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La Bibbia e la vita consacrata:
quale relazione?
Un “viaggio” attraverso i secoli
Essendo norma ultima della vita religiosa
il seguire Cristo come viene proposto nel vangelo,
questa norma sia tenuta da tutti gli istituti
come la regola suprema.
(PC, 2)
1. La Parola nella storia
2
Esiste un fondamento biblico della vita consacrata? Come la
storia ha fatto interagire il Nuovo Testamento e la vita reli-
giosa?
Uno studio come il nostro non ha a che fare con la
sola scriptura, ma con pagine evangeliche incarnate nei
singoli e nelle comunità, che diventano “forma” e “norma”
di vita. Fabio Ciardi, in merito, si è espresso con grande
chiarezza:
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Lo studio sui fondamenti biblici della vita consacrata
dovrebbe muovere dal vissuto evangelico. Il primo
interrogativo da porsi è:
quali sono i testi che effettivamente hanno ispirato
e creato la vita religiosa in tutte le sue espressioni?
È fuorviante partire aprioristicamente dai testi biblici
per cercarvi i principi fondanti. La vita consacrata è la
storia di come si è interpretato e vissuto il vangelo.
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Semplificando,
si possono ricondurre a tre
le tappe storiche più significative
di questa interazione:
– gli inizi della vita consacrata,
– il tempo della riforma,
– la riflessione che ha accompagnato e seguito
il Concilio Vaticano II.
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1.1. Il tempo dei Padri: riproporre le pagine del Vangelo
La vita monastica nasce come “obbedienza”
(ob-audire; hypo-akouein) vale a dire come ascolto e
risposta alla Parola di Dio. Verso di essa i primi monaci
nutrono una vera e propria passione.
Antonio (251-356 ca.), il grande “padre dei mo-
naci” e figura che ancora oggi sa unire Oriente e
Occidente.
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Antonio si ritira nel deserto per occuparsi senza sosta
nella lettura e meditazione della Scrittura. Del resto la sua
vita riceve una svolta proprio ascoltando un passaggio del
vangelo di Matteo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel
cielo; poi vieni e séguimi» (Mt 19,21).
Girolamo arriverà a dire che Antonio “con la lettura
assidua e la lunga meditazione aveva fatto del suo cuore la
biblioteca di Cristo”. Era una meditazione che plasmava
l’identità, da far rivivere (Atanasio), le esperienze di
Mosè, di Samuele, di Elia, di Eliseo, di Giobbe... di Gesù.
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Da Antonio in poi, la tradizione monastica farà della
Scrittura la regola della propria vita.
La priorità del riferimento alla Parola permane anche
quando la vita monastica scopre la koinônía.
L’esempio più eloquente: Pacomio (292-346).
Dapprima eremita,
Pacomio in seguito inaugurerà
la prima esperienza cenobitica codificata.
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Il carisma di Pacomio attrae molte persone. Fondando
koinôníe di centinaia di monaci e monache, Pacomio pone al
centro un preciso obiettivo:
tradurre in “esperienza di vita”
la pagina di At 4,32:
«Erano un cuor solo e un’anima sola. Non v’era
nessuno che ritenesse cosa propria alcunché di ciò
che possedeva, ma tutto era fra loro comune».
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Pacomio chiede ai monaci di imparare a memoria i
testi della Scrittura, soprattutto quelli del Nuovo Testamento
e dei Salmi, in modo da poterli ripetere sempre,
– per vincere le tentazioni del nemico;
– per incontrare, attraverso la Scrittura, i patriarchi, i
profeti, i discepoli, entrando in dialogo con essi;
– per scandire il ritmo quotidiano e settimanale
all’insegna della Scrittura.
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Basilio il Grande (330-379)
Basilio ripensa la koinônía come adelphótes (frater-
nità), tenendo davanti a sé l’immagine del corpo vivo di
Cristo. Egli propone tale forma di vita a tutti, monaci e laici,
indistintamente, proponendo sempre come modello di rife-
rimento quello della prima comunità cristiana:
Tutti i credenti
erano riuniti insieme
e avevano tutto in comune
(At 2,44; cf. anche 4,32).
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Le Regole di Basilio si rivolgono non solo ai monaci
ma anche ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, ai messaggeri
della Parola, ai coniugi, alle vergini, alle vedove, ai soldati,
ai governanti, agli schiavi, ai capifamiglia, ai figli, ai padri.
La stessa ascesi monastica è proposta come conti-
nuazione e culmine dell’ascesi cristiana tipica di ogni bat-
tezzato. E Basilio non ha dubbi circa la via da percorrere per
concretizzare l’ideale da lui perseguito:
La via ottima per trovare ciò che conviene è la medita-
zione delle Scritture ispirate. In esse, infatti, si trovano
anche i suggerimenti per le cose da compiere …
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… e in esse sono trasmesse per iscritto le vite degli uomini
beati, quasi viventi icone del vivere conforme a Dio, a noi
proposte, perché se ne imitino le opere buone. Per tutto
ciò di cui ciascuno si sente indigente, se si sofferma a
considerarle, trova disponibile il farmaco adatto alla sua
infermità... Proprio come i pittori quando dipingono im-
magini prendendole da altre immagini e, guardando
spesso il modello, si danno cura di trasportare i caratteri
nella loro opera d’arte, allo stesso modo, anche chi si
studia di diventare perfetto in tutti gli aspetti della virtù,
bisogna che guardi a immagini vive ed efficaci, e faccia
proprio il bene che vi trova mediante l’imitazione.
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Proprio questo il contesto nasce la pratica della lectio
divina. Essa trova in Origene la sua grande figura di ri-
ferimento (185-253 ca.). Raccomandata soprattutto nel
quadro della vita monastica, essa ha la finalità di non fer-
marsi al testo, ma di inverarsi nel singolo, in modo che la
storia della salvezza custodita nella Scrittura possa conti-
nuare il suo corso in chi vi si accosta.
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1.2. La fine del Medio Evo - “esclusivamente” la Bibbia
Il tempo dei Padri assicurava alla Parola di Dio un
ruolo di primo piano nella vita dei credenti. Nel XII-XIII
secolo inizia il lungo “esilio” della Parola (Enzo Bianchi).
È uno dei fattori scatenanti la Riforma di Lutero. La
vita religiosa comincia a essere configurata come uno “stato
di perfezione”. Il contesto storico e sociale si struttura-
struttur in classi, categorie, ordini, caratterizzati da diritti e
doveri propri, come pure da uno specifico modo di vestire.
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Anche la Chiesa ne resta condizionata e assume tale
struttura. Al suo interno troviamo diversi “ordini”: quello
dei vescovi, quello dei presbiteri, dei catecumeni, dei peni-
tenti, delle vergini, delle vedove... e quello dei monaci.
Nel XII secolo tutti vengono raccolti in duo genera
christianorum: i chierici e i laici. I monaci, compresi i
conversi, appartengono al primo e quello che più colpisce è
la radicale separazione tra i due generi.
La vita religiosa si definisce come “stato di vita”, il
cui obiettivo è quello di tendere alla perfezione della carità e
il cui dono si esprime attraverso i voti religiosi, con ampia
visibilità pubblica.
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– Il celibato viene esaltato a scapito del matrimonio.
– La Regola si impone a detrimento del riferimento
alla Parola di Dio e al Vangelo
– nonostante “l’anima infuocata” dei nuovi ordini
mendicanti che si propongono un radicale ritorno
al Vangelo.
Il problema: la Scrittura
viene lentamente
“riservata ai chierici”.
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Contemporaneamente si assiste ad una
fioritura di letture allegoriche e simboliche che
applicano alla vita monastica le immagini più significative
presenti nella Bibbia (nuova terra promessa, nuovo paradi-
so, parte migliore...).
I monaci che leggono, cantano, pregano, ruminano la
Bibbia, in questo contesto sono molto diversi da quelli che li
hanno preceduti: il loro linguaggio è elitario e parla solo a
una categoria di fedeli.
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Secondo H. de Lubac, la pagina biblica serve a:
illustrare la conversio morum, il passaggio dalla vita
peccatrice alla vita virtuosa, dalla vita mediocre alla vita
spirituale, o più precisamente, in molti casi, dal “secolo”
alla “religione”; poi essa descriverà il progresso della vita
monastica e le tappe della contemplazione, percorse dal
monaco fedele nella sua cella...
Alcuni credono di dover precisare che i “coniugati” non
hanno posto nella Chiesa, se non secundum indulgentiam;
altri dichiarano che essi saranno salvati soltanto in e-
xtremis per una particolare misericordia di Dio [...]
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Stando a certi modi di dire, sembrerebbe che la legge
degli “eremiti e dei claustrali” sia succeduta, ad ultimum,
alla legge meno perfetta “dei cristiani”, come questa era
succeduta un tempo alla Legge “degli ebrei” e a quella dei
“filosofi”; che dopo la lex naturae e la lex litterae, e la lex
gratiae, venga infine in un ordine di crescente perfezione
la lex regulae S. Benedicti. Similmente un “convertito”
non è più uno venuto dall’errore alla verità, dal pagane-
simo o dal giudaismo al Vangelo: ma chi rinunzia al
“secolo” per il “Chiostro”.
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Quasi come reazione, fuori dalle mura del chiostro,
nascono nuove modalità di approccio ai testi:
– alla cosiddetta “esegesi monastica” si contrappone
– “l’esegesi alla Sorbonne”,
alla lectio si sostituisce la ratio,
alla meditatio la disputatio,
alla teologia “in ginocchio” - quella
“in piedi” nelle grandi aule universi-
tarie.
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La scossa più significativa avviene quando Martin
Lutero, il 21 novembre del 1521, pubblica un’opera dal ti-
tolo De votis monasticis. Con essa egli colpisce al cuore la
teologia della vita religiosa allora diffusa, denunciando:
– l’allontanamento dalla Parola di Dio;
– il silenzio su grandi temi del NT
la giustificazione per fede,
la teologia della grazia,
il valore teologico del matrimonio,
le esigenze universali del Vangelo;
– le contraddizioni nella concezione dei voti.
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Per Lutero, occorreva tornare urgentemente alla Scrittura:
Dio non ha dato alcuna altra scala, né indicato alcuna altra
via, sulla quale noi possiamo andare al cielo, se non la sua
buona parola, il santo evangelo.
Bisognava invece dare alla Scrittura
il posto principale [...] essa è per se stessa certissima, fa-
cilissima, chiarissima, interprete di sé medesima e tutto
dimostra, indica, illumina. Nessuno mi opponga l’autorità
del papa e di qualche altro santo, se essa non è sostenuta
dalla Scrittura. Non voglio vantarmi di essere il più dotto
di tutti, ma che regni la sola Scrittura!
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1.3. Il Concilio Vaticano II: il grande risveglio
Il Concilio Vaticano II segna una svolta che torna alla
radice dell’esperienza religiosa, anche se, di fatto, i grandi
fondatori e fondatrici, anche prima del Concilio Vaticano II,
non hanno mai abbandonato il riferimento primo al Van-
gelo.
Preparato dal movimento liturgico e biblico, il Con-
cilio manifesta il bisogno di un ritorno alla radicalità e-
vangelica e di una rilettura della vita consacrata alla luce
della chiamata universale alla santità.
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Esso segna anche la fine dell’esilio della Parola di
Dio. Tra i passi più significativi del Concilio, in merito alla
vita religiosa, vanno segnalati:
- La collocazione della vita religiosa nello schema
della costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa
(nn. 43-47). Con chiarezza si afferma che:
Un simile stato non è intermedio tra la condizione
clericale e laicale, ma da entrambe le parti, alcuni
fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale
dono” (LG, 43).
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Il richiamo alla parola di Dio è evidente nell’appello
conclusivo:
I religiosi pongano ogni cura, affinché per loro mezzo la
Chiesa abbia ogni giorno meglio da presentare Cristo ai
fedeli e agli infedeli: sia nella sua contemplazione sul
monte, sia nel suo annuncio del regno di Dio alle turbe, sia
quando risana i malati e gli infermi e converte a miglior
vita i peccatori, sia quando benedice i fanciulli e fa del
bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che
lo ha mandato (LG, 46).
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Gli stessi consigli evangelici
essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore e
raccomandati dagli Apostoli, dai Padri e dai dottori e pa-
stori della Chiesa, sono un dono divino che la Chiesa ha
ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre con-
serva (LG, 43).
- L’elaborazione del decreto Perfectae caritatis che
invita a un maggior radicamento del religioso nella Scrit-
tura, nella propria storia carismatica e nella situazione
contemporanea del mondo:
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Il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo
ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla
primitiva ispirazione degli istituti e nello stesso tempo
l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni
dei tempi. Essendo norma fondamentale della vita reli-
giosa il seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo,
questa norma deve essere considerata da tutti gli istituti
come la loro regola suprema (PC, 2).
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Invitati a coltivare il primato della vita spirituale,
i membri degli istituti in primo luogo abbiano quotidia-
namente in mano la sacra Scrittura, affinché dalla lettura e
dalla meditazione dei testi sacri imparino la «sovraemi-
nente scienza di Gesù Cristo», Fil 3,8 (PC, 6).
- nei tempi del postconcilio:
l’esortazione apostolica post-sinodale Vita conse-
crata (1996) che rappresenta una vera pietra miliare, se non
la Magna charta nella concezione della vita consacrata.
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Erano solo tre snodi storici, ma già questi ci hanno
permesso di cogliere lo stretto rapporto che esiste, da un
punto di vista storico, tra vita consacrata e parola di Dio. Un
significativo e antico Apoftegma anonimo, dice:
I profeti scrissero alcuni libri. Vennero i padri che li mi-
sero in pratica. Quelli che vennero dopo di loro li impa-
rarono a memoria. Poi è giunta la generazione attuale, che
li ha trascritti e li ha messi sugli scaffali senza farne uso.
Il rischio è quello do passare da un’esperienza viva a
un libro di memorie riposto in un angolo oscuro di qualche
biblioteca e privo del fuoco vivo della parola di Dio.
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Secondo l’istruzione Ripartire da Cristo (2002),
è stato lo Spirito Santo a illuminare di luce nuova la Pa-
rola di Dio ai fondatori e alle fondatrici […] da essa è
sgorgato ogni carisma e di essa ogni Regola vuole essere
espressione.
[perciò] in continuità con i fondatori e le fondatrici anche
oggi i loro discepoli sono chiamati ad accogliere e cu-
stodire nel cuore la Parola di Dio perché continui a essere
lampada per i loro passi e luce sul loro cammino (Sal
118,105)”.
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