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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali Tesi di Laurea Il Teatro la Fenice: pianificazione, organizzazione e amministrazione della stagione di Carnevale - Quaresima 1878/1879 Relatore Prof. Pieremilio Ferrarese Co-relatore Prof. David Bryant Laureando Giulia Mattiello Matricola 812598 Anno Accademico 2011 / 2012
1
INDICE
Capitolo I Il sistema produttivo nel teatro d’opera italiano del 1800
1.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………………………………p.5
1.2 Il sistema produttivo: caratteri distintivi………………………………………………………………………………p.6
1.2.1 Il sistema produttivo nella prima metà dell’Ottocento……………………………………………….p.6
1.2.2 Il sistema produttivo nella seconda metà dell’Ottocento……………………………………………p.8
1.3 La proprietà e le modalità di conduzione teatrale a Venezia prima del 1800………………………..p.12
1.4 L’impresario…………………………………………………………………………………………………………………………p.16
1.4.1 Dall’impresario all’impresario-‐editore…………………………………………………………………………p.19
1.5 La stagione…………………………………………………………………………………………………………………………..p.27
1.5.1 Il personale interno al teatro………………………………………………………………………………………p.28
1.5.2 Le direzioni teatrali……………………………………………………………………………………………………..p.33
1.5.3 L’organizzazione della stagione d’opera……………………………………………………………………..p.35
1.5.3.1 Appalto della stagione…………………………………………………………………………….p.35
1.5.3.2 Scrittura della compagnia di canto………………………………………………………….p.37
1.5.3.3 Scelta dei soggetti e delle opere in funzione della compagnia…………………p.46
1.5.3.4 Stesura del libretto e composizione della musica……………………………………p.47
1.5.4 Il sistema amministrativo di una stagione d’opera……………………………………………………..p.48
1.6 Il pubblico…………………………………………………………………………………………………………………………….p.52
Capitolo II Il sistema produttivo del Teatro la Fenice nel 1800
2.1 Soggetti e struttura gestionale………………………………………………………………………………………………….p.55
2.1.1 La Nobile Società Proprietaria……………………………………………………………………………………p.57
2.1.1.1 L’amministrazione del teatro e il regolamento sociale…………………………....p.57
2.1.1.2 I conti consuntivi della Nobile Società Proprietaria………………………………….p.60
2.1.2 L’impresario……………………………………………………………………………………………………………….p.67
2.2.2.1 L’amministrazione spettacoli……………………………………………………………………p.69
2.1.2.2 Il bilancio dell’impresario…………………………………………………………………………p.70
2
2.1.3 La Pia Istituzione d’orchestra……………………………………………………………………………….……p.72
2.1.4 La scuola di Ballo……………………………………………………………………………………………………….p.73
Capitolo III L’organizzazione della stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879
3.1 Accordi preliminari……………………………………………………………………………………………………………………p.77
3.2 Appalto della stagione………………………………………………………………………………………………………………p.80
3.3 Scrittura della compagnia di canto…………………………………………………………………………………………….p.85
3.4 Scelta dei soggetti e delle musiche……………………………………………………………………………………………p.87
3.5 Predisposizioni tecniche: le ordinazioni…………………………………………………………………………………….p.88
3.6 Le prove…………………………………………………………………………………………………………………………………….p.89
3.7 Sorveglianza sul personale………………………………………………………………………………………………………..p.90
3.8 Il controllo…………………………………………………………………………………………………………………………………p.92
3.8.1 Affluenza di pubblico…………………………………………………………………………………………………p.92
3.8.3 Bilancio amministrazione spettacoli…………………………………………………………………………..p.99
3.8.4 Schema di circuito finanziario………………………………………………………………………………….p.101
Conclusioni……………………………………………………………………………………………………………………………………p.107
Bibliografia……………………………………………………………………………………………………………………………………p.113
Allegati………………………………………………………………………………………………………………………………………….p.114
3
Premessa
Questo studio ha come scopo quello di descrivere il sistema produttivo del teatro d’opera
dell’Ottocento, soffermandosi su quello che, ieri come oggi, ne rappresenta il cardine: la stagione
d’opera.
Per prima cosa, tracceremo i caratteri generali del sistema, i soggetti che ne facevano parte e le
modificazioni avvenute a seguito dell’Unità d’Italia. Poi, ci soffermeremo sulla stagione e sui momenti
organizzativi più complessi descrivendo regole, contratti e consuetudini teatrali. Infine, porteremo un
esempio concreto di organizzazione di una stagione. La scelta è ricaduta sul Teatro la Fenice di Venezia
perché uno dei teatri principali nel panorama musicale italiano del 1800 e perché nell’Archivio Storico
del Teatro che è situato in Calle delle Schiavine, sono conservati e consultabili numerosi documenti
dell’epoca che permettono di ricostruire quanto avveniva nel passato.
È stato necessario scegliere una stagione in particolare e la decisione è ricaduta su quella di
Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879. Le ragioni sono due: prima di tutto perché la stagione di Carnevale-‐
Quaresima era quella più importante per il teatro e rappresentava, per chi se lo poteva permettere, il
periodo più atteso dell’anno. Dalla sera di Santo Stefano fino al martedì grasso, nobili, ufficiali di
guarnigione, funzionari, avvocati, medici e studenti universitari, si riunivano a teatro e
chiacchieravano, si facevano visita da un palco all’altro, mangiavano, bevevano e giocavano. Per
quattro o cinque sere la settimana, il teatro diventava il centro della vita sociale. La seconda
motivazione è di carattere pratico: per ricostruire il circuito finanziario della stagione è necessario
avere il bilancio dell’impresario. Si tratta di un documento difficile da reperire perché, generalmente,
l’impresario lo portava con sé al termine della stagione. Si è proceduto con una ricerca sistematica nei
materiali contenuti nell’Archivio Storico del Teatro la Fenice fino a che non si è trovato un bilancio.
Segnaliamo che nell’arco di 10 anni di amministrazione, dal 1870 al 1880, l’unico bilancio reperibile è
quello dell’impresario Giuseppe Brunello che prenderemo in esame.
L’analisi è stata realizzata usando quasi interamente fonti primarie reperibili presso l’Archivio
Storico del Teatro la Fenice, tramite cui descriveremo i soggetti coinvolti nella realizzazione della
stagione, in che rapporto stavano tra loro e quali obiettivi perseguivano. Ci soffermeremo sugli esiti
raggiunti in termini di successo di pubblico ma anche di risultato economico-‐finanziario, perché oltre al
bilancio dell’amministrazione spettacoli, redatto dall’impresario, è stato possibile consultare la
4
corrispondenza, il contratto d’appalto, i conti a preventivo e a consuntivo del teatro e i quotidiani
dell’epoca 1 . Per avere informazioni generali sui sistemi di organizzazione, legislazione e
amministrazione di una stagione d’opera nell’Ottocento è stato possibile consultare due manuali
dell’epoca: il libro scritto da Giovanni Valle dal titolo «Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali»
(1859) e quello di Enrico Rosmini «La legislazione e la giurisprudenza dei teatri» (1872). Infine, per
avere informazioni sulla critica e su come venivano accolti gli spettacoli da parte del pubblico si sono
consultati i periodici musicali quali «Il Teatro Illustrato», edito da Sonzogno, e la «La Gazzetta musicale
di Milano», edita da Ricordi.
1 In particolare la Gazzetta di Venezia in formato consultabile in formato digitale (jpg.).
5
I IL SISTEMA PRODUTTIVO NEL TEATRO D’OPERA ITALIANO DEL 1800
1.1 Introduzione
Il teatro d’opera, oltre a rappresentare il centro della vita sociale nella città italiana, era la più
importante delle forme organizzative su cui si fondavano la produzione ed il consumo della musica
nell’Italia dell’Ottocento2.
I suoi caratteri costitutivi, la sua storia e il suo sviluppo sono stati condizionati dal carattere
«policentrico» 3 dell’Italia che, almeno fino all’Unità raggiunta nel 1861, si presenta con una
molteplicità di centri e di istituzioni locali diversi per tradizione artistica, struttura politica e sistema
amministrativo4.
Vitale per la prosperità del sistema operistico era lo scambio di artisti, drammi e partiture fra teatri
e centri diversi. Le città di importanza primaria in questo senso, e che già allora vedevano alternarsi
sulle scene capolavori che sopravvivono fino ai giorni nostri, sono Venezia, Milano, Roma e Napoli. Ad
un gradino più basso troviamo Firenze, Bologna, Torino e Genova. Il meridione, è separato dal resto
dell’Italia perché, pur avendo teatri importanti come quelli di Palermo e Catania, non vede prime
rappresentazioni di rilievo5. Nessuna città poteva vantare un primato permanente ma ciascuna visse
momenti di prestigio.
In questo contesto così diversificato, il sistema produttivo al quale fare riferimento era quello
impresariale6 che, formatosi nella Venezia del 1600, resistette fino alle guerre e rivoluzioni che
agitarono il primo sessantennio del 1800; a metterlo in crisi sarà, dopo l’Unità, il mutamento profondo
delle strutture politiche, sociali ed economiche del “paese”: la contrazione del mercato operistico è
2 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 38. 3 L. BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia -‐ geografia, caratteri, storia, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 3. 4 Si consideri che, con il riassetto politico-‐territoriale del congresso di Vienna del 1815, l’Italia è ancora composta da dieci Stati. Tuttavia, sotto i governi reazionari della Restaurazione, si assiste ad un considerevole incremento dell’edilizia teatrale: sono circa un centinaio le sale costruite dal 1821 al 1847. 5 F. DELLA SETA, Italia e Francia dell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 4. 6 L’iniziativa privatistica e particolaristica prevalse, nel corso dei secoli, su qualsiasi altra forma di gestione. L’impresario, rimase il “motore” dell’organizzazione teatrale dal 1600 fino al 1800 con l’appoggio dell’autorità in quel momento al potere. Inizialmente gli era garantito il contributo diretto o indiretto da parte del governo locale; nel 1700 a garantire le attività furono società di cavalieri o di nobili cittadini mentre nel 1800 ci furono i governi della Restaurazione.
6
nettissima appena si manifestano le ricorrenti crisi di uno stato moderno in un paese arretrato e
povero, con la tendenziale diffidenza delle sinistre nei confronti di uno spettacolo elitario e
dispendioso come l’opera in musica.
1.2 Il sistema produttivo: caratteri distintivi
Parliamo di sistema produttivo dell’opera lirica perché il tema dell’opera come industria era in
discussione nel corso del secolo, tanto che proprio Cavour giunse a definire l’opera come «una vera
grande industria con ramificazioni in tutto il mondo»7. L’opera dava lavoro a chi lavorava in teatro ma
anche ai dipendenti di industrie sussidiarie, stimolava il commercio, il turismo e la circolazione di
moneta. Il carattere principale di questa industria era quello di essere incentrata sul ceto benestante.
Nobili e aristocratici fornivano le risorse finanziarie ad un impresario perché concretamente
realizzasse quello che per loro era un divertimento.
In questo capitolo cercheremo di descrivere le caratteristiche del sistema produttivo impresariale,
mettendone in evidenza gli attori e soffermandoci sulle modificazioni più significative avvenute dopo
l’Unità d’Italia. Dopo aver tracciato brevemente il contesto storico all’interno del quale avveniva la
produzione, parleremo delle modalità di conduzione del teatro, della proprietà, del ruolo
dell’impresario e infine, della realizzazione della stagione d’opera.
1.2.1 Il sistema produttivo nella prima metà dell’Ottocento
Il teatro d’opera era una manifestazione che esprimeva la struttura gerarchica della società
italiana, nella quale predominava il ceto benestante. L’aristocrazia con le sue finanze sosteneva il
lavoro dell’impresario, concedendogli l’appalto del teatro e i mezzi per far fronte non solo alle spese
per l’organizzazione della stagione ma anche all’eventualità, molto frequente all’epoca, di chiudere la
stagione in perdita.
In quanto espressione di una società rigidamente organizzata e conservatrice (tabella 1), il teatro
assumeva per molteplici aspetti un carattere gerarchico: generi teatrali, stagioni, ma anche i teatri
stessi possono essere ordinati secondo questo stesso criterio8.
7 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 79. 8 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 79.
7
TABELLA 1: struttura gerarchica del sistema produttivo
GENERI TEATRALI
Opera seria: • alti costi di produzione • alto costo del biglietto • alta dotazione
Opera semiseria Opera buffa
TEATRI
Primari: • di rappresentanza • pubblico aristocratico • opera seria
Secondari: • spettacoli meno prestigiosi • pubblico meno aristocratico
STAGIONI
Carnevale-‐Quaresima Autunno Primavera, Estate
POSTI IN TEATRO
Palchi: • secondo ordine • primo e terzo ordine • altri ordini • platea
Per quanto riguarda i generi operistici, all’apice del sistema si trovava l’opera seria, seguita
dall’opera semiseria e buffa che si trovano ad un gradino inferiore sia dal punto di vista
dell’importanza dei temi trattati, che dal punto di vista economico. L’opera seria costava molto di più
rispetto alle altre perché scene e vestiari dovevano essere appropriati all’ambientazione storica della
vicenda rappresentata, i cantanti dovevano essere importanti e i cori e le comparse dovevano essere
numerosi. Tutto questo poteva avere delle conseguenze sul prezzo del biglietto che aumentava
sensibilmente, ma anche sulla sovvenzione fornita all’impresario che era maggiore se si trattava di
opera seria.
L’ordine più diffuso per quanto riguarda l’organizzazione delle stagioni, vedeva al primo posto,
quello più importante, la stagione di Carnevale e Quaresima seguita da quella di Primavera e Autunno;
saltuariamente, si potevano trovare anche brevi stagioni nel periodo estivo.
Carattere fondamentale del sistema:
PRINCIPIO GERARCHICO A TUTTI I LIVELLI
8
Tra i teatri si distinguevano i teatri primari, quelli di rappresentanza dove si dava l’opera seria e alla
quale partecipava l’aristocrazia, e quelli secondari, dove, man mano che si scendeva lungo la scala
delle stagioni, si davano spettacoli meno prestigiosi ed il pubblico diventava sempre meno
aristocratico.
All’interno del teatro stesso esisteva una gerarchia per quanto riguarda i posti sia nei palchi che in
platea. Il secondo ordine di palchi ad esempio, era sempre il più prestigioso ed era infatti quasi
esclusivamente occupato dalla nobiltà. Il primo e terzo ordine erano solitamente un po’ meno
importanti perciò erano occupati da nobili assieme a banchieri e professionisti come medici, avvocati
e funzionari. Mano a mano che si saliva, gli ordini sopra il terzo erano sempre meno importanti.
Realizzare il loggione levando i tramezzi dall’ultimo ordine di palchi, segnò l’ingresso delle classi
borghesi9 a teatro. Alla Fenice dove era forte l’influenza dei palchettisti nobili, si ritardò più che in altri
teatri questa trasformazione che avvenne solo nel 1878.
La presenza dell’aristocrazia era preminente non solo nei palchi, corridoi e camerini annessi ma si
estendeva anche alla platea dove i dipendenti dei nobili occupavano la maggior parte dei posti,
mentre la prima e talvolta la seconda fila erano riservate ai militari. Queste consuetudini vennero
progressivamente abolite dopo la dominazione francese (inizio ‘800).
Anche i prezzi per l’ingresso a teatro erano differenziati a seconda di chi vi accedeva. Fino al 1830 i
nobili pagavano di più dei cittadini e gli uomini più delle donne. Superate queste distinzioni,
permasero invece quelle tra borghesi e militari. Questi ultimi avevano generalmente uno sconto sul
biglietto e potevano entrare a teatro con un prezzo di favore.
1.2.2 Il sistema produttivo nella seconda metà dell’Ottocento
I moti rivoluzionari del 1848-‐1849 preceduti dalla crisi economica del 1847, contribuirono a far
tracollare il vecchio ordinamento della società italiana.
Troncate le stagioni, ridotte le paghe, falliti alcuni degli impresari più deboli e duramente scossi
tutti gli altri: questo il bilancio per l’industria operistica che non si riprese del tutto prima del 1854.
9 L’accezione “pubblico borghese” varia a seconda dell’epoca e del teatro. In generale, si trattava di avvocati e medici non molto in vista, di funzionari, ingegneri e forse qualche commerciante relativamente agiato. Era possibile inoltre trovare studenti e “forestieri”.
9
Una volta tornata la calma, si capì che le rivoluzioni avevano scosso irrimediabilmente le vecchie
gerarchie locali dalle quali erano dipesi i teatri e con esse, la vecchia ed indiscussa lealtà ai governi dei
singoli stati.
Questo rinnovarsi di strutture concettuali nelle classi superiori, si sovrappose ad altri mutamenti in
atto già da prima del 1848, come la maggiore circolazione di notizie ed informazioni grazie allo
sviluppo dell’editoria e del giornalismo (quotidiani, riviste, romanzi, ecc..) e alle associazioni
scientifiche e culturali. In Piemonte prima e poi nel resto del paese, ad unità avvenuta, la vita politica
divenne un ulteriore ambito di impegno civile, sia a livello nazionale che comunale.
Tutto questo indebolì il sistema produttivo dell’opera lirica nel momento di sua massima
espansione. Il teatro pian piano perdeva il posto centrale nella vita cittadina, con tempi e modi diversi
a seconda dei luoghi.
TABELLA 2: modificazioni del sistema produttivo nella seconda parte del 1800
AFFERMAZIONE CONCETTO DI REPERTORIO
Progressivo assestamento dei cartelloni
CESSIONE DEI TEATRI DA PARTE DEL NEO-‐NATO REGNO D’ITALIA AI RISPETTIVI MUNICIPI
Tagli delle sovvenzioni ai teatri costretti a rimanere chiusi per alcune stagioni. Esodo dei migliori artisti di canto e ballo
NASCITA DI TEATRI DI INIZIATIVA PRIVATA
Spettacoli a basso prezzo, accessibili a tutti
L’industria operistica andava via via perdendo la sua antica creatività: un numero d’opere sempre
minore riempiva i cartelloni a fronte di un aumentato numero delle rappresentazioni.
Il concetto di “opera di repertorio” era estraneo al settore dove l’opera, per definizione, era un
lavoro nuovo. Dopo il 1830-‐1840 si cominciavano a dare ovunque opere già rappresentate in altre
CRISI DEL CARATTERE FONDAMENTALE DEL SISTEMA
(PRINCIPIO GERARCHICO A TUTTI I LIVELLI)
10
città, ma l’uso di opere di repertorio finì con l’affermarsi alla metà del secolo; con esso cominciò ad
affievolirsi il ritmo di produzione di nuovi lavori.
Nel 1867 urgenti motivi economici costrinsero il governo a cedere i teatri ai rispettivi municipi.
Ogni singolo comune acquisiva così la facoltà di sostenere o meno il teatro di sua competenza con
delle sovvenzioni. I tagli imposti dal neonato Stato ai bilanci comunali, la precedenza conferita a spese
pubbliche di primaria importanza, le discussioni a sfondo politico-‐sociale riguardanti un’istituzione che
era giudicata un bene di cui pochi eletti potevano usufruire, indussero molto spesso i comuni a non
concorrere all’apertura del teatro che restava così privo di una forte fonte di entrata.
Oltre a questo, anche altri fattori contribuiscono a mettere in crisi il sistema produttivo che aveva
caratterizzato il teatro d’opera nel primo ottocento, primo fra tutti, la politica del non intervento
promossa dallo Stato in ambito teatrale: a fronte di spese per l’educazione dei cittadini nel
finanziamento di scuole, università, biblioteche e in controtendenza rispetto ad altri paesi vicini come
la Francia, il settore musicale fu del tutto trascurato. I provvedimenti in materia in ambito legislativo,
possono considerarsi saltuari: la tutela del diritto d’autore del 1865, la tassa del 10% sugli introiti lordi
degli spettacoli del 1868 e la legge sulla censura rimessa nelle mani dell’autorità prefettizia, inducono
a pensare ad uno Stato indifferente agli aspetti formativi e didattici non solo dell’istituto teatrale ma
più in generale al problema dell’educazione musicale del Paese.
Controprova di questo è il fatto che la musica è riconosciuta come materia scolastica solo nel 1900.
Viene in un primo momento trascurata dalla legge Coppino sulla scuola primaria dell’obbligo del 1877
e in seguito inserita tra le esercitazioni facoltative insieme con il lavoro, la ginnastica e il disegno, nei
decreti scolastici del 1888 (Boselli) e 1894 (Baccelli). Solo nel 1962 con la riforma della scuola media
ne è introdotto l’insegnamento vero e proprio. Anche in questo caso, restava delegata ai singoli
municipi la facoltà di intervenire autonomamente per colmare i vuoti legislativi del Ministero della
pubblica istruzione.
In conseguenza della raggiunta Unità è possibile ricavare una nuova “carta topografica”10 dell’ Italia
teatrale, dove ancora negli anni ’90, erano solo undici i teatri di prima categoria riservati all’opera su
un totale di 1055 teatri di lirica e di prosa, censiti in 775 comuni. Questi innumerevoli teatri di
provincia, offrivano spettacoli per lo più di repertorio e servivano come palestra per i giovani
10 L. BIANCONI. G. PESTELLI, Storia dell’opera italiana, vol.4, EDT, Torino, 1897, p. 171.
11
interpreti e compositori che volevano farsi strada nel settore. Indice del mutamento dei tempi e della
riduzione degli spazi rispetto al passato, il fatto che i musicisti esordienti cercassero di
autopromuoversi sborsando somme di denaro. Questa prassi risale al momento in cui prevale nella
produzione artistica il concetto di repertorio ed i giovani non potevano più avvalersi del sostegno una
volta accordato loro dagli impresari nella veste di talent scout.
Fra le cause di un omogeneo assestamento stagionale dei cartelloni e del progressivo calo delle
manifestazioni nelle stagioni estive ed autunnali nei teatri sovvenzionati, si possono menzionare: il
mutamento delle condizioni sociali della classe piccolo borghese e dei ceti intermedi, che pian piano
assumono l’egemonia a livello politico, e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, che favorirono
l’esodo dei migliori interpreti del nostro paese verso altre piazze anche di livello internazionale,
privando le imprese di uno dei maggiori elementi di attrattività per il pubblico.
Al fianco dei teatri lirici che rappresentavano il tradizionale schema gerarchico incentrato
sull’aristocrazia, tra il 1850 ed il 1860 sorgono nuovi grandi teatri interamente sostenuti dall’iniziativa
privata, nati con lo scopo di dare spettacoli di qualsiasi genere, a basso prezzo. Questi investimenti
rappresentavano una novità nella commercializzazione dell’opera lirica perché allargavano
l’accessibilità ad un diverso tipo di pubblico ma, allo stesso tempo, proponevano modelli
standardizzati e quindi un progressivo impoverimento dal punto di vista culturale.
Il loro scopo primario era quello di dare l’opera di repertorio ma potevano offrire anche spettacoli
equestri o acrobatici oppure, dopo 1870, l’operetta, nuovo genere ispirato al modello francese e
tedesco.
Proprio perché gestiti da privati, è più difficile rintracciare notizie sulla loro gestione rispetto ai
vecchi teatri, gestiti dai governi. Si può ipotizzare che i prezzi dei biglietti fossero inferiori almeno della
metà o dei due terzi nei settori più popolari. Il pubblico era probabilmente composto da bottegai,
piccoli funzionari, impiegati, bambini e funzionari di commercio; tutte persone che non ci si poteva
aspettare di trovare all’opera seria e non durante la stagione elegante.
Così lo schieramento gerarchico dei teatri e delle stagioni cominciò a modificarsi. L’opera seria
invase molti teatri un tempo dediti a generi minori e contemporaneamente il pubblico artigianale,
bottegaio, impiegatizio, si espanse, ma in gran parte verso i settori migliori dei nuovi teatri più o meno
popolari.
12
Nei vecchi teatri primari dominati dai palchettisti, il vecchio ordinamento gerarchico fu duro a
morire, anche se lentamente si assistette ad un adeguamento dettato dai tagli delle sovvenzioni e le
conseguenti chiusure nei tempi di crisi preferite alla scelta di mettere in scena spettacoli scadenti.
1.3 La proprietà e le modalità di conduzione teatrale a Venezia prima del 1800
A fondamento del sistema di produzione impresariale c’è la distinzione tra chi deteneva la
proprietà del teatro e chi invece si occupava della sua conduzione durante la stagione. Prima di
soffermarci sulla configurazione del sistema nel 1800, forniremo una panoramica della situazione nei
secoli precedenti per comprendere le premesse.
Nel corso del 1600 e del 1700 esistevano diverse modalità di conduzione di un teatro ed è possibile
rappresentarle sinteticamente a partire dalle tre figure dei proprietari, dei conduttori e dei
protettori11.
SCHEMA 1: modalità di conduzione del teatro d’opera nel 1600 e 1700
1. Proprietari
-‐ Produzione propria degli spettacoli
-‐ Produzione affidata a terzi
2. Conduttori
-‐ Impresario
-‐ Affittuario di un palchetto
-‐ Prestanome
3. Protettori
-‐ Finanziatori a fondo perduto
-‐ Finanziatori ‘interessati’
Tra i proprietari si potevano annoverare sia coloro che provvedevano in proprio alla produzione
degli spettacoli, sia quelli che si limitavano a riscuotere l’affitto del teatro e dei palchetti. La
11 F. MANCINI, M.T MURARO, E. POLVEDO, I teatri del Veneto, Corbo e Fiore-‐Regione Veneto, Venezia, 1996, pp. XX-‐XXIII.
13
motivazione che spingeva costoro ad occuparsi di affari teatrali risiedeva nell’immagine che ne
derivava e per il “controllo” che, tramite questi, potevano esercitare: l’attività teatrale in quanto
attività pubblica era qualificante agli occhi della città. Il profitto che si poteva trarne costituiva una
motivazione marginale tenendo presente soprattutto le ingenti perdite che frequentemente ne
derivano.
I conduttori erano i precursori dell’impresario ottocentesco anche se il termine, che indicava chi
organizzava per proprio conto una stagione teatrale rispondendone di tutto il suo patrimonio e
incorrendo spesso nella bancarotta, poteva essere esteso anche ad altre figure come ad esempio, chi
prendeva in affitto o subaffitto un palchetto (senza partecipare in alcun modo alla gestione) o i
prestanome. Questi ultimi si potevano incontrare soprattutto nei casi di stipulazione di un affitto di un
teatro o nei casi di rinnovo di un contratto oppure quando dirigevano una stagione d’opera per conto
di un nobile, che rimaneva alle loro spalle senza apparire in prima persona.
Nel caso in cui il conduttore, che gestiva in prima persona il teatro, fosse incorso in difficoltà
economiche poteva decidere di cedere il contratto in forza del quale organizzava l’attività teatrale a
terzi e questi ad altri ancora. Se il conduttore era un semplice prestanome o i nobili decidevano di
anteporre il prestigio sociale della famiglia all’aspetto economico, potevano decidere di sanare il
deficit di tasca propria.
L’ultimo caso, quello dei protettori, è uno dei più confusi e di difficile definizione a causa della
mancanza di documenti che ne definiscano in dettaglio le caratteristiche peculiari. Una distinzione che
si può fare è quella tra protettori veri e propri e protettori ‘interessati’. I primi intervenivano nel
finanziamento di una stagione teatrale a fondo perduto e senza alcun tornaconto personale, mentre i
secondi intervenivano aspettandosi un profitto dal proprio investimento e condizionando, in qualche
misura, la stagione stessa in base alla propria volontà ed aspettative.
Nel tempo, si configurarono due tendenze che coabitarono per buona parte del 1700 (anche se più
diffusa si rivelò in ultima analisi la prima): il protrarsi della tradizione fondata sul monopolio della
produzione teatrale di impronta nobiliare e familiare e l’inizio di un mutamento innovativo, che
tendeva ad imporre la figura dell’impresario come forza operatrice principale nel teatro musicale,
indipendente dalla figura del proprietario del teatro.
14
Affinché la loro coesistenza si modificasse a favore della diffusione dell’impresario era necessario
l’intervento, sul piano operativo, di una terza forza, quella dei palchettisti. La loro importanza crebbe
nella prima metà del Settecento, quando venne meno la figura del protettore come finanziatore
“occulto”. I palchettisti, nella loro duplice veste di pubblico e di proprietari, si erano assicurati il
godimento perpetuo o a lunga scadenza, con il diritto di subaffitto, di uno o più palchi ed erano i soli
che potevano contare su profitti sicuri e consistenti.
La richiesta e l’assegnazione dei palchi non avveniva secondo regole precise. Spesso venivano
prenotati in fase di progettazione del teatro o della sua rifabbrica, mentre l’acquisto vero e proprio
avveniva solo successivamente.
Nel 1800 il soggetto attorno al quale si regge la produzione degli spettacoli è l’impresario d’opera,
che gestisce il teatro dopo aver stipulato un contratto d’appalto con coloro che ne detenevano la
proprietà.
Per la realizzazione della stagione, l’impresario doveva rapportarsi necessariamente con i
proprietari dell’immobile che ospitava la sala teatrale. Tale proprietà poteva assumere diverse forme
che andremo ad analizzare basandoci sul manuale ottocentesco, scritto da Giovanni Valle, dal titolo
“Cenni teorico-‐pratici sulle Aziende teatrali”.
La prima distinzione che si può fare è tra teatri di proprietà libera o mista. Si parla di proprietà
libera quando l’intero immobile che costituiva il teatro, compresi i palchi, le logge, il materiale di
servizio del palcoscenico, eventuali abitazioni e negozi e stanze adiacenti alla sala teatrale,
appartenevano in toto al singolo proprietario; questo era però il caso meno frequente. La proprietà
era definita mista nei casi in cui il possesso dell’immobile era diviso tra i palchettisti, mediante la
corresponsione di un canone, che veniva stabilito tramite il concorso stesso dei comproprietari.
Questa era la tipologia che si incontrava di proprietà più di frequente.
Il teatro, come qualunque altro stabile, doveva appartenere a qualche istituzione o singolo
individuo. Esistevano diverse tipologie di possesso di un teatro che possono essere sinteticamente
suddivise in quattro classi.
15
SCHEMA 2: tipologie di proprietà dei teatri nel 1800
Il teatro poteva essere di proprietà:
1. del Governo, dello Stato o della Corona (Teatro Regio di Napoli)
2. della provincia, di una città o di un comune
3. «particolare» di famiglia o di persona (teatri romani)
4. sociale di palchettisti (Teatro la Fenice di Venezia)
Per quanto riguarda l’amministrazione, i teatri regi erano assoggettati a discipline e a regolamenti
propri, mentre in quelli di ragione sociale veniva istituita una commissione, formata da tutti o alcuni
dei palchettisti. Tale commissione si riuniva periodicamente ed era investita di diverse facoltà, che si
estendevano fin quando cominciavano le competenze specifiche delle direzioni interne al teatro, che
erano parte della sua struttura organizzativa. Di queste, parleremo più approfonditamente più avanti
nel corso della trattazione, in riferimento al caso specifico del Teatro la Fenice.
Le competenze della commissione erano molteplici e riguardavano la conduzione del teatro in ogni
suo aspetto. Responsabili del generale andamento delle attività, i soci avevano il compito di:
• stipulare i contratti d’appalto con gli impresari;
• fissare il contributo o la dote da corrispondere alle imprese appaltanti affinché avessero i
mezzi necessari per mettere in scena gli spettacoli;
• approvare o rifiutare i nominativi dei virtuosi sottoposti alla sua attenzione dall’impresario;
• scegliere le opere e i programmi dei balli;
• sorvegliare il generale andamento degli spettacoli;
• discutere e approvare bilanci preventivi e consuntivi;
• fissare il canone12 che ogni palchettista doveva versare nelle casse sociali.
12 Il canone è un’imposta che i proprietari dei palchi pagavano periodicamente per l’uso del loro palco a seconda delle modalità e dei tempi stabiliti dalla Commissione stessa. La proprietà dei rispettivi palchi era liberamente alienabile o trasmissibile.
Libera
Mista
16
Queste competenze, nei casi di proprietà nominati in precedenza, ovvero quando i teatri
appartenevano al governo, allo Stato o alla Corona, erano esercitate da un rappresentante
governativo. Il rappresentante doveva sottostare alla disciplina ed ai regolamenti propri
dell’amministrazione da cui dipendeva e, al fine della messa in scena degli spettacoli, otteneva delle
somme di denaro elargite dalla proprietà a cadenza annuale, o in modo straordinario.
1.4 L’impresario
L’impresario era la figura chiave per la realizzazione della stagione d’opera. «Motore»13 della
complessa organizzazione necessaria ad alimentare il circuito operistico, svolgeva il suo lavoro in
viaggio tra contatti, corrispondenza e negoziazioni. L’impresario d’opera era essenzialmente un
«mercante di contratti»14, un intermediario tra l’autorità dalla quale dipendeva il teatro (governo,
Stato, Corona o Società di Palchettisti) e tutte le maestranze che prestavano la loro opera per la
realizzazione della stagione.
Sempre in viaggio tra una città e l’altra dell’Italia, svolgeva il suo lavoro per corrispondenza,
negoziando da una parte con le autorità dalle quali dipendevano le proprietà dei teatri disponibili ad
appaltare e, dall’altra, con cantanti, ballerini, compositori e agenti per sondare chi era disponibile e a
quali condizioni. Generalmente non poteva contare su una propria compagnia o un proprio repertorio
di spettacoli già pronti per essere messi in scena, ma doveva organizzare ad ogni stagione una
compagnia che fosse in grado di rappresentare le opere fissate in cartellone (scelte in accordo con la
proprietà) e che incontrasse il gradimento dei proprietari del teatro. Egli doveva presentare
all’approvazione di questi ultimi i nominativi dei cantanti scelti e solo loro avevano la facoltà di
accogliere la compagnia, di proporre nominativi differenti o di pregare l’impresario di presentarne una
diversa.
I contratti vertevano su molte cose: dai balli ai solisti, dalla scenografia al vestiario. Una parte delle
relazioni poi le teneva con privati cittadini che lo avrebbero potuto sostenere economicamente e lo
avrebbero potuto anche aiutare a organizzare la stagione: occorreva qualcuno che contribuisse a
sborsare il denaro necessario alla cauzione richiesta nel contratto d’appalto, qualcun altro di influente
che desse una spinta alle trattative e, ancora, qualcuno che si occupasse di assumere suonatori e
13 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 38. 14 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1984, p. 3.
17
coristi e di fissare gli alloggi. Poteva, infine, esserci stata una corrispondenza con lo scenografo e con
la sartoria teatrale del luogo, a seconda di quanto lavoro si sarebbe dovuto eseguire sulla piazza.
Il successo dell’impresario si basava su sue fattori: la sua capacità organizzativa e la capacità di far
fruttare i pochi capitali a sua disposizione. La sua base finanziaria si basava per la maggiore su un
complesso traffico di cambiali (in scadenza, in ritardo, scontate e protestate) delle quali avrebbe
difficilmente potuto garantire la solvibilità. Si trovava spesso in difficoltà, tanto che non riusciva a
pagare gli artisti, gli orchestrali e gli altri lavoratori del teatro; erano frequenti i casi di fallimento.
Esisteva la possibilità che un impresario si mettesse in società con un altro del luogo, magari per
una sola stagione, o che avesse un proprio magazzino di vestiti teatrali da utilizzare per le opere da lui
messe in scena o anche per noli ad altri impresari.
Dopo il suo arrivo sulla piazza e l’arrivo della compagnia, si iniziavano la preparazione e le prove
per le nuove opere. Doveva pagare la propria compagnia secondo le modalità stabilite nei contratti ed
il personale del teatro (e spesso anche orchestrali e coristi), in quattro «quartali»15. Per questo
motivo, all’inizio delle prove occorreva necessariamente avere denaro liquido a disposizione.
Alla fine della stagione, l’impresario doveva attendere la compilazione dei documenti di ordinaria
amministrazione: inventari delle scene e degli attrezzi, conteggio delle spese e degli incassi, dei
biglietti venduti e dei versamenti dei palchettisti. Era essenziale mantenere buoni contatti con le
autorità locali e cominciare a pensare all’organizzazione della stagione successiva.
Molti erano gli impresari che alla fine della stagione fallivano e si riducevano sul lastrico, ma la
maggior parte di loro poteva sperare di essere ancora sulla piazza la stagione successiva. Molto più
frequentemente, una stagione andata male lasciava come strascico una serie di liti contrattuali e di
cause giudiziarie.
Ma chi poteva diventare impresario? In linea di principio, poteva diventare impresario chiunque
purché dotato di una buona dose di iniziativa e di quattrini. In realtà, chi intraprendeva questa
professione, spesso proveniva da una famiglia già coinvolta nel mondo dell’opera.
In Italia per molto tempo furono le origini e i rapporti familiari a determinare il futuro
dell’individuo. Dopo che nell’Ottocento furono soppresse le corporazioni, per molto tempo perdurò
l’organizzazione artigianale e familiare delle professioni cittadine. Il teatro lirico non era esente da
15 Quattro rate ognuna dello stesso importo.
18
questa conformazione: il figlio del cornista diventava facilmente cornista a sua volta e se la città
disponeva di un’orchestra stabile, il padre faceva di tutto perché il figlio venisse assunto come
secondo corno per poi lasciargli, andando a riposo, il posto di primo corno16. Chi aveva successo in una
professione si portava dietro nella sua ascesa padre, fratelli, nipoti, alcuni come collaboratori e altri
come dipendenti. Per questo motivo parecchi impresari erano figli di impresari o di altri appartenenti
all’ambiente teatrale.
È probabile che molti impresari fossero ex-‐cantanti, ballerini, coreografi, scenografi o vestiaristi.
Nel caso dei cantanti si può ipotizzare che avessero fatto una carriera mediocre: un cantante buono,
con una piccola capacità di amministrare i suoi guadagni, difficilmente avrebbe avuto bisogno di farsi
impresario. Per i ballerini, che avevano invece una carriera mediamente più breve, diventare
impresario era uno dei modi per continuare a guadagnarsi da vivere nell’ambiente. I coreografi, già
abituati a confrontarsi con l’organizzazione di complicati balli, cambiamenti di scena e movimenti di
comparse, se si avvicinavano al mestiere, era probabile che vi riuscissero bene. Per gli stessi motivi era
probabile che scenografi e vestiaristi diventassero impresari. Il proprietario di una sartoria teatrale
poteva offrirsi di assumere un’impresa per far fruttare il proprio capitale ed era possibile che
insistesse con i suoi interlocutori a teatro per dare un’opera adatta al vestiario che teneva pronto.
Infine i musicisti potevano essere chiamati a prendere l’onere dell’impresa, ma solo per far fronte ad
una situazione critica, ovvero quando un impresario era fallito a stagione avanzata, oppure per
assicurare all’orchestra l’impiego per la stagione se nessun altro voleva assumersi il rischio.
Diffusa era anche la figura dell’impresario proveniente dalle agenzie teatrali. L’agente teatrale si
occupava di mediare tra le rappresentanze dei teatri e gli impresari nonché tra le imprese e gli artisti.
Diventava impresario quando riusciva a sviluppare un sistema di contratti a lunga scadenza con degli
artisti ed invece di cedere queste prestazioni a terzi, si assumeva in prima persona l’onore
dell’impresa teatrale sfruttando gli artisti con cui aveva stipulato le scritture.
Altre categorie d’impresari di mestiere provenivano dal ceto della categoria dei commercianti, per
lo più bottegai che commerciavano spesso in generi alimentari ed articoli di lusso ma potevano essere
anche gioiellieri, tipografi, droghieri, distillatori e proprietari di pescherie.
16 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1984, p. 15.
19
Tra gli impresari più importanti del XIX secolo si deve menzionare Alessandro Lanari (1787-‐1852)
che prese in gestione per diverse stagioni il Teatro la Fenice. Le sue possibilità e sicurezze economiche
derivavano da due attività collaterali al mestiere di impresario: una sartoria a Firenze ed una agenzia
teatrale che gli permetteva di stipulare contratti con artisti promettenti per poi farli cantare nei teatri
di cui prendeva l’appalto. Un’abile gestione delle sue attività portò il Lanari a formare circuiti per far
fruttare vestiario e artisti con il minimo dei tempi morti tra una stagione e l’altra.
Un campo di attività legato a quello dell’impresario era quello del gioco d’azzardo. Il teatro, in
quanto centro della vita sociale, era la sala da gioco preferita delle classi abbienti. Per questo motivo
esistevano grandi ridotti nei teatri italiani dell’epoca.
L’atteggiamento dei governi rispetto a questa pratica era differente a seconda dei casi: alcuni la
vietavano altri la permettevano. Dalla seconda metà del ‘700 la consuetudine più diffusa era quella di
vietare ovunque i giochi d’azzardo e poi di appaltarli sotto forma di monopolio all’impresario del
teatro più importante della città. Nel corso degli anni, questo monopolio venne più volte abolito e
ripristinato (era uno dei mezzi usati per colmare le casse dell’erario). A partire dal 1814 i governi della
restaurazione abolirono nuovamente il monopolio, anche Venezia.
1.4.1 Dall’impresario all’impresario-‐editore
Gli anni rivoluzionari segnarono profondamente il mondo teatrale e con esso, la figura
dell’impresario. Le imprese più solide, come quella del Lanari, furono costrette a sospendere o a
chiudere l’attività per alcuni periodi mentre alcune di quelle più deboli fallirono; le stagioni vennero
troncate e le paghe scesero a livelli mai visti prima. La fortuna e gli affari degli impresari erano legati a
quelli dei gruppi dirigenti dell’antico regime, anch’essi profondamente scossi dagli avvenimenti politici
ed economici in corso. Da questo momento in poi il mestiere dell’impresario comincerà a mutare la
sua connotazione e a perdere la propria centralità nel sistema operistico.
Fallite le rivoluzioni, gli anni compresi tra il 1849 al ’59 furono segnati dalla repressione. Il teatro
lirico ne subì l’influsso non solo attraverso la censura dei libretti o il divieto di alcune manifestazioni:
la polizia interveniva prepotentemente sia durante le rappresentazioni che nel momento delle scelte
artistiche, arrivando a minacciare impresari e presidenza.
20
Per il teatro la guerra era stata disastrosa: molti disordini, una forte crisi economica che precedette
ed accompagnò quella politica, ma anche una crollo dal punto di vista sociale. Le rivoluzioni avevano
scosso oltre ogni possibilità di riaccomodamento le vecchie gerarchie sociali e con esse la vecchia,
indiscussa lealtà ai governi dei singoli stati. Questi mutamenti che colpivano la base del sistema
operistico, indebolirono l’industria nel momento stesso in cui iniziava il periodo della sua massima
espansione.
L’opera smise di essere il centro della vita sociale per le classi agiate, svanirono a poco a poco le
feste da ballo mascherate che avevano rappresentato il culmine del calendario cittadino e,
lentamente, cominciò ad affievolirsi il ritmo di produzione di nuovi lavori (i teatri davano sempre più
rappresentazioni ma di un numero d’opere sempre minore).
La creatività che aveva caratterizzato l’industria operistica fino a quel momento andava
lentamente cristallizzandosi.
Il concetto di “opera di repertorio” fu introdotto verso il 1840-‐1850, periodo in cui cominciò a
diminuire il ritmo di produzione di nuovi lavori. Verso il 1855, quando l’industria operistica si era del
tutto ripresa dalla crisi del ’48, l’opera di repertorio si stava rapidamente affermando e negli anni ’70
era diventata la regola. I motivi di questo andamento erano da rintracciarsi in un cambiamento
generale degli interessi sociali; il pubblico che una volta era solo del teatro, ora si interessava alla
politica, ai romanzi, al giornalismo e così via. Per di più, a metter un freno alla capacità creativa dei
compositori, fu anche la costruzione di nuovi teatri, grandi, non sovvenzionati e che portavano l’opera
ad un pubblico più ampio. Questa nuova forma permetteva si di diffondere la cultura, ma allo stesso
tempo favoriva il consolidamento di un sistema fisso di programmi e formule che dovevano
immediatamente avere presa sul pubblico. In altre parole, questi teatri dipendevano dall’opera di
repertorio e così le permisero di affermarsi.
Oltre all’opera lirica, davano spettacoli equestri o acrobatici oppure, dal 1870 in poi, l’operetta, un
nuovo genere ispirato a modelli francesi e tedeschi. Poiché questi teatri scaturivano dall’iniziativa
privata, le informazioni sulla loro gestione sono più complesse da reperire rispetto a quelle dei più
vecchi teatri governativi. Alcuni erano sovvenzionati da altre attività imprenditoriali del fondatori
mentre altri tiravano avanti con gli incassi, i prezzi di ingresso erano inferiori a quelli dei tetri primari
almeno della metà. Il pubblico poteva essere composto di bottegai, piccoli funzionari, impiegati e
21
artigiani, molti dei quali con le loro famiglie. Non che questa fascia di pubblico non fosse mai esistita
anzi, ma fino attorno al 1850 non ci si aspettava di trovarla a teatro.
Nei vecchi teatri primari dominati dai palchettisti l’antico ordinamento gerarchico fu duro a
morire: piuttosto che mettere in scena spettacoli di livello non accettabile per il decoro del teatro a
causa della sospensione delle sovvenzioni, rimanevano chiusi.
Nei teatri popolari come in quelli primari, l’iniziativa nel periodo 1870-‐1890 non apparteneva più
agli impresari. A lanciare i compositori e le opere che uscirono in questo periodo furono gli editori17.
La tendenza sempre in aumento a dare opere di repertorio e quindi la richiesta di spartiti a nolo, unita
all’affermarsi del diritto d’autore, fece del possesso di uno spartito un’attività redditizia.
Alla fine del secolo l’editore aveva soppiantato l’impresario nel ruolo di motore del sistema
teatrale. Decideva quali opere sarebbero andate in scena e chi le avrebbe cantate, interveniva su
scenografie, costumi e su ogni aspetto dello spettacolo; assieme alle partiture, noleggiava dei libretti
per la messa in scena nei quali dava disposizioni sceniche e indicava strumenti particolari. I
compositori insistettero perché gli spartiti non venissero modificati senza il loro consenso: qualsiasi
eventuale modifica avrebbe dovuto essere apportata dall’autore stesso. Era ormai avvenuta la rottura
con la lunga tradizione operistica italiana.
SCHEMA 3: cause della crisi del ruolo dell’impresario
17 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro d’opera italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1987, pp. 169-‐172.
Affermazione concetto di repertorio
Affermazione del diritto d’autore
L’iniziativa impresariale passa dagli impresari di professione agli editori
Domanda di spartiti in riduzione
Aumento dei costi per il lavoro del compositore ed il noleggio della partitura
Nuovi teatri a prezzi popolari
22
Lo sviluppo dell’editoria
L’editoria musicale è un’industria che nasce e si sviluppa parallelamente all’industria operistica e la
sua storia è strettamente legata a quella del giornalismo.
Prima dell’espansione dell’editoria musicale, avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, la
situazione in Italia era così configurata: di ogni opera esisteva un solo esemplare, l’autografo stesso
del compositore, che restava in possesso dell’impresario o del teatro, quasi sempre inutilizzato dopo
la rappresentazione, a volte ceduto e, a meno che non capitasse nelle mani di un collezionista, con
forti probabilità di andare disperso. Le opere di maggior successo circolavano invece in copie abusive
preparate da copisti di teatro che su pagamento approntavano anche estratti dei pezzi più noti, unico
mezzo di studio per gli amatori. L’attività editoriale non era del tutto assente, ma era sufficiente a far
circolare estratti di opere e musiche strumentali e non aveva ancora assunto il carattere vero e
proprio di industria. Questa trasformazione era già avvenuta invece in Francia, Germania, Inghilterra e
Olanda ed è sulla scorta di queste esperienze che presero le mosse i primi editori italiani.
Fin dall’inizio del XIX secolo, l’editoria tese a consolidare il valore popolare e contemporaneo
dell’opera lirica.
Obiettivo degli editori era quello di diventare proprietari di manoscritti musicali attraverso:
1. l’acquisto dei fondi musicali contenuti negli archivi dei teatri;
2. l’acquisto delle partiture possedute dagli impresari;
3. il rapporto diretto con gli autori.
Con l’affermarsi del concetto di repertorio e del diritto d’autore, l’intervento dell’editore diventerà
determinante al fine di mediare il gusto del pubblico, indirizzandolo su una rosa ristretta di
melodrammi destinati a durare nel tempo e sfruttando l’ingente patrimonio di sua proprietà.
Il diritto d’autore
Il compositore era uno dei prestatori d’opera che concorrevano alla realizzazione degli spettacoli; il
suo lavoro unito a quello del librettista, dello scenografo e del costumista, costituiva la fase iniziale del
processo creativo senza la quale non si sarebbero messe in scena opere nuove.
23
Quello che gli veniva richiesto era di saper scrivere musica adatta a valorizzare le voci che avrebbero
cantato nel corso della stagione; spettava al librettista, successivamente, la drammatizzazione
dell’opera.
All’inizio dell’Ottocento l’opera non era concepita come un testo definito e immutabile nel tempo,
ma piuttosto come evento sempre rinnovato, la cui fruibilità e ripetibilità era limitata all’arco della
stagione. Il libretto e la partitura assumevano lo statuto di materiale preparatorio al vero e proprio
fatto artistico, costituito dalla rappresentazione in tutti i suoi aspetti. Per questo motivo, il lavoro del
musicista non era considerato come una sua proprietà inalienabile: la partitura veniva ceduta
all’impresario o al teatro che l’avevano commissionata, i quali potevano usarla a loro piacimento
senza dover nulla all’autore. Di conseguenza, il lavoro del compositore veniva retribuito solo nel caso
di una nuova composizione o di una nuova messa in scena che richiedesse adattamenti nella partitura.
Praticamente sconosciuto era il concetto di diritto d’autore che, in mancanza di accordi tra i diversi
stati, sarebbe stato difficile far rispettare.
Nella seconda metà dell’Ottocento, la condizione sociale dell’operista italiano passa gradatamente
dallo stato di artigiano prestatore d’opera a quello di artista. Per la riuscita della stagione la scelta del
compositore diviene un aspetto non meno importante di quella della compagnia di canto.
Prima Bellini e successivamente Verdi e Puccini operano sempre più chiaramente in una logica da
libero professionista che, sul piano economico, significa la consapevolezza di un maggior potere
contrattuale. Nella seconda metà del secolo, le retribuzioni dei compositori salgono a livelli in
precedenza non concepibili e la loro autonomia intellettuale si manifesta prepotentemente nella
volontà di scegliere e imporre un soggetto, di intervenire nella stesura del libretto e di far valere la
propria opinione sugli interpreti, anche grazie alla nascita e al consolidamento del diritto d’autore.
Il diritto d’autore è quell’insieme di norme volte a garantire il riconoscimento dell’appartenenza di
una creazione al suo autore, impedendo plagi e abusi dell’opera da parte di altri, e assicurando
all’autore il beneficio economico relativo18.
18 Le Garzantine – Musica. L’oggetto del diritto d’autore è la sostanza intellettuale dell’opera, non il supporto materiale. La distinzione è importante perché la prima decade mentre la seconda no. Oggi, inoltre, possiamo distinguere tra proprietà morale e proprietà patrimoniale. La prima appartiene all’autore per diritto inalienabile ed è trasmissibile per eredità; la seconda riguarda i proventi economici derivanti da un’opera. È trasmissibile in via ereditaria e cedibile a terzi.
24
Il riconoscimento del diritto d’autore è dovuto in gran parte al mutamento delle strutture
economiche e sociali del paese e al contempo alla conformazione di un nuovo statuto estetico del
melodramma, più adeguato alla funzione dell’arte: il prodotto del compositore comincia ad essere
percepito come la vera sostanza di questo genere drammatico e l’opera stessa tende a divenire
sempre più una forma fissa, concepita per essere riprodotta, recepita e valutata non più nella
prospettiva della stagione, ma dei decenni.
Il principio di tutela delle opere d’arte e letterarie era stato introdotto nell’Italia pre-‐unitaria con la
convenzione stipulata il 26 giugno 1840 fra il governo austriaco e il Regno di Sardegna. Ad essa
avevano aderito anche altri stati ma il frazionamento del paese rendeva difficoltosa l’applicazione
delle norme in materia.
Dopo l’Unità d’Italia, la prima disposizione legislativa presa in materia risale al 1865. Dieci anni
dopo, nel 1875, seguì un nuovo emendamento che eliminando ogni distinzione tra opere stampate e
inedite, assegnava lo stesso valore, tutelandole, anche a prime rappresentazioni od esecuzioni
musicali. Entrambe le leggi confluiranno nel Regio decreto 19 settembre 1882, n. 1012 dal titolo
«Testo unico delle leggi sui diritti spettanti agli autori delle opere dell’ingegno» che riconoscerà
finalmente i «prodotti dell’intelligenza e del genio».
Sempre nel 1882 nasceva a Milano un sodalizio privato19 tra scrittori, commediografi, studiosi,
editori e musicisti che prese il nome di Società degli Autori. Grazie alla consulenza di giuristi, questo
organismo mise in atto una efficace azione giudiziaria per reprimere le violazioni della legge. Alcuni
editori gli affideranno la rappresentanza e l’esazione dei loro diritti20.
Come funzionava il diritto d’autore? Il testo unico del 1882 assegnava all’autore l’esercizio
esclusivo del diritto per 40 anni dalla pubblicazione o dalla prima rappresentazione dell’opera, e
comunque fino alla sua morte. Decorsi i termini, ciascuno era libero di rappresentare e pubblicare
l’opera per altri 40 anni, versando agli eredi il 5% del prezzo lordo dell’opera. Avendo l’autore ceduto
in parte o in totale l’esercizio del diritto di proprietà all’editore21, era in definitiva, quest’ultimo ad
assumersi il compito di trattare con i teatri, esigendo di supervisionare tutti gli aspetti della messa in
scena.
19 Diventerà ente pubblico nel 1941 con l’acronimo SIAE. 20 BIANCONI, PESTELLI, Il sistema produttivo, dall’Unità a oggi, in Storia dell’Opera italiana, vol.4, EDT, Torino, 1897. 21 Un compositore di successo degli anni ’70 vendeva una partitura per una cifra che oscillava dalle 20 alle 40000 lire, più una partecipazione sugli utili del 30-‐40%.
25
Imparando poco per volta a valersi di nuovi strumenti contrattuali, i compositori divennero i
naturali alleati degli editori: se all’inizio del secolo la norma era la cessione una volta per tutte
dell’opera all’impresario o teatro che l’aveva commissionata, essi scoprirono la possibilità di cedere,
per una somma minore, il solo diritto alla prima messa in scena e alla riproduzione per uso esclusivo
dello stesso teatro e di vendere all’editore il diritto di riprodurre e noleggiare la partitura in tutti gli
altri teatri, ricevendone una percentuale su ogni rappresentazione. Inoltre il compositore ricavava la
sua parte di percentuale dalla vendita degli spartiti.
La diffusione editoriale delle opere in spartito, con la possibilità di riprodurle privatamente e di
farne oggetto di studio, contribuì ad affermare il senso di “autorità” del compositore e a stabilire
anche nel mondo del melodramma italiano il concetto di “classicità”22.
I principali editori nacquero e fiorirono a Milano, città che, anche in ragione del prestigio del
Teatro alla Scala, si impose come centro-‐guida della vita operistica italiana. La casa editrice più antica
(1808) ed anche quella che deteneva il monopolio della produzione operistica più vitale era la Casa
Ricordi; nella sua scuderia ebbe, tra gli altri, Verdi e Puccini. La Casa Lucca (1839) fu la più forte
concorrente di Ricordi, finché non si fuse con essa nel 1888. Il suo catalogo annoverava compositori
come Donizetti e Mercadante. La casa Sonzogno, che inizio la sua attività nel 1874, orientò le sue
pubblicazioni su opere chiave di compositori francesi come Bizet e contribuì a lanciare e a diffondere
un proprio repertorio operistico, tramite la promozione di un concorso limitato a musicisti esordienti
per la composizione di un’opera lirica in un atto.
Uno degli strumenti utilizzati dalle case editrici per promuovere e diffondere la cultura musicale
ma anche per pubblicizzare i loro sforzi nel settore erano i giornali musicali.
Nati a cavallo del secolo, i giornali musicali erano identificati con la casa editrice che li pubblicava.
Due delle destate più conosciute erano «La Gazzetta Musicale di Milano» fondata nel 1842 da Ricordi
e «Il Teatro Illustrato»23 edito da Sonzogno. Il primo si qualificava come un periodico informato e 22 F. DALLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 52. 23 Vediamo com’era strutturato «Il Teatro Illustrato» e quali informazioni poteva trovarvi chi si apprestava alla lettura. Il titolo esteso del mensile è «Il Teatro Illustrato e la musica popolare – ritratti di maestri ed artisti celebri, vedute bozzetti di scene, disegni di teatri monumentali, costumi teatrali, ornamentazioni, ecc.»; l’obiettivo era quello di raccontare il teatro tramite immagini ed illustrazioni a qualsiasi lettore che volesse avere un resoconto di quanto accaduto nei teatri durante la messa in scena, ma anche nelle fasi preparatorie. Nelle prime pagine si trovava il «Notiziario», la prima rubrica con il resoconto dei fatti più importanti del mese, l’esito delle rappresentazioni ed alcuni giudizi sui cantanti. Subito dopo, la pagina «Le nostre illustrazioni», con la descrizione delle opere edite ed
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culturalmente progredito e dispiegava una intensa azione di sostegno verso i musicisti. Il secondo,
abbinava la riflessione musicologica alla cronaca e la critica musicale e teatrale alle esigenze della
pubblicità.
Uno dei protagonisti della nuova veste dell’editoria italiana fu Giovanni Ricordi (1785-‐1853), che
dopo aver lavorato a Lipsia presso Breitkopf e Härtel, la casa editrice più antica del mondo (1719),
iniziò un’attività di copista e stampatore di musica a Milano. Egli seppe intuire la nuova importanza
che il compositore stava assumendo nel sistema produttivo dell’opera italiana e comprendere che, in
futuro, la vita teatrale si sarebbe sempre più basata sulla riproduzione di opere collaudate. Su questa
intuizione pose le basi di quello che sarebbe divenuto un vero e proprio impero editoriale assieme al
figlio Tito (1811-‐1888) ed al nipote Giulio (1840-‐1912).
Il successo della sua casa editrice era dato da alcune scelte che gli garantirono una forte
competitività nel settore e che sono così classificabili:
1. l’acquisto, nel 1825, dell’intero fondo di manoscritti del Teatro alla Scala del quale aveva già
ottenuto l’esclusiva come copista. Il fondo conteneva un patrimonio storico di cui pochi si
rendevano conto e che poteva essere sfruttato nell’ambito della riedizione e del noleggio;
2. la collaborazione con importanti compositori italiani come Rossini e Verdi;
3. il noleggio delle partiture d’orchestra per le opere da rappresentare nei teatri;
4. la vendita di riduzioni per canto e pianoforte, per pianoforte solo e per i più diversi complessi
strumentali;
5. la realizzazione di riduzioni diffuse in formato economico.
Nell’ultimo trentennio Ricordi fu il dominatore del mercato editoriale italiano, tanto nel settore
operistico quanto in quello della musica strumentale.
andate in scena, il loro riassunto e parti dei dialoghi tratte dal libretto. Al centro del mensile veniva riprodotto lo spartito ridotto per canto e pianoforte delle arie più acclamate tra quelle dell’opera andata in scena in prima rappresentazione e i bozzetti dei costumi utilizzati. Ancora, le notizie musicali provenienti da altre piazze italiane oltre a Milano (come Roma e Venezia), ma anche fuori confine (come Berlino, Monaco e Madrid). Infine, la bibliografia musicale, dove venivano recensite le ultime novità pubblicate e il bollettino teatrale che riportava l’esito delle rappresentazioni andate in scena nei teatri minori.
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Uno dei concorrenti di rilievo di Ricordi fu la Casa Editrice Sonzogno24 che, fondata a Milano da
Giovanni Sonzogno verso la fine del 1700, raggiunse una vasta notorietà con iniziative editoriali per
diverse fasce di pubblico a partire dal 1818 (tra le sue produzioni, la Biblioteca economica-‐portatile).
Edoardo Sonzogno, uno dei quattro figli coinvolti nell’impresa del padre, ne rilevò l’attività e
propose una editoria di carattere popolare ed estremamente economica. Impegnato nel campo
giornalistico, realizzava dei giornali illustrati il cui argomento era inizialmente di carattere satirico-‐
politico25. Appassionato di teatro ed in passato autore e attore, Edoardo si spinse culturalmente verso
Parigi dove partì l’impulso ad iniziare l’attività nel settore musicale. Le sue scelte a livello competitivo
si configurarono principalmente su:
1. la realizzazione di serie musicali economiche come «La musica per tutti» e di un mensile di
informazione dello spettacolo titolato «Il Teatro Illustrato»;
2. la riduzione per pianoforte solo o canto e pianoforte di opere famose;
3. l’acquisizione dei diritti di alcune delle più note opere di compositori francesi;
4. l’attenzione massima nei confronti delle nuove tendenze della musica nazionale;
5. l’acquisto e il restauro di un antico teatro a Milano ribattezzato “Teatro Lirico Internazionale”.
Quest’ultimo punto merita di essere approfondito perché Sonzogno, oltre a tutte le attività
editoriali nelle quali era impegnato, indisse periodicamente un concorso per giovani compositori a
scopo di costruire un proprio repertorio italiano. Nel 1888 a vincere il concorso sarà Pietro Mascagni
con l’opera Cavalleria Rusticana.
1.5 La stagione
La stagione era il principio organizzativo sul quale si reggeva la vita teatrale nell’Ottocento. Il
periodo culminante per i maggiori centri era il carnevale26 con prolungamenti in primavera o in
autunno, ma nel corso dell’anno si poteva assistere anche a stagioni organizzate in centri minori, di
24 M. MORINI, N. OSTALI, P. OSTALI, Casa Musicale Sonzogno-‐Cronologie, saggi, testimonianze, Casa Musicale Sonzogno, 1994, pp. 9-‐11. 25 Due delle testate di questo genere più famose erano il settimanale «Lo spirito del Folletto» ed il quotidiano «Il Secolo». 26 La stagione di carnevale cominciava generalmente il giorno di Santo Stefano e finiva il 31 marzo dell’anno successivo.
28
solito in concomitanza di fiere, mesi di villeggiatura o altri avvenimenti importanti per la vita del
paese.
Il repertorio che circolava in questo susseguirsi di spettacoli era abbastanza omogeneo, anche se la
qualità della messa in scena era diversa a seconda dell’importanza della sala teatrale: i cantanti erano
in continuo movimento e si esibivano ovunque, ma a fare la differenza erano le “masse” ovvero
orchestra, coro, corpo di ballo e il personale di scena. Nelle cittadine di provincia, erano nella maggior
parte dei casi formate da personale “precario” reclutato sul posto per la stagione, mentre i teatri più
grandi potevano permettersi del personale stabile che garantiva un risultato migliore dal punto di
vista qualitativo.
I teatri maggiori, chiamati primari, offrivano ogni anno opere nuove e immettevano nel circuito
quelle che avevano ottenuto maggior successo. Benché disponessero di personale stabile, alternarono
periodi di splendore a lunghi periodi di decadenza.
1.5.1 Il personale interno al teatro
La stagione d’opera coinvolgeva, nella sua realizzazione, numerose professionalità e competenze in
diversi ambiti e a diversi livelli di specializzazione27.
Tra le più importanti troviamo i maestri di musica che potevano essere suddivisi in compositori ed
“incaricati dell’esecuzione”. I compositori venivano scritturati appositamente per comporre uno
spartito nuovo. L’impresa si accordava direttamente con essi sulle modalità di pagamento e sui
termini della scrittura. In essa doveva obbligatoriamente essere stabilito il periodo di tempo entro cui
il compositore avrebbe dovuto ricevere il libretto (già approvato dalla direzione del teatro e dalla
censura) per poi poter comporre tempestivamente la musica. Egli, nel corso del lavoro, poteva
chiedere al librettista di modificare alcune parti del testo. Solitamente poi, doveva sapere le qualità
dell’estensione dei virtuosi per i quali doveva scrivere e l’impresario era chiamato ad avvisarlo dei
cantanti che mano a mano scritturava per poter adattare la musica e rendere migliore l’effetto della
composizione. Quando le parti erano pronte, il compositore passava l’originale al copista che lo
doveva trascrivere in modo che tutte le maestranze coinvolte potessero servirsene. Al compositore
spettava l’obbligo di assistere alle prove per illustrare a tutti come doveva essere eseguita la musica e
27 G. VALLE, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 153-‐175.
29
di coadiuvare al cembalo l’esecuzione fino alla terza recita. Dopo di che, che la sua composizione fosse
piaciuta i meno, la sua prestazione era terminata e poteva andarsene. Era compito dell’impresario
fornire al compositore tutto ciò che gli spettava e tutto il supporto possibile al fine di non ritrovarsi
con la composizione incompleta o il compositore con un atteggiamento avverso prima dell’inizio delle
prove.
I maestri “incaricati dell’esecuzione” erano paragonabili agli altri orchestrali, anche se a loro
spettava la direzione dell’orchestra nel caso in cui mancasse il compositore, fino alla prima recita,
nella quale la direzione passava al primo violino.
Il primo violino dell’opera e quello dei balli dirigevano l’orchestra che ad essi era sottoposta.
L’orchestra, generalmente, era pagata con le spese serali (es.: illuminazione, custodi, ecc…) e con la
stessa cadenza fissata per il loro pagamento. Nei teatri che restavano aperti tutto l’anno, le paghe agli
orchestrali erano accordate per annata e pagate in ragione al mese o alla settimana, ma poteva
esserci anche il caso di pagamento in ragione di recita. Gli orchestrali erano obbligati a frequentare
tutte le prove necessarie e le prime parti erano obbligate, in aggiunta, ad intervenire ad una piccola
prova (o concertino) durante la quale venivano insegnate loro le modalità di esecuzione dello spartito
che in seguito, a loro volta, avrebbero dovuto trasmettere alla sezione d’orchestra della quale erano
responsabili. Queste prove erano considerate parte integrante dello spettacolo e i professori non
avevano diritto a somme di denaro oltre la paga pattuita. Infine gli orchestrali dovevano essere pronti
nella buca dell’orchestra alle ore stabilite per le prove e con un ragionevole anticipo nelle sere di
spettacolo.
I coristi erano generalmente persone umili (cuochi, venditori ambulanti, artigiani) che cantavano
nelle ore libere e non sapevano leggere la musica. Venivano pagati anch’essi assieme alle altre spese
serali e per loro valevano le disposizioni già esposte sopra per l’orchestra: dovevano sottostare al
direttore, apprendere quanto veniva insegnato loro e intervenire a tutte le prove considerate
necessarie sia di canto che sulla scena.
I pittori avevano il compito di dipingere le scene ed erano molto importanti per la messa in scena:
loro lavoro era qualificante per il teatro in termini di decoro e magnificenza. Dovevano essere in
teatro prima della compagnia per prendere le direttive dell’impresa, dopo che quest’ultima aveva
scelto assieme al poeta, al direttore dell’opera o al compositore dei balli, il bozzetto definitivo tra
30
quelli proposti. La scrittura del pittore poteva avvenire ad ore ma anche in base ad una somma
determinata per ogni scena completa. Era consuetudine da parte dei pittori farsi assicurare un
numero minimo e certo di scenari ed in proporzione al numero degli stessi, diminuire il prezzo
unitario. Nei contratti era d’uso esplicitare una clausola per mantenere invariato il prezzo nel caso
fossero occorse ulteriori scene. La modalità di pagamento della somma dovuta veniva concordata tra
le parti, anche se era consuetudine anticipare una somma al pittore per dargli la possibilità di
provvedere alle proprie necessità. Il lavoro finito doveva essere pronto in tempo utile affinché
potessero essere montati i vari “macchinismi” (movimenti meccanici della scena) prima della prova
generale. Il pittore era libero di lasciare la piazza solo dopo l’ultimo spettacolo.
Un’altra delle parti importanti per la messa in scena di uno spettacolo era il macchinismo che
consentiva al pubblico di poter apprezzare la grandiosità dello spettacolo. L’attività dei macchinisti si
divideva in:
1. macchinismo ordinario di servizio del teatro: riguardava tutta l’attività di sistemazione delle
scene, dei teloni, delle quinte e di tutto quanto occorresse per gli spettacoli ordinari di opere
e balli, nonché la sistemazione del cordame e dei pesi per il movimento delle scene.
All’interno di queste attività, entrava anche la sistemazione della sala per la festa da ballo e
la sistemazione dei lampadari per l’illuminazione a giorno del teatro. L’esecuzione di questi
compiti era affidata al macchinista ordinario, cioè un lavoratore stipendiato ed inserito nella
tabella dei dipendenti fissi ed il compenso di queste maestranze veniva conteggiato tra le
spese serali e pagato con queste;
2. macchinismo straordinario relativo allo spettacolo: in questa categoria erano comprese le
attività necessarie a collocare sul palcoscenico oggetti considerati estranei ad uno spettacolo
normale, come la predisposizione di nuvole, vulcani, montagne e voli di persone. Questa
attività, che veniva eseguita dagli stessi macchinisti ordinari, era esclusa dagli obblighi del
contratto e oggetto di una scrittura separata. Il suo pagamento avveniva in rate con una
cadenza diversa dai pagamenti ordinari;
3. gli attrezzisti: si occupavano della distribuzione di tavolini, sedie, candelieri, tappeti e simili
(attività ordinaria) e della predisposizione di bandiere, armi, troni (attività straordinaria). Per
i pagamenti ci si comportava, come per i macchinisti, con la separazione tra spese serali e
31
scritture separate che tenevano conto della effettiva manodopera occorsa o in ragione delle giornate lavorate.
Il teatro abbisognava d’illuminazione e questa attività poteva essere assunta sotto forma di
appalto o in regime diretto. Nel primo caso si ricorreva ad una impresa esterna qualificata nel settore
e si stabiliva nel dettaglio quali erano i luoghi che dovevano essere illuminati, il numero totale di
fiamme (ad olio, a gas o candele) che occorrevano e il numero degli spettacoli. In questo modo era
possibile preventivare l’importo che il teatro doveva versare all’appaltatore. Il pagamento veniva
solitamente suddiviso in rate, che avevano la stessa cadenza temporale delle altre spese serali. Nel
secondo caso, quello in regime diretto o in amministrazione, era lo stesso impresario che provvedeva
ad illuminare il teatro tramite un suo dipendente fisso e vari inservienti. La prima soluzione era la
preferita perché meno dispendiosa.
Il vestiario era una delle componenti che più di ogni altra distingueva l’allestimento. Ad essa si
provvedeva in solitamente in tre modi:
1. vestiario somministrato a nolo o per appalto: nell’appalto si fissava dettagliatamente il tipo
di vestiario di cui l’impresario aveva bisogno, si provvedeva a stabilire il giorno in cui doveva
essere pronto all’uso e consegnato in teatro. Gli eventuali adattamenti necessari, il
deperimento o l’eventuale trasporto in altra piazza, erano a carico del capo sarto. Alla
scadenza del contratto, il capo sarto aveva diritto di reclamare solo i danni al vestiario causati
dall’incuria degli artisti;
2. vestiario per economia: il vestiario poteva essere prodotto dalla sartoria interna al teatro,
anche se non si tratta del caso più diffuso;
3. vestiario di proprietà dell’impresa: alcuni impresari potevano essere proprietari anche di
altre attività imprenditoriali, come una sartoria. Disponevano di magazzini e potevano
all’occorrenza confezionare nuovi vestiti occorrenti agli spettacoli.
Una parte curiosa del personale fisso del teatro era formata dalla cosiddetta “comparseria”. Si
trattava di una particolare tipologia di comparse, che prestavano i loro servizi nelle opere e si
potevano trovare quasi in ogni teatro; erano dei militari che con la loro uniforme prestavano servizio a
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teatro. Il vantaggio di averli era che erano disciplinati, sapevano rispettare gli ordini e marciavano alla
perfezione ed erano già dotati di uniforme.
Il “bollettinaro” era una specie di mediatore d’affari per conto dell’impresa. Nativo del luogo o
residente da molto tempo sulla piazza dove aveva sede il teatro, conosceva gli artigiani ed i negozianti
del luogo e godeva della loro fiducia in caso di prestiti.
Gli inservienti, il cui numero aumentava o diminuiva a seconda degli spettacoli, erano dipendenti
diretti del teatro. Potevano esercitare svariate mansioni a seconda delle diposizioni del capo
inserviente. Le loro paghe erano comprese nelle spese serali e con queste saldate.
Tabella 3: lavoratori interni al teatro e rispettivi incarichi
RUOLI MANSIONI MAESTRI DI MUSICA Tra i maestri di musica troviamo i
compositori delle opere che sarebbe state inserite in cartellone e gli “incaricati dell’esecuzione” ovvero i musicisti che preparavano l’orchestra nel corso delle prove nel caso di assenza del compositore
ORCHESTRA Costituita in un numero variabile in relazione alle esigenze della partitura, l’orchestra eseguiva le musiche; era subordinata al compositore e direttore d’orchestra
CORISTI Intervenivano nella rappresentazione per interpretare le parti corali. Si esibivano anche sulla scena
PITTORI Sono i moderni scenografi. Avevano il compito di concordare e dipingere la scenografia dell’opera e di provvedere ad eventuali adattamenti o riparazioni
ADDETTI AL MACCHINISMO Si occupavano della predisposizione del palcoscenico (quinte, fondali, teloni, cordame ecc.) e di portare in scena, durante le rappresentazioni, materiali ingombranti necessari alla rappresentazione (ad esempio pezzi mobili della scenografia). Tra gli addetti al macchinismo c’erano anche gli attrezzisti che predisponevano sulla scena oggetti più piccoli
ADDETTI ALL’ILLUMINAZIONE Personale, interno o esterno al teatro, che si occupava di predisporre l’illuminazione della sala durante gli spettacoli
VESTIARISTI Coloro che si occupavano dei costumi di
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scena. I fornitori potevano essere un’impresa esterna, il teatro o stesso o l’impresa
BOLLETTINARO Era un mediatore d’affari che contraeva crediti per conto dell’impresa da artigiani e bottegai della piazza dove aveva sede il teatro
INSERVIENTI Si occupavano di qualsiasi mansione fosse loro richiesta
1.5.2 Le direzioni teatrali
Su tutte le persone e le mansioni descritte finora, spettava alle direzioni teatrali il compito di
sorveglianza28. Le direzioni erano le autorità interne al teatro che avevano il compito di sorvegliare
l’andamento della stagione, il mantenimento dell’ordine, l’osservanza della disciplina durante le prove
e gli spettacoli. Potevano determinare straordinarie ed immediate sanzioni disciplinari, che altrimenti
non avrebbero potuto essere emanate.
Le direzioni iniziavano ad esercitare le loro funzioni sin dalla prima prova, tanto dell’opera che del
ballo ed avevano diversi compiti schematizzabili come segue.
TABELLA 4: compiti delle direzioni teatrali
SORVEGLIANZA SUGLI
SPETTACOLI
Orchestra
Ogni orchestrale doveva essere pronto alle ore fissare per le prove e doveva ottemperare ai propri doveri con correttezza e sollecitudine. Gli orchestrali dovevano essere subordinati al loro direttore ed eseguissero alla lettera gli ordini inerenti alla corretta esecuzione delle partiture
Vestiario
Gli spettacoli dovevano rispondere al criterio di decenza; spettava alla direzione essere informata sui drammi e i balli e di verificare la decenza dei costumi e la loro qualità. Dovevano oltre essere coerenti con l’epoca e al carattere dell’azione che veniva rappresentata
Macchinisti e pittori
Macchinisti e pittori dovevano svolgere il loro lavoro nei tempi; la Direzione doveva fare attenzione che fossero rispettate tutte le norme atte a tener lontano i vari pericoli d’incendio
28 G.VALLE, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 11-‐24.
34
Stampe ed avvisi Tutto il materiale cartaceo che doveva essere esposto in pubblico doveva aver il visto della Direzione
Inservienti
Dovevano attenersi al rispetto degli obblighi contrattuali e non potevano sottrarsi a quanto comandato dalla direzione
ATTIVITA’ DI POLIZIA SUL
PALCOSCENICO
La Direzione poteva: negare o permettere l’accesso agli estrai in palcoscenico verificare che l’illuminazione fosse sufficiente e completa verificare che lo spettacolo iniziasse all’ora prestabilita e senza ritardi mantenere nella quiete ed in buona armonia tutto il personale coinvolto nello spettacolo perlustrare ogni sera il teatro alla fine degli spettacoli per controllare che tutto fosse in ordine per la recita successiva
SORVEGLIANZA SUGLI ARTISTI
Prove d’orchestra e della compagnia
Doveva essere garantita la regolarità e la puntualità delle prove, degli artisti e la subordinazione al direttore d’orchestra
Modalità di esecuzione delle opere e dei balli
Concessione delle licenze
In caso di malattia la Direzione poteva concedere delle licenze necessarie previa presentazione di attestato medico comprovante lo stato di indisposizione dell’artista
Decoro del vestiario personale degli artisti
Modalità e decenza degli spettacoli
35
1.5.3 L’organizzazione della stagione d’opera
Come veniva organizzata una stagione d’opera? Esistevano procedure consolidate o erano di volta
in volta diverse? Com’erano formalizzati i rapporti tra la proprietà e tutte le persone che prestavano il
loro servizio per tutta la durata delle rappresentazioni?
Il meccanismo organizzativo che sottostava alla realizzazione della stagione è così sintetizzabile:
1) Appalto della stagione
2) Scrittura della compagnia di canto
3) Scelta dei soggetti e delle opere in funzione della compagnia
4) Stesura del libretto e composizione della musica
1.5.3.1 Appalto della stagione
Il contratto d’appalto
I due soggetti principali attorno ai quali ruotava l’intera stagione teatrale erano la Nobile Società
Proprietaria del teatro e l’impresario che ambiva a gestirne gli spettacoli. Tra i due veniva stipulato un
contratto d’appalto che conteneva tutte le informazioni e le obbligazioni delle rispettive parti per la
gestione della stagione. Era un documento standard suddiviso in titoli e articoli, ma che poteva
marginalmente essere modificato di volta in volta a seconda delle esigenze tra le parti.
I rapporti tra proprietà e impresario erano regolamentati dalla legge e quindi entrambi erano legati
al rispetto di alcune norme29. Ad esempio, l’impresario non poteva chiedere un risarcimento alla
proprietà o recedere dagli obblighi del contratto nel caso in cui gli fossero sopravvenute delle
contestazioni quali esigenze straordinarie da parte del pubblico o degli artisti teatrali. In qualità di
responsabile dell’appalto, l’impresario si doveva accollare sì gli utili, ma anche tutti i danni provenienti
dalla gestione della stagione. Era obbligo della proprietà consegnare e mantenere la sala teatrale in
buono stato, in modo che potesse immediatamente essere agibile nel momento della locazione
teatrale. Nei teatri primari la locazione avveniva mediante un atto regolare, nel quale veniva descritto
dettagliatamente lo stato attuale del teatro e tutti le disposizioni in merito all’uso delle sale e dei
materiali. La consegna dei locali avveniva in un momento espressamente convenuto tra le parti,
generalmente quando doveva avere inizio l’impresa. L’impresario, nel caso in cui la data non fosse
29 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, pp. 248-‐256.
36
stata puntualmente stabilita, poteva rifiutarsi di stipulare il contratto perché era da principio messa in
discussione la possibilità di cominciare la sua gestione. Avviate le prove, l’impresario aveva degli
obblighi relativi al rispetto della sala teatrale che consistevano nel trattare l’ambiente «da buon padre
di famiglia»30, proponendo allestimenti e spettacoli adeguati al contesto e al decoro della sala
teatrale. Ovviamente, l’impresario era tenuto a riconsegnare in buono stato il teatro e tutti i suoi
accessori e a rendere conto di tutte le mancanze, i guasti e le rotture nei quali fosse incorso il teatro
durante la stagione.
Se un impresario assumeva l’appalto in nome proprio senza far cenno dei terzi in società coi quali
poteva condurre la stagione, la proprietà del teatro non era tenuta a riconoscere i terzi come
appaltatori in tutti i rapporti dell’impresa. Per questo motivo, in caso l’impresario volesse farsi
rappresentare da un collega, parente o amico nell’appalto, doveva essere predisposto un documento
a parte, regolarmente redatto e formalmente riconosciuto.
La dote, cioè la somma che la società assegnava all’impresario per l’organizzazione della stagione,
poteva essere costituita in parte da una quota messa a disposizione dei palchettisti31 ed in parte da
sovvenzioni. Tali sovvenzioni potevano essere pagate dagli Stati o dai Comuni, in relazione a leggi e
disposizioni finanziarie in vigore o votate annualmente dalle camere o dai consigli comunali e
provinciali. In questo modo, tali enti pubblici incoraggiavano lo sviluppo dei teatri ed il progresso
dell’arte teatrale tramite l’assegnazione di un assegno fisso o variabile, che andava a comporre la
dote per l’impresario32.
Un aspetto da tenere in considerazione è la qualità e l’estensione degli obblighi che l’impresa
assume nell’accordare, tramite il pagamento del biglietto, il godimento degli spettacoli dati a teatro.
L’impresa contraeva delle obbligazioni verso il pubblico in diversi modi, in particolare per mezzo di:
1. abbonamenti: tramite l’abbonamento e quindi l’esborso di una somma di denaro, il privato
poteva accedere ad un certo numero di rappresentazioni ad ingresso libero. I prezzi degli
abbonamenti erano sempre meno elevati che la somma dei prezzi che avrebbe pagato lo
spettatore al camerino (abbonamento tramite l’impresario) per assistere allo stesso numero di
spettacoli;
30 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, p. 253. 31 La maggior parte delle volte, la dote era costituita dal canone annuo che i proprietari palchettisti versavano all’amministrazione del teatro e dagli affitti dei locali esercizi annessi al teatro medesimo (caffè e guardaroba). 32 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, p. 161.
37
2. biglietti pagati: lo spettatore aveva diritto di essere ammesso alla sala di spettacolo previo
pagamento del biglietto. Il biglietto rappresentava il titolo in forza del quale l’amministrazione
del teatro si obbligava a lasciar entrare nella sala chi ne era portatore. I prezzi dei biglietti
erano stabiliti con l’approvazione della superiore autorità;
3. biglietti di favore: erano biglietti gratuiti concessi dall’impresa a particolari categorie di
spettatori (es.: giornalisti, ambasciatori, rappresentanti governativi).
TABELLA 5: sintesi degli aspetti organizzativi e gestionali regolamentati nel contratto d’appalto
IL CONTRATTO D’APPALTO DEFINIVA:
Durata dell’appalto Locali e materiale (inventariato) a diposizione dell’impresa Responsabilità in caso di danneggiamenti Spese a carico dell’impresa Numero e tipologia degli spettacoli d’obbligo (opera e ballo) Nota degli artisti principali Numero minimo per le masse (orchestra, coro, comparse e corpo di ballo) Vestiario Dotazione Palchi disponibili per la vendita serale Prezzi biglietti di ingresso e abbonamenti Esercizio del caffè e del guardaroba Legale rappresentante dell’impresario
1.5.3.2 Scrittura degli artisti
La scrittura
La “scrittura” era il contratto in relazione al quale gli artisti di canto, di ballo e i professori
d’orchestra si obbligavano a prestare al loro opera durante la stagione teatrale33.
Prima del 1800 non esistevano regole e forme universalmente valide per fronteggiare i frequenti
problemi che si creavano attorno ai contratti e finché le scritture non furono codificate, il campo era
aperto a consuetudini e usi comunemente riconosciuti dei quali, alle volte, l’impresario si approfittava
a danno degli artisti.
33 G. VALLE, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 24-‐45.
38
A partire dal 1800 si cominciarono ad avere i primi moduli a stampa, che comunque dovevano
essere rimaneggiati ogni volta che una causa giudiziaria tra artisti ed impresari ne richiedeva
l’adeguamento. Una delle fonti dalle quali attingere per avere informazioni su questi documenti erano
i manuali pratici che, oltre ad occuparsi di contratti e modalità di pagamento, si curavano di altri
aspetti della vita teatrale come il vestiario degli artisti, le cause fortuite di interruzione dell’attività
teatrale e così via. Questi manuali erano dedicati ad impresari ed artisti e si proponevano come aiuto
per dipanarsi in corso d’opera, tra usi e consuetudini, diritti e doveri.
Con la sottoscrizione di una scrittura teatrale nascevano tra le parti una serie di obblighi e diritti
reciproci. Per quanto riguarda l’artista, esso doveva rimanere a diposizione dell’impresa con la quale
si era impegnato per tutto il periodo che andava dall’arrivo sulla piazza del teatro fino alla scadenza
del contratto. Era obbligato non solo con l’impresario, che era la parte firmataria della scrittura, ma
anche con la proprietà del teatro, che poteva costringerlo al rispetto degli obblighi contrattuali, e con
il pubblico.
Se si fosse dimostrato inadempiente, l’impresa avrebbe potuto impugnare la scrittura di fronte
all’autorità locale di competenza per darne esecuzione e, in casi estremi, avrebbe potuto fare uso
della forza pubblica. Viceversa, se fosse stato l’impresario a non rispettare i suoi obblighi, l’artista non
avrebbe avuto la possibilità né di allontanarsi dalla piazza, né di rifiutarsi di prestare la propria opera
negli spettacoli34.
Formalmente il contratto doveva riportare una serie di dati per essere considerato valido.
TABELLA 6: contenuti della scrittura
DATA
Considerato che la stesura e la sottoscrizione del contratto avvenivano in città separate ed in momenti diversi, l’indicazione della data era un elemento fondamentale.
NOME DELL’IMPRESARIO
Spesso l’impresario o i soci, nel caso di impresa sociale, non firmavano la scrittura di persona ma la facevano sottoscrivere ad un terzo. Questa persona poteva essere di fiducia o estranea all’interesse dell’impresa. Nel primo caso, i virtuosi che
34 Questo sempre a causa del suo obbligo verso il pubblico.
39
aveva con l’impresa un obbligo potevano rivolgersi direttamente alla persona rappresentata mentre, nel secondo, solamente al rappresentate.
QUALITA’ E CARATTERE DEL VIRTUOSO Dovevano essere esplicitate le esatte mansioni per le quali l’artista era stato scritturato.
DURATA
Si tratta dell’indicazione dell’epoca di inizio e fine della validità del contratto. Generalmente, l’inizio coincideva con il giorno di arrivo nella piazza del teatro; l’artista non aveva la possibilità di allontanarsi dalla città, salvo particolari dispense. La data che indicava il termine del contratto era caratterizzata dal fatto che riportava a fianco la parola circa, che significava che l’artista aveva l’obbligo di stare a disposizione dell’impresa per altre tre recite eventuali.
PRESCRIZIONE DELLE DISTANZE
L’artista non poteva esibirsi in privato o in pubblico, sia nella città sede del teatro sia in altra, fino alla distanza massima di 60 miglia per le prime parti e 30 miglia per le seconde.
EMOLUMENTI ED EPOCHE DEI PAGAMENTI35
Doveva essere indicata la somma della paga e degli “accessori”36 eventualmente accordati, il momento dei pagamenti (che poteva avvenire in quartali o in rate) e se venivano concesse “beneficiate”, ovvero la possibilità concessa all’artista di esibirsi in una o più serate e trattenere l’intero ricavato serale o solo metà degli introiti (l’altra metà a beneficio dell’impresa).
BASSO VESTIARIO Esisteva la possibilità che l’impresa fornisse agli artisti vestiario per uso personale.
CASI FORTUITI
Erano indicate tutte le situazioni a causa delle quali gli spettacoli in cartellone non sarebbero potuti andare in scena. In questi casi, l’impresa sarebbe stata autorizzata a non effettuare il pagamento dei compensi stabiliti senza dare seguito a controversie legali.
DICHIARAZIONE DI ESECUTIVITA’ Resta stabilito in quali luoghi la scrittura aveva carattere di validità.
35 Dei pagamenti e delle loro modalità si parlerà approfonditamente a p. 41. 36 Vedi p. 40.
40
Modalità di pagamento dei virtuosi
Tra gli elementi sopra riportati, un’attenzione particolare meritano le modalità di pagamento delle
paghe e degli accessori alle stesse che potevano eventualmente essere accordati dall’impresario.
In relazione al primo aspetto, si deve dire che le modalità di pagamento potevano assumere tre
forme principali: a stagione, in quartali, a rate37.
Il caso più semplice è quello in cui il pagamento avveniva a stagione. Si trattava, semplicemente, di
un’unica soluzione versata al virtuoso al termine della stagione. Più frequentemente però, i virtuosi
venivano pagati in quartali e a rate.
Il termine quartali indicava la quarta parte del totale e quindi la somma complessiva veniva divisa
in quattro parti di uguale ammontare. L’espressione rimaneva valida anche se i pagamenti si
succedevano in 6 o più parti, in base agli usi dei vari teatri. L’uso dei quartali valeva in particolare nel
caso in cui l’artista fosse stato scritturato per prestare la propria opera in un solo teatro di un'unica
città. Se, ad esempio, fosse stato scritturato per più teatri della stessa città o per più città, si preferiva
suddividere i pagamenti in proporzione al periodo di tempo in cui l’artista rimaneva in ciascuna
piazza38.
La data di liquidazione del quartali variava secondo gli usi e le consuetudini dei vari luoghi.
Generalmente la cadenza temporale con la quale veniva ripartita la paga era:
-‐ primo quartale pagabile all’arrivo del virtuoso nella piazza, senza alcuna dilazione possibile;
-‐ secondo quartale pagabile dopo l’inizio dello spettacolo e non più tardi della terza recita;
-‐ terzo quartale pagabile a metà delle recite o al massimo tre giorni dopo;
-‐ quarto quartale pagabile nell’ultimo giorno dopo l’ultima recita, senza alcuna dilazione.
Il pagamento poteva altrimenti avvenire a rate ed in questo caso, anche essere effettuato in parti
di diversa entità a cadenza mensile. Quando un artista veniva scritturato dallo stesso impresario per
più di una stagione, sia per uno stesso teatro che per una o più piazze, veniva usata questa modalità.
Sebbene i pagamenti avessero cadenza mensile, la consuetudine voleva che si lasciasse il pagamento
dell’ultima quota a dopo la data di scadenza della validità del contratto.
37 G. Valle, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 51-‐83. 38 Ad esempio, se il virtuoso fosse stato scritturato per 40 recite nella piazza I, 30 recite nella piazza II e 10 recite nella III, la somma da corrispondergli sarebbe stata ripartita verosimilmente in 10 parti pagabili: 4 nella prima piazza, 4 nella seconda e 2 nella terza.
41
Poteva accadere che l’impresa anticipasse ai virtuosi delle somme di denaro per le spese di viaggio
o per altre necessità personali. Per far rientrare la somma spesa, l’impresa doveva defalcare l’importo
da ogni rata versata al virtuoso, facendo in modo che il saldo coincidesse con l’ultima rata dovuta.
Accessori alle paghe
Tra gli accessori alle paghe già menzionati, si ricorda che le scritture potevano prevedere sia il
pagamento delle spese di viaggio che i virtuosi dovevano sostenere per raggiungere la piazza, sia le
spese per l’alloggio e quelle per il vestiario. Si trattava di benefici previsti solo per gli impresari molto
solidi dal punto di vista finanziario e solo per gli artisti di primo rango.
Un ulteriore accessorio alle paghe in denaro che l’impresa poteva concedere erano le cosiddette
‘beneficiate’: il teatro era a disposizione dell’artista per una o più recite e l’incasso poteva essere da
lui trattenuto. La ripartizione tra lui e l’impresa era regolamentata a seconda di varie clausole:
-‐ serata intera;
-‐ serata a metà con l’impresa;
-‐ serata franca di spese;
-‐ serata col carico delle spese al Virtuoso;
-‐ serata assicurata in una determinata somma.
Nel caso della serata intera, i proventi erano interamente trattenuti dall’artista, tolte le spese
serali39. L’introito serale era rappresentato dalla vendita dei biglietti, degli scanni e dal prodotto
dell’affitto dei posti in platea. Per quanti riguarda i palchi, gli introiti derivanti dall’affitto serale
venivano devoluti all’artista se erano tutti o in parte di temporanea proprietà dell’impresa. Era inoltre
possibile al pubblico fare un’offerta spontanea a favore dell’artista raccolta in un bacile posto alle
porte del teatro. La serata poteva essere compresa o meno tra le recite in abbonamento ma nella
maggior parte dei teatri, era esclusa. Nel caso non fosse stato così, l’impresa avrebbe dovuto
compensarlo dell’importo dei biglietti degli abbonati.
Gli introiti ottenuti dalla serata potevano essere divisi a metà tra l’impresa e l’artista, fermo
restando la deduzione delle spese serali. L’unico problema suscitato da questo sistema era la divisione
39 Con il termine spesa serale ci si riferiva secondo consuetudine, alle spese per l’orchestra, l’illuminazione, per gli inservienti, i macchinisti, coristi e comparse, per le guardie e tutti coloro che venivano pagati in ragione della messa in scena della recita.
42
delle offerte raccolte nel bacile. La prassi era quella di lasciarle all’artista considerato che la somma
raccolta trovava giustificazione solo in un gesto di benevolenza e ammirazione da parte del pubblico.
L’artista era legittimato a trattenere anche i regali personali che frequentemente riceveva.
La serata poteva essere anche franca di spese (all’artista non era imputata alcuna spesa serale
eccetto quelle per la stampa dei manifesti, delle parti per l’orchestra e tutto quello che riguardava
direttamente la sua persona) o col carico delle spese al virtuoso. Quest’ultimo caso veniva previsto nel
contratto quando l’impresa forniva all’artista il personale di vanto e ballo al completo per lo
spettacolo nonché il vestiario, la musica e così via, senza accollarsi ulteriori obblighi. Tutte le altre
spese, tra cui quelle ordinarie e straordinarie, di affitto del teatro e la quota degli introiti dovuta per
pubblica beneficenza, restavano a carico dell’artista. L’impresa rimaneva ugualmente responsabile
verso i creditori per tali spese perciò se l’artista non avesse pagato l’impresa avrebbe dovuto liquidare
i creditori e poi rivalersi sui quartali di paga o sul fondo prodotto dalla serata.
Infine la serata poteva essere assicurata all’artista in una determinata somma predefinita nel
contratto, indipendentemente dall’entità degli introiti serali. La definizione di tale somma fissa poteva
avvenire secondo tre modalità:
1) la serata, franca o no di spese serali, produceva un provento netto di x lire
indipendentemente dall’affluenza serale; tale somma poteva entrare i meno nelle casse del
teatro. l’eventuale sovrappiù sarebbe andato comunque a favore dell’artista;
2) l’introito effettivo della serata andava a coprire prima di tutto le spese serali ordinarie.
L’eccedenza andava a favore dell’artista;
3) l’eccedenza di introiti serali rispetto alla somma pattuita con l’impresario, veniva divisa con
quest’ultimo o si concordava allo stesso una percentuale sul maggiore introito.
Modalità di assicurazione del Cachet
Molto spesso eventi imprevisti costringevano gli impresari a mettere in forse la liquidazione delle
paghe dei Virtuosi. Per questo motivo i contratti prevedevano una particolare clausola in base alla
quale la paga doveva essere assicurata e garantita malgrado qualsiasi imprevisto.
A garanzia dell’impegno preso, gli impresari facevano inserire nei contratti d’appalto un apposito
articolo in base al quale le Presidenze dei teatri si impegnavano in prima persona a garantire il
43
pagamento della somme occorrenti. Ovviamente, ne corrispondeva una proporzionale decurtazione
della Dotazione che la Proprietà del teatro doveva rilasciare all’impresa per la gestione degli
spettacoli. Nel caso in cui, invece, non fosse stata prevista una dote, taluni usavano vincolare presso il
cassiere o agente fiduciario del teatro una certa parte degli introiti (abbonamenti, affitti attivi dei
locali annessi al teatro); altri ancora usavano assicurare il pagamento delle paghe dei Virtuosi
ipotecando altre poste attive loro devolute in sostituzione della dote (affitti stagionali o serali dei
palchi, del loggione ed altri simili).
Una ulteriore forma di assicurazione delle paghe era la firma apposta sul contratto di un soggetto
fideiussore con l’unica accortezza che esso doveva essere un soggetto estraneo al teatro ovvero che
non doveva occupare cariche amministrative o direzionali.
Casi in cui gli artisti non potevano far fronte ai propri obblighi40
Predisposta e sottoscritta la scrittura tra l’impresario e l’artista entrambi erano obbligati a
rispettarla in modo puntuale.
Nel caso di trasgressioni da parte degli artisti, l’impresa aveva il diritto di impugnare il contratto di
fronte all’autorità locale e competente per darne esecuzione. La sua posizione gli permetteva anche di
negare i pagamenti dovuti nel caso di:
-‐ non rispetto della data di arrivo nella piazza41;
-‐ non rispetto dell’esecuzione della parte affidata: l’artista per prassi doveva apprendere la
parte senza variarla minimamente, tranne particolari casi concessi dall’impresa. Da contratto,
l’artista di canto doveva imparare la parte entro 15 giorni dal suo ricevimento nel caso di una
Grand’Opera, 12 giorni se si trattava di opera seria, 8 nel caso di opera buffa o farsa. Era poi
necessario avere pronta un’altra opera tra quelle già recitate o in repertorio per sostituirla ad
una in cartellone che non avesse incontrato il gusto ed il favore del pubblico. Gli artisti di ballo
era obbligati a partecipare a tutte le prove richieste e ed eseguire perfettamente quanto
40 G. VALLE, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 84-‐107. 41 Nel contratto poteva essere indicata come data di arrivo sulla piazza:
1. un giorno preciso: l’artista doveva trovarsi nel giorno indicato alla piazza del teatro e le spese per l’eventuale ritardo erano a suo carico;
2. un giorno approssimativo: questa indicazione dava 3 giorni di tolleranza all’impresario; 3. giorni primi, medi ed ultimi del mese: nel primo caso l’artista si doveva presentare a teatro tra il 1° ed il 10°
giorno del mese, nel secondo tra il 10° ed il 20° giorno e nel terno tra il 20° e l’ultimo giorno del mese.
44
comandato dal coreografo. Infine, il compositore doveva fornire la partitura o il programma
del ballo entro un temine prefissato e doveva trovarsi a disposizione in teatro al giorno
stabilito;
-‐ trasgressione delle clausole riguardanti il regime personale: ogni inconveniente che
coinvolgeva la salute dell’artista impedendogli di partecipare alle prove causava un danno
all’impresa. Per questo motivo l’impresario poteva consigliare al virtuoso un certo stile di vita
o di non cimentarsi in qualche divertimento che avesse potuto recare danno, nel caso del
cantante, alla voce. L’artista poteva essere richiamato e se non avesse prestato attenzione a
questi, l’impresa avrebbe potuto protestare i danni e negargli i pagamenti42;
-‐ assenze: il virtuoso non poteva assentarsi dalla piazza senza il permesso favorevole
dell’impresario e doveva trovarsi sempre pronto per le prove e gli spettacoli;
-‐ uso improprio del basso vestiario e dei costumi di scena: ogni artista, nel caso in cui avesse
creato dei danni o lacerato i costumi di scena ed eventualmente il basso vestiario datogli
come accessorio alla paga, avrebbe dovuto risarcire l’equivalente in denaro attraverso
ritenute sui quartali di paga.
Casi in cui l’impresario non poteva far fronte ai propri obblighi
I casi in cui l’impresario non poteva fare i fronte ai propri obblighi erano due: i casi fortuiti per
consuetudine senza diritto di indennizzo e i casi fortuiti con diritto di indennizzo.
Nella categoria dei casi fortuiti per consuetudine senza diritto di indennizzo rientravano ad
esempio, l’incendio, la volontà della superiore rappresentanza dello stato o del governo, il lutto per
qualche membro della famiglia regnante, o il decreto di ‘Alta Superiorità’ emanato da una forza
armata. Si trattava di tutti casi in cui il teatro era costretto a rimanere chiuso e gli spettacoli sospesi. I
virtuosi avevano diritto ai loro emolumenti fissati per la stagione solo in ragione del tempo in cui il
teatro era rimasto realmente in attività.
Nella categoria dei casi fortuiti con diritto di indennizzo entravano i casi di:
-‐ cessione provvisoria del teatro: se il Governo il Municipio, o la Società di palchettisti decideva
42 Fanno parte di questa categoria tutte le attenzioni riservate alla salute fisica a partire dall’alimentazione fino a tutte le attività come la caccia, i balli e le veglie, considerate nocive al fisico di virtuosi e ballerini. Erano prescritte delle norme anche sulla moralità degli artisti delle quali «Per una giusta delicatezza si omette una estesa analisi […]. Basterà riflettere come la rilasciatezza de’ costumi influisca sullo stato fisico […]».
45
di dare uno spettacolo grandioso o pretendeva l’utilizzo del teatro per altre feste, l’impresa
avrebbe avuto il diritto di essere rimborsata degli introiti mancanti;
-‐ sostituzione dei virtuosi: all’impresario spettava un compenso straordinario nel caso in cui la
Presidenza del teatro avesse insistito per un rimpasto della compagni di canto o ballo. Questo
perché all’inizio della stagione era obbligato a presentare la ‘nota’ della compagnia con tutti i
nominativi proposti alla Presidenza per approvazione; ottenuta questa, era diventato il solo
legittimo responsabile del teatro e degli artisti e solo a lui spettavano le decisioni su eventuali
sostituzioni;
-‐ mancanza di cosa locata o concessa: se la Presidenza avesse concesso all’impresario, oltre alla
dote e all’uso del teatro, il permesso dei giochi d’azzardo, e per qualsiasi causa fosse stata
impossibilitata ad adempiere a quanto concesso, l’impresario avrebbe avuto diritto ad un
proporzionato compenso a titolo risarcitorio;
-‐ malattia dei virtuosi: le malattie degli artisti potevano compromettere la loro capacità di
esibirsi e con questa, il buon andamento della stagione; in altre parole, rappresentava un caso
di inadempienza contrattuale. I casi che potevano verificarsi erano:
§ malattie esistenti e taciute all’atto della scrittura: l’impresa aveva diritto di sciogliere
la scrittura e di chiedere il risarcimento dei danni (il caso più lampante è quello della
gravidanza e parto);
§ malattie sopravvenute nel periodo di tempo che intercorreva tra la sottoscrizione
della scrittura e l’arrivo alla piazza: in tal caso il Virtuoso aveva l’obbligo di avvisare
immediatamente l’impresario. Se non l’avesse fatto, avrebbe dovuto risarcire i danni
conseguenti;
§ malattie sopraggiunte durante l’esecuzione della scrittura.
-‐ ritardo nei pagamenti da parte dell’impresa: poteva accadere che l’impresario fosse incapace
di pagare gli artisti nei termini stabiliti. Questi ultimi avevano il diritto di chiedere il
risarcimento dei danni ma non avevano la facoltà di allontanarsi dal teatro né di rifiutarsi di
andare in scena.
46
1.5.3.3 Scelta delle opere e dei soggetti in funzione della compagnia
La scelta di un cantante per un nuovo allestimento di un’opera, o anche per la messa in scena di
un’opera nuova, avveniva tramite un negoziato condotto di volta in volta tra lui stesso, l’impresario e i
proprietari del teatro. Ogni artista potenzialmente poteva avere una scrittura per ogni stagione
dell’anno e in un teatro di volta in volta diverso.
La spesa per i cantanti rappresentava la voce di gran lunga più consistente dei bilanci teatrali. La
retribuzione dei solisti si aggirava generalmente tra il 45-‐55% del costo totale. I cachet dei maggiori
divi raggiungevano altissime cifre anche grazie al fatto che il mercato operistico abbracciava l’intero
globo terrestre 43 ; d’altronde l’impresario poteva convertire questo sacrificio economico in un
investimento proficuo, assicurandosi il «tutto esaurito» a prezzi più elevati.
Il cantante era anche il centro attorno al quale gravitava la produzione operistica. La “scrittura” dei
cantanti da parte dell’impresario era il cardine del processo produttivo di un’opera nuova perché
rappresentava la “materia prima” con cui il librettista ed il compositore dovevano lavorare nella scelta
del soggetto drammatico.
La configurazione del cast avveniva per passaggi obbligati così sintetizzabili: per prima cosa era
necessario decidere il numero delle «prime parti», secondariamente, bisognava determinare la loro
gerarchia relativa, che si manifestava nel numero di pezzi a solo o concertati che spettava a ciascuno
di loro; infine, si prendevano in considerazione le specialità canore e drammatiche di ciascun
cantante.
Un cambiamento dell’ultima ora nella lista dei cantanti coinvolti nella rappresentazione o
l’avanzamento di particolari pretese da parte di uno di essi, poteva costringere gli autori a modifiche
sostanziali oppure a ripartire da zero, scegliendo un soggetto diverso. Nell’Ottocento emerge la figura,
spesso ambigua, dell’agente teatrale che promuove e sfrutta le carriere dei giovani cantanti.
I cantanti più acclamati puntavano e riuscivano ad imporre le loro parti preferite al punto che certe
opere e certe parti diventavano dei veri e propri cavalli di battaglia di alcuni divi dell’epoca.
43 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT. Torino,1993, p. 40.
47
1.5.3.4 Stesura del libretto e composizione della musica
I compositori venivano scritturati espressamente per comporre uno spartito nuovo. La cadenza
temporale del pagamento del loro compenso era fissata discrezionalmente attraverso le scritture. Ad
essi, entro un giorno prefissato ed in tempo utile, doveva essere consegnato il libretto dell’opera su
cui comporre la musica nonché essere esattamente messi al corrente della qualità, estensione e forza
della voce dei cantanti per poter tenerne conto all’atto della stesura della partitura. Dovevano, man
mano che avevano terminato una parte dello spartito, passare l’originale alla copisteria del teatro per
la trascrizione e per la consegna ai virtuosi. Dovevano assistere a tutte le prove e la prima sera di
spettacolo dovevano dirigere al cembalo (sebbene la direzione vera e propria fosse affidata al 1°
violino). Dovevano, infine, essere presenti fino alla terza recita (sempre dirigendo dal cembalo) e non
potevano alienare né regalare qualsivoglia parte della musica composta poiché l’impresa ne era
l’assoluta proprietaria. In via eccezionale, però, questa poteva concedere una licenza di vendita o di
affitto della partitura ad altri teatri44.
Il musicista che componeva per il teatro mirava ad un successo immediato e ai conseguenti e
immediati vantaggi economici che ne derivavano. Doveva scrivere opere sempre nuove e mantenere
un ritmo di produzione rapido, quasi frenetico. In questo contesto si può parlare di originalità
nell’ambito comunque di convenzioni formali, tipiche del genere e che potevano funzionare bene in
teatro.
L’opera, nella prassi, veniva scritta tutta d’un getto, senza ripensamenti di sorta, ma poteva subire
modifiche e revisioni nel corso delle prove di scena, nel corso delle rappresentazioni vere e proprie e
delle successive riprese. Tali revisioni venivano scritte per lo più per soddisfare le esigenze dei
cantanti.
Fin dagli inizi del 1800, librettisti e compositori si erano rivolti ad ogni tipo di fonte letteraria per
confezionare un testo poetico e drammatico opportunamente articolato per essere funzionale alla
musica. Il libretto d’opera doveva essere più breve di un dramma recitato o di un romanzo e
consisteva nel selezionare e ridurre del materiale letterario originale ricomponendolo in un discorso
compiuto.
44 G. VALLE, Cenni teorico-‐pratici sulle aziende teatrali, Società tipografica de’ classici italiani, Milano 1859, Cap. X.
48
Nel 1700 questo compito spettava unicamente al librettista che era considerato l’esperto e abile
arrangiatore di drammi teatrali e romanzi altrui. Nel secolo successivo, il crescente prestigio sociale
dell’operista aveva prodotto un rovesciamento dei ruoli ed aveva indotto il compositore ad imporre
sempre più la propria autonomia nella realizzazione del discorso drammatico45.
L’interesse degli operisti era quello di ottenere il più vasto consenso del pubblico teatrale; per
questo motivo il dramma musicale era concepito in funzione dell’effetto che produceva, inteso come
la capacità di coinvolgere e commuovere lo spettatore.
Un numero crescente di soggetti operistici sollecitava una diretta partecipazione ai casi dei
personaggi, ai loro amori, i loro odi, le loro ambizioni e rimorsi. La passione d’amore costituiva una dei
temi fondamentali dei libretti dell’epoca. Al lieto fine, obbligatorio fino a poco tempo prima, si
sostituisce il finale tragico della vicenda, per lo più di cupa disperazione.
1.5.4 Il sistema amministrativo di una stagione d’opera
I sistemi con i quali era possibile gestire e amministrare un teatro nel corso della stagione erano
due: l’Amministrazione Economica, tenuta dai rappresentanti della proprietà oppure
l’amministrazione degli spettacoli da parte dell’impresario.
Si parla di Amministrazione Economica quando la stagione era gestita direttamente dalla Proprietà
mentre se la gestione era affidata dalla Proprietà ad un impresario si parla di Amministrazione degli
Spettacoli. La proprietà quindi non era necessariamente coinvolta nella sua conduzione. Anzi, nella
maggior parte dei casi la proprietà affidava la gestione della stagione ad un impresario o ad un
rappresentante, che aveva il compito di svolgere tutti gli aspetti organizzativi ed amministrativi ad
essa correlati.
45 E. SURIAN, Manuale di storia della musica, Vol. 3, L’Ottocento: la musica strumentale e il teatro d’opera, Rugginenti, Milano, 1993, pp. 179-‐195.
49
SCHEMA 4: il sistema amministrativo di una stagione d’opera
Amministrazione economica o tutelare
In linea di principio il proprietario del teatro in quanto primo responsabile del proprio capitale,
avrebbe potuto gestire direttamente la stagione d’opera facendo in modo di ricavarne il massimo
utile. Questa non era esclusa come possibilità e prendeva il nome di “amministrazione economica” ma
era considerata il metodo più dispendioso per la realizzazione di una stagione perché all’epoca, i nobili
consideravano la prodigalità come un dovere e si sentivano obbligati ad elargire grandi somme.
Era possibile che la gestione venisse tenuta in maniera diretta da parte dei proprietari del teatro; si
trattava del caso di «Amministrazione economica». Era un sistema temuto perché molto dispendioso
ed i governi o i proprietari palchisti vi ricorrevano solo in tempi difficili come nei casi di fallimento
dell’impresa, ovvero quando l’impresario abbandonava il teatro o si dichiarava impossibilitato a
mantenere i suoi impegni verso la proprietà, la compagnia ed il personale del teatro.
Il problema era che, per gli aristocratici e le persone altolocate dell’epoca, la generosità era quasi
un dovere e allo sfarzo di alcune stagioni organizzate «in economia», corrispondevano altrettante e
consistenti perdite.
L’intervento della proprietà poteva essere richiesto dall’impresario in difficoltà, ma anche dai
virtuosi impegnati nelle rappresentazioni e obbligati, per contratto, ad onorare la scrittura anche in
STAGIONE
Gestione
PROPRIETA’ IMPRESARIO
Amministrazione Economica
Amministrazione Spettacoli
50
caso di ritardo nella retribuzione. Questi ultimi, all’ammontare del loro credito presso l’impresario,
erano legittimati a segnalare l’insolvenza alle autorità del teatro.
L’Amministrazione Economica o tutelare aveva dei compiti precisi. Per prima cosa doveva rilevare
lo stato attivo e passivo dell’impresa: quali e quanti introiti erano stati fatti dall’impresario a tal
giorno, l’ammontare delle rate della dote e gli affitti dei palchi, gli abbonamenti e i biglietti serali. Poi,
si occupava delle restanze e delle passività dell’impresa, dei pagamenti al personale, delle spese serali
e di quelle per la scenografia, il vestiario, gli attrezzi, gli spartiti ecc. Con questi dati, l’amministrazione
calcolava l’eventuale deficit a carico dell’impresa46.
Amministrazione degli spettacoli da parte dell’impresario
Per questo motivo il proprietario, a meno di non trovarsi in situazioni di emergenza come casi in
cui nessun impresario si prendeva la responsabilità dell’appalto, affidava la gestione del teatro per la
realizzazione della stagione ad un impresario che si poneva come intermediario tra lui e le maestranze
che aveva il compito di scritturare. Si trattava di una sorta di speculatore che cercando di fare i propri
interessi, faceva anche quelli della proprietà.
Tuttavia gestire l’appalto e ricavarne un utile era molto difficile perché il teatro non gli veniva
concesso per intero e non veniva considerato come un’unica entità economica. I palchi ad esempio,
distinti dal resto dell’impianto sia in senso materiale che sociale, potevano non figurare o comparire
solo in parte nei proventi.
Prima di proseguire nella descrizione è indispensabile fare un passo indietro per comprendere in
che modo era costituito il ricavo dei teatri italiani suddiviso genericamente in: biglietti d’entrata,
contributo derivato dai palchi e dotazione.
Al momento dell’entrata a teatro era chiesto a tutti di pagare un biglietto di ingresso che poteva
valere per una rappresentazione o poteva essere in abbonamento per l’intera stagione.
Successivamente, a seconda dei teatri, si poteva pagare per entrare in platea o per avere qualcuno dei
pochi posti fissi chiusi a chiave e aperti appositamente da un custode. Questo succedeva perché il
teatro era il centro della vita sociale e qualcuno poteva accedervi solo per intrattenersi o fare delle
visite.
46 G. VALLE, Cenni teorico pratici sulle aziende teatrali, Società tipografica de’ classici italiani, Milano, 1859, p. 134.
51
Il ricavo derivato dai pachi variava secondo il tipo di proprietà e di contratto con l’impresa. I
palchisti non erano assimilabili al normale pubblico e godevano di alcune facoltà come ad esempio, di
subaffittare i loro palchi ricavandone un utile e facendo così concorrenza all’impresario. Nei casi in cui
vigeva la proprietà individuale dei palchi come alla Fenice, i palchisti potevano versare all’impresa un
“canone” determinato collettivamente o concordato individualmente con l’impresario e poi decidere
se usufruire o rinunciare all’uso del palco. Il canone sostituiva o integrava un abbonamento
stagionale. Altrimenti i palchisti pagavano un semplice abbonamento e i palchi invenduti potevano
essere assegnati all’impresario con la facoltà di darli in locazione serale.
Il canone dato dal palchisti compariva solitamente nella “dotazione” ovvero la sovvenzione47 di cui
poteva usufruire l’impresario per l’organizzazione della stagione. Questo mette in evidenza quanto la
loro funzione non fosse quella di consumatori indifferenziati bensì membri di un gruppo privilegiato
produttore di un servizio, con l’impresario come intermediario e alle volte, un sussidio governativo.
Fungevano allo stesso tempo da consumatori, produttori e committenti.
Dotazioni, sovvenzioni e privilegi non garantivano però che l’impresario riuscisse a portare a
termine la stagione senza perdite. La questione rimane complessa «si ha l’impressione che quando la
sovvenzione era grosso modo equivalente al provento della stagione l’impresa poteva sperare di
arrivare al pareggio o anche di conseguire un utile»48. Purtroppo tali condizioni si ottenevano
difficilmente e restavano da gestire considerevoli voci di costo.
In relazione al costo relativo delle prestazioni, tra le voci di uscita più importanti si trova la paga dei
solisti che si aggirava generalmente sul 45-‐55% del costo globale49. Tra gli altri costi relativi, quello che
subì un cambiamento di rilevo fu quello per il compositore: a seguito dell’affermarsi del diritto
d’autore con il trattato austro-‐sardo del 1840, si passò dalla somma unica pagata per la prima
rappresentazione di un’opera ai diritti prelevati su tutte le rappresentazioni e sulle riduzioni a stampa.
Il costo della musica fu comunque sempre inferiore al 10%. Altre voci rilevanti ma più difficili da
cogliere erano il costo dell’orchestra e delle masse.
I costi di produzione variano oltre che per il periodo preso in considerazione anche a seconda della
tipologia di opera da mettere in scena perciò anche per questa categoria, non è possibile fare delle
47 Questa sovvenzione poteva essere una somma di contanti, un particolare privilegio (ad esempio quello di gestire il gioco d’azzardo), oppure il diritto di rivendere i palchi. 48 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987 p. 90. 49 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987 p. 91.
52
stime. Possiamo registrare però che vi furono alcuni cambiamenti tecnologici interessanti come
l’introduzione dell’illuminazione gas che probabilmente portò ad una diminuzione delle spese rispetto
all’uso che si faceva in precedenza per le candele di cera prima e l’olio d’oliva poi.
1.6 Il pubblico
Fra le tante modificazione del sistema produttivo dell’opera lirica, quali la nascita e l’affermazione
del concetto di repertorio, l’editoria come vero motore della produzione al posto dell’impresario, la
replicabilità e la capacità di durare nel tempo come prerequisiti indispensabili di un’opera nuova,
bisogna annoverare anche un altro importante cambiamento: quello della composizione sociale del
pubblico.
Il pubblico operistico non è rimasto sempre lo stesso nel corso del tempo. Tra la prima e la seconda
metà dell’Ottocento, la composizione sociale è cambiata radicalmente come tutti gli attori del sistema
operistico presentati finora. Per poter comprendere in che direzione è avvenuto il cambiamento del
pubblico, ripercorriamo brevemente l’evoluzione storica dell’opera lirica.
L’opera settecentesca era concepita per un pubblico prevalentemente aristocratico mentre quella
del primo Ottocento si rivolgeva soprattutto ad un ceto di alta borghesia imprenditoriale che aspirava
a far propri il tenore di vita ed il ruolo culturale che era stato dell’aristocrazia. Ma il processo storico
che, attraverso tutto il secolo, fa emergere strati sempre più larghi della società e che in Italia conosce
una decisa accelerazione dopo l’Unità, fa si che anche la media e piccola borghesia impiegatizia ed
artigiana, prima relegata ai margini dello spettacolo operistico, divenga una componente del pubblico
significativa dal punto di vista economico e determinante nel fissare i confini di quell’orizzonte di
attesa del gusto di cui autori ed editori devono tener conto. Un sintomo sicuro di questo mutamento
è la costruzione di nuovi teatri assai più capienti e le cui barriere sociali sono, se non eliminate, certo
meno rigide. Si tratta di teatri in grado di offrire spettacoli ad un gran numero di persone a prezzi
accessibili.
Attraverso queste nuove possibilità di diffusione, l’opera italiana acquisisce quel carattere di
popolarità che viene comunemente attribuito. La conseguenza inevitabile è un abbassamento del
livello generale del gusto che porta a privilegiare nello spettacolo operistico, il momento della
grandiosità spettacolare.
54
II IL SISTEMA PRODUTTIVO DEL TEATRO LA FENICE NEL 1800
Nel primo capitolo abbiamo visto che il cardine attorno al quale si strutturava il sistema produttivo
dell’opera lirica italiana nell’Ottocento era la Stagione. Per questo motivo, abbiamo scelto di portare
l’esempio di un caso concreto e di descrivere come veniva organizzata una stagione al Gran Teatro la
Fenice di Venezia. Tra le diverse sale teatrali veneziane, la scelta è ricaduta sulla Fenice perché era il
teatro primario della città e, in quanto tale, quello più rappresentativo per l’opera lirica.
Successivamente, si è posto il problema di scegliere quale stagione prendere in considerazione.
Per prima cosa, abbiamo focalizzato l’attenzione sulla seconda metà dell’Ottocento con l’obiettivo
di mettere in evidenza eventuali modificazioni nel sistema produttivo indotte dal cambiamento
politico, economico e culturale avvenuto con l’Unità d’Italia. Le prime ricerche si sono concentrante
nell’ultimo decennio del secolo, cercando informazioni sulle gestioni del teatro da parte di editori.
In particolare, ci eravamo soffermati su Edoardo Sonzogno perché egli stesso in prima persona (a
differenza di Ricordi che si avvaleva di prestanome), si prendeva l’onere dell’appalto. Sonzogno fu
impresario alla Fenice per le stagioni di Carnevale-‐Quaresima del 1888-‐1889, 1893 e 1897. Per
ricostruire l’andamento della stagione è necessario reperire almeno il bilancio degli spettacoli, il
documento formale che attestava a consuntivo lo stato delle entrate e delle uscite conseguenti alla
messa in scena delle rappresentazioni. Dobbiamo rilevare, purtroppo, che non è stato possibile
ritrovare questo documento per nessuna delle stagioni nelle quali era coinvolto l’editore milanese. A
questo punto è cambiato il metodo di ricerca: abbiamo concentrato l’attenzione non più
sull’impresario dal quale speravamo di trovare delle informazioni, ma semplicemente sulla presenza di
queste informazioni all’interno dei documenti conservati presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice.
Abbiamo concentrato gli sforzi sul decennio compreso tra il 1870 e il 1880. Non prima, perché il
teatro era stato riaperto solo nel 1866 ed un momento eccezionale come quello, non poteva
rappresentare la norma della gestione; né dopo, perché sapevamo dall’osservazione dei documenti
che le informazioni si facevano sempre meno numerose e dettagliate.
55
Per gli anni compresi tra il 1870 ed il 1877 non è possibile trovare, all’interno dell’Archivio, alcun
bilancio degli spettacoli. È stato possibile visionare il bilancio unicamente della stagione di Carnevale-‐
Quaresima del 1878-‐1879 e su questo ci soffermeremo nella nostra analisi.
Dopo aver presentato i soggetti attorno ai quali si strutturava il sistema produttivo del Teatro la
Fenice, il modo in cui al suo interno venivano amministrati i fatti economici nel corso della gestione e
aver spiegato quale era la sua struttura interna, descriveremo come veniva organizzata la stagione
d’opera e quali competenze e responsabilità erano messe in campo per la sua realizzazione. Ci
soffermeremo, infine, sulle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione della stagione e al loro
rapporto con i risultati raggiunti.
2.1 Soggetti e struttura gestionale
Il Teatro la Fenice nacque alla fine del Settecento per opera di una associazione di palchettisti
denominata Nobile Società, che si sarebbe occupata della gestione del teatro per tutto il secolo
successivo.
Tale società si era formata per condurre le attività del Teatro San Benedetto, uno dei cinque
teatri50 che erano sorti nel sestiere di San Marco nel 1700. Il fondo sul quale insisteva l’edificio del San
Benedetto era di proprietà della famiglia Venier che, alla fine del 1800, a seguito di una vertenza
giudiziaria, lo reclamò e ne ottenne la proprietà con tutto quello che vi era costruito sopra. La società
di palchettisti, privata del teatro, decise così la costruzione di un nuovo teatro più grande e
importante di quello perduto.
Per questo motivo, all’apice del sistema produttivo del Teatro la Fenice, troviamo la Nobile Società
Proprietaria, un’associazione di palchettisti che si riuniva periodicamente e gestiva i vari aspetti della
vita del teatro.
La Società si affidava, per l’organizzazione della stagione, ad un impresario, il quale, con il
finanziamento concordato e ottenuto dagli stessi palchettisti, si occupava della gestione della stagione
d’opera.
Nella prima metà dell’Ottocento, troviamo altre due istituzioni nate parallelamente alle attività del
teatro con una loro struttura interna. Si tratta della Pia Istituzione d’Orchestra e della Scuola di Ballo.
50 I teatri veneziani sorti nel 1700 erano: il San Samuele, il Sant’Angelo, il San Luca, il San Giovanni Grisostomo ed, appunto, il San Benedetto.
56
Le loro attività dipendevano finanziariamente dalla Nobile Società e chi vi prendeva parte come
musicista o ballerino era coinvolto nella produzione degli spettacoli per la stagione. Dopo l’Unità
d’Italia del 1861, la crisi economica ebbe la meglio su queste due istituzioni: la scuola di ballo, la cui
storia era stata caratterizzata da un andamento scostante, chiuse nel 1860 mentre l’orchestra nel
1878. Le menzioneremo comunque nel corso della trattazione, per evidenziare il cambiamento delle
strutture interne al teatro che era in atto e che rappresenterà la cornice dell’analisi sulla stagione.
Ci troviamo di fronte ad una pluralità di amministrazioni dalle quali scaturivano diversi e separati
bilanci imputabili ad altrettanti soggetti: c’era la Nobile Società proprietaria con i propri conti
consuntivi, l’impresario con il bilancio della sola amministrazione degli spettacoli e ad altri due
rendiconti riferibili rispettivamente alla Pia Istituzione d’Orchestra e alla Scuola di Ballo. Ogni
amministrazione aveva competenze differenti precisamente determinate all’interno di documenti
ufficiali (regolamenti e contratti) e dava origine a risultati economici diversi, anche se il controllo era
mantenuto dalla Nobile Società Proprietaria che monitorava le scelte gestionali ed interveniva nel
momento della discussione ed approvazione dei vari prospetti.
Nel corso della trattazione entreremo nel dettaglio delle competenze di ogni soggetto e dei relativi
oggetti di amministrazione.
SCHEMA 5: il sistema amministrativo del Teatro la Fenice
Nobile Società Proprietaria
Impresario
Pia Istituzione d’Orchestra
Scuola di Ballo
Amministrazione Teatro
Amministrazione Spettacoli
Amministrazione Orchestra
Amministrazione Scuola di Ballo
Controlla
Conto consuntivo dell’Amministrazione della Società dal 1° Novembre 18.. a tutto Ottobre 18..
Bilancio della stagione
Rendiconto dell’Amministrazione dei fondi appartenenti alla Pia Istituzione d’Orchestra dal 1° Novembre 18.. a tutto Ottobre 18..
Rendiconto
57
2.1.1 La Nobile Società Proprietaria
La Nobile Società Proprietaria si occupava di gestire l’intero immobile che costituiva il teatro e che
comprendeva la sala teatrale ed i locali ad essa adiacenti. Le sue competenze erano indicate nel
Regolamento Sociale, un documento proposto, modificato e votato dai soci riuniti in convocazione.
Questo documento ha accompagnato per oltre un secolo la storia della società, di volta in volta
modificato ed adattato in relazione ai cambiamenti politici, economici, culturali e sociali intervenuti
nella storia di Venezia. A partire dal primo regolamento societario disponibile, datato 1836, sono state
fatte numerose proposte e modifiche effettive; solamente prendendo in considerazione gli anni dal
1868 al 1893, troviamo quattro modifiche51 documentate, a testimonianza del fatto che si tratta di un
documento in continua evoluzione.
2.1.1.1 L’amministrazione del teatro: Il regolamento sociale
Il Regolamento Sociale era costituito da titoli che si riferivano a diversi argomenti generali, e da
articoli che contenevano le disposizioni alle quali i soci dovevano sottostare. A titolo di esempio,
riportiamo lo schema generale del documento redatto nel 1868, la prima modifica del regolamento
effettuata dopo l’annessione di Venezia al Regno d’Italia e la riapertura del teatro del 1866.
Il documento definisce in primo luogo da chi è composta la Società Proprietaria, cioè da tutti i
proprietari di palchi senza distinzione di sesso, regolarmente iscritti nel registro della società (Art. 1).
Elenca poi le proprietà materiali della società e dei soci, distinguendo le parti indivisibili (ad esempio il
fondo sul quale insiste l’edificio, il fabbricato, i mobili ecc.) da quelle spettanti ad ogni singolo socio (il
palco), specificando che la proprietà di ciascun palco costituisce una proprietà particolare e separata
dal fondo sociale (Art. 2). Spiega che cosa accade nel momento in cui avviene una mutazione di
proprietà per titolo ereditario o di contratto e di scioglimento di un proprietario dalla società. Nel
primo caso, il successore doveva essere ritenuto idoneo da parte della società a sostenere la
rappresentanza e l’amministrazione delle sue proprietà; in caso di non approvata idoneità il
successore non veniva riconosciuto come socio. Nel secondo caso, veniva stabilito che ogni socio
51 Si tratta di modifiche richieste dalla Società Proprietaria e approvate con Regio decreto legge nel 1876, 1878, 1881 e 1887.
58
aveva la facoltà di sciogliersi dalla società tramite la rinuncia del palco a favore della medesima e di
tutti i diritti che gli conferiva lo status di socio (Art. 4).
Per quanto riguarda le riunioni dei soci, il regolamento illustra in primo luogo quali sono gli
argomenti da discutere nel corso dell’assemblea dei soci riuniti in convocazione, stabilendo che la
società «dispone dell’uso del teatro e fabbriche annesse, ed approva tutti i contratti d’appalto, e le
modificazioni importanti che potessero occorrere»52. Stabilisce che la società doveva decidere la
somma da spendere per gli spettacoli, determinare col preventivo l’ammontare delle spese dell’anno
che doveva essere ripartito sui palchi ed approvare il consuntivo. In altre parole doveva mettere in
atto tutte le disposizioni necessarie al buon funzionamento e alla migliore amministrazione del teatro
(Art. 13).
Era poi regolamentato il sistema delle votazioni e le conseguenze nel caso in cui i soci non
potessero partecipare di persona alle convocazioni: ogni socio poteva farsi rappresentare da un
procuratore al quale era concesso di deliberare in sua vece. Le riunioni erano di volta in volta
verbalizzate ed ogni socio poteva rileggere i verbali delle precedenti convocazioni facendo richiesta
alla Presidenza (Art. 14).
Nel regolamento erano descritte le cariche conferite alla Presidenza della società, che aveva
l’obbligo di promuovere gli interessi sociali e di prestarsi a quanto necessario per mantenere il buon
ordine della società; era esplicitata la durata dell’incarico, il sistema di elezione e quanti e quali soci
potevano essere eletti per tale mandato. La Presidenza era composta da tre soci che amministravano
la società rispettivamente a titolo di: Presidente all’Economia, Presidente agli Spettacoli e Presidente
Cassiere (Art. 43). Dovevano insieme stabilire le convocazioni, determinare gli argomenti, formare
preventivo e consuntivo a carico della Società e comunicare ad ogni socio la quota di canone
spettante al palco rispettivo. Inoltre dovevano firmare i contratti d’appalto degli spettacoli, scegliere
le prime parti dell’orchestra, assumere e dimettere gli impiegati e così via (Art. 59). Separatamente,
esercitavano ognuno le proprie particolari funzioni: il presidente all’economia (Art. 60) doveva
sorvegliare e dirigere l’amministrazione economica della società, proponendo l’annuale preventivo e
consuntivo, stabilendo il canone di ogni palco, procedendo contro i debitori e così via. Il Presidente
52 Teatro la Fenice, “Regolamento della Proprietà del Teatro la Fenice in Venezia, 1868”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: regolamenti e massime, A. 1.3.1 – 084.
59
agli Spettacoli (Art. 61) doveva occuparsi dei contratti per gli appaltatori, controllare l’andamento
dell’orchestra nel rispetto del relativo regolamento e amministrare il fondo, sorvegliare sulla messa in
scena degli spettacoli e sulla disciplina del palcoscenico. Il presidente cassiere (Art. 62) era
responsabile della cassa sociale, doveva effettuare i pagamenti delle spese ordinarie e supportare
nell’organizzazione pratica, il presidente all’economia nei suoi obblighi.
In seguito (Art. 65), erano definiti i ruoli e le paghe spettanti agli impiegati della società (un
segretario, ragioniere e archivista, un ingegnere architetto, un custode ed un sotto-‐custode); il modo
di esazione delle contribuzioni sociali con tutti gli obblighi dei soci, le scadenze e i casi di insolvenza;
infine, una tabella riassumeva quanto dovuto da ogni socio per l’affitto di un palco in relazione
all’ordine nel quale era situato. Il regolamento poteva essere modificato tramite l’istituzione di una
commissione composta da un numero variabile di soci con il compito di valutare le modifiche
necessarie e la forma più corretta per attuarle.
TABELLA 7: contenuti del Regolamento Sociale
TITOLO ARGOMENTO CONTENUTI I Della Società e dei Soci
(Art. 1-‐12) Chi sono i proprietari della società Mobili e immobili di proprietà della società Proprietà particolare di un palco Casi di mutazione di proprietà Scioglimento di un socio dalla società e rinuncia del palco
II Delle Convocazioni e deliberazioni della Società (Art. 13-‐42)
Facoltà della società riunita in convocazione Maggioranza assoluta in prima convocazione, maggioranza relativa in seconda convocazione Procure Circolare d’invito alla convocazione Convocazioni ordinarie e straordinarie Rappresentanti istituzionali Approvazione Consuntivo e Preventivo La revisione dei conti Le votazioni Processi verbali delle convocazioni
III Dei Presidenti e delle loro attribuzioni (Art. 43-‐64)
La società è rappresentata da una Presidenza composta da 3 soci Elezione dei presidenti Durata incarico Chi può diventare presidente Casi di non accettazione dell’incarico
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Funzioni collegiali e funzioni separate IV Degli impiegati subalterni
(Art. 65-‐67) Dipendenti della Presidenza e relative paghe
V Della esazione delle contribuzioni sociali (Art. 68-‐83)
Modalità di pagamento e scadenze Quote rimaste insolute Vendita all’asta dei palchi di soci debitori
VI Disposizioni generali (Art. 84-‐92)
Lavori straordinari e responsabilità della Presidenza Cassa sociale Archivio degli atti sociali Amministrazione in economia
2.1.1.2 I conti consuntivi della Nobile Società Proprietaria
Come abbiamo visto nella descrizione del regolamento sociale, la Nobile Società Proprietaria aveva
l’obbligo di redigere per ogni anno amministrativo un preventivo ed un consuntivo. Tali documenti,
consegnati ai soci e approvati nel corso delle convocazioni, erano utili ai Presidenti e a tutti i soci per
verificare lo stato della gestione.
Dopo aver presentato lo schema formale di conto consuntivo con le voci più ricorrenti tra le
entrate e le uscite, ci soffermeremo sul suo sistema di redazione.
Lo schema formale di Conto Consuntivo
Dall’osservazione a campione di alcuni conti consuntivi è stato possibile ricavare uno schema
formale dei documenti predisposti dalla Nobile Società Proprietaria al termine dell’anno
amministrativo. Lo schema tipo di conto consuntivo si riferisce ad un arco di tempo che non coincide
con la singola stagione teatrale ma comprende il periodo che va dal 1° novembre al 31 ottobre
dell’anno successivo. Le entrate e le uscite sono imputabili unicamente alla Nobile Società
Proprietaria del teatro che, con il contratto d’appalto, affidava la gestione delle stagioni d’opera
all’impresario appaltatore.
Si tratta di un bilancio finanziario a sezioni contrapposte ed il principio ragionieristico in base al
quale si effettuavano le registrazioni è quello di cassa. Questo si desume dalle tre colonne riportate in
entrambe le sezioni, attiva e passiva, che riportano la dicitura: somme esatte/pagate, somme da
esigersi/da pagarsi, totali. Viene anche evidenziato il confronto tra le somme indicate nel Preventivo
discusso ed approvato dalla Presidenza e le somme effettivamente spese o riscosse.
61
Infine, si conclude il documento con un prospetto riassuntivo riportante la differenza algebrica tra
le somme esatte e quelle pagate, con l’indicazione del fondo in rimanenza alla fine del periodo. Da
questo, si sommano e si detraggono rispettivamente le restanze da esigersi e quelle da pagarsi e si
arriva all’indicazione della effettiva risultanza a credito/debito della società.
Nella seconda metà del 1800 ci troviamo di fronte ad una modifica dello schema di Conto
Consuntivo che può essere definita più formale che sostanziale: la differenza più evidente negli
schemi dei due periodi è l’intervallo amministrativo che, nella seconda metà del 1800, non è più
compreso tra novembre e ottobre ma va da maggio ad aprile. Ancora, nello schema riassuntivo di
Conto Consuntivo della seconda metà dell’Ottocento, a fianco di ogni voce di entrata ed uscita, è
riportata la dicitura “Rubrica” indicata con un numero romano. Tale riferimento, che non compariva in
precedenza, rimanda ad allegati, minute e fatture che giustificano l’ammontare complessivo delle
varie voci.
Riportiamo un esempio di conto consuntivo del Teatro la Fenice per comprendere com’era
effettivamente costruito lo schema e quali erano le voci registrate alla fine di ogni anno
amministrativo53.
53 Teatro la Fenice, “Conto Consuntivo dell’Amministrazione della Società da 1° Maggio 1878 a tutto Aprile 1879”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: consuntivo 1878-‐1879, A 2.3.2 – 207.
63
Entrate e uscite del Conto Consuntivo
Per ogni schema di conto consuntivo è possibile mettere in evidenza le entrate e le uscite ricorrenti
in ogni anno di gestione.
Per quanto riguarda le entrate possiamo rilevare che le principali, in ordine di importanza, erano
date dal canone pagato ogni stagione dai soci-‐palchettisti e da altre somme di provenienza diversa. Il
canone era una somma di denaro derivata dal prodotto dell’imposta di 99 centesimi ripartibile sui
palchi e sui camerini tolta la cifra appartenente ai palchi di proprietà sociale. Questa somma
rappresentava la più importante fonte finanziaria di cui poteva godere il teatro e, unita alle volte al
sussidio concesso dal Comune, formava la somma che la proprietà consegnava all’impresario a titolo
di Dotazione spettacoli affinché avesse i mezzi liquidi necessari per gestire le stagioni che gli erano
state appaltate.
Altre voci che compaiono all’attivo sono le restanze attive e le sopravvenienze attive. Le prime
registrano le rimanenze di cassa mentre le seconde contengono il saldo dei debiti sociali insoluti nel
corso dell’amministrazione ed eventuali refusioni di spese. Tra gli affitti attivi sono registrate le
somme derivate dall’affitto dell’intero stabile del teatro oppure delle sale del teatro e dei locali
annessi. Nei compensi ed abbonamenti attivi compaiono le somme che gli impiegati restituiscono alla
società in ragione dell’imposta sulla ricchezza mobile che la società anticipava per loro conto. Nella
voce prodotti diversi erano registrate tutte le entrate derivate dalla vendita di qualcosa di proprietà
della società o il prodotto di permute sui palchi autorizzate dalla società. Tra i prestiti restituibili si
trovava l’ammontare dei prestiti ottenuti dalla società per le sue attività.
Dal lato delle uscite, le principali erano quelle collegate alla Dotazione Spettacoli, ovvero alla
somma che la Nobile Società doveva consegnare ogni stagione in quattro rate, le cui date erano
fissate nel contratto d’appalto, all’impresario. La cifra consentiva di metterlo nelle condizioni di
64
gestire la stagione teatrale, di far fronte alle spese per la manutenzione del teatro e ad altre spese di
minor entità come quelle per l’assicurazione contro gli incendi, le imposte, gli affitti passivi, ecc.
Altre importanti voci dal lato delle uscite sono le restanze passive e le sopravvenienze passive. Tra
le prime erano registrati i debiti contratti dalla società nel corso dell’amministrazione precedente
mentre tra le sopravvenienze erano contenute le somme dovute ai creditori. Tra gli onorari erano
registrate le paghe per gli impiegati fissi del teatro come il Segretario Ragioniere, l’Ingegnere, lo
Scrittore, il Custode e il suo assistente. Tra gli affitti passivi erano registrate le somme dovute ad
esempio per l’affitto dei contatori del gas. Ancora al passivo si trovavano le spese per l’assicurazione
dagli incendi, con le somme dovute per i premi assicurativi ma anche per i pompieri la manutenzione
dei mobili e dei locali che poteva essere ordinaria o straordinaria.
Tra le uscite anche di importante entità che comparivano però saltuariamente (per questo motivo
non inserite nella tabella precedente), possiamo trovare quelle per gli ampliamenti, i restauri e gli
arredi del teatro.
TABELLA 9: sintesi percentuale entrate e uscite del Conto Consuntivo54
ENTRATE USCITE
Restanze attive 5,9% Sopravvenienze attive 0,2% Affitti attivi 3,0% Compensi ad abbonamenti attivi 0,2% Prodotti diversi straordinari 1,7% Prestiti Restituibili 29,7% Canoni 50,6% Partite di Giro 8,7%
Restanze passive 3,1% Sopravvenienze passive 0,9% Onorari 1,8% Affitti attivi 0,5% Assicurazioni dagli incendi 2,5% Manutenzione Mobili e locali 4,1% Imposte pubbliche 1,6% Dotazione spettacoli 38,8% Spese di Cancelleria 35,7% Spese diverse 0,2% Compensi ed abbonamenti passivi 0,5% Concorrenza alle spese del Liceo Musicale B. Marcello e del monumento a re Vittorio Emanuele 0,3% Pensioni 1,3% Fondi di riserva 0,4% Partite di giro 8,3%
54 Le voci sintetiche e le percentuali sono relative al Conto Consuntivo 1878-‐1879 di cui a p. 61.
65
La redazione del Conto Consuntivo
La redazione del Conto Consuntivo avveniva in tre fasi differenti contraddistinte da altrettanti livelli
di sintesi.
Innanzitutto, nel corso dell’anno amministrativo venivano raccolti i mandati di pagamento, le
quietanze, le fatture e qualsiasi altro atto che attestasse uno scambio di servizi tra la Nobile Società
Proprietaria e i terzi. Questi venivano sintetizzati in due grandi raccolte, l’allegato attivo e l’allegato
passivo del conto consuntivo. Al loro interno erano riportati il titolo delle spese e il dettaglio delle
partite, le somme pagate o da pagarsi e il totale degli importi. Infine veniva redatto il vero e proprio
documento sintetico di conto consuntivo che veniva stampato consegnato a tutti soci per essere
approvato.
SCHEMA 6: i diversi livelli di sintesi nella redazione del conto consuntivo
Per comprendere il modo con cui avvenivano le registrazioni di cassa prendiamo ad esempio una
delle voci più importanti nel Conto Consuntivo ovvero la dotazione per gli spettacoli del Conto
Consuntivo della Nobile Società Proprietaria per l’anno 1878-‐1879. Faremo il percorso a ritroso a
Fatture Mandati di pagamento Quietanze
Allegato Attivo
Allegato Passivo
CONTO CONSUNTIVO
66
partire dal risultato sintetico del conto consuntivo, passando per l’allegato passivo (si tratta di una
uscita per la Società Proprietaria) ed infine risaliremo alla Rubrica che contiene le informazioni
dettagliate sull’ammontare e il motivo delle spese sostenute.
Nel Conto Consuntivo dell’Amministrazione della Società Proprietaria dal 1° maggio 1878 a tutto
aprile 1879, la voce Dotazione Spettacoli si trova tra le uscite. A preventivo erano state stimate
100.000 lire effettivamente erano state pagate 103.248,03 lire ed erano ancora da pagarsi 373,12 lire,
per un totale di 103.621,15 lire. Nell’allegato passivo si trovano informazioni su come era stata
erogata l’intera somma all’impresario. La prima rata era stata dilazionata in 5 parti (8.000, 7.000,
6.000, 3.000, 11.000 lire), per un totale di 35.000 lire a partire dal 1° dicembre 1878. La seconda e la
terza rata erano di 22.000 lire ciascuna ed erano state erogate rispettivamente il 30 dicembre del
1878 ed il 12 febbraio del 1879. La quarta ed ultima rata ammontava a 21.000 lire ed stata data
all’impresa il 31 marzo 1879.
Per sapere perché l’erogazione della dote era avvenuta in questo modo bisogna risalire ai mandati
di pagamento ovvero al dettaglio delle uscite relativo agli spettacoli. Ogni mandato riporta la data e
l’anno dell’esercizio in corso, chi effettua il prelievo dalla cassa sociale, cioè il direttore cassiere,
l’ammontare e la causa del pagamento. Ricordiamo inoltre che, durante la convocazione sociale
dell’11 agosto 1878, la società aveva deliberato che la prima rata della dote sarebbe stata erogata in
relazione a giustificate richieste da parte dell’impresario.
La prima rata consisteva in 35.000 lire e, come abbiamo detto, era suddivisa in cinque parti. Di
queste cinque parti, la prima serviva ad avviare i lavori per la stagione; la seconda per il noleggio del
vestiario; la terza per stipendiare la prima ballerina, il mimo assoluto e i coristi oltre ad altri mimi e
ballerine in arrivo sulla piazza; la quarta per pagare artisti e masse; la quinta ed ultima parte sempre
per gli stipendi, contando l’impresario sull’arrivo in Venezia di tutti gli artisti di canto e ballo.
La seconda rata di 22.000 lire, come convenuto con la stipula del contratto d’appalto, veniva
concessa solo dopo la terza recita della stagione. La Società Proprietaria, oltre a questa somma,
aggiungeva 8.000 lire che sarebbero state prelevate dal deposito cauzionale fatto dall’impresario nel
caso non fosse riuscito ad avviare la stagione.
La terza rata doveva servire anche per il gas consumato durante i mesi di dicembre e gennaio,
mentre la quarta per il conguaglio del gas e le relative competenze di vigilanza.
67
Com’è stato fatto per la dote, è possibile analizzare ogni singola voce di entrata e di uscita e risalire
ad ogni causale che giustifica l’andamento della gestione.
2.1.2 L’impresario
L’impresario, scelto e assunto tramite contratto dai palchettisti riuniti in convocazione, aveva il
compito di organizzare la stagione d’opera e di gestire al meglio il teatro a lui concesso in appalto per
tutto il periodo della gestione. I rapporti formali tra la Società Proprietaria e l’impresario erano
codificati nel contratto d’appalto, che descriveva le rispettive obbligazioni tra le parti. Come abbiamo
anticipato, la Nobile Società Proprietaria riunita in convocazione stabiliva delle disposizioni generali
per la cessione e l’utilizzo del teatro all’interno del Capitolato Normale d’Appalto, disposizioni che poi
venivano di volta in volta discusse con l’impresario che si prendeva a carico l’appalto.
Del contratto d’appalto si è parlato diffusamente nel paragrafo 5 del primo capitolo al quale
rimandiamo per avere ulteriori dettagli o per approfondire l’argomento.
Di seguito, ci occuperemo sinteticamente dei costi e dei ricavi con i quali si doveva rapportare
l’impresario nel corso della gestione e dello schema di bilancio che, infine, risultava dal suo lavoro.
Tuttavia l’affacciarsi degli editori sul mercato dell’opera lirica e la loro progressiva importanza nella
realizzazione della produzione operistica, sono evidenti anche al Teatro la Fenice, dove un documento
del 1873 mette in luce alcuni interessanti quesiti relativi alla gestione, di fronte ai quali si ponevano e
si trovavano a discutere i proprietari del teatro.
La Società Proprietaria del Teatro la Fenice, durante la convocazione ordinaria del 2 dicembre
1872, istituì una Commissione composta da cinque soci membri, con il compito di studiare le migliori
riforme per la modifica del regolamento. Tale Commissione nel corso di una convocazione
straordinaria della società datata 10 aprile 1873, pone alla società un problema di ordine pratico e
procedurale: ritiene necessario che i soci decidano quale forma di appalto applicare per l’apertura
della stagione, al fine di poter modificare, in un secondo momento, il regolamento sociale nella parte
che riguardava l’ingerenza della rappresentanza sociale nelle scelte artistiche55.
55 Teatro la Fenice, “Processi Verbali di Convocazione da dicembre 1872 a 22 dicembre 1873”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: processi verbali delle convocazioni, A.1.2.2 – 053.
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La Commissione propone quattro modalità di conduzione della stagione che nel corso del tempo si
erano verificate nella pratica e che sinteticamente possono così essere riportate:
1. l’approvazione preventiva degli spettacoli e degli artisti da parte della totalità dei soci;
2. l’approvazione preventiva degli spettacoli da parte della totalità dei soci mentre gli artisti e i
dettagli restavano da stabilire alla Direzione;
3. la determinazione preventiva degli spettacoli con l’obbligo per l’impresario di scegliere artisti
approvati dai grandi editori musicali;
4. la completa libertà d’azione da parte dell’impresa.
A seconda dei diversi sistemi, si sarebbe dovuta poi determinare la dote da assegnare con una
certa regola da definire, in modo da farne un mezzo di cauzione con l’impresario più sicuro rispetto al
sistema del deposito56 usato in precedenza.
I primi due metodi sono considerati desueti dai rappresentanti della Commissione benché fossero
quelli più usati. Generalmente, infatti, la Nobile Società Proprietaria visionava le proposte
dell’impresario sulla tipologia dei titoli delle opere e i nomi dei virtuosi e poi determinava una
dotazione adeguata a sostenere le spese da questi richieste. Nella seconda metà dell’Ottocento gli
impresari si dimostravano spesso incapaci di mantenere la parola data e costretti a ripiegare su opere
e artisti di inferiore qualità.
Allo stesso modo, la proprietà si trovava in difficoltà quando un impresario proponeva nomi di
artisti per il teatro che non trovavano approvazione da parte degli editori musicali. Questi ultimi
avevano la pretesa da parte di avere l’ultima parola sugli artisti che avrebbero dovuto interpretare le
partiture delle quali avevano acquistato la proprietà perciò la Commissione propone di accordarsi
preventivamente con loro per avere garanzia sulle opere che sarebbero andate in scena e sulla qualità
dei virtuosi.
L’ultima delle proposte era di lasciare totale libertà all’impresario stabilito il cartello degli
spettacoli e la qualità degli artisti. A questo punto, unico arbitro della stagione sarebbe stato il
pubblico e l’impresario avrebbe risposto in tutto e per tutto all’opinione pubblica.
Queste ultime due proposte erano quelle che la Commissione considerava le più auspicabili e sulle
quali discutere per avere più garanzie successo e per far rifiorire le attività del teatro57.
56 Nei contratti d’appalto solitamente era fissata una somma che l’impresario doveva versare nel momento in cui accettava la gestione del teatro, a garanzia del suo operato. Vedi paragrafo 5.3.1.
69
2.1.2.1 L’amministrazione spettacoli
Gestire l’appalto di un teatro e ricavarne un utile era molto difficile per l’impresario perché il
teatro non veniva considerato come un’unica entità economica e di conseguenza, non gli veniva
concesso per intero. I palchi, ad esempio, distinti dal resto dell’impianto sia in senso materiale che
sociale, potevano non figurare o comparire solo in parte nei proventi.
Prima di proseguire è indispensabile fare un passo indietro per comprendere in che modo era
costituito il ricavo del teatro, suddiviso genericamente in: biglietti d’entrata, contributo derivato dai
palchi e dotazione.
Al momento dell’entrata a teatro era chiesto a tutti di pagare un biglietto di ingresso che poteva
valere per una rappresentazione o poteva essere in abbonamento per l’intera stagione.
Successivamente, a seconda dei teatri, si poteva pagare per entrare in platea o per avere qualcuno dei
pochi posti fissi chiusi a chiave e aperti appositamente da un custode. Questo succedeva perché il
teatro era il centro della vita sociale e qualcuno poteva accedervi solo per intrattenersi o fare delle
visite.
Il ricavo derivato dai pachi variava secondo il tipo di proprietà e di contratto con l’impresa. I
palchisti non erano assimilabili al normale pubblico e godevano di alcune facoltà, potevano ad
esempio subaffittare i loro palchi ricavandone un utile e facendo così concorrenza all’impresario. Nei
casi in cui vigeva la proprietà individuale dei palchi come alla Fenice, i palchisti potevano versare
all’impresa un “canone” determinato collettivamente o concordato individualmente con l’impresario
e poi decidere se usufruire o rinunciare all’uso del palco. Il canone sostituiva o integrava un
abbonamento stagionale. Altrimenti i palchisti pagavano un semplice abbonamento e i palchi
invenduti potevano essere assegnati all’impresario con la facoltà di darli in locazione serale.
Il canone dato dal palchisti compariva solitamente nella “dotazione” ovvero la sovvenzione58 di cui
poteva usufruire l’impresario per l’organizzazione della stagione. Questo mette in evidenza quanto la
loro funzione non fosse quella di consumatori indifferenziati bensì membri di un gruppo privilegiato 57 A seguito di questa relazione, i soci riuniti in assemblea erano chiamati a discutere, avanzare eventuali proposte e, infine, deliberare definitivamente sulla materia. Nel processo verbale della convocazione del 10 arile 1873, dopo un lungo dibattito sulle quattro proposte avanzate dalla Commissione, compare la risoluzione finale: «La società invita la Commissione a progredire nei suoi studi per la riforma del regolamento sociale sulla base dell’accettazione di qualunque proposta d’appalto da parte della società a seconda dei casi». La maggioranza dei soci riteneva che i membri della Commissione fossero usciti dal loro incarico occupandosi del sistema d’appalto piuttosto che direttamente del regolamento. 58 Questa sovvenzione poteva essere una somma di contanti, un particolare privilegio (ad esempio quello di gestire il gioco d’azzardo) oppure il diritto di rivendere i palchi.
70
produttore di un servizio, con l’impresario come intermediario e, alle volte, un sussidio governativo.
Fungevano allo stesso tempo da consumatori, produttori e committenti.
Dotazioni, sovvenzioni e privilegi non garantivano però che l’impresario riuscisse a portare a
termine la stagione senza perdite. La questione rimane complessa «si ha l’impressione che quando la
sovvenzione era grosso modo equivalente al provento della stagione l’impresa poteva sperare di
arrivare al pareggio o anche di conseguire un utile»59. Purtroppo tali condizioni si ottenevano
difficilmente a fronte di importanti voci di costo.
In relazione al costo relativo delle prestazioni, tra le voci di uscita più importanti si trova la paga dei
solisti che si aggirava generalmente sul 45-‐55% del costo globale60. Tra gli altri costi relativi, quello che
subì un cambiamento di rilevo fu quello per il compositore: a seguito dell’affermarsi dei diritto
d’autore con il trattato austro-‐sardo del 1840, si passò dalla somma unica pagata per la prima
rappresentazione di un’opera ai diritti prelevati su tutte le rappresentazioni e sulle riduzioni a stampa.
Il costo della musica fu comunque sempre inferiore al 10%. Altre voci rilevanti ma più difficili da
cogliere erano il costo dell’orchestra e delle masse.
I costi di produzione variano oltre che per il periodo preso in considerazione anche a seconda della
tipologia di opera da mettere in scena perciò, anche per questa categoria, non è possibile fare delle
stime. Possiamo registrare però che vi furono alcuni cambiamenti tecnologici interessanti come
l’introduzione dell’illuminazione a gas, che probabilmente portò ad una diminuzione delle spese
rispetto a quanto avveniva in precedenza con l’uso delle candele di cera prima e dell’olio d’oliva poi.
2.1.2.2 Il bilancio dell’impresario
Lo schema formale del Bilancio dell’impresario
Al termine della stagione l’impresario doveva redigere un bilancio con all’interno l’indicazione delle
somme spese per la messa in scena e le entrate collegate agli spettacoli. Si tratta di un documento
amministrativo che riflette unicamente l’andamento degli spettacoli e quindi le voci in entrata e in
uscita sono imputabili unicamente all’impresario.
Rintracciare il bilancio relativo all’Amministrazione Spettacoli non è cosa semplice perché si tratta
di un documento di stretta competenza dell’impresario, che fa parte unicamente del suo mestiere e
59 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 95. 60 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 98.
71
che perciò risulta essere indipendente dall’amministrazione della proprietà. Basti pensare che dal
1870 al 1880, l’unico bilancio che è stato ritrovato all’interno dell’archivio storico è quello dell’impresa
Brunello, relativo alla stagione di Carnevale-‐Quaresima del 1878-‐1879, e che prenderemo in esame.
Dal punto di vista formale si tratta di un documento che riassume le voci di entrata e di uscita
riconducibili agli spettacoli teatrali e che infine, riporta il risultato dell’esercizio.
Come per il Conto Consuntivo della Società Proprietaria, è stato possibile indicare
schematicamente anche le voci di entrata ed uscita a carico dell’impresario, anche se con minore
precisione a causa della difficoltà di reperire fonti dirette.
Per quanto riguarda le entrate, l’impresario poteva fare affidamento su denaro liquido,
rappresentato dalla Dotazione, ma anche sulla concessione da parte della Nobile Società dello
sfruttamento di alcuni diritti come la vendita serale dei biglietti di ingresso al teatro, degli scanni da
utilizzarsi in platea e degli abbonamenti per l’intera stagione. Il limite massimo del prezzo di biglietti,
abbonamenti e scanni era fissato nel contratto d’appalto e venivano proposte diverse fasce di prezzo
a varie categorie di pubblico distinte in civili, militari, fanciulli e dipendenti pubblici. Rimanevano nelle
sue casse anche gli introiti derivati dalla Cavalchina e gli affitti del Caffè e del guardaroba del teatro.
Interessante per comprendere realmente di che cosa si occupava l’impresario e con quali voci di
costo aveva a che fare, è l’analisi delle uscite, in particolar modo quelle collegate alla messa in scena
degli spettacoli.
Tra le spese più significative direttamente connesse con l’amministrazione degli spettacoli teatrali,
troviamo la compagnia di canto e di ballo, l’orchestra e il vestiario che rappresentavano il cardine di
tutti gli spettacoli e dovevano essere all’altezza del prestigio della sala veneziana. Sempre per
mantenere il prestigio ed il decoro della Fenice, grande attenzione e quindi grosse somme erano
spese per il vestiario e i dettagli che caratterizzavano i personaggi della messa in scena. Gli editori
compaiono tra i fornitori con una spesa consistente per il nolo degli spartiti, di strumenti musicali e di
libretti d’opera.
A titolo di esempio, riportiamo una sintesi in percentuale delle voci di entrata ed uscita del bilancio
dell’impresario Brunello per la stagione di Carnevale-‐Quaresima 1879-‐1879.
72
TABELLA 10: sintesi percentuale entrate e uscite del Bilancio dell’impresario
ENTRATE USCITE
Introito serale delle recite 41,7% Dotazione 41,2% Abbonamenti 14,7% Introito lordo Cavalchina 1,8% Affitto Caffè e Guardaroba 0,6%
Compagnia di Canto 21,3% Compagnia di Ballo 7,5% Masse (orchestra e coro) 29,5% Spartiti Musicali 3,3% Direttori, maestri ed Impiegati 2% Vestiario e gioielli 11,5% Scene 2,1% Calzature 1,1% Bigiotteria 0,4% Attrezzi 1,1% Macchinismo 4,3% Parrucchiere 0,2% Tassa governativa 2,7% Gas 3,4% Spese Traverse 2,2% Spese Serali 7,4%
RIASSUNTO Uscita Entrata Deficit
Differenza a favore/danno dell’impresa
2.1.3 La Pia Istituzione d’Orchestra
L’orchestra della Fenice nel 1800 si configurava come un organismo autonomo con una propria
amministrazione, una propria cassa (il Fondo d’Orchestra) e, alla fine della stagione, redigeva un
proprio resoconto.
Era stata costituita nel 1831 ed era disciplinata secondo un proprio regolamento interno che
riportava, sotto forma di articoli, le regole e le norme per la sua gestione nonché la pianta (chiamata
“Pianta d’Orchestra” o semplicemente “Prospetto”) che ne indicava la composizione. La sua prima
stesura porta la data del 28 Maggio 1831 e nel tempo è stata modificata numerose volte.
La pianta d’Orchestra riportava in dettaglio l’elenco dei professori in servizio, la tipologia dello
strumento suonato e l’onorario assegnato a ciascun posto occupato, anche se la compagine
orchestrale era abbastanza variabile a seconda delle opere e degli allestimenti da mettere in scena.
All’orchestra era assicurato un fondo per sostenere le spese il cui ammontare era stabilito nel
73
regolamento. Tale somma fissa era compresa nella dotazione61 dell’impresario che la concedeva
ripartita in quattro rate, ed era amministrata separatamente da una speciale commissione
all’Orchestra composta di tre presidenti e due aggiunti scelti dalla Nobile Società Proprietaria. Tale
commissione doveva scegliere tutti i membri dell’orchestra che erano eletti a tempo indeterminato,
deciderne un eventuale licenziamento o spostamento di posizione all’interno dell’organico.
Il fondo di partenza veniva integrato dal 2% dell’onorario di ogni orchestrale a titolo di
provvedimento, dalla somma eventualmente risparmiata sul fondo di dotazione nel corso della
stagione e dalle multe che potevano prendere i professori d’orchestra a sanzione di un errato
comportamento nel corso della stagione62.
2.1.4 La scuola di ballo
La scuola di ballo del Teatro la Fenice nacque nel 1832 sulla scorta delle esperienze di altri teatri
come la Scala e il San Carlo di Napoli che da tempo l’avevano costituita. L’invito a partecipare era
rivolto ai bambini e ai ragazzi provenienti dai ceti poveri e l’obiettivo era quello di fornire elementi al
corpo di ballo del teatro. C’era l’obbligo di frequenza dal 1° maggio a tutto novembre e di assistere
durante la stagione di Carnevale-‐Quaresima a tutte le prove e le rappresentazioni; le lezioni sarebbero
state gratuite con un paga giornaliera di una lira austriaca da dicembre a marzo pagabile in decadi
posticipabili. Gli alunni più poveri avrebbero percepito 50 centesimi per ogni lezione e se poi fossero
passati alla categoria di Secondi Ballerini, le paghe sarebbero aumentate a 3 lire giornaliere.
Le attività della scuola di ballo erano codificate nel Regolamento che stabiliva chi poteva
partecipare alla scuola di ballo, l’organizzazione interna della scuola (lezioni, orari, prove), le regole
sulla disciplina alle quali dovevano sottostare gli allievi e le sanzioni nelle quali potevano incorrere nel
caso del loro mancato rispetto.
Le spese per sostenere la scuola di ballo vennero ricavate dal fondo Dotazione Spettacoli
amministrato dal Presidente agli spettacoli della Nobile Società Proprietaria.
61 A tal proposito segnaliamo che l’impresario che accettava l’appalto, poteva considerare l’ammontare di partenza della dotazione già decurtato della somma prevista a favore dell’orchestra. 62 Teatro la Fenice, “Regolamento d’orchestra del Gran Teatro la Fenice, 1831”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: orchestra regolamenti e massime 1831-‐1835, A.3.3.2 – 323.
74
La storia della scuola di ballo, chiusa definitivamente nel 1867, fu segnata da un andamento
altalenante: mancò la continuità sia dal punto di vista storico che didattico a causa delle frequenti
chiusure e riaperture che seguivano le sorti del teatro (dall’incendio del 1836 ai moti del ’48 con la
conseguente chiusura delle attività artistiche del teatro dal 1859 al 1866)63.
63 R. ZAMBON, 1832-‐1862: la breve storia della Scuola di Ballo del Gran Teatro la Fenice, nel periodico Chorèographie-‐Studi e ricerche sulla danza, di Giacomo editore, Anno 5-‐numero 10, 1997.
75
III L’ORGANIZZAZIONE DELLA STAGIONE DI CARNEVALE-‐QUARESIMA
1878-‐1879
Organizzare una stagione d’opera era molto complesso sia per il numero di persone con diverse
competenze coinvolte nella sua realizzazione, sia per i tempi serrati che richiedevano una certa
pianificazione delle attività per non incappare in ritardi che avrebbero compromesso la buona riuscita
della messa in scena.
Per spiegare com’era avvenuta l’organizzazione e, successivamente, il controllo dei risultati della
stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879, seguiremo lo schema riassuntivo proposto nella pagina
seguente che mette insieme i soggetti coinvolti, il loro ruolo e le attività nelle quali erano coinvolti.
Per prima cosa parleremo dei contatti tra la Nobile Società Proprietaria della Fenice e l’impresario
Giuseppe Brunello, dai quali (in caso di convenienza tra le parti), scaturivano gli accordi preliminari
sulla stagione e sull’appalto. Vedremo in che modo l’impresario era venuto a conoscenza della
disponibilità della sala teatrale della Fenice e quali punti metteva in discussione sulle offerte fatte
dalla società.
Successivamente, ci soffermeremo sul contratto d’appalto e sugli accordi formali presi tra le parti
analizzando le richieste e le concessioni rispetto al Capitolano Normale d’Appalto predisposto dalla
società, senza dimenticare che, nel frattempo, l’impresario aveva già avviato i contatti con i cantanti
per avanzare le prime proposte di composizione della compagnia alla proprietà.
Parleremo dell’organizzazione delle prove e di quanto avveniva dal momento dell’arrivo degli
artisti sulla piazza fino al debutto sul palcoscenico, occupandoci di ciò che accadeva dietro le quinte
ma anche del riscontro ottenuto sul pubblico.
Infine ci occuperemo dei risultati economici della stagione, analizzando entrate e uscite del
bilancio dell’impresario e confrontandole col successo nei termini di proposta artistica, affluenza di
pubblico e critica musicale.
76
SCHEMA 7: organizzazione della Stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879
Nobile Società Proprietaria Impresario
Accordi preliminari
CONTRATTO D’APPALTO
Contatta e scrittura Maestranze
Artistiche e Tecniche
Sorveglia il lavoro dell’impresario ed è
decisiva nella soluzione di problemi
organizzativi
Organizza le prove e coordina tecnici e artisti dal momento dell’arrivo sulla piazza fino alla chiusura della
stagione
Editore
Sorveglia e sanziona il comportamento di tutto il personale coinvolto a teatro tramite ispettori di
scena
Verifica i risultati economici complessivi dell’impresa
Qualità della messa in scena
Affluenza di pubblico
Verifica i risultati ottenuti in relazione a:
Reazione sulla stampa locale e
non BILANCIO
77
3.1 Accordi preliminari
I primi contatti tra la Nobile Società Proprietaria del Teatro la Fenice e l’impresario appaltatore
avvenivano, solitamente, per corrispondenza. Si è scelto di soffermarsi sugli accordi preliminari al fine
di ricostruire concretamente come avvenivano le trattative, in quali tempi si svolgevano ed in che
modo erano determinanti per tutto l’andamento della stagione.
Prendendo in esame il materiale relativo alla stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879, è stato
possibile ricostruire una parte di corrispondenza che l’impresario teneva con la Società Proprietaria.
Per quanto riguarda invece il rapporto epistolare tra l’impresario e gli agenti teatrali, gli editori, gli
artisti ecc. non siamo in grado di fornire alcun documento storico relativo alla stagione esaminata.
Sappiamo che questi atti semplicemente sono rimasti all’impresario stesso, perché parte integrante
del suo mestiere.
I contatti preliminari con la Nobile Società Proprietaria
Come anticipato, la realizzazione della stagione d’opera era frutto di un negoziato tra la Nobile
Società Proprietaria e l’impresario. Il confronto tra le parti avveniva in primo luogo sui termini del
capitolato normale d’appalto e sull’ammontare della dote e, successivamente, sulle scelte artistiche
da effettuare per la buona riuscita della messa in scena.
In che modo la Nobile Società Proprietaria comunicava la disponibilità dell’appalto del teatro? Per
la stagione che abbiamo preso in considerazione, la proprietà aveva divulgato un avviso con la
comunicazione dell’apertura del concorso d’appalto. Si trattava di un manifesto, datato 24 maggio
1878, che riportava la somma offerta come dotazione all’impresario ed il numero dei palchi a favore
dell’impresa, che poteva così trattenere per se il ricavato serale; era indicato che anche il corrispettivo
del Caffè e del guardaroba del teatro erano concessi all’impresa. Veniva espressamente richiesto agli
aspiranti di presentare il proprio progetto di spettacoli entro il 20 giugno accompagnato da un
deposito cauzionale di 2.000 lire. La diffusione delle informazioni contenute nel manifesto avveniva
tramite giornali come “La Scena” di Venezia e la “Gazzetta dei teatri” di Milano, ed alcuni agenti
teatrali italiani64 nella speranza da parte della Società Proprietaria di riuscire ad aprire il teatro. È
64 Il documento originale menziona: Elio Ascoli di Venezia, Banchieri di Roma, Gaetano Donatelli, Giuseppe Bonolla, Giuseppe Cav. Lamperti, Carlo Campiaggio e Co. di Milano, Cesare Gaibi e G. Bolelli di Bologna e Ercole Tinti di Firenze.
78
interessante notare che, dato che la stagione sarebbe cominciata il 26 dicembre, la programmazione
della stagione era cominciata 8 mesi prima dell’andata in scena.
Ricevuto l’avviso, gli impresari cominciavano a contattare il teatro e ad inviare le loro proposte con
delle ipotesi di titoli da mettere in programmazione e, alle volte, i nominativi degli artisti da prendere
in considerazione per la stagione.
La Società Proprietaria del teatro non accettò nessuno dei progetti pervenuti poiché un secondo
manifesto, questa volta datato 8 Luglio 1878, rilanciava la proposta di appalto.
L’impresario Giuseppe Brunello, in una lettera del 31 luglio 1878 indirizzata al teatro, spiegava i
motivi delle difficoltà incontrate nella proposta di un progetto di spettacoli alle condizioni imposte
nell’avviso emanato dalla Società proprietaria: si trattava di ragioni finanziarie. A fronte della
dotazione di 100.000 lire, l’impresario stimava a preventivo per le spese totali, non meno di 230.000
lire, per offrire uno spettacolo all’altezza del teatro, con artisti di canto e di ballo di prim’ordine e
scene e decorazioni adeguate. Inoltre sosteneva che le 100.000 lire della dote sarebbero state
assorbite interamente dalle spese per le masse artistiche (orchestra e coro) e per i maestri di scena,
senza considerare quanto dovuto per l’apertura e il riscaldamento del teatro, la manutenzione,
l’assicurazione contro gli incendi e per tutto il personale del teatro coinvolto dal momento della sua
apertura fino alla conclusione della stagione. In altre parole erano in discussione l’ammontare della
dote e l’entità delle spese a carico dell’impresa, elencate all’interno del capitolato normale d’appalto
degli spettacoli. L’impresario propose e ottenne un accomodamento con la società proprietaria infatti
sono proprio questi i punti nel contratto d’appalto ad essere modificati e sottoscritti infine tra le parti.
Una seconda lettera dell’impresario alla Società Proprietaria forniva alcune informazioni su alcune
scelte da fare per definire il progetto per gli spettacoli. L’intenzione di Giuseppe Brunello era di
presentare quattro opere serie, cercando di scegliere quelle più desiderate dalla cittadinanza e tra
queste, almeno una nuova composizione e due balli grandiosi scelti sulla base della risposta di
pubblico ottenuta in altre piazze, «tra questi il Rolla del celebre Manzotti che fu fatto 32 sere al Teatro
della Scala di Milano, 29 recite al teatro Comunale di Trieste […] spettacolo ricco di vestiario e
decorazioni»65. Segue la lista degli artisti di canto tra i quali scegliere, con la proposta di costituire una
buona compagnia e di definire solo in un secondo momento i titoli delle opere da darsi. È specificato
65 Teatro la Fenice, “Corrispondenza”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472.
79
che la selezione è stata fatta su artisti primari e non celebri, perché solo due di questi ultimi
avrebbero assorbito l’ammontare totale della dote.
L’impresario, sulla base della parola data dalla proprietà del teatro, cominciava il lavoro di scrittura
degli artisti, fermo restando che il prima possibile avrebbe sottoscritto il contratto d’appalto.
SCHEMA 8: Sintesi di progetto degli spettacoli avanzato dall’impresario Giuseppe Brunello
Proposta artistica dell’impresario brunello:
Quattro opere serie tra cui
1 nuova composizione
2 balli grandiosi
Preventivo
Artisti di canto e ballo
Scene
Decorazioni
Preventivo di 130.000 lire
Masse artistiche (orchestra e coro)
Maestri di scena
Apertura e riscaldamento del teatro
Manutenzione
Assicurazione contro gli incendi
Personale di sala
Preventivo di 100.000 lire
Totale 230.000 lire
80
I contatti preliminari con artisti, tecnici, editori e compositori
Nella fase preliminare dell’organizzazione della stagione l’impresario doveva occuparsi di
scritturare gli artisti e le masse. Non è stato possibile ritracciare documenti che attestassero il tipo di
contrattazioni tra l’impresario Brunello e gli artisti concordati con la Società Proprietaria, ma è
possibile rintracciare qualche informazione sulla modalità con cui operava dalle lettere inviate alla
Società. Possiamo sapere ad esempio che al 13 agosto aveva già scritturato i quattro artisti primari66
concordati con la direzione avvisando subito che aveva speso di più di quanto stimato a preventivo.
Può sembrare strano ma nel 1800 i cantanti erano molto importanti, anche più del compositore ed
è dimostrato dal fatto che erano pagati molto di più. L’impresario poteva quindi formare la compagnia
dei cantanti e solo in un secondo momento avviare i contatti con il compositore.
Sempre in questa lettera si legge che l’impresario prevedeva di arrivare a Venezia in novembre
(dopo aver chiuso la stagione di autunno al Teatro di Vicenza) per scritturare orchestrali, coristi e per
contrattare con i fornitori il che significa che aveva poco più di un mese per organizzare tutto e
cominciare le prove.
Nel frattempo continuava il suo lavoro fatto di viaggi e corrispondenza per contrattualizzare i
membri della compagnia di canto e di ballo, il vestiarista, il pittore scenografo ed anche l’opera nuova
che era intenzionato a mettere in scena. Nella lettera dell’8 ottobre 1878 compare spesso il nome di
Giulio Ricordi, l’editore musicale Milanese, “soddisfattissimo” della scrittura della mezzo soprano Ebe
Treves e sostenitore del Signor Bonamici, compositore di Cleopatra, la nuova opera scelta
dall’impresario.
3.2 Appalto della stagione
Come la Direzione del teatro approvava una proposta di appalto.
Prima di procedere alla stipula del contratto d’appalto, anche a seguito degli accordi preliminari
intercorsi tra i rappresentanti della Nobile Società Proprietaria e l’impresario, era necessario avere
l’approvazione di tutti i soci. L’approvazione avveniva all’interno di una convocazione che poteva
essere ordinaria, ed erano solo due nel corso dell’anno amministrativo, o straordinaria, nella quale i
66 I signori Fossa, Osteli, Broggi e Novara.
81
soci o i loro legali rappresentati (nominati tramite procura come stabilito nel Regolamento Sociale)
deliberavano a maggioranza sulle scelte da effettuare.
L’appalto dell’impresario era solo uno dei tanti argomenti che richiedevano di essere discussi in
società. Potevano essere oggetto di confronto la manutenzione o i restauri del teatro, l’ammontare
della dotazione, la vendita dei palchi, i rapporti con il Municipio piuttosto che con la società del gas e
così via. È possibile ricavare informazioni su questi aspetti della gestione perché, al termine di ogni
convocazione, i soci redigevano un “processo verbale” nel quale era indicata la data della riunione,
l’ordine del giorno, i soci presenti e sinteticamente gli argomenti sollevati dai soci nel momento della
discussione.
Tramite la lettura dei processi verbali, prenderemo in esame il modo in cui era stata sottoposta alla
società la proposta di appalto dell’impresario Giuseppe Brunello, nella convocazione straordinaria di
domenica 11 agosto 1878.
Alla riunione erano presenti 75 soci e tra questi, aperta la seduta, venivano scelti due scrutatori
con l’incarico di conteggiare i voti relativi alla deliberazione. Il primo punto all’ordine del giorno era la
proposta di accogliere il progetto dell’impresario Giuseppe Brunello con qualche modifica del
capitolato normale d’appalto. L’oggetto di queste modifiche era riassunto in una relazione stilata dal
direttore agli spettacoli Alessandro Tornielli, che aveva tenuto la corrispondenza con l’impresario e
compreso le sue proposte. Letta la relazione, veniva aperta la discussione a tutti i soci che avevano
voce in merito sia alle scelte artistiche che economiche. Il Cavalier Levi, ad esempio, chiede se
l’impresario avesse intenzione di diminuire il numero delle masse, preoccupato che gli spettacoli non
fossero all’altezza del decoro della sala teatrale, mentre il socio Breganze trovava gravosa la
diminuzione del deposito cauzionale (dalle 20.000 lire indicate del capitolato a 10.000 lire) che
l’impresario avrebbe dovuto lasciare alla società, a garanzia del suo lavoro, nel momento della firma
del contratto d’appalto. Un altro importante argomento di discussione erano le precisazioni
riguardanti la distribuzione della dotazione. La società concedeva del denaro ad una persona che,
nella teoria, avrebbe dovuto applicare tutte le economie necessarie a portare a buon termine la
stagione, fermo restando il decoro richiesto dal teatro e dalla città. Era importante che l’impresario
gestisse i soldi della dote senza sprecarli o trattenerli per il suo interesse. Nel “processo verbale”
perciò non si trovano discussioni sull’ammontare della dote ma sulla corretta distribuzione della
82
stessa somma, per assicurare all’impresario un margine per avviare le trattative con artisti e tecnici
senza compromettere l’uscita di denaro da parte della società. Infine, la deliberazione presa «La
società incarica la Direzione di accettare il progetto presentato dall’impresario Brunello per la
stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879 e di divenire alla stipulazione del relativo contratto con le
proposte modificazioni al capitolato d’appalto, non che a quelle sostituzioni sia nel personale artistico
che negli spettacoli, che per comprovata necessità si rendono indispensabili»67.
SCHEMA 9: Riassunto modalità di approvazione proposta d’appalto
1. la proposta di appalto del teatro veniva messa all’ordine del giorno per essere discussa durante una
convocazione sociale;
2. prima di dichiarare aperta una riunione, veniva fatto l’appello e stimato il numero dei presenti. Se i soci
erano superiori ai due terzi, la riunione era considerata valida. Tra i partecipanti, venivano scelti sue
scrutatori con l’incarico di conteggiare i voti relativi ad ogni deliberazione;
3. il direttore agli spettacoli, che aveva avuto modo di parlare con l’impresario e di capire il suo progetto di
appalto, leggeva una relazione nella quale riassumeva le sue proposte;
4. apertura della discussione;
5. Votazione;
6. Deliberazione.
Il contratto d’appalto
Il contratto d’appalto riportava come articolo iniziale l’indicazione della durata dell’appalto che
poteva essere valido per una o più stagioni consecutive; fissava come termine iniziale dal quale
decorreva la propria efficacia il giorno 1° dicembre di ciascun anno. A tale data la Nobile Società
Proprietaria doveva mettere a disposizione dell’impresa appaltante i locali del teatro e tutti i materiali
utili alla gestione della stagione lirica, che iniziava il 26 dicembre e terminava il 31 marzo successivo
(art. 2). La consegna e la riconsegna del teatro avvenivano in seguito alla redazione di un inventario,
67 Teatro la Fenice, “Processi verbali delle convocazioni da dicembre 1877 luglio 1879”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: processi verbali, A.1.1.3 – 057.
83
stimato da tre periti 68 e riconsegnato dall’impresa al termine della stagione. In tale occasione
l’impresa doveva redigere una seconda stima con gli stessi criteri adottati in precedenza, ed era
chiamata a rispondere alla Società in denaro in caso di mancata restituzione di tutti gli effetti
consegnati (art. 6).
Stando al Capitolato normale d’Appalto, altre spese attribuibili all’impresa erano anche la pulizia
del teatro e dei locali adiacenti (art. 7), il movimento e la ricollocazione dei teloni, delle quinte e del
sipario e ancora il riscaldamento del teatro, il costo dei pompieri, dei custodi e la spazzatura delle nevi
(art. 9). Nel nostro caso particolare, stando agli accordi preliminari con l’impresario, di tutte queste
spese, se ne faceva carico la Direzione che al termine della stagione si impegnava a fornire, in
aggiunta alla dote, la somma per coprire il loro ammontare effettivo.
Per quanto riguarda gli spettacoli, l’impresa appaltante era obbligata a dare un numero non
inferiore di 50 recite così assortite: “quattro opere e due balli grandi almeno”, oppure “due opere
ballo grandiose, due opere semplici ed un ballo grande“ (art. 11). Inoltre si richiedeva all’impresa di
tener pronto uno spartito già provato, nel caso in cui si fosse resa necessaria la sostituzione di
un’opera d’obbligo che non avesse incontrato il favore del pubblico. Anche i balli potevano incorrere
nello stesso problema e anche in questo caso, era richiesto di tenere pronto un ballo di “mezzo
carattere” nel caso in cui uno o entrambe i balli grandi non avessero avuto il riscontro sperato.
Generalmente i titoli che componevano il cartellone erano indicati nel contratto d’appalto. L’impresa
Brunello per la stagione di Carnevale-‐Quaresima del 1878-‐1879, propone quattro opere e due Balli
grandi rispettivamente intitolati: “Il Re di Lahore”, “Ruj Blas”, “Cleopatra”, “Mefistofele” e “Rolla” e
“Ondina”.
Durante gli accordi preliminari l’impresario presentava alla Nobile Società Proprietaria un progetto
per la stagione che, oltre a riportare i titoli delle opere da rappresentare, solitamente indicava gli
artisti di canto e ballo. Il contratto d’appalto stabilisce che per la stagione di Carnevale-‐Quaresima,
l’impresario doveva sottoporre alla Direzione la nota degli artisti principali entro settembre e quella
degli artisti secondari entro novembre (art. 5). La scelta definitiva di questi come del maestro del coro,
del coreografo, degli spartiti e dei balli, spettava infine alla Direzione.
68 Scelti (stando al contratto d’appalto) uno dalla Direzione della Società, l’altro dall’impresa e il terzo di comune accordo.
84
All’interno del contratto d’appalto si trovano ancora indicazioni sulle masse: il coro, l’orchestra, le
comparse e il corpo di ballo. I coristi non dovevano essere inferiori a 50 persone divise in 32 uomini e
18 donne e, in ogni caso, il loro numero doveva essere proporzionale all’importanza dello spartito
messo in scena (art. 17). L’orchestra doveva essere composta da 68 professori e doveva corrispondere
per qualità all’importanza dello spettacolo; poteva esserci anche la banda in scena che allo stesso
modo doveva essere all’altezza della rappresentazione (art. 24). Le comparse non potevano essere
inferiori a 60 persone oltre ad altri 14 ragazzi, anch’essi da aumentarsi secondo le disposizione della
Direzione (art.17). Per quanto riguarda i balli, era richiesta la presenza di una coppia danzante di
fama, di una ballerina a supplemento, di 36 ballerine o più di mezzo carattere a seconda
dell’importanza dei balli, di 4 ballerini o più a seconda che il ballo lo richieda, 14 fanciulli e almeno 60
comparse.
Il vestiario delle opere dei balli doveva essere nuovo per le prime parti e ridotto a nuovo per le
parti secondarie. La confezione dei costumi avveniva sulla base di figurini rigorosamente in costume e
anch’essi approvati dalla Direzione.
Una sezione molto importante del contratto d’appalto, che ci permette di comprendere parte delle
entrate e delle uscite relative agli spettacoli, si occupava dei “corrispettivi” tra Nobile Società
Proprietaria ed impresario. L’impresa, oltre alla dote cioè alla somma di denaro stimata di volta in
volta dalla proprietà e concessa all’impresario, che per questa stagione era stata fissata a 100.000 lire,
poteva godere degli introiti derivati dalla vendita dei palchi di proprietà sociale, del prodotto dei
biglietti d’ingresso ad ogni spettacolo, del prodotto degli abbonamenti, degli scanni e delle sedie a
braccioli69 e del canone70 corrispettivo all’esercizio del Caffè e del guardaroba.
I palchi di proprietà sociale dei quali era accordata la disponibilità all’impresa per la vendita
durante la stagione, erano indicati nel contratto d’appalto ed erano quelli ai quali i soci avevano
rinunciato. L’impresa Brunello poteva disporre degli introiti derivati dalla vendita di 6 palchi in ordine
di pepiano (il primo ordine di palchi), 4 palchi di secondo ordine e 21 palchi in terzo ordine.
Per quanto riguarda i biglietti di ingresso, la direzione fissava un prezzo che l’impresa poteva
solamente scontare ma mai superare. Esistevano diverse tipologie di biglietti. Si potevano acquistare
69 I prezzi venivano concordati di volta in volta tra l’impresa e la Direzione (art. 34). 70 Si tratta di un canone stimato dalla Direzione in 30 lire per ogni sera di spettacolo (art.33).
85
semplici biglietti d’ingresso a teatro, ma anche biglietti per garantirsi uno o più posti a sedere
rappresentati da scanni o sedie a braccioli.
Per la stagione presa in esame era stato convenuto che il prezzo dei biglietti d’ingresso alla platea
e palchi in ogni sera di spettacolo d’opera o d’opera ballo era di 3 lire per i civili, 1,50 lire per i militari
e 1 lira per i ragazzi.
L’abbonamento per l’intera stagione era di 60 lire per i civili, 45 per gli impiegati regi e comunali
nonché pei militari. L’abbonamento per una sedia a braccioli era di 120 lire e quello di uno scanno di
60 lire.
Oltre ai prodotti su indicati appartengono all’impresa anche i prodotti ritraibili dal nuovo loggione
sostituito ai palchi di quarto ordine o quinta fila. Il prezzo relativo d’ingresso resta fissato ad 1 lira per
ogni individuo più 50 centesimi per ogni sedia o posto numerato di parapetto.
Il canone a corrispettivo dell’esercizio del Caffè e guardaroba, di cui alla lettera d dell’art. 33 del
capitolato, restava stabilito in lire 30 per ogni sera di spettacolo, che la direzione avrebbe compensato
all’impresa di cinque in cinque recite posticipate.
Infine, l’impresario che si occupava della gestione della stagione di Carnevale-‐Quaresima doveva
trovarsi di persona a Venezia a partire dal mese di novembre e doveva rimanervi per tutta la durata
delle rappresentazioni. Era tra le sue facoltà di nominare un suo rappresentante, la cui nomina
risultava già all’atto della firma del contratto d’appalto, che poteva sostituirlo in ogni rapporto con la
società e col personale artistico.
3.3 Scrittura della compagnia di canto
I due casi che si potevano verificare al momento della scrittura della compagnia di canto erano:
1. che si scegliessero un virtuoso o una prima donna di fama e che successivamente si
concordassero con loro le opere nelle quali riuscivano meglio. In questo modo, il successo (o
l’insuccesso) della stagione sarebbe stato legato al nome dell’artista o degli artisti scritturati
per la stagione
2. che si formasse una buona compagnia di canto e solo successivamente si scegliessero tra i
titoli più attesi dal pubblico, quelli da far eseguire agli artisti scritturati. In questo modo il
86
successo della stagione non dipendeva unicamente dalle prestazioni di un cantante ma frutto
di un lavoro condiviso.
Per la stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879 fu utilizzata questa ultima strategia, in accordo
ovviamente con la proprietà. Non è stato possibile reperire le scritture dei cantanti se non alcuni
telegrammi con le richieste dell’uno o dell’altro artista. Nonostante questo, possiamo riportare uno
schema generale delle informazioni contenute nelle scritture tratte dal manuale di legislazione
teatrale del 1871, scritto da Enrico Rosmini.
Nelle scritture dei cantanti doveva essere indicato:
1. nominativo dell’impresario e del virtuoso;
2. ammontare della paga e forma di rateizzazione;
3. obblighi:
• giorno di arrivo sulla piazza;
• di capacità artistica ed attitudine fisica. Corrispettivo in caso di malattia;
• di eseguire le parti nel modo distribuito dall’impresa. Nel caso di accomodamenti della
musica, le spese erano a carico del virtuoso sempreché gli venisse concesso dall’impresa;
• vestire gli abiti ed indossare oggetti di vestiario forniti dall’impresa come d’uso;
• fornirsi di poche spese di tutto il piccolo vestiario;
• di non prestare la sua opera in altro teatro nell’arco di 100 km dalla piazza suddetta;
• di notificare la sua dimora all’impresa e di depositare il suo passaporto al camerino
dell’impresa.
Il contratto poteva essere sciolto in caso di:
-‐ incendio, di guerra o di altra pubblica calamità
-‐ di grandi riparazioni o restauri del teatro;
-‐ qualora l’artista venisse protestato o sospeso da qualche autorità superiore;
-‐ mancando l’artista per sua colpa agli impegni assunti.
Il contratto doveva riportare l’approvazione e la firma della direzione teatrale; tutti i contrasti sul
contratto, che potevano insorgere tra l’impresa e l’artista, dovevano essere sottoposti all’attenzione
87
della direzione suddetta, alla quale spettava l’ultima parola nel caso in cui ci fosse stato il bisogno di
prendere una decisione.
3.4 Scelta dei soggetti e delle musiche
Sulla scelta dei soggetti e delle musiche per la stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879
possiamo solo fare delle ipotesi basate sull’osservazione dei dati che non ci sono giunti completi.
Probabilmente la Società Proprietaria del Teatro aveva avanzato alcune proposte all’impresario, il
quale, ne aveva fatto parola con gli artisti che pensava di scritturare per la stagione.
Sappiamo che le musiche e i libretti d’opera non erano stati tutti realizzati ex-‐novo ma noleggiati
dalle case editrici. Infatti, nel bilancio dell’impresario che presenteremo più sotto, compaiono tra le
uscite la fornitura degli spartiti e dei libretti per le opere “Il Re di Lahore”, il “Mefistofele” e il “Ruy
Blas”. Le prime due opere appartenevano alla casa editrice Ricordi, mentre la terza alla casa editrice
Lucca.
Per questo motivo non possiamo dire che le opere fossero state costruite sulle caratteristiche dei
cantanti o sulle loro esigenze, come sarebbe potuto avvenire in passato, perché queste opere erano
ormai di repertorio e di proprietà di un editore.
Possiamo solo supporre che l’impresario avesse scelto dei cantanti in grado di sostenere diversi
ruoli e abbastanza bravi da potersi adattare alle scelte di repertorio effettuate solo dopo che la
compagnia di canto era stata definita.
In relazione a quanto detto anche nel primo capitolo rispetto al diritto d’autore, segnaliamo che
nei libretti di queste opere compare già l’indicazione «diritti di traduzione, ristampa e riproduzione
riservati»71 .
Per quanto riguarda i balli, sia il ballo «Rolla» che il ballo «Ondina» erano stati composti
espressamente per la stagione e la compagnia dell’impresa Brunello; probabilmente la coreografia era
stata costruita sulle specificità dei ballerini.
71 Le informazioni sugli autori e le case editrici di musiche e libretti sono state trovate all’interno dei libretti delle opere e dei balli consultabili anche online sul sito archiviostoricoteatrolafenice.org.
88
3.5 Predisposizioni tecniche: le ordinazioni
Per il ballo “Rolla” è stato possibile consultare un documento72 che testimonia come avvenivano le
commissioni per i tecnici, in questo caso particolare il pittore e il macchinista, che dovevano
predisporre le scene in tempo utile agli artisti per effettuare le prove. Si tratta di una vera e propria
descrizione di quanto doveva accadere in scena durante il ballo con indicazioni artistiche, tecniche e
organizzative.
Per prima cosa veniva indicata l’ambientazione che per questo ballo era Firenze nel 1562.
Successivamente venivano descritte le varie scene con indicazioni su quanta e quale parte del
palcoscenico era implicata. Si trova scritto, ad esempio, scena «a tutto il palcoscenico» o solo una
parte e se la scena si svolgeva di giorno o di notte. Infine si procedeva alla descrizione di ogni singolo
dettaglio.
Nella scena prima, ad esempio, l’azione si svolgeva di giorno e la scena doveva mostrare un grande
atrio del palazzo del Marchese Appiani nel quale dovevano essere esposte 5 statue raffiguranti
Euterpe in 5 diversi atteggiamenti. La scena seconda doveva essere «fantastica, grandiosa e di effetto
sorprendente»: avrebbe rappresentato il Panteon della scultura con all’interno diversi capolavori. Era
richiesto che il passaggio dalla prima alla seconda scena, producesse un effetto «quasi magico»
ottenuto grazie all’utilizzo di una grande luce ad illuminare le statue ed il fondale azzurro con stelle
trasparenti e così via.
Oltre a queste descrizioni utili a capire come si svolgeva l’azione sulla scena, erano forniti al pittore
e al macchinista delle piante e degli schizzi che purtroppo non è stato possibile rinvenire. Possiamo
però ipotizzare che da questi fosse possibile avere un’idea abbastanza chiara dei movimenti di scena e
che successivamente si potessero prendere le misure del palcoscenico e delle impalcature necessarie
allo svolgimento dell’azione.
Dal punto di vista organizzativo è interessante mettere in evidenza che venivano espressamente
indicate le scene che dovevano essere pronte al più presto per le prove dei ballerini e, ovviamente, i
tempi entro i quali tutta la scenografia e l’allestimento dovevano essere allestite per la prima prova
con le comparse.
72 Teatro la Fenice, “Ordinazioni”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472.
89
Per l’opera “Il Re di Lahore” è stato possibile vedere un modulo con la distribuzione degli attrezzi e
le ordinazioni all’attrezzista. Su di esso era indicato il numero degli attrezzi richiesti, la tipologia (ad
esempio: sciabole, bastoni dorati, mitrie ed altri ancora), i personaggi ai quali erano attribuiti da quelli
principali fino ai coristi e l’atto nel quale erano richiesti. Un ultima voce del modulo lasciava lo spazio
ad eventuali osservazioni e sotto di esso si trova l’indicazione Fig.no 8, Fig.no 12 ecc. Probabilmente
erano forniti all’attrezzista, direttamente dall’editore o dall’impresario i figurini che contenevano
precise indicazioni.
Oltre ai costumi era curata con attenzione anche la capigliatura dei personaggi perciò, tramite un
modulo di ordinazione, si informava il parrucchiere di quanto necessario. Per quest’opera furono
pianificate 36 barbe per i coristi, 18 barbe per i ballerini, 13 barbe per le comparse scelte, 26 barbe
per le comparse, 4 trecce per 4 ballerine ed 1 acconciatura assai elegante per la Suonatrice di flauto.
Oltre al materiale di scena per i personaggi erano indicati anche gli attrezzi per il palcoscenico
come ad esempio un grande tappeto indiano, piccoli cuscini di stoffa a fiori, un ombrello in oro
indiano ecc.
3.6 Le prove
Arrivati gli artisti sulla piazza era possibile per l’impresario avviare le prove delle opere e dei balli
da mettere in scena. Per capire come si sviluppava il lavoro degli artisti ed avere informazioni sulla
tempistica con la quale nell’ottocento si realizzava la stagione, è possibile analizzare gli avvisi di
chiamata degli artisti. Si tratta di semplici fogli in cui erano indicate la data, l’ora e chi era impegnato
nelle prove. Il lavoro delle due compagnie era distinto a seconda che si trattasse delle prove per
l’opera o per il ballo. Quello che si ottiene è una sorta di moderno “piano prove” sul quale si possono
fare alcune osservazioni.
Prendiamo come riferimento la prima rappresentazione della stagione, il Re di Lahore, che era
programmata per il 26 dicembre 1878. Possiamo distinguere due fasi nelle quali era organizzato il
lavoro: una di studio per gruppi separati ed un’altra di lavoro d’assieme.
Durante la prima fase dei lavori che, in questo caso, erano cominciati domenica 8 dicembre, gli artisti
erano chiamati per gruppi a seconda dell’impiego che avevano nella rappresentazione. Potevano
essere chiamati solo gli artisti principali, i coristi uomini o donne e lo stesso valeva per i ballerini che
90
potevano provare separati (solo uomini o solo donne) o tutti assieme. C’erano poi le prove dei mimi,
delle comparse e dell’orchestra.
Dopo circa una settimana, cominciavano ad essere messe assieme le varie parti: gli artisti di canto
cominciavano a provare con i cori e l’orchestra e il corpo di ballo si riuniva per provare assieme. Le
prove sul palcoscenico potevano essere di diverse tipologie come, ad esempio, la «prova di scena
colle masse», la «prova di scena colle masse ed artisti al piano» e «tutti con orchestra»73. Infine l’anti-‐
prova generale con il vestiario e la prova generale dove tutti, artisti e “tecnici” coinvolti, dovevano
essere presenti per provare la rappresentazione dall’inizio alla fine senza interruzioni.
Le prove per il Re di Lahore, opera di apertura della stagione, erano durate 15 giorni: cominciate l’8
dicembre, terminarono il 23 con la generale.
Ovviamente il lavoro degli artisti e “tecnici” proseguiva per tutta la durata delle rappresentazioni a
ritmi sostenuti.
3.7 Sorveglianza sul personale
I certificati medici
La direzione degli spettacoli era costretta, in un modo o nell’altro, a fare fronte alle defezioni degli
artisti coinvolti nella realizzazione della stagione che, nel caso degli artisti primari, potevano portare
anche al ritardo dell’andata in scena74.
Molto spesso gli artisti accampavano delle scuse per non recarsi a teatro e per questo motivo,
alcuni medici alle dipendenze della direzione erano incaricati di effettuare dei controlli e di redigere di
volta in volta un certificato medico che attestasse la presenza o meno di tale malattia. Avevano
l’obbligo di recarsi personalmente a casa dell’infortunato per visitarlo e scrivere poi il certificato.
A fronte di infiammazioni, gonfiori, nevralgie e irritazioni di tutti i generi, le visite di controllo
rilevavano anche assenze ingiustificate dal lavoro. Riportiamo due esempi su tutti di certificati relativi
alla stagione presa in esame. Entrambi sono redatti dal dottor Pavan e sul primo si può leggere «la
[ballerina] Sottomano mancò per un vero capriccio, non avendo io trovato in verun modo mal
disposta nella salute» 75 mentre nel secondo «certifica il medico sottoscritto che il professore
73 Teatro la Fenice, “Prove”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. 74 Nella Gazzetta di Venezia del 28 gennaio 1879 si legge «In causa di leggera indisposizione del primo tenore, signor G. Ortisi, lo spettacolo annunziato per questa sera avrà luogo invece giovedì corrente». 75 Il certificato firmato, è datato 24 dicembre 1878.
91
d’orchestra suddetto non fu trovato a casa; e la sua sorella asserito, che probabilmente sarebbe al
Caffè Florian […]»76.
L’ispezione della scena
Ma gli artisti non incorrevano in multe solo per aver mentito sulle loro condizioni di salute. Nel
corso delle prove il loro comportamento veniva monitorato da alcuni ispettori di scena, che
segnalavano alla direzione agli spettacoli tutte le anomalie per garantire l’andata a buon fine dello
spettacolo. Sotto osservazione era il comportamento degli artisti durante il corso delle prove e delle
rappresentazioni e si leggono gli atteggiamenti più svariati. Prendendo in esame solo uno si questi
rapporti si può leggere di un corista brillo77, del primo clarinetto “svogliatissimo” che si rifiuta di
suonare l’a-‐solo, degli orchestrali che fumavano in una zona vicina al palcoscenico e del fumo che
passava in sala e ancora di una ballerina che durante una recita «senza riguardo del pubblico continua
a ridere tutta la sera».
Gli artisti che si assentavano dalle prove e quelli che non avevano un comportamento adeguato a
teatro dopo essere stati richiamati, subivano una multa pecuniaria di qualche lira78 registrata nel
“libro delle multe”, un piccolo registro in cui era indicato il nominativo, il motivo della sanzione e
l’importo monetario.
Anche il macchinista e l’attrezzista potevano essere multati. Nel libro delle multe del teatro si trova
una multa di 20 lire al macchinista signor Caprara Luigi per non aver realizzato le scene dell’opera
“Ruy Blas” prima della prova generale come da accordi sottoscritti con la direzione e per essersi
trovato senza il personale per il movimento delle scene all’antiprova. Sempre per la stessa opera,
anche l’attrezzista Signor Capuzzo è tacciato di essere impreparato e anche lui multato di 20 lire.
76 Teatro la Fenice, “Certificati medici”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. 77 L’ubriachezza rappresentava un vero e proprio problema perché a più riprese tra le ispezioni si trovano indicazioni in merito. Tra queste, la segnalazione di un ballerino «così ubbriaco che dovetti arrischiarmi di nascondermi dietro una comparsa e guantarlo sul palcoscenico per evitare certo scandalo di vederlo disteso in terra. Domando una multa per costui che oltre di essere il più inetto da così scandalo agli altri». 78 Le ammende potevano essere di 3, 6, 10 , 12 lire fino a 20 lire nei casi più gravi.
92
3.8 Il controllo
La fine della stagione era tempo di bilanci, sia per l’impresario che per la Società Proprietaria, non
solo nei termini di quantificazione delle entrate e delle uscite, ma anche dell’andamento delle
rappresentazioni relativamente al gradimento degli spettacoli e all’affluenza a teatro da parte del
pubblico. Queste informazioni possono essere ricavate da fonti presenti all’interno dell’Archivio
Storico ma anche dalla lettura di giornali e periodici79 dell’epoca che spesso si occupavano del teatro.
Dopo aver fatto una breve panoramica sull’andamento della stagione secondo la critica cittadina e
musicale, presenteremo uno schema con l’effettiva affluenza a teatro per tutto il corso delle
rappresentazioni cercando di mettere a confronto la percezione generale con i dati effettivi reperibili
nelle fonti d’archivio. Infine descriveremo le più importanti voci di bilancio sia per quanto riguarda
l’Amministrazione Spettacoli che la Nobile Società Proprietaria.
3.8.1 Affluenza di pubblico
Borderò serali
Dall’analisi di uno schema redatto dalla Direzione agli spettacoli intitolato “Introiti serali”, è
possibile ricavare informazioni sulla composizione del pubblico, il costo dei biglietti e l’affluenza media
e totale per la durata di tutta la stagione.
Da questo schema, abbiamo ricavato una tabella di sintesi (tabella 9) per mettere in evidenza la
tipologia di dati e informazioni sul pubblico che la Nobile Società Proprietaria e l’impresario
raccoglievano durante il corso dell’intera stagione d’opera. In esso vengono riportati:
1. il titolo degli spettacoli, la data e il numero delle repliche effettuate che, in relazione a quanto
stabilito nel contratto d’appalto, potevano variare nel corso della stagione;
2. il numero dei biglietti d’ingresso a teatro e il numero di posti a sedere venduti per ogni
rappresentazione;
3. il totale degli incassi serali compreso l’ammontare derivato dall’affitto dei palchi.
Per quanto riguarda gli introiti serali, si può notare che essi erano suddivisi nei “prodotti di platea”,
nei “prodotti di loggione” e negli introiti derivati dall’affitto dei palchi. Questi ultimi solitamente,
79 Quali “la Gazzetta di Venezia” o “la Gazzetta Musicale di Milano”.
93
erano quelli dei quali i soci decidevano di non usufruire per quella particolare stagione oppure erano
quelli di proprietà sociale che si era deciso di mettere a disposizione dell’impresario. All’interno di
queste tre categorie troviamo la suddivisione tra “biglietti d’ingresso” e “posti distinti” perché si
poteva accedere a teatro senza necessariamente avere un posto a sedere. I biglietti d’ingresso
potevano essere venduti a civili, bambini e militari (suddivisi in Ufficiali e militari di bassa forza) e per
ogni sera di rappresentazione era registrato il numero complessivo di ingressi per ogni categoria ed il
prezzo unitario del biglietto. Il totale degli incassi serali di ogni rappresentazione era ricavato dal
prodotto tra il numero degli ingressi per il prezzo del biglietto.
I posti distinti erano posti a sedere suddivisi in scanni e sedie a braccioli che venivano
appositamente posizionate in platea o nel loggione a seconda che se ne fosse acquistato il diritto
tramite il pagamento di un biglietto. Il prezzo unitario delle sedie a braccioli era superiore a quello
degli scanni perciò venivano considerati separatamente.
Al termine della stagione, la somma di tutti i biglietti venduti per le rispettive categorie dava il
totale degli introiti ottenuti che compare nel bilancio dell’impresario alla voce “introito serale delle
recite”. Per la stagione di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879 la somma finale è di 104.719 lire, al netto
degli introiti di feste e veglioni.
94
TABELLA 11: schema del borderò per il rilevamento dei dati sul pubblico e gli introiti serali
Dai dati contenuti in questo schema è stato ricavato un grafico dal quale possiamo vedere
l’affluenza totale di pubblico per ogni opera (somma degli spettatori presenti ad ogni recita) e una
tabella riassuntiva che rappresenta in percentuale l’affluenza totale per ogni opera calcolata sul totale
degli spettatori dell’intera stagione che era di 28.553 persone.
Teatro la Fenice
Stagione di Carnevale e Quaresima 1878-‐1879 – Introiti serali -‐ Impresa Brunello
RECITE Numero
Data
Spettacolo
PRODOTTI DI PLATEA
Biglietti di ingresso
Civili Militari -‐ufficiali -‐bassa forza Fanciulli
Posti distinti
Sedie a braccioli Scanni -‐prime file -‐ultime file
PRODOTTI DI LOGGIONE
Biglietti di ingresso
Posti distinti PALCHI PRODOTTI CUMULATIVI SERALI
95
GRAFICO 1: affluenza totale di pubblico per ogni opera (somma delle persone presenti a tutte le
rappresentazioni)
TABELLA 12: affluenza totale per ogni opera in percentuale
Il Re di Lahore 16,0%
Ruy Blas e Ballo Rolla 17,5%
Re di Lahore e Ballo Rolla 23,0%
Cleopatra e Ballo Rolla 10,4%
Cleopatra e Ondina 2,5%
Mefistofele e Ondina 10,9%
Mefistofele e Ballo Rolla 16,7%
Balli Ondina e Rolla 0,6%
Il Re di Lahore e ballo Ondina 1,8%
4754 4990
6555
2957
722
3103
4776
172 524
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
Af-luenza di pubblico
Il Re di Lahore
Ruy Blas e Ballo Rolla
Re di Lahore e Ballo Rolla
Cleopatra e Ballo Rolla
Cleopatra e Ondina
Mae-istofele e Ondina
Me-istofele e Ballo Rolla
Balli Ondina e Rolla
Il Re di Lahore e ballo Ondina
96
Il grafico e la tabella sopra presentati danno un’indicazione solo parziale del grado di economicità
di relativo ad ogni opera perché non tengono conto del numero di repliche per ogni spettacolo. Il
grafico 2 presenta i dati sull’affluenza di pubblico mediati col numero di repliche di ogni opera.
Per comprendere l’operazione alla base del grafico elenchiamo il numero di repliche dei vari titoli
messi in scena:
§ Il Re di Lahore: 8 repliche;
§ Ruy Blas e Ballo Rolla: 5 repliche;
§ Re di Lahore e Ballo Rolla: 14 repliche;
§ Cleopatra e Ballo Rolla: 6 repliche;
§ Cleopatra e Ondina: 2 repliche;
§ Mefistofele e Ondina: 7 repliche;
§ Mefistofele e Ballo Rolla: 10 repliche;
§ Balli Ondina e Rolla: 1 rappresentazione;
§ Il Re di Lahore e ballo Ondina: 1 rappresentazione.
GRAFICO 2: affluenza media di pubblico per ogni recita (numero di persone)
594
998
468 493
361 443 478
172
524
0
200
400
600
800
1000
1200
Af-luenza media
Il Re di Lahore
Ruy Blas e Ballo Rolla
Re di Lahore e Ballo Rolla
Cleopatra e Ballo Rolla
Cleopatra e Ondina
Mae-istofele e Ondina
Me-istofele e Ballo Rolla
Balli Ondina e Rolla
Il Re di Lahore e ballo Ondina
97
Parlando degli incassi, presentiamo il grafico 3 che è complementare al grafico 1 in quanto
presenta il totale degli incassi delle varie rappresentazioni di ogni titolo. Similmente a quanto fatto in
precedenza, proponiamo anche la tabella con i dati in percentuale degli incassi totali calcolati sul
totale degli incassi della stagione che ammontava a 104.719 lire.
GRAFICO 3: incassi totali per ogni opera (somma in lire degli incassi di ogni recita)
TABELLA 13: incassi totali per ogni opera in percentuale
Il Re di Lahore 14,7%
Ruy Blas e Ballo Rolla 16,4%
Re di Lahore e Ballo Rolla 22,2%
Cleopatra e Ballo Rolla 10,6%
Cleopatra e Ondina 2,9%
Mefistofele e Ondina 12,9%
Mefistofele e Ballo Rolla 18,1%
Balli Ondina e Rolla 0,4%
Il Re di Lahore e ballo Ondina 1,8%
15417 17222,6
23229,7
11145,6
3001
13510,3
18919,3
396,3 1877,5
0
5000
10000
15000
20000
25000
Incassi Serali
Il Re di Lahore
Ruy Blas e Ballo Rolla
Re di Lahore e Ballo Rolla
Cleopatra e Ballo Rolla
Cleopatra e Ondina
Mae-istofele e Ondina
Me-istofele e Ballo Rolla
Balli Ondina e Rolla
Il Re di Lahore e ballo Ondina
98
Ancora una volta presentiamo nel grafico 4 gli incassi relativi ad ogni opera rappresentata mediati
con il numero di repliche effettuate nel corso della stagione. Per i dati relativi alle repliche
rimandiamo a pagina 96.
GRAFICO 4: incassi medi per ogni opera (in lire)
Al fine di farsi un’idea di quale poteva essere l’aspetto della sala in relazione all’affluenza di
pubblico, abbiamo calcolato la percentuale media di riempimento della sala per ogni replica dello
stesso titolo. Ad esempio, ad ogni rappresentazione de “Il Re di Lahore”, erano occupati il 29,7% dei
posti disponibili in sala che erano circa 2000.
1927,2
334,52
1659,5
1857,6
1500
1930 1891
396,3
1777,5
0
500
1000
1500
2000
2500
Incassi medi
Il Re di Lahore
Ruy Blas e Ballo Rolla
Re di Lahore e Ballo Rolla
Cleopatra e Ballo Rolla
Cleopatra e Ondina
Mae-istofele e Ondina
Me-istofele e Ballo Rolla
Balli Ondina e Rolla
Il Re di Lahore e ballo Ondina
99
TABELLA 14: affluenza media per ogni recita in percentuale rispetto al totale dei posti disponibili in sala
Il Re di Lahore 29,7%
Ruy Blas e Ballo Rolla 49,9%
Re di Lahore e Ballo Rolla 23,4%
Cleopatra e Ballo Rolla 24,65%
Cleopatra e Ondina 18,5%
Mefistofele e Ondina 22,15%
Mefistofele e Ballo Rolla 23,9%
Balli Ondina e Rolla 8,6%
Il Re di Lahore e ballo Ondina 26,2%
Per ogni replica è possibile sapere l’ammontare degli introiti serali. Le combinazioni con le quali gli
spettacoli venivano messi in scena, come si può vedere, erano molteplici ed ognuna poteva avere più
o meno incassi. Come abbiamo detto in precedenza, incide sul totale anche il numero di volte in cui
l’opera è stata riproposta. In generale, se un’opera non veniva replicata era perché aveva avuto poco
successo di pubblico.
100
3.8.2 Bilancio dell’Amministrazione Spettacoli
Come abbiamo detto in precedenza, il bilancio dell’Amministrazione Spettacoli era redatto
dall’impresario e riguardava unicamente le entrate e le uscite relative all’organizzazione della stagione
d’opera. Di questo bilancio analizzeremo le voci più significative relative alla stagione di Carnevale-‐
Quaresima 1878-‐1879.
Per quanto riguarda la spesa per la compagnia di canto, possiamo rilevare che incide del 21% circa
sul totale delle uscite. Nel bilancio che abbiamo a disposizione (Allegato 1) sono indicati i nominativi
degli artisti facenti parte della compagnia ed relativo cachet. Tra i compensi più alti ci sono quelli della
prima donna con 15.500 lire e del tenore con 15.000 lire.
Anche per la compagnia di ballo le prime parti percepiscono il compenso più alto all’interno della
loro sezione ma molto inferiore a quello dei cantanti: la prima ballerina assoluta riceve 5.500 lire ed il
primo ballerino 3.500 lire.
Per quanto riguarda l’orchestra sappiamo che fino al 1875 la Nobile Società Proprietaria riteneva
dalla somma assegnata come dotazione all’impresario (che da contratto d’appalto era di 110.000
lire80) la somma di 35.000 lire che serviva a stipendiare i musicisti. Questo perché l’orchestra era una
vera e propria associazione che si era istituita nel 1831 con un proprio regolamento interno.
Oltre alla somma complessiva è possibile risalire anche alle paghe di ciascun orchestrale relative
alla sua posizione in orchestra. Per i violini ad esempio c’era una paga diversa a partire dal “primo
violino all’opera” che percepiva un soldo stagionale di 1.200 lire fino ad arrivare all’ultimo violino di
fila che guadagnava 200 lire. Allo stesso modo è possibile sapere il costo di ogni orchestrale e
l’ammontare complessivo del costo dell’orchestra che era stimato appunto a 35.000 lire.
Nel 1875 la Società Proprietaria, a causa di tale spesa che gravava sugli appaltatori ed in relazione
ai singoli contratti, resi sempre più gravosi anche dalla decisione presa in quegli anni di rendere
obbligatoria la stagione d’Estate, decise di avviare le procedure per lo scioglimento dell’associazione.
Comunque resta un riferimento utile a capire quanto potesse costare l’organico orchestrale per una
stagione.
Per la stagione del 1878-‐1879, spettava all’impresario la scrittura di ogni singolo musicista
dell’orchestra.
80 Art. 55, titolo IV – attività dell’impresa, del capitolato normale d’appalto valido per il triennio 1875-‐76, 1876-‐77, 1877-‐78.
101
Ecco lo schema di bilancio dell’amministrazione spettacoli 1878-‐1879:
TABELLA 15: riepilogo dello schema di bilancio dell’amministrazione spettacoli
ENTRATE USCITE
Introito serale delle recite
Lire 101.217,70 Compagnia di canto Lire 55.636
Dotazione “ ” 100.000 Compagnia di ballo “ “ 19.700 Abbonamento “ “ 35.800 Masse “ “ 77.260 Introito lordo Cavalchina
“ “ 4.332 Spartiti musicali “ “ 8.500
Fitto Caffè e guardaroba
“ “ 1.500 Direttori, Maestri ed Impiegati “ “ 5.306
Vestiario e gioielli “ “ 30.000 Scene “ “ 5.420 Calzature “ “ 2.911 Bigiotteria Re di Lahore “ “ 1.000 Attrezzi “ “ 2.750 Macchinismo “ “ 11.300 Parrucchiere “ “ 500 Tassa governativa “ “ 7.000 Gas “ “ 9.000 Spese Traverse “ “ 5.648 Spese serali compresa Cavalchina “ “ 19.450 TOTALE ENTRATE 242.849,70 TOTALE USCITE 261.381
RIASSUNT0
USCITA Lire 261.381,00 ENTRATA “ “ 242.849,70
DEFICIT “ “ 18.531, 30 Compenso avuto dal Maestro Bonamici per l’Opera Cleopatra
“ “ 8.000
Differenza a danno dell’Impresa 10.531,30
102
3.8.3 Lo schema di circuito finanziario
Dopo aver descritto, della nostra stagione, come ne avveniva l’organizzazione, quali erano i
documenti formali che ne caratterizzavano la gestione e quali dati erano registrati e tenuti in
considerazione da chi allora conduceva le attività, cercheremo di rappresentare sinteticamente il
legame tra tutti questi aspetti tramite lo schema del Circuito Finanziario elaborato dal dott. Carlo
Rossi nella tesi dal titolo «Il teatro come impresa: la Fenice negli anni 1836-‐66». Lo schema ci
permette di mettere in relazione le diverse competenze e i collegamenti tra i diversi livelli di
amministrazione del teatro ed i risultati ottenuti nella realizzazione della stagione d’opera.
Il punto di partenza è rappresentato, al centro dello schema, dall’interazione tra la società
proprietaria e l’impresario che, dopo essersi accordati in via preliminare, stipulano il contratto
d’appalto. Come abbiamo detto, si tratta di un documento fondamentale perché determina le
obbligazioni tra le parti e definisce le responsabilità economiche a carico rispettivamente alla Nobile
Società Proprietaria o all’impresario.
Società ed impresario, sulla base del contratto d’appalto, predispongono due differenti schemi di
bilancio, il primo con i risultati di gestione del teatro compresa la somma da destinare
all’amministrazione spettacoli (dotazione), il secondo con i risultati di gestione della stagione d’opera
organizzata anche sulla base della somma in denaro ricevuta dalla Società Proprietaria. Il
collegamento tra i due avviene nel momento in cui viene trasferita la dotazione che passa dalle uscite
della Società Proprietaria alle entrate dell’Amministrazione Spettacoli.
Il risultato della gestione era frutto dell’andamento di tutto il sistema produttivo: una perdita sul
bilancio della stagione coinvolgeva anche i conti della società proprietaria, costretta in ogni caso a
coprire le spese, mentre un eventuale (ma molto raro) guadagno restava all’impresario e veniva
ripartito tra i suoi collaboratori.
L’analisi dello schema è legata alla considerazione della dotazione, che si trova tra le uscite del
Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria: la somma contenuta viene trasferita ad altre
amministrazioni ed alimenta tutte le operazioni economiche che tramite essa è possibile effettuare.
Nel nostro caso, le risorse finanziarie provenienti dalla dote entrano nel Bilancio degli Spettacoli e
a loro volta, generano uscite che determinano il risultato finale della gestione.
103
SCHEMA 10: il circuito finanziario
ENTRATE
Cassa dell’esercizio precedente
Sussidio comunale
Canone pagato dai palchettisti: a. Ordinario b. Straordinario
Altro: *Affitti; *Agio Valute; *Entrate straordinarie;
USCITE Dotazione Spettacoli per la Stagione X
Spese per la costruzione del teatro dopo l’incendio
Spese diverse: *assicurazioni; *onorari di amministrazione; *affitti; *imposte fondiarie; *vitalizi; *altro;
USCITE *Compagnia di canto; *Compagnia di ballo; *Orchestra; *Vestiario; *Scenografia; *Attrezzature macchinario; *Illuminazione; *Spese serali; *Stampe; *Copisteria e noleggio spartiti; *Anti incendio; *Custode del teatro; *Cauzione a garanzia degli obblighi *altro
ENTRATE Dotazione Spettacoli per la stagione X
*Prodotto abbonamenti; *Prodotto biglietti serali; *Vendita scanni; *Prodotto della Cavalchina e di altre feste in teatro; *Affitto del diritto di caffetteria e guardaroba; *Affitto del diritto di dare balli e mascherati e del veglione; *Affitto di palchi assegnati a favore dell’impresa; *Affitto annuo Società Apollinea; *Diritto esclusivo a che resti proibito ad altri di Venezia di dare opere e balli; *altro;
Nobile Società Proprietaria
del Teatro la Fenice
Contratto d’appalto
Impresario Appaltatore
predispone il conto preventivo ed il conto consuntivo
predispone i resoconti dell’amministrazione
spettacoli
RISULTATO DI GESTIONE
Perdita Guadagno
ELABORAZIONE: DOTT. CARLO ROSSI
104
Per completare l’analisi del circuito finanziario della stagione 1878-‐1879, oltre allo schema di
Bilancio dell’Amministrazione Spettacoli che abbiamo presentato nel paragrafo 3.8.2, dobbiamo
analizzare lo schema di Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria.
TABELLA 16: sintesi schema di Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria
ENTRATE USCITE
TITOLI TITOLI Restanze attive al 30 aprile 1878 15.133,63 Restanze passive al 30 aprile 1878 8.153,60 Sopravvenienze attive 716,26 Sopravvenienze passive 2.370,50 Affitti attivi 7.561,75 Onorari 4.700 Compensi ed abbonamenti attivi 599,23 Affitti attivi 1.347 Prodotti diversi straordinari 4.287,90 Assicurazioni dagli incendi 6.626,84 Prestiti restituibili 76.000 Manutenzione mobili e locali 10.902,62 Canoni 129.667 Imposte pubbliche 4.371,15 Partite di giro 22.228,73 Dotazione spettacoli 103.621,15 Nuove Opere 95.338 Spese di Cancelleria 477,03 Spese diverse 1.376,01 Compensi ed abbonamenti passivi 759,08 Concorrenza alle spese del Liceo
Musicale Benedetto Marcello e del Monumento a Re Vittorio Emanuele 3.500
Pensioni Fondo di riserva 998,50 Partite di giro 22.228,73 TOTALE ENTRATE 256.194,50 TORALE USCITE 266.770,40
BILANCIO
Esazioni 254.696,68 Pagamenti 251.307,91 Fondo in rimanenza 3.388,77 Restanze da esigersi 1.497,82 Totale restanze attive 4.886,59 Restanze da pagarsi 15.462,49 Risultanza finale passiva al 30 aprile 1879 10.575,90
105
Mentre per quanto riguarda le uscite, ci è stato possibile visionare il dettaglio delle spese
contenute negli allegati passivi, per le entrate, non è stato possibile. Quello che possiamo fare, però,
sono delle osservazioni basate su quanto detto nella parte generale.
Le più importanti fonti di entrata erano: il canone81 pagato per la stagione dai soci che ammonta a
129.667 lire, e da 76.000 prese in prestito che compaiono sotto la voce “prestiti restituibili”. Facciamo
notare che, a differenza di altri bilanci consuntivi, tra le entrate, non compare alcun concorso del
Comune o del Municipio alle spese del teatro. Per questo motivo supponiamo che l’amministrazione
del teatro per quest’anno fosse avvenuta in totale indipendenza dal sostegno pubblico.
In relazione alla stagione presa in esame, desumiamo dal contratto d’appalto che la somma
destinata alla messa in scena degli spettacoli (ovvero la dotazione) ammontava a 100.000 lire che
infatti compaiono tra le entrate del bilancio dell’impresario. Questa somma, erogata dalla Società
Proprietaria in diverse rate, costituiva la base finanziaria sulla quale l’impresario doveva organizzare
gli spettacoli. Poi, si aggiungevano ad essa gli introiti derivati dalla vendita dei biglietti, degli
abbonamenti, dalla Cavalchina e quelli derivati dall’affitto del Caffè e del Guardaroba.
Nei casi di ordinaria amministrazione (non in caso di fallimento), solo alla fine della stagione, dopo
la redazione del bilancio, veniva quantificato l’ammontare del guadagno o della perdita derivata
dall’amministrazione degli spettacoli.
Il bilancio dell’amministrazione dell’impresario Brunello chiude in perdita di circa 10.000 lire, ma è
singolare che, proprio a chiosa del documento di bilancio, l’impresario riporti delle annotazioni per un
ipotetico appalto per l’anno successivo dove le spese, secondo lui, non sarebbero diminuite ma
aumentate.
Stima un aumento per la Compagnia di canto per poter scritturare un soprano, tenore e mezzo-‐
soprano d’importanza; segnala che per le masse è impossibile qualsiasi risparmio come nel nolo degli
spartiti e sostiene che le spese traverse potrebbero «ascendere ad una somma di molto più forte
dovendosi calcolare le eventuali disgrazie e malattie di artisti e recite mancate per cause impreviste».
Solo sul vestiario sarebbe possibile ottenere un ribasso nei costi.
Sempre a fine stagione l’impresario propone alla Società Proprietaria l’appalto alla sua impresa per
le stagioni di Carnevale-‐Quaresima 1879-‐80, 80-‐81, 81-‐82.
81 Il Canone poteva essere ordinario o straordinario se erogato per stagioni che non fossero quella di Carnevale-‐Quaresima.
106
Leggendo i verbali delle convocazioni si comprende che la società approva l’apertura del teatro per
un triennio assegnando l’appalto a Brunello, ma non era d’accordo sull’aumento della dotazione; per
questo motivo la società rilancia mettendo a disposizione le consuete 100.000 lire annue e
prendendosi carico delle spese assunte dall’impresa per lo spettacolo 1878-‐1879 (che ammontavano a
3.400 lire circa). Restava all’impresario la scelta di accettare, o meno, l’offerta entro otto giorni.
Brunello dichiara di non poter assumere l’appalto a queste condizione e richiede nuovamente
l’aumento della dotazione a 115.000 lire annue.
La società riunita in convocazione è favorevole ad appaltare il teatro per tre anni e secondo il
progetto dell’impresario Brunello, ma accordandogli la dote di 110.000 lire invece delle 115.000 da lui
domandate e con la facoltà di scindere l’accordo in ogni momento. Per evitare di gravare sul canone
dei palchi e quindi sui palchettisti, la società stabilisce di contrarre un prestito di 8500 lire al fine di
mantenere ad un basso livello la tassazione degli stessi.
107
CONCLUSIONI
Tramite l’analisi delle fonti primarie reperibili presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice, è stato
possibile ricostruire il sistema produttivo di una stagione d’opera del 1800, più precisamente, quella di
Canevale-‐Quaresima 1878-‐1879. La scelta è ricaduta su questo periodo particolare per la volontà di
prendere in considerazione i mutamenti che hanno caratterizzato il sistema dell’opera italiano nella
seconda metà dell’Ottocento, dopo l’annessione di Venezia al Regno d’Italia.
Partendo dallo studio del contesto storico, sociale e culturale, abbiamo individuato gli attori del
sistema produttivo dell’opera lirica e fornito una panoramica dei caratteri distintivi di questo sistema,
soffermandoci sul principio gerarchico che permeava tutti i livelli dell’organizzazione teatrale, e
mettendo in evidenza come questo principio, pian piano, iniziava ad essere messo in discussione.
Abbiamo visto come, nella seconda metà dell’Ottocento, la diffusione di idee liberali, la crisi
economica e sociale e culturale, causarono importanti mutamenti nel mondo teatrale, che abbiamo
cercato di descrivere seguendo lo sviluppo degli attori del sistema produttivo. Siamo partiti da chi
poteva detenere la proprietà di un teatro, individuando diverse tipologie di proprietà e descrivendo le
diverse modalità di conduzione delle attività artistiche. Ci siamo soffermati in particolare sulla figura
dell’impresario, perché il sistema impresariale era quello più rappresentativo in questo periodo
storico. Egli, da protagonista assoluto nell’organizzazione della stagione, impegnato in diversi teatri,
verrà gradualmente stretto tra le pressioni esercitate dai proprietari dei teatri e le crescenti pretese
delle case editrici musicali, che svilupparono le loro attività nella seconda metà del 1800 anche grazie
alla legislazione sul diritto d’autore. Saranno proprio gli editori, per poter meglio gestire i propri
interessi, a prendere il posto dell’impresario nella conduzione della stagione d’opera. Infine, ci siamo
concentrati sulla stagione, individuando i momenti organizzativi fondamentali come l’appalto, la
scrittura della compagnia di canto e così via, e le competenze professionali tecniche e artistiche messe
in campo per la sua buona riuscita.
Fondamentale nella ricostruzione è stato il manuale di Giovanni Valle del 1859, dal titolo «Cenni
teorico-‐pratici sulle aziende teatrali». In questo libro, suddiviso in parti e articoli, si trovano tutte le
norme e le consuetudini teatrali, da rispettare in caso di organizzazione della stagione, compresi gli
obblighi e i diritti di qualsiasi persona che prestava la propria opera in teatro. Segnaliamo l’utilizzo del
108
termine aziende teatrali che sta ad indicare che, anche nell’Ottocento, il teatro era considerato
un’attività produttiva nella quale circolavano capitali che, direttamente o indirettamente, fornivano
lavoro a quanti gravitavano attorno ad esso.
Infine ci siamo occupati del pubblico perché anch’esso muta nel ruolo e nella composizione: da una
situazione in cui era quasi unicamente composto da nobili aristocratici, allo stesso tempo promotori e
committenti delle opere, a quella di un pubblico allargato fatto di persone provenienti anche da altri
strati della popolazione.
Il passo successivo è stato quello di verificare quanto detto sopra, prendendo ad esempio un caso
concreto e applicando ad esso lo schema generale sopra esposto. La scelta più giusta è sembrata
quella di analizzare un caso preso dall’esperienza del Gran Teatro la Fenice, non solo perché è un
teatro di importanza internazionale, ma per la grande disponibilità di informazioni presenti nel suo
archivio a partire dall’inaugurazione, nel 1792, fino ai giorni nostri. Vi si trovano non solo le partiture e
i libretti delle opere ma anche carte e documenti che testimoniano della gestione del teatro in tutti i
suoi aspetti.
La complessità maggiore emersa durante il lavoro di ricerca è stata quella di comprendere quali
informazioni utilizzare, partendo dal principio di non piegare i dati in funzione di una tesi, ma di
verificare quali informazioni era possibile ricavare dai dati e su quelle costruire tutto il lavoro.
Dalla lettura dei documenti primari, abbiamo individuato quali erano i soggetti attorno ai quali si
reggeva l’intero sistema produttivo ovvero la Nobile Società Proprietaria del teatro, l’associazione di
palchettisti proprietaria del teatro e anche qui, l’impresario. Individuati i soggetti e compreso che il
centro attorno a cui gravitava tutto il sistema produttivo era la stagione d’opera, ci siamo concentrati
su di essa. Abbiamo individuato una stagione precisa, quella di Carnevale-‐Quaresima 1878-‐1879 e ne
abbiamo descritto i tempi e i modi di realizzazione, il personale artistico e tecnico coinvolto, il ruolo
del pubblico, senza trascurare il modo in cui venivano reperite ed impiegate le risorse finanziarie.
Il primo dei soggetti che abbiamo descritto è stata la Nobile Società Proprietaria del Teatro la
Fenice, una società di palchettisti che si occupava della gestione del teatro in tutti i suoi aspetti, dalla
manutenzione dei locali, all’affitto delle sale, all’attività artistica. Successivamente, abbiamo parlato
dell’impresario, che aveva il compito di gestire concretamente la stagione teatrale ad esso affidata, e
del contratto d’appalto, il documento che definiva formalmente gli obblighi tra i due sia per quanto
109
concerneva gli aspetti artistici che quelli gestionali ed economici. In esso era precisata la durata
dell’appalto, il numero delle recite e la tipologia delle opere e dei balli, il materiale concesso in uso
all’impresario, il costo di biglietti e abbonamenti e così via.
Poi ci siamo concentrati sulla stagione e su come era stata organizzata partendo dalle idee sulle
opere liriche da realizzare, fino alla messa in scena. Abbiamo messo in evidenza le numerose e diverse
competenze coinvolte nella sua realizzazione a partire dal compositore e del librettista, passando dai
tecnici, indispensabili per la realizzazione e il movimento della scena e occupandoci infine del ruolo
della compagnia di canto e di ballo.
Se è possibile considerare la stagione in modo unitario dal punto vista organizzativo, non è
possibile fare lo stesso dal punto di vista contabile, perché esistevano più amministrazioni separate
che davano origine a diversi bilanci separati. I più importanti e quelli che siamo stati in grado di
analizzare per il periodo preso in considerazione, erano quelli della Nobile Società Proprietaria e
dell’Impresario anche se, fino a poco tempo prima, l’orchestra e la scuola di ballo del teatro
costituivano altre due entità autonome con un proprio sistema di rendicontazione. Il principio col
quale venivano effettuate le registrazioni era quello finanziario (entrate ed uscite) ed ogni
amministrazione aveva un proprio fondo cassa.
Nonostante questa autonomia economica e finanziaria, i bilanci erano collegati: una stessa voce
compariva in un bilancio tra le uscite e, nell’altro, tra le entrate. Questo aspetto è messo
particolarmente in evidenza nello schema di circuito finanziario elaborato dal dott. Carlo Rossi e
utilizzato come riferimento dell’analisi. L’esempio che più di altri mette in evidenza il collegamento tra
le varie amministrazioni, è quello della Dotazione Spettacoli cioè di quella somma che i palchettisti
mettevano a disposizione dell’impresario per gestire la stagione teatrale; essa compare tra le uscite
della Nobile Società Proprietaria e tra le entrate dell’Amministrazione Spettacoli.
110
SCHEMA 11: sintesi dell’elaborazione proposta
Sistema produttivo del teatro d’opera del 1800
Carattere distintivo Principio gerarchico a tutti i livelli
Attori Proprietà
Impresario
Editori musicali
Pubblico
Principio organizzativo La stagione d’opera
Stagione di Carnevale Quaresima 1878-‐1879
Soggetti
Organizzazione
Amministrazione
Gran Teatro la Fenice
111
Facciamo una sintesi dei dati più significativi che abbiamo rilevato, prendendo in considerazione i
due schemi di bilancio che è stato possibile analizzare nel corso della stagione di Carnevale-‐Quaresima
1878-‐1879.
Per quanto riguarda l’amministrazione del teatro considerato per intero, ci riferiamo al Conto
Consuntivo dell’amministrazione della Nobile Società Proprietaria. Il periodo amministrativo va dal 1°
maggio 1878 a tutto aprile 1879. Dal lato delle entrate, tra le voci più significative troviamo i canoni
(quella somma determinata dai palchettisti e versata da loro stessi ogni anno per la gestione del
teatro) che ammontavano a 128.177 lire. Dal lato delle uscite, oltre alla somma per la dotazione il cui
ammontare era di 103.248,03 lire, troviamo importanti spese nella rubrica “nuove opere” e un
conseguente aumento delle uscite per quanto riguarda la manutenzione di mobili e locali a seguito
degli importanti lavori di ristrutturazione approvati dalla società e avuti nell’anno quali: la
realizzazione del loggione, i lavori di ampliamento del palcoscenico, lo spostamento dell’organo (che
prima era stabile) e la realizzazione dei nuovi camerini di scena. Nel complesso, il bilancio chiude con
una restanza finale passiva di 10.575,90 lire.
Il bilancio degli spettacoli che ricordiamo, rispecchia solamente le entrate e le spese relative
all’organizzazione della stagione d’opera, riporta tra le entrate più rilevanti il compenso della società
proprietaria (la dotazione) che ammonta a 100.000 lire e gli introiti derivati dagli abbonamenti pari a
35.800 lire. Tra le uscite più importanti rileviamo la somma impiegata per la compagnia di canto con
55.636 lire e quella per le masse che ammonta a 77.260 lire. Facciamo notare che, al di là dei rispettivi
cachet, i membri della compagnia di canto erano in 8 e i componenti delle masse considerati
nell’assieme (corpo di ballo, orchestra e coro) erano più di un centinaio. Anche qui, il bilancio chiude
con una perdita a danno dell’impresa pari a 10.531,30 lire.
TABELLA 17: sintesi risultati diverse amministrazioni
Bilancio nobile Società Proprietaria Bilancio Amministrazione Spettacoli
Perdita 10.575,90 lire Perdita 10.531,30 lire
112
Sono singolari le considerazioni dell’impresario al termine del bilancio degli spettacoli in previsione
di un possibile appalto per l’anno successivo. Considerato che il bilancio non era stato positivo, egli
non prevede di ridurre le spese, ma mette in preventivo uscite ancora maggiori per l’anno venturo per
poter organizzare una stagione ancora più spettacolare. Con questo, poggia le basi anche per
richiedere alla Società Proprietaria una dotazione più alta di quella già concessa.
Da questa analisi è emerso che, fondamentalmente, il meccanismo di realizzazione di un’opera
lirica a partire dalla sua creazione fino alla messa in scena è rimasto invariato fino ai giorni nostri. Il
compositore scrive ancora sulla base delle richieste del committente e delle caratteristiche vocali del
cast artistico di cui dispone. Le necessità artistiche e tecniche della messa in scena al netto dei
progressi tecnologici, sono le stesse. Gli attuali committenti, organizzatori e operatori pur operando in
un contesto organizzativo, giuridico e amministrativo diverso, devono confrontarsi con un prodotto
artistico che mantiene invariate le proprie caratteristiche e necessità.
In conclusione, è pur vero che nell’Ottocento l’impresario si muoveva in un contesto più libero da
vincoli burocratici e legislativi ma proprio per questo si può osservare una certa creatività
nell’iniziativa imprenditoriale che, rispondendo direttamente alle esigenze del lavoro (che come
abbiamo detto, sono rimaste le stesse), può essere un utile spunto di riflessione per le strategie
attuali.
113
BIBLIOGRAFIA
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Chorèographie-‐Studi e ricerche sulla danza, di Giacomo editore
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AA.VV., L’opera tra Venezia e Parigi, Leo S. Olschki editore, 1990
AA.VV., Opera e libretto, Vol. I, Leo S. Olschki editore, 1990
La Gazzetta Musicale di Venezia, quotidiano di Venezia
Il Teatro Illustrato, periodico edito da Sonzogno
La Gazzetta Musicale di Milano, mensile edito da Ricordi
114
Allegato 1: BILANCIO DEGLI SPETTACOLI
ENTRATA USCITA
Recite serali Lire Compagnia di canto Lire
Recita 1 Il Re di Lahore 3864,70 1° donna soprano Fossa 15500
“ 2 idem 1413,40 1° donna mezzo soprano Treves 2200
“ 3 idem 1580,20 1° tenore Ortisi 15000
“ 4 idem 2514,20 1° baritono Brosi 12000
“ 5 idem 948,50 1° basso Novara 8500
“ 6 idem 2356,50 Comprimaria Cane 800
“ 7 idem 1590,50 Comprimario Bonivento 936
“ 8 Idem e 1° del
ballo Rolla
3457,50 Comprimario Stecchi 700
“ 9 Ruy Blas e ballo
Rolla
2710,50
“ 10 idem 2637,50 Compagnia di ballo
“ 11 idem 1859,70 Coreografo Manzotti
(nolo musica Rolla)
1500
“ 12 idem 1907,50 Coreografo Pallerini (produzione
Ondina)
1750
“ 13 Il re di Lahore 1749,50 Coreografo Coppini
(riproduzione Rolla)
700
“ 14 Ruy Blas e Ballo
Rolla
2702,50 1° ballerino assoluto Cornalba 5500
“ 15 idem 1195,50 1° supplemento De Maria -‐Cecchetti 1500
“ 16 idem 1230,10 1° ballerino e compositore dei
ballabili Cecchetti
3500
“ 17 idem 1507,60 1° mima assoluta Pratesi 1000
“ 18 idem 1523,20 1° mima Martinotti 400
“ 19 Il Re di Lahore e
ballo Rolla
2623,20 1° mimo assoluto Pratesi 600
“ 20 idem 2521,50 1° mimo assoluto Santarelli 900
“ 21 idem 1801,50 Mimo Fossaluzza 400
“ 22 idem 1872,50 Mimo Cecchetti 300
“ 23 Cleopatra 2567,50
“ 24 idem 1750,50 Masse
“ 25 Cleopatra e ballo 1465,50 n. 32 seconde ballerine 22200
115
Rolla
“ 26 idem 1474,30 n. 16 secondi ballerini 5450
“ 27 Il Re di Lahore e
ballo Rolla
1509,50 Orchestra 29500
“ 28 Cleopatra e ballo
Rolla
1552,50 Coro compresi fanciulli e
aumento Mefistofele
20110
“ 29 Il Re di Lahore e
ballo Rolla
1831,70
“ 30 idem 1851,50 Fornitori
“ 31 Cleopatra e ballo
Rolla
2335,50 Spartiti musicali Ricordi di Milano:
*nolo opera Re di Lahore compreso
il nolo degli strumenti speciali
*nolo opera Mefistofele
4000
“ 32 Il Re di Lahore e
ballo Rolla
3002,50 Spariti musicali Lucca di Milano:
*nolo opera Ruy Blas compresi 700
libretti
2500
“ 33 idem 2779,50 Attrezzi speciali Croce di Milano
Scrimagli ballo Rolla
250
“ 34 Cleopatra e 1° del
ballo Ondina
2149,50
“ 35 idem 856,50 Direttori, Maestri ed Impiegati
“ 36 Mefistofele 2888,50 Maestro Direttore d’Orchestra Magi 1300
“ 37 idem 2059,60 Maestro Direttore d’Orchestra per il
ballo Venanzi
1100
“ 38 Mefistofele e
ballo Ondina
2262,50 Segretario impresa Brunello
Vincenzo
740
“ 39 idem 1297,50 Sorvegliante al Gas Ianna 218
Per altre 11 recite calcolate a £ 2.000 22,000 Portiere Lazzari 218
Totale introiti serali 101217,70 Avvisatore Tosi 260
Compenso della Società Proprietaria
(dotazione)
100000 Avvisatore Zanardini 260
Abbonamento, ingresso, poltrone e
scanni
35800 Portiere alla scena e pulizia del
teatro Adami
480
Cavalchina, introito lordo 4332 Direttore sarti Zamperoni 480
Fitto Caffè e Guardaroba 1500 Assistente Berretter 2 mesi e mezzo 250
TOTALE ENTRATE 242849,70
Tassa di n. 50 recite a 140 lire
cadauna
7000
116
Gas tutta la stagione come da
ricevute presso la Direzione
9000
Spese traverse come da registro
apposito
5648
Spese serali della Calvalchina come
a Nota
2450
Spese serali compresa la Banda
(vedi note di 5 in 4 recite. N.50
recite in media a lire 340 cadauna
recita)
17000
TOTALE USCITE 261381
117
Allegato 2: CONTO CONSUNTIVO DELLA NOBILE SOCIETA’ PROPRIETARIA 1878-‐1879
INTROITO
Somme
approvate in
preven
tivo TITOLI
Rubriche
SOMME Differenza in confronto
del preventivo in
esatte da esigersi
totali più meno
14940,43
749,54
7561,75
277,95
3000
76000
128340,63
-‐-‐
Restanze attive a tutto 30 aprile 1878 Sopravvenienze attive Affitti attivi Compensi ed abbonamenti attivi Prodotti diversi straordinari Prestiti restituibili Canoni Partite di giro
I II III IV V VI
VII
VIII
15133,63
716,26
7561,75
590,93
4387,90
76000
128177,48
22228,73
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
8,30
-‐-‐
-‐-‐
1489,52
-‐-‐
15133,63
716,26
7561,75
599,23
4287,90
76000
128177,5
22228,73
193,20
-‐-‐
-‐-‐
321,28
1287,9
-‐-‐
1326,4
22228,73
-‐-‐
33,28
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
230870,30 25496,68 1497,82 256194,5 25357,48 33,28
USCITA
Somme
approvate in
preven
tivo TITOLI
Rubriche
SOMME Differenza in confronto
del preventivo in
pagate da pagarsi
totali più meno
8176,32
2379,5
4700
1502,4
5389,84
9031
4450
100000
88867,16
Restanze passive a tutto 30 aprile 1878 Sopravvenienze passive Onorarii Affitti attivi Assicurazioni dagli incendi Manutenzione mobili e locali Imposte pubbliche Dotazione spettacoli Nuove opere
I II III IV V VI
VII
VIII IX
8084
2370,5
4700
1347
6626,84
10902,62
4371,15
103248,03
82386,77
69,6
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
373,12
1295,42
8153,6
2370,5
4700
1347
6626,84
10902,62
4371,15
103621,15
95338,19
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
1237
1871,62
-‐-‐
3621,15
6471,03
22,72
8
-‐-‐
155,4
-‐-‐
-‐-‐
78,85
-‐-‐
-‐-‐
118
408,68
1200
-‐-‐
3500
-‐-‐
874,08
-‐-‐
Spese di cancelleria Spese diverse Compensi ed abbonamenti passivi Concorrenza alle spese del Liceo Musicale Benedetto Marcello e del Monumento a re Vittorio Emanuele Pensioni Fondo di riserva Partite di giro
X XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
408,68
1376,01
759,08
1500
-‐-‐
998,5
22228,73
68,35
-‐-‐
-‐-‐
2000
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
477,03
1376,01
759,08
3500
-‐-‐
998,5
2228,73
-‐-‐
176,01
759,08
-‐-‐
-‐-‐
124,42
22228,73
322,8
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐
-‐-‐ 230870,30 251307,91 15462,49 266770,4 36480,04 587,9
BILANCIO Esazioni…………………………………………………L. Pagamenti……………………………………………..» Fondo di rimanenza al 30 aprile 1879…….» Restanze da esigersi……………………………….» Totale restanze attive…………………………….» Restanze da pagarsi……………………………….» Risultanza finale passiva al 30 aprile 1979
254696,68 251307,91
3388,77 1497,82
4886,59
15462,49
10575,9
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