno della sottomissione
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completa alla volontà di Dio, ai suoi precetti. Pertanto il Gentile cheosservi i dettami della legge naturale condanna il Giudeo violatoredi tali precetti e divenuto così peggiore di un pagano.
Tale colpevolezza dei Giudei, nonostante i privilegi ricevuti,è
confermata dalla stessa Sacra Scrittura (3, 1-20).La salvezza è offerta a tutti gli uomini da Dio, mediante l'adesione
integrale al Cristo (3, 21-31). In Gesù si rivela, in maniera definitiva,la giustizia di Dio, cioè questa sua attività principalmente misericordiosa;
Gesù realizza il piano salvifico divino, compie le promesse contenutenell'alleanza con Abramo.
L'adesione piena a Gesù è l'unica condizione sufficiente e necessariaperché ogni uomo, a qualsiasi razza appartenga, si appropri dei beneficireali della redenzione, partecipi di questo dono, elargito così amorevol-mente da Dio. La salvezza è comunicata mediante tale adesione, secondoil mandato dello stesso Gesù. Quindi ogni pretesa giudaica di fare della
salvezza un monopolio di razza, o di condizionarla all'osservanza delleprescrizioni legali, si condanna da sé, e attesta d'altra parte come i
Giudei fossero perciò stesso lontanissimi dal disegno salvifico divino.Eppure, fin dagl'inizi, tal disegno era stato annunziato da Dio
(C . 4). L'alleanza con Abramo è dovuta ad una iniziativa, affatto gratuitae misericordiosa, di Dio, il quale ascrive a merito del suo eletto l'attodi piena adesione alla divina promessa; e la circoncisione viene soltanto
posteriormente e come espressione esterna del patto sancito. Era evi-dente pertanto che la salvezza fosse completamente indipendente dalleopere legali, incominciando dalla stessa circoncisione; che la salvezza-giustificazione fosse un don o assolutamente gratu ito di D io; e destinatoa tut ti gli uomini: si parla di benedizione che, da A bramo, si estenderà
a tutti i popoli della terra.Ora la legge, donata al Sinai, era una adattazione parziale e tem-
poranea, dell'antica alleanza, ad una nuova condizione storico-sociale:il sorgere della nazione israelitica. La legge, prescindendo dalla fede,
moltiplica le trasgressioni, con la moltiplicazione dei precetti, appe-santisce il clima spirituale. Essa non poteva sostituire il regime &l-l'adesione interna (=fede) o il regime della grazia, come un adattamentosecondario e temporaneo non sostituisce la norma perfetta ed eterna.
I1 Cristo realizza perfettamente l'alleanza di Dio con Abramo, cioèil piano salvifico cui tutta la storia e tutta la rivelazione era diretta,annullando perta nto l'adattamento temporaneo: quelle leggi, ad esempio,che circondavano Israele per impedirgli di contrarre, con i contatti con
loro, l'idolatria delle altre genti.
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5, 1-11. L'umanità è ora, ad opera del Redentore, in pace con
Dio: oggetto del suo beneplacito, come gli angeli han cantato alla
nascita di Gesù (Lc. 2, 14), e non più oggetto della sua collera ( E f .2,3);
il godimento di questo dono fluisce per il cristiano dal possesso delle
virtù teologali: la fede; la speranza che dà una sicura gioia, irrobustita
sempre più dalla pazienza, da una fedeltà che supera ogni prova; la
carità. L'amore che è in Do, è ora diffuso nel cuore del cristiano dallo
Spirito Santo che abita in lui. Se Dio, infatti, ci ha amato mentre era-
vamo dei peccatori, mandandoci il suo Figliolo, siamo certi che ci
elargisce ogni bene e la gloria eterna, ora che siamo riconciliati con lui,
dal nostro Mediatore, Gesù Cristo.
In realtà (5, 12-21), la redenzione ha ricondotto gli uomini allo
stato di figli di Dio, liberandoli dalla schiavitù del peccato, abolendo
il regno della morte. Peccato e morte, universali per la disobbedienzadi Adamo; grazia e vita universali, cioè a tutti offerte e possibili, purché
lo vogliamo, per l'obbedienza redentrice del Cristo. I primi fluivano
dalla solidarietà naturale di tutti gli uomini col loro capostipite, la
grazia e la vita sono effetto della volontaria solidarietà nostra col nuovo
capostipite della rinnovata umanità. Solo che l'efficacia della redenzioneè infinitamente superiore a quella del primo peccato. « Se, per il peccato
di un solo, la morte regnò universale, molto più quelli che ricevono
l'abbondanza della grazia e il dono della salvezza regneranno nella
vita, per il solo Gesù Cristo ». « Dove abbondò il peccato sovrabbondòla grazia ».
6. La vita cristiana ha infatti inizio ed unico sostentamento
nell'unione intima con Gesù (cf. Gv. 15, 1-11: « Io sono la vita e voi
i tralci »). L'innesto al Cristo avviene nel battesimo: imitazione della
morte e della risurrezione di Gesù, che è pertanto causa efficiente ed
esemplare della nostra salvezza. Come il Cristo è morto ed è risorto,
così ogni uomo, per ricevere la vita, deve morire e risorgere: morire
al peccato, alla mentalità del passato, risorgere alla nuova vita sopran-
naturale recataci da Gesù (fede, speranza, carità). L'immersione nel-l'acqua rappresenta misticamente questa morte, e l'uscita da essa, com-
piuto il rito battesimale, rappresenta l'inizio di questa nuova vita, già
conferita all'anima dal sacramento ricevuto. I1 cristiano deve quindi
rendere perenne questa Pasqua, questo passaggio dalla morte alla vita
come unica e perenne è la gloria del Risorto. Innestati a Cristo, for-
marono con lui un sol corpo; devono pertanto esserne membra sante;
il peccato non deve mai più regnare su di loro.
7. La redenzione oltre che dal peccato, ci ha liberati dal regime
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della legge. Questa, come tale, è un elenco di proibizioni e di condi-
zionate condanne; qualcosa che dall'esterno esercita una costrizione
e nient'altro. Qualsiasi proibizione, per quanto buona e santa, provoca
nella volontà un sentimento di reazione, accompagnato dalla curiositàdi avere l'esperienza del male. Ne è un esempio la disobbedienza del
primo uomo; egli era innocente, perfetto, ricevuto da Dio l'ordine,
miseramente cadde. I1 male, sinistra potenza personificata, piglia occa-
sione del precetto divino, e uccide la vita, l'amicizia con Dio. Questa
prava disposizione permane nell'uomo anche dopo il battesimo, la con-
cupiscenza è connaturale al nostro essere mortale, e spesso si sente
violenta la lotta tra essa e il santo dettame della ragione, tra l'istinto
del male e i dettami della coscienza. Ma la vittoria ormai è offerta
all'umanità, mediante Gesù redentore; egli ha inaugurato il regime
della grazia, e tutto possiamo in lui.8. Egli ci ha affrancati dal vecchio sistema della legge: e ci ha
conferito questa forza intima, che quella non poteva dare.
Ma la redenzione non limita i suoi effetti alla nostra anima; essa
opera anche la trasformazione dello stesso corpo, riportando davvero
l'umanità decaduta alla gloria primitiva, a quello stato cui Dio l'aveva
innalzata, appena creata, e da cui decadde col peccato. Restituzione
integrale: davvero « nuova creazione N.
Questa glorificazione del nostro corpo avrà luogo aila fine, con
la risurrezione universale, ma è sicurissima. I cristiani ne hanno lacertezza, per la presenza dello Spirito Santo in ciascuno di loro, per
la loro qualità di figli ed eredi di Dio, e di coeredi di Cristo, soffrendo
con lui per esser glorificati con lui; per la unanime aspirazione delle
creature: esse per voler di Dio furono sottomesse all'uomo che doveva
rappresentarle presso Dio, raccogliendo e formulando le loro voci indi-
stinte di lode all'Eterno. Dopo la ribellione dell'uomo, le creature ge-
mono per questa situazione anormale: il loro rappresentante contrasta
con la disposizione divina, e sospirano il momento in cui con la glori-
ficazione di tut to l'uomo vedranno ristabilito adeguatamente l'ordineoriginario, la meravigliosa armonia dell'universo.
Certezza, principalmente, per il grande e immutabile disegno di
Dio; egli vuole che Gesù risorto abbia una immensa schiera di fedeli,
col corpo glorioso come il suo. E a tale scopo, da tutta l'eternità, è
pronta per ciascun cristiano una catena di grazie, che va dalla chiamata
(mediante il battesimo) alla giustificazione e alla glorificazione: spetta
al battezzato di non interromperla con il peccato. E, infine, la carità
immutabile di Dio, per noi manifestatasi nella morte redentrice del
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Cristo. Niente può da essa separarci, nulla e nessuno, basta che noi
lo vogliamo.
9.-11. San Paolo ha esaurito il tema: la nuova economia e il
compimento dell'antica alleanza. Ma c'è un fatto che sembra contrastaretale conclusione: i Giudei, l'Israele delle promesse, il contraente del
patto, come gruppo, rimane fuori della salvezza. Come dunque la reden-
zione realizza il disegno salvifico divino, se da essa rimane escluso
proprio Israele al quale le promesse erano dirette? (9, 1-5).I1 disegno divino (9, 16-29) non è stato modificato. In realtà,
l'Israele destinato ad essere il beneficiario delle promesse, il « seme »non è tutta la discendenza carnale di Abramo-Giacobbe. La salvezza
non poteva essere un privilegio di semplice fattore razziale: su questo
punto ritorno spesso Gesù nel suo insegnamento (cf. Gv. 3,3; v. discorso
del monte; le parabole del lago; ecc.), e lo stesso precursore (cf. Mt.
3,9). Ma è un dono gratuito, che diventa nostro se corrispondiamo.
Basti ricordare come dei figli di Abramo, il solo Isacco è erede dei
doni divini, per una libera scelta dell'Eterno. Unica causa è la benevo-
lenza divina. Prova ancor più decisiva, l'esempio di Esaù e Giacobbe,
addirittura gemelli; considerati non in quanto individui, ma come capi
rappresentanti di due popoli: Edom e Israele, Ebbene, solo per libera
scelta divina, Giacobbe-Israele diviene l'erede delle promesse.
Si tratta di « popoli », l'uno scelto per una missione, a preferenza
dell'altro (anche Mal. 1,2 ss.)- sempre per dimostrate che il fattorerazziale non è determinante nell'azione di Dio,- enza nessun accenno
al problema della salvezza eterna. È un deplorevole abuso mettere qui
in questione tale problema e, peggio ancora, applicare le parole di san
Paolo alla sorte eterna del singolo. La vocazione al cristianesimo dipende
dunque dalla libera scelta divina, e già alle origini, il piano salvifico
era universale per destinazione (san Paolo cita in tal senso le due
profezie 0s. 2,23 ss.; 10, 22 ss., preannunzianti la conversione dei
Gentili). Dio estendeva la sua misericordia, il suo dono munifico a
tutte le genti, che ubbidendo alla parola del Cristo, divenivano«
stirpe»
del fedele Abramo, innestati all'ulivo secolare, mentre l'Israele secondo
la carne, con la sua ribellione, si escludeva dal piano divino.
I Giudei si trovano dunque fuori per la propria colpa (9, 30-c.11).Essi hanno misconosciuto la natura del piano divino, la condotta di Dio,
fondando la loro pretesa sul fattore razziale, sulle osservanze legali. Que-
ste fluivano invece dal carattere temporaneo e preparatorio dal patto del
Sinai; né potevano giustificare. Ora essi si illusero che bastasse esser Giu-
dei di razza e osservare tali prescrizioni per aver pieno diritto alla salvezza.
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All'alternativa posta da Gesù tra la concezone spirituale del regno
di Dio, con una giustizia intima, e la concezione temporale-razziale,
con una giustizia secondo la legge, i Giudei tenacemente restarono con
la seconda contro Gesù (10, 5-13). E si rifiutarono di credere all'Evan-
gelo (10, 14-21).
Dio ha realizzato l'antica alleanza, nonostante le continue infedeltà
di Israele, esse servirono solo a mettere in luce ancora più forte la
sua infnita longanimità e misericordia! Adesso la resistenza, l'opposi-
zione dei Giudei all'opera redentrice, favorisce la conversione dei Gentili!
Rientra dunque anch'essa, pur conservando tutta la sua colpevole mal-
vagità, nei disegni divini. Tale opposizione è però temporanea: anche
Israele, come insieme etnico, si convertirà: entrerà nell'unico ovile,
fuor del quale non c'è salvezza (C . 11). Così la storia del mondo, attra-
versata da un capo all'altro dal peccato dell'uomo che si allontana dalsuo Dio, sarà attraversata egualmente da un capo all'altro dall'azione
della misericordia divina, che va a cercare, fino al fondo della loro
sventura morale, individui e collettività per ricondurli a lui sul cam-
mino della vita e della felicità.
Era questa l'essenza del cristianesimo nella esposizione ispirata
dell'apostolo Paolo in perfetta rispondenza con le parole e l'opera di
Gesù N. S. conservateci nei quattro Evangeli.
Legge aurea per l'intelligenza del testo - in particolare per
un testo che offra notevoli difficoltà, come Rom. 9-11 (") - spie-
garlo alla luce del contesto prossimo e remoto; nel nostro caso Gal.;
Rom. 1-8; 2 Cor. 3,4-18; la storia dell'alleanza, specialmente nei libri
profetici (Amos; Isaia; Geremia; Ezechiele: quando ne illustrano le
caratterstiche, dalla libera elezione da parte di Dio, alla rottura del
patto, col castigo e nello stesso tempo la sua durata indefinita; il com-
pimento, nonostante l'infedeltà del contraente umano, del disegno divinodi salvezza, ad opera della misericordia e della onnipotenza divina).(%)
(3') Per I'esegesi di Rom. 9-11, vedi ancora P .F . PRAT ,La théologie de S. Paul, I ,
G. Beauchesne, Paris 1908, pp. 353-369. « Si tratta di tre capitoli di una oscurità prover-biale n. Ed ammo nisce: No n c'è forse nella Scrittura una pagina in cui sarebbe peri-colosissimo perdere di vista il pensiero d'insieme, esagerando la portata dei dettagli, comein questi capitoli W (p . 353).
(% ) Per il concetto di alleanza, cf. inoltre: BRUNO ALSCHEIT,'Alliance de Grace,Neuchatel, Paris 1947; e principalmente A. N EHER , mos. Contribution à l'étude duprophétisme, Paris 1950, pp. 34-48, 151.
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Già J. Behm - ome abbiamo visto - lla voce diathéke nel
Th. W. z. N.T., rilevava come l'esatto concetto di a alleanza » è una
arma nelle mani di san Paolo per dimostrare la superiorità del Cristia-
nesimo sul Giudaismo: un'unica volontà divina, nell'antica e nuovaalleanza, guida la storia della salvezza e trova il suo compimento
definitivo in Cristo, il quale è del pari télos nòmu ( R o m . 10,4) e adem-
pimento di ogni promessa (2 Cor. 1,20). Fratelli, il voto del mio
cuore e la mia preghiera per loro (i Giudei increduli) è che si convertino
e si salvino. Certo io rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio,
ma è zelo non illuminato ». L'Apostolo forse riflette qui la sua espe-
rienza personale, prima della conversone; zelo non illuminato, essendo
essi fuori strada, ricusando di sottomettersi a Dio con la fede. Un velo
copre i loro occhi per non intendere la Legge e i Profeti. Infatti ,-continua l'Apostolo - isconoscendo la giustizia di Dio e cercandodi stabilire la propria (basata sull'osservanza esterna delle opere della
Legge), non si sottomisero alla giustizia di Dio, poiché il termine della
Legge è Cristo, a giustificazione di chiunque crede ». Rom. 10, 1-4.
E incidentalmente nella 2" Cor. 1,20 san Paolo afferma che in
Gesù Cristo si sono verificate tutte le profezie e promesse messianiche:
a tutte quante le promesse di Dio ». È il tema sviluppato nei cc. 1-8
della nostra lettera ai Romani: Gesù, termine dell'alleanza con Abramo,
nella specificazione e precisione dell'Alleanza con David, con l'aspetto
temporaneo dell'alleanza del Sinai: la Legge padagogo a Cristo.Dio in Gesù, l'atteso e promesso Messia, manifesta la sua fedeltà
all'alleanza formulata con Israele, compiendo le sue promesse, rilevate
spesso e così charamente nei vaticini dei vari profeti. Abbiamo trascritto
per intero il prologo della lettera: Rom. 1, 1-6 e v. 17.
Purtroppo, Israele, i Giudei, a figli del regno D come li chiama
Gesù, perché ad essi erano state fatte le promesse messianiche, e costi-
tuivano il contraente umano dell'alleanza, si trovano esclusi dal convito,
a a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe », dove invece si assidono
i Gentili ( M t . 8, 11-12).È il tema dell'incredulità dei Giudei, svolto nei cc. 9-11, come
soluzone della obiezione alla tesi dimostrata nei capitoli precedenti
Rom. 1-8: - ome può dire l'Apostolo che Gesù il Cristo realizza
l'alleanza con Israele, quando proprio Israele rimane fuori << nelle te-
nebre », escluso dalla salvezza?
Un problema analogo si presentò in occasione della rottura del-l'alleanza, prima con la distruzione di Samaria, con la fine del regno
sèttentrionale- e dodici tribù del nord -, e la deportazione dei super-
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stiti: nei profeti, Amos, Osea: quindi, e principalmente, con la distru-
zione di Gerusalemme e la fine del regno di Giuda, con l'esilio dei
superstiti: in Isaia, Geremia, Ezechiele, il teologo della bEtrit.
I profeti lo risolvono rilevando le varie caratteristiche dell'alleanza:
libera elezione da parte di Dio; precetti morali e monoteismo, essenza
del patto, infedeltà del contraente umano; sanzione, Ex. 20,4 S.; fedeltà,
misericordia ed onnipotenza di Dio che nel castigo ii riserva un resto »,
col quale realizza il suo dsegno di salvezza, termine ultimo dell'alleanza,
che diventa, col a nuovo patto D, eterna.
Per l'elezione e la libera scelta: Amos 3, 1 S. << Ascoltate, figli
d'Israele . . . Voi siete i soli che scelsi con amore tra tutte le famiglie
o stirpi della terra; perciò vi chiederò conto di tutte le vostre iniquità D.
I1 profeta denuncia le trasgressioni d'Israele (2, 6-8), nonostante tutti i
benefici di Dio, derivanti dall'elezione e dall'alleanza (2, 9-11) ; prean-nunzia il castigo (2, 13-16). E alla fine conchiude (9, 7-15): Israele,
infedele all'alleanza, non può più contare alcun privilegio. Rientra nel
novero delle altre nazioni, che, tutte dipendono egualmente da Iahweh,
il quale ne dirige gli eventi. Tutti i popoli, come tutti gli uomini, sono
eguali dinanzi a Dio, che di tutti dispone. ( R o m . 2-3 requisitoria contro
i Giudei).
Rinunciate alla vostra missione, ribellatevi ai legami dell'alleanza,
siate come gli altri, come i Kusciti, come gli elementi determinati della
natura, non cesserete mai di appartenermi! Tutto nfatti mi è sotto-messo e anche i Kusciti sono mie creature ». (A. Neher).
V. 7 << Non appartenete a me, come i Kusciti, o figli d'Israele?
Oracolo di Iahweh. Non ho fatto salire Israele dall'Egitto, i Filistei da
Ka ft or e gli Aramei da Q&? * Per la vostra infedeltà, siete fuori della
alleanza, avete perduto ogni diritto al mio affe tto speciale; mi apparte-
nete come mi appartengono i Kusciti e le altre genti.
Per questo (v. 8) il regno del nord, il regno peccatore sarà
sterminato dalla faccia della terra. Ma a la casa di Giacobbe n, cioè la
stirpe israelitica, non scomparirà. L'alleanza del Sinai legava a Iahwehle dodici tribù d'Israele, in un solo popoIo, in una sola nazione. Alla
scissione in due tronconi, quello di Samaria fu avviato, per motivi politici,
alla rottura dell'alleanza. Amos ne denunzia l'avvenuta violazione e
profetizza la sanzione e distruzione di Samaria, fine del regno set-
tentrionale.
Rimaneva il regno di Giuda. Amos ha già vaticinato per esso un
eguale castigo: Per tre crimini di Giuda e per quattro non ammetto
revoca. Perché han rigettato la legge di Iahweh . . . e si sono lasciati
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sviare dai loro numi, scatenerò dal fuoco contro Giuda che divorerà
i palazzi di Gerusalemme B (2,4 S.). Adesso però (vv. 1 1-15) specificache di esso un resto » sopravviverà; e da esso, parificato, Iahweh
farà risorgere il nuovo Israele (scomparsa finalmente ogni scissione);
la nuova teocrazia che realizzerà i termini dell'alleanza e che sarà assor-
bita ed elevata dal regno del Messia. 11 disegno divino di salvezza avrà
il suo compimento, nonostante l'infedeltà del contraente umano. Giuda
pertanto non può sparire; è questa la forza della profezia di Natan,
dell'alleanza di Iahweh con David (2 Sam. 7; 1 s . 7.14 S.).(^^)
Le stesse idee in Osea, che sviluppa il tema centrale dell'alleanza,
sotto l'immagine del matrimonio: tra la nazione e Iahweh (1-3); cf. Ex.
20.5: io sono un Dio geloso . . .E sotto l'allegoria dell'adultera, Ezechiele
riprende e sviluppa questa immagine per trattare e risolvere, in modo
sistematico, il problema della rottura dell'alleanza, con la fine delregno di Giuda, l'unico superstite erede delle promesse; la distruzione
di Gerusalemme con la fine del culto, e la dispersione dei superstiti:
in particolare nel C. 16 e ancora cc. 20. 23 . . .In perfetta sintonia con l'insegnamento del contemporaneo Gere-
mia, che profetizza e soffre in Gerusalemme assediata, Ezechiele è in
Babilonia tra gli esuli del 597, chiamato da Dio per svolgere in mezzo
a loro il suo ministero, per prepararli e convertirli, essendo scelti da
Dio a costituire il nucleo del resto B, che ritornerà dall'esilio, per
ricostituire la rinata teocrazia, preparazione immediata alla venuta delMessia, il futuro Redentore, termine e compimento dell'alleanza con
Israele ed autore della << nuova alleanza D, del 4< patto perpetuo »:secondo i testi di Isaia, Geremia, Ezechiele.(*)
L'elezione d'Israele: libera scelta da parte di Dio: Ex. 16, 3-14;
20, 5-7. Infedeltà dell'eletto, sua condotta prava: 16, 15-34; 20, 8-29;
23 più colpevole di Samaria . . .; lambrusca solo atta al fuoco: 15 . . .Sovrana giustizia di Dio nel castigo, sanzione dell'alleanza: 16, 35-
52; 1 8 . . .La fine della nazione portava seco la rottura del patto del Sinai,
che sembrava infrangersi definitivamente, col fallimento di tutti i dise-
(39) J. TOUZARD,e I v r e dlAmos , 2" ed., Paris 1909: ottimo commento. A. NEHER,Amos, Paris 1950. G. RINALDI, Profeti minori, Amos, ed. Marietti, Torino 1953 da
p. 130 in poi. Nel nostro volume, I Profeti, (I1 Libro Sacro, 2), Padova 1965: il mes-
saggio profetico, pp. 26-30. Amos, pp. 35-62. E continuando, c'è la presentazione della
dottrina di tutti gli altri profeti.
(40) F. SPADAFORA,zechiele, (La Sacra Bibbia, dir. S. Garofalo, vol. VI11 (2), ed.
Marietti, Torino-Roma 1951, p. 357.
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gni divini. Ezechiele invece spiega agli esuli il vero carattere di tale
rottura; essa è necessaria per la santità di Dio (celebrata, messa parti-
colarmente in risalto da Isaia, in tutto il suo libro dall'appellativo carat-
teristico di Iahweh 4< il Santo d'Israele ») tanto vilipesa, anche agli
occhi delle genti. La rottura del patto, però, sarà solo temporanea:
l'esilio opererà la purificazione del resto » (gli esuli del 597: Ez. 11,
13-20), che ritornerà per la Misericordia e I'Onnipotenza (C. 37) di
Iahweh, e l'opera del suo profeta. Gli esuli, così purificati, ritorne-
ranno e sarà attuata con fedeltà l'alleanza, per essere finalmente tra-
sformata ed elevata dal Messia, in « patto perpetuo » (16, 53-63 e
tutta la seconda parte di Ez.: cc. 34-48).
La salvezza di a un resto D è affermata ripetutamente da Isaia,
che chiama un suo figlio sce-ar iasciub (7'3) un resto ritornerà »,
nella reiterata predizione della fine di Giuda-Gerusalemme ad opera
dei Caldei, con l'esilio dei superstiti; cf. 10,21. Ma già la promessa
della salvezza a un resto » è rivolta ad Elia da Iahweh: 1 Re 19'18
(e Rom. 11,l-4).
San Paolo in Rom. 9-11 tratta lo stesso problema: l'incredulità
dei Giudei, i partner, per dir così, dell'alleanza, che rimangono esclusi
dalla salvezza.
Posto il problema: come mai Israele, con i suoi privilegi, rimane
fuori, l'Apostolo risponde: la realizzazione delle promesse divine si ha
nei Giudei credenti in Cristo: essi sono « il resto », anche questavolta, che Dio liberamente si è scelto.
Dio è fedele pertanto alle sue promesse: le ha adempiute in
Cristo Gesù. L'Israele incredulone è escluso, per la sua ostinazione
ritenendosi giusto, per l'osservanza esterna dei precetti della Legge.
I1 Signore ha permesso questa ostinazione, per favorire l'ingresso
in massa dei Gentili nel regno di Dio.
Come Isaia esalta la santità di Dio ed Ezechiele ne difende la
sovrana Giustizia (cc. 16.18), così san Paolo incomincia con affermare
e difendere con calore la fedeltà di Dio alle promesse dell'alleanza(C. 9, 6-13), e la sua Giustizia (9, 14-29).
Dio compie con Gesù l'alleanza con Abramo, perché discendenti
di Abramo, eredi delle promesse, sono soltanto quelli che Dio libera-
mente, gratuitamente ha eletto: è il caso del solo Isacco; di Giacobbe ..Così era « il resto D, che il Signore si è riservato: i Giudei, cioè, credenti
in Gesù, che formano il nucleo della Chiesa nascente.
i(Ha forse Dio rigettato i l suo popolo? » l'Israele dell'alleanza,
erede delle promesse. Certamente, no. Anch'io sono israelita, della
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stirpe di Abramo, della tribtì di Beniamino. Dio non ha rigettato ilsuo popolo, che Egli come tale prescelse. O non sapete che cosa dicela Scrittura nella storia di Elia, come egli interviene presso Dio controIsraele?: O Signore hanno ucciso i tuoi profeti. . . Ma che gli rispondela parola divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non bannbpiegato il ginocchio a Baal ». Allo stesso modo anche nel tempo presenteper elezione gratuita di Dio c'è un resto . E ciò è avvenuto per grazia,
non per le opere (della Legge). Non tutto Israele ha conseguito quantoricerca, ma lo ha conseguito la parte eletta; i rimanenti invece si sonoinduriti (e i Giudei sono responsabili in pieno della loro riprovazione:
9,30-10,21), secondo che sta scritto: u Dio ha dato loro uno spiritodi stordimento, occhi per non vedere, orecchi per non sentire, fino al
giorno d'oggi ». E Davide dice: u La loro mensa diventi per essi un
laccio e una rete. . . >> (11,l-10).I1 P. Huby commenta quest'ultima citazione dal Salmo 69 (68),
23-24: a Si potrebbe vedere nella mensa il simbolo dei beni religiosi:
S. Scrittura, ecc., il cui possesso era per gli Ebrei fonte di gioia e che
ora si risolve a loro condanna. I1 giudaismo, poiché non mette capo
a Cristo, è per i Giudei un'insidia, una trappola, e come persone che,
cadute in un trabocchetto, si ritroverebbero in un sotterraneo, essi
camminano a tentoni e avanzano, colla schiena curva, nelle tenebre ».Israele s'è urtato contro Gesù, come contro una pietra d'inciampo
(9,32); è caduto. E la salvezza, conseguentemente è venuta ai Gentili,u per rendere gli Ebrei gelosi u (11 , l l )
I1 P. Huby continua (p. 337): <4 La caduta d'Israele, favorendo
la conversione dei Gentili, poteva anche essere, indirettamente, per gliEbrei occasione di salvezza. Ved ono ora passare ad altri tu tt i i privilegidi cui si gloriayano come di un monopolio spirituale e religioso. I pa-
gani convertiti al cristianesimo risalgono al Dio d'Abramo, di Isacco
e di Giacobbe e si dicono il vero Israele; si servono della Scrittura
come di un bene proprio, del quale hanno solo essi la piena compren-
sione . . . Non c'è di che suscitare la gelosia degli Ebrei? Perché questa
emulazione diventi salutare, è necessario che si cambi non in ira cieca,
ma in riflessione lucida e che gli Ebrei si chiedano se il cristianesimonon sia il vero erede della religione d'Israele, se non si d en ti fi ch i conquel regno di Dio che h a n n ~ esiderato i santi del Vecchio Testamento.San Paolo conosce il suo popolo, sa quanto ardore e zelo conservi nel
suo smarrimento (9,30 S.; 10,2 S.; 11,7); quali frutti non produrrebbe
la sua conversione, non solo per sé, ma anche per i Gentili? (11,12) ».È la profezia di Ezechiele, in particolare, C. 16,53-63. Vedi il mio
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commento: a Dopo l'empietà e il castigo delle tre sorelle (Sodoma, Sa-
maria, Gerusalemme: 26,44-52), il profeta parla della restaurazione
futura, opera del Messia. Annunzia l'universalità della salute. I1 patto
eterno (v. 60) verrà sancito col nuovo Israele, 1'Israel Dei (Gal . 6,16)ed abbraccerà, senza distinzione, Giudei e non Giudei, tutta l'umanità.
Anche i Gentili (qui rappresentati da Sodoma e Samaria) ritorneranno
allo stato di prima (v. 55) cioè, ritorneranno a riconoscere e a venerare
un solo Dio, come avevano fatto nei tempi più remoti (6. . 45; Ger .
48,47) ».v. 60 a l o mi ricorderò del patto stre tto con te, al tem po della
tua giovinezza (cf. 16,6-14) e ne farò con te uno perpetuo. Allora ri-
penserai alla tua condotta e ne sentirai vergogna quando, accolte le tue
sorelle te le darò come figlie, e non per il patto st re tto con te ».a La restaurazione messianica attua i piani della divina miseri-
cordia di cui è dono (Leu. 26,42-46). L'infedeltà degli uomini non ha
potere di farli mutare (come riafferma san Paolo, nella requisitoria
contro i Giudei, Rom. 3,3). Per il patto perpetuo, cf. 0 s . 2,19-24 e
specialmente Ger . 31,31 ss.; perpetuo, perché impresso nei cuori e non
semplicemente esterno; non subirà perciò pause o interruzioni come
l'antico. Esso (v. 61) abbraccerà tutte le genti (v. 53.55) che avranno
per madre Gerusalemme. ( P s . 87,4 ss.; 1s. 2,3; 60,) ss.; 66'8 ss. . . .),la Chiesa: Gal. 4,26 S. La massa dei Giudei che ne faranno parte (a il
resto >> che aderirà al Cristo), sentiranno l'onta della passata condotta.I1 profeta, pur non negando a Gerusalemme una certa preminenza
(V . 56), insiste specialmente sulla completa eguaglianza, che allora esi-
sterà tra lei e le altre parti. Eguaglianza, che dati i privilegi di un
tempo, le riuscirà umiliante e perciò sarà per lei un mezzo di espiazione
per tutta l'empietà del passato. È la dottrina che svolge san Paolonella lettera ai Romani 1,16-3,20; 9-11 (p. 137 ss.). Per la conver-
sione dei Gentili, in perfetta eguaglianza con Israele; vedi Is . 19,18-25 . . . « In quel tempo, Israele, terzo con Egitto ed Assiria, sarà
una benedizione in mezzo alla terra p>: Gerusalemme sullo stesso pianodelle Genti nella restaurazione messianica. È quello che ha vigorosa-mente dimostrato san Paolo nella sua requisitoria contro i Giudei: Rom.
3,9-22. (")
(41) Per il patto perpetuo, 6 . noltre Is . 59,3, ma in particolare, Is . 54,7-10: uv. 9 .È adesso per me come al tempo di Noè. Come ho giurato che il diluvio noetico maipiù allagherebbe la terra; così giuro di non più sdegnarmi teco... v. 10. Si moverannoi monti, e i colli vacilleranno; ma la mia clemenza da te non si smoverà, e il mio pattodi pace non vacillerà; dice il Signore che ti vuol bene N.
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I1 Signore ha permesso l'indurimento dei Giudei, ha chiamato alCristianesimo i Gentili, usando loro la sua misericordia (Esodo 33,19),secondo la sua libera e gratuita scelta. Analogamente, per l'infedeltàdei Giudei, ricorda l'indurimento del Faraone (Esodo 9,16): « Io t i
ho suscitato precisamente per mostrare in te la mia potenza, e perché
il mio nome sia celebrato su tutta la terra ». Dunque Egli usa miseri-
cordia a chi vuole, e indura chi vuole » (9,17 S.).
In Ezechiele (38,4), con arditezza è detto che il Signore sospingeall'attacco Gog, il capo dei feroci e potenti nemici che attaccheranno,in un lontano futuro la rinata teocrazia, ma saranno annientati dal Si-gnore. I1 Signore trascina Gog come il vincitore fa col suo prigioniero,menandolo dove vuole: vedi il mio commento, p. 279 ss. E ancoraal v. 7 S. « tienti a mia disposizione . . . riceverai l'ordine ». In realtà,
nulla sfugge alla volontà divina, nulla le si può opporre. « Non avvienealcunché, se l'onnipotente non voglia avvenga, o permettendo cheavvenga, o operando egli stesso: al Quale, senz'altro, è tanto facilefare ciò che vuole, quanto non permettere ciò che non vuole »: S. Ago-stino, Enchiridion de fide, spe et caritate, cc. 95-96; 100-102. PerciòEzechiele può parlare di « spinta, di ordine » da parte di Dio che nonimpedisce l'attacco, anzi sembra offrire alle potenze del male un'occa-
sione propizia per compierlo. E nei vv. 10-13 è rilevata la piena respon-sabilità di Gog nella sua decisione, nel suo pravo disegno di conquista
facile e di ricco bottino.Ricordata dunque la prava volontà del potente aggressore, si ri-
torna a parlare della volontà di Dio: « Ti addurrò contro il mio tewi-
torio » (v. 16), che permette, non impedisce, il disegno di Gog, peri suoi alti scopi: « perché le genti mi conoscano, quando mostrerò
in te la mia santità, al loro cospetto, o Gog ». Sant'Agostino, Enchir.,
100: « Dio si serve in bene anche del male, perché Egli è sommobene . . . I1 male non esisterebbe se non lo permettesse: né lo permettenolente, ma volente: né essendo buono permetterebbe il male, se, es-
sendo onnipotente, non potesse dal male trarre il bene».
San Paoloadopera lo stesso linguaggio dei profeti; e inoltre, ha in sé l'esperienzadel velo che copriva la sua mente di zelante fariseo e persecutore deicristiani e dell'imprevisto ed improvviso intervento di Gesù, il Cristo,
« Solenne impegno- ommenta il P.A. Vaccari -, promessa giurata, che Dio nonavrebbe adempiuta, se non si vedesse nel Cristianesimo il legittimo erede e la rettilineacontinuazione dell'antica religione d'Israele, come di proposito espone san Paolo (Rom.
9,6-1lJ2),n Israelita ai cento per cento (Phil. 3$-6).
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l'odiato Crocifisso, che gli appare Risorto, fulgido di gloria, e libera-
mente lo elegge a suo apostolo.
Elezione che ha tutta la sua corrispondenza: « Dopo tutti, come a
un aborto, (Gesù) apparve anche a me. Io sono il minimo degli Apo-stoli, neppur degno di essere chiamato apostolo, avendo perseguitatola Chiesa d i Dio; ma per grazia d i Dio sono ciò che sono, e la graziasua a me conferita non è riuscita vana; che anzi più d i tu tt i essi holavorato, non già io, ma la grazia di Dio con me D. (1 Cor. 15,8-10).
Cf. 1 C m . 9; e nelle altre lettere, la prodigiosa attività apostolica di
questo ardente imitatore del Cristo: Gal. 6,14-17: << Quanto a me, chenon mi accada mai di vantarmi d'altro che della croce del Signore
nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo è crocifisso per me,come io per il mondo. Inf ine nulla conta esser circonciso o incirconciso,ciò che conta è l'essere nuova creatura (vivere con la grazia la vita
nuova in Cristo Gesù). E su tutti quelli, che seguiranno questa regola
di condotta e sull'lsraele d i Dio pace e misericordia. D'ora innanzi nes-suno m i dia più molestie, perché io porto nel mio corpo le impron tedi Gesù ».
Tutti i profeti, dopo aver preannunziato il grave castigo, anche,
e specialmente, per il regno di Giuda, con la rottura dell'alleanza,assicurano da pane di Dio la conversione e il ritorno in patria del
u resto » che Iahweh si è conservato: la rottura dell'alleanza, che non
può perire, è soltanto temporanea. L'Onnipotenza di Dio opererà quan-
to sembrava irrealizzabile (Ez . 37); la sua Misericordia, la sua clemenza
si estende infatti a< fino alla millesima generazione di coloro che lo
amano ». È il dogma giudaico dei meriti dei Padri. La sanzione del
patto. Es. 20,5 S. è sempre presente; ancora in risalto in Es. 34,6 S.:
u Iahweh, Iahweh, Dio pietoso e misericordioso, tardo all'ira e grande
in benignità e fedeltà; che serba benignità alle migliaia . . . D. Comevedremo per Rom. 11,28-29. Cf. Deut. 7,8-9; Ex. 36,2538.
Ailo stesso modo, san Paolo, dopo aver dimostrato la fedeltà di
Dio alle sue promesse, la sua giustizia nella riprovazione d'Israele,
escluso dalla salvezza per la sua colpevole incredulità, e nella libera
elezione del « resto e dei Gentili, conclude rilevando che la riprovazione
d'Israele è soltanto u temporanea, parziale, provvidenziale » (A. Vac-
cari, inizio C. 11); ammonimento per i Gentili convertiti perché cor-
rispondano fedelmente alla elezione divina e non si insuperbiscano nei
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confronti dei Giudei, « rami stroncati dall'olivo, in cui essi sono stati
innestanti u .
Eccoin sintesi le idee espresse in questo capitolo conclusivo.
1' C. 11,l-15. Solo u un resto » del popolo d'Israele, u eletto
per grazia u , è nella Chiesa. La maggior parte, incredula, è tagliata
fuori. (Ricorda le parole di Gesù: u i figli del regno, saranno cacciati
fuori nelle tenebre >P M t. 8,12. Accorrono invece i Gentili u ad assi-
dersi alla mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli »:
ivi, v. 11).u Ora parlo a voi, Gentili d'origine: in quanto io sono apostolo
dei Gentili, faccio onore al mio ministero, sperando di poter provocare
la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni » (vv. 13-14),Cf. 1 Cor. 9,19 S. L'Apostolo conserva la speranza della salvezza, del
suo popolo, con la conversione al Cristianesimo e lavora perché si
attui. Cf. ancora i vv. 12'15 con l'accenno alla futura conversione di
tutto Israele.
2' 11,16-24. I meriti dei Padri: u a mensa con Abramo, Isacco
e Giacobbe », o, con la nuova immagine, « la radice santa dell'ottimo
olivo W , i cui rami vitali sono i Giudei credenti in Gesù, l'atteso Mes-
sia, autore del u patto perpetuo u , (u il resto, eletto per grazia D);1'Israe-
le incredulo sono u i rami stroncati N, buttati via. Al loro posto, è
innestato tra i rami buoni l'olivo selvatico (i Gentili) che beneficiano
con essi della stessa radice nutritiva. Ma non devono inorgoglirsi; de-
vono perseverare nella fede. u Considera, dunque, la bontd e la seueritr)di Dio: severità uerso gl'increduli; bontà uerso di te, purché perseueri,altrim enti tu pure sarai reciso ». u Sono stati recisi, per la loro incre-dulità ». u Anche questi, però, se non persistono nella loro incredditd,saranno innesta ti, poiché Dio può innestarli di nuovo » (v. 22 S.).
I Giudei che permangono nella loro opposizione al Cristo, fuori
della Chiesa, sono come rami recisi, tagliati via dalla loro santa radice,priui della linfa uitale.
Per la loro incredulith sono fuori dell'alleanza, hanno perduto per-tanto ogni privilegio, ma come le altre genti non sfuggono al dominiodel Signore (cf. Amos 9,7.).
u Dio, nostro Salvatore, uude che tutti si salvino e giungano allaconoscenza della verità u. (1 Timoteo 2,3-4).
3" 11,2536. Ed ecco la consolante prospettiva. « Non uoglio,
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o fratelli, che ignoriate il seguente arcano (o mistero, cioè verità na-
scosta in Dio, già rivelata da Gesù N. Signore: Mt. 23,39; LE. 13,35;
21,24): l'accecamento di una parte d'Israele perdura, finché non sia
entrata (nella Chiesa) la massa dei Gentili e cosi (questo indica unacerta causalità: la trasformazione del complesso dei Gentili provocherà
l'emulazione d'Israele, cf. 11,11) tutto Israele si salverà, come stascritto: Verrà da Sion il Liberatore e scaccerà I'empietà di Giacobbe . . .( I s . 59,20 S.; 27,9) m.
San Paolo riprende e cita le parole di Gesù: « Gerusalemme saràcalpestata dai Gentili, sinché siano compiuti i tempi delle genti » (LE.
21,24); « I tempi delle genti sono la vocazione a1l'Evangelo e l'am-
missione al regno di Dio e saranno compiuti quando, come si esprime
san Paolo « la massa dei Gentili non sia entrata (nella Chiesa) e così
tutto Israele si salverà, « con l'abbracciare la fede di Cristo » (A. Vac-
cari, p. 1912).
E ancora: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i Profeti elapidi coloro che sono a te inviati, quante volte ho voluto raccoglierei tuo i figliuoli . . . e voi non avete voluto! Ecco, si lascia a voi la vostracasa deserta. Poiché io vi dico: D'ora innanzi più non mi vedrete, finchédiciate: - enedetto chi viene n d qom e del Signore! - ( M t . 23,
37-39; LE. 13,34-35).
« Gesù si rivolge in una appassionata apostrofe a Gerusalemme;
allude alla sua distruzione, che al suo sguardo profetico si presenta giàcome una dolorosa realtà. Ma predice anche, secondo la spiegazione
più ricevuta, ,che prima della fine del mondo, il popolo giudaico si
convertirà (cf. Rom. 11,25-33), riconoscendo in Lui il suo redentore! »
(A. Vaccari, p. 1822). Così ancora Huby, Plummer, Lagrange, Prat,
Durand, Marchal, Iacono . . . e già S. Agostino, De civitate Dei, XX,
29, PL 41,704.
Tutti si è concordi nel riportare il commento del Lagrange al v.
25 S., circa il tempo in cui si realizzerà questa predizione: « Noi non
abbiamo alcun segno che la conversione generale sia prossima, ma dauna parte la Chiesa Cattolica non ha mai cessato di estendersi tra i
popoli, e d'altra parte i Giudei esistono sempre come una razza di-
stinta ». (")
(e) INCENZOACONO,e Ep. di S. Paolo: Rom. Cor. Gal. (La S . Bibbia), ed. Ma-rietti, Torino-Roma 1951, pp. 258 ss. Cf. P. osÉ M. BOVER,.j., Teologia de San Pablo,BAC, Madrid 1946, C. VI, La reprobaciòn de 10s judéos, pp. 234-251, 605-620. L.CL.FILLION,a Sainte Bible, Y ed., t . VIII, Paris 1928, pp. 84-85 uad. e comm. Rom.11p8-30.
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Rom. 11,28-29. Questi due versetti dimostrano in una maniera di-versa la verità della predizione o asserzione del v. 25 S.: la conversionedi tutto Israele. Ecco il senso di questo argomento: per tutto il tempoche i Giudei rimarranno increduli, non accetteranno l'Evangelo, Dio li
tratterà come nemici, per punirli della loro incredulità; ma non è meno
irrevocabile il suo disegno misericordioso, la sua scelta, sancita conl'alleanza, per cui essi un giorno si convertiranno, e saranno innestatidi nuovo, sull'olivo », rientrando così nei privilegi, ora perduti (Fillion).
a Io sono un Dio geloso che punisce l'iniquità dei padri fino allaterza e quarta generazione; ma uso benignità fino alla millesima gene-razione di coloro che mi amano ». I meriti dei Padri.
a Perché i doni di Dio sono senza pentimento ». <( L'uomo modi-fica le sue scelte perché non ne prevede tutti gli inconvenienti. Non
così Iddio, che ha scelto Israele, ben prevedendo le sue infedeltà ».La sua Misericordia e la sua Onnipotenza prevalgono sulla infe-
deltà del contraente umano. (Prat, op. cit. I, p. 367 S.).
<( I doni di Dio sono senza pentimento D. Ragion per cui Dio nonfa scomparire la nazione incredula, che Egli aveva colmata di benefici.
I suoi doni, la sua scelta hanno un carattere irrevocabile. Così, sebbeneIsraele, per un tempo considerevole e per sua propria colpa, si siaseparato.da1 suo Dio ed abbia eccitato la collera celeste, il suo prov-videnziale destino non è cambiato, non cambia: Israele al tempo, sta-
bilito da Dio, si convertirà. (Fillion).v. 28 << È ben vero che a motivo dell'Evangelo (i Giudei) sonoin odio a Dio (suoi nemici), per vostro bene; ma per quel che concernel'elezione sono amati a motivo dei loro padri; (v. 29) perché Dio nonsi pente der suoi doni e della sua chiamata (o elezione).
Altro argomento, in aggiunta al precedente, sempre per confermarela predizione della conversione di tutto Israele al cristianesimo (v. 25),
è nei vv. 30-32.Infatti, siccome voi (Gentili) un tem po foste ribelli a Dio, ma
ora avete conseguito misericordia, per il fatto della loro ribellione;così pure essi (i Giudei increduli) ora si sono ribellati per il fatto dellamisericordia a voi usata, affinché a loro volta anch'essi conseguiscanomisericordia. Insomma Dio incluse tutti gli uomini nella ribellione perfare a tu tt i misericordia ».
<< Dio permise che tutti cadessero nella ribellione a Lui, per usarecon tutti la sua misericordia; prima i Gentili, che erano lontani daDio, per i quali l'incredulità dei Giudei è stata occasione di venire
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alla fede; poi i Giudei, che, per il fatto della conversione dei Gentili,
ricusarono di credere, anch'essi conseguiranno misericordia ». (A. Vac-
cari, p. 2131).
« Dio si serve dell'incredulità degli uni per salvare gli altri; poi,salva a loro volta quelli che ha resi increduli; tutto ciò per ben stabilire
che la salvezza è da parte sua un atto di pura misericordia » (Fillion).
Bene scrive 1'Huby: « Gl'Israeliri increduli non sono esclusi dal-
l'eredita messianica; la fede che può farceli entrare è per loro sempre
possibile ». Come i pii israeliti superstiti nella punizione finale di Sa-
maria, poterono poi far parte del « resto », che il Signore si scelse,
preparando con Ezechiele, gli esuli del 597 deportati in Babilonia:
vedi il libro di Tobia. Così attraverso i secoli, continua la conversione
di tanti Giudei al cristianesimo.
« Poichd Cristo era il termine e il fine della Legge, la realizza-
zione delle figure e delle promesse del Vecchio Testamento, la con-
versione richiesta agli Ebrei contemporanei di Gesù e degli Apostoli
per entrare nel Regno di Dio non era come per i pagani una rottura
con un passato idolatrico, un brusco trapianto dalle tenebre alla luce,
ma il passaggio dall'alba al pieno meriggio, una continuità ascendente.
« Per riprendere il paragone di san Paolo, l'albero della salvezza,
l'olivo fertile, avrebbe dovuto normalmente ramificarsi fra loro; essi
ne erano come i rami naturali, mentre i pagani potevano essere para-
gonati ai polloni selvatici d'un olivo sterile. Gli Ebrei, a causa dellaloro cattiua volontà, si sono privati dei loro vantaggi; non sono più
che rami tagliati e secchi, mentre i pagani convertiti come rami innestati
su di una buona pianta, verdeggiano e fruttificano sull'albero di vita.
Ma questi nuovi venuti, non devono gloriarsi a spese d'Israele; non
devono dimenticare che a loro la salvezza è venuta dagli Ebrei, per
un puro beneficio della misericordia divina » (p. 342).
In nota, il P. Huby rileva: la differenza di difficolth nell'adesione
al cristianesimo, tra un ebreo e un pagano, esisteva per i contemporanei
di Gesù e degli Apostoli, quando i giudei attendevano un Messia per-sonale, sia pure con attribuzioni erronee. « Oggi che il popolo ebraico
non è più gens prophetica, che il giudaismo s'è rinchiuso in se stesso,
mentre nei piani di Dio era essenzialmente preparazione alla venuta
di Cristo, la conversione di un ebreo al cristianesimo suppone anch'essa
una rottura con una religione deviata e falsa r .
Abbiamo visto come i rappresentanti del giudaismo moderno
(Klausner, Neher . . ) identifichino il Messia col a popolo d'Israele »,
teso alla supremazia sulle genti.
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In sintesi, nei vv. 25-32, san Paolo svela ai Romani il « mistero D
della futura conversione di tutto Israele, nel suo complesso (v. 25),
riflesso, eco della parola di Gesù (Mt. 23,39; Lc. 13,35 e LE. 21,24);
e a conferma adduce: a) la profezia di Isaia (59,20 S. e 27,9) v. 26 S.;
b) i meriti dei padri: v. 28 S.; (@)C) l'esempio della conversione dei
Gentili: v. 30 ss.
« La Chiesa è il podere o campo di Dio (cf. 1Cor., 3,9). In quel
campo cresce l'antico olivo, la cui santa radice sono stati i Patriarchi,
e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle
Genti (cf. Rom. 11,13-26) ».- onc. Vat. I1- umen Gentium, n. 6.
È pertanto grave errore isolare, considerare soltanto la seconda
parte del v. 28 e tentare di giustificarla col v. 29, per dedurne ed af-
fermare che i Giudei increduli, il Giudaismo attuale continua a godere
dei privilegi di un tempo, di avere ancora la missione di preparare il
regno di Dio e che, parallelamente alla Chiesa - ue binari paralleli,
secondo Martin Buber - arcia verso l'atteso Messia!
È contro tutto « l'evangelo di Paolo D, espresso così chiaramente
in questa lettera ai Romani, fin dall'inizio e negli stessi cc. 9-11 (con-
testo prossimo), nelle altre lettere, sempre; in particolare: 1-2 Thess.;Gal.; 2 Cor. 3,4-17 per le Sacre Scritture del Vecchio Testamento
(contesto remoto).
Quanto al tempo in cui avverrà la conversione d'Israele, nel suo
complesso, al Cristianesimo, la sua entrata nella Chiesa, piace riportarequanto l'esegeta Lorenzo Turrado scrive nel suo commento, confer-
mando sostanzialmente quanto affermava il grande Lagrange da noi già
riportato.
« Un'ultima questione. Cosa afferma san Paolo circa il tempo in
cui avrà luogo la conversione dei Giudei? La risposta non è facile.
Due frasi sembrano alludere al quesito, ma sono vaghe per trarne con-
clusioni concrete. Una frase è nel v. 15: « se la sua riprovazione è
riconciliazione del mondo, cosa sarà la sua integrazione se non risur-
rezione di tra i morti? », e l'altra, nel v. 25: « l'indurimento è avvenuto
(a) I1 significato generale della profezia d'Isaia è che la conversione d'Israelesarà effetto della venuta del Messia. Ma siccome Cristo non lo ha convertito durante lasua vita terrena e il loro ingresso nel cristianesimo avrà luogo prima del suo secondoawento alla fine dei tempi, bisogna comprendere che la conversione d'Israele sarh operadi 'G esù Cristo diffuso e comunicato" (Bossuet), cioè della Chiesa >p. Huby, p. 350.
(M) « L'abbondanza delle misericordie divine diffuse sui patriarchi (in particolare imeriti di Abramo, Isacco, Giacobbe e degli altri santi) ridonda sui loro discendenti(ricorda Es. 203, anto che un giorno si convertiranno a Cristo a. (Huby, ivi).
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a una parte d'Israele, fino a quando entri la pienezza delle nazioni, e
allora tutto Israele sarà salvo ».
Nella prima frase, molti autori interpretano questa « risurrezione
di tra i morti D come un'allusione alla risurrezione dei nostri corpi,
corona dell'opera redentrice del Cristo, che avverrà alla fine dei tempi.
In questo caso, stabilisce san Paolo un rapporto tra la conversione del
popolo giudaico ("reintegrazione") e la fine del mondo, di cui quella
sarebbe il preludio? Alcuni lo credono. Quel che senza dubbio san
Paolo afferma direttamente è che, dopo la conversione dei Giudei, che
avverrà dopo quella dei Gentili, i piani salvifici di Dio in ordine alla
salvezza degli uomini sono compiuti, e niente manca alla consumazione
dell'opera redentrice del Cristo, ma senza precisare se tra questa con-
versione dei giudei e la consumazione finale debba passare poco o
molto tempo.
« D'altronde, sarebbe anche possibile interpretare in senso me-
taforico l'espressione "risurrezione di tra i mortiJJ, alludendo a uno
straordinario risorgere della vita della Chiesa come conseguenza della
conversione del popolo giudaico, così straordinario che potrebbe essere
paragonato a una risurrezione di tra i morti ». (6 . ,13; Er. 37,l-14;
Lc. 15,24).(")
Ritengo esatto e decisivo l'allusione ad Ezechiele nel celebre C. 37:
la visione « famosa, celebrata nelia lettura di tutte le Chiese di Cri-
sto . . .» (S. Girolamo); l'onnipotenza di Dio opera questo evento straor-dinario: la conversione del popolo giudaico e il mirabile risveglio nella
sua Chiesa.(9
(45) L. TVRRAW,pistola 4 10s Romanos, p. 345 (Profesores de Salamanca, BibliaComentada, VI), BAC 243, Madrid 1965, p. 790.
(46) F. SPADAFORA,zechiele (La Sucra Bibbia, VIII, 2 ) ed. Marietti, Torino-Roma1951, pp. 270 ss.
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Dunque, carità in sintonia col Cuore di Gesù e l'immacolato Cuore
di Maria, zelo per la verità, caratterizzano la spiritualità dell'Apostolo
a prediletto W . Quanti hanno conosciuto l'operosità di Mons. Landucci
saran d'accordo nel ritrovare in essa le due suddette componenti: carità
soprannaturale, zelo per la verità, la fede.
I1 Signore lo aveva eletto per la missione sacerdotale che egli
svolse, corrispondendo alla grazia fedelmente.
Nato il lo dicembre 1900 da famiglia tradizionalmente cristiana
a Santa Vittoria, provincia di Ascoli Piceno, completò i suoi studi
universitari a Pisa e alla Sapienza di Roma, laureandosi brillantemente
in Ingegneria. Compì il servizio militare, come sottotenente del Genio.
La preparazione scientifica gli servirà mirabilmente per il suo aposto-
lato di scrittore a favore del Clero, contro l'evoluzionismo.
Rispose alla chiamata del Signore, compiendo eccellentemente la sua
preparazione filosofica e teologica, nel Seminario del Laterano; ordinato
sacerdote il 26 maggio 1929, anno della Conciliazione e del Concordato.
Apostolato dottrinale. Contro l'evoluzionismo utilizzò la sua com-
petenza specifica in paleoantropologia, geologia, genetica... L'evoluzio-
nismo, col suo fantasioso cultore, il gesuita P. Teiihard de Chardin,
e il divulgatore in Italia, l'altro gesuita P. Marcozzi, prof. alla Gre-
goriana, è l'errore originale », dominante anche tra teologi cattolici,
affatto ignari in campo scientifico: un'esemplificazione è data al ri-
guardo da Patrik O'Connel, Origine e preistoria dell'uomo, ed. Alzani,Pinerolo (tr. it.), 1963 Facoltà Teol., Università di Lovanio; Univ.
Gregoriana; la trad. it. degli scritti del P. Teilhard, con la conseguente
negazione del peccato originale . . .; Facoltà Teologica di Milano, ad
es., mons. Carlo Colombo (il cosiddetto "teologo" di Paolo VI), Tra-sformismo antropologico e teologia, in La Scuola Cattolica, gen.-feb.
1949, pp. 17-43 . . . Con i riflessi in esegesi: G e n . 3,14 S.; Rom. 5,12,
vedi l'art. del P. St. Lyonnet del Pont. 1st. Biblico, in Rech. de ScienceReligieuse 44 (1956) 63-84 che spiega il v. 12 dei peccati personali,
con Pelagio, Erasmo e i razionalisti, contro il senso autentico definitodal Concilio di Trento: trattarsi appunto del peccato originale: tutti
han peccato in Adamo perciò muoiono, cf. la confutazione del Lyonnet,
da noi fatta in Divinitas (1960) 289-298.
Mons. Landucci contro tale grave errore scrisse libri e articoli.
Ricordo: nel suo capolavoro Il Dio in cui crediamo, 5" Ed. Pro Sancti-
tate, Roma 1968, p. 316; nelle pp. 76-99: l'Ordine e I'Ordinatore
nell'ipotesi evoluzionista; ottima trattazione (Nella 1" ed., questo libro,
col titolo Esiste Dio?, fu edito dalla Pro Civitate Christiana, Assisi).
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dei pseudo-catechismi, sorti qua e là e varati dalla varie Commissioni
Episcopali. Così incominciarono a venir fuori, a poco a poco, anche i
volumetti fatti preparare per l'Italia. A nessuno sfugge l'importanza
di tali guide per la formazione dei teneri virgulti nella dottrina dellaC h i e ~ a , ~ e rldogma e la morale. Come è evidente che la prima e fon-
damentale loro dote essenziale debba essere la esattezza teologica e la
completezza di tale insegnamento. Ciascuno di questi libretti veniva
pubblicato - ra espressamente detto - d experimentum; si atten-
devano cioè eventuali osservazioni e rilievi.
Per i sacerdoti ed i « catechisti » in genere, Mons. Landucci, volta
per volta, esaminò attentamente tali pubblicazioni e sempre con la
consueta delicatezza, ne rilevò i difetti, anche teologicamente gravi, per
la imprecisione dei termini adoperati, per le omissioni, ecc., in singoli
articoli per « Palestra del Clero ».Le precisazioni, i rilievi, le critiche, del tutto ineccepibili, non
lasciano dubbi: i testi pubblicati come « catechismi D per ciascuna
età, dai bambini agli adulti, sono davvero inadatti allo scopo, anzi
risultano dannosi. ( l )
Altro tema di polemica in questo turbinoso post-Concilio, è l'ecu-
menismo; in particolare, il rapporto della Chiesa con il giudaismo, pro-
posto al n. 4 della Dichiarazione conciliare. Mons. Landucci ne scrisse
per offrire al Clero una retta linea di giudizio, rispettosa della verità
storica ed esegeticamente valida, nel rispetto della storicità, della ispi-razione ed inerranza dei testi sacri e, particolarmente, dei santi quattro
Evangeli.
Cosi, sulla già citata rivista, Renovatio, fasc. luglio-sett. 1982, pp.
349-362 pubblicò lo studio, dal titolo espressivo: La vera carità verso
il popolo ebreo; articolo che per la esattezza e lo spirito che lo anima
ritengo esemplare e definitivo.
E allorché don Giovanni Caprile espose su u Palestra del Clero >p
l'insostenibile tesi, proposta da alcuni studiosi giudei, come il dotto
Martino Buber, che, cioè, cristiani ed ebrei marciano paralleli sullostesso binario, aspettando gli uni il secondo avvento, e gli altri laprima venuta del Messia, nell'art. La Sinagoga e la Chiesa, in Pal.
del Clero 64 (15 gen. 1985) 99-110, Mons. Landucci con la consueta
amabilità verso lo scrittore, precisò ancora una volta la esatta natura
(2) La reazione arrogante di un insipiente confermò piuttosto il giudizio negativo,ben presto generale, da parte del Clero e di tante Religiose, che sono ritornati al notovero Catechismo.
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delia Chiesa, rilevando punto per punto l'insostenibilità dei motivi
addotti dal Caprile per la sua tesi, l'errata interpretazione abusiva di
alcuni passi del Nuovo Testamento. L'articolo apparve su Renouatio,
apr.-giugno 1985, pp. 219-227: Mons. Pier Carlo Landucci, Ebrei e
Cristiani.
« I1 giusto se ne va - oncludo con F. Dostoyevskij - a la
luce rimane dopo di lui B.
Permane per noi il compito di rilevarne il fulgore, proseguendo
nella sua scia.
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LA VERA CARITA
VERSO IL POPOLO EBREO (')
In un importante Simposio in memoria del centenario della na-
scita del Cardinale Agostino Bea, tenuto a Roma nel dicembre u.s.,
furono riferiti alcuni stralci di uno studio dell'illustre biblista, sugli
ebrei. Si trattava di un articolo che il cardinale aveva preparato perla Civiltà Cattolica, ma che allora non f u pubblicato, presumibilmente
perché i tempi non erano ancora maturi. I1 testo è stato ora pubblicato
integralmente nel n. 3161, 6 marzo u.s. della rivista. Si è infatti matu-
rato frattanto un clima di distensione riguardo agli ebrei, precisato
nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, 5 4 .
Ma è rimasto entro i limiti di tale precisazione il Card. Bea, tutto
proteso alla « benevola scusa » dei condannatori di Gesù, a distinguere
la loro responsabilità « oggettiva » dalla w soggettiva », a collegare sol-
tanto alla prima le « calamità » conseguenti profetizzate da Gesù, asuscitare la « doverosa carità » e gratitudine » verso quel « popolo
eletto N, a giustificare tutto ciò per « amore di Gesù e di Maria », e
tutto questo senza distinguere il prima e dopo la tragedia del Calvario?
Per un sereno esame critico di tali posizioni non mi aggancerò
ora strettamente alle parole di detto articolo, dato che in esso sono
come riassunte e in qualche modo radicate tutte le posizioni filoebrai-
che, più spinte, che stanno sempre più diffondendosi nel mondo cat-
tolico. Passo cioè senz'altro alla loro generale considerazione.
Qualunque siano le accuse che si fanno, fra i motivi di benevo-
lenza verso gli ebrei, si adduce sempre il dovere della carità, da esten-
dersi evangelicamente anche ai nemici.
Ora a me preme soprattutto rilevare che queste metodiche scuse
( l ) In u Renovatio », 1982, n. 3 , pp. 349-363
112
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a loro riguardo sono invece contro la illuminata e vera carith, perché
contribuiscono a nascondere ad essi la drammatica e tragica situazione
obiettiua in cui sono venuti a trovarsi dopo la condanna di Gesù. Lavera carità verso gli ebrei è di illuminarli lealmente su tale situazione,
sollecitando in tal modo anche per essi - come individui e come
popolo - l u ravvedimento » e la redenzione ad essi promessa u per
primi » (At. 3,26) , essendo i u doni di Dio e la vocazione di Lui iwe-
uocabili » (Rm. 11,29). Tale u irrevocabilità » infatti, come spiega S.
Paolo, non si riferisce a coloro che proseguono a rifiutare Gesù, i
quali, u per la loro incredulità sono stati recisi (dall'olivo salvifico) »(11,20) , ma a coloro che, u se non persistono nella incredulità (vi) sa-
ranno innestati /.../ di nuovo » (23), quando cioè avrh termine u l'ac-
cecamento di una parte d'Israele /.../ e tutto Israele si salverà »
(25,26). Tornerò più avanti su questo punto fondamentale. Ma intantoè chiaro che tale u irrevocabilità » del u dono di Dio » riguarda pro-
prio il piano obiettivo (sempre concesso che ognuno, soggettivamente
in buona fede, può salvarsi, parte la maggiore o minore difficoltà) e la
uera carità deve mirare a togliere quell'u accecamento » e non ad ali-mentarlo, facendo dimenticare i fatti obiettivi e moltiplicando le scuse.
Dunque proselitismo? Certo. Non vi può essere dubbio, per chiha veramente la carità verso gli ebrei e quindi vuole il loro vero bene.
Nel quadro anzi della missione apostolica, pur essendo essa rivolta a
tutti (Mt. 28, 19: Mc. 16, 15) essi debbono avere una posizione pri-vilegiata, un u primato n, come ho già accennato, per condurli a rico-
noscere il Redentore. Così si regolò Gesù inviando gli Apostoli u primaalle pecore sperdute della casa d'Israele » (Mt. 10,6), obiettando ad-
dirittura, alla Cananea, di << non essere stato mandato che per esse »(15,24), così da essere stato definito da S. Paolo come u posto al ser-
vizio dei circoncisi /,../ compiendo le promesse fatte ai padri >P (h.
15,8). E, di fatto, dopo la Pentecoste, la prima predicazione degli
Apostoli e le prime abbastanza vaste adesioni si ebbero tra gli ebrei
e S. Paolo, nei suoi viaggi, iniziò sempre la predicazione nelle sinagoghe
e nelle assemblee ebraiche (At. 9,20 : 13 ,5 : 13,14: 1 4 , l : 16,13:
17, 1-2: 17, 10: 17, 17: 18,4 : 19,8).
I1 dialogo quindi animato da vera carità verso gli ebrei, non solo
non esclude, ma deve mirare soprattutto dia loro conversione. È uma-
namente comprensibile che, prima di questa conversione, tale prospet-
tiva sia ad essi sgradita. Ma non potranno, in definitiva, non rawisarvi
la lealtà e la amorevole intenzione dell'interlocutore cattolico (il quale
agisca, s'intende, con illuminata discrezione). La traduzione, oggi non
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rara, del clima ecumenico come dialogo senza proselitismo t una errata
interpretazione dell'ecumenismo, in antitesi con l'insegnamento evan-
gelico. (Devo quindi supporre che, quando l'anno scorso, in una inter-
vista, il nuovo arcivescovo di Parigi, escluse, in relazione agli ebrei,il proselitismo, si sia riferito soltanto ad una sua modalità artificiosa,
non ispirata dal vangelo, indiscreta).
La soggettiva scusante della ignoranza viene, in genere, addotta
per scagionare gli ebrei che vollero la morte di Gesù. Se ne addita la
conferma nelle parole stesse di Gesù, dalla croce: « Padre, perdona
loro perché non sanno quel che fanno » (Lc. 23,34). Anche S. Pietro,
parlando al popolo, nel portico di Salomone, dopo la clamorosa guari-
gione dello storpio, disse: « Io so che voi operaste per ignoranza, come
anche i vostri capi » ( A t . 3, 17).
Ma sono rilievi ingannatori. Prima di tutto, Gesù non escluse la
colpa, tanto è vero che chiese al Padre di « perdonare W . Né la escluse
S. Pietro, tanto è vero che aggiunse: « Ravvedetevi dunque e conver-
titevi perché si cancellino i vostri peccati >P (19). Inoltre le attenuanti,
se vi sono, non eliminano la responsabilità grave. In fondo qualsiasi
grande peccatore non sa pienamente « quello che fa », in quanto va
incontro alla propria infelicità che non vorrebbe avere. Nel caso partico-lare del Sinedrio, l'ignoranza riguardava bensì la verità di Gesù come
promesso Messia e tanto più come Dio. Essi non intesero certo di uc-
cidere un Dio. Ma la responsabilità sta proprio in quella ignoranza la
quale non era invincibile, come è provato dal fatto degli Apostoli e di
tanti altri giudei che seguirono Gesù.
Vi fu cioè la grave responsabilità di non aver vinto, con l'aiuto
della grazia, quella ignoranza. Su questo punto dobbiamo, d'altra parte,
stare alla rivelazione, che svela i motivi viziosi di tale oscuramento.
Gesù ha parlato chiaro.Le
profetizzate punizioni sono esplicitamentelegate alla colpa (Castighi « esemplari per l'umanità P, come dice il
card. Bea, nel tentativo di non legarli alla colpa? « Esemplari » certa-
mente; ma non lo sarebbero più, se fossero staccati dalla colpa): « Se
non vi accolgono /.../ vi dico che Sodoma in quel giorno avrà sorte
più tollerabile /.../ Guai a te Corozain! guai a te Betsaida, perché se
in Tiro e Sidone fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti in voi,
già da tempo /.../ avrebbero fatto penitenza /.../ E tu, Cafarnao,
I.../ino all'inferno sarai abbassata » (Lc. 10, 10-15); u Gerusalernme,
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Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che a te sono inviati,
quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli /.../ e voi non avete
voluto! Ecco la vostra casa sarà abbandonata » (Lc. 3,34-35); « pian-
se su di essa (Gerusalemme) dicendo: Ah! se avessi /.../ anche tu
riconosciuto il messaggio di pace! Ma ormai è rimasto nascosto ai
tuoi occhi /...Ii assedieranno, ti stringeranno da tutte le parti /.../poiché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata n (Lc.19,41-44). E, più direttamente, ecco le motivazioni peccaminose di
quell'accecamento, rivelate da Gesù: « Sono le Scritture che rendono
a me testimonianza /.../ Come potete credere voi, che andate in cerca
di gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dal solo
Dio? /.../ Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli
di me ha scritto » (Gv. 5, 39.44.46); « se voi non credete che io sono,
morirete nei vostri peccati /.../ Per qual ragione non comprendete
il mio linguaggio? /...Ioi avete per padre il diavolo /.../ egli è
mentitore e il padre della menzogna /.../ Voi non ascoltate le parole
di Dio perché non siete da Dio » (Gu. 8'43.44.47). « Se non fossi
venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non
hanno scusa per il loro peccato... Se non avessi fatto tra loro le opere
che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano
veduto, pure odiano me e il Padre mio n (Gv. 15,22.24). Confronto
con la colpa di Pilato: « Chi mi ha consegnato nelle tue mani è più
colpevole » (Gv. 19, 11). Gli ebrei rigettati: « Voi non credete perchénon siete delle mie pecore » (Gv. 10, 26). Una sintesi generale, ovvia-
mente riferibile, in particolare, ai condannatori di Gesù, è così espressa
da S. Giovanni: « La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno
amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano cattive.
(Gu. 3, 19).
Analoga e illuminante, circa le responsabilità soggettive degli ebrei
e, in particolare, del Sinedrio, è l'azione contro S. Stefano e la reazione
di questi, illuminato dallo Spirito Santo, ampiamente descritta dagli
Atti. Morì gridando a gran voce: u Signore non imputare a loro questo
peccato » (7,40). V'è il perfetto eco delle prime parole del Signore
dalla Croce. È la richiesta caritatevole del perdono per il peccato che
era però effettviamente commesso. S. Stefano non nomina nemmeno
le attenuanti della ignoranza che potevano, in qualche modo, esservi.
Non manca anzi di svelare il colpevole atteggiamento interiore dei suoi
carnefici: « O duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi: voi
sempre contrastate con lo Spirito Santo. Come i padri vostri, così voi.
Quale dei profeti i padri vostri non perseguitarono? Uccisero anche
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i preannunciatori della venuta del Giusto, del quale voi foste ora i tra-
ditori e gli omicidi B (7,51-52).
Si insiste, sempre a riguardo della responsabilità soggettiva, che
essa è nota solo a Dio: nessuno avrebbe quindi il diritto di giudicarla.
Questo è vero in generale e in senso assoluto. Ma nel caso della re-
sponsabilità giudaica per la condanna di Gesù, la responsabilità sog-
gettiva risulta dalle parole di Gesù e dai testi scritturali sopra ricor-
dati. Ma, anche a prescindere da essi, si devono usare, a riguardo di
quegli eventi storici, i criteri di valutazione normali nelle indagini sto-
riche, nelle quali i fatti vengono valutati nelle loro manifestazioni esterne
e i personaggi giudicati in relazione ad esse. È sottinteso che la misura
intima della responsabilità è vista e giudicata solo da Dio e proprio
per questo essa trascende il piano storico. Ma il giudizio umano è invece
legittimamente formulato sul piano storico. Precludersi quindi di giu-
dicare gli ebrei che condannarono Gesù, per il fatto che Dio solo conosce
appieno la intima responsabilità di ognuno è antistorico. La responsa-
bilità va legittimamente affermata in base al comportamento storica-
mente provato, oltre che, come ho già detto, in base alle parole di Gesù
e alle affermazioni scritturali.
Nessun dubbio vi può essere quindi proprio sul fatto e la respon-
sabilità del deicidio. Pur ammesse le attenuanti per la ignoranza (non
però scusabile, come ho detto sopra), il deicidio risulta, sul piano obiet-
tivo, come realtà owia, per il fatto che il condannato è Gesù uomo-Dio.
I1 fatto, come tale, prescinde totalmente dal grado di responsabilità
soggettiva degli uccisori. Anche supposto quindi il massimo delle at-
tenuanti, nella linea della ignoranza della vera persona di Gesù, il dei-cidio sarebbe, sul piano delle responsabilità, colposo (cioè non propria-
mente colpevole), ma ancora reale. L'esigenza, il dovere di un ricono-
scimento riparatore del clamoroso misfatto obiettivamente compiuto,
urgerebbe ugualmente per gli ebrei. La massima carità verso essi è
ancora di richiamarli a questo supremo dovere. Ma, come ho già detto,
l'ignoranza fu tutt'altro che incolpevole (della colleganza con i non
direttamente responsabili, dirò tra poco).
È chiaro che, in merito al doveroso atteggiamento del proselitismo
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e della carità cristiana, cattolica, verso gli ebrei, si deve tener presente
la certezza assoluta di fede cristiana della divinità di Cristo. Non si
tratta del giudizio su un qualunque grande personaggio ma su colui
che viene da centinaia e centinaia di milioni di cristiani adorato come
Dio. Il riconoscimento o la negazione di tale personaggio e della sua
missione assurgono quindi al massimo livello di drammaticità e ren-
dono inammissibile il disinteresse sul problema da una parte e dal-
l'altra.
Bisogna anche riflettere alla drammatica alternativa: o Gesù è
veramente l'uomo-Dio, affermato dai cristiani o egli è un sacrilego
ingannatore. È una alternativa che vale di fronte a qualsiasi posizione
non cristiana, ma tanto più di fronte a quella ebraica (vedremo perché
u tanto più e) . Ogni valutazione quindi- ogni intesa reciproca -che induca a far dimenticare o a minimizzare tale alternativa costituisce
un grave inganno e una offesa alle responsabilità fondamentali della
verità e della fede.
La vera carità verso gli ebrei deve mirare quindi a farli riflettere
su tale alternativa e sulla obiettiva tesi del deicidio, per sollecitare il
ripensamento e la conversione a cui deve mirare il salutare proselitismo.
Questo potrà bensì dispiacere frattanto agli ebrei: ma non offenderli
se vedranno il disinteresse e l'amore che anima quelle sollecitazioni
(a differenza di un antisemitismo anticristianamente animato dall'odio).
Tutto considerato (e senza escludere la prudenza tattica) la leale fran-chezza sul proselitismo è la più desiderabile.
Su questo punto, d'altra parte, non si può dimenticare o rinnegare
l'esempio apostolico, certamente ispirato (cfr. A t. 4, 8, 3 1) dallo Spirito
Santo. Eccetto quella attenuante (non scusante) della at ignoranza »
(non incolpevole) addotta una volta sola da S. Pietro ( A t . 3, 17), questi
ha sempre apostrofato tutti quegli ebrei come responsabili del grande
misfatto, delineando implicitamente il decidio. Nel Cenacolo, alla Pen-
tecoste: « O Giudei e voi tutti, abitanti di Gerusalemme /.../ Gesù
di Nazareth, da Dio approvato con grandi opere e prodigi e portenti/.../ catturato per mano di iniqui, voi l'avete crocifisso e ucciso e Dio
lo risuscitò /.../ Riconosca dunque fermamente tuttcr la casa d'Israele
/.../ Signore e Messia questo Gesù che voi crocifiggeste /.../ con-
vertitevi da questa generazione perversa ( A t . 2 , 14-40). Nel tempio,
nel portico di Salomone, al popolo accorso dopo la guarigione dello
storpio: u Dio ha glorificato il figlio suo Gesù che voi deste in mano
di Pilato /.../ e chiedeste che vi fosse graziato un assassino. Voi ucci-
deste l'autore della vita » ( A t . 3, 13-15). Arrestato con Giovanni, da-
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vanti al Sinedrio: « Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israeleche nel nome di Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste, e che Dio
risuscitò dalla morte /.../ quest'uomo sta davanti a voi risanato. Egliè
la pietra rigettata da voi edificatori, cheè
diventata la pietra angolare(cf. Ps. 118, 22); e in nessun altro è salvezza » ( A t 4, 10, 11).Liberati
e tornati Pietro e Giovanni presso i discepoli, nella comune preghierainalzata a Dio: « Sì, veramente si unirono in questa città contro ilsanto Figlio tuo Gesù, da te consacrato, Erode e Ponzio Pilato con legenti e con le plebi d'Israele » ( A t . 4, 27): e fu una preghiera sigillatada una nuova clamorosa effusione dello <4 Spirito Santo ~ . ( ~ l )i nuovo,
davanti al Sinedrio, il sommo sacerdote, dimostrando di avere ben capitola predicazione degli Apostoli, contesta loro: « Volete far ricadere su
di noi il sangue di quest'uomo P; e Pietro con gli Apostoli ribadisce:
« I1 Dio dei padri nostri risuscitò Gesù, che voi uccideste appendendoloin croce » ( A t . 5, 28.30). Ancora Pietro a Cornelio Centurione: Noi
siamo testimoni di tutte le cose che (Gesù) fece nella terra dei Giudeie in Gerusalemme; ed essi lo uccisero, configgendolo in croce » ( A t . 10,39). Similmente S. Stefano davanti al Sinedrio: << V o i foste ora delGiusto i traditori e gli omicidi » ( A t . 7, 52). Così S. Paolo: a< Gliabitanti di Gerusalemme e i loro capi /.../ ne chiesero a Pilato la
morte » ( A t . 13, 28).Come si vede, è una martellante e costante denuncia della respon-
sabilità obiettiva - congiuntamente- ubiettiua - iudaica, for-mulata sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, che sarebbe un ingannoe contro la vera carità, far dimenticare. È quanto, del resto, afferma-rono gli stessi giudei, gridando a Pilato la celebre espressione che indica
il riconoscimento della piena responsabilità e l'accettazione di tutte leconseguenze: a E tutto il popolo rispose: "Ricada il suo sangue su dinoi e sopra i nostri figli" P ( M t . 27, 25; cfr. A t . 18, 6): affermazioneche, troppo tardi, cercarono poi di rinnegare davanti agli Apostoli
(At. 5, 28).
Da notare anche che il richiamo all'ignoranza quale atte-nuante (benche non scusante) vi è solo nel discorso di Pietro al popolo
comune, dopo la guarigione dello zoppo, a un uditorio cioè nel qualeera più facile ammetterla in qualche misura e in circostanze che indu-cevano particolarmente a espressioni accattivanti di benevolenza.
E gli .&i giudei, di allora e di oggi? È ovvia la differenza di re-
sponsabilità diretta. Basta pensare che, di contro agli uccisori di Gesù,
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molti giudei si convertirono, sicché le prime comunità di fedeli erano
costituite da essi.
I1 problema va posto però per i non convertiti.
Colpisce il fatto che nelle martellanti denunce dei crocifissori di
Gesù, gli Apostoli accumunarono sempre i capi e il popolo. È evidente
che, quanto alla possibile buona fede e alla possibile ignoranza piena-
mente scusante, esse possono essere assai più facilmente ammesse per
il popolo che non era direttamente a conoscenza dei fatti e che giudicava
in base alla autorità dei capi. Per il popolo quindi - i allora e di
oggi - uò valere largamente la distinzione tra piano soggettiuo e
obiettivo. Ma, a prescindere dal grado di responsabilità soggettiva della
ignoranza, la verità di Cristo e la tragedia del deicidio restano integre
sul piano obiettivo e reclamano la riparazione su quello stesso piano.
La carità verso gli ebrei reclama quindi di condurli a tale riparazione,al riconoscimento cioè del clamoroso errore compiuto, così da giungere
alla auspicata conversione. Se si riflette alla suddetta fatale e suprema
alternativa: o veramente uomo-Dio o sommo, sacrilego ingannatore;
che non c'è via di mezzo; e che i giudei agirono attivamente secondo
la seconda valutazione, si comprende come non sia ammissibil; la non-
curanza o neutralità di giudizio ed urga per i Giudei la conversione
riparatrice. La vera carità verso di essi non può quindi non tendere,
in tal senso, al più fervido e sereno proselitismo.
L'ebreo attuale quindi, pur non avendo avuto alcuna parte attivanel processo e nella condanna storica di Gesù, rifiutandosi di ricono-
scerlo come Dio, non può non essere moralmente solidale con quella
condanna e far proprio, in qualche modo, quel giudizio del Sinedrio
come formulato verso un sacrilego e sommo ingannatore. Questo se
vuol seguire una elementare coerenza.
Ma, a parte la coerenza logica - he alcuni potrebbero anche
trascurare - 'è una ragione psicologica che dovette inclinare e gli
antichi e gli attuali ebrei a solidarizzare senz'altro con l'atteggiamento
di quel Sinedrio. È un popolo infatti caratterizzato da straordinaria
unità per il mutuo compenetrarsi dei legami di sangue, di storia, di
politica, di religione. Chi perde uno di questi legami (per essere caduto,
per esempio, nella miscredenza e aver perduto quindi il convinto legame
della religione) resta legato mediante gli altri, con il primario fonda-
mento nel sangue e nella circoncisione (avvalorati da forte unità fami-
liare e grande ostilità a matrimoni con non ebrei). Questa solidarietà
non ha confronto con altri popoli perché permane nonostante la fram-
mentazione di questo popolo nelle varie nazioni, assumendone le rispet-
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tive nazionalità (anche dopo la creazione d'Israele, dove sono confluiti
soltanto 3,5 milioni di individui dei circa 15 milioni oggi esistenti).
È una unità etnica che ha sfidato i millenni e che difficilmente si può
spiegare senza un disegno della Provvidenza, perché si attui la profezia,
gia ricordata, secondo cui, finalmente, dopo l'a accecamento di una
parte d'Israele /.../ tutto Israele si salverà /.../ perché i doni di Dio
e la vocazione di Lui sono irrevocabili » (Rm. 11, 25-29). Perché sia
palese tale ritorno di Israele come tale, esso deve così mantenersi unito.
È una solidarietà quindi che fatalmente lega a quella antica con-
danna di Gesù. Un semplice attuale silenzio, a tale riguardo, non rompe
tale solidarietà. Occorre una pubblica sconfessione di essa. Sono state
anche prese particolari iniziative in tale senso, ma con scarsa risonanza.
Taluni hanno anche cercato di evadere da quella tremenda alternativa- Dio o sacrilego ingannatore - ma facendo violenza alla storia
e alla logica. Quella solidarietà fondamentale resta. I1 mondo cristiano
giustamente attende una riparazione.
È contro la carità naskondere questo dovere al mondo ebraico.
Inutile dire quanto sia contro la carità l'antisemitismo di infausta
memoria, con le violenze e le stragi, che arrivarono, in epoche moderne,
ai u pogrom » (devastazioni, saccheggi) russi e alle stragi di A. Hitler.La verità richiede però di fare le necessarie distinzioni. La parola
« antisemitismo », creata in ambiente tedesco circa un secolo fa, si rife-
risce propriamente all'antiebraismo etnico-filosofico-sociale-razzista, non
religioso, come era invece nel mondo antico e medievale, quando ostilità
e tolleranza insieme si risolvevano, in definitiva, nelle segregazioni
dei e ghetti », proseguiti anche in epoche moderne e infine aboliti.
È inoltre contro la carità della verità di considerare solo il ripro-
vevole a antisemitismo » e non il reciproco e attivo anticristianesimo
ebraico. Contro di questo può essere doverosa la difesa: purché la siintenda cristianamente senza alcun odio dell'avversario, anzi amanddo
e bramandone la conversione, in soprannaturale spirito di proselitismo.
Questo u anticristianesimo » è storicamente innegabile, come pro-
seguimento della ostilità del Calvario. Basta vedere negli Atti la siste-
matica e furiosa ostilità dei giudei alla predicazione degli Apostoli e
contro S. Paolo, in tutti i suoi viaggi, cioè anche nella diaspora. Ciò
secondo la predizione di Gesù: u Vi cacceranno dalle sinagoghe; anzi
viene l'ora che chiunque vi uccide penserà di rendere culto a Dio.
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E tutto ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me »
(Gu, 16, 2-3; cfr. 9, 22). Ed ecco Pietro e gli Apostoli ripetutamente
catturati, minacciati, flagellati; ecco il martirio di Stefano e la u grande
persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme » (A t . 8, 1) e
il martirio di Giacomo (12, 2-3). Ecco Paolo perseguitato a morte:
Darnasco: « I giudei si accordarono di ucciderlo » (9, 23); Gerusalem-
me: u gli Ellenisti tramavano di ucciderlo >p (9, 29); Antiochia di Pisi-
dia: « I giudei, vedendo la folla si riempirono di malanimo e presero
a contraddire con oltraggiose parole », u istigarono le donne pie e rag-
guardevoli e i più influenti della città e suscitarono una persecuzione
contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dai loro confini » (13, 45.50);
Iconio: molti giudei credettero, « ma i giudei rimasti increduli eccitarono
e irritarono gli animi dei Gentili contro i fratelli », « ci fu, da parte
dei pagani e dei giudei con i loro capi, un tentativo di maltrattarli elapidarli (gli Apostoli) » (14, 2.5); Listra: a< Sopraggiunsero da Antio-
chia di Pisidia e da Iconio dei giudei i quali, tirata dalla loro parte la
folla, lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo
già morto » (14, 19); Tessalonica: « I giudei, pieni d'astio, presero con
sé alcuni ribaldi di piazza e, fatta folla, misero a tumulto la città, /...)/gridando: Costoro, dopo aver posto sossopra il mondo, sono venuti
anche qua /.../ ribelli contro i decreti di Cesare, proclamando che c'è
un altro re, Gesù » (17, 5-7); Berea: « I giudei di Tessalonica vennero
anche là a scuotere e agitare le turbe » (17, 13); Corinto: a< I giudeigli si opponevano e lo ingiuriavano /.../ insorsero unanimi contro Paolo
e lo trassero al tribunale, dicendo: Costui persuade la gente a rendere
a Dio un culto contrario alla legge » (18, 12-13); ancora in Grecia: « i
giudei gli tesero insidie, mentre era in procinto di salpare per la Siria »
(20, 3); Mileto: Paolo ricorda « le lacrime e le prove che gli soprav-
vennero per le insidie dei giudei » (20, 19); Gerusalemme: a I giudei
dell'Asia, veduto Paolo nel tempio, sobillarono tutta la folla /.../ e
impadronitisi di Paolo / . / tentavano di ucciderlo / . / Togli dal
mondo costui: non è degno di vivere
/.../I giudei ordirono una con-
giura e si votarono con anatema a non mangiare e non bere finché
non avessero ucciso Paolo » (21, 27.30.31; 22, 22; 23, 12; 26, 21).
Questo anticristianesimo combattivo non può non essere perma-
nentemente radicato, sia pure in varia misura, nella mentalità e prassi
ebraica, perché fondato su quella drammatica alternativa: o il vero,
atteso Messia, uomo-Dio o il più sacrilego mentitore. Esclusa la prima
ipotesi non resta logicamente che la seconda che non può non esten-
dersi, in qualche modo, al cristianesimo e suscitare verso di esso una
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fondamentale opposizione, capace anche di traboccare in tenace odio edisprezzo, come e più che per i generici non ebrei ( a goyim »), secondola mentalità (male interpretata) dell'Antico Testamento. Va tenuta inoltre
presente la concezione ebraica del Salvatore promesso come trionfatoreterreno, che deformò l'interpretazione delle profezie e ostacolò la com-prensione di Gesù. I1 perdurare attuale di tale concezione può deter-minare indubbiamente una qualche tendenza ebraica al dominio terrenouniversale, facilitato dalla contemporanea presenza nelle varie nazioni,dalla emergenza scientifica di varie personalità e soprattutto dalla grandepotenza economica internazionale, oltre che dalla massiccia presenza negliStati Uniti di ebrei, particolarmente ricchi e potenti. Naturalmente questa
tendenza al dominio non affiora ugualmente alla coscienza dei singoli,o non affiora affatto, data anche la moderna variabilissima partecipa-
zione all'unità ebraica, sovente estranea alla vera adesione religiosa(tanto che alcuni, per esempio, identificano oggi tutta la realtà del
Messia con il costituito e consolidato Stato d'Israele). Per rendere peròil fenomeno importante e preoccupante basta che riguardi settori parti-colari e gruppi particolari ebraici, particolarmente potenti. E comunquesi tratta di una tendenza sempre latente.
Tale tendenza induce purtroppo a stabilizzare la psicologia ebraica,in antitesi all'orientamento di conversione. È quindi mancanza di caritàverso il mondo ebraico di nasconderla e non denunciarla. I1 mondo
cattolico, d'altra parte, ha il dovere prudenziale di tenere presente que-sto pericolo potenziale o attuale contro l'« ovile » di Cristo.
Ed è ingiusto e unilaterale, ad ogni modo, di condannare soltantol'antisemitisrno, dimenticando l'anticristianesimo, che l'ha preceduto e
l'accompagna.
I1 primato della vocazione salvifica ebraica è, alla luce della Scrit-
tura, evidente. Maè
fonte di tanti equivoci, quando si prescinda dalfatto discriminante del rifiuto e della condanna di Gesù. Già toccammoil fatto di tale « primato » in relazione al « proselitismo ». Va ora un
po' approfondito.Dovendo il profetizzato Messia e Salvatore nascere dal seno del
popolo ebraico, questo popolo si presentava come prediletto da Dioe ovviamente doveva essere il primo oggetto della rivelazione salvificadi Gesù. « Andate prima alle pecore sperdute della casa d'Israele »
(Mt. 10, 6 ) ' disse infatti Gesù agli Apostoli. E ribadì con forza tale
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primato e precedenza dei Giudei rispondendo iperbolicamente alla Ca-nanea: << Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casad'Israele (M t. 15 , 24 ). Così S. Pietro , alla folla radunata dopo la gua-
rigione dello zoppo:<<
Gesù, a voiè
stato destinato per Messia/...l
A voi per primi Idd io lo ha inviato a recarvi benedizione, convertendosiciascuno di voi dalle sue iniquità (A t. 3, 20.26 ). Così S. Paolo adAntiochia d i Pisidia: << O fratelli, figli della stirp e di Abramo e chiunquetra voi teme il Signore ( e proseliti D o quasi): il verbo della salvezzafu inviato per noi /.../ A voi per primi era necessario che fosse dettala parola di Dio D (At. 13, 26.46). . E nella lettera ai romani: Agli
Israeliti appartiene l'adozione in figlioli, e la gloria e le alleanze e lalegislazione e il culto e le promesse; a cui appartengono i patriarchi e dacui è nato Cristo quan to alla carne (Rm. 9, 4-5).
Ma q uale conseguenza tra rne? Non certo l'assoluzione o le maggioriattenuanti per il misfatto del Calvario, ma immense aggravanti, per lo
meno obiettive, per il rifiuto e la condanna del Redentore, profetizzatoe nato dal proprio seno: a Spun terà il germoglio di Jesse (dalla stirpe diDavide, ultimogenito di Jesse) » (Rm. 15, 12; Is. 11, 1).Così per esem-pio il traditore Giuda fu immensamente privilegiato essendo stato anno-verato tra i << dodici D; ma proprio per questo fu tanto più colpevolecome traditore: << Colui il quale mangia il mio pane ha levato il calcagnocontro di me B (G v. 13, 18 ); Giud a, con un bacio tradisci il Figlio
dell'uomo? » (LE. 22, 48) (SI. 41, 10; 55, 13-15).I1 primato salvifico diviene, col rifiuto, primato di condanna.
La vocazione permanente che giustamente si attribuisce ai Giudeiacquista allora il suo chiaro significato. Interpretarla come identica mis-sione e identica benevolenza divina verso di essi, così prima come dopoil Calvario, è assurdo e offensivo gravemente della divina paternità e
giustizia.Non esistono infatti due economie della salvezza, ma solo quellanel Figlio unigenito inviato a tale fine dal Padre (a cui si collega, inmodo riduttivo e implicito chi lo ignori in buona fede): << I o sono lavia la verità e la vita: nessuno può andare al Padre se non per mezzomio (Gv. 14, 6); << La pietra (riferim ento a SI. 1 18 , 22 S.) che i co-struttori hanno rigettata è riuscita in capo all'angolo ... Chi cadrà suquesta pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà lo stritolerà »
(Mt. 21, 42.44). S. Pietro al popolo: a Ogni anima che non avrà ascol-
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tato quel profeta sarà sterminata di mezzo al popolo » (At. 3, 23); al
Sinedrio: ac Egli è la pietra rigettata da voi edificatoti, che è diventata
la pietra angolare: e in nessun altro è la salvezza, perché non vi è sotto
il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possano essere salvi»
(h. , 11-12; cfr. 1 Pt. 2, 6-8). Lo ribadisce S. Paolo in Rm. , 31-33.
Sono verità essenziali della rivelazione che per nessuna ragione
possono essere dimenticate o fatte dimenticare.
Non viene con ciò minimamente negato quanto S. Paolo dice de-
gli Ebrei, circa la « irrevocabilità dei doni di Dio e della vocazione di
Lui » (Rm. 1, 29) cui ho già ripetutamente accennato: purché la si
intenda rettamente e non come un loro permanere attuale nello stesso
rapporto con Dio che avevano prima della condanna di Gesù. Non è
leale che a favore degli Ebrei si ripetano spesso queste parole di S. Pao-
lo, nella lettera ai Romani, falsificandone il senso, il quale invece è
chiaramente e ampiamente spiegato in tale lettera. Vi si parla infatti di
a< giusta punizione » (9), di « rami stroncati /.../ dalla santa radice »
(16-17)) a recisi per la loro incredulità » (20)) di « perdurante acceca-
mento di una parte d'Israele (coloro che non hanno riconosciuto Cri-
sto) >P (25); ma che (ecco la « irrevocabilità » e lo scopo del proselitismo),
saranno « se non persistono nella incredulità /.../ innestati di nuovo »
(23), ossia saranno dopo il u ripudio / .../ riammessi 1../ riacqui-
stando vita da morte » (15).
Può servire, a chiarimento della bene intesa « irrevocabilità » lavocuzione universale- nch'essa irrevocabile- lla salvezza, che ri-
guarda tutti ed è testificata in 1Tm. ,4.6: u Dio, nostro Salvatore vuole
che tutti si salvino »: « Gesù per tutti ha dato se stesso come riscatto N.
Chi, peccando, perde la grazia non è più in stato attuale di salvezza;
ma rimane nella economia della salvezza fino a che vive, venendo stimo-
lato alla conversione dalla divina misericordia: « Non sono venuto a
chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc. 5, 32). Dio non
prosegue ad amare il grande peccatore in quanto tale, non prosegue a
volerne la salvezza lasciando che esso resti tale, ma in quanto lo vedecandidato alla conversione e lo stimola ad essa fino al termine della
vita. Ma se la conversione sarà definitivamente rifiutata allora la a irre-
vocabilità n della vocazione salvifica si trasformerà nella « irrevocabi-
lità » della condanna: u Via da me, operatori di iniquità W , u maledetti »
(Mt. 7, 23; 25, 41).
Il già ricordato esempio di Giuda è emblematico. La misericordiosa
volontà salvifica emerse per lui nel continuo richiamo di Gesù. Fu un
richiamo fortissimo: « tra voi alcuni non credono... uno di voi è un
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diavolo » ( G v . 6, 64.70); e incalzante: G u . 13, 10.18.21.26.27. Giunse
fino a chiamarlo u amico » ( M t . 26, 50) nel momento del tradimento
e di farsi da lui baciare (h.2, 48). Cessò quando l'antico prediletto
Apostolo, resistendo ai continui richiami e alla divina grazia, conchiuse
il tradimento, anziché col pentimento, con la morte disperata.
Anche con gli ebrei, continui divini richiami, cadute, richiami, fino
all'indurimento e al rifiuto deicida. Rispetto al caso di Giuda e di
ogni singolo dannato v'è tuttavia per i Giudei questa fondamentale
differenza. Per i singoli il ciclo di prova e di esercizio della divina
volontà salvifica si chiude con la morte. Per gli ebrei, sostanzialmente
compatti nella loro unità, intesi non come individui, ma come popolo,
il periodo di prova continua e vi è il preannuncio profetico che verrà
il momento in cui, finito l'a accecamento n, u tutto Israele si salverà .à»
( h . 11, 26): : e ciò perché a essi sono amati per ragione dei padriloro » (11, 28).
Niente di più dannoso per gli Ebrei che nasconder loro o far
dimenticare queste fondamentali verità rivelate, lasciandoli nella illu-
sione di essere attualmente prediletti da Dio come prima del Calvario.
La vera carità verso di essi è di sollecitare con la preghiera e I'illu-
minato u proselitismo >P quel profetizzato ritorno salvifico.
Dipendenxa ebraica del cristianesimo, così da aversi una unica linea
ebraico-cristiana,e da risultare il u douere della carità e della gratitudine
per tu tto quanto abbiamo ricevuto da quel popolo m (Card. Bea), a
cominciare da G esù e Maria che erano eb rei: sono le conclusioni in voga
dei difensori degli Ebrei e degli antiproselitisti. Non sono affermazioni
del tutto errate. Ma sono tremendamente unilaterali ed equivoche, tali
da falsare completamente le prospettive, le relazioni cristiano-ebraiche
e la vera carità verso gli ebrei.
Tutto l'equivoco nasce dalla dimenticanza della frattura determi-natasi nella storia ebraica con la tragedia del Golgota, quando furono
u stroncati i rami m che erano uniti alla u santa radice » (h.1, 16-17):
il che avvenne direttamente per opera di quei soli condannatori di
Gesù, ma staccò per solidarietà dalla linea profetica e redentiva tutto
il popolo che tuttora non riconosce Gesù.
Certo: u unica linea ebraico-cristianam. Ma con I'ebraismo antece-
dente a quel crollo, dalla cui linea profetica si è staccato, per u acceca-
mento » (Ram. 11, 25), l'attuale ebraismo. Proprio in quella linea esso
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è stato sostituito, come popolo eletto, dal cristianesimo. È quindi un
banale equivoco di parlare di quanto dobbiamo a quel popolo, senza
distinguere il prima e dopo la tragica frattura. È un banale equivoco
sfruttare quanto dobbiamo a quell'antico popolo profetico per alimen-tare la simpatia per questo popolo attuale. Non possiamo certo essere
grati all'ebraismo attuale per il rifiuto di Cristo.
E se riflettiamo che tutta la precedente storia di quel popolo e
tutta la Scrittura del1'A.T. erano preparatorie e profeticamente indica-
trici del Redentore si comprende tutta la gravità e la sciagura di quel
rifiuto. E si comprende anche la piena sostituzione del « popolo eletto u,
divenendo tale il « popolo cristiano » che ha compiuto quel supremo
riconoscimento e seguito il Messia promesso. In particolare, che Gesù
e Maria siano ebrei, non è, per gli ebrei stessi, obiettivamente e sogget-
tivamente, che un'enorme aggravante di quel rifiuto; come è, d'altra
parte, la conferma del trasferimento del popolo eletto nel mondo cri-
stiano, precisamente in quanto innestato nell'ebreo uomo-Dio Gesù.
Questo trasferimento fu evidenziato, storicamente e liturgicamente
nell'ultima cena, appositamente compiuta nella Pasqua giudaica. I1 tran-
sito avvenne quando, compiuta la cena giudaica, si passò alla cena e
alla immolazione eucaristica. Alla figura, l'agnello animale, si sostituì
la realtà salvifica dell'Agnello divino.
Sono verità supreme su cui è assurdo sorvolare.
È crudeltà verso gli Ebrei nasconderle.Salvi i modi opportuni, è suprema carità ricordarle.
PIER CARLO LANDUCCI
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INDICE GENERALE
7 Testo conciliare
8- 12 Commenti: card. Bea, Sua Ecc.za Carli
15 Trattazioni: card. Journet
17- 36 Autori giudaici: R. Fabris, C. Caprile, Iules Isaac
Note bibliografiche
ESEGESI DEI TESTI
27- 29 A. Sintesi per il N.T. di Ph. Menoud
30- 38 L'Alleanza: tutto il V. T. tende a Cristo, ha il suo compi-
mento in Cristo ...39- 50 Evangeli : falsa concezione messianica dei giudei.. .51- 67 Loro opposizione al Cristo e responsabilità per la Sua morte ...
IL CRISTIANESIMO E GIUDAISMO IN SAN PAOLO
68- 79 S. Paolo testimone dell'Evangelo ...80- 82 Lettera ai Galati ...83-106 Lettera ai Romani...
107-1 1 Mons. Pier Carlo Landucci...112-126 Suo articolo: La vera carità verso il popolo ebraico...
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Finito di stampate
per conto deiie Edizioni Krinon - Caltanissetta
daila L.I.S. .r.1. - Palermo
Marzo 1987
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E DI Z I ONI KRI NON
Via Libertà, 186 - Tel. (0934) 51973
93100 CALTANISSETTA
don Ernesto Zucchini
SINTESI DELL'IDEOLOGIA
DELLA SETTA DEI TESTIMONI
DI GEOVA
pp. 70, L. 4.000
« I1 volumetto [...l offre una trac-
cia di conferenza, breve ma vigoro-
sa, sulla problematica dottrinale del
geovismo, traccia che [...I può co-
stituire uno schema per l'organiz-
zazione di incontri e di seminari, che
la diffusione sempre maggiore dei
testimoni di Geova in Italia rende
ormai non solo opportuna ma in-
dispensabile [ . ] ».
Giovanni Torti
NOVA ET VETERA
Ricognizioni fra tradizione
e modernità
pp. 77, L. 6.000
« ...NOVAET VETERA merita un'am-
pia diffusione fra i cattolici perché
fornisce utili categorie a chiunque
intenda onestamente cercare il vero,
il bene, il bello ... ».
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Qual è la do t t r i na cat to l i ca d i f ron te a l p rob lema ebraico? Cos 'è ilg iuda ismo? Gl i ebre i sono de i c i d i ? I l p r imato sa lv i f i co de l popo lo
ebraico, dopo i l r i f i u to e la c rocef i ss ione d i N. S. Gesù Cr i s to , d i v iene
pr imato d i condanna? La posiz ione d i predi lez ione deg l i ebre i è ugualep r i m a e dopo i l ca lvar io?
C i sono ver i tà supreme su ques to prob lema su l le qua l i è assurdo
sorvolare. E' crudel tà nasconder le !
Un ins igne bib l is ta a f f ron ta con coraggio in ques to l i b ro i l tema, senza
compless i e t i m o r i d i essere cont rocor ren te m a avendo com e ob ie t -
t i vo la ver i tà .
Un'opera d i grande valore dot t r i na le e fondata su un 'enorme docu---,.
mentaz ione af f ronta i l cuore de l prob lema.
Mons. Francesco SPADAFORA, laureato in sc ienze b ib l iche, è do-
cente u n ivers i ta r i o . G iorna l is ta e sc r i t to re d i g rande va lo re , ha cura to
per l 'Enc ic lopedia Cat to l ica c i rca cento voc i r iguardant i il Vecch io
e i l Nuovo Testamento ed è stato redat tore del la N Bibl io theca
Sanctorum m.
Fra i l grande numero d i opere da lu i pub bl icate r icord iam o: Ezechie le
(3 ediz ioni ] . Temi d i eseges i . I Pen tecosta l i e i Test imon i d i Geova
(5 ediz ioni ] . D iz ionar io Bib l ico (3 ediz ioni ] . At tual i tà b ib l iche. L 'Euca-
rest ia nel la S. Scr i t tura. Le paro le del S ignore. Pi la to. La Chiesa
d i Cr i s to e l a fo rmaz ione deg l i Ap os to l i . Suor E lena A ie l l o "a monacasanta" . S. Paolo a l la conquis ta del l ' lmpero, ecc ...Ha col laborato a l quot id iano .Il Tempo. e a l l '~< O sse rva tor e omano.;
ha sc r i t to su l l e r i v i s te W Palest ra del C lero e cc Renovat io m.
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