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La didattica multimediale. Ipotesi, esperienze, suggerimenti
Giampietro Gobo
Università degli studi di Milano
Da qualche tempo la cassetta degli attrezzi didattici della metodologa e del metodologo si sta arricchendo di nuovi strumenti di tipo multimediale. Alcuni editori nazionali (ad es. Civis di Napoli) e internazionali (ad es. Insight Media) stanno mettendo sul mercato un numero crescente di dvd sulle diverse tecnica di ricerca sociale e psicologica: il sondaggio, l’intervista, l’etnografia ecc. E’ quindi forse tempo di bilanci, per riflettere sull’utilità ed efficacia di questi nuovi strumenti e su come essi cambiano la didattica tradizionale. Questa breve riflessione si basa sull’esperienza di una decina d’anni d’insegnamento della metodologia della ricerca sociale alle matricole dei corsi di laurea della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano. Non ho esperienze d’insegnamento in altre città per cui le riflessioni che svolgerò devono intendersi circoscritte e limitate agli studenti della città di Milanoi. 1. Nuove audience in classe Le nuove generazioni di studenti sono nate alla fine degli anni Ottanta, quando ormai la televisione era pervasiva. Esse sono quindi cresciute, come si suol dire, “a pane, nutella e televisione”, sin dai loro primi anni di vita. All’età di 10‐12 anni hanno cominciato a usare la play station; dai 15 anni in su a frequentare internet attraverso le chat. Il recente rapporto annuale della Società Italiana di Pediatria, basato su una indagine svolta su un campione nazionale di 1200 studenti delle scuole medie inferiori di età compresa tra gli 12 e i 14 anni, rileva che sempre più per gli adolescenti, e soprattutto per le ragazze, il web ha un’attrazione fatale: diminuiscono infatti i consumi «colti» a vantaggio di chat e messenger. L'utilizzo tra gli adolescenti del Pc, ed in particolare di Internet, è cresciuto, dal 2000 ad oggi, in modo costante e netto. A entrare ogni giorno in rete è, oggi, il 42% degli adolescenti, mentre solo il 12% non si collega mai in Internet. Oggi le ragioni prevalenti per le quali ci si collega in rete sono proprio: messenger (76%), chattare (70%), scaricare musica/video (76%) e, soprattutto, utilizzare You‐tube (77%). Impennata anche nell'utilizzo della webcam, probabilmente favorita dal fatto che oggi è integrata nella maggior parte dei PC. Nel 2005 la possedeva solo il 30% ed era scarsamente utilizzata; oggi la possiede oltre il 60% e il 41% la utilizza abitualmente. Il computer è inoltre diventato sempre più «personal», nel senso che oltre il 50% l’ha nella propria camera. «Un aspetto ‐ sottolinea il Presidente della SIP Pasquale Di Pietro ‐ che evidenzia come i ragazzi siano sempre più autonomi, e probabilmente poco controllati, nella navigazione in Internet». Sebbene media molto differenti, tuttavia TV, play station e internet sono tutti mediate da uno schermo e l’attività cognitiva principale che essi richiedono è quella di guardare e osservare (Sartori 1997, Gobo 2009).
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Uno dei principali divari, tra gli studenti del primo anno (matricole) e i docenti, è il ruolo centrale della televisione (e dei media basati sulla mediazione di uno schermo) nella formazione cognitiva. La maggior parte dei docenti ha incontrato la TV quando era adolescente. Ad esempio i bambini degli anni Sessanta la vedevano (per qualche ora) soltanto a tardo pomeriggio. Prima c’era soltanto un segnale sonoro (peraltro molto fastidioso) con un annuncio che diceva che i programmi sarebbero iniziati alle 16.30. Non è un particolare di poco conto, dal momento che diversi studi (Mc Luhan 1962; Dorr 1986, Sartori 1997, Morcellini 1999, 2000 e 2001) hanno documentato l’importanza del ruolo della TV, come pure del computer (ad esempio la play station) nello sviluppo dei processi cognitivi. Ci sono quindi fondati motivi per credere che studenti e docenti abbiano differenti prestazioni cognitive (ad esempio diversi livelli di attenzione, di capacità di concentrazione, di qualità nei ragionamenti astratti e complessi, ecc.). Gli studenti del primo anno che affollano le nostre classi sono quindi molto più simili a un pubblico televisivo anziché a un pubblico teatrale che, invece, era abituato al modello didattico tradizionale in cui il docente era l’attore principale e non si dotava di particolari strumenti visuali (a eccezione di qualche “lucido” ogni tanto). Anche se le due audience si assomigliano per la passività loro richiesta (spettatori televisivi e teatrali non partecipano ma stanno soltanto ad ascoltare e guardare), come vedremo tra poco l’attività di performer del docente nei due contesti è profondamente diversa. Se gli studenti odierni sono simili a un pubblico televisivo, allora per seguire e comprendere i contenuti didattici essi hanno costantemente bisogno (molto più che un tempo) di immagini e di testi visivi, e non solo di parole com’era nella didattica tradizional‐teatrale. 2. Rinnovare i metodi di insegnamento A causa di queste differenze cognitive tra studenti e docenti, gli attuali modelli didattici richiedono di essere rinnovati al fine di catturare l’attenzione degli studenti, suscitare loro interesse verso una materia (la metodologia) che non desta facilmente grandi emozioni (rispetto ad altre materie più sostantive), appassionarli alla ricerca. Occorre quindi progettare una didattica centrata sullo studente, sulle sue capacità e limiti, sia di tipo cognitivo sia sociale (difficoltà di mobilità, impegni lavorativi e famigliari ecc.) Alcune tecnologie (come il programma PowerPoint) possono aiutarci in questo difficile compito. 2.1. Powerpoint e la didattica nel rinascimento: un’analogia Il modello didattico tradizionale, basato sull’archetipo della recitazione teatrale, prevedeva un docente che “teneva in pugno la classe” attraverso le sue abilità retoriche. Le principali risorse comunicative, su cui basava la sua prestazione, erano (proprio come per l’attore teatrale) le parole, il tono della voce, la gestualità e l’aspetto estetico. Queste risorse rimangono oggi importanti. Tuttavia da sole non riescono più a far mantenere un comune focus di attenzione alla classe. Gli studenti del primo anno perdono facilmente la concentrazione; riescono a seguire un contenuto trasmesso in modo puramente verbale per non più di pochi minuti; comprendono con difficoltà ragionamenti astratti condotti con l’esclusivo uso delle parole. Il programma PowerPoint, ormai diffusamente usato dai docenti (almeno da quelli più giovani o aggiornati) aiuta a emanciparsi dal modello didattico di impronta teatrale dal momento che fa uso di materiali trasmessi attraverso il canale visivo. Ora è lo schermo (e non più il
professore) a essere al centro dell’attenzione. La classe guarda costantemente lo schermo. Anche il docente (specie se fa lezione in piedi) guarda in modo intermittente lo schermo mentre presenta i contenuti didattici, diventando (per usare ancora una volta la metafora teatrale) la “spalla” del protagonista principale: lo schermo. Con il programma PowerPoint i contenuti didattici (riprodotti sullo schermo) acquistano una maggior centralità e il docente diviene ancillare a essi, proprio come accadeva nelle scuole di medicina del Rinascimento. Vediamo alcune immagini di quel tempo.
Figura 1: Rembrandt (1632), La lezione di anatomia del dottor Tulp.
In questa lezione di anatomia lo sguardo dei discenti è principalmente rivolto verso il cadavere e solo secondariamente verso del professore. Il contenuto didattico (il corpo) è quindi al centro e il docente è ancillare rispetto a esso. Anche la struttura fisica (lo spazio, gli arredi ecc.) dell’aula viene progettata in funzione del contenuto didattico. Nelle immagini seguenti si può notare come ancora una volta il docente abbia un ruolo di supporto al contenuto didattico che rimane centrale.
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Figura 2: Teatro anatomico di Padova 1584
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Figura 3: il teatro anatomico di Leiden, costruito nel 1597, in una incisione di W. Swanenburg (1610).
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Figura 4: L'Archiginnasio‐teatro anatomico di Bologna (1637)
Come si può vedere, il tavolo di dissezione ha la stessa funzione dello schermo su cui oggi vengono proiettati i materiali didattici, richiamando un’analogia tra la didattica rinascimentale e il programma Powerpoint. 2.2. Metodi ricerca in format televisivi Al fine di riprogettare i modelli didattici in funzione delle capacità cognitive delle nuove generazioni di studenti, può essere utile ibridare i diversi metodi di ricerca con i format televisivi oggi più comuni. In altre parole possiamo allargare e arricchire la nostra cassetta degli attrezzi, trovando forme di trasmissione delle conoscenze che siano più appropriati a un’audience simile a un pubblico televisivo. Ad esempio nel caso dell’intervista discorsiva (Rositi 1993) può essere utile insegnare come si fanno le domande e si conduce un’intervista, presentando e analizzando uno dei tanti talk show che imperversano nelle diverse reti. Solitamente i talk show, con le domande viziate, le provocazioni e le interruzioni dell’intervistatore, la sua incapacità di approfondire le risposte date dall’ospite ecc., sono un concentrato di distorsioni e di modelli da non seguire. Nel caso dell’etnografia si può invitare gli studenti ad analizzare i rituali, i cerimoniali e i comportamenti presenti in un reality show oppure in programmi come Un giorno in Pretura (Rai Tre), dove si trasmettono processi reali. Gli studenti, nel ruolo di etnografi che osservano la scena,
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possono imparare in classe i primi rudimenti di questo metodo. Questa esperienza integra — è compatibile con — un’eventuale osservazione sul campo (un supermercato, un treno, un parco ecc.) in cui gli studenti possono osservare azioni quotidiane. Si può inoltre assegnare esercitazioni che possono essere svolte in una play station or in un format simile ad essa. 3. Strumenti multimediali La multimedialità è ormai presente e diffusa in molte situazioni sociali e didattiche. Tuttavia in Italia l’insegnamento della metodologia appare ancora troppo ancorato a modelli mono‐mediali. Non mancano comunque esperienze interessanti come i corsi online per l’apprendimento a distanza come il LEDA (Learning Environment for Distance Apprenticeship) progettato già diversi anni fa da Renato Grimaldi dell’Università di Torino (http://hal9000.cisi.unito.it/wf/Servizi‐pe/Universit‐/Corsi‐‐Mat/LEDA/Corso‐di‐M/). 3.1. Un manuale multimediale Cercando di metter in pratica queste idee, nel 2004 ho pubblicato un testo didattico dal titolo Guida multimediale alla ricerca sociale. Teorie, metodi, esempi, esercizi, (http://www.scriptaweb.it/labiblioteca/biblio.mv?Screen=PROD&Store_Code=Scripta&Product_Code=75) per l’editore Civis di Napoli, un editore multimediale che dal 2005 pubblica anche i libri dell’AIS in formato digitale. In questa guida, che è un manuale di metodologia, sono presenti diversi materiali audiovisivi (interviste, focus group, filmati, materiali audio) e indirizzi internet dove sono riposti altri materiali (come questionari ecc.). Una volta acquistata, alla guida si accede tramite internet. E’ una guida interattiva dove lo studente può parzialmente agire sul testo, modificandolo a suo piacimento. La guida è stata apprezzata soprattutto dagli studenti lavoratori, che spesso la utilizzano negli ambienti di lavoro (collegandosi e stampando i capitoli a… spese dell’azienda). Inoltre, visto che in azienda o nelle amministrazioni molti di loro lavorano al computer, essi possono ritagliarsi dei momenti di studio standosene al lavoro: il capo li vede concentrati sul monitor, ma non sa cosa c’è nel monitor! Ma questa è un’altra storia. 3.2. ll podcast Un'altra esperienza interessante è il podcast. ll podcasting è la distribuzione di contenuti multimediali (foto, video, audio, ecc) tramite internet a cui accedere successivamente tramite un lettore portatile (ad esempio lettori mp3, cellulari, palmari) o un personal computer. La Facoltà di Scienze Politiche dove insegno, nel 2007 ha deciso di far partire il progetto PodStudy per distribuire alcuni corsi in formato podcast cercando di rispondere in modo nuovo alla domanda di un crescente numero di studenti che chiedevano maggiori supporti didattici. Ci sono lezioni registrate in aula e lezioni registrate in studio con le diapositive sincronizzate all’audio delle lezioni. E’ anche possibile scaricare separatamente diapositive e file audio. Ho partecipato a questa nuova esperienza con due corsi: uno di metodologia della ricerca sociale (http://podcast.spolitiche.unimi.it/Podcast_dei_Corsi/Entries/2008/10/28_Metodologia_della_Ricerca_Sociale_(A.A._08‐09).html) rivolto alle
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matricole; uno sulla valutazione (http://podcast.spolitiche.unimi.it/Podcast_dei_Corsi/Entries/2007/9/28_Valutazione_e_Ricerca_Sociale.html) rivolto agli studenti della laurea specialistica. Anche in questo caso gli studenti hanno molto apprezzato l’iniziativa. Sia gli studenti lavoratori non frequentanti (che così potevano assistere alla lezione in modo virtuale), sia i frequentanti che a volte (per impegni, malattia ecc.) perdono delle lezioni. 4. Usare film per insegnare i metodi di ricerca
Un altro modo (complementare) di insegnare metodologia è presentare alcuni argomenti metodologici (come il problema dell’accesso al campo, i dilemmi etici nella ricerca, i limiti dell’etnografia, il mito dell’oggettività, il problema dell’intrusività del ricercatore ecc.) attraverso l’uso di brevi e circoscritti spezzoni di film. Poi discuterne in classe e mettere in comune le riflessioni. Ci sono moltissimi film, quasi per ogni argomento. 4.1. Sull’osservazione partecipante Un film molto utile per far comprendere, a un pubblico di studenti del primo anno che non hanno alcuna conoscenza metodologica, i problemi tecnici dell’etnografia è Kitchen Stories (2003) del regista norvegese Bent Hamer. Il film può essere utilizzato come un esempio di etnografia ergonomica (chiamata anche “contextual inquiry”), un tipo di ricerca applicata. Lo scopo di questa tecnica è raccogliere informazioni, intuizioni e suggestioni che possano poi tradursi in suggerimenti pratici al fine di costruire artefatti per meglio adattare l’ambiente ai bisogni, ragionamenti e comportamenti umani. L’etnografia ergonomica nacque dopo la seconda guerra mondiale come un tentativo di superare i limiti della sperimentazione in laboratorio (Gobo 2008). A tale scopo alla fine degli anni Quaranta si cominciò a entrare nelle case delle massaie, a osservarne le pratiche lavorative in cucina e a posizionare gli elettrodomestici in modo razionale e funzionale. E’ la filosofia sociale dell’IKEA, l’azienda multinazionale di origine svedese specializzata nella vendita di mobili, complementi d'arredo e altra oggettistica per casa, che nacque proprio in quegli anni, precisamente nel 1943. In questo film si narra l’amicizia, che lentamente cresce, tra un ricercatore (l’osservatore) e un contadino norvegese single (l’osservato). La cornice di questa storia è una ricerca di etnografia ergonomica condotta agli inizi degli anni Cinquanta dallo Swedish Home Research Institute. Il ricercatore si piazzava in casa dell’osservato e dall’alto di un seggiolone osserva le sue pratiche quotidiane in cucina (vedi figura 5).
Figura 5: Il ricercatore osserva dall’alto le pratiche quotidiane dell’osservato
4.2. Etiche della ricerca
Prima di iniziare la ricerca gli osservatori vengono addestrati al comportamento da tenere sul campo. Il coordinatore della ricerca, presentando lo studio alla comunità locale, elenca alcuni dei principi etici che lo guidano: • “Ovviamente tutti i nostri osservatori sono vincolati dal segreto professionale… • l’osservatore vivrà nella sua roulotte accanto alla casa che sta osservando… • vorrei di nuovo sottolineare che la chiave del successo di questo studio è che gli osservatori
potranno andare e venire a loro piacimento… • è proibito parlare con loro e non devono mai essere coinvolti nelle faccende e nelle abitudini
quotidiane, a prescindere da quanto possa risultare allettante” (spezzone da 09’30” a 10’00”). 4.3. I limiti dell’osservazione Questo approccio positivista, oggettuale, mostra tutti i suoi limiti in un dialogo che emerge tra due ricercatori. Il primo di questi ha trasgredito due delle principali norme etiche della ricerca (non parlare con l’osservato e non entrare in confidenza) e una notte va a bussare alla roulotte dell’altro osservatore alla ricerca di un po’ di alcol per passare la serata con il suo osservato. Al rimprovero di questo il primo osservatore si arrabbia. Dalla reazione nasce un discorso metodologico estremamente interessante sull’efficacia e adeguatezza di quelle norme metodologiche: RIC 1 eh già… non sei autorizzato a bere, a parlare, non sei autorizzato non sei autorizzato
non sei autorizzato… ah… accidenti Volker che diavolo stiamo facendo eh… ce ne stiamo seduti su un piedestallo, convinti di capire… tutto, ma come pensiamo di capire anche una sola cosa delle persone… semplicemente osservandole eh?
RIC 2 Green, questa è la natura della nostra ricerca…
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RIC 1 Dobbiamo parlare l’uno con l’altro… Le persone devono comunicare RIC 2 È tardi RIC 1 Non hai neanche una birra RIC 2 No! La nostra ricerca si basa su un approccio positivistico RIC 1 Positivistico (sorride) RIC 2 Il nostro istituto nasce… RIC 1 Positivistico cosa!
Per quanto mi riguarda ho deciso di mollare. E’ la cosa più positivistica che possa fare! (spezzone da 45’31” a 46’16”).
Di questo fondamentale principio metodologico dell’approccio interpretativo (cioè ascoltare il punto di vista dei partecipanti) il protagonista parlerà successivamente (spezzone 47’04”‐47’14”) con in suo osservato. In un altro episodio notiamo ancora la necessità delle parole, cioè dello scambio tra ricercatore e partecipante. Il telefono squilla nella casa del partecipante (spezzone da 27’00” a 27’15”). Lui, pur essendo in casa, lo lascia squillare senza rispondere. Solitamente chiedo agli studenti di interpretare questo episodio. Subito quattro‐cinque ipotesi vengono proposte: il partecipante non vuol far sapere che è in casa; oppure non vuole comunicare con nessuno; o, ancora, non vuol parlare alla presenza del ricercatore, e così via. Un simile episodio si ripete più avanti nel film, precisamente al 47’15”. Qui ricercatore e partecipante hanno già iniziato, contrariamente ai dettami metodologici positivisti, a comunicare. Proprio in questo episodio il partecipante svela il mistero. Gli squilli del telefono sono un segnale: se suona solo tre volte significa che il suo amico verrà a trovarlo di lì a poco. Rispondere al telefono sarebbe un inutile spreco di denaro. 4.4. Intervistare su argomenti delicati (sensitive topics) Affrontare in un’intervista (standardizzata o discorsiva) un argomento delicato è sempre una sfida metodologica rilevante. Anche in questo caso qualche immagine, tratta da film, può fornire un’indicazione vivida e pregnante. Il film Kinsey (2004), sul biologo e sessuologo statunitense Alfred Charles Kinsey (1894‐1956), diretto dall’americano Bill Condon, è certamente una fonte di ispirazione. Il protagonista divenne noto negli anni del primo dopoguerra per la prima vasta ricerca condotta sul tema del comportamento sessuale umano: ben 18.000 interviste, di cui 7985 condotte personalmente da Kinsey, formano il materiale del famoso rapporto Kinsey, ossia due volumi intitolati l'uno Il comportamento sessuale dell'uomo (1948) e l'altro Il comportamento sessuale della donna (1953). Al frammento 1.02’02”‐1.02’27” del film si assiste a un addestramento da parte di Kinsey dei suoi collaboratori. In particolare egli insegna come iniziare un’intervista standardizzata, come creare un clima favorevole affinché gli intervistati possano esprimersi liberamente, anche su un tema così delicato come i comportamenti sessuali. E’ un passaggio molto istruttivo per studenti del primo anno, digiuni di informazioni metodologiche.
4.5. L’imparzialità dell’intervistatore: tra mito e realtà L’ultimo episodio che voglio presentare descrive la situazione in cui Kinsey e il suo assistente si trovano a intervistare un pedofilo. Durante l’intervista (1.24’25”) l’intervistato racconta anche di alcuni rapporti sessuali avuti con bambini. Nel descrivere questi episodi si sofferma, in modo compiaciuto, su alcuni dettagli.
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A questo punto l’assistente di Kinsey si alza e, visibilmente provato e indignato, se ne va (1.24’50”). L’intervistato è sorpreso da questo comportamento (a suo giudizio) poco professionale e incalza Kinsey: R. Non li ha addestrati a essere imparziali? Kinsey Certe volte… è difficile R. Ah… suppongo che uno come me, metta a dura prova le sue convinzioni, eh? Questo episodio viene quindi discusso in classe.
5. Conclusione Le nuove generazioni di studenti sono cresciute con una grande contiguità al mezzo televisivo, il cui uso intensivo preforma processi cognitivi e e l’attenzione. Non è esagerato sostenere che in classe ci troviamo un pubblico televisivo, abbastanza diverso dal tipo di pubblico che avevamo nelle classi venti o trent’anni fa. Questa nuova audience, per seguire e comprendere i contenuti didattici, ha costantemente bisogno (molto più che un tempo) di immagini e di testi visivi dinamici, che solo le tecnologie didattiche multimediali sono in grado di offrire. Se questa descrizione è verosimile, allora anche l’insegnamento della metodologia deve rinnovarsi per venire incontro a queste mutate esigenze sociali. Per fare ciò sono oggi disponibili diversi strumenti e in questo breve saggio ne ho elencati alcuni, fra cui i film. Esistono decine di film che possono essere utilizzati per descrivere, mostrare, chiarire e discutere i più disparati argomenti metodologici. Anche se esempi “reali” (di interviste, focus group, etnografie ecc.) sarebbero preferibili a documenti artificiali come i film, tuttavia in questi ultimi possiamo trovare stimoli e suggerimenti metodologici non sempre presenti nei nostri dati “reali”.
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Bibliografia
Dorr, Aimee 1986 Television and children: a special medium for a special audience , Beverly Hills: Sage, trad.
it. Televisione e bambini: un mezzo speciale per un pubblico speciale, Torino, Nuova ERI, 1990.
Gobo, Giampietro 2008 Doing Ethnography, London: Sage 2009 La società dell’osservazione. Nuove opportunità per la ricerca etnografica, in «Rassegna
Italiana di Sociologia», L, 1, (in pubblicazione). McLuhan, Marshall 1962 The Gutemberg Galaxy: The Making of Typografic Man, Toronto: University Toronto Press,
trad. it. La galassia Gutemberg, Roma: Armando. Morcellini, Mario 1999 La tv fa bene ai bambini, Roma: Meltemi. 2000 Passaggio al futuro: formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, Milano, Angeli. Morcellini, Mario (a cura di)
2001 Il Mediaevo: TV e industria culturale nell'Italia del 20° secolo, Roma,, Carocci. Rositi, Franco 1993 Strutture di senso e strutture di dati, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXIV, 2, pp. 177‐
200. Sartori, Giovanni 1997 Homo videns: televisione e post‐pensiero, Roma: Laterza.
i Purtroppo non ho nemmeno elementi empirici per valutare gli effetti della didattica multimediale e se questa sia realmente più efficace della didattica tradizionale.
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