7
Mucchietti di terra coprono i corpi dentro bare 24 dicembre 2014 - Ispica, ore 21:30 Sono stato al cimitero oggi. Ho fatto alcune foto. Ho riconosciuto alcuni fantasmi. Mi domandavo come sarò sepolto io, e dove, seppur vorrei farmi cremare – si dice, e si desidera, così?-. Ne ho riconosciuto alcuni volti, volti visti una sola volta in vita mia, poi sepolti. Ho fatto alcune foto. Entrando al cimitero ho visto alcuni gatti, erano a proprio agio lì dentro. Mentre cominciavo ad orientarmi sentivo alcuni rumori, voci, sussurri e preghiere. Credo sia vietato fotografare in questi luoghi. Ero andato prima che calassero le tenebre e il sole, generoso, lanciava lame di luce sui mucchietti di terra. Andavo al cimitero dopo aver letto tre capitoli de “Il radicante” di Nicolas Bourriaud. E mentre andavo verso il cimitero scivolando la collina con la mia Multipla blu, satanassa, pensavo e mi domandavo se io fossi afflitto da una specie di ‘esotismo’, o se potessi definirmi esotista, o esoto. Ho freddo. Sono avvolto dalla coperta arancione e steso sul divano della mia tana frigo d’estate, e d’inverno nel mio girarrosto, ospite. Ma ho freddo e un mal di testa feroce coi 28 gradi centigradi accuratamente selezionati in camera per avvolgermi poi come un bozzolo arancione. Ho fatto molte foto al cimitero in tre aree simili e diverse allo stesso tempo. Mucchietti di terra coprono corpi dentro bare, alcuni sembrano di cenere, altre sembrava –la terra- bagnata e di un colore solido, un bruno straordinario e compatto così come i verdi, magnifici e vari, del muschio e le erbacce – alcune erbe dolci - bellissimo a vedersi e pensavo alla Puglia, al 28 gennaio pensavo mentre ascoltavo “For Stephen Wolpe” di Morton Feldman.

Ldb TAZ Lauretta 02

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Ldb TAZ Lauretta 02

Mucchietti di terra coprono i corpi dentro bare

24 dicembre 2014 - Ispica, ore 21:30

Sono stato al cimitero oggi. Ho fatto alcune foto. Ho riconosciuto alcuni fantasmi. Mi domandavo come sarò sepolto io, e dove, seppur vorrei farmi cremare – si dice, e si desidera, così?-. Ne ho riconosciuto alcuni volti, volti visti una sola volta in vita mia, poi sepolti. Ho fatto alcune foto. Entrando al cimitero ho visto alcuni gatti, erano a proprio agio lì dentro. Mentre cominciavo ad orientarmi sentivo alcuni rumori, voci, sussurri e preghiere. Credo sia vietato fotografare in questi luoghi. Ero andato prima che calassero le tenebre e il sole, generoso, lanciava lame di luce sui mucchietti di terra. Andavo al cimitero dopo aver letto tre capitoli de “Il radicante” di Nicolas Bourriaud. E mentre andavo verso il cimitero scivolando la collina con la mia Multipla blu, satanassa, pensavo e mi domandavo se io fossi afflitto da una specie di ‘esotismo’, o se potessi definirmi esotista, o esoto. Ho freddo. Sono avvolto dalla coperta arancione e steso sul divano della mia tana frigo d’estate, e d’inverno nel mio girarrosto, ospite. Ma ho freddo e un mal di testa feroce coi 28 gradi centigradi accuratamente selezionati in camera per avvolgermi poi come un bozzolo arancione. Ho fatto molte foto al cimitero in tre aree simili e diverse allo stesso tempo. Mucchietti di terra coprono corpi dentro bare, alcuni sembrano di cenere, altre sembrava –la terra- bagnata e di un colore solido, un bruno straordinario e compatto così come i verdi, magnifici e vari, del muschio e le erbacce – alcune erbe dolci - bellissimo a vedersi e pensavo alla Puglia, al 28 gennaio pensavo mentre ascoltavo “For Stephen Wolpe” di Morton Feldman.

Page 2: Ldb TAZ Lauretta 02

Rivedo quel muschio adesso e ricordo il pensiero inseguito mentre mi spostavo basso, lo sguardo rasoterra tra le piccole collinette dei morti, ordinati mucchietti. Qui dentro riesco a nascondermici bene. E mentre fotografavo vedevo i colori, i pochi colori in quella terra, colori fortissimi e resurrettivi, quelli dei fiori blu, fucsia, il giallo, una lattina di Coca-Cola e pensavo che gli artisti come i curatori oggi, gli studiosi e i critici di una volta, amano follemente la Coca-Cola, ne parlano sempre, fu il cavallo di battaglia di Andy Warhol, l’”umanità unita”, ne parla qui anche N.B., l’estate scorsa ne parlava Senaldi (Marco) e chissà chi altri, è bella la Coca-Cola, è concettualmente efficace e tra i colori c’era, eccola, un barattolo schiacciato di una Coca-Cola light, una copia ancora. E mentre osservavo le tombe, Stele, i piccoli e bassi monumenti bianchi pensavo alla domanda ‘moderna’ per eccellenza: Dove andare?Ho freddo. Spengo il riscaldamento mentre il coro dell’opera di Feldman mi avvolge come la coperta arancione la testa, i pensieri. Pensavo all’arte, quest’arte così complessa oggi come ieri, così facile ieri e a così tanti artisti oggi, e pensavo all’opera di Gabriel Orozco, a “Yielding Stone”, del 1992. Infatti quell’opera mi ha condotto qui, al cimitero di Ispica. Oggi, il 24 dicembre, alle 3 e mezza del pomeriggio, un pomeriggio assai luminoso e assolato qui, ho pensato anche ad una mia opera del 2010, a “I precipitati” - non so per quale ragione mi

ha portato qui e là nel tempo quell’opera di Orozco - e a come avevo intuito ne “I precipitati” un’opera estesa e importante dove la morte è tersa e il tempo sfuggente. E, naturalmente, visto che è un’opera formata di sola polvere, terra d’ombra naturale, riflettevo su questa terra dove i corpi sono sepolti, dove alcune piccole lapidi sono solo segnate con dei numeri, spesso già sbiaditi e prossimi a sparire o ancora cancellati, non i nomi, non le date. E su questa visione, ricordo, ho visto e letto nuove lapidi, nuove di zecca ma diversamente da quelle fantasmatiche dell’opera scorsa, sono nuove, alcune con nomi e cognomi, le date,

Page 3: Ldb TAZ Lauretta 02

altre sono semplicemente segnate, vedo, adornate con fiori freschi, i ceri accesi o consumati. Mucchietti di terra su terra come non se ne vedevano da cent’anni o da cinquant’anni, un secolo o mezzo quasi e che formano un principio, nuovo, di cimitero - potrei dire - diverso da quello di fine anni 70 e 80 dove le tombe furono oggetto di un’agguerrita speculazione edilizia, pareva ci fosse l’urgenza di avere un alloggio o condominio per l’eternità, selvaggi erano i vivi e i morti, i vivi perché già impegnavano i geometri novelli a stabilire una corsa vanitosa, anche per i morti poi, e questo aveva in qualche modo dato pane ai muratori, ai giovani studenti che in estate soprattutto andavano a lavorare come manovali per potersi, poi, pagare qualcosa, gli studi, o la fine. Era un bell’affare morire, e forse lo è stato e sarà per sempre fino all’ultimo umano o disumano essere vivente. Mi sono tolte le mie Blundstone. E a piedi scalzi mi sono mosso sul terriccio solido del secondo campo dei morti, diverso dal primo fiorito e dal terzo che pareva un giardino. La terra solida sotto i miei piedi, pensavo: un’opera così come quella de “I precipitati” e poi una nuova rammendo adesso, un’opera colà - messa là - come quella a ‘clavicorde’ sarebbero eccezionali da esporre, nuove, a Roma magari, altro che radicanti e radicali pensavo, e vedevo quella palla di plastilina ingrossatasi di detriti fino a pesare quanto il corpo dell’artista –di Orozco, naturalmente- e pensavo che tanto ha dello straordinario, e in questo caso ho come avuta una intuizione perché ad altro ancora mi riferisco, e irradiata la mia visione a un altro corpo, un corpo di segni che poi sarei andato a visitare all’ex mercato di Ispica, alcune ore dopo, quattro per essere precisi, al buio ormai, vedevo qualcosa che ci trascendeva tutti, cioè noi, me intendo e il libro di Bourriaud, e la coccola pesante di Orozco. Alla fine mi sono fermato davanti alla tomba giovane, un mucchietto di terra ancora, di un signore, ma cosa diavolo dico, che signore!, di Saretto La Ciura, ecco!, tomba diversa dalle altre, fresca di terra. Lui intanto, la sua foto, è raggiante, un sorriso squillante ci vede, sembra felice come una pasqua, e poi la sua collinetta di terra è letteralmente rivestita di piante e fiori assortita, direi gravida di bellezza. Può essere bella una tomba? Sì, certo, ovvio. Può essere, domanda retorica la mia, ovvia e generosa, bella una mostra sui precipitati?, certo: bellissima!

Dopo aver fotografato i tre campi disseminati di cristalli di lapidi su terra, 69 foto contate, sono andato a Pozzallo. Mentre andavo mi dicevo di ricordarmi di montare l’intervista video fatta a Salvo Monica, era il 2003, giusto per preparare alcuni documenti da mostrare alle genti pugliesi per il 28 gennaio del 2015. Stamattina sono stato in biblioteca per cercare una sua monografia, la biblioteca di Ispica, assai frequentata quando ero ragazzino e mi svegliavo all’arte, si trova in via Garibaldi, via spesso dipinta, un transito funebre in discesa, e in salita con le resurrezioni. Sono andato dritto nella seconda stanza, a sinistra, dove credevo di ricordare di averla vista, una stanza in ombra rispetto alla stanza magna luminosa e svuotata di gente se non fosse che due signori, forse tre o quattro ci lavorano, oziosamente, ma un signore subito mi ha rincorso e, accesa la luce, mi ha chiesto cosa cercavo, Qualcosa di un locale, di Monica, ho detto. Così mi ha condotto nella ‘magna’ consegnandomi tre monografie nere. A parete, davanti e sopra gli scaffali e la mia testa un vecchio disegno è esposto, di Salvo, due ragazzini leggono. Inforcati gli occhiali ho aperto e sfogliate le monografie riconoscendo gli assurdi e impossibili, e inutili, disegni del Maestro ho deciso di prendere: “Dalle Sacre Scritture”.

Page 4: Ldb TAZ Lauretta 02

Raccontavo, poco fa, che sono stato a Pozzallo per un’altra ragione, perché desideravo fotografare il tramonto in spiaggia e le sue sagome, dei viventi o sopravviventi come a riflettere un saggio che avevo esposto a Palermo nel 2011, Il saggio delle opere complete, uno dei cinque saggi esposti intorno al titolo lacaniano Reale, saggio che ho sognato di estendere a Roma, o/e semplicemente del quale non farò nulla se non verificare questa impossibilità necessaria per farne niente. Sono stato graziato: sono entrato in uno stato di grazia perché vedevo esattamente cosa avevo immaginato di vedere: la stessa luce e le stesse sagome alzarsi a pelo d’acqua come fantasmi, il tramonto, insomma, e la terra, e il mare, e l’uomo (vivo e morto) e l’aria, i pensieri come nell’aria, vedevo tutto, come vedevo tutto al cimitero, le vite dei sepolti.

Appena giunto a Venezia intorno alla metà degli anni 80 e ai primi di quello che fu il postmoderno, ricordo, una vena malinconica apparentata al pensiero del lutto vibrava la vita culturale. Ovunque era possibile vedere croci, teschi, opere al nero. Questa postura pare poi rinnovarsi in ogni epoca, qua e là. Ma tutti i modelli oggi sono andati in crisi nonostante viviamo in un’epoca straordinaria e concettualmente densa e fondativa come mai... Pensavo, davanti a quei tramonti così apparentemente serali, malinconici e di fine, a modi nuovi di comprendere lo spazio - tempo della “conduttività” e, nel momento in cui all’arte è dato compito di definire e abitare una cultura globalizzata contro la “standardizzazione presupposta della globalizzazione”, pensavo al tramonto straordinario delle Opere complete di Pozzallo, e a un foglio, una carta di 35 x 50 cm. che ricordavo di aver visto la scorsa estate dentro quello che era stato l’ex mercato comunale di Ispica. Lì feci la mia prima mostra, del 1981, ad appena 17 anni e dove esposi un self, un disegno affissato su un lenzuolo con fiori, come una lapide insomma, e una installazione, un lungo tavolo coperto d’una tovaglia bianca decorata sui bordi con omini rossi che formavano una catena, un abbraccio e dove ciascuno poteva accomodarsi e mangiare, conviviare perché sopra era pieno di prelibatezze locali, e vino. E lì sono andato. Spenta la luce del giorno e confuso il cielo e il mare e la terra e i suoi uomini in uno splendido e profondo blu, mi sono portato verso quel ricordo estivo e lì, entrando in quell’ibrido osceno spazio lounge quale è diventato l’ex mercato, ho attraversato i tavoli vuoti del locale non prima d’essere stato fermato dal responsabile di sinistro luogo ho spiegato che là volevo andare, ho indicato con l’indice, quel disegno, ho detto, devo assolutamente vedere. E ho visto.

Page 5: Ldb TAZ Lauretta 02

25 dicembre

Flash & Machine. Ho pensato molto a “Yielding stone”, alla palla di plastilina di Gabriel Orozco che, per inciso, è uno degli artisti che più amo, e pensavo a come questa palla di plastilina composta di detriti e cresciuta negli anni, ma adesso non so, non ho seguito il corso d’opera, si sarebbe rotolata fino a raggiungere il peso del suo autore. Riflettevo che questa pratica errante presa a modello compositivo “è all’evoluzione dei rapporti fra individuo e collettività nelle città contemporanee” (pag. 101) e mi domandavo quanto diverso sia quel segno, unico e miracoloso assieme, una palla di detrito di storia (coi suoi fantasmi) di un minore, forse neanche di un artista se la composizione mi rivela quanto troppo artista sia l’uno, una Star, del sistema e mondo dell’arte, potremmo dire, e una persona sconosciuta l’altro, un uno indistinto e sepolto nel silenzio. Pensavo tra una palla e un disegno che non sa essere un disegno ma neanche una pittura ma neanche un’opera (seppur il miracolo è manifesto e visibile) perché non entra nel luogo magico, deputato dell’arte insomma, è invece ridotto a simulacro inutile dell’arte in un angolo di un edificio costruito in un periodo fascista, un mercato prima e adesso un luogo profanato dal kitsch dilagante e funzionale all’effimero, un salotto, un lounge bar, un ristorante, una pinacoteca, un ibrido ai margini del mondo, un niente in breve, pensavo mentre mi sforzavo di vedere da vicino la carta disegnata o meglio acquerellata d’inchiostro, che in fondo questo esempio totale di disegno senza arte nè parte in questo tempo dove si privilegia l’esodo come scampo, dovrei dire come ulteriore chance nell’invenzione di un modo comune, ha qualcosa di unico. Quel sinistro niente, affissato male al muro che per vederlo bene bisogna stare in punta di piedi, ha qualcosa che a niente assomiglia all’arte se non alla sua fede, fedele alla sua risorsa sorprendentemente fuori da ogni tempo.

Terzo giorno, 26 dicembre

La stravaganza, stamattina, tema nervoso dei suoi violini e i miei 75,6 chili, troppi ‘mane ma da ieri sera ho cominciato a pensare al mio scotch al Principio dello scotch anziché dello choc. Mi sveglio da un sonno movimentato e crudelmente interrotto un sogno, consapevolmente sognando mi sono scusato con gli altri che galleggiavano sul mio e li ho salutati: “Chiedo scusa a voi tutti, devo svegliarmi, è tardi anche se mi dispiace interrompere una discussione che mi pareva interessante e curiosa proprio perché adesso non saprò mai più come si evolverà o se interromperete anche voi la, ecc.” Vedevo il sogno sfumarsi nel silenzio. In breve interrogato da un signore alle mia destra, io rannicchiato in un plaid bruno in un angolo di un’ampia stanza e a gambe scoperte avevo, avevo poca voglia di rispondere alle sue lusinghe e domande, Allora, diceva, lei so che conosce bene la musica, la techno intendo, cosa ci dice della techno? Così avevo dopo che tutti gli altri mi puntarono gli occhi addosso, loro stessi curiosi, cominciato a ricordare come molti artisti - e come altro potrei definire alcuni deejay per esempio - avessero in qualche modo anticipato o dato inizio a ‘comportamenti’ e suggestioni poi spalmati nel mondo dell’arte. E raccontavo di ‘EX’, lavoro registrato al Guggenheim Museum di N.Y. di Richard “Richie” Hawtin conosciuto come Plastikman, e mentre cominciavo a spiegare le mie parole, ascoltavo, cominciarono

Page 6: Ldb TAZ Lauretta 02

ad emettere suoni, ritmi dub, la parola tradotta in suoni analogici si versava intorno, calda, speziata di bollicine d’alcol e zolfo vedevo i corpi lasciare ombre, muoversi, un’agitarsi d’ombre nello spazio, era come vedere, per intenderci, una foto virata di blu e seppia di corpi in movimento, temo un ricordo rem, di “There Associators”, 2012, da “The unilever series” di Tino Sehgal: là è pittura ballabile. Ecco lo scotch, o una sua sezione.

27 dicembre

Cedo infine al mio progresso, o regresso, alla mia fragilità e all’esoto quale mi sembra d’essere dopo essermi affacciato, ‘intellettualmente’, dentro il corso spietato di una necessità tipica dell’arte e dei suoi membri veloci, fulminanti ai quali mai apparterrò e non so perché non mi piacerebbe appartenere ma semplicemente perché sono immobile, e solo, isolato e innocuo al bestiario umano che ci abita e soprabita. Cedo e Precipito nell’inesistenza, nell’increanza, nell’insensato, niente lascio niente rilascio se non un miracoloso pensiero, evanescente mio e solo, intimo, stordito e solo, nell’inautentico atterro, Precipitato.Stamattina fa freddo. Il paese, Ispica, è avvolto da nubi scure di piombo, e vento. Sono uscito in cerca di pane e una fetta o trancio di pizza per mio padre. È stato piacevole girare un po’ ovunque in cerca del trancio di pizza, il pane l’ho trovato subito, così come sono uscito dal paese e andato da Pitima ho visto che non c’era traccia di rosticceria. Ma mi piaceva l’aria intorno, il gelo fuori, nell’abitacolo della mia Multipla si stava bene, un violoncello ronzava, quieto, note romantiche (o tardoromantiche). Cosa racconterò a Palagiano? Io ho conosciuto Salvo Monica. Ho registrato il suo volto nel 2003, tre ore di registrazione: non tutti gli artisti possono illustrare il divino. Ai corpi inutili e vuoti d’anima e mistero, svuotati e

Page 7: Ldb TAZ Lauretta 02

inanimati, Monica è riuscito col tempo e con gesto paziente, senza nessuna fretta né corsa, senza radicante, a trascendere un gesto semplice e possente che oggi può apparire privato di senso, quello del disegno. Per Monica, Dio è Forma Perfetta. E cosa pretendi da un uomo che è partito da una filosofia e spiritualità che affondano le radici in una concezione antroposofica della vita, cara a Rudolf Steiner, densa di idee orientaleggianti sulla vita prima e dopo la morte. E poi quell’ossessione della luce, cantata in versi, scolpita nei disegni (che non sono solo disegni) luce che è lo stesso spirito di Monica, luce come fonte della sua ispirazione, pensavo alla palla di Orozco e a questa luce che si vede, è visibile solo dal ‘vero’, non riprodotta, non su monitor, non da una stampa ma solo dal vero, una luce “ad alta definizione”, anzi ad una risoluzione totale e di totale bellezza che qualcuno può trovare, con attenzione scrutando, nel finale della nona di Beethoven, in una canzoncina arrangiata da Mark Linkous dei Sparklehorse e cantata da Daniel Johnston, o nel colore rosso di cadmio medio e così via. Vedevo in quella “Maria va a trovare Elisabetta” (Luca 1, 39-40), un inchiostro acquerellato su cartoncino (preparato), del 1994 di centimetri 35 x 50, una bellezza e forma che ora arte non è. E questa, forse, è la grandezza di uomini vissuti con spirito in terra. Avete mai ascoltato “Little gerls shoes” di Bill Callahan (Smog)?