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LA NASCITA DELLA TGEDIA prof. F. Baldassarre La nascita della tragedia La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872) STRUTTURA DELL'OPERA Tentativo di autocritica (7 paragrafi) (1886) Prefazione a Richard Wagner La Nascita della Tragedia, ovvero Grecità e pessimismo (25 capitoli) Concepito come un testo di breve respiro ispirato dalla filosofia di Schopenhauer, viene redatto e allargato su suggerimento di Wagner, all'epoca amico di Nietzsche. Si tratta di un'opera composita, nella quale coesistono filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. Il testo, per la novità delle interpretazioni proposte, ricevette inizialmente forti critiche nell'ambiente dei filologi puri.

Nascita tragedia

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LA NASCITA DELLA TRAGEDIA

prof. F. Baldassarre

La nascita della tragedia

La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872)

STRUTTURA DELL'OPERA● Tentativo di autocritica (7 paragrafi) (1886)

● Prefazione a Richard Wagner

● La Nascita della Tragedia, ovvero Grecità e pessimismo (25 capitoli)

Concepito come un testo di breve respiro ispirato dalla filosofia di Schopenhauer, viene redatto e allargato su suggerimento di Wagner, all'epoca amico di Nietzsche.

Si tratta di un'opera composita, nella quale coesistono filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura.

Il testo, per la novità delle interpretazioni proposte, ricevette inizialmente forti critiche nell'ambiente dei filologi puri.

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Un opera giovanile

“... scritto male, pesante, tormentoso, pieno di immagini smaniose e confuse, sentimentale, qua e là sdolcinato sino al femmineo, disuguale nel ritmo, senza volontà di pulizia logica, molto convinto e perciò dispensato dal dimostrare...”

“Ma c'è nel libro qualcosa di peggio, di cui mi rammarico oggi ancor più che di aver oscurato e guastato con formule schopenhaueriane intuizioni dionisiache: il fatto cioè di essermi guastato in genere, col mescolarvi le cose più moderne, il grandioso problema greco che mi si era rivelato! Di aver riposto speranze là dove non c'era nulla da sperare, dove tutto indicava troppo chiaramente una fine!Di aver cominciato, in base all’ultima musica tedesca, a favoleggiare della «natura tedesca», come se essa fosse proprio sul punto di scoprire e di ritrovare se stessa...”

Nietzsche, nato nel 1844 a Röcken, una cittadina della Sassonia, compie gli studi di filologia classica a Lipsia, tra il 1865 e il 1868. In questo periodo legge Schopenhauer (dal 1865) e conosce Wagner (nel 1868). Nel 1869 ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca presso l’Università di Basilea. Cesserà dall’insegnamento nel 1879 per il peggiorare delle condizioni di salute.

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“L'insostenibilità del tragico”

“Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici... Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dei... Altrimenti quel popolo che aveva una sensibilità così eccitabile, che bramava così impetuosamente, che aveva un talento così unico per il soffrire, come avrebbe potuto sopportare l'esistenza, se questa non gli fosse stata mostrata nei suoi dei circonfusa da una gloria superiore... Così gli dei giustificano la vita umana vivendola essi stessi – la sola teodicea soddisfacente!”

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TRAGEDIA

Dionisiaco ApollineoSofferenzaDivenireCaos MusicaPoesia lirica

IllusioneArmoniaFormaSculturaPoesia epica

Perfetta armonizzazione di apollineo e dionisiacoLa sofferenza (dionisiaca) dell'eroe rappresentata tramite

immagini (apollinee) di compiuta bellezza

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Dioniso e Apollo

“L'uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta lo sguardo vero nell'essenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all'agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell'essenza eterna delle cose. […] La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione”.

“Così potrebbe valere per Apollo, in un senso eccentrico, ciò che Schopenhauer dice dell'uomo irretito nel velo di Maia: «Come sul mare in furia che, sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda ululando montagne d'onde, un navigante siede su un battello, confidando nella debole imbarcazione; così l'individuo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi e confidando nel principium individuationis» [...] Si potrebbe definire lo stesso Apollo come la magnifica immagine divina del principium individuationis”.

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Apollineo e Dionisiaco

“Si potrebbe in realtà simboleggiare il difficile rapporto fra l'apollineo e il dionisiaco nella tragedia con un legame di fratellanza fra le due divinità: Dioniso parla la lingua di Apollo, ma alla fine Apollo parla la lingua di Dioniso”.

“Lo sviluppo dell'arte è legato alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco […] Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l'arte dello scultore, l'apollinea, e l'arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l'uno accanto all'altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un'eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell'antitesi, che il comune termine «arte» solo apparentemente supera; finché da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della «volontà» ellenica, appaiono accoppiati l'uno all'altro e in questo accoppiamento producono finalmente l'opera d'arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica”.

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L'evoluzione della tragedia

Coro dei satiri (ditirambo)

Il corifeo si stacca dal coro comincia a dialogare con esso

Riti dionisiaci

Un personaggio comincia a dialogare con coro e corifeo Non canta, parla

TRAGEDIA dal canto epico-lirico al TEATRO

Codifica del genereEschilo, Sofocle

MORTE DELLA TRAGEDIA Euripide

Apollineo

perfetto equilibrio di APOLLINEO e DIONISIACO

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Dal coro dei Satiri alla tragedia“Il Satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta, sotto la sanzione del mito e del culto. Che la tragedia cominci con lui, che attraverso di lui parli la saggezza dionisiaca della tragedia è un fenomeno per noi tanto sorprendente, quanto lo è in genere la nascita della tragedia dal coro. […] L'uomo civile greco si sentiva annullato al cospetto del coro dei Satiri: e l'effetto immediato della tragedia dionisiaca consiste in questo, che lo Stato e la società, e in genere gli abissi fra uomo e uomo cedono a un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura”.

“Il coro ditirambico è un coro di trasformati, in cui il passato civile e la posizione sociale sono completamente dimenticati: essi sono diventati i servitori senza tempo del loro dio, viventi al di fuori di ogni sfera sociale”.

“La tragedia è sorta dal coro tragico, e originariamente essa era soltanto coro e nient'altro che coro. […]

In origine la tragedia è solo «coro» e non «dramma». Più tardi viene poi fatto il tentativo di mostrare il dio come reale e di presentare come visibile a chiunque la figura visionaria insieme alla cornice della trasfigurazione: con ciò comincia il dramma in senso stretto. […] Corrispondentemente riconosciamo nella tragedia un profondo contrasto di stile: nella lirica dionisiaca del coro e d'altra parte nel mondo di sogno apollineo della scena, lingua, colore, mobilità, dinamica del discorso si distaccano come sfere di espressione separate”.

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L'evoluzione della tragedia

“Vediamo in azione da un altro lato la forza di questo spirito antidionisiaco ostile al mito, quando volgiamo i nostri sguardi all'affermarsi nella tragedia, da Sofocle in poi, della rappresentazione di caratteri e della raffinatezza psicologica. Il carattere non deve più allargarsi come tipo eterno, ma deve al contrario, mediante tratti secondari e ombreggiature artificiali, mediante una raffinatissima determinatezza di tutte le linee, agire in modo talmente individuale, che lo spettatore senta in genere non più il mito, bensì la potente verità naturale e la forza d'imitazione dell'artista”.

“È tradizione incontestabile che la tragedia greca, nella sua forma più antica, aveva per oggetto solo i dolori di Dioniso, e che per molto tempo l'unico eroe presente in scena fu appunto Dioniso. Con la stessa sicurezza peraltro si può affermare che fino a Euripide Dioniso non cessò mai di essere l'eroe tragico, e che tutte le figure famose della scena greca, Prometeo, Edipo, eccetera, sono soltanto maschere di quell'eroe originario”..

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Euripide: la morte della tragedia

“La tragedia greca perì in modo diverso da tutti gli antichi generi d'arte affini: morì suicida, in seguito a un insolubile conflitto, dunque tragicamente […] Questa lotta con la morte la combatté Euripide […] lo spettatore fu portato da Euripide sulla scena. Chi ha riconosciuto il materiale con cui i poeti tragici anteriori a Euripide plasmavano i loro eroi, e ha visto quanto era lungi da loro l'intenzione di portare in scena la maschera fedele della realtà, sarà anche in chiaro circa la tendenza totalmente differente di Euripide.Per opera sua l'uomo della vita quotidiana si spinse, dalla parte riservata agli spettatori, sulla scena”.

“Eliminare dalla tragedia quell'elemento dionisiaco originario e onnipotente, ed edificarla in modo puro e a nuovo su un'arte, un costume e una concezione del mondo non dionisiaci – è questa la tendenza di Euripide”.

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Euripide: la morte della tragedia

“Euripide pose il prologo ancor prima dell'esposizione, mettendolo in bocca a un personaggio in cui si potesse aver fiducia: spesso una divinità doveva in certo modo garantire al pubblico lo svolgimento della tragedia e togliere ogni dubbio sulla realtà del mito. [...]Della stessa veridicità divina Euripide ha bisogno di nuovo a chiusura del suo dramma, per assicurare il pubblico circa l'avvenire dei suoi eroi: è questo il compito del famigerato deus ex machina”.

“Ma nel modo più chiaro il nuovo spirito antidionisiaco si rivela nella conclusione dei nuovi drammi. Si cercò quindi una soluzione terrena della dissonanza tragica; l'eroe, dopo esser stato sufficientemente martirizzato dalla sorte, raccoglieva con un ragguardevole matrimonio o con onoranze divine una ben meritata ricompensa […] al posto della consolazione metafisica è subentrato il deus ex machina”.

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Euripide e Socrate

“Dioniso era già stato cacciato dalla scena tragica, cacciato da una potenza demonica che parlava per bocca di Euripide. Anche Euripide era in certo senso solo maschera: la divinità che parlava per sua bocca non era Dioniso e neanche Apollo, bensì un demone di recente nascita, chiamato Socrate. È questo il nuovo contrasto: il dionisiaco e il socratico, e l'opera d'arte della tragedia greca perì a causa di esso”

“Euripide non riuscì in genere a fondare il dramma soltanto sull'apollineo, che anzi la sua tendenza antidionisiaca si sviò in una tendenza naturalistica e non artistica [...]Per conseguenza Euripide può essere da noi considerato come il poeta del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un dipresso: «Tutto deve essere razionale per essere bello». […] Se a causa di essa la tragedia antica perì, il principio micidiale fu dunque il socratismo estetico, in quanto peraltro la lotta era rivolta contro il dionisiaco dell'arte antica, riconosciamo in Socrate l'avversario di Dioniso”.

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La ragione come rimedio al tragico

“Ma l'illusione poetica e artistica non si rivelò sufficiente. Era necessaria una difesa più forte che i Greci seppero individuare nella ragione. […]Con la «luce diurna della ragione» i Greci non si rassegnano né si consegnano passivamente al ciclo della natura, e neppure compiono l'atto temerario che pretende di valicare il limite della natura... in questo modo, nel ciclo naturale di vita e di morte, i Greci elaborano risposte attive all'ineluttabilità della morte, traducendo la precarietà dell'esistenza in impresa conoscitiva. Non rassegnarsi, non affidarsi a cieche speranze, ma conoscere. […]Dal dolore nascono quelle due forme, non di rassegnazione, ma di resistenza al dolore che sono il sapere (mathesis), che consente di evitare il male evitabile, e la virtù (areté), che consente, entro certi limiti, di governare il dolore”.

U. Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto

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Il tramonto del tragico

“... profonda idea illusoria, che venne al mondo per la prima volta nella persona di Socrate, ossia quell'incrollabile fede che il pensiero giunga, seguendo il filo conduttore della causalità, fin nei più profondi abissi dell'essere, e che il pensiero sia in grado non solo di conoscere, ma addirittura di correggere l'essere”

Socrate alla luce di questo pensiero: egli ci appare come il primo che, seguendo quell'istinto della scienza, seppe non solo vivere, ma anche – ciò che è di gran lunga di più – morire; e perciò l'immagine di Socrate morente, come dell'uomo sottratto dal sapere e dai ragionamenti alla paura della morte, è l'insegna che, sopra la porta d'entrata della scienza, sta a ricordare a ognuno la destinazione di essa, che è quella di far apparire l'esistenza comprensibile e perciò giustificata”.

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Il tramonto del tragico e l'inizio della storia

“Il tramonto della tragedia greca ci dovette apparire causato da un singolare disgiungersi dei due istinti artistici originari: questo evento si accordava con una degenerazione e trasformazione del carattere del popolo greco, che ci spinsero a riflettere con serietà su quanto necessariamente e strettamente l'arte e il popolo, il mito e il costume, la tragedia e lo Stato siano uniti nei loro fondamenti. Quel tramonto della tragedia fu insieme il tramonto del mito. Fino ad allora i Greci erano stati involontariamente costretti a ricongiungere subito ai loro miti tutto quel che vivevano, anzi a comprenderlo solo attraverso questa congiunzione: in tal modo anche il presente immediato doveva apparire loro subito sub specie aeterni e in certo senso come senza tempo. […]Il contrario di ciò avviene quando un popolo comincia a concepirsi a storicamente e ad abbattere intorno a sé i baluardi mitici: a ciò si accompagna di solito una decisa mondanizzazione, una rottura con l'inconscia metafisica della sua esistenza precedente, in tutte le conseguenze etiche. L'arte greca e principalmente la tragedia greca ostacolarono soprattutto la distruzione del mito: bisognò distruggere anch'esse per potere con distacco dal suo suo suolo patrio, vivere sfrenatamente nel selvaggio deserto del pensiero, del costume e dell'azione”.

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Il tramonto del tragico come rinuncia alla vita

“Il porre al posto di una consolazione metafisica una consonanza terrena, anzi un proprio deus ex machina, ossia il dio delle macchine e dei crogiuoli, vale a dire le forse degli spiriti della natura riconosciute e impiegate al servizio dell'egoismo superiore; il credere a una correzione del mondo per mezzo del sapere, a una vita guidata dalla scienza, ed essere anche realmente in grado di esiliare l'uomo singolo in una strettissima cerchia di compiti risolvibili, entro la quale egli possa dire serenamente alla vita: «ti voglio: sei degna di essere conosciuta»”.

“L'uomo teoretico si spaventa delle conseguenze da lui prodotte e, insoddisfatto, non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva. Non vuol più aver niente interamente, interamente anche con tutta la naturale crudeltà delle cose. La concezione ottimistica l'ha rammollito fino a questo punto”.

“Il compito supremo dell'arte, da chiamarsi veramente serio – liberare cioè l'occhio dalla vista dell'orrore della notte e salvare il soggetto con il balsamo risanatore dell'illusione dagli spasimi degli impulsi della volontà – degenererà in una vuota e dispersiva tendenza al divertimento?”

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