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UNIVERSITÀ DI ZURIGO
ROMANISCHES SEMINAR
LA DANIA DI ELENA BONZANIGO
Felicity Brunner
Manifesto per l’ultima rappresentazione di Dania, conservato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona.
2
INDICE
Introduzione 3
Dania – Libretto 8
Atto Primo 10
Atto Secondo 21
Atto Terzo 27
Parte Prima – Un percorso filologico attraverso il testo librettistico 42
1. Problemi generali riguardo alla trasmissione del testo librettistico 43
2. I testimoni di Dania 46
3. Un percorso a tappe attraverso i luoghi testuali di Dania 52
3.1. Il frontespizio 52
3.2. La suddivisione in atti e quadri 54
3.3. Le due scene d’apertura 57
3.4. Atto primo, scena VII 59
3.5. Il «Finale Ultimo» 60
4. Alcune conclusioni 63
Intermezzo – Alcune questioni di genere 64
1. Che cos’è questa composizione? 65
2. In conclusione 73
Parte Seconda – Un percorso tematico attraverso il testo librettistico 75
1. Prologo 76
2. La commedia 86
2.1. Atto Primo 88
2.2. Atto Secondo 99
2.3. Atto Terzo 101
3. Epilogo 104
Conclusioni e spunti per il futuro 110
Bibliografia 118
Ringraziamenti 125
Figure 126
Appendici 130
“È famosa la dichiarazione di Ludwig Wittgenstein che i luoghi migliori per risolvere le questioni filosofi-
che sono le stazioni ferroviarie” Z. Bauman, Intervista sull’identità
I n t r o d u z I o n e
“Come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle prime due o tre stazioni l’immaginazione resta ferma nel luogo di dove sei partito, e poi d’un tratto, col primo mattino incontrato per via, si volge verso la meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli dell’avvenire”.
L. Tolstoj, I cosacchi
Claude Monet, La gare de Saint-Lazare, 1877
4
INTRODUZIONE – «QUANTO A GIUDICAR DI BRUTTO E BELLO, ASPETTIAMO CHE L’OPRA SIA FINITA»
Che cos’è Dania?
Cos’è questa composizione? È difficile classificarla. Non è un’opera, non foss’altro che
per la larga parte recitata oltre che per tutta la costruzione. Non è un’operetta, neppur
quando sembra ne abbia l’allure perché la linea classica si vede sempre e vi sono scene
come quella tra Dania e Floriano nel terzo atto che hanno tutto il colore lirico. Non è una
commedia buffa, anche se, volta a volta, si potrebbe crederlo, perché non manca qualche
momento drammatico e perché nell’orchestra v’è più d’una volta, l’altezza della preghiera
o l’ampiezza dell’inno.1
Che cos’è Dania? Nel corso di un anno di lavoro la seguente domanda ha orientato la ricerca svolta
intorno alla «commedia musicale in tre atti» andata in scena nel 1930 al Teatro Sociale di Bellinzona
e nata dalla collaborazione fra l’autrice Elena Bonzanigo2 e il compositore Luigi Tosi3: ricerca che,
infine, è stata raccolta e assestata nelle pagine qui proposte. La domanda esprime una difficoltà affine
a quella formulata dallo sconosciuto giornalista nella recensione alla Prima esecuzione di “Dania”
al Sociale apparsa sul numero di «Popolo e Libertà» del 30 maggio 1930, con cui si è deciso di aprire
il capitolo d’introduzione: la difficoltà è riconducibile al tentativo di definire, classificare e
contestualizzare Dania. Rispetto al giornalista di «Popolo e Libertà» le lettrici e i lettori
contemporanei che pongono la domanda «che cos’è?» tuttavia devono tener conto di un fattore
1 «Popolo e Libertà». 30 maggio 1930. P. 3.
2 Elena Bonzanigo nacque a Bellinzona nel 1897 e visse fra Bellinzona, Londra, Zurigo e Locarno Monti, dove morì nel
1974. Collaborò con Cenobio e con il Corriere del Ticino, oltre che con la RSI, curando radiodrammi, radiocommedie e
adattamenti dall’inglese. Si batté, inoltre, per l’ottenimento del suffragio femminile nel canton Ticino e per anni ricoprì
la carica di presidente nel Movimento Sociale Femminile di Locarno. Curò il volume Donne della Svizzera italiana. Dalla
Saffa 1928 alla Saffa 1958, per il quale scrisse un capitolo dedicato all’arte figurativa. Dal 1962 al 1967 fu presidentessa
della sezione Belle Lettere del Lyceum della Svizzera italiana. In seguito fondò la sezione ticinese del PEN Club (Poets,
Essayists, Novelists). La prima pubblicazione letteraria risale al 1928 con il racconto breve Le memorie di un campanile,
edito dal periodico «Adula», a cui si accennerà nel capitolo 3 del presente lavoro. Nel 1944 vinse il premio Schiller per
il romanzo storico Serena Serodine, mentre nel 1963 La Conchiglia le valse il premio del Giubileo del Lyceum svizzero.
Per ulteriori informazioni riguardo a Elena Bonzanigo si legga: FAZIOLI FOLETTI Maria, Elena Bonzanigo, in Tracce di
donne, Biografie femminili ticinesi del XIX e del XX secolo, 2015, a c. dell’AARDT (Archivi Riuniti delle Donne Ticino),
link: http://www,archividonneticino,ch/hoppeler-bonzanigo-elena-1897-1974/ (ultima visita: 10 dicembre 2016).
3 Luigi Tosi nacque a Grosseto nel 1881. Studiò al liceo musicale di Roma con Giacomo Settaccioli e alla Scuola nazionale
di Musica di Roma sotto la direzione di Pietro Mascagni, dove nel 1906 ottenne il diploma di composizione e di maestro
concertatore e direttore d’orchestra. Si laureò al Conservatorio di Milano, diventando maestro di banda e insegnante di
canto. Incominciò la sua carriera in qualità di direttore del corpo bandistico di Portogruaro; nel medesimo periodo sostituì
Mascagni nella direzione di Iris e Le Maschere al Teatro Goldoni di Livorno. Diresse stagioni d’opera al Teatro Nuovo
di Bergamo, al Teatro Sociale di Roma e al Politeama di Lecce. Nel 1919 venne nominato direttore della Civica
Filarmonica di Bellinzona (che negli anni sotto la sua direzione si esibì a Zurigo, a Berna, a Basilea e a Losanna) e un
anno più tardi fondò la corale femminile Santa Cecilia, sempre a Bellinzona. Nei 37 anni di attività (dal 1919 fino al
1956) va ricordata la direzione delle associazioni Musica dei Ferrovieri di Bellinzona e Armonia Elvetica di Mesocco. Fu
anche direttore della corale maschile Melodia di Bellinzona. Per ulteriori informazioni riguardo a Luigi Tosi si legga la
voce: <Luigi Tosi>, in I principali attori del campo musicale della Svizzera italiana, La musica della Svizzera italiana,
a c. della Fonoteca Nazionale Svizzera, link: http://www,fonoteca,ch/gallery/chiMusic/chiMusic_PA_TosiL_it,htm
(ultima visita 16 dicembre 2016).
5
importante: sulla recita, a partire dal 1930, unico anno in cui è stata rappresentata, è calato
inesorabilmente il velo polveroso dell’oblio. L’unico testimone, reperibile nelle biblioteche pubbliche
del canton Ticino, a disposizione di chi ha desiderato conoscere Dania negli scorsi otto decenni, è un
fascicolo, pubblicato da Salvioni in occasione della messinscena del 1930, che riassume la trama della
commedia e che contiene solamente alcuni frammenti di dialogo.4 Tuttavia non esistono edizioni di
alcun tipo del libretto integrale e della partitura, come non esiste una registrazione sonora dello
spettacolo. A questa mancanza desideriamo ora porre rimedio (almeno parzialmente) tramite
l’edizione critica del libretto della commedia: in questo modo vogliamo offrire alle lettrici e ai lettori
odierni la possibilità di conoscere un esempio operistico più unico che raro proveniente dalla Svizzera
italiana.
Rispondere all’interrogativo «cos’è?» ha innanzitutto comportato un lavoro di indagine pari a quello
del detective dilettante: assumendo una veste equivalente a quella di Miss Marple sulle tracce
dell’assassino, la ricercatrice ha dovuto rintracciare il maggior numero di informazioni riguardo
all’oggetto di indagine. Tramite svariate ricerche via internet e con il telefono alla mano si sono
individuati i luoghi in cui sono conservati i documenti che testimoniano le fasi del lavoro creativo
della librettista e del compositore: l’Archivio di Stato di Bellinzona conserva nella collana
«Collezione Tosi» tre unità archivistiche nelle quali si trovano i materiali utilizzati nel 1930 per
portare in scena il lavoro.5 Grazie agli eredi di Tosi, i quali alla morte del maestro hanno ordinato e
catalogato i suoi documenti per farne un fondo pubblico consultabile presso l’archivio bellinzonese,
ci sono pervenute la partitura per l’orchestra, la riduzione per pianoforte e gli spartiti per gli strumenti,
per i cori e per le parti cantate dai protagonisti. Inoltre tra i materiali del compositore sono state
rinvenute una versione manoscritta del libretto e due versioni dattiloscritte, fondamentali per l’analisi
letteraria della pièce. Infine, una serie di carte sciolte, tra cui appunti, riscritture di singole scene,
frammenti di spartiti e altro, sono altresì accuratamente raccolti e classificati nelle tre unità
archivistiche, e formano un sottobosco di materiali fondamentali a orientare (e talvolta disorientare)
4 BONZANIGO Elena, (adattamento scenico e versi); TOSI Luigi (musica), Dania, commedia musicale in tre atti, Arti
Grafiche Salvioni, Bellinzona, 1930.
5 Le tre unità archivistiche portano le seguenti segnature: UNA 154 contiene la partitura per orchestra (PB), la riduzione
per pianoforte (PA), il manoscritto del libretto (M), il dattiloscritto con alcuni frammenti di testo (DA), il dattiloscritto
per la riduzione radiofonica della commedia, risalente agli anni ‘50 e svolta in sede alla RSI, il riassunto delle scene
pubblicato da Salvioni (L), il dattiloscritto del libretto completo (DB), un fascicolo di carte sparse, tra le quali figurano
alcuni appunti di Tosi e di Bonzanigo; UNA 155 contiene gli spartiti musicali per gli strumenti, per i cantanti e per i cori;
UNA 156 contiene una partitura chiamata Dania brutta copia, un fascicolo di carte sparse, una rivista («La coiffure
Parisienne illustree», del mese di maggio dell’anno 1930, in cui figurano le fotografie di una riduzione scenica dell’Amour
peintre di Molière, fonte dichiarata di Dania), il manifesto per la rappresentazione di Dania del 2 giugno 1930, un
quaderno dal titolo Commenti della stampa ticinese ed estera, nel quale Tosi ha trascritto alcune recensioni su Dania, una
fotografia dell’orchestra di Bellinzona del 1923. I documenti denominati nel seguente lavoro con le abbreviazioni M, DA,
DB, PA, PB e L rappresentano i testimoni utilizzati nella ricostruzione filologica del testo. Per maggiori approfondimenti
rimandiamo alla parte prima del presente lavoro.
6
la ricercatrice-detective. Le biblioteche del canton Ticino, invece, offrono la possibilità di consultare
l’archivio digitalizzato dei periodici e dei quotidiani pubblicati nella Svizzera italiana a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento. Tramite la lettura di svariate recensioni, trovate nei maggiori quotidiani
del cantone, è stato, perciò, possibile ricostruire un’idea delle modalità di ricezione di Dania.6
La ricerca svolta intorno ai materiali d’archivio ha fin da subito assunto la dimensione di un viaggio:
un viaggio fisico (e molto spesso non lineare) attraverso svariate stazioni, che ha condotto all’archivio
di Bellinzona, al Teatro Sociale, alle biblioteche pubbliche del canton Ticino, ma anche alla
Zentralbibliothek di Zurigo, al Romanisches Seminar e al Musikwissenschaftliches Seminar
dell’Università di Zurigo, e, infine, direttamente nel salotto di un direttore d’orchestra in pensione;7
e soprattutto un viaggio metafisico che ha assunto un carattere culturale e letterario attraverso i
documenti ritrovati e letteralmente rispolverati. Un viaggio di scoperta, insomma, di cui si vogliono
riassumere le stazioni principali in questo lavoro: un percorso che non ha nulla di conclusivo, in primo
luogo perché negli archivi privati, nelle biblioteche più piccole e tra le carte lasciate in eredità da
Bonzanigo e Tosi potrebbero essere rimasti conservati materiali pertinenti ancora inesplorati, e
secondariamente perché il testo librettistico di Dania, riportato in luce dopo gli anni di sterile oblio,
potrà ora continuare il suo cammino all’interno della letteratura, in relazione al contesto culturale e
letterario coevo. Un viaggio che ha reso necessario formulare svariate domande. Domande di metodo,
in particolare riguardo al lavoro filologico necessario per ricostruire una versione del testo il più
vicina possibile al libretto composto dall’autrice bellinzonese, ripulito dagli errori di battitura e
corretto nei luoghi in cui una svista da parte del trascrittore ha creato delle incongruenze.8 Domande,
poi, di carattere critico-letterario, pensate per approfondire le analisi della struttura del testo, del
confronto con la fonte dichiarata (L’amour peintre di Molière) e dei temi principali riscontrati nella
lettura.9 La domanda, soltanto in apparenza semplice, «che cos’è Dania?» andava dunque affrontata
con cura e decostruita in svariati frammenti: ogni pezzo ha rappresentato una problematica specifica
6 La lista completa dei numeri di giornale che hanno dedicato uno spazio alla recita di Bonzanigo e Tosi è presente nella
bibliografia annessa al presente lavoro.
7 Il riferimento (accompagnato da un grande ringraziamento) è ad Armin Brunner, che per anni ha diretto con passione
svariate orchestre in teatri, opere, sale da concerto di diverse città della Svizzera.
8 Nella parte prima di questo lavoro si leggerà il resoconto del percorso filologico svolto attraverso l’intricata selva delle
varianti individuate tramite l’attento confronto di cinque testimoni di Dania (M, DB, DA, L, PB): il lavoro è servito per
ricostruire il testo atto alla lettura e all’analisi del contenuto. La filologia librettistica si inserisce in un ambito specifico,
originato da un’attenzione nuova rivolta da parte delle studiose e degli studiosi della letteratura e della musica al genere
dell’opera lirica: il nuovo interesse sviluppato nei confronti del testo librettistico sovverte il punto di vista della critica
tradizionale, che, come vedremo, lo considerò un genere di secondo ordine.
9 Nella parte seconda di questo lavoro verrà proposta una lettura del libretto svolta con lo scopo di inserire Dania nel
contesto sociale e politico della Svizzera italiana degli anni immediatamente precedenti il 1930. Il periodo storico è
estremamente interessante per comprendere alcuni importanti dibattiti culturali vivi nel cantone nei decenni a cavallo tra
la prima e la seconda guerra mondiale: un dibattito in cui Elena Bonzanigo, vedremo, ha ricoperto un ruolo che dai critici
non è mai stato preso in considerazione.
7
incontrata durante il periodo di ricerca, una stazione necessaria nel viaggio di scoperta di un testo
curioso, perché caso unico nell’ambito inesplorato del teatro musicale operistico della Svizzera
italiana.
DaniaCommedia musicale in tre atti
Testo di Elena BonzanigoMusica di Luigi Tosi
L i b r e t t o
Jean-Léon Gérôme, Le bain maure, 1880-1885
9
I TESTIMONI DI DANIA
M: si tratta di un manoscritto, redatto a penna, da Elena Bonzanigo. Esso è composto da 50 fogli,
numerati e slegati. Rappresenta una fase di lavoro embrionale di Dania.
DB: si tratta di un dattiloscritto che contiene, con parecchie varianti, il testo di M. Esso è composto
da 22 fogli, numerati, rilegati in un unico fascicolo, racchiuso da una copertina di cartone,
decorata da un collage. È il testimone scelto come base per svolgere l’analisi critico-interpretativa
del testo di Dania.
DA: si tratta di un dattiloscritto, di 13 fogli, non numerati e slegati. Si tratta di una versione composta
dalla maggioranza delle parti musicate, da alcuni recitativi e da poche didascalie. Di questa
versione sono conservate tre identiche copie.
L: si tratta dell’opuscolo pubblicato dagli autori Bonzanigo e Tosi, presso Salvioni nel 1930
(segnalato in bibliografia: BONZANIGO Elena, (adattamento scenico e versi); TOSI Luigi (musica),
Dania, commedia musicale in tre atti, Arti Grafiche Salvioni, 1930).
PB: si tratta della partitura orchestrale di Dania. Il volume è composto da 522 pagine, rilegate e
protette da una copertina in cartone.
PA: si tratta della riduzione per pianoforte delle musiche contenute in PB. La versione del testo
trascritta tra lo spartito è identica a PB, perciò si è deciso di non contare PA tra il numero dei
testimoni collazionati per editare il testo.
10
DANIA
COMMEDIA IN TRE ATTI10
Adattamento scenico: ELENA BONZANIGO
Musiche: LUIGI TOSI
La vicenda è tratta da un atto di Molière, “L’Amour Peintre”
(L’atto originale fu rappresentato nel 1667 a Saint-Germain dalla compagnia di Molière. Luigi XIV,
la Regina, Mlle de la Vallière ed altri personaggi della Corte presero parte ai balletti).
Personaggi
MUSTAFA padrone di
DANIA schiava greca
FLORIANO gentiluomo veneziano
ALÌ suo servo
ZAIDA giovane schiava
IL PASCIÀ
Baritono
Soprano
Tenore
Tenore
Soprano
Basso
MUSICI
CANTORI
SCHIAVE
DANZATORI
MORETTI
CANTATORI
SERVI
ATTO PRIMO
SCENA I11
Luce rossa di tramonto. La scena rappresenta un cortile di una casa orientale. A destra un balcone
a sinistra un pozzo circondato da un’aiuola di fiori. Al levarsi del sipario DANIA ed alcune altre
SCHIAVE si avvicinano al pozzo per attingere.12
CORO Passa la primavera sul13 deserto
come colomba sull’immenso mare,
né sa dove posare14. Ah…
10 L: commedia musicale in tre atti. M: Commedia musicale in 2 atti e 3 quadri. Per approfondimenti riguardo al problema
della suddivisione in atti e quadri si veda «Parte Prima – Un percorso filologico attraverso il testo librettistico».
11 Le Scene I e II sono assenti in M (per ulteriori approfondimenti si legga il capitolo 2. di questo lavoro). In M, oltre
all’indicazione Atto 1, è presente anche l’indicazione Quadro 1. A questa segue la didascalia di scena (cfr. nota 12).
12 In DA la didascalia è tagliata. In M sono presenti delle varianti: La scena rappresenta il cortile di un palazzo orientale.
A destra un balcone. In mezzo al cortile, un pozzo circondato da un’aiuola di fiori. È una bella notte di plenilunio, ma di
quando in quando nubi vagabonde velano la luna.
13 DA: nel.
14 DA: passare.
11
C’è una sorgente15 sola nel deserto
e primavera vi si posa accanto 5
e scioglie il suo bel canto. Ah…
Ecco, ridono fiori nel deserto
E primavera se ne fa corona
all’ombra delle palme s’abbandona,
all’ombra delle palme s’addormenta. Ah… 10
Mentre cantano e attingono Zaida si è avvicinata dall’altra parte del
muricciuolo e sta in ascolto.
1. SCHIAVA Indicandola a un'altra.
Chi è quella fanciulla di là dal muro?
2. SCHIAVA Non l’ho mai vista.
3. SCHIAVA Mi sembra la Greca che vende fiori presso la Grande Moschea.
DANIA Vivamente.
Una Greca?
ZAIDA Avvicinandosi ancora.
Posso chiedere una grazia?
DANIA Di’ pure.
ZAIDA La fonte è lontana ancora e sono così stanca. Mi permettete di attingere al
vostro pozzo?
DANIA Sì davvero.
1. SCHIAVA Certamente. Dammi la tua anfora.
ZAIDA Oh, vi ringrazio. Eseguisce.
Mentre la schiava attinge, Dania si avvicina al muricciuolo.
DANIA A Zaida:
Il tuo accento è stranamente famigliare. Sei di questo paese?
ZAIDA No, son nativa d’un villaggio presso Micene.
DANIA Con grazia:
Allora sei greca come me.
L’abbraccia.
Dimmi il tuo nome e la tua storia.
ZAIDA Il mio nome è Zaida. La mia storia è tristezza.
DANIA Racconta!
ZAIDA Nell’Eubea
presso al mare un villaggio
ridea piccolo e bianco.
Là vivevo, nel raggio
dolce della famiglia 15
la mia infanzia beata.
Ma un giorno di terrore,
come lupi affamati,
calarono i briganti,
i Turchi! Il mio paesello 20
fu un orrido macello
tra rovine fumanti.
Uccisi i vecchi, i bimbi.
Ah! La mia mamma!
15 L: fontana.
12
Si copre gli occhi.
LE SCHIAVE Sottovoce:
Orrore!16 25
ZAIDA Noi fanciulle, vendute
sul mercato di Stamboul17
come pecore, all’asta!
Da allora sono schiava.
DANIA Oh come la tua storia 30
alla mia s’assomiglia!
Io pur crescevo lieta,
idolatrata, inconscia,
del destino crudele.
Viveva la mia famiglia 35
presso Atene. Il mio babbo
era un ricco mercante:
volle condurmi seco
in un suo villaggio a Cipro,
ma i pirati dell’Islam
assalirono la nave…18 40
Che terrore! Che sangue!
E non lo vidi più, povero babbo
e la mamma che forse19 ci attende
in Grecia, nella nostra dolce casa.
ZAIDA Oh! La Mamma, la patria, la famiglia 45
a volte sembran sogni troppo belli
per avere mai potuto essere veri!
DANIA Bella Grecia, mia patria lontana,
a te vola il pensier!
ZAIDA Bella Grecia distesa nel sole 50
Come pigra sirena!
DANIA Tutt’avvolta nel manto del mare,
odorosa di timo e viole,
orgogliosa di grazia sovrana
o dolce patria ellena 55
il nostro cuore rivederti vuole.
ZAIDA Il nostro cuore rivederti vuole,
o dolce patria ellena!
DANIA e Il più dolce ricordo è in te raccolto
ZAIDA e la mamma ci guarda col tuo volto. 50
Ma chiuse nella triste schiavitù
non ti vedremo mai più, mai più.20
16 DA: che orrore.
17 DA: Istanbul.
18 In DA sono assenti i versi [ma i pirati dell’Islam / assalirono la nave].
19 DA: che forse ancor.
20 In L i versi del duetto presentano delle varianti sostanziali: Bella Grecia distesa nel sole / come pigra sirena, / odorosa
di timo e viole, / orgogliosa di grazia sovrana! / Il nostro cuore rivederti vuole, / o dolce patria ellena, / dolce patria
lontana!
13
Nel frattempo alcune schiave ascoltano, altre passeggiano discorrendo
tra loro.
2. SCHIAVA Com’è bello il tramonto!
1. SCHIAVA Ma sta quasi spegnendosi. In questa stagione la luce cala rapidamente.
ZAIDA Si, è già tardi. Devo rientrare in fretta prima che scenda la sera, Addio.
DANIA Addio. ma ritorna dobbiamo rivederci presto.
ALCUNE SCHIAVE Sì21, ritorna. Puoi sempre attingere qui, purché Mustafà non ti veda!
ZAIDA Oh, Mustafà
Comico gesto di orrore. Esce.
SCENA II
1. SCHIAVA Come si sta bene qui al fresco!
DANIA Riprendiamo la nostra canzone?
SCHIAVE Sì, cantiamo.22
Ripresa del coro.
MUSTAFÀ Esce sbuffando, interrompendo il coro.
Come, come? È l’ora della preghiera e siete ancora qui a cantare e danzare,
gazze d’inferno? Presto, portate l’acqua per le abluzioni e sbrigatevi. Volete
che vi paghi a staffilate, per la barba di Maometto!
Le fanciulle raccolgono le anfore e rientrano in fretta. Scena vuota. La
luce si fa violetta. Si sente dall’interno la preghiera della sera intonata
da Mustafà e ripresa dal Coro: cantilena. Annotta.23
SCENA III24
Entra ALÌ con alcuni MUSICI.
ALÌ Pian pianino, cautamente,
senza far rumore25
qui venite, brava gente, 55
qui attendete il mio signor. 26
Accennando col dito sulla bocca:
Sst! Sst!
CORO Pian pianino, cautamente,
senza far rumore
tutti qui pazientemente
attendiamo il tuo Signor.27 60
Sst! Sst!
21 DA: sì sì.
22 DA: cantiamo ancora.
23 DA: annotta rapidamente.
24 L’indicazione di Scena III è preceduta in DB dall’indicazioni [Atto I] e le direttive di scena [è una bella notte di
plenilunio, ma di quando in quando nuvole vagabonde velano la luna]. Per ragioni di coerenza strutturale le indicazioni
di scena incoerenti sono state tagliate. Per approfondimenti riguardo alla strutturazione degli atti si legga «Parte Prima –
Un percorso filologico attraverso il testo librettistico».
25 DA e PB rumore alcuno.
26 DA e PB: qui venite brava gente, brava gente, qui attendete il mio signor.
27 DA e PB: qui attendiam il tuo signor, qui aspettiamo, qui attendiamo il tuo signor.
14
ALI Tu rimani qui28 appiattato,
tu nasconditi laggiù,
voi qui dietro al29 colonnato,
dietro alla fontana, tu.
Sst! Sst!
CORO 1. Guai se alcuno ci scoprisse! 65
CORO 2. Sarian busse30 in quantità.
CORO 3. Oh. Se almeno presto venisse!
CORO 4. Chissà mai31 quando verrà!
Sst! Sst!
Si nascondono.
ALÌ Silenzio! Non vi movete prima che io vi chiami.
Solo.
Che amara parodia32 è la sorte dello schiavo! Non mai vivere per sé ma essere
aggiogati alle passioni ed ai capricci33 del padrone34. Così adesso, perché il mio
signore ha il ghiribizzo di innamorarsi, devo passare io la notte e il giorno senza
riposo.
SCENA IV35
Entra FLORIANO
FLORIANO Sei tu Alì?
ALÌ E chi mai se non io, padrone? A queste ore notturne chi, all’infuori di voi e me,
gira per i cortili degli altri invece di andarsene a letto?
FLORIANO Nessuno, dici bene. Perché nessuno soffre le pene che mi tormentano. Dover
combattere l’indifferenza della donna amata è ben lieve cosa36, per la speranza
di piegarla ai nostri voti, o il refrigerio, almeno, di lamentarci e di sospirare.
Ma non poter trovare mai occasione di parlarle, non poter sapere se l’amore
nato dai suoi begli occhi le sia caro o discaro è per me la peggiore delle
sofferenze! Ed ecco, appunto, che la feroce sorveglianza di quell’orco di
Mustafà mi vi condanna!
ALÌ Ma in amore, padrone mio, ci sono diversi linguaggi: e mi sembra che i vostri
occhi e quelli della bella Dania da oltre due mesi si dicano molte cose!
FLORIANO Giustissimo, Alì. Però come sapere se ciascuno di noi abbia interpretato bene
tale linguaggio? Se la mia diletta intende tutto ciò che i miei occhi vogliono
dirle? Se i suoi occhi dicono tutto ciò che io credo intendere?
ALÌ E allora, padrone mio, la cosa è semplice, bisognerà trovare il mezzo di parlarsi
altrimenti. 28 DA: là
29 M: il.
30 DA e PB: botte.
31 DA e PB: chi sa mai, chi sa mai.
32 M: che amara e scipita parodia.
33 M: guai.
34 M continua con: e dover scervellarsi per tutti i capricci che frullano per il capo!
35 In DB è indicata con [Scena 2]: dunque, da Scena IV fino a Scena VI, le indicazioni originali di DB seguono la
numerazione a partire da 2. Per ragioni di coerenza, la numerazione qui riportata è stata modificata e corretta rispetto
all’originale
36 M: è lieve cosa.
15
FLORIANO Ah! Presto detto… Hai condotto i musici?
ALÌ Sì, padrone. Ma…
Accennando alla finestra del balcone.
Nascondiamoci ed attendiamo.
Si ritirano nell’ombra.
SCENA V
La luna è svelata completamente e i suoi raggi d’opale illuminano la facciata37 della casa e il
balcone, lasciando mezzo cortile nell’ombra. La finestra si apre, sulle parole38 di Alì, e sul balcone
appare una figura biancovestita: DANIA. Si appoggia al verone e resta un momento assorta e
pensierosa.
Poi quasi a se stessa canta:
DANIA Notte lunare, piena d’incanto39
versa il tuo balsamo sull’alma40 mia. 70
Pietosa tergine l’amaro pianto,41
fa ch’io dimentichi la sorte ria.
I dì lontani di fanciullezza,
fa che risorgano nel mesto42 cuore,
quando ancor libera godea l’ebrezza 75
dell’ineffabile materno43 amore.
Fammi scordare che schiava sono,44
che a ignoto45 harem mi si destina.
Dammi la pace! L’alma abbandona
nel tuo bel sogno, notte divina! 80
Rimane al verone pensosa.
ALÌ Sottovoce a Floriano.
Non potevamo capitar meglio.
Chiamando coi cenni i musici.
Avanti. Voialtri! Tenetevi pronti e fatevi onore.
FLORIANO Ai musici:
Io canterò, voi mi accompagnerete e sosterrete nel ritornello.
Escono dall’ombra e si dispongono sotto il balcone.
DANIA Fa un movimento di sorpresa e si ritira dal balcone.
FLORIANO Canta:
37 M: la facciata visibile.
38 M: sulla parola.
39 DA e PB: incanti.
40 Si è scelto di inserire [alma], variante di M, DA, PB, poiché la variante [anima] di DB renderebbe il verso ipermetro.
41 DA e PB: gli amari pianti.
42 M: muto.
43 DA: tenero.
44 M: schiava io sono. DA e PB: schiava or sono.
45 M: ingiusto.
16
Torna ancora al verone46, o mia diletta,
e ascolta il canto della mia passione,
Come il tuo cor, tutto il mio core47 aspetta
Il dolce dì della liberazione.
Spera, mio core! 85
L’alba è già vicina,
alba di libertà, luce d’amore.48
Asciuga il pianto dai begli occhi neri
E il cor riapri a fulgida speranza.
La regina tu sei49 dei miei pensieri,
prendi tutto me stesso in sudditanza. 90
Spera, mio core.
L’alba è50 già vicina,
alba di libertà, luce d’amore.
Avvicinandosi al verone.
Dania…
DANIA Si sporge un poco, poi subitamente si ritrae e si pone in ascolto. Fa
quindi un cenno a Floriano e gli dice in fretta:
Fuggite in fretta, sento rumore in casa!
Si ritira e chiude la finestra, mentre Floriano col suo piccolo seguito si
nasconde dietro le quinte, figuranti colonne.
SCENA VI
La porta si apre. Esce MUSTAFA in vestaglia e berretto da notte con una scimitarra sotto il braccio.
MUSTAFÀ Avanzando cauto:
Chi va là? Chi va là?
Silenzio.
Ho inteso suonare e cantare davanti alla mia porta e sono cose che non si fanno
senza ragione. Bisogna che io sappia…
Avanza ancora cautamente.
ALÌ Rientrando in scena con Floriano e parlandogli sottovoce:
Vedete padrone, la porta è aperta e mi pare che qualcuno si muova la presso;
Bisogna che io sappia…
FLORIANO Certo, ma bada di far piano. Io resto qui per ogni buon conto. Piacesse al Cielo
che fosse la mia bella Dania!
MUSTAFÀ Dando uno schiaffo ad Alì:
Chi va là?
ALÌ Rendendo lo schiaffo:
Amici.
MUSTAFÀ Rientrando:
46 Variante presente sia in M, che in DA e PB. Il testo originale di DB invece recita: Torna al verone. Ritengo che la
mancanza dell’avverbio ancora in DB sia causa di una svista dell’autore del testo: infatti il verso, così come appare in
DB, non corrisponde strutturalmente agli endecasillabi seguenti. È stata dunque integrata la variante di M, DA e PB.
47 DA e PB: il mio core.
48 DA e PB: luce e amore. In DA e in PB segue un’aggiunta: In alto i cuori l’alba è già vicina, alba di libertà luce
d’amore.
49 M, DA e PB: sei tu.
50 DB presenta un errore (assente in DA e in M): L’alba già vicina.
17
Servi, olà accorrete!
Presto, per Allah! 95
Ibrahim, Omar, Talete,
Sham-el-Nassim, Abdullah!
Accorrete presto, olà!
L’alabarda ed il fucile,
la pistola e lo staffile 100
su portatemi, poltroni!
Con le fruste, con bastoni,
scimitarre e sciaboloni
accorrete presto, olà
per Allah! 105
Rientra.
ALÌ Signor mio, qui ci conviene
lasciar presto queste scene,
che far mostra di coraggio
non darebbe alcun vantaggio.
FLORIANO Ah! Mi bruciano le mani! 110
ALÌ Ed a me?! Ma se quei cani
or ci rompono la testa,
padron bello, che ci resta
per finire la partita?
FLORIANO Hai ragione. Troppo bella 115
è la speme che mi invita,
troppo fulgida è la stella
che m’illumina la vita
perch’io possa rinunciare
a volerla conquistare.51 120
SCENA VII52
Esce MUSTAFÀ, seguito da un codazzo di SERVI a mezzo svestiti e armati nel modo più vario e
bizzarro, chi con randelli, chi con scope, chi con vecchie sciabole e con grossi fucili.
MUSTAFÀ Dando bruscamente gli ordini.
Tutti fuori uscite subito,
se qualcuno vedete muovere!
Come nell’estate grandine,
come in uragano fulmini,
frecce allora fate piovere, 125
bastonate fate scendere!
Botte! Giù senza pietà!
Per Allah!
Qual vittoria mai sarà!
La luna poco a poco si vela, e la scena è tutta al buio. 53
51 [A volerla conquistare] è un verso mancante in DB, ma presente sia in M, che in DA e PB. Per ragioni di completezza
sintattica e semantica è stato aggiunto.
52 L’indicazione di scena è assente sia in DB che in DA, ma è presente in M. Per ragioni di completezza è stata aggiunta.
53 La didascalia scenica di apertura è assente in DB e in DA, compare solamente in M: la scelta di inserirla qui nel testo
è dettata da un criterio di logica narrativa, poiché, dopo la precedente battuta, MUSTAFÀ è uscito di scena. La battuta di
18
CORO Adagino sorprendiamoli, 130
acciuffiamoli, scanniamoli,
sul terren scaraventiamoli,
tutti in briciole facciamoli!54
Io di qua… e tu di là…
Tu di là… e io di qua… 135
MUSTAFÀ Ricordate, per Allah!
Botte giù! Senza pietà!
Rientra stropicciandosi le mani.
Qual vittoria mai sarà!
Un momento di silenzio. Non vedendo più nulla, spinto dalla curiosità,
Mustafà esce fuori a vedere che succede; camminando circospetto si
dirige a sinistra della scena, dov’è il pozzo. I servi scorgendolo lo
scambiano per un nemico.
1. SERVO Sotto voce:
Guarda! Vedi presso il pozzo?
2. SERVO Sotto voce:
Pare un’ombra…
1. SERVO Sotto voce:
Con quel gozzo? 140
Pare un otre grosso e tozzo.
3. SERVO Dalla parte opposta, sotto voce:
Chi sarà quello nascosto?
4. SERVO C.s.:
Certo niun di noi fu posto
dietro al pozzo…
3. SERVO C.s.:
Ora l’appesto.
1. SERVO Più forte:
Pagherà quello per tutti! 145
3. SERVO C.s.:
Passerà momenti brutti!
Lo circondano, pian piano, poi d’un tratto, minacciosi,55 l’assalgono.
SERVI T’abbiam colto, ora birbone!
A te! Prendi!
MUSTAFÀ Ahimè! Furfanti!
Ah! Lasciatemi.
SERVI Il bastone non ti piace mascalzone? 150
Botte giù senza pietà!
Baccano indiavolato.
MUSTAFÀ Ahi! La pagherete cara!
Ahi le spalle! Ahi la mia testa!
SERVI Botte giù senza pietà!
Qual vittoria per Allah! 155
Ma il padrone ove sarà?
MUSTAFÀ è assente in DB, ma è presente in M, e con qualche variazione in DA e in L. Per ragioni di coerenza narrativa
si è preferito inserire la versione di M, la quale, al termine della battuta, reca anche la didascalia.
54 [tutti in briciole facciamoli] è un verso mancante in DB, ma presente sia in M, che in DA e PB.
55 Variante scelta da M, poiché in DB la didascalia presenta delle ridondanze: Lo circondano pian piano poi d’un tratto,
minacciosi lo circondano, l’assalgono.
19
MUSTAFÀ Profittando della piccola pausa per liberarsi un poco:
Ah! Che storia è mai questa?
Imbecilli, scimuniti,
Urlando:
Il padrone eccolo qua! 160
SERVI Sentendosi spaventati
Il padrone? È qua il padrone?
Ah noi miseri pietà!
Cosa mai succederà?
MUSTAFÀ Palpandosi:
Ohi! Ohi! Ohi!
La vedrete, in verità. 165
Per Allah!
Servi fuggono impauriti.
Mustafà li segue, un po’ minacciando col pugno, un po’
palpandosi, e gemendo:
Qual vittoria! Qual vittoria!
Disgraziato Mustafà!56
Sipario.
INTERMEZZO
CORO INTERNO Con l’ala sua bruna
la notte discende: 170
la pallida luna
sul Bosforo splende.
Un solco si stende
di vivida luce,
un ponte di stelle 175
che ai sogni conduce.
Divini, ineffabili
istanti ci attendono.
Deh! Vieni fanciulla!
Nel sogno fuggiam! 180
Il mare ci culla;
la notte ci vela;
il vento diffonde
profumi di fior.
56 DA, in relazione a questo luogo del testo, mostra un’incongruenza importante, che interessa le ultime sette battute della
scena e che è stata discussa approfonditamente nel capitolo 2. Di seguito i versi: M Ahimé furfanti! Ahi lasciatemi! – S Il
bastone non ti piace? Ho un pugnaletto che lardella a perfezione. – M Ahi! La pagherete cara! Basta, basta, per
Maometto. Basta, basta per Allah. (Urlando:) son Mahomed, il padrone! – (I servi arrestandosi un poco:) La sua voce
in verità… - M (Riprendendo fiato:) Imbecilli, scimuniti. Mascalzoni, sciagurati! Ah sarete ben premiati, ah sarete ben
serviti! (Palpandosi:) Ahi, ohi, ahi. Povero me! – S È il padrone. Gran mercè. Cosa mai succederà? (Fuggono spaventati.)
– M La vedrete, in verità. (Palpandosi:) Ohi ohi, sono conciato per le feste, son conciato! (Rientrando mormora fra sé
malinconicamente:) Che vittoria! Che vittoria! Che vittoria mai sarà… (Esce zoppicando). Per un quadro completo delle
diverse varianti presenti in DB, in M e in DA si confronti la tavola sinottica raccolta nell’Appendice (appendice 1.)
20
Le stelle han fulgor, 185
profumo hanno i fior;
e il core ha l’amor.57
57 L’Intermezzo in M presenta una strofa cassata [>Lontan dalle sponde / ci adducono l’onde / nel regno d’amor<]. In
PB le strofe 4 e 5 presentano delle modifiche sostanziali di forma, lunghezza e contenuto: Il mare ci culla, / la notte ci
vela, / Lontan dalle sponde / ci adducono l’onde. // Il vento diffonde / il canto del mar / le stelle han fulgor, / profumo
hanno i fior, / il core ha l’amor. In PB si osservano, quindi, la presenza di un verso assente sia da DB che da M e la
ricomposizione di sei versi di DB con due dei tre versi cassati da M.
21
ATTO SECONDO58
SCENA I
Entra MUSTAFÀ tutto bendato e zoppicante appoggiandosi a un bastone.
MUSTAFÀ Oh! Che povera vittoria!
Eh!59 Che dolorosa storia!
Uh! Il mio fianco! Ah! Le mie gambe!60 190
M’han conciato per la festa!
M’hanno rotto ben la testa!61
Ah! Che banda di briganti
che furfanti tutti quanti!
Ma la pagheranno cara.62 195
Chi è padrone si vedrà!
O non son più Mustafà.
Che disgrazia! Ahimè che guaio!
M’han picchiato,
m’han pestato 200
come chicco nel mortaio!
M’han battuto come il grano
sopra l’aia a mezz’agosto.
M’han schiacciato,
calpestato, 205
come l’uva per il mosto!
Ah! Che banda di briganti!
Che furfanti.
Seguita a girellare zoppicando e a gemere. A un certo punto si ferma e
si mette a chiamare irosamente:
Dania! Dania!
DANIA Dentro la scena:
Vengo!
Appare.
Eccomi. Bel gusto obbligarmi a questa levataccia proprio oggi che volete ch’io
posi per il ritratto da mandare all’eccellentissimo Pascià.
Fa una riverenza ironica.
Se gli occhi mi si chiuderanno e il mio viso sembrerà di cera molle, affar vostro,
e non venite63 poi a rimbrottarmi quando quelle tali famose combinazioni
andranno in fumo…
MUSTAFÀ Non mi far la pettegola adesso, greca del malaugurio! Già per causa tua
stanotte…
58 M: Quadro II (La stessa scena, al mattino). Per approfondimenti riguardo al problema della suddivisione in atti e quadri
si veda il capitolo 2. di questo lavoro.
59 M: Oh!
60 M: Ih! La mia testa!
61 [M’han rotto ben la testa] è un verso mancante in M.
62 DA e PB: Canaglie, furfanti tutti quanti! Ma la pagherete cara.
63 M: non mi state.
22
DANIA Maliziosamente:
Stanotte, già me lo diceste, avete combattuto come un leone.64
MUSTAFÀ Sicuro, e guai, guai chi si attentasse di affermare il contrario.
Si eccita e strepita con la voce grossa.
Gli….
Fa un movimento brusco che gli inacerbisce le ammaccature.
Ohi! Ohi! Ohi, povero me!
DANIA Ridendo:
Come siete ridotto, povero leone!
MUSTAFÀ Nuovamente furibondo:
E a te più che a tutti gli altri proibisco di riderne, vermiciattola! Anzi mi dirai
subito chi è che si permette di penetrare in casa mia, in casa mia? Dico, per
farti la serenata!
DANIA Sarà certamente una persona di buon gusto, e dovreste esserne fiero e profittare
dell’avventura65 presso il vostro Gran Pascià66: la sposa che vi offro è così bella
che…
MUSTAFÀ Non è il momento né il caso di scherzare, e non tollero che una schiava si faccia
innanzi a darmi consigli. Ma se credi che t’abbia comperata, allevata, curata
per restarmene con un pugno di mosche e vederti fuggire con un giaurro
qualunque, ti sbagli di grosso! Dopo tutto le mie attenzioni un po’ di
riconoscenza…
DANIA Sì, sì, sì, non v’arrabbiate!
Maliziosamente sorridendo:
Vi potreste ancora far dolere tutte quelle ammaccature…
MUSTAFÀ Ah le donne, le donne!
Rientra zoppicando, sulla soglia si volge e, alzando comicamente al
cielo le braccia e il bastone esclama:
Allah misericordioso! Soltanto alla vostra onnipotenza era dato far capire in
così piccolo cervello così tanta malignità.
Esce.
SCENA II
DANIA Sola.
Oh! Ineffabile Mustafà!
Si dirige verso il pozzo.
Bontà sua che non m’abbia addirittura rimproverata l’ingratitudine! Come
pretende67 la riconoscenza della gazzella catturata per il miglior offerente!
Attinge l’acqua al pozzo.68
64 Nel luogo del testo delimitato da [Eccomi. Bel gusto … avete combattuto come un leone] DA presenta una versione
incongruente rispetto a DB: in essa compaiono le indicazioni [Quadro II / La stessa scena che al mattino. / Mohamed
tutto bendato e zoppicante e Dania], incoerenti in relazione al testo che le precede, inoltre, al posto del nome di Mustafà,
si legge Mohamed. La parte di testo coinvolta è scritta su un unico foglio, probabilmente inserito in un secondo momento
nel fascicolo. Infine in esso si contano due ulteriori battute (una di MUSTAFÀ e una di DANIA), mentre le restanti battute
presentano delle varianti sostanziali di forma e contenuto rispetto a DB. Per un confronto delle diverse versioni si veda la
tavola sinottica allegata in appendice al lavoro (appendice 1).
65 M: sfruttare l’avventura.
66 [Gran Pascià] è variante scelta da M, poiché DB presenta la variante incompleta [Pascià].
67 M: pretendere.
68 M: Attinge l’acqua al pozzo e la versa nell’anfora […] Si accinge ad innaffiare i fiori che formano l’aiuola intorno al
pozzo stesso.
23
Povera Dania! E poveri fiori! Hanno sofferto anch’essi stanotte… Ah! Se
davvero potessi fuggire! Ah! Signore se fosse possibile!69 Purché non
accadesse anche a me come nella vecchia canzone, la leggenda di Leila-Dakar.
Sulla montagna che tocca il cielo,
e a cui le nubi sempre fan velo 210
c’è un gran palazzo tutto di gelo,
di marmo e di cristallo. Aha…
Ivi il crudele Sher-el-Nakir
Leila la bella fece rapir,
Leila flessuosa come una palma, 215
Leila viso di perla. Aha…
Dakar l’amante, Dakar lo sposo,
sul suo destriero70 balza impetuoso,71
a sé diniega cibo e riposo
finché l’abbia raggiunta. Aha… 220
Ahimè! Il crudele Shar-el-Nakir
dai72 suoi sicari li fa inseguir,73
nel gran Deserto voglion fuggir,
son, nel Deserto, uccisi! Aha…
Ma dove scorre lor sangue ardente, 225
prodigio! Sgorga fresca sorgente.
L’oasi più bella74 sorge repente,
l’Oasi Leila-Dakar. Aha…
MUSTAFÀ Uscito alle ultime parole della canzone.
Non hai di meglio che queste sciocche leggende da cantare? Però la tua voce
non è brutta e sarà bene coltivarla. Il Gran Pascià è molto amante della musica.
DANIA Interrompendolo.
Per quel che mi importa del vostro Gran Pascià…
SCENA III
ALÌ travestito da mercante cinese, entra con molti inchini.
MUSTAFÀ Dopo aver guardato un po’ tutti quei salamelecchi, e vedendo che non
smette:
Uffa! Basta con quelle cerimonie! Cosa volete?
ALÌ Onoratissimo signore: (col permesso della dama) vi dirò (col permesso della
dama) che vengo da voi (col permesso della dama) per pregarvi (col permesso
della dama) di volere (col permesso della dama)…
69 [Se davvero potessi fuggire! Ah! Signore se fosse possibile] è variante scelta da M, poiché DB è incompleta.
70 L: cavallo.
71 DA e PB: furioso.
72 DB presenta la variante dei, che viene qui sostituita dalla variante dai, presente in M e in DA.
73 DA: seguir.
74 DA: verde.
24
MUSTAFÀ Col permesso della dama passate un po’ da questa parte.
Si mette fra Dania e Alì.
ALÌ Magnifico signore, sono un virtuoso.
MUSATFÀ Me ne rallegro. Ma non ho nulla da dirvi.
ALÌ Non è questo che chiedo alla grazia vostra. Signore magnifico. Siccome mi
intendo un pochino di musica, ho istruito nel canto e nella danza alcuni bambini
e alcune schiave che vorrebbero trovare un padrone, cui queste cose
interessino. Siccome so che siete una persona ornata di tanti meriti…
Inchino.
Vorrei pregarvi di vederli ed udirli per comperarli, se vi piacessero, o per
indicarmi qualche amico vostro che li volesse acquistare.
DANIA Battendo le mani:75
Benissimo, benissimo! Vediamoli presto! Se non altro ci divertiranno un poco!
ALÌ Senza attendere altro si ritira a chiamare le schiave.76
MUSTAFÀ A Dania:
Vorrei sapere chi ti insegna a dar ordini in mia voce!
Entra danzando un gruppo di moretti.
DANIA Come sono carini!
Danza dei moretti.
Come ballano bene!
MUSTAFÀ Non c’è male… Ma i bambini77 mi interessano poco.
Ad Ali:
Non parlavate78 di schiave?
ALÌ Eccole, onoratissimo signore.
Entrano le schiave.
Danza delle schiave.
MUSTAFÀ Lisciandosi la barba:
Sì belloccie, belloccie!
DANIA Che bellezza! Che bravura.
Le schiave la circondano e parlano fra loro.
ALÌ L’onoratissimo signore è contento? Il Cinese ha buon naso?
MUSTAFÀ Sì non c’è male. Ne vedo qualcuna che non mi spiacerebbe79, ma non è proprio
il momento di caricarmi di altre donne…. Ne ho fin d’avanzo! Più tardi
vedremo. Quanto al tuo naso non so se sia buono, ma è lungo certamente!
Ride a crepapelle soddisfatto del suo spirito.
ALÌ Con un inchino:
Allora… Non per ficcare il mio povero e lungo naso nei vostri eccelsi affari,
onoratissimo signore, ma dovreste80 far subito la vostra scelta, per non farmi
poi la concorrenza, rimanendo pur voi… Con un palmo di naso.
MUSTAFÀ Che intendi dire?
ALÌ Potrei vendere altrove quella che vi piace e…
con un’occhiata a Dania
Se la vostra Dama vi piantasse come a lume di naso mi pare…
75 M: battendo le mani infantilmente.
76 M: Senz’attendere altro s’inchina ed esce a chiamare le schiave.
77 M: bimbi.
78 M: Parlavate.
79 M: dispiacerebbe.
80 M: dovete.
25
MUSTAFÀ Cinese maledetto! Sai cosa pare a me? Che coi tuoi nasi tu mi voglia prendere
in giro. Ma bada che non mi salti la mosca…81
ALÌ Umilmente:
La mosca al naso?
MUSTAFÀ Sbuffa con gesto furibondo.82
ALÌ Non sia mai detto, onoratissimo signore; io sono il più umile dei vostri servi e
mai non mi attenterei di menarvi per il naso…
Profondo inchino.
DANIA Ridendo:
Bravo cinese! Non ti manca lo spirito! Che altro sai fare?
ALÌ So cantare.
MUSTAFÀ Canta allora, e non dire altre sciocchezze.
ALÌ Agli ordini vostri; Chiribiri Mustafà.
MUSTAFÀ Scattando:
Che dici?!
ALÌ Il titolo di una canzone bellissima, all’ultima moda cinese. Magnifica signore
e voi leggiadrissima dama, udite:
Chiribiri Mustafà
Fa cenno alle schiave di accompagnarlo coi tamburelli.
Rivolto a Dania:
Ogni dove ardente core
la sua bella vuol seguir, 230
vuol parlarle del suo amore
mane e sera.
Ma la bella è prigioniera.
Egli geme a tutte l’ore
né può dirle il suo martir. 235
Volgendosi con uno sberluffo a Mustafà:
Chiribiri Mustafà,
cin-cinese è qua.83
Non aver danara,
ti voler comprara?
Ti pagar per mi 240
mi servir a ti.84
CORO Chiribiri Mustafà ecc.
ALÌ Rivolgendosi nuovamente a Dania:85
È un tormento senza pace
che consuma l’agro cor.
Se sapesse almen che piace 245
all’amata
la sua pena appassionata,
ei sarebbe allor capace
81 M: bada che non mi salti…
82 M: furioso.
83 DA: stare stare bon turcà.
84 M presenta alcuni versi ulteriori, che completano la strofa, assenti da DB: Fa bona cucina, / mi levar mattina, / far
bollir caldara. / Parlara, parlara, / ti voler comprara?
85 M: Fa alcuni buffi passi di danza, poi si rivolge nuovamente a Dania.
26
di sfidar ogni dolor!
A Mustafà con un inchino burlesco
Chiribiri Mustafà, 250
cin-cinese è qua.
Non aver denara,
ti voler comprara?86
CORO Idem.
ALÌ A Dania:
È un tormento senza pace…
MUSTAFÀ Caricando:
Senza pace…. 255
Sai tu, caro mio,87
che questa canzone
sente, affeddiddio,88
di colpi di bastone?
Chiribiri Mustafà, 260
mi non ti comprerà
ma ti bastonerà!
Ingrossando la voce:
Cin-cinese via di qua,
via di qua, via di qua,
altrimenti si vedrà 265
chi le piglia e chi le da’!
I ballerini fuggono danzando.
Sipario.
86 [Chiribiri Mustafà, / cin-cinese è qua. / Non aver danara, / ti voler comprara?] è variante scelta da M, poiché DB
presenta l’indicazione [ecc.].
87 M: bellimbusto.
88 M: parmi abbia gran gusto.
27
ATTO TERZO89
SCENA I
Interno alla casa di Mustafà. Una sala. DANIA seduta su un divano si fa vento, circondata da altre
giovani SCHIAVE. Tutte insieme cantano.
SCHIAVE Quando tramonta il sole
il cielo è come un mare,
un mare di corallo.
Vi stanno a navigare 270
con vele d’oro giallo
gran navi90 di viole.
Il cielo è come un mare
quando tramonta il sole.
Quando tramonta il sole 275
il cuore è come un mare,
un mar di nostalgia.
Vi stanno a navigare
con vele di poesia91
sogni senza parole. 280
Il cuore è come un mare
quando tramonta il sole.
DANIA Quanto mi piace questa canzone! Anche il mio cuore è come un mare pieno di
sogni…
1. SCHIAVA Sfido, fortunata Dania! Sarai la sposa di un Pascià! Noi invece, poverette,
chissà a quale sorte e a qual padrone siamo riserbate!92
DANIA Non invidiatemi! Se sapeste come vi cederei volentieri il Pascià con la sua
ricchezza e il suo fasto, se fosse in mio potere di farlo! Il mio sogno è ben
diverso.
3. SCHIAVA Oh! Raccontacelo!
DANIA Non posso. È il mio segreto.
TUTTE Oh! Oh! Dania ha un segreto!
DANIA E chi non ne ha? Guardate bene in fondo al vostro cuore: non c’è una
malinconia, un sogno,93 una speranza che non confessate forse neppure a voi
stesse?
ALCUNE SCHIAVE È vero…
89 In DB l’inizio dell’atto è indicato con [ATTO SECONDO]. M, poiché testimonia una fase della composizione in cui la
commedia è diviso in due atti, presenta in questo luogo l’indicazione [ATTO II]. Mentre in DA l’atto nuovo è indicato
con la cifra romana [III]. Con lo scopo di rendere coerente la numerazione degli atti si è scelto di correggere l’indicazione
errata. Per maggiori approfondimenti riguardo al problema della strutturazione in atti si veda «Parte Prima – Un percorso
filologico attraverso il testo librettistico».
90 L: paranze.
91 DA, PB, M e L: malia.
92 M: serbate.
93 M: un desiderio.
28
2. SCHIAVA Oh! Io non ho malinconie né sogni né segreti!94 Desideri sì! Vorrei uno sposo
ricco, che mi desse tanti gioielli, tanti profumi, tanti dolci, e mi lasciasse tutto
il giorno a fumare senza far nulla!
DANIA Uh! Pigrona!
2. SCHIAVA Chi lo dice! Non stai forse in ozio tutto il giorno? Mustafà teme che il lavoro ti
sciupi le mani, e per la Favorita di un Pascià…
DANIA Finitela anche voi, con quel Pascià! Tutto il giorno mi si canta la stessa solfa!
Come se quel nome non mi fosse odioso abbastanza!
3. SCHIAVA Eh! Come ti riscaldi!
1. SCHIAVA Che dovremmo dir noi allora? La nostra sorte non è peggiore della tua?
4. SCHIAVA Tu, nella casa sei libera di andare e venire; hai le più belli vesti, i più gustosi
manicaretti, 95 gli unguenti più odorosi. Sai che più tardi sarai onorata…
DANIA Io non so nulla. Potrebbe darsi anche96 che il Pascià non mi comperi, e allora?
Sarebbe forse il vostro turno!
2. SCHIAVA Allah lo volesse! Non faremmo certo le schizzinose come Dania, è vero?
LE ALTRE Ridendo:
No certo!97
MUSTAFÀ Entrando:
Che fate qui, cicale che non siete altro? È così che accudite alle vostre
mansioni? Per la barba di Maometto, pettegole, vi farò cantar io! E tu, Dania,
che fai ancora con codesti abiti?
Mentre le schiave salutano e se ne vanno:
Quante volte devo ripeterti che a momenti sarà qui il pittore? E che non si può
far aspettare una celebrità di quella sorta?
DANIA Alzandosi di malavoglia:
Vado signore.
MUSTAFÀ Richiamandola:
Metterai le perle che ti ho comperato ieri, mi raccomando! Sono finte ma in
pittura tanto fa…
DANIA Va bene, signore.
Si avvia di nuovo.
MUSTAFÀ Richiamandola ancora:
E… che vestito?
DANIA Ci penserò, signore.
MUSTAFÀ Signore, signore, signore. E non lo sai ancora! L’ho sempre detto io che questa
donna mi farà impazzire, e non vedo l’ora di liberarmene! Basta, verrò io a
vedere! Hai capito che devi figurare bene, sì o no?
Escono insieme.
SCENA II
Entrano FLORIANO ed ALÌ con due servi recanti l’occorrente per dipingere. Sono preceduti da un
SERVO di Mustafà.98
94 M: io non ho malinconie né segreti.
95 [i più gustosi manicaretti] è una variante presente soltanto in M, inserita qui poiché, in questo modo, l’affermazione
della 4. SCHIAVA riprende gli stessi elementi citati dalla 2. SCHIAVA [Vorrei uno sposo ricco … a fumare senza far
nulla.
96 M: essere.
97 M: Mah! Certo no!
98 Didascalia assente in DB, ma presente in M. Per ragioni di completezza e coerenza si è scelto di aggiungerla al testo.
29
IL SERVO Annunziando:
L’illustre pittore…
Si accorge che non c’è nessuno.
Ah! L’eccellentissimo Mustafà era qui… Non c’è più… Vado a cercarlo…
Esce.
FLORIANO Non potevo davvero trovare un’occasione più bella! Con la lettera di Damone
e con quel99 po’ di conoscenza della pittura che ho acquistato100 a Venezia,
tutto andrà bene… Almeno per la prima volta!
ALÌ Speriamo che basti e si riesca!
FLORIANO Quello che mi preoccupa è l’implacabile sorveglianza di Mustafà.
ALÌ Quel cocomero!
FLORIANO Come parlare alla bella Dania e spiegarle il nostro stratagemma?
ALÌ Lasciate fare a me e saprò trovare il modo di intrattenere il vecchio. Non sarà
mai detto che in questa faccenda il fedele Alì non sia riuscito a nulla. Vado a
prepararmi.
Esce.
SCENA III
MUSTAFÀ Che cercate cavaliere, in questa casa?
FLORIANO Cerco l’illustre Mustafà.
MUSTAFÀ Inutile allora cercare. Eccolo qui davanti a voi.
FLORIANO Con un profondo inchino.
Vogliano allora i suoi occhi degnar il percorrere questa lettera.
MUSTAFÀ Leggendo:
Vi mando in vece mia per il noto ritratto, questo gentiluomo veneziano che,
dietro mia preghiera ha accettato di incaricarsene, essendo io infermo. Egli è
incontestabilmente il più felice ritrattista del mondo, e certo non potrei meglio
servirvi che affidandogli questo importante lavoro. Egli saprà far rifulgere sulla
tela tutta la bellezza dell’affascinante modello, e il grande Pascià vi sarà grato
di una tale opera d’arte. Ma guardatevi bene dal parlare di alcuna ricompensa
al nostro artista, perché certamente se ne offenderebbe: è uomo che lavora
solamente per la gloria e per l’amore dell’arte.
A Floriano:
Come dice il vostro proverbio? “Veneziani, gran Signori”. Mi fate davvero una
grazia insigne e ve ne sono molto obbligato.
Inchino.
FLORIANO È mia ambizione servire persone101 di illustre merito, qual è il mio amico
Damone e quale siete voi.
Inchino.
MUSTAFÀ Farò immediatamente venire la giovane che ci interessa.
Fa un cenno al servo.
SCENA IV
Entra DANIA riccamente abbigliata. Floriano la contempla estatico.
99 M: e quel.
100 M: acquistata.
101 M: le persone.
30
MUSTAFÀ A Dania:
Ecco il gentiluomo inviato da Damone perché eseguisca in sua vece il ritratto.
A Floriano, che fa un lungo baciamano a Dania:
Olà, signor veneziano, che modo di salutare è questo?
FLORIANO Signor mio, è il modo che si usa a Venezia.
MUSTAFÀ Il modo di Venezia tenetelo per le vostre donne, ma per le nostre è troppo
confidenziale e non mi garba.
DANIA A Floriano, sorridendogli:
Ma garba a me, signore, e vi assicuro che sono molto onorata. Non sapevo che
avrei avuto un pittore così illustre!
FLORIANO Chi non ambirebbe poter fare un simile ritratto? La mia abilità non è grande,
ma il soggetto è così ricco di bellezza, che dovrà uscirne un lavoro degno
dell’originale.
DANIA L’originale è poca cosa; ma l’abilità dell’artista saprà valerne i difetti.
FLORIANO Canta:
L’artista in voi difetto alcun non vede,
e dell’opera sua degna mercede
sarà di poter pingere, perfetto 285
quale il cielo lo fece, il vostro aspetto.
DANIA Con civetteria.
Signore, se sarà questo102 pennello
al pari del103 linguaggio104 adulatore
mi farete un ritratto tanto bello105
che più nessuno mi conoscerà! 290
FLORIANO Dania, soave e bella senza uguale
opra perfetta in voi compì natura
e impossibile rese a me mortale
il potervi adulare.106
DANIA Signor se quanto dite fosse vero, 295
degna dell’arte vostra inver sarei.
Ma il vostro dire è tanto lusinghiero,
che darvi troppo trotto non vorrei.107
MUSTAFÀ Che da un pezzo sbuffa.
Adesso poi, basta coi complimenti, per Allah! Mettiamoci al lavoro, ser pittore,
o questo quadro mai si finirà.108
FLORIANO Ai servi:
Disponete ogni cosa.
102 L: se sarete col.
103 L: come con il.
104 M: ritratto.
105 In DB manca il vocabolo [bello] al termine del verso, esso è tuttavia presente in M e in DA.
106 DA: La natura compiendo, Dania, in voi / opra di bellezza senza eguale, / impossibile rende a me mortale / il potervi
adulare. Variante che corrisponde a una variante cassata in M.
107 [Signor … non vorrei] è una battuta assente in M e in DA. In PB è presente una versione con qualche variante di forma:
Signor se quanto dite fosse vero / dell’arte vostra inver degna sarei. / Parlate in modo tanto lusinghiero, / che darvi
troppo torto non saprei.
108 In PB compare una variante della battuta: Adesso basta coi complimenti / mettiamoci al lavoro signor pittore / o questo
quadro mai si finirà.
31
Mentre i servi eseguiscono, Floriano si avvicina ancora a Dania.
Mustafà sbuffa.
DANIA Dove devo mettermi?
FLORIANO La conduce verso il divano.
Ecco, qui. È il punto dove la luce è migliore per l’effetto che vorrei
raggiungere.
DANIA Sedendo:
Va bene così?
FLORIANO Va bene.109
Si allontana per osservare l’effetto, poi si riavvicina.
Il corpo un po’ piegato
A destra, leggermente. 300
Il braccio abbandonato.
Sul grembo, mollemente.
MUSTAFÀ A Dania:
Per Maometto, non sapreste fare
da sola i cambiamenti della posa?
Lo fate inutilmente faticare, 305
e vi mostrate sciocca e neghittosa.
DANIA A Mustafà:
Che volete è per me una cosa110
d’una tale novità…
A Floriano:
Il signor di me disponga
come meglio crederà.111 310
Dopo un tenero sguardo abbassa gli occhi arrossendo.
FLORIANO Giubilante si appressa al cavalletto.
Sì, va tutto a meraviglia.
Con dolcezza:
Sol dovreste112 un po’113 rialzare
verso me le belle ciglia….
DANIA Sorridendo eseguisce.
FLORIANO Approva con un cenno del capo.
Or possiamo incominciare.114
Sospiro di sollievo di Mustafà.
Il posare non è cosa facile come comunemente si crede, e la scelta
dell’atteggiamento e delle luci ha un’importanza enorme per la riuscita del
quadro.
MUSTAFÀ Certo, certo.
FLORIANO Chi posa deve interpretare con finezza le intenzioni del artista, perché un
cattivo modello è assai più dannoso che un cattivo pennello.115
109 PB: va bene, sì.
110 M: è per me cosa.
111 DA, PB e M: gli parrà.
112 M: dovete.
113 [un po’] è variante assente in DB, ma presente in DA e in M. Per ragioni di correttezza metrica è stata accolta la
variante di M e di DA.
114 M: cominciare.
115 DA: perché un cattivo modello è assai di maggior danno che un pessimo pennello. PB: perché un cattivo modello
guasta più che un cattivo pennello.
32
MUSTAFÀ Certo, certo.116
DANIA Cantando:117
Io non sono una di quelle 315
vanitose scioccherelle,
che vorrebbero vedersi
più del sole chiare e belle.
E se il povero pittore
non le finge uno118 splendore, 320
di bellezza senz’eguale,
entran subito in furore.
FLORIANO Ridendo:
Voglion tutte istesse cose,
carnagion di latte e rose,
una bocca piccolina, 325
due pupille luminose
come stelle in notte oscura.119
MUSTAFÀ Ridendo:
Quando l’occhio è da babbeo!120
FLORIANO Assentendo col capo.
Un visino da cameo,
anche se l’originale… 330
MUSTAFÀ … Assomiglia ad un cinghiale!
Ride.
DANIA Un ritratto sol par tutte
Ben sarebbe gran ventura!
FLORIANO Tal ritratto in fede mia
di voi degno non saria! 335
È la bellezza vostra senza pari,
come fiore bizzarro e prodigioso;
ha un fascino sottil, misterioso,
che nessun’altra in terra può vantare.
Vedendo che Mustafà ricomincia a sbuffare, si riprende e dice rivolto
a lui, con aria più professionale:
Non è bellezza fatta ad esemplari… 340
MUSTAFÀ Beffardo:
Il naso infatti è grosso non c’è male,
mi par!
FLORIANO Scuote il capo.
DANIA Ride.
FLORIANO Lessi non so più dove in pergamena antica,
ch’ebbe Alessandro il Grande una splendida amica,
116 In PB le precedenti quattro battute [Or possiamo cominciare … Certo, certo.] presentano delle abbreviazioni,
funzionali all’andamento ritmico della musica: F Il posare non è cosa facile – M Certo certo – F Un cattivo modello
guasta più che un cattivo pennello – M Certo certo.
117 Didascalia assente da DB e in M, presente tuttavia in DA. Per ragioni di completezza è stata aggiunta al testo.
118 DA e PB: pinge con.
119 Il verso finale della battuta di FLORIANO è incompleto in DB [come in notte oscura]. Si riporta qui la variante di M,
che corrisponde a DA e PB.
120 DA: quando l’occhio è di babbeo.
33
una giovine schiava di Tessaglia.
“Pingi, -egli disse- Apollo,121 pittore unico al mondo, 345
questa beltà divina che nulla al mondo122 eguaglia!”
Obbedì Apollo123, e presto in quell’occhio profondo
smarrì l’anima e il cuore e sì perdutamente
s’innamorò, che pallido e languente
ne fu presso a morir. Gemea la bella… 350
Ed il Grande Alessandro, punto il cuore
di pietà per quel disperato amore,
l’oggetto dei suoi voti gli concesse.124
A Mustafà
E se tale mercé vi si chiedesse?125
MUSTAFÀ Con buffa cadenza:
Vi direi che Alessandro, ahimè non sono! 355
Guarda il ritratto.
Ne voi, da quanto vedo,126 siete Apollo!127
Forse potreste fare opre più belle
Se chiacchieraste meno.
FLORIANO Ah! No, signore!
S’io parlo è per tener di buon umore,
vivace d’espressione, il mio modello. 360
E quanto a giudicar di brutto e bello128
aspettiamo che l’opra sia finita!
DANIA È ver!
MUSTAFÀ Se continuiam di questo passo
ci sarà da aspettar tutta la vita.
SCENA V
Entra ALÌ, travestito da ufficiale turco.
MUSTAFÀ Seccato.
Ma cosa vuole adesso costui?
Ad Alì:
Chi vi insegna ad entrare senz’esservi invitato?
ALÌ Se entro qui liberamente, tra noi questa libertà è pur lecita, poiché certo mi
conoscete.
MUSTAFÀ Vi ingannate, signor mio, non vi conosco affatto.
ALÌ Possibile? Allora sappiate che io sono…
121 L: Apelle.
122 PB: al mondo nulla.
123 L: Apelle.
124 M, DA e PB: concede.
125 M, DA e PB: e s’io chiedessi a voi tal mercede?
126 DA: pare. PB: parmi.
127 L: Apelle.
128 DA: del brutto e del bello.
34
Con grande prosopopea:129
Maruk-Mahomed-Ibrahim-Serwar Pascià! La storia ha già esaltato le mie gesta
e quelle dei miei grandi antenati!
MUSTAFÀ Si stringe nelle spalle, poi, brusco:
E cosa desiderate?
ALÌ Un consiglio. So che nessuno è meglio qualificato di voi, per la luminosa
saggezza che vi distingue. Ma si tratta di cosa delicata. Se non vi spiace,
eccellentissimo signore, tiriamoci un poco in disparte.
Eseguisce.
MUSTAFÀ Eccoci abbastanza lontani, spero.
Si volge a guardare.
FLORIANO Sorpreso a parlar paino a Dania:
Osservavo da vicino la tinta degli occhi…
ALÌ Tirando Mustafà per allontanarlo maggiormente:
Figuratevi che ho ricevuto uno schiaffo! Voi dovete sapere cosa significa uno
schiaffo quando è dato a mano aperta proprio in mezzo alle guance,130 così!
Eseguisce.
MUSTAFÀ Ohi! Badate a quel che fate, mascalzone!
ALÌ Oh, non volevo offendervi! Era per spiegarvi…
MUSTAFÀ Spiegatevi a parole che sarà meglio.
ALÌ Dunque capirete come uno schiaffo simile mi sia sceso dalle guance al cuore,131
accendendolo di implacabile ira. Ma sono incerto se, per vendicare l’offesa, mi
convenga meglio affrontare il nemico in duello oppure farlo assassinare.
MUSTAFÀ In generale assassinare mi par più sicuro e più spiccio. Chi è il vostro nemico?
ALÌ Sst! Per carità! Parlate piano!
Lo trascina, parlando, fuori dalle quinte.
FLORIANO Posa i pennelli e si inginocchia ai piedi di Dania.
Bella Dania, finalmente 365
un istante soli siamo!
Posso dirvi alfin che v’amo132
Pazzamente!
DANIA Commossa:
Dite il vero?
FLORIANO Nol sentite?
Accendendosi:
L’ideal per me sei tu!133 370
Per un bacio tuo darei
mille vite!
DANIA Teneramente:
Troppo, troppo!134 A me basta solo135 una,
ma per me! Sol per me!
FLORIANO Appassionatamente:
129 M: importanza.
130 M: alla guancia.
131 M: Dunque, capirete come un simile schiaffo mi abbia bruciato le guance, e come il bruciore mi sia sceso dalle guance
al cuore.
132 L: t’amo.
133 M: tu sei! DA e PB: tu sei, tu sola.
134 M: Mille?! DA e PB: troppe.
135 M: pur.
35
Sol per te! Di quanto sono, 375
Dania dolce ti fo’ dono,
e nessuna
cosa l’alma più desia
che appagar il tuo desir136
dolcezza mia 380
dimmi sol che m’ami!
DANIA Con slancio:
T’ama l’alma mia!137
FLORIANO Oh! Dolcezza! Oh! Incanto!
DANIA Oh dolcezza! Oh! Incanto!138
Folle ebbrezza! M’ami tanto? 385
FLORIANO T’amo tanto!
DANIA …tanto! Guardami gli occhi e ripeti!
FLORIANO T’amo!
DANIA Ancora!
FLORIANO T’amo! 390
DANIA Col tuo sguardo, col tuo canto,
m’hai ravvolta in un incanto.
Nella mesta prigionia
per te solo vive139 il core;
per te soltanto la vita mia 395
ancor s’infiora di speme140 e d’amor.
FLORIANO Insiem fuggirem questi lidi.141
Alla mia patria bella e luminosa
ti condurrò mia sposa.
DANIA Tua sposa! 400
FLORIANO Per sempre sei mia!142
DANIA Ah! Per sempre!
Col tuo sguardo, col tuo canto,
m’hai ravvolta in un incanto.
Nella mesta prigionia 405
per te solo visse il cor,
per te soltanto la vita mia
ancor s’infiora di speme, d’amor!
FLORIANO T’involerò da questa prigionia,
alla mia patria bella e luminosa 410
136 DA e PB: ogni tua brama.
137 In DA mancano le battute che completano il duetto. La dichiarazione degli affetti termina con una battuta di DANIA:
l’alma, l’alma mia oh dolcezza oh incanto! / Col tuo sguardo, col tuo canto / m’ai ravvolta in un incanto, / nella mesta
prigionia / per te solo vive il core. Per te soltanto la vita mia / ancor s’infiora di speme, d’amore.
138 M: il duetto di DANIA e FLORIANO è composto da uno scambio di battute caratterizzato da alcune variante di forma
e contenuto, che si differenziano da DB: D Incanto! Dolcezza! /Folle ebrezza – F M’ami tanto? – D T’amo tanto. / Col
tuo sguardo, col tuo canto / M’hai ravvolta in un incanto. / Nella mesta prigionia / Per te solo visse il core; / per te
soltanto / la vita mia / ancor s’infiora di speme e d’amore. – F Insieme fuggiamo questi lidi / alla mia patria bella e
luminosa / ti condurrò, mia sposa. – D Tua sposa! – F Per sempre mia. – D Per sempre! (D’un tratto come svegliandosi:
parlato) Ma come, ahimè, potremo sfuggire a Mustafà? – F Ascolta, amore (parlano piano).
139 PB e M: visse.
140 PB: luce.
141 PB: t’involerò da questa prigionia.
142 In PB lo scambio di battute è più corposo: D Tua sposa? – F Mia sposa! – D Per sempre? – F Per sempre.
36
ti condurrò, mia sposa!143
DANIA Ma come, ahimè, potremo sfuggire a Mustafà?
FLORIANO Ascolta, amore.
Parlano piano.
MUSTAFÀ Ancora tra le quinte:
Ecco il parer mio; adesso vi saluto.
ALÌ Cercando tuttavia di trattenerlo e ponendosi in modo di nascondergli
Floriano e Dania
Il vostro consiglio è davvero prezioso!144 Quando riceverete degli schiaffi,
servitor vostro! Vi renderò la pari col mio consiglio.
MUSTAFÀ Vi lascio andare senza accompagnarvi: tra noi questa libertà è permessa.
Alì esce.145
FLORIANO A Dania:
Nulla potrà più separarci.
Vedendo che Mustafà l’osserva:
Guardavo questa fossetta che ha sul mento e che dapprima mi era parsa una
macchiolina. Ma per oggi basta. Finiremo un’altra volta.
A Mustafà, che vuol vedere il ritratto:
No, non guardate ancora!
Ai servi:
Portate via tutto!
A Dania:
Vi prego, graziosissima, state serena, non perdete146 coraggio, e così
condurremo a buon fine quello che abbiamo cominciato.
DANIA Non temete, sto di buon animo.
MUSTAFÀ E quando finirete il ritratto?
FLORIANO Avrete prima d’allora mie notizie.
S’inchina profondamente ed esce.
SCENA VI
DANIA Che ne dite? Questo pittore è davvero una persona straordinaria. Bisogna
riconoscere che i veneziani hanno una gentilezza, una genialità superiore a
quella degli altri popoli.
MUSTAFÀ Mi sembra che abbiano specialmente una sfacciataggine superiore.
Sbuffa.
DANIA Che dite? Sanno così bene rendersi accetti!
MUSTAFÀ Alle donne, concedo! Ma quanto agli uomini, ti assicuro che accade l’opposto
e per conto mio, li manderei tutti a mille diavoli, cominciando dal tuo famoso
pittore!
SCENA VII
143 In PB, in luogo delle ultime due battute di DANIA e FLORIANO, vi è uno scambio più denso di battute, più brevi e
più concise: D Con te solo visse il core, per te solo ogni gioia, ogni dolore ha il tuo nome, amore. Ogni respiro ogni
palpito del cor vien da te soltanto. Per sempre tua. – F Per sempre tuo. – D Dimmi per sempre. – F Per sempre – D e F
Per sempre.
144 M: Il vostro consiglio è davvero più prezioso che il fuoco d’inverno, che la pioggia d’estate! (Inchino.)
145 M: Exit Alì.
146 M: perdetevi di.
37
Entra affannosamente ZAIDA.
ZAIDA Si getta ai piedi di Mustafà e gli si attacca alle vesti.
Signore, signore buono, salvatemi, per l’amore di Allah!
MUSTAFÀ Ma chi è costei? Oggi mi succedono tutte! Cosa c’è ancora?
ZAIDA Con voce e gesti di terrore:147
Salvatemi signore, da un marito geloso che mi perseguita e mi vuole uccidere!
La sua gelosia è frenetica e sorpassa ogni immaginazione. Egli esige che mi
copra perfino gli occhi, e per avermi scorta col viso leggermente scoperto, ha
sguainata la spada, mi ha inseguita e ridotta a rifugiarmi qua148 e ad invocare
la vostra protezione. Ahimè, che lo sento venire! Ah! Per carità, per pietà,
signore, salvatemi!
MUSTAFÀ A Dania:
Conducila nelle tue stanze.
A Zaida:
Non temere149 nulla.
SCENA VIII
Entra, con la spada sguainata, FLORIANO.
MUSTAFÀ Come, siete voi, il marito geloso?
FLORIANO Dov’è, quella sciagurata?
MUSTAFÀ Un veneziano geloso come un turco?!
FLORIANO I veneziani sanno fare di tutto, e quando vogliono esser gelosi, lo sono venti
volte meglio di un turco.
MUSTAFÀ Caspita! Dite davvero?
FLORIANO Non cercate di tergiversare: l’infame crede di aver trovato qui un rifugio sicuro,
ma voi siete troppo ragionevole per opporvi al mio risentimento. Lasciate
dunque che la tratti come si merita.
MUSTAFÀ Che diavolo! Fermatevi! L’offesa è troppo piccola per un’ira così grande!
FLORIANO L’importanza dell’offesa non sta nell’entità della cosa in sé stessa,150 ma
nell’ordine trasgredito. La disobbedienza che irride ai miei divieti aggrava
qualsiasi piccolezza.
MUSTAFÀ Dal modo in cui la donna parlava, posso accertarvi che sbagliò senza malizia e
per pura dimenticanza.
FLORIANO Come? Pigliate151 la sua parte contro di me?
MUSTAFÀ Senz’altro. E se desiderate essermi grato, dimenticate la vostra collera e
riconciliatevi con lei. È una grazia che vi domando.
FLORIANO In questo caso…
Gesto significativo.
Non posso rifiutare. La vostra saggezza, poi è lodata da tutti: farò come mi
consigliate.
MUSTAFÀ Avvicinandosi a Zaida nascosta:
147 [voce] è variante assente in DB: è scelta da M, a completare la frase.
148 M: qui.
149 M: temete.
150 M: L’entità dell’offesa non sta nell’importanza della cosa in sé stessa.
151 [Pigliate] è variante scelta da M, poiché DB presenta un’incongruenza lessicale: parlate.
38
Venite, venite pure senza timore. Ho fatto la pace per voi. Le belle che si
rivolgono a me ottengono sempre tutto quanto desiderano.
ZAIDA La riconoscenza che vi debbo è infinita, signore. Ma lasciate che io vada a
riprendere il mio velo, perché non oserei ricomparirgli dinanzi così.
Succederebbe un vero pandemonio.
MUSTAFÀ Riavvicinandosi a Floriano:
Eccola che sta per venire. Se aveste visto come appariva felice quando le dissi
che tutto era accomodato!
SCENA IX
Entra DANIA avvolta tutta nel velo di Zaida.
MUSTAFÀ Poiché avete dimenticato il vostro risentimento, ser Pittore, fate la pace qui
davanti a me. Datevi la mano e promettete di vivere d’ora innanzi nella più
perfetta unione!
FLORIANO Per la grande amicizia che ci lega…
Con enfasi:
Vi prometto, eccellentissimo Mustafà, che vivrò con lei d’amore e d’accordo!
MUSTAFÀ Trattatela bene, caro pittore.
FLORIANO La tratterò il meglio che mi sarà possibile, ve l’assicuro!
Escono.
MUSTAFÀ Ah! Ah! Ah!
Ride di gusto.
Guardate un po’ quel pittore! Cosa ne dirà Dania? Temevo quasi che se ne
innamorasse, ma così tutto è accomodato. Dania! Dania! Dania!
Cercando Dania trova Zaida.
SCENA X
MUSTAFÀ A Zaida:
Come?! Siete ancora qui? Cosa vuol dire?
ZAIDA Senza velo:
Vuol dire che un venditore di schiave è odiato da tutti, e che tutti sono contenti
di nuocergli. Vuol dire che Dania è fuggita col cavaliere che l’ama, per essere
sua sposa. Vuol dire che siete gabbato, e gabbato coi fiocchi!
Fugge via ridendo.
MUSTAFÀ Con furia sempre crescente:
A me un tale affronto? A me, Mustafà? Ma chiederò giustizia e la vedremo!
Cane miscredente! Ti farò impalare, per la barba di Maometto! Ti farò
impalare!
Chiamando a gran voce:
Omar! Talete! Ibrahim! Servi! Schiavi! Qui subito!
I servi accorrono urtandosi.
Se volete che rimetta i castighi promossi alla vostra scempiaggine di stanotte,
dovete, ora, fulmineamente, raggiungere Dania e il pittore fuggitivi, e
portarmeli qui, vivi o morti. Via!
SERVI Dopo essersi inchinati all’ordine, secondo l’usanza orientale, fuggono
poi come frecce per adempierlo.
39
MUSTAFÀ Si butta a sedere sul divano, e tira boccate furiose dalla sua lunga pipa.
Poi, sempre irosamente sbuffando, fumando e ruggendo, fa alcuni giri
per la stanza ed esce.
SCENA XI
Per un istante la scena resta vuota. Poi, preceduto da MUSTAFÀ, che ha messo una maschera
d’esequie sulla sua rabbia, senza tuttavia completamente celarla, entra il gran PASCIÀ.
MUSTAFÀ Con profondi inchini.
Eccellenza, degnatevi di entrare nella mia modesta abitazione.
PASCIÀ Ridendo e battendogli sulle spalle:
Modesta, mi pare che diventi davvero: non ho incontrato manco l’ombra di un
servo. Che ne avete fatto! Li avete mangiati tutti?
MUSTAFÀ Ah! Se l’eccellenza vostra sapesse! Ho una grande grazia da chiederle…
PASCIÀ Anch’io per l’appunto vi cercavo.
MUSTAFÀ Aiuto e giustizia, eccellenza, per un affronto mortale!
PASCIÀ Senza badare affatto alle querimonie di Mustafà:
Dunque vi cercavo per annunziarvi che ho combinato una mascherata, una festa
magnifica. Ci verrete con qualche bella schiava. Ne avete sempre qualcuna in
serbo, eh, briccone?!
MUSTAFÀ Appunto, vi volevo dire…
PASCIÀ Me lo direte poi, amico mio. Sarà uno spettacolo magnifico, eclisserà tutti gli
altri!
MUSTAFÀ Eccellenza, quel traditore mi ha giocato la152 commedia.
PASCIÀ Sempre più distratto, pensando solo ai casi suoi.
Ma che commedia! Una mascherata, vi dico! Ne faremo una prova prima di
presentarla al Sultano!
MUSTAFÀ Ma, Eccellenza, io chiedevo il vostro appoggio…
SCENA XII153
Entrano i servi con FLORIANO, DANIA, ALÌ, e ZAIDA, prigionieri.
MUSTAFÀ Eccoli! Eccoli! Ah! Briganti! Ora ci siete! Eccellenza…
PASCIÀ Toh! Toh! Ma questo è il cavalier Floriano! Amico mio, che piacere di
incontrarvi qui!
FLORIANO Ma sono davvero felicissimo, Eccellenza! Permettete che io vi presenti la mia
sposa.
MUSTAFÀ Macché sposa d’Egitto!
PASCIÀ Senza badargli.
Oh! Complimenti benissimo! Vi invito ambedue alla mia festa. Vedrete! Una
festa magnifica!
MUSTAFÀ Completamente fuori dai gangheri.
152 M: una.
153 In DB la scena è indica con [Scena XIa] e in M con [scena 11a]. Per ragioni di coerenza, la numerazione viene qui
sostituita con [Scena XII].
40
Per la barba di Maometto, non ve la passerete liscia così,154 furfanti!
Eccellenza, ma questa è la schiava che vi avevo promesso, e quel traditore l’ha
rapita e ha tentato di fuggire155 con lei!
FLORIANO Un Missionario ci ha sposati or ora secondo il rito cristiano. È mia moglie e la
difenderò a spada tratta.
Sguaina la spada e i servi lo trattengono.
DANIA Piangendo si getta ai piedi del Pascià:
Eccellenza, pietà, pietà! Ci amiamo tanto!
Singhiozza.
PASCIÀ Lasciateli liberi. Ah! Che bella commedia!
MUSTAFÀ Alza le braccia al cielo disperato.
PASCIÀ In verità comprendo che Mustafà si disperi! Che tiro birbone! Ah! Ah! Che tiro
birbone! Cavaliere Floriano, l’avete rischiata bella!
FLORIANO Tutto si arrischia, Eccellenza, quando si ama.
Prende per mano Dania e l’attira a sé.
PASCIÀ E l’oggetto di tanto fuoco ne è ben degno! Pensare che era destinata a me!
Vecchio Mustafà, ti ringrazio egualmente per il buon gusto che mi attribuite.
In altra circostanza vi avrei appoggiato, ma oggi… Mi spiegherò: ho fatto la
pace con la mia moglie favorita: un fiore di bellezza, ma un carattere…
Insomma, quando si dice le donne… Deliziosa però e sono al colmo della gioia.
Le ho offerto una perla156 ed è precisamente in suo onore che voglio dare questa
festa. Ma se portassi un’altra donna nell’Harem, e una donna di così grande
bellezza, mi capirete…
FLORIANO Troppo giusto!
MUSTAFÀ Però chi ci va di mezzo sono io!
PASCIÀ Eh! Vecchia volpe! Oggi a me, domani a te! Prendi intanto questa borsa, se ti
può consolare!
MUSTAFÀ Inchinandosi:
Grazie, grazie, Eccellenza! Sono vostro servo umilissimo, sempre agli ordini
vostri!
PASCIÀ Allora, bando alle malinconie e pensiamo alla nostra festa! Avanti, danzatrici
e danzatori!
Entrano danzando.
Su venite, gaio157 stuolo,
danzatrici e danzatori!
Fuggan lungi noia e duolo
E la gioia regni ognor. 415
No, pensieri non vogli’io
Che non siano di piacer,
poiché breve è il giorno158 mio
vo’ trascorrerlo a giocar.159 420
CORO Ove giunge il Gran Pascià
154 M: così liscia.
155 M: fuggirsene.
156 M: una perla meravigliosa.
157 L: in gaio.
158 PB: viver.
159 M, DA, PB e L: goder.
41
regna160 la felicità;
in dolce sogno vivete ognor
voi che congiunse nodo d’amor.161
PASCIÀ Sapete, giovani amici, cosa vagheggio? Che le vostre mogli162 siano
regalmente festeggiate in casa mia. E per questo vi invito tutti.
FLORIANO Eccellenza, la mia amicizia per voi cresce a mille doppi e non so dirvi la mia
riconoscenza.
DANIA Grazie, magnifico signore, grazie!
Si inchina a baciargli la veste.
PASCIÀ La rialza sorridendo e la conduce a Floriano:
Non siate geloso della163 mia veste, giovane amico. Lascio a voi la restituzione
del bacio.
Dania e Floriano si abbracciano.
DANIA e Cadono alfin le lugubri catene 425
FLORIANO E ne ricinge in dolci nodi amor!
La vita schiude a noi le sue serene
Visioni di dolcezza e di splendor.
In alto i cuori! L’alba è giunta alfine,
alba di libertà, luce d’amore!164 430
PASCIÀ Evviva gli sposi!
MUSTAFÀ Agitando la borsa.
Evviva noi!
CORO Viva! Viva!165 Viva gli sposi!
Tutti sono trascinati nella vorticosa ronda finale.
DANIA e Abbracciati e dimentichi di tutto:
FLORIANO Luce d’amor!
Sipario.
160 L: giunge.
161 In PB il CORO riprende la strofa finale del PASCIÀ, con una variante nel verso finale [No pensieri non vogli’io … vo
trascorrerlo a goder], segue poi la strofa presente in DB.
162 PB in luogo di [mogli] reca un vuoto. La variante è presa da M.
163 M: anche della.
164 PB, in luogo di [In alto i cuori! L’alba è giunta alfine, / alba di libertà, luce d’amore!], presenta un duetto più sostenuto,
completato dal canto del CORO: D e F cadono alfin le lugubri catene / e ne ricinge in dolci nodi amor. / La vita schiude
a noi le sue serene / visioni di dolcezza e di splendor. / Risuona ancora nell’anima / il tuo canto che aprì il core alla
speranza. – D Spera mio core, l’alba è già vicina / alba di libertà, luce d’amor. – CORO Ove giunge il Gran Pascià /
regna la felicità. / Liete danze intrecciati a lieti canti (il testo è indecifrabile). / In dolce sogno vivete ognor / voi che
congiunse nodo d’amor. / Viva gli sposi! Per maggiori approfondimenti riguardo al “Finale Ultimo” di PB si veda il
capitolo 2.
165 M e DA: Urrah! Urrah!
“Importante è la deontologia professionale del filolo-go, che deve sempre esibire tutti i materiali e tutte le
induzioni su cui fonda le sue ipotesi”.
C. Segre, L’edizione critica tra testo musicale e testo letterario
“Per una tale arte [la filologia] non è tanto facile sbri-gare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondidtà, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando por-
te aperte, con dita ed occhi delicati”.
F. Nietzsche. Aurora.
P a r t e P r i m a
George Braque, The Violin, 1912
43
PARTE PRIMA – «UDIAMO I TESTIMONI»
UN PERCORSO FILOLOGICO ATTRAVERSO IL TESTO LIBRETTISTICO
1. PROBLEMI GENERALI RIGUARDO ALLA TRASMISSIONE DEL TESTO LIBRETTISTICO
La ricercatrice o il ricercatore che voglia proporre un’analisi culturale, storica e sociale della
forma e del contenuto di un testo letterario dovrà innanzitutto accertarsi di essere in possesso di
un’edizione autorevole: filologicamente accurata, anche qualora l’opera fosse inedita. Trovandosi di
fronte al libretto di un’opera lirica, dovrebbe dunque sorgere una fondamentale domanda: a quali
requisiti deve rispondere il testo librettistico per essere atto a un’analisi letteraria? In tal senso le
condizioni di trasmissione del testo di Dania sono certamente peculiari e perciò degne di essere
menzionate: di Dania, infatti, non solo non esiste un’edizione critica, ma neppure esiste una stampa
del libretto, sia essa pubblicata dall’autrice Elena Bonzanigo, dal compositore delle musiche Luigi
Tosi oppure, infine, da una persona esterna, quale potrebbe essere un editore. Tuttavia il testo è
pervenuto a noi integralmente e in diverse versioni. Le condizioni in cui il testo si presenta non sono
tanto diverse da quelle di altri libretti appartenenti al genere del teatro operistico: come nota Giovanna
Gronda, curatrice del volume I libretti d’opera italiani: dal Seicento al Novecento, riferendosi
precisamente al proprio lavoro filologico, operato su una trentina di libretti di carattere ed epoche
diversi:
Il pregiudizio comune che i libretti d’opera appartengano a un genere letterario minore,
di natura popolare e per ciò stesso privo di norme se non di valore, che essi siano composti
da improvvisatori – poeti di poco conto, i librettisti appunto –, non è stato privo di
conseguenze sulle edizioni di questi testi.166
I testi a disposizione sono spesso edizioni singole o miscellanee, che raccolgono i libretti delle opere
in maniera disordinata ed errata e dove le versioni dei libretti originali vanno a mischiarsi a versi
estrapolati dagli spariti o alle versioni stampate di seconda e terza mano. Gronda cita un caso
esemplare, a dimostrazione delle condizioni editoriali di questo genere: l’accademico Andrea Della
Corte, sicuro di pubblicare nella raccolta Drammi per musica da Rinuccini allo Zeno, del 1958, il
libretto di Zeno-Pariati Don Chisciotte in Sierra Morena, stampa invece Don Chisciotte in corte della
Duchessa, di Pasquini.
166 GRONDA Giovanna, Nota filologica, in AA.VV., Libretti d’opera italiani, dal Seicento al Novecento, a c. di Giovanna
Gronda e Paolo Fabbri, Mondadori, Milano, 1997, pp. 1807-12, p. 1807.
44
Trovandosi confrontata con le problematiche peculiari al lavoro di ricostruzione del testo
librettistico, la ricercatrice, indossate le vesti di filologa, dovrà ideare dei percorsi coerenti per
muoversi tra le innumerevoli varianti testuali che ogni testimone si porta appresso: il prodotto finale
dell’analisi critica, infatti, dovrà rispondere ai criteri specifici che contraddistinguono il genere del
libretto d’opera. Paolo Fabbri, nel capitolo introduttivo all’edizione de I libretti d’opera italiani,
caratterizza il principale problema filologico in ambito librettistico come segue:
Varianti introdotte di sua iniziativa dal compositore, o concordate col poeta in corso
d’opera, oppure migliorie apportate dopo il debutto, concorrono a spiegare questo o quel
caso di difformità tra il testo letterario sottoposto al musicista (e poi al lettore), e quello
offerto a sua volta dal musicista all’ascoltatore/spettatore. Anche se molto simili, quando
talora non identici, quei testi obbediscono in realtà a due statuti profondamente diversi e
che è opportuno tener distinti: l’uno di natura prevalentemente letteraria e tutto sommato
relativamente autonomo; l’altro subordinato e duttile nei confronti delle esigenze
musicali. Insomma: un conto è il testo verbale come lo presenta il libretto, il quale vive
anche di vita propria (risponde a un sistema letterario compiuto, che attende di
perfezionarsi nel canto ma che esibisce coerenza e presentabilità pure in sua assenza, e lo
divulga tramite un manufatto che può circolare per proprio conto); un altro quello inserito
dal compositore tra i pentagrammi della partitura (e poi restituito dagli esecutori),
impastato più che altro di note e ad esse soggetto.167
Scopo del volume di Gronda e Fabbri è, quindi, di restituire ai libretti il loro statuto esecutivo: il
prodotto finale del lavoro filologico è una versione del testo che si avvicini il più possibile alla forma
e al contenuto del componimento che il librettista affidò al musicista, il quale ne fece un utilizzo tale
da privarlo della sua «natura letteraria», legandolo indissolubilmente alla musica. Per editare il testo
i curatori hanno fatto uso degli esemplari stampati dei libretti risalenti alla prima rappresentazione
dell’opera, o a rappresentazioni seguenti nel caso in cui queste rivelino modifiche sostanziali
all’aspetto dell’opera. L’esemplare utilizzato come base per l’edizione è poi stato confrontato con
eventuali versioni manoscritte. Il testo unito alle note musicali, privato dalla propria autonomia e
trascritto dal musicista sotto i pentagrammi della partitura non è invece direttamente funzionale alla
costruzione dell’edizione critica, tranne in caso di lacune o corruttela del libretto.
Nonostante la convinzione secondo cui l’opera lirica sia un genere che, nel suo insieme, non
possa essere analizzato scindendolo nelle sue singole parti – poiché le dimensioni del testo letterario,
della musica e del teatro si fondano in una forma ibrida – si vuole qui dimostrare che il testo
librettistico possiede in sé un valore drammaturgico importante, analizzabile criticamente e
contestualizzabile nella storia della letteratura. Per questa ragione il lavoro di ricostruzione filogica
167 FABBRI Paolo, La musica è sorella di quella poesia che vuole assolversi seco, in AA.VV., Libretti d’opera italiani,
dal Seicento al Novecento, cit., pp. LVII-LXXX, p. LXXVI.
45
qui operato sul testo di Dania ricalca le scelte operate dai curatori de I libretti d’opera italiani: con
l’assemblaggio di un’edizione critica-interpretativa si vuol restituire al testo librettistico una forma
quanto più possibile fedele alla sua versione letteraria, quella che precede, dunque, il momento in cui
esso viene iscritto, nota dopo nota, nello spartito del musicista, andando ad adempiere alla sua
funzione operistica. Si intende dunque fornire «un testo che si avvicini il più possibile
all’originale»168, pur tenendo sempre presente la domanda posta da Segre: «E poi, che cos’è
l’originale? […] L’originale resta, più che un obbiettivo irraggiungibile, un’astrazione.»169
168 MAAS Paul, Critica del testo, Trad. it. Nello Martinelli, Le Monnier, Firenze, 1972, p. 1. Cit. da: SEGRE Cesare,
Riflessioni sulla critica testuale, in AA.VV., L’edizione critica tra testo musicale e testo letterario, Atti del convegno
internazionale (Cremona 4-8 ottobre 1992), a c. di Renato Borghi, Pietro Zappalà, Libreria musicale italiana, 1995, pp.
3-8, pp. 4-5.
169 SEGRE Cesare, Riflessioni sulla critica testuale, in AA.VV., L’edizione critica tra testo musicale e testo letterario, Atti
del convegno internazionale (Cremona 4-8 ottobre 1992), cit., p. 5.
46
2. I TESTIMONI DI DANIA
I testimoni reperiti nel corso del lavoro investigativo su Dania sono cinque, uno solo dei quali
è quasi certamente di mano della librettista. Si tratta di un manoscritto, qui chiamato M, redatto a
penna con una calligrafia nettamente distinguibile da quella del musicista Tosi, raccolto in 50 fogli,
numerati. Il manoscritto indubbiamente risale a uno stadio di lavoro iniziale, poiché presenta delle
particolarità di carattere strutturale che nelle altre versioni sono state progressivamente elaborate:
innanzitutto è privo delle due scene che aprono il primo atto, inoltre in esso l’azione non si articola
su tre atti, bensì soltanto su due. Il testo, che presenta alcuni luoghi marcati da cancellazioni e
correzioni (in parte operate dalla stessa mano e in parte dalla mano del musicista), potrebbe essere
stato scritto da Bonzanigo stessa con lo scopo di consegnare a Tosi una prima versione del libretto:
in questo caso le correzioni potrebbero risalire a una fase del lavoro comune, in cui musicista e
librettista hanno rielaborato insieme l’opera. Riguardo a ciò si ritornerà più avanti nel capitolo.
Il secondo testimone è un dattiloscritto, che denomineremo DB, il quale contiene, con parecchie
varianti, il testo del manoscritto, con l’aggiunta delle due scene iniziali del primo atto là assenti. Resta
incerta l’identità di chi abbia battuto il testo a macchina: è plausibile credere che sia stata la stessa
Bonzanigo, con l’intento di redigere una versione definitiva del libretto, formalmente più ufficiale,
da consegnare, eventualmente, agli esecutori del pezzo. I 22 fogli, numerati, non si presentano slegati,
come invece accade per quanto concerne il manoscritto, ma sono bensì rilegati in un unico fascicolo,
protetto da un rivestimento in cartone rigido e ornato da un collage decorativo, che gli fa da
copertina.170 Tuttavia, a causa di un numero corposo di incongruenze formali con il testo del
manoscritto, non si esclude l’ipotesi secondo cui l’artefice del testo possa essere stato Tosi, il quale,
spinto dal desiderio di avere a sua disposizione un testo dattiloscritto, potrebbe aver copiato a
macchina il lavoro di Bonzanigo. Determinare chi abbia scritto DB è funzionale alla possibilità di
stabilire il carattere delle varianti collazionate: tali varianti possono essere o una conseguenza di
accidenti casuali oppure interventi frutto di scelte autonome dell’autrice, o, ancora, dipendere da
suggerimenti e imposizioni. Nel caso in cui fosse stata Bonzanigo a trascrivere il testo, ci troveremo
di fronte a una serie di varianti d’autore.
Insieme ai primi due testimoni, sono state rinvenute tre identiche copie (di 13 fogli, non
numerati, ma sempre in forma dattiloscritta), di una versione, DA, la quale è composta dalla maggior
parte delle parti musicate, da alcuni recitativi e da alcune didascalie: in DA sono trascritte per intero
le prime due scene del primo atto, per i restanti atti, invece, si osserva come di norma siano assenti i
170 Le fotografie delle copertine dei diversi esemplari sono riprodotte nell’appendice delle figure.
47
dialoghi in prosa, tranne in casi eccezionali, dove due o tre battute sono segnate quando fanno da
cornice alle parti destinate al canto. DA, tuttavia, è un testimone pieno di contraddizioni e, nonostante
di regola raccolga il testo delle parti cantate, in due luoghi queste sono mancanti: nel primo atto,
all’altezza del duetto «Bella Grecia mia lontana», al testo in versi è sostituita l’annotazione Duetto,
allo stesso modo nel terzo atto il duetto «Bella Dania, finalmente» è indicato con l’annotazione Duetto
ed i versi che ne compongono il pezzo sono trascritti solamente in parte. È probabile che questa
versione servisse al musicista per lavorare sulle parti selezionate per essere destinate al canto, facendo
uso di un testo non appesantito dalle lunghe parti recitate. Inoltre, l’esistenza di tre copie della stessa
versione potrebbe significare che i fascicoli siano stati consegnati agli interpreti, una volta composte
le musiche.
Tra questi tre testimoni, che si possono definire come tre momenti dell’elaborazione del testo
librettistico – quel testo dunque che, come spiega Fabbri, si differenzia dal testo inserito dal
compositore tra le note della musica171 –, è stato necessario scegliere l’esemplare più atto a essere
utilizzato come base per l’edizione critica-interpretativa. DA è escluso dal principio a causa della sua
incompletezza contenutistica. Tra DB e M, infine, è stato scelto DB poiché, posizionandosi
cronologicamente in una fase di lavoro successiva, mostra la strutturazione scenica definitiva del
pezzo e contiene le due scene iniziali, che, nella fase di lavoro in cui è stato scritto M, non erano
ancora state elaborate. Nonostante ciò DB non è privo di errori di vario genere: refusi, omissioni
lessicali, errori di battitura e di punteggiatura e, soprattutto, incongruenze interne, sia formali che
contenutistiche. Tali errori sono assenti nella versione del testo di M, che è stato utilizzato per venire
in soccorso alle mancanze di DB quando queste riguardino il testo in prosa, destinato a essere recitato.
Nei casi in cui è stata necessaria una correzione del testo, basata su ciò che è leggibile in M, se ne è
fatta menzione in nota. Il lavoro di correzione è più complesso per quanto riguarda le parti del testo
in versi, destinate a essere trasposte in canto: nel caso fosse risultata evidente la necessità di sostituire
a DB una variante estranea, prima della sostituzione sono state confrontate puntualmente le varianti
di M e di DA; la più idonea, infine, è stata accolta nel testo criticamente editato. Anche in questo caso
la sostituzione di singole varianti è indicata in nota.
Oltre a queste tre versioni inedite del testo è pervenuta a noi l’edizione di un opuscolo, L,
pubblicato dagli autori con la funzione di presentare allo spettatore un riassunto dello spettacolo
inscenato. La forma del testo ricorda quella di un canovaccio: infatti le azioni svolte dai personaggi
in ogni atto sono narrate, mentre i principali dialoghi tra i personaggi sono resi in forma di discorso
171 Cfr.: FABBRI Paolo, La musica è sorella di quella poesia che vuole assolversi seco, cit., p. LXXVI.
48
indiretto. La differenza rispetto al canovaccio è che il testo è stato pubblicato e messo in circolazione
tra gli spettatori della recita. Inoltre, intercalati nella narrazione riassuntiva della storia si trovano
alcuni versi delle singole parti cantate: ogni brano cantato è indicato con tre o quattro versi iniziali o
finali. In quanto testimone, L è utile per comprendere quale fosse la definitiva suddivisione in atti
dello spettacolo e del libretto. La trascrizione dei pochi versi cantati, tuttavia, presenta delle varianti
che nella maggioranza dei casi riprendono la versione della partitura.
La versione del testo trascritta negli spartiti va a formare l’ultimo testimone collazionato per
portare a termine l’edizione critica di Dania: essa è presente nella Partitura, PB, e nella riduzione per
pianoforte, PA. Poiché tra i due esemplari non intercorrono differenze di sorta in relazione al testo
trascritto direttamente nello spartito, si è deciso di citare solamente PB, dando per scontato che il
lettore sappia che PA non si discosta da esso. Come nel caso di DA è da puntualizzare che si tratta di
un testo incompleto, poiché non contiene i dialoghi recitati e le didascalie. Un’ulteriore osservazione
riguarda la suddivisione dei pezzi musicati: a ogni pezzo trasposto in musica viene dato un nome, che
ne indica il carattere e il genere. Le parti dialogate vengono perciò denominate duetti o terzetti, mentre
le arie portano il nome del genere di cui fanno parte: «Notte lunare piena d’incanto» ad esempio reca
il titolo Romanza di Dania.
Nel corso del lavoro filologico operato sul libretto di Dania, il testo trascritto nello spartito ha
la stessa funzione che hanno avuto le partiture per l’edizione critica dei libretti italiani a cura di
Gronda e Fabbri: solamente nel caso in cui DB, l’esemplare scelto come base, presenti delle lacune,
dei luoghi corrotti o delle incongruenze si è ricorso all’aiuto di PB, il quale, in molti casi, ha potuto
confermare l’autorevolezza delle varianti presenti in M, oppure quelle presenti in DA. Accade con
grande frequenza che nel testo di PB siano inserite delle ripetizioni di singole parole o di interi
sintagmi: ovviamente ciò è determinato dalla sensibilità del musicista, che trasponendo i dialoghi in
musica, risente la necessità di enfatizzare certi luoghi maggiormente di altri. Quando, nel lavoro di
collazione, ci si è trovati di fronte a questo tipo di ripetizione, si è deciso di non segnalarlo
nell’apparato critico posto in nota al testo edito, poiché ciò non è di interesse per la ricostruzione del
testo librettistico.
Infine per il lettore potrebbe essere interessante sapere che, insieme ai cinque testimoni che
riportano una fase dell’elaborazione testuale completa, si sono conservate delle singole carte sparse
e raccolte in un unico fascicolo, conservato anch’esso all’Archivio di Stato di Bellinzona172: questi
fogli sono dei preziosi testimoni che potranno aiutare i ricercatori e le ricercatrici che in futuro
172 Il fascicolo è conservato nell’unità archivistica UNA 156, all’Archivio di Stato di Bellinzona.
49
desidereranno analizzare più a fondo le diverse fasi di lavoro dell’autrice sul testo e della sua
collaborazione con il musicista. Tuttavia nessuno di questi frammenti reca una versione completa del
libretto: piuttosto essi contengono singole scene e appunti. Essendo frammentari, e rappresentando
uno stadio di elaborazione testuale primordiale, non sono stati presi in considerazione durante il
lavoro di collazione. Inoltre, a rendere la loro contestualizzazione ancora più difficoltosa, si aggiunge
il fatto che essi sono conservati in una mappa di cartone, che reca l’indicazione: Elena Bonzanigo /
DANIA / Commedia musicale / in 4 Atti e 3 Quadri / Musica / del / M. Luigi Tosi. Essi appartengono
dunque a uno stadio di elaborazione del testo in cui la strutturazione della commedia si presentava
divisa in quattro atti e tre quadri: una scelta che non si è riscontrata in nessun altro testimone.
Si vuole ora offrire al lettore alcuni spunti di riflessione riguardo ai problemi che hanno
interessato la ricostruzione del libretto a livello macrotestuale: dopo il primo approccio ai testimoni,
infatti, è nata la necessità di compiere delle scelte che potessero aiutare a rendere il testo, nel suo
complesso, più coerente a livello linguistico e formale. Tali problemi riguardano la grafia, le forme
metriche e la numerazione.
Grafia
La redazione dei libretti per musica avviene, come è noto, nel segno della fretta: i tempi
stretti degli allestimenti teatrali ai quali questi sono destinati condizionano librettisti,
copisti e stampatori, nella stesura come nella trascrizione e nella stampa.173
I problemi grafico-formali, riscontrati in ognuno dei cinque testimoni, sono stati un ostacolo
importante nel percorso filologico che ha portato alla cura di un’edizione critica del libretto di Dania.
Similmente ai casi su cui ha lavorato Gronda, infatti, anche DB, l’esemplare selezionato per fare da
base al lavoro critico, mostra di aver risentito le conseguenze, non trascurabili, dei tempi stretti degli
allestimenti teatrali, che hanno influito sulla correttezza della grafia del testo a tutti i livelli.
Refusi e omissioni, innanzitutto, sono riscontrabili in ogni pagina: essi sono stati corretti con
un puntuale confronto con M e, quando necessario e possibile, con DA e PB. Oltre alla caduta di
singole parole si osservano in alcuni luoghi cadute di versi, di didascalie e, in un unico caso che verrà
approfondito in seguito, l’omissione di tre battute: anche in questo caso agli errori è stato rimediato
facendo un confronto con le varianti di M e, se possibile e necessario, con DA e PB.
La punteggiatura si è rivelata essere il livello testuale che presenta maggiori scorrettezze: infatti
è stato necessario rivederla di battuta in battuta, poiché il testo presenta una frequente oscillazione fra
173 GRONDA Giovanna, Nota filologica, cit., p. 1808.
50
segni interrogativi ed esclamativi, una collocazione imprecisa e sintatticamente insensata di punti e
virgole e spesso ha richiesto un intervento per sfoltire la quantità eccessiva di punti esclamativi (i
quali certamente adempiono ad una funzione espressiva, ma rendono difficoltosa una lettura
scorrevole).
In vari luoghi del testo è stato necessario un intervento di normalizzazione di accenti e apostrofi,
soprattutto nei casi in cui la loro mancanza desse luogo a una parola semanticamente ambigua. Inoltre
si è regolarizzato l’uso di maiuscole e minuscole, in accordo con la nuova punteggiatura introdotta
nel testo critico.
Infine, è stato notato un ulteriore fenomeno ricorrente in DB e ascrivibile alla fretta del copista,
a cui si è rimediato con un confronto fra varianti: si tratta della collocazione e della denominazione
errata di certe indicazioni sceniche, specialmente per quanto riguarda la numerazione delle singole
scene. L’assenza di indicazioni sceniche è stata integrata, quando possibile, facendo ricorso al
testimone M; la numerazione, quando incoerente, è stata aggiustata in nome della coerenza strutturale
del testo.
Forme metriche
Il testo di Dania, come si è detto, si suddivide in parti recitate e in parti musicate e cantate. Il
testo destinato al canto è versificato e raccolto in strofe, in cui si alternano sequenze di settenari ed
endecasillabi, oppure di senari e ottonari. In DB la suddivisione in strofe è indicata con chiarezza:
quando l’inizio di una strofa nuova è segnalato graficamente, esso è stato considerato nel lavoro di
ricostruzione e segnalato con un a capo. Spesso tali suddivisioni coincidono con ciò che si osserva
in M, più raramente invece tale coincidenza riguarda anche DA.
Sono inoltre state conservate le originali scansioni metriche di DB, in modo da mettere in risalto
i versi spezzati a cavallo di due distinte battute. Tale realizzazione grafica dei versi corrisponde a M,
mentre è mancante da DA, il quale, di norma, presenta una versione del testo in cui la scansione
metrica è andata persa del tutto: intere strofe sono state raccolte in un’unica riga, come se si trattasse
di uno scritto in prosa.
I dialoghi recitati, invece, sono sempre in prosa. Come è stato detto, essi sono presenti per intero
in BD e in M, mentre sono soltanto in parte trascritti in DA. In PB, invece, il musicista di regola ha
annotato, in testa alla pagina, le ultime battute in prosa che precedono le parti cantate, per
51
contestualizzare i pezzi musicati in modo da sapere quando, nel corso dello spettacolo, tenersi pronto
per dirigere gli strumenti e il canto.
Numerazione
«La numerazione dei versi teatrali è prassi utile» sostiene Gronda174, che ha applicato una
numerazione continua dei versi dal primo all’ultimo atto di ogni libretto. Dania, come si è detto, non
presenta un libretto costruito interamente in versi, tuttavia per essere in grado di facilmente situare
ogni verso si è scelto di apporre una numerazione continua, omettendo dal computo le battute in
prosa. Oltretutto, in questo modo le parti versificate vengono utilmente messe in evidenza, da un
punto di vista grafico, rispetto alla prosa.
174 GRONDA Giovanna, Nota filologica, cit., p. 1810.
52
3. UN PERCORSO A TAPPE ATTRAVERSO I LUOGHI TESTUALI DI DANIA
La tavola sinottica, allegata come Appendice al lavoro175, mostra, battuta per battuta, le
coincidenze e le discordanze tra i tre testimoni DB, DA e M, ciascuno dei quali rappresenta una fase
di elaborazione del libretto: essi sono stati trascritti diplomaticamente, in modo da conservare anche
eventuali errori. La tavola aiuterà il lettore o la lettrice curiosi a comprendere come l’assenza o la
presenza di una battuta determini lo statuto di ciascuna versione. L’apparato di note, che accompagna
puntualmente il testo criticamente trascritto di DB, ha invece la funzione di mettere a confronto le
varianti dei testimoni M, DA, L e PB: l’esito della collazione viene segnalato quando il luogo del
testo critico concerne una differenza rispetto ad una delle versioni diverse da DB. Nonostante
nell’apparato si sia dato conto di tutti i luoghi problematici, alcuni di essi necessitano un
approfondimento, o perché coinvolgono l’intera strutturazione della commedia musicale, o perché
relativi a parti di testo estese, che interessano più di una singola battuta. Essi verranno perciò
analizzati separatamente qui di seguito. Inoltre tali luoghi spiegano esemplarmente la decisione di
eleggere DB a testimone più fedele alla forma originale del libretto.
3.1. IL FRONTESPIZIO
Nel riprodurre il frontespizio del libretto è stato adottato un criterio semidiplomatico: DB infatti
non possiede un frontespizio, quanto piuttosto un cappello introduttivo in cui sono elencati il titolo
della commedia, le indicazioni strutturali e i personaggi presenti in scena, compresa la lista delle
comparse. Tale elenco è stato trascritto nell’edizione critica, ma integrato con le informazioni
riguardanti i vari registri di voce necessari a interpretare le singole parti. Inoltre si è scelto di
aggiungere le indicazioni relative alla fonte da cui Dania è stata tratta (la commedia di Molière
L’amour Peintre). Il solo testimone che ci abbia trasmesso le informazioni riguardo ai timbri delle
voci degli interpreti e il titolo della fonte molieriana è L.
DA non possiede un frontespizio, né un’introduzione nella quale siano indicati i nomi e le
funzioni dei personaggi. Il faldone nel quale sono contenute le tre copie di DA, ognuna tenuta insieme
da una graffetta, reca la sola indicazione del titolo: DANIA.
M, invece, possiede un frontespizio, in cui sono indicati i nomi dell’autrice e del compositore,
il titolo e le indicazioni sceniche: Elena Bonzanigo / DANIA / Commedia musicale / in 2 atti e 3
quadri / Musica del / M. Luigi Tosi. Inoltre, in M l’inizio della commedia è preceduto da
175 Cfr.: appendice 1.
53
un’introduzione, simile a quella presente in DB: vi sono infatti indicati il titolo, le indicazioni di
genere e di struttura, l’elenco dei nomi dei personaggi e delle reciproche funzioni nel pezzo (segnati
a matita e tra parentesi tonde si leggono, inoltre, i nomi degli interpreti dei sei personaggi principali)
e la lista delle comparse: DANIA / commedia musicale <in> 2 atti e 3 quadri / >operetta in 3 quadri
e 2 atti< / Personaggi / Mustafà – padrone di (Vidoli) / Dania – schiava greca (Borellini) / Floriano
– gentiluomo veneziano (Melesa) / Alì – suo servo (Rusconi) / Zaida – schiava greca (Taddei) / Il
Pascià (Carugo) / musici, cantori, schiave, danzatrici, moretti, cantatrici, servi.176
L, come si è scritto sopra, è il testimone più affidabile per quanto riguarda le informazioni
relative alla strutturazione in atti, essendo l’unica versione del testo stampata. Esso possiede una
copertina e un frontespizio. La copertina reca le informazioni relative al titolo, al genere del pezzo e
alla strutturazione in atti, inoltre riporta i nomi dell’autrice e del compositore, e infine il prezzo del
volume: DANIA / Commedia musicale in tre atti / adattamento scenico / e versi / di Elena Bonzanigo
/ musica di / Luigi Tosi / prezzo cent. 50. Il secondo, invece, oltre a titolo e autori, fornisce preziose
informazioni riguardo agli esecutori, al luogo e all’anno di stampa: DANIA / commedia musicale in
tre atti / adattamento scenico e versi / di / Elena Bonzanigo / musica di / Luigi Tosi / La vicenda è
tratta da un atto di Molière, “L’amour peintre”. / (L’atto originale fu rappresentato nel 1667 a Saint-
Germain dalla compagnia di Molière. Luigi XIV, la Regina, Mlle de la Vallière ed altri personaggi
della Corte presero parte ai balletti. / Bellinzona – Arti Grafiche A. Salvioni & Co. – 1930.
Segue infine una pagina dedicata agli esecutori del pezzo: ESECUTORI / Dania (schiava greca)
Soprano Sig.na Anna Borellini / Floriano (Cavaliere veneziano) Tenore Sig. GIUSEPPE LAVEZZO
/ Mustafà (Venditore di schiave) Baritono Sig. Ettore Vidoli / Alì (Servo di Floriano) Tenore Sig.
Guido Rusconi / Zaida (Schiava) Soprano Sig.na Bice Antonini / Il Pascià Basso Sig. Luigi Paris /
Schiave – Servi – Musici – Moretti – Danzatrici. / Direttore di scena: Dott. Rinaldo Pico /
Scenografo: Sig. Enrico Mariani / Messa in scena: INNOVAZIONE / I costumi furono disegnati dal
compianto Pittore Baldo Carugo / Orchestra: Società Orchestrale Bellinzonese (30 esecutori) / Cori:
Corale “S. Cecilia” / Maestro Concertatore e Direttore d’Orchestra Luigi Tosi.
I due spartiti PB e PA non possiedono un frontespizio, tuttavia recano alcune indicazioni
relative all’opera sulla copertina rigida di cartone. La riduzione per pianoforte PA reca, oltre al titolo,
176 Dei cantanti si hanno a disposizione le informazioni lette sulle recensioni allo spettacolo. Esemplare è l’articolo
apparso sul numero di «Il Dovere» del 2 giungo 1930: «La signorina Borellini, nella difficile parte di Dania, si rivelò vera
e provetta artista. Ottima pure signorina Bice Antonini. Il tenore Giuseppe Lavezzo, artista ben noto, che tutti conosciamo,
fu veramente insuperabile in Floriano. Sicuro della scena e felice interprete della sua parte fu il baritono Vidoli, artista
dilettante che già più volte ebbimo campo di udire, e l’unico Guido Rusconi, buffo impareggiabile nella parte di Alì;
ottimo pure il basso signor L. Paris nel ruolo del Pascià».
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l’indicazione del compositore e del genere dell’opera: L. Tosi / DANIA / Commedia Musicale. La
partitura PB invece reca solamente il nome del musicista e il titolo: L. Tosi / DANIA.
3.2. LA SUDDIVISIONE IN ATTI E QUADRI
Nell’arco di tempo tra la scrittura manoscritta del libretto e la stampa dell’opuscolo che
riassume l’azione scenica sono state operate delle modifiche importanti all’assetto strutturale della
commedia, che hanno comportato un ridimensionamento della suddivisione in atti e quadri. Infatti,
solamente L testimonia una divisione della commedia musicale in tre atti, priva di ambiguità e
interventi correttivi da parte degli autori. Rilevare le modifiche operate in relazione alla suddivisione
strutturale del pezzo ha reso possibile ricostruire l’ordine cronologico in cui si posizionano i cinque
testimoni analizzati.
Sul frontespizio e in antiporta M reca l’indicazione Dania / commedia musicale in 2 atti e 3
quadri (in antiporta l’indicazione operetta in 3 quadri e 2 atti è stata cassata e sostituita da commedia
musicale in 2 atti e 3 quadri). Proseguendo la lettura e inoltrandosi nel corpo del testo di M si
incontrano titolazioni interne per gli atti primo e secondo e per i quadri primo e secondo. Manca,
tuttavia, l’indicazione del punto di avvio del quadro terzo. Per svelare il mistero intorno a questa
assenza è necessario partire da un’osservazione importante, inerente la prima scena del secondo atto.
La scena, infatti, ha subìto degli interventi di modifica e, soprattutto, ad essa sono state apportate
delle aggiunte durante la stesura del manoscritto. Ciò è innanzitutto deducibile dalla numerazione
delle pagine: l’atto precedente termina a pagina 19 e ci si aspetterebbe, dunque, che il nuovo atto
avesse inizio a pagina 20, tuttavia la pagina seguente reca la numerazione 19 bis, a cui seguono 19
tris, 20A e 20B (la numero 20 non esiste). È solo quest’ultima pagina che mostra, ma tuttavia cassate,
le (tanto attese) indicazioni relative al terzo quadro: Atto II° / Quadro 3° / Scena 1, a cui segue la
didascalia di scena: Si alza: / Interno della casa di Mustafà. Una sala, Dania, sdraiata sul divano, si
fa vento e guarda il soffitto. Entra Mustafà. Il testo scritto in seguito alla didascalia cassata, riprende
là dove si era interrotto al termine della pagina 20A. La mancanza dell’indicazione del quadro terzo
a pagina 19 bis è da attribuire, quindi, a una svista dell’autrice.
Il dattiloscritto DB è diviso invece in 3 atti. Sulla prima pagina del fascicolo figura l’indicazione
relativa a tale suddivisione, che risulta da una modifica apportata nel corso della stesura, per la quale
la cifra 3 è stata sostituita a matita alla cifra 2: ciò significa che originariamente il testo deve
considerarsi nato come una commedia in due atti (cosa che rispecchia la suddivisione presente nel
manoscritto) e che solo in seguito sarebbe poi stato trasformato in una commedia in tre atti. Inoltre,
nel dattiloscritto la stessa matita di colore blu che opera la prima correzione cassa anche l’indicazione
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e 3 Quadri. A conferma dell’evoluzione strutturale ora individuata, che porta i due atti originali a
diventare tre, la collazione di ulteriori varianti fornisce poi altri elementi. In DB il secondo atto inizia
dopo l’intermezzo cantato dal coro, Intermezzo – Coro interno. Nel corpo del testo, invece,
l’indicazione Atto Secondo è collocata più avanti, nella stessa posizione in cui si trova in M, ovvero
in quel luogo che diventerà l’atto terzo della versione definitiva. Tutto ciò significa che DB è stato
inizialmente concepito come fedele trascrizione del testo manoscritto, tuttavia su di esso si
riscontrano interventi di revisione operati in momenti successivi, i quali hanno progressivamente
determinato la forma finale della commedia. Ciò elegge pertanto DB a testimone fondamentale: esso
non soltanto rende manifesta la volontà ultima degli autori ma, per mezzo dei luoghi cassati,
rappresenta concretamente il processo creativo che ha portato dalla prima redazione alla versione
definitiva di Dania.
Il dattiloscritto DA, non avendo né un frontespizio, né un’introduzione, non presenta nessuna
indicazione esplicita inerente alla suddivisione strutturale della commedia. Tuttavia il corpo del testo
risulta suddiviso in tre atti e le indicazioni relative ai luoghi di inizio di ciascun atto sono leggibili in
testa alle pagine, collocate prima che lo svolgimento dell’azione incominci. Come si è scritto più
sopra DA è un testimone interessante per interpretare le varianti riscontrate di DB e di M, ma si
presenta, tuttavia, come una versione incompleta del pezzo, poiché contiene solamente la
maggioranza delle parti messe in musica e qualche battuta in prosa. In questa redazione l’estensione
del primo atto si accorda alla versione di DB. Necessita invece di una maggiore attenzione la
strutturazione del secondo atto. Esso incomincia con il monologo cantato da Mustafà, presente anche
in DB: «Oh che povera vittoria! Oh che dolorosa storia!» Terminati i versi di Mustafà, seguono, sulla
stessa pagina (la numero 7) le parti cantate intitolate Leggenda di Dania, La danza dei moretti e delle
schiave e le strofe di Alì Ogni dove ardente core. La pagina 8 contiene alcune incongruenze rispetto
all’intreccio dell’azione: su questa pagina, infatti, è trascritto il dialogo tra Mustafà e Dania, che in
DB e in M invece segue il monologo di Mustafà «Oh che povera vittoria! Che dolorosa storia!» e
precede La leggenda di Dania, la danza dei moretti e delle schiave e le strofe di Alì. Un’ulteriore
incongruenza coinvolge il nome del commerciante di schiavi che in questo luogo del testo è chiamato
per quattro volte Mohamed al posto di Mustafà. Per di più, il breve estratto presenta cinque battute,
due delle quali non sono presenti né nel manoscritto né in DB, mentre le restanti battute coincidono
contenutisticamente, ma differiscono formalmente dalla redazione conservata da M e da DB. Infine,
la pagina è introdotta, oltre che con la didascalia scenica «la stessa scena che al mattino»,
dall’indicazione quadro secondo. Terminata la pagina ne segue un’altra (pagina 9) che riprende il
flusso della narrazione, dal punto in cui è stato interrotto a pagina 7. In relazione a questa
incongruenza strutturale si possono fare alcune osservazioni. Innanzitutto la didascalia di scena e
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l’indicazione quadro secondo coincidono con un luogo del manoscritto che è stato cassato (in M,
infatti, il quadro II incomincia in testa alla pagina 11a, segue poi una pagina, 11b, che reca le
indicazioni cassate «Quadro II° (La stessa scena, al mattino.) (Esce Mustafà, tutto bendato e
zoppicante, appoggiandosi a un bastone:)»). Dopo la cancellazione nel manoscritto si riprende
l’azione scenica rimasta interrotta in 11a, con le battute, insomma, che coincidono con quelle presenti
nel luogo problematico di DA. L’ipotesi più plausibile parte dal presupposto che la pagina 8 di DA
sia stata aggiunta arbitrariamente e in un secondo momento al fascicolo, e che si tratti di un frammento
di testo risalente a una fase di composizione del testo anteriore sia a DB che ad M, poiché il nome
Mohamed non compare in nessuno di questi testimoni, neppure in forma cassata.
Problematica è, infine, anche l’indicazione relativa al terzo atto: infatti essa è segnalata
esplicitamente con la cifra romana «III» in testa alla pagina 9, tuttavia il testo che segue fa ancora
parte del finale del secondo atto: si tratta della didascalia «I ballerini danzando e sberleffandolo lo
circondano: Mustafà li rincorre armato di ---una scopa». Immediatamente sotto segue il canto
intonato dal coro delle schiave «Quando tramonta il sole», che apre il terzo atto in DB.
Il confronto con la partitura PB e la riduzione per pianoforte PA, infine, ci conferma la divisione
in tre atti, poiché i due testimoni certamente si collocano in una fase di lavoro in cui il libretto aveva
raggiunto la sua forma definitiva. Sia PA che PB non possiedono un frontespizio, né un paragrafo
introduttivo in cui possa figurare l’indicazione relativa al genere del pezzo e alla sua strutturazione
in atti. Nonostante ciò, si può constatare, sfogliando le pagine degli sparititi, come il musicista abbia
diviso i singoli pezzi cantati in tre atti, ognuno dei quali è delimitato da una o due pagine vuote. La
partitura PB, inoltre, al termine di ogni atto e in due altri luoghi del testo, presenta la data, annotata
da Tosi, del giorno in cui le parti musicali sono state composte. Il primo atto presenta due date: la
prima, ore 2 antim. del 22 maggio 1930177, al termine delle due prime scene; la seconda, Fine atto 1°
/ 16 febbraio 1930 / Luigi Tosi, al termine dell’atto. Il secondo atto reca la data: 3 marzo 1930. Il
terzo atto, invece, reca due date: la prima, 18 aprile 1930 (Venerdì santo), apposta al termine
dell’introduzione musicale, la seconda, invece, al termine dell’ultima scena, Fine della commedia /
12.5.1930.
Si può concludere, dunque, che la scelta di dividere la commedia in tre atti è stata presa in un
momento avanzato della scrittura del pezzo: inizialmente, nella fase di lavoro corrispondente a M,
che si rispecchia nella prima trascrizione del testo per macchina rimasta leggibile sotto le svariate
cancellature che costellano DB, il pezzo era diviso in due atti, disposti su tre quadri. L’intermezzo
177 La cronologia dell’elaborazione dell’opera verrà trattata più avanti.
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musicale, indicato già nel manoscritto come appartenente al genere della Barcarola orientale, ha in
M la funzione di dividere il primo dal secondo quadro. In un secondo momento quello che
originariamente era considerato un unico atto diviso in due quadri è dunque stato diviso in due atti.
All’intermezzo in questo modo viene affidata la funzione di dividere, non più due quadri, bensì due
atti, con la logica conseguenza che quello che era, in origine, il secondo atto viene a costituire il terzo.
3.3. LE DUE SCENE D’APERTURA
Anche per quanto concerne i contenuti narrativi dell’opera, M corrisponde, quasi battuta per
battuta, a DB, fatta eccezione per le prime due scene del primo atto. Si tratta della messa in scena
dell’incontro tra Dania e Zaida: le due scene hanno un’importante funzione, sia in relazione alla
narrazione, in quanto rappresentano la nascita dell’amicizia tra i due personaggi (sentimento che
giustifica la partecipazione di Zaida all’inganno escogitato da Floriano e Dania, che verrà perpetuato
ai danni di Mustafà nel terzo atto), sia, soprattutto, per quanto riguarda la caratterizzazione dei
personaggi, poiché in esse vengono approfondite le conseguenze emotivo-psicologiche della
condizione di schiavitù delle due donne. Il manoscritto, dunque, ha inizio con la Scena III, in cui Alì,
incaricato dal padrone, dà ordini ai musici, posizionandoli sul palco, con lo scopo di allestire una
serenata per Dania.
Nel dattiloscritto DB la vicenda incomincia, dunque, con una scena che precede
cronologicamente l’inizio del manoscritto: infatti le due scene iniziali si svolgono poco prima del
tramonto e terminano quando il sole è completamente calato, mentre il manoscritto prende avvio dalla
scena notturna. La situazione rappresentata nelle prime due scene coincide con i preparativi per la
preghiera serale islamica (la ṣalāt al-maghrib, quarta delle cinque preghiere islamiche canoniche): le
schiave, prima che il sole sia definitivamente calato, devono portare l’acqua per il lavacro a Mustafà
che, scomparso l’ultimo spiraglio di sole, potrà adempiere al rito di purificazione. La scena, dunque,
si sviluppa sullo sfondo di un importante momento spirituale della tradizione religiosa islamica:
tuttavia non sono né il rito del lavacro, né la successiva preghiera a rappresentare il fulcro dell’azione;
questi sono, piuttosto, visti dalla prospettiva esterna delle schiave e offrono l’occasione di delineare
i rapporti di potere instaurati tra esse e il padrone.
Al termine delle due scene, in testa al foglio seguente, a pagina 4, si può osservare
un’incongruenza: vi si legge l’indicazione Atto I e la didascalia «è una bella notte di plenilunio, ma
di quando in quando nuvole vagabonde velano la luna», entrambe inserite nel testo. L’indicazione
errata precede la scena III, il che ci aiuta a formulare un’ipotesi per spiegare l’incongruenza. M, si è
visto, non contiene le due scene d’apertura: esso incomincia dalla scena III. In seguito all’indicazione
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errata Atto I[…] si nota come anche la numerazione delle scene risulta essere stravolta: all’indicazione
Scena III segue infatti l’indicazione Scena 2, a cui a sua volta segue Scena 3. «Atto I / è una bella
notte di plenilunio, ma di quando in quando nuvole vagabonde velano la luna» presente su DB è stato
copiato da M ed è dunque da attribuire a una fase di lavoro embrionale, mentre le due scene iniziali
sono state inserite nel corpo del testo quando la trascrizione del primo atto già era terminata.
Allo stesso modo di DB, anche DA contiene le due scene iniziali del primo atto: i due scritti,
tranne in pochi luoghi, combaciano, e le rare varianti non hanno conseguenze sul contenuto dei
dialoghi. Si osserva che DA non copia l’incongruenza di DB e, infatti, al termine delle due scene non
si trova l’arbitraria indicazione di inizio atto. Nel testo non è indicata neppure la didascalia Scena III,
ma solo la denominazione del pezzo musicale, Ronda, che accompagna il canto di Alì e dei musici
che entrano sul palco, terminate le Scene I e II. Tuttavia è bene rimarcare che DA riproduce soltanto
in casi eccezionali le indicazioni di scena che suddividono il testo: l’assenza dell’incongruenza
osservata in DB non deve, dunque, essere interpretata come un indizio a favore della maggiore
correttezza di DA.
La partitura PB si apre con il Preludio per musica: un pezzo sinfonico durante il quale il sipario
è ancora abbassato. Il sipario si apre, terminato il Preludio, rivelando sulla scena, intorno al pozzo, il
gruppo di schiave intente a prelevare l’acqua e a cantare. L’atto, dunque, incomincia con la Cantata
per coro «Passa la primavera sul deserto». La musica tace al termine della Cantata cedendo il posto
al dialogo (assente dalla partitura), recitato in prosa, delle schiave, che pian piano si avvicinano alla
sconosciuta Zaida. Segue, quindi, il Duetto tra questa e Dania. Si è scritto sopra che PB reca, in certi
luoghi del testo, l’indicazione della data di composizione: al termine del duetto si osserva la prima
data, ore 2 antim. del 22 maggio 1930, posteriore alla composizione delle restanti parti del primo atto,
le quali, Tosi ci lascia capire, sono state musicate prima del 16 febbraio, e posteriori anche alla
trasposizione in musica del secondo atto, terminata nel mese di aprile, e, addirittura, del terzo atto,
conclusa il 12 maggio. La musica per le parti in versi delle Scene I e II è, dunque, stata composta per
ultima. Ciò conferma l’ipotesi per cui il primo atto abbia trovato la sua forma definitiva in una fase
del lavoro in cui il testo di M già era stato trascritto in DB: questo poiché si parte dal principio che
DB fosse il testimone a cui Tosi ha guardato per attingere i versi da musicare (i quali sono stati poi
raccolti in DA). Una seconda ipotesi, che andrebbe confermata, è che l’inserimento di due nuove
scene all’inizio della commedia abbia comportato la decisione da parte di Bonzanigo o di Tosi (o di
entrambi) di dividere il primo atto originale in due atti: che la scelta sia stata fatta subito dopo
l’inserzione delle due scene iniziali, in una commedia già precedentemente portata a termine,
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potrebbe spiegare le innumerevoli incongruenze relative alla numerazione di scene ed atti che
caratterizzano il testo di DB.
Il libretto L riassume il primo atto, includendo le prime due scene, come conferma il seguente
estratto: «Il sipario si alza mentre l’orchestra preludia la melodia nostalgica, cantata poi dalle schiave
che in vari gruppi si dirigono al pozzo ad attingere l’acqua per le abluzioni serali».178
3.4. ATTO PRIMO, SCENA VII:
Si è detto che l’esemplare scelto come base per il lavoro di edizione del testo è DB: questo
poiché DB è generalmente il testimone più completo, nonostante contenga, come si è dimostrato nei
paragrafi precedenti, parecchi errori, determinati da sviste da parte dell’autore/copista o dalla fretta
di trascrivere il testo a macchina. Questi errori, nella maggioranza dei casi, si limitano a coinvolgere
singole parole e, solo in alcuni casi isolati, interi versi, oppure le didascalie sceniche. Tuttavia in un
luogo del testo di DB è stata rilevata una differenza importante rispetto sia a DA che a M: tale
differenza non è imputabile né a una svista, né a un errore da parte dell’autore del dattiloscritto, ma,
come si tenterà di dimostrare, dipende da una scelta consapevole di Tosi e, forse, di Bonzanigo. Il
luogo in questione coinvolge alcune battute della Scena VII che concludono il primo atto.
Il dialogo tra Mustafà e i servi, infatti, è costruito diversamente in ognuno dei tre testimoni DB,
M e DA: ciò dimostra come esso sia un luogo del testo che ha subìto costanti modifiche nel corso
dell’elaborazione della commedia, fino ad approdare alla versione dalla quale Tosi ha estratto i versi
da mettere in musica. Proprio in relazione alla Scena VII del primo atto si è deciso di non seguire la
testimonianza di DB per prediligere la versione del testo di M, che riporta quattro battute, una a inizio
scena, le altre tre a conclusione, e qualche didascalia scenica assenti dall’esemplare dattiloscritto. La
scelta è sostenuta da un confronto con la partitura PB, che rappresenta la volontà finale del musicista,
anche se i versi in essa contenuti fanno parte di quel testo «subordinato e duttile nei confronti delle
esigenze musicali» che si è deciso di non voler ricostruire in questa sede: nonostante ciò, infatti, è
bene ricordare che PB può essere utilizzato come testimone utile a confermare o smentire la scelta di
prediligere una variante del testo discordante dall’esemplare base DB.
Si proceda con ordine. Il testimone PB concorda con M per quanto riguarda la battuta,
pronunciata da Mustafà, che apre la scena VII:179 essa infatti, nonostante non sia presente in DB, è
178 BONZANIGO, TOSI, Dania, commedia musicale in tre atti, cit., p. 3.
179 Cfr.: BONZANIGO, Dania, atto primo, scena VII: «MUSTAFÀ - Dando bruscamente gli ordini. / Tutti fuori uscite
subito, / se qualcuno vedete muovere! / Come nell’estate grandine, / come in uragano fulmini, / frecce allora fate piovere,
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stata, tuttavia, musicata; l’assenza dal dattiloscritto potrebbe, quindi, essere ricondotta a una
disattenzione da parte di chi trascrive il manoscritto a macchina. In M, inoltre, la battuta di Mustafà
è introdotta da una didascalia, anch’essa assente da DB.180 La scelta di inserire nel testo critico la
didascalia e la battuta è del resto dettata da un criterio di logica narrativa, poiché Mustafà, poc’anzi,
terminato l’appello agli schiavi, è uscito di scena e necessita, ora, di rientrare.
Le tre battute che terminano la scena VII e le corrispettive didascalie, presenti soltanto in M,
mancano in DB e da PB. Tuttavia in M risultano essere state cancellate dalla mano di Tosi, il quale
sopra al testo cassato ha scritto: Sipario. L’ipotesi più plausibile è che il musicista abbia scelto di
abbreviare la scena per soddisfare il desiderio di guadagnare tempo, accorciando il finale del primo
atto. Resta invece incerto il ruolo avuto da Bonzanigo nella scelta di cassare queste parti. Da parte
nostra, il reinserimento delle ultime tre battute nel testo critico soddisfa il desiderio di completare
l’atto e di chiuderlo con l’uscita di tutti i personaggi dalla scena.
In relazione a questi stessi luoghi testuali, anche la versione di DA risulta essere problematica.
In DA le ultime sette battute della scena VII sono trascritte su un foglio a sé stante, il numero 6, che
presenta un’importante incongruenza: il nome di Mustafà, come nel caso del foglio 8, è cambiato in
Mohamed. Se prendiamo per certa l’ipotesi che la variante del nome Mohamed risale a una fase di
lavoro primordiale, se ne può concludere che il foglio 6, come il numero 8, siano stati estratti dal
proprio contesto originario e aggiunti al fascicolo in un secondo momento. Le sette battute di DA
sono caratterizzate dall’infittirsi di varianti discordanti sia dalla lezione di M che da quella di DB e
che sono state puntualmente indicate nell’apparato critico trascritto in nota.
3.5. IL «FINALE ULTIMO»
Si è scelto di terminare la discussione dei luoghi testuali problematici con alcune osservazioni
riguardo alla Scena XII del terzo atto: il finale della commedia. A un primo confronto tra DB e M il
finale non presenta varianti particolarmente interessanti, tranne la presenza di una battuta del coro,
assente in M e aggiunta in DB, tra due affermazioni del Pascià. La situazione cambia quando in gioco
entra DA: il testimone monco, infatti, porta con sé un numero non indifferente di varianti e soprattutto
/ bastonate fate scendere! / Botte! Giù senza pietà! / Per Allah! / Qual vittoria mai sarà! / La luna poco a poco si vela, e
la scena è tutta al buio»
180 Cfr.: ivi. «Esce MUSTAFÀ, seguito da un codazzo di SERVI a mezzo svestiti e armati nel modo più vario e bizzarro,
chi con randelli, chi con scope, chi con vecchie sciabole e con grossi fucili».
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di tagli, che vanno ad incidere sul numero di battute versificate di quella parte di testo, dunque, che
nella partitura forma il concertato finale.
L’interesse per il Finale ultimo nasce dal confronto tra DA e la partitura. È necessario aprire
una breve parentesi: affiancando DB, DA e PB e analizzando le singole varianti che man mano si
notano durante la lettura incrociata si può affermare che il testo di PB coincide in un numero maggiore
di casi alla versione di DA. Ciò sostiene l’ipotesi per cui la funzione di DA sarebbe strettamente
legata alle esigenze musicali di Tosi: potrebbe essere stato il testo utilizzato dal compositore per
musicare le parole delle parti versificate, un testo cioè su cui il compositore è intervenuto avendo
presente le note della propria musica. Ciò lo rende un testimone inaffidabile, di cui le ricercatrici e i
ricercatori dovrebbero diffidare, poiché esso, piuttosto che rappresentare una versione del libretto
uscita dalla mano dell’autrice, potrebbe avere la funzione di far da tramite tra il libretto e la partitura
musicale ed essere dunque un testo fortemente elaborato dal compositore. Quando la ricercatrice,
fattasi filologa, giunge infine alla Scena XII, immediatamente dovrà constatare un’eccezione al
rapporto di dipendenza tra DA e PB fin qui delineato: PB, infatti, in luogo del Finale ultimo presenta
un’esplosione di varianti contrastanti e innovative non soltanto rispetto a DB, ma anche allo stesso
DA. Si tratta di varianti contenutistiche, come per esempio l’inserimento di versi, in particolare nelle
battute pronunciate dal coro, e di varianti di tipo strutturale/posizionale, che riguardano l’ordine delle
battute. In questo specifico caso, dunque, il dialogo della scena XII verrà qui riprodotto in una forma
semidiplomatica e interpretata, poiché nel testo che compare sugli spariti sono state introdotte la
punteggiatura e la suddivisione in versi. Inoltre sono state tralasciate le svariate ripetizioni di singole
parole o di interi sintagmi, che nello svolgimento della musica hanno la funzione di enfatizzare un
luogo preciso del testo:
PASCIÀ Su venite gaio stuolo,
danzatrici e danzatori!
Fuggan lungi noia e duolo
e la gioia regni ognor.
No pensieri non vogli’io
che non siano di piacer:
poiché breve è il giorno mio,
vo trascorrerlo e goder.
CORO No pensieri non vogl’io
che non siano di piacer:
poiché breve è il viver mio
vo trascorrerlo a goder.
PASCIÀ [In prosa:] Sapete, giovani amici, cosa vagheggio? Che le vostre nozze
siano regalmente festeggiate in casa mia.
DANIA E Cadono alfin le lugubri catene
FLORIANO e ne ricinge in dolci nodi amor.
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La vita schiude a noi le sue serene
visioni di dolcezza e di splendor.
Risona ancora nell’anima il tuo canto,
che aprì il core alla speranza.
DANIA Spera mio core, l’alba è già vicina, alba di libertà, luce d’amor!
DANIA Godi, o mio core, l’alba è giunta alfine,
E FLORIANO alba di libertà, luce d’amor!
CORO Ove giunge il Gran Pascià,
regna la felicità
Liete danze intrecciam,
lieti canti ci scioglian.
Tutti di rosa scorrano i dì
a chi Amore benedì.
In dolce sogno vivete ognor,
voi che congiunse nodo d’amor.
Viva gli sposi!
PASCIÀ Evviva gli sposi!
MUSTAFÀ Evviva noi!
TUTTI Viva gli sposi!
DANIA Luce d’amor…
E FLORIANO
Un’ultima osservazione, dunque, chiude questo capitolo che ha preso in esame quei luoghi del testo
problematici – quei luoghi per cui è stato necessario soffermarsi a spiegare e valutare le scelte che si
rispecchiano nel testo critico che è proposto in questo lavoro. Il testo della partitura, nonostante sia
stato riconosciuto come un insieme di parole assoggettate alla musica e da essa dipendenti, contiene
alcuni elementi interessanti anche per l’analisi letteraria: esemplare, infatti, è la battuta cantata da
Dania, che si trova al centro del concertato finale, evidenziata dal testo in grassetto nell’estratto
riportato qui sopra «Spera, o mio core, l’alba è già vicina, / alba di libertà, luce d’amor!», ripresa e
sviluppata nel canto con Floriano «Godi, o mio core, l’alba è giunta alfine, / alba di libertà, luce
d’amor!», e composta dagli stessi versi cantati da Floriano nella Serenata del primo atto: «Spera, mio
core! / L’alba è già vicina, / alba di libertà, luce d’amore».181 I due versi cantati da Dania nel Finale
ultimo formano una ripresa testuale che, oltre a legare e suggellare l’incontro tra i due amanti, lega
anche il primo e il terzo atto, concludendo la commedia all’insegna di una circolarità che invece
risulta assente sia nel testo librettistico trascritto da DB, sia nei testimoni M e DA.
181 Cfr. Ibidem, atto primo, scena V.
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4. ALCUNE CONCLUSIONI
Prima di giungere ad alcune conclusioni – che non hanno nulla di conclusivo, tranne il fatto di
trovarsi al termine del capitolo e che vorrebbero, bensì, essere degli ulteriori spunti di riflessione –
ricordiamo la domanda, formulata da Segre e citata all’inizio di questo percorso: «E poi, che cos’è
l’originale?»182 La ricercatrice nel porsi questa domanda di fronte al plico di documenti diversi che
nel loro insieme hanno portato alla creazione di un’opera lirica non potrà trovare una risposta
soddisfacente. Un primo aiuto è stato offerto dall’utile, sebbene estremamente arbitraria divisione tra
testo letterario del libretto e testo musicale. Tale divisione aiuta a definire una linea di lavoro e a fare
alcune importanti scelte, tra cui quella di porre in secondo piano l’autorità del testo presente tra i
pentagrammi della partitura. Ciononostante, il tentativo di ricostruire un testo critico resta
estremamente problematico. Sempre Segre giunge a formulare un’affermazione che riassume le
difficoltà inerenti al lavoro di critica testuale librettistica:
L’operazione critica legittima può solo essere quella di presentare nel modo più
trasparente tutti i materiali in nostro possesso, e aiutarci con approfondite disamine a
percorrere il breve o lungo tratto di strada verso una ricostruzione mentale che i dati a
disposizione autorizzano.183
La ricostruzione del testo di Dania svolta in questo lavoro non può e non vuole essere un risultato
inoppugnabile: le ipotesi formulate per giustificare talune scelte sono soltanto parzialmente
attendibili, e, per mancanza di dati, non prendono in considerazione dimensioni quali l’intervento di
forze esterne, quali ad esempio le critiche del pubblico (si ricorda che lo spettacolo è andato in scena
per quattro sere di fila e non è stato possibile accertare che i cambiamenti operati in seno al testo non
dipendano dalla reazione degli e delle astanti durante le prime rappresentazioni), le prestazioni degli
interpreti (più o meno adatti a interpretare una parte) o le capacità del Teatro Sociale di Bellinzona
(un teatro di provincia, caratterizzato da certi limiti spaziali e strutturali). Inoltre non è da escludere
l’intervento critico di istituzioni quali i giornali o la Chiesa.
Il lavoro di edizione che si vuole ora proporre, insomma, piuttosto che avere la pretesa di
obbedire a criteri oggettivi, imponendosi al modo di una scienza esatta, segue il bisogno e il desiderio
di ricostruire un testo che sia scorrevole per chi legge, ripulito dagli errori grossolani – causati dalla
fretta, dalla distrazione e dalla stanchezza dell’autrice o di chi per lei batte a macchina il manoscritto
– e che sia, tutto sommato, apprezzabile per il proprio valore letterario.
182 SEGRE Cesare, Riflessioni sulla critica testuale, cit., p. 5.
183 Ibidem, p. 6.
“Voi signori poeti siete matti.amico, persuadetevi; chi maicredete che dar voglia attenzionealle vostre parole?Musica in oggi, musica ci vuole”.
G. B. Casti. Prima la musica poi le parole.
“Presto. questi intermezzi fanno morire d’inedia”.
Giacosa, Illica. La Bohème
I n t e r m e z z o
Copertina di uno spartito per voce per l’Aida del 1872
65
INTERMEZZO – PRIMA LE PAROLE POI LA MUSICA
ALCUNE QUESTIONI DI GENERE
1. CHE COS’È QUESTA COMPOSIZIONE?
Riprendiamo la citazione con la quale abbiamo voluto dare avvio all’introduzione di questo
lavoro: il giornalista di «Popolo e Libertà» al termine della prima rappresentazione di Dania si pone
la domanda: «cos’è questa composizione?»184 La reazione del giornalista è da interpretare come
sintomatica della difficoltà con cui si trova confrontato nel momento in cui tenta di classificare lo
spettacolo a cui ha appena assistito. Infatti il testo della commedia (come si è visto nella prima parte
del presente lavoro) è diviso tra parti in prosa, recitate e funzionali all’avanzamento dell’azione
scenica, e parti in versi, musicate dal compositore e cantate sulla scena. Alla propria domanda,
l’autore dell’articolo trova una risposta significativa che ci permette di svolgere alcune considerazioni
importanti. Leggiamola:
[Dania] è una composizione sui generis, dove c’è un po’ di tutto, ma dove sempre si vede
l’ispirazione: musica semplice ma sempre contenuta nella linea classica anche se non
cercata; musica che il popolo senta, ma così che non possa trascinarne i motivi fischiettati,
poi, sulle piazze: musica che sfrutti le risorse degli artisti e dei cori senza sfiatare; musica
che trasfonde nell’orchestra, in un lavoro grandioso, il commento, non solo, ma tutto
quello che non è detto, né cantato sulla scena.185
Il giornalista arriva a una definizione interessante: Dania è una commedia sui generis, un prodotto
artistico, quindi, che, non corrispondendo ai tratti normativi186 relativi al genere più prossimo, non
può essere ricondotto a una categoria librettistico-operistica stabile. L’autore del testo formula la
propria opinione sul genere della pièce considerando esclusivamente la musica del compositore,
infatti propone una breve panoramica dei brani musicali della commedia, tralasciando di coinvolgere
il testo librettistico nella propria riflessione. Nell’articolo viene menzionato il libretto, tuttavia a esso
viene dato un giudizio di valore isolato, come se fosse un oggetto diverso, separabile dalla
184 Cfr.: «Cos’è questa composizione? È difficile classificarla. Non è un’opera, non foss’altro che per la larga parte recitata
oltre che per tutta la costruzione. Non è un’operetta, neppur quando sembra ne abbia l’allure perché la linea classica si
vede sempre e vi sono scene come quella tra Dania e Floriano nel terzo atto che hanno tutto il colore lirico. Non è una
commedia buffa, anche se, volta a volta, si potrebbe crederlo, perché non manca qualche momento drammatico e perché
nell’orchestra v’è più d’una volta, l’altezza della preghiera o l’ampiezza dell’inno». Estratto da «Popolo e Libertà», 30
maggio 1930, p. 3.
185 Ivi. Il corsivo è nostro.
186 Normativo è inteso nel significato di relativo a una norma.
66
composizione musicale.187 Tentare di classificare lo spettacolo separando il testo letterario dalla
composizione musicale significa, però, non comprendere l’intrinseco legame tra le svariate parti – il
libretto e la musica, ma anche le scenografie, i costumi, la recitazione degli interpreti, tutto ciò che,
quindi, appartiene propriamente alla dimensione visiva dello spettacolo teatrale – aspetti che formano
nel loro insieme l’opera musicale.
In risposta all’attenzione limitata rivolta al libretto il seguente capitolo desidera proporre alcune
riflessioni nate dalla lettura del testo di Bonzanigo, alla ricerca di elementi che possano indicare le
caratteristiche del genere a cui esso appartiene: la riflessione sul genere librettistico di Dania, inoltre,
ci permette di creare un ponte tra la prima parte del lavoro, dedicata all’intervento filologico sul testo,
e la seconda parte che affronta invece il contenuto della pièce con un’attenzione rivolta al contesto
storico. Un capitolo, dunque, che nell’assetto del presente lavoro svolge la funzione di intermezzo.
La lacuna interpretativa del giornalista bellinzonese è soltanto un’eco lontana dell’approccio
tradizionale assunto sia dalla critica musicale e letteraria, sia dal grande pubblico, nei confronti degli
spettacoli operistici: lo conferma Giovanna Gronda, che osserva come la figura del librettista nel
corso dei secoli assume una posizione di secondo rango rispetto a quella del compositore.188 È un
approccio che è prevalso a lungo anche nella letteratura specialistica: l’opera – termine che
comprende l’opera seria, l’opera buffa, l’opéra comique francese, il melodramma ottocentesco
italiano, il Singspiel tedesco, l’operetta parigina e viennese e altri sottogeneri189 –, infatti, finisce per
essere intimamente legata alla personalità del compositore. Vorremmo citare un caso che
esemplarmente aiuterà a rendere evidente il punto della situazione: il critico letterario Bruno
Traversetti si spinge a dichiarare che «Offenbach, “inventando” l’operetta satirica a propria
immagine, edificò una tipologia che, pur così spesso imitata, resta sostanzialmente inimitabile, legata
alle articolazioni umorali della sua personalità e del suo singolare talento».190 Il ruolo svolto dai
librettisti, con cui il compositore di brani celebri quali il cancan infernale ha collaborato, è oscurato
nel giudizio di Traversetti dall’assoluta attenzione rivolta al genio musicale di Offenbach, nonostante
siano i libretti a manifestare la dimensione satirica delle operette offenbachiane.
187 Cfr.: «Il libretto è steso in lingua eletta (con una sola eccezione per una buffa cantata)». «Popolo e Libertà», 30 maggio
1930, p. 3.
188 Cfr. in particolare il capitolo II. Ruoli, funzioni, figure di librettisti di GRONDA, Il libretto d’opera fra letteratura e
teatro, in AA.VV., Libretti d’opera italiani, cit., pp. XI-LIV, Pp. XV-XX.
189 Rimandiamo a MIOLI Piero, Manuale del melodramma, Rizzoli, Milano, 1993 per approfondimenti riguardo alla
terminologia dell’opera lirica.
190 TRAVERSETTI Bruno, L’operetta, Mondadori, Milano, 1985, p. 62
67
La conclusione a cui il giornalista di «Popolo e Libertà» giunse, dunque, è che la drammaturgia
musicale di Dania, essendo inclassificabile, rende il lavoro di Bonzanigo e Tosi una composizione
sui generis. Il giornalista, come si è detto, lo afferma prendendo in considerazione la dimensione
musicale dello spettacolo, un aspetto che per le lettrici e i lettori odierni, incapaci di leggere lo spartito
musicale, è inafferrabile.191 L’ipotesi che ora si vuole proporre è che, nonostante la tessitura musicale
della pièce rimanga muta alle orecchie delle lettrici e dei lettori contemporanei, il testo librettistico,
loquace a dispetto del silenzio melodico, fornisca alcuni indizi rilevanti per la contestualizzazione di
Dania nel genere operistico.
Innanzitutto è fondamentale prendere in considerazione l’indicazione di genere presente sui
testimoni del libretto della pièce. Il fascicolo pubblicato da Salvioni192 che riassume narrativamente
le scene della commedia reca sulla copertina la dicitura commedia musicale in tre atti, indicazione
presente anche nei restanti testimoni. Un’eccezione è tuttavia osservabile nel manoscritto della
commedia (che, come abbiamo visto nella prima parte del lavoro, rappresenta una fase del lavoro
iniziale): esso, infatti, presenta la formula operetta in 3 quadri e 2 atti, cassata e rimpiazzata dalla
definizione commedia musicale in 2 atti e 3 quadri. La cancellazione rende evidente come gli autori
dell’opera si siano distanziati, già all’altezza redazionale della versione manoscritta, dal genere
dell’operetta, nonostante il testo condivida con esso diversi aspetti di tipo formale e musicale:
innanzitutto il rapporto tra prosa recitata e canto. In relazione a ciò si legga la definizione di ‘operetta’
data da Mioli:
[Operetta] piccola opera, opera simpatica e degna del vezzeggiativo. Ultima fra le tante
forme di teatro musicale con brani parlati, l’operetta nasce e s’afferma a metà ‘800 in
Francia con i favori della società del secondo Impero, trionfa a Vienna, prospera in Italia
e in Inghilterra, si diffonde poi dovunque mediante l’istituto del repertorio, infine
lentamente decade dopo la Grande Guerra […]. Le parti cantate, strofette brillanti o
affettuose, sono più semplici di quelle dell’opera, e a voci autentiche affiancano cantanti
di carattere, soubrettes e “brillanti”. Gli argomenti sono dapprima parodistici, poi
sentimentali e fiabeschi, infine anche realistici e popolari.193
191 Dania, ricordiamo, è stata messa in scena per quattro sere consecutive al Teatro Sociale di Bellinzona nei giorni a
cavallo tra i mesi di maggio e giugno del 1930. Nell’unità archivistica UNA 154, conservata nell’Archivio di Stato a
Bellinzona, è presente la copia di un dattiloscritto che testimonia la riduzione radiofonica della commedia di Bonzanigo
e Tosi, curata da Luciano Sgrizzi per la RSI. Purtroppo nel dattiloscritto non è segnata alcuna data: sui fogli compaiono
solamente il testo per lo speaker (che introduce la commedia, citando i nomi degli autori e l’anno della rappresentazione
in scena) e il testo per il lettore/narratore (che man mano riassume la vicenda della commedia, intercalandosi alla
riproduzione di un numero ridotto dei brani originali, che nel dattiloscritto sono indicati tramite un breve titolo e con le
indicazioni della durata dei pezzi). Della registrazione radiofonica non c’è traccia nell’archivio della RSI.
192 Il riferimento è al testimone L: BONZANIGO, TOSI, Dania, commedia musicale in tre atti, cit.
193 MIOLI, Manuale del melodramma, cit., pp. 257-258.
Si tenga presente la definizione altrettanto significativa tratta dall’Enciclopedia Italiana (1935) di Treccani: «In un altro
senso, divenuto proprio e definitivo durante il sec. XIX, operetta designa uno spettacolo di musica (orchestra, soli, duetti,
68
Si tratta dunque di un genere in cui scene di recitazione si intercalano a brani musicati. Il testo recitato
tuttavia non corrisponde al recitativo tipico dell’opera settecentesca: esso è infatti privo
dell’accompagnamento musicale, ed è scritto in prosa. Oltre a ciò Dania ha in comune con l’operetta
anche un altro aspetto importante: la presenza nel tessuto musicale di brani di danza ne La danza dei
moretti e delle schiave dell’atto secondo. Zimmerschied, in relazione all’importanza delle danze nel
genere, infatti sostiene:
Es ist nicht leicht, den vielen Werken, die man unter dieser Gattungsbezeichnung
zusammenfasst, in gleicher Weise gerecht zu werden. Was aber die Operette zwischen
Offenbach und Nico Dostal verbindet, ist der Tanz. Mit nur wenigen Ausnahmen besteht
die Gattung “Operette” aus Tanzmusik, gleichgültig ob sie gespielt, gesungen oder
getanzt wird, ob der Gesang ein einfaches Couplet oder eine der Oper nachempfundene
Arie ist oder ob ein Rezitativ die Handlung weitertreibt und anschliessend vielleicht Chor
oder Ensemble auftreten.194
Quindi, l’operetta si distingue da altri generi operistici per via della presenza importante di musica da
danza.195 Zimmerschied riconosce in questa caratteristica un motivo che rende l’operetta un genere
estremamente popolare, il cui principio fondamentale «ist Volkstümlichkeit und leichte
Verständlichkeit».196 Tornando a rivolgere l’attenzione a Dania si pone ora la domanda relativa alla
pertinenza dell’etichetta operetta. Si è osservato che gli autori Bonzanigo e Tosi hanno rifiutato tale
definizione, preferendo un termine dai connotati più neutri: commedia musicale197 pare essere
sintomatico del desiderio di distanziarsi dal genere dell’operetta, percepito come minore.
Riprendiamo il tentativo avanzato dal giornalista di «Popolo e Libertà»:
concertati, coro, danze) intercalato da dialoghi in prosa, il quale, prescindendo da ogni severa stilizzazione e da ogni
profondità di pathos, per il suo carattere leggiero contrapposto con l'opera seria e la grande opera comica, trova nella
frivola gaiezza talvolta lasciva, nelle esplosioni di rumorosa buffoneria e nella capricciosa fantasia della sua vicenda
scenica, motivo di divertimento per lo spettatore. Coefficiente importantissimo ne è inoltre lo sfarzo dell'allestimento
scenico». CAGGIANO Roberto, Voce <Operetta>, in Treccani, Enciclopedia italiana (1935), link:
http://www,treccani,it/enciclopedia/operetta_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultima visita: 10 dicembre 2016).
Un’ulteriore tratto fondamentale che caratterizza il genere dell’operetta è rintracciabile nel contesto sociale e storico in
cui essa si è sviluppata ed evoluta: «Il genere dell’operetta non si identifica solamente con la forma, ma anche con un
gusto e una dimensione culturale, quella della borghesia francese e austriaca fin de siècle, con la sua predilezione per le
storie sentimentali ambientate nella buona società del tempo». Cfr.: CIMA Alberto, Filosofia ed Estetica della Musica,
Casa Musicale Eco, Monza, 2014, pp. 183-193, p. 183.
194 ZIMMERSCHIED Dieter, Operette, Phänomen und Entwicklung, Breitkopf & Härtel, Wiesbaden, 1988, pp. 9-10.
195 La danza caratterizza l’operetta fin dagli inizi parigini di Offenbach: si pensi all’Orphée aux Enfers, dove nel corso
del secondo atto risuona il famoso cancan, chiamato anche Galop infernal.
196 ZIMMERSCHIED, Operette, Phänomen und Entwicklung, cit., p. 10.
197 La definizione commedia musicale non è da intendere come musical, bensì come termine generico utilizzato a partire
dal «XVIII per designare le manifestazioni di teatro musicale comico-sentimentale». Cfr.: voce <c. musicale>, in
Treccani, Enciclopedia Online, link: http://www.treccani.it/enciclopedia/commedia/ (ultima consultazione: 18 dicembre
2016). Si legga anche la definizione di MIOLI, Manuale del melodramma, cit., p. 90: «A parte la napoletana commedia
per musica, a parte il musical americano, più d’un opera teatrale di Richard Strauss si chiama così o circa così».
69
Non è un’opera, non foss’altro che per la larga parte recitata oltre che per tutta la
costruzione. Non è un’operetta, neppur quando sembra ne abbia l’allure perché la linea
classica si vede sempre e vi sono scene come quella tra Dania e Floriano nel terzo atto
che hanno tutto il colore lirico. Non è una commedia buffa, anche se, volta a volta, si
potrebbe crederlo, perché non manca qualche momento drammatico e perché
nell’orchestra v’è più d’una volta, l’altezza della preghiera o l’ampiezza dell’inno.198
L’autore dell’articolo riconosce in Dania elementi che allontanano la pièce dal genere dell’operetta:
una «linea classica»199 che attraversa l’intera commedia ed è osservabile secondo il giornalista ad
esempio in quel «colore lirico» nel duetto dei protagonisti nel terzo atto. La linea classica, tuttavia,
piuttosto che essere circoscritta al lirismo dei personaggi, è, a nostro avviso, riscontrabile nei richiami
intertestuali presenti in diversi luoghi del testo. L’autrice del libretto, infatti, mentre scrive i brani
destinati a essere tradotti in musica da Tosi, dimostra di possedere un’ottima conoscenza del canone
operistico tardo settecentesco e ottocentesco italiano, inserendo nel testo richiami a opere celebri,
talvolta in modo più esplicito, altre volte invece con più sottigliezza. Verranno di seguito elencati
alcuni luoghi del testo in cui la presenza di rimandi operistici è più evidente: prima di soffermarsi a
considerare gli esempi è da osservare che i richiami interoperistici si manifestano principalmente
nelle parti del testo che non riprendono la fonte dichiarata L’amour peintre di Molière. Si tratta,
quindi, dei luoghi del testo in cui Bonzanigo è intervenuta con maggiore intensità.
Gli esempi più lampanti sono presenti nell’atto primo. Innanzitutto si osservi la Romanza di
Dania «Notte lunare, piena d’incanto»200: la protagonista Dania rivolge il proprio canto malinconico
alla notte lunare, vedendo in essa una consolazione per la propria condizione di schiavitù. Il motivo
della luna, divenuto centrale nella lirica ottocentesca per via del gusto romantico predominante, è
riscontrabile nella celebre aria cantata da Norma nel primo atto dell’opera belliniana: «Casta diva,
che inargenti / queste sacre antiche piante».201 Gli elementi testuali non presentano un richiamo
esplicito al libretto di Felice Romani, e tanto meno il tempo della musica della romanza di Dania
corrisponde a quello della cavatina di Norma. Tuttavia, in un pubblico che conosca il repertorio
operistico tradizionale il ricordo di «Casta diva» sarà stato risvegliato con facilità dal lamento
198 «Popolo e Libertà», 30 maggio 1930, p. 3. Il corsivo è nostro.
199 L’interpretazione da attribuire all’aggettivo classico, utilizzato nell’articolo del 1930 di «Popolo e Libertà», non è una
questione semplice. La nostra ipotesi vi legge soltanto in parte il significato specialistico di «attributo che qualifica, in
senso lato, la musica dei grandi compositori, spec. strumentalisti, d’ogni tempo e paese, e in senso stretto i grandi
compositori operanti tra la fine del barocco e il principio del romanticismo (Haydn, Mozart, Boccherini, Clementi,
Cherubini, Beethoven)». Mentre riteniamo che il giornalista possa aver utilizzato l’aggettivo classico riferendosi piuttosto
alla definizione comune di: «musica cólta dei secoli passati, contrapposta alla cosiddetta musica leggera». Entrambe le
definizioni sono presa dalla voce <Classica>, in Treccani, Enciclopedia Online, link:
http://www,treccani,it/vocabolario/classico/ (ultima visita:15 dicembre 2016).
200 BONZANIGO, Dania, atto primo, scena V.
201 ROMANI, Felice, Norma, atto primo, scena IV, in Bellini Vincenzo, Tutti i libretti d’opera, a c. di Piero Mioli, Grandi
Tascabili Economici Newton, Roma, 1997, p. 258-295, p. 270.
70
notturno di Dania. Oltre al richiamo belliniano, il testo riecheggia un’altra aria conosciuta oggi, come
anche nel 1930: «O cieli azzurri, o dolci aure native»202, che esprime il sentimento di Aida, rapita
dalla famiglia etiope per esser fatta schiava presso Amneris, la figlia del re d’Egitto. Il paragone fra
Dania e Aida verrà approfondito nel capitolo incentrato sull’analisi del libretto.
Elementi specifici dell’aria di Floriano, cantata nell’atto primo in seguito alla romanza di Dania,
sono invece rintracciabili nel libretto del Don Giovanni di Da Ponte: il richiamo concerne la serenata
cantata dal libertino Don Giovanni, vestito con gli abiti di Leporello, alla serva di Donna Elvira, nella
scena III dell’atto secondo. Innanzitutto è da notare che il primo verso della serenata di Don Giovanni
fa da modello sintattico e semantico al verso iniziale del canto di Floriano:
DON GIOVANNI
Deh vieni alla finestra, o mio tesoro,
deh vieni a consolar il pianto mio.203
FLORIANO
Torna ancora al verone, o mia diletta,
e ascolta il canto della mia passione.
La serenata a Dania non soltanto riprende in attacco la struttura dei versi dapontiani, ma si trova
inserita in un contesto drammaturgico simile alla scena III dell’atto secondo dell’opera mozartiana:
Don Giovanni canta una serenata con lo scopo di attirare l’attenzione della donna desiderata, mentre
il servo Leporello, complice del padrone, distrae Donna Elvira. La scena dunque mette in scena una
beffa a spese di Donna Elvira, la quale si ritrova suo malgrado a duettare con Leporello travestito da
Don Giovanni, mentre quest’ultimo può liberamente tentare la seduzione della serva di lei. Il richiamo
sintattico e semantico di «Torna ancora al verone, o mia diletta» è sostenuto dal richiamo
contenutistico al Don Giovanni: il tema della beffa, infatti, struttura la pièce di Dania, ed è funzionale
a unire gli amanti. Sull’analisi tematica si tornerà nel seguito del lavoro: ciò che importa dimostrare
qui è la maniera in cui Bonzanigo lavora per intessere i diversi livelli della propria commedia con
richiami a modelli operistici significativi.
Sempre nell’aria di Floriano è riconoscibile un calco lessicale che, in questo caso, rasenta la
citazione letterale. L’aria, infatti, termina sui versi:
La regina tu sei dei miei pensieri,
202 GHISLANZONI Antonio, Aida, atto terzo, scena III, a c. di Dario Zanotti, in AA.VV., Librettidopera, 2002, p. 20, link:
http://www,librettidopera,it/zpdf/aida,pdf (Ultima visita: 17 dicembre 2016)
203 DA PONTE Lorenzo, Don Giovanni, atto secondo, scena III, in AA.VV., Libretti d’opera italiani, cit., pp. 777-842, p.
819.
71
prendi tutto me stesso in sudditanza.
Spera mio core.
L’alba è già vicina,
alba di libertà luce d’amore.204
Si riprenda nuovamente il libretto di Ghislanzoni, questa volta per leggere il testo della romanza che
Radamez canta nell’atto primo in nome della «celeste Aida»: «del mio pensiero tu sei regina».205 Il
richiamo testuale ad Aida è evidente.
Il Don Giovanni e l’Aida non sono gli unici libretti a trovare un’eco nel testo di Bonzanigo. Un
terzo richiamo interessante è osservabile nel confronto con Il barbiere di Siviglia: si prenda l’inizio
dell’opera rossiniana, l’attacco dell’atto primo, in cui il Conte d’Almaviva organizza, tramite l’aiuto
del fedele servitore Fiorello, una serenata per Rosina. L’uomo, appostato ai piedi della casa, dove la
donna è «in sua camera serrata» dallo zio geloso che desidera sposarla, intona la serenata «Ecco
ridente in cielo». Ciò che accomuna Dania al Barbiere di Siviglia è l’azione scenica che crea la
situazione della scena I: il conte, come Floriano, vorrebbe prender contatto con la donna, di cui non
conosce i sentimenti. Come Dania, Rosina è rinchiusa in casa da un uomo che ha una forte autorità
su di lei. Il richiamo al testo di Sterbini non è solamente riconoscibile nella struttura drammaturgica
della scena, ma concerne il testo librettistico. Come Alì, il personaggio di Fiorello è incaricato dal
padrone di preparare il gruppo di musicisti che accompagneranno la serenata del Conte d’Almaviva
per Rosina:
FIORELLO
Piano pianissimo,
senza parlar,
tutti con me
venite qua.
CORO
Piano pianissimo,
eccoci qua.
TUTTI
Tutto è silenzio.
Nessuno qui sta
che i nostri canti
possa turbar.206
204 BONZANIGO, Dania, atto primo, scena V.
205 GHISLANZONI, Aida, atto primo, scena V, cit., p. 5.
206 STREBINI Cesare, Il barbiere di Siviglia, atto primo, scena I, in AA.VV., Libretti d’opera italiani, cit., pp. 1001-1074,
p. 1009.
72
L’apertura «piano pianissimo / senza parlar / tutti con me / venite qua» fornisce un calco lessicale per
la sequenza cantata da Alì nella scena III dell’atto primo di Dania:
ALÌ
Pian pianino, cautamente,
senza far rumore
qui venite, brava gente,
qui attendete il mio signor.
CORO
Pian pianino, cautamente,
senza far rumore
tutti qui pazientemente
attendiamo il tuo Signor.207
Il parallelismo tra Il barbiere di Siviglia e Dania acquisisce maggiore rilevanza dopo aver constatato
che Bonzanigo, nella fase di lavoro iniziale testimoniata dal manoscritto, non ha ancora elaborato le
prime due scene della pièce: Dania, dunque, originariamente sarebbe dovuta incominciare con il
«Pian pianino, cautamente» di Alì, aprendosi in questo modo con lo stesso intreccio drammaturgico
del Barbiere di Siviglia (la scena di preparazione alla serenata notturna diretta dal servo forma
l’apertura dell’opera, ad essa seguita la serenata dell’innamorato e la fuga precipitosa dei
musicisti).208
Essere sui generis è una caratteristica non solo riscontrabile nella tessitura musicale del lavoro
di Bonzanigo e Tosi (come si è visto, per le lettrici e i lettori odierni la partitura musicale composta
da Tosi resta inesplorata), ma anche nel libretto. La forma del testo manifesta tratti propri del genere
dell’operetta (la commistione tra parti in versi, destinate a essere musicate, e parti in prosa, recitate),
a costituire un libretto costellato da rimandi a modelli dell’opera lirica buffa e del melodramma
ottocentesco.
207 BONZANIGO, Dania, atto primo, scena III,
208 Ringrazio Matteo Giuggioli per avermi indicato il parallelismo tra la struttura drammaturgica della scena I dell’atto
primo del Barbiere di Siviglia e la scena III dell’atto primo di Dania.
73
2. IN CONCLUSIONE
Al termine del breve excursus sulla contestualizzazione di Dania nel genere testuale del libretto,
si presti attenzione ad alcune questioni significative poste dall’opera in quanto genere che riunisce
aspetti musicali, letterari e teatrali. Si leggano le parole del musicologo Lorenzo Bianconi, il cui
contributo ci aiuta a raccogliere le fila del discorso critico nato in seno allo studio dell’opera lirica.
Lo studioso nota un cambiamento nell’approccio con cui la musicologia affronta il genere operistico:
Dopo una lunga tradizione disciplinare che ha considerato l’opera in musica come un
genere musicale tra tanti – la sinfonia, la sonata, l’oratorio, la messa eccetera –, e che però
s’è concentrata sull’esame della musica operistica, delle sue forme, dei suoi stili, delle
sue tecniche, a discapito delle componenti letterarie, drammaturgiche, gestuali,
spettacolari, gli storici della musica, da una ventina d’anni in qua, hanno man mano
riscoperto la complessità multiforme del teatro d’opera e l’hanno investigato in tutte le
sue funzioni. Il rango preminente tenuto dalla musica tra le arti che concorrono alla
produzione operistica non risulta sminuito dall’attenzione che, ora, lo storico tributa a
quell’anomalo genere letterario ch’è il libretto d’opera, oppure alla vocalità, oppure alle
forme della scenografia e della mess’in scena, nel loro rapporto di convivenza e di
differenziata corrispondenza con la musica.209
Che cosa significa il cambiamento notato vent’anni fa da Bianconi nell’atteggiamento rivolto dai
musicologi al prodotto operistico? Si è scritto più sopra che il teatro d’opera non può essere
considerato soltanto in quanto genere musicale oppure genere letterario. Perciò analizzare le diverse
forme dell’opera, le sue tradizioni, la sua ricezione e diffusione richiede un approccio
interdisciplinare che soltanto negli ultimi decenni sta lentamente prendendo piede in seno alla critica.
Lo sviluppo di una disciplina specifica dedicata allo studio accademico del genere operistico in
quanto forma d’arte a sé – i cosiddetti Opera Studies – denota la necessità di osservare il prodotto
operistico in ogni sua parte, rivolgendo l’attenzione verso «modes of study that consider the social
and historical contexts of a work, and engage not only with dramatic texts but with the materiality of
performance practices and events, and with the institutions and cultural discourses that sustain them.
To study opera we have to study more than operas».210
Il viaggio di scoperta intrapreso nel lavoro di ricerca su Dania è un viaggio complesso, pieno
di sorprese, svolto con la consapevolezza di avere fra le mani un prodotto artistico ibrido. A partire
dal testo librettistico, ricostruito tramite un attento lavoro filologico, si è instaurato, dunque, un
percorso che ha condotto chi scrive a prestare attenzione ai libretti d’opera che hanno influenzato
209 BIANCONI Lorenzo, introduzione, in AA.VV., La drammatrugia musicale, a c. di Lorenzo Bianconi, Il Mulino,
Bologna, 1986, pp. 7-50, p. 7.
210 TILL Nicholas, Opera studies today, in AA.VV., The Cambridge Companion to Opera Studies, a c. di Nicholas Till,
Cambridge university press, Cambridge, 2012, pp. 1- 22, p. 2.
74
l’autrice e il compositore della pièce. Al termine di questo intermezzo dedicato alla
contestualizzazione di Dania nel genere operistico, si apre la seconda parte del lavoro, incentrata
sull’analisi dei temi, letti tenendo presente il contesto sociale, culturale e letterario della Svizzera
italiana degli anni Venti e Trenta.
“Jeder Text ist immer mehr Einflüssen ausgesetzt, als er in seiner eigenen Sprache rekonstruieren kann”.
S. Hark, Deviante Subjekte.
“L’imagination c’est le pouvoir que chaque être sensi-ble sent en soi de se représenter dans son cerveau les
choses sensibles”.
Voltaire, Dictionnaire philosophique.
P a rt e S e c o n d a
Edgar Degas, L’Orchestre de l’Opéra, 1868
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PARTE SECONDA – «AMOR DI PATRIA FAVELLA IN ME»
UN PERCORSO TEMATICO ATTRAVERSO IL TESTO LIBRETTISTICO
1. PROLOGO
Immaginiamo di essere nel 1930. È la sera del 2 giugno,211 un tiepido lunedì d’estate sta
volgendo al termine e fra poche ore avrà inizio l’ultima rappresentazione di Dania, commedia
musicale in tre atti, scritta da Elena Bonzanigo e musicata da Luigi Tosi. Ci troviamo di fronte
all’ingresso brulicante di donne e uomini in abito da sera del Teatro Sociale di Bellinzona, uno dei
più antichi «teatri di provincia»212 , ancora oggi agibile, della Svizzera. L’edificio ospita le
rappresentazioni dirette dal maestro Tosi da ben undici anni: un arco di tempo in cui l’affezionato
pubblico della regione ha potuto assistere a un discreto numero di spettacoli corali ed operistici, tra
cui ricordiamo la Bohème e La Favorita nel 1925, e La cavalleria rusticana e La Tosca nel 1927.213
Dalla curiosità non riusciamo a stare nella pelle: stropicciando nervosamente il biglietto, acquistato
alla cassa del Caffè del Teatro per 1.70 franchi, ci dirigiamo, insieme ad altri 700 spettatori, in
fibrillazione come noi, verso il nostro posto in platea.214 Varcando le porte del teatro e attraversando
l’atrio illuminato dalle decine di lampadine elettriche,215 ripensiamo al gran numero di recensioni
lette sui quotidiani del cantone negli scorsi giorni, che con elogi di ogni sorta promettono al pubblico
211 La prima di Dania è avvenuta giovedì 29 maggio 1930. A questa sono seguite le recite di sabato 31 maggio, di
domenica 1 giugno e infine di lunedì 2 giugno. La cronologia è stata ricostruita tramite la lettura dei quotidiani «Libera
Stampa», 28 maggio 1930 e «Il Dovere», 29 maggio 1930.
212 Cfr. REICHLIN Renato, Le ambizioni di un teatro di provincia dell’ottocento, in AA.VV., Il Teatro Sociale di
Bellinzona, uno spettacolo di teatro, a c. di Renato Reichlin, pp. 139-167, p. 139.
213 Luigi Tosi venne nominato direttore della «Civica Filarmonica di Bellinzona» nel 1919. Nel 1920 fondò, sempre a
Bellinzona, la corale femminile «Santa Cecilia», e negli stessi anni ricostruì l’orchestra di Bellinzona: in definitiva «Egli
riuscì a guidare i complessi musicali locali di dilettanti in impegnativi allestimenti operistici al Teatro Sociale». Cfr.: voce
<Luigi Tosi>, in I principali attori del campo musicale della Svizzera italiana, La musica della Svizzera italiana, cit.
214 I prezzi indicati sul manifesto della rappresentazione di lunedì 2 giugno sono più bassi rispetto a quanto è indicato
sull’edizione de «Il Dovere» del 29 maggio 1930 riguardo al costo dei posti per la prima dello spettacolo.
215 Il Teatro Sociale di Bellinzona, costruito nel 1847 dall’architetto Giacomo Moraglia, venne restaurato tre volte nel
corso di quasi 200 anni. Il primo restauro avvenne nel 1891, anno in cui viene installato il sistema di illuminazione
elettrico. Sotto la direzione dell’architetto Antonio Barera al teatro vengono annesse due aggiunte sulla fiancata
occidentale dell’edificio: la nuova ala ospita un ristorante e viene completata nel 1897. Altri importanti interventi di
restauro risalgono al 1919. Nel 1951 il teatro viene trasformato in sala cinematografica, per poi chiudere i battenti
vent’anni più tardi ed essere abbandonato al degrado. Nel 1990, infine, l’architetto Giancarlo Durisch è incaricato di
presentare un progetto per il restauro completo dell’edificio, da poco iscritto nell’elenco dei monumenti protetti dal
Dipartimento dell’Ambiente del Cantone. I lavori, iniziati nel 1990, terminano nel 1997: al Teatro è stata restituita la
forma originale, risalente al 1847. Per maggiori informazioni riguardo alla storia del Teatro Sociale di Bellinzona si
leggano: MARTINOLI Simona, Il teatro Sociale di Bellinzona, Guide di monumenti svizzeri SSAS, Edito in collaborazione
con la Fondazione Mario Della Valle, Bellinzona, SSAS (Società di Storia dell’Arte in Svizzera), Berna, 1997; e
soprattutto il volume: AA.VV., Il Teatro Sociale di Bellinzona, uno spettacolo di teatro, cit.
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una serata eccellente. Il «Dovere» incalza i cittadini ad accorrere numerosi alle porte del Teatro per
assistere alle repliche dello spettacolo e per «rendere il dovuto omaggio ai nostri bravi artisti e degni
maestri, coronando così la loro ferrea volontà di voler sempre eseguire lavori atti a tener alto il buon
nome di Bellinzona».216 Da parte sua, invece, il giornalista di «Libera Stampa» conclude l’articolo
alludendo agli «applausi frenetici al finale d’ogni atto» che «dimostrano l’entusiasmo col quale è
stato approvato il magnifico lavoro», per cui «possono farsi un vanto gli ideatori, gli esecutori della
commedia, l’orchestra, il tutto combinato con elementi nostri tolti dalle diverse società cittadine di
canto e musica».217 Infine «Popolo e Libertà», dopo aver lodato il libretto «steso in lingua eletta» che
«sempre si mantiene lontano da quelle bassezze alle quali troppo sovente discendono le composizioni
moderne di musica leggera», conclude con l’augurio che «un lavoro così poderoso e così variato non
finirà la sua vita sulla scena di Bellinzona. Avrà vita vasta e lunga».218
Mentre prendiamo posto su una delle sedie nelle prime file della platea ci mettiamo a osservare
il libretto, pubblicato da Salvioni219 per l’occasione, sul quale leggiamo a grandi lettere il titolo dello
spettacolo, seguito dal nome dell’autrice: cerchiamo a fatica di rammentare quali opere scritte da
Elena Bonzanigo abbiamo già letto, poiché della donna ricordiamo soltanto l’attività pittorica. Infatti,
nel febbraio di quest’anno, a Bellinzona, abbiamo visitato una mostra, della quale ha parlato anche la
stampa locale, dei dipinti di Bonzanigo, allieva prima di Regina Conti e poi di Augusto Sartori.220
Ascoltando alcuni stralci di conversazione intorno a noi, per caso sentiamo i nostri vicini parlare della
librettista: una voce sopra le altre improvvisamente dichiara di ricordare un racconto breve, dal titolo
Memorie di un campanile, risalente al 1924, ristampato dalla redazione dell’«Adula» in forma di
opuscolo nel 1927.221 Così, finalmente, ricordiamo che Bonzanigo da sette anni pubblica
sporadicamente recensioni, ma anche racconti brevi e poesie per il periodico bellinzonese «l’Adula».
216 «Il Dovere», 30 maggio 1930, p. 7.
217 «Libera Stampa», 1-2 giugno 1930, p. sconosciuta.
218 «Popolo e Libertà», 30 maggio. 1930, p. 3.
219 Il riferimento è al testimone L: BONZANIGO, TOSI Luigi, Dania, commedia musicale in tre atti, cit.
220 Si confrontino i dati biografici su Elena Bonzanigo ricostruiti da Maria Fazioli Foletti: «Nel 1920, per sei mesi, prese
lezioni dalla pittrice luganese Regina Conti. Tra il 1921 e il 1922 frequentò la Scuola di disegno di Bellinzona e divenne
allieva di Augusto Sartori (1880-1957). Nel 1925 e nel 1929 ebbe modo di soggiornare nuovamente a Londra, dove
approfondì la prima formazione artistica seguendo dei corsi di ritratto e di nudo. A partire dal 1924 espose regolarmente
alle mostre annuali della Società ticinese per le belle arti. […] Nel 1929 a Bellinzona le venne dedicata una personale,
insieme a Baldo Carugo e allo scultore Agostino Balestra». FAZIOLI FOLETTI Maria, Elena Bonzanigo, cit. Si confronti,
inoltre, l’articolo dal’«Adula», 31 gennaio 1933, p. sconosciuta: «[…] L’Adula riprodusse inoltre alcuni dipinti di Elena
Bonzanigo, il 16 febbraio 1930, nella circostanza di una riuscitissima esposizione di quadri della delicata pittrice a
Bellinzona».
221 I numeri del periodico, stampato a Bellinzona settimanalmente, poi bisettimanalmente e trisettimanalmente, dal 1912
al 1935, e ora conservati all’Archivio di Stato di Bellinzona, confermano che Bonzanigo scrisse per «l’Adula»
sicuramente a partire dal 1923: infatti nel numero del 24 giugno troviamo un suo un breve racconto dal titolo Impressioni
fiorentine. Il testo è la prima pubblicazione in assoluto dell’autrice. Nel numero dell’«Adula» del 31 gennaio 1933
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Dunque Bonzanigo è una figura di discreto rilievo nell’ambiente editoriale dell’«Adula». Il
periodico, per iniziativa di Teresa Bontempi e Rosetta Colombi, venne fondato nel 1912: grazie alla
collaborazione di diverse figure di rilievo nel panorama giornalistico, politico e letterario del primo
decennio del secolo, quali Francesco Chiesa o Carlo Salvioni,222 il progetto editoriale assunse la
forma di un preciso programma culturale e letterario. L’obiettivo era quello di contrapporre al
presunto elvetismo, della confederazione e dello stesso canton Ticino, un punto di vista contrario,
incentrato sulla natura italiana delle terre e della tradizione culturale ticinese: avendo orientato la
linea editoriale verso questi argomenti Bontempi e Colombi si inserirono in un dibattito vivo in
Ticino. Una serie di rivendicazioni, simili a quelle articolate dai collaboratori del periodico
bellinzonese, erano già state formulate ancor prima dello scadere del primo decennio del Novecento:
infatti, dietro l’impulso di molti esponenti del mondo intellettuale cantonale (tra cui i già citati Chiesa
e Salvioni), si promosse la necessità di rivolgere l’attenzione al sostrato profondamente italiano insito
nella cultura del Ticino, in quanto esso era una zona di confine la cui linea di demarcazione
settentrionale, così si riteneva, stava svanendo a discapito di quella meridionale che veniva a
rafforzarsi sempre di più. Gli autori aduliani caldeggiarono il dibattito avanzato dall’élite intellettuale
del cantone e diedero battaglia, attraverso la redazione, secondo una chiara strategia culturale. Il
confine con l’Italia fu letto come una linea di demarcazione tra due entità politiche, privo, tuttavia, di
una ragione linguistica, religiosa, geografica o culturale, mentre l’elvetismo di cui, si riteneva, il
cantone fosse impregnato, assunse i tratti di un’osmosi percepita come imposta dall’alto tra il canton
Ticino e i restanti cantoni della confederazione, in modo particolare dai cantoni di lingua tedesca. Le
accuse lanciate in numerosi articoli del periodico furono direttamente rivolte alla sede governativa a
Berna: la confederazione, secondo tale interpretazione, avrebbe sostenuto soltanto gli interessi dei
cantoni germanofoni e avrebbe tentato, con sempre maggiore forza, di incidere in profondità nel
tessuto politico, economico e sociale del canton Ticino, senza riguardo per i reali bisogni della società
vengono ricordati altri sette interventi curati dall’autrice, oltre a diverse poesie, pubblicati dal periodico nell’arco di dieci
anni. Sull’Almanacco della Svizzera Italiana pubblicato dai collaboratori dell’«Adula» nel 1931, a p. 144, a Bonzanigo è
dedicata una pagina biografica: «Il nome di questa patrizia ticinese non deve essere ignoto a quanti seguono nel nostro
paese, le manifestazioni di cultura italiana. La Bonzanigo, infatti, è scrittrice e pittrice. Sa adoperare la penna come
pochissime donne della nostra terra. L’abbiamo vista nel volumetto ‘Le memorie di un campanile’ pubblicato, a cura
dell’Adula, nel 1927, intessuto su di una chiara coscienza etnica ed una bella preparazione storica, resa artistica da uno
stile a spiccate intonazioni personali. Come poetessa, ricordiamo numerose liriche apparse in giornali e riviste, e il libretto
‘Dania’, melodramma, musicato dal maestro Tosi. Pittrice, s’impongono all’attenzione i suoi quadri fatti di studio, di
passione, di volontà. Notevoli anche gli scritti d’arte che viene a mano a mano pubblicando e che piacciono per le
induzioni originali». Sempre nell’Almanacco della Svizzera Italiana compare la poesia Bellinzona (pp. 181-82), di cui
verrà proposta una lettura nelle pagine seguenti. Cfr. AA.VV., Almanacco della Svizzera italiana, a c. di «Adula»,
Varesina Grafica, Varese, 1930.
222 L’Almanacco della Svizzera Italiana ricorda nel novero dei collaboratori più noti dell’«Adula», insieme a Bonzanigo:
Carlo Salvioni, Giacomo Bontempi, Luigi Ressiga, considerati i padri spirituali del giornale, Eligio Pometta, Maria Valli.
Inoltre vanno citati gli scrittori Emilio Bontà, Lauretta Rensi Perucchi e Maria Luisa Boschetti Alberti: tutti nomi legati
al mondo dell’istruzione e della cultura del cantone nel Novecento.
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e della tradizione culturale del popolo.223 La direttrice Teresa Bontempi spiega così, in apertura del
primo numero dell’«Adula», le origini e gli scopi del foglio:
Abbiamo sentito allora noi donne, come sentono le madri quando il figlio agonizza, il
dovere di escire dall’ombra, di scrivere sui giornali, di reagire contro uno stato di cose di
giorno in giorno più opprimente e malsicuro. La nostra lotta contro il pangermanesimo
voleva essere occasionale e saltuaria. Ci sarebbe bastato qualche articolo schietto di
quando in quando, ospitato da uno o dall’altro dei giornali.224
Alla sua nascita, dunque, il giornale voleva promuovere il legame intellettuale e linguistico del Ticino
con l’Italia e tematizzare il problema della comune cultura italiana, nonché le minacce di una presunta
contaminazione etnica e identitaria tedesca a scapito dei ticinesi. I collaboratori e le collaboratrici
dell’«Adula» vedevano nel Ticino uno dei figli errabondi della Grande Madre Italia. Le loro posizioni
politiche, più o meno trasparenti negli articoli pubblicati dal foglio, erano accolte di volta in volta con
diverso grado di inquietudine da parte delle autorità svizzere: tant’è che negli anni la confederazione
diede ordine di aprire svariate inchieste sul periodico.225 Esso venne accusato innumerevoli volte di
irredentismo, a causa dell’ostilità esplicita verso i cantoni germanofoni: il giornale ribadì
continuamente la necessità di difendersi dall’«invasione teutonica»226 tramite un contatto più stretto
e deciso con l’Italia.227 «L’Adula» col tempo si costruì un nemico: il tedesco, residente nelle terre
223 Per un approfondimento riguardo alla storia editoriale dell’«Adula» e una contestualizzazione socio-culturale delle
principali figure coinvolte nel dibatto a sfondo politico sorto intorno al progetto editoriale, si legga il volume: CRESPI
Ferdinando, Ticino Irredento, La frontiera contesa, Dalla battaglia culturale dell’«Adula» ai piani d’invasione,
FrancoAngeli Storia, Milano, 2004. Sui primi anni di vita del periodico si legga inoltre il volume di BONALUMI Giovanni,
La giovane Adula (1912-1920), Saggio introduttivo e antologia dei testi più significativi, a c. dell’Istituto di relazioni
letterarie italosvizzere, Elvetica, Chiasso, 1970. Per approfondire il quadro storico fra gli anni Venti e Quaranta e la
presenza del fascismo italiano nella Svizzera italiana si consultino: CODIROLI Pierre, L’ombra del duce, Lineamenti di
politica culturale del fascismo nel Canton Ticino (1922-1943), FrancoAngeli Storia, Milano, 1988; e BIANCHI Roberto,
Il Ticino politico contemporaneo, 1921-1975, Armando Dadò Editore, Locarno, 1989.
224 Primo numero dell’«Adula, organo svizzero di coltura italiana», 4 luglio 1912, citato da: CRESPI Ferdinando, Ticino
Irredento, La frontiera contesa, Dalla battaglia culturale dell’«Adula» ai piani d’invasione, cit., pp. 16-17.
225 Crespi mostra con puntualità i conflitti che vennero a formarsi intorno agli articoli pubblicati dal periodico: «Col tempo
il giornale pretese di diventare una sorta di organo della coscienza ticinese, avviandosi sui binari di un radicalismo
combattivo e sincero, ma che avrebbe procurato anche molti e potenti nemici. Il preteso monopolio della moralità cui si
faceva carico l’Adula iniziò a provocare la reazione stizzita anche dei giornali ticinesi, sempre presi di mira
dall’intransigenza delle due donne, per le quali essi non erano altro che i portavoce dello “sciovinismo ticinese […] pago
di accettare qualunque cosa accada intorno a lui”. I veri nemici dell’italianità erano pertanto i “politicanti, gli ignoranti,
gli scettici, i vili”». Ibidem, p. 26.
226 Ibidem, p. 29.
227 Intorno alla redazione del periodico circolarono negli anni della sua pubblicazione voci di ogni genere: negli anni
iniziali le accuse furono quelle di un blando irredentismo; tuttavia, con l’avvento del fascismo in Italia e l’ascesa di
Mussolini al potere, il peso delle accuse assunse nuove dimensioni. Crespi analizza a fondo la posizione culturale e
politica della redazione bellinzonese, nonché i motivi per cui del periodico in tempi più recenti si hanno poche
informazioni chiare: «Quella dell’‘Adula’ e di tutto il suo contorno è una vicenda sulla quale una coltre polverosa si è nel
tempo sedimentata, mescolata a pudori, pruriti e censure. E mistificazioni, a cominciare dalle origini stesse del giornale,
troppo spesso spinte a forza in un cunicolo di suggestioni prestabilite in fondo al quale, però, non s’intravede luce. Il
giornale non nacque irredentista e, probabilmente, neppure morì tale. Il giornale non fu il frutto di decisioni prese
dall’‘alto’ e neppure godette di finanziamenti illeciti. Quelli leciti, poi, furono ben scarsi e comprensibili». Ibidem, p. 11.
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ticinesi, il quale, con la propria cultura barbara e rozza, avrebbe rischiato di contaminare l’identità
italiana del cantone:
L’istruzione elementare, per esempio, è di dominio cantonale; ma siccome vi ha un esame
federale dei coscritti con programma, s’intende, federale, così i cantoni si vedono costretti
a uniformare i loro programmi a questo. La Confederazione non ha scuole elementari
proprie. Ma nel Ticino infrange questa norma, istituisce pel Ticino un regime d’eccezione,
col sussidiare tre o quattro scuole […] tedesche, avvalendosi della ragione che esse scuole
erano state fondate dalla Società del Gottardo per i suoi impiegati e che, riscattata quella
ferrovia, lo Stato doveva mantenere gli impieghi contratti da quella. […] La massa di
tedeschi venuti a insediarsi nel Ticino, al seguito della Ferrovia del Gottardo, sono
cittadini che sanno far valere il loro voto, che vengono a patti, per concederlo, coi partiti
politici del paese, imponendo così la loro volontà. […] Hanno un loro organo, la “Tessiner
Zeitung”, che aveva un colore spiccatamente pangermanico. Sono un nucleo pericoloso,
in ordine etnico, già per la forza numerica, ma che lo diventa tanto più per la forza morale
ed economica.228
Nel corso della Prima Guerra Mondiale le tensioni tra «l’Adula» e le vigili autorità cantonali e federali
aumentarono: infatti tramite Teresa Bontempi, Rosetta Colombi e altri collaboratori, quali Adolfo
Carmine (le cui azioni e polemiche furono sostenute da un vasto e anonimo circolo studentesco229 e
infransero svariate volte la sottile linea divisoria tra uno spinto localismo e la propaganda
secessionista), il periodico prese una posizione politica nettamente a favore dell’Italia:
Coll’anima più che sempre rivolta ai destini della Gran Madre, che l’imperialismo del
despota, fino a ieri sapientemente truccato, offese nel più profondo cuore, al di sopra di
ogni confine fedeli, italianissimi nello spirito e nel sangue, ignoti ma ferventi come quelli
228 L’articolo è tratto dall’«Adula», 25 aprile, 1914, Le condizioni della cultura italiana nel cantone Ticino. Citato da
ibidem, p. 30.
229 I giovani studenti, a cui Crespi dedica un capitolo in Ticino irredento, fondarono la Federazione Goliardica Ticinese
(FGT): è probabile, ma non accertato, che da questo organo provenne l’iniziativa di pubblicare un volume anonimo dal
titolo La questione ticinese e dalla fasulla indicazione di stampa «edito e stampato a Fiume, 1923», distribuito
gratuitamente nel 1924. L’intento del volume, sequestrato dalla confederazione nel marzo del 1924, era evidenziare
l’anomalia del ticinese, esteriormente svizzero, ma interiormente italiano: nel volume viene ipotizzata una sorta di
complotto da parte degli svizzeri tedeschi, un «piano svizzero-tedesco» (p. 8), dei quali anche molti politici del cantone
italofono sarebbero esecutori e che tenderebbe a creare una distanza tra svizzera italiana e Italia. I toni antidemocratici,
filo-fascisti e altamente polemici sono osservabili fin dalla prima pagina del volume, in cui i giovani ticinesi riassumono
in poche righe lo scopo della pubblicazione: «L’Associazione Giovani Ticinesi, che sente di dover vincere ogni ignoranza
distratta di ticinesi e di italiani con una sempre più tenace continuazione della propria opera; ma che vuole risolutamente
respingere ogni avversa e maligna diffamazione, che si risolve in trista violenza, in una dolorosa verità, la verità del
Canton Ticino minacciato nelle sue tradizioni e nei suoi valori essenziali di stirpe, ha deliberato questa pubblicazione,
diretta a far conoscere un problema. Che invano si tenta di sopprimere. Questa pubblicazione è un dovere per noi, non
per conoscere noi stessi e la nostra azione, ma la causa, che noi serviamo in fedeltà e in obbedienza, e che non è causa
nostra, ma della italianità millenaria, che ovunque risorge per riconsacrare la sua missione di civiltà nel mondo. Questa
pubblicazione – ci sentiamo di affermarlo – indica il dovere per altri di conoscere, intendere, sostenere non l’azione nostra,
ma la difesa ticinese, di cui noi siamo promotori schietti e custodi inflessibili. La questione ticinese è. Basta apprenderla
nei suoi termini essenziali, per collegarne i motivi e gli scopi in una solidarietà politica, che noi invochiamo nel Ticino e
in Italia, e che non ci mancherà. Noi oggi le diamo la parola, franca, libera. Sarà parola di sicura, immancabile
persuasione». AA.VV., La questione ticinese, Con ceno alla situazione del Canton Grigioni, a c. di Associazione Giovani
Ticinesi, Edito e stampato in Fiume, 1923, p. 7.
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che vivono in esilio, ad essa diamo oggi la solidarietà del nostro cuore, pronti a dare
domani l’impeto del nostro braccio.230
Con affermazioni simili i collaboratori e le collaboratrici dell’«Adula», nel periodo immediatamente
seguente la fine della guerra, riuscirono a farsi notare da alcune importanti testate italiane, quali il
mussoliniano «Popolo d’Italia», il quale nel 1920 sosteneva che il canton Ticino «pare non voglia più
saperne della Svizzera. Altro pezzo d’Italia all’orizzonte».231
Le tensioni nate in seno alla confederazione vanno lette e interpretate alla luce dei grandi conflitti a
livello europeo e internazionale. Alla Prima Guerra Mondiale infatti seguì il disfacimento di molte
strutture politiche e istituzionali facenti parte del tradizionale assetto europeo: ai disagi causati dal
conflitto seguirono la nascita di nuove istituzioni politiche basate su radicati sentimenti nazionalisti
e patriottici, quali il fascismo, e la profonda trasformazione geografica di stati quali l’Italia e l’Austria,
tant’è che la geopolitica continentale mutò sostanzialmente i propri connotati e gli equilibri di
potenza. La Svizzera si trovava in una posizione geografica centrale: essa si profilò dunque come un
centro diplomatico privilegiato, uno snodo commerciale unico, un «innovativo laboratorio politico in
grado di reggere diversità – anche religiose – potenzialmente disgreganti».232 La confederazione
perciò risentì delle «striscianti tensioni continentali»;233 in rapporto a ciò il canton Ticino ricoprì una
posizione particolarmente interessante, trovandosi sulla rotta nord-sud che collega la nazione italiana
all’area germanofona. Le tensioni tra Italia e Austria/Germania, manifestatesi chiaramente durante la
prima guerra mondiale, non si assopirono neppure in seguito ai trattati di pace, anzi, non fecero che
crescere man mano che il fascismo prese piede nello spazio politico italiano degli anni Venti. Anche
dal punto di vista elvetico le condizioni politiche erano profondamente mutate e la confederazione
notò come una nuova ideologia imperialista – immediatamente interpretata come in contrasto con la
tradizione democratica svizzera, legata al principio di neutralità – si stesse profilando nella vicina
Italia. Nella penisola il nuovo approccio politico andatosi a consolidare negli anni successivi alla
guerra provocò nel popolo italiano un nuovo approccio alla cultura e all’identità nazionale. Tutto ciò
ebbe delle importanti ripercussioni sul trattamento riservato dalla politica svizzera alla questione
dell’italianità del canton Ticino: Berna, infatti, divenuta più cauta e sospetta nei confronti dello stato
230 «Adula», 10 maggio 1919, Un telegramma. Citato da CRESPI Ferdinando, Ticino Irredento, La frontiera contesa, Dalla
battaglia culturale dell’«Adula» ai piani d’invasione cit., p. 56.
231 «Popolo d’Italia», 26 novembre 1920. Citato da ibidem, p. 59.
232 Ibidem, p. 8.
233 Ivi.
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confinante, promosse una politica atta a soddisfare le richieste, soprattutto economiche, espresse dal
cantone.234
Mentre il contesto politico e sociale mutava di anno in anno, la redazione aduliana, affascinata
dai progressi economici e sociali osservati nella vicina Italia, si accostò notevolmente all’ideologia
patriottica del discorso fascista. Gli scrittori e le scrittrici del foglio bellinzonese con sempre maggiore
frequenza si espressero con toni di biasimo nei confronti della Svizzera, incolpandola di mostrare un
marcato disinteresse per l’«anima italiana» delle terre ticinesi: si sviluppò sempre più quello che si
può definire un «irredentismo a gradazione variabile», che attraversava le pagine dei numeri aduliani
di anno in anno.235 I rimproveri lanciati dagli aduliani, tuttavia, non vennero accolti dalla maggioranza
della popolazione ticinese, né tanto meno vennero presi sul serio dagli organi rappresentativi della
confederazione. «L’Adula» in tal senso andò gradatamente incontro a un lento e inesorabile declino:
i toni eccessivamente zelanti e filofascisti con cui si commentarono gli eventi e le glorie del regno
italiano riuscirono soltanto a sollecitare le antipatie della maggioranza dei lettori.236
Questo è il contesto politico e culturale in cui l’autrice Elena Bonzanigo si mosse tra il 1923 e
il 1930: la Svizzera sul piano internazionale condivide i confini con quattro grandi potenze uscite da
una sanguinosa guerra durata oltre quattro anni; in Ticino, d’altro canto, vengono riconosciute in quel
periodo una serie di problematiche connesse all’economia, alle istituzioni e alla cultura del cantone,
affrontate con diversi gradi di interesse dalla sede governativa bernese; nonostante ciò, la
maggioranza della popolazione cantonale si rispecchia negli ideali promossi dalla confederazione.
Resta tuttavia evidente che vi è nella Svizzera italiana la coscienza di problemi culturali e identitari
radicati nella storia della propria terra.
234 Crespi rende in forma precisa e riassuntiva lo sfondo politico in cui si mosse la Svizzera negli anni Venti: «Il tutto,
poi, dagli anni Venti, sarebbe stato complicato dall’atteggiamento del potente vicino meridionale e del suo Duce, che
peraltro paragonava la democrazia elvetica a un ‘eunuco’: entro i confini federali si sostanziarono e si consumarono i forti
contrasti ideologici che fecero assumere al problema sempre attuale dell’italianità ticinese un aspetto diverso, perché
mutato era il punto di vista. Italianità ed elvetismo, una volta scremati dei loro connotati culturali, furono assorbiti dallo
scontro lacerante tra il fascismo e l’antifascismo, tra la cortesia diplomatica e le prove di forza, tra le tendenze
espansionistiche da un lato – quello italiano, ma dalla metà degli anni Trenta lo stesso fenomeno interessò in ugual misura
i confini settentrionali della Svizzera – e la necessità di compattamento a fronte di qualsiasi ipotesi di Anschluss dall’altro.
Dall’analisi dei fatti emerge un quadro che contempla più questioni: non solo e non tanto quella aduliana in senso stretto,
ma quella ticinese e, di seguito (o sopra, come mantello) quella delle relazioni tra la Confederazione Elvetica plurietnica,
plurilingue, democratica, federale, armata e neutrale e il Regno d’Italia belligerante, ‘proletario’, in via di fascistizzazione,
alla ricerca di spazi vitali, antidemocratico». Ibidem, p. 9.
235 Cfr.: Ibidem, p. 10.
236 «L’Adula, malgrado i propositi iniziali, non riuscì a diventare l’espressione più vera e sincera della coscienza ticinese.
Non ne fu in grado, in primo luogo; né le fu permesso di esserlo: in seguito alle rotture redazionali, alle accese polemiche
anticonfederate e antitedesche, il giornale finì sotto processo più volte, costretto a difendersi dal sospetto di essere un
organo della propaganda irredentista dell’Italia fascista». Ivi.
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Riprendiamo ora le nostre fantasticherie: torniamo nel 1930, comodamente sedute al nostro
posto, nelle prime file del Teatro Sociale di Bellinzona, in attesa che il sipario si alzi. Da anni
seguiamo le vicende che hanno determinato l’assetto politico svizzero a livello nazionale e
internazionale e conosciamo le posizioni culturali e politiche dei membri principali della redazione
dell’«Adula». Il ruolo svolto da Bonzanigo nel progetto aduliano, invece, si definisce con minore
chiarezza: il numero quantitativamente ridotto di articoli pubblicati dell’autrice – Bonzanigo ha
scritto delle recensioni per «l’Adula», delle poesie e dei racconti brevi – rendono evidente un suo
interesse relativo alla questione identitaria della Svizzera italiana. Emblematica in tal senso è la poesia
Bellinzona, lirica pubblicata nel 1926 sul periodico,237 un testo profondamente intriso delle figure
metaforiche tipiche del discorso politico, che, come abbiamo visto, è adottato dalle pagine più
polemiche del periodico:238
Inserta come chiave preziosa
nel piano verde, a piè dell’ondulante
Ceneri, o Bellinzona, o della mia
piccola terra cuor piccolo e forte!
sdegnosa delle facili lusinghe,
ravvolta nella tua bellezza fiera,
guardi pensosa verso il ciel d’Italia
e custodisci il sogno del passato.
e ancora, forse, da’ tuoi verdi colli
scender vedi le vittoriose
legioni, vedi il Simbolo romano
alto librarsi per il cielo azzurro.
e i secoli di lotte acerbe, e il sangue
sparso, e la gloria, e l’ignominia, e l’ira
ardere vedi nei tramonti rossi.
Senti, ne l’albe chiare, ancor la voce
di Carmagnola.
E quando a vespro cantan le campane,
e da Daro al Convento dolce e grave
un coro di rintocchi si risponde,
trasvolar vedi come bianca nube
la stola bianca di San Bernardino.
237 Sono state individuate tre edizioni del testo di Bellinzona. Il testo compare nell’Almanacco della Svizzera Italiana,
pubblicato nel 1931. In esso è indicata la prima pubblicazione della poesia: infatti essa è comparsa in un numero del 1926.
La terza edizione corrisponde a quella presente nella raccolta di liriche BONZANIGO Elena, La sorgente, Eroica, Milano,
1931, pp. 74-6.
238 L’impostazione fortemente politica del periodico è particolarmente interessante se analizzata dal punto di vista
dell’analisi discorsiva: infatti in essa si riconosce il modus operandi del discorso nazional-patriottico italiano, individuato
e descritto da BANTI Alberto Mario, Sublime madre nostra, La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza,
Roma-Bari, 2011. Banti riconosce nel discorso nazional-patriottico italiano tre figure profonde, che ricorrono
costantemente in svariati contesti letterari nei decenni dall’Unità al fascismo: prima figura è la nazione come
parentela/famiglia, seconda è la nazione come comunità sacrificale, terza infine è la nazione come comunità sessuata.
L’ipotesi secondo cui sarebbe possibile riscontrare in alcuni articoli aduliani una traccia delle tre figure nel discorso
nazional-patriottico italiano andrebbe certamente approfondita.
84
Guardi il Ticino scender placato
dal suo nido montano, verde come
il riflesso dei ghiacci, ancor spumoso
per la lotta nei gorghi, per il gioco
delle candide folli cascatelle.
E nei giorni di calma, sotto il cielo
ferrigno, vedi l’acqua sua brillare
fredda nel pianto, presso le tue mura,
come la fida lama presso il casco
del buon guerriero.
Bellinzona, il tuo volto pensieroso
arde come una lampada votiva
nell’anima dei tuoi figli errabondi.
Un po’ chiuso, un po’ pallido, ad estranei
sguardi ritroso forse,
ma pe’ tuoi figli fresco di sorrisi,
dolce volto, così simile a quello
di vecchia madre, sotto la corona
grigia de’ tuoi Castelli!
Morbide braccia d’edera, lucenti
di foglioline nuove, le tue mura
cingono; rosei mandorli sui colli
a primavera cantano nel sole,
e cespi di ginestre d’oro, e azzurri
giaggioli, e rosse bacche sol le gemme
olezzanti del tuo serto merlato,
il serto dei lontani glorïosi
tuoi giorni, o Bellinzona,
quando di fronte al nordico invasore
fiera t’ergevi, tu «Chiave d’Italia!»
Si pensi alla definizione «nordico invasore» scelta da Bonzanigo per riferirsi ai confederati che nel
1422 si scontrarono con le truppe di Carmagnola nella battaglia di Arbedo.239 Il testo della poesia non
soltanto si riferisce alla tradizione profondamente italiana del cantone, ma è ricolmo di allusioni alla
simbologia più prettamente fascista: l’io lirico, rivolto a Bellinzona, interlocutrice diretta del testo, si
rammenta dell’epoca in cui il «Simbolo romano» si librava in alto nel cielo sopra le terre della città,
chiamata con l’appellativo «chiave d’Italia».240
L’interpretazione in chiave ideologica dei temi di Bellinzona, che un’attenta lettura del testo
rende innegabile, rende necessaria la formulazione di alcune domande riguardo alla commedia a cui
239 Per maggiori approfondimenti riguardo alle vicende di Arbedo nel 1422 si legga: BERLINCOURT Alain François,
Arbedo, battaglia di, in Dizionario storico della Svizzera, 2015, link: http://www,hls-dhs-dss,ch/textes/i/I8899,php
(ultima visita: 25 novembre 2016).
240 Bellinzona «da Sud era vista come la ‘chiave delle Alpi’, da chi scendeva da Nord come la ‘porta d’Italia’». Cfr.:
AA.VV., Bellinzona, una città tre castelli, in Bellinzona turismo, a c. di Organizzazione Turistica Regionale Bellinzonese
e Alto Ticino, link: http://www2,bellinzonaturismo,ch/it/citt%C3%A0,aspx (ultima visita: 17 dicembre 2016).
85
la spettatrice del 1930 sta per assistere. Innanzitutto è lecito chiedersi in che modo il testo librettistico
di Dania si posizioni nel contesto sociale e culturale fin qui ricostruito: il libretto, ambientato in
Turchia – una Turchia storicamente e spazialmente imprecisata – inscena le vicende di una giovane
donna fatta schiava e sottomessa al comando del barbaro padrone Mustafà. Il conflitto tra i personaggi
si costruisce sulla scena intorno al tema, fortemente connotato in senso politico, della libertà delle
due donne (Dania e Zaida) schiave. Considerando l’attualità del motivo della sottomissione del canton
Ticino al volere della Confederazione, in seno al discorso del giornale bellinzonese – giornale che,
come si è visto, a tratti manifesta un’argomentazione filoirredentista –, ci si interroga su quali rapporti
la commedia Dania possa intrattenere con l’ideologia degli aduliani: la domanda si rivela
particolarmente significativa qualora venga esaminato il discorso formulato intorno al concetto di
identità ticinese, a cui Bonzanigo e gli altri collaboratori dell’«Adula» dedicano un attento interesse.
Un’identità, ricordiamo, che viene identificata come naturalmente radicata nella tradizione italiana:
infatti, secondo questo punto di vista, il Ticino è diviso dall’Italia da un confine artificiale, politico,
imposto della confederazione, ma non di certo culturale, etnico, linguistico o religioso.
Mentre le luci lentamente si abbassano, gli esecutori terminano velocemente di accordare i
propri strumenti sotto lo sguardo vigile del direttore e mentre il brusio del pubblico si attenua sempre
più, non ci resta che metterci comode, per goderci, finalmente, lo spettacolo. Al cenno del direttore
attacca la musica del preludio e il sipario si alza: la scena è gremita di donne vestite con abiti orientali
e un coro di voci femminili intona il primo canto. La commedia ha inizio.
86
2. LA COMMEDIA
Dania è divisa in tre atti di lunghezza diversa,241 ognuno dei quali, nonostante sia la
conseguenza e lo sviluppo cronologico del precedente (l’insieme delle scene nei tre atti ricopre l’arco
di una giornata e si svolge nel cortile e all’interno della casa di Mustafà, rispettando, dunque, l’unità
di tempo, di luogo e di azione), ha regole proprie e una strutturazione interna autonoma, sebbene non
autosufficiente. Ogni atto, infatti, contiene un microcuore comico, diviso in un esordio, uno sviluppo
e una fine: in essi si assiste a tre situazioni distinte, nelle quali l’antagonista Mustafà subisce ogni
volta uno scacco da parte degli eroi. Nonostante la relativa autonomia dei tre atti, essi vanno letti e
interpretati solamente nel loro insieme, in quanto formano un’unica commedia, in cui la beffa ai danni
dell’antagonista è il tema portante dell’azione.242 Bonzanigo riprende i modi operandi della beffa
direttamente dalla commedia di Molière L’amour peintre, ou Le Sicilien. Nonostante l’evidente
vicinanza contenutistica fra i due testi è fondamentale notare che la commedia molieriana, essendo
composta da un atto solo, presenta una struttura comica più semplice e lineare rispetto alla
rielaborazione di Bonzanigo.243
Il rapporto tra Dania e la fonte molieriana è dichiarato in maniera esplicita dall’autrice
bellinzonese, in quanto essa sul frontespizio del libretto L, dato alle stampe per essere venduto agli
spettatori la sera dello spettacolo, scrive: «La vicenda è tratta da un atto di Molière ‘L’AMOUR
241 In UNA 156 è archiviato un involto che contiene alcuni appunti di Tosi; tra questi si trova un biglietto su cui il direttore
ha segnato l’orario di inizio e di fine dello spettacolo e la durata dei singoli atti: l’atto primo avrebbe avuto inizio alle
20.25 e sarebbe terminato alle 20.58 (35 minuti di spettacolo); dalle 21.00 fino alle 21.30 avrebbe avuto luogo l’atto
secondo (30 minuti); infine l’atto terzo sarebbe iniziato alle 21.40 per finire alle 22.25 (45 minuti). La commedia nel suo
complesso sarebbe durata due ore.
242 La beffa ai danni dell’antagonista è costruita sul principio del travestimento e del fraintendimento. Mustafà è il
personaggio che in ogni atto subisce le conseguenze negative delle proprie azioni e di quelle degli altri personaggi, poiché
non è in grado di identificare uno o più degli altri personaggi, o perché a sua volta viene erroneamente identificato con
qualcun altro. Da questi malintesi dipendono le tre diverse sconfitte dell’antagonista, ognuna delle quali rappresenta il
cuore comico di un atto.
243 Molière scrive una commedia in un atto, divisa in 22 scene, che rispetta le unità di tempo (le scene si svolgono nell’arco
di un’unica giornata), di luogo (le prime sette scene sono ambientate all’esterno della casa di Don Pèdre, mentre le
seguenti al suo interno) e infine d’azione (l’intreccio delle scene è lineare, non presenta quindi analessi o prolessi, né
tantomeno fenomeni di accelerazione importanti, quali l’ellissi). In seguito alla scène 4 si trova un inserto, Fragment de
comèdie: un teatro nel teatro, che rappresenta le effusioni patetiche di due figure della tradizione bucolica, Philène e
Tricis, le quali si lamentano del loro amore insoddisfatto per Climène e Cloris. Il pezzo è cantato dai musicisti, che il
servo Hali ha condotto sotto alle finestre della casa di Don Pèdre per ordine del padrone Adraste. Nonostante si tratti di
un frammento di commedia musicato, posto a livello intradiegetico, esso non va ad intaccare l’intreccio lineare delle
azioni della commedia principale, essendo funzionale al piano di Adraste di attirare l’attenzione della donna, Isidore, su
di sé e mettersi in comunicazione con lei: «Je veux jusques au jour les faire ici chanter; et voir si leur musique n'obligera
point cette belle à paraître à quelque fenêtre». L’inserto non va interpretato, dunque, come un’interruzione dell’azione,
ma come parte di essa: infatti oltre ad essere un momento giustificato dal protagonista nella trama stessa, esso svolge la
funzione a livello macrotestuale di mise en abîme dei sentimenti di Adraste per Isidore. Nel presente lavoro, qualora si
faccia riferimento alle scene del testo molieriano, si è optato di scrivere l’indicazione scenica in francese, in modo da
distinguerle nettamente dalle indicazioni di scena di Dania e per evitare, dunque, malintesi. L’edizione di riferimento è:
MOLIÈRE, Le sicilien ou l’amour peintre, comédie-ballet en un acte, in ID. Oevres complètes, nouvelle édition, a c. di
Felix Lemaistre, Libraire Garnier Frères, Parigi, 1946, vol. 2, pp. 283-306.
87
PEINTRE’».244 Il confronto tra Dania e la fonte245 permette di individuare alcuni elementi innovativi
che rendono la versione di Bonzanigo un testo sostanzialmente diverso dalla commedia molieriana:
le innovazioni sono state individuate principalmente in quattro scene dell’atto primo, una scena
dell’atto secondo e una scena dell’atto terzo, che non trovano alcun luogo corrispondente ne L’amour
peintre. Inoltre, paragonando le restanti scene della versione italiana con la versione francese, sono
state individuate delle differenze di carattere contenutistico in rapporto ad alcune battute dei
personaggi.
I luoghi del testo assenti dalla fonte presentano degli aspetti comuni: analizzando queste scene,
infatti, si è riscontrata una marcata unità tematica, presente soprattutto nelle parti del testo in versi.
La forma metrica è usata nella commedia innanzitutto per rappresentare i momenti salienti della
vicenda, essendo destinata a essere trasposta in musica; inoltre essa rappresenta un luogo del testo
privilegiato per esprimere un discorso di tipo lirico. L’analisi del testo versificato ha determinato una
prima fondamentale deduzione: le innovazioni di Bonzanigo sono funzionali all’elaborazione del
carattere della protagonista della commedia. Infatti, Dania – nome che dà il titolo al testo di
Bonzanigo – presenta una psicologia più complessa della figura di Isidore ne L’amour peintre. Da un
lato ciò ha delle ripercussioni importanti sui rapporti che la protagonista intrattiene con le altre figure
nella costellazione dei personaggi della commedia. Il personaggio femminile di Molière assume la
funzione di oggetto del desiderio amoroso maschile, conteso tra due uomini: il geloso padrone Don
Pèdre, il quale desidera prendere in sposa la schiava, e il cavaliere francese Adraste, innamorato della
donna, il quale al termine della commedia riuscirà a scappare con lei, tramite l’abile beffa ideata
insieme al servo Hali. Bonzanigo, si è detto, riprende il motivo della beffa dalla fonte, senza
modificarne la forma, tuttavia rigetta il carattere del rapporto che unisce la protagonista femminile al
padrone: Mustafà infatti non è innamorato di Dania, ma desidera venderla al ricco e potente Gran
Pascià, da cui spera di ottenere un degno compenso. Il triangolo amoroso originario in questo modo
si frantuma: l’unione tra Dania e il cavaliere veneziano Floriano, che ricalca il personaggio di Adraste,
non è ostacolata dalla gelosia dell’antagonista, bensì dalla condizione di schiavitù della donna. Dania,
244 Per maggiori approfondimenti riguardo alla composizione del frontespizio si leggano i capitoli dedicati alla descrizione
dei testimoni di Dania compresi nella prima parte di questo lavoro.
245 Per svolgere un confronto analitico intertestuale, le due commedie sono state trascritte nella forma di una tavola
sinottica, in cui a ogni scena di Dania è stata accostata la corrispondente scena del testo francese. In questo modo sono
state individuate le somiglianze e soprattutto le differenze tra le due commedie. Queste ultime hanno portato alla luce i
tratti più marcatamente interessanti di Dania, poiché rappresentano i luoghi del testo dove Bonzanigo è intervenuta con
più libertà nell’assetto della commedia musicale. Nel confronto diretto è stata osservata inizialmente la struttura in atti e
scene delle due commedie, maggiormente complessa nella versione italiana, e funzionale a reggere il tema della beffa.
Dopo di che ci si è soffermati su ciascun atto, analizzandone la struttura interna, ideata dall’autrice a reggere i cambiamenti
operati a partire dalla fonte e fondamentale per introdurre la vicenda nel suo insieme e i nuovi rapporti tra i personaggi.
La tavola sinottica è compresa nell’appendice al lavoro (appendice 2.).
88
dunque, nell’omonima commedia di Bonzanigo non ha solamente la funzione di essere oggetto del
desiderio (amoroso), ma è soggetto di un desiderio proprio: la libertà.
2.1. ATTO PRIMO
Nell’assetto della commedia il primo atto di Dania ha la funzione di esporre la psicologia e le
passioni dei personaggi: esso, non a caso, è quello che presenta il maggior numero di interventi operati
dall’autrice. In esso vengono definite le dinamiche insite nelle relazioni tra Dania, Floriano, Mustafà,
Zaida e Alì: i rapporti tra i cinque personaggi principali246 si formano in base ai desideri dei due
protagonisti Dania e Floriano. Ciò ha come conseguenza che ogni azione svolta dai personaggi
all’interno della commedia ha come fine di appoggiare tali desideri oppure di ostacolarli: Mustafà è
l’antagonista dei due protagonisti, dunque rappresenta la forza contraria ai loro desideri, mentre Zaida
e Alì ricoprono la funzione di aiutanti e grazie a loro i protagonisti riusciranno a concretizzare i propri
desideri.
Inoltre il primo è l’atto che introduce gli antefatti e prepara lo sviluppo della commedia.
L’esposizione dei personaggi e dei loro affetti è fondata sulla struttura interna dell’atto, ed è messa
in risalto dall’intreccio a coppie delle scene, che formano tre momenti distinti: il primo momento,
composto dalle prime due scene, è incentrato sull’incontro di Dania e Zaida. Il secondo momento,
formato dalle scene III e IV, introduce le figure di Alì e Floriano, mentre protagonista del terzo
momento – le scene VI e VII – è Mustafà. La scena V, invece, rappresenta uno spazio riservato alle
due arie cantate dai protagonisti Dania e Floriano. L’atto nel suo complesso è denso di personaggi,
che entrano ed escono svariate volte di scena: infatti ognuno dei tre momenti, oltre a introdurre le
figure principali (eroi, aiutanti e antagonista), è costellato da parti corali, le quali si intrecciano ai
dialoghi e alle arie cantate dai singoli personaggi. Le parti del testo musicate dell’atto primo sono
dense di rimandi a libretti quali il Barbiere di Siviglia di Sterbini e il Don Giovanni di Da Ponte,
conosciute e apprezzate negli anni ’30 dal pubblico operistico, anche della Svizzera italiana: i rimandi
in questione coinvolgono sia il testo letterario del libretto (singoli versi presentano una forma che
ricalca i versi dei libretti di Da Ponte e di Sterbini), sia la struttura drammaturgica musicale
(l’intreccio delle scene).247
246 Il Pascià, sesto personaggio della commedia, è una figura che non compare in scena fisicamente prima del termine
dell’atto terzo. Egli, in rapporto alle altre figure, ricopre la funzione dell’autorità suprema, che ha il potere di determinare
il lieto fine della vicenda: tramite la sua benedizione, infatti, il conflitto tra Mustafà e gli amanti Dania e Floriano viene
sciolto e l’antagonista viene messo a tacere.
247 Il tema è stato approfondito nel capitolo sui generi teatrali e operistici che hanno influenzato Dania e non verrà trattato
oltre in questa parte del lavoro.
89
In relazione all’atto primo sono state analizzate in maniera approfondita le scene I e II, insieme
alla V: queste si contraddistinguono rispetto alle altre poiché sono i luoghi innovativi della commedia
di Bonzanigo, in cui è profilato il personaggio di Dania.
Scene I e II
Le scene d’apertura hanno la funzione di presentare le protagoniste femminili Dania e Zaida,
circondate dal coro formato dalle compagne schiave, mentre attingono l’acqua dal pozzo del giardino:
si tratta di un momento in cui, tramite il predominio assoluto delle voci femminili, viene tematizzata
la condizione di schiavitù delle donne all’interno della commedia. Tema centrale delle due scene è il
sentimento di malinconia per la ormai lontana terra natia, espresso principalmente nel duetto cantato
dalle protagoniste. La predominanza del duetto nella prima scena è fondamentale, poiché Dania e
Zaida manifestano nel canto la propria individualità: in quanto individui si posizionano, nella struttura
della commedia e nella costellazione dei rapporti con gli altri personaggi, come soggetti autonomi
che anelano a soddisfare un proprio desiderio. Mustafà, che viene percepito dalle schiave come una
potenziale minaccia, è definito fin da subito nella funzione di antagonista: infatti, il coro di schiave
incita Zaida a tornare ad attingere l’acqua al pozzo, purché il padrone non la veda.248 Il contrasto con
Mustafà, inoltre, è funzionale alla costruzione di rapporti di solidarietà tra Dania e Zaida: tale rapporto
tornerà ad essere centrale al termine dell’atto terzo, quando Zaida ricoprirà il ruolo di complice nella
fuga di Dania e Floriano.
Per comprendere l’importanza e l’originalità della riscrittura di Bonzanigo, si proporrà un
confronto approfondito tra le figure di Dania e Isidore. Si è osservato in precedenza che le scene
iniziali sono assenti dalla fonte francese: in essa l’azione prende avvio con l’entrata in scena del servo
Hali e dei musici, seguiti dal cavaliere Adraste. Nella prima parte del presente lavoro è stato notato
che nella prima fase del lavoro su Dania, Bonzanigo non aveva ancora ideato le scene I e II, per cui
l’inizio della commedia avrebbe coinciso con la scena d’apertura di L’amour peintre: infatti il
manoscritto M prende avvio con l’entrata in scena di Alì e del coro, che insieme cantano il brano
«Pian pianino, cautamente», il quale nella versione definitiva si trova nella scena III. In una fase di
lavoro successiva, Bonzanigo amplia l’estensione dell’atto, inserendovi le due scene iniziali. Sempre
nella prima parte si è ipotizzato che sia l’aggiunta delle scene iniziali a determinare la scelta di
248 Cfr.: BONZANIGO. Dania, atto primo, scena I: «Sì, ritorna. Puoi sempre attingere qui, purché Mustafà non ti veda!».
90
dividere la commedia in tre atti, e si è anche osservato come Tosi abbia musicato per ultime proprio
le due scene iniziali, dopo il termine non solo dell’atto primo, ma di tutti gli atti.249
Le due scene iniziali, oltre a rappresentare un’innovazione di Bonzanigo, dunque, ricoprono
due importanti funzioni a livello macrotestuale. Esse innanzitutto introducono la soggettività della
protagonista, costruita intorno a un desiderio specifico: essere liberata dalla condizione di schiavitù,
per poter ritornare in patria. Bonzanigo, sviluppando un personaggio originale rispetto alla figura di
Isidore, introduce nella commedia una tematica totalmente innovativa. Lo svolgimento delle azioni
nel testo in italiano, infatti, non deriva esclusivamente dal desiderio amoroso del protagonista
maschile – desiderio volto alla conquista della donna, la quale si trova in scena principalmente come
oggetto, che non può far altro che accettare o rifiutare tale desiderio – ma presenta la donna, oltre che
come oggetto del desiderio maschile, anche come soggetto di un desiderio proprio. Il carattere di
questo desiderio diventa uno dei temi principali della commedia. Nelle due scene d’apertura esso
viene introdotto in questo modo:
DANIA
Tutt’avvolta nel manto del mare,
odorosa di timo e viole,
orgogliosa di grazia sovrana
o dolce patria ellena
il nostro cuore riviverti vuole.
ZAIDA
Il nostro cuore rivederti vuole,
o dolce patria ellena!
INSIEME
Il più dolce ricordo è in te raccolto
e la mamma ci guarda col tuo volto.
Ma chiuse nella triste schiavitù
non ti vedremo mai più, mai più.
Il desiderio espresso dalle due donne, dunque, è quello di poter rivedere la patria. In primo luogo è
da notare come il desiderio della protagonista sia condiviso dalla seconda figura femminile della
commedia, Zaida, con la quale Dania instaura un legame di comunanza sulla base dell’origine etnica
della donna, greca anch’essa e rapita dai «pirati dell’Islam».250 Zaida, dunque, viene rappresentata
249 Nella parte prima del presente lavoro è stato mostrato come Tosi, nella partitura PB, al termine di ogni atto e in due
altri luoghi del testo, abbia annotato la data del giorno in cui le parti sono state composte. Il primo atto presenta due date:
la prima, ore 2 antim. del 22 maggio 1930, al termine, per l’appunto, delle due prime scene, la seconda, Fine atto 1° / 16
febbraio 1930 / Luigi Tosi, al termine dell’atto. Il secondo atto reca la data: 3 marzo 1930. Il terzo atto, invece, reca due
date: la prima, 18 aprile 1930 (Venerdì santo), apposta al termine dell’introduzione musicale, la seconda, invece, al
termine dell’ultima scena, Fine della commedia / 12.5.1930.
250 BONZANIGO. Dania, atto primo, scena I, vv. 29.
91
come un doppio della protagonista: «come la tua storia / alla mia s’assomiglia».251 Fatte queste
considerazioni, si può giungere a una prima conclusione: la forte comunanza che si è instaurata fra le
due protagoniste nella commedia, insieme all’esclusiva presenza di figure femminili nel coro delle
schiave delle scene iniziali, rendono evidente il fatto che il desiderio di libertà è qui connotato al
femminile. Ciò viene confermato da un passo presente nella scena III dell’atto primo: il personaggio
di Alì, nonostante si riconosca totalmente soggiogato alla volontà del signore, non esprime in alcun
modo il desiderio di liberarsi da tale condizione; al contrario, egli in ogni momento è disposto a
esaudire le volontà di Floriano.252 Confrontando le affermazioni di Dania e Zaida con il monologo
pronunciato da Alì nella scena III risulta, dunque, evidente come il desiderio di libertà sia connotato
nella commedia con un tratto marcatamente femminile.
Si osservi ora il personaggio di Molière. La figura femminile di L’amour peintre compare
fisicamente in scena solamente in un secondo momento, nel dialogo con don Pèdre della scène 7,
dopo che l’intreccio amoroso tra i personaggi è stato definito nel dialogo tra Adraste e Hali della
scène 3. La protagonista femminile è definita esclusivamente in relazione al desiderio maschile e in
esso realizza la propria trama:
Qui qu’on en puisse dire, la grande ambition des femmes est, croyez-moi, d’inspirer de
l’amour. Tous les soins qu’elles prennent ne sont que pour cela; et l’on n’en voit point de
si fière qui ne s’applaudisse en son cœur des conquêtes que font ses yeux.253
L’affermazione di Isidore, in risposta alle domande insistenti di Don Pèdre, ha un carattere
generalizzante e fa riferimento alla natura del genere femminile: si sostiene infatti che l’ambizione
delle donne sia quella di ispirare l’amore nel soggetto maschile. In altre parole, Isidore identifica
l’essenza della natura delle donne nel loro essere oggetto di desidero. La funzione di tale
affermazione, all’interno del discorso amoroso promosso dalla pièce, è quella di definire il corretto
modo di amare, rappresentato nel contesto della commedia dall’amore di Adraste. La gelosia di Don
251 Ivi, vv. 20-21.
252 Cfr.: Ibidem, atto primo, scena III: «Che amara parodia è la sorte dello schiavo! Non mai vivere per sé ma essere
aggiogati alle passioni ed ai capricci del padrone. Così adesso, perché il mio signor ha il ghiribizzo di innamorarsi, devo
passare io la notte e il giorno senza riposo». Si noti che la battuta è la traduzione pressoché esatta del testo di MOLIÈRE,
L’amour peintre, cit., scène 2, pp.283-84: «Sotte condition que celle d’un esclave, de ne vivre jamais pour soi, et d’être
toujours tout entier aux passions d’un maître; de n’être réglé que par ses humeurs, et de se voir réduit à faire ses propres
affaires de tous les soucis qu’il est amoureux, il faut que nuit et jour je n’aie aucun repos». Alì, nella versione italiana,
definisce la vita dello schiavo una parodia: la scelta del termine è interessante in rapporto al tema del travestimento, in
particolar modo ai due travestimenti di Alì, che rappresentano un grado di ironia tale da poter essere letti come parodie
degli ideali incarnati da Mustafà.
253 MOLIÈRE, L’amour peintre, cit., scène 7, p. 290.
92
Pèdre invece non è amore, ma desiderio di possesso. La donna rifiuta la passione di Don Pèdre perché
a causa di essa sente di non poter esercitare il proprio naturale istinto a suscitare l’amore.
Mon amour vous veut toute à moi; sa délicatesse s’offense d’un souris, d’un regard qu’on
vous peut arracher; et tous les soins qu’on me voit prendre ne sont que pour fermer tout
accès aux galants, et m’assurer la possession d’un cœur dont je ne puis souffrir qu’on me
vole la moindre chose.254
Il testo, dunque, mette in scena una lezione sull’amore. Isidore spiega qual è il modo di agire corretto
dell’uomo che dichiara di amare la donna: egli deve lasciare che la donna possa realizzare liberamente
lo scopo per cui è nata. Don Pèdre non è in grado di comprendere la lezione e finisce per fraintendere
il bisogno di libertà espresso dalla donna: infatti egli si dichiara pronto a sposare Isidore e desideroso
di farlo, credendo di risolvere in questo modo la malinconia della donna. La risposta di Isidore anche
in questo caso risulta chiara: «Quelle obligation vous ai-je, si vous changez mon esclavage en un
autre beaucoup plus rude? Si vous ne me laissez jour d’aucune liberté, et me fatiguez, comme on voit,
d’une garde continuelle?».255
Tenendo presente le dinamiche relazionali con la fonte molieriana si può ipotizzare che le due
scene iniziali dell’atto primo di Dania, oltre ad avere la funzione di definire un desiderio marcato al
femminile, producano un riassestamento dei rapporti di potere tra le figure della commedia. Già a
partire dalle due scene iniziali, infatti, si osserva un fondamentale cambiamento nel carattere del
desiderio di Mustafà: tale personaggio sostituisce, nella riscrittura di Bonzanigo, il carattere di Don
Pèdre, geloso padrone siciliano, intenzionato a sposare Isidore. Come detto, in Mustafà la passione
amorosa per la schiava è assente e viene sostituita dal desiderio di guadagnare denaro tramite la
vendita di Dania al Gran Pascià. Mustafà, al contrario di Don Pèdre, non ha intenzione di sollevare
la donna dalla posizione di schiavitù, ma vuole tenervela, per venderla al ricco magnate turco. Nelle
prime due scene Mustafà viene definito in primo luogo dal ruolo di padrone e, in secondo luogo, dalla
propria identità etnica e religiosa: egli, infatti, compare brevemente in scena al termine della scena II
per ordinare alle schiave di portargli l’acqua per le abluzioni, in modo da poter svolgere il rito della
preghiera serale islamica, la ṣalāt al-maghrib.
Si può, quindi, confermare l’ipotesi secondo cui le due scene iniziali dell’atto primo, assenti
dalla fonte francese, svolgano un ruolo fondamentale, tale da modificare l’assetto dei rapporti di
potere tra le figure della commedia: Dania, al contrario di Isidore, non è soltanto oggetto del desiderio
conteso tra eroe e antagonista, ma si presenta come un soggetto con una propria individualità,
254 Ibidem. Il corsivo è nostro.
255 Ibidem.
93
portatrice di un desiderio proprio, che negli atti seguenti si intreccia al desiderio amoroso del co-
protagonista Floriano. Tale desiderio è rappresentato nel testo in modo tale da assumere una
connotazione di genere: si tratta di un desiderio femminile, determinato dalla posizione di subalternità
delle donne, rapite, costrette a diventare delle schiave e destinate a esser vendute al miglior offerente
maschile. I rapporti di potere interni alla commedia, oltre a coinvolgere in maniera marcata l’asse di
genere, riguardano infine l’asse della provenienza etnica: la donna, di origine greca, viene rapita dai
«briganti» turchi.
Scena V
Al cuore della scena V si trovano le arie dei protagonisti: la romanza di Dania «Notte lunare,
piena d’incanto» e la serenata di Floriano «Torna ancora al verone mia diletta». Esse rappresentano
l’apice dell’espressione degli affetti delle due figure e riassumono in pochi versi il desiderio trainante
di ciascuno: sono una summa di ciò che è stato espresso nelle quattro scene precedenti. Dania si
appella alla notte con un lamento in forma di romanza, pregando di poter trovare la pace nel sonno:
«I dì lontani di fanciullezza, / fa che risorgano nel mesto cuore, / quando ancor libera godea l’ebrezza
/ dell’ineffabile materno amore».256 Floriano invece trova finalmente l’occasione di comunicare il
proprio desiderio amoroso all’amata: «Torna ancora al verone, o mia diletta, / e ascolta il canto della
mia passione».257
L’aria di Dania ricopre una funzione centrale in rapporto allo sviluppo, interno alla commedia,
della soggettività femminile. Di seguito è riportato il testo nella sua integrità:
Notte lunare, piena d’incanto
versa il tuo balsamo sull’alma mia.
pietosa tergine l’amaro pianto,
fa ch’io dimentichi la sorte ria.
I dì lontani di fanciullezza,
fa che risorgano nel mesto cuore,
quando ancor libera godea l’ebrezza
dell’ineffabile materno amore.
Fammi scordare che schiava sono,
che a ignoto harem mi si destina.
Dammi la pace! L’alma abbandona
nel tuo bel sogno, notte divina!
Nel testo sono riconoscibili due elementi inscindibili che Bonzanigo ha introdotto in precedenza
all’altezza del duetto di Dania e Zaida nella scena I. L’aria infatti esprime il lamento della protagonista
256 BONZANIGO. Dania, atto primo, scena V.
257 Ivi.
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per la propria condizione di schiavitù: ella, in quanto schiava, non può far ritorno alla patria natia ed
è destinata ad essere venduta a un Pascià, che la condurrà in un «ignoto harem». Sviluppando il tema
della schiavitù, Bonzanigo affronta un secondo elemento, legato alla tematica della libertà: si tratta
della dimensione simbolico-metaforica attribuita al concetto di patria. Il ricordo della patria è
collegato a una dimensione temporale specifica: quella dell’infanzia. L’infanzia è connotata
dall’amore familiare in generale e in particolare da quello materno. Il tema della madre compare fin
dall’inizio della commedia in stretta correlazione con il tema della patria: infatti nella scena I Zaida
racconta:
Nell’Euba
presso al mare un villaggio
ridea piccolo e bianco.
Là vivevo, nel raggio
Dolce della famiglia
La mia infanzia beata.
Ma un giorno di terrore,
come lupi affamati,
calarono i briganti,
i turchi! Il mio paesello
fu un orrido macello
tra rovine fumanti.
Uccisi i vecchi, i bimbi.
Ah! La mamma!258
Il carattere fortemente affettivo del racconto esposto dalla figura femminile è messo in evidenza dal
commento empatico del coro di schiave: «Orrore!».259 Alla narrazione di Zaida segue
immediatamente il racconto del passato di Dania, costruito sullo stesso tono fortemente emotivo:
Oh come la tua storia
Alla mia s’assomiglia!
Io pur crescevo lieta,
idolatrata, inconscia,
del destino crudele.
Viveva la mia famiglia
presso Atene. Il mio babbo
Era un ricco mercante
Volle condurmi seco
In un suo villaggio a Cipro,
ma i pirati dell’Islam
assalirono la nave…
258 Ibidem, atto primo, scena I.
259 Ivi.
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che terrore! Che sangue!
E non lo vidi più, povero babbo
e la mamma che forse ci attende
in Grecia, nella nostra dolce casa.260
Il racconto di Dania è commentato da Zaida come segue: «Oh! La Mamma, la patria, la famiglia / a
volte sembran sogni troppo belli / per avere mai potuto essere veri!».261 A ciò segue il duetto di Dania
e Zaida, riportato più sopra in questo capitolo.
L’accostamento tra la patria e la madre del soggetto si inserisce in un ordine simbolico specifico
– la patria come legame di parentela, lo stesso ordine che produce la popolare metafora della Madre
Patria – proprio del discorso nazional-patriottico italiano di origine ottocentesca.262 La Madre Patria
è una rappresentazione simbolica che trova uno spazio privilegiato nel melodramma ottocentesco:263
esemplare a tal proposito è l’Aida264 verdiana, composta sul testo di Antonio Ghislanzoni. L’antefatto
da cui prende avvio l’intreccio di Aida ci autorizza a un confronto con il testo di Bonzanigo: infatti
in entrambe le opere le vicende delle due protagoniste si sviluppano a partire dalla condizione di
schiavitù in cui le donne si trovano all’inizio della storia. Significativa per un confronto è la maniera
in cui il tema della schiavitù viene trattato nei due testi. Verdi compose il tema musicale nella forma
di romanza per l’aria O cieli azzurri, o dolci aure native: in essa è espresso il lamento di Aida, rapita
dalla famiglia per esser fatta schiava. Allo stesso modo compare in forma di romanza l’aria di Dania.
Di seguito è trascritto il brano dell’Aida nella sua interezza:
O cieli azzurri… o dolci aure native, 260 Ivi.
261 Ivi.
262 Ricordiamo il lavoro che Banti ha svolto con chiarezza, decostruendo le figure del discorso nazional-patriottico che in
Italia manifestano la massima produttività nei decenni che intercorrono tra i moti unitari e la caduta del fascismo:
«Fondamentale, nella costellazione mitologica nazional-patriottica, è la descrizione della nazione come una comunità di
parentela e di discendenza, dotata di una sua genealogia e di una sua specifica storicità. In questa concezione il nesso
biologico tra gli individui e tra le generazioni diventa un dato essenziale: da qui il ricorso frequente a termini come
“sangue” o “lignaggio”, per connotare i nessi che legano le persone alla comunità. Da questa concezione deriva anche un
suggestivo sistema linguistico fatto di “madre-patria”, di “padri della patria”, di “fratelli d’Italia”, mentre la “famiglia”
diventa costantemente sinonimo della comunità nazionale nel suo complesso, o un termine che ne indica il suo nucleo
fondativo minimale. Il dispositivo fondamentale che regola questa immagine è la proiezione della nazione dalla
dimensione del ‘politico’ alla dimensione del ‘naturale’», BANTI Alberto Mario, Sublime madre nostra, La nazione
italiana dal Risorgimento al fascismo, cit., p. 15.
263 Cfr.: ibidem, p. 13: «[…] il discorso nazionale può avvalersi di un’estetica della politica che prende forma attraverso
una vasta costellazione di romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue e melodrammi di ispirazione nazional-
patriottica. Sono questi gli strumenti comunicativi che fondano la narrazione e la mitografia risorgimentale». Riguardo
alla relazione tra l’espansione delle forze democratiche popolare-nazionale in Italia e il melodramma si legga GRAMSCI
Antonio, Letteratura e vita nazionale, Nuova edizione riveduta e integrata sulla base dell’edizione critica dell’Istituta
Gramsci, a c. di Valentino Gerratana (Torino, 1975), Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 79: «Ho accennato in altra nota come
in Italia la musica abbia in certa misura sostituito, nella cultura popolare, quella espressione artistica che in altri paesi è
data dal romanzo popolare e come i genii musicali abbiano avuto quella popolarità che invece è mancata ai letterati».
264 Si noti che il nome di Dania è un anagramma quasi perfetto del nome Aida.
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dove sereno il mio mattin brillò…
o verdi colli… o profumate rive…
o patria mia, mai più ti rivedrò!
O fresche valli… o queto asil beato
che un dì promesso dall'amor mi fu...
or che d'amore il sogno è dileguato...
o patria mia, non ti vedrò mai più!265
Nell’aria verdiana Aida si ricorda dei paesaggi della terra dove il suo «mattin brillò»: il ricordo della
patria è legato all’infanzia del soggetto lirico, similmente a ciò che si è visto in Dania. La dimensione
affettiva insita nel discorso sulla patria è evocata tanto in Ghislanzoni quanto in Bonzanigo, tramite
la figura della casa famigliare: la patria è un «lido beato» dove il soggetto ha trascorso un’infanzia
serena. Il parallelismo più interessante che avvicina Dania all’Aida, sempre in rapporto alla presenza
nel testo librettistico di figure del discorso nazional-patriottico, è riscontrabile nel duetto serrato tra
la protagonista di Ghislanzoni e il padre Amonasro, che segue l’aria «O cieli azzurri… o dolci aure
native». Il duetto, inizialmente pacato, termina con un rimprovero indirizzato dal padre alla figlia:
Una larva orribile
fra l’ombre a noi s’affaccia.
Trema! Le scarne braccia
sul capo tuo levò
tua madre ell’è
ravvisala
ti maledice.266
L’evocazione di un’ombra dalle fattezze materne che maledice Aida è da interpretare, in seno al
libretto, come immagine allegorica dell’Etiopia: il quadro della patria raffigurata nell’immagine
topica della famiglia è così completo. Che il riferimento ad Aida sia il risultato di un’intenzione
consapevole dell’autrice ha poca importanza: in altri luoghi del testo, infatti, costei manifesta una
cultura operistica significativa, che ha influito sulla scrittura del libretto, specialmente delle parti del
testo destinate a essere musicate.267 Il confronto con il melodramma ottocentesco è da concludere con
un’ultima osservazione: il libretto di Dania si distanzia dall’Aida per quanto riguarda la funzione che
ricopre la figura della patria come legame di parentela: si è spiegato che per Dania il ricordo della
patria ha valore melanconico, che quindi suscita la tristezza nel soggetto, ma che, tuttavia, mantiene
una connotazione positiva, mentre nelle parole di Amonasro, invece che sollevare un ricordo
265 GHISLANZONI Antonio, Aida, a c. di Dario Zanotti, in AA.VV., Librettidopera, 2002, p. 20, link:
http://www,librettidopera,it/zpdf/aida,pdf (Ultima visita: 17 dicembre 2016).
266 Ibidem, p. 21.
267 Rimandiamo al capitolo dedicato alla contestualizzazione di Dania nel genere dell’opera.
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piacevole per Aida, la terra natia prende la forma di una minaccia, preannunciando il finale tragico
dell’opera.
Nella commedia di Bonzanigo il personaggio di Floriano dimostra di aver inteso il lamento di
Dania, poiché nella serenata della scena V affronta il problema della condizione di schiavitù della
donna, asserendo di attendere anche lui il «dolce dì di liberazione».268 La serenata di Floriano è
significativa per comprendere il rapporto d’amore che si svilupperà tra i protagonisti negli atti
seguenti, poiché segna il momento in cui i desideri delle due figure vengono per la prima volta
intrecciati: infatti i desideri soggettivi dei due personaggi, precedentemente presentati come
indipendenti l’uno dall’altro, ora sono rivolti verso un fine comune. Floriano, dichiarando la sua
passione, offre a Dania una via di fuga dal dominio di Mustafà. Si leggano attentamente i versi del
protagonista maschile: «L’alba è già vicina, / alba di libertà, luce d’amore».269 L’alba, il futuro
dunque, è un’alba di libertà e di amore, le due condizioni che Floriano offre alla donna: essa,
accettando l’amore dell’uomo, accetta simultaneamente di intrecciare il proprio desiderio di libertà a
quello amoroso di lui. I versi pronunciati da Floriano verranno ripresi nel finale ultimo, al termine
dell’atto terzo, nel duetto dei due novelli sposi: «In alto i cuori! L’alba è giunta alfine, / alba di libertà,
luce d’amore!».270 Il significato profondo dell’intreccio diventa evidente nel primo duetto cantato
dagli amanti nell’atto terzo:
DANIA
Col tuo sguardo, col tuo canto,
m’hai ravvolta in un incanto.
Nella mesta prigionia
per te solo visse il cor,
per te soltanto la vita mia
ancor s’infiora di speme e d’amor!
FLORIANO
T’involerò da questa prigionia,
alla mia patria bella e luminosa
ti condurrò mia sposa!271
L’uomo dichiara di voler liberare la donna dalla condizione di prigionia in cui è tenuta da Mustafà,
per portarla nella propria patria, in quanto sua sposa: in Italia dunque, non in Grecia. Diventa quindi
268 BONZANIGO, Dania, atto primo, scena V.
269 Ivi.
270 Ibidem, atto terzo, scena XII.
271 Ibidem, atto primo, scena V.
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evidente che Dania, dal momento in cui sceglie di sposare il corteggiatore, non farà ritorno alla patria
natia, bensì alla patria da cui proviene il cavaliere, un compromesso che la donna accoglie con gioia.
Intermezzo
Al termine dell’atto si trova un intermezzo corale: un brano composto sulla melodia di una
barcarola, cantato dalle voci del coro femminile. Il testo in versi è assente dalla fonte francese: esso
ha la funzione di dividere il primo dal secondo atto, rappresentando una cesura tra due momenti
distinti. Infatti il canto della barcarola ha come tema il rumore del mare che di notte culla e induce al
sonno: per il pubblico della commedia l’intermezzo rappresenta, dunque, la sintesi della notte
trascorsa nella casa di Mustafà. Di seguito si legga il testo:
Con l’ala sua bruna
la notte discende:
la pallida luna
sul Bosforo splende.
Un solco si stende
di vivida luce,
un ponte di stelle
che ai sogni conduce.
Divini, ineffabili
istanti ci attendono.
Deh! Vieni fanciulla!
Nel sogno fuggiam!
Il mare ci culla;
la notte ci vela;
il vento diffonde
profumi di fior.
Le stelle han fulgor,
profumo hanno i fior;
e il core ha l’amor.272
Il significato dei versi è altamente simbolico: il mare e la notte formano due ingredienti necessari per
poter accedere alla dimensione onirica in cui la fanciulla, apostrofata dalle voci femminili del coro,
potrà trascorrere divini e ineffabili istanti. Si può facilmente ipotizzare che la fanciulla apostrofata
sia Dania, e che il mondo onirico a cui accennano le voci del coro rappresenti il suo mondo interiore.
I sogni e le fantasie, nati nel connubio tra mare e notte, hanno il potere di alleviare le pene che la
272 Ibidem, intermezzo.
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realtà infligge quotidianamente al soggetto femminile: l’ambiente marittimo notturno offre una via di
fuga per accedere al sogno: «Deh! Vieni fanciulla! / Nel sogno fuggiam!».273 L’interiorità del
soggetto, quindi, è rappresentata come uno spazio fantastico, che viene posto in antitesi alla realtà
diurna.
2.2. L’ATTO SECONDO
L’atto secondo è composto da sole tre scene, la seconda delle quali è innovativa rispetto alla
fonte molieriana: essa si pone tra il dialogo di Dania e Mustafà, rappresentato nella scena I, e la scena
con cui termina l’atto, nella quale si assiste alla beffa di Alì. Il dialogo della scena I riprende da vicino
le battute scambiate da Don Pèdre e Isidore nella scène 7 di L’amour peintre, mentre la farsa inscenata
da Alì ricalca quella orchestrata da Hali nella scena successiva. Tuttavia è la scena II, inserita
dall’autrice bellinzonese nell’assetto della commedia musicale, a rappresentare in questo caso il
centro dell’atto e dunque dell’intera opera.
All’inizio della scena Dania esprime il proprio disappunto verso Mustafà, con il quale ha per
l’appunto avuto una disputa: «Oh! Ineffabile Mustafà! bontà sua che non m’abbia addirittura
rimproverata l’ingratitudine! Come pretende la riconoscenza della gazzella catturata per il miglior
offerente».274 Nel rimprovero la donna riafferma i propri affetti, formulati precedentemente nella
romanza dell’atto primo, esprimendo la paura di essere destinata a un padrone sconosciuto.
Successivamente la schiava si mette a fantasticare sulla possibilità di scappare e, colta dalla
preoccupazione di poter essere scoperta nella fuga, si ricorda di una «vecchia canzone»275, la leggenda
di Leila-Dakar:
Sulla montagna che tocca il cielo,
e a cui le nubi sempre fan velo
c’è un gran palazzo tutto di gelo,
di marmo e di cristallo. Aha...
Ivi il crudele Sher-el-Nakir
Leila la bella fece rapir,
Leila flessuosa come una palma,
Leila viso di perla. Aha…
Dakar l’amante, Dakar lo sposo,
sul suo destriero balza impetuoso,
a sé diniega cibo e riposo
273 Ivi.
274 Ibidem, atto secondo, scena II.
275 Ivi.
100
finché l’abbia raggiunta. Aha…
Ahimè! Il crudele Shar-el-Nakir
dai suoi sicari li fa inseguir,
nel gran Deserto voglion fuggir,
son nel Deserto, uccisi! Aha…
Ma dove scorre lor sangue ardente,
prodigio! Sgorga fresca sorgente.
L’Oasi più belle sorge repente,
l’Oasi Leila-Dakar. Aha…276
La leggenda ha la funzione di rispecchiare i sentimenti della protagonista: si tratta di una mise en
abîme del suo stato d’animo e delle sue paure. Tuttavia la conclusione della storia narrata nella
leggenda a livello intradiegetico e quella della commedia non andranno mai a coincidere, poiché lo
scioglimento della vicenda amorosa di Dania e Floriano terminerà in un lieto fine e non con la morte,
come invece accade per Leila e Dakar.
È difficile dire se la leggenda abbia una fonte diretta. Una prima ricerca riguardo al tema non
ha dato risultati soddisfacenti. Il tema della leggenda proviene certamente dal contesto arabo: il nome
Leila, infatti, deriva da una popolare storia di origine araba, di cui esistono centinaia di versioni
differenti. La vicenda ha come protagonisti Layla e Majnun, due amanti che in diverse varianti del
racconto sono uccisi nel deserto e seppelliti insieme.277 Ciò che preme notare è che il nome Layla in
arabo ha il significato di ‘notte’: ciò crea un collegamento tra il breve testo della leggenda e il campo
semantico relativo alla dimensione onirica, individuato tramite il testo dell’intermezzo. È da notare,
inoltre, che nei versi della leggenda sono messi in risalto i motivi della fonte acquatica e dell’oasi.278
Intorno ad essi si crea un nuovo campo semantico: quello dell’acqua. Il tema dell’acqua è apparso in
276 Ivi.
277 Determinare quale sia la versione della leggenda a cui Bonzanigo fa riferimento richiederebbe uno studio comparativo
approfondito, che non può essere svolto in queste pagine. Qassim Haddad. Chronicles of Majnun Layla, and selected
Poems. Trad. di Ferial Ghazoul e John Verlenden. Syracuse University Press. New York. 2014. P. 8 sostiene che: «This
perennial love story has been admired, retold, and adapted in different ages and cultures since its inception in the late
seventh century. It has been rendered in Persian, Turkish, various Indian languages, modern Arabic, English and French.
Critics and comparativists have written about different versions of the literary manifestations of the legend. Miniature
painters and singers in the East and the West have represented the story. Each writer, singer, or artist emphasized an
aspect of love seen in the story and adjusted it to the ethos of the context and the genre». Per maggiori informazioni
riguardo alla leggenda di Layla e Majnun si consulti As’ad Khairallah. Love, Madness, and Poetry: An Interpretation of
MAgnun Legend. Beirut. Orient-Institut. 1980, che offre una prospettiva completa sulla leggenda di Mainun; André
Miquel e Percy Kemp. Majnun et Layla: L’amour fou. Parigi. Editions Sinbad. 1984, approfondisce la tematica dell’amore
in rapporto alla figura di Majnun; André Miquel. Deux histoires d’amour: De Majnun à Tristan. Parigi. Èditions Odile
Jacob. 1996 e Ali Asghar SeyedGohrab. Layli and Majnun: Love, Madness, and Mystic Longing in Nizami’s Epic
Romance. Leiden. Brill. 2003 invece approfondiscono i confronti intertestuali tra le diverse versioni della leggenda e altri
testi.
278 La copertina in cartone di DB è decorata da un collage che ha come soggetto un’oasi. La riproduzione fotografica della
copertina è presente nell’appendice delle figure (Figura 3.).
101
precedenza nel libretto della commedia di Bonzanigo, in primo luogo nella cantata per coro in
apertura all’atto primo, in cui le schiave descrivono l’immagine di una sorgente: «C’è una sorgente
sola nel deserto / e primavera vi si posa accanto».279 Inoltre è da considerare che l’acqua è fisicamente
presente in scena: mentre Dania canta la leggenda, infatti, è accostata al pozzo del giardino e bagna i
fiori che durante la notte sono stati calpestati nella baruffa tra Mustafà e i servi. È poi da ricordare
che lo stesso pozzo è stato utilizzato dalle schiave nelle prime due scene per attingere l’acqua per le
abluzioni di Mustafà.
2.3. ATTO TERZO
La scena d’apertura dell’atto terzo è l’ultima scena in cui la figura di Dania trova l’occasione
per esprimere la propria soggettività; ricalca inoltre da vicino la scena I dell’atto primo. In essa, infatti,
compare nuovamente il coro di schiave: in questa nuova situazione le donne sono sedute su divani e
poltrone all’interno della casa di Mustafà, e chiacchierano tra loro. Il sipario si alza all’attacco del
canto corale, come nell’atto primo. Il tema è il mare, presente nei versi come elemento comparativo
in due diverse similitudini, fra loro parallele:
SCHIAVE
Quando tramonta il sole
il cielo è come un mare,
un mare di corallo.
Vi stanno a navigare
con vele d’oro giallo
gran navi di viole.
Il cielo è come un mare
quando tramonta il sole.
Quando tramonta il sole
il cuore è come un mare,
un mar di nostalgia.
Vi stanno a navigare
con vele di poesia
sogni senza parole.
Il cuore è come un mare
quando tramonta il sole.280
Inizialmente l’elemento del mare è paragonato al cielo: in questa similitudine il tertium comparationis
è risulta dalla vastità e dal colore dei due elementi accostati. Una seconda similitudine, più profonda
a livello concettuale, propone un confronto tra il mare e il cuore: il cuore rappresenta lo spazio
279 BONZANIGO, Dania, atto primo, scena I.
280 Ibidem, atto terzo, scena I.
102
interiore del soggetto lirico femminile, in cui nascono i sogni e i desideri, e dove la speranza di
rivedere la Madre Patria domina su tutto. Lo stesso spazio privilegiato per l’espressione del desiderio
è rappresentato dalla dimensione onirica del sogno notturno, presente nella barcarola orientale che,
come si è visto, forma l’intermezzo corale tra i primi due atti. Il tema dell’acqua viene, dunque,
inserito in un campo metaforico e simbolico che ruota intorno al desiderio di libertà di Dania: in
questo modo si viene a formare un’isotopia semantica al cui centro risiede il concetto di libertà e che
coinvolge i motivi dell’acqua e della notte.
L’acqua è un elemento multifunzionale nell’insieme della commedia di Bonzanigo: infatti, oltre a
essere strettamente correlato al tema della notte, compare come elemento antitetico al tema del
deserto, con il quale crea un campo semantico riscontrabile nelle parti liriche del testo fin dalla scena
I dell’atto primo. Nel canto del coro di schiave, infatti, si legge: «Passa la primavera sul deserto /
come colomba sull’immenso mare».281 Il contrasto tra mare e deserto assume una dimensione
simbolica importante, che verrà chiarita nella leggenda di Leila e Dakar, dove il contrasto prefigura
infatti quello tra vita e morte. Infine si leggano nuovamente le parole cantate da Dania e Zaida nel
duetto al termine della scena I dell’atto primo:
ZAIDA
Nell’Eubea
presso al mare un villaggio
ridea piccolo e bianco.
[…]
ZAIDA
Bella Grecia distesa nel sole
Come pigra sirena!
DANIA
Tutt’avvolta nel manto del mare
[…]
Le donne parlano ripetutamente del mare, in quanto esso circonda la Grecia: il mare, dunque, è
l’ostacolo fisico che divide le donne dalla patria, dalla famiglia e dalla madre, e rappresenta la
sconfinata distanza che si frappone tra la casa materna e la casa di Mustafà, in cui Dania è costretta
alla schiavitù. Tuttavia esso non assume una valenza emotiva negativa, poiché rappresenta anche una
forma di collegamento tra la Turchia, dove Dania è tenuta prigioniera, e la natia Grecia: il mare
simbolizza in questo senso una dimensione materiale che permette alle donne di ricordare la patria
lontana, essendo questa toccata dalla stessa acqua. Il mare assume così un valore positivo, poiché
incita la fantasia del soggetto femminile e rappresenta un correlativo oggettivo della sua speranza di
281 Ibidem, atto primo, scena I.
103
riacquistare la libertà. In questo senso esso si contrappone al deserto, che ha invece un valore
metaforico interamente negativo: nella leggenda di Leila e Dakar i due amanti periscono nel deserto.
Il deserto è dunque il correlativo oggettivo della disperazione del soggetto.
104
3. EPILOGO
Rispetto alla figura di Isidore del testo molieriano, intorno alla Dania di Bonzanigo si manifesta
un campo semantico inedito, funzionale a esaltare l’individualità del personaggio femminile, che, in
tal modo, ricopre una posizione centrale all’interno della commedia e definisce efficacemente il tema
della libertà.
Quali ragioni possono essere individuate per spiegare le trasformazioni del personaggio ideato da
Bonzanigo? Per trovare una risposta adeguata alla domanda torniamo di qualche passo indietro e
inquadriamo le riflessioni nella contestualizzazione socio-culturale e politica della commedia,
proposta agli inizi del capitolo e in cui erano state messe in evidenza le tensioni nate dal dibattito
promosso dalla cerchia di scrittori e intellettuali attivi nella redazione dell’«Adula» in rapporto alla
questione dell’identità ticinese. Considerando la rilevanza attribuita al motivo della libertà in seno al
discorso politico e identitario del giornale bellinzonese, a tratti manifestamente filoirredentista, ci si
dovrà dunque interrogare, a questo punto, su quali rapporti la commedia Dania potrebbe intrattenere
con l’ideologia dominante nel contesto aduliano, condivisa, come si è dimostrato, dalla stessa
Bonzanigo.
Innanzitutto è necessario aprire una parentesi storiografica. Infatti la concezione identitaria
formulata dai collaboratori di Teresa Bontempi e Rosetta Colombi e da molte altre personalità attive
nel mondo letterario della Svizzera italiana, che nel corso degli anni Venti e in particolare nei primi
anni Trenta hanno manifestato esplicite simpatie verso il fascismo mussoliniano e che sporadicamente
si sono avvicinati a una blanda forma di irredentismo, ha delle evidenti origini storiche: la Svizzera è
nata con il preciso intento di formare una confederazione,282 un’unione principalmente politica di
singoli stati, ridefiniti cantoni, con tradizioni culturali e linguistiche diverse tra loro. Lo stato ticinese
nasce nel 1803, non senza difficoltà: l’adesione delle terre ticinesi alla Svizzera venne «imposta e
non fu una libera scelta»;283 l’esistenza politica del Canton Ticino, infatti, è dovuta alla risoluzione
282 Sul sito internet «ch.ch», gestito dalla confederazione e tradotto nelle quattro lingue nazionali e in inglese, si trovano
dei chiarimenti riguardo alla struttura politica svizzera: «Il federalismo è una forma di organizzazione dello Stato in cui
il potere è ripartito tra lo Stato centrale e gli Stati federali. Le leggi dell'autorità centrale si applicano a tutto il Paese,
mentre quelle degli Stati federali vigono unicamente sul territorio di questi ultimi. Questi stati federali godono, a seconda
del Paese, di un'autonomia più o meno ampia. […] La Confederazione [svizzera] è competente unicamente nei settori che
le sono stati espressamente assegnati dalla Costituzione federale. Tutti gli altri compiti (per esempio nei settori
dell'educazione, degli ospedali o della polizia) incombono ai Cantoni che godono pertanto di un'ampia autonomia». Cfr.:
Voce <Federalismo svizzero>, in ch,ch, Un servizio della Confederazione, dei cantoni e dei comuni, a c. della
Confederazione svizzera, link: https://www,ch,ch/it/federalismo-svizzero/ (ultima visita: 27 novembre).
283 Sul sito internet del dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport del canton Ticino, lo storico Andrea
Ghiringhelli ha curato una pagina dedicata alla storia politica del cantone. Il testo è estremamente interessante, oltre che
per il contenuto informativo, anche per la retorica che da esso traspare: «Il Ticino fu dunque la conseguenza di un
matrimonio forzato e non voluto fra territori giustapposti e popolazioni diverse, e più di una volta si rasentò il divorzio
fra continui litigi. È questo un dato di partenza essenziale per capire le difficoltà incontrate nell'edificazione dello Stato
cantonale. […] Fino al 1798 gli abitanti dei baliaggi furono sudditi degli svizzeri, ma il rispetto degli statuti comunitari li
105
di Napoleone, che nello stesso 1803 attribuì alla Svizzera una nuova Costituzione, per porre fine alle
divisioni interne del paese:
La Suisse, dit-il, ne ressemble à aucun autre état, soit par les événements qui s’y sont
succédé depuis plusieurs siècles, soit par sa situation géographique et topographique, soit
par les différentes langues, les différentes religions et cette extrême différence de moeurs
qui existent entre ses diverses parties.284
Storicamente la Svizzera è un prodotto politico formato dalla multiculturalità e dal plurilinguismo dei
propri cittadini e delle proprie cittadine: una nazione che non possiede una tradizione unitaria, fondata
su un’unica lingua, ma che raccoglie in sé diverse identità sociali e culturali, profondamente legate a
spazi nazionali esterni ai confini elvetici. Gli intellettuali attivi nel canton Ticino, specialmente coloro
che si occupano della lingua italiana – ad esempio scrittori e scrittrici quali Francesco Chiesa285 e la
stessa Elena Bonzanigo, insieme a italianisti e linguisti quali Carlo Salvioni – riconoscono le
condizioni particolari in cui vive la popolazione italofona del cantone e percepiscono un disagio nel
definire la tradizione culturale nella quale vorrebbero riconoscere l’identità della Svizzera italiana.
Tale identità, lo ricordiamo, viene percepita come naturalmente radicata nella tradizione italiana:
infatti, secondo questo punto di vista, il confine che divide il Ticino dall’Italia – che non è di tipo
culturale, linguistico, né etnico, ma solamente politico – è un’imposizione dettata dalla
Confederazione. Dalle pagine dell’«Adula» risuonano echi di una pretesa regionalistica, che da un
lato rivendica al Ticino un proprio spazio nel panorama culturale italiano e dall’altro lamenta i
trattamenti imposti dalla sede confederata bernese e dall’opinione pubblica d’oltralpe. Si legga
faceva sentire liberi; dopo il 1798 erano citoyens ma si sentivano sudditi perché le nuove leggi dello Stato li avevano
privati delle antiche autonomie. In poche parole qui non si conosce il valore della libertà, concludeva sconsolato un
funzionario dell’Elvetica. Più semplicemente l’idea di libertà era diversamente intesa e per buona parte degli abitanti dei
baliaggi essa si risolveva nel fare del passato un eterno presente. Quindi nel 1798 gli abitanti dei baliaggi la storia, più
che farla, la subirono: l’emancipazione fu vissuta come una brutale menomazione, l’aggregazione all’Elvetica come una
imposizione che li mise di fronte alla logica di un potere statale che rompeva bruscamente con il passato. Sta qui la
contraddizione alla base della storia cantonale. L’Elvetica, centralizzatrice e unificatrice, metteva drammaticamente a
confronto innovazione e tradizione senza soluzione di continuità». Il conflitto insito all’annessione delle terre ticinesi alla
Svizzera ruota intorno al concetto di libertà: dalla popolazione italofona, infatti, il nuovo statuto politico viene percepito
come un’unione imposta dall’alto. Cfr.: GHIRINGHELLI Andrea, La storia, Atto di Mediazione e la faticosa costruzione
del Cantone, in Dipartimento dell’Educazione della Cultura e dello Sport, Divisione della cultura e degli studi universitari,
a c. della Repubblica e del Canton Ticino, link: http://www4,ti,ch/decs/dcsu/sportello/bicentenario-del-canton-ticino/la-
storia/ (ultima visita: 27 novembre 2016).
284 Atto di mediazione, redatto da Napoleone. Citato da : TULARD Jean, Quand Bonaparte donnait l’Acte de Mediation
aux Cantons suisses, in AA.VV., La Suisse de la mediation dans l’Europe napoléonienne / Die Schweiz unter der
Mediationsakte in Napoleons Europa (1803-1814): acte du colloque de Fribourg (journée du 10 octobre 2003), a c. di
Mario Turchetti, Academic Press Fribourg, Friborgo, 2005, pp. 7-18, p. 14.
285 Il ruolo svolto da Chiesa in rapporto all’identità ticinese è stato esaminato con lucidità da Alessandro Zanoli nel volume
Francesco Chiesa e i suoi romanzi: in esso viene sostenuta la tesi secondo cui Chiesa avrebbe tentato di fornire un modello
identitario ai propri lettori. Cfr.: ZANOLI Alessandro, Francesco Chiesa e i suoi romanzi, con una pref. di Tatiana Crivelli,
Armando Dadò Editore, Locarno, 2013.
106
l’estratto seguente, esempio emblematico che riassume i toni del discorso politico riconoscibili nelle
pagine più polemiche del periodico bellinzonese:
Cari amici! La lotta che intraprendete per la difesa del nostro nazionalismo è
meravigliosamente bella. Un intellettuale ticinese ha cercato, in diverse circostanze, di
presentare il nazionalismo come la fonte di tanti mali. Non so fino a qual punto le sue
affermazioni saranno state accolte dal pubblico ticinese, semplice e superficiale e che
facilmente applaude alle frasi ad effetto. Ma egli non ha distrutto la storia, la quale ci
insegna invece che il nazionalismo è la gran fonte di energia dei popoli ed i regimi che
hanno voluto ignorare questa verità sono caduti. […] In nessun altro popolo il
nazionalismo ebbe radici così profonde come nella Nazione Italiana e coloro che non lo
sentono non sono degni di appartenere a questa grande Famiglia. L’avvenire del popolo
ticinese dipenderà dal modo con cui saprà comprendere e praticare il nazionalismo della
nostra stirpe – e tutti coloro che, come voi, lavorano alla sua diffusione rendono un
servizio grandissimo alla Svizzera Italiana. Cari Amici! La strada per la quale vi siete
messi è cosparsa di ostacoli e di spine. Essa non vi darà né facili soddisfazioni, né onori,
ed i sacrifici cui vi sottoponete non vi daranno sempre la meritata ricompensa. Vi parlo
per esperienza: sono stato messo alla porta dalla stampa svizzera […], fui espulso dalle
associazioni di giornalisti svizzeri, – ad ogni momento fui insultato ed offeso dagli organi
avversi –; ma sono ancora in piedi, sto benissimo e mi sento più che mai disposto a
lavorare tenacemente per la nostra bella causa. Non bisogna mai perdersi d’animo, mai
capitolare, bensì durare, durare sempre. Non è però giusto che voi giovani siate lasciati
alle vostre sole forze, perché quando esse non sono rinnovate fatalmente si esauriscono.
Spetta alla stampa italiana […] di aprirvi le sue porte.286
L’estratto proviene dalla lettera, inclusa nell’Almanacco della Svizzera italiana, indirizzata da Emilio
Colombi (padre di Rosetta Colombi) ai giovani collaboratori dell’«Adula»:287 il testo (datato ottobre
1930), che nell’Almanacco è posto a seguito della presentazione del volume, trova una risposta da
parte dei giovani collaboratori nelle ultime pagine del libro:
Noi ci auguriamo soltanto di vedere un Ticino più unito, strettamente legato alla Rezia
italianissima. Un Ticino senza più delatori né denunciatori degli idealisti. Un Ticino ove
si possa dire una serena parola di italianità, senza vedersi segnati a dito (la caccia
all’uomo, o signori giornalisti ticinesi, non è segno di civiltà) senza sentirsi tacciare di
traditori, senza vedersi colpiti da Berna con divieti e sequestri. Poiché in fatto d’amore
all’Italia, chi è senza peccato, lanci la prima pietra: se vi è in Ticino un sol uomo che può
farlo, questi non è più ticinese ma un bastardo. Poiché noi saremo ticinesi solo e fino a
quando avremo nel cuore un grande e immenso amore per la nostra magnifica razza, un
286 Cfr. Lettera di Emilio Colombi. Ai giovani dell’almanacco della Svizzera italiana. ottobre 1930. In: AA.VV.,
Almanacco della Svizzera italiana, cit., pp. 12-13.
287 Crespi rileva come il programma rivendicativo proposto dall’Adula affascinò in particolare i giovani, in special modo
gli studenti universitari, che nel 1918 fondarono la Federazione Goliardica Ticinese (FGT) con l’intendo di difendere la
cultura italiana in primo luogo nelle scuole svizzere a fronte di iniziative di taglio opposto – vale a dire elvetista – di
gruppi studenteschi svizzeri. L’istruzione scolastica, infatti, costituì uno dei temi più accesi nel dibattito tra il giornale e
i suoi interlocutori, almeno fino agli anni Trenta, poiché, in quanto istituzione regolata dal cantone, rappresentava uno
strumento prediletto per la formazione identitaria delle future generazioni ticinesi. Cfr.: CRESPI, Ticino Irredento, La
frontiera contesa, Dalla battaglia culturale dell’«Adula» ai piani d’invasione, cit., p. 52.
107
senso mistico di adorazione per la nostra Grande Madre, l’Italia. Un amore filiale che fa
scordare tutto, e fa vedere solo il bello, il buono, il santo.288
Chi scrive mescola presunti dati biologici – «la nostra magnifica razza»289 – a elementi culturali –
«una serena parola di italianità»290 – rivelando di conoscere alla perfezione la tipologia discorsiva
nazional-patriottica propriamente fascista. L’Italia è definita come la Grande Madre, adorata dai figli
ticinesi, adottati da un’altra patria, alla quale si sentono sottomessi: il discorso, nettamente impostato
a suscitare la reazione emotiva di chi legge, è sotteso a creare un senso identitario basato su un
processo di esclusione e inclusione. Il vero ticinese, in quest’ottica, è colui che «senza peccato»291 si
riconosce come intimamente legato alla Rezia italiana; chi non ne è in grado, invece, è etichettato
come «bastardo»,292 come chi non appartiene alla pura discendenza della «magnifica razza».293 Il
principio alla base di questa affermazione è chiaro: l’appartenenza alla nazione non è una scelta
individuale, ma un fatto biologico. Nascere all’interno di una comunità nazionale significa essere
legato alla comunità di discendenza, al suo sangue, alla sua terra e al suo destino; rinnegare tutto ciò
equivale a riconoscersi come altro.
Siamo dunque precisamente di fronte a quel processo di inclusione ed esclusione che Banti,
analizzando il dispositivo discorsivo funzionale alla formazione dell’identità italiana, individua come
una delle figure profonde del discorso nazional-patriottico294: la comunità nazionale, definita
attraverso l’immagine della parentela, accoglie i suoi membri come figli. Secondo lo studioso la
metafora della grande famiglia si è sviluppata in Italia quando i moti risorgimentali erano solamente
accennati:295
Il momento della originaria ascrizione […] è quello della nascita, evento anche
politicamente rilevante, perché, collocando un individuo all’interno della sua comunità
nazionale, da’ un senso storico e politico ben preciso ai suoi legami con le generazioni
precedenti (quelle dei padri, delle madri, degli avi) con le generazioni coeve (i fratelli, le
sorelle), con le generazioni future (i figli, le figlie). Ed è proprio intorno a questa
288 Cfr. Lettera scritta dai giovani del’«Adula», 4 novembre 1930. In: AA.VV., Almanacco della Svizzera italiana, cit., p.
257.
289 Ivi.
290 Ivi.
291 Ivi.
292 Ivi.
293 Ivi.
294 Cfr.: nota 237 di questo lavoro.
295 Già Foscolo nel sonetto Né più mai toccherò le sacre sponde, composto tra il 1802 e il 1803, inserisce la figura
discorsiva con intento celebrativo: «Tu non altro che il canto avrai del figlio, / o materna mia terra; a noi prescrisse / il
fato illacrimata sepoltura» FOSCOLO Ugo, Sepolcri, odi, sonetti, a c. di Donatella Martinelli, Mondadori, Milano, 201221
(1987), p. 108.
108
concezione biopolitica della nazione che si snodano i tornanti essenziali del rituale di
affiliazione alla Giovine Italia.
Le figure profonde del discorso nazional-patriottico sono riscontrabili nei testi propriamente
finalizzati a sostenere argomenti politici, quali ad esempio annunci e proclami, specialmente in
ambito bellico. Banti, tuttavia, pone l’accento sulla rilevanza letteraria delle metafore in questione:
esse ricorrono liberamente in forme canoniche come romanzi, racconti, poesie ma anche in generi
meno pregiati, ma altamente popolari all’epoca della loro produzione, come i libretti dei melodrammi
ottocenteschi.296 L’Aida verdiana, citata in precedenza nel lavoro, è un caso emblematico.
Si è rilevato come il ristretto gruppo di intellettuali e scrittori attivi nella redazione di Bontempi
e di Colombi abbia fatto largo uso di queste figure, adattandole a un discorso identitario volto a
definire l’essenza della svizzera italiana: nei panni della figlia negletta, il cantone viene rappresentato
come soggiogato al volere di una patria adottiva, da cui non ottiene l’incentivo necessario a rafforzare
il proprio legame con la tradizione italiana. La stessa Bonzanigo poi, come visto in precedenza,
propone un’interpretazione interessante del medesimo motivo nella lirica Bellinzona, in cui costruisce
il discorso identitario a partire dall’identificazione della città ticinese con la figura di una madre
pensosa, che tiene lo sguardo rivolto all’Italia.
In Dania i motivi inscindibili della patria d’origine e della madre – madre che in questo caso
assume la funzione di rappresentare il paese natio – sono prominenti: essi, infatti, sono congiunti al
tema della schiavitù, centrale in rapporto alla definizione del carattere della protagonista. Gli spunti
per interpretare il testo della commedia in chiave strettamente politica non sono sufficienti: tuttavia,
un’attenta contestualizzazione storica non potrà che indirizzare il lettore in tale direzione. La tesi può
soltanto essere corroborata da ulteriori elementi presenti nel tessuto della commedia: innanzitutto il
conflitto articolato sull’asse di genere e di etnia tra protagonisti e antagonista. Mustafà, rozzo e
ignorante venditore di schiave, è caratterizzato esclusivamente dal desiderio di dominare queste
ultime e i propri servi. La beffa – risoluzione catartica del conflitto – non soltanto ha lo scopo di
liberare Dania dalla condizione di schiavitù, ma è funzionale a mettere in evidenza il carattere fragile
del potere di Mustafà. Nel susseguirsi della commedia la figura subisce svariati scacchi da parte dei
protagonisti, in un climax ascendente, in cui una serie di umiliazioni sempre maggiori culminano con
la definitiva e assoluta sconfitta, al termine dell’atto terzo. Chissà che in questa figura non si possa
riconoscere la sagoma del «nordico invasore» delle terre bellinzonesi, cantato nella lirica dell’autrice?
La domanda, che la nostra immaginaria spettatrice potrebbe porre in maniera simile, mentre la sera
296 BANTI Alberto Mario, Sublime madre nostra, La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, cit., p. 13.
109
del 2 giugno assiste all’ultima rappresentazione di Dania, resta aperta. Come risposta dovrà bastare
ricordare che un testo – narrativo, lirico, teatrale e anche librettistico – è il prodotto discorsivo di un
preciso momento storico e di uno specifico luogo geografico: in esso l’autrice o l’autore, con chiari
intenti programmatici, può decidere di far convergere la propria coscienza politica e il proprio senso
d’adesione a un profilo identitario. Tuttavia, nonostante la volontà dell’autrice o autore, il testo
possiede una sua autonomia, e in esso si manifestano anche passioni, riflessioni, ideologie, tracce di
storia di cui chi scrive non è consapevole.
“You step into the Road, and if you don’t keep your feet, there is no knowing where you might be swept off to”.
J. R. R. Tolkien, The fellowship of the ring
C o n C l u s i o n i
“The earth as temporary dwelling has no foundational name. Nationalism can only ever be a crucial political agenda against oppression. All longings to the contrary,
it cannot provide the absolute guarantee of identity”.G. Spivak, Theory in the Margin: Coetzee’s Foe Rea-
ding Defoe’s Crusoe/Roxana
Wolfgang Brunner, Landschaft aus der Rütner Umgebung, 1969
111
CONCLUSIONI E SPUNTI PER IL FUTURO – «LA COMMEDIA È FINITA»
Su Dania
Il viaggio alla scoperta di Dania è giunto a uno stadio in cui è necessario svolgere alcune
considerazioni riassuntive, per concludere il lavoro. Si rivolga, un’ultima volta, l’attenzione all’atto
primo: nel confronto puntuale tra la commedia musicale e la fonte molieriana si è osservato che esso
rappresenta il luogo del testo in cui Bonzanigo è intervenuta con maggiore decisione sul contenuto e
sulla forma della pièce. In esso l’autrice introduce gli antefatti alla vicenda rappresentata in scena e
definisce i rapporti tra le figure principali della commedia: Dania e Floriano vengono raffigurati nelle
vesti di eroi, sostenuti dagli aiutanti Zaida e Alì e ostacolati da Mustafà, figura negativa che diventerà
l’oggetto di una clamorosa beffa.
Nella prima parte della ricerca, in cui si è presentato l’intervento filologico operato sul testo
di Dania, si è dedicato ampio spazio alla descrizione e all’interpretazione delle diverse varianti
raccolte nella collazione dei cinque maggiori testimoni (il manoscritto M, i due dattiloscritti DB e
DA, il fascicolo riassuntivo pubblicato da Salvioni e distribuito agli spettatori L e, infine, il testo
presente tra gli spartiti della partitura orchestrale PB): dal lavoro filologico è emerso che il primo
atto, se messo a confronto con gli altri, manifesta il maggior numero di varianti, specialmente a livello
macrotestuale. È emblematica ad esempio l’assenza dal manoscritto M delle due scene d’apertura:
approfondendo la questione e osservando la partitura PB si è giunti alla conclusione che le due scene
sono state scritte in una fase redazionale successiva a M, tant’è che Tosi le ha musicate per ultime,
quando le restanti scene già avevano ottenuto la forma musicale definitiva. Si è notato come queste
due scene rappresentino un momento fondamentale nell’assetto della commedia di Bonzanigo: infatti,
esse definiscono il carattere della protagonista femminile Dania. Con lo scopo di rilevare e
interpretare i tratti caratteristici dell’eroina bonzanighiana si è insistito sulle principali differenze tra
Dania e la Isidore molieriana: si è messo in evidenza come nell’Amour peintre la protagonista dichiari
esplicitamente quale sia il suo ruolo all’interno della pièce, essere cioè l’oggetto del desiderio
amoroso maschile. Analizzando le battute di Isidore si è giunti a ipotizzare che il tema della schiavitù
in Molière verta intorno a un precisa concezione dell’amore e che l’autore esponga nella pièce quella
che abbiamo definito una lezione sull’amore: la donna, quando oggetto di una passione maschile
incentrata su un desiderio di possesso impregnato di gelosia, non è libera di esercitare la ‘naturale’
112
inclinazione femminile a indurre l’amore.297 Nulla di tutto ciò è presente nella commedia di
Bonzanigo: la figura femminile è in essa soggetto attivo di un desiderio proprio, ossia quello di essere
liberata dalla condizione di schiavitù, in cui viene tenuta per volere di Mustafà.298 Il desiderio di
libertà, incarnato da Dania, assume, dunque, una funzione centrale nella commedia: esso determina
lo sviluppo delle azioni di tutte le figure presenti in scena e, insieme al desiderio amoroso del co-
protagonista maschile, rappresenta il cuore tematico della commedia. Il desiderio assume la forma di
un motivo lirico, che viene espresso tramite il canto della protagonista in diversi momenti nel corso
dei tre atti della pièce. Intorno al motivo della libertà si è, infine, individuato un campo semantico
funzionale a esaltare il soggetto femminile – un’isotopia semantica caratterizzata da una dimensione
simbolico/metaforica al cui centro si sono riconosciuti l’antitesi mare-deserto, il motivo della notte
come spazio prediletto per l’espressione dell’interiorità del soggetto e soprattutto la figura profonda
della Madre Patria.
Perché leggere Dania oggi?
Riflettendo sul significato del tema della libertà in Dania da un punto di vista storico, si è
osservato che Bonzanigo, rispetto a Molière, assegna un valore diverso al concetto di libertà: la libertà
a cui Dania aspira, infatti, è di tipo politico.
Dania è stata scritta da una donna coinvolta nel circolo culturale sorto intorno alla redazione
del controverso periodico irredentista l’«Adula», ed è stata rappresentata sul palco del principale
teatro del canton Ticino in un periodo storico caratterizzato da tensioni nazionali e internazionali che
hanno avuto un effetto importante sulla cultura e sull’identità ticinese. Per comprendere il valore della
pièce e l’impatto che essa ha avuto sul pubblico accorso alle quattro rappresentazioni dello spettacolo
sarebbe necessario svolgere una ricerca approfondita sulla sua ricezione: dalla lettura dei quotidiani
che, tra il 28 maggio e il 7 giugno 1930, hanno dedicato uno spazio alla commedia di Bonzanigo e
Tosi, non sono emerse critiche che mostrino che spettatori e giornalisti abbiano associato Dania
all’attività svolta da Bonzanigo presso la redazione dell’«Adula». Tuttavia riteniamo che sia rilevante
chiedersi quale influenza possa aver avuto l’ideologia, fortemente condivisa nel circolo di docenti,
297 Riproponiamo di seguito le battute di Isidore che meglio riescono ad esprimere il concetto: “Quelle obligation vous
ai-je, si vous changez mon esclavage en un autre beaucoup plus rude? Si vous ne me laissez jouir d’aucune liberté, et me
fatiguez, comme on voit, d’une garde continuelle?” MOLIÈRE, l’amour peintre, cit., scène 7, p. 292.
298 In un primo momento la donna desidera liberarsi dalle catene della schiavitù per poter far ritorno al paese materno in
Grecia, da cui è stata rapita a forza dai “pirati dell’Islam”. In un secondo momento, dopo l’incontro con Floriano e la
dichiarazione d’amore di questo, il desiderio della protagonista si modifica e si intreccia al desiderio amoroso maschile:
infatti costei, accettando e ricambiando l’amore dell’uomo, acconsente a essere condotta come sposa nella patria di lui,
ossia l’Italia.
113
letterati e intellettuali attivi presso la redazione del periodico, sul motivo letterario della libertà,
elaborato da Bonzanigo nella commedia.
Il volume di Crespi299 offre un’approfondita interpretazione storiografica del fenomeno
culturale dell’«Adula»; tuttavia in esso manca un approccio propriamente letterario – atto ad esempio
a riconoscere e classificare la dimensione retorica del discorso utilizzato dai collaboratori del foglio
bellinzonese –, il quale andrebbe sicuramente a completare il quadro del fenomeno in questione.
Bonzanigo, Chiesa e l’editore Salvioni sono soltanto alcune tra le figure attive nell’ambito della
letteratura ticinese che hanno preso parte al progetto culturale del periodico bellinzonese: un’analisi
letteraria, orientata a definire le forme del discorso di questi tre autori, potrebbe cogliere, a nostro
avviso, il significato e il valore storico e sociale dell’ideologia promossa dai collaboratori di
Bontempi. Nella scrittura di Bonzanigo si è riconosciuta, sull’esempio della lirica Bellinzona del
1926, una retorica impregnata dei motivi altisonanti del discorso politico nazional-patriottico
ricalcato sull’oratoria fascista.300 Sulla scrittura di Francesco Chiesa, Zanoli ha pubblicato un volume
in cui viene affrontato il rapporto tra il poeta e romanziere di Sagno e il fascismo mussoliniano.301
Tuttavia Bonzanigo e Chiesa sono soltanto due manifestazioni del fenomeno – ancora troppo poco
studiato sia dagli storici, sia dai critici letterari – che ha portato alla formazione di un discorso filo-
fascista tra gli intellettuali della Svizzera italiana, contrari alla politica confederata. Il dibattito, tenuto
vivo dai collaboratori dell’«Adula», verte inesorabilmente intorno all’identità culturale da un lato e
politica dall’altro della Svizzera italiana.
La tematica identitaria è estremamente complessa, e richiede un approccio critico
interdisciplinare più ampio di quello adoperato in queste pagine: la problematica identità ticinese –
un’identità di confine, ibrida e associata a un luogo di passaggio, ossia un territorio segnato dagli assi
stradali e ferroviari, da gallerie vecchie e nuove, e situato all’ombra dell’imponente massiccio del
Gottardo –, che occupa le menti e il cuore dei due scrittori sopracitati, è un argomento che non ha mai
smesso di interessare ticinesi e svizzeri fin dall’annessione politica del canton Ticino alla
confederazione. Tuttavia, nonostante essa sia un tema che ancora oggi accende gli animi, in
299 Cfr.: CRESPI, Ticino Irredento, La frontiera contesa, Dalla battaglia culturale dell’«Adula» ai piani d’invasione, cit.
300 Si è visto nella parte terza di questo lavoro che l’uso del simbolo romano dell’aquila per rappresentare le truppe italiane
nella battaglia di Arbedo è esempio lampante della retorica fascista. BONZANIGO, La sorgente, cit., pp. 74-6.
301 ZANOLI Alessandro, Francesco Chiesa e i suoi romanzi, con una pref. di Tatiana Crivelli, Armando Dadò Editore,
Locarno, 2013
114
particolare di chi si riconosce nei partiti più estremisti, non è altrettanto presente nell’ambito
teorico.302
Nuove prospettive di ricerca
Il disagio identitario espresso dagli autori aduliani è interpretabile come il sintomo di una
problematica profondamente ancorata nella storia politica, economica, sociale e infine culturale del
cantone: il discorso dell’«Adula», che spesso manifesta argomentazioni irredentiste e che ha
comportato l’intervento da parte delle autorità confederate e la conseguente chiusura definitiva del
giornale, è leggibile come il tentativo maldestro di elaborare una base identitaria solida per la
popolazione ticinese. Maldestro poiché ha riscosso scarso interesse nei concittadini (infatti il successo
maggiore è stato in definitiva raggiunto presso le cerchie fasciste italiane). Esso dimostra come il
circolo radunato intorno a Teresa Bontempi e Rosetta Colombi, insistendo sulla tradizione linguistica
e culturale italiana presente sul territorio, mancò di considerare ciò che rende la Svizzera italiana un
fenomeno e un prodotto storico e culturale particolare e diverso dalla vicina Italia: il profondo influsso
che l’unione del canton Ticino con la confederazione ha esercitato sull’identità della popolazione
residente tra Chiasso e Airolo. Il cantone si è evoluto ed è cambiato nel corso dei decenni, assumendo
una posizione particolare in ambito politico e sociale: da ciò sono nati problemi importanti (si pensi
al frontalierato che da sempre coinvolge le dogane con l’Italia); nonostante ciò l’annessione alla
confederazione è stata estremamente proficua e stimolante dal punto di vista degli scambi linguistici
e culturali. È necessario dunque rileggere la dimensione multiculturale intrinseca sia nelle terre della
Svizzera italiana, sia in quelle della Svizzera tedesca, francese e romancia, tenendo presente l’aspetto
produttivo del rapporto interlinguistico. Homi Bhabha, nell’ambito della ricerca postcoloniale,
302 Intorno alle vicende dell’«Adula» col tempo è calato un «fitto silenzio», come ha osservato giustamente Giovanni
Bonalumi, oltre trent’anni fa, e la situazione non è cambiata di molto: «Da vari lustri, attorno all’Adula, alle molteplici
discussioni che il giornale definito «tout court» irredentista suscitò nella tutt’altro che breve stagione che va dal 4 luglio
1912 al 3 agosto 1935, è calato un fitto silenzio. Il suo nome – ed è già tanto – appena riaffiora in funzione di spauracchio
(fugacissimo richiamo, del resto) in qualche giornalistica polemica contro provvedimenti e risoluzioni adottati dalle
autorità federali e ritenuti discriminatori e, ad ogni modo, lesivi nei confronti della vita economica, politica o culturale
del Canton Ticino. È un silenzio, quello che circonda l’avventura dell’Adula, che un poco s’apparenta a quello di comune
accordo instauratosi in certe famiglie attorno alle malefatte d’un parente fortunatamente lontano o addirittura defunto. Un
silenzio che succede a uno scandalo fin troppo vistoso, a troppo interessate chiacchiere». BONALUMI, La giovane Adula
(1912-1920), Saggio introduttivo e antologia dei testi più significativi, cit., p. 9. Bonalumi osserva che all’altezza del
1970 gli studi più rilevanti svolti introno all’irredentismo in Svizzera provenivano dalle aree della Svizzera tedesca: BROSI
Isidor, Der Irredentismus und die Schweiz, Brodbeck-Frehner, Basilea, 1935; HUBER Kurt, Der italienische Irredentismus
gegen die Schweiz (1870-1925), Buchdruckerei Fehlmann, Seengen, 1953; HUBER Kurt, Drohte dem Tessin Gefahr? Der
italienische Imperialismus gegen die Scheiz (1912-1943), Keller Verlag, Aarau, 1954. Sempre Bonalumi nota che «gli
autori ticinesi, senza eccezione, fino ad oggi almeno, non hanno riserbato all’Adula che delle considerazioni anodine o
paesanamente polemiche» a esempi cita i testi di: BERTONI Brenno, La questione aduliana nel quadro del nazionalismo
moderno, Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona-Lugano, 1932; e la pubblicazione di chiara impostazione irredentista di
COLOMBI Emilio, Mezzo secolo di giornalismo, a c. dell’«Adula», Bellinzona, 1931.
115
teorizza l’emergere di nuove forme culturali in seno al multiculturalismo, definendo queste come
zone inter-medie (in between), ovvero spazi capaci di sovvertire i dispositivi identitari tradizionali:
Teoricamente innovativo, e politicamente essenziale, è il bisogno di pensare al di là delle
tradizionali narrazioni relative a soggettività originarie e aurorali, focalizzandosi invece
su quei momenti o processi che si producono negli interstizi, nell’articolarsi delle
differenze culturali. Questi spazi “inter-medi” costituiscono il terreno per l’elaborazione
di strategie del sé – come singoli o gruppo – che danno il via a nuovi segni di identità e
luoghi innovativi in cui sviluppare la collaborazione e la contestazione nell’atto stesso in
cui si definisce l’idea di società.303
Bhabha riconosce nella letteratura scritta da autrici e autori legati a zone soggette al colonialismo
europeo una spinta capace di produrre i cosiddetti spazi inter-medi: in tali spazi vengono definiti dei
soggetti che, andando oltre le differenze (di genere, di razza e di classe), si posizionano nella realtà
come forme ibride. È già stato ipotizzato altre volte che l’approccio postcoloniale teorizzato da
Bhabha possa rappresentare uno strumento stimolante per chi desidera analizzare la questione
identitaria di un paese culturalmente misto e linguisticamente diviso come la Svizzera.304
Conclusioni
Torniamo nuovamente indietro di qualche passo e in conclusione riproponiamo la domanda
che ha aperto l’introduzione al lavoro: che cos’è, dunque, Dania? La domanda dal carattere generico
è stata frammentata in tante questioni più specifiche – a quale genere appartiene la composizione;
qual è il metodo atto a ricostruire una versione filologicamente corretta del testo; quali sono i motivi
significativi per un’interpretazione del testo – e ci ha portato a formulare, dunque, una nuova
domanda: come si rapporta Dania con il contesto socio-culturale e letterario coevo alla sua
rappresentazione al Teatro Sociale di Bellinzona? Sul palco del Sociale, nel corso delle quattro sere
d’estate del 1930, si è delineata una figura – la protagonista omonima della commedia – che con il
suo desiderio di libertà determina le azioni di tutti gli altri caratteri. Che il commerciante di schiave
Mustafà, definito dal desiderio venale di vendere Dania al miglior offerente e ridicolizzato nel corso
di tre atti, possa essere letto come una rappresentazione simbolica di quel “nordico invasore” che gli
303 BHABHA Homi, I luoghi della cultura, trad. di Antonio Perri, Meltemi Editore, Roma, 2001, p. 12.
304 Ci riferiamo al volume AA.VV., «Chi sono io? Chi altro c’è lì?», Prospettive letterarie dalla e sulla Svizzera italiana,
a c. di Tatiana Crivelli e Laura Lazzari, Franco Cesati Editore, Firenze, 2015, nato in seguito agli incontri avvenuti
nell’ambito del convegno annuale dell’AAIS (American Association for Italian Studies), tenuto all’Università di Zurigo
nel mese di maggio del 2014: «L’idea di fondo, che ha guidato anche la selezione dei contributi e l’articolazione strutturale
del volume, era, insomma, che a quell’in-between identificato da uno dei padri degli studi postcoloniali, Homi Bhabha,
come la dimensione interstiziale in cui per eccellenza si elaborano e negoziano nuove strategie identitarie individuali e
collettive nella società globalizzata, facesse eco quello stare in bilico tra che è la cifra della narrativa della periferia
italofona elvetica». TATIANA CRIVELLI, LAURA LAZZARI, Scrivere da un “altrove”, in AA.VV., «Chi sono io? Chi altro
c’è lì?», Prospettive letterarie dalla e sulla Svizzera italiana, cit., p. 11.
116
aduliani riconoscevano nei confederati di lingua tedesca, è una possibilità che rifiutiamo, siccome gli
elementi testuali che potrebbero confermarlo sono pochi ed estremamente deboli.305 Resta aperta una
domanda dal carattere più generale relativa alla scrittura di Bonzanigo, a cui si potrebbe rispondere
con un confronto intertestuale, sia con i testi narrativi che con i testi più prettamente giornalistici
dell’autrice bellinzonese: in che modo la scrittura letteraria dell’autrice è condizionata dal discorso
filo-fascista e anti-confederato che caratterizza le pagine dei collaboratori del’«Adula»? Inoltre,
altrettanto interessante potrebbe essere un confronto intertestuale tra gli scritti di Bonzanigo e quelli
di autrici e autori a lei coevi: in tal modo sarebbe possibile tracciare le line provvisorie di una mappa
di richiami e influenze che definisce il panorama della letteratura della Svizzera italiana negli anni
del fascismo. Infine, siccome la Svizzera italiana si profila, è stato detto, come spazio inter-medio,
definito dalla multiculturalità, è necessario abbattere le frontiere politiche, tanto care all’analisi
letteraria di profilo nazional-patriottico, per aprire le porte a nuove prospettive di ricerca, per far
comunicare voci che magari, altrimenti, non avrebbero l’occasione di incontrarsi.
Adoperare una prospettiva capace di rimettere in discussione il concetto di ‘cultura’ e di
‘identità’ porta con sé la possibilità di rivalutare l’influenza che la frontiera nazionale esercita sulla
letteratura. Un atteggiamento critico di questo genere è fondamentale per le ricercatrici e i ricercatori
che oggi vogliano immergersi nello studio della letteratura: l’epoca contemporanea, che dichiara a
gran voce di aver infranto i pilastri su cui si ergeva l’età moderna, riconosce una nuova tipologia di
soggetto – un soggetto deviante,306 che sfugge ai tentativi di essere fissato nelle categorie identitarie
305 Nel lavoro si è tralasciato di affrontare un aspetto peculiare di Dania, ossia l’ambientazione orientale. Se si volesse
riconoscere nella storia della schiava oppressa da un rozzo e barbaro padrone una trasposizione letteraria della condizione
del canton Ticino negli anni del fascismo italiano, sarebbe necessario approfondire il significato della scelta di Bonzanigo
di inscenare la vicenda in un’indefinita terra turca: infatti ci troveremmo di fronte al fenomeno per cui un’autrice definisce
i contorni di un altro (la realtà turca), con lo scopo di utilizzarlo come superfice di proiezione per rappresentare un
discorso su di sé ( un discorso sulla propria realtà locale). Tuttavia riteniamo più plausibile interpretare la scelta di
ambientare Dania in oriente come determinata da criteri estetici: l’oriente come luogo esotico, misterioso e meraviglioso,
vicino alla natura, e quindi legato alla dimensione delle passioni (un luogo estremamente suggestivo per ambientare il
libretto di un’opera lirica), ma anche incivile inteso anche nel senso negativo di rozzo e barbaro. Ci troviamo di fronte a
quello che Said ha definito con il termine di «orientalismo», ossia: «il procedimento con cui l’Occidente ha costruito
l’immagine dell’ “Oriente” non tenendo conto della realtà effettiva di ciò che viene analizzato e tendendo invece a
rafforzare i pregiudizi e a fissare le caratteristiche di un “altro” indifferenziato in categorie immutabili. L’Oriente non
coincide quindi con un territorio fisicamente determinato, ma con un “topos discorsivo” destinato a legittimare la
dominazione coloniale e la presunta superiorità civilizzatrice occidentale nei confronti di un’umanità percepita come
inferiore e arcaica». Cfr. LANDOLFI Angela, Identità ibride in contesti interculturali post-migratori e postcoloniali in
Italia e in Francia: percorsi transdisciplinari, Dottorato di ricerca in relazioni e processi interculturali presso l’Università
degli Studi del Molise, 2014, p. 5, link:
http://road,unimol,it/bitstream/2192/258/1/Tesi_A_Landolfi,pdf (Ultima visita: 17 dicembre 2016)
306 Il soggetto deviante è teorizzato da Sabine Hark nell’ambito dei gender studies: l’autrice tedesca oppone al rischio
insito nella politica identitaria – rischio che comporta la fossilizzazione delle categorie identitarie di genere e orientamento
sessuale, secondo processi normativi di inclusione ed esclusione – un punto di vista critico sull’«evidenza del potere», il
quale ha la capacità di sovvertire il discorso egemonico: «Deviante Subjektivität kann insofern verstanden werden als der
Prozess, in dem ein Identitätsraum diskursiv […] geschaffen und von den unter dieser Identität Versammelten strategisch
aufgegriffen wird. […] Deviante Subjektivität ist damit Evidenz der Macht, die hegemonialen Diskurse gegen den Strich
117
di genere, di razza o di classe, che non è più stabile nel tempo e nello spazio e che è capace di muoversi
in un mondo che è altrettanto deviante. L’identità è una finzione, dichiara Bauman:
L’idea di «identità», e di «identità nazionale» in particolare, non è un parto «naturale»
dell’esperienza umana, non emerge da questa esperienza come un lapalissiano «fatto
concreto». È un’idea introdotta a forza nella Lebenswelt degli uomini e delle donne
moderni, e arrivata come una finzione. Si è congelata in un «fatto», un «elemento dato»,
proprio perché era stata una finzione e perché si è allargato un divario, dolorosamente
percepito, tra ciò che quell’idea implicava, insinuava, suggeriva, e lo status quo ante (lo
stato delle cose precedente, non contaminato dall’intervento umano). L’idea di «identità»
è nata dalla crisi dell’appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il
divario tra «ciò che dovrebbe essere» e «ciò che è», ed elevare la realtà ai parametri fissati
dall’idea, per rifare la realtà a somiglianza dell’idea.307
Nell’estratto sopra citato, Bauman definisce una presa di coscienza che coinvolge con forza
crescente il panorama delle discipline accademiche tradizionali e dei nuovi studi interdisciplinari, che
formano il contesto in cui le ricercatrici e i ricercatori si devono muovere nel presente. In un nuovo
viaggio di scoperta, che porta a valicare i limiti soffocanti imposti dalla prospettiva storico-nazionale
della critica letteraria occidentale tradizionale (che in una nazione vuol vedere un’unica cultura e una
determinata identità), volgere lo sguardo alla realtà multiculturale della Svizzera italiana rappresenta,
a nostro avviso, una stazione di grande interesse.
zu bürsten und anzueignen». La soggettività deviante, dunque, rappresenta una posizione decostruttivista nei confronti
dei discorsi identitari (dettati da forme di potere che vanno a incidere sulla società e sull’individuo), con lo scopo di
mettere in discussione la pretesa essenzialista e naturalizzante delle categorie di genere. Il concetto è stato adoperato
nell’ambito dei queer studies, tuttavia, a nostro avviso, si palesa altresì come utile strumento per l’analisi critica di forme
identitarie non legate alla sessualità, come per l’appunto l’identità etnica. HARK Sabine, Deviante Subjekte, Die paradoxe
Politik der Identität, 2., völlig überarbeitete Auflage, Springer Fachmedien, Wiesbaden, 1999, pp. 27-8.
307 BAUMAN Zygmunt, intervista sull’identità, (Ebook) a c. di Benedetto Vecchi, trad. Di Fabio Galimberti, Laterza,
Roma, 2003, Prima edizione digitale settembre 2012, pos. 272.
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3. ARTICOLI DI QUOTIDIANI E PERIODICI DI ELENA BONZANIGO
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BONZANIGO Elena, Villadorna, in «Adula», Bellinzona, Nr. 14, 7 ottobre 1928.
4. RECENSIONI SU DANIA, PUBBLICATI TRA IL 28 MAGGIO E IL 7 GIUGNO SU QUOTIDIANI E PERIODICI
DEL CANTON TICINO
«Libera Stampa»:
Al Teatro sociale, in «Libera Stampa», Nr. 122, Anno XVIII, 28 maggio 1930.
Dania, in «Libera Stampa», Nr. 123, Anno XVIII, 29-30 maggio 1930.
La prima di «Dania», in «Libera Stampa», Nr. 125, Anno XVIII, 1-2 giugno 1930.
«Il Dovere»:
Teatro sociale, in «Il Dovere», 28 maggio 1930, p. 4.
“Dania” al Sociale, in «Il Dovere», 30 maggio 1930, p. 4.
Teatro Sociale, in «Il Dovere», 31 maggio 1930, p. 4.
La replica di «Dania» al Sociale, in «Il Dovere», 2 giugno 1930, p. 4.
Teatro Sociale, in «Il Dovere», 3 giugno 1930, p. 4.
120
in margine alla recita della «Dania» al Sociale, in «Il Dovere», 4 giugno 1930, p. 3.
«Il Corriere del Ticino»:
Venne data sta sera, in «Il Corriere del Ticino», Seconda edizione, Nr. 125, Anno XL, 2 giugno 1930.
«Giornale del Popolo»:
La prima esecuzione di «Dania», in «Giornale del Popolo, 31 maggio 1930.
Il teatro si chiude, in «Giornale del Popolo», 4 giugno 1930.
«Gazzetta ticinese»:
Dania, in «Gazzetta ticinese», Nr. 124, Anno 130, 31 maggio 1930.
«Dania», in «Gazzetta ticinese», Nr. 127, Anno 130, 4 giugno 1930.
Dania, in «Gazzetta ticinese», Nr. 130, Anno 130, 7 giugno 1930.
«Popolo e Libertà»:
«Dania», in «Popolo e Libertà», Bellinzon, 27 maggio 1930, p. 3.
«Dania», in «Popolo e Libertà», 28 maggio 1930, p. 3.
La prima esecuzione di “Dania” al Sociale, in «Popolo e Libertà», 30 maggio 1930, p. 3.
«Dania», in «Popolo e Libertà», 2 giugno 1930, p. 3.
L’ultima rappresentazione di «Dania», in «Popolo e Libertà», p. 3.
5. UNITÀ ARCHIVISTICHE: ARCHIVIO DI STATO DEL CANTON TICINO
Collezione Tosi, Scatola UNA 154
Collezione Tosi, Scatola UNA 155
Collezione Tosi, Scatola UNA 156
Collezione Tosi, Scatola UNA 868
Fondo Diversi, Scatola 774, n. int. 2976
121
6. LIBRI, SAGGI, ARTICOLI
AA.VV., «Chi sono io? Chi altro c’è lì?», Prospettive letterarie dalla e sulla Svizzera italiana, a c.
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AA.VV., Almanacco della Svizzera italiana, a c. di «Adula», Varesina Grafica, Varese, 1930.
AA.VV., La questione ticinese, Con ceno alla situazione del Canton Grigioni, a c. di Associazione
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Epic Romance, Leiden, Brill, 2003.
BANTI Alberto Mario, Sublime madre nostra, La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo,
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125
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio le professoresse e i professori delle facoltà di Italianistica e Gender Studies che ho avuto il
piacere di ascoltare durante questi anni di studi universitari: ogni Vorlesung e ogni seminario ha
contribuito ad arricchire il mio bagaglio culturale, ma soprattutto – e questo è ciò che conta
maggiormente – a stimolare la mia curiosità verso la lingua, la storia, l’arte, la cultura e la società;
verso l’essere umano, insomma.
In particolare desidero ringraziare la Professoressa Tatiana Crivelli, che mi ha seguita con attenzione
nel viaggio alla ricerca di Dania e che nei momenti di grande disorientamento ha saputo indirizzarmi
nella buona direzione.
Ringrazio poi Anna Ciocca, che per prima mi ha parlato di Dania; il dottor Matteo Giuggioli del
Musikwissenschaftliches Seminar dell’Università di Zurigo, che con pazienza ed entusiasmo ha
svelato alcuni misteri relativi alla partitura musicale; e la Professoressa Bettina Dennerlein
dell’Asien-Orient-Institut che mi ha consigliata per quanto riguarda la storia di Layla e Majnun.
Inoltre desidero ringraziare Edo Bayländer (direttore dell’associazione Amici del Teatro Sociale di
Bellinzona), Gianfranco Helbling (attuale direttore del Teatro Sociale di Bellinzona), Renato Reichlin
(fondatore dell’associazione degli Amici del Teatro Sociale), Pierre Lepori (membro della redazione
italiana del Dizionario Teatrale Svizzero) e Elena Bertossa (che ha scritto una tesi di laurea sul
rapporto tra il Teatro alla Scala e il Teatro Sociale di Bellinzona) per avermi aiutata a capire il ruolo
di Luigi Tosi al Teatro Sociale. Chiara Boilat (responsabile per lo sviluppo progetti di COOPAR),
Andrea Porrini (collaboratore scientifico e responsabile degli archivi presso l’AARDT) e in
particolare Maria Fazioli Foletti (che ha curato la pagina su Elena Bonzanigo per l’AARDT e che si
è dimostrata fortemente disponibile) mi hanno aiutata, invece, a posizionare la figura di Elena
Bonzanigo nel quadro culturale e letterario della Svizzera italiana. Inoltre desidero ringraziare gli
archivisti e i bibliotecari dell’Archivio di Stato di Bellinzona (in particolare Daniele Crivelli, che si
occupa della gestione informatica) e della Biblioteca cantonale di Locarno, nonché della
Zentralbibliothek di Zurigo, del Romanisches Seminar e del Musikwissenschaftliches Seminar.
Ringrazio mia madre e mio padre, che mi hanno appoggiata finanziariamente durante lo studio;
inoltre ringrazio Eleonora, mia sorella, che nel momento del bisogno si è dimostrata presente. Il mio
riconoscimento va anche ad Armin Brunner, direttore d’orchestra felicemente pensionato, che,
nonostante abbia superato gli ottanta anni, si è lasciato prendere dall’entusiasmo alla vista della
partitura di Tosi.
Infine desidero ringraziare le persone senza cui i sette anni trascorsi a Zurigo non sarebbero stati
altrettanto avvincenti: Michela Rossi, Chiara Baffelli, Nadia Montagner, Juliane Roncoroni, Valeria
Iaconis, Michela Bertossa, Roberto Borrello, Alice Idone e molte altre e altri che sono passati dai
corridoi del Romanisches Seminar e con cui ho trascorso il tempo parlando, ridendo e scherzando (e
talvolta studiando). Inoltre ringrazio Isabelle Gallino, Achille Patà, Davide Arrigo, Stefano Pongelli,
(in particolare per la scorta di caffè), Melody Fornera, Tessa Tognetti (insieme a tutta la sua
meravigliosa famiglia) che mi hanno sostenuta (ognuno a modo suo, ma tutti con pazienza e
umorismo) mentre scrivevo la tesi. E ancora Andreas Steger, Valentina Tamburello, Niccolò Moretti,
Demetra Giovanettina, e la lista continuerebbe, se non fossi giunta al termine della pagina. Concludo
nominando Sara Groisman, che ringrazio con tutto il cuore per aver letto con precisione tutte le pagine
di questo lavoro e che da anni rappresenta una grande amica e un’ottima interlocutrice. A loro dedico
la mia tesi.
126
FIGURE
Figura 1. Fronte della copertina in cartone del testimone DB (dattiloscritto). Si osserva l’assenza
del titolo, del nome dell’autrice e di ogni indicazione relativa alla pièce. Il collage decorativo
rappresenta un’oasi (l’autore della decorazione è sconosciuto).
Da: testimone DB, conservato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, Collezione Tosi, scatola UNA
154.
127
Figura 2. Frontespizio in carta del testimone M (manoscritto). Si osservano le indicazioni Elena
Bonzanigo / DANIA / commedia musicale / in 2 atti e 3 quadri / Musica / del / M. Luigi Tosi.
Da: testimone M, conservato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, Collezione Tosi, scatola UNA
154.
128
Figura 3. Fronte della copertina del testimone PB (partitura per l’orchestra) in cartone. Si osserva
un motivo floreale che decora il titolo e il nome del compositore: L. Tosi / DANIA. Inoltre è disegnata
la luna e la stella della bandiera turca nell’angolo in alto a destra del cartone.
Da: testimone DB, conservato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, Collezione Tosi, scatola UNA
156.
129
Figura 4. Copertina frontale dell’involucro che contiene alcuni fogli sparsi di singole scene della
pièce (scritte dalla mano di Bonzanigo) insieme ad appunti di Tosi. Si osservino le indicazioni: Elena
Bonzanigo / DANIA / Commedia musicale / in 4 Atti e 3 Quadri / Musica / del / M. Luigi Tosi, che
testimoniano una fase del lavoro in cui la commedia era divisa in quattro atti.
Da: fascicolo, conservato all’Archivio di Stato di Bellinzona, Collezione Tosi, scatola UNA 156.
130
APPENDICI
Appendice 1
Tavola dei testimoni DB, DA e M, messi a confronto in una tabella sinottica.
Appendice 2
Tavola delle scene di Dania, messe a confronto con le corrispondenti scene di MOLIÈRE, L’amour
peintre in una tabella sinottica.
DB
D
A
M
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1.a
Sch
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)
Chi
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la d
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muro
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va
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nciu
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?
2a
Sch
iava
Non l
’ho m
ai
vis
ta
2. sc
hia
va:
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’ho m
ai
vis
ta.
3°
Schia
va
–
Mi
sem
bra
la
G
reca
che
vende
fiori
pre
sso
la
Gra
nde
Mosc
hea
3. sc
hia
va:
mi se
mbra
la
gre
ca c
he v
ende f
iori
pre
sso l
a gra
nd
e
Mosc
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Dan
ia –
(vi
vam
ente
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Gre
ca?
Dan
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men
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Una
gre
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zai
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– (
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icin
an
dosi
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Poss
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der
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na
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zia
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Zaid
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pure
Dan
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dì
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na a
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. M
i
per
met
tete
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al
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Zaid
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e s
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. M
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tete
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al
vost
ro p
ozzo?
Dan
ia –
Si davver
o.
Dan
ia:
si d
avver
o.
1°
Schia
va
–
Cer
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ente
. D
am
mi
la t
ua
anfo
ra.
1. sc
hia
va:
cert
am
ente
. D
amm
i la
tua
anfo
ra.
Zaid
a –
Oh,
vi ri
ngra
zio
(es
eguis
ce)
(men
tre
la sc
hia
va att
inge,
D
ania
si
avv
icin
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muri
cciu
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)
Zaid
a:
oh v
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ngra
zio
!
Men
tre
la s
chia
va a
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;> D
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si
avv
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a a
l
muri
ccio
lo.
Dan
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(a Z
aid
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Il t
uo a
ccento
è s
tranam
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fam
igli
are.
Sei
di
ques
to p
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e?
Dan
ia (
a Z
aid
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Il tu
o a
ccento
è s
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ente
fam
ilia
re. S
ei d
i qu
esto
pae
se?
Zaid
a –
No, so
n n
ativ
a d’u
n v
illa
gg
io p
ress
o M
icene.
Zaid
a:
No, so
n n
ativ
a d
i u
n v
illa
gg
io p
ress
o M
icene.
Dan
ia –
(con
gra
zia)
All
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se
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ca
com
e m
e.
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bbra
ccia
) D
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la t
ua
stori
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l m
io n
om
e è
Zaid
a. L
a m
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tori
a è
tris
tezza.
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a:
il m
io n
om
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a m
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tori
a è
.. t
rist
ezza.
.
Dan
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Rac
conta
!......
[vu
oto
]
Rac
conta
Zaid
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Nel
l’E
ubea
Pre
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l m
are
un v
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gg
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iccolo
e b
ianco
Là
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evo,
nel ra
gg
io
Dolc
e dell
a fa
mig
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La
mia
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..
Ma
un g
iorn
od
i te
rrore
Com
e lu
pi
aff
amat
i
Cala
rono i
bri
ganti
,
i T
urc
hi!
Il
mio
pae
sell
o
fu u
n o
rrid
o m
acell
o
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rovin
e fu
manti
……
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i vec
chi,
i b
imb
i…
ah!
La
mia
mam
ma!
(si
copre
gli
occh
i)
[vu
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Nel
l’E
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Pre
sso a
l m
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gg
io
Rid
ea p
iccolo
e b
ianco.
Là,
viv
evo,
nel ra
gg
io
Dolc
e dell
a fa
mig
lia,
la m
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nfa
nzia
bea
ta.
Ma
un g
iorn
o d
i te
rrore
,
com
e lu
pi
aff
am
ati,
cala
rono i
bri
ganti
,
i T
urc
hi!
.. i
l m
io p
aese
llo
fu u
n o
rrid
o m
acell
o.
Tra
rovin
e fu
manti
..
Ucc
isi
i vecc
hi, i
bim
bi.
.
Ah l
a m
ia m
amm
a!
..
(si
copre
gli
occh
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Le
Schia
ve
–
(sott
ovo
ce)
Orr
ore
!
Le
schia
ve
(sott
ovo
ce)
Che
orr
ore
!
Zaid
a
Noi
fanciu
lle,
vendu
te
Sul m
erca
to d
i S
tam
bou
l
Com
e pec
ore
, all
’ast
a!
Da
all
ora
sono s
ch
iava.
Zaid
a:
noi
fanciu
lle,
vendute
sul m
erca
to a
Ist
anbu
l,
com
e pecore
all
’ast
a!
Da
all
ora
sono s
chia
va.
Dan
ia
Oh c
om
e la
tua
stori
a
All
a m
ia s
’ass
om
igli
a!
Dan
ia:
oh c
om
e la
tua
stori
a
all
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ia s
’ass
om
igli
a!
Io p
ur
cres
cevo l
ieta
,
idola
trat
a, i
nconsc
ia,
del des
tino c
rudele
.
Viv
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la m
ia f
amig
lia
Pre
sso A
tene.
Il
mio
bab
bo
Era
un r
icco m
erca
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Voll
e condurm
i se
co
In u
n s
uo v
illa
gg
io a
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Ma
i p
irat
i dell
’Isl
am
Ass
ali
rono l
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.
<C
>he
terr
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! C
he
sangue!.
...
e non l
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e la
mam
ma
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ende
in G
recia
, nell
a nost
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idola
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Voll
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iù,
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o b
abb
o!
E l
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fors
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ci
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nde,
in G
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, nell
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nost
ra d
olc
e ca
sa!
Zaid
a –
Oh!
La
Mam
ma,
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patr
ia,
la f
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igli
a
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olt
e se
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n s
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tropp
o b
ell
i
Per
aver
e m
ai p
otu
to e
sser
e ver
i!
Zaid
a:
oh!
Ma
mam
ma,
la
p
atri
a,
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igli
a,
a volt
e
sem
bra
n so
gni
tropp
o bell
i per
aver
m
ai
potu
to
esse
r ver
i!
D
uet
to:
Dan
ia –
Bell
a G
recia
, m
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atri
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na,
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vola
il p
ensi
er!
“bell
a G
recia
…”
Zaid
a –
Bell
a G
recia
dis
tesa
nel
>?<
sole
com
e P
ig>
u<
ra s
irena!
Dan
ia –
Tutt
’avvolt
a nel m
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mar
e,
od
oro
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i ti
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le,
org
og
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zia
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olc
e patr
ia e
llena
il n
ost
ro c
uore
riv
iver
ti v
uole
.
Zaid
a –
Il n
ost
ro c
uore
riv
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ti v
uole
,
o d
olc
e patr
ia e
llena!
Insi
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e
Il p
iù d
olc
e ri
cord
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E l
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a ci gu
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schia
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alc
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isco
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oro
.
2°
Schia
va
–
Com
’è b
ell
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!
2. sc
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va:
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1°
Schia
va
–
ma
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. In
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gio
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rap
idam
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.
1 s
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va:
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idam
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.
Zaid
a –
Si, è
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Dev
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ma
che
scen
da
la s
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Add
io.
Zaid
a:
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i. D
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ientr
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rett
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ma
che
scen
da
la s
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Add
io.
Dan
ia –
Add
io. m
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Dan
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io!
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I S
cena
II -
1°
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va
–
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co!
1. sc
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va:
com
e si
sta
bene
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fres
co!
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ia –
Rip
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anzone?
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ve
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Si, c
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ate
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ta)
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. L
a
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si
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viole
tta.
Si
sente
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rno la
pre
gh
iera
dell
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tonata
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Must
afà
e r
ipre
sa d
al
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canti
lena.
– A
nno
tta
Sce
na
vuota
. L
a
luce
si
fa
viole
tta.
Si
sente
dall
’inte
rno la
pre
gh
iera
dell
a se
ra in
tonata
da
Must
afà
e r
ipre
sa d
al
coro
in
canti
lena.
Annott
a
rapid
am
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. B
reve
sile
nzi
o.
Entr
a A
lì c
on a
lcun
i
musi
ci:
AT
TO
I
Att
o 1°
Q
uadr
o 1°
è
una b
ella
nott
e di
ple
nil
unio
, m
a d
i quando i
n
quando n
uvo
le v
agabond
e ve
lano l
a l
una.
L
a
scen
a
rappre
senta
il
co
rtil
e di
un
pa
lazz
o
ori
enta
le. A
des
tra u
n b
alc
one.
In m
ezzo
al co
rtil
e,
un p
ozz
o c
irco
ndato
da u
n’a
iuola
di
fiori
. È
una
bel
la n
ott
e di
ple
nil
un
io,
ma d
i quando i
n q
uando
nubi
vagabonde
vel
ano l
a l
una.
Sce
na
III
S
cena
I:
R
onda:
(En
tra A
li c
on a
lcun
i m
usi
ci)
Ali
–
Pia
n p
ianin
o,
cauta
emnte
,
senza
far
rum
ore
qui
venit
e, b
rava
gente
,
qui
atte
ndet
e il
mio
sig
nor.
(acce
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ol
dit
o s
ull
a b
occ
a ss
t! S
st!
Alì
:
pia
n p
ianin
o, ca
uta
mente
, se
nza
far
rum
ore
alc
uno,
qui
venit
e bra
va
gente
, bra
va
gente
qu
i att
end
ete
il
mio
sig
nor.
Entr
a A
lì c
on a
lcun
i m
usi
ci
Alì
.
Pia
n p
ianin
o,
cauta
mente
,
senza
far
rum
or,
qui
venit
e, b
rava
gente
,
qui
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ndet
e il
mio
sig
nor.
Acc
ennan
do c
ol
dit
o s
ull
a b
occa
: S
ct!
Sct!
Coro
–
Pia
n p
ianin
o,
cauta
mente
,
senza
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rum
ore
tutt
i qu
i paz
iente
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nd
iam
o i
l tu
o S
ignor.
Sst
! S
st!
Coro
:
pia
n p
ianin
o, ca
uta
mente
, se
nza
far
rum
ore
alc
uno
qui
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nd
iam
il
tuo s
ignor,
qu
i as
pett
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o,
qui
aspet
tiam
o i
l tu
o s
ignor.
Coro
.
Pia
n p
ianin
o,
cauta
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,
senza
far
rum
or,
tutt
i qu
i paz
iente
mente
aspet
tiam
o i
l tu
o s
ignor.
Sct
!
Ali
–
Tu r
imani
qu
i ap
pia
ttat
o,
tu n
ascond
iti
lagg
iù,
Alì
:
tu r
imani
là a
pp
iatt
ato
, tu
nas
cond
iti
lagg
iù;
tu q
ui pre
sso a
l colo
nnat
o, d
ietr
o a
lla
fonta
na,
tu.
Alì
.
Tu r
imani
qu
i ap
pia
ttat
o;
Tu n
ascond
iti
lagg
iù;
voi qu
i d
ietr
o a
l co
lonnato
,
die
tro a
lla
fonta
na,
tu.
Sst
! S
st!
Guai
se
alc
uno c
i sc
opri
sse,
sar
ian b
ott
e in
quan
tità
.
Oh s
e alm
en p
rest
o v
enis
se!
Chi sa
mai,
chi
sa m
ai
quand
o v
errà
.
noi qu
i d
ietr
o i
l colo
nnato
;
die
tro a
lla
fonta
na
tu.
Sct
! S
ct!
Coro
–
Guai
se
alc
uno c
i sc
opri
sse!
2. S
aria
n b
uss
e in
quanti
tà
3. O
h. S
e alm
eno p
rest
o v
enis
se!
4. C
his
sà m
ai quand
o v
errà
!
Sst
! S
st!
(si
na
scondono)
C
oro
.
1: G
uai
se a
lcu
no c
i sc
opri
sse!
2: S
aria
n b
uss
e in
quanti
tà!
1: O
h!
Se
alm
en p
rest
o v
enis
se!
2: C
his
sà m
ai qu
and
o s
arà!
Sct
! S
ct!
(Si
nasc
ondono)
Ali
–
Sil
enzio
! N
on
vi
movet
e p
<ri
ma>
che
io
vi
chia
<m
>i.
(so
lo)
Che
am
ara
par
od
ia è
la
sort
e dell
o
schia
vo!
Non m
ai
viv
ere
per
se
ma e
sser
e ag
gio
gat
i
all
e p
assi
oni ed
ai cap
ricci d
el p
adro
ne
Così
ades
so,
per
ché
il m
io s
ignor
ha
il g
hir
ibiz
zo d
i in
nam
ora
rsi,
dev
o p
assa
re i
o l
a nott
e e
il g
iorn
o s
enza
rip
oso
.
A
lì.
Sil
enzio
! N
on v
i m
uovet
e che’
io n
on v
i chia
mi.
Solo
. C
he
amar
a e s
cip
ita
par
od
ia è
la
sort
e dell
o
schia
vo!
Non
mai
viv
ere
per
sé
, m
a es
sere
agg
iogat
i all
e pas
sioni
ed a
i guai
del
pad
rone,
e
dover
sce
rvell
arsi
per
tutt
i i
capri
cci
che
fru
llano
per
il
cap
o!
Così
, ad
esso
, per
ché
il m
io >
pad
rone<
<si
gn
ore
> ha
il g
hir
ibiz
zo d
i in
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ora
rsi, devo
pas
sare
io n
ott
e e
gio
rno s
enza
rip
oso
!
Sce
na
*2
*
=999=
==
==
S
cena
II
(En
tra F
lori
ano)
Flo
riano –
Sei
tu A
li?
E
ntr
a F
lori
ano
Flo
riano.
Sei
tu, A
lì?
Ali
–
E
chi
mai
se
non
io,
pad
tone?A
qu
est
ore
</>
nott
urn
e chi,
all
infu
ori
di
voi
e m
e, g
ira p
er
cort
ili
deg
li a
ltri
invec
e d
i andar
sene
a le
tto?
A
lì.
E c
hi m
ai se
non i
o, pad
rone?
A q
ues
t’ora
nott
urn
a
chi,
all
’infu
ori
di
noi, d
i m
e, g
ira
pei
cort
ili
deg
li
alt
ri i
nvec
e d
i and
arse
ne
a le
tto?
Flo
riano –
nes
suno,
dic
i bene.
Per
ché
nes
suno s
off
re l
e pene
che
mi
torm
enta
no.
Dover
com
bat
tere
l’in
dif
fere
nza
dell
a d
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am
ata
è ben l
ieve c
osa
,
per
la
sp
eranza
di
pie
gar
la
ai
nost
ri
voti
, o
il
refr
iger
io,
alm
eno,
di
lam
enta
rci
e d
i so
spir
are.
Ma
non p
ote
r tr
ovar
e m
ai occ
asio
ne
di p
arla
rle,
no p
ote
r
F
lori
ano.
Nes
suno,
dic
i b
ene.
Per
ché
nes
suno s
off
re l
e p
ene
che
mi
torm
enta
no.
Dover
com
bat
tere
l’in
dif
fere
nza
dell
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amata
è l
ieve
cosa
, per
la s
per
anza
di p
iegar
la a
i nost
ri v
oti
, o i
l re
frig
erio
,
alm
eno, d
i la
menta
rsi e
di
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irar
e. M
a non p
ote
r
trovar
e m
ai
occa
sione
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par
larl
e n
on p
ote
r sa
per
e
saper
e se
l’a
more
nat
o d
ai
suoi
beg
li o
cchi
le s
ia
caro
o d
isca
ro è
per
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peg
gio
re d
ell
e so
ffer
enze!
Ed ec
co,
appu
nto
, che
la fe
roce
sorv
egli
anza
di
quell
’orc
o d
i M
ust
afà
mi
vi cond
anna!
se l
’am
ore
nat
o d
ai
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beg
li o
cchi
le s
ia c
aro o
dis
car
o è
per
me
la p
egg
ior
dell
e so
ffer
enze;
ed
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appu
nto
, che
la
fero
ce
sorv
egli
anza
di
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’orc
o d
i M
ust
afà
mi
vi cond
anna!
Alì
–
Ma
in
am
ore
, p
adro
ne,
m
io,
ci
sono
div
ersi
linguag
gi:
e m
i se
mbra
che
i vost
ri o
cchi
e qu
ell
i
dell
a b
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a D
ania
da o
olt
re d
ue
mes
i si d
icano m
olt
e
cose
!
A
lì.
>P
adro
ne
mio
<,
Ma
in a
more
, pad
rone
mio
, ci
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iver
si l
inguag
gi;
e m
i se
mbra
che
i vost
ri
occhi e
qu
ell
i dell
a b
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a D
ania
da o
ltre
due m
esi si
dic
ano m
olt
e cose
!
Flo
riano –
giu
stis
sim
o,
Ali
. P
erò c
om
e sa
per
e se
cia
scu
no d
i
noi
abb
ia i
nte
rpre
tato
bene
tale
lin
guag
gio
? S
e la
mia
d
ilett
a in
tend
e tu
tto
ciò
che
i m
iei
occ
hi
vog
liono d
irle
? S
e i
suoi
occ
hi
dic
ono t
utt
o c
iò c
he
io c
red
o i
nte
nder
e?
F
lori
ano.
Giu
stis
sim
o, A
lì. P
erò, com
e sa
per
e se
cia
scu
no d
i
noi
abb
ia i
nte
rpre
tato
bene
tale
lin
guag
gio
? S
e la
mia
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ta
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nde
tutt
o
ciò
che
i m
iei
occhi
vog
liono d
irle
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e i
suoi
occ
hi
davver
o d
icono
tutt
o c
iò c
h’i
o c
red
o i
nte
nder
e?
Ali
–
E a
llora
, pad
rone
mio
, la
cosa
è s
em
pli
ce, b
isog
ner
à
trovar
e il
mez
zo d
impar
lars
i alt
rim
enti
.
A
lì.
E
all
ora
, pad
rone
mio
, la
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è
sem
pli
ce:
bis
og
ner
à tr
ovar
e il
mod
o d
i par
larc
i alt
rim
enti
.
Flo
riano –
Ah!
Pre
sto d
etto
….. h
ai
cond
ott
o i
musi
ci?
F
lori
ano.
Ah!
Pre
sto d
etto
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ai cond
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o i
musi
ci?
Ali
–
Si, p
adro
ne.
Ma…
(a
ccen
nando a
lla f
ines
tra d
el
balc
one)
nas
cond
iam
oci
ed a
ttend
iam
o.
(si
riti
rano
nel
l’om
bra
)
I m
usi
ci s
i nasc
ondono e
dopo il bre
ve s
oli
loqu
io d
i
Alì
, en
tra
Flo
riano.
La
casa
e
il
balc
one
sono
illu
min
ati
dall
a
luna
men
tre
il
cort
ile
rim
ane
nel
l’om
bra
. A
lì
e F
lori
ano
parl
ano
sott
ovo
ce.
Dania
appare
al
balc
one:
Alì
.
Sì,
pad
rone.
Ma…
(A
cce
nnando a
lla f
ines
tra d
el
balc
one)
nas
cond
iam
oci
e at
tend
iam
o. (S
i ri
tira
no
nel
l’om
bra
.)
SC
EN
A 3
Sce
na
III
R
om
anza
di D
ania
La
luna
è ve
lata
co
mple
tam
ente
e
i su
oi
raggi
d’o
pa
le
illu
min
an
o
la
facc
iata
d
ella
ca
sa
e il
balc
one,
la
scia
ndo m
ezzo
co
rtil
e nell
’om
bra
. L
a
fines
tra s
i apre
, su
lle
paro
le d
i A
li,
e su
l balc
on
e
appare
una
figura
bia
nco
vest
ita:
Dania
. S
i
appoggia
al
ver
one
e re
sta
un m
om
ento
ass
ort
a e
pen
sier
osa
.
Nott
e lu
nar
e p
iena
d’i
nca
nti
, ver
sa i
l tu
o b
als
am
o
nell
’alm
a m
ia.
Pie
tosa
ter
gin
e g
li a
mar
i p
ianti
, fa
ch’i
o
dim
enti
chi
la
sort
e ri
a.
I d
i’
lonta
ni
di
fanciu
llez
za
fa
che
riso
rgano
nel
mes
to
core
,
quan
do
ancor
liber
a g
odea
l’
ebbre
zza
dell
’ineff
abil
e, t
ener
o a
more
. F
amm
i sc
ord
are
che
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va
or
sono,
che
a ig
noto
har
em m
i si
des
tina.
La l
una è
sve
lata
com
ple
tam
ente
e i
suoi
raggi
d’o
pale
ill
um
inano l
a f
acc
iata
vis
ibil
e dell
a c
asa
,
il balc
on
e, la
scia
ndo m
ezzo
co
rtil
e nel
l’om
bra
.
>U
na<
La f
ines
tra s
i apre
, su
lla p
aro
la d
i A
lì,
e
sul
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one
appare
una
fi
gura
bia
nco
vest
ita:
Dania
. Si
appoggia
al
ver
one
e r
esta
un m
om
ento
acc
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a e
pen
sier
osa
. P
oi,
quasi
a s
é st
essa
, ca
nta
:
Po
i q
uasi
a s
e st
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canta
:
Nott
e lu
nar
e, p
iena
d i
ncanto
Ver
sa i
l tu
o b
als
amo s
ull
’anim
a m
ia
Pie
tosa
ter
gin
e l’
amar
o p
ianto
Fa
ch i
o d
imenti
chi
la s
ort
e ri
a.
I dì
lonta
ni
>dell
a< d
i fa
nciu
llez
za
Fa
che
riso
rgano n
el
mes
to c
uore
,
quan
do a
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liber
a (c
orr
.) g
od
ea l
’ebre
zza
dell
’innefa
bil
e m
ater
no a
more
.
Fam
mi sc
ord
are
che
schia
va
sono,
che
a ig
noto
har
em
mi si
des
tina.
>F
<<
D>
(corr
.)am
mi
la p
ace!
L a
lma
abband
ona
nel
tuo b
el
sog
no,
nott
e d
ivnia
!
(rim
ane
al
vero
n p
enso
sa)
Dam
mi
la p
ace.
L’a
lma
abb
and
ono n
el
tuo s
og
no,
nott
e d
ivin
a!
Fin
ito i
l ca
nto
sta
per
rit
irars
i quando F
lori
ano l
a
rich
iam
a c
on l
a s
ua c
anzo
ne:
Nott
e lu
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e, p
iena
d’i
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,
ver
sa i
l tu
o b
als
amo n
ell
’alm
a m
ia,
pie
tosa
ter
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e l’
amar
o p
ianto
,
fa c
h’i
o d
imenti
chi
la s
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e ri
a.
I dì
lonta
ni
di
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llez
za
fa c
he
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rgano,
nel m
uto
core
,
quan
do a
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liber
a g
od
ea l
’ebbre
zza
dell
’ineff
abil
e m
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no a
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.
Fam
mi sc
ord
are
che
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va
io s
ono,
che
a in
giu
sto H
arem
mi si
des
tina
Dam
mi
la p
ace!
L’a
lma
abband
ona
Nel
tu
o b
el so
gno,
nott
e d
ivin
a!
Rim
an
e al
ver
one
pen
sosa
.
Ali
– (
sott
ovo
ce
a F
lori
ano)
Non
pote
vam
o
cap
itar
m
egli
o.
(chia
mando
coi
cenni
i m
usi
ci)
Avanti
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ltri
! <
T>
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nto
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onore
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mando c
oi
cenni
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ci)
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ltri
! T
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evi
pro
nti
e
fate
vi
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.
Flo
riano (
ai
musi
ci)
Io c
ante
rò,
voi
mi
accom
pag
ner
ete
e so
ster
rete
nel
rito
rnell
o.
(Esc
ono
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’om
bra
e
si
dis
po
ngono
sott
o i
l balc
one)
F
lori
ano. (A
i m
usi
ci)
Io c
ante
rò,
voi
mi
accom
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ner
ete e
mi
sost
erre
te
nel ri
torn
ell
o. (E
scono d
all
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bra
e s
i dis
pongono
sott
o i
l balc
one.
)
Dan
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(fa
un m
ovim
ento
di so
rpre
sa e
si ri
tira
dal
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one)
D
ania
. (f
a u
n m
ovi
men
to d
i so
rpre
sa e
si
riti
ra d
al
balc
one)
S
eren
ata
di
Flo
riano:
Flo
riano (
canta
)
Torn
a al
ver
one,
o m
ia d
ilet
ta,
e as
colt
a il
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dell
a m
ia p
assi
one,
Com
e il
tu
o c
or,
tu
tto i
l m
io c
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asp
ett
a
Il d
o<
l>ce
di
dell
a li
ber
azio
ne.
Sper
a, m
io c
ore
!
L’a
lba
è g
ià v
icin
a,
Alb
a d
i li
ber
tà,
luce
d’a
more
.
Asc
iuga
il p
ianto
dai
beg
li o
cchi
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i
E i
l cor
riap
ri a
fu
lgid
a sp
eranza.
La
reg
ina
tu s
ei d
ei m
iei p
ensi
eri,
Torn
a ancora
al
ver
one,
m
ia d
ilet
ta,
e as
colt
a il
canto
com
e il
tu
o c
uore
, il
mio
cu
ore
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etta
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do
lce
di’
dell
<a
liber
azio
ne.
>
Sper
a m
io c
ore
, l’
alb
a è
già
vic
ina:
alb
a d
i li
ber
tà,
luce
<e
amore
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In a
lto i c
uori
l’a
lba
è g
ià v
icin
a, a
lba
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a ancora
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ver
one,
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ta,
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assi
one.
Com
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tu
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or,
tu
tto i
l m
io c
ore
asp
ett
a
Il d
olc
e d
ì dell
a li
ber
azio
ne.
Sper
a, m
io c
ore
!
L’a
lba
è g
ià v
icin
a,
alb
a d
i li
ber
tà,
luce
d’a
more
.
asciu
ga
il p
ianto
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egli
occ
hi
ner
i
e il
cor
riap
ri a
fu
lgid
a sp
eranza.
La
reg
ina
se’
tu d
ei
mie
i pensi
eri,
pre
nd
i tu
tto m
e st
esso
in s
udd
itanza.
Sper
a, m
io c
ore
.
>L
a la
ba<
<L
’alb
a> (
corr
.) g
ià v
icin
a,
alb
a d
i li
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tà l
uce
d’a
more
.
La
reg
ina
sei
tu d
ei
mie
i p
ensi
eri, p
red
i tu
tto m
e
stes
so i
n s
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uoto
]
Sper
a m
io c
ore
l’a
lba
è g
ià v
icin
a;
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a d
i li
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tà,
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mo<
r.>
pre
nd
i tu
tto m
e st
esso
in s
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itanza.
Sper
a, m
io c
ore
!
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lba
è g
ià v
icin
a,
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a d
i li
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tà,
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d’a
more
.
Flo
riano –
(avv
icin
andosi
al
vero
ne)
Dan
ia…
….
Flo
riano s
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ssa
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rum
ore
ter
no e
si
riti
ra:
Flo
riano.
(avv
icin
andosi
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vero
ne)
Dania
…
Dan
ia –
Si sp
org
e un p
oco
poi su
bit
am
ente
si ri
trae
e si
pone
in a
sco
lto.
Fa q
uin
di
un c
enno a
flo
riano
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dic
e in
fre
tta:
fugg
ite
in f
rett
a, s
ento
rum
ore
in
casa
! (s
i ri
tira
e c
hiu
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la fin
estr
a, m
entr
e F
lori
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col
suo p
icco
lo s
egu
ito s
i nasc
onde
die
tro l
e quin
te
figura
nti
co
lonne)
Dan
ia:
per
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ità
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sto. A
rriv
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afà
.
Dan
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(Si
sporg
e un
poco
, po
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bit
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ente
si
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ae
e si
pone
in a
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o.
Fa q
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di
un c
enno a
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riano e
gli
d
ice,
in
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ett
a:)
F
ugg
ite!
Pre
sto!
Sen
to ru
more
nell
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sa!
(Si
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iud
e la
fines
tra,
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tre F
lori
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col
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icco
lo s
egu
ito
si n
asc
onde
die
tro l
e quin
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igura
nti
colo
nn
e.)
Sce
na
4
S
cena
4°
(La p
ort
a s
i apre
. E
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MU
ST
AF
A i
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ott
e co
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itarr
a s
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nza
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là?
Chi
va
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… (
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nzi
o)
Ho i
nte
so s
uonar
e e
canta
re d
avanti
all
a m
ia p
ort
a e
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ose
che
non s
i fa
nno s
enza
rag
ione.
Bis
og
na
che
io s
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ia…
. (a
vanza
anco
ra
cauta
men
te)
(L
a port
a si
apre
. E
sce
Must
afà
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ve
stagli
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rett
o
da
nott
e,
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una
scim
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bra
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Must
afà.
Chi
va
là?.
.. C
hi
va
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..
(Sil
enzi
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Ava
nza
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non
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nno se
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rag
ione.
B
isog
na
ch’i
o sa
pp
ia…
(Ava
nza
anco
ra c
auta
men
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Ali
. (r
ien
trando
in
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a
con
Flo
riano
e
parl
andogli
sott
ovo
ce)
Ved
ete
pad
rone,
la
port
a è
aper
ta e
m
i par
e che
qualc
uno
si
mu
ova
la
pre
sso;
Bis
og
na
che
io
sappia
.. …
A
lì.
(Rie
ntr
ando
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Flo
riano
e
parl
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Ved
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rone,
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sappia
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Flo
riano
Cer
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ada
di
far
pia
no.
Io r
esto
qu
i</>
per
og
ni
buon c
onto
. P
iace
sse
al C
ielo
che
foss
e la
mia
bell
a
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ia!
F
lori
ano.
Cer
to,
ma
bad
a d
i fa
r p
iano.
Io r
esto
qu
i, p
er o
gni
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onto
pia
cess
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cie
lo c
he f
oss
e la
mia
bell
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ia!
Must
afà
(dando
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uno s
chia
ffo a
d A
li)
Chi
va
là?
M
ust
afà.
(D
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no s
chia
ffo a
d A
lì.)
Chi
va
là?
Ali
(re
nd
endo l
o s
chia
ffo)
Alì
. (R
enden
do l
o s
chia
ffo.)
Am
ici.
A
mic
i.
Must
afà
(rie
ntr
ando)
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vi,
, olà
acc
orr
ete
!
Pre
sto, per
All
ah!
Ibra
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, O
mar
, T
ale
te,
Sham
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Nas
sim
, A
bdu
llah!
Acc
orr
ete
pre
sto,
olà
!
L’a
lab
arda
ed i
l fu
cil
e,
la p
isto
la e
lo s
tafi
le
su p
ort
ate
mi,
polt
roni!
Con l
e fr
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e, c
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asto
ni,
scim
itar
re e
scia
bo
loni
accorr
ete
pre
sto,
olà
per
All
ah!
(rie
ntr
a)
Must
afà:
serv
i olà
. A
ccorr
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per
A
llah!
Ibra
him
, O
mar
,
Abdu
llah.
Tale
te,
accorr
ete,
ac
corr
ete
Sakar
i,
Tale
te,
venit
e ac
corr
e<te
> (a
gg
iunta
a
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accorr
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per
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ah.
L’a
lab
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l fu
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e, l
a p
isto
la e
lo s
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ile
su
port
atem
i p
olt
roni,
con
le
frust
e,
coi
bas
toni
scim
itar
ra
e sc
iab
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accorr
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pre
sto
, qua
accorr
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per
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llah.
(Flo
riano
e
Alì
sc
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pano).
Esc
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Must
afà.
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roni!
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itar
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scia
bolo
ni
Acc
orr
ete
pre
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olà
,
per
All
ah!
(Rie
ntr
a)
Ali
Sig
nor
mio
, qu
i ci
convie
ne
Las
cia
r pre
sto q
ues
te s
cene,
che
far
most
ra d
i cora
gg
io
non d
areb
be
alc
un v
anta
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io.
Alì
:
sig
nor
mio
qu
i ci
convie
ne
lasc
iar
pre
sto ques
te
scen
e,
ché
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most
ra
di
cora
gg
io
non
dar
ebb
e
pro
pri
o a
lcu
n v
anta
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io.
Alì
.
Sig
nor
mio
, qu
i ci
convie
ne
lasc
iar
pre
sto q
ues
te s
cene,
chè
far
most
ra d
i cora
gg
io
non d
areb
be
alc
un v
anta
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io.
Flo
riano
Ah!
Mi bru
cia
no l
e m
ani!
Flo
riano:
ah m
i bru
cia
no l
e m
ani…
Flo
riano.
Alì
! M
i bru
cia
no l
e m
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Ali
Ed a
me?!
Ma
se q
uei
cani
Or
ci r
om
pono l
a te
sta,
pad
ron b
ell
o,
che
ci
rest
a
per
fin
ire
la p
arti
ta?
Alì
:
ed a
me?
Ed a
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Se
quei
cani
or
ci
rom
pono l
a
test
a m
io p
adro
ne
che
ci
rest
a per
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la p
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ta?
Alì
.
Ed a
me?!
Ma
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uei
cani
or
ci
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pono l
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sta,
pad
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bell
o, che
ci re
sta
per
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la p
arti
ta?
Flo
riano
Hai
rag
ione.
Tro
pp
o b
ell
a
È l
a sp
eme
che
mi
invit
a,
tropp
o f
ulg
ida
è la
ste
lla
chr
m’i
llum
ina
la v
ita
per
ch’i
o p
oss
a ri
nu
ncia
re
Flo
riano:
hai
rag
ione: tr
opp
o b
ell
a è
la s
pem
e
tropp
o b
ell
a è
la s
pem
e che
m’i
nvit
a,
tropp
o f
ulg
ida
è la
ste
lla
che
m’i
llum
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ch’i
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oss
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vole
rla
conqu
ista
re.
Flo
riano.
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o b
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m’i
nvit
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o f
ulg
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è la
ste
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che
m’i
llum
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ch’i
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a ri
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re.
(Esc
ono.)
Sce
na
5°
M
ust
afà:
tutt
i fu
ori
usc
ite
subit
o, se
qual
cun v
edet
e m
uover
e.
Com
e nell
’est
ate
gra
nd
ine,
com
e in
ura
gano
fulm
ini
Su lu
i buss
e fa
te p
iover
e, b
uss
e, b
uss
e, b
uss
e.
Bott
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iù s
enza
pie
tà;
che
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tori
a per
All
ah
Qual
vit
tori
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ai sa
rà.
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e M
ust
afà
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gu
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?)
di
serv
i a m
ezzo
sves
titi
e a
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odo p
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biz
zarr
o, ch
i
con
randel
li,
chi
con
scope,
ch
i co
n
vec
chie
scia
bole
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on g
ross
i fu
cili
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Must
afà.
(>
Li
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onder
e qua
e là
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ando
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ini.
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Com
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com
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e all
ora
fat
e p
iover
e,
bas
tonat
e fa
te s
cender
e!
Bott
e!
Giù
senza
pie
tà!
Per
All
ah!
Qual
vit
tori
a m
ai sa
rà!
(La luna a
poco
a p
oco
si ve
la, e
la s
cena è
tutt
a a
l
buio
.)
Coro
Adag
ino s
orp
rend
iam
oli
,
acciu
ffia
moli
, sc
annia
moli
,
sul te
rren s
carr
aventi
amoli
!
Io d
i qu
a….. e
tu d
i là
…
Tu d
i là
….. e
io d
i qu
a…..
Coro
:
adag
ino
sorp
rend
iam
oli
, sc
annia
moli
, su
l te
rren
scar
aventi
amoli
,
tutt
i in
bri
cole
facc
iam
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, io
di qu
a, t
u d
i là
.
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e, g
iù s
enza
pie
tà.
I se
rvi
cerc
ano
inuti
lmen
te
le
vitt
ime,
si
nasc
ondono p
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orp
render
. N
on u
den
do p
iù n
ull
a
Must
afà
es
ce
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veder
e co
sa
succ
ede.
I
serv
i
scorg
endolo
appia
ttato
lo
sc
am
bia
no
per
un
nem
ico ed
es
eguis
cono su
lu
i l’
ord
ine
rice
vuto
:
bott
e giù
sen
za p
ietà
. M
ust
afà
str
epit
a.
Coro
.
Adag
ino s
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rend
iam
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,
acciu
ffia
moli
, sc
annia
moli
,
sul te
rren s
cara
venti
amoli
,
tutt
i in
bri
cio
le f
accia
moli
!
(Li
fa n
asc
ond
ere.
) Io
di qua…
io d
i qua…
Must
afà
Ric
ord
ate,
per
All
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e g
iù!
Senza
pie
tà!
(rie
ntr
a s
troppic
ciandosi
le
mani)
qual
vit
tori
a m
ai sa
rà!
(un m
om
ento
di
sile
nzi
o.
Non v
eden
do
più
null
a,
spin
to d
all
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uri
osi
tà,
Must
afà
esc
e fu
ori
a v
eder
e
che
succ
ede;
cam
min
ando c
irco
spett
o s
i dir
ige a
M
ust
afà.
Ric
ord
ate,
per
All
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Bott
e!
Giù
, se
nza
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tà!
(Rie
ntr
a s
tropic
ciandosi
le
mani.
)
Qual
vit
tori
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(Un m
om
ento
di
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nzi
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Non v
eden
do
più
nu
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spin
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all
a c
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tà, M
ust
afà
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e fu
ori
a v
eder
e
quel
ch
e su
cce
de;
ca
mm
inando
circ
osp
ett
o
si
sinis
tra
del
la
scen
a,
dovè
il
piz
zo.
I se
rvi
scorg
endolo
lo s
cam
bia
no p
er u
n n
emic
o.)
dir
ige
ver
so i
l cen
tro d
ell
a s
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dov’
è i
l pozz
o.
I
serv
i, s
eguen
dolo
, lo
sca
mbia
no p
er u
n n
emic
o.)
1 s
ervo (
sott
o v
oce
)
Guar
da!
Ved
i pre
sso i
l p
ozzo?.
...
(I s
ervi
, ve
den
do M
ahom
ed, su
ssurr
ano f
ra l
oro
):
guar
da,
ved
i pre
sso i
l p
ozzo?
Par
e un’o
mbra
… /
con i
l g
ozzo ?
Par
e un’o
tre
gro
sso e
tozzo o
ele
fante
gio
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ett
o.
Com
e m
uove
cir
cosp
ett
o!
Chi sa
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agg
iù n
ascost
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Die
tro i
l p
ozzo,
per
Maom
etto
, cer
to n
iun d
i noi
fu
post
o.
Noi, n
o c
erto
, tu
l’h
ai d
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a i
bri
cconi?
Quel
lo è
un s
olo
.
Gli
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vra
n p
reso
il
volo
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à q
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utt
i.
(Pia
no p
iano l
o c
irco
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lo a
ssalt
ano)
T’a
bb
iam
colt
o,
ora
, b
irb
one.
A t
e pre
nd
i!
1: se
rvo.
(So
ttovo
ce.)
Guar
da!
Ved
i, p
ress
o i
l p
ozzo?.
..
2 s
ervo (
sott
o v
oce
)
Par
e un’o
mbra
…
2: se
rvo.
(So
ttovo
ce.)
Par
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mbra
…
1 s
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sott
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Con q
uel
gozzo?.
.
par
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sso e
tozzo.
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rvo.
(C. s.
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Con q
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gozzo?
Par
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sso e
tozzo.
3 s
ervo (
dall
a p
art
e oppost
a, so
tto v
oce
)
chi
sarà
quell
o n
ascost
o?
3: se
rvo.
(Dall
a p
art
e oppost
a, so
tto
voce
.)
chi
sarà
quell
o n
ascost
o?
4 s
ervo (
c.s.
)
Cer
to n
iun d
i noi
fu p
ost
o
die
tro a
l p
ozzo…
4: se
rvo.
(C. s.
)
Cer
to n
iun d
i noi
fu p
ost
o
die
tro a
l p
ozzo…
3 s
ervo (
c.s.
)
ora
l’a
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Ah!
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ganti
Che
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anti
tutt
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uanti
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Ma
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ara.
Chi
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rone
si v
edrà
!
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afà
.
Che
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zia
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guaio
!
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!
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Calp
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Com
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il
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Ah!
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!
Che
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ara.
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guaio
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M’h
an p
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e chic
co n
el m
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aio
.
M’h
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tuto
com
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gra
no
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gost
o.
M’h
an
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ccia
to,
calp
esta
to
com
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uva
per
il
most
o.
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banda
di
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ganti
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: A
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Che
band
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poi
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quand
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nno i
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renza
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pat
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nco,
non s
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avre
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pro
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se
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vost
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Mu
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Non
mi
far
la
pett
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ad
esso
, gre
ca
del
mala
uguri
o!
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per
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ua
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Moham
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mala
uguri
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cat
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nes
suno
mi
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ebb
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Dan
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to,
avet
e com
bat
tuto
com
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eone.
.
Dan
ia.
(Mali
ziosa
men
te.)
Sta
nott
e, g
ià m
e lo
dic
este
, avet
e com
batt
uto
com
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un l
eone.
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afà.
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mi
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per
met
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i st
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in c
asa
mia
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cas
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enata
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Sar
à ce
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ente
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na
per
sona
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bu
on
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frutt
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l’avventu
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o
il v
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ran P
ascià
: “L
a sp
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che
vi
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ro è
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a che…
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Must
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Non è
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non
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ero c
he
una
schia
va
si f
acc
ia i
nnanzi
a dar
mi
consi
gli
. M
a se
cr
edi
che
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bia
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per
ata
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re
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no d
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ire c
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i gro
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zar
e, e
non
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na s
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va
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mi
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. M
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re
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cat
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…..
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Sì,
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donne!
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bast
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nza
era
dat
o f
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apir
e in
così
pic
colo
cer
vell
o c
osì
tanta
mali
gnit
à.
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SC
E)
M
ust
afà.
Ah!
Le
donne!
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2°
L
eggenda
di
Dania
.
Dan
ia (
sola
)
Oh!
Ineff
abil
e M
ust
afà!
(si
dir
ige
vers
o i
l pozz
o)
Bontà
sua
che
non
m’a
bb
ia a
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irit
tura
rim
pro
ver
ata
Sull
a m
onta
gna
che
tocca
il
cie
lo a
cui
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i
sem
pre
fan v
elo
c’è
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mar
mo e
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cris
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o.
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ah!
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Sahr
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ia.
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Oh!
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afà!
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bb
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din
e!
Com
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m
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!
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!.... e
pover
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fiori
! H
anno
soff
erto
anch’e
ssi
stanott
e….
Ah!
Dav
ver
o
pote
ssi
fugg
ire!
Purc
hè
non
acca
des
se
anche
a m
e c
om
e nell
a vec
chia
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a
di
Leil
a-D
akar
…..
Sull
a m
onta
gna
che
tocca
il
cie
lo,
e a
cui
le n
ub
i se
mpre
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c’è
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ala
zzo t
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o d
i gelo
,
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mar
mo e
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llo…
. A
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..
Ivi
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rud
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Sher
-el-
Nakir
Leil
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bell
a fe
ce
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ir,
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com
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Leil
a vis
o d
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.Aha…
.
Dak
a l’
amante
Dakar
lo s
poso
,
sul su
o d
estr
iero
balz
a im
pet
uoso
,
a sè
din
ieg
a cib
o e
rip
oso
finché
l’ab
bia
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giu
nta
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ha…
.
Ahim
è!
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rud
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Shar
-elN
akir
Dei
su
oi si
cari
li
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nse
gu
ir,
nel
gra
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eser
to v
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lion f
ugg
ir…
son,
nel D
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to, ucc
isi…
.Aha…
.
ma
dove
scorr
e lo
r sa
nge
ardente
,
pro
dig
io, sg
org
a fr
esca
sorg
ente
,
l’oas
i p
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ell
a so
rge
repente
,
l’O
asi
Leil
a-D
akar
….
Aha…
.
Nak
ir, L
eil
a la
bell
a fe
ce
rap
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eil
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less
uosa
com
e
una
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Leil
a vis
o
di
per
la.
All
ah!
Dakar
,
l’am
ante
, D
akar
lo
sposo
su
l su
o d
estr
iero
balz
a
furi
oso
a s
é d
inie
ga
cib
o e
rip
oso
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ché
li a
bb
ia
ragg
iunti
. A
llah!
Il c
rudele
Sah
r el
Nakir
dai
suoi
sicar
i li
fa
se
gu
ir.
Nel
gra
nde
des
ert
vog
liono
fugg
ir, so
n n
el
des
erto
ucc
isi!
Ma
dove
scorr
e
lor
sangu
e ar
dente
, oh
pro
dig
iosg
org
a fr
esca
sorg
ente
. L
’oas
i p
iù ver
de
sorg
e re
pente
L’o
asi bell
a L
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a D
akar
!
add
irit
tura
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mpro
ver
ata
l’in
gra
titu
din
e!
Com
e
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tender
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enza
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il
mig
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ua a
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ell’
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ra.
Pover
a D
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ad i
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iori
che
form
ano a
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into
rno a
l
pozz
o
stes
so.)
E
pover
i fi
ori
! H
anno
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erto
anch’e
ssi,
stanott
e…
ah!
Se
davver
o
pote
ssi
fugg
ire!
Ah!
Sig
nore
, se
foss
e p
oss
ibil
e!
Purc
hè
non a
ccad
esse
a m
e com
e nell
a vec
chia
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la l
egg
enda
di
Leil
a-D
akar
… (
Can
ta:)
“Sull
a m
onta
gna
che
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cie
lo,
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cui
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i se
mpre
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,
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ran p
ala
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utt
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,
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mar
mo e
di cr
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a-A
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il c
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Sher
-el-
Nakir
Leil
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ece
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ore
dell
’?,
Leil
à, v
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i per
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Ali
a-A
llala
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Dak
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, D
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Sul su
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estr
iero
balz
a im
pet
uoso
,
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din
ieg
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o e
rip
oso
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l’ab
bia
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giu
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.
Ali
a-A
llala
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è!
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rud
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Shar
-el-
NA
kir
Da’
suoi si
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gra
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to v
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ir…
son,
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eser
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i!
Ali
a-A
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io!
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ito a
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ult
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paro
le d
ella
canzo
ne)
Must
afà.
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canzo
ne.
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Non h
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cche
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canta
re?
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la.
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Pas
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molt
o
am
ante
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Per
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bru
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bene
colt
ivar
la.
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pen
dolo
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vost
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mel
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afà
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ell
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M
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afà.
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he v
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afà.
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i m
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ia
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bell
ezza!
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vura
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ano f
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non m
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spir
ito)
Sì,
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pia
cere
bbe.
Ma
non è
pro
pri
o il
m
om
ento
di
cari
car
mi
d’a
ltre
donne…
<N
e ho f
in d
’avanzo!>
.
Più
tar
di
ved
rem
o.
Quan
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l tu
o n
aso,
non s
o s
e
sia
bu
ono,
ma
è lu
ng
o
cert
amente
! (R
ide
a
crep
apel
le, so
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fatt
o d
el s
uo s
pir
ito.)
Alì
(C
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n i
nch
ino)
All
ora
….. n
on p
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re i
l m
io p
over
o e
lu
ng
o
nas
o n
ei
vost
ri e
ccels
i aff
ari, o
nora
tiss
imo s
ignore
,
ma
dovre
ste
far
sub
ito la
vost
ra s
celt
a per
non f
arm
i
poi
la c
oncorr
enza,
rim
anend
o p
ur
voi…
. C
on u
n
palm
o d
i nas
o
A
lì –
(co
n u
n i
nch
ino)
All
ora
… n
on p
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ccar
e il
mio
pover
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lu
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o
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ei vost
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ccels
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nora
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imo s
ignore
,
ma
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sub
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n
palm
o d
i nas
o.
Must
afà
Che
inte
nd
i d
ire?
M
ust
afà
–
Che
inte
nd
i d
ire?
Alì
Potr
ei
vender
e alt
rove
quell
a che
vi p
iace
e (
con u
n
occhia
ta a
Dania
) se
la
vost
ra D
ama
vi
pia
nta
sse
com
e a
lum
e d
i nas
o m
i p
are…
.
A
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o m
i p
are…
Must
afà
Cin
ese
male
det
to!
Sai
cosa
par
e a
me?
Che
coi tu
oi
nas
i tu
mi vog
lia
pre
nder
e in
gir
o. M
a bad
a che
non
mi sa
lti
la m
osc
a…..
M
ust
afà
–
Cin
ese
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det
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Sai
cosa
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e a
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Che
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nas
i, t
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pre
nder
e in
gir
o.
Ma
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non m
i sa
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.
Alì
(um
ilm
ente
)
La
mosc
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nas
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ilm
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Must
afà
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a c
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esto
furi
bondo)
M
ust
afà
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sbuff
a, co
n u
n g
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furi
oso
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Alì
Non s
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menar
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rofo
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vi
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o.
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fondo i
nch
ino).
Dan
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riden
do)
Bra
vo c
ines
e!
Non t
i m
anca
lo s
pir
ito!
Che
alt
ro s
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fare
?
D
ania
– (
riden
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Bra
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A
lì –
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.
Must
afà
Can
ta a
llora
, e
non d
ire
alt
re s
cio
cchez
ze.
M
ust
afà
–
Can
ta, all
ora
, e
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ire
alt
re s
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cchez
ze.
Alì
Ag
li o
rdin
i vost
ri;
Ch
irib
iri M
ust
afà
.
A
lì –
Ag
li o
rdin
i vost
ri. C
hir
ibir
i M
ust
afà
.
Must
afà
(sca
ttand
o)
Che
dic
i?!
M
ust
afà
– (
sca
ttando)
Che
dic
i?!
Alì
Il t
itolo
di
una
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bell
issi
ma,
all
’ult
ima
mod
a
cin
ese.
M
agnif
ica
sig
nore
e
voi
legg
iadri
ssim
a
dam
a, u
dit
e:
Chir
ibir
i M
ust
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(.
..fa
c cen
no
all
e sc
hia
ve
di
acc
om
pagnarl
o c
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tam
bure
lli)
(Riv
olt
o a
Dania
) og
ni d
ove
ardente
core
la s
ua
bell
a vu
ol se
gu
ir
vu
ol
par
larl
e del
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more
mane
e se
ra.
Ma
la b
ell
a è
pri
gio
nie
ra.
Eg
li g
em
e a
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e l’
ore
Né
può d
irle
il
suo m
arti
r.
(vo
lgen
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con u
no s
ber
luff
o a
Must
afà
)
Chir
ibir
i M
ust
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Cin
-cin
ese
è qua.
Non a
ver
danar
a,
ti v
ole
r com
pra
ra?
Ti pag
ar p
er m
i
Mi se
rvir
a t
i.
CO
RO
Chir
ibir
i M
ust
afà
ecc.
Alì
:
Ogni
dove
ard
ente
cu
ore
la
sua
bell
a vu
ol
segu
ir
vu
ol
par
larl
e del
suo a
more
mane
e se
ra m
ane
e
sera
. M
a la
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a è
pri
gio
nie
ra.
Eg
li g
em
e a
tutt
e
l’ore
né
può
dir
le i
l su
o m
arti
r. C
hir
ibir
i M
ust
afà.
star
e st
are
bon
turc
à,
non
aver
danar
e ti
vole
r
com
pra
re,
ti p
agar
per
mi,
mi se
rvir
e a
ti. C
hir
ibir
i.
(riv
olt
o a D
ania
) è
un to
rmento
se
nza
pac
e che
consu
ma
l’ag
ro c
uor.
Se
sapes
se a
lmen c
he
pia
ce a
ll’a
mat
a, l
a su
a pen
a
appas
sionat
a
Ei
sare
bbe
alm
en
capace
d
i sf
idar
og
ni
dolo
r.
Chir
ibir
i.
(cance
llato
): c
hir
ibir
im M
ust
afà
.
Alì
–
Il t
itolo
d’u
na
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bell
issi
ma,
all
’ult
ima
moda
cin
ese.
Mag
nif
ico s
ignore
, e
voi,
le
gg
iadri
ssim
a
dam
a, u
dit
e:
Chir
ibir
i M
ust
afà
… (f
a ce
nno a
gli
schia
vi d
i a
ccom
pagnarl
o c
oi
tam
bure
lli:
)
(riv
olt
o a
Dania
) O
gni d
ove
ardente
core
la s
ua
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a vu
ol se
gu
ir,
vu
ol p
arla
rle
del
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more
mane
e se
ra.
Ma
la b
ell
a è
pri
gio
nie
ra.
Eg
li g
em
e a
tutt
e l’
ore
,
né
può d
irle
il
suo m
arti
r.
(vo
lgen
dosi
, co
n u
no s
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leff
o, a M
ust
afà
)
Chir
ibir
i, M
ust
afà
!
Cin
-cin
ese
è qua.
Non a
ver
danar
a,
ti v
ole
r com
pra
ra?
Ti pag
ar p
er m
i,
mi se
rvir
a t
i.
Fa
bona
cucin
a,
mi
levar
matt
ina,
far
boll
ir c
ald
ara.
Par
lara
, par
lara
,
ti v
ole
r com
pra
ra?
Alì
(ri
volg
endosi
nuo
vam
ente
a D
ania
)
È u
n t
orm
ento
senza
pac
e
Che
consu
ma
l’ag
ro c
or
Se
sapes
se a
lmen c
he
pia
ce
All
’am
ata
La
sua
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appas
sionat
a,
(f
a
alc
uni
buff
i pass
i di
danza
, poi
si
rivo
lge
nuova
men
te a
Dania
:)
È u
n t
orm
ento
senza
pac
e
Che
consu
ma
l’ag
ro c
or.
Se
sapes
se a
lmen c
he
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ce
All
’am
ata
ei sa
rebbe
all
or
capac
e
di sf
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og
ni d
olo
r!
La
sua
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sionat
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ni d
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ust
afà
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n i
nch
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esco
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Chir
ibir
i M
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-cin
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CO
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Must
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ania
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n t
orm
ento
senza
pac
e…
Must
afà
(cari
cando)
…. S
enza
pac
e….
Sai
tu, ca
ro m
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anzone
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, aff
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io,
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cop
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i b
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Chir
ibir
i M
ust
afà
,
mi
non t
i com
pre
rà
ma
ti b
asto
ner
à!
(ingro
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a v
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Cin
-cin
ese
via
di qua
via
di qua,
via
di qu
a,
alt
rim
enti
si
ved
rà
chi
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(I b
all
erin
i fu
ggono d
anza
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Must
afà:
senza
pac
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i D
io, d
i colp
i d
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tone!
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ER
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V
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gli
o 7 te
rmin
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. Il
fog
lio 8
conti
ene
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he s
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ma
nell
’intr
ecc
io
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Ipote
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il f
og
lio 8
conti
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ro 2
che v
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si p
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nse
rito
inse
gu
ito, dato
che
la l
eggend
a d
i D
ania
incom
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sul
fog
lio 7
imm
edia
tam
ente
dop
o i
l fi
nale
del
II A
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Must
afà
– (
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ibir
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-cin
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I
I
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Must
afà
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---u
na
scopa.
SIP
AR
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Fin
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el pri
mo a
tto.
S
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RIM
A
S
cena
I:
C
oro
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hia
ve
Inte
rno
all
a
casa
di
Must
afà
. una
sala
. D
ania
seduta
su u
n d
ivano s
i fa
ven
to,
circ
ondata
da a
ltre
gio
vani
schia
ve. T
utt
e in
siem
e ca
nta
no:
Quan
do t
ram
onta
il so
le
il c
ielo
è c
om
e u
n m
are,
un m
are
di
cora
llo.
Vi st
anno a
navig
are
Con v
ele
d’o
ro g
iall
o
Gra
n n
avi
di
vio
le.
Il c
ielo
è c
om
e u
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are
Quan
do t
ram
onta
il so
le.
Quan
do t
ram
onta
il so
le
Il c
uore
è c
om
e u
n m
are,
un m
ar d
i nost
alg
ia.
Vi st
anno a
navig
are
Con v
ele
di p
oes
ia
Sog
ni se
nza
par
ole
.
Il c
uore
è c
om
e u
n m
are
Quan
do t
ram
onta
il so
le…
.
Quan
do tra
monta
il so
le i
l cie
lo è
com
e un m
are,
un
mar
e d
i cora
llo.
Vi
stanno a
navig
are,
con v
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d’o
ro g
iall
o,
gra
n
nav
i d
i vio
le.
Il c
ielo
è c
om
e u
n m
are
quand
o t
ram
onta
il
sole
.
Quan
do t
ram
onta
il so
le,
il c
uore
è c
om
e u
n m
are,
un m
ar d
i nost
alg
ia:
vi st
anno a
navig
are
con v
ele
di
mali
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og
ni se
nza
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Il c
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n m
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di
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afà
. una
sala
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n d
ivano, si
fa v
ento
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condata
da a
ltre
gio
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ve. T
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e ca
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no.
“quand
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onta
il
sole
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om
e u
n m
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cora
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om
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onta
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nzone!.
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e u
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.
1 s
chia
va
Sfi
do,
fort
unat
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! S
arai
la s
posa
di
un P
ascià
!
Noi
invec
e, p
over
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1°
Schia
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pad
rone
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ate!
Dan
ia
Non
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iate
mi!
S
e sa
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com
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il P
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Non
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nti
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Oh!
Oh!
Dania
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un s
egre
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T
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e –
Oh!
Oh!
Dania
ha
un s
egre
to!
Dan
ia
E c
hi
non n
eha?
Guar
dat
e bene
in f
ond
o a
l vost
ro
cuore
: non
c’è
una
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nconia
, u
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no
una
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fors
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–
È v
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È v
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Oh!
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non
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Uh!
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3°
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ba
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curo
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sono
molt
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ogget
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così
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irne
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F
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ista
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Dan
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Dan
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Dove
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Flo
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ce v
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ano)
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qu
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pu
nto
dove l
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uce
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l’eff
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vorr
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iung
ere.
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Dan
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seden
do)
Va
ben
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Dan
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va
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Dan
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Va
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Flo
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Va
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sser
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A d
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a, l
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….
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io a
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bo, m
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….
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onat
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..
Flo
riano –
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lmente
fati
car
e,
e vi
most
rate
scio
cca
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hit
tosa
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Must
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iunto
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(a D
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Per
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Non
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fare
da
sola
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cam
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menti
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lmente
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iocc
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tosa
.
Dan
ia (
a M
ust
afà
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Che
vole
te è
per
me
una
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D’u
na
tale
novit
à….
(a F
lori
ano)
Il s
ignor
di
me
dis
pong
a
Com
e m
egli
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à. (D
opo un te
ner
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uard
o
abbass
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li o
cchi
arr
oss
endo.)
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e m
egli
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tener
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bbass
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bbass
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Flo
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bil
an
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i appre
ssa a
l ca
vall
ett
o:)
Si, v
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tto a
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avig
lia.
(con d
olc
ezza
) S
ol
dovre
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rialz
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ver
so m
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bell
e cig
lia…
.
Flo
riano (
giu
bil
ante
, si
appre
ssaal
cava
llet
to)
Sì
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ste
un p
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rialz
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lia.
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Flo
riano (
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Si. V
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tto a
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e
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po’
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e
cig
lia…
Dan
ia (
sorr
iden
do e
seguis
ce)
ndo e
seguis
ce)
Dan
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sorr
iden
do e
seguis
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Flo
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appro
va c
on u
n c
enno d
el c
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Or
poss
iam
o i
ncom
incia
re.
(Sosp
iro d
i so
llie
vo d
i
Must
afà
) Il
p
osa
re
non
è cosa
fa
cil
e com
e
com
unem
ente
si
cr
ede,
e
la
scelt
a
dell
’att
egg
iam
ento
e dell
e lu
ci
ha
un’i
mp
ort
anza
enorm
e per
la
riusc
ita
del quad
ro.
va c
on u
n c
enno d
el c
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or
poss
iam
o i
ncom
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Must
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ort
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Must
afà
Must
afa:
Must
afà
–
Cer
to, ce
rto.
cert
o, cer
to.
Cer
to. C
erto
.
Flo
riano
Chi p
osa
deve
inte
rpre
tare
con f
inez
za
le i
nte
nzio
ni
del
arti
sta,
per
ché
un c
atti
vo m
odell
o è
ass
ai
più
dan
noso
che
un c
att
ivo p
ennell
o.
Flo
riano:
chi
posa
deve
inte
rpre
tare
con f
inez
za
le i
nte
nzio
ni
dell
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ista
, per
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un ca
ttiv
o m
odell
o è
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ai
di
mag
gio
r danno c
he
un p
essi
mo p
ennell
o.
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Chi
posa
, deve
inte
rpre
tare
con
finez
za
le
inte
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ni dell
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ista
, per
ché
un c
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odell
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di
mag
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anno<
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he
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pennell
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Must
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Cer
to, ce
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Must
afà:
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to, ce
rto.
Must
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Cer
to. C
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Dan
ia
Io n
on s
ono u
na
di qu
ell
e
Van
itose
scio
ccher
ell
e
Che
vorr
ebber
o v
eder
si
Più
del
sole
chia
re e
bell
e.
E s
e il
pover
o p
itto
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Non l
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nge
uno s
ple
nd
ore
Di bell
ezza
senz’e
guale
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an s
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ito i
n f
uro
re.
Dan
ia:
(can
tato
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Io n
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ell
e vanit
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Che
vorr
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sole
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guale
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Van
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nd
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guale
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ito i
n f
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re.
Flo
riano (
riden
do)
Vog
lion t
utt
e is
tess
e cose
,
carn
agio
n d
i la
tte
e ro
se,
una
bocc
a p
iccoli
na,
due
pup
ille
lum
inose
com
e in
nott
e osc
ura
…..
Flo
riano (
idem
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ille
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ell
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nott
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…
Must
afà
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Quan
do l
’occ
hio
è d
a bab
beo!
Must
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afà
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volg
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osa
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–
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a quel
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asca
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Oh,
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ffender
vi!
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A
lì –
Oh,
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vo o
ffender
vi!
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Must
afà
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M
ust
afà
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lio.
Alì
Dunque
cap
irete
com
e u
no s
chia
ffo s
imil
e m
i si
a
sces
o
dall
e guancie
al
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cendend
olo
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i
imp
laca
bil
e ir
a. M
a so
no i
nce
rto s
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er v
end
icar
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l’off
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convenga
meg
lio a
ffro
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sinar
e.
A
lì –
Dunque,
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imil
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bru
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Ma
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a, l
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a m
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ezza
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nca
nto
!
Col
tuo s
guar
do, col
tuo c
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m’h
ai
ravvolt
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un
inca
nto
,
nell
a m
esta
pri
gio
nia
per
te
solo
vis
se i
l core
.
Per
te s
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anto
la
vit
a m
ia a
ncor
s’in
fiora
di
spem
e,
d’a
mor.
Dan
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con s
lancio
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T’a
ma
L’a
lma
mia
…
Flo
riano
Oh!
Dolc
ezza!
Oh!
Inca
nto
!
F
lori
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Oh!
Dolc
ezza!
Oh!
Inca
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Dan
ia
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ezza!
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Incanto
!
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bre
zza!
M’a
mi ta
nto
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ania
Incanto
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ezza!
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anto
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M’a
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nto
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T’a
mo!
Dan
ia
Ancora
!
Flo
riano
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mo!!
Dan
ia
Col
tuo s
guar
do, col
tuo c
anto
,
M’a
i ra
vvolt
a in
un i
nca
nto
.
Nel
la m
esta
pri
gio
nia
Per
te
solo
viv
e il
core
;
Per
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solt
anto
la
vit
a m
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Ancor
s’if
iera
di sp
em
e e
d’a
more
.
D
ania
–
T’a
mo t
anto
.
Col
tuo s
guar
do, col
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M’h
ai ra
vvolt
a in
un i
nca
nto
.
Nel
la m
esta
pri
gio
nia
Per
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solo
vis
se i
l core
;
per
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solt
anto
la v
ita
mia
ancor
s’in
fiora
di
spem
e e
d’a
more
.
Flo
riano
Insi
em
fugg
irem
ques
ti l
idi.
All
a m
ia p
atri
a bell
a e
lum
inosa
Ti co
ndurr
o m
ia s
posa
.
F
lori
ano –
Insi
em
e fu
gg
iam
o q
ues
ti l
idi
All
a m
ia p
atri
a bell
a e
lum
inosa
Ti condurr
ò, m
ia s
posa
.
Dan
ia
Tua
sposa
!
D
ania
–
Tua
sposa
!
Flo
riano
Per
sem
pre
sei m
ia!
F
lori
ano –
Per
sem
pre
mia
.
Dan
ia
Ah!
Per
sem
pre
!
Col
tuo s
guar
do, col
tuo c
anto
,
m’h
ai ra
vvolt
a in
un i
ncanto
.
Nel
la m
esta
pri
gio
nia
Per
te
soo v
isse
il
cor,
per
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solt
anto
la
vit
a m
ia
ancor
s’in
fier
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eme,
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D
ania
–
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a
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,
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Flo
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lum
inosa
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so!
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pri
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lezza,
una
genia
lità
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per
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iore
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M
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Mi
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nder
si a
ccet
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Must
afà
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e d
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conced
o!
Ma
quanto
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li u
om
ini,
ti
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curo
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l’opp
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per
conto
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mander
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tutt
i a
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afà
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Must
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!
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i m
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e!
Cosa
c’è
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afà
–
Ma
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c’è
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Zaid
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i te
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i si
gnore
, da
un
mar
ito
gelo
so
che
mi
per
segu
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e m
i vu
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ucc
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e!
La
sua
gelo
sia
è
frenet
icae
sorp
assa
og
ni
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agin
azio
ne.
Eg
li e
sig
e
che
mi
copra
per
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cchi,
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ver
mi
scort
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col
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sguain
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la
spad
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i ha i
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ra p
rote
zio
ne.
Ahim
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he
lo s
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venir
e!
Ah!
Per
car
ità,
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pie
tà, si
gnore
, sa
lvate
mi!
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e che
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copra
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cchi,
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mi
scort
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egger
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scoper
to,
ha s
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la s
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i ha
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gu
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rifu
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rote
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sento
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lori
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I venez
iani
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are
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tutt
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uand
o v
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liono
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ono v
enti
volt
e m
egli
o d
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n t
urc
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Must
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Cas
pit
a!
Dit
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Cas
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e davver
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rag
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opp
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i al
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nti
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unque c
he
la t
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Che
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tropp
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gra
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Che
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ano.
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a
La
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enza
che v
i d
ebb
o è
infi
nit
a, s
ignore
.
Ma
lasc
iate
che
io vad
a a
ripre
nder
e il
mio
velo
,
per
ché
nonose
rei
ricom
par
irg
li
din
anzi
così
.
Succ
eder
ebb
e u
n v
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andem
onio
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.
Must
afà
5ri
avv
icin
andosi
a F
lori
ano)
Ecc
ola
che
sta
per
venir
e. S
e av
este
vis
to com
e
appar
iva
feli
ce
quand
o
le
dis
si
che
tutt
o
era
accom
od
ato!
M
ust
afà
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ria
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inandosi
a F
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Ecc
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SC
EN
A 9
.
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9°
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tra D
ania
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utt
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i Z
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a)
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Must
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hé
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e dim
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cato
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vost
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isenti
mento
, se
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Pit
tore
, fa
te la
pac
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i davanti
a m
e. D
atevi
la
mano e
pro
mett
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di
viv
ere
d’o
ra i
nnanzi
nell
a p
iù
per
fett
a u
nio
ne!
M
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afà
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Poic
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Flo
riano
Per
la
gra
nde
amic
izia
che
ci
lega,
(co
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nfa
si)
vi
pro
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to e
ccele
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ssim
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ust
afà
; che
viv
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on l
ei
d’a
more
e d
’acc
ord
o!
F
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afà
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ela
bene,
car
o p
itto
re.
M
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riano
La
trat
terò
il
m
egli
o
che
mi
sarà
p
oss
ibil
e,
ve
l’as
sicu
ro!
(esc
ono)
F
lori
ano –
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(Esc
ono)
Must
afà
Ah!
Ah!
Ah!
(rid
e d
i gust
o)
Guar
dat
e u
n p
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quel
pit
tore
! C
osa
ne
dir
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ania
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uas
i che
se
ne innam
ora
sse,
ma
così
tutt
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acc
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odato
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Dan
ia!!
Dania
a!
(cer
cando D
ania
tro
va Z
aid
a)
M
ust
afà
– (
solo
)
Ah!
Ah!
Ah!
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e di
gust
o)
Guar
date
un p
o’
qu
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pit
tore
! C
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uas
i che
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sse,
m
a così
tu
tto
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om
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ato.
Dan
ia!
Dania
! D
ania
aa!
(cer
cando
D
ania
tr
ova
Zaid
a)
SC
EN
A 1
0°
S
cena
10
°
Must
afà
(a Z
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a)
Com
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! S
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ire?
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vel
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he u
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itore
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ve
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iato
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tutt
i, e
che
tutt
i son
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nti
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. Vu
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ire
che
Dania
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ita
col
Cavali
ere
che
l’am
a, p
er
esse
re su
a sp
osa
. V
uol
dir
e che
siet
e gab
bat
o,
e
gab
bat
o c
oi
fiocchi!
! (f
ugg
e vi
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do)
Z
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Vuol
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e che
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e
gab
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o c
oi
fiocchi!
(fu
gg
e vi
a r
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do.)
Must
afà
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a s
rmpre
cre
scen
te)
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! T
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per
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! S
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S
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vi!
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sub
ito!
(i
serv
i
acc
orr
ono
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and
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te
che
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etta
i
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ighi
pro
moss
i all
a vost
ra
scie
mp
iagg
ine
di
stan
ott
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ora
, fu
lmin
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, ra
gg
iung
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Dan
ia e
il
pit
tore
fugg
itiv
i, e
port
arm
eli
qu
i, v
ivi
o
mort
i. V
ia!
M
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afà
(con f
uri
a s
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cre
scen
te:)
A
me
un
tale
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ronto
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m
e,
Must
afà?
Ma
chie
der
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Se
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rim
etta
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cast
ighi
pro
mes
si
all
a vost
ra
scem
pia
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di
stan
ott
e, d
ovete
, ora
, fu
lmin
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ente
, ra
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iung
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Dan
ia e
il
pit
tore
fugg
itiv
i, e
port
arm
eli
qu
i viv
i o
mort
i. V
ia!
Ser
vi
(dopo e
sser
si i
nch
inati
all
’ord
ine,
sec
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l’u
sanza
ori
enta
le,
fuggono p
oi
com
e fr
ecci
e per
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pie
rlo)
S
ervi
(dopo e
sser
si i
nch
ina
ti a
ll’o
rdin
e s
econdo
l’usa
nza
ori
enta
le,
fuggono
poi
com
e fr
ecce
per
adem
pie
rlo.)
Sce
na
10
°
Must
afà
(si bu
tta a
sed
ere
sul div
ano, e
tira
bocc
ate
furi
ose
dall
a
sua
lunga
pip
a.
Po
i,
sem
pre
M
ust
afà
– (s
i butt
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der
e su
l d
ivano,
e ti
ra
bocc
ate
furi
>bonde<
<ose
> d
all
a s
ua l
unga p
ipa.
irosa
men
te
sbuff
ando,
fum
ando
e ru
ggen
do,
fa
alc
un
i gir
i p
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a s
tanza
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sce)
Po
i,
sem
pre
ir
osa
men
te
sbuff
ando,
fum
ando
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ruggen
do, fa
alc
uni
gir
i per
la s
tanza
ed e
sce.
)
SC
EN
A 1
1.
S
cena
11
°
(per
un i
stante
la s
cena r
esta
vuota
. P
oi,
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cedu
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da M
ust
afà
, ch
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una m
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her
a d
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quio
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sua
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, se
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tu
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com
ple
tam
ente
cela
rla, en
tra i
l gra
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asc
ià)
(P
er u
n ist
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esta
vuota
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oi,
pre
ced
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afà
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’ese
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via
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ple
tam
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ià,)
Must
afà
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rofo
ndi
inch
ini)
Ecc
ell
enza,
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nat
evi
di
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ell
a m
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ta
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azio
ne.
M
ust
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– (
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ini:
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nat
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Pas
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div
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he
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tutt
i?
Must
afà
Ah!
Se
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ell
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se!
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nd
e
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.
M
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afà
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Ah!
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Pas
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’appu
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P
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Anch’i
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nto
, vi cer
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Must
afà
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izia
, ec
cell
enza,
per
u
n
affr
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mort
ale
!
M
ust
afà
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Aiu
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e g
iust
izia
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cell
enza,
per
u
n
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ronto
mort
ale
!
Pas
cià
(sen
za
badare
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att
o
all
e quer
imonie
di
Must
afà
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Dunque
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cavo
per
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fest
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M
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Sar
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afà
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più
dis
tratt
o;
pen
sando s
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Ma
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Una
mas
cher
ata,
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o!
Ne
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pro
va
pri
ma
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senta
rla
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ult
ano!
P
asci
à – (
sem
pre
più
dis
tratt
o,
pen
sando s
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suoi:
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Ma
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med
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ano.
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Ma,
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.
M
ust
afà
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Ma,
E
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olc
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luce
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Flo
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lfin
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lugubri
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Must
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Must
afà
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itando l
a b
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a)
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Viv
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Viv
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ah, evviv
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onda
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Dania
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lori
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i –
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ah!
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e dim
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Dan
ia e
Flo
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ccia
ti e
dim
enti
chi di tu
tto);
Luce
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mor!
....
Dan
ia e
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Luce
d’a
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...
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SIP
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oute
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gra
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com
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ura
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ulm
ini,
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e,
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tonat
e fa
te s
cend
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Bott
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senza
pie
tà!
Per
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tu
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rend
iam
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,
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moli
, sc
ann
iam
oli
,
sul te
rren s
cara
venti
amoli
,
tutt
i in
bri
cio
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accia
moli
!
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tu d
i là
…
Tu d
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… e
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Ric
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ate,
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All
ah!
Bott
e g
iù!
Senza
pie
tà!
Rie
ntr
a s
tropic
ciandosi
le
mani.
Qual
vit
tori
a m
ai sa
rà!
Un m
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ento
di
sile
nzi
o.
Non v
eden
do
più
nu
lla,
spin
to d
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uri
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tà,
Must
afà
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e fu
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e ch
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cam
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ando c
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dov’
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pozz
o.
I se
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1. S
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VO
, so
tto v
oce
:
Guar
da!
Ved
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sso i
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ozzo?
2. S
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VO
, so
tto v
oce
:
Par
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mbra
…
1. S
ER
VO
, so
tto v
oce
:
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uel
gozzo?
Par
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tre
gro
sso e
tozzo.
3. S
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VO
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e oppost
a, so
tto v
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4. S
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s.:
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3. S
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VO
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s.:
Ora
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1. S
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3. S
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s.:
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ono.
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bone!
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pie
tà!
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iavo
lato
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cara
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cola
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li, sc
imu
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ando:
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ah!
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lende.
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,
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e
che
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ono.
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! V
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lla!
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; et
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, m
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oûte
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n.
DO
N P
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Oui;
mais
je
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de
vous
voir
tou
jours
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moi.
Il
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mal
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s'as
sure
r u
n p
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s so
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des
surv
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lants
; et
cet
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hante
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es.
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able
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vous
que
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ISID
OR
E:
Je l
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roir
e ain
si, pu
isque
vous
me
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.
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N P
ÈD
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Vous
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i qu
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cet
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tre,
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iandosi
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bast
one.
MU
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AF
À
Oh!
Che
pover
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tori
a!
Eh!
Che
dolo
rosa
sto
ria!
Uh!
Il m
io f
ianco!
Ah!
Le
mie
gam
be!
M’h
an c
oncia
to p
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a fe
sta!
M’h
anno r
ott
o b
en l
a te
sta!
Ah!
Che
band
a d
i bri
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che
furf
anti
tutt
i qu
anti
!
Ma
la p
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ara.
Chi
è pad
rone
si v
edrà
!
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on s
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ust
afà
.
Che
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gra
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è che
guaio
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M’h
an p
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com
e chic
co n
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M’h
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uto
com
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gra
no
sopra
l’a
ia a
mez
z’a
gost
o.
M’h
an s
chia
ccia
to,
calp
esta
to,
com
e l’
uva
per
il
most
o!
Ah!
Che
band
a d
i bri
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!
Che
furf
anti
.
Obli
gée
!
ISID
OR
E:
San
s d
oute
, pu
isqu
'il
cher
che
à m
e d
iver
tir.
DO
N P
ÈD
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Vous
trou
vez
donc
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u'o
n v
ous
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e?
ISID
OR
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Fort
bon. C
ela
n'e
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ligea
nt.
DO
N P
ÈD
RE
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Et
vous
vou
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ien à
tous
ceux q
ui p
rennent
ce s
oin
?
ISID
OR
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Ass
uré
ment.
DO
N P
ÈD
RE
:
C'e
st d
ire
fort
net
ses
pensé
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ISID
OR
E:
A q
uoi b
on d
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issi
mu
ler?
Quelq
ue
min
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'on f
asse
, on e
st tou
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n
ais
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tre
aim
ée:
ces
hom
mag
es à
nos
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ne
sont
jam
ais
pour
nous
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lair
e. Q
uoi
qu'o
n e
n p
uis
se d
ire,
la
gra
nd
e am
bit
ion d
es f
em
mes
est
,
croyez
−m
oi,
d'insp
irer
de
l'am
our.
Tous
les
soin
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lles
pre
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ne
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que
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cela
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je n
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Je
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tant
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es y
eux.
ISID
OR
E:
Quoi?
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cas
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me
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e 21
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atta
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chi
di
tutt
o:
Luce
d’a
mor!
Sip
ari
o.
Philosophische Fakultät Studiendekanat
Universität Zürich
Philosophische Fakultät
Studiendekanat
Rämistrasse 69
CH-8001 Zürich
www.phil.uzh.ch
Selbstständigkeitserklärung
Hiermit erkläre ich, dass die Masterarbeit von mir selbst ohne unerlaubte Beihilfe verfasst worden ist
und ich die Grundsätze wissenschaftlicher Redlichkeit einhalte (vgl. dazu:
http://www.uzh.ch/de/studies/teaching/plagiate.html).
...................................................................................................................................................................
Ort und Datum Unterschrift
Zürich, 6 Januar 2017
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