La Comunicazione Multimodale

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la comunicazione multimodale

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La comunicazione multimodale.

Per quanto riguarda la definizione di comunicazione, come abbiamo visto nelle lezioni precedenti, diverse sono le accezioni che essa ha assunto anche da un punto di vista semantico, e diversi sono i criteri ai quali si fa riferimento per stabilire che cosa possa considerarsi comportamento comunicativo.Particolarmente significativo è a tale proposito il concetto di intenzionalità, in base al quale, da una parte, per evitare alcuni paradossi (come quello secondo il quale la gazzella fuggendo "comunicherebbe" la sua direzione al leone) non è possibile ritenere comunicazione tutto il comportamento che potrebbe fornire informazioni agli astanti, dovremo discriminare tra comportamento intenzionale (comunicativo) e inintenzionale (informazione) rinnegando in questo modo la tesi di Watzlawick secondo la quale "non è possibile non comunicare", dall'altra siamo però costretti ad accettare, per tener conto di tutta la fenomenologia degli atti comunicativi "inconsci" e "impliciti", "automatici" e "spontanei", la tesi di un continuum comunicativo, che comprende diversi gradi di intenzionalità e consapevolezza.Proprio per questa difficoltà di cingere la comunicazione in un’unica e esauriente definizione, numerosi sono i modelli del processo comunicativo elaborati. Questi potrebbero essere inseriti in una scala tra due grandi paradigmi, quello trasmissivo e quello interattivo che, seppure con uno schema base sostanzialmente uguale, danno una diversa spiegazione di come avvenga lo scambio comunicativo. Mentre il primo paradigma spiega la comunicazione, o meglio l’atto comunicativo, come un trasferimento di informazione lineare e astratto fra emittente e destinatario, decontestualizzandolo. Il secondo, al contrario, spiega la comunicazione come interattività e interazione in cui i ruoli di emittente e destinatario sono interscambiabili e l’azione dell’uno costituisce la premessa e l’effetto dell’azione dell’altro. Secondo il paradigma interattivo la comunicazione implica una continua partecipazione e cooperazione, che in modi diversi si esplica nel processo di codifica e di decodifica, tramite una complessa operazione di decentramento sia cognitivo sia affettivo.La complessità del fenomeno comunicazione si amplifica ulteriormente se teniamo conto anche della sua multidimensionalità, giacché comprende sia forme verbali, sia forme non- verbali. Fino a tempi piuttosto recenti era prevalsa negli studi sulla comunicazione una visione logocentrica di essa, considerando il linguaggio parlato come il mezzo comunicativo per eccellenza e non, come oggi unanimemente si ritiene, solo un aspetto della comunicazione, inserito in un contesto più ampio.Grazie in particolar modo agli studi etologici e ad approcci disciplinari originali quali, ad esempio, la cinesica di R. L. Birdwhistell e la prossemica di E. T. Hall, il linguaggio è considerato come il codice di comunicazione più potente, ma all’interno di un sistema comunicativo polimorfo, in cui giocano un ruolo rilevante di accompagnamento, di sostituzione, di sostegno e, a volte, di disconferma, tutte quelle forme di comunicazione non-verbale che con caratteristiche completamente diverse dal linguaggio verbale, rendono lo scambio comunicativo più ricco ed efficace.La capacità di comunicare non solo in modo verbale ma anche per mezzo delle diverse modalità non-verbali, come pure la capacità di codificare e decodificare correttamente un messaggio, fanno parte insieme a numerose altre conoscenze, prerequisiti e regole, della competenzacomunicativa.Poiché questo interesse per la CNV ha dovuto e ancor oggi deve molto allo studio della comunicazione negli altri animali, è proprio da questo argomento che dovremo iniziare la nostra esposizione.Gli animali (uomo compreso), per comunicare, utilizzano un gran numero di canali sensoriali differenti.Il canale forse più studiato e che ha probabilmente maggiore importanza nei vertebrati è quello visivo: la comunicazione visiva è spesso caratterizzata da esibizioni stereotipate (display), che possono generalmente essere percepite a distanza relativamente elevata. Nella comunicazione visiva

possono essere distinte varie sottocategorie, come: a) l'aspetto corporeo, che può servire a segnalare la specie, lo stato di arousal sessuale, le emozioni, l'aggressività, l'eccitazione (in questa categoria vengono comprese anche le variazioni di colore della cute che possono segnalare emozioni o aggressività);b) i comportamenti spaziali, variabili tra specie e specie e in funzione della situazione ambientale, che possono contribuire a segnalare le distanze interindividuali e il territorio; c) le espressioni facciali, di grande importanza in particolare nei Primati, in cui si ha un'espressività estremamente sviluppatad) la direzione dello sguardo e le sue caratteristiche, che riflettono l'atteggiamento generale dell'animale divengono segnali sociali di notevole importanza: ad esempio in molte specie uno sguardo diretto e fisso negli occhi di un altro animale può essere un segnale di minaccia;e) gesticolazioni, che possono avere significato di minaccia, di rappacificazione, di invito, ecc. È interessante notare come spesso negli scimpanzé siano presenti gesticolazioni assai simili a quelle umane;f) postura: come venne già notato da Darwin (1872), il modo in cui l'animale si muove e le sue differenti posture possono riflettere il suo stato emotivo o sociale.Un secondo canale di grande importanza è quello vocale, che ha il vantaggio di poter essere ricevuto a notevole distanza senza comunicare necessariamente la posizione dell'individuo che lo emette. In questa categoria rientrano molti segnali di allarme, ma anche molte vocalizzazioni di corteggiamento. Ovviamente, gli animali più noti per le loro vocalizzazioni sono gli uccelli, in alcuni dei quali esse hanno un notevolissimo grado di sofisticazione, ma questo canale è ampiamente utilizzato anche dai Primati, in particolare dagli scimpanzé, che hanno un repertorio vocale abbastanza esteso.Il terzo canale, quello tattile, che nella nostra specie è spesso inibito, almeno nelle culture occidentali, ha anche grande diffusione negli animali. Esso permette ovviamente solo lo scambio di messaggi a brevissima distanza, ma ha notevole valore nelle interazioni sociali più intime, legate al riconoscimento individuale. Ad esempio si potrà trattare delle pulizie sociali reciproche, di segnali di presentazione sessuale e in generale del contatto fisico come segnale affettivo o di rappacificazione.Il quarto canale, quello olfattivo-gustativo, è pure assai inibito nelle società occidentali, ma ha estrema importanza negli animali. Esso permette una grande varietà di segnali, che presentano inoltre una caratteristica persistenza nel tempo (l'escreto di determinate ghiandole può persistere a lungo nell'ambiente) e una tendenza alla diffusione. Tra i segnali chimici più frequentemente usati, ve ne sono di corteggiamento, di territorio, di allarme, di disponibilità sessuale, di aggressività, ecc. Comunque, nonostante i risultati veramente strabilianti di alcuni studi, è evidente la necessità di tracciare una linea di divisione tra l'uomo e gli altri organismi per quanto concerne le capacità di comunicazione: non vi possono essere dubbi che il linguaggio umano, nelle sue diverse forme, superi nettamente come complessità e flessibilità quello di qualsiasi altra specie.

La comunicazione non verbale umana: dove la natura incontra la cultura.

Occorre innanzitutto indagare le origini della CNV nell'esere umano. Secondo la psicologia ingenua la CNV è più spontanea e naturale della comunicazione verbale in quanto lascia trapelare stati d’animo anche contro la volontà ed è universale in quanto frutto dell’evoluzione filogenetica. A questo riguardo esistono posizioni differenti:- La concezione innatista e la teoria neuroculturale: La concezione innatista della CNV fa riferimento alla prospettiva di Darwin secondo cui le espressioni facciali sono il risultato dell’evoluzione della specie umana e per questo universali. Si tratta di espressioni che permangono per abitudine ma la cui utilità è ormai svanita ed esprimono emozioni ancestrali. Nello stesso ambito si è sviluppata la teoria neuroculturale, secondo cui esiste un “programma nervoso”

specifico per ogni emozione in grado di attivare l’azione coordinata dei muscoli facciali. Tale “programma nervoso” pur essendo prevalente può essere modificato o “inquinato” dalle cosiddette regole di esibizione, si tratta di regole apprese culturalmente e che consistono in: intensificazione, attenuazione, inibizione e mascheramento delle espressioni. In tal modo è possibile avere un controllo sulle espressioni facciali.- La prospettiva culturalista: Secondo la prospettiva culturalista, “ciò che è mostrato dal volto è scritto nella cultura”. In tal senso la CNV è appresa nel corso dell’infanzia al pari della lingua e quindi mostra differenze tra cultura e cultura. L’enfasi è posta sui processi di differenziazione.- La prospettiva dell’interdipendenza fra natura e cultura: Sia l’innatismo che il culturalismo sono visioni parziali e unilaterali che tengono conto di un unico punto di vista. Oggi prende sempre più piede una prospettiva della interdipendenza fra natura e cultura per spiegare la CNV. Le strutture nervose e i processi neurofisiologici connessi alla CNV sono organizzati in maniera differente da cultura a cultura. Tali strutture sono sia il sistema piramidale sia il sistema extrapiramidale, che agiscono in modo coordinato e sincrono e in tale attività si integrano sia processi elementari automatici, sia processi volontari e consapevoli. Pertanto la CNV pur essendo vincolata a processi automatici di base non esula da processi di regolazione volontaria. Proprio grazie a tale plasticità della CNV è possibile l’apprendimento delle diverse forme di CNV, attraverso processi di condivisione convenzionale. In tal modo osserviamo che alcune culture inibiscono la comunicazione emotiva incoraggiando condotte soppressive per es. in Giappone mentre nelle culture latine è incoraggiata la comunicazione emotiva.

· Rapporto fra comunicazione verbale e non verbale.Quando il destinatario interpreta un atto comunicativo del parlante fa riferimento, oltre che al codice linguistico, a una serie di sistemi non verbali di significazione e segnalazione come quello vocale, quello cinesico (movimenti del corpo, degli occhi e del volto), quello prossemico e quello cronemico. Ogni sistema contribuisce a definire una porzione di significato che partecipa alla configurazione del significato finale. Esistono due posizioni antitetiche in merito: a) una che contrappone dicotomicamente ciò che è linguistico da ciò che non è linguistico, b) un’altra che prevede processi di integrazione tra i diversi sistemi di segnalazione.- L’ipotesi della contrapposizione dicotomica fra linguistico ed extra-linguistico.Si tratta di una impostazione meccanicistica e additiva, in quanto ipotizza una distinzione dicotomica tra ciò che è linguistico e ciò che è extra-linguistico. Il significato emerge dalla semplice somma dl verbale con il non verbale. In tale prospettiva si è molto dibattuto su quanto ciascun elemento incida nella produzione di significato, da un lato c’è chi sostiene una netta predominanza del verbale sul non verbale dall’altra chi sostiene il contrario, alimentando notevolmente il concetto che vi sia contrapposizione tra i due aspetti. Le differenze tra verbale e non verbale sono state analizzate attraverso tre dimensioni:Funzione denotativa vs. funzione connotativa: Il verbale avrebbe il compito di denotare, in quanto il codice linguistico fornisce conoscenze in modo preciso e definito, mentre il non verbale avrebbe il compito di connotare non avendo funzione semantica bensì espressiva. Per cui il verbale fornisce la configurazione semantica della comunicazione mentre il non verbale fornisce il solo aspetto affettivo. Tale ipotesi risulta insostenibile in virtù della sintonia semantica.Arbitrario vs. Motivato: Il segno linguistico è arbitrario in quanto regolato da un rapporto di semplice contiguità, infatti basterebbe cambiare un semplice fonema e il significato cambia totalmente (es. lana / luna). Per contro gli elementi della CNV hanno un valore motivato, ovvero vi è un rapporto di similitudine tra l’unità non verbale e quanto viene detto.Digitale vs. Analogico: Il codice linguistico è considerato digitale in quanto i segni linguistici sono diacritici distintivi e oppositivi per es. tra luna e lana non vi è un continuum ma una precisa distinzione. La CNV è invece considerata analogica in quanto suscettibile di variazioni continue (emotive per es.).

- L’autonomia dei sistemi non verbali e la loro interdipendenza semantica. La prospettiva tradizionale appare ormai insostenibile poiché non spiega i fenomeni di composizione e articolazione del significato. Oggi prevale una concezione che rimanda a una interdipendenza fra i fenomeni verbali e quelli extra-linguistici, ovvero una visione integrata. Tale integrazione avviene grazie al processo della sintonia semantica. Tuttavia è bene ricordare che ognuno dei sistemi di segnalazione non verbale è dotato di una relativa autonomia, in quanto concorre in modo specifico e distinto a generare il profilo finale del significato. Tale autonomia rimanda al principio della modularità, poiché ogni sistema rimanda a un “modulo comunicativo” indipendente. Un modulo comunicativo è un processo di segnalazione dotato di specificità di dominio (classe di stimoli) e di dissociabilità funzionale (possibili dissociazioni funzionali specifiche). I contributi provenienti da ciascun sistema contribuiscono sincronicamente alla produzione del significato insieme alle caratteristiche contingenti della situazione. Entra in gioco qui l’interdipendenza semantica che è l’esito della sintonia semantica. Grazie a tale interdipendenza l’individuo ha la possibilità di attribuire pesi diversi alle singole componenti dell‘atto comunicativo. Egli può accentuare il valore di una componente rispetto a un’altra ponendo le condizioni per una focalizzazione di un determinato percorso comunicativo e per la definizione del fuoco comunicativo. Sintonia e interdipendenza semantica consentono al parlante di giungere a una attenta calibrazione situazionale, ovvero alla produzione del “Messaggio giusto al momento giusto”. Interdipendenza e sintonia semantica, focalizzazione comunicativa e calibrazione situazionale sono alla base dell’efficacia comunicativa.

· Il sistema vocale.La voce manifesta e trasmette numerose componenti di significato oltre alle parole. Nell’atto di pronunciare una parola vengono fuori gli elementi segmentali ovvero quelli linguistici, e gli elementi soprasegmentali ovvero quelli paralinguistici relativi al tono, al ritmo, all’intensità dell’eloquio. La sintesi degli aspetti verbali e non verbali della voce costituisce l’atto fonopoietico. Esso fa riferimento al canale vocale-uditivo e consente la trasmissione e la ricezione di segnali a distanza anche in assenza di visione, è caratterizzato da rapida evanescenza e assicura un feedback completo.- Le componenti della comunicazione vocale.La voce intesa come sostanza fonica è composta da una serie di fenomeni e processi vocali tra cui ricordiamo: a) i riflessi (starnuto, rutto, sbadiglio, ecc.), i caratterizzatori vocali (riso, piano, singhiozzo) e le vocalizzazioni (uhm, ah, eh); b) le caratteristiche extra-linguistiche che possono essere organiche (anatomia dell’apparato fonatorio) e fonetiche (modalità con chi è impiegato l’apparato fonatorio); c) le caratteristiche paralinguistiche ovvero quelle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia e che possono cambiare da situazione a situazione. Le caratteristiche paralinguistiche sono determinate da:1) Il tono. Esso è dato dalla frequenza fondamentale Fo. Più le corde vocali sono tese più acuto è il tono, viceversa il tono è più grave.2) L’intensità. E’ il volume della voce. E’ connesso all’accento enfatico con cui il soggetto intende sottolineare un determinato segmento comunicativo di un enunciato.3) Il tempo. Esso si differenzia in durata ovvero il tempo impiegato ad esporre un enunciato, velocità di eloquio ovvero il numero di sillabe al secondo comprese le pause, velocità di articolazione ovvero in numero di sillabe al secondo escluse le pause, la pausa intesa come interruzione del parlato che è distinta in pause piene (con vocalizzazioni uhm…, ehm…) e pause vuote (cioè periodi di silenzio).Quindi l’atto fonopoietico è composto da:Una componente vocale verbale: che comprende a) la pronuncia (fonologia), b) il vocabolario (lessico e semantica), c) la grammatica (morfologia e sintassi), d) il profilo prosodico (tonìa

conclusiva, interrogativa, esclamativa ecc.), e) la prominenza (rilievo enfatico o accentuazione di un elemento).Una componente vocale non verbale: che determina la qualità della voce di un individuo. Essa va intesa come “impronta vocalica” definita da a) fattori biologici (differenze fra uomo e donna, adulto e bambino ecc.), b) fattori sociali connessi alla cultura e la regione di provenienza o anche al ruolo professionale, c) fattori di personalità, connessi a tratti psicologici relativamente permanenti, d) fattori psicologici transitori collegati ad esperienze emotive o a fenomeni di discomunicazione quali menzogna, humour, ironia ecc.- La voce delle emozioni.Passiamo ora allo studio delle proprietà vocali per esprimere le emozioni, analizzando sia la fase di encoding che quella di decoding.Fase di encoding. In questa fase vengono esaminati e misurati i correlati acustici dell’espressione vocale delle emozioni per porre in evidenza come ogni emozione sia caratterizzata da un preciso e distinto profilo vocale. La collera ad esempio è caratterizzata da un incremento della Frequenza, da un aumento dell’intensità della voce, dalla presenza di pause molto brevi o assenti, da un ritmo elevato. Gli studi sull’encoding vocale delle emozioni conferma la capacità del sistema vocale di trasmettere autonomamente precise e distinte informazioni sugli stati affettivi dell’individuo. Fase di decoding. Le ricerche sulla fase di decoding concernono la capacità di riconoscere e inferire le emozioni del parlante prestando attenzione alle sole sue caratteristiche vocali. Da una rassegna della letteratura emerge un’accuratezza media nel riconoscimento pari al 60% (che scende al 56% eliminando le scelte corrette dovute al caso). Le emozioni più riconoscibili sono quelle negative come collera e paura in quanto legate alle condizioni di sopravvivenza degli individui.- Il silenzio. Il silenzio in quanto assenza di parola costituisce un modo strategico di comunicare ed il suo significato varia in relazione al contesto e alle situazioni. Il valore comunicativo del silenzio è da attribuire alla sua ambiguità in quanto può essere il segnale di un ottimo rapporto e di comunicazione intensa oppure di una pessima relazione e di una comunicazione deteriorata. Gli aspetti comunicativi del silenzio riguardano: 1) i legami affettivi (il silenzio può essere indice di un legame profondo), 2) la funzione di valutazione (il silenzio può indicare approvazione o dissenso), 3) il processo di rivelazione (il silenzio può manifestare qualcosa o nascondere qualcosa), 4) una funzione di attivazione (il silenzio può indicare una forte concentrazione mentale o distrazione). Il silenzio è governato da un complesso di standard sociali che costituiscono le regole del silenzio. In generale il silenzio è associato a situazioni sociali in cui la relazione fra i partecipanti è incerta, poco conosciuta, vaga o ambigua. Inoltre il silenzio è associato a quelle situazioni sociali in cui vi è una distribuzione nota e asimmetrica del potere sociale fra i partecipanti, può infatti essere indice di superiorità sociale o inferiorità e quindi indicare lo status. Il silenzio inoltre presenta importanti variazioni culturali, nelle culture occidentali il silenzio viene evitato in quanto percepito come minaccia, invece in quelle orientali il silenzio è inteso positivamente come momento di riflessione.

· Il sistema cinesico.Esso comprende i movimenti degli occhi e del volto (microcinesia) e i movimenti degli arti e del busto (macrocinesia). I nostri movimenti non sono soltanto strumentali alle esecuzione di un compito o un’azione ma implicano la produzione e trasmissione di significati.- La mimica facciale.I movimenti del volto costituiscono un sistema semiotico privilegiato in quanto il volto è una regione elettiva del corpo per attirare l’attenzione e l’interesse altrui. Essi possono manifestare stati mentali, emozioni e atteggiamenti. Ipotesi globale e ipotesi dinamica delle espressioni facciali. Un primo aspetto degno di nota riguarda i meccanismi sottesi alla produzione delle espressioni facciali. L’ipotesi globale ritiene che le configurazioni espressive del volto per manifestare i diversi

stati emotivi sono Gestalt unitarie e chiuse, universalmente condivise, sostanzialmente fisse, di natura discreta, specifiche per ogni emozione e controllate da definiti e distinti programmi neuromotori innati. In tale visione si distinguono due livelli di analisi: 1) Livello molecolare, che riguarda i movimenti singoli e distinti dei muscoli facciali, 2) Livello molare, ovvero la configurazione finale che ne risulta (Ekman). Ekman e Frisen hanno elaborato il Facial Action Coding System (FACS) in riferimento al livello molecolare. Con questo sistema hanno individuato un continuum dei movimenti facciali in 44 unità di azione mediante le quali è possibile analizzare 7000 espressioni facciali nelle loro combinazioni. La teoria neuroculturale di Ekman ha combinato insieme il livello molecolare e il livello molare, attribuendo al primo l’azione del programma nervoso e affidando al secondo le regole di esibizione e modificazione dell’espressione emotiva. In alternativa a questa visione meccanicistica e additiva è stata proposta l’ipotesi dinamica per illustrare la genesi delle espressioni facciali. Essa prevede un processo sequenziale e cumulativo in ogni espressione facciale in quanto risultato dell’integrazione dinamica degli esiti delle singole fasi di valutazione della situazione interattiva ed emotiva. Le espressioni facciali costituiscono dunque configurazioni motorie momentanee, dotate di una notevole flessibilità e variabilità in virtù delle diverse situazioni e contesti.

Il valore emotivo vs. comunicativo delle espressioni facciali. Nell’ambito della psicologia culturale e cross-culturale delle espressioni facciali sono sorte due prospettive: una emotiva e una comunicativa. La prospettiva emotiva ritiene che le espressioni facciali hanno prevalentemente un valore emotivo in quanto sono immediate, spontanee e involontarie. Vi è isomorfismo tra espressione facciale ed emozione. L’emozione intesa come categoria e la relativa espressione facciale corrispondono ad una Gestalt unica, da qui i concetti di invariabilità culturale e universalismo. Secondo Ekman, sostenitore di tale prospettiva, le espressioni facciali sono un “segnale panculturale distintivo per ogni emozione”. Una versione più “debole” della prospettiva emotiva è l’ipotesi dell’universalità minima ovvero l’ipotesi secondo cui esiste un certo grado di somiglianza tra culture diverse nel riconoscimento delle emozioni senza però prevedere un sistema di segnalazione innato delle emozioni. In opposizione alla prospettiva emotiva si pone la prospettiva comunicativa. In questa prospettiva le espressioni facciali hanno un valore eminentemente comunicativo poiché manifestano le intenzioni del soggetto il quale manifesta le diverse espressioni a seconda dei contesti e delle situazioni. Le espressioni facciali hanno valore sociale in quanto attraverso di esse i soggetti comunicano i loro obbiettivi e il fatto che tali espressioni permangano anche quando si è da soli è spiegato con il concetto della socialità implicita. Questa prospettiva pone una distinzione tra le espressioni facciali e stati interni in quanto non tutto ciò che appare sul volto è manifestazione di stati interni, inoltre ogni stato interno può essere espresso in modi differenti. Scompaiono dunque espressioni come “espressione autentica” ed “espressione falsa” in quanto ogni espressione è “messaggio”. Il contesto assume una notevole importanza in questa prospettiva, infatti un’espressione facciale estrapolata dal suo contesto può risultare molto difficile da interpretare. La prospettiva comunicativa però non si contrappone in maniera imprescindibile dalla prospettiva emotiva anzi il dibattito attuale propone un’integrazione di quest’ultima nella prima.Il sorriso. Il sorriso è uno dei segnali fondamentali della specie umana. Esso è simile filogeneticamente al “mostrare i denti in silenzio” delle scimmie come atto di sottomissione per acquietare e rasserenare il partner. Ekman e Frisen hanno individuato diciannove configurazioni diverse di sorriso tra cui ricordiamo il sorriso spontaneo (sorriso di Duchenne) in cui sono coinvolti tutti i muscoli facciali e vengono mostrati i denti, o il sorriso simulato (sorriso non-Duchenne) che coinvolge solo i muscoli zigomatici senza una partecipazione completa del volto. Studiosi come Darwin ed Ekman ritengono che il sorriso sia associato ad una esperienza di gioia o felicita, ciò però non sembra corretto in

quanto non sempre tali emozioni si esprimono con il sorriso ovvero non c’è un legame necessario tra sorriso e d emozioni. Il sorriso è invece connesso all’interazione sociale in quanto promotore dell’affinità relazionale e regolatore dei rapporti sociali.Lo sguardo.Al pari del sorriso lo sguardo rappresenta un potente segnale comunicativo a livello non verbale. L’occhio è una struttura nervosa molto complessa infatti sei dei dodici nervi cranici sono coinvolti nell’attività oculare. Inoltre i muscoli extraoculari sono i più innervati dell’organismo. La percezione visiva di un altro individuo è basilare per la sopravvivenza individuale e della specie. In particolare il contatto oculare (o sguardo reciproco) aumenta l’attivazione nervosa in molte specie, compresa quella umana.Sguardo e conversazione. Nelle culture occidentali, durante la conversazione quotidiana, lo sguardo occupa una posizione preponderante e serve a catturare l’attenzione e l’interesse dell’interlocutore e a inviare e ricevere informazioni. Lo sguardo è un segnale efficace per gestire la regolazione dei turni. Lo sguardo funge da segnale di appello col quale si mostra la propria disponibilità a iniziare un’interazione. Nell’ambito della regolazione dei turni lo sguardo svolge una funzione di sincronizzazione (per evitare sovrapposizioni nell’avvicendamento dei turni), di monitoraggio (come dispositivo di controllo dell’interazione) e di segnalazione (mezzo con cui manifestare le proprie intenzioni).Lo sguardo e la gestione dell’immagine personale. L’uso dello sguardo è inoltre strettamente legato alla determinazione di una propria immagine personale. Esso dimostra maggiore competenza, intelligenza, credibilità infatti si ha la convinzione (erronea) che chi guarda negli occhi non dica menzogne. Lo sguardo inoltre regola i rapporti di vicinanza e distanza nella gestione dell’intimità. Con lo sguardo possiamo cercare e ottenere consenso al proprio punto di vista in una conversazione. Anche le emozioni influiscono sullo sguardo nel senso che le emozioni positive incrementano i contatti oculari mentre quelle negative provocano un abbassamento dello sguardo.La fissazione oculare. La fissazione oculare è un sguardo prolungato fra due persone che non può essere ignorato. Esso può avere valore diverso a seconda delle situazioni, dei contesti e delle culture. Può essere percepito infatti come minaccia di pericolo da cui l’avvertenza popolare di non guardare in faccia agli estranei oppure nell’ambito della seduzione come “colpo di fulmine” o “amore a prima vista”.I gesti. I gesti, a differenza degli altri movimenti, sono azioni motorie coordinate e circoscritte, volte a generare un significato e a raggiungere uno scopo. E’ opportuno procedere a una classificazione dei gesti anche allo stato attuale non c’è una categorizzazione condivisa tra gli studiosi.Tipologia dei gesti:a) Gesticolazione (gesti iconici o lessicali). Tali gesti sono definiti anche “illustratori” in quanto accompagnano il discorso. Possono essere “iconici” quando si riferiscono a realtà concrete o “metaforici” quando si riferiscono a concetti astratti. I questa categoria rientrano i gesti regolatori che servono alla sincronizzazione degli scambi nel corso della conversazione. Tutti questi gesti sono poco o per nulla convenzionalizzati in quanto ogni individuo tende a realizzare la propria serie idiosincratica di gesti.b) Pantomima. Sono i gesti che costituiscono l’imitazione o rappresentazione motoria di un’azione, di una scena o di una situazione.c) Emblemi (gesti simbolici). Sono gesti notevolmente convenzionalizzati come il segnale OK. Sono gesti solitamente compiuti a distanza e in assenza di linguaggio.d) Gesti deittici. Sono movimenti di norma compiuti con l’indice, con le mani o con lo sguardo per indicare un certo oggetto, una direzione o un evento a distanza. Anch’essi sono notevolmente convenzionalizzati.

e) Gesti motori (o percussioni). Sono movimenti semplici, ripetuti in successione e ritmici (per es. il tamburellare con le dita) che possono o meno accompagnare il discorso. Possono essere gesti di auto-contatto o di auto-manipolazione e anche se molto diffusi sono poco convenzionalizzati.f)Linguaggio dei segni. E’ il linguaggio utilizzato dai sordomuti e ha le proprietà di un linguaggio vero e proprio in termini di arbitrarietà nella relazione fra segno e referente. E’ pienamente convenzionalizzato all’interno della comunità dei partecipanti ed è interessante notare che ogni linguaggio dei segni presenta variazioni dialettali in funzione delle comunità locali.g) Gesti batonici. Sono movimenti effettuati allo scopo di sottolineare la comunicazione verbale, per richiamare l'attenzione dell'interlocutore o per dare enfasi a ciò che viene detto.h) Gesti pittografici. Sono azioni motorie che riproducono le sembianze dell'oggetto che sis ta descrivendo allo scopo di integrare la comunicazione verbale raffigurando le caratteristiche, le dimensioni e le qualità fisico-spaziali del referente.i) Gesti espressivi. Sono movimenti prodotti allo scopo di manifestare l'atteggiamento, i sentimenti e le emozioni del parlante in relazione all'interlocutore, alla situazione interattiva, alla relazione o al referente.Gesti e parole. I gesti contribuiscono in maniera attiva alla precisazione del significato di un enunciato. Essi costituiscono un modo spaziale di rappresentazione simbolica e integrano il percorso proposizionale del significato attivato dal linguaggio, infatti il parlante produce gesti anche in assenza dell’interlocutore (per es. al telefono). E’ interessante notare che nell’afasia scompaiono simultaneamente il linguaggio e i gesti iconici associati. I gesti iconici e pittografici rendono più preciso e completo un significato in quanto possono offrire una rappresentazione spaziale di ciò che si sta enunciando o descrivendo. Inoltre i gesti hanno un valore pragmatico in quanto costituiscono dei marcatori dell’atteggiamento, possono infatti trasmettere irritazione, perplessità, disapprovazione di quanto un altro sta dicendo. Gesto e discorso sono generati simultaneamente dalla stessa rappresentazione di ciò che si comunica, manifestano la stessa intenzione comunicativa.Gesti e culture. I gesti, più degli altri sistemi non verbali, presentano notevoli variazioni culturali. Infatti anche i cenni di dire sì o no col capo non sono universali, per esempio in Europa settentrionale scuotere il capo in senso verticale vuol dire si e in senso orizzontale vuol dire no, in Bulgaria accade il contrario oppure in Italia meridionale un colpo di testa all’indietro vuol dire no.Altro esempio: il gesto della mano a borsa, pressoché sconosciuto in Inghilterra, ha un significato di interrogazione e perplessità nell’Italia meridionale, significa "buono!" in Grecia, "lentamente" in Tunisia, "paura" nella Francia meridionale e "molto bello!" presso alcune comunità arabe

Il sistema prossemico e aptico.Il sistema prossemico e il sistema aptico sono sistemi di contatto. La prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio della distanza e del territorio nei confronti degli altri; l’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con gli l’altro.- Prossemica e territorialità.L’uso dello spazio e della distanza implica un equilibrio instabile tra processi affiliativi (di avvicinamento) ed esigenze di riservatezza (di distanziamento). Viviamo dunque cercando il contatto con gli altri quindi la vicinanza spaziale ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di difendere il nostro spazio personale, la nostra privatezza. Questo equilibrio tra distanza e vicinanza è mediato attraverso la gestione della propria territorialità. Il territorio è un’area geografica che ha importanti risvolti psicologici. Esso si distingue in territorio pubblico e territorio domestico. Il primo è regolato da norme e vicoli ufficiali, il secondo è il territorio in cui l’individuo sente la libertà di muoversi in maniera regolare e abituale. Il territorio pubblico e quello domestico sono divisi da confini ben precisi sia fisici che psicologici. Il territorio pubblico può essere “marcato” attraverso la CNV, quindi attraverso segnali ben

precisi. La gestione del territorio concerne anche la regolazione della distanza spaziale, che è un buon indicatore della distanza comunicativa tra gli individui. Solitamente distinguiamo tra:Zona intima: (da 0 a 0,5 metri circa), è la distanza delle relazioni intime, ci si può toccare e si può sentire l’odore dell’altro.Zona personale: (da 0,5 a 1 metro circa), è l’area invisibile che circonda continuamente il nostro corpo, è possibile il contatto ma non è possibile sentire l’odore dell’altro.Zona sociale: (da 1 a 3 metri circa), è la zona dei rapporti meno personali ma dove l’individuo sente di potersi muovere liberamente senza essere toccato.Zona pubblica: (oltre i 3 metri), è la distanza tenuta in situazioni pubbliche.La distanza ha un alto valore comunicativo in quanto può favorire l’intimità o comunicare la propria disposizione a relazionarsi o meno con l’altro. Anche la prossemica presenta notevoli differenze culturali e in generale possiamo distinguere tra culture della vicinanza (in cui la distanza interpersonale è ridotta, angolazione diretta e la distanza è valutata come freddezza e ostilità) e culture della distanza (in cui a distanza interpersonale è grande, angolazione obliqua e ogni riduzione spaziale è percepita come invasione).- L’aptica e il contatto corporeo.L’aptica concerne le azioni di contatto corporeo nei confronti di altri. Si tratta di un bisogno fondamentale nella specie umana ma anche in quella di alcune specie animali. L’attività di grooming nelle scimmie occupa gran parte della giornata e serve a stabilire rapporti di affiliazione, di dominanza o sottomissione. Il tatto nel bambino piccolo è il principale veicolo comunicativo sia fisiologico (allattamento) che psicologico (rassicurazione). Nell’ambito dell’aptica distinguiamo le sequenze di contatto reciproco, che consistono nella successione di due o più azioni di contatto, e il contatto individuale che è unidirezionale ed è rivolto da un soggetto a un altro. Per entrambi i tipi di contatto distinguiamo regioni del corpo “vulnerabili” e “non vulnerabili”, le prime possono essere toccate solo dagli intimi o dagli specialisti, le seconde come mani, spalle, braccia possono essere toccate anche dagli estranei. Toccare gli altri comunque è un atto comunicativo non verbale che influenza la qualità della relazione tra due individui. Presso molte società nei rapporti amorosi il contatto corporeo invia segnali di affetto e di attrazione sessuale quindi tali atteggiamenti in pubblico comunicano un segno di legame che individua la coppia che desidera essere lasciata sola. Il contatto può anche regolare rapporti di dominanza e potere poiché di solito chi occupa una posizione sociale dominante può toccare chi ritrova in una posizione di minor potere e non viceversa. In numerose culture il contatto è regolato da rituali, come per esempio nella società occidentale le congratulazioni nello sport, la stretta di mano in occasioni convenzionalizzate (religiose o laiche). Il contatto corporeo ha una molteplicità di effetti, spesso fra loro contrapposti: la persona che tocca, in generale, può essere ritenuta cordiale, disponibile ed estroversa e, di norma, suscita simpatia; al contrario, può suscitare reazioni negative di fastidio e di irritazione fino a giungere a risposte di collera nel caso in cui il contatto sia percepito come una forma di invasione. Esistono però anche per l’aptica notevoli differenze culturali. Anche in questo caso possiamo distinguere le culture del contatto (arabe e latine) dalle culture del non contatto (nordiche, giapponese e indiana).

Il sistema cronemico

La cronemica concerne il modo in cui gli individui percepiscono e usano il tempo per organizzare le loro attività e per scandire la propria esperienza. La cronemica fa parte della cronobiologia ed è influenzata dai ritmi circadiani ovvero quei cicli fisiologici e psicologici del soggetto nelle 24 ore. Distinguiamo i cicli infradiani (cicli superiori a un giorno come il ciclo mestruale) e i cicli ultradiani (diversi cicli al giorno come il ritmo respiratorio). Tali ritmi sono influenzati da agenti sincronizzatori ambientali tra cui il più importante e il ciclo luce/buio. Ma esistono anche numerosi sincronizzatori connessi a fattori culturali, per cui possiamo distinguere tra culture veloci e culture lente.

Le prime più tipicamente occidentali sono caratterizzate da clima freddo, orientamento individualistico teso al successo, progettualità orientata al futuro, equiparazione tempo/denaro, tendenza a svolgere un’attività alla volta nel minor tempo possibile. Le seconde invece sono più ancorate al presente e al passato, sono caratterizzate da clima più caldo, bassa industrializzazione, possibilità di svolgere pi attività contemporaneamente senza porsi limiti temporali, importanza notevole data alle pause come occasione di riflessione.Ogni soggetto è portatore di uno specifico ritmo personale, chedà per scontato essere uguale a quello degli altri; in realtà, lacomunicazione con soggetti che hanno ritmi biologici epsicologici differenti può generare distonie, sfasamenti e condizioni di disagio

Aspetto esterioreCaratteristiche fisiche. Si tratta di una categoria che comprende una serie di caratteristiche che in genere rimangono relativamente immodificate nel periodo dell'interazione e che hanno in comune il fatto di essere importanti stimoli non verbali non legati ai movimenti. Vi possono essere fatti rientrare l'aspetto generale del corpo, la sua maggiore o minore attrattiva, l'altezza, il peso, il colore della pelle, gli odori del corpo e dell'alito. Questi ultimi segnali sfuggono forse in parte alla regola della stabilità durante l'interazione a cui abbiamo accennato, dato che gli odori del corpo possono modificarsi ad esempio in seguito a variazioni dello stato emotivo; inoltre, i segnali olfattivi, la cui importanza è stata a lungo trascurata nella nostra cultura (sebbene in realtà il tentativo "culturale" di eliminarli con deodoranti e simili costituisca una dimostrazione della loro importanza) possono portare dei messaggi piuttosto complessi come ad esempio riguardo al riconoscimento individuale della madre nei bambini.La socio-etnografia della percezione interpersonale ha messo in evidenza l'estrema variabilità culturale e genetica degli stereotipi riguardanti l'aspetto fisico e gli elementi statici del corpo altrui, mostrando al contempo l'emicità dei giudizi estetici e delle attribuzioni psico-sociologiche in relazione singoli tratti e alle Gestalt somatiche.Elementi dinamici dell'aspetto esteriore. Su questa tipologia, che contiene abbigliamento, acconciature, body-painting, tatuaggi, ecc. si condensano (almeno) quattro funzioni: oltre a quella pratica, evidentemente collegata all'utilizzo dell'abito e degli artefatti, per una comprensione antropologica non si può dimenticare quella simbolica (in quanto questi elementi possono definire e dare indicazioni circa l'appartenenza ad una determinata comunità, lo status e del ruolo sociale, civile, economico e religioso), quella estetica, legata al gusto dell'epoca e a canoni specifici delle diverse comunità e quella espressiva (la scelta dell'abito, degli accessori e di altri elementi variabili dell'aspetto fisico assumono spesso significati e vengono quindi scelti in relazione all'immagine che si vuole esprimere ed assumono valenze comunicative personali, sessuali, affettive, ecc...)

Le funzioni della comunicazione non verbale- La metafunzione relazionale della comunicazione non verbale.La CNV, come abbiamo già detto, contribuisce in maniera attiva alla produzione del significato accompagnando il sistema linguistico. Bisogna però precisare i limiti della CNV. Innanzitutto è necessario sottolineare un aspetto importante ovvero che la rappresentazione proposizionale appartiene soltanto al sistema linguistico, eccezion fatta per il linguaggio dei segni. Per cui la CNV può fornire soltanto una rappresentazione spaziale e motoria della realtà, ciò è dovuto a un grado limitato di convenzionalizzazione. Infatti esclusi i gesti emblematici, tutti i gesti sono poco o nulla convenzionalizzati. La CNV possiede inoltre un grado limitato di convenzionalizzazione non viene infatt insegnata in modo sistematico in nessuna cultura, ma viene lasciata a forme di apprendimento latente e implicito. Dobbiamo chiederci dunque come mai continuiamo ad usare la CNV. Non può essere spiegata con Darwin che definiva i gesti come “inutili vestigia di abitudini ancestrali” ma possiamo affermare che la CNV costituisce la componente relazionale della comunicazione. Infatti la comunicazione non è costituita soltanto da “che cosa” è comunicato (componente

proposizionale) ma anche dal “come” è comunicato (componente relazionale). Infatti nel comunicare non solo trasmettiamo consapevolmente informazioni agli altri ma intessiamo con loro relazioni sociali. Questa dunque è la funzione di base della CNV (metafunzione). Infatti i segnali non verbali servono a generare e sviluppare un’interazione con gli altri, a mantenere e rinnovare le relazioni nel corso del tempo, a cambiare o ad estinguere una relazione intervenendo nel processo di mediazione per la separazione. In generale l’efficacia relazionale della CNV dipende dalla stretta connessione tra interazione e relazione.- Le principali funzioni psicologiche della comunicazione non verbale.La CNV risulta fondamentale sul piano relazionale e interviene in diversi aspetti psicologici.La manifestazione delle emozioni e dell’intimità:Anzitutto al CNV serve a esprimere le emozioni. Infatti se esse fossero affidate esclusivamente al sistema linguistico non troverebbero modo di manifestarsi. Qualsiasi enunciato proposizionale può assumere significati moto diversi tra loro a seconda dei gesti, delle espressioni facciali e del tono con cui viene detto. L’insieme dei segnali non verbali fornisce un quadro generale da cui è possibile operare le opportune inferenze per l’attribuzione di una certa emozione all’interlocutore. I segnali non verbali di segnalazione e significazione presentano un certo grado di universalità in quanto i movimenti sottesi ai segni sono governati da strutture e meccanismi neurobiologici geneticamente definiti, ma anche una notevole variabilità dovuta a differenze culturali, di personalità e situazionale. I segni non verbali possono essere o meno sottoposti a un certo controllo, e possono variare da un grado assai ridotto di controllo a un grado elevato di volontarietà. Nel primo caso si tratta di esternalizzazione più o meno automatica di quanto il soggetto prova dentro di sé (per es. trasalire in caso di forte rumore) oppure in altre circostanze, per es. in situazioni ufficiali, formali e solenni, possiamo governare e gestire i segnali non verbali guidati da una precisa intenzione per raggiungere un determinato scopo. In modo analogo la CNV svolge una funzione fondamentale nelle relazioni d’intimità. Quando la distanza interpersonale si riduce, aumentano la frequenza e l’intensità dei sorrisi, dei contatti oculari e corporei; si riduce lo spazio prossemico, la voce diventa flessibile, modulata e calda, aumenta la sincronizzazione degli scambi.Relazione di potere e dominanza:Per la specie umana come per quella animale la CNV assume una funzione essenziale nella definizione, difesa e mantenimento della dominanza. Sono numerosi i segnali non verbali che stabiliscono rapporti di dominanza e sottomissione. L’abbigliamento, la postura, lo sguardo: per es. in molte culture ad esempio tenere il mento proteso in avanti è un segnale di dominanza, guarda più a lungo l’interlocutore, soprattutto mentre parla, tocca gli inferiori in modo più frequente come segnale di controllo; procede con un'articolazione chiara delle parole, ritmo veloce, volume abbastanza elevato e tono basso. Chi domina inoltre tiene il turno e interrompe più frequentemente gli altri per imporre il proprio ritmo di eloquio. Anche la territorialità è un segno non verbale di potere. Chi è dominante segnala la sua posizione con un uso attento dello spazio in termini di quantità e qualità. Dispone di uno spazio più ampio e limita notevolmente l’accesso agli altri. Le funzioni della CNV e i suoi rapporti con la comunicazione verbale. a) Ripetizione. La CNV può servire semplicemente a ripetere ciò che viene detto verbalmente. Ad esempio, se si spiega a una persona quale strada deve seguire per arrivare a un determinato luogo e contemporaneamente si indica con la mano la direzione da prendere, il segnale non verbale non fa che ripetere l'indicazione verbale. b) Contraddizione. Il messaggio non verbale può contraddire quello verbale. Ad esempio, l'affermare di non essere nervosi al momento di un colloquio importante può essere contraddetto dalla sudorazione delle mani o dal tremito degli arti. Molti ricercatori ritengono che, quando si ricevono messaggi verbali e non verbali in contraddizione tra loro, si tenda generalmente a dare maggiore affidamento a quelli non verbali; si ritiene infatti che i segnali non verbali siano più spontanei e più difficili da dissimulare o da fingere. In realtà, è probabilmente più corretto

affermare che certi comportamenti non verbali sono più spontanei e più difficili da fingere e dissimulare di altri e che vi possono essere notevoli differenze individuali nella capacità di mentire non verbalmente. Nel caso di due segnali contraddittori, entrambi non verbali, in generale ci si fida maggiormente di quello che viene ritenuto più difficile da simulare. Questa maggiore fiducia nei segnali non verbali sembra essere il prodotto di un apprendimento culturale, dato che a volte i bambini si fidano meno dei segnali non verbali che di quelli verbali, quando vi sia una contraddizione tra di essi. Alcune ricerche mettono invece in dubbio la teoria che in situazioni ambigue la fiducia maggiore venga attribuita ai segnali non verbali: si è notato infatti che la tendenza ad attribuire maggior peso agli stimoli verbali o a quelli non verbali sembra essere una caratteristica costante dell'individuo: certi soggetti davano costantemente maggior credito ai segnali verbali, altri a quelli non verbali. Ciò può essere determinato sia da esperienze precedenti che da fattori biologici, ad esempio dalla dominanza di un emisfero cerebrale. c) Sostituzione. Il comportamento non verbale può sostituire il messaggio verbale.Ad esempio, una persona depressa per una situazione di crisi può comunicare il proprio stato d'animo senza utilizzare alcuna vocalizzazione, ma semplicemente per mezzo di segnali non verbali; oppure, in una situazione di corteggiamento, l'irrigidirsi di uno dei partner può segnalare all'altro l'inopportunità del suo comportamento senza che venga utilizzato alcun messaggio verbale. d) Integrazione. Il comportamento non verbale può completare o integrare i messaggi verbali, ad esempio quando si parla con un superiore del propri insuccesso. Analogamente, rientra in questa funzione della CNV il segnalare a un'altra persona il modificarsi dell'umore o dell'atteggiamento. e) Accentuazione. La CNV può accentuare parti del messaggio verbale analogamente a quanto la sottolineatura fa per quello scritto: i movimenti del capo e delle mani sono frequentemente utilizzati a questo scopo, sebbene naturalmente visiano notevoli differenze sia culturali che individuali. In certi casi, l'accentuazione è invece tra due serie di segnali entrambi non verbali; ad esempio, Ekman (1971) ha notato che le emozioni vengono trasmesse soprattutto per mezzo delle espressioni facciali, ma che il livello di eccitazione viene invece segnalato in modo più affidabile dagli atteggiamenti del corpo.f) Regolazione interattiva. La CNV viene anche utilizzata per regolare il flusso comunicativo tra le persone che partecipano all'interazione. Un cenno del capo, un movimento degli occhi, un cambiamento di posizione o anche combinazioni di questi e altri segnali possono indicare a uno dei partecipanti all'interazione che può continuare a parlare, oppure di smettere perché l'altro partecipante vuole intervenire. In genere gli interlocutori si basano ampiamente, anche se inconsciamente, su tali feedback per verificare in che modo viene recepito ciò che stanno dicendo e per controllare se l'altra persona presta attenzione al discorso.

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