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Medicina e filosofia.
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Pierdaniele Giaretta
Predizione e spiegazione
Metodo ipotetico-deduttivo:
falsificazione e conferma
Abduzione
a.a. 2013-14
Diapositive tratte con varie modifiche da: Festa, Crupi, Giaretta, Forme
di ragionamento e valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche
Predizioni e spiegazioni
come asserzioni
e
come inferenze
Predizioni e spiegazioni come asserzioni
Predizione di un evento o stato di cose: asserzione del
verificarsi o darsi dell’evento o stato di cose fatta quando l’evento
o stato di cose non è già noto. Tale asserzione è inferita da
premesse che si ritengono vere.
Spiegazione1 di un dato evento o stato di cose: asserzione di
qualcosa (circostanza o fatto generale) che “spiega” il dato evento
o stato di cose. Di norma tale asserzione figura come una delle
premesse di un’inferenza che ha come conclusione la descrizione
dell’evento o stato di cose che si intende spiegare. Le premesse
dell’inferenza sono ritenute vere.
Spiegazione2 di un evento o stato di cose: l’insieme delle
premesse di un’inferenza che ha come conclusione la
descrizione dell’evento o stato di cose che si intende spiegare.
Le premesse dell’inferenza sono ritenute vere.
Se l’inferenza alla quale, nell’uno o nell’altro caso, si fa
riferimento è deduttivamente valida, si parla di predizioni e
spiegazioni deduttive.
Predizione e spiegazione come inferenze
Predizione di un evento o stato di cose: inferenza del
verificarsi o darsi dell’evento o stato di cose. L’evento o stato di
cose predetto non è già noto. Di norma le premesse
dell’inferenza sono ritenute vere.
Spiegazione di un evento o stato di cose: inferenza del
verificarsi o darsi dell’evento o stato di cose già noto che si
intende spiegare. Di norma le premesse dell’inferenza sono
ritenute vere.
Se l’inferenza è deduttivamente valida, si parla,
rispettivamente, di predizioni e spiegazioni deduttive.
Modello nomologico-deduttivo
di
predizione e spiegazione
Predizione e spiegazione sono inferenze
deduttive dello stesso tipo (o struttura).
Sia nella predizione che nella spiegazione una
o più leggi compaiono come premesse
essenziali.
Secondo il modello nomologico-deduttivo una
predizione si trasforma in una spiegazione
quando il fenomeno predetto si verifica (e perciò
diventa noto), ma non sempre ciò avviene
Il livello raggiunto dalla colonnina di mercurio in un misuratore
di pressione può permettere di predire che il paziente non sarà
in grado di stare in piedi da solo, ma l’altezza della colonnina
non può essere considerata una spiegazione della successiva
caduta del paziente. Anche se, in condizioni di funzionamento
normale del misuratore, l’altezza della colonnina è strettamente
connessa con il valore della pressione, è a questo, e non a
quella, che si può attribuire una funzione di spiegazione. Nel
seguito si presentano un caso di predizione che si trasforma in
spiegazione e un caso in cui ciò non avviene.
Quanto lunga è l’ombra?
La luce viaggia in linea retta
Leggi della trigonometria
L’angolo di elevazione è 37°
L’asta è alta 15 m
L’ombra è lunga 20 m
La conclusione “L’ombra è
lunga 20 m” è una risposta
alla domanda “Quanto lunga
è l’ombra?”
In questo caso l’inferenza è
predittiva poiché deriva una
informazione che non è già
nota.
PREDIZIONE
Perché l’ombra è di 20 m?
La luce viaggia in linea retta
Leggi della trigonometria
L’angolo di elevazione è 37°
L’asta è alta 15 m
L’ombra è lunga 20 m
La stessa inferenza può anche
essere considerata una risposta
alla domanda “Perché l’ombra è
lunga 20 m?” In questo caso
l’inferenza fornisce una
spiegazione per un fatto già noto.
Ciò che spiega (explanans) è
l’insieme delle premesse (ma in
qualche contesto viene identificato
con qualcuna delle premesse).
SPIEGAZIONE
Quanto alta è l’asta?
La luce viaggia in linea retta
Leggi della trigonometria
L’angolo di elevazione è 37°
L’ombra è lunga 20 m
L’asta è alta 15 m
La conclusione “L’asta è alta 15 m” è
una risposta alla domanda “Quanto alta
è l’asta?”
In questo caso l’inferenza “predice”
l’altezza dell’asta poiché l’altezza
dell’asta non era già nota.
Non sembra che l’inferenza possa
essere vista anche come una
spiegazione: è controintuitivo pensare
che la lunghezza dell’ombra spieghi
l’altezza dell’asta.
PREDIZIONE
(che non diventa una spiegazione)
La luce viaggia in linea retta
Leggi della trigonometria
L’angolo di elevazione è 37°
L’asta è alta 15 m
L’ombra è lunga 20 m
Leggi
EXPLANANS
Condizioni iniziali
EXPLANANDUM
Terminologia
Secondo il modello nomologico-deduttivo sia la predizione che la
spiegazione hanno la struttura logica di una ARGOMENTAZIONE (un
insieme di premesse seguite da una conclusione) (Hempel 1948, 1952):
• Nella predizione e nella spiegazione deduttive le premesse devono
implicare logicamente la conclusione.
• Tutte le premesse devono essere vere (per quanto è ragionevole
pensare)
• Almeno una delle premesse deve essere una legge generale (o “legge di
natura”: legge di gravitazione, ad es., ma anche “il monossido di carbonio
riduce l’assorbimento di ossigeno”, ecc. …)
• Alcune premesse descrivono le condizioni nelle quali ha luogo il
fenomeno predetto o da spiegare e sono chiamate condizioni iniziali.
Problemi del modello nomologico-deduttivo
Sono davvero necessarie le leggi per spiegare e predire?
Cosa sono le leggi? Come si distinguono le leggi da altri
enunciati che hanno la stessa forma? Talora si dice che
le leggi sono universali e necessarie, ma con ciò cosa si
intende dire?
Non è troppo pretendere che l’explanans (leggi e
condizioni iniziali) sia vero?
Non è troppo pretendere che l’explanandum segua
deduttivamente dall’explanans?
Cosa sia da considerarsi una spiegazione non potrebbe
variare a seconda del contesto?
Si può davvero evitare di ricorrere alla nozione di causa?
Come si arriva a riconoscere a certi enunciati
lo status di leggi?
Usandoli per dedurre fenomeni non già noti o fenomeni
non ancora spiegati (o non adeguatamente spiegati).
Fare inferenze di questo genere allo scopo di identificare
leggi significa fornire predizioni e spiegazioni in un
senso più ampio, nelle quali le leggi compaiono
come ipotesi o parti di ipotesi che non sono ancora
state riconosciute come leggi.
Per semplicità, e per mettere in evidenza gli aspetti
logici delle predizioni e spiegazioni che si formulano
e si mettono alla prova per formulare “teorie”
accettabili, parliamo di ipotesi senza distinguere
gli enunciati teorici generali (che possono diventare
leggi) dagli enunciati che descrivono condizioni
fattuali.
Le ipotesi devono essere significative: non
devono essere conseguenza della cosiddetta
conoscenza di sfondo che già possediamo.
Cos’è la CONOSCENZA DI SFONDO?
• informazione che è temporaneamente accettata come non
problematica quando si affronta un problema o si controlla
una data teoria (K. Popper)
• conoscenza che “resiste” e può essere accresciuta dalle
teorie scientifiche (M. Bunge)
• “a mixed bag of working hypothesis, of scientific theories of
varieties of levels and metaphysical doctrines, religious
superstitions and whatnot (J. Agassi)
• ciò che una comunità condivide riguardo a un dato ambito.
• La conoscenza di sfondo S può comprendere sia enunciati
universali (leggi o enunciati formalmente simili alle leggi) che
descrizioni di fatti specifici (simili alle condizioni iniziali).
• Una ipotesi (o teoria) H è formulata sempre presupponendo la
conoscenza di sfondo. Nel seguito si usa la lettera “H” per
rappresentare anche le condizioni iniziali del fenomeno che si
sta considerando.
• Nel seguito i punti (i), (ii), (iii) costituiscono solo condizioni
necessarie importanti per le predizioni deduttive e le
spiegazioni deduttive intese nel senso più ampio.
Data la conoscenza di sfondo S, l’ipotesi H
fornisce una predizione (deduttiva) di un
evento (descritto da un enunciato) E solo se:
• (i) non abbiamo conoscenza della verità di E;
• (ii) S non implica logicamente E;
• (iii) (S H) implica logicamente E.
Data la conoscenza di sfondo S, l’ipotesi H
fornisce una spiegazione (deduttiva) di un
evento (descritto da un enunciato) E solo se:
• (i) abbiamo conoscenza della verità di E;
• (ii) S non implica logicamente E;
• (iii) (S H) implica logicamente E.
IL METODO IPOTETICO-DEDUTTIVO
Si basa sull’idea che possiamo mettere alla prova
un’ipotesi (in realtà un insieme di ipotesi che
possono essere di natura molto varia) deducendone
alcune predizioni di carattere osservativo o
sperimentale, e controllando poi se le predizioni
dedotte descrivono eventi o stati di cose che
effettivamente si realizzano.
In breve, il metodo riguarda il controllo di predizioni
fatte sulla base di ipotesi.
I controlli osservativi o sperimentali volti ad accertare se un
evento predetto E si realizza possono avere due esiti:
(1) risulta che E non si realizza (o, equivalentemente, che si
verifica non-E);
(2) risulta che l’evento E effettivamente si realizza.
Nel caso (1) possiamo concludere (deduttivamente) che
l’ipotesi H è falsificata da non-E (relativamente a S)
Nel caso (2) possiamo concludere che H è confermata
(induttivamente) da E (relativamente a S).
Conferme e falsificazioni
Molte sono le predizioni deduttive che sono state formulate
nella storia della scienza. Nel 1695, per esempio,
l’astronomo Edmund Halley applicò la meccanica
newtoniana a una cometa che egli aveva osservato nel 1682
e ne dedusse la previsione che la cometa avrebbe
impiegato circa 75 anni per compiere un’orbita completa e
tornare visibile dalla Terra. Halley morì nel 1743, quindici
anni prima del ritorno della cometa, che ricomparì
puntualmente il giorno di Natale del 1758.
Quando si ottiene la conferma osservativa o sperimentale
del fatto predetto è naturale (ma non sempre corretto)
considerare l’ipotesi fatta una spiegazione del fatto che è
stato accertato.
Così è successo anche con alcune predizioni deduttive che
sono state formulate nelle scienze mediche. William Harvey
(De motu cordis, 1628) formulò un’ipotesi riguardo alla
circolazione del sangue negli animali. I dati predetti sulla
base della sua ipotesi sono stati (largamente) accertati e
perciò la sua ipotesi venne poi considerata una spiegazione
del fenomeno della circolazione del sangue.
Anche Galeno aveva pensato di aver spiegato la circolazione
del sangue, ma non tutti i fenomeni predicibili in base alla sua
teoria sono risultati verificati.
L’esito negativo della verifica, detto falsificazione, non
permette di trasformare la predizione in una spiegazione.
Se l’ipotesi era già stata adottata con successo per
spiegare altri fenomeni, la sua successiva falsificazione
impedisce di continuare a considerarla vera.
Considereremo per prima la forma dell’esito negativo
dell’applicazione del metodo ipotetico-deduttivo, che
chiameremo “falsificazione ipotetica-deduttiva”.
FALSIFICAZIONE IPOTETICA-DEDUTTIVA
1. S
2. H fornisce una predizione deduttiva di E
3. non-E
_________________________________
non-H
Dalla verità delle premesse segue logicamente la verità della
conclusione (nella quale si asserisce che H è falsa). Infatti, per la
nozione di predizione deduttiva, la 2 implica che E segue
logicamente da (S H), quindi è vero che (S H) E, da cui, per la
supposta verità di S e la falsità verificata di E, segue che H è falsa.
Alcuni studiosi, a partire da Karl Popper (1902-1994), hanno
considerato la falsificazione ipotetico-deduttiva come il fondamento
del metodo scientifico.
Falsificazione di ipotesi causali
Talora l’ipotesi H contiene un’affermazione causale
della forma “C causa F”. In questo caso si può
procedere al controllo solo dopo aver precisato
cosa si intende dicendo che C causa F.
Supponiamo che “C causa F” implichi che se in certe condizioni I
si verifica C allora si verifica F, cioè se I e C, allora F.
Se al controllo si trova che, nelle condizioni I, in presenza di C si
verifica non-F, abbiamo una situazione che può essere descritta dal
seguente enunciato:
(I e C) e non-F
dal quale segue deduttivamente
è falso che se I e C, allora F.
F può anche rappresentare un fatto statistico, e cioè che un certo tipo
di fenomeno si verifica con frequenza compresa in un certo intervallo.
Vedi il caso Semmelweis che viene presentato in seguito.
Supponiamo che “C causa F” implichi che in certe condizioni I se
non si verifica C allora non si verifica F, cioè se I e non C, allora
non F.
Se al controllo si trova che nelle condizioni I e in assenza di C si
verifica F, abbiamo una situazione che può essere descritta dal
seguente enunciato:
(I e non C) e F
dal quale segue deduttivamente
è falso che se I e non C, allora non F.
F può anche rappresentare un fatto statistico, e cioè che un certo tipo
di fenomeno si verifica con frequenza compresa in un certo intervallo.
Vedi il caso Semmelweis che viene presentato in seguito.
CONFERMA IPOTETICA-DEDUTTIVA
1. S
2. H fornisce una predizione deduttiva di E
3. E
===============================
H
dove la doppia linea orizzontale indica che l’inferenza non è deduttiva. La conclusione H non segue logicamente dalle premesse, perché la falsità di H è compatibile con la verità delle premesse.
H è confermata dalle premesse. La conferma di H può essere pensata come accrescimento della plausibilità di H dopo l’acquisizione dell’informazione che H predice (deduttivamente) E ed E è stato osservato. Si ritiene usualmente che un’ipotesi H che predice E sia tanto maggiormente confermata dall’osservazione di E quanto meno E appare plausibile in base a S.
La conferma di una ipotesi non proviene solo
dall’applicazione del metodo ipotetico-deduttivo, e quindi
dalla predizione di un fenomeno non già noto.
Anche la spiegazione (deduttiva) di fenomeni
noti, che non sono pienamente spiegabili (per via
deduttiva) in base alla conoscenza di sfondo, ha valore
confermativo.
L’idea che la spiegazione dei fenomeni noti
abbia valore confermativo è espressa
dall’inferenza abduttiva.
L’INFERENZA ABDUTTIVA
1. S
2. H fornisce una spiegazione deduttiva di E
================================
H
Per la nozione di spiegazione deduttiva la premessa 2 implica
che E sia noto, e quindi E figura di fatto tra le premesse.
Effettuando tale inferenza affermiamo che l’ipotesi H è confermata
(relativamente a S) dal fatto di fornire una spiegazione dell’evento noto
E. L’informazione confermante espressa nella premessa 2 non
consiste in alcuna nuova scoperta di carattere empirico, ma piuttosto
nella scoperta della deducibilità di E da S e H.
Nella storia delle scienze empiriche, è molto comune che si
argomenti in favore di un’ipotesi in base alla sua capacità
di rendere conto di fenomeni già noti ma altrimenti privi di
spiegazione, conformemente allo schema di inferenza
abduttiva appena descritto.
Per esempio, due fra i maggiori successi inizialmente
riconosciuti della meccanica newtoniana furono di carattere
esplicativo, consistendo nella capacità di fornire una
spiegazione deduttiva del moto dei pianeti
(approssimativamente conforme alle leggi
precedentemente formulate da Keplero) e del moto dei
gravi (approssimativamente conforme alla legge
galileiana).
IL CASO SEMMELWEIS
Tra il 1844 e 1848 Ignaz Semmelweis (1818-1865) lavorava al
primo reparto di maternità dell'Ospedale Generale di Vienna.
osservazione (E):
Una percentuale preoccupante delle donne che partorivano nel
suo reparto contraevano una malattia grave e spesso fatale,
nota come febbre puerperale, e tale percentuale era
ampiamente maggiore di quella riscontrata nel secondo
reparto di maternità dello stesso ospedale.
Semmelweis considera diverse ipotesi:
l'ipotesi iatrogena (H1):
le visite maldestre condotte dagli studenti di medicina, che
frequentavano solo il primo reparto, causavano il numero maggiore di
morti che si osservava in tale reparto.
l'ipotesi psicosomatica (H2):
le pazienti del primo reparto erano maggiormente vulnerabili alla
malattia, perché depresse e debilitate dal terrore che incuteva loro il
prete quando, per andare a somministrare l'estrema unzione, passava
vicino a loro preceduto da un inserviente che suonava una campanella.
l'ipotesi della contaminazione (H3):
la morte delle partorienti era in molti casi provocata dalla
contaminazione da particelle di materia cadaverica trasportate da
professori, assistenti e studenti che nella prima clinica, e solo in essa,
procedevano all'esame fisico delle pazienti subito dopo la dissezione di
cadaveri.
Ciascuna delle ipotesi H1-H3 forniva una spiegazione del
fenomeno E e dunque risultava confermata.
Tuttavia, nel 1847, Semmelweis venne a conoscenza del
tragico
evento (E*):
il professor Kolletschka, suo collega, si era ferito
accidentalmente nel corso di un'autopsia e poco dopo era
deceduto manifestando sintomi molto simili a quelli della
febbre puerperale.
L'ipotesi H3 offriva una spiegazione anche di E*, mentre H1
e H2 non erano in grado di farlo.
Dunque, successo esplicativo parziale da parte di H1 e H2 e, in misura maggiore, da parte di H3.
Inoltre H1 e H2 sono andate incontro a insuccessi predittivi (falsificazioni).
In particolare, per quanto riguarda H2:
Se H2 fornisce una condizione necessaria, facendo in modo che il sacerdote non venga notato si dovrebbe avere una diminuzione nel numero delle morti.
Semmelweis fa in modo che l’arrivo del sacerdote non venga rilevato; in base a H2 si dovrebbe osservare una diminuzione di morti.
Invece si osserva più o meno la stessa percentuale di morti.
Dunque, falsificazione di H2.
Per altra via, è falsificata anche H1.
Successo predittivo di H3
Se la contaminazione da particelle cadaveriche causa la febbre
puerperale (H3), allora se con opportune misure antisettiche si elimina il
materiale infettivo dalle mani di medici e studenti, l’incidenza della
malattia nel primo reparto dovrebbe scendere ai livelli del secondo (E).
Nel maggio del 1847, Semmelweis rese obbligatorio lavarsi le mani con
una soluzione di ipoclorito di calcio prima di procedere alla visita delle
pazienti.
La mortalità per febbre puerperale nel suo reparto cominciò a diminuire,
e per il 1848 calò fino all’1,27%, a fronte dell’1,33% nel secondo
reparto.
Tale conferma (predittiva) appariva molto forte, perché l’effetto osservato a seguito del lavaggio delle mani era sorprendente alla luce della conoscenza di sfondo dell'epoca, secondo la quale la pratica di lavarsi le mani con acqua e sapone era sufficiente a rimuovere completamente le particelle cadaveriche.
La scoperta di Semmelweis, di cui egli fornì un vivido e dettagliato resoconto (Semmelweis, 1861), è uno degli episodi più noti e romanzeschi della storia della ricerca medica. Per un verso, il pionieristico lavoro di Semmelweis è stato considerato un luminoso esempio dell’inventiva e dell’audacia di un ricercatore osteggiato dal suo ambiente, al punto da attrarre l’attenzione di Céline (1952), medico egli stesso oltre che scrittore geniale e controverso. Per altro verso, le indagini di Semmelweis sono state viste come un caso paradigmatico di ricerca scientifica in medicina. Data la varietà di posizioni metodologiche e teoriche esistenti, non è allora sorprendente che i filosofi della scienza abbiano proposto una ricca rassegna di interpretazioni, talora divergenti, circa la natura dei metodi di Semmelweis e il significato della sua parabola scientifica. Così, studiosi diversi hanno rilevato nelle ricerche di Semmelweis soprattutto la centralità del ragionamento abduttivo (Lipton, 2004, pp. 75-98) o di quello analogico (Thagard, 1999, pp. 137-138), l’adozione di una logica induttiva della scoperta (Pera, 1983) o un’implicita applicazione dell’approccio bayesiano al “problema di Duhem” (Giorello e Moriggi, 2004). Altri ancora hanno ricostruito il lavoro di Semmelweis nei termini del modello popperiano per congetture e confutazioni (Antiseri, 1977) o secondo il modello ipotetico-deduttivo (Hempel, 1966, pp. 15-19). Non sono mancati neppure gli studiosi che vi hanno ravvisato un’applicazione dei metodi induttivi di Mill (Copi e Cohen, 2001, p. 504) o un’anticipazione dei metodi statistici oggi impiegati dall’epidemiologia clinica (Salmon, 1983; Vineis, 1999, pp. 17 ss.). Infine, c’è chi ha visto nelle difficoltà di Semmelweis a convincere i colleghi della validità delle sue teorie un classico esempio della tenacia dei paradigmi accettati, in linea con le tesi di Kuhn (Gillies, 2005).
L’“IPOTESI DEL LAVANDINO” NELLA PATOGENESI
DELL’AIDS
Negli anni Novanta del secolo scorso si considerava ormai stabilita l’esistenza di un legame causale fra l’infezione da HIV e le manifestazioni cliniche dell’AIDS. Si supponeva che l’HIV causasse l’AIDS deprimendo progressivamente un’importante componente del sistema immunitario, cioè i cosiddetti linfociti CD4+. Si riteneva infatti, sulla base di precedenti osservazioni di laboratorio, che queste cellule rappresentassero un bersaglio biologico privilegiato del virus, che sarebbe stato in grado di distruggerle, per esempio attraverso il comune meccanismo della citolisi. Tuttavia, l’elaborazione di un resoconto pienamente soddisfacente della storia naturale della malattia sembrava imbattersi in una notevole anomalia (E), talora indicata come “il paradosso centrale della patogenesi virale”: la proporzione di linfociti CD4+ infetti in pazienti malati appariva decisamente troppo bassa (anche secondo le stime più generose, non più di 1 su 100) per determinare l’irrimediabile compromissione del sistema immunitario (Sheppard, Ascher e Krokwa, 1993). Secondo un’efficace metafora impiegata da alcuni studiosi, sembravano esserci “più cadaveri che pallottole” (Ascher et al., 1995).
Nel 1995, David Ho e altri studiosi presentarono la cosiddetta “ipotesi del lavandino”, che per qualche tempo ha rappresentato il modello patogenetico dell’AIDS più popolare e discusso (Ho et al., 1995; Wei et al., 1995). In breve, Ho e i suoi collaboratori elaborarono un semplice modello matematico secondo il quale il declino della quantità misurata di linfociti CD4+ (l’abbassamento del livello dell’acqua nel lavandino) emergeva come l’effetto relativamente lento di un elevatissimo turn-over (circa due miliardi di cellule al giorno), prodotto dalla
continua distruzione da parte dell’HIV (lo scarico del lavandino) e da un continuo sforzo di compensazione del sistema immunitario (il rubinetto), che da ultimo, nel volgere di anni, avrebbe condotto al collasso del sistema (il lavandino si svuota). A sostegno dell’ipotesi di Ho (H), alcuni ricercatori argomentarono che essa forniva una possibile soluzione del “paradosso delle pallottole”, offrendo una spiegazione del fatto (E) che la gran parte dei linfociti CD4+ non apparissero infetti. In estrema sintesi, tale spiegazione può essere delineata come segue: i numerosi linfociti colpiti dal virus, una volta infetti, vengono rapidamente distrutti e continuamente sostituiti da nuove cellule; di conseguenza, in ogni istante la maggior parte dei linfociti presenti sono di recente creazione, e non sono ancora stati infettati (Maddox, 1995).
L’argomentazione abduttiva in favore dell’ipotesi di Ho contribuì ad attirare su di essa l’attenzione dei ricercatori, motivando i controlli sperimentali cui fu in seguito sottoposta.
La medicina sperimentale contemporanea ha elaborato diversi metodi per indagare la “dinamica” di diverse famiglie di cellule del corpo umano in vivo. Una delle procedure più ingegnose e affidabili per questo tipo di osservazioni può essere descritta sinteticamente come segue. In primo luogo, si somministra a un individuo (per via orale, o per iniezione) una sostanza (come glucosio o acqua) che è stata arricchita con deuterio, un isotopo dell’idrogeno – la cui assunzione non presenta rischi – che viene incorporato nella sintesi del DNA durante la riproduzione cellulare. In seguito, a scadenze di tempo appositamente programmate, vengono prelevati opportuni campioni di tessuto o di sangue. Le cellule della popolazione di interesse vengono quindi purificate in laboratorio e sottoposte alla misurazione dell’arricchimento isotopico del DNA. In tal modo si rileva la proporzione di DNA isotopico in funzione del tempo, dalla quale attraverso metodi di calcolo standard si possono stimare
dati come il tasso di riproduzione o la sopravvivenza media nella popolazione di cellule interessate.
Le tecniche sperimentali appena descritte si sono rivelate decisive per sottoporre a controllo l’ipotesi di Ho e colleghi (H) sulla patogenesi dell’AIDS. Tale ipotesi postulava – e rappresentava matematicamente – un frenetico turn-over dei linfociti CD4+ durante l’infezione da HIV. Dall’ipotesi H si poteva perciò derivare deduttivamente una ben precisa predizione (E): il calcolo sperimentale del tasso di riproduzione dei linfociti CD4+ in pazienti HIV-positivi (ma non sottoposti a trattamento antiretrovirale) avrebbe dovuto rivelare, in media, livelli significativamente più alti di quelli fisiologici ottenuti in pazienti comparabili ma HIV-negativi. In un importante studio sulla dinamica dei linfociti CD4+, Hellerstein et al. (1999) non osservarono però alcuna differenza fra i due gruppi, mostrando che la previsione E risultava smentita e falsificando così l’“ipotesi del lavandino”. Riferendosi al lavori di Ho e colleghi, Hellerstein e collaboratori esplicitarono le conseguenze negative del studio, rilevando che in base ai loro risultati “alcuni modelli possono essere esclusi” (p. 86). Nel commentare gli stessi risultati, un altro affermato studioso del settore concluse che essi “pongono fine a quattro anni di avvincente (sebbene spesso aspro) dibattito riguardo all’ipotesi della produzione/distruzione dei linfociti CD4+”, vale a dire appunto riguardo all’“ipotesi del lavandino” (si veda Pantaleo, 1999).
Per una ricostruzione più dettagliata di questo episodio della ricerca sulla patogenesi dell’AIDS, del suo contesto storico e dei suoi sviluppi, rimandiamo a Crupi (2007)
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