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22/08/2016 Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia della mia vita |
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Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia dellamia vita
di Walter Catalano (h轏ps://aispes.wordpress.com/chi‑siamo/gli‑autori/walter‑catalano/)
Sono una particella dell’universo e come tale parlo all’aria, e immagino di rendere conto della mia a轏ività come un maggiordomo rende conto alsuo padrone prima di andarsene(Giacomo Casanova)
Giacomo Casanova, nato a Venezia nel 1725 e morto a Dux in Boemia nel 1798, è uno fra i più famosi avventurieri di quell’avventuroso secolo XVIII°che produsse, nel bene e nel male, tu轏i i fru轏i della modernità. In sintonia con l’a轏eggiamento illuministico del suo tempo, questo ecle轏icopersonaggio – i cui principali meriti, secondo la sua stessa ammissione, furono di esser riuscito a fuggire dal carcere veneziano dei Piombi e di averferito in duello il conte Branicki, generalissimo del re di Polonia – passa più che altro per un libertino ed un epicureo, ultima incarnazionedell’archetipo di Don Giovanni (non è dunque casuale la sua ormai quasi accertata collaborazione con Lorenzo Da ponte per la stesura, nel 1787, dellibre轏o dell’omonima opera di Mozart).
In realtà questa categorizzazione, seppure non certo fuori luogo, manca di rendere pienamente conto della complessità e della ricchezza disfacce轏ature, spesso contraddi轏orie, proprie alla multiforme personalità casanoviana: fra l’altro egli fu fine le轏erato (anticipatore anche dellamoderna fantascienza con il suo romanzo Icosameron del 1788), arguto polemista, ecclesiastico e violinista mancato, matematico, giocatored’azzardo disinvolto, agente segreto e bibliotecario, inquisito e inquisitore.
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Del resto lo stesso Cavaliere di Seingalt – secondo il fantasioso titolo che si era a轏ribuito – così si confessava:
Coltivare i piaceri dei sensi è stata per tu轏a la mia vita la mia principale occupazione, e non ne ho mai avuta altra più importante. Sentendomi natoper l’altro sesso, l’ho sempre amato e mi sono fa轏o amare per quanto possibile. Ho molto amato anche la buona tavola e insieme tu轏e le cose cheeccitano la curiosità[1].
Insieme all’eccitazione dei sensi è quindi la curiosità intelle轏uale la molla che spinse questo inquieto “sangue patrizio dei Grimani inseminato inuna povera fanciulla di Burano e legi轏imato da un gui轏o senza fortuna”[2] a darsi così tanto da fare in giro per l’Europa. E nel novero delle “coseche eccitano la curiosità” – secondo un cliché che fa del ‘700 non solo il secolo di Voltaire e di Diderot ma anche quello di Martinez de Pasqually, deSaint‑Martin, Cagliostro, Mesmer, ecc. – non poteva mancare nemmeno la pratica delle scienze occulte e l’interesse per le massonerie e leconfraternite esoteriche: sebbene preferisse non so轏olineare troppo la questione infa轏i, ed avesse anzi duramente a轏accato nel suo libello Soliloqued’un penseur, del 1786, Cagliostro e Saint‑Germain considerati dei volgari ciarlatani, Casanova praticò abbondantemente varie forme di magia“teurgica” e mantica “cabalistica”. Ce ne dà testimonianza egli stesso nella sua opera maggiore, quella Histoire de ma vie che iniziò a scrivere nel1789 al castello di Dux in Boemia, dove sarebbe morto, e che narra e “mitologizza” le numerose avventure della sua vita dalla nascita fino al 1774,
anno dopo il quale “non aveva … più nulla di piacevole da raccontare, perché la fortuna lo aveva abbandonato…”[3]. In questo monumentale e
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anno dopo il quale “non aveva … più nulla di piacevole da raccontare, perché la fortuna lo aveva abbandonato…”[3]. In questo monumentale edivertentissimo florilegio di fughe e viaggi, amori e duelli, truffe ed evasioni; specchio di un’epoca e di un’anima, assolutamente veritiero nella suadeformazione prospe轏ica tesa ad esaltare e giustificare – ma senza vanagloria né ipocrisia – il protagonista, trovano spazio le descrizioni delle suenumerose pratiche magiche e occultistiche[4] – spesso apertamente sminuite e deprezzate dall’autore come un semplice gioco o un espedientefraudolento per gabbare gli stolti – e, fra i tanti incontri, si descrivono anche quelli da lui avuti con i due maggiori protagonisti del ‘700 magico:Saint‑Germain e Cagliostro, futuri ogge轏i dei suoi strali polemici tardivamente volterriani.
Il primo dei due – il presunto Conte Tzarogy di Saint‑Germain, principe Racoczy, generale del Monferrato (1696‑1784), che Casanova chiamerà nelsuo tardo Soliloquio di un pensatore “il nero Saint‑Germain” e che per lui non era “altri che il violinista italiano Catalani” – sarà uno deicommensali di un pranzo presso la marchesa d’Urfé, appassionata di occultismo e prote轏rice di Casanova, a Parigi nel 1759.
Costui anziché mangiare parlò dal principio alla fine del pranzo – commenta Casanova – e io lo ascoltai con estrema a轏enzione perché era unparlatore straordinario. Si spacciava per fantastico in tu轏o, voleva stupire e ci riusciva. Aveva un tono autoritario, che però non riusciva sgradevole,perché era colto, parlava correntemente tu轏e le lingue ed era un valente musicista e un grande alchimista. Piacevole d’aspe轏o, sapeva conquistare ledonne, dando loro cosmetici per abbellire la carnagione e lusingandole con la promessa non di farle ringiovanire, cosa impossibile, ma diconservarle com’erano mediante un’acqua di cui faceva loro dono nonostante gli costasse molto. Quest’uomo bizzarro, che sembrava nato per essereil più sfrontato dei bugiardi, sosteneva con una grande faccia di bronzo di avere trecento anni, di possedere la medicina universale, di essere ingrado di fare tu轏o quel che voleva con la natura, di essere capace di fondere i diamanti e di poterne ricavare uno enorme e di acqua purissima dauna dozzina di normali senza alcuna diminuzione di peso … Nonostante le sue fanfaronate, le sue sparate e le sue evidenti bugie, non riuscii atrovarlo sfacciato, ma nemmeno rispe轏abile. Lo trovai sbalorditivo, mio malgrado, perché a sbalordirmi riuscì.
Casanova si riferisce qui ad un secondo incontro avvenuto qualche anno più tardi, intorno al 1765 a Tournai, al di qua della Manica, dovel’avventuriero italiano era riparato in fuga da Londra per oscure vicende pecuniarie. Scorti alcuni palafrenieri intenti a curare dei cavalli, Casanovadomanda notizie del padrone: “Il conte di Saint‑Germain, l’adepto – gli viene risposto – È qui da un mese ma non esce mai. Tu轏i vorrebbero farglivisita ma non riceve nessuno”. Il veneziano incuriosito gli chiede subito udienza con un biglie轏o. Il conte risponde dicendo che pur essendo inisolamento completo è disposto a fare un’eccezione per la sua vecchia conoscenza: “Venga all’ora che preferisce … Non le offro di dividere il miopranzo perché quello che mangio non può andar bene a nessuno e a lei meno che a ogni altro, se conserva il suo vecchio appetito” – aggiunge.Casanova va all’appuntamento e il conte lo riceve “con la barba lunga un pollice”, circondato da ampolle piene di liquidi, alcune delle quali “indecantazione nella sabbia a calore naturale”.
Saint‑Germain dice di stare lavorando intorno ai colori e di voler aprire una fabbrica di cappelli nella provincia. Prescrive a Casanova una cura abase di pillole per “purgare le ghiandole” e guarire dalla sua mala轏ia (numerose sono le patologie di origine venerea che affliggono il Cavaliere diSeingalt nel corso delle avventure rievocate nelle sue memorie) ma questi preferisce prudenzialmente non acce轏are. Poi gli mostra il “suo archeo,che lui chiamava Atoétér” – l’agente universale degli alchimisti, il principio universale della vita secondo Paracelso – “un liquido bianco, contenutoin una piccola fiala simile a parecchie altre che si trovavano lì vicino, tu轏e turate con la cera”. Era lo spirito universale della natura: “lo provava ilfa轏o che, se si faceva un forellino con uno spillo nella cera, lo spirito sarebbe uscito subito dalla fiala”.
Casanova prega il conte di dargli una dimostrazione e Saint‑Germain lo invita a provare lui
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Casanova prega il conte di dargli una dimostrazione e Saint‑Germain lo invita a provare luistesso. Il veneziano prende una fiala e buca la cera con uno spillo: il recipiente si vuota in una轏imo. “Eccezionale! Ma a che cosa serve?” – domanda. “Questo, purtroppo, non possodirglielo”. Prima di salutare l’ospite, il conte – “da quell’esibizionista che era”, commenta acidoCasanova – gli chiede una moneta, vi pone sopra un granello nero, la me轏e su un carbone ardentesoffiandovi con una cannuccia. In meno di dieci minuti la moneta diventa incandescente e il contela lascia raffreddare e invita Casanova a riprendersela: è diventata d’oro. L’italiano dubita –“sicuro che avesse fa轏o sparire la mia per sostituirla con quella d’oro” – e nota che, non sapendoprima quale sarebbe stato lo scopo finale dell’esperimento un osservatore non avrebbe potutoguardare abbastanza a轏entamente da accertarsi se la moneta d’argento non fosse stata sostituitaprima di finire sul carbone ardente. Il conte “con una risposta che gli era tipica”, riba轏e che“coloro che potevano dubitare della sua scienza non erano degni di rivolgergli la parola” e locongeda. “Quella fu l’ultima volta che vidi quel celebre e abile impostore … La sua moneta dadodici soldi, per altro, – amme轏e lo sce轏ico – era d’oro puro”[5].
Per quanto riguarda il conte Alessandro Cagliostro, o meglio Giuseppe Balsamo (1743‑1795),Casanova lo ricorda – oltre che per essere “un bell’uomo ma … con una faccia patibolare” e peravergli raccomandato a Venezia nel 1778, dove “si faceva chiamare Pellegrini”, di “stare a轏ento anon me轏ere piede a Roma, e se mi avesse dato re轏a, non sarebbe morto nella fortezza di San Leo”– rievocando il suo primo incontro con lui, ancora all’inizio della sua carriera con la moglieSerafina, in realtà Lorenza Feliciani, che lo avrebbe poi denunciato al Santo Uffizio nel 1789.
La vicenda si svolge in una locanda di Aix‑en‑Provence nel 1769, dove Casanova, ormai quarantaqua轏renne, si sta riprendendo dai postumi di unagrave pleurite contra轏a per aver preso freddo durante un incontro galante particolarmente faticoso – “purtroppo non avevo più l’età per prodezzedi quel genere”, amme轏e il vecchio sedu轏ore – durante il pranzo i convitati parlano di due misteriosi pellegrini italiani, un uomo ed un’incantevolegiovine轏a, appena giunti in albergo di ritorno a piedi da Santiago di Compostela. Casanova, incuriosito, li giudica a priori “devoti fanatici o grandiimbroglioni” e decide di far visita ai due compatrioti. La pellegrina “a轏irava l’a轏enzione per la sua giovanissima età, per la sua bellezza che eraaccentuata da un velo di mestizia e anche per il crocefisso di metallo giallo, lungo sei pollici, che reggeva in mano”; il pellegrino invece “piccolo distatura e ben fa轏o…dimostrava cinque o sei anni più della moglie e…appariva un tipo piu轏osto baldanzoso, sfrontato e impertinente: insomma unvero e proprio delinquente, tu轏o il contrario della moglie che ostentava nobiltà, modestia, ingenuità e pudore”. I due parlano a stento francese eCasanova si rivolge loro in italiano: la donna dice di essere romana – “in verità non c’era bisogno che lo precisasse, giacchè il suo accento grazioso lodimostrava chiaramente” – mentre l’uomo, che dice di essere napoletano, parla invece con accento siciliano: “il suo passaporto, rilasciato a Roma,dichiarava che il suo nome era Balsamo, mentre la ragazza si chiamava Serafina Feliciani”. La coppia sostiene di essere sulla via di ritorno a Romadopo un pellegrinaggio, interamente a piedi e vivendo di elemosine dopo aver distribuito ai poveri tu轏o il loro denaro, fino a Santiago e a NostraSignora del Pilar: dovrebbero poi fare sosta a Torino per visitare la Sindone.
Casanova prende congedo dai due contento di aver visto “una così graziosa pellegrina”
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Il Conte di Saint Germain.
Casanova prende congedo dai due contento di aver visto “una così graziosa pellegrina”– “aveva un unico dife轏o: le palpebre un po’ cispose che nuocevano alla dolcezza deisuoi begli occhi azzurri” – ma piu轏osto perplesso “circa la sua devozione”. L’indomaniperò viene invitato a pranzo da Balsamo che gli confida di essere un disegnatore apenna, specializzato in chiaroscuro, e gli mostra alcuni suoi lavori – dei ventagli“davvero belli” e la copia di un Rembrandt – lamentandosi però di fare la fame col suolavoro non ostante la sua bravura. “Mi parve uno di quei geni fannulloni chepreferiscono la vita vagabonda alla vita laboriosa” – commenta.
Casanova che si è offerto di comprargli un ventaglio. Balsamo lo prega di acce轏arlo inregalo ma di fare in cambio una questua a tavola a favore suo e della moglie. Ilveneziano raccoglie cinquanta scudi che consegna alla giovane donna: osservandolaaggiunge che “non aveva assolutamente un aspe轏o libertino e anzi si comportava dapersona riservata e per bene” e nota che non sa scrivere: “ne dedussi…che dovevaessere di origine contadina”. Il giorno seguente la ragazza torna nella camera delsedu轏ore chiedendogli delle le轏ere di presentazione per Avignone: Casanova glieneconsegna due e a sera la fanciulla e Balsamo tornano nella sua camera mostrandogli lacopia identica e indistinguibile dall’originale di una delle le轏ere da lui poco primavergate, eseguita dal marito.
Non nascosi all’uomo tu轏a la mia ammirazione e gli dissi che poteva indubbiamentetrarre grandi vantaggi dalla sua abilità, ma che, se non fosse stato ben a轏ento, essaavrebbe anche potuto costargli la vita.
Il giorno successivo la coppia parte. Casanova dice di averla incontrata di nuovo diecianni dopo a Venezia dove Balsamo si faceva chiamare “conte Pellegrini”: purtroppo il memorialista non giunse mai a scrivere quella parte dei suoiricordi e questo fa轏o ci priva di una testimonianza fondamentale e dire轏a della trasformazione cruciale del plebeo e ambiguo Giuseppe Balsamo nelcontroverso e affascinante conte di Cagliostro.
Lasciamo ora gli incontri con occultisti famosi per soffermarci sulle effe轏ive pratiche “magiche” in cui Casanova, spesso ostentando sce轏icismo eforzato disprezzo, nondimeno indulgeva.
Il primo conta轏o con le scienze arcane avviene assai presto, nel 1746; Casanova risiede ancora a Venezia, dopo soggiorni a Napoli e a Corfù, e siguadagna da vivere modestamente suonando il violino a San Samuele. Ha però la fortuna di conoscere il senatore Ma轏eo Bragadin, fratello delProcuratore di San Marco, che diviene suo intimo amico e prote轏ore – qualcuno insinua in cambio di prestazioni antifisiques. È proprio questopotente personaggio che induce il giovane Casanova ad un primo pericoloso bluff “occultistico”.
Un giorno il signor Bragadin … mi
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(h轏ps://aispes.files.wordpress.com/2015/09/catalano_casanova_04.jpg)Un ritra轏o di Cagliostro.
Un giorno il signor Bragadin … midisse che per essere così giovane lasapevo troppo lunga e che quindidovevo possedere qualche virtùsoprannaturale.
Per non contraddire il suo anfitrione ilragazzo inventa “una cosa stravagantee falsa”, cioè di possedere
una formula grazie alla quale potevosapere tu轏o ciò che volevo … mibastava trasformare in cifre un certoquesito e ricevevo una risposta purecifrata. Il signor Bragadin spiegò che sitra轏ava della clavicola di Salomone,volgarmente chiamata cabala…
Quando Casanova aggiunge di averappreso la pratica, mentre eraprigioniero dell’armata di Spagna, daun eremita che abitava sul monteCarpegna, Bragadin dice che nellaformula deve essere stata immessasicuramente una intelligenza occulta“perché i numeri semplici non avevano
le facoltà razionali”. Casanova prosegue a轏ribuendo all’oracolo cabalistico il suggerimento che lo aveva indo轏o ad uscire ad una certa ora, trese轏imane prima, in modo da realizzare per la prima volta il fortunato incontro con il suo prote轏ore. Bragadin stupefa轏o vuole sperimentare subito ipoteri della formula vergando su un foglio una domanda misteriosa che consegna al preteso cabalista. “Non ci capii nulla, ma non importava:bisognava rispondere. Se la domanda era oscura al punto che non ci capivo niente, dovevo dare una risposta altre轏anto oscura. Risposi con qua轏roversi in cifre ordinarie che, dissi ostentando una completa indifferenza circa il loro significato, lui solo poteva interpretare”. Bragadin legge e rileggela risposta come fulminato: “I numeri sono soltanto il veicolo – esclama – la risposta non può venire che da un’intelligenza immortale”. Anche gliamici di Bragadin pongono domande e tu轏i restano interde轏i dalle risposte: chiedono a Casanova di insegnare loro la meravigliosa formula. Ilfurbone si dichiara disposto a farlo immediatamente: non crede minimamente all’ammonizione dell’eremita che, rivelandogliela, aveva aggiuntoche se l’avesse insegnata a qualcuno prima di aver raggiunto cinquant’anni sarebbe morto improvvisamente in tre giorni. Nessuno naturalmente osapiù me轏ere a repentaglio la vita del generoso giovane: la sua preziosa amicizia sarebbe valsa la conoscenza segreta.
Divenni così il gerofante di queste onestissime e amabilissime persone che però non potrei definire sagge, visto che tu轏e e tre erano infatuate di
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Divenni così il gerofante di queste onestissime e amabilissime persone che però non potrei definire sagge, visto che tu轏e e tre erano infatuate diquelle che si chiamano scienze chimeriche … avendomi a loro disposizione pensavano di possedere la pietra filosofale e la medicina universale, dipoter parlare con le intelligenze elementari e … celesti … Credevano anche alla magia, cui davano lo specioso nome di fisica occulta.
Casanova confessa di non aver mai avuto difficoltà ad accontentare tu轏e le numerose richieste della combriccola di conoscere i segreti del passato,del presente e dell’avvenire: le risposte erano sempre a doppio senso,
uno dei quali, noto solo a me, non si lasciava interpretare che a fa轏o compiuto. La mia cabala, così, non sbagliava mai e capii quindi come era statofacile agli antichi sacerdoti pagani infinocchiare gli ignoranti e i creduloni.
La spiegazione appare fin troppo semplicistica e Casanova sicuramente non dice tu轏o quel che sa, come non rivela fino in fondo la natura realedelle sue relazioni con Bragadin e soci, a suo dire “scapoli” e
irriducibili nemici delle donne, cui avevano da tempo rinunciato. A loro avviso, questa inimicizia per il sesso femminile era condizioneindispensabile per dialogare con le intelligenze elementari: una cosa escludeva l’altra.
Casanova non manca di notevole faccia tosta per giustificarsi di fronte ai suoi le轏ori per la sua condo轏a dichiaratamente fraudolenta:
Ero un giovano轏o che aveva bisogno di vivere bene e di godere tu轏i i piaceri che l’età esigeva … avrei forse dovuto … lasciar barbaramente espostiquei tre galantuomini agli inganni di qualche disonesto briccone che avrebbe potuto insinuarsi tra loro e condurli magari alla rovina, inducendoli ame轏ersi alla ricerca della pietra filosofale?
Meglio lui dunque che aveva almeno il senso della misura! Così in breve il giovane e bel violinista non ebbe più bisogno di esercitare la sua miseraprofessione: fu ado轏ato da Bragadin e o轏enne una discreta rendita, una casa, un domestico e una gondola. Dopo questo iniziale e notevole successoCasanova continuerà in varie occasioni e per tu轏a la sua vita a fare uso frequente della sua preziosa cabala – a quanto racconta, sempre in palese mamai riconosciuta fraudolenza: ad esempio a Parigi nel 1752 per la duchessa di Chartres che, con l’aiuto dell’oracolo, libera dai foruncoli divenendol’a轏razione delle signore della buona società, o ad Amsterdam nel 1760, dove la pratica in compagnia di una bella giovane di nome Ester,azzeccando perfino alcune operazioni borsistiche e sventando un affare truffaldino, che avrebbe rovinato il ricco padre della ragazza, da parte diSaint‑Germain, poi denunciato agli Stati Generali dall’ambasciatore della corona di Francia e costre轏o alla fuga; o ancora a Parigi nel 1763, quandorestituisce la voce perduta a madame du Rumain – una cantante che aveva già inutilmente “tentato con tu轏i i rimedi della farmacopea” perrecuperarla – grazie ad “un culto al Sole nascente in una camera che avesse almeno una finestra volta ad oriente” a base di salmi e bagni in onoredella Luna; statisticamente un po’ troppi colpi fortunati per uno che “tirava ad indovinare”.
Nel 1750 a Lione il preteso cabalista era finalmente entrato a far parte di una loggia massonica dove aveva presumibilmente ricevuto insegnamentimeno superficiali in campo esoterico di quelli da lui sempre pubblicamente ammessi; ma, seguendo il flusso delle sue memorie, è il 1748 l’anno chevede Casanova più dire轏amente calato nel ruolo di mago. L’avventuriero si trova a Mantova dove conosce per caso all’Opera un’eccentricopersonaggio, certo Capitani, che sostiene di possedere il coltello con cui San Pietro tagliò l’orecchio a Malco e grazie ad esso di poter scoprire e
disso轏erare un mitico tesoro nascosto nella cantina di un conoscente di Cesena, nelle terre della Chiesa. Quel che gli manca è solo un mago capace
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disso轏erare un mitico tesoro nascosto nella cantina di un conoscente di Cesena, nelle terre della Chiesa. Quel che gli manca è solo un mago capacedi individuare il punto esa轏o in cui cercare. Casanova, fiutato l’affare, si presenta come mago e come prova dichiara al diffidente personaggio cheuno spirito elementale ai suoi ordini gli svelerà a mezzano轏e le virtù miracolose del coltello e gli rivelerà dov’è nascosto il tesoro: per il giorno dopopotrà dare prova a Capitani della veridicità delle sue affermazioni.
Infa轏i il giorno seguente è in grado di riferire una fantasiosa storia – in base alla quale il tesoro sarebbe appartenuto addiri轏ura a Matilde diCanossa e si troverebbe sepolto da sei secoli a circa trenta metri so轏o terra presidiato da se轏e spiriti guardiani – e di mostrare anche un curiosoreperto – in realtà da lui fabbricato facendo bollire una suola di stivale sfregata poi con la sabbia – un falso fodero per il magico coltello, foderosenza il quale le virtù meravigliose di questo non avrebbero potuto manifestarsi. Convinto e rassicurato, il cercatore di tesori stipula un contra轏ocon il preteso mago e invia poi Casanova, accompagnato dal proprio figlio con un anticipo di mille scudi, sul luogo delle ricerche a Casena: lafa轏oria di un ricco contadino di nome Giorgio Francia. L’avventuriero adocchia subito Genoveffa, la bella contadino轏a figlia maggiore del padronedi casa. I cercatori si accordano di dividere il tesoro in qua轏ro parti: una per il conoscente di Mantova, una per il contadino e due per il mago.
Casanova chiede l’assistenza di una cucitrice vergine tra i 14 e i 18 anni, fidatissima e capace di serbare il segreto per evitare ogni rischio conl’Inquisizione: si tra轏erà ovviamente dell’avvenente Genoveffa. Inoltre avverte che prenderà alloggio in casa del contadino, mangerà due volte algiorno, berrà solo sangiovese e cioccolata a colazione e, nel caso non dovesse riuscire nell’operazione, pagherà tu轏e le spese. Si informa poi deimotivi in base ai quali Francia aveva dedo轏o di possedere un tesoro in casa: una tradizione che si tramanda di padre in figlio da o轏o generazioni –gli viene risposto – inoltre si sentono grandi colpi so轏oterra per tu轏a la no轏e e la porta della cantina si apre e si chiude da sola ogni tre o qua轏rominuti “certo ad opera dei demoni che durante la no轏e vediamo aggirarsi per la campagna so轏o forma di fiamme piramidali”. Casanova rassicurail contadino che, dati i fenomeni, possono stare sicuri che il tesoro c’è davvero e consiglia di non chiudere mai a chiave la porta che si apre e sichiude: in caso contrario ci sarebbe un terremoto e si formerebbe un cratere “perché gli spiriti vogliono sempre entrare e uscire liberamente per farele loro faccende”.
Il contadino conferma che un do轏o chiamato da suo padre quarant’anni prima aveva de轏o esa轏amente le stesse cose: grazie a quell’uomo già lafamiglia stava per recuperare il tesoro ma l’Inquisizione gli dava la caccia ed il padre dove轏e farlo fuggire prima di aver completato l’operazione.“Mi dica di grazia – chiede Francia – perché la magia non può opporsi all’Inquisizione?” – “Perché i monaci hanno al loro servizio più diavoli dinoi” – risponde Casanova informandosi poi dell’onorario richiesto al padre dal do轏o fuggiasco: circa duemila scudi.
Il mago comincia ad organizzare i preparativi della cerimonia magica: ciascun partecipante avrebbe cenato a turno con lui, in ordine di età;Genoveffa – che dovrà nel fra轏empo cucire con utensili nuovi comprati senza tirare sul prezzo la veste di tela bianca per il grande scongiuro –avrebbe dormito sempre nell’anticamera vicino al le轏o di Casanova dove ci sarebbe stata una vasca da bagno in cui questi avrebbe lavato, mezz’oraprima di me轏ersi a tavola, il convitato di turno, il quale avrebbe dovuto essere a digiuno. È tu轏a una scusa per approfi轏arsi della ragazza quandosarà arrivato il suo turno di essere lavata: nel giro di un paio di no轏i Genoveffa passerà dire轏amente dall’anticamera al le轏o di Casanova, chetu轏avia, per non tradirsi, la serberà vergine per la no轏e della “grande operazione magica”.
Nel fra轏empo il sedicente mago indaga sui misteriosi fenomeni descri轏i dal contadino: ogni tre o qua轏ro minuti sente effe轏ivamente il rumore
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Nel fra轏empo il sedicente mago indaga sui misteriosi fenomeni descri轏i dal contadino: ogni tre o qua轏ro minuti sente effe轏ivamente il rumoredella porta della cantina che si apre e chiude da sola ed i colpi provenienti da so轏oterra a gruppi di tre o qua轏ro al minuto ad intervalli regolari, “intu轏o simili al rumore di un grosso pestello ba轏uto con forza in un mortaio di bronzo”. Con le pistole pronte ed una lanterna in mano prova la porta:non c’è causa fisica apparente del fenomeno, eppure la vede coi suoi stessi occhi aprirsi lentamente e dopo qualche secondo richiudersi conviolenza; “pensai tra me e me che dovesse esserci so轏o qualche imbroglio”. Dal balcone vede poi in cortile “un andirivieni di ombre. Potevabenissimo tra轏arsi di masse d’aria umide e dense”. Quanto alle fiamme piramidali volteggianti per la campagna, non si tra轏ava che di fuochi fatui,fenomeno ben noto allo scaltro avventuriero che però preferisce lasciar “credere ai … compagni che fossero gli spiriti di guardia al tesoro”.
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Giunge finalmente la luna piena e la no轏e del rituale, ma lasciamo la parola a Casanova stesso:
Dovevo indurre gli gnomi a portare il tesoro alla superfice della terra, nel punto in cui li avrei a轏ra轏i con i miei scongiuri. Sapevo bene che
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Dovevo indurre gli gnomi a portare il tesoro alla superfice della terra, nel punto in cui li avrei a轏ra轏i con i miei scongiuri. Sapevo bene chel’operazione non sarebbe riuscita, ma sapevo anche che sarei stato capace di spiegare per bene i motivi del mancato successo … Feci lavorareGenoveffa tu轏o il giorno per cucire in cerchio trenta fogli di carta su cui dipinsi in nero le轏ere e figure spaventose. Il cerchio, che chiamavocerchio massimo, misurava tre passi di diametro. Mi ero poi fabbricato una sorta di sce轏ro con il legno d’ulivo … Tolsi gli abiti di tu轏i i giorni eindossai la grande co轏a che era stata toccata solo dalle mani pure dell’innocente Genoveffa. Mi sciolsi i capelli, che caddero fin sulle spalle, mimisi in capo la corona a se轏e punte; mi caricai sulle spalle il cerchio massimo; presi in mano lo sce轏ro e con l’altra impugnai il coltello con cuiSan Pietro aveva tagliato un orecchio a Malco. Scesi quindi in cortile, stesi per terra il cerchio, gli girai intorno tre volte e vi saltai dentro.
Ecco però che, inaspe轏atamente, poco dopo l’inizio del rituale, si scatena una forte tempesta.
Sapevo che si tra轏ava di un fenomeno naturale e non avevo la minima ragione di meravigliarmene. Ciononostante, avvertivo un principio dipaura che mi faceva rimpiangere di non trovarmi in camera mia … Le sae轏e che mi scoppiavano tu轏o intorno mi gelavano il sangue. In preda alterrore come ero, mi convinsi che se i fulmini non mi colpivano era perché non potevano entrare nel cerchio e così non osavo uscirne per correreal sicuro … Il mio sistema nervoso, che credevo a prova di bomba, era a pezzi. Dove轏i riconoscere che esisteva un Dio vendicatore che mi avevaa轏eso al varco per punirmi di tu轏e le mie scellerataggini e per me轏er fine alla mia incredulità annientandomi.
Un solenne acquazzone pone fine ai terrori del sedicente mago: nel giro di un quarto d’ora di nuovo la luna piena brilla in un cielo terso. Casanovatorna in camera e, rifiutando le a轏enzioni di Genoveffa, crolla in un sonno profondo. Al risveglio, il giorno dopo, prova un senso di disgusto per lesue macchinazioni e non sente più la minima a轏razione per la bella contadina:
Per una sorta di superstizione conclusi che lo stato di innocenza di quella ragazza era prote轏o dal cielo e che sarei morto se avessi osato a轏entarvi.
Decide di partire precipitosamente, trovando ancora giustificazioni razionali al suo agire: qualche contadino potrebbe averlo visto nel cerchio e averpensato che l’uragano fosse stato provocato dalle sue magie denunciandolo poi all’Inquisizione. Si congeda dunque dai suoi compagnigiustificando il suo ritiro dall’operazione con la scusa di un pa轏o concluso coi se轏e spiriti guardiani del tesoro; lascia a Francia e a Capitani unapergamena con tu轏e le informazioni avute dagli stessi spiriti sul tesoro – “sepolto alla profondità di diciasse轏e tese e mezzo … Consta di diamanti,rubini, smeraldi e centomila libbre di polvere d’oro…” – si fa prome轏ere che lo avrebbero aspe轏ato per il recupero finale e fa bruciare corona ecerchio ma conservare gli altri ogge轏i in a轏esa del suo ritorno.
Genoveffa è inconsolabile e Casanova le prome轏e che si rifarà vivo presto e “per scrupolo di coscienza, ritenni doveroso dirle che non essendo lasua verginità più necessaria per l’estrazione del tesoro, era libera di sposarsi se le si fosse presentata l’occasione”. Prima di andarsene l’avventurieroriesce comunque a vendere al figlio di Capitani il falso fodero del magico coltello per cinquecento scudi romani.
Come si evince da questa pi轏oresca vicenda, la conclamata incredulità truffaldina di Casanova resta sempre profondamente ambigua econtraddi轏oria: un fondo di non de轏o emerge evidente nei suoi racconti e l’a轏enzione rivolta alle coincidenze improbabili e certi particolari chedenotano una le轏ura ed una conoscenza tu轏’altro che superficiale almeno del De Occulta Philosophia di Agrippa, oltre che dei grimoire dozzinali,
convergono a smentire molte smargiassate volterriane e a sbugiardare l’ostentazione sprezzante di sicurezza e controllo del libertino,
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convergono a smentire molte smargiassate volterriane e a sbugiardare l’ostentazione sprezzante di sicurezza e controllo del libertino,confermandolo assai più incline alla “superstizione” di quanto egli tenesse ad apparire.
Non sarà un caso che, quando sarà rinchiuso nel carcere dei Piombi – dal quale riuscirà ad evadere nel modo audace e mirabolante da lui più voltedescri轏o – le accuse, reali o pretestuose che fossero, da parte degli inquisitori di stato furono proprio quelle di eresia e stregoneria.
Nel 1755 Casanova è tornato a Venezia da due anni e si dile轏a tra complicati maneggi amatori e polemiche le轏erarie negli ambienti teatraliveneziani. Riceve la visita di un conoscente, un certo Manuzzi, in realtà spia degli inquisitori di stato (lavoro, sia de轏o per inciso, che Casanovastesso svolgerà, senza ufficiale contra轏o, nel 1776 per poter sopravvivere nella ci轏à natale dopo 18 anni di esilio), che notando “diversi libri sparsiqua e là” si sofferma su
alcuni manoscri轏i di magia. Divertito dal suo stupore, gli mostrai quelli che insegnavano a conoscere gli spiriti elementari. Come il le轏ore può benimmaginare, disprezzavo quei libri, però li avevo.
Il le轏ore immagina anche ben altro. Con la scusa di aver trovato un acquirente che offriva mille zecchini per i libri, ma che voleva primacontrollarne l’autenticità, Manuzzi si appropria per qualche giorno dei volumi: si tra轏ava de “La clavicola di Salomone, il Zecor ben[6], un Picatrix eun Libro planetario contenente ampie istruzioni sulle ore propizie per fare i profumi e gli scongiuri per evocare demoni d’ogni grado”. In realtà ildelatore “li aveva portati al segretario degli inquisitori … costoro erano venuti a sapere che ero un insigne stregone”, contemporaneamente anche laSignora Memmo, madre di alcuni conoscenti di Casanova – tu轏i massoni e progressisti –
essendosi messa in testa che incitavo i suoi figli all’ateismo, si raccomandò al vecchio cavaliere Antonio Mocenigo, zio di Bragadin, che ce l’avevacon me perché diceva che con la mia cabala gli avevo sedo轏o il nipote. La cosa era di competenza del Sant’Uffizio, ma siccome era difficile farmirinchiudere nelle carceri dell’Inquisizione ecclesiastica, la signora Memmo e il cavaliere decisero di so轏oporre la faccenda agli inquisitori di stato.
Le testimonianze contro Casanova si accumulano presso gli investigatori: fra le altre accuse c’è quella
di credere solo nel demonio. Gli accusatori sostenevano che quando perdevo al gioco, invece di bestemmiare Dio come facevano tu轏i i credenti,scagliavo le mie maledizioni al diavolo. Ero anche accusato di mangiare di grasso tu轏i i giorni e si diceva che c’erano buoni motivi per ritenermimassone.
Secondo il tribunale “la giovane contessa Bonafede era impazzita a causa dei filtri amorosi che le avevo somministrato: era ancora ricoverataall’ospedale e nel delirio non mancava mai di fare il mio nome coprendomi di maledizioni” (in realtà, secondo il sedu轏ore, era impazzita perchéegli non aveva più accondisceso alle sue brame amorose).
Il 25 luglio del 1755 Casanova viene arrestato. Resta però rinchiuso ai Piombi per meno di un anno: dopo la sua rocambolesca fuga ripara a Parigi,qui, nel 1757, conosce la sua futura prote轏rice e sovvenzionatrice, la marchesa Adelaide Marie‑Thérèse d’Urfé, altro personaggio affascinato dalmondo della magia e dell’occulto.
Il nipote della marchesa, il conte La Tour d’Auvergne, era guarito da una sciatica alla coscia grazie all’applicazione, fa轏a quasi per gioco da
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Il nipote della marchesa, il conte La Tour d’Auvergne, era guarito da una sciatica alla coscia grazie all’applicazione, fa轏a quasi per gioco daCasanova, di una mistura a base di nitro, fiore di zolfo, mercurio e urina fresca del paziente, con la quale l’improvvisato taumaturgo aveva tracciatosulla parte malata una stella di Salomone pronunciando una formula di cinque parole – secondo Casanova del tu轏o inventate. La voce del miracolosi era sparsa per Parigi e la vecchia zia del conte “famosa per la sua competenza nelle scienze magiche e nota anche come grande alchimista …donna intelligente, ricchissima e unica padrona delle sue ricchezze”, aveva subito voluto incontrare l’apparentemente rilu轏ante Casanova cheribadisce anche in questa occasione di aborrire “la reputazione di mago”.
La marchesa, “una bella donna, benchè avanti con gli anni”, mostra all’avventuriero la sua biblioteca e si vanta di possedere già la pietra filosofale edi essere molto esperta in tu轏e le grandi operazioni. “Il suo autore preferito era Paracelso, che secondo lei, non era stato né uomo né donna e si eradisgraziatamente avvelenato ingerendo una dose eccessiva di panacea”. La padrona di casa lascia consultare al suo ospite un piccolo manoscri轏o“che conteneva la spiegazione chiarissima, in francese, della grande opera”, puntualizzando che il testo era invece cifrato e “solo lei possedeva lachiave del cifrario”, e gli regala una copia della Steganografia dell’abate Tritemio.
Dopo la biblioteca il visitatore viene introdo轏o nel laboratorio: gli viene mostrata una sostanza che si trova sul fuoco da quindici anni – grazie ad unmarchingegno che rifornisce automaticamente di carbone il fuoco, eliminando le ceneri di scarto – e che dovrà restarci per altri cinque: una polveredi proiezione “a轏a a trasformare in un minuto qualsiasi metallo in oro”. Altre meraviglie presenti sono il mercurio calcinato; l’albero di Diana diTaliamed – un “vegetale metallico” composto “facendo cristallizzare insieme argento, mercurio e spirito di nitro” ‑; un barile di “platino del Pinto”(il platino, scoperto nel Rio Pinto in Giamaica era stato introdo轏o in Europa solo nei primi anni ’40 del ‘700) che fondeva solo con lo specchioustorio; un athanor in funzione da quindici anni; e un “commento di Raimondo Lullo che spiegava ciò che aveva scri轏o Arnaldo di Villanova dopoRuggero Bacone e Geber, i quali, sempre secondo lei, non erano morti”.
I due disce轏ano a lungo di Agrippa e di Polifilo, di tartaro e di polvere di proiezione, di pentacoli e di Geni planetari. Casanova mostra comesempre una competenza eccessiva in materia per rendersi credibile al le轏ore come furbesco improvvisatore e casuale orecchiante:
Ho disegnato sulla coscia del signor di La Tour d’Auvergne il pentacolo di Salomone nell’ora di Venere – spiega ad esempio alla sua versatainterlocutrice – e l’operazione non sarebbe riuscita se non avessi cominciato con Anael, che è il Genio di quel pianeta … Si deve passare a Mercurio,da Mercurio alla Luna, dalla Luna a Giove e da Giove al Sole. Come vede è il ciclo magico secondo il sistema di Zoroastro. Salto solo Saturno eMarte che la scienza esclude da questa operazione
Vedo che lei ha molta familiarità con le ore – commenta la marchesa – Altrimenti non si potrebbe far nulla in magia, perché non si ha il tempo di farcalcoli. Ma non è difficile. Basta un mese per impratichirsi. Più difficile è il culto, perché è complicato. Ma ci si arriva…
Si scambiano poi il giuramento segreto dei Rosacroce.
Da quel momento in poi la marchesa d’Urfé riterrà Casanova “un vero iniziato so轏o le sembianze di un uomo qualunque”; l’avventuriero le rivela ilnome del suo Genio, Paralis, e la raggira con la solita cabala – che però gli perme轏e di decifrare davvero, grazie a non meglio precisati calcoli, lachiave segreta del manoscri轏o sulla Grande Opera in possesso della marchesa e noto solo a lei.
Andandomene quel giorno – confessa Casanova – portai via con me il suo animo, il suo cuore, la sua intelligenza e quel poco di buon senso che le
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Andandomene quel giorno – confessa Casanova – portai via con me il suo animo, il suo cuore, la sua intelligenza e quel poco di buon senso che lerimaneva … ne abusai tu轏e le volte che potei.
L’anziana nobildonna a轏ribuisce al suo prote轏o poteri sovrumani e si convince con il passare del tempo che
mediante una operazione che doveva essermi nota avrei potuto farla entrare so轏o forma di spirito nel corpo di un bimbo maschio natodall’accoppiamento filosofico tra un immortale e una mortale o di un mortale con un essere femminile di natura divina. Secondando le folli ideedella signora non ritenevo di ingannarla, perché ormai lei era fa轏a così e non sarei mai riuscito a farle cambiare parere. Se, da uomo onesto, le avesside轏o che le sue idee erano assurde, non mi avrebbe creduto … non potevo che divertirmi continuando a farmi giudicare il più gran Rosacroce el’uomo più potente del mondo da una signora legata alle maggiori case di Francia e ricchissima per il suo patrimonio liquido più ancora che per leo轏antamila lire di rendita provenienti da varie terre e da palazzi che possedeva a Parigi. Sapevo, senz’ombra di dubbio che in caso di bisogno nonmi avrebbe potuto rifiutare nulla…
La d’Urfé si è messa in testa di voler diventare un uomo e a轏ribuisce a Casanova il potere di operare quella trasformazione: insiste ripetutamente edalla fine, durante un ennesimo incontro, il veneziano è “costre轏o” ad amme轏ere di poter compiere il miracolo, ma, per schermirsi, precisa di nonvoler procedere all’operazione perché questa provocherebbe la morte di lei. Questo avvertimento non scompone la marchesa che afferma di esserepronta e di sapere già anche che dovrà morire dello stesso veleno che uccise Paracelso – il quale però non o轏enne l’ipostasi non essendo “né uomoné donna, mentre bisogna essere perfe轏amente l’uno o l’altra”. Casanova allora aggiunge che non si può preparare quel veleno se non si dispone diuna salamandra, ma la marchesa imperterrita è convinta di possederlo già nel suo laboratorio: “mi manca solo il bimbo dotato del verbo maschilericevuto da una creatura immortale. So che tu轏o dipende da lei e non credo che una malintesa pietà per questa mia vecchia carcassa le tolga ilcoraggio necessario”. L’avventuriero, non a caso figlio di a轏ori, finge di piangere guardando malinconicamente fuori della finestra, poi con un coupde théatre da professionista, prende la spada ed abbandona precipitosamente la camera sospirando.
Per sua fortuna importanti affari “finanziari e diplomatici” allontanano per qualche tempo Casanova da Parigi: la minacciata operazione magicaviene per il momento accantonata. Nel 1759 è di nuovo di ritorno nella capitale francese e, arrestato per una le轏era di cambio non pagata, vieneliberato per intervento della marchesa che lo rifornisce come sempre di denaro. Viene poi invitato da lei ad un pranzo in compagnia di Saint‑Germain: la marchesa porta al collo una grossa calamita perché spera che un giorno o l’altro questa possa a轏irare un fulmine “e con quel sistema leisarebbe ascesa al cielo”. Poiché Saint‑Germain si vanta di poter conferire ad una calamita una forza mille volte maggiore di quella che le danno ifisici, Casanova, con fare gelido, scomme轏e ventimila scudi che il conte non sarebbe riuscito nemmeno a raddoppiare la forza della calamita che lasignora portava al collo. La marchesa però interviene per impedire la scommessa convinta che il mago Saint‑Germain avrebbe sicuramente sconfi轏oil mago Casanova. Anche quest’ultimo, seppur a malincuore, rinnova le sue manifestazioni di invidia e ammirazione per il rivale: “In vita mia nonho mai conosciuto un impostore più abile e più seducente”.
Fra i molti aneddoti cara轏eristici della singolare relazione fra Casanova e la d’Urfé ce n’è un altro particolarmente divertente in cui la taumaturgiaparacelsiana ha un ruolo del tu轏o secondario rispe轏o all’astuzia e alla lascivia dell’avventuriero italiano. Questi ha preso a cuore la sorte di unafanciulla che minaccia il suicidio se non riuscirà ad abortire, chiede pertanto consiglio alla marchesa su un metodo abortivo assolutamente sicuro.
Questa risponde senza esitazioni che l’Aroph di Paracelso è un rimedio infallibile: si tra轏a di un unguento di zafferano in polvere, mirra e altri
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Questa risponde senza esitazioni che l’Aroph di Paracelso è un rimedio infallibile: si tra轏a di un unguento di zafferano in polvere, mirra e altriingredienti e miele come veicolo. Casanova pur ridendo della rice轏a “assurda a lume di un po’ di buonsenso”, si risolve a consigliare l’intruglio allasua prote轏a aggiungendo però agli ingredienti una significativa variante: “dello sperma che non avesse perduto nemmeno per un istante il suocalore naturale”; la convince poi che “in assenza del suo uomo, le ci sarebbe voluto un amico che potesse rimanere con lei senza suscitare sospe轏i,per amministrarglielo tre o qua轏ro volte al giorno”.
Ovviamente si offre volontario e, dopo qualche esitazione, la bella giovane acce轏a le “applicazioni” che ovviamente non sortiranno l’effe轏o volutoanche se alla fine, grazie agli abili maneggi dell’intraprendente prote轏ore, la sfortunata ragazza troverà perfino un marito consenziente salvando siail bambino che l’onore: tu轏o è bene quel che finisce bene.
Più a轏inente al nostro tema è la serie dei numerosi riti celebrati da Casanova per la Marchesa d’Urfé fra i quali in particolare quello riguardante uninsolito scambio di missive, svoltosi ad Aquisgrana, fra la nobildonna e Selenis, uno spirito lunare. Così l’avventuriero ci descrive il climax dellaparadossale vicenda:
Nel giorno fissato sulla base della luna condussi la marchesa a cena in una villa con giardino fuori ci轏à, dove, in una stanza al pianterreno, avevopreparato tu轏o quello che era necessario alla cerimonia. Avevo in tasca la le轏era che doveva scendere dalla luna in risposta a quella che la marchesaaveva preparato con cura e che dovevamo spedire a destinazione. A qualche passo dalla stanza della cerimonia avevo fa轏o me轏ere una grandevasca piena d’acqua tiepida mescolata ad essenze che piacciono all’astro delle no轏i e in cui io e la marchesa dovevamo tuffarci insieme … Dopo averbruciato gli aromi e sparso le essenze tipiche del culto di Selenis, recitammo le preghiere misteriose e ci spogliammo completamente. Quinditenendo la le轏era nascosta nella mano sinistra, con la destra guidai, con estrema gravità, la marchesa presso il bordo della vasca dove si trovava unacoppa d’alabastro piena di spirito di ginepro cui diedi fuoco, pronunciando parole cabalistiche di cui io stesso ignoravo il significato e checomunque lei ripetè consegnandomi la le轏era indirizzata a Selenis. Bruciai la le轏era alla fiamma del ginepro su cui la luna splendeva in pieno equella credulona di una d’Urfé mi assicurò che seguendo i raggi dell’astro aveva visto salire in cielo i cara轏eri da lei vergati. Entrammo quindi nellavasca e dieci minuti dopo la le轏era che tenevo nascosta nella mano e che era scri轏a in cerchio e in cara轏eri d’argento su una carta verde lucida,apparve sulla superficie dell’acqua.
Nella le轏era di Selenis la marchesa apprende che la sua “ipostasi” deve essere differita ancora fino all’anno seguente (in realtà il mago cerca diritardare il pericoloso rito trasformativo che potrebbe costargli la fiducia della sua prote轏rice) e impone alla nobildonna di aiutare alcune signore(che Casanova vuole beneficare a spese della “credulona”).
Nel 1763 a Marsiglia, però, Casanova non è più in grado di temporeggiare ed il rito di “rigenerazione” in qualche modo deve compiersi:
I riti lunari ebbero fine il sabato, e così feci in modo che l’oracolo fissasse il grande momento per il martedì, nelle ore del Sole, di Venere e diMercurio che nel sistema planetario dei maghi si succedono come nell’immaginazione di Tolomeo. Per l’esa轏ezza quelle ore corrispondevano allanona, alla decima e all’undicesima ora di quel giorno, poiché essendo martedì, la prima ora sarebbe stata quella di Marte. E poiché eravamo ai primidi maggio e le ore perciò erano di sessantacinque minuti, il le轏ore, pur sapendo poco di magia, può calcolare facilmente che l’operazione sullamarchesa d’Urfé doveva svolgersi tra le due e mezza e le sei meno cinque.Casanova avrebbe, in base all’oracolo, dovuto fecondare Séramis (nome RosaCroce della marchesa) due giorni dopo la fine dei riti e
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Casanova avrebbe, in base all’oracolo, dovuto fecondare Séramis (nome RosaCroce della marchesa) due giorni dopo la fine dei riti e“un’affascinante Ondina” sarebbe comparsa a purificare i due celebranti (si tra轏ava in realtà di Marcolina, amante di Casanova in quel tempo). Conla solita faccia tosta il mago confessa di aver preso le dovute precauzioni per non fare bru轏a figura:
La marchesa era bella, ma era vecchia: mi sarebbe anche potuto capitare di non farcela, tanto più che ormai trento轏enne, mi accorgevo di esserespesso sogge轏o a siffa轏o inconveniente. Per questo avevo pensato a procurarmi un aiuto e la bella Ondina che dovevo o轏enere dalla Luna eraovviamente Marcolina che, facendomi il bagno, mi avrebbe certo dato la forza rigeneratrice che mi era necessaria.
Un vero e proprio rito di magia sexualis, dunque. All’ora convenuta Marcolina, tenuta fino ad allora nascosta nell’armadio della camera diCasanova, fa il suo fantomatico ingresso come Ondina nella sala del rito: consegna un foglio bianco alla marchesa che capisce di dover consultarel’oracolo. Casanova traccia la piramide di numeri e la marchesa la interpreta: “Quel che è scri轏o nell’acqua non può esser le轏o che nell’acqua”.Immerge il foglio nella vasca da bagno e legge “in cara轏eri più bianchi della carta: ‘Sono muto ma non sordo. Esco dal Rodano per farle il bagno.L’ora di Oromasis è giunta’”. Oromasis, il re delle salamandre, sarebbe stato il testimone dell’unione fra il mago e la sua discepola che, fecondatadal Verbo del Sole, avrebbe partorito un’altra sé stessa mutata di sesso e sarebbe poi morta. I due celebranti si spogliano e prendono posto nellavasca, sempre assistiti dall’Ondina. Casanova si unisce allora a Séramis “ammirando le bellezze di Marcolina, che non avevo mai guardato contanta a轏enzione come quella volta” – confessa il grande amatore – “Tu轏avia la marchesa, tenera, amorevole, curata e niente affa轏o disgustosa, nonmi spiacque”.
L’operazione viene ripetuta più tardi nell’ora di Venere:
il secondo assalto … doveva essere il più duro, perché l’ora era di sessantacinque minuti. Entrai in lizza e sfaticai mezz’ora … La marchesa miasciugava la fronte dal sudore che mi colava dai capelli mescolato alla pomata e alla cipria e l’Ondina, accarezzandomi con sapienza, rianimava ciòche il vecchio corpo che ero obbligato a toccare distruggeva, ma la natura si rifiutava di assecondare i miei sforzi di chiudere in bellezza.
In qualche modo anche la seconda operazione giunge al termine, ma comincia la terza ora, sacra a Mercurio, ed è solo grazie alle sapienti articortigianesche di Marcolina – “divenuta, tu轏o ad un tra轏o lesbica” – che Casanova riesce di nuovo a trovarsi “non senza la folgore ma senza laforza di farla scoppiare”. Simulando “una vera e propria agonia accompagnata da convulsioni che terminarono in una specie di deliquio”, il magopone finalmente termine al rituale. I contendenti, stremati, possono finalmente concedersi il meritato riposo:
Séramis, ispirata dal suo Genio, si tolse la collana e la mise al collo della bella fanciulla che, dopo averle dato un bacio alla fiorentina, fuggì anascondersi nell’armadio.
Più tardi la vecchia Séramis chiede a Casanova di sposarla:
Potrà essere il tutore del mio bambino che sarà suo figlio: lei potrà così conservare tu轏i i miei beni ed entrare in possesso di ciò che devo ereditare… Se non sarà lei ad occuparsi di me il prossimo febbraio, quando rinascerò uomo, chi mi proteggerà? Sarò dichiarato bastardo e mi toglieranno leo轏antamila lire di rendita che invece lei può conservarmi … Dentro di me mi sento già un uomo. Glielo confesso, sono innamorato dell’Ondina e
voglio sapere se potrò andare a le轏o con lei fra qua轏ordici o quindici anni. Se Oromasis lo vuole, lo può…
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voglio sapere se potrò andare a le轏o con lei fra qua轏ordici o quindici anni. Se Oromasis lo vuole, lo può…
Casanova risponde dicendo che sarà l’oracolo a illuminarli e guidarli sempre e che per quanto riguardava lui, non avrebbe mai permesso che suofiglio fosse dichiarato bastardo:
A queste parole la marchesa si sentì rassicurata e … si tranquillizzò … Se il le轏ore pensa che, come uomo d’onore, avrei dovuto disingannarla, sisbaglia, perché era impossibile.
Dopo averla indo轏a a partire per Lione – continuando per conto proprio un semplice rito individuale nell’ora della luna – il cavaliere di Seingalt, dinuovo temporanemente libero, parte per nuovi avventurosi vagabondaggi. Qualche tempo dopo viene informato per le轏era che la marchesa èmorta avvelenata da una dose troppo forte
di un liquore che lei chiamava medicina universale. Inoltre … era stato trovato un testamento insensato, con cui la marchesa, convinta di essereincinta, lasciava tu轏i i suoi averi al primo figlio o figlia che avesse partorito”
In realtà quest’affermazione è una delle più grosse fro轏ole raccontate da Casanova e resta tu轏ora inspiegata ed imbarazzante per i casanovisti: lamarchesa d’Urfé, infa轏i, morì solo nel 1775 – ben dieci anni dopo la data riportata nell’Histoire de ma vie – lasciando un testamento perfe轏amenteragionevole in favore del legi轏imo nipote, e pare che il cavaliere di Seingalt, come a轏estano delle le轏ere ritrovate, lo sapesse benissimo. “Fossivenuto a sapere che la mia buona signora d’Urfé era morta o rinsavita per me avrebbe avuto lo stesso effe轏o” – confessa l’avventuriero in un altropasso delle sue memorie: l’ipotesi più probabile è che la vecchia avesse ormai mangiato la foglia, dopo il mancato ingravidamento conseguente alrito di magia sessuale, abbandonando finalmente il suo prote轏o al destino che lo a轏endeva: l’orgoglioso intrigante preferiva considerarla mortapiu轏osto che amme轏ere il naufragio definitivo dei suoi magici maneggi.
Con questo episodio terminano le esperienze più esplicitamente occultistiche narrate nella Storia della mia vita.
Anche limitandoci solo agli aneddoti, presumibilmente abbelliti e rimaneggiati, riportati dalla sua testimonianza, Giacomo Casanova si conferma,in ultima analisi, come una figura perfe轏amente inserita in quella galleria di personaggi se轏ecenteschi a metà strada fra impostura e candore,sce轏icismo e credulità, modernità illuminata e ombroso vecchio mondo, razionalismo e magia, che vede fra i suoi esponenti più celebrati – almenoin questo ruolo – Saint‑Germain e Cagliostro. Le apparenti antitesi emergono come complementarità effe轏ive forse utili a tracciare una nuovamappa di quell’Illuminismo la cui immagine ci è probabilmente sempre stata tramandata in modo forzato e incompleto. Come i grandi anticipatoriGiordano Bruno e Isaac Newton – se non ci limitiamo ad estrapolare le intuizioni più geniali di alcune loro opere ma li ricollochiamo globalmentenel loro contesto storico, tornano ad apparirci anche come maghi e alchimisti – così gli uomini del “secolo della ragione” finiscono per assomigliarecomplessivamente più al rilu轏ante e reticente Casanova e ai suoi sodali ambigui che agli illuminati philosophes.
A differenza di Cagliostro però Casanova sopravvive, dissimula e bara sempre sapientemente: pavoneggiandosi per la sue visite frequenti ed i suoipassati rapporti amichevoli con Voltaire e Rousseau; sminuendo e sdrammatizzando le sue pratiche irrazionali (meglio apparire un truffatore cheun credulone); ostentando una quanto mai forzata fedeltà al cristianesimo e alla chiesa ca轏olica ma contemporaneamente, ancora nel 1797,
inneggiando alla Rivoluzione francese (“Viva la Repubblica ! È impossibile che un corpo senza testa comme轏a pazzie”); e riesce a morire in età, per
22/08/2016 Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia della mia vita |
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inneggiando alla Rivoluzione francese (“Viva la Repubblica ! È impossibile che un corpo senza testa comme轏a pazzie”); e riesce a morire in età, perl’epoca, acce轏abilmente tarda – se轏antatrè anni – dopo essersi assicurato un impiego dignitoso come bibliotecario nel castello di Dux in Boemia peril conte di Waldstein, dove forse non felicemente ma almeno tranquillamente, può dedicarsi alla le轏eratura e alla matematica, sue passioni disempre, e all’edificazione le轏eraria del suo mito. Valgano in chiusura le sue stesse considerazioni conclusive su sé stesso, ad un tempo sincere eingannevoli come sempre: “Vizio non è sinonimo di deli轏o, perché si può essere viziosi senza essere criminali. Tale sono stato io durante tu轏a lamia vita e anzi oso dire che sono stato spesso virtuoso proprio nel momento stesso in cui ero vizioso, perché se è vero che ogni vizio ènecessariamente opposto alla virtù, è anche vero che esso non nuoce all’armonia universale. I miei vizi del resto sono sempre stati a mio carico, adeccezione dei casi in cui mi sono servito delle arti della seduzione, ma la seduzione non è mai stata l’elemento cara轏erizzante della mia natura, dalmomento che ho sempre sedo轏o senza sapere di farlo ed essendo a mia volta sedo轏o”.
Note
[1] Tu轏e le citazioni sono tra轏e da Giacomo Casanova, Storia della mia vita, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Mondadori, Milano 1983‑84‑89, vol. I‑II‑III.
[2] Piero Chiara, prefazione a Giacomo Casanova, Le轏ere a un maggiordomo, Edizioni Studio Tesi, Trieste 1985, pag. XV.
[3] Piero Chiara, cit., pag. IX.
[4] Nella monumentale bibliografia casanoviana pochi sono gli studi dedicati espressamente a questo aspe轏o minore delle sue molteplici a轏ività:una delle poche eccezioni – purtroppo ormai introvabile – è il testo tedesco di B. Marr, Casanova als Kabbalist, del 1913.
[5] Sui rapporti fra Casanova e Saint‑Germain esiste un capitolo, Une enigme historique: Casanova et Saint‑Germain, in Edoardo Maynial, Casanovaet son temps, 1910.
[6] Cioè il Sefer ha‑Zohar, il “Libro dello splendore”, classico della Kabbala ebraica.
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