Download pdf - Undici piccole ombre

Transcript
Page 1: Undici piccole ombre
Page 2: Undici piccole ombre

CLAUDIO PAGANINI  

 

 

 

 

 

UNDICI PICCOLE OMBRE Piccolo viaggio nel mondo del surreale e del paranormale 

 

 

www.0111edizioni.com

Page 3: Undici piccole ombre

www.0111edizioni.com

www.quellidized.it

www.facebook.com/groups/quellidized/

UNDICI PICCOLE OMBRE Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-482-6 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Gennaio 2013 Stampato da

Logo srl Borgoricco - Padova

 

 

 

 

 

 

 

Page 4: Undici piccole ombre

 

 

 

 

 

 

 A mia madre… 

mi manchi tanto.  

 

Page 5: Undici piccole ombre
Page 6: Undici piccole ombre

Prefazione  

 

 

 

C’è un mondo  intorno a noi,  impalpabile,  il più delle  volte 

invisibile, che ci avvolge e ci avviluppa in una sorta di eterea 

nebbia;  ne  abbiamo  coscienza  solo  in  rare  occasioni  o  in 

posti  particolari,  ma  sappiamo  che  esiste,  anche  se  non 

riusciamo  a  spiegarcelo:  un  universo  di  sensazioni, 

premonizioni,  episodi  senza  alcuna  spiegazione  razionale 

ma di una concretezza preoccupante. Chi vive esperienze di 

questo  tipo  raramente  ne  parla ma  tutti,  presto  o  tardi, 

siamo chiamati ad affrontarle cercando di vincere  le nostre 

paure nei confronti dell’ignoto. 

Undici  racconti aprono un piccolo  spiraglio  sul  lato oscuro 

della  nostra  esistenza,  una  piccola  finestra  su  fenomeni 

inspiegabili che non dovrebbero esistere, situazioni a volte 

paradossali  che  però  ci  fanno  riflettere  su  cose 

all’apparenza  senza  significato, per  comprendere meglio  il 

meraviglioso disegno del creato.  

 

 

Page 7: Undici piccole ombre

39

L’ultimo volo di “Ala Spezzata” Liberamente ispirato a un’antica leggenda Navajo. 

 

 

 

 

Ai margini di un’antica foresta, proprio dove gli ultimi alberi 

cedono il posto alla prateria, viveva un vecchio pellerossa di 

nome “Ala Spezzata”. Era una persona molto anziana che 

aveva  acquistato  con  gli  anni  una  saggezza  non  comune, 

tanto  che  ancora  adesso,  quando  c’erano  delle  decisioni 

importanti  da  prendere,  veniva  convocato  dal  capo  tribù 

perché anche lui esprimesse il suo parere.  

I  suoi  figli,  ormai  grandi,  avevano  da  molto  tempo 

abbandonato la casa paterna per iniziare altrove la loro vita 

e  il  vecchio Ala  Spezzata  aveva  deciso  che  quello  dove  si 

trovava,  sarebbe  stato  un  buon  posto  dove  abitare 

nell’attesa  della  morte.  Con  l’aiuto  dei  giovani  guerrieri, 

aveva costruito una capanna di tronchi vicino a una piccola 

sorgente e  lì era rimasto anche quando tutta  la tribù aveva 

smontato  il campo per trasferirlo più a sud, dove  l’inverno 

era più mite.  

Ora che era rimasto solo, i preparativi per la stagione fredda 

sarebbero stati lunghi e faticosi ma, senza perdersi d’animo, 

iniziò subito raccogliendo tutta la legna che poteva portare. 

I  giorni  trascorrevano  veloci  e  il  vecchio  indiano  era 

Page 8: Undici piccole ombre

40

talmente  impegnato nel  suo  lavoro da non accorgersi  che 

qualcosa  di  strano  stava  accadendo  intorno  alla  sua  casa. 

Innanzitutto  riusciva  a  trovare  sempre  della  buona  legna 

vicino alla capanna e questo gli permise di farne una buona 

scorta  senza  faticare  troppo  ma  anche  la  selvaggina  e  i 

frutti  del  bosco  non  scarseggiavano  mai  in  quel  luogo, 

nonostante l’inverno fosse ormai alle porte.  

Una  sera,  quando  ormai  il  freddo  vento  del  nord  faceva 

sentire la sua voce tra i rami degli alberi, l’anziano pellerossa 

si  sentì  improvvisamente  molto  stanco:  sdraiato  sul  suo 

letto davanti a un bel fuoco che allegramente scoppiettava 

nel camino, pensò che presto avrebbe dovuto  lasciare quei 

luoghi  che  gli  erano  tanto  cari  e  iniziare  l’ultimo  lungo 

viaggio verso le praterie del cielo. Non era triste perché, alla 

sua età,  la morte non faceva più paura ma diventava quasi 

una  dolce  compagna  che  attendeva  solo  di  poterti 

accompagnare  in  un  luogo  dove  fame  e  freddo  non 

esistono.  Cullato  da  quegli  strani  pensieri,  fu  sorpreso 

nell’udire un colpo alla porta: si alzò faticosamente dal suo 

letto e, spinto dalla curiosità, andò a vedere chi c’era fuori 

dalla sua capanna.  

Aprì  l’uscio  lentamente,  cercando  di  distinguere,  nelle 

ultime  luci  del  giorno  appena  trascorso,  chi  poteva  aver 

causato quel suono. Il vento aveva cessato di soffiare e ora 

una  strana  calma era  scesa  su quel  luogo: Ala Spezzata  si 

guardò  intorno  intimorito  fino  a  che  una  voce  lo  fece 

voltare verso la sorgente. Lì, accucciato sull’erba, un grosso 

Page 9: Undici piccole ombre

41

lupo grigio  lo stava osservando mentre, sulla  roccia da cui 

scaturiva  l’acqua,  un  falco  lo  stava  chiamando.  Il  vecchio 

indiano  non  poteva  credere  ai  propri  occhi  e,  intimorito, 

avrebbe voluto  fuggire  lontano quando  la voce del  rapace 

gli intimò di avvicinarsi.  

«Chi  siete?»  chiese  l’anziano  pellerossa  sorpreso  più  che 

intimorito dal fatto di poter sentire un animale che parlava.  

«Siete venuti per me, per farmi del male?» 

Il grosso lupo si alzò di scatto e, con un paio di salti, si portò 

a fianco del vecchio. 

«Non  temere,  siamo  venuti  qua  da  amici  e  come  tali  ci 

comporteremo.  Ti  abbiamo  portato  legna  e  cibo  durante 

tutto  l’autunno affinché  tu  riuscissi a completare  le  scorte 

prima che arrivasse  il “grande  freddo” e ora ci  siamo  fatti 

vedere  da  te  perché  il  falco  ha  una  cosa  importante  da 

mostrarti.» 

L’anziano  pellerossa,  rincuorato  dalle  parole  del  lupo,  si 

avvicinò alla sorgente ripetendo nuovamente la domanda.  

«Chi sei?»  

Era,  infatti,  meravigliato,  perché  sentiva  di  conoscere 

l’animale che gli stava innanzi ma, per quanti sforzi facesse, 

non  riusciva  a  ricordare  nulla  che  lo  potesse  aiutare. 

Indicando  la  pozza  limpida  ai  piedi  della  roccia  il  falco 

cominciò a parlare. 

«Molto  tempo  fa mi  trovavo  in  questo  stesso  luogo;  ero 

giovane e inesperto e avevo appena lasciato il nido quando 

un cacciatore della  tua  tribù mi vide e mi scagliò contro  la 

Page 10: Undici piccole ombre

42

sua freccia. Caddi nei cespugli qui vicino, proprio accanto a 

una  giovane  donna  che  aveva  appena  dato  alla  luce  un 

bimbo. La mia ala, trafitta dalla freccia, mi era rimasta sotto 

il corpo, spezzandosi, e mentre mi dibattevo certo che sarei 

morto, accadde una cosa strana;  la donna depose  il bimbo 

fasciato sull’erba accanto a me e mi aiutò a rimettere l’ala al 

suo posto, estrasse la freccia e curò la ferita con le erbe che 

crescevano vicino alla sorgente. Vedendo il mio arrivo come 

un  presagio,  chiamò  suo  figlio  “Ala  Spezzata”,  unendo  in 

quel modo il mio destino al suo: tu eri quel piccolo infante e 

nel lungo periodo in cui siamo stati vicini mentre tua madre 

curava  le  mie  ferite,  i  nostri  spiriti  si  sono  fusi  insieme 

donando a entrambi  saggezza e capacità che nessun altro 

possiede. Questa sera sono qui perché è giusto che proprio 

da questo  luogo che ci ha visto uniti partano  i nostri spiriti 

per le grandi praterie del cielo.» 

Il  vecchio ascoltò  il  racconto e  riuscì a  vedere nelle  calme 

acque della  sorgente  tutta  la  scena:  si  ricordò delle  favole 

che  sua  madre  gli  raccontava  quando,  da  bambino, 

chiedeva spiegazioni sul suo nome e seppe con certezza che 

ciò che il falco affermava era la pura verità.  

«Che cosa accadrà ora?» chiese l’indiano.  

«Volerai via con me, nel vento, tra i rami degli alberi e lungo 

le valli del nord, in alto nel cielo. Saremo finalmente liberi e 

nuovamente  uniti,  là  dove  l’inizio  e  la  fine  sono  un’unica 

cosa.» 

Page 11: Undici piccole ombre

43

A  primavera  la  tribù  di Ala  Spezzata  tornò  in  quei  luoghi; 

aveva nevicato parecchio quell’inverno e un manto bianco 

copriva  ancora  il  tetto  della  capanna  e  tutta  la  zona 

circostante.  Dopo  aver montato  il  campo,  tutti  i  guerrieri 

andarono  a  far  visita  al  vecchio  saggio  e  lo  trovarono 

disteso,  nei  pressi  della  sorgente,  con  il  viso  sereno  e 

sorridente  rivolto  al  cielo.  Accanto  a  lui,  nella  stessa 

posizione,  c’era  un  falco  con  le  ali  spiegate,  quasi  stesse 

ancora volando verso chissà quali orizzonti.  

In  alto,  sulla montagna,  l’ululato  di  un  lupo  rese  la  scena 

ancora  più  suggestiva  e  irreale  e  i  pellerossa,  intimoriti, 

lasciarono  in silenzio  la  radura. Da allora  la capanna vicino 

alla  sorgente  è  il  posto  più  sacro  per  la  tribù,  dove  i 

discendenti di Ala Spezzata vengono a cercare la saggezza e 

la pace che non trovano i nessun altro luogo. 

 

Page 12: Undici piccole ombre

107

Il traghettatore di anime  

 

 

 

Jack era sempre vissuto lì, nel vicolo, o così almeno riuscivo 

a  ricordare,  circondato  da  un  numero  impressionante  di 

oggetti  raccolti  qua  e  là.  Era  un  personaggio  strano, 

enigmatico, ma del tutto  innocuo; si vestiva con quello che 

la gente gli regalava e aveva la passione, o per meglio dire la 

mania,  di  collezionare  gli  oggetti  più  disparati,  raccolti 

chissà  dove.  Li  teneva  tutti  ordinati  su  mensole 

improvvisate, puliti e lucidi, quasi fossero tesori inestimabili; 

a volte ne prendeva uno, lo stringeva al petto e cominciava 

a parlare  all’aria  che  lo  circondava,  con  calma  e  dolcezza, 

come se avesse avuto davanti una persona cara. 

Io lo osservavo dalla finestra della mia camera, spiando quel 

suo soliloquio continuo e, a volte, ne provavo invidia; io non 

avevo nessuno con cui parlare, tenuto prigioniero nella mia 

stanza  da  un  morbo  oscuro  che  mi  stava  divorando 

lentamente dall’interno. 

Jack era sempre  lì, a custodire  il suo  tesoro con un amore 

che non  conosceva  sosta, pronto a  ringraziare  il prossimo 

per un gesto gentile o a  condividere quel poco  che aveva 

con  i  randagi che andavano a  trovarlo  in cerca di cibo o di 

affetto. 

Page 13: Undici piccole ombre

108

Solo una volta l’avevo visto diventare violento: un gruppo di 

ragazzini aveva voluto fargli un dispetto e, mentre alcuni lo 

distraevano,  il più grande di  loro era  riuscito a  rubare uno 

dei  suoi  oggetti.  La  sua  reazione  aveva  spiazzato 

completamente tutti, me compreso: un  lamento profondo, 

lugubre e triste, era salito dalla sua gola diventando sempre 

più  forte  e  minaccioso.  Aveva  rincorso  il  ragazzo 

bloccandogli le spalle con le sue mani nodose, terribilmente 

forti:  non  aveva  proferito  parola  ma  lo  aveva  fissato  a 

lungo, negli occhi, con uno sguardo terribile, quasi volesse 

strappargli l’anima. 

Il ragazzo, tremante, aveva riposto con cura l’oggetto dove 

l’aveva  preso  e,  dopo  aver  balbettato  le  sue  scuse,  era 

scappato  via  piangendo.  Nessuno  di  loro  si  era  più 

avvicinato  al  vicolo  e mai più  anima  viva  aveva  toccato  la 

roba di Jack. 

Non avendo altro modo per passare  il tempo, avevo preso 

l’abitudine di osservarlo con attenzione, studiando con cura 

i suoi rituali quotidiani, cercando di capire con chi credeva di 

parlare  e,  cosa  ancora più misteriosa,  che  cosa diceva nei 

suoi  sproloqui. Dalla mimica del  suo  viso,  infatti,  si  capiva 

che  doveva  trattarsi  di  qualcosa  di  molto  importante, 

almeno  per  lui,  spiegazioni  di  vitale  importanza  per  chi 

aveva  innanzi;  il suo viso era concentrato ma sereno quasi 

stesse  insegnando a qualcuno, usando dolcezza e pazienza 

per meglio  far comprendere  il concetto, come un maestro 

d’asilo con i suoi piccoli scolari. 

Page 14: Undici piccole ombre

109

Lo  vedevo  gesticolare  con  enfasi,  indicando  un  punto 

lontano,  poi  sorridere  e  riporre  soddisfatto  l’oggetto  che 

aveva stretto al petto fino a quel momento, non sul ripiano 

insieme con gli altri, ma  in un angolo appartato, quasi non 

servisse più. 

La  mia  malattia,  intanto,  subdolamente  aveva  preso  il 

sopravvento  sulle  cure  ed  ero  stato  trasferito,  mio 

malgrado,  nel  reparto  oncologico  dell’ospedale  cittadino; 

sapevo  che  stavo  giungendo  al  termine  del  mio  triste 

percorso ma, stranamente, quello che più mi mancava era 

Jack e il suo parlare al vento. 

Ero  riuscito  a  scoprire,  chiedendo  a  tutti  quelli  che  mi 

venivano  a  trovare,  alcune  informazioni  su  quello  strano 

personaggio; non era  sempre  stato un barbone, anzi: anni 

prima  era  stato  un  rispettato  professore  universitario, 

amato e benvoluto da tutti, specialmente dai suoi studenti. 

Conduceva una vita  regolare,  suddivisa  tra  la passione per 

l’insegnamento e il suo unico grande amore: sua figlia Emily 

di quindici anni.  La moglie era morta qualche anno prima, 

coinvolta  in un brutto  incidente automobilistico che aveva 

lasciato quasi in fin di vita anche Jack; era stato l’affetto dei 

suoi studenti e l’amore per la figlia a dargli la forza di guarire 

e di ritornare quello di prima. 

A volte però  il destino si accanisce proprio con  le persone 

più  buone:  Emily  morì  anch’essa  qualche  anno  dopo, 

stroncata  da  un male  che  non  le  diede  scampo.  In  pochi 

mesi  la  sua giovane  vita  si  spense  e  così pure  la  voglia di 

Page 15: Undici piccole ombre

110

vivere  del  professore;  si  lasciò  andare  sempre  di  più, 

incurante  di  tutto  e  di  tutti,  fino  ai  limiti  della  disperata 

pazzia, dopo di che scomparve senza lasciare traccia.  

Coloro che si erano affezionati al povero  insegnante non si 

diedero  per  vinti  e  dopo  più  di  un  anno  di  ricerche 

estenuanti  riuscirono  a  rintracciarlo  in  un  vicolo  della mia 

città, dove raccoglieva oggetti tra i rifiuti e parlava al vento 

con la sua voce calma e cordiale: Jack appunto. 

Pensavo  a  lui  molto  spesso  durante  le  lunghissime  ore 

passate  a  fissare  il  soffitto  della  mia  camera,  mentre  i 

medicinali, sempre più forti, alteravano le mie percezioni e il 

mio  senso  del  tempo  e  dello  spazio;  arrivavo  perfino  a 

immaginarmi  seduto  vicino  a  lui  mentre  insegnava  alle 

persone  irreali che aveva  innanzi come trovare  la strada di 

casa.  Deliravo  in  quei  momenti,  ne  ero  consapevole;  un 

delirio lucido, dove tutto sembra reale ma distorto, dove le 

presenze davanti a  Jack erano  stranamente opache, quasi 

incorporee. Lui, stringendo  i suoi  tesori al petto, svelava a 

quelle  incorporee entità cosa dovevano  fare per trovare  la 

pace,  per  passare  finalmente  nella  luce,  verso  la 

destinazione finale.  

A quel punto, immancabilmente, riprendevo il contatto con 

la  realtà  e ogni  volta  ciò  che  rimaneva di quell’esperienza 

era  la  frustrazione  di  essere  arrivato  a  un  passo  dalla 

comprensione  solo per  vedersela  scivolare  lentamente  tra 

le dita. 

Page 16: Undici piccole ombre

111

La  fine arrivò  improvvisa, di notte. Non posso dire di aver 

sofferto,  imbottito  com’ero  di  antidolorifici,  ma  me  ne 

accorsi  e  fui  preso  dal  panico;  sentivo  le  ultime  energie 

scivolare  via,  lentamente, mentre  una  terribile  stanchezza 

mi ghermiva: avevo gli occhi spalancati nella vana ricerca di 

un po’ di luce, poi il buio totale e quel terribile silenzio. Non 

vidi  nessun  tunnel  né  tantomeno  una  figura  cara  che mi 

attendeva  come  tante  volte  avevo  sentito  raccontare, 

leggende metropolitane  di  persone  che  erano morte  per 

qualche  istante e poi  rianimate; solo una patetica  figura  in 

un  letto  sudato,  circondato  da  medici  e  infermieri 

impotenti:  io  appunto,  o  ciò  che  ero  stato  fino  a  quel 

momento… poi fui risucchiato via. 

Jack era di  fronte a me, calmo e sorridente come sempre; 

non  da  solo  questa  volta, ma  circondato  da  persone  che 

erano in attesa, come me di una sua parola. 

«Jack»  sussurrai  timidamente,  quasi  avessi  paura  di  farmi 

sentire. 

Lentamente tutti si voltarono verso di me, come se solo ora 

si accorgessero della mia presenza; c’erano visi conosciuti di 

cui stentavo a ricordare il nome, altri mai visti, ma alcuni, ne 

ero certo, erano di persone decedute proprio nel quartiere.  

Tutti  lì,  in  attesa  di  qualcosa  o  di  qualcuno;  percepivo  il 

legame  tra  loro  e  gli  oggetti  che  Jack  aveva  raccolto  e 

lentamente cominciavo a intuire il mistero che da sempre mi 

aveva affascinato. 

«Chi sei tu?» gli chiesi, indicando tutto ciò che mi circondava. 

Page 17: Undici piccole ombre

112

«Che senso ha tutto questo?» 

Mi  sorrise  con  quell’espressione  benevola  che  tante  volte 

avevo visto nascere sul suo volto; m’indicò prima quelli che 

avevo vicino e poi gli oggetti sui ripiani: una sorta di fluida 

energia  legava gli uni agli altri  in un vincolo  indissolubile… 

poi lo vidi. 

Mia madre, probabilmente, aveva  riordinato  la mia stanza, 

buttando via  le cose che ormai non  servivano più, come  il 

mio  orsacchiotto  di  peluche  che  da  bambino  mi  teneva 

compagnia mentre  dormivo;  era  lì  insieme  alle  altre  cose, 

ma per me brillava più di tutte. 

«Mia figlia morì di un brutto male, ma non andò subito via: 

venne  da  me  perché  non  poteva  andare  oltre  senza 

risolvere la questione che la legava ancora a questo mondo. 

Mi consolò e mi parlò di quante povere anime si  ritrovano 

smarrite subito dopo la morte, impossibilitate a raggiungere 

la  fase  finale  perché  inconsapevoli  del  legame  che  le 

legavano  ancora  a questa  vita. Non  avevano nessuno  che 

insegnasse  loro  a  liberarsi  dagli  ultimi  vincoli  terreni, 

nessuno  che  potesse  traghettare  il  loro  spirito  verso  la 

destinazione  finale. Presi  io quel pesante  fardello, per mia 

figlia e per tutti quelli che ne avevano bisogno: da allora  io 

sono semplicemente Jack, il traghettatore di anime.» 

Non  so quanto  tempo  rimasi  in quel  vicolo;  vedevo  spiriti 

passare oltre,  serenamente, e altri aggiungersi a quelli già 

presenti in un ricambio continuo. Nuovi oggetti arricchivano 

la  collezione  di  Jack  e  altri  erano messi  da  parte  perché 

Page 18: Undici piccole ombre

113

avevano  compiuto  il  loro  compito:  poi  toccò  anche  a me 

liberarmi dal mio pesante fardello terreno. L’ultima cosa che 

vidi fu il suo sorriso radioso mentre m’innalzavo sempre più 

in  alto  nel  cielo,  verso  una  luce  che  non  aveva  eguali  nel 

creato. 

 

 

Page 19: Undici piccole ombre

115

Una giornata davvero movimentata  

 

 

 

Sembrava  una  giornata  come  tante  altre,  di  quelle  che 

scivolano via senza lasciare traccia, la solita routine di tutti i 

giorni.  Io  e  i  miei  fratelli  ci  stavamo  riposando  dopo  un 

pasto  forse  troppo  abbondante;  faceva  caldo  e  l’aria, 

umida, aveva un  lieve odore di menta misto agli aromi del 

cibo appena consumato. Nel buio, uno accanto all’altro, ci 

godevamo  il meritato  riposo,  pensando  che  quello  era  il 

modo migliore  di  passare  il  resto  della  giornata;  eravamo 

del tutto ignari di quello che di lì a poco sarebbe successo. I 

rumori  del mondo  esterno  arrivavano  attutiti,  simili  a  una 

ninna nanna lontana, come il suono delle onde sulla risacca; 

qualcuno  si  lamentava,  una  flebile  vocina  che  non  aveva 

un’ubicazione ben precisa. 

“Forse uno dei miei fratelli si sente poco bene…” pensai tra 

me  cercando  di  capire  chi  fosse;  poi  scese  nuovamente  il 

silenzio e non ci feci più caso. 

Il  risveglio  fu  a  dir  poco  traumatizzante:  una  luce  bianca, 

violenta,  quasi  ci  accecò;  l’aria  divenne  improvvisamente 

fredda mentre qualcosa di metallico, appuntito, cominciò a 

graffiarci,  uno  dopo  l’altro.  Nessuno  aveva  il  coraggio  di 

emettere il benché minimo suono, timorosi che anche il più 

Page 20: Undici piccole ombre

116

piccolo  accenno  di  vita  potesse  attirare  l’attenzione  di 

quello  strano  arnese;  rimanemmo  in  silenzio,  uno  vicino 

all’altro,  come  bravi  soldatini  o,  più  probabilmente,  come 

tanti agnellini pronti al macello. 

Il  tempo  non  passava  mai  sotto  quella  luce  impietosa, 

costantemente minacciati da quel freddo metallo; poi tornò 

improvvisamente il buio e con esso la speranza che l’incubo 

fosse finito: ma era soltanto l’inizio. 

Una sferzata di gelo  fu  il primo avviso che  la  tortura stava 

ricominciando;  prima  un  vento  ghiacciato,  poi  un  turbine 

d’acqua ci colse di sorpresa, mentre quella luce impietosa ci 

illuminava nuovamente: sentii uno dei miei fratelli gridare di 

dolore mentre  veniva  investito  da  quella  tempesta  senza 

fine. Era il più sensibile di noi, quello più delicato del gruppo; 

avevamo cercato più volte di proteggerlo anche  lavorando 

a turno al posto suo… ma non era servito a nulla: alla fine 

era stato ugualmente scoperto. 

Lo sentivo  tremare sopra di me, gemere sommessamente, 

mentre gli altri cercavano di incoraggiarlo a resistere: presto 

sarebbe stato tutto finito, in un modo o nell’altro.  

Poi  iniziò  la  tragedia;  dall’altro,  come  una  macchina 

infernale,  con  un  rumore  simile  a  un  enorme  tuono, 

qualcosa  calò,  come  falco  in picchiata,  sul mio  sventurato 

compagno:  i suoi denti sottili, simili a schegge di diamante, 

fecero  scempio  della  sua  pelle,  penetrando  in  profondità. 

L’aria  si  riempì dell’acre odore di osso  tritato, mentre una 

Page 21: Undici piccole ombre

117

nuvola di polvere bianca mista ad acqua faceva penetrare il 

nostro terrore ancora più in profondità. 

Non doveva  finire  così, povero  amico mio:  avevamo  fatto 

tutto  il  possibile  ma  lui  era  troppo  debole  e  in  questo 

mondo sopravvive solo il più forte. 

Lo sventurato fratello si lamentava e si contorceva in preda 

al dolore più  intenso; per un attimo sembrò che  il tempo si 

fosse fermato, ma solo per riprendere a scorrere verso una 

nuova,  insopportabile  tortura:  una  lancia  acuminata, 

enorme, fece scempio delle sue carni più tenere. 

Non  più  un  lamento  udii  uscire  dal  corpo  straziato  del 

nostro  fratello, mentre  la macchina  infernale  faceva  la sua 

ricomparsa  per  terminare  il  suo  nefasto  compito;  strato 

dopo  strato penetrò  in  lui  sottraendogli parti preziose del 

corpo, lasciandolo esposto come un macabro trofeo. Forse 

mossi  da  una  pietà  inusuale,  colmarono  la  voragine  che 

avevano appena  creato  con un pietoso  sudario argentato, 

quasi a cercare di nascondere  il crimine appena compiuto; 

poi fu di nuovo il buio e il caldo, umido abbraccio del nostro 

rifugio. 

Tesi  l’orecchio  nel  tentativo  di  percepire  i  suoni  esterni, 

cercando di  capire  se  era  veramente  finita, oppure  se  era 

solo una pausa tra una tortura e  l’altra. Qualcosa riusciva a 

filtrare  tra  le  voci  terrorizzate  dei  miei  compagni  che 

chiedevano  a  gran  voce  notizie,  ma  era  tutto  troppo 

confuso per capire qualcosa. 

«State zitti!» gridai con tutto il fiato che avevo. 

Page 22: Undici piccole ombre

118

Di colpo il silenzio regnò nella stanza e io, finalmente, riuscii 

a capire cosa succedeva fuori. 

«Non si preoccupi, signora, era solo una piccola carie che si 

era  insinuata  fino a  toccare  la polpa… ho pulito  tutto per 

bene e  le ho  fatto una bella otturazione  in  lega d’argento. 

Mi raccomando: non mangi per due ore e nel caso sentisse 

ancora  qualche  fastidio,  torni  pure  da  me  che  ci  diamo 

un’altra occhiata…  io sono  in studio tutto  il giorno oppure 

può chiamarmi sul cellulare…» 

Ora  ne  ero  certo:  l’incubo  era  davvero  finito.  Potevamo 

riposare  tranquilli  almeno  per  altre  due  ore,  poi  tutto 

sarebbe  tornato  come  prima:  anche  il  nostro  compagno 

sarebbe  guarito  tornando  quello  di  prima,  probabilmente 

più  forte.  Avrebbe  sicuramente  mostrato  a  tutti  le  sue 

cicatrici  facendosene  un  vanto,  ma  poi  la  nostra  vita 

sarebbe ripresa come al solito… fino alla prossima visita dal 

dentista.